Feathers of love.

di germogliare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ipswich. ***
Capitolo 2: *** Neighbour. ***
Capitolo 3: *** Green Apple. ***
Capitolo 4: *** Discovery. ***
Capitolo 5: *** Punch and Kiss. ***



Capitolo 1
*** Ipswich. ***


 

Dedicata a Chiara, mia cugina.
Grazie per sopportarmi sempre.
Ti voglio bene. 

 

 

10.37 a.m.

Stavo osservando quella striscia che serviva per marchiare i bordi nell’asfalto nero pece in continuazione: una lunga linea infinita, di un bianco sbiadito, quasi trasparente.

Non sapevo dove ero diretto né volevo saperlo. Mia madre mi aveva svegliato alle cinque del mattino, ordinandomi di preparare le valigie in fretta. Come sempre, io le obbedii, infilando tutto quello che avevo in quella mia piccola stanza in varie valigie, di un marrone pastello intenso. Erano nuove, o almeno usate poche volte per andare in vacanza durante le festività.

Vivo da solo con mia madre, ho tre sorelline ma mio padre se le è portate via dopo il divorzio. Io  per lui sono un peso, come per tutti alla fine, in quel maledetto paese, Canterbury. 
Sguardi di fuoco, di disgusto, facce inorridite. Tutti mi conoscevano come “Il frocio di Canterbury”. 
Abbassavo ogni volta lo sguardo, camminando velocemente, sperando di non venire picchiato. C’erano i bulletti a scuola che mi deridevano ogni volta che mi vedevano. 
Hei, frocio!
Hei, marmocchio!
Fai schifo, perché non muori?” E risate, risate in continuazione.
Mi sentivo morire dentro ogni volta.
Nessuno mi dava pace.
Nessuno mi conosceva davvero.
Ed ero solo, perché nessuno mi aveva mai capito.
Nessuno nel mio paese era come me e non capivo, cosa c’è di sbagliato se ad un ragazzo piacciono i ragazzi?
“Niente, Louis.” Mi ripeteva sempre mia madre, quando le porgevo quella banale domanda. E io lo sapevo, sapevo che non c’era nulla di sbagliato ma per tutte quelle persone là fuori, era come un reato, come se io avessi ucciso qualcuno.

 
Speravo con tutta l’anima che la nuova città o paese, dove eravamo diretti, fosse migliore.
Mamma era astuta, quando voleva. E’ una donna autonoma, buona e soprattutto comprensiva.
Lei, poi, mi difendeva sempre. Non che io non lo sapessi fare, ma con quelle vecchiette bisbetiche non volevo minimamente averci a che fare.

Mi stava osservando dallo specchietto retrovisore, dato che ero seduto dietro, ed era visibilmente preoccupata. Lo notavo dai suoi grandi occhi color castano chiaro. Io avevo preso il color azzurro cristallino da mio padre ma a contornare la pupilla c’erano delle sfumature di quel marroncino chiaro, ereditato da mia madre.
L’unica cosa che amo di me sono proprio i miei occhi; a volte rimango a specchiarmi solo per scrutarli meglio, per vedere se nel profondo me c’è qualcosa di giusto.

 

***

 

Dopo cinque ore di macchina, tre passate a dormire sui sedili posteriori e due a fissare i paesaggi che cambiavano ad ogni ora, siamo arrivati in un paesino in riva al mare.
Dalla strada vedevo le onde che si infrangevano sugli scogli, l’acqua era limpidissima, la sabbia di un colore davvero perfetto. Non proprio giallo, ma un colore simile al bianco con delle sfumature canarino.
Me n’ero già innamorato, possibile? E poi, ora, nessuno era a conoscenza del mio orientamento sessuale, anche se già sapevo mi avrebbero preso di mira perché ero “quello nuovo”. Speravo tanto la mia supposizione fosse sbagliata.

“Tesoro, siamo arrivati.” La voce eccitata di mia madre mi fece uscire dallo stato di trance in cui ero entrato appena avevo visto quel perfetto paesaggio. O meglio, quel meraviglioso mare dove avrei nuotato ogni giorno per scacciare i ricordi del paese in cui abitavo.
“Ho visto, ma’.” Speravo la casa fosse abbastanza accettabile, la precedente era ridotta peggio di una catapecchia a mio parere, ma ci si viveva.
“Comunque  ho trovato un lavoro, la casa è qui vicino, spero ti piaccia.” Mia madre mi sorrise dallo specchietto retrovisore, ora era felice.
“Ma in che posto siamo?” Chiesi curioso, iniziando a tamburellare i polpastrelli delle dita sulle ginocchia.
“Siamo a Ipswich, tutto l’opposto di Canterbury, come puoi vedere. Qui c’è questo mare, la spiaggia, ti divertirai un sacco o almeno lo spero, tesoro!” Mi rispose frettolosamente, come se desiderasse spiegarmi tutto in pochi secondi.
Dopo le sue parole, tornai a fissare fuori dal finestrino in attesa di vedere la nostra nuova abitazione.

 

***

La nuova casa era simile ad una villetta, non era vicino alla spiaggia ma circa dieci minuti in bici e ci si arrivava.

Era di un meraviglioso colore tendente al bordeaux; i cornicioni di un bianco puro e frizzante che risaltavano i contorni della casa, dove ai lati c’erano delle grondaie di rame, oramai consumate dal tempo.
Due ampie finestre scorrevoli erano poste a un lato della porta d’ingresso, color mogano chiaro.
Il giardinetto che contornava la casa aveva un’erbetta di un verde smeraldo, tagliata rasoterra che emanava un buon profumo di fresco. C’era poi una quercia alta vari metri con foglie di diverse sfumature di verde che riempivano gran parte della chioma. Ad un ramo si intravedevano due catene di ferro che ricadevano fino a distare mezzo metro da terra, dove si univano tramite una tavoletta rettangolare di legno. Un’altalena stile Heidi era appesa a quella possente quercia.
L’ombra della sua chioma arrivava a coprire metà giardino, compresa la parte dove sopra era sistemata, in un angolo cementato, vicino alla staccionata che divideva la casa da quella del vicino, un dondolo di legno.

 

Dopo aver ammirato per un po’ di minuti quella casa così perfetta, guardai mia madre, intenta a prendere le valigie dal bagagliaio della macchina. Si stava dando da fare ed io, come un demente, ero ancora in auto ad osservare fuori.

“Louis! Vieni ad aiutarmi, caspiterina!” Urlò, appena le cadde la valigia, troppo pesante, dalle mani.
Decisi allora di scendere e darle una mano, per gentilezza e per non sembrare troppo pigro.
Dopo aver preso due delle mie valigie, mi diressi verso la porta della casa, sempre guardandomi attorno. Le posai all’entrata e finché aspettavo che mia madre arrivasse con le chiavi, mi sistemai il beanie grigio che indossavo dalla mattina alla sera e gli occhiali da vista neri che usavo per vedere da lontano.
“Ma’, le chiavi.” Mormorai, sapendo che nonostante il mio tono basso, lei mi avrebbe sentito. Avevo una voce stridula, quasi femminile. Una scusa in più per deridermi, a quanto sembrava.
“Arrivo, tesoro.” Mia madre, con più di due valigie sottobraccio, stava camminando in modo impacciato e irrequieto lungo il vialetto di piastrelle, verso di me.
Risi.
A volte quella donna era così divertente! In quel momento stava facendo facce strane, il suo viso si contorceva in smorfie, appesantita da quelle borse.
Dopo aver salito i tre gradini che portavano all’ingresso di casa, posò le valigie, sospirando di sollievo e prendendo fiato. Prese dalla tasca del suo giacchetto bianco panna le chiavi e aprì la porta.
“Finalmente.” Sibilai con un sorriso che andava ad increspare le mie labbra sottili. Non vedevo l’ora di vedere l’interno.

Durante il viaggio mia madre mi aveva spiegato che aveva comperato la casa già completa di arredamento, altrimenti sarebbero serviti più di dieci camion per tutti i mobili che c’erano nella casa precedente. Quest’ultima l’aveva data in affitto ad una coppia americana che non trovava alloggio, ma a prezzo economico, così si faceva un po’ di soldi senza approfittarne troppo.

 

Entrammo in casa con le valigie che poi posammo sul parquet ed io spalancai la bocca dallo stupore. Era fantastica.
Un arco, alla mia sinistra, divideva l’atrio dalla cucina; a destra, c’era il salone arredato perfettamente.
Un secondo, invece, si affacciava sul corridoio dove si intravedevano le scale bianche legnose che portavano al piano superiore. Feci un passo in avanti e spiai la cucina: un bancone al centro della stanza era contornato da alcune sedie, o meglio da piccoli sgabelli alti quasi quanto il suo piano in marmo bianco.
“Allora, tesoro, come ti sembra questa casa?” Mi chiese mia madre, dopo essersi avvicinata a me da dietro e aver posato le mani sulle mie spalle.
“Mi piace e non vedo l’ora di vedere camera mia.” Risposi in un sussurro, sistemandomi gli occhiali.
“Prendi le valigie e inizia a riempire il tuo armadio, io finisco di portare le altre in casa.” Io annuii e afferrai le mie valigie, dirigendomi al piano superiore. Salii le scale e guardai dentro la prima stanza che trovai. Era quella giusta. 
Lanciai le valigie sul letto e studiai la mia nuova stanza.
Era spaziosa, mi piaceva. Addossato al muro alla mia sinistra c’era un letto da una piazza e mezza, perfetto per me. Una poltrona era situata in mezzo alla stanza, sottostante un tappeto e davanti una televisione abbastanza grande e a schermo piatto. Sempre adagiati al muro sinistro, c’erano una scrivania e un piccolo scaffale color mogano chiaro. Al lato opposto una porta faceva da angolo. Probabilmente portava al bagno. 
Un bagno personale? Finalmente, non ce la facevo più ad aspettare ogni volta il mio turno, anche se c’era solo mia madre dovevo attendere sempre più di mezz’ora la mattina per prepararmi. Nella parete alla mia destra c’era un grande armadio di un color nocciola, con le ante già aperte, pronte per sistemare i miei abiti.

Dopo l’osservazione, mi decisi di aprire le valigie ed iniziare a riempire il mio armadio. Posai il mio portatile sulla scrivania, i libri sullo scaffale e l’x-box sul mobiletto sotto la tv. Riposi, avendo finito di riordinare, le valigie sotto l’armadio.
Scesi, in seguito, in cucina ad aiutare mia madre nel riporre gli oggetti e il cibo nei mobiletti per più di mezz’ora.
Sbuffai. Ero esausto.
“Ma’, posso riposarmi? Dopo sistemo il salone.” Urlai per farmi sentire, dato che mia madre era ormai andata nella sua stanza, al piano superiore, a svuotare le valigie.
“Certo, mangia qualcosa ora che questa mattina non hai fatto colazione!” Gridò lei in risposta.
Sentii dei rumori, presumevo fossero cadute le valigie dal letto.
Mi preparai un panino con prosciutto, formaggio e insalata, sedendomi infine su uno sgabello per iniziare a mangiarlo. Diedi un solo morso e sentii il campanello della porta suonare. 
Andai fino all’ingresso e guardai dallo spioncino.

 

 




Spazio autrice. 


Eccomi qui con una nuova fic. La prima seria che ho deciso di scrivere. Non la lascerò a tre capitoli, quattro ma la finirò. 
Ne sono certa. Inanzitutto è una fic Larry. lol
Che dire poi, questo è il primo capitolo, spiega un po' com'è la situazione di Louis, il trasferimento e il suo carattere.
Spero non vi abbia annoiato questo capitolo, dato che i colpi di scena non ci sono, ma giustamente è solo il primo e per quelli c'è tempo e tanto. :') 

Faccio banner su richiesta, per ora ne ho fatto solamente uno a Mars, la sua storia potete trovarla qui The time of our lives. (Passate, è stupenda. djgd. P.s. Mi ha pure aiutato a correggere la mia storia. ) Un grazie a mia cugina Chiara che mi ha corretto la storia dall'inizio e ha perso tempo per me. <3 e ringrazio anche un paio di persone che l'hanno letta e mi hanno detto la loro opinione. 

Se mi volete contattare (dubito :" ) scrivetemi qui nextolarry twitter
Sarei grata se mi lasciaste qualche recensione, così per andare avanti e sapere come trovate la mia fiction.uu
Ora vi lascio, mi sto dilungando troppo, aiuto.
Al prossimo capitolo, babies! 

-Ket. 

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Capitolo 2
*** Neighbour. ***


 

  

 

Chi poteva mai essere?
Notai un ragazzo esile con un vassoio pieno di biscotti in mano.
Alzai un sopracciglio, confuso da quella visione. Slacciai la catenella di sicurezza prima di aprire la porta e fissare quello sconosciuto con indifferenza, sbattendo le palpebre in continuazione.
Lui mi sorrise, aveva dei denti bianchissimi ricoperti da dei ferretti trasparenti, probabilmente dell’apparecchio.

“Ciao! Sono il tuo vicino, Niall. Mia madre mi ha chiesto di portarvi i saluti di benvenuto ed eccomi qui!” Rise, il motivo non lo sapevo. Continuai a fissarlo.
Aveva dei capelli castano scuro alla radice mentre il ciuffo davanti era biondo. Gli sorrisi per essere cortese e, sistemandomi per l’ennesima volta gli occhiali, arrossii.
“Io… -esitai prima di continuare a parlare.- Io sono Louis, piacere e… grazie.”
Lui ricambiò il sorriso, allungò le mani verso di me e mi porse il vassoio. Non lo presi; con una mano sorreggevo il mio panino, quindi mi scostai dall’ingresso e lo feci entrare.

Osservava la casa con lo stesso mio stupore di poche ore prima.
Sorrisi lievemente, guidandolo in cucina.
“Comunque Louis, giusto? Da che città o paese sei arrivato? Non ti ho mai visto prima.” Posò il vassoio sul tavolo e senza esitazione si sedette sullo sgabello. Lo imitai e poggiai il panino in un piatto sopra al tavolo, mordendomi appena l’interno della guancia, imbarazzato.
Avevo appena fatto entrare in casa uno sconosciuto ed io non ero abituato a socializzare. Ma cambiare città significa anche cambiare vita, no?
“Canterbury.” Risposi in un sussurro. Lo vidi annuire e toccarsi la barbetta appena pronunciata che aveva sul mento. Era carino, decisamente.
“Capisco. Non hai nostalgia degli amici o della ragazza? Se ce l’hai, ovvio.”
Era un interrogatorio, per caso? Sospirai, amareggiato delle sue parole. Ovvio che non avevo la ragazza, ma gli amici … Mi avrebbe preso per uno sfigato se gli avessi detto la verità; poi non mi fidavo, lo avevo appena conosciuto, quel Niall.
“No.” I monosillabi erano le migliori risposte che sapevo dare ai miei coetanei o agli sconosciuti, le chiacchiere le odiavo.
“Strano, io non so come farei se mi portassero via da qui.”
“Faceva schifo quel paese.” Mormorai secco, con disprezzo verso quel paese orrido. Odiavo ogni singola persona. Per me non era facile odiare… ma loro, loro erano persone spregevoli e piene di cattiveria.
Sgranò appena gli occhi per il mio tono, poi tornò subito tranquillo, porgendomi un biscotto. Lo assaggiai. Il profumo che emanavano quei gustosi biscotti era sublime.

 
“Chi li ha fatti?” Chiesi curioso mentre avvampavo nel notare il suo sguardo intenso scrutarmi.
“Mia madre! Ti piacciono?” Sorrise con soddisfazione, iniziando anche lui a mangiucchiare i biscottini.
Annuii in risposta con un cenno del capo, continuando a masticare.
Lui sorrise di nuovo, compiaciuto. Mi fissò il cappello, il ciuffo che fuoriusciva e infine il viso. Avevo lo sguardo basso, volto al bancone; odiavo il contatto visivo, ogni volta mi trasformavo in un peperone dall’imbarazzo che accumulavo in quei pochi secondi.
Ridacchiò.
Io alzai lo sguardo verso di lui per pochi secondi.
“Sei buffo.” Rise ancora, con la bocca piena.
Sputacchiò dei pezzi di biscotto in giro.
Feci una smorfia di disgusto, prendendo dal vassoio un altro biscotto per portarlo alla bocca e iniziare a mangiarlo.
Arrossii pensando alle sue parole e mi sistemai gli occhiali con l’indice.
Lui rise di nuovo.
“Che hai?” Sbuffai, infastidito dalle sue continue risate alquanto insensate.
“Niente, sei buffo. Mi piaci.” Rise per l’ennesima volta, grattandosi la nuca con una mano.
Rialzai lo sguardo e, per la prima volta, feci la linguaccia a qualcuno, al di fuori di mia madre.
Proprio in quel momento sentii dei passi provenienti dalle scale, sicuramente era lei. Sorrisi non appena la vidi ed il ragazzo davanti a me si alzò di scatto, andandole incontro. Le porse la mano e si presentò, sempre con quel suo sorriso brillante stampato in volto.

 
“Quindi tu sei il nuovo vicino, eh? Sei un bel ragazzuolo.” Fece mia madre ed io, dopo le sue parole, risi nel vedere Niall lievemente in imbarazzo.
“Sì, esatto. Ho conosciuto suo figlio, Louis. E’ suo figlio, non è vero? Anche se la vedo così giovane e potrebbe essere benissimo la sua fidanzatina.” Mormorò lui in risposta, con tono gentile e aria da leccapiedi. Mia madre era una bella donna, stile moderno ed appariva giovane a tutti, questo sì, ma le sue parole erano di troppo. La mia ragazza, anche? Impossibile, non lo aveva detto davvero.
Mia madre si mise a ridere, scuotendo il viso varie volte per negare la sua affermazione.
“Ma no, caro mio. Sono sua madre e poi non sono giovane come pensi.”
“Lei è una gran donna e la trovo moderna e giovanile.” Proprio come avevo detto, tutti la trovavano così.
“Oh, ma grazie, ora basta complimenti però.” Sussurrò e intanto andò vicino al ripiano di marmo a prendersi un biscottino. “Ora assaggio i biscotti fatti da tua madre.” Disse, assaggiandone poi uno.
 La sua espressione fu di gran sorpresa, le erano piaciuti molto.
“Voglio la ricetta. Assolutamente. Poi faccio un salto da tua madre, per ringraziarla e ovviamente anche per la ricetta.” Esclamò rivolgendosi al ragazzo, mentre finiva di mangiare il secondo biscotto.
Niall annuì, guardò il suo orologio da polso e spalancò la bocca, fremendo sul posto.
“Oddio, devo andare! Sono in ritardo per gli allenamenti! Vi saluto! Benvenuti ancora e arrivederci signora, ciao Louis.” Salutò mia madre con un cenno della mano e me con un bacio sulla guancia.
Lui se ne andò.
Rimasi basito.

 

***

 

Quel pomeriggio restai chiuso in casa, preparandomi mentalmente per il giorno dopo.
Dovevo andare a scuola.
Seduto sulla poltrona di camera mia, pensai a come sarebbe proseguito l’indomani e allo strano incontro fatto poco prima con quel biondino.

Arrivata la sera, dopo aver cenato con mia madre ed averci chiacchierato un po’ assieme, mi rifugiai nell’unica stanza della casa ancora vuota.
Pareti bianco sporco, la prima cosa che vidi. Si sgretolavano e lasciavano spazio al colore del muro sottostante: azzurrino sbiadito. Pensai che altre famiglie, vissute tempo prima in quella casa, avessero pitturato la stanza; chi con i figli, con la moglie o il marito; chi con amici, in compagnia; o chi solo, come avrei fatto io il giorno dopo.
Volevo trasformarla in una stanza musicale.
Amavo la musica, sapevo suonare bene il pianoforte e me la cavavo con la batteria. Nella mia precedente casa, infatti, avevo il pianoforte che mio padre mi aveva regalato al mio compleanno quando avevo ancora dieci anni.
Il pianoforte! Che stupido!
Corsi di sotto in salone, cercando mia madre. La ritrovai ancora in cucina, intenta a lavare le stoviglie.
“Ma’! Il pianoforte!” Urlai, con tono disperato mentre mi avvicinavo a lei freneticamente.
“Tranquillo, arriverà domani. Sapevo quanto importante era per te, è tutto apposto.” Rispose lei sorridendomi e avvolgendomi con le sue braccia il corpo.
“Davvero? Spero arrivi presto, voglio suonare.” Sussurrai, dandole un bacio umido su di una guancia per ringraziarla e ricambiai il suo abbraccio amorevole.
“Sì, ora prepara lo zaino per domani, non vorrai mica andare senza nulla!”
“No, certo che no, ma’!” Risi, sciogliendo quell’abbraccio caloroso, salendo con fretta nella mia camera.
Presi il mio zaino rosso dell’Eastpak, riempiendolo con dei quaderni vuoti e una matita nuova. Infilai una bottiglietta d’acqua in caso di gola secca e dei fazzoletti.
Misi la sveglia alle 8.00 a.m.
Tremai.
Dei brividi di paura, ansia, mi invasero il corpo come delle formiche invadono il proprio formicaio.
Tremai ancora.
Altri brividi, guance che pizzicavano, pelle d’oca sulle mie braccia.
Presi una coperta, me la avvolsi alle spalle e mi sedetti sul bordo del letto, cercando di placare quelle scosse di freddo che mi pervadevano secondo per secondo.
Mi distesi allora, vedendo che non finivano più e mi addormentai, tremante.

Bi-bip. Bi-bip. Bi-bip.

La sveglia, alle 8.00 in punto, iniziò a trillare come un campanellino.
Sbuffai assonnato, rigirandomi nel letto.
Lentamente aprii gli occhi e me li coprii con il dorso della mano, accecato dal sole che penetrava dalla finestra, sicuramente aperta da mia madre.
Rabbrividii, ora dal freddo che c’era in quella stanza. La coperta che avevo avvolto a me la sera prima era ai piedi del letto, il cuscino a terra ed io ero disteso sulle lenzuola disordinate.
Mi misi a sedere e chiusi le palpebre, riprendendomi dal sonno e dai giramenti di testa, causati dal mio alzarmi frenetico. Mi strofinai gli occhi con le mani chiuse a pugno e mi distirai, sbadigliando, una volta in piedi.
Andai al mio bagno personale e mi sciacquai il viso con dell’acqua fresca, anzi congelata, che fece congelare anche me.
Dopo essermi alzato e lavato, mi vestii con un maglioncino blu scuro e dei pantaloni jeans ma non troppo stretti, correndo in cucina per fare colazione.
Alzai lo sguardo, erano le 8.20.
La scuola non era né troppo lontana, né troppo vicina e dovevo andarci a piedi.
Velocemente mangiai, mi lavai i denti e presi il mio zaino, uscendo di casa dopo diversi minuti.
Iniziai a camminare lungo un vialetto ed osservai tutte le case, una accanto all’altra e così simili.
Mi faceva sentire a mio agio quel luogo, per ora.

 
Sbuffai dalla stanchezza, ero a metà strada ormai.
Deglutii non appena sentii dei rumori a me spaventosi alle mie spalle. Delle parole, dei passi, delle risate. Avevo fifa.
Sempre più vicine, sempre più insistenti, più paura invadeva il mio corpo.
Le mie gambe tremavano, ero un cacasotto.
Urlai a squarciagola quando mi sentii avvolgere il collo da delle braccia.
Il mio cuore scalpitava come un cavallo in corsa, i miei occhi spalancati per lo spavento.
Mi lasciò andare e mi prese per il polso.
Una risata fragorosa riempiva le mie orecchie.
Mi girai.
Il mio vicino, Niall.
Arrossii con violenza: le mie guance candide avvamparono fino a colorarsi di porpora.
Che imbarazzo, pensai.
“Urli come un checca!” Scherzò il ragazzo, dandomi una pacca sulla spalla e continuò a ridacchiare, piegandosi in due e tenendosi la pancia con le mani. Strizzava gli occhi e il suo respiro era corto, irregolare.
“Scusa se qualcuno mi ha assalito!” Ribattei urlante, battei un piede a terra e corrugai la fronte, formando un cipiglio.
“Che scena epica! Non me la dimenticherò mai!” Diminuì la sua risata, calmandosi e sospirò. Mi sorrise e mi fissò, incamminandosi lungo la strada ed io lo seguii.
“Muoviti, lumacone! Siamo in ritardo e il primo giorno non vuoi essere il ritardatario di turno, no?” Iniziò a correre, tirandomi per il braccio.
Scossi il volto per una negazione e corsi insieme a lui.

 

***

8.50 a.m.

L’orologio di Niall segnava quell’ora e noi eravamo già lì, davanti a quella struttura colma di gente. Mi mancò il respiro al solo pensare di entrarci e di essere sbattuto a destra e a manca lungo il corridoio nella tentazione di trovare il mio armadietto.
Niall mi guardò con divertimento, pizzicandomi un braccio. Lo guardai male e sospirai.

 9.00 a.m.
La campanella suonò ed io pensai di svenire.
Niall mi spinse avanti a lui e mi guidò fino all’entrata e in seguito alla segreteria.
Passati cinque minuti ad aspettare la segretaria che mi diede i fogli dell’iscrizione, la piantina di scuola e l’orario delle lezioni, iniziai a girovagare per la scuola e ad inseguirmi c’era sempre lui, il mio vicino.
“Ora che lezioni hai, Lou?”
“Storia.”
“Bene, ti accompagno e poi vado in classe. La terza ora dovremmo incontrarci.” Guardò il mio orario e “Sì, a matematica! Quindi, poi ti aiuterò.” Mi sorrise, un sorriso di quelli sinceri non falsi e come avevo pensato di lui, era una persona solare.
Ci salutammo e io cercai la classe di storia. Secondo piano, terza aula a sinistra. Fremetti prima di bussare e presi un bel respiro.
Entrai.
“Permesso...” Sussurrai debolmente, mantenendo lo sguardo basso.
“Oh, è lei il nuovo arrivato, uhm, dovrebbe essere… Tomlinson?” Una donna sulla sessantina d’anni mi squadrò da capo a piedi, sorridendo compiaciuta. Le sue labbra dipinte di rosso fuoco mi fecero tremare non appena le dischiuse e il rossetto le si appiccicò sui denti. Che orrore.
“Sì, sono io.” Dissi, cercando con lo sguardo un banco libero.
Mi sistemai gli occhiali e lo trovai, in fondo alla classe. Un colpo al cuore.
Un ragazzo dalla pelle ambrata, un ciuffo scompigliato e un sorriso beffardo in volto mi stava fissando.
Aveva le gambe distese sopra la sedia dell’unico banco libero. Comodo, no?
Mi maledissi con la mente per non aver saltato questo primo giorno, e intanto avanzavo verso di lui.
Posai lo zaino sul pavimento, accanto al banco e guardai il ragazzo, con terrore. Lui rise e scosse il volto, togliendo le gambe dalla sedia e lasciandomi sedere. Gli facevo già pena.
Un “Grazie.” Uscii dalle mie labbra fine e secche che mi leccai poco dopo per inumidirle e lui mi fissò, con un sopracciglio alzato e uno sguardo pieno di provocante. Deglutii e mi tolsi il beanie che portavo sulla testa, lo misi sul banco e presi un foglio sul quale, durante la lezione, avrei preso degli appunti.

 
Con la coda dell’occhio vidi che mi osservava, intanto io prendevo appunti dato che la professoressa spiegava la seconda guerra mondiale.
Ora si stava leccando le labbra, lui. Carnose, rosse, screpolate.
Mi morsi le mie, nervoso. Sospirai e mi sistemai il ciuffo ricadente sulla fronte, tornando a scrivere sul foglio.
Dopo diversi minuti, sentii qualcosa toccarmi la coscia.
Pensai fosse solamente una mia impressione quindi non mi mossi di un millimetro.
Sobbalzai, alzandomi quasi dalla sedia nel vedere e sentire la sua mano che stringeva la mia coscia e girai il viso verso di lui, togliendogli la mano velocemente.
Come si permetteva? Anzi, perché mi aveva toccato? Un test per vedere se ero omosessuale? La gente d’oggi ha troppa confidenza.
Lo guardai male e nel suo volto si stampò un sorrisetto da perfetto stronzo. Lo odiai.
Scrissi ancora, mezza facciata di appunti e di nuovo, per la seconda volta, mi ritrovai la sua mano sulla mia gamba. Lo lasciai fare, fregandomene. Avanzava sempre di più con la sua mano minuta ma non fece in tempo ad arrivare, pensai, al posto desiderato che la campanella della fine dell’ora suonò e lui ritirò la mano, scappandosene fuori dalla classe dopo avermi rivolto un’ occhiolino e un sorrisetto malizioso. Ringraziai Dio per avermi aiutato, altrimenti solo lui sapeva cosa sarebbe successo. Dovevo raccontare tutto al mio vicino.
Passai la seconda ora a sbadigliare, durante scienze e poi la terza, assieme a Niall fu una meraviglia.
Stranamente con lui mi sentivo bene nonostante la battuta della mattina che non mi era ancora andata giù. “Urli come un checca!” Peccato che io ero una checca. Mi chiamavano così a Canterbury, quindi ci stavo ancora un po’ male se mi attribuivano quel nomignolo. Speravo davvero che, quando lo avrei conosciuto meglio e glielo avrei confessato, non sarebbe scappato.

Finito il primo giorno di scuola.
Fuori dall’edificio scolastico io e Niall stavamo ridendo come due pazzi. Gli sguardi disorientati dei ragazzi attorno a noi erano bizzarri.
Corremmo fino a casa e lo salutai, con un abbraccio.
“Grazie.” Mormorai guardandolo nei suoi occhi azzurri ed arrossii.
“E di che, è stato divertente e riguardo a quel ragazzo, si chiama Zayn, Zayn Malik. Stai attento, è uno stronzo.” Mi avvertì, scuotendo il viso e sospirando. Mi diede due pacche lievi sulla spalla ed entrò in casa.
Feci lo stesso e corsi in camera.
Mi cambiai, indossai pantaloni della tuta neri e una canottiera bianca larga, indossando come al solito quel mio beanie.
Raccontai tutto a mamma della giornata passata ma non del ragazzo moro, di Zayn.

“Tutto bene e mi sono divertito con Niall.” Sorrisi mentre infilzavo la pasta con la forchetta e mangiavo.
“Mi fa piacere, finalmente hai trovato un amico.”
“Sì, ma se quando saprà di … di quella cosa, secondo te se ne andrà da me e mi odierà come hanno fatto tutti fin’ora?” Chiesi tristemente, solo pensando a quella possibile conseguenza.
“Se davvero ti vuole bene, no. Resterà e mi sembra un ragazzo intelligente.” Affermò lei, avvicinandosi a me.
“Quando hai saputo della mia prima cotta, alle medie, nemmeno tu l’hai presa molto bene.” Le ricordai con un sospiro successivo alle mie parole. Lei annuì, passandomi una mano lungo la schiena.
“E’ vero, ma sai … Per me è stato strano, ma non orribile.”
“Per tutti è orribile, mamma. Ogni volta che dicevo ad un amico che ero … che mi piacevano i maschi, scappava. Ed ho sempre questa paura.”

Mi consolò ancora per pochi minuti e dopo aver finito di pranzare, la strinsi forte a me, ringraziandola per ogni attimo in cui mi stava accanto, con quel piccolo ma grande gesto.

4.30 p.m. 

Decisi di uscire all’aperto dopo aver fatto un pisolino per più di un’ora. Uscii con il mio libro segreto, che tenevo come se fosse il mio diario.
Nel libro ci scrivevo le mie giornate, i miei spartiti per pianoforte, i miei segreti, ci disegnavo i miei scarabocchi data la mia poca vena artistica e i miei sfoghi.
Sì, in quel libro c’erano scritte più parolacce che segreti a mio parere ed è per questo che speravo che mia madre non lo leggesse mai, per nessun motivo.

Mi ritrovai al parco della città dopo diversi minuti  passati a passeggiare e ad ammirare quel luogo ancora nuovo per me.
Una fontana imponente e rotonda sorgeva al centro della piazza, contornata da mille fiori colorati, stradine di ghiaia e panchine di vernice verde screpolate, situate davanti a dei cespugli.
Vidi una panchina sotto un albero e mi ci fiondai. Amavo l’ombra e la solitudine.
Mi sedetti e accavallai le gambe come a formare un 4; presi il mio libretto e iniziai a scribacchiare qualcosa che mi passava per la mente.
Tutto andò bene fino a che qualcosa mi colpì in piena faccia e mi fece cadere a terra dal dolore.

 

Spazio autrice. 

Per sbaglio ho modificato il capitolo al posto di aggiungerne uno nuovo, sono una frana. c_c
Quuuindi non ricordo che avevo scritto qui.
Comunque, ringrazio tutte le persone che sprecano tempo per leggere questa cacchina, ringrazio chi mi aiuta, Mars e mia cugina e chi recensisce. Amo le vostre recensioni, almeno so che qualcuno è vivo!
Coomunque, se mi volete o avete bisogno di un  banner sono qui: nextolarry twitter .
Vi aspetto, alla prossima!

 

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Capitolo 3
*** Green Apple. ***


 

Dedicato a Chiara, Erika e Mars che mi odieranno
per tutte quelle volte che ho rotto loro di leggere il capitolo.


Non capivo cosa fosse stato, ma percepivo il sangue colare dal mio naso come una fontana, simile a quella al centro del parco. Mi passai il dorso della mano sul viso, o meglio sul naso, per pulirmi da quel sangue che era uscito e che stava uscendo, notando, dopo aver ripreso a vedere, una mela verde vicino alla panchina.

“ Cazzo!” Sentii una voce urlare da lontano e dei passi pesanti pestare la ghiaia.
“Stai bene? Dimmi di sì, ti prego. Mi dispiace un casino!” Qualcuno mi aiutò a rialzarmi e a mettermi seduto per bene sulla panchina. Si sedette poi affianco a me e mi sistemò i capelli scompigliati per la caduta, prendendo dalla sua tasca un fazzoletto di stoffa bianco con il quale mi asciugò il sangue colato sulle labbra e sul mento.
Me lo sistemò infine sotto il naso e mi osservò preoccupato, posando una sua mano, alquanto grande, sul mio ginocchio.
“S-Sto bene, non è niente.” Mormorai con voce tremante e fievole, tenendomi il fazzoletto da lui prestato con una mano e fissai la sua sul mio ginocchio, sentendomi arrossire.
Deglutii e alzai gli occhi per guardare il suo viso.
“Sei sicuro? Non sembra tu abbia una buona cera. Stai diventando tutto rosso.” Sporse appena il labbro inferiore, confuso e incerto sul mio stato.
“Sì …” Risposi e quando incontrai i suoi occhi, dischiusi istintivo le mie labbra fine nel vedere quei due pozzi verdi e lucenti che mi fissavano. Non avevo mai visto due occhi così meravigliosi o dei ricci così perfettamente rotondi che incorniciavano il suo visino da bimbo.
Vidi sul suo volto stamparsi un sorriso ampio, con i denti completamente bianchi e grandi che si intravedevano dallo spazio delle sue labbra dischiuse, così rosse e carnose che avrei voluto tanto mordere.
Restai senza respiro non appena avvicinò una sua mano alla mia guancia e la accarezzò, pizzicandomela con due dita come solitamente fanno le zie di famiglia.
Mugolai contrariato sentendo del dolore e abbassai lo sguardo, avvampando fino a sentirmi le guance infuocarsi neanche fossi stato a pochi centimetri dalle fiamme.
“Comunque sono Harry, piacere.” Mi sorrise di nuovo, sistemandosi un ricciolo ricaduto sulla sua fronte alta.
“L-Louis …” Sibilai, ricambiando la presentazione e tirai su col naso, lasciandomi scappare un urletto per il dolore sentito, dovuto alla botta.
“Scusami ancora, giocavo a baseball e non avevo la palla …” Si scusò, spiegandomi della mela volante che mi aveva colpito poco prima in pieno viso.
Annuii, con un solo cenno del capo, totalmente senza parole. Avevo il cuore in gola, la bocca impastata e secca, non riuscivo a produrre saliva tanto era l’imbarazzo e l’emozione di avere una persona così stupenda vicino a me.
Lui si chinò e notai dopo dei secondi che stava sfogliando il mio libretto. Glielo tolsi dalle mani con uno scatto veloce, riponendolo nella tasca del mio cappotto. Se avesse solo letto una riga, sarebbe andato via.
“Era il tuo diario segreto?” Ridacchiò, con quel suo meraviglioso sorriso sempre stampato sul suo bel volto.
Non risposi, troppo in imbarazzo per confessare di avere un diario.
Alzai lo sguardo per fissare una seconda volta il suo viso e restai senza fiato, alzandomi poco dopo per scappare lontano da lui, correndo come una gazzella preda di un ghepardo.

***

“ Lou? Sei tu?” Disse mia madre ad alta voce, mentre io stavo rientrando in casa.
“Sì, ma’! Sono io!” Urlai in risposta, salendo velocemente le scale e rifugiandomi in camera per osservare la botta presa. Avendo un bagno tutto mio, era più facile per me scamparla liscia e dato che sicuramente avrebbe pensato fossero stati i bulli a colpirmi, era meglio non fargli notare il mio naso insanguinato.
Andai quindi nel mio bagno, sospirando non appena mi vidi allo specchio. Avevo una brutta cera, proprio come il ragazzo del parco mi aveva detto quel pomeriggio.
Mi risciacquai il viso, in modo da togliere il sangue dalla pelle e misi della pomata sul mio naso e sul mio zigomo destro. Abbassai lo sguardo, ricordandomi che assieme al mio libretto avevo infilato in tasca anche il fazzoletto di stoffa appartenente ad Harry.

Il suo nome, Harry.
Il suo nome era così bello da pronunciare ogni secondo: Harry.
Mi piaceva la forma che prendevano le mie labbra mentre lo pronunciavo, guardandomi allo specchio: Harry.
Mi chiesi se fosse un diminutivo, se il suo nome intero fosse Harold. Harry.

Un solo nome che vagava nella mia testa, una sola figura che nonostante fossi solo, mi faceva avvampare.
Nella mia mente c’era stampato ancora quel suo sguardo; quei suoi occhi da cerbiatto; quel suo sorriso innocente; quei suoi ricci ondulati da accarezzare ogni volta che te li trovi davanti e il modo in cui aveva pronunciato il suo nome: Harry.

Smisi di pronunciare il suo nome, sentendomi come una ragazzina in preda alla sua prima cotta.
Tastai con due dita il mio zigomo arrossato e dolorante,  sbuffando di conseguenza nell'essere cosciente del fatto che il giorno successivo mi sarebbe diventato viola.


Il giorno dopo a scuola tutti mi guardarono.
Lo zigomo gonfio e viola attirò l’attenzione di quasi tutte le persone che mi ritrovavo davanti.
Sospirai mentre camminavo lungo il corridoio, cercando il mio armadietto e quando lo trovai, lo aprii per prendere il libro di scienze.
Stavo per chiuderlo quando qualcuno lo spinse con irruenza, facendomi sussultare.
“Cosa hai fatto al tuo zigomo, Louis?” Chiese qualcuno con una voce bassa, mentre si sosteneva con una mano all'armadietto. Un profumo intenso mi entrò nelle narici.
Mi voltai per vedere chi fosse. Chi poteva mai essere se non il ragazzo pakistano dell’ora di storia del giorno prima?
Cercai di sostenere il suo sguardo mentre passai il dorso della mia mano sotto il naso, cercando una risposta da dargli, per non sembrare troppo idiota.
“Mi hanno colpito.” Risposi toccandomi lo zigomo, facendo una smorfia di dolore.
Lui rise, scuotendo la testa e passò due dita sulla mia guancia non ferita.
“Non ti facevo così aggressivo.”
“Scusa, devo andare a scienze.” Per non dire altro,  mi congedai e con lo sguardo basso cercai di fuggire da lui ma mi bloccò per un braccio. Mi innervosii.
“Oh, perfetto. Anche io ho scienze.” Sorrise beffardo, passandosi la lingua su quelle sue labbra screpolate e non riuscii a non guardarle, mentre mi mordevo le mie.
Lui se ne accorse, alzò un sopracciglio e tacque.
“Sono Zayn.” Pronunciò poco dopo, trascinandomi nell’aula di scienze dato che ormai la campanella era suonata da cinque minuti.
“Lo so.” Soffiai tra i denti, camminando velocemente accanto a lui.
“Hai chiesto informazioni, eh?” Continuò a guardarmi di profilo ma io non gli diedi corda, altrimenti sarei stato fregato dai suoi occhi o dalle sue labbra così fottutamente irresistibili.
Okay, sì. Ero un ragazzino con gli ormoni a mille, ma nulla mi proibiva di farci dei pensierini poco casti.
“No, solo ti conoscono tutti.” Sentivo parlare di Zayn lungo il corridoio da tutti i gruppetti di ragazzine e pure dai ragazzi, nonostante fossi in quella scuola solamente da due giorni.
“Lo so, sono il ragazzo più desiderato del liceo.” Fece, scaltro.
“E perché sei qui, con me?” Chiesi timido, voltandomi verso di lui in attesa di una sua risposta ma mi ritrovai a sbattere contro la porta dell’aula di scienze ed a urlare dal dolore prima di sentire le sue parole.
“Che sfigato.” Scoppiò a ridere, entrando senza di me in classe mentre io, dolorante, raccoglievo il libro caduto prima di seguirlo.

Posti liberi?
Nessuno in fondo alla classe, se non vicino ad un tipo che non sembrava molto raccomandato.
Ma che avevo da perdere? Nulla, quindi andai a sedermi accanto a lui, sospirando sconsolato.
Alzai gli occhi per guardare il professore che aveva iniziato già a spiegare ma la mia vista fu limitata da un ragazzo riccio seduto esattamente davanti a me.
Deglutii.
Non poteva assolutamente essere lui.

 

 


Spazio autrice. 

Ho aggiornato il più presto possibile! ( Per me. ) Stavo scrivendo questo capitolo, poi vedevo che forse era troppo lungo e noioso così l'ho spezzato e tadan! Ecco il terzo. 
Allora, qui si scopre chi ha colpito e con cosa, Louis. Ovviamente ve lo aspettavate tutti. Bene, l'incontro con Harry all'inizio del capitolo. Non ho voluto aspettare per farlo entrare nella storia altrimenti sarebbe diventata ancora più noiosa di quanto non sia. :/ 

Ringrazio le 60 persone che seguono la mia storia, le 28 che l'hanno messa tra i preferiti e le 9 che l'hanno messa tra le ricordate. Sopratutto a chi recensisce, un grazie immenso! Mi piace leggere cosa ne pensate, davvero davvero tanto. Oh, e se ci sono errori ditemelo!

Quindi se dopo aver letto mi lascerete una recensione, ne sarei molto felice. Ora mi dileguo, spero di aggiornare più presto ancora. Se volete contattarmi per banner o per altro, scrivetemi qui: nextolarry twitter . :) 

 

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Capitolo 4
*** Discovery. ***


 

 Dedicato a tutte le persone che
 sono innamaorate di qualcuno.

 

Dopo pochi istanti si girò e il suo sorriso mi colpì, lasciandomi totalmente senza fiato.
Mi guardò con gli occhi stravolti.
“Oh mio Dio, come ti ho ridotto!” Esclamò preoccupato, riferendosi al mio zigomo leso.
“Sto bene, non preoccuparti …” Sussurrai con tono basso per non attirare l’attenzione del professore che spiegava irrequieto, aspettando prima di guardare gli occhi del ragazzo per non perdere il controllo della mia timidezza.
“Mi dispiace molto.” Fece una smorfia colpevole e in quel momento alzai lo sguardo, cercando di sorridergli rassicurante, ma mi uscì solamente una boccaccia.
Lui rise intenerito, tornando a seguire la lezione.
Sprofondai sulla sedia, sentendomi un emerito imbecille.
Rovinavo tutto, possibile?
Finì l’ora di scienze ed io, nel mio quaderno di appunti, avevo scritto si e no mezza facciata; L’altra metà era riempita con dei cuori, degli occhi, dei riccioli e delle mele.
Sì, mi ricordavano delle mele i suoi occhi meravigliosi. Quasi dello stesso colore, ma poco più scuri.
Infilai il quaderno nel mio zaino rosso e mi incamminai verso la porta d’uscita, quando il riccio mi si ripresentò davanti.
“Ti ho aspettato, volevo vedere da vicino la botta.” Mi sorrise, facendomi arrossire, ancora.
Mi alzò il viso, osservando con attenzione il mio zigomo viola, passò in seguito una delle sue dita affusolate sopra la mia pelle e, notando i miei occhi socchiusi e le mie labbra schiuse per il lieve dolore che percepivo, si ritrasse.
“Hai conosciuto il frocetto, a quanto pare.” Ghignò Zayn, comparendo alle spalle di Harry che si tratteneva dal non rispondergli.
“Hai perso la voce, per caso?” Lo stuzzicò, notando la sua mandibola tesa e i suoi occhi puntati sul pavimento.
“No, vattene, Malik. E’ maleducazione interrompere una conversazione.” Si girò verso di lui, sorridendo ironicamente.

Notai tra i due uno sguardo pieno d’odio, rabbia, sfida e mi spaventai a quella vista perché nei loro occhi sembrava ardere del fuoco. C’era troppa tensione tra quei due ragazzi totalmente opposti esteriormente, ma simili, da quel che vedevo, interiormente. Io me ne andai, troppo spaventato all’idea che sarebbe potuta scoppiare una litigata o, peggio, una rissa, subito dopo che Zayn, il ragazzo moro, si avvicinò pericolosamente ad Harry.
Harry.
Perché me n’ero andato? E se gli fosse successo qualcosa? Okay, non lo conoscevo molto bene, ma quel suo visino da bimbo non doveva essere toccato, non poteva essere rovinato, ci sarebbe dovuta essere una legge che proibiva la violenza su di lui.
Tornai indietro correndo, sospirando di sollievo nel vederli lontani, senza avere le mani uno addosso all’altro.
Harry si girò, mi osservò cambiando quella sua aria sfidante e rabbiosa, in una sorridente e addolcita. Mi avvicinai a lui e lo presi per un polso, portandolo poco lontano dal ragazzo moro.

“Scusa se sono scappato, ho paura delle risse …” Spiegai al riccio, mollando il suo polso e infilando le mani nella tasca centrale della mia felpa.
“Sei tenero.” Disse, alzandomi il viso con un dito.
Fissai i suoi occhi verdi e automaticamente schiusi le mie labbra fini, percependo le mie gote pizzicare per l’ennesima volta.
“G-Grazie …” La timidezza prese il sopravvento. Balbettai, ma questa volta riuscii a rimanere a guardarlo negli occhi, sorridente, sentendomi al sicuro quando infilò una mano tra i miei capelli, scompigliandomeli leggermente.
Fulminò con lo sguardo Zayn che stava ridendo per quella scenetta e che poco dopo se ne andò, sistemandosi quel suo ciuffo ribelle con una mano.
“Scusalo, è che c’è una sorta di guerra tra di noi.”
“Me ne sono accorto …” Soffiai, mordendomi il labbro inferiore.
“Comunque, Louis, giusto?”
Io annuii, incitandolo a continuare.
“Che lezione hai ora?” Mi chiese, inclinando il volto.
Presi il mio diario e iniziai a sfogliarlo, fino a trovare il foglio dell’orario. Feci scivolare l’indice fino all’ora dopo e alzai il viso.
“Inglese.”
“Che palle. Io matematica.” Sbuffò, sospirando infelice. “E se salto matematica per fare inglese? Dici che se ne accorgeranno?”
Corrugai la fronte, sorpreso dalla sua domanda, alla quale non sapevo rispondere.
“Ti piace tanto inglese da fare un’ora extra?” Ridacchiai, distogliendo lo sguardo dal suo viso.
“Vorrei conoscerti meglio.”

Quella sua frase mi spiazzò. Mi ritrovai con le mani tremanti e le gote che pizzicavano, ardevano come del fuoco.
“Poi potrei aiutarti a trovare le aule.” Continuò, alzando gli occhi verso l’orologio posto sopra un’aula e si morse le labbra. “Però è meglio che ci sbrighiamo, l’aula d’inglese è al terzo piano.”
“Non devi prendere i libri?” Chiesi, notando che non aveva né uno zaino né i libri di inglese in mano.
“Oggi non avrei inglese, quindi userò i tuoi, se me lo concedi.”
“C…Certo.”

***

Camminammo fino al terzo piano, salendo sei rampe di scale. Stanco, mi fermai. Mi tenni al corrimano e cercai di riprendere del fiato mentre Harry rideva, divertito.
“Non sei uno sportivo, vero?”
“No.” Sbuffai, irritato dalla sua risatina, tornando a camminare verso il corridoio, dietro di lui.
“Meglio, a me non piacciono i palestrati.” Sorrise sincero, scompigliandomi una seconda volta i capelli ed io sospirai.

Entrammo in classe dalla porta posta in fondo alla classe, così da non disturbare la lezione.
Due posti liberi vicino alla finestra. Mi appropriai di uno dei due dopo aver osservato fuori dal vetro. Uno spettacolo meraviglioso.
Harry mi seguì, si sistemò accanto a me. 
Dopo aver preso il libro d’inglese, una matita ed una gomma, mi guardai attorno.

L’aula era piena e la maggior parte delle persone si stava facendo gli affari suoi: una ragazza bionda masticava una chewing gum con la bocca semi aperta mentre si districava i capelli lunghi con le dita smaltate di un rosa shocking, un ragazzo batteva due penne sul banco, credendo di suonare la batteria ad un concerto e molti altri facevano le cose più stravaganti, dal giocare con lo scotch facendolo ruotare, al fare la cup song con la colla.

Trovai Harry nella mia visuale quando mi girai a destra ed arrossii. Mi stava fissando con un sorriso e, quando si avvicinò a me per sussurrarmi “Apri il libro che la prof ci sta fissando.”, arrossii.
Aprii il libro e cercai di seguire la lezione, ma avendo una voce roca e bassa che continuava a bisbigliarmi cose divertenti all’orecchio non ci riuscivo granchè.
Mi morsi le labbra e diedi un piccolo schiaffo alla spalla del riccio che, divertito da quel mio gesto inaspettato, rise rocamente.
Rabbrividii.
La sua voce e la sua risata roca mi mandarono in tilt come quando tanti programmi aperti contremporaneamente nel computer lo fanno bloccare.
Mi ripresi solo con un suo pizzico alla coscia. Sussultai sulla sedia e lo fulminai con lo sguardo, ma lui continuò a ridere.
Sbuffai infastidito e, come un bimbo arrabbiato, misi il broncio ed incrociai le braccia al petto.

“Sei così bello!” Esclamò il ragazzo, sporgendosi verso il mio viso.
Rimasi zitto, fingendo di non ascoltare.
“So che non sei arrabbiato, hai un sorriso che nasce ogni volta che incontri il mio sguardo.” Sussurrò al mio orecchio, posando un bacio sulla mia guancia, il che mi fece tremare, arrossire e schiudere le labbra per quanto morbide fossero le sue labbra carnose.
“E quando arrossisci mi viene voglia di spupazzarti, anche se non ci conosciamo affatto.” Rise dolcemente, sistemandosi i ricci ribelli non appena si posò sullo schienale della sedia ed allungò le gambe sotto il banco.
“Ci stai provando con me?” Chiesi, intimidito e curioso della sua risposta, dopo essermi voltato a guardarlo.  “Cosa ti fa pensare che a me piacciano i ragazzi?”
“Sei simile a me con movenze più femminili, come potresti non essere gay?” Rispose con un’altra domanda e con ovvietà a quelle parole.

Sospirai.
Se lo aveva capito lui, anche Niall e Zayn lo avevano fatto.
Sperai di no.

“E io ti dico il contrario.” Ribattei poco dopo aver pensato, guardandolo impassibile. Volevo vedere cosa avrebbe fatto in quel momento, se avrebbe riso o se mi avrebbe messo alla prova.
“Va bene, Lou. Ci sono passato anche io alla fase della negazione.” Ridacchiò dolcemente, invece.
Mi fece sorridere, più di prima. Lui se ne accorse e mi passò una mano sulla guancia, sfiorandola e io socchiusi gli occhi, inclinai il viso verso la sua mano e sorrisi sghembo.
“L’ho passata in prima media quella fase.” Sussurrai dopo essermi avvicinato al suo orecchio, come fosse un segreto tra me e lui, così personale da mettermi a disagio.
“Lo avevo detto. Ho un radar.”
Soddisfatto della sua scoperta, alzò gli occhi verso di me e mi sorrise. Notai qualcosa di diverso in lui, il suo sguardo. Era puntato nei miei occhi, intenso, vorace, dolce. Quel suo sorriso che, poco dopo il mio arrossamento sulle gote, nacque, era meraviglioso quanto una sola stella che illumina la notte dopo un giorno di bufera.



Spazio autrice. 


Inanzitutto volevo dire grazie per chi segue la mia storia, per le opinioni che mi avete lasciato e per il vostro tempo sprecato. 

Secondo, volevo scusarmi l'ennesima volta per il ritardo di più di un mese. Ispirazione 0 e tempo pure.

In questo capitolo si capisce che Zayn e Harry hanno una sorta di competitività, che Harry è un ragazzo molto aperto e disponibile e che fa amicizia facilmente.
Louis è un ragazzo dolce e timido, ancora. Deve ambientarsi nella scuola, con gli amici e con la nuova città.

Ringrazio anche le persone che mi hanno aiutato a correggere il capitolo, Mari e Manuela e il supporto che costantemente mi dà mia cugina Chiara per farmi andare avanti.
Se ci sono errori in questo capitolo noiosissimo, ditemelo. Ce ne saranno un bel po', anche se abbiamo ricontrollato.
Comunque, se mi cercate, faccio banner. Su twitter sono 
nextolarry twitter .
Alla prossima!


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Capitolo 5
*** Punch and Kiss. ***


 

 

« Lou! E’ arrivato il piano! » La voce strillante di mia madre mi risuonò nelle orecchie, probabilmente dalla cucina.

Erano le  06.50 del mattino ed io avevo la sveglia alle 8.00.

Del suo grido avevo capito solo la parola “piano”, ovattata. Sbuffai e lanciai le coperte giù dal letto, ritrovandomi con i capelli appiccicati sulla fronte quando andai al bagno per sciacquarmi la faccia. Avevo sudato, segno di un incubo. Non ricordavo nulla, per questo alzai le spalle, infastidito. Ricordavo tutti i sogni, dai più strani ai più spaventosi. Li appuntavo sul mio libretto segreto, ogni piccolo dettaglio era segnato in ogni pagina. Anche quelli più intimi.

Forse non era molto sicuro tenerli scritti su un libro, meglio al pc, su un foglio word; io, però, mi sentivo comunque sicuro, col mio libro sempre sotto mano, nascosto nella tasca del giubbotto o nel mio zaino, che controllavo sempre.

Solamente quella volta, con Harry, mi era caduto. Solo lui lo aveva toccato, oltre a me. Lo aveva aperto, sfogliato, anche se per pochi secondi.

Tremavo al solo pensiero che qualcuno potesse leggerlo. Mi riscossi quando mia madre gridò ancora.

Strofinai gli occhi con le mie mani, uscii dal bagno, infilai le pantofole e scesi di sotto, mugugnando assonnato quando arrivai da mia madre.

« Che c’è, ma’? »

« Il tuo pianoforte è arrivato. »Ripeté, passandomi, premurosa, una mano tra i capelli per sistemarmeli meglio.

Alle sue parole sgranai gli occhi, la guardai incredulo e corsi in salone. Vidi il mio piano, il mio strumento, la mia unica ancora di salvezza: la musica.

Corsi verso il piano e quasi scivolai sul tappeto.

Mi sedetti sullo sgabello e lo aprii. Passai le mie dita sui tasti, sfiorandoli meravigliato, nostalgico. Mi era mancato, come fosse stato una persona.

Il mio unico vero amico era il pianoforte.

Chiusi gli occhi, concentrandomi solo sui tasti, sulle note da suonare, sulle dita che dovevo muovere.

Iniziai.

Le mie dita si muovevano come rapite da quella musica, da quelle note che uscivano lievi dal pianoforte, soavi o acute. Frenetiche e leggere, componevano  melodie che avevo scritto poco tempo prima. Scivolavano ripetutamente sui tasti bianchi, in seguito su quelli neri e così via, senza sosta.

Non capivo più nulla; ero rapito assieme alle mie dita dalla musica, dal pianoforte.

Non mi fermavo.

Non ci riuscivo.

Ero perso nel mio mondo parallelo, quello che ancora nessuno era riuscito a scoprire.

Passati dei minuti, però, mia madre mi fermò scuotendomi le spalle.

Deglutii.

Non mi ero accorto di nulla, solo delle mie dita doloranti.

Alzai il viso verso di lei, aprii gli occhi e sorrisi, soddisfatto e felice al contempo.

« Mi era mancato, in questi giorni, sentirti suonare. »

« A me era mancato suonare il mio piano. »

 

***

« Eddai, Louis. Non fare il timido e vai a parlarci. Non ti mangia mica. » Mi incitò Niall con una gomitata amichevole mentre tentavo di nascondermi con un libro aperto all’altezza del volto da Harry.

 

Avevo esplicitamente confidato a Niall che avevo una gran voglia di diventare amico del  ragazzo riccio, Harry. Gli avevo anche detto che nessuno si era avvicinato a me come lui aveva fatto prima d’ora e che poteva ben sembrare  il mio gemello, ma con carattere opposto.

Niall a quell’affermazione aveva alzato un sopracciglio, confuso, ma in seguito mi diede una pacca sulla spalla e sorrise, per poi dirmi ‘ Anche io penso che sia un tipo a posto. Non come quello Zayn, il bulletto. Stai attento che potrebbe farti diventare lo zimbello della scuola come aveva fatto con me.’

Mi avevano rassicurato e spaventato al contempo quelle parole.

Era successo quella stessa mattina, durante la lezione di matematica, ed ora mi ritrovavo a nascondermi da Harry come un ladro.

Con mia sfortuna ma con grande piacere, fu lui ad avvicinarsi a me e mi tolse il libro dalle mani, cercando di leggere la prima frase.

« Ma come fai a leggere con il libro storto? » Rise lui, capendo il mio intento.

« Io non mi sono accorto! Giuro, giuro … Vero Niall? »

« Non mettermi in mezzo. » Accennò una risata, scuotendo il capo.

« Stavi cercando di nasconderti da me, per caso? » Chiese Harry con un tono divertito ed un sopracciglio alzato.

Scossi la testa e abbassai lo sguardo sulle mie scarpe, le mie Vans. Notai proprio in quel momento le scarpe del riccio, delle Converse basse e bianche. Osservai le sue gambe lunghe fino a ritrovarmi faccia a faccia con il ragazzo.

« No? Strano. Direi proprio che lo stavi facendo! Tentativo fallito, piccola castagna! » Continuò lui con un ampio sorriso stampato sul suo volto. Restai a fissare i suoi denti bianchi tra le sue labbra che schiuse per ampliare di più quel sorriso, rosse e screpolate, e la sua lingua che ci passò lentamente sopra per inumidirle.

Niall mi diede una gomitata sul braccio e mi riscossi, tentando di dire qualcosa.

« E-Ehm … Castagna? »

« Sì, sei una piccola castagna. Sei castano, no? Quindi sei una castagna. »Rise con quel suo timbro roco e il mio stomaco si restrinse assieme al mio cuore che iniziò a battere più velocemente.

« Oh … Sì, certo. Castagna. » Mormorai fingendo di aver capito le sue parole. Mi ero, in verità, concentrato troppo sui suoi occhi che mi avevano decisamente preso.

 

«Guarda chi si rivede! I due piccioncini.» esclamò sprezzante il ragazzo moro, Zayn, quando si avvicinò a Niall, posando il gomito sopra la sua spalla destra. Niall si scansò subito e il ficcanaso sbuffò infastidito.
« Che vuoi, Malik? Sempre a rompere le palle? » Cominciò Harry con un tono pacato ma con un pizzico di strafottenza nei suoi confronti.

« E tu sempre a civettare, Styles? Sai, prima ti ho visto flirtare con un ragazzo di quinta. »

Mi girai verso Niall, con il desiderio di scomparire il prima possibile da quel posto. Decisamente patetico, Harry. Il giorno prima ci stava provando con me – visibilmente – e già il giorno successivo flirtava con un altro!

Strinsi i pugni prima di guardare con delusione Harry e dirigermi verso il bagno, dove andai per sciacquarmi il viso. Nemmeno fosse il mio ragazzo. Anzi, nemmeno fosse mio amico.  Sospirai sentendomi il più ridicolo della terra in quel momento, perché la mia gelosia non era sostenuta da nulla ma il mio stomaco, alle parole del moro, era finito sottosopra. 

 

Una settimana dopo.

 

Evitavo Harry da cinque giorni, dopo l’entrata di Zayn con quella confessione su di lui.

non mi andava di essere preso in giro in quel modo, di nuovo.

Ero andato al bagno durante l’ora di matematica perché la mia testa stava scoppiando, quindi mi ero rinfrescato il viso e la fronte con un po’ di acqua fresca.

Qualche istante dopo la porta del bagno si aprì e comparve Zayn con un ghigno che curvava le sue labbra rosse. La sua mano sistemò le ciocche dei suoi capelli corvini e con due passi rapidi fu dietro di me, mentre l’acqua ancora scorreva dal rubinetto.
Lo osservai  nel riflesso dello specchio di fronte a noi prima di chinarmi nuovamente sul lavandino per sciacquarmi il viso una seconda volta.

Capii che era stata una mossa troppo azzardata.

Afferrò saldamente i miei fianchi con le mani e avvicinò il mio bacino al suo.

 Di scatto mi alzai, totalmente imbarazzato e paonazzo in volto. Non riuscii a liberarmi che già mi trovai rinchiuso in uno dei bagni, la schiena contro la porta che lui aveva chiuso a chiave. Mi guardò negli occhi e con un sorriso beffardo si leccò le labbra per inumidirle.

Quando lui le posò  sulla pelle scoperta del mio collo, potei sentirne la saliva. Chiusi gli occhi e portai le mani sul suo petto per stringere alle dita la sua maglia, cercando di levarmelo di dosso in ogni modo possibile. Ma le spinte, le suppliche, le mie unghie conficcate nel suo braccio non erano molto di aiuto,  in quel caso.

« Ti prego, Zayn, basta! » gridai con gli occhi lucidi, dimenandomi per cercare di sfuggire ai suoi baci. Mi spinsi contro la porta del bagno e strinsi le mie mani in un pugno quando i suoi denti si appropriarono della mia pelle ed iniziò ad aspirarla, non fermandosi nonostante le mie grida; consapevole di quello che voleva crearmi sulla pelle, ormai al limite dell’esasperazione, lo lasciai fare, così ebbi un livido rossastro alla base del collo e lui, con un ghigno malefico, uscì dal bagno e mi lasciò, accasciato contro la parete sudicia  a piangere.

Finite le lacrime, mi alzai da terra e mi sistemai i capelli castani. Uscii,  dirigendomi ai lavandini bisognoso di un’altra rinfrescata. Allo specchio osservai per bene il livido e sospirai per bloccare un singhiozzo che necessitava di uscire.

Con un nodo alla gola, l’umiliazione alle stelle e una giornata ancora da concludere, uscii a testa alta da quel bagno che ora celava  un ricordo da dimenticare.

 

« Lou? »

 Sussultai, quando una mano mi toccò la spalla. Subito mi voltai con gli occhi sgranati. Avevo coperto il collo con una sciarpa – chiesta alla signora della segreteria scolastica – così da non destare a nessuno sospetti, men che meno a Niall che ora si grattava il capo con un sopracciglio corrugato. « Cosa fai con quel foulard da nonnetta? » mi prese in giro, circondandomi le spalle con un braccio finché non arrivammo all’uscita di scuola a pochi passi da noi. « Ho mal di gola. » mentii, sistemandolo meglio.

Finalmente erano finite quelle ore micidiali e potevo tornarmene a casa a riposare.

 

 

Erano le due di notte quando il mio cellulare squillò ed imprecai.

Avevo un bisogno colossale di dormire una notte intera.

Decisi di ignorarlo, ma lo schermo continuava a lampeggiare, così presi il cellulare e lo voltai.

Suonò ancora una volta. Sospirai e mi avvinghiai alle coperte.

Non smetteva.

Mugugnando, presi il cellulare e scorsi la barra per lo sblocco,  strabuzzando gli occhi alla vista del destinatario di quei messaggi.

Harry.

Rapidamente premetti sullo schermo touch la voce ‘Apri’ e vidi i messaggi uno sotto l’altro.

Li aprii.

Ore 02:03:  “Hei, Lou. E’ da un bel po’ che non ti incrocio a scuola, successo qualcosa? Stai poco bene? Harry. xx

Ore 02:10: “Lou, so che starai dormendo ma … rispondi!! Ho bisogno di sapere cos’hai. Harry. xx

Ore 02:21: “Okay, scusa. Ora non ti assillo più, buonanotte castagna. Sogni d’oro. Har xx

Risi per quell’ ultimo messaggio e nonostante io ce l’avessi,  in qualche modo, con lui, ero felice di aver ricevuto dei suoi sms nei quali si avvertiva la sua preoccupazione per me.

Decisi di rispondergli con un “Sto bene, Harry.. Grazie per la tua preoccupazione, magari domani ci incontriamo in mensa, okay? Ti devo spiegare delle cose. Buonanotte, ora. Louis xx” .

Certo il giorno seguente, in ogni caso, non gli avrei confessato della brutalità di Zayn.

 

Il giorno dopo.

« Hey, Lou! » con una pacca sulla spalla Harry si avvicinò. Gli sorrisi timidamente, ricambiando il suo saluto. « Ciao. » mi sistemai la sciarpa – diversa da quella precedente – aprendo il mio armadietto; lui mi guardava con un sorriso ammiccante e quelle fossette incavate ai lati del suo viso. « Allora cosa devi spiegarmi, ragazzo notturno? » domandò, scrollando i  riccioli castani con un gesto del capo. « Ti ho detto che te lo spiego a pausa pranzo. » replicai, prendendo il libro di Storia dell’arte, e ponendoci sopra la merenda per l’ora successiva. « Non fare il misterioso. » mormorò, seguendomi mentre procedevo verso l’aula d’arte. « Non ti dirò nulla, Harry. » « Scoprirò anche il motivo della sciarpa in piena estate, Lou. » e con questo, se ne andò via, lasciandomi sospirare.

L’ora di arte non passò velocemente e fu apatica, come stavo diventando io a causa della mia professoressa. Quando la campanella suonò, mi risvegliai e con il libro e la mia merenda, me ne uscii dalla classe dirigendomi verso il cortile.

Andai a sedermi sotto un albero imponente sotto il quale c’era molta ombra e, dopo aver poggiato le mie cose, cominciai a guardare la gente che passeggiava nel giardino.

Ragazzi che si spingevano l’un l’altro scherzosamente, ragazze che ridacchiavano  lanciavano gridolini alla vista del ragazzo per il quale avevano una cotta, solitari che leggevano un libro, giocavano con il loro cellulare o che solo, come me, si guardavano intorno prima di mangiucchiarsi la merenda.

Suonò di nuovo la campanella, così mi alzai da terra.

Nel momento in cui mi stavo per avviare all’entrata della scuola, un dolore al polso mi colpì e mi ritrovai scagliato contro il tronco dell’albero, dalla parte opposta a quella dove stavo seduto.

Una voce bassa e maligna riempì le mie orecchie. « Ciao, Louis. »  

Mi convinsi di aprire gli occhi, tanto sapevo chi era. « Come sta il tuo collo? » mi sussurrò, tenendo bloccate le mie mani contro quel tronco che mi stava graffiando la schiena. Respirai velocemente, voltai il capo dalla parte opposta. Lui alzò le mie braccia in modo da avere più autorità su di me, sul mio corpo. Non risposi, mi limitai a chiudere di nuovo gli occhi per non vedere quello sguardo scuro come la pece che mi terrorizzava. « Allora? Non rispondi? Hai paura di me? »  altre domande sussurrate, quell’ultima parola sottolineata con un accenno di scherno nel tono. Scossi la testa, mi dimenai con le braccia ma la sua forza era tale da bloccarmi del tutto, senza lasciarmi via d’uscita.

Cercai di gridare ma mi bloccò entrambi i polsi con una mano e con quella libera mi chiuse la bocca. Sgranai gli occhi e lui avvicinò il suo viso al mio. « Non ti conviene gridare, frocetto. » asserì.

Con il batticuore, cercai in qualsiasi modo di liberarmi da quella stretta e quando l’idea di colpirlo al basso ventre con un ginocchio mi venne in mente, lui mi stava già martoriando il collo con le sue labbra.

Nonostante ciò, con l’adrenalina che mi si era formata in corpo, colpii il ragazzo e scappai via – di nuovo –, le lacrime agli occhi.

Trascorsi le ore successive rinchiuso nello sgabuzzino del bidello e quando questo entrò, mi urlò contro di uscire di lì. Sperai non mi rincorresse con la scopa che aveva in mano, altrimenti mi avrebbe ucciso nel corridoio.
Mi rifugiai nel bagno.

Solo quando ero già entrato mi ricordai di quello che era accaduto lì qualche ora prima.

Zayn. Io. Il bagno. Quel bagno. Le sue labbra. Il mio collo. Il succhiotto. Quel succhiotto che ora mi stavo sfiorando con due dita. Le mie suppliche. Il suo ghigno. Quel ghigno che curvava così spesso le sue labbra.

Mi fermai con il labbro inferiore tremolante a fissare quella stanza e con un respiro profondo cercai di calmarmi.

Avvertii delle mani enormi afferrare i miei fianchi.

Chiusi gli occhi, preso dalla paura che potesse essere ancora lui. « Ciao, piccolo. » udii una voce roca, calda ma tranquilla, un soffio tiepido sul mio collo. « Non mi saluti, castagna? » qualcuno dietro di me. A quelle parole, capii che non era il ragazzo moro bensì Harry, a cui fra l’altro dovevo delle spiegazioni. Ed era quasi ora della pausa pranzo.

« H.. Harry? » esitai prima di pronunciare il suo nome; lui si spostò davanti a me. Lo guardai in volto, era sorridente e gli occhi gli brillavano, le fossette incavate sulle sue guance e i suoi soliti ricci soffici che gli ricadevano sulla fronte. Rapidamente lo strinsi a me in un forte abbraccio, desideroso di recuperare la sicurezza che avevo giorni prima.

Lui ricambiò l’abbraccio con la mia stessa forza.

Potei sentire il profumo di lui invadermi le narici e un piccolo sorriso curvò le mie labbra. « Che succede, Lou? » sussurrò vicino al mio collo; quando sentii la sua stretta allentarsi sui miei fianchi, alzai gli occhi verso i suoi e, vedendo la sua espressione di confusione, abbassai lo sguardo velocemente, imbarazzato. « Lou? Volevi spiegarmi che hai trovato un fidanzato? E’ questo, vero? »

Percepii il suo sguardo perforarmi il capo, quando mi pose con tono freddo quelle domande.

Io scossi la testa e, coprendomi il volto con le mani, cercai di dargli una valida risposta per non rivelargli la vera ragione di quel livido sul mio collo. « Harry, no! Nessun fidanzato, n-non è quello che credi. » « Louis, mi hai evitato per una settimana intera, cosa dovrei pensare? Dimmelo. Oltre a non sapere come stavi, ti trovo con un succhiotto sul collo! Anche appena fatto, vedo. » mormorò, pensando di avere delle basi di cui incolparmi. « Eppure ti credevo diverso, Lou. Magari è stato Zayn? Parla tanto ma alla fine si sa che è frocio anche lui, come noi. » scosse la testa, mentre si passava una mano tra i capelli, pettinandoseli all’indietro. « Sì, è stato lui, ma non è come credi! » ribattei, spostando le mani dal mio volto per guardarlo nei suoi occhi verdi, ora pieni di delusione. « Quindi è il tuo nuovo ragazzo. » parlò, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. « Non è il mio ragazzo, Harry … » bisbigliai, sentendo le mie ginocchia cedere per quella poca forza che mi rimaneva in corpo. Non ero dell’umore giusto per discutere, né con lui né con nessun altro. « Sentiamo che hai da dire, allora! » sbraitò, agitando le mani verso l’alto.

« Conosci Zayn più di me … dovresti intuire che non sono il suo ragazzo ma che mi ha procurato questi lividi con la forza. » cercai di restare calmo ma il mio respiro si fece veloce, il mio cuore cominciò a palpitare rapidamente. Mi guardò da capo a piedi, e, senza dir nulla, se ne andò via. Uscendo dal bagno mi diede un’altra occhiata. Non compresi il suo comportamento fino a quando udii uno schiamazzo provenire dal corridoio.

Corsi fuori dal bagno e notai una massa di studenti accerchiare due persone: Harry e, ovviamente, Zayn. Tentai di farmi spazio tra la folla per arrivare davanti; quando vidi Harry con le mani strette sul colletto della maglia di Zayn che ghignava a quella reazione – sicuramente soddisfatto del suo lavoro .

« Fermo, Harry! » ma non sembrava volenteroso di ascoltare le mie parole. Forse non le aveva nemmeno sentite.

Mi avvicinai a loro con uno scatto rapido e afferrai i polsi di Harry, cercando il suo sguardo con il mio mentre Zayn se la rideva, tossendo per il poco fiato che gli era rimasto.

« Harry, per favore ... » implorai il ragazzo quando si voltò verso di me e scosse il capo, irremovibile. « Ti prego! » lo supplicai ancora; mi ritrovai con un braccio di Zayn che avvolgeva i miei fianchi. Mi voltai verso il moro e cercai di scacciare la sua mano, e quando vidi volare un pugno contro la mandibola di Harry, gridai spaventato e chiusi gli occhi. Lui lasciò il colletto di Zayn e si lamentò per il dolore, avvicinando una mano alla guancia e al labbro che, probabilmente, Zayn aveva colpito assieme alla mandibola.

Lui se ne andò sogghignando e mi fece l’occhiolino.

Io mi inginocchiai poiché Harry si era piegato e si era seduto sul pavimento per un giramento alla testa. Avvicinai la mia mano alla sua mandibola e gliela carezzai, presi un fazzolettino dalla mia tasca e pulii la sua bocca sporca di sangue con delicatezza, osservando i suoi occhi verdi che non smettevano di fissarmi.

Forse fissavano le mie labbra, ma non avevo ben chiara la sua intenzione.

Probabilmente, sotto i suoi occhi, stavo arrossendo. Sentivo un calore pervadere le mie gote e il suo sorriso intenerito ne fu la prova.

Tornò a fissarmi le labbra finché io pulivo le sue ma un sapore metallico pervase la mia bocca e non capii subito il motivo, ma poi mi resi conto che Harry aveva bloccato il mio viso con le sue mani enormi, che le sue labbra erano a contatto con le mie e davvero ci stavamo baciando.

Io ero in equilibrio sulle punte dei piedi, chino sul suo corpo, e lui mi sorreggeva, dato che aveva le gambe allungate. Ora ero certo del mio arrossimento totale.

Le mie mani tremavano, non sapevo in che posto posarle così optai per le sue spalle, un aiuto per sorreggermi. I miei occhi erano chiusi e sperai anche i suoi perché il mio imbarazzo era tale da rovinare tutto nel momento più bello.

 

 

 

Spazio autrice. 

Okay, premetto che è dal 23 febbraio 2014 che non aggiorno, ma questo capitolo l'ho scritto poco a poco durante l'estate e avevo poco tempo, per l'alternanza scuola lavoro che mi ha preso un mese delle vacanze, anzi un mese e mezzo. Poi scrivevo, ma l'ispirazione viene a mancare sempre di più. Ho già in mente tutto per questa storia, solo che scriverla non riesco. Non so se riesco a spiegarmi, ahah. Okay, non mi perdonerete, potrete tirarmi le scarpe in faccia, padellate e tutto.

Ringrazio chi mi segue da tempo, chi mi aiuta con la correzione, chi recensisce, chi tutto. Tutti.
Anche chi non legge, esatto. 

Attenzione: Ho cambiato titolo alla storia. Prima era Don't let me go, ovviamente perché la fine sarà riguardante il nome e.... Non vi svelo niente.
E' dura sopportare la mia fiction, lo so, perché nemmeno so se entro l'anno prossimo la finirò, rido. Per ora devo impegnarmi per gli esami e ne ho in mente un'altra che - ovviamente - scrivo a poco a poco, come questa.

Che dire, di nuovo, vi lascio con questa schifezzuola e spero vi piaccia. Accetto critiche e tutto. Spero di aver corretto abbastanza bene ( con l'aiuto, certo ) .

Buona scuola, anche se a me già sta ammazzando di ansia e nervoso.

Se volete scrivermi, contattatemi su: nextolarry ( twitter si intende. )

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