Revelation

di apple92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Un'identità rivelata ***
Capitolo 2: *** II. Nel fitto bosco dell'anima ***
Capitolo 3: *** III. Ci vorrebbe un amico ***



Capitolo 1
*** I. Un'identità rivelata ***


REVELATION

REVELATION

I. Un’identità rivelata

 

Era una notte buia e senza luna, un ragazzo dai capelli scuri dormiva inquieto.

Intorno a lui solo il buio. Dove si trovava? Su, giù, si guardava attorno, perso, senza riuscire a trovare alcun riferimento. Non aveva certezze a cui aggrapparsi. Camminava in quel luogo paradossale non sapeva dire da quanto tempo, ma era sicuro che qualcosa non andava. Poi una voce, una voce terribilmente familiare riempì quel luogo.

“Ryogaaaaa”

L’urlo disperato di Akane. Gli spazi inconsistenti prendevano forma attorno alla ragazza. Finalmente riusciva a scorgere la sua luminosa figura in quel mare di oscurità. Così vicina eppur così lontana. Sembrava ci volesse poco a raggiungerla ma, per quanto si sforzasse, correva a vuoto.

“Ryogaaaaa”

La donna che aveva imparato ad amare protendeva distrutta la sua mano come per raggiungere qualcosa, ma dinnanzi a lei il nulla più assoluto. Cosa cercava di afferrare? Cosa voleva rimanesse con lei? Chi?

“Ryogaaaaa”

La sua Akane era in lacrime. Sapeva il perché e come al solito la colpa era sua. Ma stavolta non poteva semplicemente chiedere scusa: il danno era IRREPARABILE.

Ancora quella voce nella testa poi più nulla a parte il rumore delle ultime foglie gialle che volavano spinte dal gelido vento che soffiava da nord e il lamentoso pigolio degli uccellini che attendevano la colazione nei loro piccoli nidi. Il ragazzo dai capelli corvini si era svegliato in un bagno di sudore e con una forte emicrania. Non era nel suo solito futon bensì in un sacco a pelo in mezzo alla foresta. Nel raggio di chilometri solo alberi, altissimi alberi secolari che impedivano la visuale. Le ampie e intricate chiome filtravano i raggi del sole in modo tale da non permettere ad essi di riscaldare l’umido suolo. Il verdeggiare dei parchi di Nerima era ben poca cosa in confronto allo spettacolare paesaggio che gli si palesava davanti. Un gelido soffio di vento lo fece tremare. Aveva i brividi e si affrettò a vestirsi. Portava la solita casacca quella che indossava da anni, alla quale era molto affezionato, compagna di tante avventure. In quella foresta si era parecchio rovinata; era logora ma non aveva altri ricambi, al momento della partenza non c’era stato neanche il tempo di farsi la valigia, doveva sbrigarsi. Inoltre rimanere a casa Tendo ormai era solo infruttuoso se non dannoso. Non aveva mai visto Akane in quello stato: era delusa, arrabbiata,amareggiata, triste, confusa. Troppi fattori combinati rendevano impossibile la loro convivenza già minata in principio. E come al solito doveva partire, lasciare quella bella casa e cercare di porre rimedio ai propri sbagli. Era stato distratto, aveva abbassato la guardia e ora ne pagava le conseguenze.

 

:::INIZIO FLASH BACK:::

toc… “Ranma”

Un rumore sordo e una voce pacata infastidivano il quieto sonno di Ranma che, assonnato e credendo ancora di sognare si rigirò dall’altra parte senza la benché minima intenzione di alzarsi.

“Ranma” …toc

Chi era che lo disturbava a quel ora della notte?

La luna, alta nel cielo, era a malapena visibile sotto i grossi nuvoloni neri che la coprivano e che preannunciavano l’imminente arrivo di un temporale. Le insistenti picchiettate di sassolini alla sua finestra erano diventate insopportabili. Accanto a lui, Genma dormiva ancora e, in boxer e canotta, si vide costretto ad alzarsi dal suo caldo giaciglio per avvicinarsi alla finestra. Affacciatosi vide che la sua fidanzata carina lo attendeva in  giardino con un sorriso smagliante sulle labbra. Ranma non riusciva proprio a capire cosa volesse da lui nel cuore della notte. Da lei non se l’aspettava, lei era la sua più cara amica, lei non era invadente, lei non era pazza; non era come Sham-poo o Kodachi. Stranito da quel sorriso e sotto sotto preoccupato da quella visita notturna aprì la finestra e con un salto raggiunse il giardino. L’aria era umida; la ragazza indossava un dolcevita bianco panna a collo alto. Non l’aveva mai vista così raggiante. Era cambiata, gli sembrò più femminile e matura.

 

Nel mentre, in un’altra stanza della casa, la minore delle sorelle Tendo dormiva abbracciata ad un particolare maialino con una bandana gialla al collo che, svegliato da alcuni rumori sospetti, cercava di liberarsi dalla presa di Akane. Finalmente il porcellino aveva raggiunto la finestra ma ora si trovava davanti un ostacolo ben più grande: i vetri e la porta chiusi. Era in trappola. L’unica soluzione che aveva trovato per poter uscire a controllare era svegliare quel angelo di Akane. Sì, quando dorme ha un’espressione talmente distesa sul volto da sembrare un angelo. Aveva deciso di svegliarla ma, prima fece un ultimo tentativo alla finestra, con l’ unico risultato di ritrovarsi col muso arrossato schiacciato sul vetro.

Doveva svegliarla, ma con gentilezza, quindi si avvicinò alle sue mani e cominciò a strusciarsi contro, purtroppo senza risultati. Allora si portò all’altezza del viso di lei. Le sue gote, le sue labbra, il profumo dei sui capelli. Una ragazza perfetta. P-chan era tutto rosso ma stavolta leccandola delicatamente sul volto riuscì a svegliarla e, a giudicare dal suo sorriso, l’aveva fatto nel modo giusto.

“Ciao piccolo mio. Cosa c’è?” quel suo tono così amorevole aveva mandato in tilt le funzioni neurologiche del povero maialino, già seriamente compromesse; poi udì nuovamente quel suono, ritornando in sé si portò alla finestra seguito a ruota da Akane, coperta solo dal suo pigiamino giallo. La ragazza aprì i vetri ma uno spiffero gelido la costrinse a richiuderli rapidamente. Nonostante ciò P-chan era già fuori. D’impulso lei prese una larga felpa grigia, souvenir del viaggio in America di Nabiki, la indossò e si diresse verso il corridoio. Ormai era fuori dalla stanza quando decise di soffermarsi a prendere la sua katana: poteva esserle utile. Giunta all’ingresso mise le scarpe e uscì alla ricerca del porcellino nero. I suoi sensi erano all’erta, aveva un brutto presentimento. Perché il porcellino era così nervoso e, cos’erano quei rumori? Ispezionò il perimetro della casa fin quando non avvertì delle presenze. C’erano delle persone che parlavano in giardino, proprio sotto la finestra della camera degli ospiti. Parzialmente nascosti dai lenzuoli stesi quella mattina da Kasumi c’erano Ranma e Ukyo abbracciati. Le parvero così felici. Il suo cuore accelerò il battito, il suo corpo non rispondeva più agli impulsi del cervello che gli diceva: “vai via, allontanati, dimentica…dimentica”. Si chiese se infondo al fianco di Ranma fosse mai stata veramente felice. Era la prima volta che vedeva il ragazzo esprimere i propri sentimenti in modo così evidente, troppo timido per abbracciare così una ragazza, eppure…Che sciocca; credeva di conoscerlo!

Li fissava, lì, immobile, inebetita, avrebbe voluto urlare tutto il  suo dolore, la sua rabbia, avrebbe voluto fargli la parte come del resto faceva sempre ma questa volta sentiva che era diverso. Lui desiderava quel abbraccio. Avrebbe voluto odiarlo, avrebbe voluto lasciarlo, avrebbe voluto fare tante cose. Paralizzata da quella scoperta ci pensò P-chan a vendicarla, il quale si scagliò con tutta la violenza e la forza che poteva contenere quel misero corpicino, contro la coppia. Ranma cominciò ad imprecare contro Ryoga. Dal cielo, come se potesse percepire la tristezza di Akane, iniziarono a cadere grandi e freddi goccioloni d’acqua che si andarono a mescolare con le stille salate che scivolavano prive di controllo sulle guance della ragazza. Ukyo aveva aperto l’ombrello per coprirsi e aveva cacciato un termos per ridare a Ranma le sue sembianze virili. Una cascata d’acqua bollente investì Ranma-chan e il maialino che ancora non aveva abbandonato il suo intento di farla pagare al codinato. La trasformazione come sempre fu immediata.

Davanti agli occhi increduli di Akane ora comparivano tre figure fin troppo familiari: una sbalordita cuoca di okonomiyaki, quello che doveva essere il suo ragazzo e Ryoga. La sua mente non riusciva ad accettarlo, come poteva l’eterno disperso essere il maialino che stringeva la notte e al quale raccontava tutto? E come poteva essere stata lei così cieca da non accorgersi di nulla?

Si trovava sotto la pioggia ormai da alcuni minuti ma nessuno parve accorgersi di lei, risultò come invisibile fin quando, in preda alla disperazione fece scivolare la sua katana, che cadde rovinosamente in una pozzanghera di fango sporcandole le scarpe e le gambe nude. In quel momento il suo pianto silenzioso cessò e si fecero sentire i primi rumorosi singhiozzi. A terra con le ginocchia nel fango, sporca e per giunta in pigiama si sentiva così baka. I tre sotto il grande ombrello giallo la fissavano. Ognuno con stampata in viso una palese espressione di stupore che esprimeva appieno il loro stato d’animo. Ucchan si sentiva sinceramente dispiaciuta, infondo se non ci fosse stato Ranma di mezzo sarebbero potute essere ottime amiche, Ranma si sentiva svuotato e immensamente in colpa e Ryoga, beh lui avrebbe potuto lanciare lo shishiokodan più potente della sua brave e misera esistenza. Dimenticatosi della pioggia Ryoga fece un passo in avanti, voleva starle vicino, spiegarle, sperava che avvicinandosi a lei sarebbe diventato la spalla su cui sfogare tutta la sua rabbia e colmare così il suo dolore, ma appena ebbe poggiato il piede al di fuori dell’ombrello si ritrasformò il P-chan. Tutti i dubbi e le ipotesi formulate da Akane che davano una spiegazione più piacevole di quella reale caddero come un castello di sabbia al tramonto dell’estate. Nessuno sapeva che dire, immobili non sapevano come comportarsi davanti alla shockante evidenza, la ragazza forte e determinata che tutti conoscevano ora desiderava solo scomparire.

:::FINE FLASH BACK:::

 

L’ultimo ricordo che il codinato aveva di Akane era l’immagine di lei svenuta tra le sue braccia in forma femminile sotto la gelida pioggia. Si chiedeva se per tutto quel tempo avesse fatto bene a nasconderle un tale avvenimento. Lui in fondo voleva solo proteggerla ma non c’era riuscito, anzi aveva peggiorato ancor più le cose fra loro distruggendo tutta la fiducia che la ragazza poneva in lui e nel suo amico Ryoga. L’avrebbe mai perdonato? Lui aveva solo coperto un amico, l’unico amico che aveva! Stava di fatto che non attese il risveglio della ragazza per scoprirlo, poiché si mise subito all’inseguimento di Ryoga partito con negli occhi lo sguardo di chi non sarebbe tornato.

 

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Capitolo 2
*** II. Nel fitto bosco dell'anima ***


REVELATION

REVELATION

II. Nel fitto bosco dell’anima

 

La pioggia, l’oscurità, il pianto, la tensione di quella sera si erano attaccate alle sue ossa come un cane affamato. Il segreto di Ryoga era stato svelato e con l’anima piena di amarezza lasciava per sempre la residenza Tendo. Quello non era un addio come spesso ce n’erano stati da parte sua: stavolta non avrebbe permesso al cuore di tornare sui suoi passi.

Ranma questo lo aveva capito e non poteva concedergli di sparire così dopo tutto quello che aveva fatto passare a se stesso e ad Akane. La colpa era sua, totalmente sua e ad Akane erano di dovere una spiegazione e le scuse più sincere e pentite. Se lei poi avesse avuto intenzione di perdonarlo o meno non lo riguardava. Lui si era già subìto le lacrime di un disperato padre di famiglia che, vedendo la sua bambina distesa a terra nel fango, non aveva retto al dolore. Ranma, alla ricerca dell’amico-nemico, aveva intanto lasciato una casa nella quale regnava il caos, il solito che lo accompagnava dal maledetto giorno in cui cadde nell’arci-maledetta sorgente a Jusen.

Mentre cercava di ricordare il vero motivo per cui aveva deciso di seguire Ryoga, mosse verso una radura formatasi presso le sponde del fiume che attraversava la foresta dove si trovava. Non era un luogo particolarmente impervio; la vegetazione comprendeva alberi ad alto fusto e il sottobosco era libero da radici, muschi o piante basse. Vi erano vaste zone dove si intravedeva il cielo ed era impossibile smarrirsi in quel giorno soleggiato. Si sciacquò il viso in quello specchio d’acqua che scorreva gelido nella valle tentando di scacciare dalla mente quei tristi ricordi.

Da quando era partito ogni mattina si svegliava di soprassalto a causa di un incubo. Riviveva ogni notte lo sguardo di amarezza e delusione di Akane, i tratti del suo viso induriti da un sentimento che non era odio, ma sconcerto misto a indifferenza e incredulità, l’apatia di quegli occhi dorati che si spegnevano ed infine lei a terra. Debole, inerte come un giunco calpestato. Durante le ore diurne riusciva a tenere a bada il suo subconscio concentrandosi sugli allenamenti e sulla ricerca del eterno disperso. Era convinto che una volta ritrovato il rivale di sempre e dopo averlo in qualche modo riportato ad Akane, non avrebbe più trascorso notti tanto agitate. Sarebbe bastato rivedere le sue guance piene e colorite per fargli dimenticare quei momenti.

Come ormai faceva da una settimana riscaldò la sua colazione e cominciò a mangiarla rimpiangendo gli squisiti manicaretti della futura cognata. Si rimpinzava con la voracità di sempre sapendo che almeno nella tranquillità di quei luoghi nessuno lo avrebbe disturbato; ma aveva parlato troppo presto.

Un’improvvisa esplosione lo aveva fatto saltare dal masso che era diventato la sua sedia rischiando di farlo soffocare con un innocente polpetta di riso; c’era mancato poco che non fosse morto per soffocamento. Altro che i manicaretti di Akane!

Abbandonato il colore blu puffo che aveva assunto per mancanza di ossigenazione riconobbe in quel esplosione lo shishiokodan di Ryoga. E di nuovo a correre, come la notte in cui dovette abbandonare il dojo si affrettò a fare fagotto delle poche cose che aveva portato con sé, per inseguire le folli traiettorie dell’eterno disperso: stavolta non avrebbe perso le sue tracce. Man mano che si avvicinava all’amico si allontanava dal sentiero e sempre più erano gli alberi abbattuti al suolo. Davanti al codinato ora si apriva un nuovo sentiero, sconosciuto a qualsiasi guardia forestale, non segnalato da alcuna mappa, sul quale era il primo a poggiare i passi subito dopo il suo creatore.

Percorse quel intricato sentiero fin quando non poté scorgere in lontananza la figura di Ryoga.

 

“Ehi amico. Fermati!” disse con imperativa arroganza, arrestandosi alcuni metri dietro Ryoga, il quale di tutta risposta non lo degnò di fermarsi. Raggiuntolo e poggiatagli una mano sulla spalla come per farlo voltare, Ranma stava per gridargli contro qualcos’altro ma non fece in tempo che la veloce mano del avversario si trovava già sul suo addome per scagliare un potente attacco a sorpresa. Solitamente, un colpo del leone di tale intensità avrebbe chiesto molto più tempo e concentrazione di quello che Ryoga aveva impiegato. Senza nemmeno potersene rendere conto il codinato si era ritrovato con la schiena conficcata nel fusto di un albero a quasi un ventina di metri di distanza, con almeno un paio di costole incrinate.

Non è da Ryoga colpire così “alle spalle” e con tutta questa forza, pensò il ragazzo con la casacca rossa lacera sul davanti; avrebbe potuto ucciderlo. Ucciderlo? Erano forse queste le sue reali intenzioni? Quelle che gli comandava l’istinto? Ryoga continuò imperterrito il suo cammino senza neppure fermarsi ad accertare le condizioni di quello che fino a pochi giorni prima era stato il suo onesto rivale e al tempo stesso il suo amico più caro, compagno di tante avventure e che ora giaceva intontito in terra.

Tutto ciò che impediva al ragazzo con la bandana di dimenticare Akane veniva eliminato. Purtroppo però l’immagine di quel umiliazione rimaneva indelebile impressa nel suo orgoglio come un coltello nella piaga, una ferita infettata che non può essere curata. Continuava a ripetere il nome di quella ragazza che con le sue gentilezze e i suoi sorrisi lo aveva portato alla perdizione. Gli rimaneva solo la sua determinazione e per salvaguardare quel poco di dignità rimastagli sceglieva la fuga; sembra un controsenso. Nemmeno le provocazioni di Ranma lo avevano riscosso dalla sua catalessi, non aveva voglia di uno scontro leale; lo voleva distruggere. Perché era Lui, era quello che Akane amava, era quello che non sapeva fare tesoro di questo amore e la insultava quotidianamente offendendo il suo spirito femminile.

Aveva due occhiaie da far paura. Chi lo avrebbe mai ospitato in quelle condizioni? Non conosceva neppure la sua meta; tornare alla fattoria di Akari non era nemmeno da considerare; non aveva intenzione di prendersi gioco dei suoi sentimenti. Lui sapeva cosa significava costruirsi castelli in aria, privi di fondamenta, che restano in piedi solo grazie alle illusioni di un sognatore; ma quando le nuvole della fantasia si diradano soffiate via dal vento della realtà, puoi solo accorgerti che le tue mura hanno basi inesistenti e tutto comincia a crollarti addosso, precipitando nel vuoto, schiacciato verso l’oblio.

Voleva molto bene ad Akari ma rimaneva sempre Akane: una ragazza difficile da dimenticare.

Ma a quale scopo tornare? Dove avrebbe ritrovato poi il coraggio di farsi per sempre da parte?! Per sempre, era un’eternità di tempo e non era più sicuro di essere capace di starle lontano così a lungo. Le sue certezze cominciavano a vacillare e proprio in quel momento Ranma riuscì a colpirlo; non con un pugno, non era tanto vigliacco da attaccare il nemico mentre era assorto nelle proprie congetture, ma con le parole.

“Sai bene che il tuo senso dell’orientamento prima o poi ti riporterà da lei. Non credo tu riesca a vivere sapendo che la tua amata Akane ti odi. Mettiamo le carte in tavola; ti sfido! Se vincerai allora potrai sparire per sempre, se è questo che desideri; ma non ti dovrai far più vedere. Altrimenti, tornerai insieme a me dai Tendo e chiariremo una volta per tutte questa situazione. Ti assicuro sarà così.”

Sapeva bene di rischiare la vita, aveva già il fiatone. Era rimasto allibito da come un solo colpo lo avesse ridotto uno straccio e sapeva che la depressione di un cuore infranto avrebbe potuto dar vita a colpi ben peggiori.

Ryoga si voltò con un sorrisetto maligno: finalmente avrebbe avuto la tanto agonista vendetta; su tutti i fronti.

 

Akane aprì gli occhi lentamente, era tutto così offuscato, sbatté alcune volte le palpebre, aveva la vista ancora annebbiata, ma capì subito di trovarsi nella sua stanza. Si sentiva sudata, anzi proprio bagnata, ancora fradicia dal temporale di quella notte. Si alzò in piedi, era sola, cercò con lo sguardo P-chan senza trovarlo, si accostò alla finestra e scrutò il cielo. Misterioso manto stellato, perfetta cornice a quella luna. Il temporale? Un ricordo o un sogno? Si convinse di aver vissuto solo un terribile incubo, per fortuna irreale. Scosse la testa e sorrise. Controllò la sveglia e tornò a dormire.

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Capitolo 3
*** III. Ci vorrebbe un amico ***


CAPITOLO TERZO

REVELATION

III. Ci vorrebbe un amico

 

La mattina successiva a quel gran trambusto Akane si svegliò stanca e stordita.

Intontita scese le scale che conducevano alla sala da pranzo e salutò la sua famiglia. Si sedette al solito posto senza curarsi del fatto che lo zabuton accanto al suo fosse vuoto. Infondo Ranma era noto per i suoi risvegli difficili.

L’atmosfera era strana, suo padre sedeva rigidamente immobile con gli occhi rossi per il recente pianto e il signor Saotome non si tuffava sul cibo come al solito bensì spiluccava il riso nascondendosi dietro le grosse mani.

Akane non ci fece caso; si stiracchiò sbadigliando mentre gli altri commensali, timorosi sul da farsi, ricambiarono quel “buongiorno” con sorrisi tirati.

La fissavano incerti. Occhi preoccupati. Occhi compassionevoli. Occhi colpevoli.

Gli occhi di Ukyo.

Ukyo? Ma cosa ci faceva lì?

Akane ebbe un capogiro e si appoggiò al tavolo. Lo sguardo sì posò sulle sue mani. Erano scorticate e graffiate come le ginocchia.

Riaffiorarono i ricordi che ostinatamente aveva tentato di annegare.

Ukyo. Ranma. Ranma. Ukyo.

Ma dov’era Ranma? Era davvero in camera sua a dormire?

Un vortice di immagini invasero la sua mente. Un abbraccio. La pioggia. Lacrime e fango.

P-chan. Ryoga. Ryoga. P-chan.

Poi più nulla. Tutto si fece buio e Akane, in un tonfo, rovinò al suolo.

 

Pochi minuti dopo tutta la famiglia Tendo era in camera a fissare la ragazza stesa sul letto.

Un mugolio accompagnò il suo risveglio e accese l’attenzione di tutti. Un vociare confuso misto a lacrime paterne.

Si sentiva soffocare presa da un attacco di claustrofobia. Il cuore prese a batterle forte. Avrebbe voluto urlare ma non ci riuscì.

Tum-tum. Sempre più forte.

I suoi occhi indagarono i presenti, esplorarono la stanza. Tutti meno uno.

Tum-tum. Ancora più forte.

Avrebbe voluto alzarsi e andare a cercarlo. Anche solo per schiaffeggiarlo. Voleva lui. Ma l’orgoglio le impedì persino di pronunciare il suo nome.

Lo sguardo nel vuoto e le labbra dischiuse nell’affannoso tentativo di articolare dei suoni.

A quel punto l’amorevole Kasumi cacciò tutti via per farla riposare.

Rimaste sole, Akane si sentì un po’ più sollevata. La maggiore avvicinò una sedia al suo letto e vi ci sedette. Strinse forte la mano alla sorella.

“Piccola Akane riposa. Tu sei così forte, supererai anche questo. La tua famiglia ti vuole bene, saremo sempre qui a sostenerti” la rassicurò.

Sentiva le palpebre pesanti ricaderle sugli occhi e la mente annebbiata.

Si riaddormentò subito.

 

Non sapeva dire con precisione quanto tempo fosse passato ma al suo risveglio tutta la confusione era svanita. Fuori e dentro di lei.

Si rigirò e nel letto e si accorse di non essere l’unica occupante della stanza.

Ukyo era seduta alla scrivania e giocherellava con una delle sue spatoline facendola agilmente danzare tra le dita; proprio come si usa fare con penne e matite.

Senza farsi scoprire Akane la osservò a lungo e non poté fare a meno di perdersi in una contorta analogia.

Ukyo aveva vissuto per molto tempo con sembianze maschili, a chi meglio di lei sarebbe calzato a pennello l’appellativo maschiaccio? E invece Ranma, senza la minima esitazione le aveva detto di trovarla carina, che doveva abbandonare il suo intento di non innamorarsi più, di non farsi illusioni romantiche. Perché l’aveva detto? Quel don Giovanni si stava offrendo come oggetto del suo prezioso amore. Eppure lei la considerava un maschiaccio, esattamente come lei. Senza ombra di dubbio.

Dai suoi gesti si evinceva tutta la forza, l’agilità e la determinazione di un combattente ma tutto ciò era contornato da un’inconsapevole aura di grazia, femminilità e sensualità. Era trasparente la sua duplice natura. Inoltre sapeva essere dolce e amorevole nei confronti del ragazzo.

Non c’era paragone con lei, un vero maschiaccio dai fianchi larghi e il sex-appeal di una carota. Non potevano esserci dubbi su quale sarebbe stata la preferenza del codinato.

 

Dal canto suo la piccola cuoca di okonomiyaki si tormentava in attesa del risveglio di Akane. Sentiva il bisogno di parlarle, di confrontarsi con lei. Era giunto finalmente il momento di mettere da parte i dissapori e la competizione; ora che sarebbero potute diventare amiche, temeva di non riuscire a trovare le parole per spiegare la sua posizione.

:::INIZIO FLASH BACK:::

Ukyo era tormentata e non riusciva a dormire. Durante il giorno era stata recapitata al suo locale una lettera che avrebbe potuto cambiarle la vita in modo radicale.

Ripensò al padre, alle aspettative che egli aveva nei suoi confronti. In un modo o nell’altro sentiva che la sua vita stava prendendo una piega sbagliata, lei poteva ottenere molto di più e i capricci adolescenziali stavano solo portando acqua nella sua barca. Il mare era stato agitato ma ora intravedeva la possibilità di navigare in acque più calme.

Controllò l’orologio. Non era ancora mezzanotte.

Indossò qualcosa di carino che forse l’avrebbe resa finalmente più femminile, qualcosa in cui si sentisse a suo agio e che avrebbe caratterizzato l’inizio della sua nuova vita. Prese un grosso respiro e si fece forza, se non lo avesse fatto adesso non lo avrebbe fatto mai più. Spense la luce e chiuse la porta dell’“Ucchan” alle sue spalle.

 

Giunse al dojo Tendo sola nel suo silenzio. Tutte le luci erano spente. I ricordi legati a quel luogo glielo rendevano estraneo nella calma di quella sera. Si convinse che le cose potevano cambiare. Aveva scelto il momento giusto, l’unico in cui poteva approfittare di un momento di tranquillità.

Non vista contemplò per alcuni minuti il laghetto zen in cui nuotavano le trote. Di certo loro non erano assalite da atroci dubbi, come lei in quel momento. Sfiorò la superficie dell’acqua con le dita e contemplò l’immagine della luna distorcersi a quel contatto.

Era giunto il momento. Cercò con lo sguardo la finestra della stanza di Ranma e, augurandosi di non svegliare nessuno, lanciò un primo sassolino contro il vetro.

Non le sembrò di avvertire nessun movimento all’interno della stanza. Chiamò il suo nome ma non mise nella voce abbastanza energia.

Riprovò ancora. Stavolta più determinata a farsi ascoltare. Il lanciò sortì un risultato migliore. Dopo alcuni istanti poté intravedere un’ombra scostare le tende e scrutare nel buio nella sua direzione.

Il volto di Ranma mal celava il brusco risveglio, era assonnato ma il suo sguardo era vigile e attento. Agli occhi di Ukyo era sempre splendido.

Appena il codinato notò la sua presenza il suo volto si contrasse in una smorfia di stupore, incredulità e preoccupazione. Senza pensarci due volte saltò giù dalla finestra in mutande e canottiera. Il viso sorridente di Ukyo arrossì.

 

Cosa succede Ucchan?” domandò apprensivo. Lei adorava quel modo unico con cui la chiamava.

“Ciao Ranma.” Disse teneramente, rossa in viso.

“Mi stai facendo preoccupare. Tutto bene?”
“Sì, sì.” annuì lei “Va tutto bene. Ho solo il bisogno di parlare un po’ con te, con calma.

Ranma aveva un brutto presentimento. Non è mai un buon segno quando una donna ti dice dobbiamo parlare. Ripensò mentalmente a tutto quello che aveva fatto nell’ultimo periodo, dall’ultima volta che si erano visti e desiderò mentalmente di possedere un teletrasporto per scappare il più lontano possibile. Vuoto. Il suo cervello fumava come i meccanismi di un treno a vapore. Giravano senza produrre alcun movimento, nessuna illuminazione che potesse essergli d’aiuto per il discorso che avrebbe dovuto affrontare.

“Ti ascolto.” disse titubante.

“Ho vinto una borsa di studio alla Chef Academy per specializzarmi in crepe e omelette. È davvero un’occasione unica e volevo un tuo parere.”disse tutto d’un fiato. I secondi che seguirono per lei furono infiniti. Ripensò alle parole che aveva scelto lambiccandosi il cervello per non aver usato più tatto e chiedendosi se quel volevo un tuo parere sarebbe stato davvero efficace.
“Mi sembra un’ottima cosa, Ucchan.” affermò lui dopo averci pensato qualche istante.
“La sede è a Parigi.”continuò la cuoca abbassando gli occhi.

Ecco dov’era l’inghippo pensò Ranma. Cosa voleva da lui?

“Vieni con me, Ranma.”

Con foga gli strinse le mani e se le portò al petto. Lo guardava con grandi occhi da cerbiatta.
Co-cosa!?

Al ragazzo mancò il terreno sotto i piedi. Cosa le stava chiedendo la sua amica? Di abbandonare tutta la sua vita per trasferirsi in capo al mondo!?

“Posso capire la tua reazione, anche io all’inizio mi sono sentita spaesata ma è un’opportunità che non posso lasciarmi scappare. Fuggiamo dal caos di Nerima. Insieme.”

“Piccola Ukyo io non posso. Il caos non è a Nerima. È nella mia vita.”
“Io sarei disposta a restare per te!” disse con disperazione. Una lacrima le scivolò sulla guancia.

Ma…” balbettò Ranma. Involontariamente il suo sguardo cadde sulla finestra della camera di Akane; gli era sembrato di avvertire del movimento.
“Capisco.” disse la giovane a capo chino “Dovevo avere una conferma, avevo bisogno di essere sicura dei tuoi sentimenti. Non c’è spazio nella tua vita per me.”
“Mi dispiace” commentò mogio il ragazzo con il codino.

“Almeno ci siamo chiariti.” sorrise amaramente lei asciugandosi le lacrime con la manica “Adesso posso risalire sul treno della mia vita, andare avanti sulle mie gambe.”

Infine sorrise. Veramente. Dopo tanto tempo si sentiva libera e padrona della sue scelte. Poteva essere se stessa, poteva essere donna. Lui infondo, la prima volta che si erano ritrovati, le aveva detto di trovarla carina. Mica era l’unico uomo sulla faccia della Terra!

“Grazie.”
Ranma trovando ingiusto quel ringraziamento si imbarazzò a quel sorriso così onesto. Sapeva di aver provocato all’amica solo problemi e si sentiva dannatamente colpevole. Istintivamente l’abbracciò forte, la stringeva con sicurezza cercando di annegare in quell’intreccio di sensazioni la morsa allo stomaco.

Non importa quanto sia oscura la notte, il mattino arriva sempre; così nella vita di Ukyo ritornava a splendere il Sole.

:::FINE FLASH BACK:::

 

Ancora distesa sul suo letto Akane si decise ed aprì gli occhi. Il suo sguardo fu subito intercettato dalla ragazza seduta alla scrivania. Attendeva da ore il suo risveglio e ora non sapeva che dire. Lei non avrebbe mai voluto mettersi fra loro, causando sofferenza al suo cuore e a quello della ragazza che aveva di fronte, ma credeva davvero che Ranma e Akane non potessero sopportarsi. Quindi si sentiva perfettamente giustificata, anzi incoraggiata a togliere Ranma da quella scocciatura. Quando poi aveva capito tutta la messinscena era ormai troppo tardi. Anche lei era entrata a far parte di quell’assurdo teatrino.

Akane si era svegliata dopo aver trascorso le ultime ore in uno stato di incoscienza e lei, impacciata,  buttò lì la cosa più scontata che le venne in mente da dire.

“Come ti senti?”

“Intendi fisicamente o spiritualmente?” replicò con un pizzico di acidità Akane.

Ukyo rimase in silenzio paralizzata, sapeva di non essere colpevole ma non aveva il tempo di spiegarsi e intanto si sentiva decisamente fuori posto.

Akane si mise in posizione seduta per affrontare verbalmente la cuoca, si alzò lentamente e prima di parlare si prese qualche secondo. Non avendo mangiato era ancora debilitata e le girava la testa. Avrebbe voluto urlarle contro perché era il solo modo che conosceva per farsi ascoltare ma sapeva che non avrebbe retto lo sforzo. Si portò quindi la mano destra all’altezza del cuore e disse silenziosamente.

“Non sai quanto fa male.”

Ukyo non resistette a quella confessione. Anche per lei tutta quella storia non era stata una passeggiata, era appena stata rifiutata dal ragazzo che per anni aveva condizionato la sua vita e Ryoga, lui era stato la sua spalla in questi ultimi mesi. In lui vedeva un confidente, un complice, qualcuno di cui potersi fidare e al quale poco a poco si stava affezionando.

In fondo nulla unisce di più di un nemico comune. Separare Ranma e Akane era stato il loro perenne obbiettivo. Insieme. E lui non si era nemmeno degnato di rivelarle il suo segreto.

Senza riuscire più a contenersi Ukyo sfogò tutto il suo dolore su Akane. In un ultimo disperato gesto le si gettò addosso e la strinse in un abbraccio. La cuoca piangeva disperatamente ed anche il viso di Akane si riempì di lacrime, la quale rimase molto colpita da quell’inspiegabile reazione e le lasciò raccontare la sua storia.

Rimasero a lungo in camera di Akane a parlare, degli avvenimenti della sera prima, degli ultimi mesi e di tutto il loro passato, finalmente poterono esprimere i loro sentimenti in tutta sincerità. Non avevano più alcun motivo per essere rivali e si concessero la possibilità di diventare amiche.

Insieme aspettarono e pregarono i kami per il ritorno dei due ragazzi. Cosa gli avrebbero fatto? Lo avrebbero deciso in seguito.

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