Appartamento misto di zenzero (/viewuser.php?uid=61068)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo posto in cui vivere ***
Capitolo 2: *** Le patatine sono una invenzione geniale! ***
Capitolo 3: *** L'avventurosa ricerca di un impiego ***
Capitolo 1 *** Un nuovo posto in cui vivere ***
Una nuova casa
Marcus
guardò la facciata del condominio e lo giudicò
normale.
Assolutamente normale. E ciò era perfetto, poiché
era
esattamente ciò di cui aveva bisogno per vivere. Un
appartamento
né troppo vistoso né troppo anonimo al terzo
piano di un
condominio, identico a centomila altri, relativamente vicino al centro.
Quell’anno, lo avrebbe vissuto lì. Si
trascinò
dietro il trolley di un’uniforme stoffa azzurrina,
né
troppo costoso né troppo a buon mercato, in cui
c’erano
tutti i suoi averi. Sua madre aveva insistito per accompagnarlo e
aiutarlo a sistemare le cose, ma lui era riuscito a convincerla di
poter fare da solo. Non gli andava che lo seguisse per tutte le cinque
ore di viaggio in treno impiegate a raggiungere la capitale. Si sarebbe
innervosita e agitata nel vedere quanto fosse grande, confusionaria, e
piena di stranieri, di tutte le razze. Lì il popolo fatato
viveva perfettamente integrato con gli umani, molto diversamente dalla
piccola cittadina da cui proveniva Marcus, costituita solo da esseri
umani, che da vent’anni non avevano ancora accettato lo
Statuto
di Eguaglianza Razziale imposto dal Re, secondo il quale il popolo
fatato aveva gli stessi diritti e privilegi degli esseri umani.
Nella
sua
città, raramente qualcuno sentiva il bisogno di allontanarsi
troppo, poiché il lavoro non era difficile da trovare, ma
per
Marcus era una questione diversa. Si sentiva incuriosito, e provava una
forte voglia di conoscere posti nuovi. Voleva espandere i suoi
orizzonti. Voleva cercare un futuro diverso, rispetto a quello di
commesso di supermercato di sua madre a cui sembrava destinato.
Per
questo,
aveva deciso, dopo gli studi superiori, di partire per la capitale,
anche se non era mai stato lontano di casa per più di
qualche
giorno. Un mese prima aveva trovato in poco tempo, cercando in rete,
quel conveniente appartamento; quella stessa mattina di comune accordo
aveva incontrato la proprietaria in un Caffè del centro, era
una
signora di mezza età dall’aspetto tranquillo e
curato, che
gli aveva parlato di quanto fosse bello e conveniente il posto.
Continuava a parlargli e sorridergli, con la sua dentatura perfetta che
sembrava risplendere al sole, quegli occhi di colore stranamente dorato
e quasi ipnotici, e aveva dato a Marcus delle foto del posto, davvero
carino, senza smettere di guardarlo e di parlargli, e il ragazzo si era
convinto che ne valesse davvero
la pena di abitarci, che non desiderava
altro, e alla fine aveva deciso di che si sarebbe trasferito.
La
sua nuova vita era appena iniziata.
Il
portone
d’ingresso era aperto; prese l’ascensore e
arrivò
alla porta della sua nuova abitazione. Bussò, ma non gli
aprì nessuno.
Devo essere arrivato per primo,
si disse.
Bene,
in un
certo senso era un sollievo. La padrona di casa aveva appena accennato
ai suoi altri quattro coinquilini. Gli aveva solo detto che erano
persone a posto, molto gentili, e che non c’era da
preoccuparsi.
Solo dopo che Marcus aveva firmato il suo contrato e dato la caparra,
le era improvvisamente venuto in mente, stringendogli la mano,
un’ultima cosa che si era proprio dimenticata di dire.
“Oh,
ovviamente avrete stanze differenti, i maschi staranno con i maschi, le
femmine con le femmine.”
“Certo”,
aveva annuito il ragazzo, salutandola. Poi il suo cervello si era
concentrato sulla frase che la signora aveva pronunciato.
“R-ragazze?”
“E’
appartamento misto, no?” aveva detto la signora, continuando
a
sorridere impeccabilmente, poi lo salutò appena con una mano
e
scivolò fuori dal Caffè, come un’ombra.
Marcus
aveva
provato a inseguirla ma sembrava essere scomparsa nel nulla. Pazienza,
ormai avevano un accordo, e non gli andava di cercare altri posti.
Lui
non ci
sapeva fare, con le ragazze. Aveva avuto una cotta, per una sua
compagna di classe, alle superiori, ma era andata piuttosto male, e in
ogni caso ormai era storia passata. Ma non aveva idea di cosa sarebbe
stato viverci assieme.
Sarà quel che
sarà, si disse, e aprì la porta con
le chiavi.
La
prima cosa
che lo colpì, fu un forte odore di chiuso. Probabilmente
doveva
essere rimasto inabitato da mesi. Lo accolse un corridoio buio, e
stretto, dalla cui destra si affacciava un piccolo salotto con
televisore e divano. A sinistra c’era la cucina, e in fondo
due
bagni.
Le
camere da
letto erano divise con tanto di cartelli, “Maschi”
e
“Femmine”, a prova di stupido, su ogni porta. Tutte
le
porte avevano sopra il pomello una sorta di apertura quadrata, simile a
quella usata per far passare i cani e i gatti, probabilmente da usare
come spioncino.
Marcus
aprì appena la finestra del salotto, poggiò la
valigia a
terra e si lasciò cadere sul divanetto. Era stanco, non gli
andava di distribuire tutte le sue cose nella sua stanza, non ancora
per lo meno. Preferiva aspettare l’arrivo degli altri
coinquilini.
Accese
la tv e
si ritrovò a guardare il campionato di Corsa dei Draghi ma
non
si entusiasmò più di tanto. La sua pancia
iniziò a
gorgogliare e allora prese dal trolley un enorme pacchetto di patatine,
contento di poterle mangiare su un divano. Se lo avesse fatto a casa
sua, sua madre lo avrebbe sgridato.
Per
una strana coincidenza proprio in quel momento fu proprio sua madre, a
chiamarlo sul cellulare.
Lo
investì con una carica di domande preoccupate,
poiché non
aveva risposto alle sue otto chiamate e stava davvero iniziando a
pensare che stesse male. Rassicurata sul suo stato di salute gli fece
molte domande su come fosse l’appartamento, e come avesse
ornato
la stanza, e gli diede del pigro nello scoprire che non
l’aveva
ancora nemmeno vista.
Marcus
impiegò molto per far finire la discussione. In effetti, si
disse, doveva decidere in anticipo quale parte della stanza occupare.
Mollò le patatine sul divano, spense la tv e
portò il
trolley nella sua nuova stanza.
Era
una
cameretta piccola e luminosa. C’era un grosso armadio, delle
belle tende, i muri erano azzurri, e ogni parete era occupata da dei
grossi scaffali, ma ciò che lo incuriosì fu la
presenza
di un solo letto.
Forse, in mio
compagno di stanza ha disdetto la prenotazione, si disse.
In ogni caso
iniziò a disfare i bagagli, mettendo i vestiti
nell’armadio e nel cassettone sotto la finestra, e rifece il
letto con le proprie coperte. Impiegò diversi minuti,
poiché non era abituato a mettere in ordine, ma alla fine
tutta
la stanza gli parve familiare e confortevole.
Affamato,
tornò nel salotto, e scoprì che la televisione
era di
nuovo accesa. Eppure, lui era sicuro di averla spenta, prima di
andarsene. Era su un canale per bambini.
Notò
anche che la finestra era spalancata, e che c’era una valigia
veramente piccola poggiata sul tavolino.
Forse
qualcuno era entrato mentre lui era in camera?
“C’è
qualcuno?” chiese il ragazzo, ma nessuno rispose.
Forse qualcuno
ha lasciato qui le sue cose e poi se n’è andato,
si disse.
Ma poi il sacchetto di patatine si mosse, da solo.
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Capitolo 2 *** Le patatine sono una invenzione geniale! ***
2 patatine
Ginger
era sempre più euforica mentre si lucidava le piccole ali
azzurrine e sistemava i suoi lunghi capelli rosa. Era
l’ultimo
giorno che passava nella sua stanza. La sua valigia era pronta, piena
fino allo scoppiare delle sue cose, e lei stava per andarsene.
“Ormai ho messo la testa a posto! Non come
l’anno
scorso! Ora che sono una fata adulta, mi comporterò come
tale”, esclamò decisa.
I suoi genitori, che l'avevano aiutata a fare il bagaglio, non
sembravano convinti.
Sua madre scosse la testa. “Vorresti dirmi che non
appiccherai incendi come quello del collegio?”
La fatina mise il broncio. “Ehi, è stato
un incidente! Credevo che quelli che aveva la mia
compagna di stanza fossero bastoncini per incenso, e non fuochi
d’artificio! Come potevo saperlo? Comunque erano davvero
colorati!”
Suo padre le si avvicinò. “Quindi ti tratterrai
dal portare animali abbandonati in camera per soccorrerli, come hai fatto con quella puzzola?"”
“Quella piccolina aveva una zampa rotta, e bisogno di aiuto!
Non
mi aveva detto di soffrire anche di meteorismo! Ma quest’anno
andrà tutto bene!”
“Va bene, tesoro. Se ne sei convinta...”
“Lo sono!” esclamò la giovane fata.
Sua madre la abbracciò. “A noi basta che tu sia
felice.”
“Certo!” esclamò lei.
Suo padre si limitò a toccarle la spalla. “Allora
vai, e trova la tua strada.”
Ginger annuì e si avviò fuori, trascinandosi la
grossa valigia.
Dalla finestra sia i suoi genitori sia i suoi diciotto fratelli e
sorelle maggiori la salutarono con la mano.
Non appena la fata svoltò l’angolo e non si vide
più, i familiari si riunirono in cucina per festeggiare,
finalmente,
la sua partenza che questa volta, salvo incidenti e
pregando il cielo sarebbe stata definitiva.
Erano stati i suoi genitori a decidere l’appartamento, lei
aveva
solo sorriso all’affittuaria (quella bella signora dal
sorriso
gentile!) e firmato il contratto, senza nemmeno vedere
l’abitazione.
Ginger ci mise ore per raggiungere il posto. A dire il vero non sapeva
esattamente quanto ci avesse impiegato, poiché non portava
l’orologio, ma il sole ormai stava tramontando.
Non che l’appartamento fosse troppo lontano,
poiché dal
quartiere fatato poteva facilmente raggiungerlo con qualche fermata di
metropolitana ma Ginger non era mai stata brava a prenderla e, per non
rischiare di perdersi, aveva deciso di raggiungere il posto volando.
Si era persa un paio di volte e poi si era accorta di aver letto la
cartina nel verso sbagliato. Così alla fine aveva chiesto un
passaggio ad un piccione che fortunatamente abitava sul
cornicione di un palazzo nella via accanto e conosceva il
quartiere come le sue piume. Era arrivata solo nel tardo pomeriggio,
stanca e affamata. Riconosciuto il condominio per via delle foto, era
entrata tramite la finestra, socchiusa. Il piccione prima di andarsene
le aveva detto che se aveva bisogno di aiuto, poteva chiamarlo, sarebbe
accorso immediatamente.
“Bel posticino!” si disse, guardando il salotto, un
po’ spoglio ma accogliente. Era chiaramente
un’abitazione a
misura di essere umano, come le aveva detto anche la padrona di casa,
per cui per lei era enorme. Era invasa da una strana eccitazione,
poiché non aveva mai visto molti esseri umani. Nel quartiere
dove abitava erano rari, e il collegio dove aveva passato lo scorso
anno era solo per fate.
Poggiò la valigia sul tavolo. Non sembrava ci fosse nessuno.
Si
accorse estasiata della presenza della televisione, una televisione
enorme. Dopo averne fatto esplodere due, quando aveva creduto che si
dovesse collegare la presa al fornello del gas per farla accendere, in
casa le
era stato proibito di usarla. Qui però nessuno poteva dirle
niente, per cui schiacciò i pulsanti del telecomando.
Trovò subito il canale dei cartoni animati. Che gioia,
poterli
vedere su uno schermo grande!
Poi si accorse che su divanetto c’era qualcosa di strano, un
sacchetto di patatine.
“Chissà chi l’avrà
lasciato?” si chiese
la fatina. Non c’era nessuno. Forse qualcuno si era
dimenticato
di buttarlo. E a giudicare dall’odore, era quasi pieno e
aperto solo di recente. Sarebbe
stato uno spreco, lasciare tute quelle succulente patatine
lì ad
ammuffire! Così si tuffò nel sacchetto e
iniziò a
mangiarle, con il sottofondo dei suoi cartoni animati preferiti.
Sì, era questo, il paradiso!
Si allarmò solo quando udì dei rumori di passi, e
una
voce maschile chiamare. “C’è
qualcuno?”
Ginger voleva rispondere ma aveva la bocca piena delle ultime patatine
rimaste, le ingurgitò e cercò di uscire dal
sacchetto, ma
era appesantita dalla grande abbuffata.
“Ehi, cosa c’è lì
dentro?” chiese la voce.
Ginger voleva rispondere, ma poi vide che qualcosa entrava nel
sacchetto. Sembrava una mano, una mano enorme.
La afferrò e la sollevò. Ginger stupita vide
l’essere umano. Aveva degli strani capelli, corti e marroni e
delle buffe orecchie rotonde. Gli occhi grigi erano incredibilmente
sgranati dalla sorpresa.
Ginger fece due più due e capì che le patatine
erano le sue.
“Scusami, non volevo mangiarle tutte, ma erano buonissime. Te
le
ricomprerò”, disse la fatina, sorridendo.
L’umano ancora stupito per aver visto una fata, si mise ad
urlare.
Per non essere da meno, anche Ginger urlò.
Le urla richiamarono il piccione, che preoccupato si
precipitò nel salotto attraverso la finestra aperta.
“Ehi, cosa ti sta facendo quell’umano?”
chiese il piccione.
Ma Ginger era ancora occupata ad urlare. Così, credendola in
estremo pericolo, il volatile gracchiò, richiamando tutti i
piccioni nelle vicinanze. “Presto, una mia amica ha bisogno
di
aiuto!” urlò, e di lì a pochi secondi
una
quindicina di pennuti che abitavano sui tetti dei palazzi accanto si
precipitò nella stanza e aggredì a beccate
l’umano,
che non capiva cosa diamine stesse accadendo.
Ci volle tempo prima che Ginger riuscisse a spiegare ai piccioni
l’equivoco. Se ne andarono via scusandosi. Marcus si
gettò
sul divano, dolorante e pieno di graffi e beccate, e deiezioni sui
vestiti.
“Scusa, scusa!” esclamò la fatina,
“ti prometto che forse la cosa non si ripeterà...
”
“Capisco….” Mormorò il
ragazzo, “Però... si può sapere tu chi
sei?”
La fata si fece più vicina a lui. “Sono la tua
coinquilina. Questo è un appartamento misto, no? Ci sono sia
umani che fate. Non te l'aveva detto, la padrona di casa?”
Un ulteriore urlo scosse l’appartamento fino alle fondamenta.
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Capitolo 3 *** L'avventurosa ricerca di un impiego ***
Quella sera, i due nuovi inquilini fecero sloggiare gli scarafaggi dalla cucina e prepararono la cena. O meglio, Ginger ordinò una mastodontica pizza con ogni gusto possibile, da offrire a Marcus al posto delle patatine che aveva polverizzato.
Nonostante il pacchetto dove aveva mangiato fosse più grosso di lei, la fatina aveva ancora parecchia fame.
"Allora, come ti sembra?" chiese mordicchiando il bordo della pizza.
"Niente male.." fece lui sottraendo un pezzo non ancora mangiucchiato. A casa sua era difficile che ci fosse la pizza, sua madre diceva che i cibi che si mangiavano con le mani non erano per persone ordinate come loro. Lasciò delle croste bruciacchiate e andò in bagno a lavarsi.
Appena tornato vide che la tv era su Boing, a tutto volume, e non c'era neanche una briciola delle croste di pizza. Ma in effetti non si lamentò, era ancora emozionato per essersi trasferito e tutto gli sembrava bello. Si sedette comodamente sul divano e lasciò che i maialini parlanti in tv gli facessero dimenticare i problemi.
"Oh, sì, l'episodio di Babbo natale è il mio preferito. Adesso gli lancerà i regali in testa" esclamò Ginger entrusiasta sul tavolino accanto.
Marcus annuì. Aveva decisamente rotto il ghiaccio, con quella ragazza... o fatina.
E dire che di solito le sue conversazioni con gli esponenti di sesso femminile si limitavano a memorabili frasi come "Ti sposti?" "Certo, scusa" o "Ehi mi è caduta la penna, me la prendi?" "Sì" "Grazie".
Mentre lei parlava di se, e descriveva di come una volta avesse occupato l'intero pomeriggio in una maratona del cartone dei maiali, il ragazzo improvvisamente cadde in uno stato di sonnolenza; forse era tutta la stanchezza accumolata nel corso del giorno o magari il cibo abbondante, fatto sta che si limitò ad annuire quando la fatina gli parlava e alla fine scivolò irrimediabilmente in un sonno profondo.
Ginger non se ne accorse, e rimase a vedere gli episodi fino alle tre di notte.
La mattina dopo Marcus non perse tempo e si preparò in fretta. L'Ufficio di collocamento chiudeva presto e lui non voleva rischiare di essere l'ultimo di una lunga fila. Non ci fu nemmeno bisogno di salutare Ginger; del resto la fatina russava nella grossa sotto il telecomando. Marcus decise di non porsi domande e si incamminò. Il cielo minacciava pioggia, e lui non aveva l'ombrello. Neanche mezzo secondo dopo fu attorniato da decine di venditori, umani e non, forniti di qualsiasi tipo di ombrello avesse mai visto in vita sua.
"Eh.. prendo quello..." disse scegliendone uno a caso da un venditore a caso, che aveva sei braccia con due ombrelli diversi in ogni mano.
"No amico.." disse uno degli offerenti, dagli occhi completamente neri. " Se hai comprato il suo devi prendere anche il nostro"
"Già" gli fecero eco gli altri.
E così il ragazzo fu ancor più assediato da costoro, che gli frugarono nelle tasche alla ricerca di qualche spicciolo.
A Marcus non restò altro che trovare rifugio nel primo autobus che si trovò. Schiacciato dalla moltitudine di mattinieri e pendolari non riusciva quasi a respirare. Quando poi avvertì una mano strusciare alla ricerca delle sue tasche o forse qualcos’altro, il ragazzo decise che era ora di andare e con la forza data dalla disperazione si fece largo tra la folla e quando il mezzo si fermò riuscì a raggiungere la portiera e si gettò fuori appena prima si chiudesse.
Riusciva a respirare. L’aria intanto si stava facendo umida.
Non conosceva quella zona della città, doveva trovarsi accanto a una sorta di piazza. L’enorme statua di un drago in ferro battuto dominava su tutto il resto. I cittadini gli passavano accanto, ormai indifferenti.
Tuttavia non doveva fermarsi a fantasticare; del resto si era perso. Per fortuna, la mamma prima di lasciarlo partire lo aveva fornito di una mappa pieghevole, che riuscì a spiegare.
Trovò subito la piazza col drago (Piazza del Fuoco) e orientandosi vide che l’Ufficio di Collocamento era solo a sette isolati di distanza.
Lo raggiunse affannato e sudato. Ormai erano le dieci e cinquanta, l’ufficio chiudeva alle undici e dieci.
Una lunga coda di persone occupava l’ingresso. Marcus prese il suo numero e aspettò.
La fila, incredibilmente, si assottigliò con facilità. Il ragazzo iniziò a sperare che potesse venire il suo turno, almeno quel giorno.
Ma non fu così. Quando mancava unicamente il turno di una rettiliana e un uomo dalla pelle completamente gialla e luminescente, suonò una sorta di campanella appesa al muro, e i receptionisti chiusero il loro ufficio.
“Fuori. E’ chiuso” disse uno degli addetti, irremovibile.
“Ma.. ma… “ iniziò Marcus, ma non riuscì a dire altro perché venne cacciato fuori.
Al ragazzo non restava che tornarsene a casa, del resto l’altro ufficio di collocamento era dall’altra parte della città.
“Potrei sempre lasciare dei curriculum in giro nei negozi” si disse il ragazzo, ma a dire il vero sperava che gli addetti all’ufficio lo aiutassero a compilarlo.
Mentre si avviava verso casa iniziò a piovere. Prima poco a poco, poi a letteralmente a catinelle, e soffiò un vento tale da far volare giornali per terra e congelare gli sfortunati ancora fuori fino alle ossa.
Il ragazzo si guardò attorno per cercare un luogo per ripararsi. A causa del vento, infatti, l’ombrello si era sfasciato. E in quel momento gli svolazzò accanto un cappello. Un ampio e bianco cappello da spiaggia. Marcus lo afferrò al volo.
“Ah, ecco dov’era!” urlò una voce femminile alle sue spalle.
Il ragazzo si voltò e vide una donna sulla trentina. Era molto alta e pallida. Indossava abiti leggeri, il volto cereo era parzialmente coperto da dei pesanti occhiali scuri anche se non c’era mai stato neanche un raggio di sole quella mattina.
“Ti ringrazio, caro, me lo restituiresti adesso?” chiese.
Marcus annuì.
Lei non se ne andò. “Posso chiederti un altro favore? Il mio negozio è qui vicino ma non ho l’ombrello, e con questa pioggia… potresti accompagnarmi tu?”
Prima che il ragazzo potesse annuire, la signora lo prese sotto braccio e si incamminarono.
Passarono qualche minuto a camminare in silenzio, Marcus non era abituato a stare tanto vicino con una donna.
“Non sei di queste parti, vero figliolo?” chiese lei per rompere un po’ il ghiaccio
“No, infatti… vengo da un’altra città”
“E cosa facevi, di bello, in mezzo alla pioggia?”
“Cercavo lavoro, ma gli uffici sono chiusi”
“Capisco.. povero caro..” commentò lei. “Ah, ecco.. siamo arrivati!” esclamò indicando un edificio. Era una pizzeria. “Night Pizza”, recitava l’insegna.
“Beh.. allora io.. devo andare…” disse il ragazzo.
“No.. aspetta..” fece lei. “Hai detto di stare cercando lavoro, giusto? Beh, noi siamo a corto di personale. Fattorini, soprattutto. Per cui, se domani alle otto potressi presentarti qui, puntuale..”
Marcus sgranò gli occhi, stupefatto. “D-Davvero? Io.. non so come ringraziarla!”
“Sarai in prova, in ogni caso..”
“C-certo! Non rimarrà delusa!” esclamò il giovane, stringendole la mano. Lei ricambiò la stretta, forse un po’ troppo forte. Marcus sentì i muscoli della mano fargli male. Lei gli pizzicò il dorso della mano e il braccio.
“Sei morbido, ragazzo” esclamò lei. “Ti renderemo più duri noi!”
“D’accordo..” fece lui, non capendo a cosa si riferisse. “La saluto!”
“Certo! In ogni caso, il mio nome è Violet!”
“Io sono Marcus” fece lui, e salutando con la mano se ne andò via.
Tornare a casa fu parecchio difficile, e Marcus si perse nel tentativo di trovare l’autobus giusto. Nel frattempo la pioggia aumentava, e il suo ombrello ormai mezzo scassato non faceva che peggiorare le cose.
Verso le quattro del pomeriggio, finalmente, trovò il condominio. Quando attraversò la strada per raggiungerlo, un camion dietro di lui beccò una pozzanghera e gli schizzi lo colpirono in pieno, bagnandolo anche più di quanto non fosse prima.
Il ragazzo non era troppo depresso dalla cosa; del resto aveva (forse) trovato un lavoro in un giorno solo.
Sentì Ginger ridere nella sua stanza.
“Ehi, sono tornato! Ti serve il bagno?” le chiese, senza aprire la porta.
“Che? No!” esclamò lei ancora ridendo.
“Allora faccio una doccia”
“Vaaa beeene!”
Il bagno aveva le superfici parecchio incrostate e la vasca da bagno (con doccia incorporata) un tempo doveva essere stata bianca ma ora era quasi ricoperta del tutto da una patina marroncina.
In ogni caso, socchiuse la finestra per far uscire l’umidità, si spogliò e fece scorrere l’acqua finchè non divenne calda. Stava per immergersi nella vasca, quando sentì qualcosa sbattere contro la finestra.
Marcus incuriosita stava per avvicinarsi ma poi quel qualcosa gli finì sul petto. Qualcosa di piccolo, ma dalla forma familiare...
“Ma.. che cavolo..?”
Quel qualcosa era poi caduto sul tappetino del bagno, si stava alzando e lo guardava.
“Una fata?” chiese Marcus.
“AAAAAAAAAAAHHHHH! Levati di mezzo! MANIACOOOOOO!!!” urlò la fata in questione. E in quell’istante, le luci del bagno crepitarono e si spensero, lasciandolo nel buio. |
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