Wherever you will go

di DulceVoz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Messaggi inquietanti. ***
Capitolo 2: *** Programma di protezione. ***
Capitolo 3: *** Uno spettacolo pericoloso? ***
Capitolo 4: *** Incubi. ***
Capitolo 5: *** Incontri sconvolgenti. ***
Capitolo 6: *** Che la battaglia abbia inizio! ***
Capitolo 7: *** Fuori uno. ***
Capitolo 8: *** Relazioni pericolose. ***
Capitolo 9: *** Dolcetto o scherzetto? ***
Capitolo 10: *** Ti conosco, German Castillo. ***
Capitolo 11: *** L'intreccio del passato. ***
Capitolo 12: *** Ammettilo! ***
Capitolo 13: *** Liti e tensioni. ***
Capitolo 14: *** La piscina del terrore. ***
Capitolo 15: *** Amicizie particolari e telefonate inattese. ***
Capitolo 16: *** Incontri e scontri. ***
Capitolo 17: *** Recuperare un rapporto. ***
Capitolo 18: *** Cambio direzione. ***
Capitolo 19: *** Una prova scottante. ***
Capitolo 20: *** Un incidente annunciato. ***
Capitolo 21: *** Ansie e sensi di colpa. ***
Capitolo 22: *** Confessioni d'amore. ***
Capitolo 23: *** Festa con... (brutta) sorpresa! ***
Capitolo 24: *** Un tassello fondamentale. ***
Capitolo 25: *** Ipotesi fotografiche. ***
Capitolo 26: *** Un attimo di pace, o quasi... ***
Capitolo 27: *** Un incubo ad occhi aperti. ***
Capitolo 28: *** Rivelazioni inaspettate. ***
Capitolo 29: *** La resa dei conti. ***
Capitolo 30: *** La felicità è un dono. ***
Capitolo 31: *** Epilogo - Tre anni dopo... ***



Capitolo 1
*** Messaggi inquietanti. ***


Era passato poco, solo un mese dalla sua scomparsa e la sua presenza era ancora viva nelle persone che l’avevano tanto amata. In primis in sua figlia, Violetta Castillo, una splendida ragazza di 16 anni che amava la musica con tutta sé stessa, proprio come lei, la sua mamma, Maria Saramego, la famosa cantante deceduta in un incidente stradale solo poco tempo prima. Un’altra persona cara alla celebre artista era sua sorella minore, Angeles Saramego. Lei non era più la stessa dopo la scomparsa di Maria… prima era l’insegnante perfetta, tanto posata e tranquilla, amata da tutti i suoi allievi e ben voluta dai colleghi… adesso… adesso era cambiata. Il colpo era stato troppo forte per lei, non riusciva più ad essere quella di un tempo, quella donna solare e allegra che era sempre stata. La scomparsa di sua sorella, in un certo senso, stava spegnendo anche lei. E, in ultimo, ma non meno importante, c’era lui: German Castillo. Non era facile per lui, vedovo da poco, fingersi sereno davanti alla figlia, cercare di tirarle su il morale quando, in alcuni momenti, avrebbe avuto bisogno lui di ritrovare il sorriso… l’aveva perso, insieme all’unica donna che avesse mai amato davvero. Tutto cominciò, o meglio ricominciò, per caso, nel giorno del primo anniversario della scomparsa di Maria. German era seduto a tavola, cercando di non pensare a quella maledetta data in cui la sua vita era andata in pezzi, assieme a quella della sua amata e faceva colazione, attendendo di vedere anche la sua bambina scendere a mangiare qualcosa. “- Ciao papà…” salutò, mestamente, la giovane. Non aveva più la luce negli occhi di un tempo… continuava a frequentare lo Studio 21, dove lavorava sua zia, ma non aveva la voglia di andarci sempre dopo quello che era successo. “- Ciao tesoro. Dormito bene?” chiese, premuroso, il padre, facendole un dolce sorriso che però risultò forzato e cupo.
“- Non molto…” si limitò a dire lei, sedendosi per bere giusto un succo d’arancia. “- I soliti incubi?” chiese lui, pentendosene subito. Voleva farle dimenticare quel periodaccio ma, la sua solita ansia e il suo spiccato senso di protezione nei confronti della sua piccola, l’avevano portato a fare quella domanda. “- Sì. Ancora notti insonni… sempre da quando lei non c’è più, ogni notte.” Disse la giovane, abbassando lo sguardo sul legno color ciliegio del tavolo. “- Lo so. Dobbiamo farci forza, tesoro… la vita continua ed io sono qui, ci faremo coraggio a vicenda.” Esclamò lui, serio, incupendosi di colpo al solo dover pronunciare quella frase… e come potevano riuscire a farsi forza dopo quello che era successo? Era pienamente consapevole che, per quanto avesse aiutato la sua bambina, riprendere la quotidianità, la vita di sempre, non fosse affare semplice. “- Mi manca.” balbettò la Castillo, fissando nel vuoto davanti a sé. La ricordava bene, la sua mamma. Osservava la sedia su cui di solito c’era lei, sorridente, che faceva colazione con loro e la invitava a sbrigarsi per andare all’accademia di musica. Le prime settimane aveva deciso di mollare tutto, di non volerci più tornare. In fondo la musica le aveva portato via la persona più importante della sua vita e non voleva più saperne di quella scuola d’arte, lo Studio 21. Per fortuna, le sue amiche del cuore, Camilla e Francesca, l’avevano convinta a tornare qualche volta, provando a distrarla non solo a scuola ma in tutti i modi possibili: uscite, pigiama party… niente. La sua aria triste sembrava non voler più sparire dal suo viso e, per quanto apprezzasse gli sforzi delle due, non riusciva a pensare ad altro che alla tragedia che l’aveva colpita da poco. “- La porta! Vado io!” urlò Olga, la governante, andando ad aprire con calma. “- Salve! Violetta è pronta? Oggi la portiamo a scuola! Non vogliamo sentire ragioni! Nessuna scusa che tenga!” disse Camilla, abbozzando un sorriso triste. “- Certo, venite! Entrate, ragazze care! Le farà bene venire con voi e tornare allo Studio, prego!” disse la mora affettuosamente, accogliendo felice Francesca e la Torres che si avvicinarono al tavolo dove German le salutò con un cenno del capo. “- Tu devi venire con noi, andiamo!” disse la Rossini, decisa, prendendo la borsa di Violetta appoggiata al bordo della sedia. “- Io veramente… non ho voglia di andare a scuola, oggi…” balbettò la giovane, fissando le due che prima si lanciarono una rapida occhiata e dopo qualche secondo, di colpo, ripresero a fissare l’amica. “- No, Vilu! Devi reagire! Vieni! Gli altri ragazzi e professori ti stanno aspettando! Ti vogliamo tutti bene, lo sai!” tentò di rassicurarla Camilla, osservandola alzarsi e dirigersi verso il padre che annuì, come per suggerirle di seguire le due ragazze. “- Ci vediamo a pranzo… oggi non devo andare in ufficio, quindi ti posso passare a prendere se vuoi…” ma la ragazza lo fissò sconvolta. Passarla a prendere voleva significare solo una cosa: automobile e quel mezzo di trasporto era diventato per lei solamente sinonimo di pericolo. Da settimane, ormai, la giovane si rifiutava di salire su una macchina e non aveva intenzione di ritornare a farlo, almeno fino a quando non si fosse sentita pronta. “- No, papà… torno con loro due, a piedi.” sottolineò la giovane, abbassando gli occhi sul pavimento. “- Va bene, sta’ attenta e…” “- Chiamami quando arrivi. Lo so.” Continuò la  frase la ragazza, facendo un mezzo sorriso e schioccando un bacio sulla guancia all’uomo che la strinse forte. “- Ti voglio bene, tesoro.” Le sussurrò suo padre, mentre lei si lasciò abbracciare forte… ne aveva davvero bisogno. “- Anch’io, papà! A dopo!” esclamò lei, allontanandosi verso la porta, seguita dalle due amiche che fissavano la tenerezza della scena quasi con gli occhi lucidi. “- Arrivederci signor Castillo!” salutarono quasi in coro Camilla e Francesca. “- Ciao ragazze, buona scuola!” disse lui, prima di dirigersi nel suo ufficio e di preparasi a starci delle ore. Ancora si fissava a guardare la foto di lui, lei e la loro bambina, scattata alcune estati precedenti... Erano così felici, così sereni… eppure era tutto finito e la ferita faceva ancora troppo male. Si alzò e afferrò quella cornice tra le mani, una lacrima gli solcò una guancia e mentre un’altra, sfuggendo al suo controllo, bagnò il vetro che proteggeva l’immagine. “- Mi manchi, amore mio…” sussurrò piano, guardando il sorriso luminoso di Maria che irradiava la foto, quasi illuminandola completamente. “- Signore, il caffè… ah, mi scusi io…” Olga, ferma come immobilizzata sull’uscio porta ed era, come al solito, arrivata senza bussare, con un vassoio tra le mani su cui erano poggiati una tazza con un piattino e un cucchiaino d’argento che scintillava anche a distanza di metri. German si voltò per asciugarsi gli occhi con la manica della giacca e, senza alzare lo sguardo, torno a sedersi, ringraziando la cuoca che, accortasi della brutta situazione in cui era arrivata, si volatilizzò, capendo che l’uomo volesse essere lasciato solo.
 
 
“- Violetta! Sei tornata e spero che questa volta tu sia venuta per restare! Siamo felici di riaverti alle lezioni, sperando che riprenderai costantemente a seguirle!” Antonio, il preside e il direttore della scuola, le si avvicinò nell’atrio dello Studio 21, fissandola con sguardo quasi paterno e comprensivo. “- Sì, ci proverò, almeno…” sorrise lei, con una tristezza negli occhi che a nessuno dei ragazzi sfuggì. Thomas subito le si avvicinò, felice di riabbracciarla. “- E’ bello rivederti qui, con noi!” le sussurrò all’orecchio, abbracciandola forte. Non erano fidanzati ma il ragazzo era cotto da tempo indefinito della bella Castillo che lo reputava da sempre un amico fedele. Lei era convinta di non provare nulla, non lo aveva mai provato, a maggior ragione ora che aveva ben altro per la testa ma, in quel periodo aveva bisogno del sostegno di qualcuno ed era certa che quell’abbraccio non poteva che farle bene. “- Grazie…” balbettò lei, cercando poi, con lo sguardo, una persona. C’erano tutti: intorno a lei erano corsi gli amici, Maxi, Federico, Andres, Andrea, Nata, Lena, Napo… persino Ludmilla che non la sopportava poi molto, c’erano anche i professori… ma ne mancava uno. Jackie, Beto e persino Gregorio le sorridevano con gioia ma una faccia familiare mancava all’appello.
“- Dov’è Angie? Non è tornata più, vero?” chiese, all’orecchio di Francesca che scosse il capo, con aria rassegnata. “- E’ da settimane che non sta venendo più… non abbiamo ancora un sostituto perché Antonio spera sempre di riuscire a convincerla a tornare ma niente. Sembra non voler tornare più qui. Ci è venuta qualche volta ma non ce la fa a restare… scappa sempre via senza nemmeno terminare le lezioni.” A quelle parole la ragazza sbiancò, sgranando gli occhi con fare confuso. Che significava? Anche la sua adorata zia voleva abbandonare tutto, proprio come lei? Voleva davvero perdere il lavoro, la sua vita di sempre? Mentre rifletteva su ciò, ancora nell’atrio con tutti gli altri accanto a lei, un rombo di una automobile fece voltare tutti verso il giardino: una donna salutò un biondo e scese con classe dalla vettura. Era splendida: alta, bionda, occhiali da sole neri a coprirle gli occhi ma viso triste e quello, purtroppo, non era riuscito a nasconderlo. “- Angie! Sei tornata!” urlò qualcuno dei ragazzi, mentre lei non si scompose minimamente.
“- Sapevo che non ci avresti mai abbandonati!” esclamò Camilla, andandole in contro. La donna abbozzò un sorriso tiratissimo e, senza pronunciare parola, andò di colpo ad abbracciare Violetta che rimase colpita da quella stretta. Dopo la scomparsa di Maria, sua zia era sempre in casa, non la vedeva da settimane, né, a quanto sembrava, era tornata a scuola da tempo. Sciolse l’abbraccio dopo qualche secondo e, senza guardare in faccia a nessuno, si allontanò verso la sua aula, a passo deciso e spedito. “- Ma è così…” iniziò Maxi, sottovoce, temendo di terminare in maniera sbagliata quella frase che, però, tutti pensarono nel suo stesso modo… “- …Diversa!” esclamò Andres, grattandosi il capo confuso e facendo annuire gli altri. “- Ha subito un trauma non indifferente, è normale che reagisca così… credo…” disse, timidamente, Francesca.
Angie era cambiata: lei non era mai così fredda, non si vestiva in quel modo così succinto, non andava in giro su quei bolidi con alla guida bell’imbusti biondi in stile modello da copertina. Era diversa, aveva ragione Andres. Violetta era rimasta immobile a fissarla, anche lei sconvolta da quell’atteggiamento. Nemmeno ascoltava i commenti degli amici, nemmeno si rese conto che stessero ancora parlando… era troppo presa a guardare la sua adorata zia filare in classe, come se nulla fosse. “- Devo parlarle… scusate.” Disse, d’un tratto, la giovane, andando verso l’aula in cui avrebbe avuto lezione la donna. Arrivò sull’uscio e si bloccò. La Saramego fissava la tastiera senza avere il coraggio di sfiorare quei tasti, come se non avesse mai voluto che alcuna melodia venisse fuori da quello strumento. “- Zia…” balbettò Violetta, facendola sobbalzare.
“- Tesoro… ciao.” Disse, freddamente, la donna, rivolgendole finalmente un sorriso. “- Come stai?” chiese timidamente la giovane avvicinandosi a lei con passo incerto. “- Bene... tu?” mentì  spudoratamente lei.
“- Ok… credo.” Esclamò la ragazza, anche lei affermando una bugia. Si stavano mentendo, lo sapevano, ne erano pienamente consapevoli ma era l’unica cosa fattibile in quel momento. “- Mi hanno detto che non sei venuta a scuola per molto…” disse la Castillo, sedendosi alla tastiera accanto alla donna. “- Mi hanno detto lo stesso di te.” Si limitò a rispondere lei, seccamente ma cingendole le spalle con un abbraccio a cui la ragazza si lasciò andare, poggiando la testa sulla spalla della bionda che, a quel contatto, sorrise amaramente. Una lacrima rigò rapida il viso della giovane e non riuscì a fermarla. Restarono così, immobili per qualche minuto, senza dire nulla, fino a quando la campanella non suonò all’impazzata e le due furono costrette ad allontanarsi. “- Mi chiedo se riuscirò a concentrarmi sulle lezioni.” Disse la ragazza, alzandosi e avviandosi alla porta e asciugandosi il volto con un gesto rapido della mano. “- Mi chiedo se riuscirò a farne una decente…” disse la bionda, con una risata nervosa e spenta. “- Buona giornata.” Si limitò a salutarla lei, ormai nel corridoio, pronta per andare nell’aula di musica, prima ora: lezione con Beto ma una voce la interruppe e la fece tornare indietro di colpo.
“- Violetta! Aspetta, per favore!” urlò la Saramego, facendo rientrare in aula di canto la ragazza che si fermò sulla porta e la fissava sorpresa. “- Mi dispiace se sono stata distante ma… avevo bisogno di stare sola. Non riuscivo a vedere nessuno e sono mortificata di ciò. Avrei dovuto esserti vicina ma non ce l’ho fatta.” Si scusò la donna abbassando lo sguardo sullo strumento di fronte a lei, facendo sì che la ragazza prendesse a fissarla con aria un po’ più serena. Aveva avuto paura che la zia l’avesse dimenticata, che non avesse, in qualche maniera, voluta esserle accanto, che in qualche modo lei le ricordasse troppo Maria e che volesse allontanarla per non dover affrontare quel ricordo doloroso… invece, ora, era tutto più chiaro. “- Lo so. E’ stato lo stesso per me e per papà. Tranquilla.” Disse, con calma, la ragazza. “- Sai che ti voglio bene, vero?” chiese la donna, sorridendole con la solita tristezza negli occhi. “- Lo so, e anch’io. Ti adoro, zia!” esclamò la giovane, avviandosi verso la sua lezione. “- Buona giornata, tesoro. Ci vediamo dopo.” Disse la donna, ritornando a correggere alcuni spartiti ma con la testa chissà dove.
La giornata proseguì con tranquillità, tra una materia e l’altra, il tempo volò via in fretta fino all’ultima ora che fu proprio con l’insegnante Saramego che, a differenza delle altre volte, non suonò neppure per un secondo, né cantò qualcosa, come spesso, in passato, aveva fatto per la gioia degli allievi. “- Maxi, vieni qui. Suona questi… e voi cantate questo brano!” ordinò, distribuendo delle fotocopie ai ragazzi che la fissarono staranti, Ponte più di tutti. “- Prof, mi scusi ma questi accordi sono troppo difficili e io non so se…” iniziò, titubante, fissando quella sorta di geroglifici, Maxi. Era un brano per un insegnante, troppo complesso per un giovane allievo e il rapper non aveva alcuna intenzione di fare una figuraccia davanti a tutta la classe al gran completo. “- Te la caverai e se non ci riesci ti sostituirà qualcun altro!” disse, quasi stizzita, la bionda.
“- Levati, incapace! Ci penso io, prof!” si offrì Ludmilla, ancheggiando verso la tastiera e scostando Maxi con un gesto nevrotico della mano, facendolo quasi ruzzolare al suolo. “- Grazie, Ferro…” sorrise la Saramego portandosi una mano alla fronte con aria stanca. “- Voi iniziate io… vado un secondo al distributore.” Disse ancora la donna, avviandosi fuori dall’aula sotto lo sguardo stupito della classe che però, non disse nulla e, in silenzio, si preparò a cominciare.
Angie era immobile, fuori dalla macchinetta, senza neppure avere la forza di inserire le monete che stringeva in mano. Ad un tratto passò di lì Antonio, che la osservò prima da lontano e poi, preoccupato, le si avvicinò con calma. “- Angie…” balbettò, facendola voltare di scatto. “- Sì, dovrei essere in classe, lo so.” Disse stizzita lei, sorseggiando un succo di arancia. “- No, non sono qui per questo. Devi essere forte. So che lo sei.” Sentenziò l’anziano preside, osservando i suoi occhi verdi e spenti come non li aveva mai visti.
“- Sembra facile per voi… beh, non lo è, non lo è affatto.” Esclamò, nervosa, la donna, prendendo un altro sorso della bibita. “- Non ho detto che lo sia. Devi affrontare la situazione. Il fatto che tu sia venuta, per me, è già un grande passo avanti…” disse, quasi sottovoce, Antonio Fernandez con aria paterna e pacata. “- …E forse l’unico che farò.” Rispose seccamente lei, abbassando lo sguardo. “- Non dire così. Io credo in te… sei sempre stata la migliore insegnante che si potesse desiderare! Non avevo trovato nessuno degno di sostituirti, lo sai questo? Ma, per fortuna, sei qui e non avrò bisogno di qualcuno che occupi il tuo posto.” Spiegò l’uomo, analizzando la sua espressione imperturbabile. “- Mi guardi: non riesco neppure a suonare qualche stupido accordo o ad intonare qualche nota. Io ho provato a riaffrontare la situazione ma non ci riesco.” Ribatté lei, cupa in volto e stizzita, sistemandosi una ciocca bionda, ricadutale sul viso, dietro l’orecchio. “- E’ troppo presto, cara. E’ normale che sia così. Continua a venire qui e vedrai che la situazione cambierà, in meglio. Te lo prometto.” Disse con tono rassicurante l’uomo, poggiandole una mano sulla spalla. “- Torno in classe… buongiorno.” Rispose lei, gelida come il ghiaccio. Antonio la fissò allontanarsi e si intristì rendendosi pienamente conto di qualcosa che già sospettava da un po’: Angeles Saramego non era più la stessa.
 
 
Le lezioni terminarono e i ragazzi andarono verso gli armadietti allegramente, facendo il solito baccano.
“- Stasera c’è una festa! Al locale karaoke! Ci dobbiamo andare!” sorrise Maxi, riponendo degli spartiti in una cartelletta blu. “- Io ci sto!” sorrise subito Nata e lo stesso disse DJ, un nuovo alunno, dandogli il cinque e fissando poi Camilla, sperando che anche lei accettasse. Dopo che Broadway era andato via era così cambiata… non faceva altro che starsene con Francesca a confabulare sul suo ragazzo che l’aveva lasciata lì per tornarsene in Brasile, solo per correre dietro ad una ballerina di samba, conosciuta al suo stesso corso di studi. “- Ci siamo anche noi!” dissero la Torres e la Rossini, in coro, sorridendo poi a Vilu che non disse nulla. “- Io ci sarò, of course! E vi schiaccerò tutti come formichine!” gracchiò la Ferro, con la sua solita vocina stridula e irritante agitando la chioma dorata. “- E chi ti ha invitato, scusa?” borbottò Lena, scostandosi un ciuffo biondo ricadutole davanti agli occhi e indispettendo Ludmilla che stava per dire qualcosa ma fu interrotta dalla voce di Thomas. “- Dai, andiamoci anche noi… sarà divertente!” esclamò Heredia, avvicinandosi alla giovane Castillo... sapeva che doveva distrarsi e lui voleva mettercela tutta per riuscire a farla sorridere di nuovo, sorridere davvero. “- No io…” ma gli altri la interruppero. “- Niente se, o ma… stasera sei dei nostri.” Disse, categorico, Federico, facendo sorridere e annuire tutti gli altri. “- Se lo dite voi…” ribatté la ragazza, appoggiandosi con le spalle all’armadietto. “- Sì, lo diciamo noi! E tu ci ascolterai!” la corresse Francesca, facendole l’occhiolino. “- E va bene!” esclamò, più convinta, la Castillo, abbozzando finalmente un sorriso. “- Bene, noi andiamo che è tardi! A stasera!” salurarono Lena, Nata e Napo, venendo seguiti a ruota da Maxi, Andres, Andrea, Dj e Ludmilla. “- Noi ci vediamo dopo, torno a casa con Angie… suppongo.” Disse la ragazza, salutando Camilla e Francesca che, dopo un ennesimo sguardo premuroso, si avviarono fuori seguite da Federico e Thomas. Violetta sperava di poter essere riaccompagnata dalla zia, così avrebbero potuto chiacchierare un po’ e avrebbe fatto bene ad entrambe.
“- Ok, allora ciao! Ti passiamo a prendere stasera… ci andiamo a piedi tanto è un locale qui vicino, vedrai ti piacerà!” la salutarono le due amiche, sorridendo con dolcezza. Quando le ragazze uscirono dalla sala, la giovane aprì l’armadietto per riporvi delle cartelline e, non appena lo sbloccò e tirò verso sé l’anta viola, un foglietto le cadde davanti ai piedi. Incuriosita si inginocchiò per afferrarlo e, quando lo aprì, ne rimase sconcertata tanto da farlo ricadere al suolo con aria spaventata, facendo un balzo all’indietro e appoggiandosi con le spalle al freddo delle altre porticine in metallo che si trovavano sulla parete opposta. Una spartito di un testo di una canzone, stranamente di sua madre, era sul pavimento, alcune lettere del testo erano cerchiate con un pennarello rosso… la scritta che ne veniva fuori era raccapricciante e fece rabbrividire la Castillo: “LA FINE, COME PER MARIA, E’ VICINA.” La ragazza si accasciò, terrorizzata e cominciò a piangere disperata e terrorizzata.
In quello stesso istante, nello stesso modo, Angie, che stava sistemando gli spartiti ritrovò uno di essi piegato in due in mezzo agli altri. Lo aprì tentando di capire di cosa si trattasse e ne rimase scioccata: lo lasciò cadere davanti a sé prendendo a fissarlo con le lacrime agli occhi: si guardò intorno cercando di capire chi gliel’avesse potuto lasciare… cosa ci faceva, lì, un testo di Maria? Pensò ad uno scherzo dei suoi allievi, in effetti era stata parecchio acida durate quelle prime lezioni ma nessuno aveva potuto essere così meschino da lasciarle quella sorta di minaccia. Tentò di mantenere la calma e, raccattando in fretta tutti quei fogli e la sua borsa, si precipitò fuori dall’aula, spaventata. Si incamminò nel corridoio vuoto e desolato ma, ad un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione. Passò davanti agli spogliatoi e vide la nipote che piangeva disperata, davanti a lei, quelle stesse lettere cerchiate, quello stesso avvertimento minaccioso.
 “- Violetta!” esclamò lei, andandole incontro, turbata. “- ZIA! Portami via di qui!” disse lei, tra i singhiozzi, alzandosi di colpo e abbracciandola forte. “- Sì, tesoro mio, sì. ce ne andiamo subito… ma sta’ tranquilla. Sarà solo lo scherzo di qualche idiota!” esclamò lei, senza accennare al fatto che avesse ricevuto anche lei un messaggio identico. “- Passa a prendermi Matias con la macchina, andiamo a casa tua, andrà tutto bene, calmati.” Sussurrò la donna all’orecchio della giovane che la stringeva ancora a sé, piangendo e tenendosi forte alle spalle della donna. “- Va bene, andiamo fuori di qui, però!” esclamò, senza nemmeno preoccuparsi del fatto di dover salire su quel bolide con quello squilibrato con cui probabilmente, stava uscendo la zia in quel periodo.
 
 
“- Papà! Papà stai bene? Che bello vederti, sano e salvo!”. La Ferrari si fermò con una brusca frenata sul marciapiede di fronte villa Castillo e la ragazza fece un balzo per correre via da quella macchina così pericolosa e da quell’autista che sembrava fin troppo spericolato.
“- Piccola, tutto bene? Siete strane… tu e anche la mocciosetta!” anche il ricco La Fontaine si era accorto di troppe stranezze in quel viaggio di ritorno. “- Scusami… voglio andare dentro, Vilu è sconvolta e, anche se non vorrei data la considerazione che ha di me attualmente, devo parlare con suo padre…” disse senza troppe spiegazioni, la Saramego. “- Solo lei è sconvolta? Tu no?” chiese lui, con un mezzo sorrisetto, prima di avvicinarsi per baciarla ma, suo malgrado, non fece in tempo. La donna era già scesa e richiuse con un rumore sordo la portiera dell’auto. “- No, io sto benone. Ci vediamo.” Salutò lei, mentre Matias, deluso, si allontanò con un rombo degno della sua autovettura. “- Sono preoccupato, tesoro! Stavo venendo a prenderti io… sei… tu sei salita su quella macchina?” esclamò l’uomo, osservando il bolide rosso allontanarsi a gran velocità e ricordando il fatto che la giovane odiasse le auto dopo l’incidente di sua madre. “- Sì, ma non è questo il punto!” urlò Angie, arrivando sul vialetto del giardino e agitando un foglio che teneva saldamente stretto nella mano destra. “- Cos’è?” chiese, teso e confuso, l’uomo, afferrando lo spartito ripiegato e cominciando a leggere in mente con aria scioccata. “- Dobbiamo partire, subito. Non possiamo restare più a Buenos Aires, è troppo pericoloso e non c’è altro tempo da perdere. Hai il passaporto pronto? Ce la fai a preparare le valige per domani mattina?” urlò, nel panico, l’uomo, andando avanti e indietro e componendo un numero sul cellulare. “- Calmati! Potrebbe solo essere lo scherzo di qualche alunno!” lo rincuorò Angie, mentre Violetta li fissava, scioccata dalla decisione del padre ma che, per una volta, le sembrava giusta. “- Non puo’ esserlo…” sospirò lui, afferrando il tablet dal tavolinetto bianco da giardino e cercando qualcosa nervosamente in quell’affare. “- Chi te lo dice?” chiese lei, fissando l’aria sconvolta dell’uomo. “- Me lo dice questa mail con allegato che ho ricevuto.” Disse serio German, aprendo l’immagine di una foto ricevuta per posta, proprio quella mattina: lo stesso testo, le stesse lettere cerchiate, senza indirizzo, con mittente bloccato. “- Allora non è un caso...” Aggiunse subito Angie, tentando di apparire tranquilla come non lo era per nulla. “- Dobbiamo solo andarcene via da qui!” urlò, severo, Castillo, riponendo l’aggeggio elettronico sul tavolo con stizza.
“- Calmati e non urlare, papà. Andiamo in commissariato, subito!” esclamò la figlia, preoccupata e nervosa. “- Sì, hai ragione. Avevo comunque già chiamato il commissario Lisandro, sarà qui tra poco.” Le abbozzò un sorriso nervoso l’uomo, abbassando finalmente il tono della voce. “- Ero così preoccupato per te! Ero in giardino perché stavo per venirti a prendere! Poi sei arrivata, sana e salva ed io… mi sono finalmente rassicurato, almeno un po’!” stava dicendo German, stringendo forte la figlia, impaurita e tremante. Angie, intanto, si era seduta su un dondolo, all’ombra del cipresso che svettava nel cortile davanti villa Castillo. Quel messaggio aveva scioccato anche lei, non solo perché temeva per l’incolumità della sua nipotina e di suo cognato, ma anche perché aveva paura di saperne di più su quella faccenda. Come mai, dopo tutto quel dolore, qualcuno ce l’aveva con loro? Cosa volevano da quella famiglia, già straziata dal dolore? Non se lo spiegava, ma continuò a riflettere, in disparte da padre e figlia. Ad un tratto una volante della polizia si fermò davanti alla casa con le luci blu accese ma con le sirene spente. Un uomo altissimo, con gli occhiali e fare distinto scese dalla vettura e si avviò verso German, stringendogli la mano con foga. “- Signor Castillo!  Purtroppo dobbiamo già rivederci!” disse, con aria cupa, riferendosi alla morte della più grande delle Saramego. “- E’ successa una cosa terribile, signor Lisandro. E la cosa che più mi fa star male e che qualcuno ce l’abbia con la mia bambina, oltre che con me.” Disse, a bassa voce, German cosa che fu inutile perché comunque la ragazza sentì chiara e forte quella frase. “- Capisco…” sentenziò, serio il commissario, prendendo a fissare poi la giovane e, in lontananza, la zia. “- Entriamo tutti dentro, prego.” Fece strada German, dirigendosi verso la porta d’entrata alla casa. “- Angie, tu non vieni?” disse la ragazza, voltandosi ad osservare la donna, ancora assorta nei suoi pensieri. “- Sì. Arrivo.” Disse seria lei, alzandosi e prendendo a camminare lentamente dietro al gruppo.
Entrarono in casa e subito il padrone della villa condusse tutti in soggiorno, su un grande e spazioso divano bianco, in una stanza ben arredata e dallo stile moderno. “- Si vede che lei è un architetto. Questa casa è magnifica, maestosamente moderna e ben costruita.” Constatò Roberto, sedendosi comodamente. “- Olga, prepara dei caffè.” Ordinò German, facendo correre la cuoca che annuì con decisione per poi ritornare in cucina, curiosissima però, di sapere cosa fosse accaduto e di perché il commissario fosse lì. “- Bene, adesso con calma, raccontatemi cosa è accaduto.” Disse l’uomo, mentre un agente, accanto a lui, iniziò a scribacchiare su un blocchetto, attendendo che German Castillo iniziasse a raccontare cosa fosse successo in quella mattina così movimentata.
 
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Buon pomeriggio! Vi ricordate di me? Pensavate di esservi sbarazzati della sottoscritta? E invece no! Muhahahaha :) Eccoci ad un giallo misterioso ed anche un po’ pauroso, vi avverto! E’ la prima storia che scrivo di questo genere, quindi siate clementi! XD Allora, la scomparsa di Maria, a differenza del telefilm, è accaduta da poco, e la cosa ha cambiato radicalmente la vita di Violetta e di Angie… quest’ultima in particolare è diventata un’altra persona, come vedrete in seguito ma già da ora si puo’ comprendere qualcosa… (cioè esce con Matias… rendiamoci conto! O.O). Sono arrivati dei messaggi inquietanti nel giorno dell’anniversario della scomparsa della maggiore delle Saramego… chi li avrà inviati? Cosa deciderà il commissario? Da notare che mancano ancora due protagonisti alla storia: Leon e Pablo che avranno, già dal prossimo capitolo, un ruolo più che fondamentale… (saranno i due protagonisti maschili…) bene, se vi incuriosisce questa ff continuate a seguirmi! Io spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e attendo commenti! Ciao! :)

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Capitolo 2
*** Programma di protezione. ***


“- Allora, ricapitoliamo, lei e sua figlia avete ricevuto questo inquietante avvertimento…” esclamò il commissario, rigirandosi tra le mani il foglio del testo della canzone di Maria, trovato da Violetta e fissando l’immagine sul tablet, ovvero la stessa identica fotocopia con le lettere cerchiate ricevuta via mail da Castillo. “- Dobbiamo andare via di qui! Non siamo al sicuro a Buenos Aires! Mandateci dall’altra parte del mondo, che ne so, in Antartide o dove vi pare ma, per favore, fatelo in fretta!” iniziò German, in preda all’ansia cominciando a parlare senza sosta su quel viaggio da intraprendere al più presto. Il commissario, però, non lo ascoltava: aveva preso a fissare Angie che sembrava assorta nei suoi pensieri più profondi e ignorava la discussione. “- Signorina, lei è la sorella della Saramego, giusto?” chiese, d’un tratto, Roberto,  facendola sobbalzare di colpo. “- Sì, cosa vuole da me, scusi?” disse la donna, osservandolo con aria tesa. “- Lei non ha ricevuto nulla? Sa che dovrebbe parlarcene, vero? Se avesse avuto un qualsiasi tipo di avvertimento, come sua nipote e suo cognato sarebbe bene che io lo sapessi.” esclamò, con aria seria, il commissario Lisandro, lasciandola per un momento sconvolta. Come faceva a sapere che anche lei avesse avuto quella stessa minaccia? “- Signorina Saramego, io sto attendendo una risposta…” incalzò Roberto, analizzando la sua espressione scioccata. “- Perché le interessa tanto?” ribatté, acidamente, Angie. “- La lasci perdere, ormai è un’altra persona. Insopportabile, aggiungerei!” si intromise Castillo che, però, fu azzittito da un gesto della mano stizzito di Lisandro. “- A te non ti riguarda come sono o non sono! Taci! La vita è mia e la vivo come mi pare e piace!” rispose subito lei, con fare ribelle, agitando la sua chioma dorata con nervosismo. “- Signorina. ignori lui e ascolti me… io sono certo che anche lei abbia ricevuto qualcosa del genere e sa perché? Perché secondo le mie teorie, questa persona vuole colpire tutte le persone care a sua sorella… ed io so che voi due eravate molto legate, quindi sono certo che lei non voglia parlarne ma che abbia avuto un messaggio inquietante come questi due.” Spiegò, astutamente, il poliziotto facendo abbassare lo sguardo alla donna. Angie prese un profondo respiro e, aprendo la sua borsa, ne estrasse una  cartelletta e, dall’interno di quest'ultima, prese un foglio piegato in due, lo stesso  ricevuto anche dai suoi parenti. “- Ne ero certo. E perché non ce lo voleva dire? Sentiamo!” urlò quasi il commissario, alzandosi e camminando nel salotto avanti e indietro, nervosamente. “- Perché è già il secondo che ricevo. Avevo paura… ma che dovevo fare? E poi finché si trattava di me non me ne fregava niente. Adesso che vogliono intimorire anche mia nipote mi comincio a preoccupare sul serio.” Sbuffò lei, decisa e con sguardo fiero come sempre. “- Dove ha ricevuto questo? E l’altro?” chiese subito il commissario, facendo cenno al suo collega di ricominciare ad appuntare ogni parola sul bloc notes. “- Questo allo Studio, come Violetta. L’altro l’ho trovato nella cassetta della posta. Pensavo fosse uno scherzo di qualche idiota ma a questo punto non lo penso più, purtroppo. La cosa si è ripetuta e l’hanno ricevuto persino loro due.” Rispose la donna, con sguardo cupo e abbassando gli occhi sul pavimento. “- Bene, sono certo che tu abbia ragione, German. In Argentina non siete più al sicuro. Provvederò oggi stesso a creare dei documenti sotto falso nome per spedirvi in qualche paese lontano da qui.” Sentenziò Roberto, fissando ancora quei messaggi particolari. “- Quanto ci vorrà?” si informò subito German, preoccupato soprattutto per l’incolumità di sua figlia.
“- Due o forse tre mesi se velocizziamo il tutto. Ma non preoccuparti, so già cosa fare per proteggervi. La polizia collabora spesso con un’agenzia di guardie del corpo, quella fondata da Cardozo Valdez, per intenderci…” esclamò l’uomo, annotando poi, in prima persona alcuni dettagli su un blocco per appunti che teneva nella tasca della giacca. “- Due o tre mesi? Non si puo’ fare più in fretta? Qui si parla della nostra sicurezza, di quella della mia bambina, anche mia cognata è in pericolo e… se questo folle riuscisse comunque a colpire?” chiese Castillo, teso come mai in vita sua, torturandosi nervosamente le mani. “- No. Valdez è la guardia del corpo più in gamba di tutta l’America Latina e la sua agenzia non è da meno. Non metterei mai in pericolo dei cittadini sotto la mia tutela. In serata vi farò conoscere due bodyguards degni di questo nome, mi fido del capo dell’agenzia e lui saprà cosa fare. Potrete stare tranquilli con loro ma, attenzione! Nessuno deve sapere che avete delle guardie del corpo o la cosa desterebbe troppi sospetti.” Spiegò ancora il commissario, con decisione, posando quei due fogli misteriosi in un cellofan protettivo, prendendoli con delle pinze per esaminarli e chiudendo il tablet in un’altra busta per portarlo al commissariato e far analizzare anche quello. “- Mi scusi ma quindi lei sospetta che questo pazzo ce l’abbia con noi con qualche motivazione ben precisa? E poi che c’entra mia sorella? Il suo è stato un incidente o lei sospetta altro?” sbottò, nervosamente, la Saramego, mentre German tentava di allontanare la figlia, portandola per mano verso la cucina, dove Olga la portò dentro, per non farle ascoltare nulla di quei discorsi così difficili da affrontare anche per un gruppo di adulti.
La ragazza però, con una scusa, riuscì a sentire tutto, nascosta dietro la porta della stanza, avendo convinto la cuoca ad andare in giardino a prendere delle erbette per una tisana.
“- Sì, esatto. Potrebbe esserci relazione tra i vostri messaggi minatori e l’incidente. Dobbiamo riaprire il caso Saramego. Mi dispiace, so che è doloroso ma è l’unica cosa giusta da fare. Analizzeremo nuovamente tutti i documenti, in particolare le perizie sull’automobile e sul luogo dello schianto dell'auto. D’altronde non è passato così tanto da quella data… sono mortificato, ma voglio tenervi al sicuro e voglio capirci di più.” Sentenziò Lisandro, andandosi a risedere, proprio accanto alla Saramego. “- Dopo tanto soffrire si deve ricominciare a farlo…” balbettò German, abbassando gli occhi mestamente e sostenendosi il capo con una mano.  “- Comunque io non ho bisogno di una guardia del corpo. Me la cavo benissimo da sola, grazie.” Esclamò Angie, alzandosi per avvicinarsi a passo deciso e rumoroso a causa dei tacchi vertiginosi, verso la porta d’ingresso per andarsene via. “- No. Lei l’avrà. Come sua nipote e suo cognato.” Ordinò il commissario con l’aria di chi non volesse sentire ulteriori spiegazioni.
“- No, io neppure ne ho bisogno. Ma voglio che mia figlia sia affidata a Cardozo Valdez in persona.” Sentenziò Castillo, serio, rialzando finalmente lo sguardo e puntandolo su Lisandro. “- In casa sua, sappia che ci sarà almeno un bodygard… se lei proprio non vuole uno dovrà accettarlo, pensi a sua figlia e al vostro bene. Per quanto riguarda la signorina Saramego, assegnerò anche a lei una guardia del corpo.” Esclamò, categorico, Roberto prendendo ad analizzare la bionda di fronte a sé che alzò un sopracciglio con aria perplessa. “- Vi aspetto alle 20 al Commissariato Centrale. Parlerò in prima persona con Cardozo Valdez. Provvederò io stesso a risolvere la questione in attesa di questi passaporti e documenti con falsi nominativi per mandarvi in un paese sicuro. Intanto avrete bisogno di essere sotto sorveglianza, 24 ore su 24. Niente se e niente ma… a dopo.” Senteziò Roberto, mettendosi in piedi e salutando, con un cenno del capo, German, con lo sguardo cupo e la donna, in piedi sulla porta che, dopo un’ennesima occhiata alla stanza e al cognato, ancora scosso, uscì senza dire nulla ma sbattendo la porta con foga. A sentire quel brusco rumore, Violetta uscì dalla cucina e si diresse verso suo padre, con aria seria e matura. “- Papà… so che non avrei dovto ma ho sentito tutto. Tranquillo, ce la faremo. Io non ho paura.” Disse, guardando l’uomo con freddezza e sedendosi accanto a lui. “- Io sì. lo ammetto.” Sentenziò, invece, German, cingendole le spalle con un abbraccio. “- Ma io la mia guardia del corpo l’ho già… ed è qui accanto a me!” sorrise la ragazza, appoggiando la testa sulla spalla possente del moro che si lasciò scappare una risata amara. “- Piccolina, si sistemerà tutto, vedrai…” tentò di rassicurarla lui, dandole un tenero bacio sulla fronte. “- Lo penso anch’io.” Sussurrò quasi la Castillo, ricevendo poi uno squillo sul cellulare che la spaventò alquanto: temeva che fosse qualcosa di preoccupante, come quel foglio o la mail ricevuta dal padre invece, per fortuna, era solo Thomas. “- Ehi, ciao! Allora ci vediamo stasera? Ci vieni vero alla festa?” chiese il ragazzo, facendola riflettere. Cavolo, la serata al karaoke! L’aveva dimenticato! Beh, era pure comprensibile dopo quel movimentato pomeriggio! “- Non posso, ho un altro impegno e non posso proprio disdire! Anzi, mi faresti il favore di avvisare tu Cami e Fran che non passassero a prendermi? Devo uscire con mio padre, è importante…” si giustificò la ragazza, senza raccontare troppi particolari. Heredia rimase perplesso, sembravano averla convinta, quella mattina, a prendere parte alla serata ed ora si inventava quella che credeva una scusa bella e buona. “- Va bene, ci penso io. Allora a domani. Buona serata… se hai bisogno di me chiamami pure, sai che lascio tutto e corro da te per qualunque motivo. Un bacio.” La salutò lui, un po’ scettico sulla questione del programma che la ragazza aveva con il padre. Nonostante tutti avessero capito l’amore che provava nei confronti della giovane, lei sembrava essere sempre fredda nei suoi confronti… insomma, sapeva di avere ben poche speranze ma non voleva demordere.
 
 
“- Ehi bambolina! Allora? mi spieghi cosa ti è successo stamattina o devo preoccuparmi sul serio? Non ti ho mai visto così tesa!” Matias La Fontaine era seduto, o meglio, spaparanzato sul divano di villa Saramego, mentre la donna si affrettava a prepararsi per uscire con lui. Non aveva intenzione di ascoltare il commissario né, tanto meno di recarsi nel luogo da lui indicato alle 20 per farsi assegnare quel bodyguard di cui aveva parlato Lisandro... aveva altri programmi e nessuno gliel’avrebbe rovinati.
“- Mati, te l’ho detto. Niente di serio. Mi passi quella pochette, per favore?” disse lei, indicando una borsa semi coperta da un cuscino del sofà, tentando di cambiare discorso. “- Ok, tieni. Capisco, non ne vuoi parlare… perfetto. Non voglio farti incupire ancora!” Esclamò lui, fissandola come imbambolato correre per la camera  in uno splendido abito rosso corto fino al ginocchio. “- Ecco bravo, allora non chiedermi nulla. Sei pronto? Andiamo?” chiese lei, scostandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio e guardandolo con decisione. “- Sei splendida…” disse lui, fissandola e facendola sbuffare, come fosse annoiata dal complimento o meglio, dalla persona che glielo aveva fatto. “- Stasera devo distrarmi!” ridacchiò lei con aria astuta, camminando verso la Ferrari del La Fontaine. “- Più del solito?” ironizzò l’uomo, recandosi verso il posto di guida. “- Sì, molto di più.” Sentenziò lei, con sguardo fiero, sedendosi in auto e richiudendo la portiera con un botto. “- Molto bene, allora cambio di programma: niente ristorantino per due, tanto so che lo detesti e che non fa per te… la porto a ballare, signorina!” esclamò lui, accendendo il motore e facendolo rombare volutamente più del dovuto. “- Perché, secondo te sono la tipa da cenetta romantica? E comunque è presto per la discoteca, non sono ancora le otto!” rise lei, continuando a recitare un ruolo: ormai non era più sé stessa e se ne rendeva conto sempre di più. “- La cena a lume di candela sarebbe piaciuta a qualunque donna o ragazza!” tentò di dire Matias, con gli occhi fissi sulla strada. “- Io non sono una qualunque…” ghignò lei, osservando il suo sguardo quasi cattivo nello specchietto laterale che la fece quasi rabbrividire.
Un sms le fece vibrare la borsa che teneva poggiata sulle gambe e, temendo di sapere che potesse essere suo cognato o sua nipote che insistevano per farle cambiare idea e consigliandole andare in commissariato, non lesse neppure il messaggio. “- Vedi chi è almeno!” rise il biondo, vedendola titubante sul da farsi. Afferrò il cellulare e lesse un messaggio che la sconvolse. “LA FINE, COME PER MARIA, E’ VICINA”. Stesso testo, stessa frase minacciosa, improvvisamente si ricordò che stava andando velocissima su quell’auto e cominciò a chiedere al biondo di fermarsi. “- Matias fammi scendere. Subito.” Urlò una prima volta, mentre lui, cantando una canzone rock che stavano passando alla radio, neppure la sentì, anzi, aumentò il volume di quel frastuono assordante. “- Ti ho detto che mi devi far scendere, adesso!” strillò ancora lei, spegnendogli la musica e facendo sì che lui la fissasse sconvolto. “- Sei diventata troppo strana, lo sei da questa mattina! Si puo’ sapere che ti prende? Una volta eri più divertente, Saramego!” chiese lui, rallentando un po’ e guardandola di tanto in tanto sott'occhio. “- Portami a casa, per favore. Non mi sento bene e non voglio rovinare la serata anche a te.” Disse, toccandosi la fronte sudata per lo spavento, mentre La Fontaine fece una azzardata inversione per rispondere all’ordine della donna che si tenne al sediolino, fingendosi rilassata. “- Ok, avevi ragione sul fatto che fosse presto per la discoteca… ma ti vedo comunque diversa dal solito, come se qualcosa ti stia preoccupando… se vuoi resto io a farti compagnia a casa, stasera...” disse con tono fin troppo allusivo e malizioso, l’uomo. “- No, grazie. Devo stare da sola.” Ribatté lei, con la sua solita aria decisa e forte. “- Ok, come vuoi… beh, fammi sapere come ti senti dopo, ok?” disse lui, sporgendosi per baciarla. La donna ignorava quasi il fatto di essere arrivata già a destinazione e fissava, ancora assorta, lo schermo del cellulare. Tutto ciò che Matias riuscì ad ottenere fu un bacio sulla guancia che riuscì a darle rapidamente e che la fece risvegliare da quello stato di trance. “- Grazie e scusami. Ci sentiamo.” Esclamò, scendendo dalla macchina e salutandolo con la mano. Attese che l’auto andasse via fingendo di armeggiare con le chiavi ma, non appena vide il bolide rosso fiammante svoltare l’angolo si incamminò verso il commissariato, impaurita e controllando, in ogni secondo, se qualcuno la stesse seguendo. Il cuore le batteva all’impazzata e con quei tacchi era difficile correre ma, per fortuna, alle 20 e 15, riuscì ad approdare, sana e salva, al luogo in cui avrebbe dovuto vedere il poliziotto e la nipote con il cognato.
 
 
“- Allora come vi dicevo, ho pensato a tutto, dovremmo agire in fretta e prima vi assegneremo una guardia del corpo meglio sarà per tutti e tre… e a questo punto lei non verrà, vero?” disse, ad un tratto, Lisandro, cambiando discorso e riferendosi alla più piccola delle Saramego. “- Io penso che ci sarà.” Sentenziò Violetta speranzosa, convinta che la zia si sarebbe presentata di lì a poco in quell'ufficio. Ci fu un momento di imbarazzante silenzio e, da una porta a vetro entrò qualcuno. “- Scusatemi, so che sono in ritardo, a dire il vero non ci sarei neppure venuta ma… ne ho ricevuto un altro. Un sms, sta volta.” Angie era apparsa sull’uscio e si avvicinò alla scrivania solo quando il commissario le fece un cenno. Si sedette accanto alla nipote che le sorrise, stringendole la mano con forza come per infonderle coraggio. “- Ecco, appunto… mi lasci il cellulare così lo analizzeremo.” Ordinò l’uomo, mentre un agente le strappò la borsa dalle mani con grande disapprovazione da parte della donna. “- Ehi, tu! Ridammela!” urlò, stizzita, mentre un giovane poliziotto aveva già scaraventato tutto il contenuto della pochette sul tavolo.
“- Tenga, commissario!” disse, soddisfatto, il ragazzo, passando uno smartphone bianco fiammante al suo capo. “- Bene, grazie… dunque, signori, vi presento il mito della security di tutta l’America del Sud, Cardozo Valdez.” esclamò Lisandro, mentre un omaccione che incuteva timore al solo guardarlo, entrava, seguito da due uomini, un bel ragazzo sulla ventina e un moro sulla trentina che fu particolarmente fissato da Lisandro. Erano tutti e tre vestiti come dei perfetti bodyguard: abito scuro con cravatta nera, camicia bianca, auricolare e occhiali da sole anche in piena sera. “- Buonasera.” Salutò il loro capo andando ad affiancare il commissario dietro alla scrivania. “- Buonasera.” Salutarono i tre, quasi all’unisono. “- Il commissario mi ha già raccontato tutto, so che dovete vivere al sicuro fino a quando i passaporti e documenti falsi non saranno pronti con le vostre nuove identità… bene, ho già trovato due dei miei assistenti a cui assegnarvi.” iniziò Cardozo, togliendosi finalmente gli occhiali. “- Lei è perfetto per mia figlia! Voglio che se ne occupi lei in prima persona.” Disse subito German, notando quanto quell’uomo potesse apparire ancor più minaccioso dal tono di voce che aveva. “- No, signor Castillo, mi dispiace. Io ho un’ agenzia da far funzionare e sono già in difesa di alcuni personaggi famosi di Buenos Aires, ad esempio la figlia dell’ambasciatore Francese… non posso avere un’altra giovane da controllare.” Sentenziò Valdez, facendo cenno al ragazzo vestito di scuro di  avvicinarsi. “- Lui è Leon Vargas. Non si lasci intimorire dal fatto che sia giovane, è un ottimo agente. Inoltre, desterebbe meno sospetti al fianco di una ragazza dell’età di sua figlia.” Spiegò Cardozo. Violetta prese a fissare quel giovane un po’ stupita: era davvero piccolo d'età rispetto all’altro, avrà avuto un cinque o sei anni più di lei. Ma, fondamentalmente, la cosa che la colpì di più furono i suoi occhi quando Vargas si tolse gli occhiali da sole e prese a fissarla intensamente. Lei, imbarazzata, abbassò lo sguardo e quando lo rialzò, si trovò ancora gli occhi verdi e profondi del giovane che la scrutavano, con un mezzo sorrisetto, questa volta, disegnato sul volto. Aveva capito che l’aveva messa a disagio e la cosa sembrava divertirlo.
“- Non ci penso proprio!” urlò, d’un tratto, German facendo sì che tutti prendessero ad osservarlo con aria strana. “- E’ troppo giovane! Non sarà neanche in grado di proteggere sé stesso, figuriamoci se io gli possa mai affidare la mia bambina, il bene più prezioso che ho!” strillò, nervoso, Castillo. Cardozo stava per ribattere ma fu il giovane ad intromettersi nella conversazione che, ferito nell’orgoglio da quella frase non riuscì proprio a starsene zitto. “- Mi scusi. Offendendo me sta offendendo il signor Valdez. Se lavoro nella sua agenzia un motivo ci sarà, non crede? E per la cronaca ho 23 anni. Non sono un moccioso come pensa lei.” Si giustificò Leon, prendendo adesso a fissare il padre della giovane.
German restò in silenzio, quasi sorpreso dal fatto che il ragazzo gli avesse risposto in quel modo tanto indisponente ma, in effetti, aveva ragione: se lavorava per Valdez doveva essere all’altezza della sua agenzia. Ci fu un secondo di imbarazzante silenzio, fino a quando Cardozo non fece segno all’altro bodyguard di avvicinarsi alla scrivania dove era seduto il commissario Lisandro che ascoltava in silenzio e fissava un po’ stizzito il moro. “- L’agente Galindo, invece, si occuperà della protezione della signorina.” Esclamò il capo delle guardie del corpo, mentre Angie scoppiò in una fragorosa risata che sconvolse tutti. “- Ah ah ah! Lui? Per favore! Questo qui non sarebbe neppure in grado di uccidere una mosca! Ma sta’ scherzando? Non ha nemmeno il fisico per il lavoro di bodyguard!” esclamò, osservando dall’alto in basso il moro che alzò un sopracciglio, stizzito. “- Non si preoccupi. Ci serve un uomo che non dia nell’occhio, come per quanto riguarda la ragazza. Pablo sarà la sua ombra e mi creda… ne farebbe fuori volentieri di mosche pur di difendere un proprio protetto. Più di quanto non possa immaginare, signorina.” Disse, serio, Valdez, facendo sì che la bionda smettesse di sghignazzare e fissasse Galindo con aria meno divertita. Quella frase, a dire il vero l’aveva un po’ inquietata: sarà stato l’aspetto o il tono di voce di Cardozo, ma tentò di fidarsi, per quanto scettica fosse, che quel Pablo, come l’aveva chiamato il suo capo, forse, avrebbe potuto in qualche maniera proteggerla. “- Beh, hanno qualche arma segreta almeno? Che ne so… una pistola, spray urticanti o cose del genere?” chiese, curiosa, Angie. “- Mi creda, non ce ne sarà bisogno. Pratichiamo un corso di arti marziali prima di essere assunti nell’agenzia di sicurezza del signor Valdez… e bastano quelle mosse per mettere al tappeto qualunque persona fastidiosa.” Esclamò Galindo, facendo annuire anche Vargas che sorrise divertito al solo pensiero di stendere gente molesta. “- Bene, adesso vi spiego come vi dovrete comportare. Leon vivrà a villa Castillo, sarà l’amico straniero di Violetta e dovrà frequentare lo Studio 21, per tenerla sempre sotto controllo. Abbiamo già provveduto all’iscrizione all’accademia e il preside ci ha giurato che manterrà il segreto. Mi raccomando: nessuno deve sapere che è il tuo bodyguard. Sarà un amico, fidanzatino o qualcosa del genere. Vargas si occuperà anche della protezione di German visto che vivrà alla villa. Tanto lei lavora a casa, giusto?” esclamò Cardozo, osservando la faccia sconvolta di Castillo. “- Che cosa? Mi dovrei far proteggere da quel moccioso? Ma nemmeno per sogno!” urlò German, mentre Vargas alzò gli occhi al cielo, stanco di venir definito un ragazzino. “- Sì. E la smetta di lamentarsi o le incollo una guardia del corpo 24 ore su 24, solo per lei. Ringrazi che ho ascoltato la sua richiesta di non averne una personale!  Leon però si occuperà principalmente di sua figlia. Si fidi di me. “ esclamò, stizzito, Valdez, prendendo degli appunti. “- Per quanto riguarda la signorina Saramego e Galindo… dunque Pablo come te la cavi con la musica?” chiese, d’un tratto, l’uomo più anziano. “- Alla grande, capo.” Si vantò il moro, ghignando alla Saramego che si voltò dalla parte opposta con aria nervosa.
“- Benissimo. Ho parlato con Antonio Fernandez anche per quanto riguarda te, sarai un sorta di apprendista della signorina, un nuovo insegnante per intenderci, suonerai nelle sue lezioni e non la perderai di vista neppure per un attimo. Lei si trasferirà a casa tua e vivrete insieme. Chiaro?” chiese Cardozo, con decisione facendo annuire Galindo che poi, prese a fissare la bionda che aveva un’aria assorta ma che sembrò scattare di colpo improvvisamente: “- Che cosa? No! Non ci penso proprio!” urlò, d’improvviso, avendo forse realizzato la richiesta di Valdez, in particolare l’ultima. “- Signorina, casa sua è fin troppo a rischio! Dove ha trovato il primo messaggio?” chiese Roberto, sporgendosi verso di lei che abbassò lo sguardo, nervosa. “- Nella cassetta della posta ma questo cosa c’entra? Io non vado da nessuna parte!” strillò lei, alzandosi per afferrare la borsa ma venendo fatta risedere dalla nipote che la tirò per un braccio di nuovo sulla sedia. “- Lei vive da sola. E’ quella che ha ricevuto più messaggi di tutti, per giunta uno proprio dove abita. Pensa di poter continuare così?” la rimproverò Lisandro, fissandola con aria più premurosa che severa, nonostante il suo tono lo fosse stato, ed anche molto. “- Sì, ok. Ma io non mi muovo da casa mia! Tanto meno per andare a stare da uno sconosciuto! No!” strepitò lei, prendendo poi ad osservare il suo bodyguard. "- Come se per lei fosse un problema!" la schernì German, facendo sì che lei stesse per ribattere qualcosa in malomodo ma, che per fortuna, venisse interrotta dalla voce della guardia del corpo. “- E va bene. Commissario, se permette giungiamo ad un compromesso: se la signorina non vuole venire da me, mi trasferirò io da lei…” disse, con tranquillità, Pablo. “- Cosa? No! E poi casa mia è sempre piena di amici, ospiti… non resto mai da sola!!!” esclamò lei, incrociando le braccia al petto con aria furiosa. “- Mi immagino! Tutta bella gente come quel poco di buono del suo fidanzato!” borbottò ancora German, alludendo al biondo La Fontaine. “- Ex fidanzato! E comunque fatti gli affari tuoi, tu! Ancora parli della mia vita? Lo vuoi capire che non è affar tuo? Sei mio cognato, non mio padre!” urlò, alzandosi, la bionda ed avvicinandosi all’uomo con incedere di sfida.
“- SMETTETELA DI BLATERARE! E’ deciso: Vargas dai Castillo e Galindo a casa della Saramego. Non voglio sentir volare più una mosca. E comunque, come avrete capito, riapriremo il caso sull’incidente.” Esclamò il commissario Lisandro, alzandosi ed andando a prendere un raccoglitore in cartone alle sue spalle, su delle alte mensole. “- Ma quindi pensate che… insomma, i messaggi possano essere ricollegabili alla scomparsa di mia moglie? Ne è sicuro?” chiese German, sgranando gli occhi.
“- Qualcuno odiava Maria. Lo stesso qualcuno, vendicatosi di lei, non ancora soddisfatto, vuole colpire voi, le tre persone più amate dalla donna e che lei amasse più di qualunque altra cosa al mondo. Abbiamo a che fare con un folle, questo è chiaro. E voi avete bisogno di guardie del corpo che vi proteggano. German, non avrà un diretto bodyguard, come mi ha chiesto seppur non trovandomi d'accordo, ma Leon riuscirà a vigilare sia sulla giovane che su di lei. Signorina Saramego, si rassegni e mi raccomando: NESSUNO deve sapere che Leon e Pablo, in realtà, sono agenti in missione. Chiaro?” esclamò Lisandro, fissando, al di sotto dei suoi occhialetti, i tre. “- Chiaro.” Dissero, mestamente, loro in coro. “- Bene, andate! Voi due cambiatevi in bagno e toglietevi queste divise da guardie del corpo, non dovete dare nell’occhio. Tenterò di fare in fretta con i documenti per mandarvi in un posto sicuro, intanto, le indagini saranno riaperte e tenteremo di trovare questo pazzo. Buonanotte. Vi aggiorneremo noi per eventuali novità.” Sentenziò il commissario, conducendoli verso l’uscita dell’ufficio mentre, anche Leon e Pablo li seguirono per cambiarsi con degli abiti più semplici e facendo sì che si dividessero per non dare nell’occhio, il più giovane si diresse al piano di sotto con padre e figlia, mentre il più grande seguiva una stizzita Saramego. “- Senta, mi stia lontano, ok? Si vada a cambiare e si sbrighi che una volta a casa dovrei uscire!” si lamentò Angie nell’immenso corridoio del commissariato, intimando di sbrigarsi alla guardia del corpo. “- Bene, dove si va?” chiese lui con aria astuta, stringendo a sé dei capi di vestiario, che gli avrebbero dato l’aspetto di una persona qualunque. “- Che significa dove si va? Oh, no, mio caro! Lei da nessuna parte! Io ho appuntamento con il mio uomo. Lei faccia quello che le pare!” strillò la bionda, entrando nei bagni e appoggiandosi ai lavandini mentre lui, dentro ad uno di essi, si stava vestendo. “- Non credo proprio… forse lei non ha capito qual è il mio ruolo. Ha presente un’ombra? Ecco, io sarò la stessa cosa per lei. So essere molto professionale e mi creda, questo è uno dei casi migliori di protezione che mi siano mai capitati e non intendo perderla di vista. E, per la cronaca, credo che il suo ‘amico’, anzi ex, se prima non ho sentito male, sia già da qualche parte a divertirsi… o sbaglio?” esclamò, ormai pronto, uscendo dal bagno e fissandola con aria decisa e furba. “- Ma si figuri! Verrà di sicuro a prendermi, non riesce a stare lontano da me! Sono come una calamita per lui, e non stenterà a crederlo! Ma poi lei cosa ne sa di me, di lui, scusi? Spara sentenze, giudica! Si faccia gli affaracci suoi!” esclamò, stizzita e frugando nella borsa per cercare il cellulare, dimenticandolo di averlo dovuto lasciare al commissario per i controlli. “- Dannazione!” imprecò, appoggiandosi con le spalle al muro e portandosi una mano alla fronte. Pablo era rimasto un po’ lontano e le si avvicinò, porgendole il suo telefono. “- E cosa ci dovrei fare con questo?” disse, acida, la donna, alzando un sopracciglio con aria stranita dalla cosa. “- Deve avere la prova di ciò che le ho appena detto. Lo chiami e gli chieda di passare a prenderla!” esclamò, con aria astuta e con un ghignetto irritante, Galindo. “- Va bene, mi dia quell’affare!” disse, stizzita, componendo un numero. “- Mati! Ma cos’è questa musica? Ah sei già in disco… non è che passeresti a prendermi, mi sento molto meglio… ah, non puoi proprio. Bene, sarà per un’altra volta, suppongo. Ciao.” Disse, con aria triste lei, riagganciando. “- Allora?” chiese l’agente, ridendo. “- Stia zitto!” borbottò Angie, prendendo a camminare nel corridoio deserto, provocando un frastuono causato dai suoi tacchi a spillo. Pablo la osservò, era indubbiamente molto bella, ma era la solita insopportabile donna frequentatrice di locali e brutte compagnie. “- E si muova! Ah! Di questo passo dovrò proteggere io lei! Andiamo bene!” l’urlo di Angie in lontananza lo risvegliò da quelle riflessioni e la seguì, per portarla a casa sua e restarci. Sarebbe stata dura… ma doveva riuscire a convincerla a fare la scelta migliore.
 
 
“- Allora Leon, mettiamo le cose in chiaro: capisco che tu debba vegliare perennemente su mia figlia…” iniziò German, in auto, mentre caricava la borsa con gli effetti personali di Vargas nel portabagagli. “- E.. su di lei.” Sottolineò, quasi come per provocarlo, il ragazzo ridacchiando. “- Sì, ma sorvoliamo su questo punto. Dunque, tieniti comunque a debita distanza. Non voglio brutte sorprese e sei sveglio, capisci cosa intendo…” si raccomandò l’uomo, prendendolo da parte mentre la ragazza saliva in auto. “- PAPA’! Smettila e andiamo!” rise la giovane, richiudendosi la portiera con foga. “- Signor Castillo… pensa che mi possa interessare una ragazzina? Io ho 23 anni. E sono un agente. Sa com’è… frequento altri ambienti, altre persone. Sua figlia è in una botte di ferro. In tutti i sensi.” Disse, misteriosamente, Vargas, salendo e sedendosi accanto a Violetta. “- Che vuoi dire, ragazzino?” disse German, rimanendo in piedi, di spalle all’auto e alquanto perplesso. “- Voglio dire che puo’ stare tranquillo! Possiamo andare, adesso?” sorrise Leon, sporgendosi dal finestrino abbassato della grande automobile. “- Sì, certo. Ti terrò d’occhio, sarò il tuo riflesso e…” iniziò Castillo, sedendosi e mettendo in moto. “- Ehi, le ricordo che qui la guardia del corpo sono io! Io tengo d’occhio! Io sarò il vostro riflesso e, se continua ad andare così piano, io la sostituirò al posto di guida!” ironizzò Leon, facendo scoppiare a ridere la giovane. “- Fai poco lo spiritoso o…” ma fu interrotto: “- O cosa? Le ricordo che Cardozo vi ha già parlato di quelle mosse speciali di arti marizali… beh, non me le faccia usare subito!” lo minacciò, con tono scherzoso, Vargas, cominciando a ghignare con aria furba. “- Mi stai minacciando, moccioso? Pensa ad usarle contro chiunque si voglia avvicinare alla mia bambina!” lo corresse, fissandolo con aria di sfida dallo specchietto, l’uomo. “- Bambina? Papà ho 16 anni!” si lamentò Violetta, fino a quel momento rimasta in silenzio ad assistere al siparietto, che si era svolto come se lei nemmeno fosse stata presente in macchina. “- Beh, allora ha ragione tuo padre. Sei una bambina! Però, addirittura 16! E io che te ne davo al massimo 13!” ironizzò Leon, voltandosi dalla parte opposta per fissare fuori dal finestrino. “- Smettila! Non sei simpatico!” disse la ragazza, dandogli una gomitata e facendolo finire quasi con il naso spiaccicato nel vetro. “- Ehi, ragazzina! Piano!” rise lui, facendola incantare per un secondo a fissare quegli occhi verdi così decisi ma, allo stesso tempo, tanto dolci. No, era odioso! Quel montato credeva di essere il padrone del mondo. E già lo sopportava poco. “- Siamo arrivati. Si scende.” Disse German, fermando la macchina davanti al vialetto di villa Castillo. “- Però! Questa si che è una reggia!” commentò Vargas, scendendo dall’auto e rimanendo incantato da quella enorme casa… ed era solo l’esterno! Quando entrò in casa rimase a bocca aperta, sconvolto e sorpreso. “- La tua stanza è di sopra, la camera degli ospiti è proprio accanto a quella di mia figlia… e ricordati ciò che ti ho detto.” Si raccomandò German, poggiandogli il borsone al suolo: era stato un bene che Cardozo lo avesse avvisato di portarsi qualche effetto personale per un eventuale trasferimento a casa dei Castillo. “- Bene, e lei si ricordi che io comunque devo fare il mio lavoro.” Sentenziò Leon, fissando ancora la giovane e prendendo la valigia per andare nella stanza designata dal padrone di casa. Non sarebbe stato per nulla facile ma era il suo primo impiego importante: la figlia della Saramego, la celebre cantante deceduta, era stata affidata a lui e non aveva intenzione di fare brutte figure, non ne faceva mai e non voleva cominciare proprio con quel suo lavoro, così importante e di responsabilità.
 
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Ehilà! Eccoci al secondo capitolo! Prima di tutto grazie a chi recensisce e legge! *-* Vi piace la storia? Pablo e Leon versione bodyguards mi fanno impazzire! *-* XD bene, come proseguirà la vicenda? Arriveranno altri messaggi? Si scoprirà qualcosa in più su questo folle? E l’incidente di Maria… sarà stato davvero solo un incidente? Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 3
*** Uno spettacolo pericoloso? ***


“- Sono teso! Il ruolo di musicista mi mancava!” esclamò Pablo, parcheggiando l’auto fuori dallo Studio 21 e fermandosi ad analizzare il posto con fare investigativo e sospettoso come al solito. “- Che bello!” sussurrò ironicamente Angie, seduta al suo fianco e fissando la strada di fronte a sé, quasi annoiata dalla faccenda. “- Prego, si scende!” sorrise Galindo, aprendole la portiera con fare galante.
“- Scommetto che il tuo Mati non è così cortese…” rise poi, facendo sì che lei lo fulminasse con lo sguardo. “- Devi camminarmi per forza così vicino? E’ imbarazzante! E’ stato già alquanto strano dormire con uno seduto su una sedia, accanto al letto, che mi fissava per controllare che qualche folle non venisse a farmi fuori! Ora crederanno tutti che sia il mio fidanzato!” disse, sottovoce la donna, prendendo a salutare dei ragazzi con aria simpatica e allegra. “- E quindi? E’ il mio lavoro! Non pensi che avrei preferito farmi una bella dormita anch’io piuttosto che restare fino all’alba a sorvegliare te che dormivi?  E per quanto riguarda la questione dello stare insieme… beh, penso che lo sospetteranno in molti da questo momento in poi quindi, abituati all’idea!” esclamò lui, vedendola stizzirsi ancora di più e anticipandolo all’interno della scuola, prendendo a precorrere rapida il corridoio che avrebbe portato agli spogliatoi. “- Potresti anche aspettarmi, sai?” rise lui, tentando di non dare nell’occhio per apparire meno serioso del solito. “- Da quando siamo passati a darci del ‘tu’? Comunque potresti anche lasciarmi per un po’ in pace! Devo andare in bagno! Vuoi seguirmi anche lì o posso ancora cavarmela da sola, tu che dici?” chiese lei, ironicamente e con un filo di acidità nel tono della voce che, comunque, non sfiorò nemmeno la solita calma e pacatezza della sua guardia del corpo. “- Hai iniziato tu, quindi non lamentarti! E comunque sappi che ti aspetto di fronte alla porta, appoggiato ai lavandini, prego, madamigella!” disse con aria seria l’uomo, aprendo la porta dei bagni. “- E’ solo per donne, non ci puoi neppure entrare!” esclamò lei, divertita e soddisfatta della cosa, indicandogli l’omino sul cartello esterno. “- No, io ci vengo, invece.” Ribatté prontamente lui, tentando di scostarla. “- E invece no! Non credo proprio!” replicò, come una bambina, la donna, opponendo l’entrata con il suo corpo.
“- Buongiorno!” alle loro spalle era spuntata, come dal nulla, Jackie Saenz, la coreografa e insegnante di danza della scuola, facendoli sobbalzare e voltare di colpo verso di lei. “- Salve!” dissero loro in coro ma tornando poi a fissarsi con aria di sfida. “- Dovrei entrare… ti sposti?” esclamò, acidamente, la bionda, facendo cenno ad Angie di togliersi dai piedi. “- Se devi vedere il tuo fidanzato, almeno fallo fuori dalla scuola!” esclamò l’ultima arrivata, facendo scoppiare a ridere lui e innervosire lei che rimase sconcertata. “- Te lo avevo detto che avremmo reso quell’idea!” sentenziò lui, schioccandole un inaspettato bacio sulla guancia che gli fece quasi beccare un ceffone che lui riuscì prontamente a schivare, prevedendo la sua mossa e bloccandole il polso e scuotendo il capo, per poi lasciarla subito delusa di non essere riuscita a colpirlo. “- Non è il mio fidanzato! Per carità! Ma ti pare?” urlò la Saramego, mentre la Saenz era appena uscita dal bagno e si stava lavando le mani con un ghigno, fissandosi allo specchio di tanto in tanto. “- Ah, buono a sapersi!” rise, prima di scostarla ancora in malo modo e di uscire ancheggiando, dopo aver lanciato un’occhiata scrutatrice e seduttrice a Galindo che se ne accorse e le resse il gioco, pur non avendo alcun interesse per quella tizia così acida, per quanto attraente.
“- Non provare mai più a colpirmi o ti mollo qui da sola e poi voglio vedere come te la cavi con quei messaggi inquietanti e con il folle!” disse, serio, l’uomo, lasciandola impalata sotto la porta e allontanandosi verso le classi. Dovevano presentarlo in aula teatro insieme al nuovo allievo: Leon Vargas. “- Dove pensi di andare! Torna qui! Non puoi lasciarmi da sola!” strillò lei, rincorrendolo con difficoltà a causa dei tacchi vertiginosi. Aveva riflettuto su quell’ultima parte della frase di Galindo e, nonostante fosse un carattere ribelle e libertino, diventata così dopo la scomparsa di sua sorella, temette per il peggio senza di lui al suo fianco. Riuscendo a raggiungerlo, gli si parò di fronte, quasi con aria dispiaciuta. “- Bene, vedo che hai capito. Andiamo? Hai finito di fare la mocciosa viziata e prepotente?” Disse lui, cingendole le spalle con fare amichevole e conducendola in aula, dove Antonio li attendeva, pronto per presentare i nuovi arrivati agli altri alunni. “- Non chiamarmi mai più così! Chiaro? E mollami!” si lamentò lei, sottovoce, ancora nervosa e scostandosi da quella stretta. “- No, certo, hai ragione! Bambina capricciosa ti si addice di più!” rise lui, con calma, varcando la soglia della sala teatro e lasciando lei indietro, ferma, a fulminarlo con lo sguardo.
 
 
“- Violetta! Che peccato che non sia venuta al karaoke, ieri sera!” la Castillo stava entrando nella scuola quando subito, Heredia le si parò contro, seguito da Maxi e Dj. “- Già, ci siamo divertiti un sacco! La prossima volta ci devi venire, però!” sorrise Ponte, cominciando a fissare poi, appoggiato con la schiena alla parete opposta, un viso nuovo, un bel ragazzotto dagli occhi verdi alto il doppio di lui ma dall’aria forte e tenace. “- Buongiorno, Vilu!” esclamò, allegramente, Francesca, arrivando con Camilla e Federico e salutando subito l’amica che aveva passato, da poco tempo, quel periodo difficile. “- Ciao, ragazzi. Scusatemi per ieri sera! Giuro che se organizzate un’altra volta non mancherò!” disse la giovane, sorridendo. “- Chi è quel bell’imbusto lì? Bello, tenebroso e solitario! Interessante!” Ludmilla arrivò ancheggiando come suo solito e si parò di fronte al gruppetto che chiacchierava allegramente, notando subito e indicando, il ragazzo nuovo. “- Nata! Vagli a chiedere subito chi è, informati su di lui, scattare!” ordinò la Ferro, mentre la mora scattò subito a quel comando e si avvicinò a Leon che la fissò dall’alto in basso, stupito di cotanta attenzione. “- E tu cosa vuoi?” disse, seccamente, il ragazzo, ghignando divertito dall'aria scioccata della Heraldez a quella frase.
“- Io nulla ma quella bionda, stupenda e super talentuosa, laggiù, vorrebbe conoscerti! Sei nuovo?” chiese Nata, perdendosi in un secondo negli occhi verdi dell’ultimo arrivato e sorridendo tontamente.
“- Sì. beh, dici alla tua amica che le mocciose non mi interessano e che sono qui unicamente per la musica.” Disse, seccamente, passando poi vicino al gruppo di Violetta e salutando con la mano, un po’ in imbarazzo, facendo restare a bocca aperta le giovani alunne dello Studio. “- E quest’angelo da dove salta fuori?” disse Camilla, facendo diventare verde di gelosia Dj, cotto di lei da quando aveva messo piede per la prima volta allo Studio 21. “- Beh, se i nuovi arrivi fossero tutti così…” esclamò Lena, facendo fare una buffa espressione a Napo che incrociò le braccia al petto, stizzito. “- Dai, smettetela! Leon! Vieni qui!” sorrise Violetta, chiamandolo a gran voce e agitando una mano per farlo tornare indietro. “- Fermi tutti! Com'è che lo conosci?” chiese Ludmilla, interessatissima, correndo verso di lei e scostando Nata in malo modo. “- Sì. I suoi genitori sono amici storici di mio padre e sta a casa mia per un po’, fino a quando i suoi non torneranno a Buenos Aires.” Mentì la ragazza, accordatasi la sera precedente con lui… dopo varie ripicche da parte di entrambi erano giunti a quel credibile compromesso e poi, se gli amici lo avessero trovato a villa Castillo, non sarebbe stato un problema, in fondo anche Cardozo Valdez aveva parlato di qualche scusa del genere per giustificare la presenza del giovane. “- Salve a tutti…” salutò il messicano, scostandosi un ciuffo dagli occhi e cominciando a presentarsi con aria decisa e fiera come tipico del suo carattere. “- Io sono Leon, sono nuovo e amo tantissimo la musica.” Si limitò a dire, fissando i presenti e guardando, un po’ disgustato, la Ferro. Non era brutta, anzi, era una splendida e affascinante ragazza, ma il fatto che indossasse una tuta leopardata e avesse quelle movenze a grande diva lo fece rabbrividire e divertire allo stesso tempo. “- Tu non sei di qui!” intuì subito DJ, afferrando l’accento Messicano del ragazzo, tanto simile al suo. “- Sì, ho di origini messicane.” Spiegò lui, un po’ teso da tutti quegli sguardi puntati addosso... per quanto fosse sicuro di sé la situazione era alquanto imbarazzante. “- Sei più grande, però! Quanti anni hai?” chiese subito Lena, alquanto colpita da quel ragazzo, palesemente più grande soprattutto rispetto a lei che era la minore del gruppo. “- 23.” rispose seccamente Leon.
Thomas, intanto, era vicino al gruppo e osservava, in silenzio, la scena. Ecco cosa doveva fare di così importante la sera precedente la giovane! Doveva accogliere in casa sua il bell’imbusto dal Messico!
“- Ora capisco qual era la faccenda importante per cui ieri sera non sei venuta!” iniziò Fran, con aria furba, fissandola con l'aria di chi la sa lunga. “- Esatto! Non  potevo lasciarlo da solo… intendo, è un ospite!” sorrise imbarazzata lei, abbassando gli occhi, mentre da lontano, Antonio, li avvisò con un cenno della mano di seguirlo in sala teatro. “- Cavolo, la riunione! Quasi dimenticavamo la riunione!” urlò Andres, prendendo a correre e precedendo il gruppo rapidamente. “- Violetta, posso parlarti?” Thomas le si avvicinò quando, finalmente, erano rimasti soli in corridoio e tutti gli amici si erano recati verso la classe per sentire cosa dovesse dirgli il preside e direttore dell’istituto. “- Thomas, certo! Cosa vuoi dirmi?” chiese lei, sorpresa di quella richiesta e fissandolo. Aveva un’aria insolitamente tesa ed era visibilmente arrabbiato. “- Mi stai spaventando! Parla!” disse la giovane, mentre, in lontananza, Vargas era rimasto sull’uscio della sala per non perderla d’occhio. “- Perché non me l’hai detto?” chiese Heredia, abbassando lo sguardo, nervoso. “- Cosa? La questione di Leon? Beh, è arrivato quasi a sorpresa, io non ne sapevo nulla, papà mi aveva solo detto che dovevo restare con lui e… non capisco perché debba giustificarmi con te! Siamo amici storici io e lui! E poi non sono la tua ragazza!” esclamò lei, incamminandosi e lasciandolo imbambolato, al centro del corridoio, con aria delusa. Gli aveva fatto male sentire quelle parole. Sapeva di non essere il suo fidanzato ma lo aveva ferito. Non aveva intenzione di arrendersi: era certo che, un giorno, prima o poi, sarebbero stati insieme.
 
 
“- Buongiorno alunni e professori! Vorrei presentarvi due nuovi membri dello Studio 21! Allora, il primo è questo giovanotto: Leon Vargas. E’ di origini messicane e, da oggi, frequenterà tutti i corsi qui in accademia. Benvenuto, Leon!” Antonio era al centro della sala, di fronte agli studenti, circondato dai professori della scuola: Jackie, Beto, Gregorio e Angie alla quale, si era affiancato un volto nuovo, Pablo che fissò subito Leon che gli sorrise di rimando. “- E poi, ho l’onore di presentarvi un musicista che aiuterà nelle lezioni, date il benvenuto anche al nuovo insegnante, Pablo Galindo.” Sorrise l’anziano uomo, mentre subito un altro applauso si levò nella sala. “- Bene, ma vi ho riuniti tutti qui non solo per questi nuovi arrivi. Devo parlarvi di uno spettacolo molto importante che si terrà tra un bel po’ di mesi: il Teatro Mayor sarà il vostro palco! Uno dei luoghi d’arte più importanti di Buenos Aries!” A quel punto i ragazzi cominciarono ad esultare, tutti entusiasti all’idea di un vero e proprio spettacolo in grande stile. “- Oh no…” balbettò Angie fra sé, osservando anche l’aria parecchio preoccupata della nipote, di fronte a sé, che anche Leon aveva preso a fissare. Pablo, invece, lanciò un’occhiata rapida alla Saramego che era impallidita, come anche Violetta che tentava di apparire rilassata ma che si vedeva lontano dieci miglia quanto non lo fosse per nulla. Avevano avuto lo stesso identico pensiero: quel teatro. Era il luogo in cui Maria avrebbe tenuto quel suo ultimo concerto ma a cui, purtroppo, non era neppure riuscita ad arrivare. “- Calma…” sussurrò Galindo all’orecchio dell’insegnante, avendo compreso tutto anche lui, proprio come Vargas che, quasi senza pensarci, cinse le spalle della Castillo, provocando le ire di Thomas che prese a fissarli un po’ scocciato e triste. “- Prepareremo uno show ricco di varie esibizioni, balli e canzoni! I professori penseranno a tutto! Adesso andate in classe e buona giornata!” sorrise Fernandez, uscendo seguito dagli altri docenti dell’istituto. “- Sarà magnifico! Ma ci pensate? Il Teatro Mayor! Che meraviglia!” sorrise Francesca, fissando Federico che esclamò qualcosa in italiano, una sorta di: “- Da urlo!” che fece scoppiare a ridere solo la mora che lo comprese alla perfezione. “- Sarò di sicuro una delle protagoniste!” urlò Ludmilla, alzandosi ed avvicinandosi al gruppo con le sue solite movenze da diva. “- Vilu tu non hai detto una parola! Non sei felice?” sorrise Camilla, sedendosi accanto a lei e fissandola dolcemente. “- E’ in realtà una situazione complicata per me. Quello sarebbe stato il teatro in cui mia madre avrebbe tenuto quel concerto che…” ma si interruppe, lo sguardo basso e gli occhi lucidi. “- Scusami io non lo ricordavo…” si giustificò Camilla, imbarazzata per la gaffe e prendendole la mano per infonderle coraggio. “- No, tranquilla. Sto bene. Voglio raggiungere quel palco. Voglio cantare in quel teatro e voglio farlo per lei.” Disse la giovane, alzando lo sguardo con una decisione che fece rabbrividire Leon che prese a fissarla stupito di tale decisione. “- Beh, manca ancora molto allo show…” tentò di dissuaderla lui, osservandola quasi con dolcezza. Per un attimo si era messo nei panni della ragazza: aveva sofferto tanto e, forse, era maturata molto più in fretta rispetto al resto degli altri ragazzi. Il giorno prima l’aveva vista solo come una mocciosa a cui dover fare da babysitter, adesso era già un po’ diverso. Non poteva partecipare a quel concerto: sarebbe stata un bersaglio fin troppo facile e lui lo aveva capito da subito. Voleva tentare di farle cambiare idea ma la forza con cui la ragazza aveva pronunciato quella frase gli fece capire quanto sarebbe stato inutile solo provare a distoglierla da quella decisione. Doveva proteggerla e quello, d’altronde, era compito suo. “- Sì, ci manca molto, ma non intendo rinunciare.” Ribatté lei, tenace, sapendo dove volesse andare a parare Vargas che le sorrise, scuotendo il capo in segno di disapprovazione, cosa che lei ignorò del tutto o forse, finse di ignorare.
“- Brava! Sarà uno spettacolo grandioso, magnifico!” sorrise Francesca, entusiasta, che non poteva neppure lontanamente immaginare quanto rischiasse l’amica del cuore. “- Già! Da sballo” rise Maxi, dando il cinque a DJ e a Napo.
“- Ci sarò io con te per farti forza, tranquilla!” le sussurrò Thomas, avvicinandosi e prendendole le mani dolcemente. Leon fece una faccia disgustata e buffa allo stesso tempo ma restò zitto. “- Grazie, Thomas! Sul serio! Ho bisogno di qualcuno che mi appoggi… e saper che potrò contare su di te mi rende molto felice.” Esclamò la ragazza, sorridendogli debolmente e un po’ cupa in volto. “- Tutti ti faremo forza, nessuno più degli altri… anzi, in realtà io sì!” esclamò d’un tratto Leon alludendo al fatto che fosse il suo bodyguard segreto e ghignando ad Heredia che lo guardò male. “- Sì. ti saremo vicini, vedrai!” aggiunse Federico, abbozzandole un sorriso pacato. “- Grazie ragazzi, siete mitici!” disse lei, alzandosi per avviarsi verso l’aula. “- Aspetta!” urlò Leon, mentre lei camminava, da sola, nel corridoio. “- Ah, eccoti qui! Come ti è saltato in mente di fare quella battuta idiota? Vuoi farti beccare? ‘Io più degli altri!’ sei un cretino!” lo rimproverò la giovane, parandosi contro alla guardia del corpo che ruotò gli occhi al cielo, divertita. “- Quello Spagnolo è così tonto che neppure se glielo raccontassi capirebbe… figuriamoci!” ironizzò Vargas, allegramente. “- Oh, certo! Qui il genio sei tu! Dimenticavo! Beh, divertiti da solo! Non sei simpatico!” urlò la giovane, prima di svoltare dalla parte opposta al giovane, stizzita. Lui restò di sasso a fissarla… quella ragazzina aveva un bel caratterino, doveva riconoscerlo!
 
 
“- Non potrò tirarmi indietro! Sono un’insegnante!” esclamò Angie, camminando nervosamente avanti e indietro nella sala docenti, fortunatamente vuota. “- Sono certo che questo tizio colpirà proprio lì! E’ rischioso! Ragiona!” tentò di dissuaderla Pablo, fissando la donna che non aveva intenzione di cambiare idea. “- Io mi preoccupo per lei, piuttosto! Lei sarà sul palco, lei sarà un bersaglio più facile! Io sarò nel backstage! Cosa vuoi che mi accada?” chiese, stizzita, la bionda, sedendosi sul bordo del tavolo che troneggiava al centro della sala e temendo per l’incolumità della nipote. “- Lei non dovrebbe parteciparvi. E non lo deve fare, infatti!” ribatté Galindo, mentre, in quell’istante, la porta si aprì di colpo facendoli sobbalzare. Leon apparve sull’uscio e studiava i due con espressione fiera come al solito.
“- Che succede? Problemi?” chiese subito il moro, afferrando già il cellulare dalla tasca per chiamare rinforzi. “- Vuole parteciparvi. Avevate dubbi?” chiese il giovane, appoggiandosi con fare distratto allo stipite. “- E tu convincila del contrario! Ma adesso dov’è, scusa? Dovresti farle da ombra, Leon!” urlò Pablo, convinto che il folle avrebbe colpito proprio in quell’occasione, a quello show in programma.
“- Non lo farà, non le farò mai cambiare idea. Comunque è con quel idiota di Thomas… in classe con altre venti persone, tranquilli.” disse, seccamente, il biondino, fissando poi Angie che teneva lo sguardo basso e sorseggiava una tazza di caffè. “- Neppure lei vuole rinunciarvi, no?” intuì astutamente Leon, indicando la Saramego che alzò gli occhi di colpo e prese ad osservarlo con non curanza.
“- Perdonatemi se mi intrometto… ma voi cosa ci siete a fare, allora? dovete proteggerci, è il vostro lavoro, giusto? Bene, fatelo! Anche in occasione del concerto.” Sentenziò, seria, la donna, alzandosi e afferrando la borsa, pronta per uscire. “E poi manca un’eternità allo spettacolo. Mi auguro che abbiano già arrestato questo tizio fino ad allora.” esclamò, voltandosi e fissando negli occhi Galindo, per poi avviarsi nel corridoio, da sola. “- Ne riparliamo! Adesso bisogna seguirle! Forza, Vargas!” lo incitò il più grande, dandogli una pacca sulla spalla. “- Ah! Le donne! Tu vuoi evitare che le facciano fuori e loro neppure in quel caso ti danno ascolto!” disse Leon, ghignando divertito da quella sua frase, detta con tanta esperienza, come se avesse avuto minimo una quarantina d’anni.
Le lezioni proseguirono tranquillamente. Leon si stava ambientando benissimo e già sembrava essersi fatto degli amici… o meglio, sembrava a loro, dato che lui, seppur si trovasse bene in loro compagnia e dovette ammetterlo, continuasse comunque a guardarli con un minimo di aria di superiorità. Era più grande e, in quel momento, per lui, era in quel posto solo per lavoro, un compito di responsabilità ed importantissimo.
Pablo, dal canto suo, suonava tastiera e chitarra davvero bene e notò subito, intuitivo com’era, che Angie neppure voleva  toccare uno strumento, delegandogli spesso il compito di proseguire lezioni di cui lui non sapeva nulla. Probabilmente, per quanto forte tentasse di apparire, quel luogo, le ricordava fin troppo sua sorella, la collegava alla musica, al canto, e soffriva. Si notava lontano un miglio che ci stava male. Suonò, finalmente, l’ultima ora, i ragazzi si affrettarono ad uscire per recarsi prima agli armadietti e poi per correre verso casa. La bionda, invece, si era allontanata dall’aula, seguita prontamente da Galindo, e si stava già affrettando a rientrarvi, con una tazza di thè in una mano e l’aria sconvolta. “- Sei sparita e mi hai mollato tra pentagrammi fin troppo difficili per uno che non è neppure un musicista!” rise lui, andandole in contro nel corridoio, ormai deserto. “- Scusa. Non si ripeterà più.” Disse seccamente, ignorando il fatto che sapesse benissimo che la faccenda si sarebbe ripetuta. Ormai era sempre così: da quando, dopo la morte di Maria, era tornata finalmente allo Studio, era come se non avesse il coraggio di riaffrontare quel mondo che aveva portato via sua sorella, come se lo rifiutasse, per quanto lo amasse. La guardia del corpo se ne era già accorta e la scrutava, perdendosi negli occhi verdi e decisi della donna che, per un secondo lo fissò, sperando di aver reso l’idea della sua assenza per poi rientrare in silenzio nella classe.
“- Stai bene?” chiese l’uomo, mentre lei sistemava degli spartiti nella classe ormai vuota e assolata.
“- Sì.” rispose a monosillabo lei, fino a quando non si incantò a fissare uno testo di una canzone, un altro brano di sua sorella finito, misteriosamente, tra le sue cose. “- Non posso crederci. Ancora?” sussurrò lei tra sé e sé, analizzando quel foglio, anche quest’ultimo con delle lettere cerchiate in rosso. Prese carta e penna e scrisse, in ordine, quelle segnate per capire quale frase componessero. “- CALA IL SIPARIO?” Lesse, ad alta voce il bodyguard, che aveva aggirato la tastiera e le si era avvicinato, mentre lei era ancora immobile a fissare quel foglio. “- Lo spettacolo!” ebbe la forza di balbettare la bionda, richiudendo la cartelletta, fingendo un coraggio che non aveva. “- Lo sapevo! Dobbiamo andare in commissariato. Subito. Chiamo Leon, dovranno esserci anche Violetta e German.” Esclamò l’uomo, afferrando il suo telefonino dalla tasca. “- Se credi che questo matto mi faccia paura ti sbagli di grosso, Galindo.” Sentenziò lei, riprendendo la sua aria di superiorità e grinta. “- Beh, dovrebbe fartene! Se è come pensa il commissario Lisandro, e come sospetto anch’io… l’incidente di Maria non è stato solo un incidente. Questo tipo non ha scrupoli mi sembra di capire ed è in quell’occasione che farà ‘calare il sipario’! Potrebbe aver già iniziato la sua opera nel frattempo o potrebbe agire direttamente lì…” esclamò l’uomo, con decisione, prendendo a riflettere nervosamente. “- Non parliamone più qui. Qualcuno potrebbe sentirci…” disse astutamente la donna, afferrando la cartelletta e la borsa per dirigersi fuori. “- Andiamo alla polizia, li ho già avvertiti di quest’altro messaggio.” Disse Pablo, fissando la sua aria falsamente tranquilla. “- Lei lo ha ricevuto? Lo hai chiesto a Leon?” chiese lei, pensando subito alla tanto amata nipotina. “- Sul cellulare. Stesso messaggio. German ancora nulla…” sentenziò l’uomo, camminando al fianco della sua protetta nel corridoio ormai deserto. “- Il mio è ancora da Lisandro. Ecco perché mi ha contattato in questo modo!” Sbuffò lei, annoiata da quella situazione così spiacevole. Salì in auto e, con il suo agente, si avviò verso il centro di Buenos Aires, dove, da lì a poco, li avrebbe raggiunti Vargas con i due Castillo.
 
 
“- Un altro messaggio. Questa volta German non ha ricevuto nulla… strano.” Disse Roberto, analizzando con lo sguardo il cellulare di Violetta e il foglio portato dalla Saramego. “- Io non sono un membro dello Studio 21… forse è per questo!” disse Castillo, facendo annuire distrattamente il commissario. “- Probabilmente colpirà a fine anno. Allo show. E potremmo prenderlo proprio in quell’occasione!” disse Leon, avendo avuto la stessa illuminazione di Galindo. “- No, no e no! Mia figlia non parteciperà a quello spettacolo! E’ fin troppo rischioso! Le ha mandato un sms dicendole fin troppo chiaramente le sue intenzioni! Non cederò mai!” iniziò il padre, urlando stizzito e preoccupato, mentre la giovane che sbuffò sonoramente. “- Signor Casillo! Si calmi prima di tutto! Secondo: non possiamo far credere a questo folle che la ragazza abbia capito qualcosa e che soprattutto, stia collaborando con noi! Lei e la signorina Saramego DOVRANNO partecipare allo show. Altrimenti questo misterioso folle potrebbe insospettirsi… e poi lì avremmo milioni di agente in borghese per quella notte. Le assicuro che non correrà nessun rischio. Glielo posso giurare.” Disse, serio Roberto facendo abbassare gli occhi a German che sospirò con forza. “- Io non ho alcun problema a prendere parte al concerto di fine anno. Mancano ancora mesi, tra l’altro! Non ci sarebbe la possibilità che questo tizio venga arrestato prima?” chiese Angie, fissando Lisandro che afferrò dei moduli da un cassetto in basso alla sua scrivania. “- O peggio… che magari voglia solo farci andare fuori pista con quel messaggio e forse vorrà proprio colpire prima del concerto?” aggiunse Galindo, pensieroso.
“- Stiamo indagando, signorina. Ah, ecco il suo cellulare. Non abbiamo trovato nulla di utile, purtroppo. Il numero da cui ha ricevuto quel messaggio è bloccato e non vi è alcuna impronta sui testi delle canzoni. Questo è un osso duro. E’ più furbo di quanto non immaginassimo!” esclamò il commissario, rigirandosi quei fogli tra le mani. “- Dobbiamo andar via, prima del concerto!” esclamò German, serio e nervoso.”- Io resto qui.” Sentenziò invece la cognata, fissando il commissario che analizzò l’espressione tenace della donna con un ghigno. “- Ah, certo! La grande donna non ha paura di nulla e di nessuno! Dimenticavo!” urlò Castillo, fissando dritto davanti a sé, senza neppure guardarla in volto. La donna, per tutta risposta, nemmeno lo degnò di uno sguardo e fece una faccia disgustata senza ribattere ma facendo un grande sospiro. Sapeva che l’odiava. Sapeva bene anche il perché.
“- Calmatevi un po’! Siamo in un commissariato! Per i documenti ci vorrà un bel po’, ancora non si sa nulla ma, a questo punto…” disse Roberto, interrompendosi di colpo e perdendosi nelle sue riflessioni. “- A questo punto, cosa?” strepitò Castillo, furioso. “- A questo punto sappiamo quando colpirà e lo prenderemo in quell’occasione, senza obbligarvi a cambiare vita così radicalmente.” Concluse Lisandro, prendendosi la testa tra le mani e cominciando a scribacchiare su un blocco. “- No. Voglio che quei documenti siano comunque pronti al più presto! Galindo ha ragione! Potrebbe colpire prima e, magari, ci vuole ancora qui proprio per farci fuori con più facilità!” si lamentò il moro, fissando senza timore il commissario che annuì, debolmente e con aria disgustata al solo dover dar ragione a Pablo... “- Quindi siete certi che non si tratti di un’ idiota e che tutti questi messaggi arrivino dalla stessa persona che… insomma, che si è occupata anche di mia sorella?” chiese la Saramego, attirando l’attenzione di Lisandro che prese a fissarla con aria confusa. “- E’ probabile.” Disse, seccamente, l’uomo, squadrando la donna di fronte a sé, con aria stupita da cotanta sfacciataggine. Aveva sempre quel tono provocatorio  e acido e poi era così… particolare! Si vestiva in maniera particolare, si muoveva e parlava allo stesso modo… insomma: era un po’ strana secondo lui, troppo strana.
“- Restate a nostra disposizione, comunque. Probabilmente, con il caso riaperto, vi dovremmo fare qualche domanda in più… anche a voi.” Aggiunse, con aria di sfida, il poliziotto. “- Che cosa? Ma è impazzito?” scattò in piedi Angie, appoggiando le mani sulla scrivania del capo del commissariato e fissandolo intensamente, furiosa. “- Si calmi, per favore. Nessuno è fuori dai sospettati. Quindi, restate a disposizione.” Ripeté con calma glaciale il capo degli agenti. “- E lei penserebbe soltanto di accusare uno di noi dell’omicidio di Maria? Perché a questo punto di quello stiamo parlando, ammettiamolo pure, si tratta di omicidio, no?!” strillò la Saramego, con le lacrime agli occhi, abbassando lo sguardo per non darlo a vedere. Il commissario si passò una mano sotto al mento con aria fredda e analizzava l’espressione di quella donna, fin troppo scossa da quella notizia. “- Andate. Vi terremo informati.” Disse ad un tratto, mentre German e Violetta stavano ancora fissando, increduli, la faccia di Angie. Tutti si avviarono verso l’uscita tranne Pablo che era fermo di fronte a Roberto che, finalmente, dopo qualche minuto, se ne accorse e alzò lo sguardo con aria perplessa. “- Davvero sospetti di tutti? Intendo, anche di loro? Beh, ovviamente escludendo la ragazzina… mi sembra un po’ assurdo, sai?” chiese, con aria apparentemente tranquilla, l’uomo. “- Galindo, ci sono cose che non si possono evitare. Tu dovresti saperlo... non intrometterti, per favore.” Disse, criptico, Roberto, osservando la faccia di Pablo poco convinta da tale affermazione che si innervosì a quella allusione. Lui sapeva bene a cosa si riferisse il capo della polizia. “- Io non penso che la Saramego o Castillo c’entrino. Scusami se mi permetto ma ero io con lei quando ha ricevuto quest’ultimo messaggio. Non se li sta inviando di certo da sola!” esclamò ancora la guardia del corpo. “- Non posso escludere nessuno dalla lista dei sospetti. Le ricordo che la maggior parte dei crimini avviene in famiglia, e l’hai vista anche tu come è… particolare quella donna!” esclamò un po’ contrariato il commissario. “- Non vorrebbe accusarla solo perché veste in quel modo un po’… esageratamente sexy! Questo è un pregiudizio stupido e dimostra la tua superficialità! Commissario, ascoltami bene: pensa ad occuparti di altri possibili e più fondati sospetti. La Saramego non c’entra niente.” Disse, serio e rosso in viso, il bodyguard. “- E tu occupati del suo lavoro che io penso al mio. Grazie.” Sorrise, sornione, il commissario, mentre Pablo si avviava verso la porta. “- Lo farò di certo, COMMISSARIO LISANDRO.” Disse, sottolineando quell’appellativo e sbattendo la porta inaspettatamente, tanto da far sobbalzare l’uomo seduto alla scrivania.
“- Allora? problemi?” chiese Angie, che lo stava aspettando appoggiata ad un distributore automatico. Pablo si meravigliò di come avesse preso le difese di quella possibile indiziata… la conosceva da fin troppo poco eppure non sapeva spiegarsi il perché, ma lei, per quanto stramba fosse, era certo che non avesse mai potuto fare una cosa del genere alla persona che amava di più in vita sua. Forse era così particolare proprio per questo: dopo la scomparsa della sorella era diventata quella persona così spregiudicata e trasgressiva. “- No, niente. Volevo solo chiedere un’informazione sul caso…” mentì Galindo, avanzando nel corridoio al fianco della bionda. “- Tu la pensi come Lisandro? Sospetta di me, ne sono certa.” chiese, a bruciapelo, la donna, fermandosi di fronte a lui e avendo capito dove volesse andare a parare il commissario. “- Non la penso come lui. Per niente.” Disse, seccamente, Pablo, fissandola per analizzare la sua espressione, attendendo una risposta che non arrivò, tipico di quel caratteraccio che aveva la bionda. “- Quindi dobbiamo partecipare allo show, ho capito bene?” chiese ancora la donna, lasciando al caso l’affermazione di Galindo precedente. “- Sì. pensano che lo prenderanno proprio lì. Io, purtroppo, penso che colpirà anche prima… il messaggio sullo spettacolo è un diversivo… non è così stupido questo tizio! Non si sarebbe tradito così…” Rispose l’uomo, scendendo le scale e seguendola di fretta. “- Bene. Andiamo, che ho da fare!” borbottò lei, arrivata all’auto della guardia del corpo e fissando lui che le aprì lo sportello. “- Sei sempre così galante, Galindo?” rise, sedendosi con calma accanto al posto guida con un velo ironico nel tono di voce. “- No. Dipende da chi mi trovo di fronte.” Ghignò lui, con aria astuta, non staccandole gli occhi di dosso nemmeno per un secondo, anche mentre si accingeva a mettere in moto l’autovettura. “- E secondo te, ne vale la pena con me? Insomma, essere così gentile… un perfetto gentiluomo?” sussurrò quasi lei, fissando fuori dal finestrino. “- Apparentemente no. Ma in fondo… sì.” rispose lui, restando sul vago. Sapeva, era certo, che quella maschera così acida e odiosa, prima o poi, sarebbe caduta al suolo, lasciando spazio alla vera Angeles Saramego. Era quella la donna di cui parlava lui, quella che, nel profondo di quell’essere che non era, doveva trovarsi da qualche parte. Lei sorrise astuta, assumendo quasi un’espressione compiaciuta e continuando a guardare fuori dal vetro dell’auto.
In fondo, la presenza di quel Galindo, per quanto la disturbasse abbastanza, non era poi così noiosa.
 
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 Eccoci qui! Allora… allo Studio si sono infiltrati Vargas e Galindo! Lo spettacolo e un altro messaggio inquietante… momenti di tensione sul finale per accuse da parte di Lisandro! E siamo solo all’inizio! Allora, vi piace la storia? Che ne dite? Attendo commenti! Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 4
*** Incubi. ***


“- Chiuderai di nuovo la porta a chiave come stanotte?” Leon era appoggiato allo stipite della porta socchiusa della camera di Violetta e la fissava con un ghigno deciso disegnato sul volto. Lei era sul letto, scriveva sul suo diario e quella voce la fece sobbalzare. Da quanto tempo era lì a fissarla senza che lei se ne accorgesse? Non disse una parola ma, in fondo, fu sorpresa da quell’affermazione… che ne sapeva lui che la porta fosse chiusa la sera precedente? Allora era sceso durante la notte con l’intenzione di andare a sorvegliarla mentre dormiva! “- L’ha sigillata papà, dall’esterno.” Disse, seccata lei, ancora stizzita dalle sottili battutine che il ragazzo aveva rifilato a Thomas e, soprattutto, a lei. “- Tuo padre dovrebbe capire che sono qui per lavorare. Non ho nessuna stramba intenzione come evidentemente pensa lui!” borbottò il ragazzo, entrando nella stanza e osservandone le pareti, piene di foto di amici e, soprattutto, quelle con la madre.
“- Eravamo felici. Tanto. Questa storia dell’incidente era già abbastanza difficile da sopportare… ma se sospettano addirittura altro io…” tentò di dire la ragazza, chiudendo il diario e poggiandolo sul comodino, stendendosi di colpo sul letto a fissare il soffitto. “- Già, gran brutta faccenda.” disse Leon, andandosi a sedere accanto a lei con aria cupa in volto. “- Hai paura?” chiese, d’un tratto, il giovane bodyguard, osservandola posizionarsi al centro del materasso, con le gambe incrociate. “- Un po’. Ma più che altro sono arrabbiata.” Disse, seria, con sguardo fisso di fronte a sé la giovane, sorprendendosi di star parlando amichevolmente con quell’odioso di Vargas. “- Penso sia più che normale. Anch’io lo sarei.” Sentenziò lui, guardandosi ancora intorno. “- Che c’è? Non ti piace la stanza? Tanto non è la tua!” esclamò lei, con tono acido. “- Troppo rosa e lilla per i miei gusti.” Giudicò Leon, alzandosi e girando per la camera, avviandosi verso l’armadio. “- Ehi! Vieni qui! Quella è roba personale!” strillò la ragazza, alzandosi e tirandolo per un braccio. Leon aveva già afferrato una elegante gonnellina e la fissava con aria scioccata e disgustata. “- Ci credo che è ‘personale’! Solo tua potrebbe essere…Di certo io non li metterei anzi, rettifico… nessuna persona sana di mente li indosserebbe! Insomma, sono così… classici! Prendi esempio dalla zia! Così ci si veste!” ironizzò il bodyguard, fingendo di volersi misurare quel capo per lui fin troppo orrendo e alludendo al modo di vestire fin troppo succinto della Saramego. “- Lascia stare! Per quanto riguarda lei è una lunga storia, fatti gli affari tuoi! E adesso sparisci o chiamo papà! Poi non meravigliarti se trovi la porta chiusa e la cosa intralcia il tuo lavoro.” si lamentò lei, indicandogli l’uscita e spingendolo letteralmente fuori. “- Sei proprio una bambina! Ma ti senti? Vuoi chiamare il papino! Solo con quel Heredia puoi stare. Un tonto sdolcinato e romanticone!” ridacchiò, schernendola, Vargas, mentre lei prese a fissarlo con aria furiosa. “- Non stiamo insieme! E poi a te cosa ti importa? Thomas è molto più dolce e simpatico di te!” urlò lei, mentre lui era appoggiato con le spalle alla ringhiera della scalinata che portava al piano di sotto, stando proprio di fronte alla camera di lei. “- Meglio di me? Ah! Ne dubito, piccoletta!” rise Leon, scuotendo il capo con decisione e sottolineando quell’ultima parola, quasi sillabandola con superiorità. “- Vattene!” urlò lei, sbattendogli la porta in faccia e, questa volta, chiudendola lei dall’interno con alcune mandate. La guardia del corpo sentì quella chiusura e sorrise: quella mocciosa lo faceva divertire un sacco! Gli piaceva sentirsi più grande solo per il fatto di avere qualche anno in più, facendola sentire una bambina. In fondo, era sicuro che, con quel suo modo di fare, almeno, riusciva a distrarla un po’ e per questo continuava a punzecchiarla. E pensare ad altro non poteva che farle bene, dopo tutto quello che stava passando. Era certo che quel Thomas era noioso e che le ricordasse costantemente ciò che viveva in quel periodo… aveva bisogno di una presenza meno sdolcinata nella sua vita e, a quello, doveva pensarci lui.
 
 
“- Dormirai di nuovo in piedi? Come un cavallo?” chiese Angie, nella sua camera da letto, chiudendosi nella cabina armadio per indossare il pigiama: un top fin troppo striminzito e uno short fin troppo… short. “- Io non dormo mai, signorina! Non sono come un cavallo, piuttosto mi definirei un pipistrello!” esclamò Pablo, osservando volare un vestito verso la porta, quello che indossava la donna fino a qualche secondo prima, cosa che lo lasciò un po’ sorpreso e sconvolto. “- I pipistrelli, almeno di giorno, dormono. Lo sapevi?” Disse lei, uscendo dall’armadio e sedendosi sul letto, fissandolo con i suoi grandi occhi verdi e attendendo che replicasse qualcosa per attaccarlo di nuovo. La situazione le dava un po’ fastidio ma, almeno, la presenza di Galindo la divertiva. Adorava provocarlo, farlo innervosire, vederlo perdere quella solita calma e professionalità di sempre. “- Lascia perdere gli animali… non credo che le tue conoscenze siano degne di un documentario. Piuttosto, non avevi un appuntamento con La Fontaine? Ti ha sostituita con qualche altra folle come te?” la provocò lui, stendendosi su una sedia, scomodissima dall’espressione che assunse il moro non appena prese posto lì sopra. “- No, non avevo voglia io di uscire. Mi diverte molto di più restare qui a rompere le scatole a te.” Ghignò la bionda, stendendosi comodamente e tirandosi il lenzuolo fino alla vita. “- Ah, che simpatica, grazie!” esclamò lui, afferrando un libro da una mensola per poi rimettersi a sedere, annoiato. La Saramego aveva una marea di volumi sparsi per tutta casa. Non poteva essere così, come quasi si divertiva, ad essere ora: Pablo era sempre convinto che, prima del trauma subito, lei fosse stata un’altra persona e la presenza di quei tomi ne era la prova. Era fin troppo astuto, non gli si poteva nascondere nulla, mai. D’altronde, il suo passato influiva un sacco sul suo modo di essere: era sempre un acuto osservatore e una persona molto attenta, soprattutto ai dettagli, quelli che di solito passavano inosservati ai più. Lasciò acceso il lume sul comodino opposto alla Saramego e si mise a leggere, controllando tre volte se avessero chiuso bene la finestra. Ad un tratto, quando stava per prendere sonno, qualcosa lo fece voltare in direzione di Angie. La donna aveva preso ad agitarsi e si girava e rigirava nervosamente, quasi come se fosse in preda a un qualche attacco di chissà cosa. La guardia del corpo appoggiò il volume sulla sedia e si sedette sul letto, accanto a lei che aveva preso a parlare nel sonno, o meglio, non proprio a parlare… era un misto tra un pianto e un lamento che si fece sempre più forte, sempre di più, fino a quando si fece più chiaro anche ciò che stesse dicendo: “- No! Lasciami stare! Lascia lei! Smettila! No!!!!!” urlò, di colpo, in un bagno di sudore, sollevandosi di colpo con la testa dal cuscino e mettendosi a sedere al centro del letto. “- Ehi, era solo un incubo, tranquilla! Non è successo niente, ok? Calmati.” tentò di tranquillizzarla lui, mentre lei piangeva disperata, con il viso tra le mani, non riuscendo a capire ancora se fosse stato solo un brutto sogno o fosse successo sul serio. “- No, Vilu ed io… e poi anche… mia madre, German… e un’ ombra… io non l’ho visto in faccia ma aveva una risata che…” disse, rapidamente, tra i singhiozzi, la donna, non riuscendo a terminare la frase mentre il bodyguard, non sapendo cosa fare, istintivamente, l’abbracciò goffamente, un po’ titubante e incerto. “- Angie, calmati! Lo hai solo sognato! Violetta è a casa sua con Leon e German e stanno sicuramente benissimo, tua madre… tua madre dov’è?” chiese l’uomo, non avendo mai sentito parlare di quella donna. “- Vive poco lontano da qui. Devo telefonarle!” disse, alzandosi di scatto dal letto, preoccupata, vagando per la stanza in panico. “- Sono le tre del mattino! Le prenderà un colpo se le telefoni ora!” esclamò, giustamente, Galindo. “- Devo… sapere. E’ la prima volta che compare anche lei negli incubi! Sono preoccupata.” Sentenziò la bionda, cercando il cordless finito chissà dove, nella camera. “- Vado a preparati una camomilla, ne hai bisogno.” Disse lui, alzandosi e avviandosi verso il corridoio. “- Non ne ho bisogno! Aiutami a trovare il telefono, piuttosto!” lo rimproverò la donna, scavando sotto ad un mucchio di vestiti, buttati alla rinfusa su una sedia. “- Eccolo!” urlò Galindo, trovandolo subito appoggiato su una mensola della libreria. “- Grazie.” Rispose lei, ancora scossa, fissando poi il display con aria  indecisa. “- Non dovrei… ma ormai!” disse, componendo un numero.
In una casetta in periferia, Angelica dormiva e sobbalzò allo squillo del telefono. “- Ciao mamma.” Disse Angie, senza entusiasmo e voce preoccupata, sperando di sentirla rispondere, sana e salva, qualcosa, qualsiasi cosa, dall’altro capo del dispositivo. “- Tesoro! Sono settimane che aspetto questo momento! Come stai?” disse la donna, quasi commossa da quella telefonata, incurante del fatto che fosse notte fonda. “- Bene. Volevo sentirti. Scusami per l’ora.” Spiegò la figlia, mentre Pablo l’osservava, perplesso e attento. Quanto era diversa in quella telefonata! Era molto più… serena. “- Mi fa sempre piacere parlare con te, fossero pure le quattro del mattino. Tranquilla, amore mio!” rispose, ancora con la voce un po’ assonnata, la madre. Angie era l’unica che le era rimasta dopo la scomparsa di Maria e, avendo notato la condotta di vita della figlia, era preoccupata e sentirla la rincuorava. Sapeva che era dovuto al trauma della perdita della sorella, lo sospettava, ma la ragazza era stata chiara: la vita era la sua e ne faceva ciò che voleva. Quella chiamata, per Angelica, era fin troppo importante e quasi si commosse nel sentire la voce della figlia. “- Adesso ti lascio dormire in pace. Scusami ancora, volevo sapere se tu stessi bene.” Concluse Angie, attendendo una risposta. “- Sto bene, ma starei meglio se tu mi passassi a trovare qualche volta.” Esclamò la donna, decisa. “Lo farò, promesso. Buonanotte.” Rispose la bionda. “Buonanotte, tesoro.” Terminò sua madre, mentre lei attaccò e rimase a fissare il telefono per poi buttarlo sul comodino. Pablo la fissò, sorpreso da quella chiamata e tornò a sedersi sulla sedia, riprendendo il libro da dove aveva lasciato. “- Scusami per… l’interruzione. Se vuoi, domani, puoi dormire nel soggiorno… insomma, intendo dire leggere, non dormire! Per carità!” Disse la donna, stendendosi di nuovo sul letto, fissando il soffitto con aria un po’ più tranquilla. “- Non preoccuparti. Sto bene qui. Se urli in quel modo mi tieni sveglio, almeno!” esclamò, ironico lui, facendo sì che lei si arrabbiasse e si voltasse dal lato opposto con fare scortese e nervoso. “- Fai sempre incubi del genere?” chiese poi, serio, richiudendo il volumetto che teneva tra le mani. “- Almeno tre volte a settimana.” Replicò la donna, con tono rassegnato. “- Ed è sempre uguale? Insomma, il sogno intendo…” si informò, curioso, l’uomo, attendendo una risposta che ci mise un po’ ad arrivare, tanto che pensò che Angie si fosse riaddormentata. “- Sì. Ma sta volta era un po’ diverso. C’era mia madre ed è la prima volta che mi capita.” Disse, dopo qualche minuto lei, come se avesse voluto prendere tempo per rifletterci su. “- Ti ho fatto alcune domande di fila e non mi hai mandato a quel paese! E’ un record! Ti rendi conto?” tentò di distrarla lui, ridacchiando. “- Ti ci mando ora. A che domanda stiamo?” rispose di colpo lei, rigirandosi verso Galindo che alzò un sopracciglio, sorpreso ma non troppo. “- Alla terza, mi pare.” Le sorrise lui, vedendola, finalmente, abbozzare un sorriso. “- Non male, stiamo migliorando. Buonanotte.” Sentenziò lei, accoccolandosi sul lato e chiudendo gli occhi, stanca e assonnata. “- Buonanotte.” Disse lui, serio, rendendosi conto che la stava fissando da circa due minuti di fila. Quando lei si rigirò si rese conto che la osservava da fin troppo tempo e tornò, finalmente, al suo libro.
 
 
A villa Castillo, intanto, German era sveglio a lavorare su alcuni progetti per tenere la mente occupata. Era nel suo ufficio, al piano di sopra e, di tanto in tanto, si perdeva a fissare la foto della sua famiglia di fronte a sé. Erano felici e allegri. C’era persino Angie e Angelica accanto alla sua amata moglie. Ancora non riusciva a credere a quello che era successo e che, ancora, stava continuando a succedere. Era come se non avessero ancora pace dopo quella tragedia. Temeva tanto per la sua bambina, così piccola, fragile e indifesa. Leon ancora gli appariva un moccioso ma, d’altronde, era dell’agenzia di Cardozo Valdez e bisognava fidarsi dei bodyguards di quell’uomo. E poi c’era sua cognata: non riusciva a sopportare il fatto che avesse convinto lei sua moglie a partecipare a quello show. Non aveva colpe, poverina. Aveva sofferto e soffriva ancora tanto pure lei, sentendosi dannatamente colpevole dell’accaduto, ma lui comunque non riusciva a tollerarla. Forse perché aveva affrontato quella perdita nella maniera più errata, secondo lui, o forse, semplicemente perché cercava qualcuno su cui scaricare la colpa, fino a quando, almeno, non fosse venuto fuori il vero colpevole. Già, si trattava di un colpevole vero e proprio… non poteva sopportarlo. Chi avrebbe voluto eliminare la tanto amata cantante Saramego? E perché, continuava a tormentare anche loro? Non riusciva a concentrarsi sul lavoro, troppi pensieri e riflessioni affollavano la sua testa in quel periodo. Uscì per scendere le scale e dirigersi in cucina ma un urlo, gli fece raggelare il sangue nelle vene. Proveniva dalla camera di Violetta e sia lui, che Leon, si fiondarono verso la porta. “- Vilu! Vilu apri, per favore! Violetta stai bene?” urlò, bussando ripetutamente alla porta, mentre la ragazza si era appena svegliata di soprassalto e neppure riusciva a realizzare quelle voci che la chiamavano da fuori alla stanza. “- La chiave! Corri a prenderla, Leon! E’ nel mio ufficio, nel secondo cassetto a destra. Sbrigati!” urlò a Leon che si fiondò verso la stanza indicata dall’uomo, senza perdere il controllo. Mentre il giovane era nell’ufficio di Castillo, la ragazza, finalmente, scese dal letto e aprì la porta che era chiusa dall’interno, per andare a prendersi un bicchiere d’acqua e quasi sobbalzò nel trovarsi di fronte suo padre, bianco in viso e tesissimo. “- Tesoro! Stai bene?” le chiese, abbracciandola forte e stringendola a sé con foga. “- Sì. Più o meno.” Balbettò lei, ancora terrorizzata da quel nuovo incubo. In quel momento, Vargas giunse con la chiave alta in mano come un trofeo, ma abbassò il braccio nel vedere la ragazza fuori dalla stanza tra le braccia del padre. “- Tutto ok?” chiese anche lui, mentre lei annuì, in silenzio. “- Dai, torna a dormire…” le disse German, staccandosi da lei e indicandole il letto. “- Sì papà, vado solo a prendere un bicchiere d’acqua e poi torno a letto.” Rispose lei, prendendo la direzione delle scale. “- Non chiuda più, cortesemente. So che è stato lei ieri notte. Non intralci il mio lavoro… d’accordo?” chiese Leon, fissando Castillo che annuì, ancora sotto shock. Vargas lo guardò male e lo superò, seguendo la giovane che stava già agli ultimi gradini e si stava recando in cucina. “- Violetta!” la chiamò il ragazzo, facendola voltare lentamente, mentre si stava riempiendo un bicchiere dal rubinetto. “- Hai fatto bene a dirglielo.” Disse lei, con calma. “- Cosa?” chiese il giovane, sedendosi su uno sgabello e prendendo a fissarla stupito e confuso. “- Di non chiudere più a chiave. Non lo farò nemmeno io, come stanotte. Ero così scossa che neppure riuscivo ad aprire la porta.” Disse Violetta, prima di prendere un grande sorso d’acqua e di andarsi a sedere vicino a Vargas. “- Incubi, suppongo…” iniziò Leon, fissando le sue mani strette intorno al bicchiere, ormai sul tavolo, di fronte a lei. “- Come sempre. Ormai ci sono abituata.” Esclamò seria, fissando il movimento ipnotico del liquido nel bicchiere. “- Ti abbiamo sentito urlare e…” tentò di spiegare Leon, mentre lei bevve un altro sorso d’acqua. “- Sì. Immagino. Mi dispiace.” Si scusò, senza ragione lei. Forse sapeva di averli spaventati e per quel motivo stava chiedendo perdono. “- Non ti preoccupare. Tanto ero sveglio. E mi pare di aver capito che anche tuo padre lo fosse. Quindi nessun problema, sul serio.” Tentò di apparire dolce Vargas, accarezzandole i capelli distrattamente e ritirando subito il braccio non appena se ne rese conto. “- Papà non dorme da settimane, ormai. Mi comincia a preoccupare.” Disse, tesa, la giovane. “- E’ tutto normale, suppongo. E’ difficile anche per lui. Dai, adesso torna a dormire, ma stavolta vengo di là con te. Prepara una sedia.” Sorrise, astutamente, Leon. “- E cosa ci devi fare, scusa?” disse lei, curiosa, sgranando gli occhi nocciola. “- Vuoi che dorma sul tuo letto rendendo inutile la mia presenza o che resti sveglio su una sedia?” esclamò Leon, prendendosi una Cola fredda dal frigo e aprendola provocando un leggero frizzare. “- Sveglio sulla sedia.” Rispose seccamente Violetta, abbozzando un sorriso. “- Perfetto. Questa me la porto. La caffeina mi aiuterà nella missione. Andiamo.” Disse la guardia del corpo, seguendo la giovane che stava risalendo le scale con aria stanca. “- Buonanotte, papà.” Salutò lei, ad alta voce, notando che il padre era ritornato nel suo studio. “- Buonanotte, tesoro!” esclamò l'uomo, meno nervoso, affacciandosi sull’uscio. “- Ehi tu! Davvero vuoi dormire nella stanza di mia figlia?” chiese a poi a Leon che si stava affrettando ad entrare nella stanza della giovane. “- Sì. Se vuole lasciamo la porta aperta così ci potrà controllare tutte le volte che vorrà.” Ribatté al padre della ragazza che scosse il capo, sconfitto. “- Ah, signor Castillo: ricordi, io non dormo, sorveglio. E’ ben diverso.” Ghignò Leon riprendendo la sua solita aria di superiorità e fissando l’uomo con sguardo fiero. “- Buonanotte, Vargas.” Si limitò a salutarlo, serio, il padrone di casa. “- A lei, signor Castillo.” Rispose il ragazzo, sporgendosi sull’uscio prima di avvicinarsi al letto della giovane. Violetta stava trascinando la sedia girevole dalla scrivania al centro della stanza. “- Lascia, piccolina! Faccio io.” Si offrì subito il ragazzo, posizionandola vicino al materasso della ragazza. “- Domani c’è scuola. Cerca di dormire.” Disse lui, rendendosi conto di averlo detto con un tono smielato, fin troppo per i suoi soliti canoni, molto più ironici e sarcastici. “- Buonanotte. Sperando che lo sia sul serio.” Sussurrò la ragazza, stendendosi e voltandosi sul fianco, in direzione di Leon che la fissò intensamente. “- Notte.” Salutò lui, seccamente, fissando di fronte a sé. La giovane Castillo si addormentò solo dopo un po’ che aveva giocherellato con il cellulare e Vargas, premurosamente, glielo tolse dalle mani per poggiarlo sul comodino. Quella ragazza era così particolare: tanto fragile, eppure, in alcuni momenti, tanto forte e combattiva. Ragazza? L’aveva sul serio definita così e non mocciosa, bambina o ragazzina come al solito? Leon quasi si sorprese di sé stesso. Quella notte lo aveva sconvolto e, forse, stava cominciando a capire sul serio come fosse in realtà, Violetta.
Si perse a messaggiare con un amico fino a notte fonda ma, ad un tratto, l’altro se ne andò a dormire, lasciandolo da solo, nel buio di quella stanza. Giocò con il telefonino fino a scaricarne completamente la batteria, già finita per metà e, non sapendo cosa fare, si fissò di nuovo a guardare la giovane. Ora dormiva più serenamente e la cosa tranquillizzò anche lui.  La ragazza si rigirò varie volte, distendendosi al meglio, fino a quando la sveglia non suonò con un trillo allegro e melodioso.
“- Buongiorno, piccola!” iniziò subito Leon, vedendo sbucare il braccio di lei da sotto le coperte per spegnerla di colpo. “- Ciao, rompiscatole!” sorrise lei, con sguardo furbo, ma senza la minima intenzione di volersi alzare. “- C’è scuola! Sbrigati! Lo Studio ci attende!” disse Vargas, con tono solenne, afferrando uno zaino con le sue cose appoggiato sul pavimento, prima di andarsi a preparare. Violetta lo fissò uscire dalla stanza, quasi imbambolata. No, non poteva. Si rese conto che lo aveva fissato troppo, molto più del dovuto e tentò di scordare di averlo fatto, alzandosi di colpo per dare il via ad una nuova giornata.
 
 
In cucina, a villa Saramego, Pablo armeggiava con una macchinetta del caffè per tentare di prepararsene un o decente e, soprattutto, per continuare a restare sveglio anche durante il resto del giorno che era appena cominciato. Cominciò ad innervosirsi con quell’aggeggio infernale  che non voleva saperne di funzionare. “- Se non inserirci la cialda non uscirà mai.” Angie era apparsa sulla porta della cucina e gli si avvicinò rapidamente per procedere lei all’operazione. “- Non sapevo dove le tenessi e non volevo svegliarti. La notte è stata fin troppo movimentata.” si giustificò lui, tentando di non far capire che l’avesse proprio scordato l’ingrediente fondamentale. “- Ah, e come pensavi di fartelo questo caffè?” rise la donna, mentre, finalmente, le tazzine cominciarono a riempirsi.  “- Grazie…” disse lui, afferrandone una e cominciando a sorseggiarlo. “- Se vuoi altro c’è di tutto… io non faccio colazione, mi basta questo. Ma tu prendi ciò che ti pare.” Esclamò la donna, precipitandosi in bagno per prepararsi. “- No, anche per me va bene solo questo. Vorrei parlarti di una cosa…” iniziò lui, avvicinandosi con le spalle alla porta della cucina per farsi sentire da lei. “- Senti, se è per stanotte mi dispiace. Purtroppo mi capita spesso di avere questi incubi e…” tentò di spiegare la bionda, uscendo dalla stanza con solo un asciugamano addosso. La guardia si voltò di spalle, in pieno imbarazzo, fingendo di sciacquare le tazze della colazione. “- Lascia, faccio io dopo! Vorrei solo un bodyguard, non un uomo delle pulizie!” esclamò sghignazzando, lei, avvicinandosi ancor di più a Galindo che indietreggiò, ritrovandosi
 sul lato opposto del tavolo. “- No, ma va… vai… vai a vestirti, ci penso io!” balbettò l’uomo, mentre lei, dopo aver fatto una faccia sconvolta, si recò nella cabina armadio, dall’altra parte della casa. “- Volevo parlarti di un’altra cosa, non di stanotte… o meglio, ha a che fare con quella telefonata a tua madre…” disse Pablo, seguendola nella camera da letto e cominciando a prepararsi anche lui per andare allo Studio. “- E quindi?” chiese lei,  quasi stizzita. “- Mi pare le abbia promesso qualcosa… non so cosa, ma qualcosa le hai detto.” Esclamò lui, sorprendendola. Senza aver sentito la donna dall’altro capo del telefono aveva capito che le aveva giurato qualcosa. “- Sì, le ho detto che sarei andata a trovarla, prima o poi.” Disse la bionda, quasi come se nulla fosse. “- Perché non oggi? Magari dopo la scuola…” tentò di convincerla lui, facendola uscire con aria ancor più nervosa, finalmente pronta. “- Perché dovrei, scusami? Ma tu gli affari tuoi non te li sai fare?” borbottò, mettendosi davanti allo specchio per truccarsi. “- Povera donna. Non ha perso una figlia. Le ha perse tutte e due.” Sentenziò, criptico e duro, il bodyguard, sperando di risvegliare in lei la voglia di reagire. La donna si voltò di colpo e gli si avvicinò, quasi con fare minaccioso, fissandolo negli occhi con aria di sfida. “- Si puo’ sapere cosa vuoi?” disse, ancora con un rossetto tra le mani. “- Perché non vuoi andarci? Scommetto che lei non sa delle minacce… forse ne ha ricevute anche lei e non lo sappiamo! L’hai sognata, forse è un segno, che ne sai?” la rimproverò l’uomo, con decisione, alzandosi in piedi ed avvicinandosi a lei. “- Non capiresti mai. Non voglio andarci. Non ci riesco.” Disse lei, nervosa, sciogliendosi la folta chioma e muovendola a destra e sinistra. “- Ci verrò anch’io. Devi vederla. Prima che le arrivi qualche messaggio non desiderato. Devi parlarle. Sono sicuro che le manchi.” Tentò di convincerla lui, immaginando che la donna stesse già soffrendo abbastanza per Maria. “- No.” Disse, seccamente lei, afferrando la borsa da una sedia. “- Perché?” chiese ancora lui, tenace. “- TU NON LO SAI, OK? NON CE LA FACCIO! E SMETTILA!” urlò lei, esasperata da chissà cosa, ma non sconvolgendo l’agente. “- Verrò con te, che ti piaccia o no.” Disse l’uomo, con la solita calma glaciale. La donna  lo fissò, sconcertata dal fatto che Galindo fosse così insistente. Forse, però, aveva ragione: forse anche Angelica stava rischiando e non aveva detto nulla a nessuno, non volendosi rivolgere alla polizia. Conosceva sua madre,  era fin troppo testarda e aver avuto a che fare con gli agenti dopo la perdita della figlia maggiore, di sicuro, non l’avrebbe mai fatta tornare al commissariato. Angie guardò Pablo che resse il suo sguardo con freddezza e intensità. La bionda non disse nulla e Galindo ne fu felice. Forse, in fondo, una minima speranza che dopo la scuola la donna avesse accettato di andare dalla madre, c’era.
 
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Ahi, ahi, ahi! Notte di incubi! Zia e nipote non hanno sonni tranquilli, dopo il trauma subito! Per fortuna ci sono i bodyguard che pensano a loro! *-* poi la telefonata di Angie a sua madre, quel sogno… sarà premonitore? Perché la donna non vuole tornare a casa di Angelica? E avrà ragione Galindo? La donna sarà in pericolo come lei, la nipote e suo cognato? Vedremo… spero la storia vi stia piacendo e approfitto per ringraziare i miei lettori e recensori affezionati! I vostri commenti mi riempiono di gioia, sul serio! Grazie di cuore! Alla prossima! Ciao! :)

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Capitolo 5
*** Incontri sconvolgenti. ***


“- Buongiorno, Vilu! Come stai?” Thomas era corso in contro alla giovane che stava entrando allo Studio 21, seguita da Leon che fissò, con aria disgustata, Heredia. “- Ciao Thomas! Bene.” Si limitò a dire lei, tentando di non apparire fredda come al solito. Era stata una notte infernale ma voleva dimostrare che andasse tutto per il meglio, odiava farsi compatire, apparire come la “vittima” di turno. Sorrise e si avviò verso il suo armadietto, seguita da Vargas che lanciò un’occhiata di superiorità allo spagnolo che, non contento, prese a seguirli. “- Ti andrebbe di andare al pub qui di fronte, stasera? Se ti va, ovviamente.” Propose Thomas studiando la sua reazione e lo sguardo della ragazza, quasi perso nel vuoto. In realtà, la giovane stava osservando Leon alle spalle del moro che cominciò a scuotere il capo, con decisione. Non poteva uscire da sola, senza guardia del corpo, o andava anche lui o niente. Violetta sbuffò a quel gesto di Vargas, facendo intendere a Thomas che quella noia fosse dovuta a lui. “- Se non vuoi non fa niente, me ne farò una ragione, tranquilla!” disse infatti Heredia, sgranando gli occhi verdi e continuando a fissarla. “- No, no! Va bene! Insomma… sì. Ci sto!” esclamò la ragazza con un sorriso smagliante e un’altra occhiata a Leon che fece una faccia buffa e un rapido gesto con la mano destra, per dirle che ci sarebbe stato anche lui con loro due. “- Perfetto! Passo a prenderti alle 19!” sentenziò Heredia, allegro, richiudendo l’armadietto che provocò un sordo e fastidioso rumore. Thomas aveva preso degli spartiti e, guardando male Leon che gli ghignò, uscì dalla saletta. “- Sei impazzita se credi che ti faccia uscire da sola con quello sfigato!” ridacchiò il giovane messicano, osservandola alzare un sopracciglio, perplessa. “- Non ci provare! E’ colpa tua se gli ho sbuffato in faccia! Non potevo negargli almeno questa uscita!” si lamentò lei, riferendosi alle facce che Leon faceva alle spalle di Heredia, mentre loro parlavano. “- Ma davvero vuoi uscire con quel tipo? E’ di una noia quasi esilarante! Ma, d’altronde, tu sei una mocciosa come lui…” rise il bodyguard, mentre gli altri allievi si affrettavano ad entrare negli spogliatoi chiacchierando allegramente. “- Ah ah ah! Non mi pare che tu, dall’alto dei tuoi 23 anni abbia uno straccio di ragazza! Io sarò pure una mocciosa… ma almeno ho un appuntamento!” disse, mettendolo alle strette, la giovane Castillo, ridacchiando. “- … Un appuntamento a cui prenderò parte, che ti piaccia o no!” esclamò, stizzito da quel colpo basso, Leon. “- Non ci provare.” Sentenziò, seria, Violetta. “- Il tuo papino non vorrebbe mai farti andare in giro senza di me, tra l’altro con un ragazzo… pensa se venisse a sapere anche che io non ero con te…” la minacciò Vargas. “- Non oseresti…” tentò di spaventarlo lei, con decisione, chiudendo l’anta dell’armadietto e fissandolo con forza. “- Tu credi?” chiese lui, ironicamente, reclinando il capo a destra e continuando a reggere il suo sguardo furioso. “- Ti detesto, Vargas! Ti destesto!” Esclamò la ragazza, dandogli uno spintone che lo fece andare a sbattere negli armadietti sulla parete opposta e facendogli poi scuotere il capo con aria rassegnata e uscire per recarsi a lezione come se nulla fosse accaduto. Era arrabbiatissima. Capiva che lui dovesse proteggerla ma non poteva portarselo dietro ad un appuntamento! Come avrebbe spiegato la sua presenza a Thomas? No, quel Vargas era ossessivo! Andavano solo al pub di fronte scuola! E poi non era da sola… ci sarebbe stato Heredia  con lei. “- Ti ha invitato! Ah! Non sei contenta?” Francesca la stava fissando da un po’ in fondo agli spogliatoi e le si avvicinò saltellando. “- No… cioè sì, certo.” Si corresse subito la ragazza che, pur di distrarsi un po’ sarebbe uscita volentieri anche con Vargas… no, ci ripensò di colpo, scacciando il solo pensiero dalla sua mente. Quel tizio arrogante proprio no! Preferiva decisamente un più tranquillo Heredia. “- Anche io e, ho sentito dire, Federico saremo proprio lì stasera! C’è la serata karaoke! Sarà una forza!” aggiunse la Rossini, con aria sognante al solo immaginarsi un duetto con il ragazzo italiano come lei. “- Ah, questo non lo sapevo…” borbottò la Castillo, prendendo a riflettere su quella serata. Ecco perché non gliel’aveva detto! Aveva paura che si sentisse a disagio nell’andare a quella sorta di festa dopo quello che era successo l’altra volta… lei aveva rifiutato di andarci per andare in commissariato e lui temeva che avesse di nuovo reclinato l’invito! “- Ci sarò anch’io e ho sentito che parteciperanno anche Maxi e DJ… ma penso ci saremo un po’ tutti!” sorrise Camilla, avvicinandosi alle amiche e riponendo la borsa nell’armadietto. “- Ci sarà una sorta di premio finale per il migliore o i migliori! Emozionante!” sorrise Lena, correndo verso di loro che, ormai, erano in corridoio. “- Sarà una forza!” disse Napo, seguendole allegramente. “- Sarà una forza rivincere, come qualche settimana fa…” si vantò Ludmilla, sorpassandoli, seguita da Nata che affannava per starle dietro al suo stesso passo. “- Ma smettila! E parteciperai di nuovo come solista? Solo perché nessuno vuole duettare con una come te?” rise Maxi, facendo scoppiare a ridere anche la maggiore delle Heraldez che si beccò subito un’occhiataccia dalla Ferro. “- Sì canterò da sola ma solo perché nessuno sarebbe alla mia altezza e tenderebbe solo a rovinarmi l’esibizione!” si pavoneggiò ancora la bionda, entrando in aula di musica. “- Oh, allora! Se la metti così!” rise Leon, schernendola, avvicinandosi a loro, dopo averli osservati dal lato opposto del corridoio e facendola allontanare ancheggiando con aria nervosa
“- Voglio venirci anch’io visto che ci sarete tutti… posso?” chiese, fissando Violetta che lo guardò stizzita. “- Certo! Anzi ci fa piacere!” sorrise Andres, dandogli una forte pacca sulla spalla. “- Ragazzi, in classe, sbrigatevi, su!” urlò, d’un tratto Beto, facendoli sobbalzare apparendo sull’uscio con un croissant nella tasca della camicia e invitandoli ad iniziare la lezione.
 
 
“- Andiamo, oggi la giornata è proprio volata! E tu, per l’ennesima volta, mi hai mollato da solo in aula!” esclamò l’agente Galindo, seguendo la Saramego nel corridoio, visibilmente tesa e agitata. “- Scusa. Prima o poi caccerò  io te e a quel punto non avrai più problemi!” disse, stizzita, Angie, uscendo dallo Studio 21 e avviandosi verso l’ auto del bodyguard. “- Non ti vuoi far perdonare per avermi abbandonato?” chiese lui con tono dolce, aprendole lo sportello come al solito da vero gentiluomo. “- E di cosa? Non ci penso proprio.” Esclamò la donna acidamente, sapendo già dove volesse andare a parare l’uomo. “- Peccato. Lo farai comunque.” Sorrise Pablo, mettendo in moto la macchina. “- Dove abita tua madre?” chiese, fissandola come se nulla fosse. “- Scordatelo. Ne abbiamo già parlato e non ho intenzione di andarci.” Replicò la donna, abbassando lo specchietto e ritoccandosi il rossetto. “- Bene, chiederò a German Castillo.” disse lui, tenace, afferrando il cellulare. “- Ma cosa vuoi fare? Ridammi quel coso!” esclamò lei, gettandosi dalla parte dell’uomo che, dopo aver composto un numero si posizionò l’auricolare nell’orecchio. Lei riuscì a strapparglielo e, con un gesto veloce, lo buttò fuori dal finestrino, lasciandolo sconvolto. “- Ahi! Ma sei impazzita?! Mi devi un auricolare nuovo! Ed anche un pezzo di orecchio!” si lamentò lui, che si era fatto male quando la bionda aveva strappato l’aggeggio. “- Lascia perdere, Galindo! Non ci vado! RASSEGNATI!” urlò ancora lei. “- Se prima, forse, non eri in debito con me, adesso lo sei. O mi dici l’indirizzo o lo trovo da solo, facendo il giro di tutta Buenos Aires! Che ne dici, ti va un tour della città?” esclamò, senza arrendersi, Pablo. “- E va bene, hai vinto! Vuoi vedermi soffrire ancora? Perfetto. Vai sempre dritto, imbocca l’autostrada… è la seconda villa sulla destra dopo l’uscita.”. Pablo la guardò per un secondo, per poi tornare con gli occhi fissi sulla strada. Soffrire? Perché vedere la madre l’avrebbe dovuta far stare male? Nonostante tutto non si arrese e, senza pensarci si avviò verso la casa, fuori città, indicata dalla donna.
Arrivarono subito ad una casa piccola ma sobria con un giardino ben curato ed elegante. Lasciarono l’auto di fronte all’abitazione e scesero. Si addentrarono per il vialetto, di cui il cancello era aperto, fino al portico della villetta e, prima di bussare, la Saramego prese un grande respiro che non sfuggì all’uomo. “- Stai bene?” chiese Pablo osservandola. No, non stava per nulla bene ed era nervosa: le tremavano le gambe e aveva le mani sudate… pensò che, probabilmente, da lì a poco o sarebbe svenuta o avrebbe avuto una crisi di chissà cosa. “- Se ti dico che sto malissimo andiamo via?” chiese Angie, con sguardo quasi supplichevole. “- No.” Disse l’agente, seccamente, premendo il campanello e beccandosi un’occhiataccia dalla donna.
“- Angie! Non posso crederci! Fatti abbracciare!” una  donna anziana e di bell’aspetto, abbracciò la donna che esitò un po’, prima di stringerla. “- Ho saputo di Maria… non posso crederci. Quindi si dice che non sia  stato un incidente! Ma non si sa da cosa lo abbiano dedotto?! Ma prego, entrate!” cominciò subito la donna, rivolgendo un sorriso anche a Pablo che ricambiò con gentilezza. “- Mamma io…” tentò di dire la bionda ma la anziana l’aveva già preceduta in casa. Titubante, decise di entrarvi seguita da Galindo che analizzava la sua ansia… una volta dentro, però, tutto gli fu più chiaro. Nel salotto principale vi erano decine e decine di fotografie della maggiore delle Saramego. Sui muri, nelle cornici sui mobili, sul caminetto… insomma, sembrava un vero e proprio piccolo santuario e la cosa era alquanto inquietante. Ma, d’altronde, Angelica era la madre ed era normale che volesse vivere circondata dal ricordo di sua figlia, scomparsa così tragicamente. “- Sedetevi, prego! Oh, vedo che finalmente hai lasciato quel tizio così antipatico e insopportabile del La Fontaine!” continuò Angelica, con un sorrisetto furbo, fissando Pablo. “- No! Cosa stai pensando?! Io e lui non stiamo mica insieme! Comunque siamo qui per chiederti una cosa.” iniziò la figlia, tenendo lo sguardo basso. Galindo, invece, si guardava intorno stupito da quel milione di immagini di Maria: da sola, ai concerti, con la sorella, con la madre, con il padre, con German e Violetta… insomma, decine di album di famiglia erano appesi alle pareti. “- Cosa volete sapere? E non mi presenti il tuo amico?” chiese Angelica, ricominciando ad osservare il moro che, distogliendo lo sguardo dai muri, prese anche lui a fissarla. “- Allora, le spiego: io sono una guardia del corpo e prima che venga a saperlo da altre fonti, glielo diciamo noi: il caso di Maria è stato riaperto perché… insomma, sono arrivati dei messaggi poco carini e un po’ minacciosi…” tentò di spiegare l’agente, cercando di non apparire troppo preoccupante. Angelica era già sbiancata e si era portata le mani al viso, preoccupata. “- Solo un po’ minacciosi?” lo corresse Angie, osservandolo. “- Ok, un po’ tanto. Il commissario Lisandro ha deciso di indagare meglio sulla scomparsa di sua figlia… insomma, come saprà già, si sospetta che non sia stato solo un incidente.” Concluse Pablo, analizzando gli occhi castani della donna incupirsi. “- A me non avevano detto nulla…” balbettò l’anziana donna, abbassando lo sguardo perplessa. “- Non ha ricevuto messaggi minatori, qualche foto, lettera, fax… insomma, nulla di rilevante?” domandò Galindo, tentando di avere un tono dolce per quella poverina. Doveva sapere. Se il commissario era stato così superficiale da non preoccuparsi anche della madre della Saramego voleva pensarci lui, prima che fosse stato troppo tardi. “- No, niente di strano… tesoro, ne devo dedurre che tu allora ne abbia ricevuto, giusto?” chiese la Fernandez, ora osservando la bionda che annuì, silenziosamente. “- Oh no! Non è possibile!” esclamò la signora, sconvolta. “- Senta, se dovesse ricevere qualcosa ce lo dovrà dire, d’accordo? Ci chiami subito, è importante! O noi, o la polizia… anche se loro la ritengono fuori pericolo, a quanto pare.” borbottò Pablo, serio. “- Sì. Certo.” Disse la donna, con titubanza. “- Mamma se sono venuta qui perché ti conosco. Dovrai dirci tutto, ok?” chiese la figlia. “- Sì. Per ora non ho avuto nulla ma… anche German e Violetta, allora…?” ipotizzò la donna, preoccupata. I due annuirono, facendola rabbrividire. “- Vado a preparare una camomilla.” disse Angie nel silenzio che era calato, alzandosi e dirigendosi verso la cucina.
“- Signora, sua nipote e suo cognato sono stati affidati ad un ottimo bodyguard. Stia tranquilla.” Cercò di calmarla l’uomo, sorridendole con cortesia. “- Mia figlia è quella che mi preoccupa più di tutti, figliolo. Dopo la scomparsa di sua sorella è così cambiata! Non la riconosco più! Frequenta brutte compagnie, non è più la stessa: non è più la mia Angeles. Se queste minacce fossero frutto di qualcosa che ha a che fare solo con lei e poi si siano estese a tutti? Se corresse dei rischi troppo grandi? Io non potrei sopportare di…” ma Angelica si interruppe, mentre una lacrima le rigava il viso pallido. “- No, non lo dica neppure. Angie non correrà alcun pericolo finché ci sarò io con lei, tranquilla.” La calmò Pablo, passandole un fazzoletto. “- Grazie. Mi raccomando. Si prenda cura di lei.” Disse la donna, tamponandosi gli occhi con la carta. “- E’ il mio lavoro, signora. Si fidi.” Sorrise lui, osservandola con tenerezza. Quindi era come sospettava lui: Angie Saramego era cambiata, era diventata un’altra dopo il trauma subito.
Da dietro la porta della cucina, la bionda aveva sentito tutto e una lacrima sfuggì al suo controllo e rigò il viso, come se fosse sgorgata fuori dal nulla. Sentire sua madre piangere ancora le provocò una stretta al cuore… ma lei ormai era così. Non poteva farci nulla. Poi c’era Galindo… avrebbe pensato lui a proteggerla, d’altronde veniva pagato proprio per quest. Si asciugò la guancia e finse di non aver sentito nulla, che niente fosse accaduto.
“- Ecco, bevila.” Disse con calma la Saramego, arrivando con un vassoio con una tazza di porcellana pregiata stracolma di camomilla. “- Adesso andiamo. Ma si ricordi: si faccia sentire lei. D’accordo?” le sorrise Pablo, alzandosi dal divano. “- Sì. Buonasera, agente, e grazie. Ciao tesoro, fa’ attenzione.” Salutò la donna, accompagnandoli alla porta e abbracciando forte la figlia.
Arrivarono a villa Saramego quasi senza dirsi una parola, nemmeno un minimo di conversazione amichevole. Angie si stese sul letto, stanca e sconvolta e fissava il soffitto con aria pensierosa.
“- Ora capisco perché non volessi vederla. Insomma… quella casa! Era quella il vero problema, non tua madre.” disse d’un tratto Pablo, facendola sollevare di colpo.
“- Non puoi capirmi. Mi prenderesti solo per matta. Come tutti.” Sentenziò la bionda con un velo di tristezza negli occhi, mettendosi a sedere al centro del materasso. “- …Ti ricorda i momenti felici con lei, quelli che sai non torneranno più. E tua madre… sei consapevole che soffra per te e la cosa ti fa star male anche se non vuoi rinunciare a questa nuova te che se ne frega di tutto, del dolore, dell’amore, della musica, di ogni cosa.” Pablo l’aveva messa alle strette e lei lo fissava con aria sconcertata, senza sapere cosa dire di quella brillante deduzione. “- Come diamine…? Sta’ zitto. Tu non sai nulla di me, di quella che sono di come voglia vivere la mia vita! Limitati al tuo lavoro. Per favore, basta giocare allo psicologo! Ed ora, anche se sono le 20, voglio dormire. Buonanotte.” strillò lei, alzandosi e avviandosi verso la cabina armadio. Lui restò di sasso ma era convinto che, quella reazione, fosse dovuta al fatto che avesse centrato il bersaglio. Angie non poteva credere a come quell’uomo riuscisse a comprenderla, forse addirittura meglio di come lo facesse con sé stessa. Si innervosì per quella ottima deduzione e si andò a ristendere, sotto lo sguardo serio di Pablo che, come le altre sere, si preparò ad un’altra notte insonne, nonostante fosse ancora prestissimo.

 
“- Cami, ciao! Sei iscritta già per la lista del karaoke?” sorrise Francesca, correndole in contro verso il lato del locale in cui si trovava la Torres, ovvero dove c’erano dei divanetti giallo canarino e dei bassi tavolini pieni di bicchieri con aperitivi e cocktail vari. “- Ovvio… DJ ha iscritto me e lui in un duetto! Saremo imbattibili!” disse la rossa, facendole l’occhiolino. “- Io parteciperò da sola. Un assolo, un’altra volta!” disse, triste, l’italiana. “- No, non credo… ehi FEDE! Vieni qui!” urlò l’amica, mentre la Rossini le faceva dei segnacci, imbarazzata. “- Ragazze! Nella confusione non vi avevo visto! Come state?” salutò il giovane, sorridendo alle compagne di scuola. “- Benone, ma ancora meglio se tu canterai con Fran! Non avevi in programma un duetto, no?” disse la Torres, fissando Bianchi che la fissò un po’ confuso. “- No! Non mi sono neppure ancora iscritto alla gara non pensavo di partecip…” ma Camilla lo interruppe, spingendo Francesca che era un po’ più avanti rispetto a lei e fissava il giovane, incantata. “- No!!! Allora devi per forza cantare con lei! Neppure Fran si è ancora iscritta! Andate, andate!” salutò l’Argentina, andando verso DJ che stava già chiacchierando con Maxi e Nata. Ad un tratto, nella sala, fecero il loro ingresso Violetta e Thomas, seguiti, stranamente, da Leon. “- Ragazzi! Ce l’avete fatta!” urlò Napo, salutandoli con entusiasmo. “- E sì!” sorrise Heredia soddisfatto, stringendo le spalle alla Castillo che abbassò lo sguardo, mentre Vargas si allontanò, storcendo il naso, un po’ continuando a tenerla sotto controllo.
“- Mi spieghi perché mi hai invitato in questo covo di mocciosi?” Diego Dominguez era seduto al bancone del locale, sorseggiando una birra e fissando l’amico con aria sconvolta. “- Mi devi aiutare. Sei o non sei un agente di polizia?” borbottò Vargas, sedendosi anche a lui e ordinando lo stesso dell’amico. “- Sì, ma avevo la serata libera e non avevo intenzione di sprecarla in un asilo nido!” ironizzò Diego, dando un’altra sorsata al boccale, ormai semi vuoto. “- Ehi, dacci un taglio, mi servi lucido. Qui c’è troppa gente per controllare la Castillo da solo!” esclamò Leon, dandogli una gomitata e facendolo quasi strozzare. “- Oh, vacci piano! Sarai pure un bodyguard ma anch’io so picchiare e difendermi alquanto bene!” lo rimproverò il moro, fissando l’amico che ghignò divertito. Erano così uniti quei due, eppure così diversi: avevano studiato per un periodo insieme… poi, però, tutto era cambiato. Avevano intrapreso carriere un po’ differenti ma continuavano ad essere grandi amici. “- E’ carina la Castillo! Peccato sia piccola! Ma, in fondo, chissene!” borbottò Dominguez, posando finalmente il bicchiere, ormai vuoto. “- Ma dai! Poi quel antipatico di Heredia le ronza sempre intorno! Sono così noiosi insieme!” commentò Leon, fissando nella direzione dei due ragazzi. “- Ti piace!!! La mocciosa ti piace! Sei geloso di Mister Paella!” rise Diego, dandogli un colpo sulla spalla, facendolo quasi ruzzolare dallo sgabello. “- Smettila! Sei ridicolo. E’ una bambina in confronto a me! E ti ricordo che anche tu vieni dalla spagna… quindi, Mister Paella lo sei anche tu!” esclamò Leon, ridendo e applaudendo per la prima esibizione, appena conclusasi sul palco. Avevano cantato Maxi e Nata e tutti urlavano per la bella esibizione. “- Ma certo! Comunque ti piace e si nota… le devi stare sempre vicino… dormite nella stessa stanza… non dirmi che non ci è scappato neppure un bacetto?!” urlò Dominguez, applaudendo alla seconda coppia, quella di DJ e Camilla. “- Ma figurati! Ho 23 anni e lei ne ha appena 16. Sette anni, Diego. SETTE.” Scandì Leon, fissando le altre persone che si susseguivano sul palco. Ad un tratto ci fu una pausa dalla piccola gara. Ormai mancava solo la coppia di Thomas e Violetta prima che la gara finisse. “- Che ti importa!” borbottò Diego, prendendola alla leggera e fissando Ludmilla come incantato, lusingandola di cotante attenzioni e prendendo a salutarlo con aria da vamp, come al solito. “- Senti, io ti lascio un minuto… ho da fare… la biondina laggiù mi sta letteralmente divorando con gli occhi. Ora torno, però!” disse Diego, andandosi a sedere dal lato opposto della sala, accanto alla Ferro che gli sorrise maliziosamente. “- Si, tornerai… come no!” gli urlò Leon, facendolo voltare e ghignare sotto ai baffi. “- Leon, perché non vieni vicino a noi? Guarda che non mordiamo!” disse Maxi, invitandolo sui divanetti in prima fila. “- Io mordo solo i panini! Ah e pizze, mele, stuzzichini… ma non persone!” urlò Andres, sorseggiando un ponce. “- E’ già ubriaco o è sempre così?” chiese Vargas, sconvolto. “- No, ti assicuro che non ha bisogno di bere per impazzire.” Rise Napo, l’ultimo che si era esibito, con Lena. “- Ah, bene…” ridacchiò Leon, andando con loro pensando che, seduto davanti avrebbe avuto la migliore visuale su Violetta.
“- Benissimo, manca la coppia finale! Invito a salire sul palco: Violetta e Thomas! Un bell’applauso per i nostri ultimi concorrenti!” urlò il conduttore della serata che ripeteva quella stessa identica frase, modificando solo alcuni particolari, da tutta la gara. Dei cori in stile curva da stadio si levarono nella sala e i due giovani iniziarono a prendere i microfoni. Leon li fissava e un dettaglio attirò la sua attenzione: c’era qualcosa che non andava. Il telone della scenografia si mosse leggermente… la cosa non gli quadrava per nulla. Mentre Maxi continuava a raccontargli di chissà quale strano sito per mixare, Leon si alzò e si avvicinò al bordo del palco mentre le note di “Entre Tu y yo” invadevano la sala e le voci dei giovani cantavano tranquillamente quella, fin troppo sdolcinata secondo lui, canzone d’amore. Ad un tratto salì sul palco e, sotto gli occhi di tutti, staccò i cavi dei microfoni, azzittendo i due. “- Scendi, subito!” urlò alla ragazza avvicinandosi ai due, avendo intuito che qualcosa non andasse come avrebbe dovuto. “- Ma cosa vuoi?! Stavamo cantando, o forse non te ne eri accorto? Sei sordo, per caso?” urlò, stizzito, Thomas, avvicinandosi con aria di sfida. Tutti assistevano a bocca aperta alla scena, pensando in una scenata di gelosia di Leon che avesse stoppato per questo i due. Diego si alzò e si avvicinò alle scalette della piccola pedana, per capire meglio cosa stesse accadendo. Ad un tratto si sentì un rumore sordo e, un riflettore, barcollò sospeso a mezz' aria. Leon fece giusto in tempo a prendere in braccio la ragazza e a fare un salto dal palco mentre, un faretto bello grosso, cadde giù e si frantumò al suolo, a pochi passi da Heredia che, nel frattempo, era sceso per inseguire il messicano con aria furiosa. Il silenzio era calato nel locale. Tutti fissavano quel riflettore sul palco, in mille pezzi. “- Mi… mi hai salvato…” balbettò la Castillo, mentre Vargas la metteva giù. “- E’ il mio mestiere.” gli sussurrò lui all’orecchio, per poi farle l’occhiolino. “- Che diamine è stato?” chiese Diego, correndo verso di lui. “- Dietro alla scena, si muoveva il fondale… c’era qualcuno! Vieni con me!” urlò Leon, avviandosi con Dominguez verso il dietro del telone. “- No. Resta qui con lei… ci vado io!” lo fermò Diego, avviandosi verso il palco. “- C’è stato un problema! Non mi spiego come sia potuto accadere! Mi dispiace, la gara è annullata! Qualcuno avrebbe potuto farsi male sul serio!” disse il conduttore, serio. “- No! Squalificate solo loro! Noialtri ci siamo esibiti! Premiate uno tra noi!” strepitò Ludmilla, venendo tirata a sedere persino da Nata, ancora pallida per quello spavento. “- Non mi sembra il caso!” le urlò Federico, guardandola male e facendo annuire tutti gli altri. “- C’era qualcuno, allora! Mi sa che è il tizio dei messaggi…” sussurrò impaurita la Castillo a Leon, che annuì. “- Non hanno visto nessuno! Erano tutti davanti al palco e da lì si accede tramite un’ uscita secondaria, dalla parte all’aperto del locale che però, per il maltempo, era chiusa ai clienti. Poteva entrarci chiunque lo stesso, però.” Diego era tornato con il fiatone e  spiegò a Leon che annuì con decisione. “- Se papà lo scopre non mi farà sul serio uscire mai più di casa.” Disse la ragazza, terrorizzata. “- Già. Ma dovrebbe saperlo! Non si tratta più di messaggini... questo tizio ha iniziato ad agire!” disse Leon, preoccupatissimo. “- Ci sei tu con lei, no? Indagherò un po’ io sul caso… Io sono un poliziotto, piacere, Diego Dominguez. Se scopro qualcosa parlerò al commissario.” Sentenziò il moro, fissandola con decisione. “- Perfetto. Poi potrebbe essere comunque stato un caso.” disse lei, ancora scioccata. “- Un caso? Proprio su di te cadeva ‘per caso’ quell’affare? Io non credo alle coincidenze!” disse, con aria seria, Leon. “- CALA IL SIPARIO… Leon, ti ricordi?” chiese lei, sgranando gli occhi al ricordo di quel messaggio minaccioso. “- Sì. Ci avevo pensato anch’io… ho un brutto presentimento… questo, per il nostro nemico, è solo l’inizio ed ora ha provato a fare fuori te. Ho paura che, presto o tardi, proverà a colpire anche Angie o tuo padre. Dobbiamo avvisare Pablo. Andiamo, sarà a villa Saramego.” Disse Vargas, trascinandola dolcemente per un braccio, verso l’uscita. “- Farò credere che sei salito sul palco per una scenata di gelosia. Se scoprono che sei la sua guardia del corpo si complicherà tutto!” urlò Diego, con fare deciso. “- Ok, torna alle indagini… e tienimi aggiornato.” Disse Leon, uscendo. “- Ovvio, amico. Ti chiamo dopo se ci sono novità ma ne dubito. Questo tizio è bravissimo, maledizione!” disse Diego, per poi ritornare alla festa, ormai distrutta. “- Devo salutare Thomas! Mi odierà se scappo così, con te!” esclamò Violetta, mentre entrava in auto con Vargas. “- Che si abitui!” borbottò Leon, mettendo in moto, mentre lei si allacciava la cintura. “- Dove abita tua zia?” chiese Leon, impostando il navigatore satellitare. “- Calle Mayor, 27. Ma vai piano… ho già un brutto rapporto con le macchine in genere.” Disse la ragazza, osservando la guardia del corpo non staccare gli occhi dalla strada. L’aveva salvata. Era insopportabile ma, innegabilmente, un ottimo bodyguard.
 
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Ahi! Chi ha sabotato il palco? Piaciuta la parte con Angelica e Angie? Vi sta piacendo la storia? Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 6
*** Che la battaglia abbia inizio! ***


“- Quindi hanno tentato di… no. La cosa sta degenerando. Lisandro, per quanto sia insopportabile, deve sapere.” Sentenziò Galindo, seduto sul sofà di casa Saramego. Angie teneva strette le spalle della nipote in un abbraccio, mentre Leon, visibilmente nervoso, andava avanti e in dietro per la stanza come un leone in gabbia. “- No! Mio padre non mi consentirà di uscire mai più! Nemmeno con Leon! Se prima era titubante, adesso me lo vieterà categoricamente!” strillò Violetta, scattando in piedi, tutta tremante.
“- Diego Dominguez sta indagando… ma lo conosco, sicuramente riferirà al commissario.” Sentenziò Vargas, conoscendo bene l’amico che non avrebbe rischiato il posto per una missione in segreto. “- Calmiamoci, per favore. Tutti!” urlò Pablo, azzittendo i presenti che avevano preso a parlottare tra loro creando una grande confusione causata dall'accavallarsi delle loro voci alquanto nervose, specchio dei loro stati d’animo in quel momento. “- Oggi abbiamo visto Angelica.” Disse Angie, guardando la ragazza con decisione. “- Come sta? Anche lei ha ricevuto…?” iniziò la ragazza, rabbrividendo al solo pensiero di quei messaggi. “- No. Per fortuna… ma le abbiamo detto di farci sapere subito se dovesse averne.”  Esclamò l’uomo, alzandosi e cominciando a vagare anche lui per la camera, tesissimo. Ad un tratto suonò la porta e Diego, Lisandro e German Castillo, fecero il loro ingresso in casa. “- Lo sapevo. Non ti tieni un cecio in bocca! Dannazione!” disse Leon all’amico, dandogli una mezza gomitata. “- Era l’unica cosa giusta da fare e lo sai anche tu.” Sibilò Diego, facendolo poi annuire con stizza. “- Papà, sto bene. Non cominciare a preoccuparti inutilmente!” Disse la giovane, mentre il padre la stringeva fino quasi a toglierle il fiato. “- Da oggi in poi non uscirai più. Ma perché non te l’ho vietato prima?” si chiese l’uomo, beccandosi un’occhiataccia da Vargas. “- Ci sono io con lei. Come l’ho salvata ora, la salverò sempre, anche se non è detto che ce ne sarà bisogno. Si potrebbero insospettire se troncasse i rapporti con il mondo esterno, così bruscamente. Potrebbe essere peggio.” Esclamò Leon, facendo annuire anche il commissario. “- Il ragazzo ha ragione. Questa faccenda deve rimanere tra noi o l’assassino potrebbe capire troppo. Dobbiamo prenderlo prima che si renda conto che Violetta, Angie e lei, German, siete sotto protezione.” Disse Lisandro, sedendosi su una poltrona. “- Parlate bene voi! E’ mia figlia! Leon e Violetta, in auto! Si va dritti a casa.” Ordinò German, lanciando un’occhiataccia ad Angie che ricambiò e uscendo da quella villa. “- Noi andiamo. Ti aggiorno…” sussurrò Diego al messicano che annuì, seguendo Castillo e la giovane. Anche il commissario, dopo uno sguardo gelido a Galindo, si fiondò fuori dalla casa.
“- Io non so più cosa pensare! E’ tutto così assurdo! Mi sembra di vivere in uno di quei film orribili d’azione, senza il lieto fine! Devo uscire. Non resisto più qui.” Esclamò la Saramego, alzandosi di colpo per salire in camera da letto. “- Dove pensi di andare? In questo momento uscire è la cosa più stupida che tu possa fare!” la rimproverò il bodyguard, severo, restando ai piedi delle scale. “- Senti, non cominciare a dirmi cosa devo o non devo fare!” urlò lei, affacciandosi dalla ringhiera che dava sul piano inferiore. “- Ah, allora ti seguirò!” urlò il moro, incrociando le braccia al petto. “- Non credo, viene a prendermi Matias tra qualche minuto. Gli ho già mandato un sms!” strillò lei, mentre si cambiava in camera sua. “- Tra qualche minuto? E lo hai appena contattato? Cos’ha un jet privato questo qui?” rise lui, risedendosi sul divano con aria nervosa. “- No. Una Ferrari.” Lo corresse lei, sempre strillando dal piano superiore. “- E tu vuoi uscire proprio adesso, di notte, da sola, con quel pazzo in giro e con quello svitato del tuo… ex, fidanzato o non so cosa? Non ti è bastato quello che ha rischiato tua nipote? Pensavo per un attimo che fossi tornata una persona con un minimo di buon senso e invece…” borbottò Pablo, alzandosi di nuovo, in preda all’ansia. L’avrebbe seguita, di sicuro. Magari non dicendoglielo ma l’avrebbe fatto. Un rumore di tacchi lo fece voltare di scatto: Angie scese, in uno splendido abito blu elettrico e delle scarpe altissime dello stesso colore. Galindo per un secondo si rese conto che era rimasto a fissarla come imbambolato da quella visione così perfetta e abbassò gli occhi, per non darlo a vedere. “- Che hai? Ti imbarazzo?” sorrise lei, con aria maliziosa. “- Ma co…? che vai a pens…? Certo che no!” disse lui, sentendo il campanello e volando ad aprire per togliersi da quel momento così scomodo. “- Fermo dove sei!” urlò lei, facendolo bloccare sul posto come una statua. “- Vado io! Tanto è per me…” gli sussurrò lei all’orecchio, con un tono dolce che lo fece diventare violaceo. “- Mati! Come va?” disse lei, allegramente, come se nulla fosse. Ormai era chiaro: si comportava così per tentare di nascondere la sua sofferenza e, come una brava attrice, ci riusciva molto bene. Ma Pablo, per sua sfortuna, era un attento osservatore e dai suoi occhi capiva tutto: capiva che stava male, che aveva vissuto e stava vivendo uno dei periodi più brutti della sua vita. Capiva alla perfezione il perché fingesse di essere un’altra… ma non la comprendeva del tutto, ignorando come potesse fare tutto ciò solo per scappare dal suo dolore. Osservò La Fontaine che tentò di baciarla, prendendole il viso tra le mani con fin troppa passione e notò come lei lo scansò, schioccandogliene uno sulla guancia, lasciandolo visibilmente deluso. Ad un tratto li vide avvicinarsi al sofà e si finse interessato ad una rivista trovata per puro caso tra i cuscini del divano. “- Stasera sarà un vero sballo, assicura La Fontaine!” rise il biondo, stringendole la vita e quasi infastidendola, facendole disegnare un sorriso tiratissimo sul viso. “- E questo chi è?” chiese d’un tratto l’uomo, accortosi di Galindo che leggeva… o meglio, fingeva di farlo. “- Lui è Pablo, un mio collega e amico. Pablo, lui è Matias.” disse la donna, fissando le occhiatacce che si lanciavano i due. “- Incantato! E’ proprio come me lo aspettavo!” ironizzò Galindo allungandogli la mano, stizzito già solo dalla presenza del biondo. “- Io sono il suo fidanzato.” Disse il La Fontaine, mentre Angie sgranò gli occhi, sconvolta. “- Ex… ora siamo amici.” Ci tenne a precisare la bionda, imbarazzata. “- Dove andate di bello?” si informò la guardia del corpo, incuriosita. “- Alla Amnesia, la discoteca più cool della zona. Non penso che tu la possa conoscere.” sorrise la Saramego, senza nemmeno preoccuparsi di invitarlo anzi, punzecchiandolo ulteriormente. Quel locale aveva un nome ben preciso… lei voleva dimenticare tutto quella notte e Galindo lo capì subito. “- Ah, mi sottovaluti allora... perchè invece la conosco bene. Divertitevi.” disse il moro, sfogliando il giornale con noncuranza e guardandoli allontanarsi verso la porta. Lui continuava a stingerla e lei, fingendosi divertita, uscì ridacchiando. “- Ed ora andiamo un po’ a vedere com’è questa discoteca.” Sentenziò tra sé e sé lui, afferrando una giacca, pronto per seguirli come aveva già previsto da prima che Matias entrasse in quella casa.
 
 
“- Diego è un idiota! Ora la mia vita sarà tra queste quattro mura!” Violetta andava nervosamente avanti e indietro stizzita. “- Doveva farlo! Se non lo diceva lui a Lisandro, prima o poi, l’avrei fatto io.” Sentenziò Leon, seduto sul bordo del letto della giovane e fissandola con aria seria. “- Se mi consentirà di continuare ad andare allo Studio sarà già un miracolo!” urlò lei, sedendosi alla scrivania, agitatissima. “- No, a scuola ti ci farà andare. Non puoi dare troppo nell’occhio scomparendo del tutto dalla circolazione. Sarebbe sospetto. Al massimo ti perderai le uscite con Heredia…” la punzecchiò il giovane, aspettando la sua reazione. “- Appunto! Ti sembra bello?” esclamò lei, rialzandosi e andando ad afferrare il cellulare dal comodino per controllare se avesse nuovi messaggi. “- Sai che perdita!” rise Leon, stendendosi sul letto e mettendosi sul fianco. Erano notti ormai che non dormiva e riusciva solo, di tanto in tanto, a sonnecchiare. Era sempre vigile ma aveva bisogno di chiudere occhio, almeno per un po’ altrimenti avrebbe perso tutta la sua lucidità a causa della stanchezza. “- Sai che ti detesta, vero? Insomma, tutti pensano che tu abbia fatto una scenata di gelosia, portandomi via dal palco, per volere del caso, giusto in tempo!” spiegò lei, andandosi a stendere accanto a lui e fissando il soffitto con aria pensierosa. “- Per "volere del caso"? Ah, io avevo capito subito che qualcosa non andasse per il verso giusto! E comunque, se mi detesta è bene che sappia che la cosa è reciproca.” Sbuffò Leon, osservandola allungare un braccio per afferrare di nuovo il telefonino. “- Secondo le mie previsioni, Thomas è fin troppo arrabbiato del fatto che sia scappata con me, lui pensa chissà per quale strano motivo amoroso… e, per come sarà furioso adesso, c’è più probabilità che ti arrivi un sms minaccioso dal folle che uno da Heredia… anzi, pensandoci, in questo momento, le due cose potrebbero essere collegate visto come lo hai scaricato stasera!” ironizzò Vargas, beccandosi una cuscinata in pieno viso dalla ragazza. “- Ehi, dacci un taglio! Ti risparmio solo perché non resisteresti ad una battaglia di cuscini con me. Ti straccerei, signorina!” sbottò lui, sottovoce, ma facendosi capire alla perfezione. Violetta finse di non ascoltare e lui chiuse gli occhi, mezzo addormentato… all’improvviso, una seconda cuscinata lo fece sobbalzare, stavolta si fece male sul serio. La zip del cuscino gli era finita sul naso e un pochino di sangue gli zampillò dalla narice. “- Ok… l’hai voluto tu!” disse serio, senza lamentarsi ma toccandosi la parte lesa e notando la sostanza rossa fuoriuscire e scorrergli appena sul labbro superiore. “- Perdonami, non volevo farti male!” rise lei, fissandolo però, un po’ preoccupata. “- Vuoi la guerra, mocciosa? E guerra sia!” urlò Leon, mentre nel frattempo, aveva afferrato un cuscino finito sul pavimento e aveva dato il via alla sfida. Fu così che cominciò la battaglia più spietata. Si rincorsero per la camera fino a inciampare più volte, ridendo come due matti. Leon non si divertiva così da una vita e lei… beh, anche lei, dopo tutto quello che aveva passato e che stava passando ancora. Continuarono, combattendo sul letto fino a quando lui riuscì a disarmarla e la fermò, pronto al colpo di grazia, quello della vittoria, quello che avrebbe sentenziato la fine della battaglia. “- Ti avevo detto che ti avrei sconfitto!” ghignò, rendendosi conto solo dopo qualche secondo che si trovava sopra di lei, stesa sul letto e che continuava a ridere come una pazza. “- Basta! Mi arrendo! Bandiera bianca! Pietà!” urlò, con le lacrime agli occhi per il troppo sghignazzare. “- Va beh, ti risparmio perché sono un signore… ma ho vinto comunque.” Disse Leon, abbassando il cuscino e sedendosi serio sul bordo del letto, imbarazzatissimo. Anche lei si era resa conto della faccenda e, senza dire nulla sulla questione, prese posto accanto a lui, ancora con il fiatone per la lotta. “- Scommetto che con Heredia non ti diverti così tanto…” esclamò Leon, avvicinandosi alla finestra e prendendo a fissare il paesaggio, ormai notturno. “- E’ inutile che controlli ancora il telefonino. Il poppante starà già dormendo da ore!” disse senza neppure voltarsi verso di lei, ma continuando a guardare fuori. “- Non è Thomas, purtroppo… guarda qui!” esclamò lei, mostrandogli il cellulare con aria scioccata. “E’ SOLO L’INIZIO…” Lesse, ad alta voce, Vargas, avvicinatosi a lei che fissava ancora il display con gli occhi spaventati. “- Si riferiva al riflettore… allora è stato lui.” balbettò, impaurita, la Castillo. “- O lei, o loro. Non dobbiamo escludere nessuno dai sospetti.” La corresse Leon, analizzando la sua espressione tesa. Ora non guardava più il telefono ma il suo sguardo era perso nel vuoto, timoroso. Leon non sapendo cosa fare o dire rimase in silenzio e, di colpo, senza che neanche lui stesso si aspettasse di fare quel gesto, l’abbracciò forte, stringendola a sé mentre lei, come previsto dal ragazzo, si lasciò andare ad un pianto liberatorio. “- Calmati. Non ti lascerò da sola, sarò sempre con te, fidati.” Le sussurrò all’orecchio il ragazzo, accarezzandole dolcemente i capelli, sorprendendo persino sé stesso di cotanta dolcezza insita in sé. “- Grazie.” balbettò lei, tra i singhiozzi, aggrappandosi con forza alle spalle forti e possenti del giovane. Leon e Violetta avevano scampato alla prima battaglia… ma, a quanto pareva, la guerra era appena cominciata.
 
 
Nella bolgia infernale dell’Amnesia, Pablo, finalmente, riuscì ad individuare Matias e Angie che erano seduti su una poltroncina lontana dall’affollatissima pista. Galindo si andò a sedere al bancone e si fece servire uno analcolico. Era pur sempre in servizio e, quel posto, non lo convinceva per niente: doveva capire qualcosa in più su La Fontaine. Quel posto gli dava la nausea, quella musica assordante gli dava la nausea, Matias gli dava la nausea. Fissava fin troppo Angie e le serviva da bere in continuazione. Pablo si insospettì subito, dal primo calice che lui le aveva versato… probabilmente voleva farla ubriacare approfittando del fatto che lei fosse tanto fragile in quel momento. Lui lo sapeva e poteva essere benissimo qualcuno che avesse a che fare con quei messaggi… quando lui le poggiò una mano sul viso e la fissava intensamente, all’agente salì una rabbia che nemmeno riusciva a spiegarsi. Lei, se inizialmente pareva meno interessata a lui, adesso, sembrava dargli addirittura corda e, finalmente, il biondo riuscì ad ottenere il bacio appassionato che voleva.
“- Le posso servire altro?” chiese una mora, dietro al bancone, fissandolo con fin troppa insistenza. “- No, grazie.” Disse lui, seccamente, posizionandosi su un divanetto che gli avrebbe migliorato la visuale e gli avrebbe consentito di intervenire al più presto. Facendo vari slalom tra la folla riuscì a sedersi dove voleva e continuò a studiare la situazione, con aria fintamente disinteressata.
“- Tesoro, la bottiglia è finita. Ne vado ad ordinare un’altra e sono subito da te…” disse Matias, dandole un altro bacio che fece storcere il naso al bodyguard ma al quale lei ricambiò con trasporto. Doveva portarla via di lì, e subito. Se pure il biondo non c’entrasse nulla con quei messaggi lei era fin troppo brilla per ragionare e sarebbe stata una preda facile anche per il folle misterioso. “- Pablo! Che bella sorpresa!” urlò quasi la bionda vedendolo avvicinarsi a lei, abbracciandolo con foga e facendolo pure arrossire di colpo. “- Ce ne dobbiamo andare subito da qui, vieni…” disse, dandole la mano per condurla fuori dal locale. “- Io sto aspettando Mati! Dai almeno lo saluto!” rise lei, ormai ubriaca fradicia. “- No! Tu non saluti proprio nessuno! Vedi che è pure impegnato?” disse con tono disgustato Pablo, indicando l’altro mentre era tra una decina di ragazze a ridere come se nulla fosse. “- AH! Mi hai rimpiazzato allora!!! me la pagherai, Matias La Fontaine!!! Te lo giuro!!!” lo minacciò la Saramego, facendo voltare un gruppetto di persone verso di loro e versandogli lo champagne del suo bicchiere in pieno volto, lasciandolo a bocca aperta. “- Dove mi porti?” chiese, calmatasi, a Pablo, continuando a ridere e a barcollare. “- A casa! Dove pensi di andare in questo stato?” disse lui, fissandola e osservando la sua aria delusa. “- Ma no! Balla con me, su! Divertiamoci!” strillò lei, afferrandolo per il collo della camicia e facendolo di nuovo avvampare. “- No. Tu vieni con me, andiamo!” esclamò lui, serio, afferrandole di nuovo la mano. “- Che noioso che sei! Però sei affascinante…” disse, sottovoce, la bionda, all’orecchio del moro con tono sensuale. “- Sì, certo... Ma adesso entra in auto! Già hai fatto abbastanza danni! Quella scenata  a quello lì te la potevi evitare…” ordinò lui, rendendosi però conto che la Saramego continuasse ad ignorarlo. “- E va bene, l’hai voluto tu!” disse poi, prendendola in braccio improvvisamente e mettendola stesa sui sedili posteriori della sua auto.
Arrivarono in fretta alla villa di Angie che, invece di addormentarsi durante il tragitto, continuava a ridere come una pazza. “- Andiamo, ti porto in camera.” disse lui, portandola in braccio fino alla porta e aprendola con difficoltà. “- Ottima idea!” esclamò lei, maliziosamente, facendo scuotere il capo al moro, in segno di sconfitta. Salì le scale che portavano al piano di sopra mentre lei continuava a dire cose senza senso e a sghignazzare come una matta. “- Bene… eccoci qui. Stenditi e cerca di dormire.” Disse l’uomo, sedendosi e afferrando un libro dalla solita mensola. “- Dormire? Nooo! Non ho sonno…” sorrise lei, fissandolo intensamente. Era bella, una splendida donna… ma non poteva minimamente pensarci! Doveva contenersi, stava lavorando per quanto lei glielo stesse rendendo impossibile. “- Ma non ti piaccio proprio? Mi trovi brutta?” esclamò, con sguardo dolce e voce soave lasciando la guardia del corpo ancora più scioccata. “- Brutta? No, anzi!!! Sei molto affascinante, sexy, attraente, bella… un po’ folle ma bella. E anche fin troppo brilla. Quindi, per l’ultima volta, dormi!” disse lui, fissandola e notando come fosse rimasta soddisfatta di quei complimenti. “- Mi piacerebbe avere un fidanzato come te! Ma io non posso essere felice… evidentemente non me lo merito!” rise lei, girandosi sul fianco, dando le spalle all’uomo che, a quella affermazione, rimase di sasso. Quelle parole la bionda le aveva pronunciate con un filo di amarezza, nonostante fosse più che ubriaca sembrava che le avesse dette con sincerità… o forse… no, era brilla. Non poteva pensarlo sul serio.
“- Tutti meritano di essere felici. Arriverà anche per te quel momento. Buonanotte.” Sussurrò lui dolcemente, mentre lei, ormai, era caduta in un sonno profondo.
 
 
Il mattino dopo, Leon, ricevette una telefonata e rispose subito per non svegliare Violetta, correndo fuori dalla camera di tutta fretta. Era ancora addormentata e, per una volta che non aveva fatto incubi, voleva lasciarla riposare in pace. “- Diego, cosa vuoi a quest’ora?” disse Vargas sottovoce, allontanandosi dal letto di lei e uscendo in corridoio. “- Che cosa?! Ma è assurdo!” urlò quasi il ragazzo messicano. “- Va bene, chiamo io Pablo… grazie dell’informazione.” Concluse Leon, fissando lo schermo come immobilizzato. Non poteva credere a quello che aveva appena ascoltato. Mentre osservava ancora impietrito il display del telefonino, Violetta, ancora assonnata, scese dal letto e lo sorprese fuori dalla porta. “- Che è successo? Perché urlavi così tanto?” chiese, stropicciandosi gli occhi con delicatezza mentre anche German era arrivato vicino ai ragazzi. “- Dobbiamo andare in commissariato. Matias La Fontaine è scomparso. Sua sorella dice che questa mattina non è tornato a casa.” Disse, con aria serissima, il ragazzo. “- Chi?” dissero padre e figlia in coro. “- L’ex di Angie o amico, o fidanzato o non so cosa! Ed è ancor più strano il fatto che sia arrivata una chiamata anonima a Lisandro che avvertiva di aver visto litigare proprio ieri notte lei e Matias, poco prima che lui sparisse nel nulla.” Spiegò Leon, mentre la Castillo si portò le mani al viso sconvolta. “- Ma lei cosa c’entra, scusami? Hanno litigato! E quindi?” iniziò la giovane subito prendendo le difese della donna, correndo in camera per vestirsi e recarsi con il padre e il bodyguard alla polizia. “- Lisandro sospettava da sempre di tua zia. Purtroppo è fatto così. Anche se un buon poliziotto non si ferma alle apparenze.” Disse, con rammarico, Vargas, sedendosi sul bordo del letto della giovane che lo fissò sorpresa da tale affermazione.
Intanto, a villa Saramego, Pablo aveva ricevuto la chiamata da Leon e non sapeva come dire tutto alla donna. “- Ah! Che mal di testa…” in cucina, appoggiata alla porta, apparve la bionda, mantenendosi il capo con una mano e, dopo qualche secondo, andandosi a sedere al tavolo per la colazione massaggiandosi le tempie con aria distrutta. “- Postumi della sbornia. Così impari!” la rimproverò lui, temporeggiando sul discorso che doveva farle e servendole un caffè forte. “- Grazie…” sussurrò lei, abbassando gli occhi sulla tazza, ancora con le mani alla fronte per il gran cerchio alla testa che si sentiva. “- Angie, senti…” iniziò Galindo, sedendosi di fronte a lei. “- Oh no… non dirmi che ieri sera… senti, qualsiasi cosa abbia detto o fatto sono pentita. Mi dispiace ma ero messa peggio di Spugna della nave di Capitan Uncino.” tentò di dire lei, temendo qualcos’altro. “- No, nonostante tu mi abbia provocato in tutti i modi io sono anche capace di… resistere. Che poi, non provando assolutamente nulla per te non è stato così difficile…” ridacchiò lui, mentendo spudoratamente, per poi tornare subito serio. “- Io cosa…?!” strillò lei, alzandosi di colpo, sconvolta. “- Non devo parlarti di questo. Ieri hai litigato animatamente con Matias… ecco, vedi… ora lui è scomparso e Lisandro… vuole vedere tutti noi.” Disse serio l’uomo, evitando di dirle che lei fosse tra i sospettati principali. “- Immagino che voglia parlare con me, no? Già mi detestava prima, quindi adesso mi arresterà direttamente.” Comprese la donna, sconvolta dalla rivelazione. “- E va bene! Non so se tu te ne sia accorta ma è ora che tu sappia: c’ero io con te. Eravamo insieme stanotte. Ti ho tenuta d’occhio io nel locale e non hai fatto nulla a parte la scenata, poi ti ho riaccompagnata a casa.” Spiegò Pablo, tentando di tranquillizzarla.
“- Ah, quindi mi hai seguita. Ottimo!” disse, acidamente, la donna. “- Ringraziami, piuttosto. Sono il tuo alibi!” esclamò lui, con decisione. “- Vedremo cosa si inventerà Lisandro pur di incastrarmi!” disse lei, alzandosi con una calma quasi spaventosa e andando a prepararsi.
Era pronta in poco tempo mentre Galindo l’aspettava sulla porta. “- Cosa credi che… sia successo a Matias?” chiese lei, abbassando gli occhi mentre chiudeva con foga il cancelletto della villa. “- Non lo so. Ma una cosa è certa: stanno cercando di incastrarti. Fai attenzione a quello che fai. Basta uscite, cavolate e follie. Stai con me e sarai al sicuro.” Disse Pablo, aprendole la portiera dell’auto e guardandosi intorno con fare circospetto. Quella domenica mattina era iniziata davvero con il piede sbagliato.
 
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Allora, ricapitoliamo: Diego non si tiene un cecio in bocca e rivela a Lisandro del crollo del riflettore… causando le ire di German che ora è ancor più teso che mai per la figlia! Matias è sparito! Sarà morto? C’entrerà con la faccenda di Maria con questa sparizione? E con i messaggi? Sarà sempre la stessa persona che minaccia o sono casi a parte? Qualcuno vorrà sul serio far arrestare Angie? Ma soprattutto… perché? Troppe domande che, per ora, non avranno risposta! Dovrete attendere, amici miei! Il piano malvagio è appena cominciato, come diceva il messaggio ricevuto da Violetta… potrebbe essere un altro indizio? E la telefonata anonima al commissario? Bene, questo ed altro nel prossimo capitolo! Ciao! :)

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Capitolo 7
*** Fuori uno. ***


“- Dunque, lei è andata da sola con La Fontaine in quella discoteca, l'Amnesia… avete bevuto, litigato e, ad un certo punto, lui è sparito, così, nel nulla. La sorella ci ha raccontato che, di solito, l’uomo tornava entro le 7 del mattino e, siccome sembra scomparso e nessuno sa niente di lui da stanotte, si è spaventata e si  è rivolta a noi. Lei però, signorina, era già andata via con Galindo prima che Matias scomparisse, dico bene?” chiese Lisandro, mentre tutti erano seduti davanti a lui e Diego era in piedi, al lato del commissario e analizzava le espressioni dei presenti. “- Sì. E’ la terza volta che confermiamo come sia andata la notte.” rispose Pablo, al posto della Saramego, interrogata da Roberto. “- Ho chiesto a lei, forse? Penso che conosca le regole di un interrogatorio, no? Ah, giusto… lei è una guardia del corpo…” iniziò, con sguardo malvagio, Lisandro, azzittendo il bodyguard che, ferito da quelle parole, lo fissò con aria di sfida. “- Sì…” disse Angie, sostenendo con forza lo sguardo dell’uomo di fronte a lei.
“- Dei testimoni hanno detto che aveva alzato un po’ il gomito e che ha duramente minacciato il suo ex. Questa storia che lei fosse con il bodyguard nessuno l’ha detta tranne voi due.” Buttò lì l’occhialuto poliziotto, facendo diventare rosso di rabbia Galindo. “- E’ ovvio! Sapevano che io l’avessi accompagnata fuori dal locale dopo il litigio quando poi siamo andati via, ma non potevano immaginare né che fossimo andati a casa, né che fossi il suo agente personale. E poi io sono arrivato dopo lei e La Fontaine. L'ho seguita senza dirle nulla quindi, agli occhi di tutti io non ero con lei.” Sentenziò Pablo, con non nervosismo. “- Non avrebbe nemmeno dovuta lasciarla andare da sola.” Ribatté subito Lisandro. “- Infatti non l’ho fatto.” Gridò Galindo, stizzito come in una sorta di botta e risposta ad alta tensione. “- Sì, in effetti l’hanno vista uscire con un moro dalla discoteca… prima che La Fontaine sparisse, però. Siete andati direttamente a casa?” chiese, curioso, il commissario, rivolgendosi ancora alla Saramego, alla quale non aveva mai staccato gli occhi di dosso, per analizzare ogni sua minima espressione del viso.
“- Sì, ovviamente! Era così ubriaca che non saremmo potuti andare proprio da nessun altra parte!” si intromise ancora Pablo, provocando le ire di Lisandro, “- Le ho detto che non ho bisogno di parlare con lei! Voglio sentire la signorina, grazie!” urlò, alzandosi in piedi di colpo. “- Se non ricorda nulla è inutile parlare con lei! Ha bevuto troppo per poterle rispondere! La signorina non puo’ aiutarla, signor commissario!” urlò Galindo, scattando in  piedi e sottolineando quasi con ironia quell’appellativo. Nell’ufficio del capo della polizia calò il silenzio e Violetta, German e Diego fissavano la scena con aria sconvolta. “- Che succede qui?” chiese Cardozo Valdez, entrando di colpo nella stanza, tentando di allentare la tensione che si era creata. “- Ho sentito bene, Lisandro? Non si fida della testimonianza del mio agente? E’ inaudito!” urlò Valdez, avvicinandosi alla scrivania del commissario che non si smosse più di tanto nonostante la stazza impressionante dell’uomo. “- Ah! Ora non risponde! Poi proprio Galindo… lo dovrebbe conoscere bene, è un uomo affidabile e serio!” continuò Cardozo, difendendo il bodyguard della sua stimata agenzia. “- Commissario, scusi! Questo messaggio l’ho ricevuto ieri sera… alle 22. Non potrebbe essere collegato a quello che è successo a Matias?” Violetta, timidamente, si intromise nella discussione, allungando il cellulare a Roberto che lo fissò storcendo il naso. Tutti attesero in silenzio quello che avesse da dire. “- Il riflettore, un altro messaggio, La Fontaine che scompare, relazionato alla Saramego. In effetti il collegamento potrebbe esserci.” Borbottò tra sé Lisandro, restituendo il telefonino alla giovane. “- Ma scusi! Non lo analizzate? Non mandate il cellulare alla scientifica o qualcosa del genere?” chiese German, sconvolto. “- Lo abbiamo già controllato. Il nostro ‘caro amico’ è troppo furbo. Una sorta di genio.” Sussurrò quasi il capo della polizia, fissando dei raccoglitori aperti davanti a sé. “- Tra quanto saranno pronti i documenti per l’espatrio?” chiese ancora Castillo, fin troppo preoccupato dagli eventi che stavano accedendo e, sembravano sempre peggiorare. La faccenda diventava ancora più pericolosa e stava sempre fin troppo in ansia per la sua bambina e non avrebbe potuto sopportare quella situazione ancora a lungo. “- Ancora alcuni mesi. Non è così semplice. La burocrazia ha dei tempi molto ferrei.” Disse serio Roberto, riflettendo un minuto sulla tempistica. “- Alcuni mesi? E’ troppo. Faccia in fretta! Se ne occupi in prima persona se possibile. Non possiamo restare un minuto di più a Buenos Aires! Posso pagare qualunque cifra pur di far procedere più in fretta quelle carte!” urlò Castillo, portandosi le mani al volto. “- Non si tratta di soldi, signor German. Ci vuole tempo. Voi comunque siete sotto protezione. Tranquilli.” Esclamò, con una calma glaciale, Roberto, fissando Cardozo che annuì con decisione. “- Sotto protezione? Mia figlia stava per essere ferita da quel riflettore che suppongo non sia caduto per caso, c’è un tizio scomparso ricollegabile a mia cognata e arrivano altri sms! E dovrei stare tranquillo?” replicò il moro, scattando in piedi e uscendo, trascinandosi la figlia fuori e Leon, di conseguenza, li seguì di fretta salutando con un cenno del capo Diego che abbozzò un mezzo sorrisetto. “- Posso andare anch’io? Ho bisogno di riposare. O sospetta ancora di me?” disse, seria, Angie, fissando il commissario che lanciò un’occhiataccia a Pablo che ricambiò con piacere. “- Sì. Restate comunque a disposizione per altre domande. Le indagini proseguiranno e vi terremo informati.” Esclamò Lisandro, mentre la bionda e il bodyguard si alzarono in contemporanea e uscirono dall’ufficio, ancora scossi.
“- Capo, come mai sospetta ancora di quella donna? Anche lei riceve quei messaggi… e poi c’era Pablo con lei, ieri notte! Si deve fidare di lui…” Diego si fece coraggio e si sedette di fronte al commissario che lo fissò, abbozzando un ghignetto e riprendendo a scrivere su un blocco di fronte a sé, senza neppure alzare lo sguardo. “- Vedi ragazzo, ormai non mi fido più di nessuno essendo diventato un commissario... e la Saramego ha ottimi alibi, questo è indubbio, ma avrebbe sempre potuto incaricare qualcun altro per sbarazzarsi di quel La Fontaine… e per quanto riguarda Galindo, beh, la sta difendendo sin troppo per i miei gusti. Ha perso la testa per quella bionda, si nota… e da innamorati si possono dire delle follie pur di proteggere la propria dolce metà…” ipotizzò, serio, Roberto. Diego non condivideva quell’ipotesi assurda, ma annuì, abbassando lo sguardo, di solito molto spavaldo e fiero. Iniziò a riflettere anche lui. Era sicuro che c’era un'altra spiegazione per tutto quello che stava accadendo, era certo che quei fatti fossero collegati ad una stessa persona… ora bisognava capire il perché e, soprattutto, di chi si potesse trattare che avesse cominciato a tramare contro quella famiglia dalla scomparsa di Maria in poi.
 
 
“- Stanno brancolando nel buio, te lo dico io!” disse Leon, in giardino, seduto sul dondolo e andando lievemente avanti e indietro. Era una domenica pomeriggio assolata e in quel punto del cortiletto vi era un fresco venticello a scompigliargli con delicatezza i capelli. “- La polizia sospettava di mia zia! Ti rendi conto?” esclamò Violetta, sconvolta, seduta accanto al ragazzo che annuì con aria decisa. “- Sono dei matti se pensano che lei possa centrarvi qualcosa con tutta questa assurda vicenda. Si capisce lontano un miglio che è una delle vittime, non la colpevole. Poi Lisandro neppure si fida di Pablo! Per fortuna è intervenuto Valdez. Ora è fuori pericolo ma deve stare attenta… secondo me qualcuno la vuole far passare per indiziata numero uno. Questa volta ci è andato vicino e alla prossima potrebbe anche riuscirci. Poi la telefonata anonima che ha riferito del litigio di Matias e Angie… è tutto molto strano. Troppo.” Borbottò Leon, puntando i piedi sull’erbetta per fermare quell’altalena che ondeggiava debolmente, facendogli venire quasi il mal di mare. “- Siamo solo all’inizio… spero che quel messaggio sia stato solo una sorta di modo per spaventarci… perché se fosse la verità saremmo rovinati!” disse la Castillo, osservando il display del cellulare e cercando tra gli sms quell’ultimo avvertimento, ricevuto la sera prima e rabbrividendo ancora nel rileggerlo. “- Io penso che sia tutto collegato ad una sola persona. E, purtroppo, non penso sia solo un modo per spaventarvi. Ha cominciato ad agire: prima il riflettore ed ora, chissà per quale strambo motivo, La Fontaine sparisce nel nulla.” spiegò Vargas, iniziando a perdersi silenziosamente nei suoi pensieri. “- Dovrei chiamare Thomas…” sibilò lei, d’un tratto, non avendo trovato alcun messaggio di Heredia dopo la serata del karaoke. “- Mi pare che ci siano questioni di maggior rilevanza al momento…” esclamò Vargas, innervosendosi, non riuscendo a spiegarsi il perché accadesse ogni volta, al solo sentir nominare lo spagnolo. “- L’ho mollato lì, senza salutarlo, sono fuggita con te! Anche tu saresti arrabbiato al posto suo, ammettilo! Domani a scuola nemmeno mi parlerà!” disse lei, con aria pensierosa, fissando un’aiuola di fronte a sé con aria cupa e malinconica: vi erano seminate delle violette in fiore che rendevano l’aria tutt’intorno alla casa, profumatissima. Le aveva volute fortemente la madre, in corrispondenza della finestra della camera della sua bambina. “- Le ha piantate lei?” intuì al volo Leon, sconvolgendola per quell’immane intuito. “- Sì. Ogni volta che le guardo, anche distrattamente, mi rendo conto di quanto mi manchi.” Disse, abbassando lo sguardo con un velo di tristezza negli occhi. “- Già. Tutta questa situazione poi non aiuta di certo.” Sentenziò, giustamente, il ragazzo fissandola tenere lo sguardo basso. “- …E comunque, tornando ad Heredia, se non ti rivolgerà più la parola farai un vero affare, fidati!” disse, sorridendole, cercando di cambiare argomento e di tirarle su il morale. Lei lo osservò, perdendosi per un secondo che le parve infinito, nei profondi occhi verdi del ragazzo. Abbozzò finalmente un sorriso e, fermando il dondolio dell’altalena, scene e si mise di fronte a lui. “- Sei sempre il solito, Vargas! Si puo’ sapere cosa ti ha fatto Thomas?” rise, fissandolo divertita e dando uno spintone all’altalena che cominciò ad andare avanti e indietro freneticamente, pronta ad ascoltare cosa potesse avere da ribattere il bodyguard. “- Esiste. Ti basta?” ironizzò lui fermandola con qualche difficoltà e facendole scuotere il capo con disapprovazione. Si finse offesa e si voltò, per dirigersi in casa. Leon la osservò allontanarsi e si rese conto che, ancora, stava guardando fin troppo imbambolato quella ragazzina. Si diede una risvegliata solo quando lei sbatté forte la porta d’ingresso, facendolo sobbalzare dal flusso dei suoi pensieri. A quel punto si alzò anche lui e la seguì. Era la sua ombra… ed ora che la battaglia con il folle era iniziata, doveva esserlo ancor di più. Doveva proteggerla e lo avrebbe fatto, anche a costo di sacrificare la sua stessa vita per lei.
 
 
“- Se hai bisogno di qualcosa, io…” Pablo osservò Angie buttarsi sul divano e stendersi esausta. Non era facile per lei. Non lo era proprio per nulla. “- No. Grazie. Mi hai già aiutato abbastanza.” Disse lei, chiudendo gli occhi e portandosi una mano alla fronte, stanca e sconvolta. “- Mi dispiace di averti seguito ieri. Scusami.” Disse Galindo, sedendosi ai piedi del sofà su cui lei era distesa. “- Ma figurati, è il tuo lavoro… se non avessi avuto te come testimone poi, molto probabilmente, a quest’ ora mi avrebbero anche già arrestata! Scusami tu se sono stata tanto acida questa mattina, non te lo meritavi.” esclamò lei, riaprendo gli occhi e mettendosi a sedere accanto a lui. “- Tu sei sempre acida, ci ho fatto l’abitudine, ormai!” rise Pablo scherzosamente, osservandola. “- Sai qual è la cosa che mi fa più male?” disse, fissando il vuoto di fronte a sé, come se avesse completamente ignorato il sarcasmo del bodyguard, troppo sconvolta per replicare. L’uomo scosse il capo debolmente, fissandola con curiosità. “- Che Matias possa esserci andato di mezzo a causa mia. Questo tizio folle ce l’ha con me. E allora per quale ragione non mi affronta direttamente e se l’è presa con La Fontaine?” Pablo prese un profondo respiro e continuò ad osservarla con decisione. “- Quindi pensi anche tu che il nostro folle se la sia presa con il biondo perché fosse collegato a te?” chiese Galindo, concentrandosi ad osservare l’espressione della donna. “- Matias aveva parecchi nemici, non lo metto in dubbio. Mariti gelosi, donne da lui stesso tradite, creditori a cui doveva soldi e via discorrendo… ma sono certa che la scomparsa c’entri con me. In qualche modo collega anche il messaggio ricevuto da Violetta, la telefonata anonima che, chissà perché, voleva incastrarmi e penso che arriverai alla mia stessa ipotesi.” sentenziò lei, arricciandosi una ciocca bionda intorno ad un dito. Pablo annuì, certo che quella scomparsa avesse comunque a che fare in qualche strano modo con la Saramego. “- Forse Matias sospettava qualcosa… o ha visto qualcosa…” ipotizzò la guardia del corpo, prendendo a toccarsi il mento, riflettendo. “Non lo so, al momento so solo che mi scoppia la testa!” disse lei, prendendo ad osservare il moro, assorto nei suoi pensieri. “- Amavi ancora La Fontaine?” chiese lui, d’un tratto, incrociando gli occhi verdi e profondi della donna. “- ’Ancora’?” disse lei, ridendo e lasciando confuso l’agente. “- Sì, ho detto ‘ancora’…” ribatté lui, sorpreso di quella reazione. “- Io non l’ho mai amato veramente. Non credo di aver mai amato alcun uomo in vita mia, realmente.” Disse, seria, alzandosi e andando verso la finestra che dava sul cortile, per evitare che Galindo potesse studiare la sua espressione, come faceva di solito. “- Quindi la vostra storia era…” pensò ad alta voce l’uomo, sempre più perplesso. “- Una storia? No, credimi. Non abbiamo mai avuto una vera storia… più che altro una relazione. Non c’era amore vero, né da parte mia e, sono certa, neppure da parte sua. Era una passione temporanea, nient’altro e ci andava bene così.” Disse, continuando a fissare il giardino oltre il vetro. “- Capisco…” sussurrò lui, che lo sospettava già da quando l’aveva conosciuta. Matias, per lei era un diversivo: una distrazione da tutto quello che le era capitato, una maniera per dimenticare tutti i pensieri e le sofferenze che l’avevano colpita. “- Che c’è? Non dici più nulla? Non dirmi che non te lo aspettavi, sai come sono…” intuì lei, ancor più astutamente e ritrovando il suo tono acido, ritornando vicino a lui e sedendosi nuovamente dov’era prima. “- Perché?” chiese lui, lasciandola sorpresa. “- Cosa?” chiese la bionda, sgranando gli occhi. “- Perché ti comporti così? So benissimo che non sei quella che fingi di essere. Perché tenti di fuggire da tutto, senza voler affrontare quello che ti sta accadendo, ciò che ti ha fatto soffrire?” chiese il moro con tono fermo, alzandosi e ponendosi di fronte a lei, con decisione. “- Perché non dovrei fuggire da quello che mi circonda se mi fa stare male?” disse lei, stizzita. “- Perché stai buttando all’aria tutto e peggiori la situazione! Pensi che sia quella la vita giusta? Discoteche, sbornie e uomini che neppure ami?” chiese lui, arrabbiatissimo. “- Che ti importa! Pensa alla tua ti vita!” replicò lei, nervosa, camminando per la camera come una furia. “- Io ci ho pensato! Credimi, molto più di quanto tu non possa immaginare!” replicò lui, diventando cupo in volto. “- Già, dimenticavo! La vita perfetta! Sembra  il nome di un film! Canditati come regista, visto che sei in grado di creartene una secondo i canoni della perfezione!” strillò lei, furiosa. “- Ah, pensi davvero che io non abbia mai sofferto? Pensi che tu sia l’unica che stia male in un periodo nero? Tutti abbiamo sofferto almeno una volta ma non per questo ci comportiamo così, come te!” la rimproverò lui, ritornando a riferirsi allo stille di vita della donna, tentandole di farle cambiare atteggiamento. “- Ognuno affronta il dolore come meglio crede. Io visto che ne ho avuto fin troppo ora voglio divertirmi!” disse seria la Saramego, fissandolo con decisione. “- Non hai capito che se continui così sarai una preda fin troppo facile per questo pazzo che vuole o farti incastrare, o peggio, eliminare direttamente?” la interrogò lui, quasi sfidandola con lo sguardo per metterla in guardia. “- Lo so! Pensi che sia stupida? L’ho capito fin troppo bene! Ti diverte ricordarmelo?!” urlò Angie, andandosi a sedere, tentando di calmarsi, portandosi le mani al volto e iniziando, inaspettatamente, a piangere cosa che Galindo non si aspettava minimamente. Si sedette accanto a lei, circondandole le spalle con un abbraccio, mentre lei continuava a singhiozzare. La donna si scostò stizzita da quella stretta e andò a sedersi sulla poltrona, accanto al sofà. “- Mi dispiace. Ma dovevo dirtelo, ho provato a farti ragionare con le buone ma mi hai ignorato. Spero che adesso mi abbia capito, almeno. Che ti dia una regolata!” disse, quasi sottovoce, Pablo, fissando lei che neppure alzò lo sguardo. Restò immobile e si asciugò gli occhi con un gesto rapido della mano, senza dare troppo nell’occhio. “- Tranquilla, se farai come ti dico e starai sempre al mio fianco non ti potrà accadere nulla. Però mi devi ascoltare, d’accordo?” chiese lui, osservandola annuire debolmente con un gesto del capo. “- Bene. Andiamo, bisognerà pure preparare qualcosa per cena, aiutami che sono un disastro…” tentò di distrarla il bodyguard. “- Pablo…” chiamo la donna, mentre lui era sull’uscio della cucina. “- Sì?”  chiese, voltandosi, convinto che lei lo stesse seguendo ed ignorando che stesse ancora rannicchiata sulla poltrona. “- In che modo hai sofferto in passato?” chiese, curiosa, ricordandosi di ciò che aveva detto l’agente durante il faccia a faccia. Lui rimase imbambolato e sorpreso da quella domanda e la fissò, senza sapere da dove cominciare… era una lunga storia e avrebbe preferito volentieri evitare di parlarne. “- Un giorno te lo racconterò. Ora non me la sento. Scusami.” Disse lui, facendole alzare lo sguardo, ancora arrossato dal pianto. Era pallida e il trucco, di solito sempre perfetto, era colato dai suoi grandi occhi. vedendola così fragile il bodyguard ebbe un brivido lungo la schiena: forse era la prima volta che la vedeva disperarsi così… dopo la notte degli incubi non l’aveva mai più vista in quel modo. “- Ok…” balbettò lei, sospettando che anche lui ne avesse passate di tutti i colori nella sua vita. “- Andiamo?” disse lui, andandole vicino e tendendole la mano, dolcemente, ferito anche lui da quello che aveva dovuto dirle, per metterla in guardia. “- Sì.” rispose Angie, incamminandosi con lui verso l’altra stanza. L’aveva colpita. Forse aveva bisogno di quella ramanzina e forse, Galindo, se pur in maniera severa, le aveva detto quello che avrebbe voluto sentirsi dire prima. Lei non era così e lo sapeva benissimo. Doveva reagire ed era sicura che, con l’aiuto della sua guardia del corpo, ci sarebbe riuscita, sarebbe tornata quella di sempre.
 
 
“- Oggi le lezioni saranno estenuanti! Cominceremo ufficialmente le prove per lo show, siete pronti?” chiese Federico, correndo verso gli amici che erano nel corridoio, fuori dalla sala teatro. “- Aiuto!!! Non credo di farcela! E’ lunedì!” si lamentò Francesca, trascinandosi a fatica dagli armadietti agli altri. “- Io odio il lunedì!” sentenziò Camilla, entrando in aula di danza. “- E non sei la sola!” risero Andres e Napo, dandosi il cinque, mentre Dj era immobilizzato a fissare l’ondeggiare della chioma della Torres che aveva iniziato il riscaldamento. “- SVEGLIA!” urlò Maxi all’amico, agitandogli una mano davanti al viso. D'un tratto, Thomas entrò e, ignorando tutti, andò alla sbarra da solo, ancora distrutto dalla serata karaoke. “- E’ sconvolto… probabilmente si vergogna per aver fatto quella assurda scenata a Leon!” sussurrò Napo, sottovoce. “- Dovrebbe vergognarsi quel Vargas che è salito sul palco ad interromperli, verde di invidia!” urlò quasi Camilla, volendosi avvicinare ad Heredia ma fu interrotta dall’ingresso di Violetta, seguita da Vargas che lanciò un’occhiataccia prima al gruppetto e poi allo spagnolo che ricambiò. “- Preparatevi: prevedo scintille!” disse Nata, allontanandosi da Ludmilla e quasi inciampando per la fretta di trovarsi in una posizione migliore per ascoltare la Castillo e il ragazzo chiarirsi. Maxi, per fortuna, la prese al volo e rimasero a fissarsi per qualche istante, sorridendo come due bambini. La voce di Thomas li interruppe. “- Senti, non devi dirmi nulla. Ho capito. Va’ pure con quel messicano, non c’è alcun problema…” iniziò lui, fissandola con aria triste. “- No, Thomas. Io… mi dispiace. Leon è dispiaciuto per come si è comportato… vero, Leon?” disse lei, dandogli uno spintone e facendolo avanzare, mentre lui continuava a guardare male il moro. “- No che non lo sono! Mi pare di averle salvato la vita, seppur per puro caso!” mentì Leon, facendo credere al ragazzo che non fosse salito sul palcoscenico quella sera, solo per proteggere la ragazza di cui era la guardia del corpo. “- Lascia perdere, Violetta.” Disse Thomas, lanciando uno sguardo esplicito a Vargas che alzò un sopracciglio, ironicamente. “- Io non me la prendo tanto con lui, ma con te. Sei uscita con lui, ignorandomi! Perché?” chiese lui, cupo e abbassando lo sguardo. “- Forse perché ti trova noioso quanto un film in bianco e nero degli anni ’20?” ribatté il bodyguard, mentre la giovane sgranò gli occhi sconvolta. “- Ah, è così? Brava! Beh, divertiti con mister simpatia, qui!” disse, stizzito, Heredia, andando a posizionarsi dal lato opposto della sala, mentre lei tentò di seguirlo ma si sentì trattenuta da qualcosa: era Leon che le stringeva delicatamente il polso. “- Lasciami! Non ti è bastato quello che hai combinato?” disse lei, quasi con le lacrime agli occhi. “- Ti ho fatto un favore! Uscendo con lui taglieresti fuori me e senza il sottoscritto saresti in serio pericolo!” le sussurrò lui all’orecchio, mentre tutti li fissavano, in lontananza. Alcuni dei ragazzi erano andati a consolare lo spagnolo mentre altri avevano preso a chiacchierare mentre li osservavano. Violetta, a quelle parole, si rese conto di quanto Leon avesse ragione. Abbassò lo sguardo e tornò indietro, guardando solo da lontano Thomas che sembrava nervoso e distrutto. “- Vedere che hai capito mi rasserena.” Disse Leon, continuando il riscaldamento alla sbarra. “- Non hai vinto, Vargas. Riconosco che tu abbia ragione ma sappi che mi irriti fin troppo con i tuoi modi da bulletto e il tuo fare da uomo vissuto! Smettila!” esclamò lei, reggendo con forza lo sguardo del giovane che ghignò, divertito, salutando con la mano Heredia che gli borbottò qualcosa di poco carino, fissandolo. “- Bene, ragazzi! Iniziamo la lezione! Non perdiamo altro tempo! Sappiamo tutti che il tempo è denaro!” Gregorio era entrato come al solito, in maniera molto teatrale in aula, seguito da Jackie che ridacchiava divertita e sconcertata da quel tizio strambo.
Intanto, in aula professori, Pablo e Angie si stavano affrettando ad andare in classe ed erano in ritardo, come al solito, a causa dei loro battibecchi. “- La sveglia non ha suonato! Colpa tua che non la sai programmare!” disse, acidamente, la Saramego, afferrando dei registri dal tavolo. “- Io uso dei software sofisticatissimi per il mio lavoro e credi che non sia in grado di far funzionare quell’affare?” borbottò lui, bevendo in fretta un caffè. Ad un tratto, il cellulare della donna trillò lasciandoli sconvolti. Ormai era spesso così, dopo quegli sms minacciosi. “- FUORI UNO: CHI SARA’ IL PROSSIMO?” lessero ad alta voce in coro, fissando il display sconvolti. “- Parla di Matias… oh no! NO!” esclamò la donna, intuendo che a La Fontaine potesse essere accaduto qualcosa di brutto. “- Ora abbiamo una certezza: la sua scomparsa era collegata alla vicenda, come sospettavamo.” Concluse Pablo, abbassando lo sguardo, prendendo a riflettere con aria cupa. “- Dopo facciamo una capatina da Lisandro, mi sa!” esclamò lei, aprendo la porta della sala per andare in corridoio. “- Già… in qualche modo devo avvisare anche Leon, all’ultima ora hanno lezione con noi, vero?” chiese Galindo, seguendo l’altra insegnante. “- Sì, li tratterremo e verranno con noi da Roberto.” disse, tentando di non nominare né il cognome del capo della polizia, né il luogo in cui sarebbero dovuti andare. Con un sms così la giornata non poteva che peggiorare.
 
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Fuori uno! E la polizia brancola nel buio! Che fine ha fatto Matias? Il finale vi ha sconvolto? Leon ha affrontato Thomas! XD Niente, perdonatemi ma Heredia non lo sopporto!!! XD Dunque, Pablo ha tentato di far ragionare un po’ Angie… ci sarà riuscito? O la Saramego continuerà con la sua folle condotta di vita? Come continuerà la storia? Avete già teorie o sospetti? Fatemi sapere! Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 8
*** Relazioni pericolose. ***


“- Sono due settimane dall’ultimo sms, quello allo Studio. Due settimane che Matias non si trova e che la polizia indaga senza risultati. Perché il folle non si fa più sentire?” si chiese Angie, camminando nervosamente nel suo giardino avanti e indietro, mentre Pablo, sulla panchina sotto al portico, unico posto all’ombra di quell’ assolato pomeriggio, la fissava, riflettendo. “- Non dirmi che ti manca!” disse, d’un tratto, l’uomo. “- Matias?” chiese lei, bloccandosi ad osservarlo tenendo gli occhi sgranati. “- No, il pazzo!” rise lui, allentando la tensione. “- Sei un tonto!” gridò lei, raggiungendolo e sedendosi accanto a lui. “- Sono stufa! Cosa starà aspettando?” borbottò lei, tenendo lo sguardo basso. “- Sta attendendo il momento giusto per colpire ancora, ne sono quasi sicuro…” disse, con sguardo glaciale, Galindo, fino a quando lei non prese a fissarlo con curiosità. “- La polizia non ci sta capendo nulla. I documenti per scappare all’estero neppure saranno pronti per i prossimi due mesi e noi dobbiamo restare qui, in balia degli eventi. E’ assurdo!” esclamò lei, pensando a tutto quello che era successo e che sembrava essere solo l’inizio di quella tremenda faccenda. Erano in pericolo: lei, Violetta e German, ma Lisandro non riusciva a trovare nessuna pista valida e seppure la incontrava, cercava sempre di incastrare solo lei. La detestava, la giudicava superficialmente… per fortuna c’era Pablo a difenderla, in tutti i sensi.
“- Hai me. Tua nipote ha Leon. Potete dormire sonni tranquilli!” sorrise il bodyguard, mettendosi gli occhiali da sole scuri e ritornando al suo aspetto professionale. “- Ah, allora siamo apposto!” rise lei, osservandolo continuare a ghignare divertito. “- Ti ricordo, carissima, che Vilu  è stata letteralmente salvata da Vargas alla serata karaoke, e tu da me! Se fossi rimasta all’Amnesia, quella notte, probabilmente ora non saremmo qui a chiacchierare! E senza di me Lisandro ti avrebbe già fatta arrestare!” disse lui con leggerezza, facendola però rabbrividire e incupire. “- Quindi quel pazzo voleva me e non La Fontaine, sabato sera! Secondo te è così?” disse, d’un tratto, dopo aver preso un profondo respiro per la tensione. “- Sì, puo’ essere. Forse Matias ha sentito qualcosa o visto qualcuno…  e ci è andato di mezzo lui. La cosa che mi inquieta è questo silenzio. Chissà che intenzioni avrà. E cosa avrà fatto a quel tizio…” rifletté la guardia del corpo, serio. “- Pensi che lo abbia…” iniziò la Saramego, senza avere il coraggio di concludere la frase. “- Potrebbe. Ma non credo. Avrebbe fatto ritrovare il corpo… o lo ha nascosto talmente bene da…” tentò di spiegarsi Galindo ma resosi conto del discorso fin troppo crudo, si interruppe di colpo. Angie abbassò lo sguardo e si alzò, avvicinandosi alla ringhiera del portico e dando le spalle a Pablo. Era sconvolta. Non voleva credere al fatto che Matias avesse pagato al posto suo. Nessuno lo meritava, neppure lui. Ok, non lo amava… ma il solo pensiero che avesse subito per lei la faceva star malissimo e  le ire del folle le provocavano un groppo alla gola, un nodo allo stomaco. “- Stai bene?” chiese l’uomo, facendola sobbalzare dal flusso dei suoi pensieri che le affollavano la mente. “- Sì. Sono solo un po’… scossa, ecco.” Mentì lei, profondamente turbata da quella vicenda. “- E’ il minimo. Hai saputo della festa di YouMix?” chiese lui, tentando di cambiare argomento e apparire rilassato, seppur nemmeno lui lo fosse. “- Sì. E a quanto pare dobbiamo andarci per forza!” esclamò lei, entrando in casa e facendo sì che anche lui facesse lo stesso, seguendola all’interno della villetta. “- Finché sarò con te sei al sicuro.” Replicò lui, con decisione. “- Marotti ha voluto una grande celebrazione in onore della collaborazione istaurata tra lo Studio e la sua azienda, una festa aperta non solo agli studenti, ma a tutto il quartiere! Pur di avere nuove iscrizioni, farebbe di tutto, anche aprire l’accademia al pubblico! Ma una cosa non me la spiego… Perché la festa dovrà essere in maschera?” chiese lei, sorpresa da quella decisione.
“- L’inaugurazione dello Studio On Beat coinciderà con la sera di Halloween. Lo hanno proposto già da tempo i ragazzi. Già tempo fa, per quella notte, chiesero una sala e, avendo l’occasione della festa di Marotti, hanno approfittato per far entrambe le cose, la stessa sera. Lo ha detto alla riunione di questa mattina Antonio! Hai ascoltato attentamente, vedo!” esclamò Galindo, prendendola un po’ in giro. “- Troppi pensieri. Ormai non mi concentro più su nulla, nemmeno sulle lezioni... Quelle non riesco neppure più a tenerle…” si rimproverò la bionda, avvicinandosi al caminetto spento e afferrando una cornice dal ripiano. Nella foto, lei e Matias sorridenti, su una spiaggia dalla sabbia bianchissima e, sullo sfondo, un tramonto arancio. “- Spero che sia vivo.” si disse, tra sé e sé, riponendo l’oggetto al suo posto. Anche se non era mai stato vero amore le dispiaceva troppo di quello che, probabilmente, stava passando o aveva vissuto un dramma a causa sua. Si sentiva colpevole senza avere alcuna colpa, essendo anche lei una vittima. Eppure, per quanto La Fontaine fosse una persona non proprio ottima, non meritava di fare una brutta fine. “- Finirà tutto per il meglio. Vedrai…” la rincuorò Pablo, serio, abbracciandola istintivamente con affetto e lasciandola alquanto sorpresa per quel gesto.
 
 
“- Da cosa vi vestirete per la sera di Halloween? Io da Morticia Addams e Federico da marito da suo marito, Gomez Addams!” sorrise Francesca, seduta, il giorno dopo, in una affollatissima sala teatro, accanto a Violetta. Vargas non aveva intenzione di lasciare la stanza e se ne stava seduto alle loro spalle, fingendo di armeggiare con il telefonino. “- Io da Alice in Wonderland! Sarò super mega ultra divina!” urlò Ludmilla, facendo sobbalzare le ragazze. “- Ricordatemi perché è qui a chiacchierare amabilmente con noi?!” sbottò Camilla, facendo sì che tutte la fissassero lanciandole un’occhiataccia. Si erano riunite per organizzarsi sui travestimenti: nessuna doveva indossare lo stesso abito di un’altra. “- Io da Zucca!” rise Naty, mentre tutte si azzittirono alla notizia. “- Come? Ah, dirò a Maxi di vestirsi da melanzana, allora! Tanto dopo abbiamo lezione insieme e lo vedo!” si intromise Leon, senza alzare neppure gli occhi dal cellulare. “- Ma perché non te ne vai?” lo richiamò Violetta, stizzita. “- No, qui c’è una rete super veloce, perché dovrei perderla?!” mentì lui, osservando sott’occhio il gruppo di ragazze. “- Ah, visto che ci sei e comunque devi dare fastidio, avvisa Diego che deve assolutamente trovare un travestimento da urlo da Cappellaio Matto possibilmente preferisco quello della versione del film in stile Johnny Depp, se vuole venire alla festa con me. Ha sempre il telefonino spento e non riesco a contattarlo!” urlò la Ferro, fissando Leon che alzò un sopracciglio a quell’assurda richiesta. “- E tu riprova a chiamarlo, no?” sibilò la guardia del corpo, con un ghignetto che indispettì Ludmilla. “- Io invece da Catwoman! E, casualmente, DJ ha detto che sarà travestito da Batman… ecco perché mi è venuta la geniale idea!” rise la Torres, facendo l’occhiolino alle amiche. “- Ti piace proprio allora!” urlò Francesca, sorridendole e dandole una leggera gomitata. “- Ahah! Vienimi a raccontare che i costumi degli Addams tuo e di Fede sono ‘casuali’!” rise Cami, mettendo la Rossini alle strette e facendola avvampare per l’imbarazzo. “- No, infatti ci siamo… accordati!” sorrise lei, ancora rossa in viso. “- Visto che ci veniamo insieme mi sembrava carino vestirci in maniera abbinata… ecco tutto!” esclamò ancora Fran, seria. “- Violetta e tu e Thomas?” chiese Nata, curiosa. “- Io non credo di andarci con lui... abbiamo litigato e non vuole più vedermi!” disse lei, abbassando lo sguardo. “- No, quindi non ci viene proprio?! E io che volevo vederlo vestito da zombie! Non ha neppure bisogno di travestirsi!” rise Leon, ritornando nella conversazione. “- Ma ti pare il caso? Sta’ zitto!” urlò Camilla, facendolo ridere ancora, sotto ai baffi. “- Ci viene con me, vero Vilu?” disse Vargas, facendole l’occhiolino per ricordarle che lui fosse il suo bodyguard. “- No che non vuole venirci con te!” urlò Francesca, sgranando gli occhi. “- No, ha ragione. Volevo dirvelo ma non me ne avete dato il tempo! Ci verrò con Leon.” disse lei, triste per non poter partecipare con il giovane alla festa e per doverci andare con il suo bodyguard, per la sua sicurezza. “- RAGAZZE! ALIENI! Io e Andres abbiamo deciso! Ora scappo perché ho lezione ma non fregateci l'idea! Ciao!” Andrea era arrivata e fuggita via come una furia senza neppure fermarsi a salutarle. “- Da reclusi in manicomio erano perfetti…” sottolineò, sarcasticamente, Vargas, osservando la giovane correre fuori e tirarsi per un braccio Andres. “- Finiscila! Piuttosto, illuminaci… tu da cosa ti maschererai? Sempre se non sei troppo vecchio per queste cose!” sorrise la Torres, osservandolo fare una buffa espressione, come se stesse per scoppiare a ridere. “- Vediamo chi indovina, forza!” le sfidò lui, osservando Violetta, che lo sapeva bene, sorridere. “- Da Harry Potter!” urlò Nata, “- No, acqua!” disse lui, astutamente. “- Da idiota? Quindi non ti mascheri?” disse acidamente la Ferro, facendo scoppiare a ridere la Torres che, per la prima volta in vita sua, diede il cinque alla bionda che ne rimase sorpresa e quasi inorridita. “- Sarò il vostro terrore, dormo di giorno e mi sveglio di notte per nutrirmi di sangue umano!” disse, con tono spaventoso e teatrale, Leon. “- Da pipistrello!” rise, ingenuamente, la Heraldez mentre, al gruppo, si avvicinava l’altra spagnola, la sorellina minore della riccia. “- Da Vampiro, Nata, da Vampiro…” la corresse Lena, scuotendo il capo e facendo scoppiare a ridere tutti per la sua buffa espressione rassegnata. “- Ed anch’io. Sarò una vampira!” sorrise la Castillo, osservando le altre annuire con aria decisa. “- Lena, e tu?” chiese la sorella maggiore alla piccoletta. “- Alice in Wonderland e Napo da Cappellaio Matto!” sorrise lei, ignorando il fatto che la Ferro avesse scelto il suo stesso costume con Domiguez. “- AH NO! NO WAY! CAMBIA IDEA, MOCCIOSA!” urlò Ludmilla, scattando in piedi furiosa. “- Cos’ha questa matta? Che vuoi?” chiese la biondina, ridacchiando della Ferro. “- Ha scelto il tuo stesso abito. Rinunciaci prima che sia troppo tardi!” le sussurrò all’orecchio Nata, intimorita dalle ire di Ludmilla, non convincendola per nulla. “- Ma dai! Sei vecchia per essere Alice che era una ragazzina come me! Trovati tu un altro vestito!” urlò Helena, ridendo ancora. “- Non ci penso nemmeno!” strepitò l’altra, indignata. “- Ok, allora ti arrangi perché anch’io non ho intenzione di cambiarlo!” sbottò la Heraldez, mentre la Torres cercava diplomaticamente di calmare la cosa. “- Ludmi… per una star come te ho uno splendido abito firmato da uno stilista di cui non ricordo il nome che mi feci cucire per un musical, il più famoso di tutti i tempi a dir la verità! Sai, tu saresti una splendida Sandy, la protagonista di Grease! E Diego un ottimo Danny con il suo giubbotto di pelle!” disse Camilla, tentando di placare gli animi. “- Protagonisti, eh?” ripeté la bionda, scostandosi una ciocca con fare nervoso dietro le spalle. “- Ok, portami i costumi nel pomeriggio. E tu, mocciosa, tieniti pure quei due comunissimi abiti! Li avranno anche un altro milione di invitati… meglio che vi rinunci, in effetti!” ribatté Ludmilla, rivolgendosi poi alla Heraldez che storse il naso e se ne andò, tutta soddisfatta.
Intanto, Violetta, allontanatasi dal gruppo, andrò a passo deciso verso Thomas che, non appena la vide, fece per andarsene. “- Aspetta, per favore. Lasciami spiegare!” disse la giovane, mentre lui la fissava, sconvolto. “- Lascia perdere… me ne sono già fatto una ragione. So anche che andrai alla festa con lui, non preoccuparti. Io ho già con chi andarci…” disse serio Heredia. A quelle parole la ragazza lo fissò sconvolta, curiosa del fatto che per così poco l’avesse subito rimpiazzata. “- Emma, la figlia del sindaco, la ragazza nuova… mi ha invitato lei. Sono certo che non mi lascerà nel bel mezzo della festa per scappare con un altro…” borbottò con decisione lo spagnolo, lanciandole quella pungente frecciatina. “- Senti, ti ho detto che mi dispiace!” esclamò lei, con aria dispiaciuta. “- E allora perché non hai nemmeno il coraggio di dirmi il perché? Perché sei subito scappata con lui, come se ti fidassi cecamente di Vargas? Avanti, dimmelo!” urlò Heredia, fissandola con decisione. “- Non ti riguarda. Mi dispiace.” Sentenziò lei, non potendo rivelare chi fosse Leon, in realtà, per lei. “- Mi basta come risposta.” Disse il moro, stizzito, uscendo dalla sala teatro, quasi travolgendo Andres che lo fissò, stranito. “- Che voleva?” chiese il bodyguard, avvicinandosi a lei che fissava, immobile, la porta. “- Non vuole più saperne di me. Non ci ha mai tenuto sul serio, altrimenti non si sarebbe comportato così.” Realzzò la Castillo, con aria seria e gli occhi lucidi. Leon, che aveva sentito tutta la discussione le mise una mano sulla spalla che la fece voltare. “- Hai già abbastanza pensieri per aggiungervi anche lui. Se c’è qualcuno che ci perde è Heredia e poi, in un certo senso, gli hai salvato la vita.” Disse, quasi dolcemente, Vargas. Lei, asciugandosi una lacrima, lì per lì non capì quell’ultima frase e gli sorrise teneramente e lo abbracciò. Aveva bisogno di quella stretta, di sentirlo vicino. Anche se era spesso odioso, adesso, dopo aver detto quelle parole, ne era sicura: si stava affezionando a lui e la cosa la rese felice. Aveva bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi in quel periodo nero e se Thomas si era comportato da infantile e geloso, Leon aveva una personalità particolare e misteriosa che cominciava ad attirarla molto. Dopo qualche secondo che rimasero abbracciati, però, realizzò sull’ultimo pezzo della frase detta dal giovane messicano: “- Stando con me rischiava la stessa fine di Matias?” chiese lei sottovoce, impaurita di una probabile risposta positiva, all’orecchio di Vargas. “- Probabile. Anche se togliercelo dai piedi non sarebbe stato poi tanto male!” rise il bodyguard, mentre lei prese a fissarlo con un’espressione tra il severo e il divertito. “- Perché mi guardi così? Io posso anche difendermi da questo folle che vi perseguita… lui… beh, lui non credo che sappia come picchiare qualcuno. Al massimo nella sua vita le avrà prese, visto com’è irritante!” aggiunse Leon, con decisione e ironia allo stesso tempo. “- Tu invece sai difenderti e difendermi, quindi puoi stare al mio fianco?” ribatté lei, rendendosi poi conto di ciò che aveva detto e arrossendo di colpo. “- Beh, si direbbe di sì. E’ il mio mestiere…” disse lui, con aria furba. “- Ecco, io intendevo quello… per il tuo lavoro!” tentò di aggiungere lei, violacea per l’imbarazzo. Leon la fissò con viso furbo e sorrise. Aveva capito benissimo, invece, ciò che intendeva la Castillo e la cosa cominciava a divertirlo.
 
 
“- Angie!” Jade La Fontaine era in lacrime davanti al cancello esterno della villa quando la donna stava rientrando con Pablo dallo Studio. “- Jade! Come stai?” chiese la Saramego, abbracciandola. “- Male! Senza mio fratello io mi sento persa!” singhiozzò la mora, asciugandosi le lacrime con una mano. “- Vieni, entra.” La invitò la bionda, aprendo l’entrata principale che dava accesso al vialetto del giardino che portava alla casa. Angie, quando la vide, si sentì malissimo: Jade non poteva né doveva sapere che la scomparsa di Matias era forse collegata a lei e alla sua famiglia. La polizia stava tenendo uno stretto riserbo sulla faccenda. Nessuno sapeva e vedere la mora in quello stato le provocò una stretta allo stomaco. “- A me continuano a non dire nulla! Stanno indagando… e non aggiungono mai niente di più! Intanto mio fratello è scomparso nel nulla!” pianse lei, entrando nel grande soggiorno della villa. La Saramego, d’un tratto, cominciò ad avere paura: se il folle aveva preso Matias solo perché relazionato a lei, allora se Jade le fosse stata troppo accanto poteva essere in grave pericolo?
“- Jade io non so cosa sia successo di preciso quella notte. Ero ubriaca e sono andata via con lui…” disse Angie, indicando finalmente Galindo che le stava ascoltando con attenzione, in silenzio. “- ... E mio fratello era con quella decina di ragazze… sì, lo so, me lo hanno detto anche in commissariato!” strillò la La Fontaine, ricominciando a disperarsi, mentre il moro le diede dei fazzoletti. Galindo intuì al volo di chi si trattasse: la sorella dell’ex della Saramego, nonché sua amica a quanto sembrava o, almeno, conoscente. “- Tu di sicuro ne sai di più! Dimmelo, Angie!” urlò, d’un tratto, la mora, soffiandosi il naso con foga. “- Non so niente, ok? Tutto ciò che so lo sa anche la polizia. Ti giuro che non sarei stata zitta se avessi saputo qualcos’altro.” Disse lei, comunque ricordandosi che le stava mentendo sul fatto che la sparizione misteriosa del biondo potesse avere a che fare con lei, cosa che, però, comunque Lisandro sapeva. “- Ora va’ a casa.” Sentenziò seria la bionda, alzandosi dal divano e avviandosi verso la porta. “- Che cosa? Mi stai cacciando? Angie, ti senti bene?” chiese la mora, sgranando gli occhi di ghiaccio. La Saramego prese un profondo sospiro e abbassò lo sguardo.
“- Credimi, lo dico per il tuo bene. Stai lontana da me.” Disse, con un filo di amarezza e durezza nella voce che non sfuggì né al bodyguard, né alla La Fontaine. “- Non ti riconosco più.” Disse, con tono disgustato, la mora, alzandosi e andando via, sbattendo con foga la porta. Angie deglutì, ancora in vistosa tensione, e notò che Pablo la fissava, non con il solito sguardo di rimprovero ma con serietà.
“- Ho capito perché lo hai fatto. E condivido in pieno la scelta, brava.” Disse, sfogliando una pagina del libro che teneva distrattamente tra le mani. “- Non mi parlerà più. Mi avrà preso per una pazza. Beh, forse lo sto diventando sul serio…” si chiese la bionda, andandosi a sedere sul sofà, accanto alla guardia del corpo. “- E’ l’unica cosa intelligente e da persona sana di mente che tu abbia fatto da quando sono qui.” Sentenziò invece l’uomo, fissandola con attenzione. Angie si sentiva dannatamente in colpa: in colpa per Matias, per come aveva trattato Jade, in colpa per quello che era diventata, in colpa per non essere più quella di un tempo. “- Non me la perdonerà mai.” Disse, guardando il moro che le sorrise. “- Credimi, quando tutta questa assurda storia sarà finita te ne sarà grata. In un certo senso le hai salvato la vita.” Disse Pablo, circondandole le spalle con un abbraccio. “- Sono un’idiota! Proprio adesso che lei aveva bisogno di me ho dovuto…” disse lei, portandosi le mani al viso. “- Beh, in questo caso, idiota non lo sei stata per niente. Hai fatto benissimo a fare ciò che hai fatto.” Esclamò lui, dandole coraggio. Aveva capito il piano della bionda: pensava tutti quelli relazionati a lei avrebbero pagato… forse lo stesso sarebbe stato anche per Violetta e German, chissà.
“- Hai deciso come ti mascheri per la festa?” chiese d’un tratto Galindo, ridendo per tentare di distrarla. “- Oh, no! Scordati che io mi travesta! La festa è dei ragazzi e…” tentò di iniziare la bionda, mentre lui la interruppe con un gesto della mano. “- Antonio è stato chiaro: tutti, grandi e piccoli dovranno vestirsi in qualche modo Halloweeniano! Ma tu, ovviamente, con la testa non eri presente alla riunione e non hai sentito neppure questo e le obiezioni esilaranti di Gregorio!” sorrise furbo lui, avviandosi verso le scale. “- Dove vai?” strillò lei, voltandosi di colpo per capirci di più. “- Aspetta qui!” urlò lui, fiondandosi al piano di sopra. Ne scese con due sacchetti con una stampella in cima e degli scatoli. “- E quelli?” chiese lei, indicando i due abiti coperti da cellofan nero. “- Questo è il tuo. Vedi se ti piace.” Sorrise lui, passandole una delle due confezioni. Lei aprì la cerniera e ne rimase stupita. Sorrise e tirò fuori il vestito. “- Forte! Lo adoro! Poi è così… wow!” esclamò, osservando poi quello dell’uomo che aveva appena aperto. “- No! E tu Jack Sparrow? Non ci somigli per niente!” iniziò a ridere lei, mentre lui si provava la bandana rossa. “- Ah no? E va beh, pazienza! Non ci devo assomigliare, lo devo interpretare che è diverso! E comunque scordati che mi metta anche la parrucca!” sorrise,Pablo, prendendo la spada di plastica dalla confezione. “- Magari dovremmo portare una spada vera… non si sa mai!” esclamò lei, afferrando anche la sua dalla scatola. “- Duella, signorina?” chiese lui con un mezzo inchino, mettendole il cappello del vestito da donna in testa. “- Con piacere! Almeno mi alleno per la sfida vera!” esclamò lei, con decisione, dando il via ad una sfida vera e propria, come fossero due bambini spensierati e felici. “- Dì le tue preghiere, Saramego!” scherzò lui fingendo una risata malefica, disarmandola in un secondo. “- No! Mi risparmi, capitano!” urlò lei, piegata in due dalle risate, nell’angolo del divano. Ad un tratto, nell’allegria totale, uno squillo al cellulare della donna li fece bloccare e incupire di colpo. “- Magari è Gregorio che cerca sostegno contro la festa… oppure…” iniziò lei, alzandosi e andando ad afferrare il cellulare dal tavolino al centro della sala. “- SARA’ UN HALLOWEEN DA PAURA.” Lessero, ad alta voce, i due. Ad un tratto una telefonata illuminò il display, mentre lo stavano ancora fissando, facendoli sobbalzare. “- Violetta, tesoro tutto bene?” chiese la donna, subito in panico. “- Hai ricevuto il mio stesso sms, allora... Ah, anche tuo padre… cavolo. Ok, ci vediamo domani, tienimi aggiornata.” Disse lei, chiudendo la telefonata.
“- Temevi che non ci mandasse più messaggi? Che si fosse dimenticato di voi? Beh, purtroppo è tornato.” Disse Galindo, sedendosi sul sofà e riponendo gli abiti con cura. “- Sarà un Halloween da paura, sì ma per lui.” disse seria Angie, agitando la spada con decisione, prima di metterla apposto nella scatola. “- Sai che potrei pensarci al suggerimento di portarne una vera?” ipotizzò lui, fissandola con aria buffa. “- Questa storia deve finire. A noi due, folle!” Esclamò lei, fissando di fronte a sé con tanta decisione, quasi da far rabbrividire il bodyguard che sorrise, felice di quell’atteggiamento combattivo della Saramego... l'ultima cosa da fare era deprimersi e diventare ancor più facili obiettivi per il folle.
 
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Aiuto! Allora, andiamo con ordine che questa folle storia è complessa, mi ci perdo anch’io spesso e volentieri! XD Allora, nessuna notizia di Matias. Si prepara la festa di inaugurazione per la collaborazione con YouMix e sarà una festa in maschera dato che coinciderà con la notte di Halloween. I ragazzi si stanno organizzando… Thomas è un idiota e per fortuna c’è Leon… Jade disperata viene allontanata da Angie che, ormai, ha capito della relazione tra lei, la scomparsa del biondo e i gli sms minacciosi. Anche Vargas ha intuito lo stesso per Heredia che, per fortuna, sembra essersi tolto dai piedi da solo. Il messaggio finale inquietante ci fa capire che la festa sarà alquanto movimentata. Sarà un diversivo o davvero il folle vorrà colpire loro quella notte stessa? E in che modo vorrebbe attaccare? Chi sarà questo pazzo misterioso? Si accettano scommesse! :P Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 9
*** Dolcetto o scherzetto? ***


“- Leon mi raccomando…” Disse serio German, camminando nervosamente avanti e indietro per il grande salotto di villa Castillo. Leon era già pronto, indosso il vestito da vampiro completamente nero e la faccia pallida che gli stava d’incanto. “- Perché non ci viene anche lei? Magari sarà più tranquillo così!” disse Vargas, sedendosi sul bracciolo del sofà. “- Io? No! Tu devi stare con lei, badare solamente a lei. Chiaro?” urlò lui, con tono quasi impaurito e tremolante. “- Beh, so che è pericoloso ma stia tranquillo, non la lascerò nemmeno per un secondo. E poi non credo che questo folle sia così stupido da avvisarci che colpirà proprio alla festa.” Sentenziò Leon, con aria seria, pensando a come mai German non avesse impedito alla ragazza di partecipare alla serata allo Studio, dopo quel sms minaccioso. “- Chiamatemi quando arrivate!” tuonò il moro, continuando a camminare nervosamente per la stanza. “- Lei, piuttosto! Sicuro che vuole rimanere qui, senza di me?” continuò Vargas, osservando l’uomo annuire con decisione, sgranando gli occhi. “- Ovvio! Ho un sacco di lavoro da finire, l’ho appena saputo via mail, hanno accorciato le date di consegna di un progetto e devo sbrigarmi a terminarlo. E poi tu devi concentrarti a badare solo a Violetta, questa sera! Te l’ho detto. Io non ho bisogno di nessuno che mi controlli. So difendermi da solo.” Sentenziò Castillo, sedendosi di fronte a Leon. “- Ragazzo, promettimi una cosa: giurami che sarai accanto a lei, che ti prenderai cura di mia figlia. Non le deve succedere nulla, ok? Voglio fidarmi di te.” Sentenziò, serio, German che, dopo l’episodio del riflettore, aveva un ottimo rapporto con il bodyguard, resosi conto di quanto fosse in gamba seppure ancora molto giovane. “- Stia tranquillo. Violetta è in ottime mani. Glielo assicuro.” Rispose il giovane, stringendo la mano a German che gliel’aveva allungata, amichevolmente. Era un patto, una promessa vera e propria. Intanto, dalle scale, Violetta stava scendendo, in uno splendido abito da vampira, corto, rosso e nero, con un mantello nero dal colletto alto e degli stivali neri. Anche lei si era truccata come Vargas: viso incipriato, rigolo di sangue disegnato con la matita rossa e canini finti. “- Wow, ma che bella la mia bambina!” sorrise il padre, andandole in contro avendo sentito il rumore dei passi sui gradini. “- Paurosa, spero!” sorrise lei, mostrando i denti finti. “- Sì, da paura!” scherzò Leon, stringendosi nel lungo e svolazzante mantello. “- Divertitevi e state attenti, per favore!” sorrise Castillo, accompagnandoli alla porta d’ingresso, cingendo le spalle della figlia. “- Andrà tutto bene, c’è il mio bodyguard Cullen con me!” rise la ragazza, prendendo in giro il giovane che ruotò gli occhi al cielo al solo sentire il nome del protagonista di Twilight. “- Tesoro, ricordati che ti voglio bene e che te ne vorrò sempre, ok?” disse, lasciandola confusa, il padre, prendendole il viso tra le mani con dolcezza e guardandola intensamente negli occhi color nocciola. “- Papà ti senti bene?” chiese lei, soffocata nell’abbraccio di German che di colpo l’aveva stretta a sé. “- Sì. Ma non te lo dico mai abbastanza: ti voglio bene. Non lo dimenticare mai, d’accordo?” chiese ancora lui, facendola annuire, un po’ turbata da quelle affermazioni così eccessivamente affettuose. Il padre, per quanto l’amasse, di solito era sempre freddo, non era bravo a dimostrare i suoi sentimenti, eppure ora la stava fissando dolcemente, lasciandola però, felicemente sorpresa. “- Ok. Ti voglio bene anch’io. Ti adoro, papà!” esclamò lei, riabbracciandolo con entusiasmo. Leon assistette in silenzio alla scena e sorrise: era felice per loro e avrebbe desiderato anche lui quella relazione così forte con suo padre… peccato che fossero in cattivi rapporti da fin troppo tempo. “- Andiamo…” disse alla Castillo che, per tutto il vialetto, continuò a salutare allegramente con la mano il padre che ricambiava, mentre Vargas le apriva la portiera dell’auto per poi fare il giro della macchina e andare a sedersi al posto di guida. Quando svoltarono l’angolo un brivido percorse la schiena della giovane, facendole battere i denti. “- Non fa freddo, stasera… se vuoi ti do anche il mio mantello.” Disse Leon, senza togliere gli occhi dalla strada, fermo ad un incrocio per far attraversare un gruppetto di ragazzini in maschera che stavano bussando alle porte per il classico “Dolcetto o Scherzetto?” Halloweeniano. “- Non ho freddo ma un brutto presentimento.” Disse lei, seria, fissando fuori dal finestrino. “- Andrà tutto bene. Calma e pensa positivo!” esclamò il giovane, appoggiandole una mano sulla spalla e facendola voltare verso di lui.
“- Grazie, Leon. Sul serio.” Sorrise lei, dolcemente. “- Dovere, vampiretta!” scherzò lui, ripartendo verso lo Studio 21, da quella notte, Studio On Beat.
 
 
Fuori dall’accademia si erano riuniti alcuni dei ragazzi e avevano preso a chiacchierare allegramente tra loro. Francesca e Federico erano super originali mascherati dagli Addams, Andres e Andrea non si erano più accordati sui costumi e lui, invece che da alieno, si era presentato vestito da Superman beccandosi varie partacce dalla ragazza. Lena in versione Alice era splendida e Napo comico, con il cappello che da molti degli amici venne definito quasi più alto di lui. Ad un tratto, un auto sgommò sul selciato: Ludmilla, vestita da protagonista di Grease fece la sua discesa trionfale: pantalone nero di pelle, top dello stesso colore, tacchi vertiginosi, capigliatura corta, gonfia e retrò. Diego lasciò l’auto al centro del parcheggio come se nulla fosse e si avvicinò al gruppo con la solita aria spavalda e vestito in perfetto stile Grease: capelli con ciuffo nero, giubbotto di pelle e pantalone attillato. “- Siamo i più belli, o no?” gridò, stringendo le spalle alla Ferro che, stranamente, arrossì, ghignando e fissando tutti gli altri intorno a loro. “- Carini…” borbottò DJ, abbassandosi la maschera da Batman e fissando la sua Catwoman, Camilla. “- Carini? Siamo originali e fashion, è indubbio! Grazie Torres!” esclamò Ludmilla, sorridendo falsamente alla giovane che ricambiò con lo stesso tipo di espressione.
“- Mancano Maxi e Nata! E Leon e Violetta!” fece notare Andrea, vestita da aliena. “- Ah, vedo una zucca arrivare da lontano, sarà la Heraldez!” rise Napo, sistemandosi il pesante cappello da Cappellaio Matto. “- Salve!” sorrise Natalia. In effetti tutti si aspettavano un costume ingombrante e orribile, invece era un abitino corto, arancione con un cappellino verde in testa. “- Che carina che sei!” sorrise Federico, beccandosi però un’ occhiataccia da Francesca che si ingelosì all’istante.
“- Buonasera!” Maxi arrivò dalle spalle della ragazza. Non si poteva dire che fosse poco originale: era vestito da… melanzana! Ma il bello è che non si capiva tanto. Al solito berretto ne aveva sostituito uno verde smeraldo, aveva un completo interamente viola scuro e si aveva una maschera rotonda dello stesso colore. “- Non ci credo!”esclamò Camilla, tentando di soffocare le risate con una mano davanti alla bocca. “- Siete pronti per una bella insalata!” ironizzò subito Diego, alzandosi il bavero della giacca, facendo scoppiare tutti in una fragorosa sghignazzata. “- Thomas è  venuto con la figlia del sindaco, guardate lì!” indicò Lena, mentre Heredia stava scendendo le scale per entrare allo Studio, vestito da Peter Pan con Emma per la  mano, in versione Wendy. “- Perché ignora anche noi? Ha litigato con Vilu, no? Noi che c’entriamo?” urlò Francesca, tentando di spiegarsi l’atteggiamento del ragazzo nella buffa tenuta verde smeraldo. “- Teme che difenderemmo in qualche modo Violetta. Sa che ha sbagliato a comportarsi così, da geloso marcio! Anche lei ha sbagliato ma lui fa l’offeso da una vita! Che poi, al massimo, dovrebbe avercela con Vargas, Vilu cosa c’entra?” borbottò Lena, fissando ancora nella direzione del ragazzo. “- Lei è andata via con Leon quella sera e lui non gliela perdonerà mai.” Sentenziò Maxi, serio. “- Adesso secondo me vuole farla ingelosire! Ecco perché si è presentato con la Toledo!” concluse Andres, avendo capito perfettamente qual erano le intenzioni di Heredia. “- Patetico! Mossa patetica, quasi quanto lui! Se nemmeno stavano insieme cosa diamine pretende?” esclamò la Ferro, facendo uno sguardo buffo nel fissare Peter Pan. “- Salve a tutti!” Violetta arrivò dal parcheggio, seguita da Leon che sorrise, consapevole che non fosse poi così simpatico a quel gruppo, salvando solo Diego che gli diede il cinque. “- Ciao, Cullen!” salutò Camilla, ridendo. “- I Cullen sono scontati e orrendi. Noi siamo i vampiri con la V maiuscola!” spiegò subito Leon, ghignando. “- Cos’ha fatto Maxi?” disse poi, sgranando gli occhi verso il completo viola del rapper. “- Ha seguito il tuo consiglio. E’ una melanzana.” Sentenziò fiera Nata, tutta in arancio, versione zucchetta. “- Patetico!” commentò la Ferro, facendo alzare gli occhi al cielo agli altri. “- Sai dire altro?” sbuffò Federico, incollandosi per bene i baffi finti sotto al naso. “- Non manca nessuno… che ne dite? Entriamo?” propose Francesca, prendendo un pizzo della gonna del suo abito nero, per non inciampare.
“- Andiamo! Io volo dentro!” saltellò, euforico, Andres alzando un pugno in stile con il suo costume da supereroe, facendo storcere il naso a Diego che lo individuò subito come il matto del gruppo, impressione avuta già alla serata karaoke. All’interno lo Studio era stato allestito in maniera macabra: pannelli neri pieni di ragni coprivano i soliti muri coloratissimi e vivaci, rendendo tetro e cupo il posto sempre pieno di vita e allegria, ragnatele pendevano dal soffitto e la sala teatro era allestita in modo magnificamente pauroso. Dei tavoli con tovaglie nere lungo le pareti, buffet degno di Halloween, luci soffuse e finestre coperte da tende nere e viola scuro. Il preside era già in sala, con alcuni degli insegnanti e i ragazzi, tra la folla, riconobbero subito un elegantissimo Cigno Nero, ovvero Jackie che gli sorrise da sotto la maschera di piume nera, poi riconobbero Pablo e Angie vestiti da pirati e cominciarono a scherzare con loro, di certo tra i più simpatici della scuola, come Beto. La bionda insegnante di canto subito attirò l’attenzione di Diego che non riuscì a risparmiarsi un commento sulla bellezza della donna e si beccò uno scappellotto fortissimo dalla Ferro che gli lasciò il segno rosso dietro al collo per tutta la sera. Un altro centinaio di maschere e abiti affollavano la sala, mentre Marotti, vestito da Frankenstein salì sul palco. Maschera verde, vestiti strappati… se non fosse stato per la voce neppure lo avrebbero mai riconosciuto. “- Benvenuti alla festa di Halloween organizzata per la collaborazione tra la YouMix e lo Studio 21, da oggi: STUDIO ON BEAT!” urlò l’uomo, facendo partire un applauso entusiasmante. I ragazzi, come da programma, sostituirono l’uomo sul palco per cantare il nuovo brano in onore della cerimonia, chiamato “On Beat.” Si divertirono un sacco, ballarono e cantarono con felicità e grande emozione, osservati da un centinaio di persone che applaudirono con foga quando l’esibizione finì. “- Bravi i nostri ragazzi, vero Antonio? Antonio dove sei finito?” urlò Marotti, perdendo il preside tra la folla. “- Eccomi!” disse Fernandez, affiancando l’altro sul palco. Era sorprendentemente vestito da fantasma dell’opera! Molto elegante ma con una maschera bianca, alquanto inquietante, a coprirgli il viso. “- Bravissimi, tanti complimenti! La YouMix collaborerà con noi a partire da questa sera! Quindi un forte applauso per il suo presidente, Marotti!” urlò il preside, facendo partire un altro applauso. “- Che la festa cominci!” urlarono, in coro, Il presidente di YouMix e il preside, mentre una forte musica cominciò a rimbombare da delle casse, ricoperte di ragnatele finte, ai lati della sala. “- Leon, guarda quanta gente con le maschere… sai che chiunque potrebbe essere il folle?” disse la Castillo, avvicinandosi a Vargas che, fino a quel momento stava studiando la situazione dal tavolo del buffet, angolazione da cui aveva tutta la camera sotto controllo. “- Già, ora chiamo Pablo, deve subito venire qui con Angie.” disse Leon, afferrando il cellulare ed osservando la maggioranza degli invitati ballare e divertirsi. “- Ok…” riuscì a balbettare la giovane, prendendo a fissare Heredia, in pista con Emma che ballava allegramente, fissandola e sorridendo ancor di più alla figlia del sindaco. “- E’ ridicolo con quel costume. Mi sembra un filo d’erba più che Peter Pan… sono sicuro che anche l’eterno bambino avesse più muscoli di lui!” ironizzò subito il bodyguard, osservando nella stessa direzione della ragazza, dopo aver telefonato al collega. Diego era fin troppo preso da una scenata di gelosia di Ludmilla, probabilmente dovuta agli apprezzamenti del giovane fatti in precedenza sulla Saramego. Federico e Francesca ballavano stretti e si fissavano come incantati e lo stesso facevano anche Lena e Napo, non appena partì una base meno paurosa e più romantica. Andres e Andrea battibeccavano ancora per i costumi non abbinati e Maxi e Nata si fissavano da due angoli opposti della sala come se fossero terrorizzati l’una dall’altro. DJ, dopo ore di convincimenti da parte di Ponte, riuscì a farsi coraggio e andò ad invitare la Torres a ballare, a patto che anche il rapper avesse fatto lo stesso con la maggiore delle due Heraldez.
“- C’è qualche problema?” Galindo arrivò vicino ai due ragazzi, tirandosi per una mano la Saramego, avendo paura di perderla tra la folla. “- No. Ed è proprio questo il punto! Questa tranquillità è snervante!” disse Vargas, indicando tutti gli invitati e non individuando nulla di sospetto. Sì, molti erano irriconoscibili, avendo maschere e travestimenti improbabili, ma sembrava tutto fin troppo calmo.
“- Già. E’ lo stesso che ho pensato io… perché allora quegli sms?” si chiese Pablo, prendendo a riflettere con nervosismo. “- Non ne ho idea… e se fosse stato un depistaggio? Forse voleva metterci solo paura!” sentenziò Angie, aggiustandosi la mascherina nera davanti agli occhi. “- Ehi, Jack Sparrow! vieni a ballare? Dai!” il cigno nero si avvicinò a Pablo e intendeva tirarlo verso la pista, sotto lo sguardo un po’ stizzito di Angie che incrociò le braccia al petto con nervosismo. “- No. Cioè non posso.” Si corresse subito l’agente, facendo scuotere nervosamente il capo alla bionda pirata e facendo trattenere a stento le risate dei due ragazzi. “- Vai pure! Leon è molto responsabile a differenza di altri. Baderà anche a me.” Gli sussurrò la Saramego all’orecchio, con tono acido, infastidendolo moltissimo. Leon più responsabile di lui? questa non gliela consentiva, per quanto Vargas fosse un ottimo agente, lui era il capo di tutti i responsabili! “- NO!” strillò lui, ricordandosi che era in servizio e che doveva stare solo con Angie. In fondo non gli dispiaceva… era un tipo molto professionale e poi trovava quella Saenz davvero troppo intraprendente per i suoi gusti. “- Ok, non sai cosa ti perdi!” borbottò la donna, fissandolo con decisione con i suoi occhi neri che spuntavano da sotto la maschera e andandosene via con il suo solito passo fiero, dopo aver lanciato un’occhiataccia, ricambiata, anche alla collega. “- Allora, questo folle? Di chi sospettiamo in primis?” chise Leon, interrompendo quell’aria tesa tra Angie e il suo bodyguard. “- Non è qui.” Sentenziò Pablo, con aria seria, scrutando le persone all’orizzonte. “- COME?” gridarono gli altri, in coro. “- Era troppo ovvio che si facesse beccare. E’ furbo, dannazione!” imprecò Galindo, afferrando un bicchiere di cocktail rosso sangue dal tavolo del buffet. “- E allora il messaggio? L’Halloween da paura di cui parlava?” chiese Angie, tesissima. “- Una trappola. Purtroppo me lo sento. Ma non qui, non ora.” Intuì la guardia del corpo più grande, prendendo un altro sorso dalla bibita. “- E quando, scusa?” chiese Violetta, cominciando a tremare per il nervosismo e la paura, stringendosi nel mantello nero del costume. “- Non lo so, non possiamo saperlo… lui sa che stiamo in ansia per questo e, probabilmente la cosa lo deve divertire ancor di più.” sentenziò Pablo, con aria disgustata nei confronti di quel pazzo. “- Lui? Cosa ti fa pensare che sia un lui? Maschilista! Un' ottima pazza e psicopatica potrebbe essere anche una lei!” borbottò Angie, alzando un sopracciglio con aria provocatoria e, allo stesso tempo alquanto stizzita. “- Non hai tutti i torti...” disse, sorprendendola, Galindo, fissandola con furbizia. “- AH! Adesso vorresti intendere che io come pazza e psicopatica sarei perfetta, vero?” comprese al volo la Saramego, fissandolo ridacchiare divertito. “- Lo stai dicendo tu, Elizabeth Swann!” esclamò lui, riferendosi alla pirata protagonista, con Jack Sparrow, di Pirati dei Caraibi, a cui era ispirato il suo costume. “- Lasciala stare, è splendida!” La difese prontamente la nipote, mettendosi di fronte alla donna e affrontando Galindo con aria meno seria e più rilassata. “- Non lo metto in dubbio. Io parlavo di follia, mia carissima Violetta.” ironizzò ancora lui, beccandosi una forte calcio nello stinco dalla donna ma che, inizialmente, non sembrò scalfirlo più di tanto. “- Siamo abituati ai colpi, facendo questo mestiere, ma diciamo che mi sembra di intuire che per essere una donna colpisce forte…” ridacchiò Leon, vedendo il moro annuire, un po’ dolorante. “- Lo dico che sei folle! Questo ne è la dimostrazione!” esclamò, riprendendosi, Galindo, mentre lei era pronta a colpirlo nuovamente. “- Ok, mi arrendo.” Esclamò lui subito, ridendo e facendo ghignare anche la bionda.  “- Noi andiamo a ballare un po’… questa tensione mi sta solo facendo stare male!” disse Violetta, afferrando la mano di Leon e tirandoselo in pista. “- Ehi, frena! Se mi usi solo per far ingelosire il capo dell’Isola Che Non C’è, te lo puoi scordare che ci venga!” la bloccò Leon, facendole scuotere il capo con decisione. “- Non mi interessa di Heredia. Che si divertisse con la sua Wendy! Io voglio divertirmi con Edward Cullen!” sorrise la ragazza, continuando a trascinarselo verso il centro della sala, mentre ancora una ventina di coppie stavano ballando. “- E per l’ultima volta! Non sono quello sfigato luccicante! Io sono il conte Dracula, il re dei vampiri! Mica quel noioso palliduccio!” urlò Leon, mentre era già lontano dall’insegnante e dal suo bodyguard che risero, divertiti. “- E noi? Che facciamo?” esclamò Galindo, fissando di fronte a sé e scrutando ancora quelle maschere, alcune sul serio inquietanti. “- Guarda quanti abiti strani, tutte quelle figure incappucciate fino alla punta dei capelli, completamente in nero! Detesto Halloween, mi mette sempre i brividi!” aggiunse la donna, voltandosi dal lato opposto alla folla, dando le spalle alla sala. “- Già. Non piace nemmeno a me.” esclamò lui, perplesso dai troppi visi coperti. Erano tutti irriconoscibili e, sapendo la loro situazione, la faccenda era ancora più inquietante. Ad un tratto, i due vampiri ritornarono vicino ai due pirati. “- Novità?” chiese Leon, mentre Violetta e Angie cercavano i cellulari, sommersi nelle pochette. “- No, nulla!” dissero le due, in coro. “- Strano, molto strano.” Ribatté Vargas, iniziando a riflettere. D’un tratto, un’idea balenò nella sua testa e sperava che quel suo presentimento fosse solo un errore. “- German mi ha detto che aveva molto da lavorare… che aveva ricevuto una mail… è da solo a casa, Pablo vai a controllare! E portati Angie, ovviamente.” Disse Leon, ricordandosi di come l’uomo avesse salutato in maniera forte ed emozionante la figlia. Che anche lui avesse un brutto presentimento prima che Violetta andasse alla festa? “- Tu dici che… oh no!” esclamò la Castillo, vedendo le espressioni serie delle due guardie del corpo. “- Non preoccuparti, ma meglio andare a verificare che prosegua tutto bene.” Sentenziò Galindo, sorridendo alla giovane per non spaventarla troppo. “- Andiamo.” Disse Angie, tirandoselo per la mano fuori dalla sala teatro.
“- Se quella non fosse stata una mail di lavoro? Se i sospetti di Leon fossero fondati? Se il nostro amico avesse voluto affrontare proprio lui, attirando noi qui per tenerci impegnati?” iniziò a strillare la bionda, nel corridoio deserto e, ancor più inquietante a causa di quelle decorazioni. “- Non lo so, Angie! Non ne ho idea! Ma per sicurezza sarà meglio verificare.” Disse Pablo, tentando di zittirla e di tranquillizzarla.
Si sedettero in auto e, d’un tratto, il cellulare sia di Angie che di Violetta, ancora in sala, trillò.
“- A quanto pare ci sono novità, purtroppo…” borbottò la donna, osservando poi il messaggio, con aria sconvolta. “- DOLCETTO O SCHERZETTO? FUORI DUE!” urlò quasi la Castillo, ancora alla festa, leggendone il testo all’unisono con la zia, in auto. “- Speriamo sia uno scherzo, allora!” disse Vargas, afferrando il cellulare della ragazza e fissando il display, confuso e sperando di aver avuto una falsa intuizione per quanto riguardava i pericoli che correva German. “- E’ il fuori due che mi mette ansia! Ma se noi siamo qui allora chi…?” cominciò a chiedersi la giovane, fissando Leon che scosse il capo. “- Thomas! Dov’è?” chiese lei, d’un tratto, sospettando che, lo spagnolo, avesse potuto fare la stessa fine di Matias, collegato alla zia. “- No… è laggiù, vedo Emma e il ridicolo cappello color pistacchio di Heredia fin da qui!” esclamò il giovane bodyguard, indicando i due ragazzi seduti sulle scalette del palco. “- Papà!” urlò Violetta, tentando di chiamarlo subito, al cellulare. “- Non risponde! C’è la segreteria, Leon!” strillò subito, con gli occhi lucidi la ragazza. “- Stanno andando lì Pablo e Angie, calmati! Andrà tutto bene.” Esclamò il ragazzo, abbracciandola e facendo sì che lei si ritrovasse con il viso appoggiato sul suo petto. “- Va bene, ma se non ci fanno sapere entro dieci minuti, promettimi che ci andremo anche noi!” disse la giovane, ancora stretta da quelle forti braccia, alzando gli occhi e ritrovandosi riflessa in quelli verdi  e profondi del giovane. “- Te lo prometto.” Disse Leon, senza avere il coraggio di aggiungere altro ma depositandole un leggero bacio sulla fronte, sperando di calmarla.
 
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Festa di Halloween con esibizione! Piaciuti i costumi? :D Il colpevole era lì tra le persone mascherate o si è occupato di altro, avendoli attirati in una sotra di trappola? E quel messaggio inquietante, cosa significherà? Chi sarà mai questo colpevole? Spero che la storia vi stia piacendo, alla prossima, ciao. :)

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Capitolo 10
*** Ti conosco, German Castillo. ***


“- Questo sms così vago mi innervosisce ancora di più…” esclamò Angie, tesa come non mai, mentre Pablo andava a tutta velocità verso villa Castillo. “- Stai tranquilla. Non è detto che sia successo qualcosa di grave, potrebbe solo volerci spaventare, chissà…” mentì l’uomo, avendo capito perfettamente, invece, che qualcosa non quadrasse. “- Posso rivelarti un segreto?” disse, dopo qualche secondo di pausa, la bionda Saramego. “- Cosa?” chiese lui, non staccando gli occhi dal semaforo, rosso ormai da un bel po’. “- Ho paura.” Sussurrò quasi lei, prendendo a fissarlo, attendendo una risposta che tardò un po’ ad arrivare. Galindo prese un profondo respiro e poi accelerò di nuovo e, sempre con lo sguardo dritto sull’asfalto. “- Non devi. Ci sono io con te, non corri alcun rischio.” Disse lui, serio. “- E Vilu? Leon mi sembra giovane, lo ammetto. Ok, l’ha salvata una volta ma…” esclamò, nel panico, la Saramego, venendo però interrotta dalla guardia del corpo. “- E’ un ottimo bodyguard. Fidati.” Sorrise Galindo sperando di tranquillizzarla, avvistando finalmente la casa di German e accostando l’auto al marciapiede fuori dalla villa. Scesero dall’auto e notarono il cancello esterno accostato. “- Guarda! Era socchiuso!” fece notare Angie, titubante, quasi indietreggiando, mentre Pablo fissò quell’entrata e lo spalancò per accedere all’abitazione. “- C’è qualcosa che non va…” sibilò il moro, tornando all’auto ed estraendo da sotto al suo sedile, la pistola d’ordinanza.
“- Cosa devi fare con quella?” balbettò quasi la bionda, pallida come mai  e fissando l'arma con aria spaventata. “- Seguimi. Stai dietro di me e non muoverti con scatti troppo veloci.” Le raccomandò l’uomo, cupo in volto. “- Posso restare qui?” disse lei, timidamente, indicando il dondolo al lato della villa. “- No, meglio che vieni con me. Lui potrebbe essere dentro ma anche fuori. E preferisco non lasciarti da sola…” sibilò il moro, caricando la pistola per sicurezza sua e della bionda. “- Lui? allora tu pensi che…” tentò di dire la donna, standogli incollata alle spalle. “- Sì. Lo sospettavo, speravo di sbagliarmi ma il cancello era aperto e… andiamo, vieni con me.” Ordinò il bodyguard, serio, muovendosi in maniera da dare poco nell’occhio, stando lontano dai lampioncini che illuminavano il vialetto d’accesso. “- Sei pronta? Qualunque cosa accada, ci sono io con te, ok?” Disse l’uomo, sorridendole, tentando di calmarla. “- Ok.” Rispose lei preoccupata, seguendolo sotto al portico. Anche la porta d’ingresso era socchiusa e bastò un piccolo colpetto della guardia del corpo per far accedere i due nel salone principale. “- Non c’è nessuno…?” sussurrò Angie all’orecchio del bodyguard che le fece cenno di restare in silenzio. Il salotto principale era vuoto ma con le luci accese… di German nemmeno l’ombra. Per prima cosa, Galindo andò a spalancare  con un calcio la porta dell’ufficio dell’uomo, era tutto in ordine, come se nulla di particolare fosse accaduto. Ad un tratto uscì e si recò con la Saramego al piano di sopra, anche lì tutto tranquillo. “- Ma dov’è?” si chiesero i due, riscendendo le scale. “- GERMAN, E' QUI?” urlò d’un tratto Pablo, ritornando nel salone. “- Ah, io devo star zitta e tu gridi?!” esclamò la bionda, mentre vide l’uomo afferrare il cellulare. “- Chiamo Lisandro.” Disse lui, accigliandosi e componendo un numero sul cellulare. “- Finalmente! Hai finito di fare il super eroe?!” si lamentò la donna, avviandosi verso la cucina per prendersi un bicchiere d’acqua. Ad un tratto Pablo senti un urlo che gli fece raggelare il sangue e, istintivamente, buttò a terra il telefonino per fiondarsi nell’altra stanza. Lo scenario che si trovò d’avanti era a dir poco inquietante: la porta secondaria era spalancata e, a terra, alcune macchie rosse, sul pavimento, era niente in confronto a quello che c’era sulla parete di fronte a sé. Una scritta, tremolante, con vernice rossa, o, probabilmente, qualche altra sostanza dello stesso colore, diceva a caratteri cubitali: “SCHERZETTO. FUORI DUE.” Angie era rimasta immobilizzata, i cocci del bicchiere al suolo e le lacrime che, per la troppa paura, nemmeno riuscivano a sgorgarle fuori dagli occhi. “- Lo ha… ucciso?” Balbettò, riflettendo su quelle parole sul muro e portando subito la sua mente a Matias, lui era il “FUORI UNO.” del folle, allora? Aveva eliminato entrambi? Tremava e non riusciva a fermarsi. Chi sarebbe stato il prossimo? E perché tutto quell’odio contro di loro? Chi avrebbe voluto tanto male a quella famiglia, Maria compresa? La sua mente si offuscò come annebbiata completamente e, non riuscì a fare altro che cadere a peso morto e svenire. Pablo la stava osservando già da un po’ e la prese subito al volo, resosi conto che stava per accasciarsi al suolo. Era fredda come il marmo e sospettò che fosse addirittura accaduto qualcosa di più grave. “- ANGIE! ANGIE SVEGLIATI!” gridò lui, prendendola in braccio e portandola sul divano del soggiorno. La Saramego non si riprendeva e la cosa lo spaventò a morte. “- Ehi, svegliati! Ti prego, svegliati!” urlò ancora, dandole qualche leggero colpetto al viso. Ad un tratto la porta si spalancò e Lisandro, Diego e altri agenti fecero irruzione nella villa. “- Cosa è successo qui?” disse subito Roberto, serio, vedendo Angie stesa con gli occhi ancora chiusi e Galindo al suo capezzale.
“- Capo, venga di qua!” urlò Dominguez dalla cucina, non dando neppure il tempo di rispondere al bodyguard. Il cellulare di Angie squillò e Pablo riuscì a rifiutare la chiamata, senza neppure vedere di chi si trattasse. “- Per favore, Angie, svegliati! Forza!” disse, ancora l’uomo, mentre lei, finalmente, cominciò a battere le palpebre e a riaprire gli occhi con difficoltà, infastidita dalla luce del lampadario proprio sospeso sulla sua testa. “- Ah, grazie al cielo stai bene. Mi hai fatto prendere un colpo!” Disse Galindo, abbracciandola istintivamente e lasciandola sorpresa ma comunque confusa. “- Cosa è successo a German?” si ricordò subito lei, osservando che si trovasse a villa Castillo e ricollegando il tutto. “- Non lo sappiamo ancora. Sembra che sia stato…” tentò di dire Galindo, ma si bloccò. Non voleva scioccarla ancor di più di quanto non lo fosse già. Lei abbassò gli occhi e si prese la testa tra le mani, massaggiandosi le tempie lentamente. “- Cosa ci facevate voi due qui?” iniziò Lisandro, ritornando nella sala principale, e sedendosi di fronte ai due, prendendo a fissarli con aria decisa. “- Angie e la Castillo hanno ricevuto un sms inquietante… abbiamo sospettato che quel FUORI DUE fosse stato riferito a German rimasto da solo qui e siamo venuti a controllare, ecco tutto.” Spiegò Pablo, mentre la Saramego alzò lo sguardo, sentendosi osservata. Roberto la fissava, quasi con aria di sfida… possibile che avesse trovato qualche altra maniera per accusare lei?
“- Voi eravate alla festa dello Studio, giusto? Come Dominguez…” iniziò Lisandro, osservandoli con insistenza e constatando che indossassero ancora gli abiti di Halloween. “- Di solito non usciamo vestiti così per andare al supermercato!” Angie si era ripresa e, sentendosi sotto accusa, aveva ripreso a rispondere a tono a Lisandro che, accortosi di quella reazione, la fissò ancor più nervosamente. “- Quindi voi siete venuti qui perché avete ricevuto quel sms… e perché allora non avete chiamato subito noi? E’ alquanto bizzarro, no?” continuò subito, con tono provocatorio, il commissario, facendo stizzire istantaneamente il bodyguard. “- Cosa vuole insinuare? Non ho avuto il tempo di chiamarla, quando stavo per farlo lei è svenuta. Lo avrei fatto non appena Angie si fosse ripresa.” Disse, con tono severo, Galindo.
“- Zia, dov’è papà? Perché ci sono le volanti della polizia qui fuori?!” Violetta si era precipitata in casa, precedendo persino Leon. “- Perché non mi avete risposto al cellulare? Cosa è successo? DITEMI LA VERITA’!” urlò, comprendendo subito qualcosa, sentendo gli occhi che le si fecero subito lucidi. Nessuno, però,  ebbe il coraggio di aprir bocca. Diego fece cenno a Leon di non farla entrare in cucina e Vargas subito capì che era successo qualcosa di terribile. Pablo e Lisandro fissavano la giovane senza parlare, in silenzio, per poi abbassare gli occhi, senza neppure avere il coraggio di guardare la ragazza, già orfana da poco di madre. Angie non disse nulla ma si alzò di colpo, diede uno spintone al commissario facendolo traballare sul posto e l’andò ad abbracciare, scoppiando a piangere. “- Angie, dimmi che non è come penso, ti prego, dimmi che papà sta bene, dimmi che non sarò da sola, ti prego!” disse la ragazza, iniziando a singhiozzare con forza, avendo già compreso la situazione. “- Non sarai mai da sola, mai!” esclamò la donna, tra le lacrime. A quelle parole la giovane realizzò a pieno e, staccandosi dall’abbraccio, si fiondò nella cucina, mentre Diego stava spiegando la situazione a Leon. “- Dove va? Vieni qui, ragazzina!” urlò uno dei  poliziotti, facendo voltare di colpo la sua guardia del corpo che la rincorse, con l’agente Dominguez, nella cucina. “- Cosa… com… NO!!! Ti scongiuro, no!!! Papà!!!!!” urlò la ragazza, inginocchiandosi sul parquet e cominciando a piangere ancora più forte, mentre Diego fece cenno a Vargas di portarla via da lì, quella stanza era già sotto sequestro e in piena fase di esami approfonditi da parte della polizia scientifica. “- Andiamo, vieni con me…” le sussurrò Leon, dolcemente, mentre lei non voleva più neppure alzarsi e rimase a fissare la scritta di fronte a lei rossa e tremolante. “- Vieni, forza!” ripeté teneramente Leon, alzandola di peso e abbracciandola forte. Tremava come una foglia e gli strinse forte le spalle, come per volersi aggrappare a lui, come se stesse per perdere le forze. “- Non ce la faccio! Perché? Perché a noi?” strillò la ragazza, ancora stretta al ragazzo che non sapeva cosa risponderle. Diego li osservò e abbassò gli occhi, nervoso. Avrebbe tanto voluto beccare quel folle che stava rovinando una famiglia, facendoli soffrire fin troppo.  “- Perché non ci lascia in pace? Prima la mamma ed ora mi ha portato via anche papà!” urlò piangendo lei, mentre Leon le accarezzò dolcemente i capelli. “- Calmati ora, hai ragione, ma devi cercare di calmarti. So che è difficile e che è la cosa più stupida che potessi dire ma ti prego, non piangere più. Lo prenderemo e la pagherà cara, te lo giuro!” Sussurrò Vargas, portandola, dall’uscita secondaria, in giardino.
 
 
Lisandro, ancora poco o meglio, per nulla convinto della versione di Angie e Galindo, li stava interrogando e la faccenda continuò fino alle due di notte.
“- Dunque, siete andati via dalla festa per venire qui, non mi avete chiamato e vi ho trovato sul luogo del delitto. Qualcuno puo’ testimoniare che siete arrivati in questa casa solamente dopo il possibile omicidio?” disse ad un certo punto, addirittura quasi ironicamente, il commissario. “- Prima di tutto non si tratta di un delitto, mi pare, no? E comunque basta con queste insinuazioni! Sono stufa! Me lo dica in faccia che mi crede una possibile colpevole! Abbia il coraggio di non girarci troppo intorno e lo ammetta!” esclamò d’un tratto la Saramego, alzandosi di colpo con aria stanca e pallida e parandosi di fronte al capo della polizia che ghignò, innervosendola ancora di più.
“- Vuole confessarci qualcosa, signorina?” sibilò, con aria glaciale, Roberto. “- Non ho nulla da dirle, quello che le ho già detto è tutto ciò che so.” Ribatté lei, per l’ennesima volta. “- Angie non farebbe mai una cosa del genere, tanto meno appoggiata da una guardia del corpo professionale come Galindo… ma tanto parlare di professionalità a lei è completamente inutile…” li difese Leon, con aria seria, facendo ridacchiare ancora Lisandro e beccandosi una gomitata da Diego. “- Ci metta al corrente dei suoi sospetti, almeno…” chiese Dominguez, curioso, avvicinandosi al suo capo, convinto anche lui dell’innocenza della donna e del bodyguard. “- Dunque… ho sempre notato una certo astio, dei conflitti tra la Saramego e Castillo. Matias è scomparso ed ora anche German. E se Angie avesse sempre avuto una cotta per suo cognato? Se avesse eliminato prima la sorella e poi, per dimostrare il suo amore verso il marito della maggiore delle due, avesse fatto fuori anche La Fontaine? E’ venuta qui, ha raccontato di come ha eliminato Matias e German si è arrabbiato, rifiutandola per l’ennesima volta. La nostra signorina non ci vede più e lo uccide, nascondendo le prove e venendo appoggiata dalla sua ennesima vittima innamorata: Pablito. In effetti potrebbe essere… non crede?” disse Roberto, prendendo a fissarla, lasciandola con gli occhi sgranati e la faccia sconvolta. “- No, scusi… vediamo se ho capito: io avrei eliminato mia sorella, Matias e poi German solo perché ero innamorata di mio cognato? Io? Ma sta scherzando? E Pablo mi avrebbe anche coperta? Si rende conto della stupidaggini che sta dicendo, almeno?” strillò la bionda, con decisione, alzandosi di nuovo in piedi ma venendo tirata a sedere da Galindo. “- Io non la sto accusando di nulla! Forse è lei che si sente in colpa e vuole dirci tutto. Avanti, si confidi prima che sia troppo tardi!” tuonò Roberto, con aria subdola. “- Come spiegherebbe me e gli sms? Le ricordo che li ha ricevuti anche lei!” si intromise Galindo, fermando con una mano Angie che stava per ribattere lei, in malo modo. “- Per quanto riguarda te, mio caro Pablo, te l’ho detto! Sono certo che ti sia preso una sbandata per lei e che la copriresti sempre, d’altronde, ti conosco bene…” disse, con fare misterioso, Lisandro. “- Gli sms sarebbero stati la parte più geniale: per scagionarsi se li è mandati da sola, non ci vuole molto, no?” aggiunse ancora il commissario, accendendosi una sigaretta con fare distratto. “- Quindi io per lei sarei un genio del male fino a questo punto? E, per curiosità, come spiega l’incidente del riflettore caduto su mia nipote?” chiese la Saramego, ancora bianca come un lenzuolo per lo shock ma arrabbiatissima per quelle false teorie del poliziotto. “- Un originale diversivo per scagionarsi. Ammetta che era in cattivi rapporti con German, mi basterà per capirci molto di più.” Disse l’uomo, serio, fissandola negli occhi chiari con aria di sfida. “- Lei non deve ammettere proprio nulla, finché non lo dirò io.” Una donna, dai capelli rossicci e vestita in maniera elegante, con una valigetta nera in una mano, fece il suo ingresso nel salone. “- Esmeralda Ferrara, avvocato.” Si presentò, avanzando nella sala con passo fiero, mentre i poliziotti la lasciarono passare, conoscendo fin troppo bene l’osso duro che era quella donna.
“- Ferrara! Ci mancava solo lei!” borbottò Lisandro, alzando gli occhi al cielo. “- Le mancavo?” ghignò lei, sarcastica. “- Per nulla…” rispose l’uomo, seccamente. “- Cosa ci fai qui?” sorrise Angie, abbracciandola. Si conoscevano da una vita ed erano amiche storiche. Per ben altri motivi, conosceva benissimo anche Pablo e gli strinse la mano amichevolmente, sorridendogli. “- Ho saputo cosa fosse successo a tuo cognato e sono corsa qui!” spiegò l’avvocato, sedendosi tra la Saramego e la sua guardia del corpo. “- La mia assistita era in rapporti civili con Castillo. Ebbero un diverbio, in passato. Ma erano in relazioni tranquille, niente di serio.” Disse la rossa, spostandosi una ciocca dal viso e portandosela dietro all’orecchio. “- E perché quel famoso diverbio?” incalzò il commissario, serio.
“- German mi aveva…” ma Angie si interruppe, capendo che se avesse rivelato quel particolare, sicuramente, Roberto l’avrebbe arrestata nel giro di un secondo… “- L’AVEVA?” chiese Roberto, stizzito per la presenza di Esmeralda che continuava a guardarlo male. “- Mi aveva accusato di aver spinto io, Maria, a prender parte a quell’ultimo concerto… e da lì in poi i nostri rapporti si sono incrinati…” Disse, quasi tutto d’un fiato, la bionda, facendo sì che Pablo prendesse a fissarla… quella cosa non la sapeva nemmeno lui! “- Ah, e forse insisteva tanto a farle fare quello spettacolo perché era stata lei a manomettere quell’auto?” chiese ancora il commissario, con decisione. “- Cosa? No!” urlò Angie, mentre la Ferrara prese la parola. “- Si rende conto delle accuse che sta facendo alla mia assistita? Si rende conto che non ha uno straccio di prova? Lei non sta accusando solo la mia cliente! Anche l’agente Galindo mi pare, che assisterò io stessa! Come se non le bastasse tutto ciò che gli ha fatto!” disse, con tono forte, Esmeralda, aprendo la valigetta e cominciando a scrivere tutta una serie di dati sulle parole di Lisandro. “- Ancora con quella storia? E poi non ho prove, per ora ma sono sicuro che le troverò, mi creda, avvocato! Può starne certa!” esclamò l’uomo, alzandosi per uscire.
“- Possiamo andare?” chiese Galindo, alzandosi di fretta, con fare nervoso. “- Per ora la signorina deve restare ai domiciliari. Pablito, immagino che penserai tu a lei… come se ti possa in qualche modo dispiacere…” disse, con tono malvagio, il commissario. “- Vuoi arrestare anche me? Cosa hai contro di me, ancora? Non ti è bastato tutto quello che hai fatto, vero?” disse Pablo, scattando per quell'ultima frecciatina e prendendolo per il bavero della giacca, affrontandolo senza timore. “- Se non mi lasci entro 30 secondi ti sbatto direttamente in cella. Ti potrei accusare di concorso in plurimo omicidio. Ma ti lascio in libertà ancora per un po’. Bada alla signorina, a casa sua e non intrometterti nelle indagini, sai che non ti compete.” Si lamentò il commissario, allontanando in malo modo il moro che lo fissò duramente. “- Vi accompagno con la volante, prego!” esclamò Lisandro, tirandosi Angie e Galindo fuori di casa, dove c’erano un cinque o sei curiosi. Esmeralda li seguì in giardino e si fermò a parlare con il commissario, alquanto alterata. “- Cosa ne sarà di mia nipote?” chiese la Saramego a Diego che la teneva sottobraccio, facendolo scosse il capo. “- Zia! Ma cosa… dove ti portano? Ti hanno incastrato, tu non c’entri nulla! Io lo so! E nemmeno Pablo ha a che fare con tutta questa storia!” disse la ragazza, alzandosi dal dondolo su cui era seduta con Leon e correndo in contro alla donna che la strinse forte tra le sue braccia. “- Grazie, tesoro. E’ importante saperlo per me. E’ importante per me sapere che ti fidi di me, di noi.” Balbettò lei, in quell’abbraccio forte e affettuoso. “- Non ci credo. Il folle è riuscito nel suo intento, farvi passare per colpevoli!” disse Leon a Pablo che annuì con decisione. “- Mi dispiace per lei, credimi. Dopo le sofferenze per la sorella, Matias e ora per suo cognato, viene anche accusata! E’ assurdo!” rispose Galindo, con tono afflitto. “- Saramego, ho parlato con la Ferrara. Non posso ancora darle i domiciliari… ma resti a disposizione. Non lasci per alcun motivo Buenos Aires e le faremo sapere se ci saranno novità sugli ultimi rilevi nella cucina della villa.” Disse Lisandro, avvicinandosi alla donna. Esmeralda fece l’occhiolino da lontano ai due accusati che le sorrisero di rimando. “- Ah, ha capito finalmente!” strillò Angie al commissario che la fissò con aria delusa per il mancato arresto, allontanandosi. “- Ho chiesto e tua nipote deva andare in un’altra casa, con Leon.” Disse Diego, avvicinandosi alla Saramego. “- Puo’ venire a stare con me e Pablo?” disse subito la donna, con aria felice e ancora incredula per la notizia della mancata condanna. “- No, credimi… Lisandro si arrabbierebbe, vi considera ancora due perfetti complici. Non c’è nessun altro con cui potrebbe andare a vivere?” chiese Domiguez, osservando Angie riflettere con aria ancora stupita e sconvolta. “- Tua madre!” disse Pablo, seduto accanto a Leon, sull’altalena. “- Le telefono subito, allora. per te va bene, tesoro?” chiese la bionda alla nipote che annuì, ancora pallida e cupa in volto, esattamente come sua zia. Gli occhi erano arrossati per le troppe lacrime ed era ancora sconvolta per quello che era accaduto quella notte. “- Bene. Sono sicura che sarà d’accordo.” Disse Angie, abbozzandole un sorriso. “- Andiamo, prepariamo qualche valigia prima che mettano la casa sotto sequestro.” disse Vargas, prendendola per mano e conducendola di nuovo dentro. Roberto e Diego, con alcuni degli altri agenti, andarono via, Pablo e Angie si recarono verso villa Saramego ancora scioccati e Leon e Violetta rientrarono nell’abitazione.
 
 
Nella sua camera, la giovane stava preparando silenziosamente un trolley con alcuni vestiti e oggetti a lei cari. Leon era già pronto da un po’ e l’osservava, senza dire nulla, appoggiato allo stipite della porta. Povera ragazza, non riusciva a credere a tutto quello che stava passando e che, a quanto sembrava, era appena iniziato. German Castillo era sparito nel nulla, non aveva voluto seguirli alla festa… poi un lampo di genio illuminò la mente di Vargas. La mail! Forse era proprio quella la soluzione all’enigma! L’uomo aveva parlato di una e-mail ricevuta per la quale avrebbe dovuto concludere un lavoro fin troppo urgente. Si fiondò nello studio del padre della giovane e notò che la casella di posta era ancora aperta. Violetta, notando quella fuga del ragazzo, lo seguì e lui senza neppure accorgersene, se la ritrovò alle spalle. “- Lo sapevo. Chiama i poliziotti. Qui c’è la chiave di tutto.” Ordinò Leon, mentre lei sgranò gli occhi, leggendo quel messaggio, impallidendo ancor di più. “- Lui sapeva. Sapeva che sarebbe stato il prossimo! Lo ha saputo quando voi avete ricevuto quell’sms, quello dell’Halloween da paura! Voleva proteggerti, sapeva che il folle sarebbe venuto qui, voleva affrontarlo, per questo ti ha mandato alla festa senza alcuna protesta! Lui voleva vedersela da solo con lui come richiesto dal pazzo, ma non ci è riuscito, ha avuto la peggio!” spiegò Leon, serio, mentre alcuni dei poliziotti entrarono nella sala per puro caso e cominciarono ad esaminare la posta, avendo ascoltato le parole del giovane. Violetta cominciò a riflettere: ecco perché l’aveva salutata in quel modo strano quando era uscita, ripetendole tutti quei ‘ti voglio bene’. Ecco perché le aveva subito dato il consenso per andare allo Studio, nonostante il messaggio d’avvertimento, inquietante. Lui voleva liberarsi di quel folle e, orgoglioso com’era, pensava di riuscirci. La Castillo non poteva credere di averlo perso, forse per sempre. Rimase immobile a quella spiegazione del suo bodyguard e fissava il vuoto di fronte a sé. Lo schermo del pc veniva osservato da alcuni agenti rimasti in casa e giunti lì per esaminare gli ultimi messaggi della vittima.
“SO CHE VUOI AFFRONTARMI, TI CONOSCO, GERMAN CASTILLO. DOMANI DA TE, ORE 23:30. DA SOLO O SARANO GUAI. PAURA?” diceva la mail, sempre con mittente bloccato. Bisognava subito avvertire il commissario, quello si che fu un risvolto inquietante e macabro.
“- Andiamo, spiegami dove abita tua nonna, dobbiamo lasciare la casa, hai sentito?” le disse Leon, stringendole le spalle e portandola fuori dall’ufficio del padre. “- Mi voleva salvare… ha affrontato la morte per me, Leon… ti rendi conto?” balbettò lei, scendendo le scale della casa, mentre Vargas tirava la sua valigia e quella rosa della giovane. “- Ti amava più di ogni altra cosa. Questo è sicuro. E ti amerà per sempre.” Concluse Leon, ormai sull’uscio. Salirono in macchina, lei ancora pallida e tremante, e si diressero verso la villetta di Angelica, appena fuori Buenos Aires.
 
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INQUIETANTE A LIVELLI MASSIMI! Ma vi avevo avvertito! Eccomi, buon pomeriggio a tutti! GERMAN! Morto? Sparito? Chissà! Fatto sta che il corpo non c’era quindi potrebbe comunque essere ancora vivo… vedremo! Povera la nostra Angie! Mannaggia a quell’idiota di Lisandro! >:<  E povero anche Galindo… non vi pare che abbia qualche conto in sospeso con Roberto? Che ne pensate? Per fortuna la tenace avvocato Esmeralda Ferrara ha salvato la situazione e sembra conoscere entrambi gli accusati ingiustamente! Olè! Brava Esme! ;) (Almeno nella mia storia sarà buona! XD)
Sconvolgente finale, Leon si ricorda della mail di cui aveva parlato German e si scopre il fatto fondamentale: l’appuntamento tra il folle e Castillo che, per orgoglio e per tentare di mettere fine alla vicenda, affronta il pazzo, avendo la peggio. Come continuerà la storia? Vi sta piacendo? Lo spero! All'altro capitolo ho ricevuto tantissime recensioni! Mi fate commuovere, così! Grazie di cuore! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 11
*** L'intreccio del passato. ***


La villetta di Angelica Fernandez era molto carina e ben arredata. Non appena arrivati in quella casa, a Leon misero un po’ d’ansia le milioni di foto appese alle pareti raffiguranti Maria, mentre notò che invece Violetta ne era rimasta affascinata, come immobilizzata a fissarle con un sorriso malinconico stampato sul viso.
Era notte fonda, qualche giorno dopo la scomparsa di German e la ragazza, dopo aver tenuto gli occhi sbarrati, fissando il soffitto di quella camera che non era più la sua, sembrava essersi addormentata, più per la stanchezza che per voglia di dormire. Non aveva detto una sola parola ed era come se le lacrime le scendessero quasi automaticamente sulle guance e continuavano a scorrere, anche nel sonno. Leon ne aveva visti di casi simili nella sua seppur breve carriera, come guardia del corpo capitavano episodi simili, ma si rese conto che quello era uno dei più difficili mai avuti anzi, mai visti. Quel pazzo non scherzava: aveva fatto sparire La Fontaine, aveva forse ucciso anche German Castillo e manomesso l’auto della madre di Violetta, eppure non sembrava ancora volersi fermare. “Fuori due.” Non aveva detto che era finita ma che solo il secondo delle sue vittime era stata eliminata o almeno, così pareva. Già perché nonostante la scritta, i corpi, né quello di Castillo, né quello di La Fontaine, erano stati trovati e la polizia non parlava ancora di vittime di omicidio, bensì di sparizioni misteriose. Vargas era seduto sul bordo del letto della ragazza, le tempie che gli pulsavano e un nervoso che gli salì istintivamente al solo pensiero di quel pazzo che avrebbe anche potuto continuare a far del male a degli innocenti. Si voltò per osservare il viso pallido della giovane e rabbrividì. Si ricordò di quanto poco la sopportasse inizialmente, ritenendola una bambinetta viziata, si ricordò dei suoi litigi con German che, adesso, chissà che brutta fine aveva fatto. Si era affezionato a quella piccola donna, così fragile, dolce e, allo stesso tempo, forte. Già, quelle lacrime non significavano che non lo fosse stata, anzi: subito Leon si rese conto che, a riuscire a sopportare quella faccenda lo era stato fin troppo. La doveva proteggere, ormai era una questione personale, doveva prendersi cura di lei.
“- Leon.” Disse d’un tratto, ancora con gli occhi chiusi, la giovane. Il ragazzo non capì se stesse avendo qualche incubo o se fosse semplicemente ancora sveglia. “- Dormi?” chiese lui, aggirando il letto e andandosi a sedere più vicino a lei. “- Come potrei.” Ribatté Violetta, prima su un fianco, ora ritornando a fissare il soffitto. “- Pensavo stessi dormendo.” Ripeté Vargas, abbassando gli occhi, triste. Non sapeva cosa dirle, come affrontare con lei quella situazione pur consapevole che, prima o poi, avrebbero dovuto parlarne o che, comunque, sarebbero finiti sull'argomento, anche involontariamente. “- Non voglio che tu metta a rischio la tua vita per me. Rinuncia alla missione. E’troppo pericoloso.” La ragazza disse quella frase con un filo di voce, ma, allo stesso tempo, decisione glaciale, lasciando di stucco il bodyguard che tutto si aspettava fuorché quell’affermazione tanto forte. “- Che dici? Non ci penso nemmeno! E poi ormai ho accettato e non ho intenzione di rinunciarvi. Io non lascio mai un lavoro a metà.” Sentenziò, con aria seria, Leon fissandola e scotendo il capo con disapprovazione. “- E’ perché hai preso un impegno con Cardozo Valdez e con Lisandro, vero?” chiese la giovane, senza neppure guardarlo ma tenendo lo sguardo ancora fisso sul soffitto. “- No! Non è per questo! Violetta io ho preso un impegno con tuo padre, gli ho sempre promesso di restarti accanto, qualunque cosa fosse accaduta. Lui quasi si aspettava quello che è poi successo, lo sapeva, ecco perché si è raccomandato tanto prima che andassimo alla festa. Aspettava il pazzo, fin troppo orgoglioso per parlarne o per puro terrore, chissà… io l’ho promesso a lui, devo vegliare sulla sua bambina. E ho un impegno con te e con me stesso. Non ho intenzione di lasciarti ora che  la situazione si sta complicando tutto e mi sono ripromesso che non lo farò. Ho scelto e lottato per fare questo lavoro, per proteggere le persone, e continuerò a starti accanto, comunque si metterà la vicenda.” La voce di Leon era, per la prima volta da quando Violetta lo conosceva, quasi tremante, forse per rabbia, forse per la tensione di quel momento ma non di certo per insicurezza. Era deciso come mai in vita sua e nemmeno avrebbe pensato di affezionarsi tanto ad una sua protetta. Lei non disse nulla. Si voltò verso di lui e lo fissò, ancora pallidissima, quasi da potersi mimetizzare con il lenzuolo che la copriva vino alla vita. “- Grazie. Sei l’unica persona che mi rimane.” Disse, osservandolo e perdendosi in quegli occhi, così verdi e profondi. “- Non sei sola… a parte me hai Angie, tua nonna. E’ stato così ingiusto Lisandro con tua zia.  Certo, ci sono dei collegamenti con lei… ma non ha uno straccio di prova. Per fortuna Esmeralda Ferrara l’ha subito aiutata, lei sì che è un avvocato come si deve.” Disse serio Vargas, stendendosi di colpo accanto a lei che gli fece subito un po’ di spazio. Era un letto singolo e la ragazza si rannicchiò quasi sul bordo, mantenendo l’equilibrio con abilità. “- E’ innocente.” Sentenziò lei, riferendosi alla Saramego. “- Il punto è che il commissario odia Galindo e credo che, di conseguenza, stia cercando in tutti i modi di farci andare di mezzo lui e anche lei. Poi è superficiale, subdolo… non sono ottime caratteristiche per essere un capo della polizia. Infatti non lo era qualche anno fa.” Raccontò Leon, cupo in volto, ricordandosi un periodo sul quale, forse, avrebbe dovuto tacere. Non riguardava lui ma il suo collega bodyguard, Pablo o meglio, anche lui in un certo senso era coinvolto nella faccenda, seppur non in prima persona. Eppure solo ricordando quei momenti riusciva a spiegarsi gli atteggiamenti di Lisandro nei confronti dell’altra guardia del corpo. “- Che significa?” chiese Violetta, curiosa, avvicinandosi a lui e sollevandosi sui gomiti per mettersi a sedere. “- Fino a qualche tempo fa, il commissario era un’ altra persona, molto più in gamba, il migliore di tutti i tempi. Il suo agente, quello che avrebbe dovuto essere uno dei più fidati della sua squadra, però, a mano a mano che i mesi passavano, cominciò ad odiarlo per tutti quei successi. Il commissario era quello che aveva fama, lui risolveva i casi, lui era il mito della stampa e di tutta Buenos Aires. D’un tratto però, l’agente riuscì a vendicarsi.” Concluse, come se stesse raccontando una trama di un film d’azione, Leon. “- Aspetta… Pablo era il commissario? E Roberto l’agente? Sul serio? E in che modo si è vendicato, poi?” chiese, sempre più curiosa, la giovane cominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle colti dal discorso di Vargas. “- Ci fu un’indagine su un gruppo di rapinatori e tra essi, venne riconosciuta Tamara Galindo, la sorella di Pablo. Lui era sconvolto, credeva all’innocenza della donna ma, seppure sua parente così stretta, riusciva a mantenere una professionalità invidiabile. Lisandro però approfittò della situazione, in qualche maniera lo fece accusare di aver compromesso delle prove a favore della Galindo, mi sembra creando una registrazione compromettente a sfavore dei due fratelli. Riuscì, grazie alle sue conoscenze, a soffiargli il posto e, per fortuna, Pablo fu assunto dopo qualche tempo da Valdez nell’agenzia di guardie del corpo.” Continuò Leon, sempre con aria serissima. Lui, come pure Cardozo e Diego, avevano sempre creduto all’innocenza di Pablo, ma, purtroppo, non avevano molta voce in capitolo. “- Wow, poverino!” esclamò, Violetta, avendo ascoltato con attenzione tutta la vicenda. “- E la sorella che fine ha fatto?” chiese ancora lei, ormai seduta al centro del letto, già non avendo per nulla sonno. “- Non ne ho idea. Ha scontato la sua pena per alcuni mesi ed è andata all’estero, suppongo.” Disse Vargas, disteso sul fianco. “- Lisandro è malvagio! Non ci posso credere. E chi conosceva di così importante da averlo appoggiato nelle sue folli infamie contro Galindo?” chiese lei, ancora sconvolta da quella notizia. Leon prese un profondo respiro e iniziò: “- Alcuni poliziotti che, pur di fare carriera, erano degli ottimi tirapiedi. E poi… l’avvocato Rodrigo Vargas, mio padre, purtroppo.” La ragazza sgranò gli occhi nocciola e lo fissò, sconvolta. “- Lui lo ha aiutato? Ma perché?” chiese lei, stupita dal gesto dell’uomo. Leon non gli parlava mai della sua famiglia, la cosa la sorprese, soprattutto per la maniera con cui le iniziò a parlare di suo padre. “- Stavo facendo la scuola per diventare agente di polizia, come Diego, ecco perché lo conosco bene e siamo amici. Lui voleva che mi accettassero da subito nel commissariato centrale, dove Pablo era a capo. Lisandro gli promise che, se avesse ottenuto il posto di capo della polizia, sarei stato il primo a far parte del suo team, un posto di rilevo... Io lo scoprì e quella probabile raccomandazione mi fece ribrezzo… volevo diventare qualcuno tramite i miei sforzi, i miei sacrifici. Ero bravo, lo ammetto e non volevo far carriera in quel modo, rovinando il mito della polizia, il più in gamba, ovvero Pablo e con una palese richiesta di ammissione. Così affrontai mio padre duramente e decisi di lasciare l’accademia di polizia. Lui la prese malissimo, disse che tutto quello che stava facendo lo faceva per me, per il mio futuro. Mi rinfacciò il fatto che non avessi voluto seguire le sue orme, quelle dell’avvocato. Io volevo solo proteggere i cittadini. Quando ho incontrato Cardozo Valdez, poi, per puro caso, in un bar una notte, ho capito che la mia strada poteva rimanere comunque quella. E l’ho seguita, mandando a monte il subdolo progetto già inquadrato da mio padre. Lui ha comunque collaborato con Lisandro, difendendolo, e non gliel’ho mai perdonata.” Le parole di Leon l’avevano colpita nel profondo. Si sentì stranamente turbata da quella situazione. Ecco perché non le aveva mai parlato dei suoi genitori. Suo padre era un meschino, peggio di Lisandro… e sua madre? Non lo sapeva. Non osò domandarglielo per correttezza. “- Se ti stai chiedendo dove fosse mia madre in tutto questo, devi sapere che i miei hanno divorziato quando è successo tutto ciò che ti ho raccontato… non posso biasimarla, avrebbe dovuto lasciarlo prima. Anche lei un avvocato ma a differenza di mio padre, però, lei è sempre stata molto in gamba.” ghignò, amaramente, il ragazzo.
“- Wow è terribile. E ora lei dov’è?”  chiese la ragazza, non riuscendo a resistere alla tentazione di sapere. “- In Messico. Ha una nuova famiglia, un nuovo marito e mi viene a trovare spesso. Era molto amica della Ferrara, le migliori donne della legge di Buenos Aires.” Sorrise il giovane, abbassando lo sguardo. “- Perché non vive più qui? Magari ti starebbe più vicina!” esclamò lei, seria, mordendosi poi un labbro, pensando che tacere sarebbe stato meglio. “- Non voleva più stare qui, glielo leggevo negli occhi. Mio padre trovava sempre un modo per accusarla, per un periodo ha temuto che le facesse anche perdere il lavoro! Le dissi io di andare all’estero, per essere al sicuro… nonostante avessi voluto averla al mio fianco. Lei non voleva lasciarmi ma, alla fine, la convinsi. Ora è felice e sono sicuro che sta meravigliosamente. E sono contentissimo per lei, se lo merita.” Sorrise il ragazzo, per la prima volta, realmente con dolcezza, una tenerezza tale che la giovane subito fu in grado di cogliere dal solo suo sguardo. “- Ti manca?” chiese lei, timidamente. “- All’inizio sì, tantissimo. Ora condivido la sua scelta ancor di più di allora. Sarei fuggito anch’io da mio padre! Sempre così autoritario e insopportabile. Non era cattivo con me, anzi… ma era inaccettabile il suo comportamento contro Galindo, lo detestavo. Non volevo essere raccomandato da nessuno e, a maggior ragione se per farlo avrei dovuto rovinare un uomo onesto e meritevole come lui.” disse il ragazzo, serio e con sguardo glaciale, fisso verso un punto indefinito di fronte a sé. “- Ora dormi, e domani non voglio sentire lamentele! Torneremo allo Studio!” disse, quasi con fare paterno, il ragazzo, prendendo istintivamente ad accarezzarle delicatamente un braccio, disteso sul materasso accanto a lei. La ragazza arrossì e lui si rese conto solo dopo qualche secondo di quello che aveva fatto… no, non poteva avere davvero sfiorato la mano e il gomito della ragazza. Doveva ricordarsi del suo ruolo, nonostante non riuscisse a spiegarsi perché il cuore gli batteva così forte, quasi all’impazzata, come mai in vita sua. Lei era rimasta stupita da tutta quella gentilezza… di solito lui non era così affettuoso ma ne fu felice. Gli sorrise debolmente e annuì: “- Se vieni con me sono sicura che potrò tornarci senza problemi. Mi fido di te.” Sussurrò al ragazzo con voce dolce, mentre un brivido percorse la schiena di lui che non riuscì a capirne il motivo. La giovane si rannicchiò sul fianco e si riaddormentò di colpo. Leon rimase ad osservarla per tutta la notte, come suo dovere… ma si sentiva confuso. Non la stava fissando come al solito. Era diverso… si stava rendendo conto di lei, della vera Violetta, della sua bellezza, della sua semplicità e decisione. Prese a fissare il soffitto, sconvolto, e, di tanto in tanto, per non guardare troppo lei, imbarazzato, si perdeva ad osservare fuori dalla finestra che affacciava sul giardino della villa.
 
 
“- Ci vuole rovinare. E’ chiaro.” Angie era appena uscita dalla cabina armadio, in pigiama, mentre Pablo la fissava, pensieroso. “- Non dici nulla? Guarda che il commissario Lisandro accusa anche te, caro!” strillò lei, andandosi a sedere sul bordo del letto, accanto all’uomo che continuava ad avere lo sguardo perso nel vuoto. “- Non sarebbe la prima volta…” iniziò Galindo, improvvisamente, quasi facendola sobbalzare. “- Che significa?” chiese lei, sedendosi al comò con specchiera per struccarsi, dandogli le spalle. “- Significa che mi odia già da tempo. E me lo ha dimostrato.” Disse lui, cupo in viso, abbassando gli occhi sul pavimento. “- Come?” domandò ancora la donna, voltandosi di scatto e alzandosi, dirigendosi, ad ampie falcate verso la guardia del corpo. “- E’ una lunga storia, ti annoierebbe.” Tentò di inventare lui, serio. “- Oh, no! Voglio saperlo! Se odia te non posso andarci di mezzo anch’io! Sta accusando entrambi, me e te di avermi appoggiata! E’ così assurdo!” disse Angie, sedendosi accanto a lui, incrociando le gambe per mettersi comoda sul letto. “- E va bene.” Rispose Galindo, facendo un profondo respiro e cominciando a raccontarle tutto. Da lui commissario alle gelosie di Lisandro, fino alla faccenda di Tamara. “- Lui ha fatto tutto questo solo per invidia nei tuoi confronti? E dei pazzi lo hanno anche assecondato?” chiese la bionda, scossa dalla faccenda. “- Sì, più che pazzi degli opportunisti, tra cui Rodrigo Vargas… lo ha aiutato sperando in alcuni favori per la carriera del figlio che, per fortuna, accortosi di tutto, ha lasciato la scuola di polizia che all'epoca frequentava.” Spiegò l’uomo, con calma e malinconia negli occhi. “- Che tipo coraggioso, Leon. Si è messo contro suo padre pur di avere ciò che meritava solo con i suoi sforzi, i suoi meriti veri. Un bravo ragazzo, come pochi, di questi tempi.” Commentò la Saramego, decisa e con sguardo fiero. “- Già. Lo ha fatto anche per me in un certo senso e lo apprezzo moltissimo.” Aggiunse l’ex commissario, con un sorriso amaro. “- E tua sorella? Che fine ha fatto?” chiese la donna, incuriositasi dalla vicenda. Ecco a cosa si riferiva lui, quando, in quel litigio, le disse che aveva sofferto molto nel suo passato, ora capiva cosa intendesse. “- E’ rimasta a scontare la pena qui per alcuni mesi e poi si è voluta trasferire in Brasile. Ci sentiamo poco, ormai. Lei si sentiva colpevole per avermi rovinato la carriera ma io non l’ho mai accusata di nulla. Aveva sbagliato, certo…. Ma non è stata lei a rovinarmi. Lisandro, piuttosto… io non avevo fatto nulla per difenderla, aveva commesso un errore e sapevo che avrebbe dovuto pagare con qualche mese di reclusione… e non avrei mai modificato delle prove per scagionarla.” Spiegò l’uomo, serio, abbassando lnuovamente o sguardo. Si sentiva strano a raccontare quella vicenda alla Saramego… eppure lei stava in silenzio ad ascoltarlo, senza avere l’espressione di chi volesse giudicare in qualche modo, quella questione così delicata. “- Ti credo.” Sentenziò la donna, seria, prendendogli la mano e facendolo voltare di colpo verso di lei. Per un secondo si perse negli occhi verdi della donna e le sorrise dolcemente. “- Non ti sei difeso abbastanza. Scambierò io quattro chiacchiere con quel mezzo commissario!” disse la Saramego, stizzita, alzandosi in piedi. “- Non fare nulla che possa peggiorare la nostra situazione. Pensa, all'epoca mi aveva difeso Esmeralda Ferrara… ma non è servito comunque. L’avvocato Vargas, purtroppo, sa come confondere le idee, persino ai giudici.” Disse Pablo, fissando poi la mano della donna, che, risedendosi, la pose ancora sulla sua come per fargli forza durante quel racconto così triste. “- Ecco perché Roberto la detestava. La conosceva bene, era contro di lui in tua difesa, qualche tempo fa.” Concluse Angie, stendendosi di colpo sul letto, prendendo a fissare il soffitto con aria confusa. “- Esatto.” Sospirò il bodyguard, serio. “- Maledetto Lisandro! Giuro che io…” tentò di dire la bionda, sedendosi al centro del materasso. “- Tu, nulla. Già hai i tuoi di problemi! Non voglio che te ne faccia altri... poi tutta la vostra faccenda è così strana… prima Maria, poi gli sms, Matias, il riflettore e German… è inquietante. Non riesco a capire quale collegamento possa esserci tra tutti voi!  Ci deve essere un folle che vi odia… questo è chiaro! Ma perché?” si chiese l’uomo, stendendosi accanto a lei, le braccia incrociate dietro alla testa e sguardo pensieroso. “- Perché è folle?” disse la donna, sarcasticamente. “- Sì, a parte questo… ma se è un pazzo un motivo di fondo ci sarà comunque. Perché proprio la vostra famiglia?” chiese lui, con decisione, quasi rabbia nella voce. “- Non lo so. Se lo sapessi, probabilmente, avremmo già risolto la vicenda. I documenti per andare via non sono pronti e non lo saranno ancora per molto e io non intendo restare un secondo di più qui!” esclamò Angie, con aria fissa di fronte a sé. “- Hai paura?” chiese Galindo, osservandola con sguardo severo e, allo stesso tempo tenero, infilarsi sotto le coperte. “- Adesso sì. abbastanza. Ma più che aver paura ho una rabbia dentro verso questa persona che tu non… non immagini nemmeno!” disse lei, con uno sguardo glaciale da fare quasi paura. “- Lo immagino, invece. Ma non preoccuparti, per quanto riguarda la tua sicurezza puoi fidarti di me. Non ti lascerò mai da sola, d’accordo?” le chiese, scostandole una ciocca dietro all’orecchio e poi subito abbassando lo sguardo, quando i suoi occhi incrociarono quelli di lei.
“- D’accordo.” Sussurrò quasi la Saramego, per la prima volta, da molto tempo, arrossendo per quel gesto. Non pensava di essere ancora in grado di provare un brivido come quello… eppure eccolo lì, percorrerle rapido la schiena. Rimasero in silenzio, erano di nuovo l’uno accanto all’altra e non aggiunsero più nulla. Angie non riusciva a spiegarsi il perché ma dopo quel gesto si sentì avvampare e il fiato corto le faceva battere forte il cuore. Lui, invece, si vergognò di quel gesto, venutogli così spontaneo, e consapevole di aver provato una forte emozione, solo nello sfiorarle la guancia.
Un trillo del cellulare di Angie li fece sobbalzare e presero a fissarsi, già sospettando di chi potesse trattarsi. Si alzarono di colpo, verso il comò sul quale era appoggiato il cellulare della donna e rimasero immobili a fissarne il display, ancora illuminato con una bustina arancione che splendeva sullo schermo.
Lei lo afferrò di colpo e quasi non aveva il coraggio di leggere cosa vi fosse scritto. Lui le lanciò una rapida occhiata per studiarne l’espressione, sconvolta e spaventata. “- Leggi…” sussurrò, con decisione, l’uomo.
“PERDETE OGNI SPERANZA, OH VOI CHE MI CERCATE! SONO SEMPRE DUE PASSI AVANTI… TRA POCO TRE?” pronunciò la donna, buttando con rabbia il cellulare sul letto. “- DANNAZIONE!” urlò, furiosa, portandosi le mani al volto. “- Ci sta anche prendendo in giro!” disse Pablo, sgranando gli occhi, stupito da quel testo. “- Almeno non ha mandato minacce…” replicò Angie, andando a ristendersi. “- Lo credi sul serio? DUE passi avanti… intende Matias e German. E poi dice: forse TRE… si riferisce a qualcun altro. Colpirà ancora.” Disse Pablo, prendendo posto sulla sedia, con il suo solito libro tra le mani. “- Bene, a noi due. Prima o poi farà anche lui un passo falso… e ti giuro che quando scoprirò di chi si tratta, gliela farò pagare. Fosse anche l’ultima cosa che faccio!” Esclamò, con sguardo furioso, la donna, spegnendo il lume sul comodino, accanto a lei. “- A quello ci penserò io. E la farò pagare anche a chi ha gettato al vento false accuse contro di noi…” borbottò l’uomo, pensando a Lisandro. “- E se c’entrasse qualcosa proprio lui? Insomma… ti odia, di conseguenza odia me, no?” realizzò, riflettendo, la donna. “- Voi eravate già sotto minacce prima che tu venissi affidata a me. Quindi è impossibile.” Elaborò l’uomo, sfogliando con calma un’altra pagina del suo libro.
“- Giusto. Dimenticavo che qui il commissario sei tu!” esclamò lei, voltandosi sul fianco, in direzione del moro che ricambiò con un goffo sorriso. “- Buonanotte. Riposati che domani si torna a scuola.” Sussurrò lui, perdendosi a guardarla. La Saramego stava cambiando… non sapeva in che modo ma notò che non era più la folle e sregolata che aveva conosciuto qualche tempo prima… era diversa.
“- Buonanotte.” Rispose lei, sbadigliando e cadendo in un profondo sonno.
 
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Ohi ohi! Si svela un pezzo del passato dei nostri bodyguard! Leon odiava essere un raccomandato e ha litigato con suo padre che, collaborando con Lisandro, voleva rovinare Galindo, dopo che quest’ultimo, aveva dovuto affrontare il caso della sorella, Tamara. Le due ‘protette’ ora sono a conoscenza di una parte del vissuto dei loro agenti personali. Un messaggio, sempre inquietante, conclude il capitolo… il fuori 3! Chi sarà il prossimo? Aiuto! Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 12
*** Ammettilo! ***


Lo Studio On Beat era ancora chiuso quella mattina e i ragazzi erano nel cortiletto antistante l’entrata della scuola a parlottare fittamente tra loro su quanto accaduto alla loro amica Violetta, non ancora tornata dopo la scomparsa misteriosa di suo padre. “- Poverina! A distanza di circa un mese ha perso la mamma e il papà! Che tragedia!” esclamò Francesca, seduta sul muretto accanto a Federico con sguardo velato di tristezza e incredulità per l’accaduto. “- Già… e poi è tutto così strano! Nemmeno al telegiornale hanno spiegato bene la vicenda! Dicono che, probabilmente, si sia difeso contro un ladro, o qualcosa del genere…” disse l’italiano, pensieroso, passandosi nervosamente una mano nel ciuffo bruno. “- Il punto è che nemmeno la polizia si spiega come sia stato eliminato Castillo e perché, soprattutto! Stanno brancolando nel buio, si intuisce!” sussurrò quasi Lena, accomodandosi vicino a Napo che le fece subito spazio. “- E perché poi tutto questo riserbo sulla vicenda? E’ come se ci fosse altro sotto che non vogliono far sapere…” intuì il giovane Ferro, grattandosi il mento come per riflettere ancor meglio sulla questione. “- Sta arrivando Vilu, mi raccomando, tacete sulla faccenda! Dobbiamo distrarla, ok?” esclamò Camilla, facendo annuire tutti gli altri con decisione.
“- Buongiorno Vilu! Leon...” salutò Maxi, sempre freddo, come gli altri, nei confronti del bodyguard. “- Ciao, ragazzi!” sorrise cupamente lei, abbracciando subito Fran e Cami che le erano saltate al collo con entusiasmo stringendola forte. “- Come va?” buttò lì Nata, titubante ma restando sul vago per non farla rattristare subito. “- Meglio, grazie.” Sussurrò lei, rivolgendo un sorriso alla spagnola che abbassò subito lo sguardo, convinta forse che sarebbe stato meglio tacere. “- Per qualsiasi cosa noi ci siamo, non lo dimenticare!” esclamò DJ, staccando gli occhi dal suo tablet, che fissava da un po’ per tentare di scampare a quella brutta situazione. Non sapeva cosa dire di preciso ma, in fondo, quella frase era l’unica che valesse sul serio la pena di pronunciare. “- Grazie ragazzi, sul serio.” Esclamò la Castillo, mettendo la mano sulla spalla dell’ultimo arrivato che ricambiò con un sorriso rassicurante. “- Volevamo venirti a trovare ma arrivare da tua nonna senza auto è un po’ complicato… tranquilla però! Ci organizzeremo e verremo spesso.” Disse Francesca, riabbracciandola con affetto. Leon assisteva alla scena sapendo di essere considerato poco dagli altri. Ad un tratto, però, Andres gli si avvicinò, tirandoselo un po’ da parte: “- Mi dispiace per come ti stanno ignorando, dopo la serata karaoke… in effetti quello che sta facendo l’infantile è Thomas, non tu. Sappi che io comunque non ti giudico. Non giudico mai le persone, non lo trovo corretto... anche se molti lo fanno con me e so quanto possa dar fastidio sentirsi sotto esame!”. Leon rimase a fissarlo per qualche secondo, come pietrificato da quelle parole. “- Pensano che abbia portato via io Violetta ad Heredia, vero?” chiese il giovane agente, convinto della sua ipotesi che aveva teorizzato sin da quando il gruppo di amici aveva cominciato a guardarlo diversamente dal solito, dopo la sera della festa al locale di musica dal vivo. “- Sì, ma alcuni si stanno già ricredendo… hanno visto come Thomas si sia già presentato ad Halloween in compagnia di Emma. Se ci teneva sul serio a Vilu non la lasciava andare così facilmente.” Sentenziò Andres, serio, fissando dall’altra parte del giardino, la figlia del sindaco abbracciata allo spagnolo. “- Lo sta facendo solo per ingelosire la Castillo.” Sbuffò Leon, guardando male Heredia che nemmeno si accorse dell'occhiataccia, troppo preso a sussurrare paroline dolci alla Toledo. “- Sì, questo l’ho capito persino io! Lo so, il suo gioco è fin troppo chiaro… ma se si ama davvero, non si vuol mai vedere la propria metà soffrire. Mai.”. Quella mattina Andres stava sconvolgendo sin troppo Vargas. Lo aveva creduto uno sciocco, un idiota in balia degli altri… invece non era per niente così. Il moro era forse quello con più coraggio, il più astuto. Aveva avuto il fegato di staccarsi dagli amici per andare a parlare con lui, aveva capito il piano di Thomas contro Vilu e sembrava anche volergli essere amico. “- Hai ragione. Comunque grazie per…” tentò di dire Leon, serio e un po’ in imbarazzo, fuggendo allo sguardo del giovane che lo scrutava attento con i suoi occhi nerissimi. “- Di nulla! Amico!” sottolineò Andres, facendogli un goffo occhiolino e ritornando verso gli altri, seguito da Leon. “- Ciao Vilu!” persino Ludmilla, la più insopportabile e vanitosa della scuola, si stava avvicinando alla ragazza per salutarla dopo la drammatica vicenda che l’aveva riguardata. La Ferro era cambiata: prima amava dar fastidio a chiunque, ora, invece, da quando stava con Diego Dominguez, sembrava essersi un po’ calmata. “- Ludmilla! Salve!” disse, un po’ freddamente, la Castillo. “- Sai che ci sono per qualunque cosa ti occorra! Ad esempio: oggi vado a fare shopping! Se ti va possiamo andarci insieme!” sorrise, quasi ghignando, dando uno spintone a Nata che per poco non finì a terra… per fortuna Maxi la prese al volo e l’aiutò a sedersi, nervoso e diventando rosso di rabbia, come il cappellino che indossava.
“- Se vuoi ti ci porto io per negozi, anche se di solito non è tra i miei passatemi preferiti!” Inaspettatamente, Diego Dominguez si era materializzato alle spalle del gruppo, attirando l’attenzione con il suo solito sarcasmo. “- Cosa ci fai qui?” chiese, quasi istintivamente, Leon, fissandolo sorpreso. “- Sono venuto a salutare la mia principessa, qualche problema?” ghignò il moro, cingendo la vita di Ludmilla dalle spalle e schioccandole un bacio sul collo, facendola quasi arrossire cosa per niente usuale considerando il carattere della Ferro. “- No, sul serio… come mai sei venuto?” chiese questa volta all’orecchio dell’agente, il bodyguard. “- E va bene! Ok! Volevo anche parlare con te… hai un minuto?” chiese, staccandosi controvoglia da Ludmilla e tirandoselo per un braccio vicino ad un albero, lontano da occhi e orecchie indiscrete. “- Allora? che c’è? Vuoi baciarmi?” lo prese in giro Leon, facendo scoppiare a ridere l’altro. “- Al massimo ti tiro un pugno sul naso, a te la scelta Vargas!” ironizzò ancora Diego, fissandolo con decisione. “- Dai, parla! Allora?” disse la guardia del corpo, non perdendo mai d’occhio Violetta, ancora nel bel mezzo di una chiacchierata con gli amici. “- La scritta in rosso sulla parete di villa Castillo… tieniti forte: non era sangue! E nemmeno la macchia sul pavimento lo era. Dagli esami è risultato che si trattasse di vernice rossa. Quindi, a parte un capello, purtroppo non del folle ma di Castillo, non abbiamo altre novità.” Disse Diego, facendosi serissimo. “- Quindi non era sangue! E mio padre potrebbe essere ancora…” Violetta era comparsa alle loro spalle e li fissava con un luccichio negli occhi. Leon non voleva darle false speranze e abbassò lo sguardo su una radice sporgente della quercia a cui era appoggiato. “- Se non abbiamo il corpo si parla ancora di scomparsa, come per La Fontaine. Quindi, in teoria, sì. Potrebbe essere vivo.” Disse, come se nulla fosse, Diego, fissando gli occhi color nocciola della giovane illuminarsi a quelle parole. “- Sì ma non è detto che lo sia, giusto Diego?” si intromise Leon, che non voleva illudere la giovane. “- E chi l’ha detto che non è possibile? Tutto è possibile finche non lo ritroviamo! Come per La Fontaine!” esclamò il giovanissimo poliziotto, incrociando le braccia muscolose al petto, mentre Violetta lo fissava ancora felicemente stupita. “- Grazie Diego!” urlò, per poi voltarsi e correre alle lezioni, in accademia.
“- Sei idiota per caso?” tuonò Leon, afferrandogli il collo della camicia. “- Giù le mani, amico! Ricordati chi sono… vuoi farti sbattere dentro?” ridacchiò Dominguez, come se nulla fosse. “- Le hai appena dato una falsa speranza, un’illusione! Lo sai anche tu che al 99% sia Matias La Fontaine che German Castillo sono stati uccisi!” strillò Vargas, quando, ormai, il cortile si era svuotato. “- Non sottovalutare quell’ 1%, Vargas! Perché non lasciarle credere qualcosa di positivo? Hai visto com’era felice, no? Che problema hai?!” borbottò il moro, andando ad appoggiarsi con la schiena al tronco dell’albero. “- Perché se non fosse così soffrirebbe il triplo di quanto non lo abbia già fatto abbastanza! Lo capisci questo?” strillò il bodyguard, fissandolo quasi con aria di sfida. “- Sì, ma calmati, amico! Era giusto che lei sapesse come stanno le cose, tutte!” esclamò, con calma glaciale, Dominguez. “- Aspetta… ti piace! La ragazzina ti piace! Io lo sapevo! Lo sapevo che prima o poi avresti ceduto! Ammettilo!” cominciò a sghignazzare Diego, con il suo solito sarcasmo che non veniva mai meno nelle sue parole. “- Sta’ zitto! Anche tu stai con una mocciosa, tra l’altro!” ribatté Leon, abbassando lo sguardo per non dar a vedere il suo imbarazzo. “- Ludmilla ha due anni in più rispetto a Violetta! E poi non stiamo neppure insieme!” borbottò Diego,  finalmente colpito nel segno! “- Ah, non si direbbe dato alcuni baci appassionati che ho visto! Raccontala ad un altro, Dominguez!” rise Leon, dandogli uno spintone scherzoso, facendogli alzare le braccia in segno di resa… o, più probabilmente, di protesta! “- E va bene! Ma tu dì la verità sulla Castillina! Non me la conti giusta!” borbottò l’agente, con aria divertita. “- No, sul serio! Tra di noi non c’è niente! Ma non eri venuto a parlarmi del caso?” tentò di cambiare disperatamente discorso Leon. “- VARGAS! Sei ridicolo! Riesci a negare l’evidenza in maniera sublime, complimenti! Sono un poliziotto! Con me non hai scampo, colgo sempre tutto al volo!” rise Diego, facendogli assumere un' aria sconsolata e rassegnata. “- Senti ho lezione, ci si vede!” si divincolò il biondino, avviandosi verso l’ingresso della scuola. “- Leon!” urlò ancora Dominguez, facendolo voltare di colpo. “- Mi manchi. Mi mancano le nostre cavolate, le bevute, i tuoi metodi di rimorchio alquanto discutibili… insomma, mi manca passare del tempo con il mio migliore amico.” Esclamò, serio, il poliziotto. “- Se non avessi detto ‘amico’ avrei sospettato che ti fossi preso una cotta per me.” Ironizzò subito Leon, ripagando il ragazzo con la sua stessa moneta: il sarcasmo. “- Ma quanto sei idiota?! Io cerco di farti per la prima volta in vita mia un discorso serio e tu mi prendi in giro? Sei pessimo, Vargas!” disse Diego, scuotendo il capo e allargando le braccia con aria disperata ma, allo stesso tempo, comica. “- Meglio che me ne vada!” ridacchiò Leon, voltandosi di nuovo e lasciando Diego con un sorriso sornione e astuto stampato sul viso. Lui lo conosceva fin troppo bene. Sapeva già cosa provasse l’amico per la sua protetta… e il fatto che negasse lo divertiva ancora di più. Prese un grosso respiro e uscì dal cortile dello Studio On Beat per tornare dal commissario Lisandro che lo attendeva con ansia… e se non voleva partacce, come al solito, doveva sbrigarsi.
 
 
“- Bene, ho bisogno che i pezzi per lo spettacolo siano pronti già per lunedì prossimo. Dobbiamo… emh, dovete, voi dovete cominciare già ad impararli a memoria, d’accordo?” esclamò Angie, andando nervosamente avanti e indietro nell’aula di canto, mentre Pablo l’osservava da dietro alla tastiera come ipnotizzato dalla donna. “- Quanti pezzi dobbiamo preparare?” chiese Camilla, alzando la mano.
“- Dunque, voi cominciate a comporne uno ciascuno o in gruppo, basta che ognuno di voi collabori alla composizione del brano… e per le coreografie organizzatevi con Jackie e con il direttore, Gregorio. Se vi serve aiuto con la musica io, Pablo e Beto siamo a disposizione.” Sorrise Angie ai ragazzi che prendevano appunti sulle varie notizie date dall’insegnante. “- Dobbiamo riferirci ad un tema in particolare?” esclamò Maxi, pensieroso. “- No, la composizione è libera. E trovo che sia la scelta migliore, così ognuno potrà esprimersi come preferisce. Lo spettacolo sarà un insieme di canzoni, coreografie e brani con coreografie. Dovrà risultare originale e, per esserlo, bisogna che prima lo siate voi con i pezzi, quindi, a lavoro!” esclamò la professoressa, mentre i ragazzi fecero partire un applauso che inondò l’aula e che concluse la lezione.
“- Ho parlato con Leon… sulla parete di villa Castillo era solo vernice rossa.” Sentenziò Galindo, vedendo la bionda afferrare la bottiglietta d’acqua e bere di fretta. Le ore in classe le mettevano un’ansia assurda. Da quando Maria era scomparsa non riusciva nemmeno a sfiorare un tasto del pianoforte, o peggio, a cantare. Per fortuna c’era Pablo che, avendo intuito il perché di quell’atteggiamento, suonava al posto suo a lezione. “- Quindi non era sangue. E con ciò?” chiese lei, tappando nuovamente l’oggetto e posandolo sulla tastiera. “- E quindi German, come Matias, è sparito nel nulla. Ma niente ci vieta di sperare che siano vivi.” Concluse il moro, sorridendole e sperando di sollevarle almeno un po' il morale. “- Almeno per quanto riguarda German sappiamo da dove sia scomparso. Di La Fontaine non sappiamo molto, a parte che è uscito dalla discoteca e da lì, di lui si sono perse le tracce.” Sentenziò la donna, serissima, afferrando degli spartiti dal leggio della tastiera. “- Beh, mi pare di capire che, dalle indagini, nemmeno da villa Castillo sia emerso nulla di più. Diego ha parlato con Vargas e non sembrano esserci novità, a parte la questione della vernice rossa.” Concluse lui, raccogliendo dei registri dalla scrivania e alzandosi per andare in corridoio. “- Già. Ma questo matto è fin troppo intelligente per noi e la cosa mi innervosisce! Nessuno che riesca a fermarlo! Com’è possibile?!” disse Angie, seguendo Galindo e sbattendo con forza la porta dell’aula, provocando un suono potente che rimbombò per tutto lo Studio. “- Calmati! Essere tesi di certo non gioverà a nessuno.” Borbottò Pablo, fermandosi al distributore. “- Tieni!” esclamò poi, dandole un bicchiere di succo d’arancia. “- Cosa dovrei farci? Sono troppo incavolata per questa!” urlò lei, sarcasticamente. “- Berla ad esempio?!” rise lui, divertito e con tono ovvio, fissando l’aria sconvolta della donna. “- Non tentare di tranquillizzarmi! La cosa mi da un fastidio immane!” Sussurrò lei, con aria di sfida. “- Uh, sei carina quando ti innervosisci e io che volevo calmarti con l'aranciata! Se resti stizzita la bevo io!” esclamò lui, divertito, strappandole il bicchiere dalle mani e cominciando a bere con decisione. “- Smettila! Mi stai facendo infuriare ancora di più!” urlò lei, bloccandogli il passaggio con un braccio teso lungo il muro che lui aggirò senza difficoltà. “- Sono il tuo protettore e tu pensi di bloccarmi così? E no, bellezza!” la prese in giro Galindo, facendola diventare ancor più rossa di rabbia. In qualche modo, la donna riuscì però ad afferrarlo e a bloccarlo alla parete, con aria seria. “- Vedi che so difendermi anche da sola?” sussurrò, a bassa voce, fissandolo intensamente con i suoi grandi occhi verdi, facendolo ghignare divertito. “- Non lo mettevo in dubbio ma vedi… io il mio lavoro…” iniziò  con calma il moro, aggirando anche quella presa e allontanandosi da lei come se nulla fosse. “- :.. dicevo, il mio lavoro, lo so fare fin troppo bene, signorina.” Sibilò l’uomo, alzando il bicchiere in segno di saluto. “- Aspetta!” urlò lei, seguendolo di fretta con difficoltà a causa dei tacchi vertiginosi che indossava. “- Cosa?” chiese lui, con la sua solita calma, ma avendo già capito tutto, come al solito. “- Non puoi lasciarmi qui!” si lamentò la Saramego, raggiungendolo velocemente, sino ad arrivare da lui con il fiato corto. “- Ah, sbaglio o tu hai appena detto di saperti difenderti da sola?!” rise ancora l’uomo, sollevandole il viso con un dito per innervosirla ancora di più. “- Che c’è, adesso? Vuoi baciarmi?!” sorrise lei, fissandolo con decisione. Lui la guardò con aria astuta, distogliendo lo sguardo da quello della donna che lo faceva sempre rabbrividire. “- Per carità! Non sarei mai così folle da compiere un gesto simile! La pazzia lasciamola al nostro amico stalker!” ironizzò Galindo, avviandosi a passo deciso nel corridoio. “- Come se ti dispiacesse farlo!” borbottò la donna, mentre un gruppo di allievi li sorpasso, facendoli azzittire. “- Oh, credimi. Mi dispiacerebbe davvero tanto.” Ribatté lui, tornando in dietro e andandole in contro. “- Ma smettila!” esclamò la bionda, andando verso la sala professori. “- Levami una curiosità: perché non vuoi suonare? Sei fin troppo nervosa in classe, sempre quando ci resti e non tenti di aggirare la lezione…” chiese il moro, fermandosi fuori dalla porta blu notte della stanza. “- Non sono affari tuoi!” replicò acidamente Angie con aria glaciale e seria. “- Pensavo stessi cambiando, invece sei la solita scorbutica di sempre.” La provocò l’uomo, sapendo che lei gli avrebbe risposto senza mezzi termini. “- Scorbutica io? Se tu avessi passato un decimo di quello che ho subito io e che sto continuando a subire, probabilmente, ti avrebbero già rinchiuso in una clinica psichiatrica!” strepitò lei, ricordandosi poi della vicenda di Tamara che l’uomo le aveva raccontato. “- Scusa…” aggiunse, infatti, abbassando gli occhi con aria dispiaciuta. “- Ti perdono se vieni di la a suonare con me.” Sentenziò lui, pacato come al solito. “- Mi prendi in giro? Non ho ricominciato a suonare per me e per le lezioni! Perché mai dovrei iniziare di nuovo per te?” chiese la donna, stizzita. “- Perché penso seriamente che tu abbia perso allenamento. Sia con il piano che con il canto… anzi, non è che lo pensi solamente, ne sono certo.” adorava provocarla, lo divertiva troppo. E sapeva che, in quel modo, le avrebbe fatto ritornare la voglia di musica.
“- Non attacca con me, Galindo!” esclamò lei, ancor più astutamente. “- Ah no?” uscendo di nuovo dalla sala professori e dirigendosi verso la sala teatro, in cui vi era un enorme pianoforte a coda nero. Entrò e si sedette allo strumento, fissandola di tanto in tanto, cominciando a suonare una dolce melodia. Sbagliò volutamente e ripetutamente alcuni accordi facendole alzare gli occhi al cielo.
“- Incapace! Spero che tu sia meglio come guardia del corpo che come musicista. Levati da lì!” esclamò, facendo sì che lui si spostasse e le facesse spazio sulla panchetta del piano. Cominciò a suonare ad orecchio la stessa parte suonata qualche minuto prima dalla guardia del corpo e lui la fissava, come incantato. Osservava le sue dita sfiorare i tasti con delicatezza ma, allo stesso tempo, decisione. Aveva gli occhi bassi sulla tastiera del piano e ondeggiava lentamente il capo, facendo ondeggiare i suoi boccoli biondi a ritmo di quello splendido e perfetto suono. Ad un tratto, si rese conto che conosceva quel brano… quasi meccanicamente iniziò a canticchiarlo, prima a bassa voce, poi con più energia. Lui accordò un po’ con la voce ritrovandosi a cantare insieme a lei che neanche si rese conto di quello che stava facendo. Aveva funzionato! Ci era riuscito! Angie aveva recuperato la musica, aveva ripreso una parte importante della sua vita, della sua anima. Il brano finì e lei sollevò le mani tremanti dai tasti e restò con lo sguardo basso su di essi, senza proferire parola. “- Ci sei riuscita.” Le sussurrò l’uomo all’orecchio, facendo rendere finalmente conto alla Saramego di quello che aveva appena fatto. “- E’ impossibile.” Rispose lei, con un filo di voce. “- No, lo hai appena dimostrato.” Sorrise lui, inclinando il capo per scrutare la sua espressione, imperturbabile. “- Mi hai incastrato!” esclamò lei, però con aria divertita. “- Già. Sapevo che ci saresti riuscita!” Disse l’uomo, circondandole le spalle con un abbraccio a cui lei, per la prima volta, non si spostò. “- Pablo…” tentò di dire, stupita di quella sua piccola ma tanto importante conquista. “- Sì?” Chiese lui, stringendola ancora. “- Grazie.” Balbettò la donna, fissandolo con i suoi grandi occhi, tanto magnetici per lui. “- E di cosa?” rispose lui, gentilmente. “- Erano mesi che non toccavo più uno strumento musicale, che non riuscivo a cantare. Era come se una parte di me, quella della musica, fosse andata via con Maria. Quando mi avvicinavo ad una tastiera provavo un senso di vuoto, di disperazione. E quando tentavo di iniziare a cantare… no, in realtà non ci provavo neppure. La voce non riusciva a venir fuori dalla mia bocca, mi si bloccava come un groppo alla gola. Era più forte di me. Sono stata troppo male. Avevo perso lei e la musica.” Una lacrima solcò la guancia pallida della donna che l’asciugò rapidamente con la mano per cercare di non farla cogliere all’uomo. Lui la tenne ancora stretta a sé, con affetto. “- Va tutto bene, Angie.” Le sussurrò il moro, accarezzandole i capelli con dolcezza. “- No! Non va niente bene! Niente! Mia sorella è stata uccisa, il mio ex è stato eliminato, mio cognato è sparito dalla circolazione, mia nipote ha rischiato la vita e probabilmente, non solo potrei essere la prossima, ma Lisandro continuerà comunque a credere che io c’entri con tutta questa assurda vicenda, anche se dovessi scomparire nel nulla anch’io! Non ce la faccio più! Io non posso!” si sfogò la donna, ricominciando a piangere, affondando la testa sulla spalla dell’uomo. “- No. Hai superato questa che, per quanto sembrasse una sciocchezza, non lo era affatto. Supererai anche tutto il resto. D’accordo?” chiese teneramente lui, schioccandole un bacio sulla fronte. “- Ho superato questa grazie a te! Da sola non sono in grado di superare un bel niente!” singhiozzò lei, finalmente mostrandosi fragile, come era sempre stata, come Pablo aveva capito che lo fosse sempre stata. “- Chi ha detto che dovrai affrontare tutto da sola?” disse con calma il moro, facendole sollevare gli occhi rossi e gonfi. Non disse nulla ma gli sorrise. Un sorriso che valeva più di mille parole. Si alzò dal pianoforte e, insieme, uscirono dalla sala.
 
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No, ok… io sto delirando per l’ultimo pezzo… *-* ma andiamo con ordine: Diego porta buone nuove, la scritta era stata fatta con vernice e quindi di sangue non ci sono tracce… che entrambi, sia Matias che German, siano ancora vivi? E dove saranno finiti? Dominguez tenta di far confessare Vargas sul sentimento che prova per Violetta ma lui nega… ancora per poco, credetemi! *-* Poi la scena di Pablo e Angie non la commento o sul serio svengo!!! *-* Bene, alla prossima! Questa era solo la quiete prima delle prossime tempeste! Ciao! ;) 

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Capitolo 13
*** Liti e tensioni. ***


“- Tesoro, per favore! Ti dico che sono dovuto scappare per lavoro l’altro giorno! Ti prego, ascoltami!” Diego continuava a rincorrere la Ferro per tutto il locale, illuminato da soffusi neon che brillavano nell'atmosfera soffusa della sala. Leon era seduto al bancone, accanto a Violetta, e ridacchiava nel vedere come l’amico seguisse la bionda con aria da cane bastonato per farsi perdonare ed evitare le ire della biondina. Di solito si faceva valere, soprattutto con le ragazze, ma Ludmilla era Ludmilla e non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, men che meno da uno che, solitamente appariva forte come lui. “- Lasciami il braccio, Diego o ti tiro un pugno! E sai che non scherzo!” urlò la ragazza, quando finalmente Dominguez riuscì a prenderla, facendola voltare, strattonandola delicatamente per il polso.
“- No. Smettiamola di dare spettacolo e ascoltami: tu devi capire che il mio lavoro non è un semplice impiego come tanti. Ho degli orari da rispettare e partacce dai miei superiori non voglio prenderne, chiaro?” sentenziò il moro, facendo sì che la ragazza non proferisse parola ma che continuasse a guardarlo con aria di sfida. “- E cosa faresti di così importante? Sentiamo!” esclamò decisa, fissandolo con sguardo glaciale e attendendo con ansia una risposta plausibile per quella mancanza nei suoi confronti. “- Io… non posso dirtelo!” disse, stizzito, il ragazzo, lasciandola lì da sola e tornando al suo sgabello, accanto a Leon. “- Già, figurati! Cosa saresti? Un agente segreto? 00 Diego, figuriamoci!” borbottò la Ferro decisa scuotendo i suoi lunghi boccoli dorati e avvicinandosi al bancone. “- Più o meno… ma in realtà è solo un semplicissimo agente di polizia.” Risolse la faccenda Vargas, stanco di quei battibecchi e indicando l’amico che si indispettì alquanto. “- Sta’ zitto!” urlò Diego, furioso. “- Perché volevi nasconderlo?” esclamò, euforica, la giovane. “- Già… chissà perché!” borbottò lui, fissando Vargas che alzò le sopracciglia e allargò le braccia, annuendo divertito. Dominguez voleva tacere sulla faccenda per non far sospettare nulla su Leon, sul fatto che fosse un bodyguard e che stesse proteggendo Violetta ma per la guardia del corpo, il fatto che la Ferro sapesse il suo mestiere era solo un modo per  mettere freno a quella litigata e, infatti, così fu.
“- Buonasera!” Maxi e Nata arrivarono nei pressi del bancone del bar e salutarono i ragazzi, tutti intenti a bere un cocktail rosso, analcolico. “- Ponte! Ce l’hai ancora con me per la questione di Heredia?” Leon subito, senza mezzi termini, buttò lì, cercando subito gli occhi castani del rapper che fuggivano dai verdi e indagatori del giovane interlocutore. “- Io non ce l’ho con te!” esclamò lui, serio. “- …E’ solo che non mi piaceva il fatto che avessi ‘rubato’ Violetta a Thomas in quel modo, la sera del karaoke! Poi ognuno fa quello che gli pare. Era una mia opinione, tutto qui.” Concluse Maxi, camminando lontano dal gruppo, affiancato da Leon che teneva le braccia incrociate al petto e ascoltava con curiosità e attenzione. “- E a te sembra bello come si è comportato lo spagnolo ad Halloween? Non ha rivolto la parola a voi che non c’entrate nulla, si è presentato alla festa con Emma ignorando tutti e facendo soffrire Violetta, per farla ingelosire. No, dico… io sarei stato quello che si è comportato male? Riflettici!” spiegò Vargas, con calma, continuando a tener d’occhio Violetta, sedutasi con gli altri, adesso sui divanetti del locale. “- No, ha sbagliato, hai ragione. E mi dispiace averti giudicato male… però pure tu, cavolo! La porti via in quel modo dal karaoke! Ma stavate già insieme e lei era andata alla festa con Heredia o…” ma Leon lo interruppe di colpo, con un cenno stizzito della mano: “- …O nulla, Maxi! Noi non stavamo, stiamo né staremo insieme, chiaro?” sentenziò, fissando il rapper che annuì, senza aggiungere nulla. “- Non sono affari miei. Scusami e torniamo di là, va bene? Non mi piace tutta questa tensione… io sono un tipo pacifico... che ne dici: amici?” disse Maxi, allungandogli la mano, in gesto di riappacificazione. Leon dapprima scosse il capo con aria rassegnata, poi, però, gliela strinse, con un mezzo sorrisetto. “- Andiamo…” esclamò, andando verso la direzione opposta, in cui si trovava il resto del gruppo. Mentre erano tutti presi a chiacchierare, Leon sembrava essersi riappacificato con tutti e Diego e Ludmilla erano incollati come mai prima, qualcuno salì sul palco. “- Oh no! Ora ci ammazzerà le orecchie questa lagna!” sbottò la Ferro, facendo ghignare Diego che, mentre lei continuava a fissare il palco, le voltò delicatamente il viso con un gesto rapido della mano e le diede un bacio appassionato. Adorava la biondina! Si assomigliavano molto caratterialmente: ironici, decisi, forti… insomma, la reputava perfetta per lui.
Intanto, quello pronto ad esibirsi, era Thomas che  con Emma e, proprio di fronte a Violetta e agli altri amici, cominciò ad intonare le prime note di “Entre Tu y Yo”, sconvolgendo tutti. “- Io non ce l’ho con Emma, per carità, lei non c’entra nulla… ma dannazione! Heredia è un idiota se pensa ti farti ingelosire così!” si lamentò Francesca all’orecchio della Castillo che lo fissava con aria disgustata. “- E’ così infantile! A che gioco sta giocando adesso? ‘Fissami che ti fisso?’ Per la prima volta in vita mia sono d’accordo con Ludmilla! E’ patetico!” esclamò Camilla, facendo annuire anche Lena e Nata mentre la Ferro era troppo presa dalle attenzioni di Dominguez per ascoltare quei discorsi. “- E meno male che mi avevi detto che non stavate insieme!” sussurrò Vargas sottovoce, facendo ghignare Diego che si stava spostando in un altro angolo del locale, mano nella mano con la sua dolce metà. Heredia continuava a cantare ma, invece di guardare la sua partner nel duetto, fissava intensamente Violetta, facendo anche un po’ innervosire Emma che si sentì quasi un terzo incomodo su quel palco. La ragazza giù dal palco, però, lo ignorava e, invece di guardarlo, si voltò completamente verso Leon, volendo provare il suo stesso gioco, ovvero farlo diventare ancor di più verde d'invidia. Vargas invece, che aveva intuito tutto, le sorrise per poi sussurrarle all’orecchio: “- Io non sono lui. non mi userai per i tuoi scopi… chiaro, bambina?”. Violetta subito si rivoltò verso Thomas ma tenendo lo sguardo basso, sugli scalini del palco. Un tenue applauso si levò e Heredia scese soddisfatto dal palco, con la figlia del sindaco che lo precedette, stizzita da quella situazione. “- Posso parlarti un momento?” Leon si parò di fronte al moro che lo fissava con aria di sfida. “- Prego, sono tutt’orecchie!” esclamò, fissando gli occhi verdi del rivale. “- Forse tu non sai quanto abbia già sofferto Violetta… ti sei impuntato su una sciocchezza, come quella dell’altra volta, convinto che tra me e lei ci sia qualcosa… beh, non è così. In ogni caso ti stai comportando da verme… anche nei confronti di Emma. Vergognati!” esclamò, prendendolo per il bavero della giacca, il bodyguard. “- Lascia perdere Emma! Non ti immischiare, fatti gli affari tuoi! Non ti è bastato portarmi via Violetta? Che c’è? Ti interessa anche lei? Beh, arrangiati!” urlò il ragazzo spagnolo, furioso, divincolandosi in malo modo dalla presa del messicano. “- Che vuoi ancora da lei? Non ti vuole! Non ti ha mai voluto, arrenditi!” gli urlò Leon, rosso di rabbia, strillandogli in faccia quella frase che avrebbe voluto dirgli già da un bel po'. “- Capirai, tanto prima o poi la tua Vilu lascerà anche te per qualcun altro!” ribatté Heredia, serio e prendendo a sua volta Vargas per il giubbotto e fissando la Castillo che era corsa verso di loro. “- O forse mi sbaglio? Sei fatta così, vero? Arriva il ragazzo nuovo e subito ti dimentichi del vecchio!” strillò Thomas, facendo sì che la ragazza lo fissasse con gli occhi lucidi. “- Oh! Basta! Smettetela!” urlò Andes, correndo con Maxi nella direzione dei due che continuavano ad afferrarsi con l’intenzione di suonarsele di santa ragione. “- Basta, ragazzi! Leon per favore, lascia perdere!” urlò la Castillo, tirandosi Vargas per un braccio verso di sé ma lui sembrò ignorarla e, mentre Emma era corsa per trattenere Thomas, Leon riuscì ad assestare un forte pugno sul naso dello spagnolo, sbalzandolo al suolo. “- Ma sei pazzo? Smettila!” lo trattenne Violetta, quasi piangendo per la paura, mentre il bodyguard stava per accanirsi ancora su Heredia. Andres lo tirò con forza e Diego corse verso di loro, accortosi solo dopo qualche minuto della lite che impazzava a pochi metri da lui. “- Se non la smettete vi porto tutti in commissariato! Preferite fare così?” urlò ai due, facendo sì che il suo amico fidato lo guardasse male. Thomas si rimise in piedi con l’aiuto di Napo e Emma e si tamponò con la mano il naso, sanguinante. “- Me la pagherai, Vargas! Ti giuro che non la passi liscia!” esclamò il moro, allontanandosi, trascinato da Napo ed Emma verso la direzione del bancone. “- E tu ti meriteresti una denuncia per come ti difendi male!” ironizzò Vargas, mentre Diego gli si parò di fronte, con aria severa.
“- Ma sei impazzito? Se ti denuncia sul serio la tua carriera inizierà ad andare a rotoli!” gli ricordò l’amico, serio, sussurrandogli quella frase all’orecchio in modo che non si potesse sentire. “- Nessuno mi parla in quel modo! E tantomeno si rivolge a Violetta in quella maniera. Se l’è cercata. Hai sentito che le ha detto? Come si permette di urlarle contro in quel modo?” strillò, ancora furioso, Leon, andando nervosamente avanti e indietro tra i tavolini. “- Calmati. Hai ragione, l’avrei fatto anch’io, ma devi ricordarti il tuo ruolo. Ok, Vargas? Niente cavolate!” gli disse, sottovoce, l’amico, fissandolo con aria responsabile. “- Sembra di sentir parlare mio padre!” Sentenziò, con aria disgustata, Leon. “- No! Ti prego! Non quello lì! Ti ho appena detto che hai ragione ma cerca di calmarti… vai da lei. Ha bisogno di te.” esclamò Diego, indicando la giovane, seduta su un divanetto, insieme a Fran, Nata e Camilla che tentavano di calmarla. “- Diè… grazie.” Disse Leon, voltandosi verso Dominguez che, placata la rissa, ritornò subito da Ludmilla. “- Come stai?” chiese Vargas, in piedi di fronte alla ragazza che alzò lo sguardo, senza dire nulla. “- Non dovevi colpirlo, non ne valeva la pena.” Sentenziò dopo qualche secondo, facendogli spazio tra lei e Camilla. “- Noi andiamo di là, a dopo!” urlò Francesca, tirandosi via da lì le amiche che continuavano a fissare i due con un mezzo sorriso. “Sì che ne valeva la pena! Non si deve azzardare a rivolgersi a te in quella maniera!” disse serio Leon, sedendosi accanto a lei. “- Tu non devi difendermi sempre, su tutto.” Sorrise finalmente lei, alzando lo sguardo e perdendosi negli occhi del giovane. Ogni volta che incrociava quello sguardo, inspiegabilmente, un brivido le percorreva la schiena, rapido ed emozionante. “- Io devo proteggerti… in ogni caso.” Disse lui, dolcemente, accarezzandole il viso per asciugarle una lacrima che le stava solcando una guancia e tamponarla con il suo pollice. Vargas si rese conto di quello che aveva fatto e subito portò la sua mano di nuovo sul divanetto, come se nulla fosse. Non si riusciva a spiegare perché il cuore gli battesse così forte, per quella ragazzina. Insomma, lei non era come tutte quelle con cui era stato… lei, se pur più piccola di qualche anno era così matura, decisa… insomma, diversa. Ci fu un momento di silenzio imbarazzante, fino a quando, notando quell’istante, Francesca corse verso di loro, seguita da Camilla e Nata. “- Tocca a voi!” sorrise, con aria furba, la mora. “- Cosa?” chiesero in coro, ancora rossi in viso per quello che era accaduto qualche secondo prima. “- Cantare! Sul palco, forza!” esordì Lena, indicandogli i due microfoni già posizionati sulle aste. “- Pensavo che mi odiaste, un po’ tutti…” borbottò Leon, serio. “- Pensavi male! Dopo aver visto come l’hai difesa stasera siamo certi di quello che sei, in realtà. Ora salite lì su, forza!” urlò Camilla, sorridendo e tirando i due per un braccio, dal divanetto. “- Ci avete inserito nella lista del karaoke? E che dovremmo cantare?!” chiese la giovane, sconvolta. “- Il brano che prima ha letteralmente ammazzato Thomas con Emma… lo conoscete?” sorrise Lena, divertita. “- Sì…” balbettarono i due, all’unisono. “- E allora forza, che dopo… TOCCA A DIEGO E A LUDMI!” urlò Fran, sperando che i due sentissero. “- COSA? Non ci penso nemmeno!” si lamentò subito Domiguez, ritornando a sussurrare qualcosa all’orecchio della sua fidanzata. “- Sarete bravissimi!” sorrise dolcemente Nata, spingendo il bodyguard e la Castillo verso la scaletta del palco. Quella sera non c’erano gare, né un conduttore. Le prime note del brano iniziarono e Leon, in vistoso imbarazzo, ma certo del suo talento, cominciò con le prime strofe. Non staccò un secondo gli occhi da lei che, invece, inizialmente teneva lo sguardo basso sulle assi del palco, leggermente imbarazzata. Vargas, quasi pavoneggiandosi della sua splendida voce le cominciò a girare intorno, soddisfatto, fino alla parte in cui le loro voci si unirono, dolcemente, in un unico suono. Violetta alzò finalmente lo sguardo e il solito brivido la rapì quando si ritrovò a fissare gli occhi profondi di lui. Si rese conto che era come una magia, non c’era più nessun problema, non c’era nessuno che attentava alla sua vita, non c’era una marea di gente sotto al palco che li fissava: c’erano solo loro due e la musica. Non si resero neppure conto che il brano era finito, restarono immobili a fissarsi, ancora con i microfoni a mezz’aria. Un applauso scrosciante li riportò finalmente alla realtà e scesero, sorridenti, per la scaletta. “- Siete stati grandiosi!” urlarono un po’ tutti, festeggiando i due amici. “- Tocca alle due star, fatevi da parte!” urlò Ludmilla ancheggiando, trascinandosi Diego verso il palco, il quale avrebbe volentieri preferito restare a sbaciucchiarsi con la ragazza su quel divanetto in disparte.
“- Non sarei alla tua altezza, tesoro!” tentò di giustificarsi il moro, facendo scoppiare a ridere Leon che cominciò a prenderlo in giro con gesti eloquenti. “- Sul serio… ti rovinerei l’esibizione e non vorrei mai!” esclamò, ignorando il fatto che la base di “Yo Soy Asì” fosse già partita. “- E questa dove l’hai presa?!” chiese sconvolto Dominguez, fissando Leon alzare la mano, sotto le scalette, tra il pubblico. “- Vargas, me la paghi!” urlò, un secondo prima che dovesse iniziare a cantare. Aveva scritto quel brano settimane prima, con l’aiuto di Leon che, ormai, prendendo lezioni di musica, era diventato un asso delle note. La cantarono bene, nonostante la Ferro ignorasse quel brano e fosse la prima volta che lo ascoltasse in vita sua, infatti, si limitò a cantare con Diego solo il secondo ritornello, sorridendo maliziosamente al ragazzo che prese a fissarla con sguardo seducente.  “- Ma che bravi! E meno male che avevi paura di offuscarla, Domiguez!” urlò  la Torres, applaudendo e urlando come una forsennata. “- A - andiamo a cantare anche noi?” provò a dire timidamente DJ, timido come sempre. “- Ovvio, vieni!” sorrise dolcemente la ragazza, tirandoselo sul palco. “- Federico! Vieni subito qui! Dopo Cami e DJ, preparati! Altrimenti Andres e Andrea ci fregheranno il posto! O lo faranno Napo e Lena!” urlò Francesca, facendo sì che il ragazzo si avvicinasse, con aria allegra come sempre. “- Ti credo!” sorrise, con aria furba, lui. “- Lo so! Lo faranno! Te lo ho appena detto io! Meno male, almeno mi credi!” esclamò la mora, mentre un cameriere li sorpassò barcollando, spingendo l’uno tra le braccia dell’altro. “- Ti credo… il brano, Fran. Cantiamo in Italiano, no?” aggiunse Federico, ad un centimetro da lei, sbalzato tra le sue braccia dal barista che per poco non lo fece ruzzolare al suolo. “- S-sì. Come vuoi…” balbettò la giovane, abbassando lo sguardo, ormai rossissima, mentre lui si allontanò di colpo da lei, violaceo per l'imbarazzo. Si divertirono moltissimo tutti, fu una serata, nonostante la rissa tra Heredia e Vargas, alquanto tranquilla e stranamente spensierata.
 
 
“- E’ stata una notte tranquilla, non ti sembra?” Il giorno dopo, allo Studio On Beat, Angie e Pablo camminavano verso la sala professori con aria serena. “- Sì, me ne sono accorto ed è fin troppo strano.” Sentenziò subito l’uomo, lasciandola sorpresa. “- Tu dici?” esclamò, ferma davanti al distributore, offrendogli un caffè forte. “- Che schifo!” borbottò lui disgustato, sorseggiando ancora un po’ della bevanda. “- Ammettilo! Dopo aver assaggiato questo, stai rivalutando il mio!” rise la bionda, quel giorno forse meno acida del solito. La tensione che era calata la rendeva più calma e simpatica e Galindo, intuitivo com’era, lo percepì al volo. “- Sei diversa stamattina!” sorrise il moro, aprendole la porta della sala professori, per farla entrare, da vero gentiluomo.  “- Diversa? Io? Figurati!” rise lei, tornando un po’ scorbutica. “- Sì, in realtà ho notato che lo sei da quando hai ripreso la tua vita musicale… e sono molto felice per te.” Sorrise lui, con aria astuta, consapevole del fatto che, in quel caso, la sua influenza fosse stata fondamentale per lei. “- Forse sto cominciando a respirare un po’ di serenità anch’io. Ed incredibilmente lo devo tutto alla musica!” esclamò la bionda, cercando dei registri da una mensola. “- E a me, ovviamente!” sussurrò lui, pavoneggiandosi e raggiungendola mentre era di spalle. “- Hai ragione. Te lo devo.  Ma ti ho ringraziato già… che vuoi ancora?” ridacchiò lei, lasciandolo un po’ deluso. La sua parte antipatica ancora veniva fuori, di tanto in tanto… proprio quando pensava che fosse tornata la persona splendida che doveva essere stata in passato, si rendeva conto di dover ancora lavorare tanto prima di riportarla ad essere la donna di sempre. Ad un tratto, la porta si spalancò e vi entrarono Antonio, Jackie, Beto e Gregorio. “- Salve a tutti!” salutarono più o meno tutti i nuovi arrivati, in coro.
“- Interrompiamo qualcosa?” chiese subito la Saenz, con aria scostante ed irritata. “- No, tranquilla. Niente di niente!” esclamò la Saramego, scuotendo il capo con forza e guardandola  male. “- Scusate, avete visto i miei cornetti? Li avevo lasciati qui, l’altro ieri e…” iniziò Beto, interrompendo le occhiatacce che si lanciavano le due. “- L’altro ieri? E ora vuoi mangiarli? E’ disgustoso, Benvenuto!” urlò Gregorio, facendo scoppiare a ridere Pablo. “- Beh, a malincuore devo dar ragione a Casal. Tieni, ti offro con piacere il mio caffè, ho preso un solo sorso se non ti dispiace… io comunque non lo finisco…” sorrise Galindo, passandogli il bicchiere con gentilezza. “- Oh, molto gentile, grazie! Gregorio, prendi esempio!” esclamò il riccio, bevendo in un solo sorso la bibita. “- Come proseguono i preparativi, professori? Allo show manca ancora un bel po’ ma bisogna cominciare a provare, affinché tutto sia perfetto!” sorrise il preside, facendo annuire tutti gli insegnanti. “- Con me è sempre tutto perfetto! A patto che nessuno tenti di ostacolarmi!” urlò Gregorio, fissando Jackie che scosse il capo con aria stizzita, ruotando gli occhi al cielo con rassegnazione. “- Se ti riferisci a me puoi stare tranquillo! Qui se c’è qualcuno che mette i bastoni tra le ruote quello sei tu, Casal!” urlò la nipote di Fernandez, con aria nervosa, avvicinandosi all’altro coreografo con aria di sfida. “- Calmatevi! Basta!” urlò Beto, con una brioche tra le mani. “- Le ho trovate!” ridacchiò, alzando la busta di carta con fare trionfale. Un timido bussare li azzittì di colpo.
“- Avanti!” urlò Antonio, curioso da quell’inaspettata visita. Angelica fece il suo ingresso nella sala, con aria fiera, andando subito in contro al preside. “- Buongiorno a tutti! Antonio! Che piacere rivederti!” sorrise la donna, abbracciando l’anziano uomo con entusiasmo. “- Angelica! E sempre una gioia vederti! Come mai qui?” esclamò, con aria confusa ma felice dell’incontro. “- Sono venuta per parlare un minuto con Angie…” rispose la donna, avvicinandosi alla figlia, ancora con aria stupita e scioccata del fatto che la madre si fosse presentata allo Studio, “- E’ successo qualcosa, mamma?” chiese subito la bionda, andando in contro alla donna con aria perplessa. “- No, tesoro, no! Volevo vedere se tu stessi bene! Non sei più passata a salutarmi, ero un po’ in ansia.” Sentenziò Angelica, accarezzandole dolcemente il viso e portandole una ciocca bionda dietro l'orecchio. Gli altri docenti, tranne Pablo, intanto, erano ritornati intenti a fare ciò che stavano facendo: Gregorio e la Saenz battibeccavano, Antonio tentava di calmarli e Beto si ingozzava di cibo e caffè, scribacchiando con aria distratta come al solito e creando scompiglio con i suoi alimenti e i suoi fogli.
“- Sto bene, calmati! Tu, piuttosto… sei sicura che non devi dirmi nulla, a parte questo?” chiese la figlia, mentre la madre la fissava, come ancora incantata dalla sua bambina. “- Sì, sicurissima. Te lo giuro!” disse, con aria seria, la donna. “- Meglio così!” sorrise Pablo, riferendosi a eventuali pericoli che avrebbe potuto correre la signora ma restando sul vago. “- Galindo! Lo dici anche tu a Gregorio che non è il coreografo dell’Opera di Parigi e che deve smetterla di insultare il mio lavoro?! Per favore, aiutami a calmarlo!” urlò Jackie, cercando appoggio. “- Sì, Casal! Sei sul serio irritante! Smettila un po’!” gridò il moro, facendo sì che il ballerino lo fissasse in malo modo e si azzittisse di colpo con aria furibonda. All’improvviso, la porta si spalancò: il commissario Lisandro, seguito dall’agente Dominguez, fecero il loro ingresso nella sala dei professori.  Pablo prese a fissare il suo rivale storico con aria nervosa, parandoglisi contro, ricordandosi di non potrer dare troppo nell’occhio in quel luogo… nessuno doveva sapere che lui fosse il bodyguard della Saramego. “- Qualche problema?” Si limitò a dire Galindo, difendendo con il corpo la donna, con aria seria e glaciale. “- No, vorremmo parlare con la signorina, è possibile?” chiese poi Lisandro, volgendo gli occhi ad Antonio che annuì, sorpreso dalla visita del commissario. Lo conosceva, il preside sapeva sia di Pablo che di Leon, infiltrati nella scuola… ma quella visita lo lasciò alquanto scioccato.
“- Signorina carissima, sono venuto ad informarla personalmente, riguardo al caso della scomparsa di Castillo. La scritta nella cucina era di vernice rossa… ora tutto sta nel capire dove ha lasciato i barattoli vuoti e, soprattutto, cosa ne ha fatto di La Fontaine e di suo cognato…” disse, con calma glaciale e tono irritante, Roberto. “- Cosa sta insinuando? Che mia figlia è colpevole? Sta forse scherzando?” Angelica si avvicinò con tono minaccioso all’uomo che la fissò dall’alto in basso. “- Signora! Mi ricordo bene di lei… la madre della vittima e della probabile colpevole! Che casualità, eh?” esclamò Lisandro, mentre persino Diego, alle sue spalle, scuoteva il capo con decisione, convinto delle accuse infondate del suo capo.
“- Commissario, forse dovremmo tornare in un altro momento, la signorina deve andare a lavoro e poi ci sono altri collegh…” ma Dominguez fu interrotto e azzittito con un gesto stizzito della mano. “- Taci, ragazzino. Allora, bellezza? Confessi questa volta o dobbiamo ritornare ancora e continuare con queste sceneggiate?” borbottò l’uomo, squadrando la bionda con aria fredda ed inespressiva. “- Non ho nulla da dire.” Confessò la donna, sinceramente, con voce ferma e decisa. “- Vi giuro che ci posso mettere la mano sul fuoco! Mia figlia non c’entra nulla con questa terribile vicenda! Lei è una delle vittime, non la colpevole! Se necessario scoverò io il colpevole, non ho paura di nessuno! E vi giuro che troverò chi è stato!” urlò Angelica, fissando Roberto con aria nervosa. “- Si faccia da parte lei. Ho bisogno di sentire la signorina… allora?” chiese l’uomo, serio, sfidando con gli occhi madre e figlia. “- Sparisca! Sono sul mio posto di lavoro e non ho altro da dirle. Se ne vada.” Strillò la donna, indicandogli l’uscita con un gesto della mano. “- Prima o poi avrò il mandato per perquisirle casa… a sorpresa, ovviamente! E allora sì che avrò prove sufficienti per incastrarla!” esclamò, divertito, l’uomo. “- E’ un incubo! Non posso crederci! E’ un incubo!” esclamò, portandosi le mani al viso, la bionda, fiondandosi fuori dalla classe, mentre Galindo tentò di seguirla, invano. Il moro fu bloccato da Jackie che, mentre anche gli altri docenti lasciavano l’aula chiacchierando tra loro e con il preside, interessata alla vicenda, cominciò a fargli il terzo grado.
“- L’accusano di omicidio? Sul serio?” chiese, sconcertata, la ballerina. “- Lei non c’entra. Sono suo amico e la conosco fin troppo bene.” Ripeté, varie volte, Pablo, prima di uscire per rincorrere la donna e facendo sì che anche la Saenz potesse seguire il preside e gli altri colleghi. Intanto, Angelica, seguiva Lisandro e si fermò proprio nell'atrio della scuola, il luogo più affollato di tutta l’accademia: gente che entrava, docenti che correvano in ritardo per le lezioni, alunni che ballavano e provavano canzoni, in gruppo, una baraonda di allegria, colore e musica.
“- LISANDRO!” urlò l’anziana, facendolo bloccare, mentre alcuni si misero ad ascoltare, curiosi. “- Ancora lei?” borbottò, annoiato, il commissario, liquidando Diego con un gesto della mano che, ovviamente, si fiondò dalla sua bionda fidanzatina.  “- Se accusa ancora mia figlia se la vedrà con me! Troverò io questo colpevole, visto che lei non ne è capace!” urlò la donna, facendolo ridacchiare di gusto. “- Cos’è? Sua complice come Galindo? Ma quanti appoggi ha sua figlia?” esclamò lui, ridendo e stizzendo ancor di più la donna. “- E lei si reputa un uomo della legge? Si vergogni!” urlò Angelica, con le lacrime agli occhi. “- Buona giornata, signora cara!” salutò l’uomo, sollevandosi il cappello come saluto. “- A lei!” strillò la madre delle Saramego, con aria nervosa.
Nel frattempo, Galindo, stava ancora cercando Angie. Aveva cercato quasi dovunque, in ogni angolo della scuola, ma non la trovava e la cosa subito lo preoccupò, pensando che la donna, scioccata e nervosa, potesse essere stata subito catturata dal killer. Ad un tratto, però, sentì singhiozzare, passando davanti al ripostiglio degli strumenti, nell’aula di musica. Aprì la porta di colpo e, dapprima, non vide nessuno ma, facendo attenzione a non far richiudere la porta da sé, aggirò l’angolo della strettissima saletta e, su un amplificatore per chitarre elettriche, vide lei, seduta su quell’affare, con la testa tra le mani e un fazzoletto appoggiato sulle gambe. “- Ehi! Non fare così, dai! E’ un idiota… lo conosco da tempo e lo è da sempre, credimi!” esclamò Pablo, sedendosi accanto a lei. “- No… non ne posso più, credimi! E’ ossessionato da me!” urlò lei, piangendo disperatamente. “- Mi sento terribilmente in colpa. Ti ha accusato ancor di più perché sei stata affidata a me… e lui odia me, di conseguenza se la prende anche con te. Scusami.” Sentenziò l’uomo, voltandole delicatamente il viso con la mano e fissandola con aria sinceramente dispiaciuta. “- Ma tu non c’entri nulla… io lo so benissimo… anzi scusami tu… mi comporto come un’idiota. Piango, piango e non riesco a reagire. Sono diventata una debole, una fragile… io che ero cambiata così tanto… ma adesso andiamo, tra poco iniziano le lezioni.” disse lei, singhiozzante con le gambe tremanti, alzandosi da quella sedia improvvisata e soffiandosi il naso. “- Tu non sei debole. Non lo sei affatto.” Sorrise lui, con aria comprensiva, alzandosi e parandosi di fronte a lei. “- Sì che lo sono. E me ne vergogno. Devo essere forte, molto di più.” Sentenziò lei, prendendo un altro fazzoletto dal pacchettino e tamponandosi gli occhi e il mascara, colato con le lacrime. “- Anche i forti, prima o poi, cedono! Tu lo sei stata anche troppo a lungo. Non ti devi vergognare di mostrati fragile, sei meravigliosa così come sei, non hai bisogno di maschere, di apparire quella che in realtà non ti appartiene neppure lontanamente. Angie, per favore… fidati. Ascolta me e non ignorarmi sempre…” sorrise, amaramente, Pablo, perdendosi negli occhi della donna, con aria seria. Era tremendamente bella, forse, così sensibile, lo ancora di più. A Galindo venne voglia di proteggerla ancora di più, di abbracciarla, di tenerla stretta sé, per sempre… ma non si mosse, resosi conto di aver già reso abbastanza l’idea del tonto innamorato… persino Lisandro lo sospettava! Restò immobile a guardarla, dolcemente, poggiando una mano sulla spalla di lei con aria rassicurante. Quelle parole avevano colpito la Saramego nel profondo. Galindo capiva sempre tutto, fin troppo, al volo… non ebbe la forza di dire nulla: in un attimo, si ritrovò persa negli occhi neri e così confortanti del moro. Aveva qualcosa di tenero, qualcosa che non aveva mai notato prima o forse, che lei non aveva voluto notare fino a quel momento… e poi lui era così diverso da gli altri uomini che aveva conosciuto… lui era intelligente, la capiva, l’ascoltava e, cosa ancor più importante, non si limitava a guardarla superficialmente, come tutti i suoi ex… no. Pablo sembrava leggerla nel pensiero attraverso solo il suo sguardo, aveva il potere di calmarla come nessuno mai aveva fatto prima con lei. Non resistette più: in un secondo, Pablo se la ritrovò stretta al collo come una morsa e ne fu felicissimo. Prese ad accarezzarle la schiena per tentare di rasserenarla mentre lei aveva ripreso a singhiozzare forte, stringendo a sé la guardia del corpo.
“- Sssh… andrà tutto per il meglio, stai tranquilla… basta piangere, forza! Dobbiamo andare…” tentò di distrarla lui, seppur non avesse mai voluto staccarsi da quell’abbraccio così inaspettato e sorprendente. “- Sì…” esclamò lei, visibilmente imbarazzata per quello che aveva fatto e allontanandosi di colpo dal moro che le sorrise, dolcemente, sperando di farle capire che non c’era nulla di male in quel gesto.
“- Grazie…” balbettò lei, aprendo la porta dello stanzino per uscire. “- Mi sembra che io abbia perso il conto delle volte in cui mi abbia ringraziato e sappi che mi ci potrei abituare!” rise l’uomo, cingendole le spalle con un braccio e lasciandola felicemente sconvolta. “- Giusto, sto esagerando a trattarti così bene! Hai ragione! Ed ora fila a prendermi i registri in sala professori! Scattare!” scherzò, acidamente, la donna, facendo sì che lui la guardasse perplesso. “- Ai suoi ordini signorina! Ma lei viene con me… lei verrà ovunque io andrò e io andrò ovunque lei andrà!” sentenziò lui, uscendo dall’aula di musica e ritrovandosi nel corridoio. A quelle parole la donna rimase ferma, con aria sognante… le piaceva un sacco quella frase e lui l'aveva stupita ancora una volta, come stava accadendo spesso… “- Angie? Vieni?” si riaffacciò sull’uscio Galindo, facendo sì che lei, finalmente, si risvegliasse da quello stato di trance e lo seguisse, con aria stranamente di nuovo serena.
 
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Ok, scusate il ritardo e, per chi se lo fosse chiesto, no, il folle non mi ha ancora catturata! xD Ho solo avuto un problema con il pc ecco perchè pubblico in un orario insolito! XD adoro questo capitolo… la pare della rissa  tra Leon e Thomas è il massimo! XD E Diego e Ludmi? No, sul serio, mi divertono un sacco quei due! XD La scena Leonetta è qualcosa di… tyrehyiukik *-* ed è solo una delle prime, di una lunga serie… per non parlare della finale Pangie… yhytruju *-* e vabbè, sono le due coppie che preferisco, quindi… preparatevi a tante scene loro! ;) Cosa importante… a parte l’odiosaggine (sì, ho inventato questo termine proprio per lui…) di Roberto, Angelica ha capito che la figlia, ormai è tra i sospettati principali e vuole difenderla e scoprire la verità, ad ogni costo… ci riuscirà? E quando colpirà ancora il nostro folle? Chi sarà il colpevole? Beh, per scoprirlo, continuate a seguirmi! Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 14
*** La piscina del terrore. ***


“- Come sto?” Violetta uscì dalla camera si rivolse a Leon che, con aria annoiata, era appoggiato alla ringhiera del piano superiore di villa Fernandez. “- Andiamo sono solo da tua zia e Pablo! Non mi risulta che anche il Papa venga a cenare da loro!” esclamò scocciato Vargas, notando però, la bellezza evidente della ragazza e rimanendone folgorato, abbassando di colpo lo sguardo di nuovo sul suo telefonino, fingendosi preso a scrivere un sms o a giocare con qualche stupida applicazione. “- Ti ho fatto una domanda e tu non mi hai risposto! Allora? Sto male?” insistette la giovane seria e guardandolo male per la mancata risposta… in fondo il parere del ragazzo le importava, e anche molto… ma non lo avrebbe ammesso mai, neppure a sé stessa o forse, non ancora. “- No, non stai male… ma sbrighiamoci, siamo già in ritardo e non vorrei incorrere nelle ire della bionda zietta!” Borbottò Leon ghignando, andando in camera sua a prendere le chiavi della macchina sul suo comodino. “- Angie non sarà ancora pronta… ci scommetterei la tua auto!” rise la ragazza, rientrando nella stanza, mentre Vargas si dirigeva nella sua. “- Scommetti qualcosa di tuo! Le scommesse non si fanno con le cose altrui! Lascia stare il mio gioiellino!” ribatté, dall’altra camera, la guardia del corpo, facendola però, scoppiare in una fragorosa risata che invase tutto il piano superiore… in fondo l’aveva provocato e adorava farlo! Sapeva quanto ci tenesse alla sua Porche nera e nuova di zecca… probabilmente la sognava da anni e, con il primo lavoro ottenuto, era stato l’acquisto desiderato da sempre, finalmente realizzato. “- NONNA! Noi siamo già pronti! A te manca ancora molto?” Violetta si precipitò giù dalle scale e Angelica, sul sofà del salotto, si alzò di scatto e prese a fissare la nipote come incantata da quella visione celestiale e per i ricordi che le rievocava alla mente... “- Dove hai preso quel vestito e quelle scarpe?” chiese, curiosa, l’anziana donna, ferma in fondo ai gradini, prendendole le mani ma sapendo bene dove avesse potuto trovare quegli indumenti.  “- In camera… erano in una cassapanca… perché? Non potevo prenderli?” domandò sorpresa la giovane, con aria perplessa, cominciando a fissare le pieghette dell’abito e sistemandole con le mani. “- Quella in cui stai tu ora, era la camera di Angie e Maria, da ragazze. Quel vestito se lo litigavano come nessun altro! Le loro urla arrivavano sino in giardino! Poi facevano sempre la pace, subito… non hanno mai portato rancore, d’altronde si adoravano!” sorrise, con aria malinconica, la Fernandez, avvicinandosi alla ragazza e accarezzando un lembo della gonna, di raso blu. “- Mi dispiace io… posso andare a cambiarmi!” esclamò lei, voltandosi di nuovo verso le scale. “- Oh, no! Ti prego! Sei bellissima… somigli così tanto alla mia Maria! Sarebbe fiera di vederti adesso così… bella, grande!” l’incoraggiò la donna, accarezzandole il volto con dolcezza. “- Grazie. Sarebbe un onore per me diventare come lei.” sorrise la giovane, teneramente, abbracciando la nonna di colpo, facendo sì che lei cominciasse ad accarezzarle la schiena teneramente. “- Belle ragazze, allora? Andiamo?” gridò Leon, scendendo dalle scale a passo veloce e sorpassandole, giocherellando con le chiavi che teneva tra le mani. “- Va bene, ma sii prudente!” esclamò Angelica, fissandolo un po’ preoccupata. In fondo Leon gli era piaciuto da subito, lo trovava sveglio e simpatico… continuava a dar gomitate e sguardi eloquenti alla nipote in presenza del bodyguard e, puntualmente, Violetta alzava gli occhi al cielo con aria stizzita. Vargas la confondeva: un momento era dolce, quasi tenero… il momento dopo l’avrebbe volentieri scaraventato giù da un dirupo senza fondo! Insomma, era complesso e, se la cosa l’affascinava, allo stesso tempo allontanava il pensiero dal giovane bodyguard, tentando di ricordarsi che lui fosse con lei solo per il suo lavoro…. Improvvisamente però, la mente le rievocava la serata al karaoke, quando l’aveva difesa da Thomas e l’aveva consolata così dolcemente… e si sentiva ancor più perplessa da quel ragazzo.
I tre salirono in auto e, dopo aver impostato il navigatore satellitare, Vargas si diresse verso il centro di Buenos Aires, dove avrebbe trovato la villa della Saramego.
 
 
“- Trovi normale fare il bagno in piscina? In questo periodo dell’anno e con tre ospiti che stanno per arrivare?” Pablo era nel giardino sul retro della casa di Angie, mentre la donna, fregandosene delle sue ramanzine isteriche, continuava a nuotare in stile libero, da un bordo all’altro dell’enorme vasca. “- MI HAI SENTITO ALMENO? O il cloro nelle orecchie ti ha reso sorda?” urlò Galindo, accovacciandosi a bordo piscina, mentre lei, sbuffando, si diresse verso il lato dove si trovava la guardia del corpo. “- Purtroppo sì! Sei così fastidioso che è inevitabile ignorarti!” si lagnò la bionda, tenendosi al bordo ai piedi di Pablo. “- Allora? Hai cucinato almeno?” chiese lui, serio, mentre lei, sbuffando e ancora con il fiato corto per la nuotata lo fissò, con un sopracciglio alto, come per esprimere il fastidio procurato da quella domanda. “- Esistono le pizzerie che consegnano a domicilio. Lo sapevi, Galindo?” disse, acidamente, incrociando le braccia sul marmo che delimitava la vasca. “- Simpatica!” borbottò lui, alzandosi e sistemandosi la giacca, con aria stizzita dalla solita acidità della Saramego. “- Lo so, lo sono moltissimo! Vieni che ti confido un segreto…” disse, con aria astuta, la donna. “- Che c’è?”chiese lui, in piedi di fronte alla vasca. “- E’ un segreto! Devi venire più vicino!” sorrise lei, con aria fin troppo furba, mentre l’uomo si accovacciò di nuovo al bordo piscina. “- Tu sei già pronto, sempre precisino, puntuale… ti piace essere sempre perfetto, eh? Benissimo!” ghignò la bionda, con la faccia di chi ha intenzione di mettere in atto qualcosa di losco. “- E quindi?” la sfidò con lo sguardo lui, serio e un po’ perplesso da quell’affermazione. “- E’ ora di farsi un bel…” ghignò lei, afferrandolo per il bordo della giacca… “- …BAGNO!” strillò, riuscendo a farlo cadere in acqua. “- AH! Dannazione, Angie! Sei impazzita?” chiese lui, risalito a galla, mentre lei era in  lacrime per le risate. “- Così impari a darmi sempre fastidio! E comunque, che fossi pazza lo sapevi già!” rise lei, avvicinandosi al moro che cominciò a nuotare sul posto per non affondare, con il cuore che gli batteva a mille, un po’ per lo spavento, un po’ per la presenza della bionda, troppo vicina a lui, che lo fissava intensamente. “- Sì… questo è vero… ma comincia a fuggire… me la pagherai, Saramego!” esclamò lui, prendendo a nuotare verso di lei e tentando di prenderla, in vano. La bionda era velocissima e arrivò subito, dal lato opposto della vasca, sedendosi sul bordo. “- VINTO!” urlò, come una bambina che si è appena guadagnata per premio un peluche al tiro al bersaglio del parco giochi. “- Grazie a te, adesso, devo andarmi a cambiare dalla testa ai piedi!” esclamò lui, prendendo posto accanto a lei, grondante d’acqua. “- Così impari!” sorrise lei, perdendosi a fissarlo… imbronciato era così… dolce! No, doveva pensare ad altro e, resasi conto di essersi bloccata ad osservarlo, si alzò, per poi rituffarsi, facendolo sobbalzare e sollevando un bel po’ di schizzi d’acqua. “- Ancora?” disse lui, ancor più stizzito! “- SCUSA!” urlò la bionda, nuotando nella direzione opposta. “- Non muoverti, vengo subito! Devo cambiarmi prima che mi becchi una broncopolmonite fulminante.” Esclamò il bodyguard, avviandosi verso casa. “- ESAGERATO!” rise fragorosamente lei, nuotando, completamente rilassata, verso gli scalini per risalire dalla piscina. Aveva capito di averlo provocato fin troppo e, anche se lui non sembrava essersela presa troppo e ci scherzava su, voleva rimediare… e poi era veramente ora di entrare a prepararsi, gli ospiti stavano arrivando e lei era ancora a zero con qualunque tipo di preparativo. Era quasi al bordo vasca quando un fruscio la fece voltare, ancora dentro l’acqua… non c’era vento, quindi le parve strano… inizialmente pensò a un gatto, visto che di solito, nel giardino accanto, ne giravano tanti e non diede peso alla cosa. Poi un piccolo tonfo la fece rivoltare in quella stessa direzione. Niente. Stava per salire sulla scaletta quando, una figura inquietante le apparve di fronte dal nulla. Aveva un cappuccio nero, pantaloni neri, scarpe nere e, sul viso, una maschera di quelle che impedivano completamente di vedere il volto, tutta bianca, alquanto spaventosa e molto inquietante. La donna non ebbe neppure il tempo di fiatare, impietrita da quella visione macabra, ma fu svelta nell’agire, dato che tentò di nuotare nella direzione opposta. Purtroppo, quella persona, di cui non riuscì neppure a distinguere il sesso, l’afferrò prontamente per un braccio, lasciandola senza fiato e terrorizzata. “- Chi sei? Che cosa vuoi da me?!” riuscì solo a sussurrare con la voce strozzata che non riusciva a venirle fuori dalla gola, tentando di divincolarsi dalla presa della mano della figura, coperta da un guanto nero, di pelle. Non disse nulla, ma, di colpo, tentò di farla affondare, cercando di spingerla verso l’acqua. Lei, in qualche modo, riuscì ad allontanarsi da quel folle e lanciò un urlo da far raggelare il sangue. “- ANGIE!” capì subito Pablo, precipitandosi di sotto e uscendo di corsa di casa, senza neppure riuscire a chiudersi la camicia. Trovò la donna, con sguardo fisso verso il cortile da dove era arrivato e fuggito l’incappucciato e ancora in acqua. Era spaventatissima, non riusciva a guardare altrove e aveva il fiato corto, come se avesse appena combattuto una lotta corpo a corpo. “- Cosa è successo?” chiese, allarmato come mai, Gallindo, non vedendo nessuno, ma correndole subito in contro e porgendole la mano per aiutarla ad uscire dalla vasca. Inizialmente si guardò in torno e rimase perplesso. Niente, il silenzio più totale. “- Era qui… ti dico che c’era… voleva eliminarmi o rapirmi o… non lo so...” balbettò la donna in stato visibilmente confusionale. “- Calmati, appoggiati a me e siediti. Respira, inspira e espira, tranquilla…” tentò di calmarla l’uomo, portandola, in braccio, fino al lettino bianco da sole, in plastica, e sedendosi accanto a lei. “- Lo hai visto? Com’era?” chiese subito Pablo, credendole senza pensarci troppo, fissandola, mentre lei teneva gli occhi bassi sul polso, ancora arrossato per la morsa di quella presa inaspettata, e respirava ancora a fatica. “- Ha superato lo steccato dal giardino accanto, lì è tutto abbandonato, la casa, tutto… ha tentato di prendermi di… non lo so… e poi io sono riuscita a allontanarlo… ma mi aveva preso il polso, una presa forte ed io… non sapevo cosa fare! Volevo gridare ma non ci riuscivo e… io non l’ho visto! Era vestito di nero, capelli coperti da un cappuccio stretto in testa e maschera sul volto… non so chi fosse!” urlò, mentre due lacrimoni le solcarono le guance e la voce si fece debole, quasi un sospiro tremante… il moro capì subito che non erano le gocce che le grondavano, della piscina. “- E’ tutta colpa mia! DANNAZIONE!” urlò Galindo, alzandosi di colpo e andando nervosamente avanti e indietro, scompigliandosi i capelli con stizza. “- No… come potevi sapere!” disse lei, sorprendendolo, alzandosi con le gambe ancora deboli per il terrore, prendendogli le spalle per fermarlo e fissandolo con quello sguardo così intenso, da fargli venire i brividi. “- Sì invece! Scusami, ti prego! Perdonami!” esclamò lui, abbracciandola di colpo, fregandosene del fatto che fosse completamente bagnata fradicia. “- Di cosa? Eri solo entrato in casa per un secondo! La verità è che qui è troppo pericoloso per me e per mia nipote. Dobbiamo andar via. Non aspetterò più quei dannati documenti! Parto comunque, entro fine mese voglio andarmene da qui.” Disse lei, staccandosi piano da quella stretta e attendendo la risposta dell’uomo. “- No. Prenderemo questo folle e che la pagherà cara. Non dovrai partire, ok? Non finché sarai con me e ti prometto che non ti lascerò più nemmeno per un secondo, te lo giuro.” Disse serio lui, facendo sì che, per la prima volta, lei notasse nei suoi occhi un luccichio… non l’aveva mai visto così… era sconvolto e si sentiva dannatamente colpevole per quella distrazione che non era affatto da  lui, sempre così professionale e super protettivo. “- Grazie.” Balbettò lei, ristringendolo con forza, lasciandolo ancora sconvolto ma felice. “- Andiamo dentro,  sono quasi le 21! Per nostra fortuna sono in ritardo… vieni.” Sorrise teneramente lui, circondandole delicatamente le spalle con un braccio e conducendola in casa.
 
 
“- Ciao zia!” Violetta corse subito in contro ad Angie che la fissava, sorridente. Ricordò subito quel vestito blu e la cosa le provocò una marea di ricordi che, però, riuscì a tenere per sé, abbracciando la giovane che fu felice di rivederla e di ricevere quella calorosa accoglienza. “- Sei incantevole!” si limitò a dirle, immaginandosi le tante volte in cui lei e la sorella si soffiavano a vicenda quell’abito, facendo però, subito pace e accordandosi su chi e quando avrebbe dovuto indossarlo. Non riuscivano a litigare, unite com’erano… bastavano 10 minuti  di litigata che i battibecchi si trasformavano subito in risate. “- Come proseguono le cose, Galindo?” chiese subito Vargas, facendo scuotere il capo all’altro che si sedette al lungo tavolo, di fronte al ragazzo, abbassando lo sguardo con aria sconfitta. “- Che significa? Ci sono novità?” chiese il giovane, mentre, Angelica, Angie e Violetta che apparecchiando, cariche di stoviglie e tovaglioli, arrivarono nella stanza proprio in quel momento. “- Un attacco. Prima che arrivaste voi.” Disse, serissimo, il moro alzando gli occhi scuri e puntandoli sul giovanissimo collega. “- CHE COSA?” urlarono la ragazza e sua nonna, la prima prendendo posto una accanto a Vargas e l’altra sedendosi a capo tavola. “- Sì… ero in piscina, Pablo era andato un minuto in casa e… qualcuno… ha tentato di rapirmi o non so cosa… è stata una lotta. Sul serio.” Esclamò la Saramego, mettendo una cesta di pane a fette al centro tavola e accomodandosi vicino a Galindo. “- Oh, no! Tesoro, adesso stai bene?” urlò la madre, con aria preoccupatissima, fissandola con aria scioccata. “- Sì… davvero. Ma è stato terribile.” Esclamò lei, ancora con la paura negli occhi. “- Lisandro lo ha saputo?” chiese Leon, tornando a fissare Pablo che scosse il capo. “- Non ancora…” borbottò, nervoso al solo sentir nominare il commissario. “- Deve saperlo!” esclamò però Violetta, seria e tremante al solo pensiero che anche lei fosse in grave pericolo. “- Sì… così troverà un altro modo per accusarmi. Dirà che non avevo testimoni… o qualcosa del genere… chissà! E non sono curiosa di scoprirlo!” urlò Angie, scattando in piedi, nervosa. “- Sì ma la ragazza ha ragione… a malincuore ma devo telefonargli.” Sentenziò Pablo, fissando la bionda che prese un profondo respiro, per poi tornare in cucina con passo deciso e visibilmente nervosa. Quel tipo la detestava e la cosa era reciproca. Odiava Pablo, Lisandro lo aveva fatto soffrire troppo e, da quando sapeva quella vicenda, riusciva a disprezzarlo ancor di più, per gli atteggiamenti che aveva avuto e che aveva ancora, prima solo contro il bodyguard, ora contro entrambi.
“- Non lo chiamare. Non mi crederà comunque! Per favore!” Pablo aveva raggiunto la donna in cucina e lei si voltò di scatto avvertendo il rumore di passi e supponendo da subito che si trattasse di lui. “- Mi dispiace. Devo.” Sussurrò quasi lui, avvicinandosi alla Saramego che abbassò lo sguardo, tesa. “- Non mi crederà e se la prenderà anche con te che non eri vicino a me. Non è successo nulla, ok? Sto bene, questo è quello che conta…” tentò di dire lei, serissima, richiudendo il rubinetto del lavandino. “- Non è successo nulla? Stai scherzando?” disse, stizzito, il moro. La donna sollevò una brocca di cristallo per portarla in tavola ma, ancora con il polso indolenzito, fece una smorfia di dolore e lasciò cadere al suolo, con un frastuono assordante la caraffa che si frantumò in mille cocci. “- DANNAZIONE!” urlò lei, toccandosi la parte del braccio indolenzita. “- Che hai fatto al polso?” chiese lui, superando con attenzione i cocci e avvicinandosi a lei. “- Niente… la lotta con il folle… ma sto bene, sul serio!” esclamò lei, divincolandosi da Galindo che le esaminava con aria scioccata il braccio, ancora un po’ arrossato. “- Cos’è stato? Tutto bene?” Leon. Angelica e Violetta si erano affacciati sull’uscio della cucina. “- Sì. Benone. Andate a tavola… qui ci penso io…” tentò di sorridere la bionda, afferrando una scopa e una paletta e chinandosi per ripulire quel disastro. I tre ospiti, un po’ confusi, tornarono nella sala da pranzo e Pablo, intenzionato ad aiutarla, si accovacciò per sistemare con lei. “- Lo vado a chiamare. Devo. Mi dispiace.” Sentenziò poi, alzandosi e fissandola ancora, prima di uscire dalla cucina. Lei lo fissò scuotendo il capo con aria quasi supplichevole ma lui non sentiva di poter fare altrimenti: passò per la sala da pranzo, superando gli altri che lo fissarono stupiti, uscì nel portico e fissò il display del cellulare… voleva darla vinta a lei? Voleva davvero correre quel rischio? Non poteva. Neppure a lui faceva piacere sentire o vedere il commissario Lisandro ma la faccenda si stava mettendo malissimo. Decise che pensarci troppo gli avrebbe  fatto seguire il consiglio della donna ma non poteva. Compose di fretta il numero e sentì subito la voce del suo acerrimo nemico dall’altra parte del cellulare. Nel giro di mezz’ora sarebbe stato lì, a villa Saramego.
Il moro rientrò in casa, mentre i commensali chiacchieravano, quasi avendo dimenticato la faccenda, tranne Angie che lo seguì con lo sguardo per tutto il percorso fino alla sedia accanto alla sua. Calò il silenzio nella sala e nessuno osò chiedere cosa fosse andato a fare l’uomo in giardino. “- Sta arrivando, no? Avrà il piacere di vedere casa mia, finalmente…” borbottò la bionda, rompendo il clima tesissimo e tirando un sospiro nervoso che riecheggiò nella sala. “- Dovevo farlo. Non credere che mi faccia piacere invitarlo per un’amichevole chiacchierata!” esclamò Pablo, tagliando la sua pizza, ormai freddatasi del tutto, con aria tesa quanto la Saramego. “- Zia… è la cosa migliore. So che lui ti sopporta poco e tu sopporti poco lui… si nota che la cosa è reciproca! E so di… insomma, dei cattivi rapporti tra Pablo e Lisandro. Ma non c’è altra scelta. Credimi. Più saprà e più capirà che tu non c’entri nulla con questa vicenda terribile.” Esclamò la giovane Castillo, facendo sì che Leon la fissasse e annuisse, con convinzione. “- Sì, tesoro. E se proverà a dire ancora qualcosa contro di te, giuro che io…” iniziò Angelica, agitando il pugno con aria fin troppo  nervosa. “- Tu, nulla, mamma. Evita di immischiarti con questa faccenda! Già hai detto allo Studio quello che dovevi dire a Lisandro e avresti potuto evitarlo. Non metterti nei guai, per favore! E non farti detestare ancora di più dal commissario! Odia già noi due, lascia perdere. Lo dico per il tuo bene.” Esclamò la donna, fissando con aria preoccupata la madre che abbassò il braccio con aria per niente scoraggiata. Il suono del campanello raggelò i presenti e la padrona di casa si alzò, con decisione, raggiungendo la porta. Lisandro fece il suo ingresso, senza neppure salutare e fu seguito dal suo fidato agente, Dominguez, che pronunciò un educato: “- Buonasera”ai presenti. Il commissario cominciò a guardarsi intorno con aria stupita della bellezza di quella casa e cominciò a fissare alcune cornici sul caminetto ghignando in maniera irritante, per poi sedersi sul sofà. “- Allora? Cos’ è successo di tanto grave, stavolta?” proferì, finalmente, Lisandro, mentre Diego afferrò il suo blocnotes per annotare qualunque cosa fosse importante. Leon, Angelica e Violetta si trasferirono subito nel salotto e presero posto sul divano e sulle poltrone presenti nella stanza. Pablo, invece, andava avanti e indietro alle spalle del sofà, troppo nervoso anche per guardare soltanto negli occhi il commissario. “- Mi ha attaccato. Per la prima volta era nel mio giardino e ha tentato di rapirmi o di farmi del male… non l’ho capito. Ero in piscina, nel retro della casa… e mi ha strattonato per un polso mentre nuotavo.” Concluse la donna, seria, alzandosi e avvicinandosi alla finestra che dava sull’esterno della casa. “- Ah, capisco… e lo ha visto in faccia? Era un uomo, donna… aveva qualcosa di particolare che l’ha colpita? Un accento particolare?” chiese ancora Lisandro scettico, mentre Dominguez scriveva, come una furia, degli appunti. “- No. Dalla forza con cui mi ha afferrato direi che era un uomo, suppongo… aveva il volto coperto, mani coperte da guanti… era completamente vestito di nero e aveva un cappuccio stretto sulla testa. Non le so dire altro. Non ha parlato, quindi non l’ho neppure sentito che voce avesse.” Esclamò la donna, riavvicinandosi al divano e sedendosi su uno dei due braccioli, con lo sguardo basso. “- E il signor Galindo dov’era quando lei ha avuto questa ‘lotta’ con il fantomatico folle?” domandò il capo della polizia, serissimo, con aria imperturbabile. “- Era dentro. Doveva cambiarsi ed anch’io stavo per rientrare in casa.” Rispose con freddezza la bionda, mentre tutti erano in silenzio ad ascoltare, pendendo dalle labbra di Lisandro. “- Quindi non era con lei e non stava facendo il suo lavoro come si deve… o sbaglio? Beh, non sarebbe la prima volta che non rispetta i suoi doveri…” borbottò Roberto, accendendosi una sigaretta con noncuranza. “- Cosa stai dicendo? Ancora? Continui con quella faccenda? Non ti è bastato quello che mi hai fatto?” Pablo scattò come una furia verso il divano ma Angie lo bloccò, invitandolo ad azzittirsi e calmarsi, mettendosi davanti a lui, in piedi e separandolo dal comissario. Aveva ragione… ma non era quello il momento di abboccare alle provocazioni di quell’essere malvagio. “- Dammi del lei, per cortesia. Sono un commissario, io.” Sentenziò ancora l’uomo, facendo sì che Vargas si alzasse furioso, fissato da tutti: “- Già, chissà perché adesso il capo è lei!” Sentenziò, senza riuscire a tacere, mentre Diego lo tirò a sedere prendendolo per un braccio. “- Non metterti nei guai. Zitto, Vargas. Ricordati il suo ruolo.” Gli sussurrò Dominguez, mentre Lisandro lo fissò malissimo per un nanosecondo, per poi tornare a puntare gli occhi sulla Saramego che lo guardava con disprezzo.
“- Dunque, questo folle in nero, chiamiamolo pure Mister X, lo ha visto solo lei? Dato che Galindo non era presente, giusto?” chiese il capo della polizia, mentre lei prese a fissare Pablo che le fece segno di annuire. “- Sì, è così.” Ribatté, con sincerità, la donna fissando dritto negli occhi il suo interlocutore che ghignò malvagiamente. “- Nessun testimone, allora…” sentenziò l’uomo, afferrando un posacenere in cristallo e schiacciandogli dentro la sigaretta, finita. “- Sì, nessuno… cosa sta pensando, ora? Per curiosità!” urlò la donna, rossa in viso per la rabbia ma tentando di mantenere la calma. “- Mah, vede signorina… lei è un po’ stressata in questo periodo… ed è sotto accuse pesanti. Magari questa sua ‘visione’ o è frutto di stress o un’ottima maniera per scagionarsi. Sapendo che lei è stata attaccata noi potremmo sospettare di Mister X e non di lei. Chissà come mai, poi, Galindo ha deciso di non appoggiarla più, dicendo di non aver visto anche lui questo ipotetico folle… si è pentito forse? O lei lo ha già lasciato, come fa con tutti i suoi ex, quando non li elimina come La Fontaine, chiaramente…” esclamò Lisandro, serissimo e sputando tutto quel veleno sulla donna  con una calma glaciale e spaventosa. “- Lei è un…” urlò la bionda, scattando ancora in piedi e parandosi contro il capo della polizia, ancora seduto. “- Un… cosa? Mi dica pure… peggiori ancora la sua situazione, avanti!” disse lui fissandola negli occhi con decisione e sdegno. “- Lasciamo perdere… meglio che eviti di dirle cosa penso. Cosa intende fare, dunque? Mi arresta dopo aver ricevuto un attacco, secondo lei, immaginario?” chiese la bionda, allungando il polsi con aria di sfida, come per farsi mettere le manette. “- Molto spiritosa ma… no. Non ancora, almeno… vuole di nuovo sguinzagliarmi la Ferrara contro? Ah, giusto! Ora non è qui e non puo’ difenderla…” sentenziò gelido l’uomo, mentre anche Diego prese a fissarlo confuso. Perché si ostinava a non credere alla donna? Poteva essere così malvagio? “- Aspetta un secondo! Lisandro! Guarda qui! Questo polso arrossato glielo ha lasciato il nostro Mister X. Questo come se lo spiega?” chiese di colpo Galindo, avvicinandosi ai due e fissando in malo modo Lisandro. “- Io non vedo nessun segno rosso!” esclamò l’uomo, serio. In effetti, purtroppo, il polso, si era schiarito ed era ritornato bianco come l’altro. “- Tu quindi non ha visto nulla, giusto?” chiese per l’ennesima volta, questa volta al suo ex commissario. Pablo, a malincuore, scosse il capo, continuando a fissarlo con aria serissima. “- Appunto. Come pensavo è riuscita a fregare anche te. E tu ci sei cascato in pieno, come sempre. Buona serata.” Esclamò, avviandosi verso la porta, richiamando Diego con un cenno della mano alquanto stizzito. “- Buonasera.” Disse il giovane agente, chiudendosi la porta alle spalle, con aria ancora infastidita dal suo capo. “- Originale. Non trovate?” Angie era rimasta in piedi e camminava per tutta la stanza, non riuscendo a stare ferma per la rabbia. “- E’ pazzo. Sicuro.” Sentenziò Leon, serio, appoggiando i piedi sul tavolino di fronte a sé. “- E se fosse davvero lui il folle?” chiese Violetta, avendo un’intuizione improvvisa. “- No. Lui prima non era così… ti ricordi la prima volta che parlammo io, tu e tuo padre con il commissario? Già avevamo ricevuto i messaggi e tua madre era già…” lo giustificò la bionda, serissima.  “- Se il segno sul polso non fosse scomparso e lui lo avrebbe visto sono sicuro che si sarebbe inventato qualcosa comunque. Vi odia sempre di più.” Esclamò Leon, alzandosi dal divano e andando verso Galindo che, nervosissimo, fissava fuori dalla finestra. “- Lo sappiamo. E sono d’accordo con te sulla questione del polso. Quel tizio è odioso.” Si arrabbiò l’uomo, poggiandosi con le braccia tese sul davanzale, fissando fuori dalla finestra. “- Ma cosa vuole da voi?” chiese giustamente Angelica, sconvolta da quelle affermazioni su Galindo e sua figlia. Angie, Pablo, Leon e Violetta si lanciarono occhiate molto eloquenti, prima che lasciassero la parola all’ex commissario che, prendendo un profondo respiro, cominciò a raccontare del suo passato, di Tamara, di Rodrigo Vargas e dell’aiuto che aveva avuto Roberto per togliergli il posto. “- Non posso crederci! E’ orribile!” commentò, alla fine, l’anziana donna, facendo annuire tutti. “- Non si puo’ affidare il caso a qualcun altro?” chiese poi, tentando di salvare la figlia da quelle accuse infondate, la signora Fernandez. “- Purtroppo no. Lo avevo pensato anch’io. Non ce lo concederebbe mai! Si sta divertendo tanto, perché dovrebbe farlo?” Sentenziò Galindo, con aria rassegnata, scuotendo il capo con rassegnazione. “- Ma è assurdo! E la mia bambina deve subire questi affronti? E poi anche tu, Pablo! E’ così ingiusto! Io ovviamente vi credo! Su tutto!” disse, furiosa, Angelica. “- Tutti vi crediamo, come crediamo che oggi pomeriggio, Angie, sia stata attaccata.” Commentò Leon, serio facendo sì che la donna gli lanciasse un amaro sorriso per aver ottenuto la comprensione di tutti. “- Grazie. Peccato però che chi avrebbe dovrebbe credermi non lo ha fatto! Mai!” sentenziò la Saramego, abbassando gli occhi. “- Se solo riuscissimo a catturare il colpevole… non potrebbe più accusare te, almeno e ci farebbe una pessima figura!” esclamò il moro, andandosi a sedere accanto alla bionda. “- Sarà impossibile.” Rispose lei, cupa e con un velo di tristezza negli occhi. “- Zia, niente è impossibile. Vedrai… ce la faremo!” sorrise Violetta, poggiandole una mano sulla spalla, prima che la donna l’osservasse con un sorriso per poi abbracciarla forte.
 
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 Eccoci qui, il nostro Mister X si è mostrato… o meglio, non proprio… ma ha fatto la sua prima apparizione per attaccare direttamente la povera Saramego… non commento il commissario. No, meglio di no! Lascio a voi ipotesi, teorie, commenti e ciò che vi pare su questo capitolo e sulla storia in generale. Spero che vi stia piacendo! P.S. Ho il tempo di rileggere solo una volta, se trovate errori perdonatemi! xD Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 15
*** Amicizie particolari e telefonate inattese. ***


“- Non posso credere a quello che è successo a mia zia ieri! Allora anch’io sono in serio pericolo!” Esclamò Violetta, fuori dallo Studio On Beat, passeggiando al fianco di Leon per il cortile e ripensando all'attacco in piscina subito da Angie. “- Non finché ci sarò io.” Sentenziò lui,con andamento distrutto per le estenuanti lezioni tenute fino a quel momento e la giornata di corsi ancora non era nemmeno terminata. “- Sai bene che Galindo è un ottimo agente eppure è bastato un secondo… un attimo per far sì che il tizio l'attaccasse!” Disse lei, in panico, con aria tesa e preoccupata. “- Impaurirci non servirà a nulla, peggiorerà soltanto le cose. Questo vale per te come per me, per tua zia come per Pablo. La paura ci rende ancor più vulnerabili e in questo momento dobbiamo essere ancor più forti di prima. Se Lisandro è ottuso non è colpa di nessuno… noi dobbiamo farci coraggio a vicenda proprio perché lui è un idiota e non ci puo' aiutare!” Commentò Vargas, con espressione serissima, fissando l’insegna della scuola di fronte a sé, nuova fiammante con la scritta coloratissima che recitava: "Studio On Beat". “- Già.” Sbuffò lei, mentre Francesca e Camilla le correvano in contro, con delle facce strane e inusuali, insieme ad altri amici, come Andres, DJ e Maxi e Nata.
“- Buongiorno ragazzi!” esclamò la Torres, allegramente, fissando i due con aria furba. “- Ciao, Cami! Emh, Fran… cosa vuoi dirmi? Quell’aria è alquanto sospetta…” borbottò subito Violetta, indicando l’amica italiana che scosse il capo con decisione, alzando le spalle come se nulla fosse. “- Niente! Non dobbiamo dirti niente, né abbiamo visto nulla!” urlò Andres, beccandosi una gomitata da Ponte che lo guardò male. “- Avanti… c’è qualcosa che non va! Andres! Tu, almeno! parla!” sghignazzò Leon, dandogli una pacca sulla spalla e facendolo barcollare in avanti, sapendo che l’unico che avrebbe potuto spifferare tutto sarebbe stato proprio l’amico più ingenuo del gruppo. “- No. Mi hanno detto di non parlare e non lo farò. Non dirò nulla della faccenda di Thomas ed Emma!” esclamò, facendo scuotere il capo a Camilla e venendo tirato lontano da Nata che gli stava evidentemente già facendo una ramanzina per aver parlato troppo, come al solito.
“- Cosa? Non avete il coraggio di parlarmi di lui, non è così?” esclamò la Castillo, sedendosi sul muretto all’esterno della scuola, mentre gli altri si fissarono con aria complice. “- Guardate che non ho nessun problema! Non mi interessa né di quello che dice né di quello che fa... Non stiamo insieme, né lo siamo mai stati, quindi… Parlate!” li rimproverò l’amica, scattando in piedi e avvicinandosi agli altri con aria di sfida. Leon ridacchiò e continuava a fissare Andres che si stava beccando la partaccia dalla spagnola che, di solito tanto tranquilla, sembrava quasi volerlo azzannare con rabbia. “- E perché lo vuoi sapere di Heredia, allora? Che facesse ciò che vuole, quell’idiota!” disse, come se nulla fosse e con tutta calma, Vargas, continuando a starsene spaparanzato sugli scalini in pietra. “- Pura curiosità!” Sentenziò lei, alzando un sopracciglio ed, in effetti, era così. Ma se gli amici avevano quelle facce dovevano sapere qualcosa di grosso e la voglia di conoscere quello scoop l’attanagliava e l'aveva spinta a chiedere cosa fosse accaduto.
“- Ok, diciamo che… l’abbiamo visto baciarsi con Emma Toledo. Non volevamo dirtelo per non farti soffrire. Insomma… abbiamo sempre pensato che fossi innamorata di lui o qualcosa del genere.” Sentenziò DJ, prendendo la parola, dopo essere stato fissato dagli amici per fargli capire che avrebbe dovuto parlare lui dato che, come ultimo arrivato, era quello che conosceva meno Vilu e che non l’avrebbe fatta star male meno con quella rivelazione data la sua solita simpatia e dolcezza.
“- Io? Innamorata di Heredia? Ma cosa diamine andate a pensare?!” esclamò la giovane, risedendosi con calma ma stizzita al dover sentire anche solamente quell’ipotesi così assurda per lei. “- Violetta eravate sempre incollati! Io, ad esempio, da nuovo allievo della scuola ho sempre sospettato che… insomma… vi fosse una certa intesa.” Rispose DJ facendosi serio. “- Hai sempre sospettato male! Anzi tutti voi che, a quanto pare eravate dello stesso parere!” esclamò la giovane, in vistoso imbarazzo per quelle teorizzazioni sulle sue faccende sentimentali. “- Io e lui eravamo amici… non c’è stato mai neppure un bacio tra di noi.” Aggiunse lei, con aria disgustata al solo pensiero. “- Diciamo che era lui che avrebbe voluto stare con lei ma non ci è mai riuscito. Fine della storia.” Esclamò Leon, immischiandosi nella faccenda con aria glaciale e tono un po’ alterato. “- Quindi non ti dispiace che si sia messo insieme ad Emma?” chiese Fran, con aria preoccupata e sempre molto rassicurante.
“- Non mi interessa proprio, è diverso! Se è felice con lei sono contenta! Ha trovato l’anima gemella e lascerà in pace me!” sorrise lei, tirando un sospiro di sollievo e facendolo fare anche agli amici. “- Meno male! Che poi tutti avevamo sospettato che stesse uscendo con Emma solo per far ingelosire te… invece, a quanto pare, si è davvero preso una cotta!” esclamò Camilla, sedendosi accanto a lei con aria pensierosa. “- Oppure ha iniziato con il metodo ‘falla ingelosire e cadrà ai tuoi piedi’, e poi ha capito che comunque, non avendo speranze con te, doveva usare l’altra tecnica, la ‘sostituisci che ti sostituisce’, detta anche ‘chiodo scaccia chiodo’.” Ipotizzò Maxi, facendo scoppiare a ridere DJ per le tattiche elencate dal rapper che si segnò quei metodi suggeriti dall'amico sul tablet. “- O forse, ha tentato di farti ingelosire e poi si è innamorato sul serio!” teorizzò, più vicina alla realtà, Francesca, vicino al quale si era seduto in quell’istante Federico che la fissava con un sorriso stampato sul viso.
“- Fede ti senti bene?” rise subito Leon, spostando l’attenzione da Heredia, di cui non sopportava nemmeno di sentir pronunciare il nome, all’amico italiano che, finalmente, si riprese e saluto con un goffo “- Buongiorno.” nella sua lingua. “- Federico non ti sei più ripreso dopo che hai cantato con la Rossini alla serata karaoke. Devi raccontarci qualcosa? Anzi, dovete?” Li incastrò subito Maxi, indicando prima il giovane e poi la ragazza che arrossì di colpo. “- Chi? Noi? Nah!” rise nervosamente Francesca, facendo iniziare a sghignazzare anche Bianchi con aria tesa. “- Sembrate due pazzi. Lasciatevelo dire.” Sibilò Vargas, sgranando gli occhi e fissando gli amici. “- Noi andiamo in classe, che dici Fede? Dobbiamo provare… stiamo collaborando un sacco per i pezzi dello show e… ciao!” Urlò Francesca, tirandosi inaspettatamente Federico verso l’entrata della scuola e scomparendo alla visuale degli amici. “- O sono impazziti sul serio, come dice Leon, o c’è qualcosa che non sappiamo.” Sorrise Lena con il suo solito aspetto furbetto, arrivata verso gli amici con Andrea e Napo che chiacchieravano tra loro, alle spalle della biondina. “- Io appoggio la tesi di Vargas!” rise DJ, dando il cinque a Leon che annuì con decisione, ghignando divertito. “- Io voglio sapere!” urlò Andres, correndo, finalmente, verso gli altri con Nata che gli aveva appena terminato una partaccia colossale. “- Tu sei l’ultimo che dovrebbe sapere che Federico e Francesca stanno insieme!” urlò Camilla, tappandosi poi la bocca con la mano, resasi conto che aveva parlato decisamente troppo, come al solito. “- FRANCESCA E FEDERICO CHE COSA?” urlarono tutti, in coro. “- E va bene. Ma fingete di non sapere nulla! O cavolo! Perché non riesco mai a tacere? Sto diventando peggio di Andres!”  borbottò la Torres, mentre tutti si misero intorno a lei, pur di sapere ogni dettaglio della nuova coppia dello Studio On Beat. “- Da quando? E perché non ce lo vogliono dire?” chiese Violetta, curiosissima. In quel periodo era successo di tutto e, in effetti, non parlava da un po’ con le sue amiche! Ecco perché non era al corrente della situazione sentimentale della Rossini. “- Si vergognano! Ora fanno tanto i timidi! Mah! E comunque è dalla serata karaoke di qualche tempo fa che stanno insieme. Insomma io li ho visti! Non potevano negare! Se due si stanno baciando fuori dal locale non è che possono trovare scuse plausibili! Per adesso sono state molte telefonate interminabili e poche uscite, certo per quanto ne so io. Ma penso che abbiano intenzione di recuperare…” sentenziò la Torres, rendendosi conto che stava parlando veramente tanto e riflettendo sul fatto che, se solo Francesca l’avesse saputo, l’avrebbe fatta fuori. “- Si sono anche…? Oh, che carini!” sorrise Lena, con sguardo sognante posando il suo sguardo su Napo e arrossendo di colpo, quando incrociò gli occhi scuri del biondo cugino della Ferro che le sorrise dolcemente.
“- Beati loro! Almeno hanno un partner coraggioso…” buttò lì la maggiore delle Heraldez, fissando Maxi che, di colpo, abbassò lo sguardo in vistoso imbarazzo, passandosi la mano dietro al collo con nervosismo. “- Ad ogni modo, mantenete il segreto! Andres… taci o te la vedrai con me!” urlò la Torres, seria. “- Su cosa devo tacere?!” chiese l’amico, con un sorrisetto stupido stampato sul viso. “- Ci penso io a lui… o almeno, ci provo!” rise la minore delle Heraldez, facendo annuire gli altri. “- Ti aiuto io, vediamo se capisci… Andres, ripeti con me: TU NON PARLERAI A FRANCESCA E FEDERICO PER I PROSSIMI GIORNI, d’accordo?” esclamò Lena, lasciando perplesso il giovane che prese a grattarsi la nuca con aria persa nel vuoto. “- Abbiamo litigato con Rossini e Bianchi? Come mai? Eppure sono così simpatici quei due! Sarebbero una bella coppia!” esclamò lui, in totale confusione. “- Evitali e basta!” urlò, esasperata, la biondina, alzando gli occhi al cielo con aria rassegnata. “- Va bene, ma non scaldarti tanto! Mi metti paura!” confessò il ragazzo, facendo scoppiare a ridere tutti, Lena compresa. “- Bene, allora ascoltami e fai ciò che ti ho detto! O te la vedrai con me!” ghignò la giovane, facendolo correre in direzione opposta, con aria spaventata. “- Dite che funzionerà? Insomma, almeno finché quei due non confesseranno di stare insieme?” chiese DJ, serio, seguendo con lo sguardo l’amico che fuggiva nella scuola. “- Dovrebbe andare. Mi teme troppo per parlare! L’ho spaventato talmente tanto che credo che resterà zitto con chiunque per i prossimi dieci anni!” sbuffò in maniera comica la bionda Heraldez, facendo scoppiare a ridere tutto il gruppo. Tra le risate generali, gli allievi, si recarono nella scuola per iniziare con le lezioni. Arrivarono fuori dall'aula di Beto e, alla chitarra, con aria innamorata, stava suonando niente poco di meno che Bianchi, mentre Francesca, con faccia sognante, lo ascoltava seduta su un amplificatore. Camilla che precedeva gli amici li bloccò, con gesti eloquenti, nel corridoio, ma tutti, ignorando la Torres, si affacciarono dalle vetrate laterali alla classe e si bloccarono a fissare i due all’interno. “- Come sono dolci!” urlò quasi Andrea, mentre Maxi le mise una mano davanti alla bocca per farla tacere. Ad un tratto Federico finì di cantare e si alzò, avvicinandosi alla giovane, le prese le mani teneramente per farla alzare in piedi. erano uno di fronte all’altra, il ragazzo le prese il viso tra le mani e, dopo averle sussurrato qualcosa, la baciò dolcemente. Si staccarono e si guardarono negli occhi come incantati l'una dello sguardo dell’altro e rimasero così per circa un minuto, senza parlare, solo sorridendosi.
“- CHE DIAMINE STATE FISSANDO TUTTI?” Ludmilla rovinò tutto, arrivando alle spalle dei ragazzi che tentarono, in vano, di azzittirla. A quell’urlo della Ferro, i due innamorati si voltarono, finalmente, verso le finestre e trovarono tutti gli amici con il naso incollato al vetro che, imbarazzatissimi, presero a salutare con un sorrisino stampato sul viso per poi entrare nella classe con aria sorpresa e festosa. “- CONGRATULAZIONI!” urlò Maxi, saltellando intorno a Federico e dandogli una pacca sulla spalla. “- Cosa ci fate tutti qui?” disse l’italiano, sgranando gli occhi neri e fissando tutti quegli ospiti inaspettati e, probabilmente, in quel momento anche alquanto indesiderati. “- Ci sarebbe una lezione qui ma voi, fin troppo presi, non avete nemmeno sentito la campanella!” ghignò Leon, ronzando intorno ai due per poi andarsi a sedere, imbracciando una chitarra elettrica rossa fiammante e inziando a strimpellare pezzi rock. “- Siete bellissimi, bravi!” esclamò Nata, entusiasta. “- Fran! E vabbè che era da un po’ che non ci facevamo una bella chiacchierata… ma venirlo a sapere così!” la rimproverò, ridendo, Violetta, abbracciando poi l’amica che, a sua volta, la strinse forte. “- Venirlo a sapere così? Ma se un minuto fa ce ne aveva parlato Camilla!” strillò Andres, ridendo. Un silenzio assordante calò nella classe. “- ANDRES! Ti avevo detto che me l’avresti pagata!” urlò Lena, prendendo a rincorrerlo tra strumenti, leggii e sgabelli che resero quell'inseguimento una vera e propria corsa ad ostacoli. “- No, ti prego piccola Heraldez: lascialo a me!” disse, con tono solenne, la Torres, cominciando a tentare di prendere il ragazzo che stava per dileguarsi dalla classe. “- Buongiorno, gente! Pronti per la lezione?” Beto si parò davanti alla porta bloccando i tre che si rincorrevano e fece il suo ingresso in aula, facendo ritornare tutti a sedere, con aria allegra. “- Che si festeggia?” chiese il professore, avendo capito che quel clima gioioso era dovuto a qualche avvenimento speciale. “- Il fidanzamento degli italiani!” rise Vargas, andandosi ad accomodare al suo posto, non lasciando però la chitarra. “- E smettetela!” urlò Federico, viola per l’imbarazzo. “- Auguri! Allora venite a provare voi due… un bel pezzo d’amore nella vostra lingua, magari!” sorrise il professore, sistemando degli spartiti nel già abbastanza caos totale della cattedra ed iniziando la lezione in quel clima sereno.
 
 
Intanto, il commissariato, quel giorno, sembrava essere semi deserto. Diego, con un grande sbadiglio, varcò la porta dell’ufficio del commissario che stava scribacchiando su dei fogli, davanti a sé. “- Salve capo. Scusi per il ritardo.” Esclamò il ragazzo, andandosi a sedere di fronte a lui. “- Dominguez ormai sono abituato ai tuoi ritardi. Se continui così mi troverò un altro assistente, che sia ugualmente inutile ma puntuale, almeno…” borbottò Roberto Lisandro, sfogliando dei fascicoli di fronte a sé con aria distratta e facendo stringere la mascella al giovane per evitare di ribattere in malo modo. “- Novità sul caso Saramego/La Fontaine/ Castillo?” chiese il moro, pensando che il commissario stesse cercando notizie attinenti all’indagine in corso. “- No.” Disse, quasi seccato da quelle domande, l’uomo, richiudendo quel raccoglitore con aria seria. “- E allora?” chiese Diego, prendendo coraggio che, di certo non gli mancava. “- Questo, caro mio, è il fascicolo riguardante i Galindo, due in particolare… Tamara e Pablo. Ero solo curioso di andarmelo a rileggere.” Sentenziò, con aria soddisfatta, Roberto. Diego, quasi disgustato da quella frase, sapendo tutto l’antefatto di quella vicenda, si voltò dal lato della finestra, posta alla sua sinistra e prese a fissare il panorama: in fondo si scorgeva anche un pezzetto della costa con un po’ di mare data l’altezza imponente dell’edificio. “- Devo fare una telefonata importante… vammi a prendere un caffè, sbrigati… anzi no: mettici una mezz’oretta. Mi serve l’ufficio senza nessuno tra i piedi.” Ordinò il capo, facendo sì che il moro si alzasse controvoglia per uscire e dirigersi ai distributori automatici. Non tollerava il suo capo, né, tantomeno, la maniera in cui lo trattava: lui non voleva essere il suo schiavetto. Era un agente, l’agente Dominguez e, seppur giovane, non era uno sciocco da dover comandare. Caratterialmente, già poco sopportava chi dava ordini… figurarsi in quella maniera così scortese! Ma era il suo lavoro e gli piaceva, portava con fierezza ed onore il suo distintivo, quindi, pur di tenerselo ben stretto, evitò di dare un pugno sul naso a Lisandro e uscì, avviandosi verso il luogo designato dal capo.
Il commissario, intanto, compose un numero sul suo telefono fisso della sua scrivania e attese che qualcun altro rispondesse dall’altro lato, impaziente di sentire quella voce. “- Pronto, avvocato Vargas? Sono Lisandro.” Sentenziò, ad alta voce, girandosi  verso la finestra. “- Commissario! E’ da un po’ che non ci si sente! Come prosegue la sua nuova carriera?”. L’avvocato Rodrigo Vargas era comodamente seduto su una poltrona di velluto rosso e ascoltava attentamente la voce del poliziotto. “- Bene, molto bene. Pensi che a distanza di così poco ho incontrato di nuovo la sua collega, l'avvocato Esmeralda Ferrara e, soprattutto, il vecchio caro Pablo Galindo!” ghignò Roberto, con aria fiera di sé e delle sue malefatte. “- Ah, e come mai? Nuovi casi che riguardano lui o la sua cara sorellina?” borbottò Vargas, con voce ancor più ironica e irritante. “- Nah! Quella lì è sparita dalla circolazione, ma gliene sarò sempre grato! In fondo, se il mio piano di far cacciare Galindo è andato a buon fine, lo devo tutto a lei! Se non si fosse fatta arrestare non avrei mai concluso nulla!” ridacchiò l’uomo con aria subdola e tono malvagio. “- Già. E lo devi anche a me e al mio aiuto, ammettilo, Lisandro!” urlò quasi Rodrigo, firmando distrattamente dei documenti di fronte a sé in quello che doveva essere il suo studio privato, nella sua enorme villa. “- Sì, certo. Questo lo so bene. Ma tu mi aiutasti solo per tuo figlio, Leon. Non sai quanto è cresciuto. Un bel ragazzo ma così scorbutico! Mi attacca in continuazione. Dovresti tenerlo a bada, sai? C’è un bel caso in corso… lui è il bodyguard della Castillo, la figlia delle due vittime… una accertata l’altra non ancora. E poi c’è Galindo… è la guardia del corpo di una donna molto affascinante, la giovane sorella della Saramego, penso avrai sentito del caso riaperto… beh, il meglio non è stato detto dai giornali…” sentenziò Roberto, serio, fissando una foto sulla sua scrivania che ritraeva proprio Violetta, German, Angie e Maria e che aveva sottratto da casa Castillo, per studiarla un po’, insieme ad altri oggetti. “- Ah, come al solito! E fammi indovinare… sospetti che Pablo abbia perso la testa per questa bellezza e che voglia coprirla, vero? Ti piacerebbe! Sai che non sarebbe da lui, come non lo fu quando perse il posto di lavoro…” buttò lì l’avvocato, dall’altro capo della cornetta. “- Già. Galindo è sempre innocente, certo. Ma stavolta sul serio non me la conta giusta. Tu comunque tieni a bada tuo figlio. Ti tengo aggiornato, carissimo socio. Saluti.” Per caso, quell’ultima frase, fu ascoltata da Diego che, da dietro la porta, teneva un caffè amaro e uno macchiato per sé nell’altra mano. Spinse la porta con la schiena, facendo sobbalzare il capo. “- Era ora! Avevo quasi dimenticato dell’ordine che ti avevo dato, Dominguez!” strillò, stizzito, il commissario, facendo sbuffare, vistosamente, il ragazzo che quella volta proprio non riuscì a trattenersi dal farlo. “- Chi doveva chiamare di così importante, signore?” domandò il moro, risedendosi di fronte all’uomo con aria di sfida. “- Vecchi amici.” Sentenziò lui criptico, sorseggiando la sua bibita fumante. Diego sospirò rumorosamente. Era già tanto che non era stato mandato a quel paese, quindi si accontentò di quella frase striminzita del capo. Quel pezzo di chiamata, però, iniziò a farlo riflettere… parlava di Pablo e di Vargas. Aveva detto qualcosa del tipo: “Già. Galindo è sempre innocente, certo. Ma stavolta sul serio non me la conta giusta…”  Perché ’stavolta'? L’altra allora, quando aveva perso il posto era stato sul serio ingannato come già tutti sospettavano? E poi perché quel tipo al telefono doveva ‘tenere a bada' il figlio, mentre si parlava di Galindo? Che si trattasse di Leon? Che il commissario stesse parlando con l’avvocato Vargas? Il ragazzo spagnolo era fin troppo intelligente per far sì che qualcuno gli occultasse qualcosa, così fece due più due e arrivò alla sua, esatta, conclusione. Leon era suo amico storico… doveva sapere di quella strana chiamata. Doveva venire a conoscenza di quella telefonata e aveva intenzione di chiamarlo lui stesso, o meglio, di andare da lui.
“- Dominguez mi hai sentito? Devi andare allo Studio On Beat, subito! Tienimi d’occhio la Saramego e Galindo, scopriamo come… proseguono le loro lezioni…” sentenziò Lisandro, fissando gli occhi scuri e pensierosi del giovane, persosi fino a quel momento nelle sue riflessioni ma avendo captato quell’ultima frase del suo capo. “- Lei ancora sospetta di quei due, commissario?” chiese, sconvolgendo l’uomo, il moro. “- Le ipotesi le faccio io, ragazzino e sì, ancora sospetto di quei due. Vuoi aggiungere altro o ti sbrighi ad eseguire i miei ordini?” tuonò Lisandro, scattando in piedi, tenendo le braccia tese sulla scrivania e minacciando con lo sguardo Diego che si dovette trattenere clamorosamente per non rispondere con un’imprecazione o afferrare per la giacca Roberto. “- Vado.” Balbettò, con aria nervosa il ragazzo. Ottimo, però. Doveva andare allo Studio… lì avrebbe potuto parlare con Leon e forse, avrebbe potuto spiegare qualcosa anche a Pablo.
 
 
“- Leon! Ops, scusatemi…” Diego era entrato nell’aula di danza ma, avendo interrotto l’ennesimo litigio tra Jackie e Gregorio, si dileguò velocemente, prima di poter permettere ai due di prendersela anche con lui.
“- LEON!” urlò Dominguez, aprendo varie porte, tutte errate. Per fortuna, però, si trovò di fronte la giovane Saramego che, riconoscendolo, gli sorrise e lo salutò da lontano con la mano. “- Emh… signorina Saramego, aspetti! Devo chiederle una cosa!” esclamò Diego, correndo verso la donna. Lei di sicuro sapeva dove si fosse cacciato Vargas e decise di chiederglielo. “- Che c’è? Il tuo capo ti ha mandato ad arrestarmi? Non ha il coraggio di venire di persona?” borbottò subito la bionda, mentre l’agente rimase scioccato ad ascoltarla e colpito da quell’atteggiamento così deciso… cavolo quella donna sì che lo metteva in imbarazzo! “- No, no… beh, non proprio… dov’è Pablo?” chiese poi, guardandosi intorno e non vedendo il bodyguard vicino a lei. “- Dalla Sala professori alla classe ce la posso fare anche da sola!” rise la bionda, mentre Diego si poggiò con la schiena al muro, esausto per aver fatto il giro della scuola di corsa in cerca di Vargas. “- Allora? che ci fai qui? Cerchi la fidanzatina?” lo schernì lei, mentre un gruppo di allievi, tra cui vi erano Vargas e Ludmilla, usciva proprio in quell'istante, dalla classe di Beto. “- No. Cerco Leon… Sa dirmi dove posso trovarlo?” sorrise lui, ignorando il fatto che la Ferro lo stesse incenerendo con lo sguardo. “- Proprio lì… io vado, prima che il mio bodyguard sguinzagli un milione gli agenti segreti sulle mie tracce. Ciao, Dominguez!” la donna si dileguò, prima indicando Vargas che li guardava da lontano, e poi salutando con la mano l’agente e allontanandosi per raggiungere Galindo. Diego si incamminò verso Leon e vide la bionda fidanzata correre nella direzione opposta. “- E’ successo qualcosa?” intuì subito Leon, notando però, la distrazione dell’amico. “- Scusa un secondo. Non mi scappare, non muoverti da qui!” urlò il bruno, inseguendo la giovane Ferro che, notandolo, affrettò il passo. “- E tu dici così ai criminali? Allora siamo messi proprio male, Dominguez!” ironizzò Leon, appoggiandosi al muro per attendere l’amico come gli aveva chiesto prima di inseguire la sua fidanzata.
“- Ludmilla! Ehi! Ti stavo per venire a salutare!” esclamò dolcemente Diego, sorridendole e trattenendola per un braccio. La sorpresa, però, fu notare che la giovane era in lacrime e, orgogliosa com’era, subito abbassò gli occhi per non farlo notare. “- Stai piangendo? Ehi, principessa! Dimmi cosa ti è successo, forza!” esclamò lui, alzandole il viso con una mano. “- Vattene! Sparisci dalla mia vita! Lasciami in pace!” urlò, tremante, la ragazza. “- Cosa? Ma che dici bambolina? Io ti amo!” tentò di calmarla lui accarezzandole lievemente una guancia, ignaro di cosa avesse visto e pensato la ragazza. “- Ah, certo! Ami me, la Saramego… e chissà quante altre ragazze e, a quanto pare, anche donne! Basta, ti ho detto di andartene! E’ finita! Io sono una stella e se non mi apprezzi finirai in un buco nero, risucchiato come una formichina!” urlò la giovane, allontanandosi di nuovo e lasciando il moro sconvolto, ipnotizzato dall'ondeggiare frenetico dei suoi boccoli lucenti… poi, finalmente, realizzò. “- Ah! Ludmi! Cos’hai capito! Stavo cercando Leon e ho chiesto ad Angie se lo avesse visto in giro, tutto qui!” sorrise lui, rincorrendola in cortile con un ghigno irritante. “- Avevi detto che stavi venendo a salutare me… non hai accennato alla Saramego o a Vargas. Sei pure bugiardo, complimenti!” Sentenziò lei, sedendosi su un muretto all’esterno della scuola e prendendo a sfogliare degli spartiti nervosamente. “- Ehi! Io amo solo te! Lo vuoi capire?” chiese lui, affiancandola e mettendole una ciocca biondissima dietro l’orecchio, facendola avvampare. “- Non si direbbe. Ma continua pure, continua a essere il rubacuori della situazione… ma fallo senza di me. Tu non mi prendi in giro, chiaro Dominguez? Nessuno prende in giro una Supernova, anzi, la Supernova e futura stella della musica Ludmilla Ferro! Io sono una ste…” ma la ragazza non riuscì a terminare la frase. In un secondo si ritrovò le labbra di Diego incollate alle sue e si lasciò andare a quel bacio tanto passionale ma, allo stesso tempo, dolcissimo. “- Almeno ti ho azzittita!” sussurrò il ragazzo, ancora ad un centimetro dalla sua bocca. “- Me la pagherai, per questo e tanto altro!” Sentenziò lei, alzandosi e rientrando nella scuola, rossa e accaldata per quanto accaduto.
“- Si puo’ sapere che diamine combini? Smettila di giocare al playboy! Ludmilla sta cambiando in meglio e lo sta facendo grazie al fatto che sta con te. Non tradirla e vedi di comportarti decentemente! Chiaro?” Leon era corso in contro all’amico e, avendo capito tutto il malinteso, lo rimproverò, senza mezzi termini. “- La Saramego è indubbiamente bellissima…” sentenziò Diego, facendo sgranare gli occhi all’amico. “- Oh, no! Ti scongiuro dimmi che non ci hai provato anche con lei! TU SEI UN VERME!” urlò alzando gli occhi al cielo Leon, per poi prenderlo subito per il colletto della giacca di pelle e scuotendolo con foga. “- Se mi fai finire di parlare! Dicevo… la Saramego è indubbiamente bellissima… ma io amo la mia Ludmi… e non voglio perderla per una stupidaggine!” concluse Domiguez, serio, mentre Vargas lo lasciò di colpo con aria stranita. “- Una stupidaggine? Le hai sorriso! Ad Angie! Ha ragione la Ferro! Io ti avrei direttamente dato un pugno sul naso e ringrazia che ti abbia fatto solo una partaccia!” esclamò Vargas, sedendosi accanto a lui, nervoso. “- Chiedevo solo dove fossi tu! Devo parlarti! E lei mi ha solo detto dove ti trovassi!” urlò Diego, ormai furioso. “- E tu sorridevi come un cretino per sapere dove mi trovassi, certo!” gridò Leon, affrontandolo a viso aperto. “- Sono un tipo cordiale!” si giustificò lui, evitando di dire che la professoressa di canto lo rendesse abbastanza impacciato e per quello avesse quella faccia da idiota per tutto il tempo che aveva parlato con lei. “- Si, certo! Cordialissimo, soprattuto con le donne alte il doppio di te, bionde e perfette!” rise Leon, sarcasticamente. “- Non dovresti essere con Violetta? La tua fidanzatina?” tentò disperatamente di cambiare discorso l’agente. “- Smettila con questa storia della fidanzatina!” urlò indignato il bodyguard. “- Ah io devo smetterla su una faccenda VERA… tu puoi continuare a dire cavolate su me e la Saramego, ovvio!” esclamò il moro, stizzito. “- Diego ti conosco bene. Se sei innamorato di Ludmilla lascia perdere il resto dell’universo femminile… in caso contrario… beh, in quel caso lascia in pace la Ferro e non la ferire! Quella tipa, se fatta soffrire, potrebbe diventare ancor peggio di quando ancora non stava con te!” gli ordinò il ragazzo dai capelli castani, serio. “- Non ti scaldare, amico! Fidati! Ho messo la testa apposto e voglio stare solo con la mia amata biondina!” ghignò Diego, dando una pacca sulla spalla alla guardia del corpo che annuì, soddisfatta. “- Spero che ti riferisca alla biondina giusta.” Sibilò poi, tra i denti, Leon, pungente come al solito. “- E smettila, idiota! Comunque sono qui per qualcosa di molto importante… riguarda Lisandro e sospetto c’entri anche tuo… padre.” Sentenziò, facendosi serissimo, il poliziotto. “- Che cosa? E quando avevi intenzione di dirmelo? Parla!” ordinò Leon venendo fissato in malo modo dall’amico. “- Tu hai il vizio di non lasciar finire di parlare le persone, vero? Allora… se stai zitto e mi fai raccontare, io te lo racconto! Dunque… ho sentito una frase di una telefonata del commissario… diceva qualcosa del tipo: ‘Galindo è sempre innocente... Ma stavolta sul serio non me la conta giusta. Tu tieni a bada tuo figlio. Ti tengo aggiornato, carissimo socio.’ Per me parlava con l’avvocato Vargas. Tu che dici?” chiese Dominguez, con tono freddo e confuso. Leon annuì con tono afflitto. “- E' chiaro che parlava con il suo socio subdolo quanto lui! Perché non lo sapevi che era tutto un complotto contro Pablo? Io ci ero già arrivato da me e anche tu lo sapevi già!” borbottò l’altro, per poi perdersi nuovamente nei suoi pensieri quando, d’un tratto, il cellulare cominciò a suonargli con insistenza… lo estrasse dalla tasca e ne osservò il display… rimase impietrito nel leggere quel nome illuminato e lampeggiante sullo schermo e il moro lo risvegliò con una gomitata. “- Allora, che hai, adesso?” chiese, mentre il ragazzo continuava a tenere gli occhi fissi sul piccolo monitor. “- Temo che sia lui e, soprattutto, temo che tu abbia ragione. Lisandro stamattina parlava con l’avvocato Rodrigo Vargas e oltre a compiacersi della trappola in cui hanno fatto cadere Galindo… beh, parlavano anche di me.” sbuffò Leon, ignorando la chiamata e riponendo il cellulare in tasca, più confuso che mai.
 
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Eccoci al quindicesimo capitolo… ricapitolando… Fede e Fran si sono fidanzati! Che dolci… *-* Poi il commissario ha parlato all’avvocato e Diego, avendo sentito una frase della conversazione, è subito corso da Leon, suo amico fidato… peccato per lui si sia ritrovato di fronte la bella Saramego, provocando le ire della Ferro… si riappacificheranno? Chissà… ;) il giovane bodyguard, intanto, riceve una telefonata importante ma che ignora… come continuerà la storia? Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 16
*** Incontri e scontri. ***


“- Quando ti deciderai a rispondere al cellulare?” domandò Violetta, avvicinandosi fuori scuola a Leon che parlottava in maniera fitta con Diego, tenendo però ancora il telefonino che squillava all’impazzata tra le mani e continuando ad ignorarlo. “- Non adesso, anzi, forse mai.” Sentenziò serio Vargas, con gli occhi fissi di fronte a sé, lasciando stupiti i due, sia Diego che, ancor di più, la giovane. “- Chi è di così antipatico da non volerci parlare?” tentò di sapere la ragazza, curiosissima. “- Nessuno.” Borbottò il giovane, prendendo, finalmente, a guardarla negli occhi con una forza tale da non farle più aggiungere altre domande. “- Dominguez! Ci sono novità sul caso? Come mai sei qui?” disse poi lei, voltandosi verso il moro e sedendosi sul muretto. “- Sì… o meglio no… Lisandro voleva che venissi qui per controllare tua zia e Galindo. Ancora non si fida di quei due…” sibilò l’agente, osservando proprio i due professori che stavano uscendo in quell’istante dall’accademia e si fermarono a chiacchierare allegramente davanti all’entrata dell’edificio. “- Diego era venuto qui per avvisarmi di mio padre. E’ lui che mi sta chiamando in continuazione. Il commissario ha detto che l’avvocato Vargas deve tenermi a bada.” Esclamò, con aria serissima e, a sorpresa, Leon. Entrambi gli altri due, notarono che non aveva detto “mio padre” come avrebbe dovuto. L'aveva chiamato “l’avvocato Vargas”, come il celebre uomo della legge qual era, con cui il ragazzo era in pessimi rapporti. “- Ah, capisco.” Esclamò Violetta, comprendendo il perché il giovane avesse rifiutato quelle telefonate.
A far cambiare discorso agli amici, però, ci pensò, Ludmilla che, in quell’istante, uscì come una furia dalla scuola e Diego si alzò di colpo per avvicinarsi  verso l’ingresso, convinto che la sua fidanzata andasse da lui… Leon e Violetta lo seguirono ma rimasero tutti e tre impietriti a metà strada, quando videro che, in realtà, la biondina si parò di fronte ad Angie e la fissava con aria di sfida, come solo lei sapeva fare, con l'aria di chi voleva incenerire una rivale con lo sguardo. “- Ti serve qualcosa, Ludmilla?” chiese la donna, notandola, e facendo sì che Pablo si azzittisse di colpo. “- Sì. Che lei si tolga dai piedi!” urlò la giovane, mentre tutta la scuola si accerchiò intorno a lei, con curiosità. “- Oh no…” balbettò Leon, serissimo, avendo già capito tutto, mentre Dominguez se la rideva soddisfatto… insomma, due bionde che stavano per litigare per lui… lo considerava un onore senza precedenti...
“- Che diamine ridi? Qui succede il finimondo! Cosa vuole da mia zia con quel tono da spavalda?!” disse Violetta preoccupata, mentre il ragazzo continuava ad osservare in quella direzione, con aria divertita. “- Ma dai! Non vedi che stanno per accapigliarsi per me? Ah, sono proprio un playboy senza precedenti!” ghignò Diego, ignorando le possibili e pericolosissime ire di Ludmilla. “- Taci, almeno sentiamo cosa vuole dirle!” urlò la Castillo, mentre Leon alzò gli occhi al cielo,  per poi dare uno scappellotto all’amico. “- Ma sei idiota? Invece di startene qui a sghignazzare va’ a fermare la tua fidanzata!” esclamò poi Vargas, spegnendo il cellulare che continuava a vibrare e suonare senza sosta cominciando a diventare fin troppo fastidioso. “- Aspetta… fammi vedere cosa dicono di me, magari parleranno dei miei muscoli… poi se arrivano alla rissa vado a placare gli animi!” ghignò Diego, restando poco lontano dalle due. “- Ludmilla io proprio non capisco cosa intendi con…” tentò di dire la Saramego, con aria scioccata, alzando le spalle perplessa. “- Ah non capisce? Glielo dico io, professoressa! LASCI IN PACE IL MIO RAGAZZO, ok? Sono stata abbastanza chiara?” urlò, con voce stridula, la biondina. Ci fu un momento di sconvolgimento totale tra tutti all’esterno dello Studio e la stessa Angie non sapeva cosa dire. “- No, senti, prima cosa tu qui fuori non strilli contro di me mantenendo questo tono alterato! Secondo: io non so nemmeno chi sia il tuo ragazzo né starei mai con un moccioso della tua età… quindi ti stai sbagliando di grosso!” si giustificò, acidamente, l’insegnante, mentre Pablo la fissava, rimasto come impietrito e non sapendo proprio a cosa si riferisse l’allieva. “- DIEGO! DANNAZIONE! Fa’ qualcosa!” urlò Violetta, intimando il poliziotto che, controvoglia, iniziò a sembrare voler andare verso le due ma poi, dopo un solo passo, si bloccò e si voltò di nuovo verso i due amici.
“- Ma è impazzita? Tra me e Angie non c’è assolutamente nulla! Come diamine ha potuto solo pensare una cosa del genere? E vabbè che sono fin troppo affascinante e che anche la Saramego è dannatamente sexy ma da qui a provarci con lei… stavamo parlando! Ecco tutto!” commentò ancora Diego, continuando a non muoversi di un centimetro. “- O vai o ti tiro un cazzotto, oppure ti ci mando io con un calcio nel sedere… a te la scelta!” strillò Leon, dandogli uno spintone che per poco non fece ruzzolare al suolo il moro. Dominguez lanciò un’occhiataccia all’amico e avendo attirato l’attenzione delle due litiganti, cominciò, finalmente, a percorrere il pezzo di strada che lo separava da loro. “- Ehi, bellezze! So che sono molto bello, tanto da far impazzire ma calmatevi! Ludmilla, lei non c’entra nulla! Stavamo solo parlando!” esclamò Diego, con la sua solita aria sicura di sé. “- Ah, quindi è lui il tuo ragazzo! E pensavi che tra noi due… è ridicolo, Ferro!” esclamò Angie, indicando Dominguez che alzò un sopracciglio come per accentuare il fatto che la cosa, invece, se lui avesse voluto, sarebbe potuta anche accadere. “- Ah, ridicolo! Non credo visto che ha già fatto apprezzamenti su di lei in varie occasioni! E lei, poi… non mi sembra che le sia indifferente!” urlò Ludmilla, agitando i suoi boccoli dorati con aria stizzita. “- Diego tu che cosa? Che diavolo hai detto?” strillò Angie, sgranando gli occhi. “- E dai, tesoruccio, era solo un commento innocente… piccolino! Io ti amo e non vorrei mai perderti quindi…” ma la Ferro lo interruppe, fulminandolo con lo sguardo. “- TACI! Sei l’unico che non è in diritto di parlare! Questo era un avvertimento, Saramego! Il prossimo non lo sarà!” urlò la biondina, agitandosi come una vamp per voltare le spalle alla “rivale” e rientrare  nella scuola, diretta agli armadietti. “- Prova un’altra volta ad usare questo tono con me e ti porto dal preside!” urlò la donna, facendola rivoltare, quando la folla, intorno a loro, si era già diradata. “Ah, sì? bene, ma se lo farà sappia che io potrei dire ad Antonio che lei ci prova con gli studenti, seppur lui non lo sia… o meglio, potrei anche portarla direttamente in commissariato con qualche accusa fasulla! E non ho paura di farlo, sa? Io sono Ludmilla Ferro. Difendo ciò che è mio con le unghie e con i denti. Vedremo poi il preside a chi darà ragione tra una povera, innocente alunna… o una docente che ha perso completamente il senno! Ludmilla se ne va!” urlò la ragazzina schioccando le dita, rivoltandosi e entrando nello Studio. Angie rimase sbigottita a fissarla, con aria persa nel vuoto. “- COSA DIAMINE HAI FATTO? Ti lascio sola 5 minuti! 5! E ti accusano di averci provato con Dominguez? Ti è dato di volta il cervello?!” Pablo, rimasto zitto fino a quel momento, sbottò con la sua prevedibile ramanzina nei confronti della donna, avendoci capito poco o nulla ma avendo colto il necessario per partire in quarta con il suo sermone. Era rimasto deluso… pensava che lei stesse cambiando ma quella discussione lo demoralizzò abbastanza, lui credeva in lei e questo lo rendeva convinto che avrebbe potuto tornare quella di un tempo come gli aveva dimostrato varie volte ma adesso... adesso le sue speranze di riportarla al passato cominciarono a vacillare. “- Io non ho fatto niente! Diego! Dì qualcosa tu, dannazione!” urlò la bionda, mentre Dominguez annuì con aria seria. “- Che c’è? Non mi credi  nemmeno tu? Ti pare che io e il ragazzino…? Ma fammi il piacere!” esclamò Angie, ormai rossa in viso per la rabbia e per l'imbarazzante situazione. “- Piano con le parole! Ragazzino a chi, bambolina?!” esclamò Diego, fissandola e ghignandole. “- E smettila, Dominguez! Se Ludmilla è sul serio la tua ragazza vacci a parlare, no?” strillò Galindo, facendo finalmente muovere l’agente che, scuotendo il capo, si precipitò all’interno dell’accademia. “- Ok, adesso spiegami come mai flirtavi con il ragazzino!” disse, stizzito, il bodyguard, incamminandosi verso il parcheggio sul retro dell’edificio.
“- Per l’ultima volta! Stavamo chiacchierando! Nient’altro! Ma tanto chi crede all’insegnante eccentrica? Nemmeno tu mi credi, figuriamoci!” sentenziò, acida come sempre, la bionda, sedendosi in auto e sbattendo con stizza la portiera. “- Sì ma come cavolo…? Ok, devo calmarmi.” Disse, tra sé e sé ma ad alta voce, il moro. Si rese conto che la cosa lo innervosiva tantissimo… insomma lei ancora aveva intenzione di continuare con quel vecchio stile di vita? E per quanto avrebbe potuto continuare così? In cuor suo voleva, con tutte le sue forze, credere che fosse innocente, su tutti i fronti… ma lei gli rendeva tutto così dannatamente difficile! “- Cosa? Ti ho detto che non c’entro niente con questa stupida ipotesi della fidanzatina gelosa! Per favore, almeno tu devi fidarti di me!” esclamò la bionda, fissandolo, mentre lui non staccava gli occhi dalla strada per non perdersi in quelli verdi e magnetici di lei. “- Spero per te che la ragazzina non parli delle sue teorie al preside o, peggio ancora a Lisandro. Allora sì che saresti in guai seri. Ma se la smetti di agire come una folle potresti anche passarla liscia!” Borbottò Galindo, tamburellando nervosamente con le dita sul volante. “- Quindi nemmeno tu mi credi? Ottimo! Con tutti i pregiudizi in giro su di me sono davvero nei guai!” sentenziò la Saramego, appoggiando la testa al vetro del finestrino, con aria sconsolata. “- Non ho mai detto che non ti credo…” disse, dopo un minuto di silenzio, la guardia del corpo. “- Bene…” ribatté lei, apparentemente soddisfatta ma ancora demoralizzata. “- Se smetto di crederti anch’io non vedo chi potrebbe aiutarti!” esclamò l’uomo, fissandola per un secondo, per poi tornare ad osservare la strada, notando che era scattato il semaforo verde. “- Già.” Sbuffò lei, seria, prendendo ad osservare il panorama che sfrecciava veloce alla sua destra. Ad un tratto, un sms fece sobbalzare Galindo che di colpo passò il cellulare alla bionda chiedendole di leggerlo ad alta voce. “- Non credo voglia saperlo…” borbottò lei, incupendosi ancor di più mettendo ancora più ansia all’uomo. “- Leggi, dai!” ridacchiò nervosamente lui, non immaginando di cosa si potesse trattare. “- ATTENZIONE GALINDO! A QUANTO PARE I RAGAZZINI HANNO SEMPRE PIU’ FASCINO! ;). C'è anche lo smile, incredibile!”. Esclamò, con aria sconvolta, la donna. “- Tu hai capito? Il killer, a causa tua, mi prende in giro! E soprattutto, come diamine fa ad avere il mio numero?!” strillò Pablo, serio e agitatissimo.
“- No, non ci credo! In più mi sta accusando di aver a che fare con Dominguez! Cosa vuole questo folle adesso?!” urlò Angie, esasperata, lanciando il cellulare del bodyguard sul cruscotto anteriore. “- In realtà c’è una cosa importante da aggiungere…” sentenziò, prendendo a riflettere, l’ex commissario, con aria seria. “- Sì! Ti sta mettendo in guardia convinto che siamo fidanzati! Ecco cosa c’è da aggiungere!” strillò la bionda stizzita, portandosi una mano alla fronte con aria stanca e nervosa. “- No, un’altra cosa intendevo… lui c’era. Era lì quando Ludmilla ti ha fatto la scenata… ci sta seguendo, Angie! E’ più vicino di quanto non potessimo immaginare! Ha anche il mio numero!” esclamò, con un lampo di genio, la guardia del corpo. “- E se questo sms non avesse a che fare con lui? se semplicemente  c’entrasse Ludmilla e te lo abbia mandato per provocarti? Insomma… quella mocciosa è capace di ottenere un numero di cellulare quando vuole! Non sarebbe quello il problema per lei!” spiegò Angie, prendendo a fissare Galindo che annuì, senza troppa convinzione. “- Puo' essere, certo ma vedi... Angie, io non credo alle coincidenze… dico che il nostro amico folle continua a spiarci e che lo farà ancora per molto.” Sentenziò l’uomo, iniziando a parcheggiare di fronte a villa Saramego. “- Da brividi.” Commentò lei, affondando nel sediolino, come per voler restare al sicuro da quel misterioso e spaventoso ipotetico killer.
 
 
“- Devi accompagnarmi in centro, per favore!” Violetta ricorreva Leon per le scale di casa Fernandez, mentre il ragazzo continuava ad ignorarla… sapeva dove la giovane volesse andare e non era per niente d’accordo. “- Leon! Per me è un amico importante e dobbiamo chiarire! Voglio parlarci! Ti prego! Se non mi ci accompagni tu da questa periferia sperduta non potrò raggiungerlo!” esclamò lei, mentre la nonna, dalla cucina, ascoltava con aria sorniona continuando ad affettare degli ortaggi per la cena. “Tanto meglio! Punto primo io non sono il tuo chauffeur privato, trovati un autista che ti scarrozzi a destra e a manca, io faccio già un altro lavoro! E punto secondo, io da Heredia non ti ci porto nemmeno morto. Non voglio neppure vederlo a scuola figuriamoci se vado a trovarlo a casa sua, magari con un bel mazzo di fiori in mano! No!” tuonò, seccamente, Leon, afferrando una bottiglia di cola dal frigorifero e versandosene un bicchiere fino all’orlo. “- Ti scongiuro! E poi tu non devi entrare! Mi aspetterai fuori. Io devo sentirmelo dire da lui! Non puo’ ignorarmi così!” esclamò lei, con decisione, portandosi le braccia alla vita e impuntandosi come al solito su quello che voleva. “- Ma dai! Che ti frega di quello sfigato! Ti ha fatto soffrire per pura gelosia! Lascialo perdere!” ridacchiò Leon, appoggiandosi con la schiena al lavello e cominciando a sorseggiare la bibita. “- E’ una questione di principio! Non puo’ trattarmi così e evitarmi in quella maniera solo perché sta con Emma, adesso!” strillò lei, afferrando anch’essa la bottiglia dal tavolo e versandosi un po’ di Cola. Angelica era passata a stirare in salotto non appena i ragazzi erano scesi in cucina e li ascoltava, sorridendo… aveva capito già tutto, aveva intuito perché Leon non volesse accompagnarla e anche perché odiasse così tanto quel loro compagno di scuola… “- E va bene, andiamo! Se proprio vuoi star male ancora per lui io ti ci porto! Ma non dire che non ti avevo avvertito!” esclamò, d’un tratto, Vargas, facendo roteare in aria un mazzo di chiavi, quelle della sua Porche, per poi afferrarlo al volo.
“- Nonna noi andiamo un secondo in centro… ma torniamo presto, ok?” la rassicurò la ragazza, soddisfatta per aver convinto la guardia del corpo e andando a schioccare un bacio sulla guancia di Angelica. “- Ah, perfetto, tesoro. Andate piano e fate attenzione! Chiama quando arrivi, anche solo uno squillo, d’accordo?” chiese la donna, abbracciando la nipotina. “- D’accordo.” Sorrise lei, stringendo l’anziana con dolcezza. “- Glielo faccio io lo squillo… tanto pur di non vedere quel brutto grugno, attenderò in auto…!” aggiunse Leon, avviandosi verso la porta, dopo essersi infilato una sottile giacca di pelle nera. Angelica annuì con un sorriso e seguì la Castillo e il bodyguard sino al portico per poi salutare con entusiasmo i due giovani che salirono in macchina e si avviarono verso la città.
“- Dove abita il… il ‘carissimo’ Heredia?” disse, solo dopo una mezz’ora di viaggio, Leon. “- Poco più avanti dello Studio… prosegui dritto.” Spiegò lei, quando ormai erano a pochi passi dall’abitazione. “- Apri bene le orecchie... io ti lascio andare… ma se succede qualcosa basta che urli e io corro, ok? Non potrei neppure farti entrare da sola!” si raccomandò Leon, fissandola annuire decisa e scendere dalla macchina. Si erano fermati di fronte ad una modesta villetta bianca, dal giardino curatissimo e con un cancello verde non troppo alto.  Violetta suonò ripetutamente, fino a quando, una donna mora, sulla quarantina, le si avvicinò con un sorriso. “- Violetta! Che bella sorpresa!” sorrise la signora dal marcato accento spagnolo. “- Salve signora Heredia, Thomas è in casa?” chiese la giovane, con gentilezza. “- No, mi dispiace ma è a casa Toledo… è andato a trovare Emma, la figlia del sindaco. Sai dove abita o posso indicartelo io?” esclamò la donna, mentre, a quelle parole, la giovane era sbiancata e doveva avere una faccia quasi preoccupante tanto che la madre di Thomas chiese se si sentisse bene, prendendole dolcemente le mani. “- Sì, sto benissimo. So dove abita… comunque grazie. Buon pomeriggio.” Salutò, con aria quasi rammaricata, la ragazza. Quando Leon la vide rientrare si meraviglio della rapidità della visita… avendo parcheggiato poco più avanti della casetta non sapeva dell’incontro al cancello della giovane con la mamma del ragazzo. “- Non ti ha voluto parlare? Tzè… lo immaginavo, quel vigliacco!” sibilò subito Vargas, alzando un sopracciglio con aria stizzita. “- Non c’è. E’ da Emma… sai arrivare a villa Toledo?” chiese la ragazza, sbattendo la portiera. “- Cosa? E tu ci vuoi andare? Sei forse impazzita? Te ne pentirai, te lo dico io…” sentenziò Leon, serissimo. “- Portami da lui. Non mi interessa niente di Thomas, ormai… quindi non soffrirò. Ma mi deve dire in faccia quello che pensa. Non deve trattarmi così, ignorarmi ancora.” Ribatté con forza, la giovane , fissando la strada di fronte a sé con aria decisa e forte. “- Come vuoi… ma se non ti interessa come dici non capisco perché tu ci voglia tanto andare!” borbottò Leon, mettendo in moto e dirigendosi verso la casa del sindaco, villa che conosceva bene, come tutti gli abitanti della città d’altronde. “- Eccoci, qui però non ti faranno entrare senza un pass o qualcosa del genere.” Sentenziò Leon, arrivato di fronte all’enorme reggia dei Toledo. “- Entra con me. Diremo che siamo qui come ospiti di Emma! Dai!” sorrise lei, fissando l’aria scocciata del ragazzo che, però, non disse di no ma sbuffò sonoramente. “- Salve, voi siete?” la guardia all’ingresso li fermò subito, mentre con l’auto erano bloccati dalla sbarra protettiva. “- Ospiti della signorina Toledo. Siamo compagni di scuola.” Mentì Leon, con un ghignetto sornione. “- Nomi, prego?” chiese l’uomo, con una ricetrasmittente tra le mani. “- Senta… dobbiamo farle una sorpresa! Lei non sa che siamo qui! Ci faccia entrare!” sorrise Violetta, sporgendosi verso il finestrino di Vargas che annuì con una faccia buffissima e alquanto scocciata da quella situazione. La guardia li fissò… erano innocui, due ragazzini allegri e sorridenti, così, decise di farli passare senza fare troppe domande. “- Ed ora dove diamine parcheggio?” si chiese tra sé e sé Leon, girando in una sorta di enorme rotonda che mostrava per intero l’enorme facciata di quella villa. “- Caspita! E’ un castello!” urlò poi il ragazzo, rallentando e girando il capo verso un vialetto stretto che dava sul retro della casa, da cui si udivano delle risate festose. Violetta gli fece cenno di fermarsi e scese, lasciandolo nell’auto appena fuori da quella stretta stradina che lei aveva intrapreso a piedi. Camminò spedita facendosi guidare da quelle voci e, da dietro l’angolo della casa, vide una scena che la lasciò sconvolta. Non ci restò male, lei non provava nulla per lui… ma, sicuramente, la cosa la scioccò un pochino. Thomas era in acqua, in un’enorme piscina e attendeva che Emma si tuffasse da un piccolo trampolino azzurro. Ridevano e scherzavano, erano felici e si vedeva. Ad un tratto, la ragazza fece per voltarsi, intenzionata a lasciare quel posto ma, facendo cadere un vaso da uno dei davanzali più bassi, provocò un tonfo che fece girare i due giovani verso di lei che rimase impietrita, non sapendo cosa dire o fare in quella brutta situazione. “- Violetta.” Disse serio Thomas, mentre la bionda rimase sconvolta da quella visita. “- Ci stavi spiando?” esclamò la Toledo, un po’ stizzita e temendo la rivalità della giovane. “- No io non volevo spiarvi! Sono venuta solo perché devo parlare con te.” Sentenziò  con forza e decisione la Castillo fissando lo spagnolo, facendo sì che lui uscisse, finalmente dalla piscina e le si avvicinasse… Emma, dal canto suo, non si mise vicino ai due ma si andò a stendere su un lettino per prendere il sole, luogo da cui aveva comunque un’ottima visuale e audio. “- Cosa ti ho fatto per perdere in questa maniera la tua amicizia?!” iniziò subito lei, andandogli sempre più vicino, con aria triste. “- Amicizia! Ecco il problema! Tu non mi hai mai visto come altro! Non hai mai capito quanto ti amassi! E poi quel Leon… chiedi anche cosa hai fatto? Ma smettila! Tutto questo è ridicolo!” esclamò lui, senza darle neppure il tempo di fiatare. “- Io sono sempre stata chiara con te! Eri tu quello che si è immaginato tutto! E poi io e Leon non stiamo insieme!” urlò quasi la ragazza, avvampando per la rabbia. “- Ah, certo! E la sera che non venisti al locale con noi per un ‘impegno improrogabile’ con tuo padre non era perché era arrivato lui? La scenata di gelosia alla serata karaoke non l'ha fatta forse quel Vargas, quando salì sul palco come una furia? Smettila, ok! E adesso vattene!” la cacciò Thomas, facendo sì che gli occhi le diventassero lucidi e cominciassero a pizzicarle sempre di più. Era solo un verme. Se non poteva stare con lei allora la voleva solo ignorare, la trattava malissimo e nemmeno le voleva più rivolgere la parola… eppure non gli aveva mai dato l’impressione di essere innamorata di lui! Lo voleva come amico, punto. Ma a lui non bastava… aveva perso la testa per lei, completamente… si voltò e stava correndo verso la macchina di Leon, in lacrime ma Vargas le si parò contro e l’afferrò tra le braccia, mentre lei si lasciò andare ad un pianto liberatorio, con il viso contro il petto muscoloso del giovane bodyguard. “- Perché mi tratta così? Io lo odio! Lui non puo’ essermi neppure amico! Avevi ragione, sai? Non dovevo neppure venirci!” disse lei, tra i singhiozzi, mentre Leon la teneva stretta sé e le accarezzava dolcemente la schiena, un po’ in imbarazzo ma irritato da quel codardo di Heredia. “- Aspettami qui. Devo scambiare quattro chiacchiere con qualcuno.” Sibilò, serissimo, Vargas, lasciandola lì impalata e avviandosi con passo fiero verso la piscina, facendo restare la giovane imbambolata, ancora con le lacrime agli occhi a fissarlo intraprendere la direzione da cui lei era appena fuggita via. Emma lo avvistò subito e lo saluto con la mano, tuttavia stupita della sua presenza lì. “- Ehi tu, vieni qui!” urlò con tono fermo Leon, mentre Thomas era di nuovo in acqua e lo fissava con aria tra lo scioccato e l’impaurito… non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura ma Leon gli metteva una fifa terribile. “- Ah! Tu! Non ti è bastata la rissa nel locale? Ne vuoi altre?” provocò subito Heredia, saltando agilmente fuori dalla vasca. “- Mi pare che chi le abbia prese sia stato tu… e comunque sono qui per parlare, ok? Tu Violetta in quel modo non la tratti. Non le parli così, non ti comporti in quella maniera orrenda, da verme! Chiaro?” strillò Vargas, fuori di sé, dando uno spintone che fece indietreggiare lo spagnolo, pronto per affrontarlo a muso duro. “- Ah sì? altrimenti cosa mi fai?” lo sfidò Thomas, ricambiando alla spinta del giovane messicano ma non smuovendo la guardia del corpo di un millimetro. “- Ti faccio nero, come l’altra volta… non dirmi che non ti ricordi?!” disse, con calma, il bodyguard, come se nulla fosse. “- Ragazzi, basta! Smettetela!” Emma era arrivata verso di loro e trattenne il suo ragazzo per un braccio. “- Questa è proprietà privata, Vargas… prendi le tue cose, la ragazzina infantile e volubile con cui sei venuto e vattene!” strillò Heredia, con un ghigno malefico. Violetta, intanto, era arrivata nei pressi della vasca e assisteva un po’ impaurita, alla scena.  Leon non ci vide più… avrebbe tanto voluto trattenersi ma non ce la fece proprio… assestò un pugno sul naso di Heredia che, sorpreso per il colpo, cadde dritto in piscina, ancora frastornato. “- Ti avevo detto che eri sempre tu quello che le prendeva! Lasciala in pace, ok? Verme che non sei altro!” gli urlò, con rabbia, Vargas che se non fosse stato trattenuto dalle due ragazze, forse, si sarebbe tuffato anche in acqua per suonargliele ancora di santa ragione. “- Leon, non so come abbiate fatto ad entrare ma andate via di qui! Non costringermi a chiamare la sicurezza!” strillò Emma, infuriata e spaurita per il sangue che fuoriusciva dalla narice destra di Thomas. “- Adesso forse gli sarà più chiaro il concetto!” disse con una calma agghiacciante, Leon, afferrando Violetta per la vita e tornando in direzione della macchina con passo veloce. “- Leon… perché?” chiese lei, seria, quasi con la voce tremante, seguendo il ragazzo che, ormai avendola preceduta e dandole le spalle a lei, si bloccò di colpo a quella frase. “- Se lo meritava. Pensavo di essere stato chiaro già la sera del karaoke, a quanto pare non gli era bastato ancora!” disse, con sguardo fisso e fiero di fronte a sé il giovane, senza nemmeno voltarsi per guardarla… sapeva di aver sbagliato nel picchiare Heredia e non aveva il coraggio di affrontare gli occhi di lei, di sicuro arrabbiata per quel gesto. “- No… intendevo, perché? Perché lo odi tanto? Perché non sopporti la sua presenza, neppure a chilometri di distanza?” domandò lei, ad alta voce, quando ormai furono fuori dalla visuale dei due nella piscina. “- Non lo so. Odio istintivamente chi si comporta come lui, chi è così stupido, arrogante e malvagio. Sì. Lui è anche subdolo. Nessuno ti parla così. Tu solo sai quanto hai sofferto, tu sei più matura di lui e me messi insieme, tu non sei volubile, non cambi idea, sei sempre stata fin troppo chiara con quell’idiota e se c’è un cretino che non è capace di afferrare un concetto quello è lui.” sentenziò Leon, finalmente, voltandosi verso di lei con aria quasi intimidita, per paura che lei potesse giudicare il gesto di qualche minuto prima e quelle parole dette. “- Tu ti meriti qualcuno di migliore… un ragazzo che ti ami, che non sia ottuso come lui, che sappia capire quanto vali e, soprattutto, che ti rispetti.” Aggiunse, con gli occhi bassi, Leon, camminando verso di lei con passo meno sicuro del solito. Non capiva cosa gli stesse prendendo. Era come se le gambe e la bocca non fossero connesse al cervello… come se il collegamento fosse stato deviato verso la direzione che portava al cuore. Già, quello, al momento, stava avendo la precedenza e lui, per quella volta, lasciò correre… anche perché nemmeno si rese bene conto di ciò che stava facendo, o forse, lo sapeva fin troppo bene. Senza che lei potesse parlare o aggiungere nulla, le prese il viso tra le mani e appoggiò le sue labbra contro quelle della giovane che rimase impietrita e sconvolta. Leon la stava baciando? Nemmeno riuscì a realizzare subito quello che stava accadendo… ma poi, quando il ragazzo iniziò a dedicarsi a quel gesto con più passione la sua mente si annebbiò completamente e riusciva a sentire solo i battiti a mille del suo cuore, impazzito, come se avesse voluto saltarle fuori dal petto. Leon si staccò dolcemente e, fissandola intensamente negli occhi notò che lei era fredda, perplessa… non disse nulla ma rimase deluso di quella reazione. Le diede le spalle e arrivò all’auto, ma una voce lo fermò di colpo. “- Leon!”. Il giovane si voltò di scatto e vide che Violetta gli stava correndo in contro e tutto accadde in un attimo che parve eterno ad entrambi: la ragazza gli buttò le braccia al collo e, mentre lui era appoggiato con la schiena all’auto, lo baciò con una travolgente passione, lasciandolo felicemente sorpreso e facendo sì che si lasciassero andare a quella intensa emozione che sentivano entrambi, fin troppo travolgente, in quell’istante. Leon pensava che lei non avesse voluto quel bacio precedente, che avesse sbagliato a farsi avanti in quel modo, che tutto quel senso di protezione che provava nei suoi confronti fosse dovuto solo al suo lavoro. L'aveva considerata come una bambina, come una piccola e fragile personcina da proteggere. No. Si era sbagliato e finalmente lo ammise a sé stesso. Lui provava qualcosa di forte nei confronti della ragazza, qualcosa che non aveva mai sentito in tutte le storie avute in passato. Quelle erano dovute unicamente all’attrazione… questo era qualcosa di più forte, era amore, quello con la A maiuscola, quello vero. La ragazza si staccò con la delicatezza di una farfalla leggera e lo osservò  dolcemente, perdendosi in quegli occhi verdi come le profondità cristalline e limpide dei mari di qualche paradiso tropicale ancora sconosciuto. “- Andiamo a casa…” gli sussurrò lui, ancora ad un centimetro dalle sue labbra, facendola annuire debolmente e accarezzandole teneramente una guancia, facendola arrossire ancor di più di quanto non lo fosse già. Si sedettero in auto e, in un imbarazzante silenzio, la ragazza fece una domanda che lasciò stupita la guardia del corpo. “- Mi prometti che starai sempre con me? Che non mi abbandonerai anche tu? Tutti quelli che amo se ne vanno, prima o poi…” sentenziò, fissando fuori dal finestrino, quando ormai erano nei pressi di villa Fernandez. “- Te lo prometto. Non ti lascio sola, Vilu. Ora devo proteggerti ancor di più. Adesso ho un vero e proprio motivo per farlo…” disse il giovane, parcheggiando di fronte casa di Angelica.
“- Di chi è quell’auto? La nonna ha ospiti?!” Chiese la ragazza indicando una Mercedes nera e fiammante, posteggiata proprio fuori dal cancelletto esterno. “- Andiamo…” esclamò lui, pensieroso e preoccupato da quell’inaspettato visitatore, collegandolo, erroneamente, subito al caso Saramego.
“- Singora Fernandez, questo caffè è straordinario!” si congratulò un uomo, nella cucina di Angelica che sorrise educatamente, ringraziandolo. “- Leon starà per arrivare, ah! Eccolo!” esclamò l’anziana donna, sentendo lo scatto delle chiavi proveniente dalla porta. “- Ragazzi, venite in cucina, Leon, c’è una persona che vuole vederti…” sentenziò la Fernandez, conducendo i giovani verso la stanza da lei indicata. Leon, avendo riconosciuto già dalla schiena, quella persona, sbiancò e un senso di rabbia lo attanagliò dal profondo… cosa diamine ci faceva lì? “- Avvocato Vargas!” esclamò, facendolo voltare. “- Leon…” disse lui, alzandosi in piedi e appoggiando la tazza sul tavolo, nella suo elegante piattino. Angelica strinse in un abbraccio la nipote e la condusse in soggiorno, consapevole che quei due sarebbero dovuti restare da soli a parlare… e, dalle loro facce serie, non sarebbe stata una conversazione amichevole.
 
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 Baci Leonetta! Non resistevo più! Piaciuto il capitolo? Andiamo con ordine… Ludmilla fa una scenata nel suo stile alla povera Angie e Pablo, in auto, riceve uno strano sms… dispetto della Ferro o il folle ha ripreso a contattarli e li segue a vista? Chissà… ma andiamo a quella splendida parte centrale… Thomas le riprende da Leon! XD E splendido bacio, prima da parte di lui e poi da parte di lei… awefrgygtyh *-* Niente, sclero ancora adesso. Passiamo a questo finale movimentato… l’avvocato Vargas ha trovato Leon! Cosa si diranno? Tenetevi pronti che il prossimo capitolo sarà ancora più movimentato… questo intanto voglio dedicarlo in particolare a Sweet_Trilly e Syontai ma, ovviamente è per tutti gli amanti della Leonetta che mi stanno seguendo con questa storia e continuano a recensire con gentilezza! GRAZIE! ;) Alla prossima, Ciao! :)

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Capitolo 17
*** Recuperare un rapporto. ***


“- Cosa sei venuto a fare, scusa? Se non ti ho risposto al telefonino è perché non volevo né vederti, né sentirti come da più di un anno a questa parte.” Leon era in piedi di fronte a suo padre, l’importante e celebre avvocato Rodrigo Vargas che lo fissava con aria nervosa e, come al solito, di superiorità. “- Ho parlato con Lisandro.” spiegò subito l’uomo, sedendosi al tavolo e dando le spalle al giovane che, aggirando stizzito quell’ostacolo di legno, si andò ad accomodare proprio di fronte a lui, con sguardo furioso. “- Già, non avevo dubbi! E cosa ti ha detto il tuo amichetto?” domandò con pungente ironia il giovane bodyguard, incrociando le braccia al petto in attesa di una valida risposta. “- Che gli stai intralciando le indagini… tu e soprattutto quel… Galindo.” disse, quasi infastidito, sottolineando con quel tono disgustato soprattutto quell’ultimo nome. “- Lascia in pace quel poveretto! Non vi è bastato quello che gli avete fatto? Perché tanto l'ho sempre saputo che anche tu c'entravi con la sua rovina! E ne ho avuto anche conferma!” strillò Leon, alzandosi in piedi e tenendo i pugni sul tavolo con forza. Fissava con aria di sfida quell’uomo, così simile a lui esteticamente, eppure così diverso: era affascinante, capelli castano dorato ma ormai un po’ brizzolati, occhi verdi come lui e portamento elegante e serioso… mai però, in vita sua, avrebbe mai voluto sentirsi simile o soltanto paragonato a lui. “- Smettila di dar fastidio a Lisandro. Sono stato chiaro?” esclamò Rodrigo, puntando i suoi occhi verdi e cupi sul figlio che non si smosse di un millimetro e rimase a fissarlo con un sorriso beffardo.
“- Io faccio quello che sento e solo perché lo voglio sul serio. Io non sono il burattino di nessuno…” lo punzecchiò ancora il ragazzo, alludendo alla questione del complotto contro l’ex commissario. “- Di Galindo ne abbiamo già parlato. E sai anche che collaborai con Lisandro solo per te, per la tua carriera, che tu hai poi deciso di buttare alle ortiche!” lo rimproverò l’uomo, furioso. “- Tu hai il coraggio di chiamarlo ‘collaborare’? Se lo hai aiutato sai benissimo che Pablo era innocente! Eppure non hai mai parlato, mai!” ribatté Vargas, alzandosi di nuovo in piedi. Il padre non rispose ma scosse il capo con decisione in segno di disapprovazione. Aveva ragione Leon, lui sapeva e lo aveva sempre immaginato. Sapeva che l'ex commissario non c’entrava nulla con quella brutta vicenda che gli aveva fatto perdere il lavoro in polizia eppure, per proteggere sé stesso e Lisandro, Rodrigo aveva sempre taciuto sull’accaduto.
“- Sai che ti detesto per ciò che hai fatto in passato. Te l’ho detto tante volte.” Gli disse ancora il ragazzo, tenendogli testa con sguardo furioso. “- L’ho intuito quando hai lasciato l’accademia di polizia e non ne hai più voluto sapere di me. Sei andato via… come ha fatto tua madre, d’altronde…” ghignò l’avvocato, con aria amaramente divertita. “- Lascia la mamma fuori da questa storia. E’ stata fin troppo tempo a sopportarti qui a Buenos Aires! Anche lei era disgustata dal tuo gesto contro il commissario Galindo! E come biasimarla…” rispose il giovane, stizzendo ancor di più il padre. “- Comunque non sono qui per ricordare i bei tempi andati… te lo dirò in poche parole: lascia stare questo caso… parlerò io con Cardozo Valdez, troveranno un altro bodyguard per la mocciosa, quella... Castillo.” Sentenziò il padre di Leon, senza girarci troppo intorno. Era tipico di quell’uomo: andava sempre dritto al punto… solo con i giudici era bravo a confonderli, inondandoli di chiacchiere, facendo poi facilmente prevalere le sue tesi, qualunque fosse l’argomento di discussione. “- Certo, parlerai con Valdez… tu parli sempre con tutti per risolvere i tuoi problemi, e dimmi anche che lo farai per il mio bene! Forza, dillo! Così ripeteremo la situazione  dell’anno scorso! Avanti, dillo!” lo sfidò ancora il ragazzo, mentre il padre abbassò lo sguardo con un ghigno. “- Leon, lascia il caso.” Disse, semplicemente, suo padre, scandendo bene ogni lettera di quelle parole pronunciate con una durezza sovraumana. Leon ebbe un momento di confusione. No. Non poteva lasciarla, non l’avrebbe fatto prima e nemmeno ora. Aveva promesso a quel pover uomo di German Castillo che avrebbe vegliato su sua figlia, qualunque cosa fosse accaduta, lo aveva promesso a lei e, soprattutto, a sé stesso, a maggior ragione ora che sentiva un forte sentimento nei confronti della giovane. “- Scordatelo.” Disse, seccamente, Leon, fissando ancora gli occhi verdi del padre. “- Bene, bravo. Ma ti assicuro che se ti comporti male con Lisandro potrebbe fartela pagare. Non ha paura. Lo ha già fatto in passato con altri... E non so se a quel punto potrò aiutarti.” Gli raccomandò, stizzito, il padre, serissimo. “- Lo so bene che non sarebbe la prima volta, e anche tu. Non preoccuparti per le mie difese, nel caso Lisandro mi sfidasse… ci sarebbe la mamma, o la mitica Esmeralda Ferrara e sarei fiero di farmi difendere da persone come loro. Non vorrei mai il tuo aiuto.” Rispose il giovane, glaciale, colpendo ancora nell’orgoglio il padre che, al solo sentire quei nomi cominciò a ghignare, per poi cominciare a ridere sempre di più, lasciando il ragazzo sorpreso e facendogli sgranare gli occhi con perplessità. “- Esmeralda Ferrara… ah, con lei perderai. Ha già perso contro di me, difendendo Galindo e non solo!” rise suo padre, alzandosi di colpo. “- Ha perso perché avete barato in ogni modo. Lei vince onestamente e questo ha molto più valore.” Leon lo mise letteralmente al tappeto. Con quella frase che ancora risuonava nelle sue orecchie, infastidendolo alquanto, Rodrigo afferrò una valigetta dal suolo, e osservò il bodyguard, senza dire nulla di più. “- Ciao, Leon.” Salutò, arrivato sull’uscio della stanza. “- Arrivederci, avvocato Vargas.” Sentenziò il ragazzo, senza neppure riuscire a guardarlo negli occhi, chiamandolo sempre in quel modo per mantenere le distanze da quell’uomo, così diverso da lui che aveva creduto di aiutarlo, senza essersi fatto troppi problemi nel rovinare un lavoratore e poliziotto onesto come Galindo.
Angelica e Violetta videro uscire di colpo l’uomo che neppure si sforzò di salutarle e subito corsero verso Leon che era appoggiato allo stipite della porta della cucina e fissava l’uscita principale con sguardo perso nel vuoto. “- Leon… stai bene?” chiese la giovane, andandogli in contro e prendendogli dolcemente le mani, perdendosi in quegli occhi verdi, in quel momento colmi di rabbia e delusione.
“- Mai stato meglio. Mi sono tolto un peso sullo stomaco che avevo da sin troppo tempo.” Esclamò Vargas, abbassando finalmente lo sguardo  sulla ragazza. Aveva l’aria serissima e lo fissava con tenerezza, visibilmente tesa non sapendo come comportarsi. In quel momento Leon era troppo scosso e, dopo averle abbozzato un mezzo sorriso, uscì in giardino, andandosi a sedere sotto al portico, fissando l’orizzonte con aria assente. La ragazza seguì con lo sguardo tutto il suo percorso, anche attraverso la finestra, rimanendo confusa e guardando subito Angelica che, senza pensarci troppo, le diede subito un ottimo consiglio. “- Ha bisogno di te. Va’ da lui e stagli vicino. A volte un abbraccio silenzioso è meglio di mille parole.” La giovane ascoltò la donna con attenzione e, di colpo, si precipitò anche lei di casa, lasciando la nonna a fissarla dal divano con un sorriso sornione.
Su una panchina, appena sotto le scale principali che davano accesso alla villetta, vide subito Leon con la testa tra le mani e l’aria sconvolta, come forse non l’aveva mai visto da quando l’aveva conosciuto, sempre così spavaldo e determinato. La Castillo, senza far rumore, si sedette accanto a lui che, accortosi comunque di un movimento della panca su cui si trovava, alzò la testa con aria fiera come al solito. Violetta notò subito che il giovane si era asciugato una lacrima con la mano, tentando di non far accorgere lei della cosa e sentì una fitta allo stomaco al solo pensiero che il ragazzo che amava avesse sofferto per quell’uomo, per suo padre. “- Ehi…” disse Vargas, abbozzando un sorriso amaro, a cui lei rispose dolcemente ma con la stessa nota cupa nello sguardo. La ragazza seguì il consiglio di sua nonna, non disse nulla, non fece domande ma affondò la testa nella spalla di lui, con tenerezza. Lui, piacevolmente colpito da quel gesto, le circondò le spalle con un dolce abbraccio e lei si lasciò completamente andare a quella tenerezza, socchiudendo gli occhi con calma. Spostò la testa sul petto di lui e ne ascoltò, con attenzione, i battiti del cuore… si incantò a sentire quel suono, così ipnotico e rilassante… si rese conto che quando era con lui si sentiva felice, sicura… e non solo perché sapeva che lui aveva il dovere di proteggerla. Era come se, anche quando inizialmente lo detestava, venisse sempre attratta da lui sempre di più… non voleva ammetterlo, ecco tutto. Non ci riusciva, non aveva idea che quel ragazzo, apparentemente così arrogante, potesse rivelarsi quello splendido giovane uomo che in realtà era. Lui la strinse forte, come se in quell’abbraccio cercasse la forza che in quel momento gli stava venendo a mancare. Era sempre fin troppo duro, di solito era lui la roccia a cui appigliarsi… sapeva che era stato troppo severo con suo padre e stava male… ma non gli avrebbe mai perdonato quel grave errore, aiutare Lisandro nei suoi piani malvagi… no. Avrebbe dovuto almeno recuperare la sua fiducia, di certo non andare lì ed imporsi come sapeva fare di solito e come aveva fatto anche in quel caso. Prese ad accarezzare i capelli della giovane e le diede un tenero bacio sulla fronte, facendole sollevare piano lo sguardo. L’aveva giudicata male, all’inzio… Leon lentamente aveva capito che quello scricciolo aveva una forza e una maturità sovraumane… altro che la ragazzina viziata e piena di sé con cui pensava di avere a che fare. Lei era una donna, la sua piccola donna.
 
 
“- Ti prego, lasciami andare da sola! Devo parlare a quattr’occhi con Lisandro! Mi ha seriamente stancata! Le indagini sembrano ferme da una vita e continua ad accusarmi senza prove. Giuro che questa chiacchierata sarà… amichevole!” Angie era seduta nell’auto di Pablo, ferma fuori dal commissariato centrale ed erano due ore che discutevano e la situazione sembrava degenerare sempre di più. “- Amichevole? Tu e Lisandro? Amichevole? E perché io ho tanto l’impressione che dopo il vostro 'amichevole incontro' qui correrà un’ ambulanza a sirene spiegate?” ironizzò Galindo, ridacchiando nervosamente e tamburellando con le dita sul volante. “- Cercherò di essere aperta ad ogni tipo di considerazione e senza preconcetti. Ma è una cosa che devo fare da sola.” esclamò ancora lei, con tono deciso come al solito. “- E’ difficile avere una mentalità di quel tipo se si tratta di lui…” borbottò Pablo, passandosi nervosamente una mano sotto al mento, come se volesse riflettere su un improvviso pensiero che gli attanagliava già da tempo la mente. “- Ti scongiuro! Ci metterò pochissimo! E se non mi vedi arrivare presto non ti preoccupare! Tu fammi uno squillo ed io arrivo!” sorrise lei, scendendo dalla macchina senza dargli neppure il tempo di rispondere. “- Angie! Angie torna qui! Non ti ho detto di sì, Angie!” urlò quasi Galindo mentre la bionda, ormai all’entrata del commissariato, lo salutò con la mano per poi dirigersi nell’edificio. Gliel’aveva fatta! Come sempre! Forse era troppo buono… si rese conto che evidentemente per controllare la Saramego urgeva un altro metodo… probabilmente avrebbe dovuto legarla al sedile se necessario! No, nemmeno così ce l’avrebbe fatta! Dovevano essere quei suoi occhi verdi… erano magnetici per lui e non riusciva mai a dire di no. Ma, anche quando non si sbilanciava, dicendole sì o no, lei riusciva sempre ad essere convincente e, fuggendo via, lo fregava alla grande… stizzito, prese il giornale che aveva sotto al sedile e prese a leggere, sperando che la donna non facesse davvero una vittima, questa volta per davvero, e con un nome ben preciso: Roberto Lisandro, già nel suo ufficio, immerso in una conversazione importante con una vecchia conoscenza.
Angie arrivò e Diego la fermò di colpo, vicino al distributore, trattenendola leggermente per un polso, facendola sobbalzare. “- Se sta cercando Lisandro sappia che non puo’ entrare… ha detto di essere molto occupato.” sentenziò subito Dominguez, prendendole poi un caffè dalla macchinetta. “- Ah, grazie.” Esclamò gentilmente lei, afferrando il bicchiere in plastica, bollente e soffiandoci con delicatezza. “- Forse avrei dovuto offrirle una camomilla… dover affrontare quel tipo è difficile.” borbottò l’agente, sorseggiando con difficoltà il suo, fin troppo caldo. “- Mai quanto affrontare la tua fidanzata!” ribatté subito la bionda, ridendo e facendolo ghignare divertito. “- Ah, non me ne parli! Si è fatta tutta una sua strana idea su noi due e non vuole darmi ascolto! Mi dispiace molto per quello che è successo, mi creda! Non immagina quanto vorrei recuperare con lei…” sentenziò, con aria sognante, Dominguez, pensando a quanto amasse la sua Ludmilla. “- E parlale, allora! E’ la cosa più semplice da fare! Sei un poliziotto, dannazione! Sii deciso ma dolce, non usare quei tuoi soliti modi di fare da playboy, però, per carità! Lei è la tipica ragazza che ha bisogno di sentirsi dire che è il centro del tuo mondo. Sai com’è fatta la Ferro: falla sentire importante e cadrà ai tuoi piedi!” gli consigliò Angie, facendolo ridacchiare e annuire soddisfatto. “- E a lei come va? Insomma, sentimentalmente, intendo!” sorrise lui, con aria astuta, alludendo a Galindo ma facendo assumere un’espressione stranita alla donna che, comunque, rispose gentilmente. “- Ah, lascia perdere. Io e l’amore non andiamo molto d’accordo.” Esclamò la bionda, portandosi una ciocca dietro l’orecchio mentre Diego fece una faccia incredula: come poteva andar male in amore ad una bellezza come lei? Se Pablo non si sbrigava era un perfetto idiota! Avrebbe aggiunto altro ma, un urlo proveniente dall’ufficio di Lisandro, li fece voltare in quella direzione. La porta in fondo al corridoio era socchiusa e la voce del commissario era alterata. “- Diego chi c’è dentro?” chiese Angie, camminando verso la fine di quel corridoio che sembrava interminabile. “- Non lo so. Non me lo ha voluto dire… ma sembra arrabbiato e, per evitare ulteriori partacce, io porto questi documenti in archivio. Le consiglio di tornare quando sarà più calmo, già lei l'‘adora’ particolarmente… io eviterei di averci a che fare proprio oggi!” ghignò Dominguez fissandola, mentre lei, invece, si sedette su delle sedie in plastica poco fuori da quella porta. “- No. Ora o mai più. Aspetterò.” Sentenziò la donna, con decisione. “- Come vuole, ma non dica che non l’avevo avvertita. Buona fortuna e grazie per il consiglio amoroso!” sorrise Diego, afferrando dei pesanti raccoglitori da una scrivania e dirigendosi verso le scale. Quando il ragazzo si fu allontanato dalla circolazione, Angie cambiò posto a sedere e si andò a mettere appena fuori dall’ufficio di Lisandro.
“- Posso sapere allora perché mi ha convocata? Non mi ha già rovinato la vita abbastanza? Non ha fatto del male anche a lui?” una bella ragazza, mora con occhi scurissimi, tamburellava con le dita sulla scrivania del commissario che la fissava con aria sorniona.
“- No, tesoro, quella te la sei rovinata tu, da sola, e l’hai rovinata a tutti e due!” sorrise, con una faccia malvagia e subdola. “- Lasci lui fuori da questa conversazione. Allora? mi dice cosa vuole o devo andarmene?” sbottò ancora la bruna, scattando in piedi con una rapidità spaventosa. “- Voglio solo restituirti questo nastro… ti appartiene, o sbaglio?” Lisandro afferrò una bustina di cellofan e gliela lanciò davanti. All’interno, una cassetta nera, di quelle su cui si registra, fece sgranare gli occhi alla giovane che si voltò dall’altra parte, prendendo a fissare fuori dalla finestra. “- Lei mi ha fatto venire per quella? Cos’è? Vuole rinfacciarmi i miei errori o, meglio, vantarsi dei suoi?” domandò, con aria di sfida, la ragazza. Aveva un tono di voce glaciale ma determinato. “- Ah ah ah… allora ammetti anche i tuoi. Ottimo. E comunque volevo solo tenerti d’occhio… non si sa mai che volessi ripetere i tuoi sbagli del passato. Sai ci sono alcuni casi in corso e visto che tuo fratello è coinvolto, come al solito… potrebbe proteggere te o altre persone! Volevo semplicemente sapere dove fossi, mia cara.” Un mezzo sorriso calcolatore e freddo si disegnò sul volto dell’uomo, mentre la giovane fece per uscire con passo deciso. “- Io non ho mai negato i miei sbagli, a differenza sua!” sbottò la ragazza, sbuffando sonoramente. “- Io non ne ho fatti, a quanto pare… ho vinto, vedi? La scrivania, adesso, è solo mia e nessuno  più mi intralcerà o me la porterà via.” Esclamò Lisandro, con aria soddisfatta, accarezzando il levigato legno ciliegio del tavolo, indispettendola ancor di più. “- Già, perché l’ha soffiata ingiustamente ad una persona fin troppo onesta!” Sentenziò lei, senza perdersi d’animo e sfidando ancora con lo sguardo il commissario che continuava a ghignare. “- Signorina… è stato un piacere rivederla.” La salutò, falsamente, il commissario. “- Non immagina per me…” ribatté a tono, ironicamente, la bruna, sbattendo la porta e facendo vibrare persino i gingilli e le statuette sulla scrivania di Roberto. Nell’uscire, quella signorina bruna si scontrò con Angie che era arrivata quasi sull’uscio pur di sentire quella strana conversazione di cui era riuscita a captare poco o nulla. “- Ehi! Sta’ attenta!” sbottò, furiosa, la mora, accorgendosi che nello scontro Angie le aveva rovesciato il bicchiere con il caffè sull’elegante camicetta bianca. “- Scusami…” tentò di dire la bionda, incrociando quegli occhi nerissimi, così familiari… erano decisi e forti e contrastavano quasi con la bocca dal taglio molto più dolce. Una folta massa di capelli castani ,non troppo scuri, e gonfi le ricadeva sulle spalle e indossava una collana con un piccolo simbolo dell’infinito come ciondolo che le pendeva al collo. Dalla conversazione tenuta con Lisandro, Angie capì subito di chi potesse trattarsi… diamine era identica a… Pablo! Sì! doveva trattarsi proprio di Tamara Galindo. “- Perché continui a fissarmi in quel modo? Ci conosciamo?” chiese lei, prendendo, a sua volta, ad osservarla con aria attenta. “- No, non credo è che somigli tanto a…” tentò di dire la bionda, ma fu interrotta dall’altra. “- Ah, ma io sì, ti conosco! Tu sei la ex di Matias La Fontaine! Cavolo, che fortuna!” esclamò la mora, con un sorriso. “- Fortuna dici? Mah…” balbettò l’altra, camminando verso i posti a sedere e occupandone uno. Voleva sapere di più di quella mora, se si fosse trattato davvero di quella che pensava e di cosa le avesse mostrato e detto di preciso, Lisandro. “- Stai scherzando, spero! Lui è il più amato di tutta l’Amnesia! E tu sei sempre stata la reginetta della scena… ma ho sentito che è sparito nel nulla, è vero?” si informò la donna, facendo annuire mestamente l’altra. “- Ah, brutta vicenda, quella… quindi sei anche la sorella della cantante, quella morta nell’incidente! La Saramego! Cavolo, lei si che era la migliore! Ed ora è sparito anche suo marito, Castillo! Giusto? I giornali ipotizzano che tutti i casi siano intrecciati tra loro ma non indicano mai un ipotetico colpevole… non lo sanno! Te lo dico io! Il commissario di prima… lui si che avrebbe scoperto subito la verità!” la ragazza era aggiornatissima e Angie l’ascoltava attentamente… aveva un tono chiaro ma costantemente forte, determinato, come il suo sguardo. “- Mi stai mettendo più ansia tu di quanta me ne metterà l'incontro con Lisandro…” rise la bionda, alzandosi prendendo a camminare nervosamente avanti e indietro. “- Ah, quel tipo è subdolo. E lo conosco fin troppo bene, credimi. Fai attenzione a come ti comporti… è capace di farti passare dalla parte del torto senza farsi troppi problemi.” Esclamò la bruna, scuotendo il capo con aria rassegnata. “- Come mai sei qui? Chi hai ucciso?” la prese in giro la Saramego, fissandola. “- Per ora nessuno ma sto valutando l’idea di fare fuori il commissario se continua così…” borbottò la bruna, con determinazione agghiacciante, come se non avesse esitato a farlo sul serio. La bionda rabbrividì a quelle parole: Lisandro doveva averla fatta soffrire fin troppo per far si che quella ragazza reagisse in quella maniera. “- Aspetta! Tu sai tutto di me ma io non so nulla di te! Dimmi almeno il tuo nome!” gridò d’un tratto Angie, rendendosi conto che l’altra se ne stava andando, con aria fiera e passo sicuro. A quelle parole l’altra si voltò e con passo veloce tornò verso di lei. “- Tamara. Mi trovi tutti i sabato  all’Amnesia. Raggiungimi che ti racconto il resto!” esclamò, con faccia astuta, fissandola con quegli occhi neri e decisi. “- Ci sarò.” Sentenziò la Saramego, facendo sì che la mora le sorridesse, si voltasse e proseguisse per la sua strada. Uno squillo sul cellulare la fece sobbalzare. Diamine, doveva essere lì da un bel po’ e aveva completamente dimenticato Galindo in auto! Guardò la porta di Lisandro per l’ultima volta. No, era meglio correre da Pablo, senza dubbio. Per le scale del commissariato cominciò a riflette: aveva appena incontrato Tamara Galindo! Avrebbe dovuto dirlo al bodyguard? L’avrebbe presa troppo male… e come gli avrebbe potuto parlare del fatto che stesse litigando con Lisandro? Si fermò sull’uscio della porta di vetro dell’edificio e ricambiò al saluto di Diego che stava risalendo con l’ascensore, per tornare dal suo capo. Quasi non aveva il coraggio di guardare negli occhi Pablo… doveva davvero mentirgli su quell’inaspettato ritorno a Buenos Aires? A patto che fosse davvero stato un ritorno… e se la Galindo, in realtà, non avesse mai lasciato la città? Camminò quasi meccanicamente verso l’auto, quando, un’idea, le balenò nella mente. Doveva fare in modo che si incontrassero per puro caso… l’Amnesia! Sapeva già come fare. Si sedette in auto con aria seria, facendo spaventare l’uomo che, invece di mettere subito in moto, rimase a fissarla con gli occhi sgranati. “- ALLORA? se sei viva non è andata poi così male, no? Aspetta… anche Lisandro, vero?” domandò, con tono allarmato ma sarcastico, Pablo. “- Non ci ho parlato.” Disse lei, fissando di fronte a sé, per paura di incrociare gli occhi del moro, identici a quelli di Tamara. “- E cosa hai fatto per tutto questo tempo, scusa?” chiese, stupito, l’uomo, ripiegando il quotidiano. “- Ho esitato. Ma poi ho deciso che era meglio lasciar perdere. Avevi ragione tu: Lisandro è talmente maligno che sarebbe inutile tentare di parlargli con tutte le migliori intenzioni del mondo.” Balbettò quasi lei, ancora sotto shock per l’incontro, non con il capo della polizia ma con quella che quasi sicuramente era la sorella del bodyguard. “- Non è che sei venuta per flirtare con Dominguez, vero?” la prese in giro lui, sapendo che non era così ma facendola scoppiare a ridere, felice di vederla ritornare allegra. “- Idiota! Andiamo a casa, forza!” lo esortò lei, scuotendo il capo divertita e sorpresa dalla simpatia di Pablo.
 
 
“- Ehi, amico! Non posso lasciare Vilu da sola per troppo tempo, quindi, va subito al punto. Cosa vuoi?” Leon era al parco e si sedette su una panchina, accanto a Diego che subito lo salutò dandogli il cinque e ghignando divertito. “- Vilu? Da quanto chiami la mocciosa, Vilu?” rise subito, ignorando il fatto che Vargas gli avesse detto di parlare in fretta del suo problema. “- Diego che vuoi?” chiese, un po’ stizzito, il bodyguard, facendolo ridere ancora di più. “- Ok, io dovevo parlarti e su questo non ci piove…” iniziò Dominguez, con aria astuta. “- E allora parla!” strillò quasi Leon, ridendo nervosamente. “- …Sicuro che non debba dirmi nulla prima tu, però?” chiese, furbamente, il poliziotto, guardandolo negli occhi. Leon per poco non svenne… insomma come diamine ci riusciva? Gli bastava guardarlo e capiva che voleva dirgli qualcosa! E vabbé che era un agente e un suo amico… ma Diego era proprio intelligente! “- Ci siamo baciati.” Confessò, senza mezzi termini, Vargas, prendendo a fissare il laghetto di fronte a sé. “- CHE COSA? Ed io lo sapevo! Ti piaceva sin dall’inizio! Chi disprezza vuol comprare mio caro!” iniziò lui, cominciando a scherzare e a prenderlo in giro in tutti i modi possibili.
“- Sta’ zitto e non gridare! Che diamine, amico! Non si puo’ parlare con un idiota come te!” esclamò Vargas, incrociando le braccia al petto con aria stizzita e offesa. “- E quando pensavi di dirmelo? Sentiamo!” lo interrogò il poliziotto, passandosi una mano nei capelli come per pettinarsi il ciuffo corvino. “- Data la tua idiozia innata, forse mai.” Sentenziò la guardia del corpo, facendolo cominciare a ridere sotto ai baffi, nuovamente. “- E dai! E come bacia la mocciosa? No, perché la zia mi da un’ottima impressione e se la piccola ha preso da lei, allora dev’essere fenomenale!” chiese ancora Dominguez, alzando un sopracciglio e assumendo un’aria buffa, tra il sognante e il curioso. “- Ma che domande mi fai, cretino! E tu poi cosa ne sai della Saramego e di come…?!” esclamò Leon, interrompendosi e guardandolo male. “- E dai… si intuisce! Ti facevo più furbo, Vargas!” esclamò il moro, facendogli l’occhiolino. Leon rimase un po’ sconvolto da quelle affermazioni e roteò gli occhi con aria rassegnata. Niente. L’amico non sarebbe mai cambiato, c’era poco da fare… il ruolo di galletto gli si addiceva troppo. “- Tu piuttosto, ancora non mi hai detto perché mi hai fatto venire fin qui con tanta urgenza! Allora?” chiese Leon, con aria curiosa, fissando il bruno che, come di suo solito, ghignò divertito. “- Ho parlato con Angie…” esclamò lui, facendo sgranare gli occhi verdi all’altro. “- TU CHE COSA?” urlò il bodyguard, scioccato. “- Non ti ho detto che l’ho baciata o altro… ci ho parlato, ok? L’ho incontrata per caso in commissariato e mi ha dato un consiglio per riconquistare Ludmilla… mi ha fatto capire che lei ama essere al centro dell’attenzione, insomma, ha ragione! Stiamo parlando della Supernova! La mia Supernova!” sorrise Diego, strizzandogli nuovamente l’occhio. “- Ah, ottima idea, questa di ritornare con la Ferro! E comunque sono d’accordo, devi fare qualcosa di eclatante, devi recuperare il rapporto dimostrandole in maniera esagerata che la ami, come piacerebbe a lei.” esclamò il giovane castano, tirando un sospiro di sollievo. “- Ecco! Era quello che intendeva anche la Saramego!” esclamò Diego, scattando in piedi. “- Smettila con Angie, dacci un taglio! Pensa a Ludmilla, piuttosto!” lo rimproverò l’amico, dandogli uno schiaffetto dietro al collo e facendo sobbalzare il moro. “- Va bene, ho già in mente qualcosa per la mia bionda!” sorrise, con aria astuta, Dominguez. “- Oh… aspetta! Bionda? Quale delle due?” chiese, preoccupata, la guardia del corpo. “- Idiota! Ludmilla, è ovvio! La amo. E non la perderò per una stupidaggine… vieni, devo andare dal fioraio… hai dei soldi?” chiese subito Diego, aprendo il portafoglio con aria sconsolata e mostrandolo vuoto all’amico che aprì le braccia con rassegnazione. “- Sì… ma non credo che per gesto eclatante si intenda uno stupido mazzo di fiori!” esclamò Leon, passandogli una banconota viola. “- Infatti con questi non riuscirei mai nel mio intento… ah, vieni. Passiamo prima a casa mia… devo prendere parecchi Pesos, amico!” ghignò l’agente, restituendo al giovane i suoi soldi e avviandosi fuori dal parco. “- Diego io devo andare! Sbrighiamoci almeno!” sentenziò Leon, sbuffando, mentre il poliziotto lo tirò per un braccio per tutto il percorso fino alla sua auto.
“- Tieniti pronto ad una sorpresa che lascerà sconvolta la mia principessa!” ghignò Dominguez, quando il suo piano fu concluso e la sua macchina fu svuotata da tutto quel profumo asfissiante. “- Se ti becca il preside dello Studio sei finito, lo sai? Ringrazia che Antonio Fernandez è un tipo clemente!” rise Leon, camminando al fianco dell’amico, dopo averlo aiutato con la questione della Ferro. “- Ringrazia che ho il passpartout della polizia! La chiave che apre tutte le porte! Altrimenti col cavolo che potevamo venire qui quando l’accademia era già chiusa!” esclamò Diego, fuori al cortile, ormai buio, dello Studio On Beat. “- Dai, si è fatto tardi, devo andare da Vilu. E’ sola con la nonna da un bel po’ e sono in ansia…” esclamò Leon, grattandosi nervosamente il collo. “- La ami davvero, eh?” chiese il moro, risalendo in auto e sbattendo la portiera. “- Più di quanto non potessi immaginare… lei è forte, Diego. Non è una mocciosa, credimi.” Sorrise, con aria sognante, Vargas, mentre Dominguez gli lanciò una rapida occhiata per poi fissare di nuovo la strada, di fronte a sé. “- Sono felice per te, amico. Meritate entrambi un po’ di felicità ed è chiaro che potete essere sereni solo se state insieme.” La frase profonda dell’amico sconvolse Leon che lo fissò con gli occhi sgranati, fin troppo sorpreso. “- Che vuoi? Ora devo dire una cretinata per tornare quello di sempre? Bene! E non guardarmi così o fai innamorare anche me…” lo prese in giro Diego, cominciando a sghignazzare. “- Sei un idiota… ed io che per un momento pensavo che potessi avere anche tu un cervello!” rise Vargas, portandosi una mano alla fronte. “- Ehi… comunque dicevo sul serio. Se siete felici insieme, fregatevene di tutto, ok?” affermò Diego, con un sorriso deciso. “- Hai ragione. La amo… non posso farci nulla. La amo e combatterò per lei, contro tutto e tutti. Ma tu devi fare lo stesso con la Ferro… non fare stupidaggini. La rendi migliore, Diè. Renditi conto di quanto vali nella sua vita.” esclamò Leon, con aria seria. “- Già. Basta cavolate. Amo Ludmilla Ferro e la riconquisterò… spero!” ghignò il bruno, mettendo in moto di fretta, con l’intenzione di riportare l’amico, ormai in ritardo, a villa Fernandez.
La mattina dopo, la sorpresa per poco non fece svenire la diretta interessata… tutti arrivarono fuori la scuola e Diego, sorridendo, accolse la Ferro con aria sorridente. “- Buongiorno, principessa!” L’agente corse in contro a Ludmilla e le diede un bacio appassionato, dopo di che, lei rimase in silenzio, con aria perplessa e lo fissava, attendendo qualche plausibile spiegazione. “- So che ancora non mi hai perdonato ma lo farai, ne sono sicuro… vieni con me…” sorrise Diego, afferrandole la mano con intenzione di volerla trascinare verso l’entrata. “- E no, caro mio! Ludmilla non va da nessuna parte se non decide lei! Chiaro?” urlò, agitando i suoi boccoli dorati e indicando furiosa il giovane, puntandogli un indice contro con aria fin troppo stizzita. Dominguez, avendo previsto quella reazione, andò alle sue spalle e la bendò con un foulard rosso gli occhi. “- Che diamine fai? Lasciami subito andare!” borbottò la Ferro, con la vista già coperta e bloccandosi per non cadere. “- Sta’ zitta e fidati di me!” esclamò lui, prendendola sottobraccio e facendola entrare nello Studio. La condusse nell’aula di danza e la sbendò, lasciandola perplessa. “- E quindi?” borbottò la ragazza, guardandosi intorno con aria disgustata e specchiandosi con vanità, sistemandosi la chioma lucente sulle spalle. “- Aspetta, bambolina… ho una sorpresa per te…” ghignò lui, aprendo la porta del ripostiglio della sala di ballo e lasciandola di stucco. cento, forse mille rose rosse erano sistemate nella piccola stanzetta, sistemata da lui e Leon la notte prima. Un tavolino con una tovaglia rossa, una bottiglietta di champagne piccola e due calici troneggiavano al centro della scena. “- Cos… cos’è?” balbettò, scioccata, la Ferro, prendendo a fissare prima la saletta e poi il ragazzo. “- Una maniera per farti capire che ti amo, che voglio solo te e che tu sei la mia stella, la mia Supernova.” Sentenziò l’agente, afferrandole la vita con dolcezza. “- Io non credevo che tu…” tentò di dire la bionda, per la prima volta in vita sua, arrossendo. “- Ed io non credevo che tu avessi la capacità di restare senza parole, principessa.” Rise Diego, voltandole dolcemente il viso e baciandola con passione. “- Sei mia, tesoro. Ti amo come non ho mai amato nessuno prima d’ora.” Sussurrò il bruno, ancora ad un centimetro dalle labbra della giovane. “- Ti amo, Diego.” Balbettò la ragazza, improvvisamente intimidita come mai in vita sua. Un forte applauso venne dall’esterno dello sgabuzzino: tutti i ragazzi, Leon, Violetta e il resto degli amici ridevano ed esultavano. Erano così belli insieme quei due… forti e decisi, tanto diversi eppure tanto simili.
 
 
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Capitolo lunghissimo! Andiamo con ordine! Lo scontro tra Leon e l’avvocato Vargas, suo padre… per fortuna Vilu consola in nostro bodyguard! :3 Poi un arrivo importantissimo per il proseguimento della storia: Tamara Galindo! E Angie l’ha incontrata… non sembra intenzionata a parlare a Pablo ma forse ha già un piano. Finale Diemilla da scleri a livelli massimi! No, ok, li adoro! XD Ok, mi contengo e vi saluto! Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 18
*** Cambio direzione. ***


Quella fu davvero una notte in bianco, come non le succedeva da mesi, ormai. Angie si rigirava nervosamente nel letto, mentre Pablo, di tanto in tanto, sfogliando il suo solito libro, la fissava sottocchio. Lei aveva visto Tamara Galindo… Lisandro le stava parlando e anche aveva litigato con la mora! Voleva tenere d’occhio anche lei? E perché se la giovane donna era ancora a Buenos Aires aveva mentito al fratello, fingendosi in un’altra città? Avrebbe dovuto parlare con il diretto interessato ma non ce la faceva. Non  riusciva neppure a guardarlo negli occhi da quel momento dell’incontro con la bruna, figurarsi andare a raccontarglielo! Per sua fortuna, però, la Saramego era molto astuta e aveva  un piano: non gliel’avrebbe detto lei… sarebbe però riuscita a far incontrare i due fratelli all’Amnesia. E sapeva anche come trascinarsi il bodyguard in quel luogo che odiava tanto.
“- Ok, cos’hai?”. Galindo non ne potette più e lasciò il libro sulla sedia, andando a sedersi sul letto, mentre la donna era distesa e fissava il soffitto, come pietrificata. “- Angie?! Ci sei?” disse, ancor più ad alta voce l’uomo, agitandole la mano davanti al volto per risvegliarla da quello stato di trance in cui era assorta. “- Ehi…” balbettò lei, voltandosi sul fianco e fissandolo con aria serissima e pallida. “- Sei sicura di sentirti bene? Da quando sei andata al commissariato sei strana! Hai cenato poco o nulla, non hai voluto vedere neppure quel programma stupido che adori in tv e ti sei fiondata a letto senza neppure insultarmi una volta nonostante le mie volute provocazioni sperando di farti reagire! Non è da te!” esclamò l’uomo, studiando lo sguardo della donna che, invece, neppure lo guardava… se lo avesse fatto avrebbe incrociato quegli occhi identici a quelli di Tamara, così scuri e decisi e la sua determinazione avrebbe vacillato ulteriormente. “- Non mi sento molto bene, voglio solo riposare. Mi dispiace.” Rispose la bionda, voltandosi dal lato opposto e dandogli, così, le spalle. In quel modo, almeno, non avrebbe dovuto guardarlo. “- Lo vedi? Ti scusi e non è una cosa che fai di solito, mi preoccupi! Angie o mi dici cosa è successo in commissariato o lo chiedo a Dominguez, visto che sicuramente ti avrà incontrato lì, allora?” quella domanda la fece trasalire. Si alzò di scatto e si sedette al centro del letto come se avesse preso la scossa. “- Ti dico che sto bene, ok?!” esclamò lei, portandosi una mano alla fronte, con aria confusa. “- Nemmeno trenta secondi fa hai detto che non ti sentivi molto bene. Sto cominciando a preoccuparmi seriamente per la tua salute mentale. Anzi, in realtà non ti ho mai ritenuto sana sotto quell’aspetto… ma ora sul serio fai spavento!” disse il moro, aggirando il letto per ritrovarsi occhi negli occhi con la donna. Perché non lo guardava nemmeno? Stava sfuggendo dal suo sguardo e se ne era accorto già durante la cena. Si parò di fronte a lei e di nuovo notò come la Saramego avesse abbassato di colpo gli occhi. “- E no, mia cara! Adesso mi devi guardare dritto in faccia e mi devi dire cosa succede! Che ti ha detto Lisandro? Perché deduco che mi hai mentito e se stai così ci avrai di sicuro parlato! Allora?” la guardia del corpo le aveva sollevato il viso con una mano e si specchiò negli occhi verdi della bionda che divennero lucidi all’istante. “- Ti giuro che sul serio non ci ho parlato.” Lo sfidò quasi lei con tono fermo, scendendo dal letto per evitare qualunque ulteriore domanda… ma dimenticava un piccolo dettaglio: Galindo, a detta di tutti, era stato il miglior commissario della città fino a qualche mese prima che perdesse tutto e  il fatto che fosse bravo con gli interrogatori si notava dal fatto che incalzò con le sue domande, la seguì e, senza che lei se lo aspettasse, la bloccò al muro con un braccio che le impedisse il passaggio. “- Ha fatto già del male a me. Non voglio che ti abbia detto qualcosa di tremendo,che ti abbia fatto soffrire! Se lo dico è perché ti…” ma si bloccò, ricordandosi del suo ruolo e rendendosi conto che stava parlando senza farsi troppi problemi e non voleva... non poteva farlo. “- Perché mi…?” chiese lei, alzando gli occhi e aspettando una risposta plausibile, sperando fosse quella che attendeva. “- Perché ti… t-ti hanno affidato a me e voglio proteggerti, anche da eventuali attacchi verbali di quell’inetto!”. Si era salvato in corner e se ne rese conto perché una goccia di sudore gli scivolò dalla fronte, ancora accaldata dalla vicinanza di lei. Che diamine gli succedeva? Era solo una vittima da proteggere, nient’altro. E allora perché quando si ritrovava a guardarla perdeva completamente la sua professionalità e decisone? Se solo pensava alla remota ipotesi che si fosse innamorato tentava di scacciare in ogni modo quel pensiero dalla mente… doveva essere lucido e senza lucidità avrebbe perso il controllo della situazione. Vi era ancora un folle, ipotetico killer e rapitore pronto ad eliminarla. Non era uno scherzo e Angie, fin dall’inizio, era nell’occhio del ciclone. L’amore, in quel momento, non doveva intralciarlo, doveva soltanto fare bene il suo lavoro. La donna, dal canto suo, respirava affannosamente. Diamine, ce l’aveva di fronte e non poteva più aggirarlo… o gli parlava di Tamara o… no. Non ce la faceva, quando ci pensava non riusciva nemmeno a formare una frase di senso compiuto sulla faccenda.
“- Sono stanca. Fammi passare.” Mentì, sfidandolo finalmente con gli occhi, mentre lui spostò il braccio e la liberò da quella scomoda situazione. La bionda si stese nuovamente sul letto e la guardia del corpo non le staccò gli occhi di dosso per tutto il percorso per poi, con aria rassegnata, ritornare alla sua lettura, mentre lei, voltandosi dalla parte opposta al moro, continuò a stare sveglia, sommersa dai suoi pensieri.
 
 
“- Leon! Leon ti sei addormentato!” Violetta si parò di fronte alla sedia su cui il ragazzo russava, esausto e gli sussurrò quella frase a bassa voce, per poi schioccargli un leggero bacio sulle labbra che, finalmente, riuscì a far aprire gli occhi al giovane e a lasciarlo felicemente sorpreso.
“- Buongiorno! Praticamente ho fatto io da guardia del corpo a te stanotte, lo sai?” sorrise la Castillo preparando la borsa per andare a scuola: sistemò il diario, degli spartiti e una penna in una elegante tracolla lilla e richiudendola di fretta, andò a prendere una cartellina dalla scrivania. “- Sei già pronta?” mugugnò il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli già alquanto arruffati e sbadigliando sonoramente. “- Sono le 8 e 30 e alle 9 abbiamo la prima ora di lezione, per altro con Jackie che se arriviamo in ritardo ci sbrana… direi che devi sbrigarti anche tu!” esclamò, mentre lui si alzò controvoglia, massaggiandosi la schiena indolenzita. Scesero di fretta per le scale e, dopo una veloce colazione, si misero in auto per dirigersi verso lo Studio. “- Secondo te dovremmo dire agli altri che… insomma, che stiamo insieme?” chiese la giovane, mentre il ragazzo stava parcheggiando fuori dall’accademia. “- Perché non dovremmo? Insomma, lo hanno sospettato da quando sono arrivato, poi la volta in cui ti ho salvato pensavano tutti che volessi fare una scenata a Heredia, quindi sanno che lo odio e sospettano già che ami te. Non vedo dove sia il problema…” sentenziò lui, tutto d’un fiato, mentre, insieme, scesero dall’auto. “- Mi sono persa alla parola che aveva a che fare con amo…” sorrise lei con aria sognante, sbattendo la portiera e aspettando che lui facesse il giro della macchina per raggiungerla. “- Bene, allora te lo ripeto… ma questa volta come si deve! Ti amo!” gli sussurrò lui, prendendole le mani con dolcezza. “- Io di più! Mio protettore!” rispose lei perdendosi nei suoi occhi verdi e profondi. “- E salvatore, non lo dimenticare!” sottolineò lui, facendo una faccia buffissima e facendola scoppiare a ridere. “- Sei il massimo, Vargas!” sussurrò lei, con tono sensuale tanto da farlo restare di sasso a fissarla, mentre lei, dopo essersi avvicinata per depositargli un leggero bacio sulle labbra, si allontanò, per recarsi verso l’ingresso. “- Aspettami!” urlò d’un tratto lui, riprendendosi improvvisamente e correndole dietro, notando che la ragazza era già accerchiata dalle amiche mentre, alcuni degli allievi con cui era più in amicizia si avvicinarono a lui. “- Ciao, Leon!” urlò Andres, facendolo sobbalzare. “- Ehi, salve!” esclamò lui, continuando a fissare nella direzione della Castillo… e stavolta, non solo per attuare bene il suo ruolo di bodyguard. “- Hai sentito che ti ho detto?” urlò Napo, strattonandolo per la manica del giubotto. “- Niente! E’ andato!” urlò Maxi, sistemandosi il cappellino e entrando nella scuola per andare agli armadietti, cosa che fecero anche gli altri alunni, ancora all’esterno dell’edificio. “- Dove vai, Leon? Non vieni a con noi?” chiese subito Andres, preoccupato. “- Di che diamine state parlando?!” urlò, esasperato, Vargas, essendosi perso gran parte della conversazione, troppo intento a fissare Violetta che ricambiava, di tanto in tanto, con dei luminosi sorrisi nella sua direzione.”- Di stasera! E’ sabato, Leon! Avevamo organizzato una serata al cinema con le ragazze, io con Lena, Fede e Fran, Andres con Andrea e questo idiota di Ponte non vuole venirci perché senza una ragazza!” spiegò Napo, stizzito, indicando Maxi che aprì le braccia con aria sconsolata. “- Vieni con Camilla!” esclamò, subito Leon, facendo dissentire gli altri che scossero il capo. “- No! Ci deve assolutamente venire con Nata! Ma il moccioso si vergogna di invitarla! Camilla ci viene con DJ! Cioè, rapper dei miei stivali… ti rendi conto che persino Andres e DJ hanno avuto il coraggio di invitare le ragazze e tu sei ancora in alto mare?” strillò Federico, facendogli abbassare gli occhi con aria triste. “- Ok, lo dico io a Nata! O meglio, visto che Lena ci viene con me dirò di portare la sorella e problema risolto! Visto che sei un codardo e ce ne dobbiamo sempre occupare noi…” disse, nervosamente, il cugino della Ferro, aprendo la porticina in metallo del suo armadietto e richiudendola con forza. “- Tu se vuoi puoi venire con Violetta visto che mi pare di aver capito che ormai siete ufficialmente fidanzati…” Federico capiva sempre tutto al volo! L’italiano era troppo furbo per nascondergli qualcosa, qualunque cosa! “- No… abbiamo un altro programma…” sentenziò Leon, entrando in aula. “- No sta per il fatto che non siete fidanzati o perché non volete venire?” incalzò Napo, ridacchiando. “- No era nel senso… NO!” buttò lì Vargas, iniziando il riscaldamento e senza sbilanciarsi più di tanto. “- Io mi sono perso!” piagnucolò Andres, spuntando dalle loro spalle. “- Ok, state a vedere. Forse così capirete…” ghignò Leon, camminando a passo deciso verso Violetta che non lo notò, tutta presa com’era a parlottare con le amiche. In quell’istante, sottobraccio con Emma arrivò, tutto allegro, Thomas che non appena vide il bodyguard gli lanciò un’occhiataccia. Perfetto! Adesso che c’erano tutti era ancora meglio… la guardia del corpo si avvicinò al gruppo delle ragazze e tirò dolcemente per un braccio, al centro della sala, la Castillo che, persa nei suoi occhi, si lasciò guidare completamente dalla guardia del corpo. “- Proviamo quel pezzetto del passo a due che ci mostrò tempo fa Jackie?” sussurrò Leon, all’orecchio della giovane che annuì, con un sorriso, capendo subito a quale si riferisse. Mentre gli altri continuavano a parlare i ragazzi iniziarono una dolce danza. A mano a mano, però, i loro passi sul parquet scricchiolarono fin troppo, facendo voltare tutti nella loro direzione, Thomas compreso che, bloccandosi verso di loro, ignorò quasi la povera Emma e i suoi discorsi su una festa dell’alta società di Buenos Aires a cui voleva trascinarselo. Leon aveva proposto alla ragazza quel ballo in particolare perché sapeva che finiva con un abbraccio che avrebbe reso i loro due volti vicinissimi. Arrivarono a quel passo conclusivo e furono ad un centimetro di distanza, l’uno dall’altra. Leon, come aveva previsto, non ci pensò due volte e la baciò, lasciando stupiti tutti, soprattutto Fran e Cami che pensavano di sapere tutto della loro migliore amica. Ma, una delle espressioni più scioccate fu quella di Thomas. Mentre persino la Toledo si era azzittita per il momento sconvolgente, lui fissava con aria stizzita e quasi disgustata i due innamorati che, staccandosi, rimasero per qualche secondo occhi negli occhi. Un applauso si levò nella classe. Le ragazze fissavano i due con aria sognante, i maschi avrebbero semplicemente voluto un minimo della bravura nel ballare dell’amico. Ad interrompere quel quadretto stupendo dei due innamorati, però, ci pensò Gregorio che era arrivato qualche secondo prima con Jackie ed erano rimasti a fissare la scena con aria diversamente stupita: la Saenz ammirava l’intesa e il talento dei ragazzi mentre Casal era alquanto scioccato dal finale del ballo e osservava i due con ribrezzo per quel gesto affettuoso.
“- Silenzio!” tuonò Gregorio, azzittendo le esultanze dei giovani amici, tutti intorno alla coppia. I due fidanzati si staccarono all’istante e tutti corsero per mettersi in riga. “- Leon e Violetta! Non tollero queste… “tenere effusioni…” nella mia aula! E’ inaudito! Dal preside! Subito!” urlò, nervoso come mai, il professore, mentre la bionda, ovviamente, dissentì, giusto per il gusto di farlo innervosire ancor di più e di contestarlo. “- Quanto sei antico! Sono ragazzi che c’è di male? E poi io li ho trovati splendidi, coreografia perfetta, bravi! Anche se si potrebbe ancora migliorare!” ribatté l’insegnante, osservando il viso di Casal diventare rosso di rabbia. “- Io sono qui da anni, insegno da quando tu ancora non eri nata! Quindi, nido ambulante che non sei altro, comando io qui dentro! Voi due, dal preside, NOW!” gridò Casal mentre la donna tentò, invano, di trattenere i due ma fu tutto inutile: Leon e Violetta furono spediti in presidenza, già alla prima ora, e, cosa ancor peggiore, furono accompagnati direttamente dal professore che ci tenne a camminare al centro tra i due, come per dividerli. Dopo due ore di ramanzine, davanti ad Antonio, Casal uscì esclamando: “- Spero che troverai una giusta punizione per questi due impuniti!” e sbattendo tanto forte la porta da far cadere un libro in bilico su una mensola e provocando un sordo rumore che fece sobbalzare i tre rimasti nella direzione. “- Leon, Violetta… è vero ciò che ha detto Gregorio? Insomma, vi ha beccato a baciarvi, in classe?” chiese Antonio, avendo fatto un sospiro di sollievo non appena Casal fu andato via. “- E’ vero, ma la lezione ancora non era iniziata! E non mi pare che a scuola ci sia qualche regola che vieti un bacio!” esclamò Vargas, alzandosi di colpo ma venendo tirato a sedere di colpo dalla giovane, che lo invitò a calmarsi con uno sguardo fin troppo eloquente. Con Antonio ci voleva calma… lui, grazie al cielo, non era Gregorio.
“- Antonio siamo mortificati. Non accadrà mai più.” Sentenziò seria la Castillo, fissando il ragazzo che precisò, divertito, sottovoce: “- A scuola, almeno…”. Antonio li osservò con aria complice e per nulla severa. L’anziano abbassò lo sguardo e fissò alcuni fogli davanti a sé per poi riguardare i due ragazzi. “- Vargas, tu hai un compito ben preciso, non l’hai dimenticato vero?” chiese, spiazzando il bodyguard che sgranò gli occhi smeraldo. “- No! Come potrei dimenticarlo?” esclamò il giovane, mettendosi a sedere, finalmente, in maniera composta. “- Bene. Io non voglio punirvi, non avete fatto niente di male… d’altronde se Gregorio sa che non avete scontato la vostra pena saranno guai… trattenetevi per mettere un po’ in ordine la sala di danza, niente di troppo pesante, per carità! D’accordo?” sentenziò Antonio, scribacchiando qualcosa su un registro di classe. “- Grazie, preside!” sorrise la Castillo, tirando un sospiro di sollievo… se Casal fosse stato presente, minimo avrebbe richiesto una settimana di sospensione! “- Leon, voglio raccomandarti solo una cosa… non lasciarti solamente guidare dall’amore, non lasciare che il cuore ti porti ad un cambio totale di direzione. Non devi perdere di vista il tuo compito, ricordalo. So che siete ragazzi, ed è più che normale che sia accaduto ciò che è successo tra voi due. Ma fate attenzione, ok?” si raccomandò, in maniera molto paterna, l’anziano uomo. “- Signor Fernandez, a maggior ragione adesso che ho capito di amarla voglio proteggerla ancor di più. Stia tranquillo. E grazie mille.” sorrise Leon, facendo sì che Violetta lo fissasse come incantata da quelle parole. Aveva davvero detto così? Quasi stentava a crederlo… uscirono dalla direzione serissimi, come se avessero preso una partaccia che, invece, tranne il monologo furioso di Gregorio, non c’era stata.
“- Adesso che hai capito di amarmi, sappi che ti amo anch’io... più di ogni altra cosa. E sapere che mi proteggerai mi fa sentire molto meglio, agente Vargas.” Disse, quasi sottovoce, la giovane, intrecciandogli le braccia dietro al collo. “- Non era il sabato pomeriggio che mi aspettavo, pulire la sala di danza, ma con te sarà stupendo anche così…” sorrise Leon, perso nei suoi occhi. “- Basta baci qui! Altrimenti ci faranno pulire tutta la scuola!” rise lei, ma lui, dopo aver dato una rapida occhiata a destra e a sinistra, le diede un rapido bacio sulle labbra che la lasciò felicemente stupita.
 
 
“- Si puo’ sapere dove credi di andare?” Angie si stava preparando mentre Galindo la fissava, comodamente spaparanzato sul divano del grande soggiorno, senza avere la minima intenzione di muoversi di casa. “- Devo uscire. E’ sabato sera e devo vedere un’amica.” Sentenziò lei, freddamente, girovagando per la stanza in un abitino corto nero e dei tacchi vertiginosi. “- Un’amica? Ma non eri tu quella che ha cacciato la povera La Fontaine per volerla proteggere? E comunque non se ne parla, non senza di me.” Concluse Pablo, fissando la tv… serata di calcio, partita in diretta ed era quasi conclusa, con le due squadre giunte ai calci di rigore, distratto solamente, di tanto in tanto, dal passare della donna proprio davanti allo schermo e dalla scia di profumo che, prepotentemente, invadeva le sue narici. “- Sì, invece. E poi non si tratta di Jade.” Ribatté lei, finendo di truccarsi. Doveva andare a parlare con quella Tamara, verificare se davvero si trattasse di lei, saperne di più della sua vita… inoltre era certa che il bodyguard l’avesse seguita, ritrovando così sua sorella, senza che lei dovesse dirgli nulla. “- Comunque se proprio vuoi uscire mi dovrai portare con te, mia cara!” ghignò Galindo, alzandosi controvoglia per andarsi a preparare, tenendo comunque gli occhi incollati allo schermo.
“- Non ti scomodare e goditi il match. Me la caverò. Non sarò da sola, ti ho già detto che sarò con un’amica…” aggiunse lei, sperando però di smuoverlo, passando di nuovo davanti alla tv. “- Goal! Argentina di nuovo vantaggio! Sììì!
” urlò Pablo saltando di gioia, ormai in piedi, facendo scuotere il capo a lei, con aria rassegnata. Pensava davvero che non ci fosse andato per quella stupida partita? No, di sicuro l’avrebbe seguita, e poi la gara stava già per finire, considerata l’ora tarda. “- Io esco!” esclamò lei, ormai sull’uscio, attendendo la reazione del moro che, dopo qualche secondo, realizzò, tornando serio. “- Bene, dove andresti di bello? Sentiamo!” si informò l’uomo, lasciando perdere, a mal in cuore, la televisione. “- Amnesia. C'è da chiederlo? Ma è solo per accompagnare questa amica. Io non voglio combinare guai, tranquillo… poi torno presto.” disse la bionda, sperando di essere capita. Non voleva dargli l’impressione di essere tornata quella che Galindo aveva conosciuto… in qualche modo stava cambiando e lui l’appoggiava. “- Amica? Con la A? Oppure con la O? Scandisca bene, Saramego!” esclamò l’uomo, arrivando nel corridoio con passo veloce. “- Con la A, sul serio… tu dormi pure un po’ che te lo meriti… buona serata!” Sorrise, con aria astuta, Angie, sperando che lui la seguisse e che il suo piano di fargli vedere “per caso” Tamara, andasse a buon fine. “- Dove diamine vai senza di me! Angie! Torna subito qui!” urlò, sulla porta, il moro, portandosi poi una mano alla fronte. Niente, il tempo di voltarsi un secondo ed era scappata ancora! Doveva seguirla. La donna, dal canto suo, era dispiaciuta per quel comportamento ma doveva farlo: non poteva andare all’Amnesia direttamente con lui o Tamara non le avrebbe rivelato nulla, lui doveva andare lì per cercarla, così tutto sarebbe sembrato più credibile, anche agli occhi della sorella e lei probabilmente avrebbe ottenuto le informazioni che cercava. La bionda salì in auto, allacciò la cintura e mise in moto: ormai era decisa e niente e nessuno avrebbe potuto fermarla. Il bodyguard, allo stesso modo, era determinato nel seguirla… il tranello teso da Angie sembrava andare a meraviglia.
Sin dall’ingresso, quel posto apparve diverso alla Saramego, o forse, lei stava diventando diversa… pian piano stava tornando ad essere quella di prima? Colpa dell’influenza di Pablo? Chissà… si ritrovò all’entrata e subito ricordò la miriade di volte in cui era stata in quel posto con La Fontaine… ed ora lui era sparito nel nulla, probabilmente perché collegato a lei. Prese un profondo respiro e si addentrò nel locale, cercando disperatamente il viso di Tamara. Dopo vari giri della sala, finalmente, individuò due occhi scurissimi familiari: no, non era la Galindo… Jade La Fontaine la fissava male e, quando lei le accennò un saluto con la mano, la donna si voltò dall’altro lato. “- Ehi, ciao… senti mi dispiace per quella volta! Dovetti mandarti via! Per il tuo bene! Mi dispiace!” iniziò la bionda, avvicinandosi alla mora che la fissava con aria disgustata. “- Ah, certo! Immagino!” disse, con voce ironica, la donna. “- Un giorno capirai.” Sentenziò la Saramego, serissima. “- Avevo bisogno di te e tu non ci sei stata!” esclamò Jade, afferrando un calice dal bancone. “- Non l’ho fatto per cattiveria! Senti, Matias molto probabilmente è sparito solo perché era il mio… amico. Non volevo che facessi la stessa fine!” tentò di spiegare la Saramego, invano dato che l’altra la fermò con un gesto stizzito della mano. “- Mio fratello aveva tantissimi nemici. Pensi che la sua sparizione dipenda da te? Certo che sei egocentrica!” sbottò la mora, fissandola con i suoi occhi di ghiaccio. “- E va bene, preferisco che tu non mi creda piuttosto che ti facciano fuori!” strillò la bionda, per poi allontanarsi con aria rassegnata, lasciando Jade colpita da quella frase. Si avvicinò anche a dei divanetti ma nulla, della Galindo nessuna traccia. Non aveva voglia di ballare né di tutta quella confusione… che il bodyguard l’avesse resa noiosa e antica? Si stava rendendo conto sempre di più che stava cambiando realmente direzione ed era solo merito della sua guardia del corpo… peccato che, avendo voluto andare all’Amnesia, agli occhi di Pablo sarebbe sembrata la solita folle di sempre. Andò in bagno per scampare a quella caos infernale e a quella musica assordante e, non appena aprì la porta si ritrovò di fronte un viso familiare. “- Ciao! Alla fine sei venuta!” gridò Tamara ripassando il mascara sulle ciglia. “- Ovvio. Mi fa piacere vederti!” sorrise, sollevata nell’avere incontrato la mora, la Saramego. “- Sei arrivata da poco, eh? Dai andiamo di là a divertirci!” esclamò Tamara, trascinandosela per un braccio verso la sala principale del locale. Una bolgia infernale le travolse e iniziarono a ballare tra quella miriade di persone. “- Questo posto mi rilassa un sacco!” dopo l’ennesimo ballo le due si diressero al banco del bar per ordinare dei cocktail. Angie pensò a quando l’Amnesia avesse quell’effetto anche su di lei: più che rilassarla le faceva dimenticare per qualche ora il mondo esterno, i problemi… per lei il nome del locale era perfetto... eppure adesso quasi quel posto la infastidiva e non vedeva l’ora di uscirne ma doveva resistere: doveva sapere di quella misteriosa Tamara, doveva farlo anche per Pablo. “- Sei venuta per caso o perché vuoi qualcosa?” caspita, quella ragazza era più astuta del fratello! Angie scosse il capo sorseggiando l’ennesimo Martini, per poi fissare ancora la mora. “- Io sono di casa qui dentro!” esclamò la bionda, mentendo spudoratamente. “- Ah, lo so bene!” sorrise l’altra, assomigliando ancor di più al parente che tanto bene conosceva la Saramego. Ma quanto era difficile farla parlare! Eppure, dopo che aveva bevuto il quinto drink la cosa avrebbe dovuto facilitarsi… ma niente. Non si sbilanciò mai sul suo passato, come se avesse paura di ricordarlo. “- Devo farti conoscere una persona, vieni con me!” urlò, ridendo, d’un tratto, nel tentativo di sovrastare quella musica assordante e tirandosi, nuovamente, l’altra per un braccio. Arrivarono di fronte ad un divanetto basso su cui erano seduti due uomini, sulla trentina, che salutarono Tamara con un sorriso malizioso, facendo avvampare la Saramego a cui già girava abbastanza la testa. “- Loro sono Nicolas e Gabriel… ragazzi, lei è Angie.” Presentò la mora, sedendosi accanto a quello che aveva chiamato Gabriel che la baciò di colpo. “Siediti!” la invitò Tamara, mentre Nicolas le fece posto in un secondo, fissandola fin troppo. “- Senti, ti lascio in buona compagnia, ok? Noi andiamo fuori, sulla terrazza sul retro! Qui dentro si soffoca! Troppa confusione stasera!” esclamò, d’un tratto, la Galindo, alzandosi e allontanandosi con quel biondo che sembrava un fotomodello da copertina. La Saramego tentò di fermarla, senza di lei lì dentro, il suo piano sarebbe andato miseramente a rotoli ma la voce calda di quel Nicolas la fece voltare di colpo. “- Ehi, bellezza ma tu sei la ex di La Fontaine! Wow! Non ti ricordavo così bella!” realizzò il bruno, fissandola con degli occhi verdi fin troppo scrutatori. “- Già, sono io…” balbettò lei, ormai violacea per l’imbarazzo. Dannazione che brutta situazione! Inoltre non si spiegava per quale motivo si sentiva le guance in fiamme! Non era da lei! Tamara era già sparita nel nulla e la bionda, per tentare di sfuggire all’uomo, si inventò di dover andare in bagno a rifarsi il trucco… non lo avrebbe mai pensato ma non vedeva l’ora che Pablo arrivasse, anche se non avesse potuto vedere la sorella, almeno l’avrebbe portata via di lì. Istintivamente si sciacquò il viso accaldato ignorando il fatto che, adesso si sarebbe sul serio dovuta rifare il make up. Aprì la borsa e ne estrasse un mascara e cominciò a ritoccarsi il trucco. Ad un tratto, però, si senti abbracciare da dietro e l’oggetto le cadde di mano. “- Sai che sei proprio bella, Saramego?” Diamine! E adesso come ne usciva? Si voltò istantaneamente e si ritrovò occhi negli occhi con quel tizio irritante del divanetto, ma lo sospettava, aveva riconosciuto quella voce suadente di prima. “- Senti io… ho ricevuto una telefonata e devo andare…” sussurrò quasi lei, mentre lui non sembrava aver intenzione di sciogliere quell’abbraccio. “- Ma no! Proprio adesso, dolcezza?” ghignò, mentre lei, riuscendo a divincolarsi arrivò quasi alla porta ma si accorse che, stranamente, era chiusa e, nonostante vari tentativi non si apriva.
Intanto, Galindo, entrato nella discoteca non vedeva la bionda da nessuna parte… chiese in giro e un giovane le disse che l’aveva vista andare in bagno. L’uomo si avvicinò alla porta della stanza che sembrava bloccata e appoggiò l’orecchio al legno per sentire meglio.  “- Sai che sei splendida, no? Te lo diranno spesso…” iniziò Nicolas, avvicinandosi fin troppo a lei che lo aggirò di fretta, con difficoltà dato che aveva la testa che le girava come se fosse su una giostra impazzita. Dannati cocktail! Si sentiva malissimo! “- Non mi sento molto bene, meglio che vada un po’ in terrazza…” tentò di sorridere lei, spingendo la maniglia ripetutamente. “- Dai, mi vuoi già lasciare da solo?!” sussurrò lui, riuscendo a baciarla prepotentemente. In quel momento, al posto di quel tipo, non riuscendo a spiegarsi il perché, vide di colpo la faccia del suo bodyguard, non c’erano più gli occhi verdi del tipo ma, al loro posto, vi era uno sguardo deciso con occhi scurissimi e le sembrò di udire anche la voce di Galindo, così ricambiò, intontita da tutti quei bicchieri di troppo che aveva preso con Tamara. A quelle parole, la guardia del corpo, cominciò a dare dei colpi alla porta che terrorizzarono Nicolas facendolo staccare di colpo e, con una spallata, Pablo riuscì finalmente a spalancare l’ostacolo. Nicolas lo fissò dall’alto in basso mentre Angie gli corse incontro e si mise alle sue spalle, come per cercare rifugio.
“- Che diamine fai, idiota?” Galindo era partito in quarta, avendo capito la situazione e afferrò l’altro per il colletto della camicia. “- Che ti importa, aspetta il tuo turno! Il bagno è occupato!” si ribellò Nicolas, divincolandosi dalla presa: Galindo iniziò una rissa con lui che finì male per il tizio insistente che si beccò un pugno sul naso che lo lasciò steso a terra. “- Lo hai fatto fuori…?” balbettò la Saramego, che non aveva avuto nemmeno il coraggio di placare i due che si azzuffavano, credendo di vederci doppio. Due Pablo? No, solo dopo un po’ realizzò quale fosse quello vero, quando l’altro uomo finì al suolo stordito. “- Non credo... se la caverà. Andiamo.” Sentenziò Pablo, tirandola via da lì per un braccio mentre il tizio già iniziava a riprendersi.  Fecero una corsa. Attraversarono tutta l’Amnesia con una passo velocissimo e si fiondarono nell’auto di Galindo che neppure la guardava in faccia, fissando di fronte a sé con aria nervosa. “- Perché non mi rivolgi la parola? Ero io la vittima, sai?” chiese la Saramego, dopo qualche metro di strada. “- No, Angie. Tu dovevi ascoltarmi e non lo hai fatto. Un’amica… certo! Cosa devo fare? Metterti un lucchetto alla porta d’ingresso o sequestrarti le chiavi della macchina? Ti rendi conto che se non fossi arrivato io, quel tizio… guarda, non farmici pensare!” La rimproverò lui, seccato. “- Sapevo che saresti venuto e poi io non c’entro niente con questa situazione. Lo sai.” Borbottò lei, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino. “- Tu sei venuta qui sapendo benissimo che, da sola, potevi correre dei pericoli e, tralasciando quell’idiota c’è anche un folle che ti odia, mi sembra… in più non mi pare che abbia bevuto solo acqua e aranciate, o sbaglio? E io che pensavo che tu stessi cambiando, che stessi ritornando la vecchia Angie, quella che non ho conosciuto… mi sono illuso, mi sbagliavo.” Sentenziò con calma glaciale Pablo, continuando a non guardarla. Si sentiva così deluso, stupido… sì, anche un tonto… e pensare che si era innamorato di quella donna… che danno aveva fatto, che danno si era procurato a perdere la testa per lei. Se solo pensava a qualche notte prima, in cui stava per dirle “ti amo”... e invece lei continuava ad andare contro corrente, ad andare nella direzione opposta alla sua, insisteva nell’essere quella che non era, perché lui era ancora consapevole che lei non era così. Forse con Angie avrebbe sofferto, e tanto anche. Lei non lo avrebbe mai amato alla stessa maniera, convinta che quello stile di vita errato l’avrebbe resa una persona felice, senza problemi, libera. La Saramego aveva gli occhi lucidi… voleva parlargli di Tamara ma, a quel punto, lui nemmeno le avrebbe più creduto, avendola trovata con quel Nicolas… “- Mi dispiace.” Si limitò a dire la bionda, riuscendo a trattenere a stento le lacrime. “- No, credimi. Dispiace di più a me. Sento che forse questa missione è inutile che… dovrei farti affidare a qualcun altro, migliore di me. Mi dispiace perché non riesci a capire cosa ti perdi con quello stile di vita, cosa ne sarà di te tra qualche anno? A patto che questo folle, se continui così, non ti elimini in men che non si dica. Io credevo in te, Angie. Pensavo che saresti potuta essere la persona che eri prima di tutto questo… e credevo di esserci quasi riuscito. Ma, evidentemente, mi sbagliavo. Ho fallito miseramente e sono deluso.”. Quella frase, detta con una calma spaventosa, ferì nel profondo la donna che, a quel punto, iniziò a piangere singhiozzando, sempre più forte. A lui si strinse il cuore come se fosse in una morsa, ma era stato sincero, forse troppo. In quel momento stava malissimo e, probabilmente, avrebbe volentieri pianto anche lui, ma riuscì a trattenersi. Arrivarono davanti la villa Saramego e andarono velocemente in casa, senza nemmeno degnarsi di uno sguardo. Galindo si sentì uno straccio nel vedere la donna che amava disperarsi in quel modo. Avrebbe voluto stringerla a sé ma doveva resistere, farsi forza. Era troppo deluso per sfiorare solo lo sguardo di lei che si andò a raggomitolare sul divano con lo sguardo perso nel vuoto. Lui, senza farsi notare, la guardò e si sentì una fitta allo stomaco. L’amava troppo per vederla buttare tutto al vento così. Gli dispiaceva tantissimo averle detto quelle cose ma sentiva di doverlo fare… forse quelle parole le avrebbero dato la scossa per reagire, per ritornare una persona migliore, ma, ormai, forse non credeva più che quella donna potesse cambiare. Le lanciò un' ultima occhiata e poi si recò verso le scale… voleva solo andare a riposarsi, forse per sfuggire agli occhi di lei, arrossati dalle lacrime. Angie rifletteva… non voleva perdere Pablo, per nessun motivo al mondo. Aveva sbagliato ad andare in quel luogo, avrebbe dovuto da subito parlargli della sorella e finirla lì. Invece no e il bodyguard aveva ragione nel sentirsi deluso. Si sentiva anche lei così, non poteva credere che stesse davvero cambiando e aveva perso tutto in un istante… soprattutto la fiducia dell’unico uomo che la rispettasse e le credesse, quella di Pablo. Si alzò dal divano e si mise in piedi con un unico pensiero: da quel momento in poi voleva essere sincera con lui e, soprattutto, voleva dimostrargli che lei era molto di più di quello che lui in quel momento pensava, lei era migliore. Un messaggio fece trillare il cellulare di Galindo che, ormai di sopra, fissò stizzito e scioccato lo schermo: “IL CUORE DEL BODYGUARD VA ANCORA IN FRANTUMI. LASCIALA A ME!”. Pablo scosse il capo e, senza dire nulla, si stese di buttò sul letto, prendendo a fissare il soffitto con aria nervosa, ancor di più per quel sms così irritante e provocatoriamente minaccioso.
 
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 Ok, adoro questo capitolo! La parte Leonetta e la faccia di Thomas… ahahaha però l’ultima parte mi fa piangere! ç_ç Pablo è ferito e deluso e Angie ha rischiato davvero tanto! Tamara è tremenda e nemmeno le ha rivelato niente! Per giunta il fratello neppure l’ha vista! Piano fallito e lite Pangie! ç_ç Che le parole di Galindo risveglino la donna? Beh, sembra di sì! Vedremo… e quest’altro messaggio inquietante? Cavolo, questo folle sa proprio tutto! XD alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 19
*** Una prova scottante. ***


“- Buongiorno!” Leon si era svegliato prima di Violetta e la fissava con aria incantata. Erano distesi sul letto, uno accanto all’altra e da qualche notte a quella parte dormivano abbracciati. Sì, probabilmente Diego avrebbe commentato la scelta, per lui alquanto discutibile, che riguardava la parte del “dormire”… ma a Leon non importava... gli bastava stringerla tra le sue braccia per essere felice, per sentirsi completo e quasi gli dispiaceva di essersene accorto solo dopo un lungo periodo passato insieme durante il quale si erano sopportati davvero con difficoltà. “- Ehi!” disse lei, stropicciandosi gli occhi con aria assonnata e mettendosi a sedere sul letto. “- E’ lunedì, si torna allo Studio! Ci aspetta un’intensa giornata di prove, lo sai vero?” sorrise il ragazzo, mentre la giovane fissò l’orologio sul comodino e si rese conto di quanto fossero in ritardo. “- Diamine, Leon! Se dopo quanto successo l’altro giorno oggi arriviamo anche in ritardo, ci sospenderanno direttamente! E non ci sarà difesa che tenga!” esclamò lei, serissima, correndo come una trottola impazzita per la stanza. “- Andrà tutto bene, calma!” rise il bodyguard, bloccandola per la vita e depositandole un dolce bacio sul collo che la fece rabbrividire… “- Leon… faremo tardi…” balbettò la giovane, rossa in viso, osservandosi nello specchio di fronte a sé, stretta in quell’abbraccio proveniente dalle sue spalle. “- Siamo belli, eh?” domandò lui, soffiando delicatamente quella frase all’orecchio della giovane. “- No, io sono bella…” lo provocò ridacchiando la giovane, fissando il suo riflesso per studiarne la reazione. “- Che cosa? Ah, la pagherai per questo!” esclamò la guardia del corpo sollevandola di peso e facendola sedere sul letto. “- No, dai! Scherzavo!” rise lei, mentre Leon la fissava, senza aver intenzione di reagire… stava tramando qualcosa… “- SOLLETICO!” urlò d’un tratto, facendola sghignazzare ancor di più. Si sentiva così serena da quando il ragazzo era nella sua vita… quello di certo non era stato un periodo facile per lei: prima la scomparsa della madre, poi dopo nemmeno qualche mese quella del padre, e per giunta, un folle che voleva eliminare anche lei e sua zia. Chiunque altro avrebbe gettato la spugna, sarebbe partita subito per recarsi dall’altra parte del pianeta… e probabilmente, anzi, sicuramente, lo avrebbe fatto anche lei fino a qualche tempo prima. Ora, però, aveva un motivo in più per restare, per affrontare i suoi problemi per stare con lui. Leon si fermò e si rese conto che la giovane era stesa, lui si ritrovò sopra di lei e la guardò negli occhi e come sotto un meraviglioso incantesimo, ne restò imbambolato. “- Ti amo, Vilu. E non pensavo che lo avrei mai detto… ma ti amo davvero, ti amo più di qualunque altra cosa e ti proteggerò a costo di rimetterci la mia stessa vita.” Leon era serissimo ed era perso nel suo sguardo, quegli occhi tanto belli da averlo fatto innamorare… dolci eppure allo stesso tempo, decisi e forti. Si rese conto che, però, nonostante la sua presenza, la ragazza non aveva la luce in essi a renderli completamente sereni. Aveva passato di tutto, quel periodo nero l’aveva resa triste, spenta, nonostante il suo amore… lui voleva essere la sua ancora di salvezza, la sua roccia, il suo scudo… e l’avrebbe fatto a qualunque costo. Si alzò di colpo facendo rimettere a sedere anche lei che restò a guardarlo con aria rilassata, fino a quando lui le fece una domanda a cui lei non poté evitare di rispondere, dato lo sguardo attento del giovane che sembrava analizzare la sua reazione a quella frase, di sole due semplici parole: “- Sei felice?” le chiese, appoggiandosi con la schiena ad una vecchia scrivania in perfetto ordine. “- Penso che tu già sappia la risposta.” Lo spiazzò. Leon rimase sconvolto da quella risposta, tanto semplice quanto complessa. Forse era vero, lui lo sapeva. Lui sapeva che riusciva a regalarle la serenità di cui aveva bisogno, sapeva che la rendeva felice… ma era anche a conoscenza del fatto che la sua vita, in quel momento, non era per niente stata benevola con lei. Il bodyguard annuì timidamente, prendendo poi a fissare il pavimento con aria sconfitta. Che stupido era stato! Come poteva dirgli che stava completamente bene? Leon fece per uscire dalla stanza ma la voce di Violetta lo bloccò, quando era ormai sulle scale pronto ad andare al piano di sotto. “- Leon… con te lo sono.” Disse la giovane, facendo sì che un sorriso si disegnasse, istintivamente, sul viso del ragazzo che la guardò con dolcezza prima di correrle incontro e baciarla con passione. In quell’istante si resero conto che insieme avrebbero potuto farcela, avrebbero superato tutte quelle maledette difficoltà che la vita aveva deciso di porre sul cammino della ragazza.
“- Passerà, vedrai. Te lo prometto.” Le sussurrò Vargas, ad un centimetro dalle labbra di lei che, istintivamente, gli stampò un altro bacio, sta volta più delicato, restando poi con la fronte appoggiata a quella di lui, perdendosi e specchiandosi a vicenda, l’uno negli occhi dell’altra.
“- Ragazzi! Sbrigatevi o farete tardi!” La voce di Angelica, con tono di chi avesse fretta di restare sola in casa, li fece sobbalzare e, mentre la guardia del corpo fissò l’orologio, un po’ seccato da quell’interruzione, la ragazza si era già fiondata al piano di sotto, salutando velocemente la nonna per poi uscire in giardino, dirigendosi verso l’auto del suo fidanzato che, scendendo con tutta calma, la seguì, soddisfatto di quella frase detta lui dalla giovane qualche minuto prima, in camera.
La scuola, quella mattina, era più allegra che mai e Leon e Violetta individuarono subito il gruppo di amici, fermi, come al solito, in corridoio a chiacchierare. “- Ehilà, bella coppietta!” urlò Federico, abbracciato a Francesca che gli sorrise e facendo voltare anche gli altri nella direzione degli ultimi arrivati. “- Ciao, belli!” salutò Vargas, un po’ in imbarazzo per quella frase. “- Come sono andate le pulizie di sabato?” rise Napo, fissandoli con aria maliziosa. “- Bene, non sono mai stato così felice di lucidare un parquet…” esclamò Leon, facendogli l’occhiolino che tutti afferrarono al volo, ridendo sotto ai baffi, tranne Andres che, confuso, esclamò: “- E cosa c’è di così bello nel pulire il pavimento?” mentre Andrea, prendendolo sottobraccio, lo trascinò via con una scusa per evitare altre gaffes.
“- C’era di bello la compagnia!” urlò Leon, facendo sì che l’amico si voltasse e facesse una faccia eloquente, come se, finalmente, avesse capito.
 “- Ma stanno insieme, ora quei due matti?” chiese poi Vargas a Maxi, ghignando indicando i due amici che si erano allontanati. “- Ah, amico… vi siete persi quella serata al cinema… e, di conseguenza, non sapete le ultime news dello Studio On Beat!” esclamò DJ, arrivando verso di loro con il suo tablet, registrando il videomessaggio per il suo blog. “- Eccoti gli aggiornamenti, ti basta ascoltare la ‘Campana Del Gossip’… sta per iniziare, ascolta! Ora lo registra e lo posta direttamente in rete, osserva!” rise Federico, indicando l’altro messicano. “- Questa è la Campana del Gossip! L’aggiornamento vero te lo giuro, non esagero! Ciao a tutti e benvenuti a: 'Ultime notizie dalla scuola più forte che ci sia, Lo Studio On Beat!' Andiamo subito con il primo scoop, amici… bacio passionale tra Natalia Heraldez e Maxi Ponte al cinema, sabato sera! Dato confermato da sua sorella Lena e Napoleon Ferro che, insistentemente, invece di guardare il film, si fissavano con aria innamorata, sussurrandosi dolci paroline, come pure i due ‘Andy al quadrato’, ovvero Andres Calixto e Andrea Flores! Come continuerà il loro amore? Nasceranno altre nuove coppie all’accademia più mitica che ci sia? Questa è la Campana del Gossip! L’aggiornamento vero te lo giuro, non esagero!” concluse canticchiando come di suo solito e spegnendo la registrazione lasciando Nata, Lena, Maxi e Napo sconvolti. “- Io ti… AMMAZZO! Quanto è vero che ti chiami Dionisio Juarez, detto DJ!” urlò la biondina, con aria furiosa, venendo bloccata da Federico che l’afferrò da dietro per non farla partire per azzuffare il blogger che indietreggiò, al quanto preoccupato. “- Non dirmi che è già online! Ti prego, dimmi di no!” disse l’altra spagnola, con aria sconvolta. “- Ovvio! Le mie news sono in tempo reale!” sorrise orgogliosamente Juarez, quasi soddisfatto della cosa, facendo svenire, di colpo Nata che fu presa al volo da Maxi. “- Nata, tesoro! Svegliati!” urlò Ponte, prendendola in braccio mentre lei, dopo qualche secondo, riaprì gli occhi con aria sognante… non sapeva se era stato lo shock o se fosse vero che il rapper l’avesse chiamata proprio tesoro… stava per svenire ancora ma poi si ricordò di Dionisio e si alzò di scatto, con le stesse intenzioni della sorellina: farlo fuori. “- Calma, calma! E su, ragazzi, aggiorna solo tutti i suoi visitatori! Nemmeno sanno chi siete!” rise Leon, mettendosi davanti all’altro messicano, sperando di placare gli animi. “- Anch’io ho un blog, tutti mi conoscono!” urlò Lena, agitando le braccia per liberarsi dalla presa di Bianchi che ,invece, non la mollò e facendola continuare a scalciare l’aria sperando di colpire il blogger. “- E che sarà mai! State insieme, siete innamorati! E’ questo ciò che conta, no?” sorrise Violetta, fissando poi Leon con aria sognante. “- Per sta volta passi, ma che non si ripeta!” urlò il giovane Ferro, indicando minacciosamente DJ che annuì rapidamente, quasi spaventato dal bassino, mentre Leon rise sotto i baffi a quella minaccia. “- A patto che, almeno, parli anche di sé! Cami mi ha raccontato di un bacio sulla porta di casa Torres… o sbaglio?” urlò Fran, tappandosi subito la bocca con la mano, dopo un’eloquente occhiataccia della rossa. “- COSA?” urlarono tutti in coro. “- Francesca Rossini! Perché non sai tenerti un cecio in bocca?” strillò Camilla, fissando DJ che era diventato di colpo bordeaux e teneva lo sguardo fisso di fronte a sé per evitare di incontrare qualcuno di quelli dei compagni. “- Camilla! Doveva restare ancora tra noi! Perché lo sapeva la Rossini ed ora lo sanno tutti, grazie a lei?” chiese, riprendendo un colorito normale, DJ, guardando finalmente nella direzione della Torres. “- E’ la mia migliore amica! Sa tutto, mio caro!” sorrise la rossa, con naturalezza, mentre l’italiana le schioccò un rapido bacio sulla guancia. “- Bene, allora, dato che ormai la notizia è trapelata e, se lo sa la Rossini lo saprà tutto lo Studio in meno di un giorno, dovrò fare un’edizione straordinaria della ‘Campana del Gossip’ sul sottoscritto e la sua splendida fidanzata!” esclamò, mettendo un po’ il broncio per quello scoop svelato, DJ. Camilla, teneramente, per farsi perdonare, gli schioccò un dolce bacetto sulla guancia che subito fece sparire l’aria cupa e gli fece ritornare un grande sorriso. “- Vieni, bellezza! Abbiamo un blog da aggiornare!” esclamò il giovane, cingendole le spalle in un abbraccio ma venendo bloccato, suo malgrado, da una alta e minacciosa figura. “- Dionisio Juarez! Camilla Torres, e company! In classe! ORA!” Gregorio gli si era parato di fronte e, senza voler sentire spiegazioni, indicò la porta dell’aula di danza dove tutti, allegramente, si recarono, pensando al weekend movimentato, appena conclusosi.
 
 
In sala professori, l’atmosfera era alquanto elettrica. Pablo e Angie arrivarono insieme a scuola ma nessuno guardava neppure per un secondo l’altro, fin troppo scossi dalla faccenda dell’Amnesia, accaduta il sabato precedente. La domenica era passata lenta come mai, sembrava che il giorno, invece di 24 ore ne avesse minimo 240. Neanche una parola tra i due, nulla… solo un pesante silenzio che continuava, anche in quella mite mattinata. Si scambiarono una rapida occhiata, nel prendere alcuni registri su mensole vicine e poi nient’altro. Ad un tratto, Jackie, l’ultima docente che mancava all’appello, entrò nella stanza, con il suo modo di fare acido e insopportabile. “- Buongiorno, Pablo! Angie…” disse, sottolineando con disgusto quell’ultimo nome la ballerina. Che lei le fosse antipatica lo sapeva fin troppo bene ma addirittura salutarla in quella maniera davvero detestabile! “- Ciao, Saenz.” Salutò Galindo, avviandosi per uscire dalla sala e levarsi da quella brutta situazione, quasi dimenticando che dovesse badare alla Saramego. Stava ancora malissimo e meno la vedeva, meno soffriva… peccato che in quella situazione era praticamente impossibile evitarla. “- Pablo, stamattina stai d’incanto! Beh, come al solito, d’altronde.”. Alle parole di Jackie, Angie si voltò di scatto come se qualcuno l’avesse punta con uno spillo. “- Grazie mille!” sorrise lui, vistosamente motivato nel provocare la Saramego, dato che, prima di rispondere alla ballerina, le aveva lanciato un’occhiata soddisfattissima ed eloquente. Angie li fissava con aria nervosa… che diamine voleva la Saenz dal suo bodyguard? Poi si meravigliò di sé stessa… perché aveva pensato suo? Per quale arcano motivo si sentiva un nodo alla gola nel vedere quei due che chiacchieravano amichevolmente?
 
“- Angeles Saramego, sei gelosa…”
 
La sua mente elaborò quel pensiero quasi meccanicamente e lei scosse leggermente il capo, come per volerlo allontanare.
 
“- Angeles, sei palesemente gelosa. Ammettilo a te stessa… anzi, visto che lo stai pensando lo stai anche ammettendo… fregata!”
 
Ancora? Per quale ragione anche la sua mente era contro di lei e le giocava quei brutti tiri facendola innervosire? Cioè con quel tono, poi! Era irritante quasi quanto i testi dei messaggi del folle… già, un killer misterioso voleva farla fuori e quel buono a nulla della sua guardia del corpo faceva il cascamorto con quella sottospecie di nido ambulante. Non ne poté più di quell’amorevole quadretto o meglio, per lei ben poco amorevole… stizzita, si avviò verso i due, urlò un “- Permesso!” alquanto irato e uscì per andare in classe. Si rese conto che era rossa… invidia, rabbia?
 
“- Per l’ultima volta, Saramego! Sei gelosa!”
 
Quella dannata vocina le diede il colpo di grazia!  Prese a sventolarsi con uno spartito che era quasi fuoriuscito dal registro, sentendosi piuttosto accaldata. Sul retro, però, notò della macchie di pennarello rosso… oh, no. Non poteva essere sul serio ciò che pensava… non un’altra volta! Aprì il foglio che era piegato in due e notò delle lettere cerchiate, come succedeva all’inizio di tutta quella terribile vicenda. Entrò in classe e si sedette alla tastiera, prese carta e penna e cominciò a decifrare il messaggio.
“- GELOSIA!” lesse, ad alta voce, la bionda, buttando all’aria la matita. Una semplice parola da anagrammare. La cosa la irritò non poco e, portandosi una mano alla fronte, vide che stava entrando Galindo, tranquillissimo. “- Cos’hai nascosto nel registro?” chiese subito lui, con aria fin troppo attenta, come al solito. “- Nulla. Che c’è? Adesso ti interessa improvvisamente di me?” sbottò lei, seria, sfidandolo quasi con lo sguardo. Lui non rispose ma, con un rapido movimento riuscì a strappare quello spartito dalla protezione della donna e, nel decifrarlo subito, scoppiò a ridere. “- Che diamine hai da sghignazzare?” urlò lei, riprendendosi il foglio. “- Ha ragione il pazzo! Avevi una faccia prima! Per una volta credo di essere d’accordo con il nostro… ‘amico’!” sorrise astutamente il moro, incrociando le braccia al petto con aria soddisfatta. Angie lo fissò, alzando un sopracciglio con aria perplessa e nervosa da quella affermazione. “- Ha preso in giro anche te, quando accadde la faccenda di Ludmilla, ricordi? E’ convinto che stiamo insieme… e questa è la prova che è folle!” ghignò la Saramego, fissandolo però, di colpo incupirsi. “- Non solo una volta, perché vedi… sabato notte… dopo che ti ho ripescato dall’Amnesia ne ho ricevuto un altro. Guarda…” disse, serio, passandole il cellulare. “- IL CUORE DEL BODYGUARD VA ANCORA IN FRANTUMI. LASCIALA A ME! Che diamine significa?” strillò la donna, furiosa, accasciandosi sulla sedia con aria afflitta e gettando il cellulare davanti a sé, con non curanza, facendolo rimbalzare sui registri. “- Che sa quanto tu mi abbia deluso e, a quanto pare, ci fa capire che se io mi arrendo… a te ci penserà lui… ti vuole eliminare, Angie.” La voce di Pablo arrivò come una doccia gelida sulla donna. “- Quindi a quanto pare lui non ha intenzione di arrendersi con me… e tu? Anche tu non vuoi lasciar perdere o vuoi abbandonarmi?” non credeva di averlo chiesto sul serio. Pablo scosse il capo, con aria afflitta… se era tanto intuitivo, dovette ammettere a sé stesso che, quella domanda, non se l’aspettava proprio. “- Non lo so. Dimostrami che puoi cambiare, che non farai più cavolate e potrei continuare… però se fai un altro errore, ti avviso: parlo con Valdez e ti faccio affidare a qualcun altro.” La voce di Galindo era glaciale quanto la sua espressione. Cavolo, non aveva dimenticato quella delusione! “- Ti prometto che farò la brava.” Disse lei, con una semplicità pari a quella di una bambina di cinque anni, di certo non tipica dei suoi modi di fare e di essere di quel periodo. “- Bene.” Sorrise l’uomo, finalmente con tono meno freddo. La classe, in poco tempo, cominciò a riempirsi e in men che non si dica iniziarono la lezione. Ad un tratto, però, Angie uscì in corridoio per rispondere al cellulare… sua madre insisteva a far trillare quell’aggeggio ed era sicura che, se non avesse risposto entro poco tempo, l’anziana sarebbe andata nel panico più totale. Si appoggiò alla porta della sala professori e rispose. Parlò del più e del meno con calma ma, improvvisamente, un urlo, fece affacciare anche Pablo sull’uscio della sua classe… l’avevano sentita per tutto il corridoio! “- MAMMA NON FAR NULLA CHE TI POSSA METTERE NEI GUAI!” strillò la Saramego, attaccando con rabbia. “- Che succede?!” urlò Galindo, correndole in contro. “- E’ sempre la solita! Non voglio che per salvare me si metta nei guai lei! Andiamo a lezione, forza!” disse la donna, portandosi una ciocca dietro l’orecchio e camminando verso la classe, come se nulla fosse accaduto.
 
 
Intanto, Angelica Fernandez, rimasta sola in casa, salì nella stanza di Violetta e Leon per riordinare… non solo quell’ambiente ma, soprattutto la sua mente. Aveva parlato con la figlia, dicendole ancora una volta che avrebbe trovato una soluzione a quella faccenda tanto tremenda che non sembrava avere fine… sapeva che Angie stava male, l’aveva capito dai suoi occhi l’ultima volta che l’aveva vista e lo intuiva dalla sua voce, spenta e priva di serenità. Si incamminò per le scale, aprì la porta e notò che, stranamente, la camera non era in pessimo stato come pensava. La donna varcò la soglia con calma, rimanendo, come sempre, bloccata dal ricordo che quella stanza le rievocava: era stata quella di Maria e Angie da ragazze, prima che la più grande si sposasse e che la seconda, grazie all’aiuto della sorella, andasse a vivere da sola. La madre si sedette sul letto e cominciò a riflettere… quanto erano unite le sue bambine! Maria era sempre calma, riflessiva, un vero angelo! Mentre Angie… beh, era adorabile, seppur molto più determinata e vivace rispetto alla maggiore… ma negli ultimi mesi era diventata irriconoscibile. Angelica sperava con tutto il suo cuore che si potesse riprendere da quello stile di vita così dissoluto, che potesse smetterla di comportarsi nella maniera che meno le si addiceva e che prestasse più attenzione al suo bodyguard, Pablo. Galindo era subito sembrato un brav’uomo alla Fernandez… beh, dopo aver conosciuto quel Matias La Fontaine, chiunque sarebbe stato meglio! Ma quella guardia del corpo le incuteva sicurezza… aveva notato come guardasse sua figlia e quelli, di certo, non erano occhiate dovute solo al proprio incarico di protezione. Gli piaceva un sacco quel moro e sperava sul serio che potesse riportare sulla retta via la sua piccolina. La faccenda di quel commissario Lisandro, poi… ogni volta che la Saramego tentava di essere sincera, di confessare tutto ciò che sapeva alla polizia, quell’uomo tentava di accusarla in qualche modo, per quanto assurdo potesse sembrare! Odiava lei e Pablo e questo era fin troppo evidente… ma non l’avrebbe passata liscia! Glielo aveva detto varie volte e intendeva scoprire la verità su quel malvagio folle che, a detta delle autorità, aveva già eliminato la sua primogenita, chissà per quale arcano motivo, poi! Loro non lo sapevano, nessuno lo sapeva… ma lei aveva intenzione di scoprirlo, voleva che la verità venisse fuori, voleva che, sapendo come fossero realmente andate le cose, sua figlia minore fosse stata davvero scagionata, ed era stata chiarissima sotto quest’aspetto, avendolo detto anche al capo della polizia. Cominciò a riordinare quel poco che vi era fuori posto… la scrivania era in perfetto stato ma l’abito blu di Maria, indossato dalla giovane alla cena a villa Saramego, qualche tempo prima, era ancora appoggiato sulla sedia. Forse la nipotina non aveva il coraggio di riaprire quella cassapanca, piena di ricordi della madre… o forse era stata semplicemente distratta nel lasciarlo fuori posto… fatto stava che la nonna, prendendolo con garbo, lo portò con sé fino al mobile basso, ai piedi del letto della primogenita, ora di Violetta, si inginocchiò e, aprendo l’anta in legno, si ritrovò immersa in un mondo di memorie della figlia scomparsa: spartiti, quaderni, foto, agendine, riviste ed altre cianfrusaglie del genere. Ad un tratto, però, la donna notò un particolare che non aveva mai notato: la cassapanca aveva la base interna irregolare… forse con l’abito sopra non vi aveva mai fatto caso… tirò un po’ verso l’alto e si rese conto che vi fosse un posto segreto, un doppio fondo. Sollevò quella tavola di legno in eccesso e notò che lì sotto non c’era niente di che… solamente una lettera, una busta chiusa con un timbro di cera ma senza francobollo, né destinatario o mittente, completamente bianca. Angelica la prese e, senza muoversi di un centimetro, cominciò a leggerla… tutto lasciava pensare che quella lettera fosse stata scritta da Maria… gli occhi della Fernandez erano scioccati da quelle parole e correva nella lettura, voleva sapere di più, doveva conoscere il nome di quella persona che le aveva fatto del male e che, dato il contenuto di quel foglio, intuì sarebbe comparso di lì a poco! Era talmente presa da quel testo che nemmeno si accorse di un rumore di passi pesanti sulle scale. La porta della stanza cigolò, ma la donna non se ne rese neppure conto.
“- Non posso crederci che… Adesso so chi è stato! La mia bambina è innocente e, finalmente, posso dimostrarlo!” disse, sottovoce, con gli occhi sgranati, la donna, fissando con aria sconvolta di fronte a sé, ancora in ginocchio con quel foglio tra le mani ormai tremanti. Fece per alzarsi e, non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi che si sentì un fazzoletto premere davanti al naso e alla bocca. La donna tentò di divincolarsi, stava quasi per riuscirci se quel liquido di cui era intriso il panno, non l’avesse fatta addormentare di colpo. quell’incappucciato la prese in braccio, afferrò quella lettera che mise con cura in tasca e, dopo aver lasciato un messaggio alquanto inquietante sulla parete, si recò fuori dalla villetta, per ritornare da dove era arrivato.
 
 
“- Leon, vieni ad aprire con le chiavi! La nonna non avrà sentito il campanello!” sorrise allegramente Violetta quel pomeriggio, quando lei e il ragazzo ritornarono a casa, terminate le lezioni. “- Strano…” sibilò subito il giovane, avvicinandosi a lei e infilando le chiavi nella toppa. La porta, però, era chiusa senza alcuna mandata e si aprì facilmente. “- Se fosse uscita l’avrebbe chiusa bene come al solito!” esclamò la Castillo, seguendo il bodyguard, che, preoccupato dalle sue intuizioni, la precedeva nel corridoio. “- Nonna! Nonna sei qui?” cominciò a chiamare la nipote, sperando di sentire la voce di Angelica risponderle prontamente, come faceva di solito. “- Ma dove è andata? Leon ho paura…” sentenziò la giovane, mentre Vargas aveva iniziato a salire le scale e la ragazza lo seguiva, lasciandosi proteggere dalle sue forti spalle, ormai avendo un terribile presentimento anche lei.
“- Stammi dietro e non staccarti da me per niente al mondo.” le ripeté Leon, tentando di mantenere la calma e facendole scudo con il corpo dietro al quale lei, con la sua esile figura, quasi scompariva. Nella camera da letto della Fernandez non c’era nulla di strano, richiusero la porta e proseguirono quatti, quatti, nel corridoio al piano di sopra. Vargas notò la porta dell’ex stanza delle Saramego spalancata e corse subito in quella direzione… era l’ultima, in fondo al corridoio e si sentiva il cuore in gola… la ragazza lo seguì prendendo il suo stesso passo veloce. Quando furono davanti alla camera subito notarono il caos sul pavimento e la cassapanca aperta… tutti gli oggetti che erano di solito lì dentro erano sparsi sul tappeto al di sotto di essa. Alzarono di colpo lo sguardo e rimasero pietrificati: una scritta, stessa vernice rossa di quella che pensavano fosse sangue, dopo la scomparsa di German Castillo, si estendeva di fronte a loro, inquietante e tremolante. “- NOOO! Ancora! No!!! Leon!!!” Violetta era caduta sulle ginocchia a peso morto ed era scoppiata a piangere di colpo, urlando quelle parole con disperazione. Leon subito le si mise accanto nella sua stessa posizione e le circondò le spalle, per farle forza. Non ce la faceva a vederla così, non riusciva. “- Calmati, calmati, ti prego…” le sussurrò all’orecchio, sapendo che fosse tutto inutile. L’alzò di peso e la strinse forte a sé, tra le sue braccia forti, facendo sì che lei affondasse la testa sul suo petto, continuando a piangere. “- Devo chiamare Pablo e Lisandro…” sentenziò lui, accarezzandole i capelli dolcemente e cercando il telefonino nella tasca della giacca. “- Leon, ti prego devi aiutarmi! Io non ce la faccio più! Voglio solo andarmene da qui!” esclamò, tra i singhiozzi, la giovane, sempre stretta a lui. “- Ehi, ci penso io a te, tranquilla. Non permetterò a nessuno di farti del male.” Disse, serio, lui, tirandola dolcemente per un braccio fuori da quella stanza e scendendo al piano di sotto, cingendole le spalle in un forte abbraccio. “- Manchiamo solo io e mia zia. Ho seriamente paura!” disse lei, piangendo e tutta tremante, sedendosi sul sofà e rannicchiandosi subito dopo vicino al bracciolo. “- Non devi averne, ci sono qua io… e Angie è con Pablo. Sta’ calma.” Le disse lui, avvicinandosi alla finestra per fare quella telefonata dopo aver chiamato il commissario e l’altro bodyguard si sedette accanto a lei e, senza dire nulla, le cinse la vita, facendole appoggiare la testa sulla sua spalla rimanendo così fino a quando non sentirono il suono del campanello. Angie e Pablo arrivarono a villa Fernandez e la bionda era alquanto nervosa, come se avesse un brutto presentimento dopo aver tartassato per tutto il viaggio in auto Galindo che aveva finto di sapere poco di quella situazione raccontatagli da Leon per telefono. “- Si puo’ sapere cosa è successo? Mi dici perché siamo qui o no?” strillò, fissando negli occhi la sua guardia del corpo per poi notare come sua nipote stesse piangendo disperatamente. Nessuno fiatò e tutti abbassarono lo sguardo. “- SAPETE TUTTI, NO? PARLATE!” urlò la Saramego, nervosa come mai in vita sua. Subito pensò al peggio… ma il fatto che loro tre fossero a conoscenza già dei fatti e che lei ne fosse all’oscuro la faceva sentire un’idiota. E lei odiava sentirsi così. Pablo notò che Leon gli fece segno di andare a verificare di persona al piano superiore e il moro vi si avviò con passo deciso, facendo segno ad Angie di restare lì con Vargas e la nipote. “- Zia… non andare!” esclamò Violetta, ancora tra i singhiozzi, ma la donna la ignorò e seguì Galindo che, di fretta, arrivò sulla camera del probabile delitto. Subito notò la confusione e, soprattutto, la scritta sulla parete. “MENO DUE…” diceva, mettendo i brividi ancor di più per quelle striminzite parole. “- No, tu vieni qui!” Pablo era in piedi e, non appena vide la bionda avvicinarsi la tirò per un braccio, abbracciandola di colpo per portarla fuori di lì, mentre lei tentava di divincolarsi. “- No… perché? Mammaaaaa!” urlò, mentre il bodyguard tentava di tenerla tra le sue braccia, nonostante la donna volesse restare in quella stanza. Sentendo quel grido, al piano di sotto, la nipote cominciò a piangere più forte e Leon la strinse ancora a sé. Ad un tratto la porta suonò e Pablo e Angie scesero di sotto: lei era pallidissima e si teneva a lui che era alquanto scioccato da quell’inaspettato evento. Cosa diamine c’entrava Angelica con la faccenda? Ok, era la madre della prima delle vittime… ma per Galindo la sua scomparsa improvvisa non era un caso. Lisandro e Dominguez fecero il loro ingresso e Diego subito notò come zia e nipote fossero scioccate… non pensava di averle mai viste così. Roberto salutò con un cenno del capo e, dopo essere salito nella stanza delle Saramego, ritornò al piano inferiore con aria sorpresa.
“- Signorina Saramego, a questo punto devo dirle che lei non puo’ aver a che fare con questa vicenda. Non avrebbe avuto motivo di colpire Angelica Fernandez. Se la mia pista amorosa avesse avuto senso, chiaramente, tutto questo non reggerebbe.” Lisandro sconvolse tutti, Diego compreso. Angie alzò lo sguardo e fissò l’uomo con aria di sfida, senza nemmeno proferire parola… ormai non ne aveva neanche più la forza. “- Quindi scagiona anche me, commissario!” esclamò Galindo, cingendo le spalle della bionda che fissava nel vuoto di fronte a sé con sguardo perso. “- Devo.” sentenziò il capo della polizia, accendendosi una sigaretta con aria quasi mortificata. “- I passaporti e i documenti falsi saranno pronti a breve. Quel meno due mi inquieta… sapete cosa significa, vero?” chiese il commissario, fissando Angie e Violetta. “- Che siamo le prossime.” Disse, gelida la giovane Castillo, facendo annuire l’altra. “- Questo è tutto ciò che ha da dire? Che dobbiamo solo andar via da Buenos Aires? E nemmeno si scusa per ciò che mi ha fatto passare in questo periodo, ovviamente! Si vergogni.” Esclamò con una freddezza spaventosa, la Saramego, alzandosi e andando verso la finestra della villa per fissare fuori con aria fin troppo nervosa. “- C’era qualcuno che odiava la vittima? Ragazzi, voi avete vissuto qui, vi sarete accorti di qualcosa, dannazione!” si innervosì Lisandro facendo però scuotere il capo ai giovani. “- Mia madre non aveva nemici, come non ne aveva Castillo né mia sorella… non garantisco per La Fontaine… e poi non c’è nessuna vittima! Si dovrebbe parlare ancora di scomparsa… o sbaglio?” sbottò acidamente la bionda, ritornando a sedersi accanto a Galindo. “- Ha ragione, capo. Lo stesso vale per gli altri due… di certo non per Maria Saramego di cui beh… l’incidente… il corpo c’era.” Riassunse Diego, fissando la donna che non lo notò, voltandosi ma tenendo lo sguardo basso sul pavimento. “- Io vado… Dominguez finisci gli interrogatori e portami foto della scena del crimine.” Ordinò Lisandro, gelido come un iceberg. “- Non c’è nessun crimine!” urlò ancora Angie, avvicinandosi minacciosamente al commissario. “- Se l’ho scagionata per il delitto potrei comunque farla arrestare per altro… a lei e Galindo. Faccia la brava, signorina. O se la vedrà con me.” Concluse l’uomo, salutando gli altri con un cenno del capo e uscendo. “- Il capo mi ha dato ordine di porre la casa sotto sequestro. Violetta e Leon, dovete trasferirvi a villa Saramego se Angie è d’accordo, chiaramente.” Sentenziò Diego, fissando Violetta che subito si stava alzando per raccogliere qualcosa dalla sua camera con aria abbattuta. “- Non puoi prendere nulla. Quella stanza è offlimits.” La rimproverò il poliziotto, facendo si che lei si risedesse di botto. “- Venite da me, tutti e due…” tentò di abbozzare un sorriso la bionda, sedendosi sul bracciolo del sofà e stringendo le spalle della ragazza. “- Anche se temo che potrete starci per poco… so già che la prossima sarò io e allora vi faranno lasciare anche casa mia.” Sentenziò, con una calma da brividi, Angie. Tutti la fissarono con aria sconvolta… come faceva a sapere che proprio lei fosse stata il prossimo obiettivo del folle? Quel brutto presentimento le comportò una forte fitta allo stomaco anche se tentò di non mostrare la sua sofferenza, voltandosi ancora verso la finestra e fissando fuori da essa.  “- Non dirlo neanche! Tu e Violetta siete quelle che sono state protette essendo state le prime ed uniche ad aver ricevuto i messaggi! Non correte alcun rischio!” disse, stizzito, Galindo fissandola con aria seria ma rassicurante come al solito. “- Speriamo bene…” sibilò, tra i denti, Violetta con aria perplessa e impaurita.
 
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 Eccoci qui! Capitolo 19 movimentato e teso! Angelica è la terza a scomparire! D: Cosa aveva trovato l'anziana donna di tanto importante? In quella lettera ci sarà qualche elemento riconducibile a qualcuno? Tralasciando sulle scene Leonettose su cui ho sclerato e la parte di Angie gelosa! (E sì, per una volta è lei ad ingelosirsi litigando anche con la sua vocina interiore! XD) Questo capitolo non mi dispiace… cosa accadrà adesso alle ultime due persone rimaste? Partiranno per un paese estero, il folle verrà preso prima o cos’altro? E non dimenticatevi che manca ancora il grande show! Colpirà lì il nostro pazzo? Vedremo! Alla prossima, ciao! ;) 

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Capitolo 20
*** Un incidente annunciato. ***


“- Lei come sta?” Diego tagliò decisamente corto e andò subito dritto al punto affermando quella frase con l’affanno e con la fronte imperlata da sempre più numerose gocce di sudore. Lui e Vargas erano sul Puente Mayor e stavano facendo jogging sotto le prime luci di un’alba che lasciava presagire una giornata già alquanto calda. Leon aveva bisogno di vedere Dominguez e la ragazza era rimasta a dormire, a casa con la zia e Pablo. Le aveva scritto un romantico messaggio sul cuscino, sapendo che lei avrebbe apprezzato il gesto e che  non si sarebbe arrabbiata troppo della sua assenza, di cui aveva avvertito solo Galindo, ancora sveglio a sorvegliare la Saramego nella loro stanza. Doveva sapere se c’erano novità sul caso e voleva farlo da solo… se ci fossero stati dettagli scioccanti o novità preoccupanti non voleva che la sua fidanzata assistesse alla conversazione… lui era abituato. Avendo un padre e una madre avvocati sapeva tutto di moventi, delitti, prove… poi avendo fatto per un periodo l’accademia di polizia di certo non si lasciava sconvolgere da qualche dettaglio cruento.
“- Male, Diego. Se prima sembrava si stesse riprendendo un pochino, anche grazie anche a me, ora sta di nuovo male… non dev’essere facile per lei. E’ passata solo una settimana dalla scomparsa di Angelica… povera donna. Poi il fatto che dopo la sparizione della Fernandez ci sia stato il silenzio più assoluto da parte del folle ci sta inquietando ancora di più. Sta tramando, lo sento.” sentenziò serio Vargas, riprendendo un ritmo veloce per sorpassare l’amico, che però subito riuscì ad affiancarlo di nuovo. “- Era vernice rossa sulla parete. Di nuovo, come a villa Castillo. E poi ha detto Lisandro che è sicuro che tra quelle cose di Maria Saramego che erano sparse sul pavimento, ovvero quelle del contenuto della cassapanca, ci dovesse essere qualcosa di fondamentale… eppure non si spiega cosa…” borbottò Diego, andandosi però a sedere sulla prima panchina libera e all’ombra che aveva scovato alla sua destra. “- Grazie, a questo ci siamo arrivati anche io e Pablo, comunque! Galindo suppone che sia qualcosa che il pazzo ha portato via con sé, insieme alla Fernandez… chissà se viva o morta, però!” borbottò Leon, prendendo posto accanto all’altro e fissando Dominguez esausto.
“- Stanco, poliziotto?” rise poi il biondo, anche lui con il fiato corto, mentre il moro prese ad osservarlo con aria stizzita. “- Vargas, porta rispetto. Io corro molto più veloce di te, e lo sai bene!” ghignò Dominguez, stendendosi sulla panca in pietra e provocando l’amico con quella frase furba. “- Corri più veloce di me…? Certo, forse a piedi! ma in moto sei una schiappa! Ti distruggo sempre e lo dovresti esserne consapevole!” lo sfidò Leon, facendo sì che lui si mettesse prontamente a sedere, poggiandosi sui gomiti. “- Schiappa a chi, idiota? L’ultima volta hai vinto perché io ho preso un dosso che mi ha rallentato!” rise l’agente, dandogli uno spintone che per poco non lo vece ruzzolare a terra per poi cambiare repentinamente argomento. “- State insieme, allora? E’ ufficiale?! Insomma, Ludmilla mi ha raccontato del bacio a scuola… avrei tanto voluto vedere la faccia di Heredia! Quello sfigato ci sarà rimasto malissimo!”  sghignazzò poi il bruno, facendo nascere un sorrisetto anche sul viso del bodyguard. “- Smettila, dai… lasciamolo stare! Gliele ho già suonate due volte! Ne ha avute abbastanza!” esclamò Leon, passandosi una mano tra il capelli, sudatissimi per la gran corsa.
“- Comunque, parlando d’altro… quando stavate a villa Fernandez… insomma, ok che c’era sua nonna… ma voi… avete…” Lo sapeva! Leon ne era certo. Sapeva dove volesse andare a parare l’amico e scosse il capo con aria nervosa, come se volesse invitarlo a farsi gli affari propri solo alla vista di quel gesto: cosa inutile, dato il soggetto che voleva sempre sapere tutto nei dettagli. “- Ecco, vedi? Poi lo sfigato è Heredia! Anche tu non scherzi, bello mio! E comunque ne ero certo! Eppure dormivate nella stessa stanza…! Avevate pure lo stesso letto? Oh no, non dirmelo! Avete dormito abbracciati e non hai concluso nulla! Che romanticone il mio amichetto!” cominciò a fargli il verso Diego, lasciando Vargas stizzito. “- Vuoi stare zitto? Riesci a tacere per 10 minuti filati?” lo rimproverò Leon, dandogli un buffetto dietro al collo. “- Vicini, vicini senza arrivare al sodo! Mi deludi, amico! Ti ricordavo più… pimpante!” esclamò il poliziotto, cominciando a ridere come un pazzo, tenendosi la pancia per la grassa sghignazzata. “- Basta, parliamo di cose serie…” tentò disperatamente di cambiare discorso. “- Questa è una cosa seria!” lo interruppe l’amico, ghignando e tirandogli una gomitata al braccio con aria allusiva. “- Tieni a freno gli ormoni sulle mie questioni private e pensa alle indagini. Siamo d’accordo, no? Mi riferirai qualunque cosa ci sarà di nuovo?” chiese Leon, leggermente rosso in viso, non solo accaldato dalla corsa… per quanto piuttosto imbarazzato.
“- Certo, mio castissimo amico!” lo prese in giro ancora l’altro, continuando a sorridergli, come per provocarlo ancora di più. “- E tu e la Supernova bionda? Come prosegue?” chiese il giovane bodyguard, sperando di allontanare la conversazione dalla sua relazione con la Castillo. “- Ah, Ludmilla è una bomba…” iniziò subito Diego, ammiccando al biondo che avvampò, girando il viso dal lato opposto a quello dell’agente. “- Calmati, Frate Vargas! Non intendevo in quel senso… o meglio, lei è sempre una bomba! In ogni campo!” ghignò ancora Dominguez, facendo scuotere il capo alla guardia del corpo, che assunse un’aria rassegnata. “- Non cambierai mai, vero? Almeno ti sei calmato? Non andrai più in giro a fare il playboy, vero? Non ci proverai nemmeno più con le mie insegnanti dello Studio?” chiese Leon, sperando in una risposta affermativa. “- Sì, papà. Farò il bravo. E poi perché… ce ne sono altre sexy a parte la Saramego?” Lo prese in giro Dominguez, facendo pure un’espressione tra il serio e il rammaricato, come se davvero si fosse beccato una partaccia da un genitore. “- Cretino!” lo spintonò Leon, mentre si stavano alzando per riprendere la loro corsa. “- Devi tenerti allentato, adesso, Vargas! Stai sempre in allerta. Ormai Violetta e Angie sono gli ultimi obiettivi del folle e…” ma Diego si interruppe, fissando un tizio che saltellava buffamente per riscaldare i muscoli. “- Dominguez? Che diamine stai guardando?” si bloccò anche Leon, tentando di vedere nella stessa direzione del moro cosa ci fosse di tanto interessante… inizialmente pensò a qualche ragazza carina ma poi non poté più trattenere le risate, avendo tentato di soffocarle fino all’ultimo. “- Sembra una rana!” commentò Diego, schifato. “- E’ Andres!” esclamò Leon, salutandolo da lontano e osservando la faccia entusiasta di Calixto che, però, continuò a zompettare come un rospo per riscaldare in maniera alquanto buffa tutti i muscoli. “- Gli vado a chiedere che programma di allenamento usa! Secondo me qualcosa che usano negli stagni!” ironizzò subito il bruno, tentando di avvicinarsi a lui. “- Fermo dove sei! E’ un ragazzo a posto, lascialo in pace! Fa boxe ecco perché si allena.” lo rimproverò Leon, tirandoselo per un braccio. “- Quello lì fa pugilato? No, sul serio! Voglio un match contro di lui!” sghignazzò Diego, indicandolo, per poi salutarlo con la mano e facendolo ricambiare allegramente. “- Corri piuttosto! Pappamolla!” lo provocò Leon, per far sì che Andres venisse lasciato in pace. “- Pappamolle a chi, Vargas?”. Come previsto, l’ attenzione del bruno si concentrò subito su quella frase di sfida e, velocemente, raggiunse l’amico, per poi affiancarlo nuovamente nel footing. “- Ehi… stalle accanto. Ha bisogno di te, ora più che mai. Falle sentire che ci sei, che la ami… dannazione, questo pazzo sta mettendo ansia anche a me!” esclamò d’un tratto Diego, fermandosi alla ringhiera del ponte e osservando il mare di fronte a sé. Leon, a quelle parole si bloccò e si affacciò accanto a lui, con sguardo perso all’orizzonte. “- Lo farò, amico. Sei un mito quando non spari cavolate!” sorrise Leon, prendendo a fissare l’altro che ghignò soddisfatto. “- Io sono sempre un mito, caro! E non sparo mai cavolate… come osi?” rise Diego, riprendendo a correre come un fulmine. “- Vieni qui, idiota!” lo rincorse Vargas, sorridendo e tentando di raggiungerlo. Gli voleva un mondo di bene a quel cretino… e sapeva, anzi, aveva la certezza, che la cosa fosse reciproca.
 
 
La mattina, a scuola, tutti erano in sala teatro per le prove dello spettacolo, ormai sempre più vicino. Incombeva e la cosa più inquietante è che sia Violetta che Angie avevano il terrore, probabilmente, che nemmeno ci sarebbero arrivate a quello show. Quel silenzio assordante da parte del folle era inquietante, ma quello della polizia che brancolava nel buio, forse, lo era ancora di più. “- Bene, ragazzi. La band composta da Leon, Maxi, Andres e Napo sarà la prima ad esibirsi. Seguirà Violetta con Te Creo… il resto della scaletta l’avete già imparata.” Strillò Jackie, sotto al palco leggendo delle fotocopie che teneva in mano con il programma della serata, dirigendo gli allievi accanto a Marotti, produttore della YouMix che, ormai, sponsorizzava in qualunque evento lo Studio On Beat. “- Non sono d’accordo! I primi dovrebbero essere Ludmilla e Nata in ‘Peligrosamente Bellas’! I talenti dovrebbero aprire lo show, non le mezze calzette!” strepitò Casal, con le mani sui fianchi e battendo nervosamente un piede sul pavimento. “- Senti, abbiamo già deciso e siamo tutti concordi tranne te, quindi arrangiati!” gridò la bionda stizzita, seppur mantenendo il suo atteggiamento elegante, facendo annuire Marotti con decisione. “- Come non detto! Sarà uno scempio!” strepitò Gregorio, uscendo dalla classe, nervosissimo. “- Basta per oggi, andate pure…” sorrise Beto, facendo sì che tutti i giovani scendessero dal palco, accaldati per la miriade di prove.
“- Guardate Thomas, tutto solo…” indicò Napo, quasi un po’ dispiaciuto. “- Lascia perdere quell’idiota, subdolo e calcolatore. Ha fatto soffrire Vilu, non lo voglio da queste parti!” esclamò Leon, sedendosi su uno dei gradini del palco e osservando Heredia con aria da cane bastonato, parlare con Emma e, di tanto in tanto, fissare nella loro direzione. “- Ha sbagliato, ma come abbiamo dato un’altra possibilità a te, Vargas, dovremmo darla anche a lui… in fondo siamo sempre stati amici!” esclamò Maxi, tentando di apparire il più giusto ed equo possibile. “- Questa è la ‘Campana Del Gossip’, vi saluto amici visitatori eh…” “- TACI DJ!” urlarono tutti in coro, azzittendo l’amico disturbatore. “- Dai, lasciate in pace il mio povero Diony!” rise Camilla, facendo sì che tutti prendessero a fissarla con aria stupita. “- Come, prego? Il tuo?” chiese Fran, avvinghiata a Federico che abbozzò una risata, impossibile da soffocare. “- Sì, il mio Diony!” disse, con tono serio, la Torres, facendo scoppiare a ridere il gruppo. Heredia li fissò. Erano così allegri… ora o mai più, doveva avvicinarsi a loro, ancora una volta. Emma lo vide allontanarsi e lo seguì, continuando a parlare, ignorando dove volesse andare il ragazzo. “- Ciao!” salutò, mentre la Toledo, alle sue spalle fece un’espressione sconvolta… di nuovo? Voleva di nuovo stare con quel gruppo di sfigati, tra cui vi era quella Violetta che tanto odiava? “- Che vuoi? Le vuoi prendere ancora, eh? Sparisci!” urlò Leon, spintonandolo e facendolo quasi ruzzolare. “- LEON!” esclamò Andres, invitandolo alla calma e trattenendolo per un braccio. “- Lo so che ho sbagliato, mi dispiace. Violetta scusami… anche tu, Vargas. Ma non voglio perdere amici come voi! Persino Ludmilla è diventata parte della comitiva!” iniziò lo spagnolo, mentre la Ferro subito lo bloccò con un cenno stizzito della mano. “- Caro, io il perdono me lo sono meritato! Tu sei solo un verme!” strepitò con la sua vocina gracchiante, agitando i biondi boccoli sempre perfetti. “- Per favore!” li supplicò quasi, mentre alcuni cominciarono a fissarsi. “- Noi non escludiamo nessuno. Tu ti sei allontanato per stare sempre e solo con lei…” disse Federico, indicando la biondina alle sue spalle che alzò un sopracciglio con aria perplessa sentendosi improvvisamente la causa di tutta quella situazione con cui non c’entrava un bel niente.  “- Ragazzi! Abbiamo deciso che il brano conclusivo sarà ‘Ser Mejor’… e lo canterete tutti e dico TUTTI insieme, quindi non litigate e iniziate ad esercitarvi, forza!” Antonio era arrivato nella sala con dei fogli in mano e invitò gli allievi a salire sul palco, nonostante le prove fossero già terminate da un po’. “- Emma, tu che sei arrivata da poco e non conosci il pezzo… puoi chiedere a noi professori o farti aiutare da… qualcuno di loro! Lo stesso vale per DJ! 10 minuti e poi la proviamo!” esclamò Jackie, con un sorriso che sembrava più un ghigno che altro. DJ e la Toledo sbiancarono: 10 minuti per imparare un brano e una coreografia? Quella professoressa doveva essere impazzita!
“- Certo.” Dissero in coro i due nuovi arrivi dello Studio On Beat con tono titubante. Thomas inizialmente venne guardato un po’ male, soprattutto da Leon che lo detestava e non si fidava per nulla della sua repentina bontà, venuta fuori da un istante all’altro. Emma si mise accanto a Heredia che le stava spiegando alcuni passi, per poi darle uno spartito con il testo del brano cosa che anche Camilla, Francesca e Maxi stavano facendo con DJ. “- Ehi tu! Calmati… non hai nulla da temere contro di lui… io amo te!” sussurrò Violetta all’orecchio del bodyguard che le abbozzò un sorriso, continuando però a fissare nella direzione del moro. “- La smetti?” rise la Castillo, dandogli una piccola gomitata e, finalmente, riuscendo a risvegliarlo da quello stato di trance. “- Anch’io ti amo. E se osa avvicinarsi a noi per riprovarci con te io lo…” ma Violetta lo fermò con un cenno della mano, appoggiandogliela sul petto muscoloso e cercando di tranquillizzarlo. “- Tu, niente, Vargas! Non si avvicinerà a noi due. Ha capito la lezione, e se non l’ha capita… beh, in quel caso è lui quello che andrà male… a me non interessa. Mi interessa un solo ragazzo e ce l’ho già qui, di fronte a me.” Esclamò, con decisione, la giovane, prima di dargli un tenero bacio che, ricordandosi la partaccia di qualche tempo prima da parte di Gregorio, deviò sulla guancia.
“- Ragazzi il tempo è passato… dai, tanto la coreografia è semplice… ora faccio partire la base!” strillò Jackie, richiamandoli all’ordine. Le prime note di ‘Ser Mejor’ invasero la classe e i ragazzi la ballarono e cantarono ancora con qualche errore, soprattutto da parte dei due ultimi arrivati all’accademia, DJ e Emma… il primo in particolare sembrava in seria difficoltà. “- Ok, va bene… DJ ed Emma con me in sala danza, forza!” strillò la Saenz, avviandosi verso l’uscita. “- Che scempio! Dionisio io non so come sia stato ammesso in una scuola prestigiosa come questa! E’ in ammissibile avere alunni scarsi come lei qui dentro!” strillò Casal, agitandosi e camminando nervosamente sotto al palco, come un leone in gabbia. DJ sbiancò, terrorizzato e non osò proferire parola… e, inaspettatamente, parlò Thomas. “- Se è qui è meritevole quanto tutti noi!” strillò, facendo voltare come una furia Gregorio che già poco lo sopportava. “- Prego?” strillò, con una calma glaciale, ancor più spaventosa. “- Ha ragione! Gli dia almeno un giorno per imparare il ballo! Non è mica Nureyev?” strillò acidamente Camilla, andando incontro a Gregorio, furiosa. “- Stia al suo posto, signorina Torres! Altrimenti la faccio sospendere! E lei Heredia… in presidenza! Subito!” tuonò il professore, venendo interrotto da Antonio. “- Non ce n’è bisogno. Jackie vai in classe con DJ e Emma a provare, anzi andateci tutti, ragazzi. Gregorio tu dacci un taglio!” strillò, violaceo per la rabbia, il preside mentre gli alunni svuotarono la classe di teatro. “- E’ mai possibile che tu abbia da ridire su qualunque cosa?” borbottò Angie, fissando il collega, scioccato dalle parole di Antonio che al sentirla inveire contro di lui rimase ancora più colpito e nervoso. “- Taci tu, Saramego! La tua presenza allo Studio è così irrilevante che quando sei stata assente nemmeno abbiamo notato la differenza! Eri impazzita, o sbaglio?” esclamò Gregorio, additandola e facendola innervosire al quanto. “- CHI DIAMINE TI PERMETTE DI COMMENTARE LA MIA VITA?” Angie afferrò Casal per il colletto ma Pablo la bloccò, spostandola di peso e afferrando lui il collega per la camicia. “- Ascoltami bene, se fino ad ora ti ho lasciato perdere adesso potrei farti male sul serio. Un altro commento su Angie e ti faccio fuori. Chiaro?” disse, con calma, Galindo scandendo piano quella frase. “- Non ho paura di te, caro Pablito!” ribatté, ancor glaciale, l’altro. “- Lascialo perdere! Andiamo!” disse la Saramego, prima appoggiando una mano sulla spalla della guardia del corpo e poi tirandosi il bodyguard per un braccio per strattonarselo fuori, mentre il moro continuava a fissare male Casal. “- Beto vieni anche tu! Devo mostrarti quei nuovi testi che mi hanno consegnato i ragazzi!” lo chiamò Angie, mentre era già in corridoio, facendo sì che anche l’altro collega, la seguisse all’esterno.
 
 
“- Che giornata! Sono esausto!” Pablo era in auto, diretto verso casa Saramego, mentre Angie, seduta accanto a lui, fissava fuori dal finestrino con aria assorta. “- Non puoi picchiare tutti quelli che mi rispondono male! So cavarmela benissimo da sola!” lo rimproverò la bionda, prendendo poi a fissarlo con aria rassicurante. “- Certo, come no…” la prese in giro lui, fermandosi al semaforo e prendendo a osservarla… o forse, sarebbe stato  meglio non farlo: si incantò come al suo solito e si rese conto che fosse scattato il verde solo quando sobbalzò per i clacson dietro la loro auto. “- Guarda che è verde!” rise lei, indicandogli il palo all’incrocio. “- Sì. Stavo solo… riflettendo.” Mentì lui, rendendosi conto che quando si perdeva ad guardarla a stento riusciva dire tre parole di senso compiuto… figurarsi se fosse stato in grado di pensare come aveva affermato alla donna! “- Dunque, stasera voglio preparare la pizza per i ragazzi… quindi svolta al supermercato all’angolo che prendo tutto l’occorrente.” Esclamò lei, con un mezzo sorriso, indicando un enorme parcheggio di fronte a loro. “- Sì, lo stai dicendo da stamattina a scuola! E come ti vantavi poi in sala professori delle tue doti di chef! Smettila, non sei credibile, Saramego!” esclamò Galindo, serio, facendole arricciare il naso e assumere una buffa espressione che lo fece scoppiare a ridere. “- Prendiamo un carrello e sbrigati! E’ già tardissimo, tra poco chiudono anche!” lo rimproverò Angie, scendendo di corsa dall’auto. “- Prendere le pizze già pronte, no eh?!” esclamò lui, richiudendo la portiera e seguendola, guardandosi intorno con aria sospetta, come al solito. Nell’ampio spiazzato sembravano esserci pochissime macchine, alcune sicuramente dei dipendenti del Supermarket. Le porte automatiche si aprirono di fronte ai due e, girovagando tra gli scaffali, si affrettavano a prendere tutto il necessario per la cena. “- Sono in pensiero… fai uno squillo a Leon e chiedigli se va tutto bene.” disse la bionda, afferrando un pacchetto di farina da un ripiano alto. “- Stai calma! Se però ti tranquillizza gli mando un sms, ok?” sorrise Pablo, prendendo alcune bibite dal reparto accanto a quello della donna, osservandola però comunque attraverso gli alimenti che li dividevano. “- Che diamine dovremmo farci con queste?” lo rimproverò Angie, quando lui, a fine corsia, la raggiunse e depositò nel carrello alcune confezioni di bottiglie.
“- Berle?” chiese lui, sarcasticamente. Lei mise il broncio e si allontanò verso il reparto ortofrutta, per prendere dei pomodori. Ad un tratto, però, vide una mora con un aspetto familiare… no, non poteva essere lei, ancora! La bruna era di spalle, indossava una giacca lunga beige e dei tacchi vertiginosi. So voltò per un nanosecondo e la bionda sgranò gli occhi verdi, fissandola. Era lei! Era Tamara Galindo! “- Angie ti serve altro? Ehi! Ma che caspita ti succede?” sorrise Pablo, agitandole una mano davanti al viso, invano. La Saramego continuava a fissare quella donna appoggiata al banco della salumeria che chiacchierava amichevolmente con il dipendente. “- Sì, basta così. Andiamo a pagare…” balbettò la bionda, voltandosi per dirigersi verso le casse. “- Ah, aspetta! Leon mi ha detto che va matto per queste schifezze!” si intrattenne Pablo, vicino ad uno stand con delle patatine al formaggio dalla forma strana. “- Prendile, dai… ma sbrighiamoci o non riuscirò a cucinare nemmeno per domani sera!” esclamò Angie, strappandogli di mano quel pacchetto e buttandolo con aria stizzita nel carrello, continuando a guardarsi intorno, nella speranza di far finalmente incontrare quella bruna con il fratello. Arrivarono alle casse che la Galindo stava già prendendo la sua busta e uscendo, salutando amabilmente il cassiere che sembrava conoscerla. Pablo stava sistemando tutto sul rullo trasportatore e una donna, alquanto antipatica e scocciata, stava cominciando a fare il conto ai due.
“- Vengo subito! Ho lasciato la carta di credito in macchina, nella borsa.” Mentì Angie, mentre Pablo la interruppe con un gesto della mano. “- La borsa la hai sul braccio!” indicò il moro, ridendo e innervosendo anche un po' la bionda. “- E comunque ci penso io, tranquilla!” sorrise amichevolmente l’uomo prendendo il portafogli dalla tasca dei pantaloni, mentre la cassiera urlò per l’ennesima volta il totale della spesa: “- Sono 356 pesos e 93. Carta o contanti?” disse stizzita, con un’ acidità indescrivibile, sperando che quei due smettessero di fare cerimonie e si sbrigassero a pagare e a sparire, dato l’ora tarda e la prossima chiusura del negozio. “- Ti ho detto di no, è nella borsa che porto allo Studio, e quella è in auto! Ma vengo subito!” urlò Angie fissando il cappotto beige in lontananza, mentre Galindo tentò subito di rincorrerla, afferrando la busta pronta sulla cassa. “- Ehi lei! Cosa fa, il furbo?” strillò l’antipatica biondina dipendente del supermercato, fermando per un braccio Galindo.
“- Cosa? NO! Io sono un agente… cioè un agente di sicurezza, non un poliziotto, o meglio lo ero ma è una storia lunga e io devo seguire quella donna!” Sintetizzò confusamente Galindo, ma la donna non mollò la presa e lo fissò con aria di sfida. “- Paghi o se la vedrà con dei poliziotti veri, chiaro?” strillò, mentre a lei si era avvicinato un uomo altro, dai capelli rossi, probabilmente il direttore del supermercato, anche lui dall’aspetto antipatico e altri dipendenti che tenevano sott’occhio Galindo mentre il capo del negozio gli si andò a parare di fronte.
Fuori, intanto, Angie era rimasta al centro della strada e si guardava intorno, sperando di vedere, con quei pochi lampioni ad illuminare la serata, di nuovo quel cappotto beige. “- Tamara! Tamara aspetta!” gridò, correndo verso una macchina nera che aveva acceso i fari per uscire dal parcheggio e andare in retromarcia. La donna non la sentì, avendo degli auricolari nelle orecchie con la musica ad alto volume, come per superare il rumore dei suoi pensieri. Senza neppure toglierli mise in moto, girando la chiave con forza. “- Tamara!” gridò ancora la bionda, fermatasi al centro dello spiazzato, ignorando il grave pericolo che stava correndo. Doveva vederla, doveva fargli incontrare suo fratello, quei due dovevano chiarirsi, parlare… fu un attimo. Un’altra auto alquanto vecchia, blu scuro, sbucò dal nulla e Angie non fece nemmeno in tempo a schivarla: vide due fari impazziti avvicinarsi a lei sempre di più, sempre più vicini… non aveva la forza né il tempo di gridare o scappare. Un forte tonfo risuonò nella notte e persino nel supermercato lo avvertirono. “- ANGIE!” urlò Galindo intuendo subito che qualcosa di terribile fosse accaduto, facendo cadere la busta al suolo e correndo fuori dal supermarket con alcuni dei dipendenti che rimasero sull’uscio del negozio. Quando si ritrovò all’esterno, la scena che vide lo fece rabbrividire: la donna era riversa al suolo e in lontananza due fari nel buio sgommarono fuori dal parcheggio ad alta velocità. “- Angie!” ripeté, scioccato, correndo in contro alla bionda sulla fredda asfalto, anche bagnata dalla lieve pioggerellina che aveva iniziato a scendere giù. “- Angie, che diamine, ti prego svegliati! Angie ti scongiuro! Non mi lasciare, Angie! Io… io ti amo! Non puoi lasciarmi, ti prego! Ti amo!” supplicò lui, inginocchiandosi a peso morto al fianco della bionda e cominciando a piangere, sconvolto. Tamara, intanto, essendosi girata per fare la retromarcia e avendo visto quell’auto travolgere qualcuno, scese dalla sua vettura e si avvicinò ai due. “- Cosa è successo? Chiamo subito un’ambulanza!” esclamò, non avendo visto ancora chi ci fosse a terra né chi le stesse accarezzando i capelli con aria disperata. Pablo era troppo scioccato per riconoscere la voce della sorella, stringeva la mano della donna e piangeva come mai in vita sua. Si sentiva dannatamente in colpa. Era colpa sua se lei era uscita dal supermercato, non glielo avrebbe dovuto lasciar fare, lui la doveva proteggere e non vi era riuscito. L’amava. L’amava più di ogni altra cosa e non riusciva a vederla lì,  riversa a terra senza sensi per la gran botta. “- Sta arrivando l’ambulanza, ok? Tranquilla, andrà tutto bene…” tentò di tranquillizzarla lui, accarezzandole dolcemente la folta chioma bionda, senza poterla muovere da quella posizione… o  almeno così gli avevano insegnato alle lezioni di pronto soccorso, all’accademia di polizia. “- Ho telefonato, stanno arrivando!” Finalmente Tamara si avvicinò ai due e rimase sconvolta: a terra c’era la donna che conosceva, la Saramego… e a tenerla stretta suo fratello, Pablo. “- Ta… Tamara…?” balbettò Galindo, con lo sguardo annebbiato dalle lacrime, assottigliando gli occhi per mettere a fuoco quel volto così familiare, mentre la mora, riconoscendo subito il fratello maggiore, prese a correre, volendo solo allontanarsi da lui. “- Tamara, aspetta! Non scappare! Torna qui!” urlò Pablo, non potendosi però alzare e rincorrerla, poiché teneva la mano di Angie e non l’avrebbe lasciata per niente al mondo. La bruna salì di nuovo in auto, lasciata con la portiera aperta nella fretta di voler raggiungere il luogo dell’incidente e prese un profondo respiro, ancora sotto shock. Non aveva il coraggio di affrontarlo, non ora. Non subito, almeno. Gli aveva già rovinato la vita abbastanza e non voleva più farne parte per peggiorare la situazione dell’uomo. Lei non era come lui, lei non era una brava ragazza, suo fratello non meritava altri guai, stando con lei o avendoci solo a che fare. Ecco perché gli aveva detto di essere sparita, di essere all’estero… almeno lui non l’avrebbe più cercata e la sua vita sarebbe senz’altro stata migliore. Delle sirene blu fecero correre i dipendenti del supermercato verso l’ambulanza che stava parcheggiando alla meglio, per poi aiutare gli infermieri a trasportare una barella verso la Saramego. Angie aprì per un secondo gli occhi, tenendoli comunque semichiusi. “- Pablo… io…io ti...” sussurrò, con un filo di voce, la donna, girando pianissimo il viso verso quello dell’uomo che, al sentire la voce di lei, sgranò gli occhi neri, accarezzandole il viso dolcemente, continuando a piangere. “- Sì, sono io, sono qui. Non ti lascio, sola. Io ti amo, Angie… andrà tutto bene, vedrai, ok? Ma non ti affaticare, d’accordo?” sussurrò teneramente lui, mentre lei richiuse gli occhi, respirando con evidente difficoltà. I medici verificarono lo stato della Saramego, ripetendo termini del settore che l’uomo nemmeno riuscì a cogliere: “- Trauma… incidente… emergenza…” non riusciva a seguire il discorso dei dottori né ne ebbe il tempo, accadde tutto così in fretta che gli sembrò un incubo, un brutto sogno da cui, di lì a poco si sarebbe svegliato, in un bagno di sudore, accanto alla donna che amava che dormiva beatamente. Gli uomini la caricarono nell’ambulanza e lui la seguì, istintivamente, salendo accanto alla barella. In quel momento non riusciva a pensare, a dire o a fare qualunque cosa. Si era dichiarato, nel momento in cui aveva capito di essere sul punto di perderla… sperò solo con tutte le sue forze che non fosse troppo tardi, che ce la facesse. Correva a sirene spiegate verso l’ospedale centrale mentre lui, seduto al suo fianco, continuava a tenerle la mano, dolcemente. Non voleva perderla, non avrebbe mai voluto o solamente potuto immaginare la sua vita senza di lei.
 
 
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 Povera la mia adorata Saramego! :( Sto piangendo come una disperata per l'ultimo blocco! :'(((
E povero il mio amato Pablo che si è finalmente dichiarato… sarà troppo tardi? Ce la farà la nostra amata insegnante a sopravvivere? Chi l’avrà investita? E Tamara? Cosa farà ora che ha rivisto il fratello? Andiamo con ordine… Diego che spiega dettagli delle indagini a Leon… era vernice rossa a villa Fernandez… cosa c’era in quella lettera che il folle ha portato con sé? Secondo blocco di prove… ma poveri DJ e Emma! (anzi Emma no, mi sta antipatica! XD) Gregorio è tremendo! Grr! >.< E Thomas che vuole riavvicinarsi agli amici? Ridicolo! Vai via! >.< Insomma, tornando alla povera Angie… cosa succederà? Chi l’avrà investita? Come continuerà la storia? Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 21
*** Ansie e sensi di colpa. ***


“- Se non ci dicono come sta entro 3 secondi vado lì e…” Violetta, Leon e Pablo erano seduti sulla panca nella sala d’attesa dell’Ospedale Centrale e attendevano notizie sullo stato di salute di Angie.
“- Violetta, calmati! Adesso vado a parlarci io, ok?” disse Leon, asciugandole una lacrima con il pollice e depositandole un leggero bacio sulla guancia, prima di alzarsi con aria piuttosto stanca da quella pesante giornata. In quell’istante, finalmente, una dottoressa si avvicinò ai tre con aria serissima, tanto da far sospettare il peggio. “- Come sta?!” disse Pablo, scattando rapidamente in piedi, cosa che fece anche la giovane Castillo. “- E’ stabile, ma la situazione è ancora molto delicata. Dovremo aspettare e vedere come passerà la notte prima di dire qualcosa in più. La signorina ha subito un incidente non da poco e per ora è in stato di incoscienza, sotto sedativi e antidolorifici. Ma per avere notizie più certe bisogna attendere.” Disse la donna, tutto d’un fiato, portandosi una ciocca ramata dietro l’orecchio e analizzando l’espressione dei suoi interlocutori con aria attenta. “- Possiamo entrare a vederla?” chiese la ragazza, ancora con le lacrime che le rigavano il volto. “- Per ora no. Mi dispiace.” spiegò la dottoressa, guardando con più dolcezza la giovane. Si voltò e fece per allontanarsi ma Galindo la inseguì e la chiamò a gran voce: “- DOTTORESSA!” urlò, facendo sì che quella parola risuonasse nel corridoio semivuoto con un rimbombo fastidioso. La donna si voltò e gli andò incontro, con aria perplessa, pensando di essere stata fin troppo esaustiva. “- Ce la farà?” chiese Pablo, con la voce quasi strozzata dal pianto. “- Mi dispiace, non sappiamo ancora nulla con certezza, ma mi ha dato l’impressione di essere una donna molto forte e non è cosa da nulla, mi creda.” tentò di rassicurarlo il medico, mentre lui, tra le lacrime, riuscì ad abbozzare un mezzo sorriso malinconico. “- Lo so. Infatti lo è… e tanto.” Balbettò, ricordando quante ne avesse passate la povera Angie, affrontando sempre tutto con una decisione invidiabile. “- Devo andare.” lo salutò la dottoressa, dileguandosi in una delle tante porte alla sua sinistra. Galindo tornò, con aria sconfitta su quella dannata panca bianca, alle spalle della quale c’era la stanza di Angie, della sua Angie. Dall’esterno riuscivano a vederla: era stesa in quel letto, una mascherina davanti alla bocca e non sembrava nemmeno lei, attraverso quel vetro.
“- Ma perché? Io non riesco a capire che abbiamo fatto di male!” esclamò, tra le lacrime, la nipote della Saramego, mentre Leon le cinse le spalle con un abbraccio senza dire nulla. “- Ragazzi, andate a casa, resto io qui.” Esclamò il moro, fissando i due, dopo qualche secondo di un silenzio pesante, quasi paradossalmente assordante. “- Non ci penso nemmeno. Io da qua non mi muovo.” Ribatté, con decisione, la ragazza. “- Posso parlarti un secondo? Andiamo al distributore in fondo al corridoio, così tengo d’occhio anche lei…” esclamò Vargas all’orecchio di Galindo, facendolo annuire e alzare contro voglia, mentre la ragazza si voltò e rimase a fissare la zia attraverso quel vetro, come bloccata da quella visione che la faceva stare malissimo e non la faceva smettere di piangere. Quando il bodyguard della donna aveva telefonato a Leon aveva subito temuto il peggio. Aveva tentato in tutti i modi di farsi dire dove stessero andando, se la Saramego stesse bene, se le fosse successo qualcosa… ma niente: il ragazzo non aveva fiatato fino all’ospedale, per poi, in ascensore, prenderle le mani e dirle di stare tranquilla, che tutto sarebbe andato per il meglio e che lui, qualunque cosa fosse successa, le sarebbe stato vicino. Ora che sapeva cosa era accaduto non era più lo stesso, temeva sia per sua zia e per lei ancor più di prima. Aveva una paura folle di quel pazzo che stava stravolgendo le loro vite in maniera spaventosa. Leon le fece cenno di restare lì e si diresse con il collega verso il distributore, premendo il tasto del caffè e facendone partire la preparazione.
“- Portala a casa, sul serio. Qui non è al sicuro. Nessun luogo è più sicuro, ormai. Stalle incollato, come fossi la sua ombra.” Sentenziò Galindo afferrando il bicchiere fumante dalla macchinetta automatica. “- Sì… tranquillo. Comunque non devi sentirti in colpa per quello che è successo. Tu sei un grande bodyguard… come eri un grande commissario.” Ribatté Leon, guardandolo negli occhi e rievocando un passato pesante. Era fin troppo chiaro al giovane: Pablo si sentiva dannatamente colpevole di quello che era accaduto ma non aveva nulla da biasimarsi. Galindo era solo stato trattenuto da una serie di sfortunati eventi nel supermercato mentre la donna si era già avviata all’esterno. “- Sto malissimo. Dovevo seguirla io… mi hanno fermato nel negozio e…” Pablo non riuscì neppure a terminare la frase e si appoggiò con le spalle al muro, la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi, assumendo un’ aria seria e fin troppo rammaricata per lui che non aveva alcun motivo per sentirsi in errore. “- Lo so, Pablo! Lo sappiamo tutti! Non c’entri nulla, calmati!” lo rincuorò il ragazzo, appoggiandogli una mano sulla spalla e facendogli forza. Quanto ammirava quell’uomo. Lo ammirava quando era un commissario, il suo mito, lo aveva ammirato quando seppe afforntare quella pessima situazione con Lisandro, sempre con onore e a testa alta, e lo ammirava come esempio da seguire anche ora, divenuto suo collega. “- Se non dovesse farcela io…” “Non dirlo nemmeno. Ce la farà, ne sono certo.” Lo interruppe Vargas, serissimo e osservando Galindo negli occhi, mentre una lacrima rigò il viso del moro, venendo subito catturata dalla mano dello stesso che sperò di nasconderla. “- E’ tornata Tamara.” Disse, dopo un secondo di silenzio, l’uomo, buttando il bicchiere in plastica, ormai vuoto nel cestino accanto a lui. “- Cosa?!” strillò Vargas, continuando a sorseggiare il suo caffè.
“- Non lo so, ho avuto l’impressione che Angie la conoscesse che… fosse uscita per seguire lei. Quando è venuta verso di noi dopo l'incidente, però, è scappata ancora. Mi vuole evitare, evidentemente. Forse mi odia e non la biasimo. Avrei dovuto aiutarla invece di fare il poliziotto professionale. Alla fine Lisandro mi ha comunque fregato, a me e anche a lei… almeno avessi fatto sul serio qualcosa per scagionarla!” Disse, quasi sottovoce, l’uomo, prendendo a fissare di fronte a sé il grande finestrone dell’ospedale. “- Aspettati di trovartelo qui tra un po’… ho avvisato Diego, e mi ha detto che erano sul luogo dell’incidente ad ispezionare…” borbottò Leon, serio. “- Grazie per tutto quello che hai fatto per me. Sei proprio un bravo ragazzo.” Sorrise, amaramente, Pablo, sapendo dei conflitti del giovane con l’avvocato Vargas che, pur di aiutare Roberto lo aveva eliminato facendogli perdere il lavoro in commissariato e, in cambio, chiedendo l’assunzione del ragazzo.
“- Era quello che sentivo di dover fare. Non ti meriti quello che ti hanno fatto, Pablo. Mi vergogno di essere il figlio di quell’uomo.” La freddezza con cui il giovane aveva detto quella frase fece raggelare il sangue a Galindo che si avvicinò al davanzale di quella grande vetrata per guardare fuori. La pioggerellina si era tramutata in un forte temporale e fulmini e saette illuminavano il cielo notturno di Buenos Aires.
“- Leon voleva farlo solo per te. Non giudicarlo troppo male. Per amore spesso si fanno cose di cui poi ci si pente.” Lo rimproverò il moro, continuando a fissare il paesaggio scuro, illuminato di tanto in tanto solo da qualche fugace lampo. “- La ami, vero?” la domanda del giovane arrivò come una doccia gelata sull’altra guardia del corpo che, non sapendo cosa dire, poté solo annuire amaramente. “- Allora Lisandro aveva ragione su qualcosa!” sorrise Leon, facendo a malapena disegnare un piccolo sorriso sul volto anche l’altro. “- Leon… stai accanto alla Castillo. Ormai sono davvero in grave pericolo e…” ma mentre il moro tentava di consigliare l’altro, la ragazza corse verso di loro con il cellulare tra le mani e il viso pallido come se avesse appena visto un fantasma. “- LA ZIETTA CE LA FARA’ O ANDREMO DIRETTAMENTE A MENO UNO?” Lessero, ad alta voce, le due guardie del corpo, sbiancando a loro volta istantaneamente. “- Lo sapevo che c’entrava lui. Ne ero sicuro!” strillò Leon, dando un calcio al cestino della spazzatura con rabbia e facendolo ruzzolare con un tonfo sordo.
“- Calmati, così non risolviamo nulla e poi… ah, ecco Lisandro!” esclamò, cambiando discorso ed espressione, Galindo, osservando il suo acerrimo nemico fissare il vetro dietro al quale c’era Angie con espressione imperturbabile. “- Niente segni di frenata sull’asfalto, volevano colpirla di proposito!” Diego corse verso di loro e annunciò quella frase con freddezza e perplessità. Era ancora giovane ma avrebbe tanto voluto capirci qualcosa in più su quel caso tanto complesso sul quale persino il suo capo era in alto mare. “- A questo ci eravamo arrivati!” strillò Violetta con tono ovvio e nervoso, incrociando le braccia al petto con aria furiosa. “- Sera.” salutò Roberto, mentre loro si sedevano sulla panca appena fuori dalla stanza della Saramego. “- Ah, vedo che su qualcosa ci avevo preso, almeno…” ghignò Lisandro alludendo all’amore di Galindo verso la bionda, osservando la faccia ancora scioccata di Pablo che gli lanciò un’occhiataccia, comprendendo subito a cosa si riferisse il commissario. “- Pensa di fare altro a parte ironizzare sulle disgrazie altrui?!” la vocina stizzita della Castillo fece voltare tutti nella sua direzione: per essere sconvolta era comunque decisa e determinata ma il commissario, inizialmente, non sembrò scomporsi più di tanto. “- Ma che adorabile signorina! Vargas, portala a casa. Ora!” esclamò dopo qualche secondo di silenzio Roberto mentre Leon, alzandosi contro voglia, salutò tutti con un cenno e, dopo vari tentativi, riuscì ad andare a villa Saramego con la giovane.
“- Chiamate quando arrivate e state attenti!” urlò Dominguez, facendo annuire anche Pablo che concordò. “- Che pista sta seguendo, ora?” chiese, curioso, il bodyguard più grande, sperando che almeno ci fosse una minima idea su quegli scomparsi e gli incidenti. “- E’ il solito folle, quello che la afferrò nella piscina, lo stesso che ha ucciso Maria Saramego e ha eliminato anche Matias La Fontaine, German Castillo e Angelica Fernandez.” Concluse, con tono ovvio, Lisandro. “- Tutto qui?” chiese Galindo, facendo ghignare Dominguez, divertito. “- E’ fin troppo bravo questo tipo.” Si giustificò il capo della polizia, con aria fredda. “- O tu fin troppo scarso?” ironizzò con acidità Pablo, facendo accigliare il commissario. “- L’auto dell’incidente, ad esempio… ci sono testimoni? Qualcuno l’ha individuata?” chiese il bodyguard, serissimo. “- No, ma la macchina di Angelica Fernandez sembra essere sparita improvvisamente, nel nulla per poi ricomparire davanti casa sua.” Disse Diego, leggendo degli appunti dal suo blocchetto e beccandosi un’occhiataccia dal capo che non voleva facesse trapelare troppe informazioni sul caso, a maggior ragione se al suo peggior rivale. “- Per non farsi individuare avranno usato proprio quella macchina! Fatela analizzare!” esclamò dopo una breve riflessione, Galindo. “- Geniale!” commentò Dominguez, ricevendo un altro sguardo inceneritore dal commissario. “- Interrogate vicini di casa della Fernandez! Diamine, un auto è sparita e riapparsa dal nulla! Qualcuno avrà sentito o visto qualcosa oltre a notare solo l'assenza e la ricomparsa della vettura!” spiegò, con pazienza, la guardia del corpo. Non avrebbe mai e poi mai collaborato con Roberto, ma pur di far arrestare quel folle che aveva fatto del male a tante persone e alla sua Angie, voleva aiutarli, invitarli a seguire almeno una pista logica che, evidentemente loro non avevano.
“- Andiamo, Diego. Abbiamo molto da fare…” sentenziò, con la sua solita aria glaciale, Roberto, facendo scattare il giovane poliziotto che lo seguì di corsa.
 
 
Erano passate le 4 del mattino, Pablo continuava a starsene seduto su quella panca, senza avere la minima intenzione di volersi muovere da lì. Poche ore senza di lei, senza il suo profumo, il suo sorriso, i suoi occhi verdi e profondi… poche ore e le mancava già da morire. Eppure lei era al di là di quel vetro, combattendo tra la vita e la morte e non immaginava neppure tutto quello che le fosse successo quella sera. Galindo si alzò e prese a fissare una piccolo crocifisso in un angolo del corridoio. In realtà c’era un vero e proprio altarino e l’uomo vi si avvicinò quasi d'istinto. Non era un uomo di grande fede, era stato poliziotto ed era fin troppo razionale, credeva che ci fosse qualcosa di superiore ma il suo rapporto con la chiesa finiva lì… eppure, sentì l’impulso irrefrenabile di genuflettersi su una sorta di inginocchiatoio davanti alla croce. “- Ti prego, salvala. Ti scongiuro… non ti chiedo altro. Se io non sono stato in grado di proteggerla, almeno fallo tu.” iniziò a piangere il moro, tenendo le dita incrociate, in preghiera e il capo chinato sulle sue mani intrecciate. Quando si ritrovò solo, in quella vuota corsia, realizzò appieno cosa fosse accaduto… qualcuno voleva farle del male, senza un apparente ragione. Qualcuno voleva strappargliela via proprio adesso che lui l’aveva ritrovata, che era riuscito ad ammettere a sé stesso quello che provava per lei. Non era uno che piangeva molto ma quella notte non riusciva a smettere. La Saramego l’aveva folgorato. Fino a quel momento aveva avuto paura, sì, paura di quella donna così intraprendente, con quello stile di vita che non lo rispecchiava nemmeno un po’. Non poteva farci nulla, se non tentare, in qualche modo, di farla ritornare quella che doveva essere stata prima della morte di Maria. Ora si spiegava il batticuore che sentiva quando era con Angie, come fosse rimasto troppe volte abbagliato dal suo sorriso perfetto, come si fosse ingelosito quando la trovava con Matias La Fontaine o quando quel tipo, Nicolas, ci stava provando fin troppo insistentemente all’Amensia, quando l’aveva letteralmente salvata. L’amava, più di qualunque altra cosa, e continuò a piangere, nel silenzio della notte, affondando completamente la testa sulle sue braccia, ancora inginocchiato. Ad un tratto, però, una mano gli si poggiò sulla spalla, facendolo sobbalzare e voltare di colpo. “- Tamara!” esclamò, asciugandosi le lacrime con la manica della giacca e alzandosi di scatto, mentre la donna lo fissava con un mezzo sorriso comprensivo. “- Ciao.” salutò la mora, ancora bagnata fradicia dalla pioggia. Doveva aver lasciato l’auto da qualche parte nel traffico provocato dal temporale per correre all’ospedale di gran fretta e lo stato in cui era gliene diede la conferma.
“- Perché?” chiese Galindo, lasciandola perplessa. Non si spiegava che diamine ci facesse ancora a Buenos Aires, perché gli avesse detto di essere a chilometri di distanza da lui, dalla sua vecchia vita. “- Perché era l’unica cosa giusta da fare.” Sentenziò la mora, andandosi a sedere sulla panca fuori dalla stanza della Saramego, cosa che fece anche l’uomo. “- La cosa giusta da fare era rimanere in contatto con il tuo unico fratello, con me! Non farmi credere una bugia solo per starmi lontana!” urlò Pablo, facendole abbassare lo sguardo. “- Ecco perché non volevo affrontarti. Meglio che vada…” disse, con tono rassegnato, la bruna, afferrando la borsa e facendo per alzarsi. “- No, scusa. Perdonami…” la trattenne per un braccio Galindo, facendo sì che lei si risedesse e prendesse ad osservarlo con attenzione… era già abbastanza sconvolto per Angie e  cominciò a chiedersi se la sua decisione di parlarvi proprio in quel momento non fosse stata troppo avventata. “- Non volevo rovinarti ancora la vita. Ti ho causato fin troppi problemi e non volevo darti altre preoccupazioni… ora tu sei un bodyguard, hai di nuovo fama, un lavoro che ti piace… avrei rovinato tutto come sempre, come ho già fatto.” Disse Tamara, fissando la porta di fronte a sé con sguardo perso nel vuoto. “- Quindi non sei mai andata a lavorare in Brasile… e mi hai mentito.” realizzò l’uomo, senza però alzare i toni. Voleva sapere, non farla scappare… ancora una volta. “- Devi stare lontano da me se vuoi essere sereno. Io porto solo guai, fratellone!” ghignò amaramente la Galindo, facendo sgranare gli occhi a lui che l’osservò con insistenza. “- Dove vivi ora? Lavori almeno?” chiese Pablo apprensivo, continuando a fissarla. “- Abito in un monolocale in centro. E non ho un lavoro fisso… vivo alla giornata. Noi siamo diversi, Pablo, troppo. Fai finta di non avermi mai rincontrata, ok? Fai finta che io non sia mai venuta qui a cercarti!” sintetizzò la donna, avviandosi verso l’ascensore. “- No, ferma! Mi devi spiegare una cosa! Tu quando hai visto Angie dopo l’incidente mi hai dato l’impressione che la conoscessi già… è così, vero? Vi conoscevate già?” chiese Pablo, che, con quella domanda, immaginò di essere ritornato il capo della polizia che era un tempo. La donna si morse un labbro, con nervosismo e raccontò di averla incontrata in commissariato, qualche tempo prima e accennò al fatto che, essendo stata la ex di Matias, tutti i frequentatori di discoteche la conoscessero. Pablo subito collegò che Angie l’avesse riconosciuta e che per questo l’avesse cercata all’Amnesia, quel sabato sera, quando poi l’aveva trovata con quel tizio, pensando che lei fosse lì per divertirsi, perché era ritornata quella di un tempo, avendo fermato di colpo il suo cambiamento in positivo, deludendolo. “- Perché Angie non me ne ha parlato?” si chiese ad un tratto, ad alta voce, fissando gli occhi della sorella, così identici ai suoi.
“- Sapeva che l’avresti seguita all’Amnesia, sei prevedibile, fratellino! Forse voleva farti incontrare con me per caso, ne sono certa, ma è andata male, a causa di quel Nicolas. E poi prima che vi fosse l’incidente… lei probabilmente era corsa fuori a cercare me, voleva farci trovare faccia a faccia. Non sapeva come dirtelo, evidentemente.” Le supposizioni di Tamara fecero annuire l’uomo che, nel sapere che la Saramego era uscita per far ritrovare a lui la sorella, si sentì ancora peggio. “- Perché non me l’ha detto subito?!” urlò Pablo, appoggiandosi con le spalle al muro con aria afflitta. “- Sei il suo bodyguard, eh? Te l’hanno affidata dopo la scomparsa di La Fontaine?” chiese la bruna, scostandosi una ciocca castano scuro dietro l’orecchio. “- Prima della scomparsa di Matias.” Precisò il fratello, avviandosi di nuovo verso il vetro che dava sulla stanza di Angie per perdersi ancora a fissarla. “- Sei troppo sconvolto, Pà… secondo me state insieme. Non si tratta solo di lavoro…” intuì subito la fin troppo sveglia Galindo. In effetti l’aveva visto piangere come mai, stringendo la mano alla bionda stesa al suolo, implorandole di non lasciarlo e lo aveva ritrovato in lacrime in ospedale… insomma, chiunque avrebbe capito benissimo. “- No, non stiamo insieme.” “- Non ancora!” ribatté prontamente la minore, abbozzandogli un sorriso. “- Mi fece tante domande all’Amnesia… voleva sapere di me, voleva dirti di me ma non ce l’ha fatta, avendo visto lo stile di vita che facevo non era dei migliori non avrà voluto darti un’altra delusione… e non voglio dartela nemmeno io. Lasciami andare, dimenticami, credimi… è meglio per tutti e due.” Sentenziò la donna, analizzando l’espressione del moro, perplessa. “- Tamara sei mia sorella. Se ti senti in colpa per quanto accaduto sappi che tu non ne hai nessuna! Beh, ok, hai sbagliato con quel che hai fatto, nel frequentare quelle brutte compagnie… ma io ti voglio bene comunque, nonostante i tuoi errori.” Disse, quasi tutto d’un fiato, il bodyguard. “- Con quella registrazione che modificò alla grande della conversazione tra me e te ti è riuscito ad incastrare perché eri fin troppo coinvolto e chiunque avrebbe collaborato con la propria sorella, e a me… beh, io ero solo una mocciosa, non fu difficile incastrare anche me… ma comunque io non dovevo essere con quel gruppo, quel giorno. Mi ha richiamato a distanza di tutto questo tempo solo per mostrarmi quella cassetta, tutto soddisfatto… diceva che doveva tenermi sotto controllo… e che, di conseguenza, dovesse tenere d’occhio te. In quell’occasione ho conosciuto Angie.” Disse, con aria glaciale, la ragazza. “- Sì. Ti fece accusare di tutto… ed io venni cacciato per averti 'aiutato'… io avrei voluto difenderti ma non sapevo come!” disse Galindo, portandosi una mano alla fronte, esausto. “- E non lo avresti fatto comunque. Il tuo senso del dovere avrebbe prevalso, come infatti, avvenne.” Replicò, con un mezzo sorriso comprensivo, Tamara.  “- Ma lui face credere a tutti che ti avevo salvato, modificando delle prove che lui stesso aveva usato contro di te, ingiustamente e, tagliando le nostre voci nei momenti giusti, è riuscito nel suo intento. Quel bastardo ha rovinato entrambi.” Sentenziò Pablo, fissando il pavimento con nervosismo. “- Io comunque ho fatto parte di quel brutto giro! Ero tra i colpevoli lo stesso. Eri tu quello innocente, quello che non aveva tramato con me per salvarmi, mettendosi contro tutto ciò in cui credeva.” esclamò la Galindo, seria. “- Lo so.” Balbettò l’uomo, con aria rassegnata, rialzando lo sguardo e perdendosi negli occhi scuri della sorella.
“- Vado… e salutami Angie, appena si risveglia… perché, stai tranquillo, ce la farà di certo. E’ forte come non immagini nemmeno. Hai visto? Dopotutto è riuscita anche a farci incontrare comunque!” Sorrise Tamara, con un velo di amarezza nel suo sguardo. “- Tam!” disse il fratello, vedendola entrare nell’ascensore. “- Non mi ignorare, per favore. Io non voglio perderti…” esclamò lui, quasi sottovoce, osservando un mezzo sorriso comparire sul viso della sorella. “- Ci sentiamo, fratellone.” Rispose, premendo il bottone del piano terra, facendo chiudere le porte dell’elevatore.
 
 
Violetta si trovava a villa Saramego ed era crollata, a peso morto, sul divano con il cellulare tra le mani, attendendo notizie di sua zia, sperando che Pablo la chiamasse alla prima novità sulle condizioni di salute della donna. SI sentiva così impotente… Non poteva fare nulla, poteva solo aspettare e sperare con tutto il suo cuore che lei si riprendesse. Era tutto ciò che le rimaneva, il suo mondo. Amava da morire sua zia, era sempre stata come la sorella che non aveva mai avuto e, anche quando sua madre morì in quell’incidente e lei cambiò radicalmente il suo modo di essere, non smise mai di vederla, di volerle bene. Suo padre sembrava detestare quella che era diventata, una donna dallo stile di vita così diverso dalla sua concezione di esistere… eppure, la donna, l’andava a trovare spesso, ignorando Castillo che buttava lì sempre qualche commento poco carino sulla cognata e su com’era in quel periodo. A Violetta, però, tutto quel modo di fare che aveva assunto Angie non importava: lei era la cosa più vicina alla madre che avesse e, sapeva che, nonostante tutto, anche per la zia era lo stesso. Forse, inizialmente, le doveva addirittura ricordare fin troppo Maria, per questo era così gelida con lei… ma, a mano a mano, l’amore nei suoi confronti aveva prevalso, rendendola la “vecchia Angie” solo quando si ritrovava con lei. La Castillo iniziò a ricordare tutti i momenti belli passati con la Saramego, anche quando la sua mamma era ancora viva… le passeggiate, le gite al mare, le feste… poi, però, in un batter d’occhio, la sua mente volò a rievocare le parti più brutte… l’incidente di Maria, il folle che continuava a volerle eliminare… ed, infine, questo: la sorella di sua madre era in ospedale in fin di vita a causa di qualcuno che le odiava senza un apparente motivo valido.
Leon si sedette accanto a lei e la fissò, dolcemente, come solo lui sapeva fare. “- Guarda che dovresti riposare. Ti prometto che se chiama Pablo ti sveglio…” le sussurrò il ragazzo, osservando la giovane che, finalmente, si voltò a guardarlo. “- Ho paura, Leon.” Disse, con un filo di voce lei, appoggiando la testa sul petto del bodyguard che si stese sul divano, accanto a lei, tenendola stretta tra le sue braccia. “- Ci sono io… tranquilla.” Tentò di calmarla Vargas, inutilmente, accarezzandole lievemente i capelli castani. “- Anche con Angie c’era Pablo! Questo tizio è astuto e subdolo… e poi non ho paura solo per me… in questo momento ho soprattutto il terrore per lei, per la mia povera zia. Se non dovesse farcela? Come farò io se anche lei…?” Leon la interruppe, iniziando a parlare con calma e tono pacato, nonostante anche lui stesse alquanto in ansia per quella situazione strana e pericolosa:
“- Lei ce la farà, vedrai. E quando starà bene tutta questa brutta storia finirà per entrambe. Lo prenderanno.” Tentò di rassicurarla il ragazzo, stringendola più forte. “- Leon…?” chiese lei, calmatasi un po’, dopo qualche minuto di silenzio. “- Che c’è?” chiese lui, quasi sussurrando quella domanda.
“- Ti amo. Non mi lasciare mai.” Lo supplicò quasi lei, con gli occhi semichiusi… la stanchezza era tanta e il sonno stava per avere la meglio su di lei. “- Mai. Te lo prometto.” Disse, con un filo di voce, Leon, che, sentendo il suo respiro rallentare, capì che si fosse addormentata di colpo. Rimasero immobili, per quasi tutta la notte. Leon rifletteva, sveglio, troppo preoccupato per poter riposare: Pablo era stato chiaro, doveva mantenersi in allerta. Si alzò delicatamente per non svegliarla ma sfiorò il suo braccio, gelido… decise che doveva cercare una coperta per farla stare al caldo e, per iniziare, le poggiò la sua giacca sulle spalle, facendola voltare dal lato opposto con un sorriso sulle labbra. Vargas trovò sulla poltrona accanto al sofà un plaid ripiegato e, senza muovere il suo giubbino, glielo appoggiò delicatamente sul corpo, dalle spalle fino ai piedi. si sedette sul bracciolo del divano e l’osservò: era bellissima, così fragile e delicata… nessuno le avrebbe fatto del male, nessuno. Ripensò a quel povero collega… insomma, si mise nei suoi panni: doveva sentirsi doppiamente male. Probabilmente pensava di aver fallito nella sua missione e, inoltre, si vedeva  che soffriva tantissimo per la Saramego… ne era certo, ormai: Galindo aveva perso la testa per la bionda e, di conseguenza, lo sentiva ancor più simile a sé stesso… anche lui si era follemente innamorato di Violetta, la ragazza che avrebbe dovuto proteggere e anche lui sarebbe stato fin troppo male se le fosse accaduto qualcosa… no, non riusciva nemmeno a pensarci. Allontanò quel tremendo pensiero andandosene in cucina e si ritrovò a fissare l’enorme orologio sulla parete alla sua sinistra: erano appena le 6 del mattino. Si sedette al tavolo e cominciò a pensare a tutta quella assurda faccenda e a come stesse male la sua amata fidanzata… non poterci fare nulla era la cosa che lo faceva sentire ancora peggio. Improvvisamente, però gli venne un’idea… anche se non poteva aiutarla poteva lo stesso risollevarle l’umore! Il suo lampo di genio lo fece subito mettere al lavoro, provocando un forte baccano che, per fortuna, non svegliarono la giovane. Ad un tratto, la sveglia sul cellulare della ragazza squillò, facendola realmente sobbalzare dal sonno e Leon, nel sentire quel suono, apparve sull’uscio del salotto con un sorriso beffardo. “- Buongiorno…” salutò dolcemente, mentre lei metteva a fuoco quella splendida figura di fronte a sé. “- Ehi… ci sono novità?” chiese subito lei, stiracchiandosi nervosamente e mettendosi a sedere. “- No… ma non muoverti! Resta lì, ferma dove sei!” le ordinò Vargas, completamente bianco di farina e con macchie sulla camicia di altri colori indefiniti. “- Ma che cosa…?” chiese lei, sgranando gli occhi sorpresa. “- Ta tan!” esclamò, con una faccia soddisfatta il cuoco, portando un vassoio davanti a lei con aria seria, facendo attenzione a non inciampare in un elegante tappeto rosso. “- Hai preparato tutto da solo?” chiese lei, stupita, facendolo annuire, mentre lui si sedeva vicino alla ragazza che fissava tutta quella colazione pronta per lei con aria sognante. “- Sei il massimo…” sorrise, finalmente, la Castillo, perdendosi poi negli occhi color smeraldo del ragazzo.
“- Avevi bisogno di qualcosa che ti tirasse su il morale ed io ho provato a fare la mia parte… ora mangia, su! Ieri sera non hai toccato cibo!” disse, con tono premuroso, il giovane, afferrando anche lui un muffin. “- E questa?” rise lei, indicando una faccina creata da Leon con due uova strapazzate e una fetta di bacon che creava un sorriso. “- E’ perché voglio vedere anche te, così!” le sussurrò Leon all’orecchio, prima di schioccarle un tenero bacio sulla guancia. “- Vuoi vedermi con del bacon sulla faccia?” lo prese in giro la giovane, mentre lui scosse il capo, sorridendo. “- Voglio vederti sorridere. So che è difficilissimo ma voglio farti capire che per te farò sempre di tutto pur di vederti felice.” Esclamò, serio, il giovane, prendendole una mano delicatamente. Violetta abbozzò un sorriso, ancora velato di tristezza e si avvicinò al suo viso… quelle labbra, quel profumo, ma, soprattutto, quelle parole… non riuscì a resistere: poggiò le labbra su quelle del giovane e iniziò a baciarlo, prima delicatamente, poi sempre con più trasporto, mentre lui le accarezzava dolcemente la schiena.
“- Dobbiamo andare a scuola…” gli sussurrò lui, ad un centimetro dalla sua bocca facendola rabbrividire. “- Devo prima passare da Angie. Lo sai.” disse, tristemente, la ragazza, afferrando il suo cellulare. “- D’accordo, passeremo prima all’ospedale… ma poi sappi che non ho intenzione che ti perda neppure un giorno di lezione!” disse, con tono severo, Leon. “- Sembri mio padre.” Ribatté la ragazza, con decisione. “- Hai bisogno di distrarti e non mi pare il caso di restare in quel corridoio finché non avremo notizie certe. Io non voglio che tu resti lì, nemmeno Angie lo vorrebbe e lo sai.” Sentenziò Leon, facendola poi, annuire debolmente. “- Questo è vero.” Sussurrò quasi la giovane, seria. “- Bene… andiamo che sarà una lunga giornata.” le disse il bodyguard, invitandola a sbrigarsi per poi perdersi a fissarla, mentre la giovane correva per la casa per prepararsi di tutta fretta.
 
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 Capitolo drammatico, lo so! La macchina di Angelica è stata usata per investire la nostra povera Saramego! Pablo è in depressione, Violetta  è in depressione e, di conseguenza, pure Leon è in depressione! Insomma, stanno tutti malissimo per quanto accaduto… poi c’è stata la visita di Tamara al fratello che, finalmente, viene a conoscenza delle intenzioni di Angie: voleva farli incrociare per sbaglio, non sapendo come affrontarlo! Aveva tentato di farli vedere all’Amnesia e voleva provarci anche fuori al Supermercato… inoltre, la Galindo parla del perché Pablo fu licenziato e di come Roberto tramò contro entrambi… come lo sto detestando in questa ff, non immaginate nemmeno! (E l’avvocato Vargas che lo aiutava… peggio ancora! >.<). Ora la nostra cara Saramego sta veramente male! Ce la farà? :( Alla prossima, ciao!

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Capitolo 22
*** Confessioni d'amore. ***


Una settimana. Era passata un’intera settimana e la situazione di Angie era sempre stazionaria. Pablo era seduto ancora fuori da quella maledetta stanza in cui la donna continuava a combattere con tutta sé stessa per restare in vita. Tante volte Leon e Violetta erano andati da lui, ad invitarlo di andare per un po’ a riposare, volendogli dare il cambio… e persino Tamara era andata altre volte a trovarlo, sperando di convincerlo ad andare a riposarsi, a dormire un po’… niente. Nessuno era riuscito a smuoverlo da quella panchina, La dottoressa che si occupava della Saramego gli si avvicinò, alquanto preoccupata. “- Lei deve andare a casa! Lo dico per il suo bene...” Gli ordinò la donna, parandosi di fronte a lui che, ancora afflitto, alzò lo sguardo verso di lei. “- Non posso. Non voglio lasciarla… devo sapere tutto e subito.” Esclamò lui, con un filo di voce, passandosi una mano tra i capelli arruffati… era irriconoscibile: la barba era cresciuta, era smunto e aveva due occhiaie enormi, indice che non chiudeva occhio da fin troppi giorni, ormai. “- Vuole vederla anche oggi?” chiese a bruciapelo la dottoressa, fissandolo e già conoscendo la risposta. “- Magari!” esclamò Pablo, sgranando gli occhi e scattando in piedi, entusiasta al solo pensiero di potersi avvicinare ad Angie come stava facendo da qualche giorno a quella parte. I medici dicevano che poteva fare solo bene alla paziente ascoltarlo, seppur in stato comatoso e, probabilmente, vedendo l’uomo in quello stato, avevano pensato che anche solo starle accanto, potesse far star meglio anche lui. “- Venga con me.” Sussurrò quasi il medico, portandolo nella solita stanzetta per fargli indossare un camice ed una mascherina verdi, come al solito. Quando varcò la soglia della stanza di Angie rimase bloccato come gli accadeva ogni volta: vederla attraverso il vetro era una cosa… senza era completamente diverso. “- Io vado… se le serve qualcosa prema quel bottone o chieda di me, la Dottoressa Alvarez.” sorrise lei, sull’uscio, per poi lasciarlo da solo con la Saramego. Galindo si avvicinò piano al capezzale della donna e si sedette su una sedia posta lì da qualche infermiere. La fissò per qualche secondo che gli parve interminabile: era bellissima, nonostante la mascherina, le fasciature e tutto il resto dei cavi. “- Ciao…” mormorò lui, con sentendo subito gli occhi farsi lucidi. Non riusciva quasi a guardarla in quello stato, si sentiva uno schifo a vederla soffrire così a causa di qualche pazzo che voleva eliminare lei e sua nipote chissà per quale assurdo motivo. “- Hai visto? Sono riuscito ad entrare anche oggi…” iniziò Galindo, sentendosi quasi un po’ stupido nel dover conversare senza poter ottenere risposta… insomma, anche se i dottori affermavano che lei potesse sentirlo, in ogni caso a lui restava il dubbio che fosse inutile, che parlasse da solo, al vento. “- Sono qui fuori da sempre, sai? Non ho intenzione di lasciare l’ospedale se non con te, viva e vegeta e rompiscatole come ti ricordo…” sorrise, amaramente, il moro, prendendole la mano che teneva sul materasso, parallela al suo corpo. “- Mi manchi.” Sussurrò poi, in vistoso imbarazzo da quella situazione... eppure sapeva di  averle detto quella parola perché realmente sentita. Le mancava dannatamente, tutto di lei faceva avvertire la sua assenza: gli mancava il suo sorriso, le litigate, il suo sarcasmo e le frecciatine, la sua dolcezza che, nonostante tutto, riusciva sempre a venire fuori.
“- Mi manchi e più non eri con me più capivo quanto fossi diventata fondamentale, quanto sentissi il bisogno di averti accanto e… oh cielo, quanto sono sdolcinato!” rise, d’un tratto, l’uomo, prendendo a fissarla intensamente… non riusciva a staccare gli occhi da lei e tornò subito serio, ricordandosi che c’era la minima possibilità, per quanto assurdo gli sembrasse, che lei potesse sentirlo. “- Insomma, svegliati, ti scongiuro! Violetta ha bisogno di te, i ragazzi allo Studio e... e anch’io. Ti amo, Angie. Non voglio lasciarti andare così, senza avertelo detto. Ti amo da impazzire, non puoi immaginare quanto… e anche se tu, probabilmente, non proverai nulla per me perché non sono il... 'tipo da Amnesia'… beh, non mi importa. O meglio, soffrirò ma non fa nulla: voglio solo che tu ti svegli e che venga a casa con me. Per favore, amore mio.” Ormai era disperato: non sapeva più cosa fare, appoggiò la testa sulla sua mano e, istintivamente, cominciò a piangere, senza riuscire a fermarsi. Ad un tratto, però, sentì quell’aggeggio che calcolava il battito cardiaco, di cui in quel momento non ricordava neppure il nome, accelerare il ritmo. Alzò di colpo lo sguardo e prese a fissare quella linea verde correre sempre più regolarmente, mentre prima era fin troppo lenta. Si alzò in piedi e la osservò: la bionda sembrava tranquilla, come se nulla stesse accadendo, ma notò che, improvvisamente, la mano sinistra cominciò a muoversi pianissimo, molto lentamente, in un lieve gesto quasi impercettibile. “- Angie! Angie sono io! Angie!” sorrise lui, ormai con le lacrime agli occhi. La bionda cominciò a strizzare le palpebre, come se stesse per aprirle, cosa che, nel giro di qualche secondo, riuscì a fare. “- Angie…” esclamò ancora lui, afferrandole di nuovo la mano e tenendogliela stretta, prendendo con quella libera, ad accarezzarle i capelli. “- Pa… Pablo...” balbettò lei, con un filo di voce prendendo a fissarlo con i suoi grandi occhi verdi, probabilmente infastiditi da quella forte luce al neon sopra al suo letto. Aveva parlato! Ricordava lui chi fosse! Era viva! Galindo quasi non riusciva a credere a cosa stesse accadendo. “- Angie! Stai bene?!” urlò lui, facendole abbozzare un mezzo sorriso, nonostante fosse ancora visibilmente stanca. “- Sì ma ho un gran mal di testa… o meglio mi fa male tutto.” si lamentò lei, con un profondo sospiro, mentre lui prese a osservarla come incantato. “- E’ normale, tranquilla! Ma ora riposati. Vado a chiamare un medico!” esclamò, euforico, correndo poi verso la porta.
“- DOTTORESSA ALVAREZ! VENGA, PRESTO!” urlò lui appoggiato all'uscio, felice e probabilmente anche un po’ spaventato da quel vero e proprio miracolo. “- Cosa ci faccio qui? E perché tu sei in questo stato pessimo e puzzi anche?” chiese lei, facendolo restare prima perplesso per poi farlo scoppiare a ridere. “- Lascia stare me! Ti ricordi dell’incidente?” Rispose lui, felice della solita ironia di lei… si era ripresa sul serio se aveva voglia di prenderlo in giro! “- L’incidente! Ricordo che ero nello spiazzato del parcheggio… e poi due fari accesi e nient’altro. Mi hanno investita?” capì prontamente lei, ancora molto dolorante ma, nonostante tutto, ben lucida. “- Sì. Ma ora ti devi riposare. Io sono qui fuori, ok? Dopo torno!” sorrise, uscendo nel veder correre i dottori nella stanza. Era al settimo cielo, non riusciva a crederci! Doveva telefonare a Violetta e a Leon… a quest’ora dovevano essere allo Studio. Compose in fretta il numero del bodyguard che, dopo vari squilli, non rispose.
 

“- Pablo, scusami ero a lezione con Gregorio! Non potevo parlare! Cosa succede?” chiese di colpo il ragazzo, ancora con il fiato corto, richiamandolo in fretta. Non appena aveva sentito vibrare il cellulare si era fiondato negli spogliatoi con la scusa di aver dimenticato l’acqua nell’armadietto. Violetta, avendo capito benissimo che qualcosa fosse accaduto, lo aveva seguito senza neanche fermarsi a chiedere il permesso a Casal che, infuriato, li andò a cercare per tutti i corridoi dello Studio. “- SI E’ SVEGLIATA!” urlò Pablo, stonando quasi un timpano al collega. “- Sul serio? E come sta?” La Castillo prese a fissare il suo bodyguard, con aria confusa: se Leon aveva chiesto lo stato di salute di Angie poteva voler dire una sola cosa… si aggrappò alla spalla di Vargas per poter ascoltare meglio ma fu inutile, data l’altezza maggiore del giovane. “- Va bene, veniamo subito. Chiederò un permesso speciale ad Antonio!” strillò il ragazzo, con gli occhi lucidi, riattaccando la chiamata, visibilmente emozionato.
“- Allora? Vuoi tenermi ancora sulle spine? PARLA!” chiese Violetta, fissandolo come immobilizzata e pendendo dalle sue labbra. “- Si è svegliata! Ha riconosciuto Pablo! Ha parlato!” esclamò il fidanzato, mentre lei lo abbracciò con entusiasmo e cominciò a piangere di gioia. Leon la sollevò e la fece ruotare in aria, per poi riportarla con i piedi per terra e stringendola a sé con amore. “- E’ la notizia più bella che potessi ricevere! Dobbiamo andare!” esclamò, tirandoselo per un braccio, entusiasta. Gregorio, intanto, accostatosi con l’orecchio alla porta, si beccò quest’ultima sul naso per poi cadere rovinosamente al suolo, mentre i giovani correvano verso la sala professori senza neppure soffermarsi a vedere come stava il professore. Casal, stordito, si rialzò e, furioso come mai, prese a seguirli, con aria più nervosa che mai. I ragazzi spalancarono senza nemmeno bussare la porta della stanza e Antonio, seduto con Beto e Jackie che era andata a chiedere dove fosse finito Gregorio, sobbalzò per quel improvviso baccano. “- Si è svegliata! Antonio ti prego devi lasciarmi andare con Leon in ospedale!” strillò la giovane, lasciando perplessi i presenti. Allo Studio erano stati informati del fatto che Angie avesse avuto un brutto incidente e che Pablo fosse rimasto con lei per tutto quel tempo… tutti erano preoccupatissimi e, al sentire quella notizia, compresero cosa intendesse l’alunna. “- Davvero? E come sta?” chiese Beto sorridendo e sputacchiando una dozzina di briciole di croissant facendo storcere il naso alla ballerina. “- Sembra che abbia parlato e riconosciuto Pablo!” intervenne Leon, alle spalle della fidanzata. “- Che bella notizia!” urlò Antonio, vedendo poi la porta spalancarsi di nuovo. “- AH ECCOTI FINALMENTE!” urlò Jackie a Gregorio che continuava a tamponarsi il naso dal quale scorreva un rivolo di sangue. “- Questi due! Questi mocciosi sono fuggiti dalla classe, nel bel mezzo della lezione e…” ma Beto lo interruppe, ancora con la bocca piena della brioche che stava divorando. “- Angie si è svegliata!” disse, facendo volare degli spartiti che erano sul tavolo in aria per festeggiare facendone finire un paio addosso a Casal che gli lanciò un’occhiataccia letale. “- La smetti di fare l'idiot… sul serio?” realizzò, in fine, sistemandosi il magione con aria schifata. “- Ragazzi voi due andate! Io vado a riferirlo anche ai vostri compagni… saranno tutti così felici! Leon mi raccomando…!” esclamò Fernandez, uscendo dalla classe per radunare gli allievi: era certo che tutti sarebbero stati al settimo cielo per quella splendida e inaspettata notizia.
 
 
“- La smetti di fissarmi e mi spieghi cosa è successo? Mi sento così stordita!” Angie era stata trasferita in una stanza normale e Pablo continuava a fissarla come imbambolato. Non riusciva ancora a realizzare cosa fosse accaduto, che lei fosse viva e vegeta, che si fosse ripresa da quel brutto trauma ricevuto. “- Ti ricordi del folle? Beh, ha colpito. Sei stata investita nel parcheggio del supermercato mentre rincorrevi…” ma la bionda non lo fece finire la frase e, sgranando gli occhi, esclamò: “- Tamara! Ora ricordo! Stavo seguendo lei, volevo farvi incontrare e… sono mortificata, scusami. Quella notte all’Amnesia io ero lì per lei e volevo che tu mi seguissi in modo da ritrovarla. Sono una codarda e mi scuso con te. Dovevo dirtelo ma non sapevo in che modo farlo... così pensai che sarebbe stato più semplice farvi ritrovare faccia a faccia, ecco perché non ho parlato. Mi dispiace da morire, sono stata un'idiota!” Sentenziò, con calma, la donna, portandosi poi una mano alla fronte. “- Non ti devi preoccupare. Sul serio. E’ grazie a te se l’ho ritrovata e ci ho parlato più volte.” Sorrise Galindo, sedendosi accanto a lei. Quella piccola stanza faceva quasi rimbombare le parole dei due… era una camera singola, con una grande finestra e un odore quasi asfissiante di disinfettanti vari.
“- Sono felice che abbiate ricucito il vostro rapporto. Stavo per farmi ammazzare ma almeno sono riuscita a farvi riavvicinare!” Mormorò Angie, abbozzando un mezzo sorriso. “- Suppongo che stiano arrivando Violetta e Leon.” Disse, cambiando discorso, Galindo, sistemandole il cuscino dietro la testa della donna. “- Pablo?!” esclamò lei, sbuffando. “- Sì?” domandò lui come se nulla fosse. “- Dacci un taglio! Sto bene... ammaccata ma viva!” Rise debolmente la donna, fissando il bodyguard risedersi con aria rammaricata. Voleva rendersi utile, aiutarla in qualunque maniera. “- Ecco la nostra paziente finalmente sveglia!” la Alvarez fece il suo ingresso stringendo una cartelletta blu al petto e scrutando la bionda. “- Salve…” salutò lei, ignorando chi potesse essere la donna ma capendo dal camice bianco che dovevesse trattarsi della sua dottoressa. “- Come sta?” chiese il medico, lanciando un sorriso a Pablo che ricambiò, cosa che alla Saramego non sfuggì. “- Bene ma… vi conoscete?” chiese la donna, facendo annuire la Alvarez che poggiò una mano sulla spalla della guardia del corpo che abbassò lo sguardo, imbarazzata. “- Non si è mosso da qui per tutto il tempo in cui è stata tra la vita e la morte. Stava malissimo anche lui e, grazie a me, è riuscito ad entrare anche a salutarla mentre lei era in stato di incoscienza. Deve amarla proprio molto, si ritenga fortunata ad avere accanto un uomo come lui.” Sentenziò la dottoressa, facendo sgranare gli occhi alla paziente e diventare paonazzo Galindo. “- Tu che cosa? Sul serio?” sorrise la bionda, tentando con qualche difficoltà di mettersi a sedere meglio nel letto mentre l'altra donna annuì, lasciando la stanza con aria furba. Pablo non fiatò ma sentiva il viso rovente… era certo che doveva aver assunto la tonalità di un pomodoro. Alzò lo sguardo e la fissò, mentre lei lo guardava come in attesa di una risposta. Non le aveva detto che era stato lì tutto quel tempo, voleva sorvolare su quello che, per lui, era un dettaglio insignificante. Era il suo dovere, doveva stare fuori a quella stanza… poi si rese conto che, con quel pensiero si stava prendendo in giro da solo… ma quale lavoro? Quale missione? Lui l’amava e ci sarebbe restato lo stesso, anche se non avesse avuto quel compito di protezione nei confronti della Saramego. Ormai violaceo in viso cominciò a sospettare che, se Angie lo avesse ancora fissato in quel modo, da lì a poco avrebbero dovuto ricoverare anche lui... ma in cardiologia. Ad un tratto sperò che lei non si ricordasse di tutte quelle frasi d’amore che gli aveva detto, in preda alla sua disperazione e al fatto che si fosse reso conto di essersi innamorato di lei alla follia. Poi, però, pensò che forse sarebbe stato meglio se Angie avesse rimembrato: l’amava e, probabilmente, non avrebbe mai più avuto il coraggio di parlarle così, con il cuore in mano. “- Allora? Che c’è? Adesso sei timido e non vuoi parlare?” sorrise lei, guardandolo ancora intensamente. “- Sì. sono stato qui fuori. La Avlarez ha ragione.” Disse, semplicemente, lui, sentendo il cuore battere ad un ritmo fin troppo sfrenato sicuro che se lei avesse continuato a guardarlo in quel modo, di lì a poco, avrebbero dovuto portarlo in terapia d’urgenza.
“- Devo dirti una cosa… io non sapevo se l’avessi sognato oppure no… ma me ne ero già accorta. Ti sentivo vicino, Pablo, ti sentivo piangere per me ed era come se…” ma, ad un tratto, si bloccò, facendolo preoccupare… chissà che altro si ricordava! “- Aspetta, tu… tu quando ero a terra mi hai detto una frase che…” Angie fece uno sforzo per tentare di ricordare quel “ti amo” disperato che gli aveva detto Pablo, mentre lei era caduta priva di sensi. “- Lascia stare, non ti affaticare troppo, adesso…” tentò di dissuaderla lui, portandosi una mano alla fronte che sentì fin troppo accaldata e sudata… in fondo al cuore voleva che lei ricordasse cosa le avesse detto ma era diventato fin troppo rosso per l’imbarazzo… forse non era quello il momento per rammentarlo. Fu un secondo: ad Angie tornò in mente quel terribile momento. I lampi del temporale che incombeva, un forte tuono che seguì, Tamara davanti a lei che le sfuggiva, il rombo di quel motore, i fari, le urla disperate di Pablo e poi… e poi quella frase di Galindo, i suoi occhi che si facevano pesanti, la voglia di voler rispondere con un “ti amo anch’io” ma la forza che le mancava. “- E va bene. Ti amo. Ecco cosa ti ho detto. Ti amo, ti amo alla follia e tanto se non te lo dico ora, prima o poi te lo avrei ripetuto e sai perché? Perché ti amo, Angeles Saramego e ho tentato in tutti i modi a frenare questo sentimento ma non ci sono mai riuscito. D’accordo? Sei soddisfatta?” Pablo ormai, invece che rosso era sbiancato. Aveva detto quelle parole d’istinto, senza pensarci troppo… aveva capito che lei avesse ricordato e se non in quel momento, comunque prima o poi lo avrebbe fatto. Angie sorrise e lui pensò che, sicuramente, lo avrebbe mandato a quel paese o gli avesse lanciato qualche frecciatina ironica come al solito. “- La strada umida. La mia schiena sull’asfalto congelata. Tu c’eri. Mi tenevi la mano e mi hai detto quel ti amo tra le lacrime. Io ho tentato di dirti qualcosa, ti ricordi?” Galindo sgranò gli occhi a quelle parole. Che diamine stava dicendo? Delirava, probabilmente i sedativi le stavano facendo male. In effetti, però, annuì, era andata proprio in quel modo... lei aveva tentato di rispondergli ma le erano mancate le forze per farlo. La Saramego, con un filo di voce, prima che chiudesse gli occhi quella notte, lo aveva chiamato e voleva dirgli qualcosa. “- Volevo dirti che era lo stesso per me ma non avevo la voce per parlare. Forse, se non fosse stato per te non mi sarei mai svegliata, lo sai? Sei stato la mia forza, il mio coraggio, la mia voglia di lottare e non solo in questo caso ma da quando ti ho conosciuto. Ti sentivo quando parlavi, quando eri con me. Sapevo che c’eri. E sapevo che dovevo tornare, per dirti tutto ciò che sentivo nei tuoi confronti. Pablo, io ho avuto tanti uomini in vita mia ma non ho mai amato davvero. Tu mi hai insegnato a farlo. Non avevo mai sentito quello che provo adesso per te. E non ti ringrazierò mai abbastanza per questo.” La voce di Angie era calma e una lacrima le rigò il viso pallido. Galindo la fissò con aria sognante… non poteva sperare di meglio e allo stesso tempo non voleva vederla piangere. Allora era stato un bene ricordarle cosa le avesse detto quella notte? Non voleva aggiungere altro né ci riuscì. Si sedette sul bordo del letto e la guardò, con aria tranquilla. Le asciugò la lacrima con un pollice e le fece segno di no con la testa. Non doveva star male, non voleva vederla così. Angie sembrò capire al volo ciò che intendesse e gli sorrise. Il bodyguard le prese il viso fra le mani e la guardò ancora: gli sembrava un sogno averla lì, di fronte a sé, sana e salva. Si avvicinò sempre di più alle sue labbra, titubante. E se lei fosse ritornata ad essere la persona trasgressiva che aveva conosciuto, facendolo soffrire? No, non poteva essere… quello che gli aveva appena detto era la dimostrazione che lei era cambiata, che era tutto l’opposto! Amava lui come non aveva mai amato nessuno! Quindi perché doveva solo pensare una cosa del genere? Era quella la cosa giusta da fare? Innamorarsi della donna che avrebbe dovuto proteggere? Beh, quello, ormai, lo aveva già fatto e non poteva né voleva più rimediare. La Saramego lo guardò e capì la sua indecisione… aveva paura. Paura del suo ruolo, di quello che doveva essere per lei, di quella che lei era stata... La donna, allora, non esitò ancora: gli mise le braccia intorno al collo,  lo guardò intensamente e accorciò le distanze, facendo sfiorare le loro labbra in un bacio come non ne aveva mai dati prima… un bacio vero, d’amore. “- Ti amo, Pablo.” Disse, staccatasi, ancora ad un soffio dalla bocca di lui. “- Ti amo, Angie. E ti prometto che non ti lascerò nemmeno un istante. Ti devo proteggere, ora più che mai.” Sussurrò il moro, ribaciandola, con più passione. Continuarono a guardarsi intensamente quando, d’un tratto, qualcuno bussò alla porta e Pablo ritornò sulla sedia di colpo, quasi avesse preso la scossa.
“- Zia! Zia, zia, zia, zia!” Violetta si fiondò nella stanza, trovando la donna ancora con un sorriso stampato sulle labbra. “- Tesoro mio! Come stai?” chiese subito Angie, un po’ stordita da quelle forti emozioni, quasi dimenticando che quella ricoverata fosse lei. “- Io? Tu come stai?! Oh, non sai quanto sono stata in pensiero! Mi mancavi da morire!” esclamò la ragazza, mentre Leon rimase a fissarla sull’uscio. Si era catapultata tra le braccia della Saramego che la stringeva forte, accarezzandole dolcemente la schiena. “- Sto bene, piccolina, tranquilla. Ora sto davvero bene.” Sorrise, enfatizzando quell’ultima parte della frase guardando sott’occhio Galindo che abbassò lo sguardo, un po’ in imbarazzo. Violetta, astuta, si voltò a fissare il moro che teneva gli occhi fissi sul pavimento… qualcosa aveva intuito. Anche Leon, d’un tratto, aveva preso ad osservare Pablo che, finalmente, rialzò lo sguardo. Vargas gli si avvicinò piano, con l’aria di chi la sa lunga e gli sussurrò all’orecchio un furbo: “- Sono felice per te, collega.”, facendo diventare di nuovo e ancor più violaceo Galindo che, però, ridacchiò sotto ai baffi. D’un tratto, qualcun altro bussò alla porta e, senza aspettare il permesso per entrare, nella stanza si materializzarono Lisandro e Domiguez che diede una pacca sulla spalla a Vargas.
“- Abbiamo una novità sulla macchina: è confermato. E’ quella di Angelica Fernandez. Un vicino di casa ha detto di essere passato a gettare la spazzatura e di non aver visto l’auto… poi, però, quando si è affacciato di nuovo perché ha aperto il suo cancello ad un ospite, la macchina è riapparsa.” Spiegò Lisandro, sedendosi al posto di Pablo e facendo sì che la Saramego lo guardasse malissimo. “- Lei ricorda nulla?” si rivolse poi alla bionda che scosse il capo, con decisione. “- Mi ricordo solo due fari, nient’altro. Era buio… ma forse… sì, forse poteva essere l’auto di mia madre.” Ipotizzò la donna, ricordandosi che, forse, quel veicolo era proprio di colore blu. “- Sul cofano della macchina della Fernandez c’erano tracce del suo sangue, Angie. Quindi è certo: hanno usato quella vettura per investirla. Intendevo… ricorda altro?” incalzò Roberto, fissandola con curiosità. “- No, gliel’ho già detto, no. Mi dispiace. Era sera, non riuscivo a vedere chi ci fosse alla guida… e, comunque, non ne avrei avuto il tempo data la velocità dell’impatto.” Spiegò la Saramego, fissando Pablo con aria stanca.
“- Ok, Lisandro, fuori. E’ distrutta… ti ha detto tutto ciò che sa. Continuate ad interrogare i vicini di casa di Angelica, magari qualcuno ha visto il nostro amico folle prendere l’auto o riportarla poi al suo posto.” consigliò Galindo, tentando di aiutare il commissario, visibilmente in alto mare. “- Andiamo Dominguez. Buon pomeriggio.” Salutò il capo della polizia, uscendo seguito dall’agente che, invece, sorrise ai presenti, felice della notizia del risveglio della donna.
“- Quale parte di ‘non ricordo nulla’ non era chiara a Lisandro?” strillò Vargas, sedendosi sul bordo del letto, torturandosi le mani, come se avesse voluto prendere a pugni qualcuno, evidentemente proprio quell’irritante commissario. “- Calmati. Sta facendo il suo lavoro…o almeno ci sta provando.” gli disse Pablo, tentando di placare gli animi. “- E lo sta facendo molto male! Non sa nemmeno da dove cominciare, si nota!” si intromise la Castillo, facendo annuire anche Angie. “- Andiamo, Vilu, lasciamola riposare…” la esortò Leon, facendo alzare la ragazza seduta dall’altro capo del materasso. “- Ciao, zia!” andò di nuovo ad abbracciarla lei. “- Ciao, tesoro. E sta a sentire Leon… fidati questo folle è furioso! E lo sarà ancora di più visto che non è riuscito ad eliminarmi.” sintetizzò la Saramego, con aria afflitta. Non voleva che se la prendesse con la sua nipotina, avendo fallito contro di lei. Ormai era chiaro… voleva farle fuori come, probabilmente, aveva già fatto con tutti gli altri… “- Noi andiamo. Sai che quando vuoi il cambio io sono disponibile. Tu vai a casa con Vilu e io sto qui con lei.” si raccomandò ancora la più giovane delle guardie del corpo, rivolgendosi al più grande. “- No, sul serio. Non ho bisogno di riposare. Grazie comunque.” Sorrise il moro, facendo annuire il ragazzo che non insistette, capendo al volo che Pablo avrebbe preferito essere stremato piuttosto che lasciare, anche per un secondo, la sua amata Saramego.
D’un tratto, però, un sms risuonò sul cellulare di Violetta e un altro fece trillare quello della bionda, riacceso qualche secondo prima da Galindo. La ragazzina si bloccò sull’uscio, mentre Leon le circondò le spalle in un abbraccio: “- STAI IN ALLERTA, SIGNORINA. SIAMO ANCORA A MENO DUE.” Lessero, quasi in coro, i due ragazzi, mentre lei, in preda al panico, strinse forte a sé Vargas, ritrovandosi con la testa sul petto del giovane che sospirò, in ansia, accarezzandole le spalle dolcemente per calmarla. “- UNA FIN TROPPO PRONTA GUARIGIONE. ANCORA A MENO DUE.” Lesse Galindo, sbattendo il cellulare sul comodino della donna, fin troppo furioso per quei messaggi.
“- Mi ha fatto gli auguri di pronta morte, quindi… che simpatico!” ironizzò la donna, portandosi una mano alla fronte, fingendosi rilassata ma nervosa e impaurita come mai. “- Ehi, sta’ tranquilla, ok? Calmiamoci un po' tutti! Ci siamo noi a proteggervi. Non avete nulla da temere.”  Disse Pablo, tentando di mantenere la lucidità e di smorzare le tensioni. “- Ha ragione. Ragazze, lo ha detto lui di stare allerta, no? Beh, lo faremo! Voi e ancor di più, noi.” Concluse Leon, serissimo, ancora con Violetta tra le braccia. “- Perché adesso ho la sensazione che se la prenderà con me?” chiese la ragazza, in panico. “- Non ci riuscirà finché ti starò incollato come un’ombra.” Sentenziò il ragazzo, prendendole le mani e guardandola negli occhi infondendole un po' di quella serenità che le mancava da troppo tempo. “- Ma che belli che siete!” esclamò Angie, facendoli, finalmente, scoppiare a ridere.
“- Beh, invece a me pare che noi ci siamo persi qualcosa, vero Pablo?!” ribatté la nipote, smorzando quel nervosismo e facendo sollevare gli occhi al cielo al moro. “- E’ inutile che negate! Io sono molto astuta!” esclamò la Castillo, nella speranza di distrarsi. “- Io lo sapevo già.” Disse, con calma, Leon.
“- Tu cosa?” lo rimproverò la ragazza, che non sapeva dell’amore di Pablo nei confronti della zia. “- O meglio, non che stessero insieme ma qualcosa avevo intuito!” sorrise, facendo l’occhiolino a Galindo che era di nuovo rossissimo in viso. “- Questi due hanno parlato, vedi? E vogliono lasciarci all’oscuro di tutto!” rise Angie, indicando i due bodyguard. “- Certo che siamo una bella squadra!” sorrise poi la Castillo, fissando i quattro. “- Due belle coppie vorrai dire!” urlò Leon, beccandosi una gomitata dal suo collega più grande. Zia e nipote si guardarono perplesse, per poi smorzare quell’imbarazzo, in una fragorosa risata alla quale si unirono anche le due guardie del corpo.


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Questo era un capitolo romantico che dovevo ai miei amati Pangie… :3 e ovviamente gli accenni ai Leonetta non mancano…frfopjreg *-* ;) questo qui non lo commento per evitare scleri, ma lascio a voi la parola! Che ne pensate? Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 23
*** Festa con... (brutta) sorpresa! ***


“- Quello ti sembra un festone appeso decentemente? Sei pessimo, Ponte!” Ludmilla era al centro della sala teatro e commentava, acidamente, qualunque cosa vedesse passarle davanti agli occhi. Era trascorso un po’ dal risveglio di Angie e, finalmente, era stata dimessa dall’ospedale. I ragazzi si erano messi d’accordo con Leon: Pablo doveva portare l'insegnante lì con una scusa perché tutti volevano darle il bentornato come meglio meritava.
“- Sali tu su questa scala traballante ad appenderlo, per giunta sul palco, Supernova che non sei altro!” strillò Maxi, scendendo stizzito ma con attenzione quei gradini poco stabili, facendo scoppiare a ridere Thomas che era dall’altro lato della scala, con Emma che lo sosteneva per evitargli cadute.
“- Ludmilla, lascialo stare! E’ perfetto!” strillò Nata, depositando un bacio sulla guancia al moro, che, esausto per tutti quegli addobbi da preparare in fretta e furia, subito arrossì di colpo. “- Io o lo striscione?” ridacchiò il rapper, dandole un altro bacio, questa volta sulle labbra, facendo sorridere la Heraldez. “- Mi viene da vomitare…” commentò schifata la bionda, andando poi a disturbare gli addetti alla preparazione del buffet. “- Camilla! Sbrigati che staranno arrivando!” strillò, continuando a supervisionare senza muovere un muscolo se non quelli per dar voce alla sua solita lingua biforcuta.
“- Taci! E renditi utile, Supernova! Porta queste tartine su quel tavolo, dove c’è Lena, vedi?! Ne sei capace?!” ordinò la Torres, facendo scoppiare a ridere DJ che immortalava tutto con il suo fidato tablet. “- Levati dai piedi blogger da strapazzo!” urlò la Ferro, buttando per  aria il fidanzato di Camilla che continuò a riprenderla andare avanti e indietro per i tavoli con vassoi e deliziose prelibatezze in bella mostra su di essi. “- Questa è la Campana del Gossip il pettegolezzo senza alcun imbarazzo! Edizione straordinaria! Guardate qui, evento più unico che raro: Ludmilla Ferro si rende utile!” esclamò, caricando subito il video in rete cosa che, per fortuna, la ragazza non colse… lo scoprì qualche giorno dopo e fece ruzzolare il giovane con uno spintone per tutto il corridoio dello Studio, furiosa per quell’affronto ricevuto! “- Buongiorno!” I ragazzi sbiancarono e si bloccarono. “- Vilu, ma diamine! Hai la stessa voce di tua zia!” rise Federico, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo per poi  continuare con i propri compiti. “- Scusate, immagino vi sia preso un colpo!” esclamò, continuando a sorridere la giovane, felice come una Pasqua per il fatto che Angie, finalmente, stesse bene e tornasse a scuola. “- Andres e Andrea fanno da palo. Ci avvertono quando arrivano… ce li siamo tolti un po’ dai piedi, sperando che lui non si faccia subito beccare dalla prof rivelando tutto!” sorrise Francesca, depositando subito delle bottiglie tra le braccia di Leon che la fissò, sgranando gli occhi. “- Non mi guardare così! Renditi utile anche tu, Vargas! Con queste braccia forti di certo non sarà un problema, no?” rise la mora, indicandogli dove dovesse andare a sistemare quelle bevande. Improvvisamente, però, nella sala piombarono Antonio, Beto, Jackie e Gregorio. “- Che perdita di tempo!” commentò prontamente Casal, beccandosi una gomitata dalla Saenz che lo invitò a tacere.
“- Ragazzi stanno arrivando! Andres e Andrea li stanno trattenendo per farci organizzare… o meglio, solo Andrea li sta intrattenendo…” precisò il preside, mentre tutti si nascondevano dietro al sipario chiuso sul palco della sala e Beto spegneva le luci, per poi chiudere la porta trascinandosi sedie e provocando un gran frastuono, soprattutto nel ritorno al buio fino a raggiungere gli altri alle spalle del telone.
“- Andres, come mai ci siete solo voi e la scuola è così silenziosa?” Angie, con le stampelle, non la smetteva di fare domande e il povero ragazzo non sapeva davvero cosa dire. “- E’ vero! Dove sono tutti?” chiese, in confusione totale, alla  fidanzata, mentre Pablo rideva sotto ai baffi per l’ingenuità del giovane che, invece, sapeva benissimo della sorpresa. “- C’è stato un blackout e sono tornati tutti a casa prima.” Spiegò, trovando una scusa plausibile, la Flores, lasciando perplessa la Saramego. “- E noi allora perché siamo qui?” chiese ancora Angie, al centro del corridoio, guardandosi intorno perplessa. “- Per la fes…” ma Andrea mise una mano sulla bocca al moro, per azzittirlo. “- Per la… la… ah ecco! Antonio ha chiamato Pablo per farvi venire di corsa! Serviva qualcuno che restasse a scuola per la… riparazione di alcuni strumenti, impazziti dopo il blackout. Insomma, verranno i tecnici ma essendo andati tutti a casa ci vuole qualcuno che supervisioni! Tra gli alunni Antonio ha scelto noi due e tra i professori, considerato il vostro periodo di assenza, ha detto che dovevate tornare voi.” Esclamò, titubante, la brunetta, facendo annuire subito Galindo che rimase sorpreso dall’ottima scusa inventata al volo dalla giovane. “- Sì, proprio così. Infatti Antonio mi aveva spiegato una mezza cosa del genere… ma in particolare mi ha detto che dovevamo correre qui!” si giustificò Galindo, rendendo il tutto più credibile e facendo sorridere e annuire i due giovani. “- Bene, e questi tecnici dove sono adesso? Nell’aula di Beto, no? Gli strumenti sono lì!” esclamò Angie, un po’ più convinta da quella versione dei fatti ma comunque scettica, saltellando verso la classe di musica solo sulla gamba non ingessata e aiutandosi con le due stampelle. “- NO!” gridarono Pablo, Andres e Andrea in coro. “- No… nel senso che non sono lì ma in Sala Teatro… stavamo provando quando è saltato tutto!” esclamò la ragazza, portandosi una mano sul petto, sospirando rumorosamente. “- Sono esplose le chitarre, la batteria ha fatto un gran boato!” urlò Andres, quasi spaventato dalla sua stessa bugia e agitandosi come in preda al panico. “- Sì, certo! E le tastiere si sono lanciate da sole giù dal palco! E dai, Andres!” lo riprese la Saramego, ridacchiando. “- Vieni, comunque sono tutti di là… Gli strumenti intendo, ovvio!” si riprese subito Andrea, tirandosi Calixto per un braccio e fiondandosi in sala teatro, per richiudersi la porta alle spalle, prima che la Saramego e Galindo li raggiungessero. “- Quei ragazzi sono fin troppo strani!” esclamò la bionda indicandoli, avvicinandosi a Pablo che si era fermato ad attenderla. “- No, figurati! Loro sono sempre così!” ridacchiò il moro, sorridendole dolcemente.
“- Appoggiati a me, dai. Altrimenti ti stanchi a saltellare con questi affari!” cambiò discorso lui, cingendole la vita dolcemente. “- No, ce la faccio, sul serio!” sorrise la bionda per poi ritornare al discorso che Galindo stava tentando in ogni maniera di evitare… “- Comunque non capisco! Antonio sapeva il perché delle nostre assenze! Ed ora che pretende? Che noi veniamo qui a controllare queste riparazioni! Nemmeno mi ha salutata! Cioè metto piede per la prima volta allo Studio per accontentare il preside che è fuggito via dopo il blackout e…” non la smetteva più. Pablo annuiva, sperando di raggiungere presto la sala teatro, così che quella sfuriata finisse lì. Aprì la porta e la luce all’interno della stanza era spenta, era tutto buio e non sembrava esserci anima viva, figurarsi dei tecnici!
“- Fantastico! Cos’è, adesso manca di nuovo la luce? Solo qui poi, dato che in corridoio c’era!” si lamentò la Saramego, sbuffando rumorosamente e avvicinandosi, a tentoni, a Pablo che andò ad appoggiarsi con la schiena alla parete. “- Gli strumenti dovrebbero essere sul palco! Ma se non c’è luce…” esclamò l’uomo, andando verso l’interruttore e, allontanandosi da lei, cosa che la donna colse. “- Dove vai?! No, per favore non lasciarmi da sola nel buio!” urlò, già nel panico. La luce fu accesa dalla guardia del corpo e il sipario si aprì. “- SORPRESA!” urlarono i ragazzi e i professori, apparsi da dietro al telone. “- Ma cosa…?” disse la donna, guardandosi intorno, finalmente capendo tutto. “- Il tuo Bentornata allo Studio!” esclamò Pablo, affiancandola sotto al palco. “- Mi hai mentito! Tu sapevi tutto! Me la pagherai, Galindo!” rise lei, appoggiandosi alla sua spalla. “- Non potevo parlare! Lo avevo promesso a tutti loro!” esclamò lui, alzando le mani in segno di resa. “- Prof, come sta?” chiesero subito Camilla e Francesca. “- Meglio, molto meglio!” esclamò la bionda, mentre le ragazze scesero ad abbracciarla, cosa che fecero un po’ tutti gli studenti. “- E’ bello riaverti qui viva e vegeta…” disse, con aria quasi di sfida, la Saenz, senza troppo entusiasmo. Angie la fissò sgranando gli occhi, un po’ sconvolta… persino Gregorio era stato più simpatico! “- Grazie, sempre gentilissima, Jackie!” ghignò la bionda, facendo sorridere l’altra. “- Prima che si apra il banchetto…” iniziò Antonio, indicando i tavoli allestiti per il buffet. “- I ragazzi hanno preparato una piccola esibizione, per te. Bentornata allo Studio On Beat!” Sorrise il preside, facendo si che tutti gli alunni salissero sul palco per prendere posto.
"- Che bello! Grazie di cuore!” sorrise Angie, in fondo alle scalette, insieme agli altri professori. Partirono le prime note di “Ven y Canta” e i ragazzi si scatenarono nel ballo e nel canto, dando vita ad una splendida esibizione. “- Ma è stupenda! Bravissimi! Dobbiamo assolutamente inserire il pezzo nello spettacolo!” esclamò Angie, applaudendo, entusiasta. “- Già fatto…” sibilò Gregorio, acido come al solito. “- Non parlavo con te!” strillò la bionda, mentre Antonio, pur di calmare gli animi, si andò a posizionare al centro della scena: “- Bene, inizia la festa!” urlò il preside, mentre tutti gli alunni si fiondarono verso i tavoli.
“- Zia! Allora? Piaciuta la sorpresa? Non te lo aspettavi, eh?” Violetta le si avvicinò e l’abbracciò, mentre Leon, approfittando che fosse con la donna e Galindo, andò ad accogliere Diego che era appena arrivato, alla ricerca della sua bionda fidanzata, troppo presa a versarsi dell’aranciata per notarlo. “- Ehi, Dominguez!” salutò il bodyguard dando una pacca sulla spalla al giovane. “- Ciao! Dov’è la mia sexy principessa?” esclamò, mentre Vargas alzò gli occhi al cielo, rassegnato dai toni dell'amico. “- Al tavolo dei coktail!” gli indicò Leon fissando poi la Castillo, ancora presa nella conversazione con Angie. “- Ehi, Vargas! Tu che sei alto, vieni qui!” Maxi lo chiamò dal palco e Leon subito si girò verso di lui che era con Andres, Thomas e Napo, tentando di sostenere lo striscione, già caduto per metà. “- Aveva ragione la Ferro a lamentarsi! Lo avete appeso male!” sentenziò subito Leon, andando verso di loro. Si tolse la giacca, appoggiandola sui gradini e salì lui stesso sulla scala per aggiustare il festone, mentre gli amici, invece di aiutarlo, tornarono alla festa, tutti presi a chiacchierare con le loro dolci metà. “- Ragazzi mancano delle puntine… ehi! Ma dov…?” Leon scese e si ritrovò da solo sul palcoscenico e, vedendo Violetta impegnata nel chiacchierare ancora, questa volta con Francesca e Camilla, si allontanò verso la sala professori per prendere delle qualcosa che sostenesse quello striscione. La sua protetta non poteva correre rischi, ci avrebbe messo solo un attimo… e poi c’era tanta gente! Si sarebbero accorti di qualcosa! Si disse, tra sé, correndo in quella grande stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Il cellulare di Violetta vibrò nella sua tasca e lei si allontanò nel corridoio per leggere quel sms. Il mittente era Leon e, al solo leggere il testo, sorrise dolcemente: “- TROPPA CONFUSIONE, VOGLIO STARE UN PO’ DA SOLO CON TE… RAGGIUNGIMI NEL MAGAZZINO DELLA SALA DI DANZA.” La ragazza restò a fissare lo schermo come incantata, poi diede una rapida occhiata nella sala e si rese conto che il suo amato Vargas non c’era… forse la stava già aspettando nella  classe di ballo. Si affrettò a raggiungerlo e aprì con calma la porta della stanza. “- Leon!” chiamò, avvicinandosi con l’orecchio teso verso lo sgabuzzino. Niente, nessuna risposta. Spinse leggermente la porta e la trovò socchiusa, cosa che  le facilitò l’accesso. “- Amore, dai! Smettila di scherzare! Dove sei?” sorrise, quando, d’un tratto, sentì un rumore sordo… qualcuno l’aveva chiusa lì dentro, al buio e non c’era nessuno ad attenderla, se non quella persona che voleva farle quello scherzo terribile. Capì a quel punto che era tutto un tranello, che qualcuno aveva mandato quel messaggio… e che, anche se proveniva del cellulare di Leon di sicuro non era stato inviato da lui. si sentiva terrorizzata e la sua mente subito volò al folle che voleva far fuori anche lei e sua zia… ripensò quell’ultimo sms ricevuto quando Angie ancora era in ospedale: da quel momento non si era più fatto sentire! Ormai prima di colpire faceva così… il silenzio più totale per poi sferrare il suo attacco. Lo aveva fatto prima dell’incidente e lo aveva fatto ancora adesso, probabilmente prima di chiuderla lui stesso lì dentro. Violetta cominciò a tremare come una foglia, non sapendo cosa fare né avendo la forza di urlare. Spinse ripetutamente la maniglia per poi scorrere con la schiena lungo la porta, prima di sedersi sul pavimento, in preda al panico più totale ignorando che non era affatto sola lì dentro...
 
 
Leon rientrò nella sala teatro armato di scotch, forbici e puntine ma, la prima cosa che notò, fu il fatto che Violetta non fosse dove l’aveva lasciata prima. Cominciò a guardarsi intorno, con il cuore che gli batteva all’impazzata… non c’era. Che idiota era stato a lasciarla da sola! Buttò gli attrezzi sul palco e si diresse subito verso Galindo. “- Dov’è finita?” chiese, tirandoselo per un braccio e portandoselo in disparte. “- Stava parlando con Camilla e Fran… oh no! Leon tu dov’eri?” chiese subito Pablo, fissandolo perplesso. “- Sono uscito un secondo solo! Uno! Lei era con le ragazze e poi… e poi non la vedo da nessuna parte!” disse, in panico, Vargas. “- Ok, calmati… CAMILLA, FRANCESCA! VENITE QUI!” urlò l’uomo, mentre Angie si avvicinò sorpresa. “- Che succede?!” chiese subito, allarmata, avendo già compreso che qualcosa di grave fosse accaduto. “- Violetta è sparita!” esclamò Leon, portandosi una mano alla fronte, sconvolto. “- Che cosa?” urlò la donna, prendendo a guardarsi intorno, nella speranza di trovarla. “- Chiamala al cellulare! Io chiedo alle ragazze se sanno dove possa essersi cacciata!” suggerì il moro prendendo in mano le redini della delicata situazione, facendo annuire Vargas che si diresse verso la sua giacca, ancora sulle scale del palco. Afferrò il telefonino dalla tasca laterale e provò a chiamarla… stranamente c’era la segreteria. “- Dove sei finita?!” chiese, ad alta voce, il giovane, disperato e riagganciando la chiamata. “- Le ragazze hanno detto che ha ricevuto un messaggio ed è corsa fuori. Non sanno altro!” esclamò Pablo, andando verso di lui. “- Ok, dobbiamo trovarla subito!” strillò Angie, tentando di sovrastare la musica con la sua voce. “- Tu e Pablo restate qui, vado io…” esclamò il ragazzo, fissando la gamba ingessata di Angie. “- Ce la faccio a camminare!” si lamentò la donna, guardandolo male. “- No, ha ragione Leon… DIEGO! Vallo a chiamare con una scusa e guardate in ogni angolo della scuola e se la situazione dovesse peggiorare… chiameremo Lisandro.” Disse, cupo in volto, Galindo sperando di non dover arrivare a tanto. “- Io devo trovarla! Voglio collaborare!” si lamentò la bionda, mentre Diego, al solo vedere i tre riuniti a parlare, senza Violetta, si avvicinò di sua spontanea volontà, piantando Ludmilla con una scusa e fermandosi nei pressi del gruppo. “- Problemi?” intuì, il poliziotto, mentre Leon se lo tirò per un braccio fuori di lì. “- Ti spiego strada facendo!” sibilò Leon, con il ritmo cardiaco accelerato. Non poteva essere successo qualcosa alla sua Vilu. Ora immaginava come si dovesse sentire Galindo dopo l’incidente, terribilmente in colpa come lui in quell’istante. Cominciò a raccontare tutto a Diego e si rese conto che stava sudando freddo, non per la gran corsa ma per la paura. Non doveva toccare la sua fidanzata! La sua protetta era anche la persona che amava e quel folle, a cui subito ricollegò il tutto, doveva passare sul suo cadavere prima di poter torcere un capello a lei. “- Iniziamo dalla sala di canto!” esclamò Dominguez, tirando fuori una minuscola pistola dalla caviglia. “- Anche se non sono in servizio, questa la tengo sempre con me!” ghignò, soddisfatto, mentre notò che Vargas era rimasto stupito da quella piccola arma. “- Andiamo, sta’ tranquillo. Andrà tutto bene. Ma dobbiamo restare lucidi o la situazione potrà solo peggiorare quindi, datti una calmata!” Sentenziò, per una volta serissimo, il giovane agente. Leon non si spiegava il perché la ragazza, dopo quel messaggio fosse scomparsa… sapeva che non era un’incosciente: se si era allontanata quel sms lo aveva ricevuto da qualcuno che conosceva. Spiegò la sua teoria a Dominguez che annuì, con aria fredda. “- Qui non c’è nessuno… andiamo a verificare se in giardino  c’è qualche auto sospetta o qualcosa del genere!” esclamò il moro, cominciando a riflettere anche lui sulle ipotesi dell’amico. La ragazza era responsabile e, sapendo quello che rischiava con quel folle, avrebbe seguito solo qualcuno che conosceva. Corsero da una parte all’altra degli spogliatoi, realizzando poi che la ragazza potesse essere anche in cortile e uscendo di gran fretta, cominciando a perquisirne ogni angolo.
 
 
Violetta era rannicchiata, le gambe vicine al petto e tremava senza riuscire a fermarsi. “- Aiuto!” cominciò ad urlare, recuperando finalmente la forza per parlare. “- Aiuto tiratemi fuori da qui, per favore!” strillò ancora, piangendo disperatamente, nel buio più totale… controllò il cellulare, tentando di chiamare i soccorsi ma, come previsto, lì dentro non c’era campo. Sospirò così rumorosamente da poter sentire quel suo respiro riecheggiare nello stanzino. Si rimise il cellulare in tasca e si lasciò andare ad un pianto ancora più disperato, fino a quando non si calmò un pochino e alzandosi, cominciò a spingere ripetutamente la maniglia, visibilmente bloccata, come sospettava. In quel  momento, indietreggiando nel buio, si rese conto di essere inciampata in qualcosa che si frantumò, cadendo al suolo, procurando un rumore di cocci, come fosse qualcosa di fragile. La ragazza sobbalzò, già tesissima di suo, e sentì subito un suono, come un sibilo, aggirare intorno a lei. A quello strano verso si pietrificò, immobile come una statua e subito intuì di cosa potesse trattarsi, quella specie di sussurro era inconfondibile… lo aveva sentito una sola volta, da bambina, al rettilario dello zoo, quando il suo papà e la sua mamma la dovettero portare via, in lacrime, perché quel tipo di bestiacce le facevano troppa paura, anche solo vederle attraverso un vetro la terrorizzavano. Ora, sentire quello stesso irritante suono la paralizzò completamente e riusciva a sentire il battito del suo cuore accelerare sempre di più, sempre più, era come se le volesse schizzare fuori dal petto mentre quel terrificante verso si faceva sempre più insistente, fino a farle quasi raggelare il sangue. Si rese conto che doveva essere molto lungo e che quindi, al suo minimo movimento, avrebbe potuto schiacciarlo e peggiorare la situazione, così restò ferma ma, dalla tasca, riuscì a tirar fuori il telefonino per farsi luce e verificare che la sua teoria fosse esatta… non appena illuminò il display, lo puntò verso il pavimento e vide dei pezzi di vetro con un acquario, ormai semidistrutto e vuoto… poi, piano, cominciò ad illuminare il suolo intorno a lei mentre quel verso glaciale continuava a rimbalzarle nella testa… notò che, per molti metri intorno a lei c’era un lungo “cordone” verde e squamoso che strisciava sul pavimento e poi, finalmente, riuscì a scrutarne la testina, piatta con due occhietti piccoli e malvagi e una lingua biforcuta e veloce. Sapeva di cosa si trattasse già da prima ma solo quando ne vide il muso sbiancò completamente, cominciando ad urlare, sempre più forte, chiedendo disperatamente aiuto. Era certa che quel bel “regalino” lo doveva tutto al folle, quello che aveva già tentato di eliminare sua zia e che, adesso, stava tentando di fare lo stesso con lei. Il cellulare, per il terrore, le era caduto dalle mani, e, ovviamente, non ebbe né il coraggio né la forza di chinarsi a raccoglierlo… quella bestiaccia era a pochi passi da lei e non ci teneva a disturbarla… chissà che non lo avesse fatto già facendo ruzzolare il telefonino. Urlò, quasi fino a perdere la voce, sperando che qualcuno la trovasse al più presto per salvarla da quella orrenda situazione.
 
 
“- Ritorniamo dentro, qui non c’è niente!” sbraitò Dominguez, mentre Leon lo precedeva, sconvolto e accaldato, camminando a passo veloce. “- Ti ho detto che devi restare lucido! Calma, Vargas! E’ la prima regola, ricordi?!” lo rimproverò l’altro, ma lui lo ignorò del tutto: sbatté forte la porta d’ingresso dello Studio On Beat, in preda al panico, ai rimorsi e alla paura che fosse successo qualcosa alla sua amata Violetta, tutto per colpa sua. “- Leon mi stai ascoltando almeno?” chiese stizzito il poliziotto, parandosi davanti all’amico. “- Mettiti nei miei panni! Ma fallo, per favore! Come dovrei stare secondo te? La ragazza che amo, nonché parte integrante del mio primo compito importante è sparita nel nulla per mano di un folle omicida, rapitore o quel che ti pare. Come dovrei comportarmi? Anche tu staresti così e lo sai!” urlò Leon, furioso, sfogandosi con il compagno. Diego lo fissò con sguardo gelido ma, successivamente comprensivo. Si immedesimò completamente nel giovane, pensò alla sua Ludmilla, alla possibilità di perderla, al fatto che potessero dare la colpa a lui per non averla protetta a dovere... e rabbrividì al solo pensiero. “- Sbrighiamoci.” Disse poi all’altro, dandogli una pacca sulla spalla e correndo verso le varie aule. “-  Dividiamoci, faremo prima!” esclamò Leon, tentando di sovrastare il vociare della festa in sala teatro. “- Ok, io le aule a destra e tu di là! Chiamami se ci sono problemi!” si raccomandò Diego, mostrando il cellulare a cui inserì anche la vibrazione, nell’ipotesi che, a causa della confusione del party, potesse non sentirlo.
“- Pablo andiamo a cercarla, ti prego!” Angie si avvicinò all’uomo e, con aria supplichevole, gli sussurrò quella frase all’orecchio, per non dare nell’occhio. “- Leon e Diego sono ottimi agenti, tranquilla. Io non posso andare, devo stare qui con te e non posso lasciarti con questo tipo in giro…” ma la donna lo interruppe con foga.  “- Vai, io me la so cavare da sola. Va' ad aiutarli, ti scongiuro!” esclamò, con decisione la bionda, mentre la festa era entrata nel vivo: tutti ballavano, cantavano o chiacchieravano felici e c’era il caos più totale nella sala. “- L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno adesso è far scomparire anche te… se ti lascio da sola, con una gamba sì e l’altra ammaccata sei una preda facile. Angie non capisci? E’ qui, è alla festa! Probabilmente frequenta lo Studio e lo vediamo o li vediamo tutti i giorni!” disse Galindo, squadrando tutti i presenti nella camera… o meglio, tentando di individuare tutti i volti, dato che gli invitati erano fin troppi. A quella ipotesi Angie sbiancò: era lì? Con loro? E probabilmente era colui che aveva investito lei ed eliminato sua sorella, Matias, German e Angelica? E cosa voleva da loro? Pablo notò il suo viso, impallidito, e le cinse la vita con un abbraccio. “- Andrà tutto bene, la troveranno. Non puo’ essere andato lontano!” esclamò, accarezzandole dolcemente la schiena. “- Perché non lo diciamo a tutti? Annulliamo la festa e mandiamo tutti a cercare Vilu!” esclamò la bionda, appoggiando la testa sulla spalla di lui. “- No! Non possiamo! Il folle è tra noi, Angie! E se capisce che abbiamo compreso sarà ancora peggio, credimi… Vilu ha ricevuto un sms a detta delle ragazze… è stato mandato da un numero che conosceva, ne sono certo. Altrimenti lei non avrebbe seguito uno sconosciuto, sapendo del folle… il punto è cosa le ha scritto nel messaggio!” si interrogò, riflettendo, Pablo. “- Quindi qualcuno, nella confusione, puo’ averle mandato un messaggio da un numero di telefono che conosceva?” chiese la bionda, mentre una lacrima le rigava il volto bianco come un lenzuolo. “- Puo’ essere. Ma non piangere o darai troppo nell’occhio. Ehi, la troviamo, sono sicuro che sarà nella scuola da qualche parte, vedrai…” le sussurrò lui dolcemente, prendendole il viso tra le mani e baciandola, per dissimulare l’ansia e il pianto di lei agli occhi dei presenti.
 
 
Leon entrò nell’ultima sala che mancava all’ispezione, quella di danza. Si addentrò e senti un rumore sordo, qualcuno stava battendo su qualcosa… si avvicinò alla porta del magazzino e capì che provenisse da lì. “- Violetta! Violetta sei qui dentro?” urlò il ragazzo, agitatissimo, mentre anche Diego, finito di controllare tutte le aule lo aveva raggiunto e capì subito anche lui che in quella classe qualcosa non tornava. La ragazza sentì la voce di Leon che la chiamava e, nonostante la voce ormai roca, riuscì a farsi sentire: “- Aiuto! Mi hanno chiuso dentro e c’è un serpente!” Spiegò, urlando con tutto il fiato che le restava, la ragazza. “- Un cosa?” disse Diego, sgranando gli occhi con aria sconvolta. Vargas, invece, era come se a quelle parole fosse andato in standby, o meglio, come se il suo pensiero ci fosse andato… era in pericolo, in grave pericolo, quella maledetta maniglia era bloccata e non sapeva cosa fare. “- Adesso ci penso io, ma tu sta tranquilla e soprattutto… resta in mobile! Se ti muovi velocemente potresti beccarti un morso!” le ordinò il bodyguard, cominciando a dare delle forti spallate alla porta, con scarso successo, facendosi solo male al braccio. “- Aspetta, Super Leon! Forse in due ci riusciamo! Vilu cerca di tenerti lontana dalla porta, ok?” disse Diego, prendendo una lunga rincorsa. “- Ok, ma fate presto! Non ce la faccio più!” urlò la giovane, tentando di indietreggiare pianissimo, mentre sentiva il sibilare farsi poco più lontano. “- Al mio 3, ok? 1… 2… 3!” urlò Dominguez, facendo sì che insieme sbattessero contro la porta, non riuscendo ancora ad aprirla ma facendola cigolare. “- Di nuovo, pronto? 1…2…3!” strillò il poliziotto, facendo, finalmente, rompere il legno della porta, facendosi anche male e prendendosi a massaggiare una spalla a differenza di Leon che, invece, tirò l’oggetto, ormai scardinato, verso il pavimento per evitare che rimanesse comunque bloccato lì o che potesse ferire in qualche modo la giovane all’interno. Stava per avvicinarsi subito a lei ma la ragazza lo bloccò: “- Fermo!” urlò, indicandogli il serpente davanti a sé ma Leon non sembrava farci troppo caso, lo scavalcò con un salto, facendo molta attenzione a dove mettesse i piedi e la raggiunse, prendendola rapidamente tra le sue braccia, mentre lei, ancora tremante, gli gettò le sue al collo, tenendosi forte alla guardia del corpo. “- E’ finita, amore. Sono qui, calmati…” le sussurrò il ragazzo, tentando di uscire da quel posto orribile. “- Emh, piccioncini… dovrei sbarazzarmi di quello prima che voi usciate! Ha praticamente bloccato la via di fuga!” li interruppe Diego, notando come il serpente si fosse arrampicato sullo stipite, puntando ai due. “- State fermi, ci penso io alla bestiola…” ordinò Dominguez, tentando di prendere qualcosa per scacciare la bestia. “- Vieni snakeuccio, vieni! Zio Diego non ti vuole far del male… anche perché tu sei tanto velenoso, vero piccoletto?” non poteva nemmeno colpirlo dato il punto in cui si trovava e considerato che l’animale stava salendo sempre più su, lungo la parete. “- Indietro!” urlò l’agente ai due, quando, finalmente, riuscì nel suo intento… lo fece arrotolare lungo il manico di una scopa che teneva in mano, per poi far uscire i due dallo stanzino, facendogli cenno che fosse via libera e continuando a tenere quell’animale sul bastone di legno. “- Fai attenzione con quella bestia!” si raccomandò Leon, mentre Diego uscì, tutto trionfante, con il serpente avvolto sopra la scopa. “- Attento!” esclamò ancora Vargas, vedendolo attraversare l’aula di danza con il serpente in aria e a passo rapido. “- Dove diamine va?” ridacchiò il bodyguard, ancora con la fidanzata tra le braccia. “- Stai bene?” esclamò, facendola scendere solo quando si ritrovarono in corridoio. “- Sì. Ma ho avuto una paura come mai in vita mia!” sospirò Violetta, abbracciandolo forte e respirando a pieni polmoni il suo profumo… sì, quando era chiusa lì dentro al buio e con la bestiolina si era focalizzata su di lui, sul suo amato Leon… sapeva che l’avrebbe salvata. “- Dai, andiamo alla festa o qualcuno si insospettirà…” le disse il ragazzo, attirandola però a sé per la vita. “- Non dovevamo andare?” sorrise lei, con aria furba, mentre Leon avvicinò le labbra a quelle della ragazza per baciarla, prima dolcemente poi con più passione, mentre lei le intrecciava le braccia intorno al collo e attraversava con le dita i suoi capelli. Ad un tratto, alle spalle di Vargas, Violetta vide Dominguez avvicinarsi, zoppicando. “- Diego! Cos’hai?” urlò, correndogli incontro e facendo sì che anche il bodyguard la seguisse, preoccupato. “- Mi ha morso! Volevo ucciderlo fuori per non lasciare tracce nella scuola ma mi ha… morso la gamba!” la voce del poliziotto era spezzata dal dolore. “- Vilu torna da Angie, inventati una scusa per Ludmilla che io lo accompagno in ospedale! Svelta! E sta’ incollata a Pablo!” disse Vargas, dandole un rapido bacio sulla fronte e facendo appoggiare l’amico alla sua spalla e incamminandosi nel corridoio, verso l’uscita principale dello Studio On Beat. “- Cerca di immobilizzare l’arto altrimenti il veleno circola più velocemente.” Spiegò Leon, mentre Violetta correva verso la sala teatro e Diego tentava di mantenere la gamba rigidissima.
“- Vilu! Oh cielo che bello vederti sana e salva!” esclamò Angie, saltellando con le stampelle il più velocemente possibile per dirigersi fuori dalla stanza non appena la vide apparire sull’uscio della stanza affollata di studenti festosi. Fece cadere i bastoni e l’abbracciò con foga, cominciando a piangere di gioia. “- Come stai? Leon e Diego dove sono?” chiese Galindo, mentre la Saramego continuava a stringerla forte. “- Io bene ma… c’era un serpente! Ho ricevuto un sms dal telefono di Leon che mi diceva di raggiungerlo nel magazzino della sala danza e siccome il mittente era lui ci sono andata! Mi hanno chiusa dentro con una sorta di Pitone! Non sai che paura ho avuto, lì dentro, al buio, con quella bestiaccia… io…” singhiozzò terrorizzata la giovane. “- E i ragazzi?” incalzò il moro, preoccupato, come se nel vederla da sola avesse avuto il presentimento che qualcosa fosse andato storto. “- Diego stava portando fuori la belva per evitare che restassero tracce qui dentro, l’avrebbe fatta fuori se il serpente non lo avesse morso prima!” esclamò la giovane, pallida come un lenzuolo.
“- Stanno andando in ospedale… dico a Ludmilla che è stato chiamato con urgenza da Lisandro. Almeno non sospetterà nulla!” aggiunse ancora la Castillo, staccandosi dall’abbraccio della zia pronta per correre dentro per andare a parlare con la Ferro. “- Ottima idea!” esclamò Galindo, annuendo con decisione. Ad’un tratto, però, i cellulari di zia e nipote trillarono, al suono di un messaggino ricevuto, facendo sì che le due si fissassero, con aria preoccupata… avevano già sospettato di chi potesse trattarsi. “- FESTA CON SORPRESA, RIUSCITISSIMA?” lessero, quasi in coro, le due. Entrambe, cominciarono a fissare la gran confusione nella sala teatro… ormai ne erano certe, come lo era anche Galindo: era lì, con loro. Lo conoscevano bene e, probabilmente, non era solo ma aveva uno o più complici. “- Sapete una cosa? E’ tanto geniale questo tipo… ma oggi si è tradito da solo… ormai è chiaro che è qui, tra di noi e possiamo focalizzare le ricerche sulla scuola… e mi duole dirlo ma dobbiamo fare una chiacchierata con Lisandro.” Concluse Pablo, mentre, tutti e tre, decisero di ritornare alla festa per non destare ulteriori sospetti.
 
 
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Capitolo in stile Halloween! Da brividi!!! O.O Il serpente!!! Aiuto! Povera la nostra Vilu! E pure Diego che ha avuto la peggio! :( Diciamo che, però, il folle ha fatto un passo falso colpendo durante la festa… ora hanno capito che, quasi sicuramente, si tratta di una persona che conoscono, che ha avuto accesso facilmente al telefono di Leon e e che, a quanto pare, sta colpendo sempre più pesantemente le due povere vittime: Angie e Violetta, a quanto pare le ultime rimaste sulla lista del pazzo… come continuerà la storia? Alla prossima, ciao! :)
P.S. W Super Leon! <3

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Capitolo 24
*** Un tassello fondamentale. ***


“- Quindi tutto ciò che mi avete appena raccontato è accaduto allo Studio? Interessante!” esclamò il commissario Lisandro, seduto alla sua scrivania. Erano passati un paio di giorni dopo lo spiacevole scherzo ricevuto da Violetta, in cui Diego si era beccato un morso da quello che avevano in seguito scoperto essere un pitone ed avevano deciso di dover andare assolutamente a parlare con l'odioso capo della polizia. “- Roberto, qui bisogna ricapitolare!” esclamò Pablo, aggirando la sua ex scrivania e afferrando un fascicolo da un cassetto, beccandosi un’occhiata letale dal commissario. Aprì la cartelletta e ne estrasse degli spartiti, imbustati in cellophane sottile, ricoperto da etichette scritte a penna. Lisandro lo fissò stizzito ma lasciò fare, curioso com’era di verificare dove volesse arrivare il bodyguard. “- Questi sono i primi che avete ricevuto, circa un mese dopo la morte di Maria…” sentenziò Galindo, fissando i primi fogli con le lettere cerchiate, ricevute dalle due bersagliate dal folle. “- Sì, esatto.” Esclamò Angie, seduta dall’altro lato del tavolo, nell’ufficio del capo della polizia, accanto a Violetta e Leon. “- Il primo messaggio diceva: LA FINE, COME PER MARIA, E’ VICINA… e fu Violetta a riceverlo per prima, giusto?” chiese l'uomo, prendendo completamente in mano le redini dell’indagine. “- Sì. Poi papà aveva ricevuto lo stesso messaggio ma via mail, la fotocopia di questo spartito, identico e preciso.” Spiegò la ragazza, indicando quell’inquietante foglio. “- Intanto Angie ne aveva già ricevuti due, uno allo Studio e uno, addirittura a casa… questo cosa ci fa capire?” chiese Galindo, assumendo un aspetto professionale, da vero investigatore. “- Che il folle sapeva dove abitasse la Saramego!” Diego, zoppicando, fece il suo ingresso trionfale nell’ufficio ed esordì soddisfatto, facendo annuire il moro che stava conducendo la conversazione. “- Molto bene, Dominguez. Quindi o ti ha seguita, oppure è addirittura una persona che ti conosce tanto bene da sapere dove abiti.” ipotizzò l’uomo rivolgendosi alla Saramego e invitando l’agente a sedersi, mentre l’unico che assisteva nervosamente a quel dialogo era proprio il commissario che sbuffò sonoramente. “- Poi, come scritto qui, sono iniziati gli sms, il primo è stato ancora una volta per Angie, quando era in auto con La Fontaine e decise poi di raggiungerci in commissariato, momento in cui le affidarono me come guardia del corpo e Vargas si occupò della Castillo…” continuò a ricapitolare Galindo, serio. “- Mi seguite?” chiese d’un tratto, facendo annuire i presenti con decisione. “- In seguito fu la volta del famoso messaggio ‘CALA IL SIPARIO?’ di nuovo su carta!” disse poi Pablo, mostrando il foglio con le lettere cerchiate in rosso, mentre, lesse che la nipote della Saramego lo aveva ricevuto sottoforma di sms, con la stessa frase. “- E noi pensammo che ci avrebbe lasciato in pace per poi colpire allo show… supposizione sbagliata, dato quello che è successo!” esclamò Angie, tesa, torturandosi le mani nervosamente. “- Già… o voleva portarci fuori strada o resta il fatto che potrebbe voler concludere la sua ‘opera’ proprio allo spettacolo, a cui ormai manca meno di un mese.” Sentenziò, giustamente, Pablo. “- Dopodiché, il nostro folle ha iniziato a colpire, ricordate la serata al karaoke in cui stava per cadere quel riflettore su Violetta? Beh, da lì, è iniziata la messa in atto vera e propria dei suoi piani…” rifletté ad alta voce il bodyguard, cominciando ad andare avanti e indietro per la stanza. “- Come dimenticarlo!” borbottò Vargas, ricordando gli attimi di tensione che aveva vissuto pur di salvare la giovane. “- E se per ‘CALA IL SIPARIO?’ il pazzo intendesse quell’incidente? Potrebbe essere, no?” disse Lisandro, intromettendosi con stizza in quella discussione. “- Sì, potrebbe… ma proseguiamo… per farci capire che quel crollo del palco non era un caso, qualche tempo dopo Violetta ricevette l’sms che diceva ‘E’ SOLO L’INIZIO’… e aveva ragione, direi…” disse ancora il moro, disponendo tutti i fogli sulla scrivania del commissario che continuava a lanciargli occhiatacce gelide. “- Poi è stata la volta della prima sparizione nel nulla Matias che è scomparso la notte del messaggio che ho appena citato. E Lisandro ricevette anche una chiamata anonima che diceva di aver visto litigare lui e Angie. Da qui inizia la seconda parte del piano del folle: far incastrare la Saramego. E ci era quasi riuscito, anche contando la scomparsa di German. Lui voleva affrontare Castillo, sapeva bene che lui, pur di mettere fine alle sue sofferenze e a quelle della figlia, lo avrebbe aspettato, in casa sua ma, a quanto pare, è stato lui ad avere la peggio. Non dimentichiamoci poi l’attacco in piscina ai danni di Angie, a cui Lisandro non credette, pensando che si volesse scagionare da sola, continuò ad accusarla, inutilmente. Ma il pazzo ha fatto un altro errore quando è sparita pure Angelica… ora, vi spiego anche il perché dico questo. La faccenda potrebbe essere questa: forse la madre delle due Saramego era diventata un intralcio per il folle. E ricordiamoci che abbiamo trovato quella cassapanca con gli oggetti di Maria tutti disposti disordinatamente per terra… che l’anziana donna avesse trovato qualcosa di compromettente per qualcuno? Lei aveva detto spesso di voler scoprire la verità… forse era diventata pericolosa, proprio perché in possesso delle cose appartenute a sua figlia maggiore! Tutto parte proprio da lei: da Maria ha iniziato questa catena di incidenti, scomparse, messaggi e quant’altro e non li ho ricordati tutti, né per quanto riguarda le trappole né per gli avvertimenti che ci ha mandato. Dobbiamo indagare sul passato della Saramego più grande. C’è qualcosa che non mi torna. Lei è stata la prima e proprio dopo un mese dalla sua scomparsa sono iniziate le prime minacce a Angie, Violetta  e German.” Concluse Galindo, facendo scattare in piedi Lisandro che non ne poté più di quella conversazione. “- Dobbiamo indagare? Caso mai noi, della polizia, dobbiamo farlo. Tu no!” Sbottò, sbattendo un pugno sul tavolo, furioso, il commissario. Quanto odiava quel Pablo. Era sempre stato un genio e lui non poteva sopportarlo, ne era geloso da morire, lo detestava dal profondo.
“- Senti, sei un buono a nulla e voglio aiutarti. O meglio, lo voglio fare per loro, per Angie e Violetta, non per te. Voglio chiarezza e so che tu non potrai riuscire a farne nemmeno un po’!” urlò Galindo, avvicinandosi con aria di sfida all’uomo, furioso ma tentando di mantenere la calma. “- Capo, una mano da parte del ex commissario non potrà che farci bene… con la faccenda dell’auto della Fernandez ci ha aiutato, ricorda?” Diego tentò di placare gli animi  ma peggiorò solo la situazione.
“- Taci! Tu sei solo un agente al mio servizio!” lo rimproverò Lisandro, facendo azzittire il ragazzo che, dalla faccia, avrebbe volentieri tirato un pugno a Lisandro. “- State zitti! TUTTI!” Angie si alzò in piedi e, inaspettatamente, la stettero a sentire. “- Concentriamoci su questo folle, per favore! I passaporti e i documenti falsi non sono ancora pronti, ci sono tre persone scomparse e qualcuno ha tentato di eliminare anche me e mia nipote! Penso che a questo punto tutte queste ripicche siano inutili! Lisandro, ha ragione Pablo e lei lo sa bene: ascolti il suo consiglio e indaghi sul passato di mia sorella!” esclamò, stizzita e rossa in viso, la bionda, portandosi una ciocca dietro all’orecchio. “- Bene. Lei, ad esempio…” incalzò subito Roberto facendola innervosire abbastanza. “- Ancora? Ancora con me?” ribatté subito la Saramego al capo della polizia. “- Sa qualcosa di importante su sua sorella? Insomma, cosa poteva nascondere?” incalzò il capo della polizia, facendo iniziare a riflettere la bionda che stette per un minuto in silenzio. “- Ora che mi ci fa pensare…” si bloccò la donna, mentre un ricordo venne alla luce, improvvisamente, nella sua mente.
 
Angie entrò in camera sua sbattendo la porta. Era furiosa, un’altra giornata era passata e allo Studio era tutto così difficile in quel periodo: problemi su problemi economici tenevano sulle spine il preside, Antonio e, ovviamente, si riversavano anche su tutti i docenti che vivevano male quella situazione, tentando di tenere all’oscuro gli alunni su quella questione… per non parlare dei problemi familiari che c’erano stati solo qualche tempo prima, quelli riguardanti sua sorella e il marito, che lei aveva tentato, riuscendoci, a far riappacificare, impegnandosi con tutte le sue forze… non poteva finire così, non in quella maniera dopo anni e anni d’amore e gioie. Varcando la soglia si ritrovò di colpo Maria di fronte, stranissimo dato che la sorella, ormai sposata da anni con German Castillo, viveva lontana da quella casa. Era inginocchiata ai piedi della cassapanca e vi stava armeggiando in maniera sospetta.
“- Ehi, che ci fai qui?! Mi hai fatto prendere un colpo!” strillò la bionda portandosi una mano al petto per lo spavento provocato da quell’ospite inaspettata, osservandola chiudere di botto quel mobile, al solo sentire la voce della minore: Maria era sconvolta, pallida e con gli occhi gonfi, come se avesse pianto per molto e molto tempo. “- Angie! Non pensavo che lo Studio chiudesse così presto!” cambiò discorso la mora, alzandosi in piedi e tenendo gli occhi bassi sul pavimento. “- Che c’è? Ti mancava la nostra camera?” rise la minore, stendendosi di colpo sul letto con aria stanca. “- Un po’.” Tentò di sorridere l’altra, visibilmente sconvolta.”- Non pensavo di trovarti qui, la mamma non c’è e pensavo fossi a casa tua dato che domani hai  il concerto conclusivo del tour.” Spiegò l’altra, spaventatasi nel trovare la maggiore lì, convinta invece, che la casa fosse vuota. “- Dovevo prendere una cosa che avevo lasciato qui…” disse l’altra, sedendosi sulla cassapanca, come per volerla nascondere anche solo alla vista… in mano non aveva niente, quindi sembrava che, più che aver preso qualcosa da lì dentro, qualcosa vi avesse nascosto. Angie notò la stranezza del comportamento della donna e si mise a sedere al centro del letto, con aria confusa, prendendo a fissarla. “- Maria stai bene?” chiese, a bruciapelo, la più piccola, facendo sbiancare l’altra che era di spalle e si decise a voltarsi verso la minore. “- Sì, certo. Sono solo un po’ stanca. Domani termina la tournée, ora manca l’ultima data proprio qui, a Buenos Aires… sono così nervosa! E poi quando sarà finita potrò finalmente passare un po’ di tempo con te, con Vilu, con mio marito…” esclamò la donna, cambiando ancora discorso. “- Sei strana. Come vanno le cose?” chiese la bionda, alzandosi per guardarla in faccia… aveva un comportamento un po’ insolito e la piccola lo aveva notato subito, come se avesse litigato con qualcuno, come se volesse nasconderle qualcosa. “- Bene. Grazie a te ho chiarito con mio marito e domani terrò quello spettacolo. Sono felice di essermi riappacificata con lui, quella scenata di gelosia però se la poteva evitare! Come poteva solo pensare che io lo potessi tradire? Sottovaluta il mio amore per lui…” sbuffò la bruna, accavallando le gambe con aria triste. Lei amava alla follia suo marito e sapeva che anche per lui era lo stesso, ma avevano vissuto un periodo di crisi dovuto alla gelosia e all’iperprotettività di lui che era convinto della sua teoria: l’aveva vista tornare a casa un paio di volte con un’auto diversa da quella della donna e si era fissato che lei lo avesse tradito. “- Lui non sottovaluta proprio niente! Vi amate e non capisco perché vi creiate così tanti problemi! Per fortuna ora vi siete chiariti! Anche grazie a me, devo dire…” si pavoneggiò un po’ Angie, assumendo un’aria soddisfatta e buffa che fece scoppiare a ridere l’altra. “- Domani sera ci sarai?” chiese Maria, alzandosi in piedi e sedendosi sul letto accanto alla minore che si incupì. “- Oh no, non posso! Antonio ha detto che devo aiutarlo un po’ con la contabilità! Mi dispiace!” esclamò la bionda, sbuffando sonoramente. “- German verrà con Violetta, io con la mia macchina, tanto è vicino! Sai che odio andare con auto non mie, praticamente lo sanno tutti!” rise l’altra, cingendole le spalle con un braccio. “- Sul serio mi dispiace non poterci essere! Sarai splendida come al solito, questo è sicuro!” Esclamò Angie, decisa. La maggiore la guardò come se volesse dirle qualcosa ma non ci riuscì perché le squillò il cellulare. “- E’ il mio manager! Devo scappare… ma dopo aver aiutato Antonio torna qui che dobbiamo parlare. Devo dirti una cosa importante…” sentenziò, facendosi paurosamente seria, la donna. “- D’accordo…” sottovalutò la faccenda la minore, dando poco peso a quella frase. “- Ci vediamo dopo il concerto, ti raggiungo qui, d’accordo?” sorrise Maria, scattando in piedi. “- Ok, in bocca al lupo! Ti voglio bene, sorellona!”. Angie sfoderò uno splendido sorriso e abbracciò Maria, che la strinse a sé. “- Anch’io piccolina!” esclamò l’altra, continuando a tenere un’ aria tesissima ma dissimulando con la sua solita dolcezza.  
 
Angie aveva raccontato per filo e per segno quel ricordo, in particolare la relazione con la cassapanca e la sorella che aveva un’aria sconvolta. Aveva nascosto qualcosa lì dentro, qualcosa che poteva incastrare il folle, che aveva trovato prima Angelica e che, adesso, probabilmente, aveva proprio il pazzo. “- Questo accadde la sera prima che lei… insomma che avesse l’incidente?” chiese Pablo, guardando gli occhi della donna che erano diventati lucidi al solo dover raccontare quell’episodio. “- Sì. la mattina la trascorse in Teatro e non la vidi per tutto il giorno… quella è l’ultima conversazione che ho avuto con lei.” Disse, abbassando lo sguardo. Ad un tratto non ce la fece più: scostò la sedia provocando un fastidioso rumore, si alzò in piedi e corse di colpo all’esterno dell’ufficio, per non farsi vedere dagli altri in quel momento di fragilità… aveva bisogno di piangere ma, orgogliosa com’era, non l’avrebbe mai fatto in quella stanza. Tutti i presenti rimasero sorpresi mentre Diego scriveva tutti i particolari sul suo blocchetto e Pablo si recò fuori velocemente, per cercare la donna che amava, così sconvolta. Corse nei corridoi ma sospettò dove potesse trovarsi, lontana da tutto e tutti: nei bagni. Entrò, nonostante non potesse, in quello delle donne, e la trovò davanti al lavandino: la donna teneva la testa bassa, lasciando scorrere l’acqua dal rubinetto come se quel rumore potesse coprire il suo pianto. Sembrava nemmeno essersi accorta di Galindo che era entrato lì dentro. “- Non avevo mai pianto. Non ci ero mai riuscita da quel maledetto giorno dell’incidente di mia sorella. Mi sono chiusa in un mondo che non mi apparteneva, trasformandomi in un mostro per scampare ad un ricordo che mi faceva troppo male.” Ammise, d’un tratto, la bionda, tra i singhiozzi, osservando poi l’uomo dal riflesso del grande specchio di fronte a lei. L’aveva notato, allora! L’uomo non sapeva cosa dirle e si avvicinò lentamente a lei, arrivando alle sue spalle… voleva abbracciarla, stringerla a sé ma non voleva sembrare troppo invadente… lei voleva sfogarsi, ne aveva bisogno: si era sempre tenuta tutto dentro per troppi mesi, solo dopo averlo fatto avrebbe potuto stare meglio e andare avanti. “- Voleva parlarmi, ti rendi conto? Non ci è mai riuscita, però. Forse voleva mettermi in guardia ma non ha fatto in tempo. Ma da cosa? O meglio, da chi?” Pianse ancora la bionda, voltandosi e ritrovandosi occhi negli occhi con il moro. “- Forse anche lei sapeva che qualcuno molto vicino voleva farle del male! Forse voleva farne anche a me, a Vilu… io non… non so altro.” Balbettò la Saramego quando Pablo, ferito nel vederla in quello stato, finalmente l’abbracciò di colpo, facendola piangere ancora di più. “- Sfogati. Devi farlo. Urla, piangi, picchiami se ti puo’ aiutare! Ma una volta per tutte, scarica tutta questa rabbia, questo dolore che hai dentro. Ti prego, lo dico per te.” esclamò lui, accarezzandole dolcemente la schiena mentre la bionda, finalmente, riuscì ad alzare lo sguardo a quella frase. Era pallidissima, gli occhi gonfi e respirava ancora affannosamente per le lacrime che continuavano a scenderle lungo le guance. Quegli occhi scuri le riuscirono ad infondere una sicurezza come non le era mai capitato in vita sua. Gli prese il viso tra le mani e, seppur ancora piangendo, avvicinò le labbra a quelle del moro che ricambiò con dolcezza a quel bacio. “- Io non voglio essere quella pazza che ero diventata. Aiutami per favore! Voglio ritornare ad essere quella che ero prima che accadesse tutto questo. Avevi ragione tu: io sono diventata un’altra persona, non ero così, te lo giuro…” sussurrò, ad un centimetro dalla bocca dell’uomo, la donna, guardandolo intensamente. “- Tu stai già cambiando, Angie. Sei talmente forte che ci stai riuscendo da sola.” Disse il moro, prima di ribaciarla con passione, mentre lei intrecciò le braccia intorno al collo. “- Andiamo, se il tuo racconto rivela altri dettagli potremmo davvero individuare questo squilibrato…” gli sorrise lui, cingendole la vita con braccio. Lei annuì, andandosi a sciacquare la faccia e ritornando accanto al bodyguard. prese un profondo respiro e insieme, tornarono dentro l’ufficio di Lisandro.
“- Ti sei calmata, Saramego?” disse, acidamente, il commissario, non venendo minimamente considerato mentre Violetta fissava intensamente la bionda. Non l’aveva mai vista così… si stava tenendo il dolore dentro da troppo tempo ed era riuscito a sfogarlo al solo rievocare l’ultima sera in cui aveva parlato con Maria. “- Zia, ti ricordi altro?” chiese la giovane, poggiandole una mano sul ginocchio, tentando di infonderle coraggio. “- No. Questo è tutto.” Ribatté la bionda, serissima.
“- Allora, a quanto rivelato dalla signorina Saramego, Maria voleva dirle qualcosa di importante. Quel pomeriggio, prima che il manager la convocasse al teatro, stava per raccontarle qualcosa ma non fece in tempo e voleva vederla dopo lo show. Ora bisognerebbe sapere se voleva parlarle di una sciocchezza o di qualcosa di importante… ma dal tono mi sembra di aver capito che la maggiore delle due fosse preoccupata per qualcosa. Altro dato certo: in quella cassapanca c’era qualcosa di fondamentale, qualcosa che ora ha lui, il folle! Forse una lettera, chissà! E per quanto riguarda la crisi tra German Castillo e Maria? Sa dirci altro?” chiese Dominguez, rileggendo i suoi appunti e riepilogando il racconto di Angie. “- Si erano riappacificati da poco quando… beh, quando poi ha avuto l’incidente. German era convinto che vi fosse un altro, ma Maria mi ha sempre detto che non poteva amare nessuno quanto suo marito quindi, tutte le ipotesi di Castillo erano infondate. Era lui ad essere super geloso. Mia sorella  con me era sincera e mi avrebbe detto di un eventuale tradimento, ma non è mai accaduto, ne sono certa.” Spiegò la Saramego, serissima. Violetta a quelle parole trasalì: lei ricordava fin troppo bene il periodo di conflitti tra i genitori, seppur Maria e German non avevano mai osato litigare davanti a lei… una vera e propria litigata di quelle forti vi fu una volta sola, poi si riappacificarono e ritornarono ad essere la famiglia felice che erano sempre stati, per la gioia della ragazza. “- Capisco…” sentenziò Lisandro, glaciale come al solito. “- Dunque, dovremo indagare sullo Studio e sul passato di Maria! Bisognerebbe capire cos’era quell’oggetto scomparso e cosa avrebbe voluto dirle quel pomeriggio… inoltre, dopo l’incidente di Violetta, sappiamo con certezza che il nostro folle è all’accademia… a patto che agisca da solo e che non abbia complici… cosa molto improbabile data la sua abilità.” Concluse il commissario, pensieroso. “- Quindi potrebbero essere più di uno? Oh santo cielo!” esclamò la Castillo, mentre Leon la guardò dolcemente, invitandola alla calma. “-Sì, sono d’accordo anch’io. Se fosse uno non riuscirebbe ad essere così geniale… ha qualche complice, uno di sicuro.” Aggiunse Galindo, ipotizzando chi potesse essere a quel punto il pazzo e quali i suoi aiutanti. “- Allora, voglio la lista di tutti gli alunni e i professori della scuola, parlerò con Antonio per farmela consegnare. Voi potete andare. Buonasera.” Li liquidò l’uomo, facendo si che i quattro si alzassero e lasciassero, scossi, l’ufficio del commissario.
Mentre Pablo e Leon si avviavano in fondo al corridoio chiacchierando sulle indagini, non perdendo però  d’occhio le due loro protette, zia e nipote, con la scusa di chiedere come stesse Diego con la gamba, erano rimaste fuori dall’ufficio di Lisandro per aspettarlo. Subito lo fermarono e cominciarono a domandargli sul serio del suo stato di salute… ma il punto a cui volevano arrivare era un altro, una domanda fondamentale per loro due: se si sapesse qualcosa per la partenza per scappare dall’Argentina. “- Diego si sa niente sui documenti?” chiese a bruciapelo la Castillo, facendo incupire il ragazzo. “- Io non vi ho detto nulla… ma il luogo designato dovrebbe essere il Canada.” Sbottò il giovane agente, facendo sì che le due si fissassero con aria perplessa. “- Dovrebbero essere pronti tra poco… a patto che non arrestiamo prima il folle… in quel caso potrete restare qui senza problemi.” Spiegò il moro, sottovoce. “- DOMINGUEZ!” l’agente fu però, presto richiamato nell’ufficio dal capo.
“- Devo andare… ci si vede.” Salutò Diego, fiondandosi dal commissario che, dal tono, doveva essersi alquanto innervosito dalle ipotesi, probabilmente corrette, di Pablo. “- Vi sbrigate?!” urlarono i due bodyguard dal fondo del corridoio. “- Sì, arriviamo!” esclamò la ragazza, con aria ancora scossa da quelle informazioni ricevute.
 
 
“- Eccoci a casa!” esclamò Leon, aprendo la porta di Villa Saramego e facendo entrare prima le due donne. Angie era ancora sconvolta, aveva rimosso quel ricordo e farlo riaffiorare non era stato per nulla facile. Violetta, invece, si era ricordata del periodo, seppur breve, in cui i suoi amati genitori litigavano fin troppo spesso e si era incupita, di conseguenza. Inoltre, ad aggiungersi a quello stato di tristezza, si era messa la notizia dei documenti quasi pronti e del fatto che, da lì a poco, avrebbero dovuto ricominciare una nuova vita in quel luogo a loro sconosciuto: il Canada.
“- Che allegria!” ironizzò Vargas, buttandosi sul divano e appoggiando i piedi sul tavolino, con noncuranza. “- Io vado a preparare qualcosa per la cena, altrimenti restiamo a digiuno anche stasera!” affermò Galindo, che si recò, seguito dalla Saramego, in cucina. “- Ottima idea!” rise Leon, sperando di allentare quella tensione che si respirava nell’aria. Violetta si sedette accanto a lui, senza dire nulla ma fissandolo con dolcezza. “- Siamo vicini ormai, lo troveremo, vedrai… e allora sarà finalmente finito quest’incubo.” Sorrise il giovane, facendo sì che lei poggiasse la testa su suo petto, come per volerlo sentire ancora più vicino. “- Prima di andare via io e Angie abbiamo chiesto a Diego per quanto riguarda i documenti come procedesse la situazione…ha detto che sono quasi arrivati. Roberto non voleva dirlo fino a quando non fossero stati davvero pronti.” Sentenziò la giovane, facendo incupire Leon. Che cosa? Se non trovavano quel folle doveva partire e andare via, a chilometri da lui e sotto falso nome? Vargas impallidì al solo pensiero… no. Dovevano trovarlo prima, doveva impedire alla giovane di andare lontana da lui, non poteva perdere l’amore della sua vita così… sapeva che lasciarla andare significava metterla al sicuro e si sentiva un egoista nel pensare di volerla tenere lì, con sé, sapendo il pericolo che correva… ma non ci riusciva, il punto era che non riusciva nemmeno ad immaginarsi una vita senza lei. “- Dove vi manderanno?” chiese, incuriosito. “- Canada.” Sentenziò la giovane, in un sospiro pesante. “- E’ grande… e freddo.” Commentò Leon, tristemente e sinteticamente. “- Già.” Balbettò la ragazza, ispirando a pieni polmoni il profumo del ragazzo… sapeva che gli sarebbe mancato da morire, quel dolce odore, quel viso, quello sguardo così profondo e magnetico… “- Verrò con te.” Sentenziò, con decisione, Vargas, stringendola ancor di più, come per non lasciarla andare. “- Come farai? Qui hai il lavoro, gli amici, la tua vita!” esclamò lei, alzando lo sguardo e riflettendosi negli occhi verdi del ragazzo. “- La mia vita sei tu e se vorrò continuare a vivere dovrò seguire te.” Sentenziò, quasi in un sussurro, Leon, facendola mettere a sedere, mentre lui le sollevò il viso con un dito, sfiorandole delicatamente il mento. Si avvicinò piano alle sue labbra e le poggiò delicatamente sulle sue, dando vita ad un bacio lento e dolcissimo. “- Ti amo, Leon.” Sussurrò la giovane, staccandosi piano da lui, seppur ancora ad un centimetro dalla sua bocca. “- Io di più.” Sentenziò, con decisione, il ragazzo, perdendosi in quegli occhi nocciola che gli avevano fatto perdere la testa.
“- NO! NON PUOI! NON ORA!” la voce di Pablo che proveniva dalla cucina lasciava presagire che anche Angie gli avesse parlato della partenza. “- Sicuramente sarà dopo lo spettacolo. Ci manca ancora un sacco di tempo…” la voce della bionda era più flebile e i ragazzi quasi non riuscirono a sentirla. “- Ti prego, no! Lo prenderanno prima dello show, così non sarete costrette ad andare via!” replicò, con forza, Galindo. Non poteva credere alle sue orecchie! Come poteva lasciarla andare proprio ora? Ora che stavano insieme, che erano felici… no, non riusciva nemmeno a pensarci.
“- Nemmeno io voglio lasciare il mio paese! Ma non ho scelta! Devo restare qui a lasciarmi far fuori come se nulla fosse?” esclamò, con il tono più alto la bionda.
“- No. Hai ragione. Ma io ti seguirò lo stesso.” “- Pablo…” “- E’ inutile che tenti di convincermi a restare qui, non lo farò!” “- Pablo!” “- Cosa?!” gridò l’uomo fermando quel botta e risposta, portandosi una mano alla fronte con aria scioccata. “- Ok. Smettiamola di pensarci, d’accordo? Puo’ essere che lo prendano prima e che non dovremmo più partire! Non creiamoci altri problemi prima di averne. Lo so, sarà difficile per me, per Vilu, per te… ma la scelta non dipende da nessuno!” strillò la Saramego, sedendosi sconsolata su una sedia vicino al tavolo della cucina e prendendosi la testa tra le mani. In quel momento, sull’uscio, apparvero Violetta e Leon, con le stesse facce sconsolate. “- Ragazzi… mettiamo in chiaro una cosa: siamo vicinissimi alla verità, ormai! Lo prenderemo e resteremo tutti qui a Buenos Aires con il folle dietro le sbarre. D’accordo?” tentò di calmare gli animi, compreso il suo, il più grande dei due bodyguard. “- Altra cosa fondamentale: non dobbiamo più parlare allo Studio di minacce, polizia e quant’altro. E’ lì che si trova lui o lei e tantomeno dobbiamo parlare del Canada e della questione del trasferimento, ok?” si raccomandò Pablo, facendo annuire gli altri tre. Sembravano davvero vicini alla soluzione di quel mistero… eppure la questione della partenza aveva raggelato il sangue a tutti… potevano riuscire a beccare il pazzo prima del trasferimento di zia e nipote dall’altra parte del mondo?
 
 
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Allora, ci è stato un bel riepilogo, sommario ovviamente… (Ne avevo bisogno anch’io! XD) il flashback di Angie è importantissimo e riapre un dettaglio chiave delle indagini: la lettera scomparsa e il passato di Maria! (Noi, Angelica e il folle sappiamo che è una lettera! Loro no!)… altra questione di gran valore era il rapporto ricucito grazie a Angie tra German e sua sorella che venivano da un periodo di crisi… doccia gelata a fine capitolo: IL CANADA! Riusciranno i nostri eroi a scovare il folle prima del concerto e, di conseguenza, prima che i documenti falsi per le due siano pronti? Lo scopriremo solo vivendo! (e leggendo!) :P Alla prossima, ciao! :D

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Capitolo 25
*** Ipotesi fotografiche. ***


“- Allora siamo d’accordo, se lui è qui dobbiamo tenere d’occhio tutti. Leon tu stai in allerta con i ragazzi che io penso ai professori.” Sentenziò Galindo, prima di far scendere, poco lontano dallo Studio, Violetta e Vargas dalla macchina. “- Ma non abbiamo detto che era un uomo? Insomma, nella piscina io ho chiaramente considerato che si trattasse di un adulto data la forza con cui riuscì a trattenermi! Che senso ha tenere sotto controllo anche gli allievi?” chiese Angie, sul sedile anteriore, accanto al posto guida dove era seduto Pablo. “- Se sono più di uno, come sospettiamo, qualcuno dei giovani potrebbe aver collaborato… ci sono persone fin troppo ambiziose in quell'accademia e per passare un esame o avere un ruolo da protagonista farebbero qualunque cosa, ne sono certo.” Il tono dell’uomo era diventato serissimo e cupo. Da quando era entrato in quello Studio aveva già capito molte cose, tra le quali l’aria di competizione che c’era tra alcuni dei ragazzi e il desiderio di voler emergere ad ogni costo. “- D’accordo! Basta polemiche e facciamo come dice lui. Leon, andiamo?” esclamò Violetta che aveva ascoltato in silenzio. I due ragazzi, salutando la Saramego e Galindo, scesero dall’auto e si incamminarono verso la scuola, cercando, come aveva suggerito il bodyguard più grande, di evitare qualunque tipo di discorso inerente ai loro sospetti, al caso e alle loro indagini segrete. “- Era un uomo, Pablo! Un UOMO! Non un alunno!” sbottò Angie, quando Galindo riprese a guidare in direzione dello Studio, entrando poi nel parcheggio della scuola. “- Alcuni dei ragazzi hanno già il fisico da uomo… non sottovalutarli.” Sentenziò lui, facendo la retromarcia per entrare nel suo posto designato, nel parcheggio alle spalle della scuola. “- Già, anche questo è vero. Beh, se la mettiamo così anche il folle che mi affrontò mascherato potrebbe essere un alunno… e torniamo in alto mare con le nostre ipotesi.” Esclamò la donna, sbattendo la portiera.
Arrivarono in sala professori cambiando repentinamente discorso e trovarono la situazione come al solito: Gregorio era seduto tranquillamente al grande tavolo blu, al centro della sala e Jackie stava litigando aspramente con lui. “- Ti ho detto che la devi smettere! Non puoi continuare a comandarmi a bacchetta! Non sono la tua schiava! Non ci sto, Casal! Non più! Basta!” strillò la bionda, camminando nervosamente avanti e indietro per la stanza come un leone in gabbia. “- Buongiorno!” Beto entrò subito dopo Angie e Pablo, facendo sobbalzare tutti e facendo volare al suolo la busta dei cornetti che teneva in mano. “- Salve! Ci siete proprio tutti, vedo!” ghignò Gregorio, notando solo in quel momento, come pure Jackie, la presenza in sala del resto dei colleghi. “- Già! Come mai litigavate ancor prima che iniziassero le lezioni?” chiese, fingendosi distratto a cercare dei registri, Galindo. “- Solite cose!” borbottò ridendo nervosamente Casal, facendo infuriare ancora di più la Saenz che, afferrando la borsa dall’attaccapanni, uscì sbattendo la porta con foga. “- Di buon umore già di prima mattina, eh?!” esclamò, ironicamente, la Saramego, versandosi una tazza di caffè. “- Sta sempre a lamentarsi di qualcosa quella lì!” si lamentò Gregorio, alzandosi per andare in aula, probabilmente per continuare a litigare con Jackie più che per fare lezione.
 
 
“- Ragazzi ormai possiamo anche provare da soli! I passi, li conosciamo! E il riscaldamento lo abbiamo già fatto!” esclamò Camilla, al centro della sala di danza. Ogni volta che Violetta varcava quella soglia ricordava improvvisamente la questione del serpente, di quel terribile giorno in cui fu chiusa in quel ripostiglio. Leon capì al volo le sue ansie e le cinse le spalle in un dolce abbraccio. “- So a cosa stai pensando… Ci sono io qui, calma!” le sussurrò ad un orecchio, facendo si che le si disegnasse automaticamente un luminoso sorriso sul viso. “- Vargas, Violetta! Visto che Jackie e Gregorio ancora non arrivano iniziamo a provare noi, venite!” esclamò Maxi, facendo prendere posto ai due. DJ, trovò la pallina di Casal accanto allo stereo e la prese, alzandola come un trofeo. “- Ecco! Scansafatiche che non siete altro! Adesso faccio partire la base e dimostratemi che possiate essere meno penosi di quanto non lo siate di solito! Che mancanza di talento! Ma cosa volete fare? Esibirvi al teatro più importante di Buenos Aires?! E’ assurdo! ASSURDO!” il ragazzo cominciò a girare tra gli amici che scoppiarono a ridere a quella imitazione ben riuscita del più odiato professore dello Studio. “- Vediamo un po’ di sopperire a questa evidente mancanza di bravura! 5... 6… 7… 8!” urlò, lanciando poi la piccola sfera verso l’impianto audio sperando di prenderlo in pieno per accendere la musica che, però, non partì. In realtà la direzione era quella giusta ma qualcuno l’aveva afferrata al volo. “- La mia povera Pituca… che ti hanno fatto? LEI! Dionisio Juarez! Cosa stava tentando di fare? SENTIAMO!” tuonò talmente forte Casal da far quasi tremare le pareti dell’aula. I ragazzi assistevano impauriti alla scena e DJ, nel frattempo impallidito, deglutì rumorosamente tentando di inventare una scusa plausibile. Ma quale scusa?! Era impossibile! Gregorio aveva visto tutto e il giovane riusciva solo a fissarlo tutto tremante, indietreggiando all’avanzare minaccioso di Casal, tanto da finire addosso a Camilla che, scostandosi a causa del dolore di un piede pestato da parte del fidanzato, lo fece finire per sbaglio con il sedere per terra, mentre Gregorio continuava a puntargli un indice contro. “- Che succede qui? Cos’è questo baccano?” Jackie apparve sulla porta con un bicchiere del distributore in mano, ancora visibilmente stizzita dopo la discussione con Casal avuta poco prima. “- Niente che ti riguardi. Juarez, dal preside! Subito!” urlò Gregorio, facendo sobbalzare tutti gli alunni presenti. “- Ma che diamine è successo? Si puo’ sapere?” chiese ancora la bionda insegnante, osservando DJ afferrare il suo borsone appoggiato sotto alla finestra e fiondarsi fuori dall’aula. “- Ti ho detto nulla che ti riguardi! Iniziamo la lezione! Spero che le pagliacciate siano terminate qui! E poi... non mi somigliava per niente…” borbottò Gregorio, avviandosi verso lo stereo palleggiando con la sua fida pallina. “- Ma se era uguale!” gridò quasi Andres, facendo sì che Leon gli tirasse una gomitata per azzittirlo. “- Ahi!” “- SILENZIO! Altrimenti qualcun altro andrà a fare compagnia al signor Dionisio.” Urlò il professore, facendo calare di nuovo il silenzio più totale nell’aula. “- Ragazzi oggi il nostro insegnante è più intrattabile del solito, state zitti per evitare altri problemi.” Aggiunse con una calma da far spavento la Saenz, sedendosi sul bordo della scrivania e facendo sì che Gregorio le lanciasse un’occhiataccia furiosa. La donna, però, non gli diede neppure il tempo di replicare e si avvicinò lei allo stereo, anticipandolo. “- Lo spettacolo è alle porte e bisogna provare fino allo sfinimento, d’accordo? Forza! 5… 6…7… 8!” urlò, accendendo l’apparecchio aggraziatamente. Casal la fissava con aria furibonda: se voleva sfidarlo in quella maniera la signorina aveva trovato pane per i suoi denti!
“- Camilla! Sei fuori tempo!” urlò Jackie, facendola sobbalzare ed avvicinandosi a lei, prendendo a girarle intorno come un avvoltoio e facendo cenno agli altri di fermarsi, volendo vedere solo lei. Casal spense lo stereo lanciando la pallina e la ragazza nemmeno si accorse che la musica si fosse fermata. “- Torres! Sembra una trottola impazzita più che una ballerina!” urlò Gregorio, avvicinandosi anche lui alla bionda professoressa. “- Eh?” chiese la giovane, facendo portare una mano alla fronte di Francesca… aveva capito alla perfezione perché la ragazza stava così… la sua mente non era in quell’aula, era in presidenza con DJ, come anche il suo cuore. “- Che hai? Sei proprio su un altro pianeta, Camilla!” chiese la donna, fissandola con aria perplessa… rispetto allo sguardo di Casal inceneritore era molto meglio guardare lei, infatti la Torres ignorò del tutto il professore che continuava a parlare e a rimproverarla in ogni maniera possibile. “- Posso uscire?” chiese la Torres, preoccupatissima e con gli occhi lucidi. La Saenz comprese allora tutto e tirò la ragazza un po’ in disparte, strappando la pallina dalle mani di Gregorio e azionando la musica in un lampo per far riprendere le prove agli altri allievi.
“- Ah! Ho capito! E’ per Juanez, no?! Adesso però non posso farti uscire, siamo nel mezzo di una lezione e non voglio sopportarmi le lamentele di Casal, inoltre devi finire le prove dato che non sei tutto questo grande talento! Ma se vuoi 10 minuti prima che terminiamo potrai andare…” esclamò Jackie, facendo annuire con confusione la ragazza… certo, l’aveva capita al volo! Con l’altro insegnante avrebbe solo potuto litigare! Eppure le parve strano scoprire il lato umano della glaciale insegnante ma la cosa poté solo farle piacere. “- Grazie.” Balbettò la giovane, fissando sconcertata la professoressa. “- Adesso fila a ballare, forza! Non farmi fare la parte della cattiva e concentrati solo sui passi!” strillò l’insegnante, mentre la Torres, con un pochino più di entusiasmo, riprese la coreografia dal punto preciso in cui i ragazzi stavano ballando in quell’istante. “- Tanto lo so che fai la comprensiva solo perché mi odi! Vuoi passare per la buona e far passare me per il malvagio, vero Saenz? Troppo facile…” Gregorio era apparso alle spalle della donna che ghignò, ignorandolo e continuando a fissare con attenzione ogni minimo passo degli alunni. “- Tu non hai bisogno di passare a causa mia per il malvagio. Tu lo sei, Gregorio!” disse all’orecchio dell’altro che impallidì, per poi comprendere solo dopo qualche secondo quello che la collega intendesse e infuriandosi ancora di più.
 
 
DJ era nel corridoio e camminava come un condannato a morte verso l’ufficio di Antonio… sperava di incontrare qualcuno, chiunque che lo trattenesse, anche solo per un secondo, a chiacchierare, evitandogli quel patibolo. “- Questa potrebbe essere la mia ultima Campana Del Gossip, amici! Sto per andare in direzione a causa della mia stupidità! Cioè… come diamine mi è saltato in mente? Dovrei saperlo che con Casal non si scherza!” disse al suo tablet, registrandosi nel panico più totale. Fortuna volle che, nel mezzo del corridoio, si scontrasse letteralmente con Pablo che stava controllando degli spartiti, sperando di capirci qualcosa in più, nonostante le spiegazioni di Angie. “- Ehi sta’ attento!” disse il finto professore, analizzando poi il volto scioccato del giovane, fissa sulla tavoletta digitale, come imbambolato. “- DJ, stai bene?” chiese l’uomo, osservando la sua faccia spaventata a morte.
“- Sì ma starò bene ancora per poco. Devo andare da Antonio. Mi ci ha spedito Gregorio perché mi ha beccato a fargli l’imitazione… ho preso anche Pituca! Capisci? La sua preziosissima Pituca!” urlò il ragazzo, sedendosi a peso morto su una delle sedie fuori dalla direzione. “- Chi?” chiese Galindo, confuso. “- Pituca! La pallina!” spiegò, in lacrime, il ragazzo. “- Ah… capisco…” esclamò Pablo, sconvolto del fatto che Gregorio avesse dato un nome a quell’affare. “- Devo andare! Mi puo’ tenere il tablet? Non vorrei beccarmi altre partacce e se dovessi entrare con quello sarebbe la fine! Mi raccomando, è la cosa più importante che ho… beh, ovviamente solo dopo Camilla, la mia fidanzata!” ridacchiò il ragazzo, facendo sorridere istintivamente il suo interlocutore. “- Vai, ci penso io a questo… coso…” disse Pablo, sedendosi accanto a lui e fissando con aria stranita quell’aggeggio… il giovane lo portava sempre con sé e riprendeva tutto e tutti con quel affare… e ad’un tratto Galindo ebbe un’illuminazione e fermò DJ sulla porta dell’ufficio, un secondo prima che bussasse. “- Ehi, senti! Per caso hai foto della festa a sorpresa ad Angie? Vorrei vederle e voglio… farne un collage per regalarlo a lei, ecco!” inventò il moro, alzandosi in piedi e riuscendo, dopo vari tentativi, a far illuminare il display del dispositivo. “- CERTO!” urlò entusiasta il ragazzo, mostrando la galleria al professore. “- Ecco, vede? In questa cartella ci sono tutti i file riguardanti la festa! Se ha una penna usb le puo’ prendere!” sorrise il ragazzo, felice di aiutare il docente. “- Sì, grazie mille.” Sorrise il bodyguard, iniziando a guardare quella miriade di piccole icone che, al solo tocco, diventavano enormi. “- Di nulla! Emh… non è che in cambio ci potrebbe mettere una buona parola con Casal e con il preside?! Sono sicuro che Gregorio chiederà l’espulsione!” borbottò, afflitto, Dionisio, bussando, finalmente alla porta blu dell’ufficio di Antonio. “- Bella idea quella del collage. Le piacerà un sacco!” commentò poi il ragazzo, con un sorriso malizioso e voltandosi di nuovo verso Pablo, pur di perdere tempo fuori dall’ufficio per evitare di affrontare quella imminente punizione. “- Sì, emh… lo spero.” Balbettò, imbarazzatissimo, l’uomo, abbassando di nuovo lo sguardo sul tablet. Lì dentro poteva esserci qualcosa, qualcosa di importantissimo: il folle aveva colpito alla festa, nel momento in cui Violetta era uscita dalla sala teatro anche qualcun altro doveva averla seguita… o forse l’aveva preceduta… insomma, quei video e foto potevano scagionare o far incrementare i sospetti su chiunque, grandi e piccoli. DJ sentì Antonio gridare: “- Avanti!” e, tutto tremante, entrò nella stanza, salutando con un cenno l’altro.
Pablo si alzò dalla sedia e si precipitò nella classe in cui Angie stava facendo lezione. “- Era ora! Pensavamo ti fossi perso con le fotocopie! Thomas, distribuisci queste, per favore?” sorrise Angie, consegnando i fogli che Galindo teneva in mano al giovane spagnolo che annuì cominciando a girare tra i compagni. “- Hai una penna Usb?” chiese, d’improvviso, l’uomo all’orecchio della Saramego che, finalmente, notò il tablet. Senza dire nulla, mentre i ragazzi continuavano con i vocalizzi, continuò a suonare il piano con una mano, mentre, con l’altra, aprì la borsa e strinse qualcosa in un pugno: una periferica di memoria nera e verde con un portachiavi con una “A” d’argento, appeso al lato. “- Sobria!” rise lui, facendo sì che la donna lo guardasse male. Gli alunni continuarono a riscaldare la voce mentre la bionda si sporse verso il tablet. “- Da dove salta fuori?” sussurrò all’orecchio del moro, incuriosita dal mini computer. “- Questi file ci possono aiutare.” Sintetizzò lui, notando poi che i ragazzi li stavano fissando, dato che l’insegnante aveva smesso di suonare. “- Tutti questi file musicali! Guarda quanti!” improvvisò il bodyguard, salvando tutto sulla pennetta più veloce che poté e spegnendo poi l’aggeggio elettronico. “- Vado un secondo fuori, torno subito!” disse poi l’uomo, precipitandosi di nuovo all’esterno della classe, sotto lo sguardo perplesso di tutti i presenti.
“- Com’è andata?” chiese il docente a DJ, con il fiatone, risedendosi dov’era. “- Antonio è clemente ma è venuto Gregorio come una furia e ha chiesto un giorno di sospensione che il preside, per fortuna, ha rifiutato… mi sono beccato 3 giorni di pulizia delle aule, dopo le lezioni. Da domani dovrò scontare la mia pena, purtroppo.” Disse il ragazzo con aria afflitta. “- Vabbè conoscendo Casal poteva andarti peggio!” esclamò Pablo, restituendogli il tablet. “- Prese le foto?” chiese il giovane, riaccendendo la tavoletta elettronica. “- Sì, grazie. Ora vado che ho lezione! Altrimenti chi la sente la Saramego!” rise il moro, dando una pacca sulla spalla al giovane che sorrise, salutandolo con la mano.
“- DJ! Santo cielo che ti hanno detto?!” Camilla correva come una furia nel corridoio e gli buttò subito le braccia al collo. “- Nah! Niente di che! Mi son fatto valere! Volevano sospendermi ma mi sono opposto! E hanno dovuto ascoltarmi, eh!” si pavoneggiò, mentendo, il messicano, facendo fare una faccia sorpresa e dubbiosa alla Torres che scosse il capo con decisione. “- Tu che ti opponi a Casal e anche al preside?! Ma smettila! A momenti in classe svenivi per la paura!” lo prese in giro lei, abbracciandolo però, di colpo, lasciando anche un po’ sorpreso, felicemente sorpreso, il ragazzo.
“- Non ti avranno mica ti hanno sospeso? Ero così in pensiero!” esclamò, stringendolo forte quasi da togliergli il fiato. “- No, no! Devo solo lucidare le classi per 3 pomeriggi di fila!” sbuffò lui, al solo pensiero. Forse preferiva addirittura la sospensione a quello strazio! “- Beh, meglio, no? Se si accanivano potevi rischiare di perderti anche lo show! Sai Casal com’è fatto. Meglio così… e poi io ti aiuterò! Quando si inizia?” sorrise la ragazza, intrecciandogli le braccia dietro al collo, lasciandolo imbambolato a fissarla… “- DJ? Ti ho fatto una domanda!” esclamò, ridacchiando. “- EH? Ah, sì… domani.” Disse lui, avvicinandosi alle labbra della giovane. “- No! Ci beccheremo un'altra punizione, basta quella che hai preso tu e poi…” disse la Torres, alludendo a quella vicinanza, ma il ragazzo la ignorò e dopo essersi guardato intorno con aria circospetta, le diede un dolcissimo bacio a cui lei ricambiò però con entusiasmo. “- Ti amo, Cami!” sorrise lui, ad un centimetro dal suo viso. “- Anch’io, Dionisio Juarez!” esclamò la giovane con tono solenne, abbracciandolo poi forte, facendo sì che il giovane la sollevasse in aria per poi farla girare intorno. In quel secondo il preside aprì la porta e, con un cenno nervoso della mano, li invitò a tornare in classe e loro, imbarazzati, tornarono subito alle prove, correndo ma tenendosi teneramente per mano.
 
 
Un’altra giornata di scuola era finita seppur era sembrata davvero interminabile. Ormai era tardo pomeriggio e, come d’accordo, Leon e Violetta stavano raggiungendo l’auto di Pablo che li attendeva poco lontano dallo Studio, nello stesso punto dove erano stati lasciati quella mattina. “- Hai visto quel povero DJ come è stato terrorizzato? Certo che ha rischiato di grosso!” Rise la ragazza, camminando mano nella mano con il giovane. “- Se l’è cercata! Così la prossima volta impara a fare il cretino!” sentenziò Vargas, un po’ freddo. La ragazza se ne accorse e gli si parò di fronte, facendolo bloccare. “- Ok, cos’hai?” chiese, portandosi le braccia sui fianchi con aria indagatrice. “- Niente! Sono nervoso, ecco tutto. Sospettare che il folle sia davvero nella scuola mi mette agitazione e non mi fa guardare nessuno di buon occhio...” Sentenziò, abbassando lo sguardo, il bodyguard. “- Hai ragione ma sei tu quello che deve dare forza a me, ricordi? Se anche tu mi dici così io vado nel panico più totale!” disse la ragazza, intrecciando le dita dietro al collo del ragazzo e perdendosi nei suoi grandi occhi smeraldo. “- Leon io ti amo, sei tutto per me e dobbiamo essere calmi e fiduciosi per quanto… per quanto difficile possa essere! Credimi, nessuno è più in ansia di me ma in effetti è inutile e dannoso sentirsi così! Essere vulnerabili aiuta solo il nostro nemico!”. Il discorso della Castillo fece finire Leon per fissarla, osservando quello sguardo forte che tanto amava e che gli aveva fatto perdere la testa. “- Hai ragione e come dice Diego: la cosa fondamentale è mantenere la lucidità!” sorrise lui, accarezzandole dolcemente una guancia, facendo calare tra loro un silenzio un po’ imbarazzante. In quel momento una macchina li affiancò e gli suonò, facendo sì che, finalmente, i ragazzi smettessero di fissarsi e la notassero. “- Andiamo…” le sussurrò quasi Vargas, porgendole la mano, che la giovane strinse intrecciando le sue dita con quelle della guardia del corpo, per dirigersi insieme verso l’auto e salire sui sedili posteriori. “- Ciao ragazzi! Come è andata?” sorrise con aria furba Angie, fissando i due dallo specchietto retrovisore. “- Bene, a parte Gregorio che stamattina ha dato di nuovo di matto e voleva far espellere DJ!” raccontò la ragazza, facendo annuire i due. “- Lo sappiamo.” Dissero gli adulti in coro, mentre la donna afferrò la penna USB dalla borsa e gliela mostrò, voltandosi verso di loro e facendola ondeggiare a mezz'aria. “- Cos’è?” chiese la giovane, mentre Vargas la corresse subito: “- O meglio cosa c’è qui dentro?” domandò. “- Ottima osservazione, giovanotto. Foto e video gentilmente concessemi da Dionisio Juarez! Alla festa il folle o i folli hanno colpito e con queste preziose prove potremmo scoprire qualcosa di importante. Che ne dite? Stasera ci vediamo delle belle foto?” chiese Pablo, soddisfatto del suo lavoro. “- Come hai fatto a convincerlo a farti dare tutti questi file, poi?” domandò, improvvisamente, la Saramego curiosa come al solito. Galindo balbettò qualcosa di incomprensibile tra i denti che lasciò perplessi i tre. “- EH?” chiesero in coro i passeggeri della macchina. “- HO DETTO CHE VOLEVO LE FOTO PER FARE UN COLLAGE PER TE! OK?” strillò il moro, facendo sgranare gli occhi alla bionda e ridere sotto i baffi la nipote e il giovane bodyguard. “- Speriamo che almeno ci siano dati importanti! Sotto alle foto ci sono anche gli orari! Potrà tornarci molto utile!” sibilò Galindo, parcheggiando davanti villa Saramego.
Dopo un po’ i quattro entrarono in casa e, intelligentemente, Leon pensò di chiamare all’appello anche Diego… era un poliziotto e poteva di sicuro aiutarli a cercare quel qualcosa o qualcuno che, pur non sapendo chi o cosa fosse, avevano intenzione di scovare. Il problema era che anche Lisandro, avendo sentito della telefonata, lo aveva seguito presentandosi con il giovane a casa di Angie e venendo accolto dalle solite occhiatacce degli inquilini.
“- Stamattina quando siamo entrati nella sala professori Gregorio e Jackie litigavano animatamente…” iniziò Pablo, seduto sul divano, mentre Dominguez e Vargas collegavano al portatile di Angie la chiavetta… presero a stampare quella miriade di foto per studiarle meglio, dovendo più volte sostituire cartucce e fogli. “- E allora? quei due litigano praticamente in continuazione!” esclamò la Saramego, sedendosi accanto a lui sorseggiando un bicchiere d’aranciata che aveva appena portato sul tavolino basso al centro del salotto su un elegante vassoio, per tutti gli ospiti. “- Sì, lo so che litigano in continuazione ma lei ha detto una frase strana… qualcosa del tipo: ‘non sono la tua schiava, non puoi continuare a comandarmi a bacchetta, non più…’ come se si riferisse non solo allo Studio e noi non dobbiamo sottovalutare nulla, questo è chiaro.” rifletté Galindo, cominciando a guardare le prime foto che erano già pronte su carta, facendo interessare anche Lisandro che, inizialmente, ascoltava tutti quei discorsi in silenzio, creandosi le sue ipotesi magari contro quelle di Pablo giusto per il gusto di contraddirlo anche in una situazione così delicata.
“- Ah guarda come è arrabbiata Ludmi in questa foto! Che era successo?” cominciò a chiedere Violetta, mentre Leon si era seduto sulla poltrona accanto a lei. “- Mi sembra che Camilla le avesse ordinato di rendersi utile!” rise Leon, mentre Diego si affacciò subito a guardare la sua fidanzata immortalata furiosa. “- Ok, questa dopo me la porto!” disse, indicando la foto già immaginandosela come probabile arma di ricatto con la Ferro. “- No! Nessuno deve sapere, soprattutto allo Studio! Dominguez mi raccomando!” lo rimproverò Pablo, facendo ghignare e annuire il ragazzo ed anche il commissario che afferrò un bicchiere dal tavolino. “- Ok, qui è quando sei arrivata tu nella sala!” disse Violetta passando una foto alla Saramego. “- AH! Guarda quei capelli! Che spettinati!” disse la donna, storcendo il naso e cominciando a lamentarsi del suo look di quel giorno. “- Mi dovevate avvisare! Era una festa per me ed ero vestita non all’altezza dell’evento!” si lamentò ancora Angie, prendendo un altro mazzetto di foto dal tavolino. “- Era una festa a sorpresa! Non potevamo dirti nulla!” rise la nipote, fissando una foto per poi prendere il cellulare. “- Allora, io ho avuto il messaggio da Leon, che poi abbiamo capito non è stato lui ad inviare, alle 12:05. Quindi io alle 12:08 circa ero in corridoio… controlliamo le foto che hanno come orario le 12 circa, o un po’ prima…” sentenziò la ragazza, facendo annuire Pablo e partire un mezzo applauso a Dominguez. “- Però, bambolina! Sei geniale!” ridacchiò, beccandosi un’occhiataccia da Leon. “- Allora, in questa foto ci si intravede te sull’uscio che con il cellulare in mano… e sono le 12:06… stavi andando a leggere l’sms.” Precisò Pablo, fissando un’immagine mossa e confusa, in cui si intravedeva appena la testa castana della ragazza verso la porta della sala teatro. “- Esatto… e questa è la foto che ha scattato dopo… aspetta un secondo! Guarda!” esclamò la Saramego, afferrando due foto e mettendole vicino, per confrontarle. “- Sono scattate allo stesso punto della sala, solo che a differenza di pochissimi minuti cambiano… in questa, la prima, si vede la testa di Casal… in quella di dopo un minuto non si vede più!” esclamò, facendo alzare anche i ragazzi e Lisandro per verificare il punto che la bionda indicava nelle due foto. “- Non si vede bene, ci sono troppe persone davanti!” esclamò Roberto, afferrando una delle due immagini e scrutandola con attenzione. “- Ok… ipotizziamo. Ipotizziamo che Gregorio c’entri qualcosa… conosceva anche Maria? E’ possibile?” chiese Galindo, rivolgendosi alla donna e facendo concentrare di colpo anche Lisandro su quella domanda. “- Maria ha frequentato lo Studio da ragazza, quindi conosceva bene gli ex alunni, suppongo! Mi pare che alcuni degli attuali professori fossero stati proprio ex studenti, me compresa! Ma per esserne certi bisognerebbe vedere gli annuari di quegli anni.” suggerì Angie, andando poi verso la libreria, proprio di fronte al divano su cui era seduta. “- Dovrebbero essere qui da qualche parte! Li ho anch’io perché anch’io frequentavo la scuola come vi ho detto… insomma io ero più piccola di lei ed ero al primo anno quando mia sorella era già agli ultimi anni di corsi prima di lasciare per iscriversi al conservatorio…” disse poi, inginocchiandosi per raggiungere gli scaffali più bassi. “- Perché si trasferì al conservatorio?” chiese subito Roberto, cominciando ad avanzare ipotesi tutte sue. “- Diceva che per migliorare lo Studio non le bastava più e se voleva diventare una star aveva bisogno di lasciare la scuola… eccoli! Questo è quello di quando io ero appena iscritta e lei era al terzo anno.” esclamò la bionda alzandosi e tornando sul sofà, aprendo quel grosso librone impolverato. Galindo prese a sfogliarlo con foga fino a raggiungere la parte degli studenti dello stesso anno di Maria. “- Oh, no…” disse, soffermandosi su una foto in alto a destra.
“- Ricordava bene, signorina Saramego: Gregorio Casal… ha frequentato anche lui lo Studio 21.” Balbettò, con aria tesa, il capo della polizia, mentre Vargas aveva afferrato il libro dalle mani di Lisandro e si era bloccato, sgranando gli occhi, su una piccola fotografia in basso a sinistra, tra gli alunni più bravi nella danza, ritratti nella classe di ballo. “- Emh, io non vorrei sconvolgervi ma anche Jackie era tra gli alunni quando Maria era ancora a scuola… guardate!” disse Leon, voltando verso di loro l’annuario e indicando la foto in cui, in basso a destra, vi era una ragazzina bionda, dagli occhi vispi e scurissimi… era lei, di sicuro e la didascalia accanto alla foto lo dimostrava. “- Bingo!” esclamò Diego, battendo la mano su un altro volume sul tavolino e alzando un bel po’ di polvere. “- Voi dite che…?” chiese la Saramego, scioccata. “- Tutto puo’ essere, ormai non mi sorprenderei più di nulla… anche se… non lo so. Gregorio potrebbe anche essere solo il solito Gregorio e magari non c’entra proprio niente!” ripeté Pablo, riprendendo il libro che era finito sul tavolino. “- Onde ad evitare di farlo fuggire da Buenos Aires stategli alle calcagna e cercate prove più fondate! Queste sono solo supposizioni!” borbottò il commissario, glaciale, alzandosi e cominciando ad andare avanti e indietro per la stanza. Gli altri presenti sospirarono fissando quell’annuario, forse la chiave fondamentale delle loro ricerche. Tutto partiva da Maria, tutto riguardava lei in primis… e il tutto, dalla maggiore delle Saramego in poi, si era riversato su tutte le persone che amava.
 
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Ahi, ahi, ahi! Gregorio è diventato il sospettato numero uno e Jackie è alquanto strana, dopo la frase detta a scuola… casualità o dettaglio rilevante? Alcune delle ipotesi si sono confermate con le foto fatte da DJ (ad un certo punto in una inquadratura di una foto, in orario compromettente, Casal era sparito dal suo posto rispetto ad un’altra immagine di qualche minuto dopo, fatta allo stesso punto della sala…) e, nell’annuario dello Studio 21, sia lui che Jackie hanno frequentato l’accademia lo stesso anno in cui sia Maria che Angie, ancora al primo anno, studiavano lì… il fatto che Maria avesse poi lasciato per andare in conservatorio potrebbe essere un indizio o un caso? Forse voleva scappare oppure era sul serio per far avanzare la sua carriera in modo ancor più professionale? Il mistero si infittisce ma adesso potete cominciare a fare ipotesi con più dettagli… curiosi? ;) Spero che vi piaccia questo capitolo che a me non convince proprio per nulla ma che serve molto per il proseguimento della storia... Grazie ancora a tutti coloro che seguono e recensiscono! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 26
*** Un attimo di pace, o quasi... ***


“- Sai cosa pensavo? Che con tutto quello che sta succedendo, noi due non abbiamo mai avuto un appuntamento come coppia e dovremmo rimediare!” Leon era seduto al tavolo della spaziosa cucina di villa Saramego e si stava versando distrattamente del succo d’arancia, fissando, sott’occhio, la giovane Castillo e aspettando la sua reazione a quella frase, quasi buttata lì così, per caso.
“- Hai ragione! Ma ci si puo’ sempre organizzare, no? Anche oggi, ad esempio!” sorrise lei, mettendo in tavola un barattolo di marmellata all’albicocca e sedendosi accanto al ragazzo, sperando che lui prendesse davvero in considerazione l’idea di preparare qualcosa per quel giorno stesso, magari dopo la scuola. “- Io ci sto. Ho già in mente qualcosa! Per un pomeriggio basta ipotesi, basta problemi:  saremo solo io e te. Che ne dici?” esclamò, con più decisione il giovane, prendendo un sorso della sua bibita e guardandola con un’intensità tale da farle correre un brivido lungo la schiena che la ragazza tentò di dissimulare, abbassando lo sguardo con le guance rossissime, sulla sua fetta biscottata appena imburrata che teneva sospesa a mezz’aria. “- L’idea mi piace davvero tanto! E cosa hai in mente?” sussurrò quasi lei reclinando il capo con dolcezza e poggiando timidamente la sua mano su quella del giovane che gliela accarezzò dolcemente, sfiorando quella pelle così morbida e delicata che tanto amava. “- E’ una sorpresa, dolcezza!” ghignò il bodyguard, continuando ad osservarla teneramente, prima di sporgersi verso di lei e depositarle un delicato bacio sulle labbra che lasciò la fidanzata imbambolata e felice.
“- Buongiorno, buongiorno, buongiorno!” Angie era entrata come una furia nella stanza e trovò i due che si fissavano, come incantati l’uno dagli occhi dell’altra, senza nemmeno accorgersi di lei, nonostante il baccano che stesse facendo con delle tazze nel lavandino. Si soffermò un secondo a guardarli e sorrise istintivamente, appoggiandosi con i gomiti al lavello. Sapeva che Leon avrebbe fatto felice sua nipote e, in quel periodo della loro vita, avevano davvero bisogno di qualcuno che le amasse realmente e incondizionatamente, con tutto il cuore, che potesse anche per un solo secondo, distrarle da tutti quei problemi che erano piombatati nelle loro esistenze. Distrattamente la Saramego posò poi lo sguardo sull’orologio e si rese conto di non essere poi così in ritardo ma, per evitare di disturbare i ragazzi si portò il caffè sul sofà, in salotto, sperando che anche Pablo scendesse per evitare di arrivare fuori orario allo Studio. Non dormiva quasi mai per sorvegliarla ma quando lo faceva piombava in coma profondo per rifarsi delle notti insonni… e quello sembrava essere proprio uno di quei giorni. Angie, resasi conto della cosa, decise che, forse, era meglio salire a svegliarlo. Da qualche giorno non aveva più le stampelle quindi non fu difficile come al solito raggiungere il piano superiore. Si avvicinò alla porta della sua stanza e sbirciò all’interno. Inizialmente ebbe l’impulso di svegliarlo di soprassalto e, al solo pensiero di uno scherzo a Galindo, ridacchiò tra sé e sé… poi però rifletté: no, era così dolce, non poteva fargli prendere un colpo!
“- Ehi… svegliati!” sussurrò al suo orecchio, facendo sì che lui prima borbottasse qualcosa di incomprensibile per poi aprire un occhio solo e, nel vederla, sorridere meccanicamente. “- E meno male che eri il pipistrello che non dorme mai, eh Galindo?!” rise lei, tirandogli una cuscinata a tradimento che lui non si aspettava. “- Ahi!” si lagnò, avendo beccato la cerniera del soffice oggetto sul naso. “- Sempre a lamentarti! E sei un bodyguard! Dovresti beccarti anche eventuali pallottole al posto mio, lo sai?!” lo prese in giro la bionda, sporgendosi verso di lui, solleticandolo con i boccoli dorati, prima di baciarlo dolcemente. Era così strano da quando stavano insieme! Angie si sentiva finalmente felice, riusciva a percepire l’amore che lui provava per lei, un amore vero che nessun uomo aveva mai provato nei suoi confronti. “- Facciamo tardi, sbrigati bradipo!” urlò poi, lanciandogli una maglietta praticamente sulla testa mentre lui stava finalmente cominciando ad svegliarsi del tutto. “- I ragazzi? Sono già di sotto?” chiese, schiarendosi la voce ancora roca per la grande dormita. “- Sì, già belli e pronti a fare colazione! Dovresti muoverti!” lo incitò la donna, andando verso la cabina armadio e uscendone pronta in meno di un minuto. “- Sei ancora lì? Vestiti e scendi giù!” lo rimproverò ancora lei ridendo, osservandolo sbadigliare per la centesima volta. “- Parli facile tu! Sono io che sono sveglio da mesi! Per non parlare di quel periodo in cui eri in ospedale…” ricordò lui, incupendosi al solo rievocare quel periodo di insonnia totale. Lei si accorse di quel volto mesto e, dall’uscio, lo fissò per poi andarsi a sedere sul bordo del letto, accanto a lui. “- Ehi… sto benone! Non c’è bisogno di intristirsi, sul serio…” gli sussurrò la bionda, accarezzandogli dolcemente una guancia. “- Non me la perdonerò mai,” disse lui, voltandosi per guardarla negli occhi e sfiorandole un cerotto che aveva ancora sulla fronte, poco sopra al sopracciglio sinistro. “- Se la cicatrice sarà a forma di saetta potrò far concorrenza ad Harry Potter!” rise lei, toccandosi la ferita coperta dalla piccola benda.  “- Sei una donna incredibile!” sorrise l’uomo, prima di sfiorarle ancora una volta le labbra in un dolce bacio. “- ZIAAAA! Faremo tardi!” urlò, dal piano di sotto, Violetta, facendoli staccare controvoglia. “- Andiamo, ti aspettiamo di sotto. Prendiamo la tua auto, come al solito…” sorrise Angie, lanciandogli un’altra dolce occhiata prima di uscire dalla stanza, lasciandolo ancora per qualche secondo imbambolato a fissare verso l’uscio.
 
 
“- Dunque, ormai mancano solo alcuni giorni allo show e vi informo che, il giorno dello spettacolo, ovvero sabato, ci saranno le prove sin dal mattino direttamente al Teatro Mayor! Non è fantastico?” esclamò Antonio, fermo sotto al palco fissando gli altri docenti al suo fianco che annuirono soddisfatti… beh, la Saramego un po’ meno. Solo quando sentì dal preside che mancava così poco allo show si rese conto di quanto rischiassero lei e sua nipote in quel giorno così importante per gli altri. Considerò, di colpo, il fatto che probabilmente i documenti per il Canada fossero quasi pronti e che di lì a poco avrebbero dovuto lasciare il paese, sempre che il folle non le avesse eliminate prima… e a quel pensiero rabbrividì. “CALA IL SIPARIO”. Quelle parole le rimbombavano nella testa da fin troppo tempo. Inoltre, a peggiorare la situazione di panico, c’erano quelle ipotesi fatte in base alle foto di DJ e alle varie scoperte sul passato dello Studio 21 e i suoi alunni... la donna, da quel momento in poi non riusciva neppure a guardare più negli occhi Gregorio. L’uomo, dal canto suo, doveva essersene accorto dato che in quel momento e non solo, le teneva lo sguardo puntato addosso, facendole avvertire forti fitte allo stomaco per la tensione, come ogni qual volta lo vedesse ghignarle allegramente. Era solo un caso? Stava dando peso a quegli sguardi indagatori solo in quel periodo perché adesso sapeva delle teorie, probabilmente fondate, di Lisandro su Casal? Non lo sapeva, fatto stava che né a lui, né tantomeno a Jackie riusciva a rivolgere la parola e la situazione si stava facendo sempre più insostenibile e pesante.
Violetta, invece, seduta vicino a Leon,  aveva le stesse identiche sensazioni della Saramego e, da qualche giorno andare allo Studio e sapere che lì c’era il folle che voleva farle fuori le metteva un’ansia indescrivibile. Fissava il volto di Angie e vi leggeva chiaramente il terrore che stava provando, rendendosi conto che, probabilmente, anche la sua espressione diceva lo stesso.
“- Angie ho bisogno del tuo aiuto per questi cd! Vieni, per favore?!” Antonio aveva già finito di parlare e Jackie attendeva, stizzita la collega sull’uscio della sala teatro. “- SARAMEGO!” urlò ancora la Saenz, agitandole una mano davanti agli occhi con aria stizzita per la mancata risposta. “- Sì… emh, Galindo vieni, andiamo in sala professori che devo consegnare dei cd a Jackie e devo parlare anche con te… della… della scaletta!” inventò la bionda, facendo sì che lui lasciasse Beto con cui stava chiacchierando di strumenti musicali e andasse dietro alle due. “- Cos’è? Hai bisogno del tuo fidanzatino per venire di là con me?” borbottò la ballerina, anche alquanto stizzita per tutto quel tempo perso a dialogare, facendo sbiancare i due. “- No, devo sapere una cosa che mi è poco chiara dell’ordine d’entrata dei ragazzi!” rise nervosamente Angie, sperando che la conversazione finisse lì cosa che, per fortuna avvenne.
“- Ragazzi andiamo a cambiarci! La riunione è finita finalmente!” esclamò Federico, alzandosi in piedi e allungando la mano a Francesca per far scattare anche lei. Erano ancora tutti in sala teatro ma dovevano darsi una mossa se non volevano incappare nelle ire dei professori di danza con cui, successivamente, avrebbero avuto lezione. “- Sì, Bianchi ha ragione! Io non posso fare tardi… ci mancherebbe solo questa, quello lì già mi detesta!” disse DJ, fiondandosi fuori e quasi travolgendo Ludmilla. “- Ehi, sta’ attento blogger da strapazzo!” strillò, acidamente, la ragazza, continuando a parlare a cellulare con il suo amato Dominguez per poi dirigersi in corridoio. Tutti si riversarono all’esterno dalla sala teatro, anche Leon e Violetta che, tenendosi per mano, chiacchieravano tentando di apparire spensierati, progettando già il pomeriggio in compagnia, solo dell’uno e dell’altra. “- Maxi e Thomas che fate? Venite con noi o restate lì a perdere tempo?” domandò Emma, con le mani sui fianchi, mentre i ragazzi tutti presi a leggere degli spartiti si alzarono controvoglia e seguirono la fidanzata di Heredia. Lo spagnolo era stato subito riaccettato nel gruppo… ovviamente Leon e Violetta tentavano comunque di evitarlo ma gli altri, essendo suoi amici fin da troppo tempo, lo avevano subito riaccolto a braccia aperte cosa che avevano fatto anche con la sua ragazza, la Toledo. Loro non portavano rancore, non lo facevano nemmeno con la Ferro che, prima di fidanzarsi con Diego passava il tempo a tormentarli! Quindi non potettero tenere ancora il broncio al moro e ripresero a trattarlo da amico. D’altronde aveva sbagliato ma erano affari di cuore personali, loro gli dovevano voler bene lo stesso, nonostante tutto.
I ragazzi erano tutti agli armadietti e, quando arrivarono anche Ponte ed Heredia, si misero a parlare subito dello show, aprendo e chiudendo le piccole ante colorate in metallo per prendere tute, borse e quant’altro. “- NOOO!” il grido di DJ fece sobbalzare tutti: il ragazzo cadde sulle ginocchia, il tablet tra le mani e le lacrime agli occhi. “- Ehi che succede?” si preoccupò subito Camilla, correndo verso di lui, poggiandogli una mano sulla spalla. “- E’… me lo hanno… no!” urlò balbettando, rialzandosi e sbattendo l’anta dell’armadietto con nervosismo. “- DJ che cosa è successo?” Leon subito corse nella sua direzione e notò che la serratura dell’armadietto era stata forzata. “- Un dispetto orribile! Povero!” esclamò Napo, aiutandolo ad alzarsi. “- Qualcuno meriterebbe una bella lezione!” gridò Lena, fissando un po’ tutti i presenti con aria indagatrice. “- Se è stato qualcuno di voi ditelo subito! FORZA!” urlò la Torres, cingendo le spalle al suo ragazzo che riaprì il locker sperando che le altre cose fossero tutte in ordine. “- CODARDI!” urlò Andres, facendo annuire un po’ tutti. “- Chi avrebbe interesse nel distruggerti quell’affare?” chiese seccamente Ludmilla, alzando un sopracciglio. “- ALLORA SEI STATA TU! CONFESSA!” urlò di colpo Emma, puntandole l’indice contro all’altezza del naso che la biondina storse con aria scocciata. “- Ho appena detto che nessuno avrebbe interesse nel farlo! Perché dovrei averne io, sentiamo, novellina!” urlò la Ferro, sedendosi sulla panca di fronte a loro e accavallando le gambe con aria curiosa. “- Perché, ad esempio, pubblicò quel video della festa a sorpresa per Angie sul suo blog e a te la cosa non è mai andata giù!” realizzò Maxi, facendo annuire gli altri. Vargas, intanto, fissava quel tablet distrutto: lo schermo era spaccato al centro e non si accendeva più, come se fosse stato scaraventato  a terra, o forse addirittura calpestato. “- Ragazzi, andiamo a lezione… non è stata lei.” disse con calma Leon, facendo sì che tutti prendessero a fissare prima lui e poi la Supernova. “- Io dico di sì, invece!” strillò Francesca, avvicinandosi alla biondina che non si scompose più di tanto. “- Ludmilla era al distributore, tra l’altro al cellulare con Diego. L’ho vista io.” La coprì Leon, avendo già capito che si trattasse del folle che voleva farla pagare a Dionisio per aver passato quelle foto a Pablo. Ludmilla lo fissò, sgranando gli occhi… in effetti era vero! Si erano quasi scontrati lei, Leon e Violetta non appena erano usciti dalla sala teatro. “- Sì. E’ uscita prima per andare a prendere del succo d’arancia, non per distruggere il tablet. Confermo anch’io!” esclamò Violetta, facendo annuire soddisfatta la Ferro. “- E allora chi…?” borbottò Thomas, facendo scuotere il capo a DJ. “- Io prima della riunione l’ho lasciato qui! Potrebbe essere accaduto anche prima!” esclamò il giovane, riflettendo. “- Ogni tanto qualcuno entrava e usciva! Praticamente tutti durante la riunione siamo andati in bagno!” fece notare Federico, serio. “- IN CLASSE, MUOVIAMOCI!” Esclamò, di colpo, Vargas, facendo finire lì la conversazione… “- DJ, ho un tablet a casa che non uso… domattina te lo porto io, ok?” sorrise il giovane, facendolo annuire felice. La faccenda, per fortuna si chiuse lì e tutti, un po’ stizziti per la discussione, si recarono in aula. “- DOVRESTE SCUSARVI CON ME!” urlò la Ferro, beccandosi qualche sorrisetto da alcuni dei ragazzi. “- Malfidati!” borbottò, agitando la bionda chioma e entrando, per ultima, in classe.
 
 
“- Quindi dite che anche la vita di DJ è in pericolo?” Pablo, Angie, Leon e Violetta erano in auto e stavano parlando della questione del tablet. “- No, lo ha colpito nella cosa più preziosa che avesse… e penso sia appagato. D’altronde lui non poteva sapere che a me servissero quelle foto e mi ha dato quell’affare per farmele salvare senza problemi. Comunque dato che mi sento colpevole, glielo compro io, dopo passo al centro commerciale, così domani glielo dai. Ok, Vargas?” disse l’uomo, facendo annuire il ragazzo che spiegò che la colpa fosse ricaduta anche sulla Ferro. “- Nah! A meno che non è una complice del folle dubito che c’entri… poi chissà!” esclamò Galindo, tenendo gli occhi fissi sulla strada. Erano poco lontano dallo Studio e stavano percorrendo un tragitto che costeggiava il parco. “- Ci puoi lasciare qui, per favore?” chiese, d’un tratto, Leon al conducente. “- Come mai?” chiese subito la Saramego, con aria furba e fissando i due ragazzi dallo specchietto retrovisore.
“- Devo portare Vilu in un posto! Ma non torniamo troppo tardi, tranquilli!” esclamò il giovane, mentre la macchina rallentava per accostare. “- D’accordo, fate pure! Ma state attenti, ok?” si raccomandò Pablo, voltandosi verso i due quando l’auto fu finalmente ferma. “- Sì, Pablo! Diamine, sembri… mio padre…” disse la giovane, incupendosi di colpo. “- No! Non voglio vedere quel faccino! Andiamo, stasera voglio pensarci io a farti distrarre!” intuì subito Leon, scendendo e aprendole la portiera. “- Divertitevi!” esclamò Angie, sperando che davvero Vargas potesse riuscire ad alleggerire la mente fin troppo piena di pensieri della ragazza. “- Lo faremo! Andiamo, vieni!” sorrise lui, allungando la mano verso la Castillo che gliela strinse e scese dalla macchina, richiudendo la portiera con foga. “- Ciao!” salutarono i due, mentre l’auto ripartiva con calma.
“- Allora, cos’hai in mente?” chiese la ragazza, mentre camminavano mano nella mano su un marciapiede che Violetta si rese conto di conoscere bene. “- Ricordi stamattina? Ecco, beh… io scherzavo quando ti dicevo che avevo in mente qualcosa: non è vero. Volevo che tutto fosse perfetto, come lo sei tu… E ho toppato a causa di tutti questi problemi… ma si sa, l’importante è stare insieme, no?” a quelle parole la Castillo restò un po’ confusa… e, in fondo, anche un pochino delusa… eppure sorrise comunque dolcemente, fissandolo. “- Non ti preoccupare, improvvisare a volte è meglio di fare qualunque programma! Andrà bene lo stesso e poi hai ragione, l’importante è stare insieme!” esclamò, parandosi di fronte a lui e intrecciandogli le mani intorno al collo, perdendosi in quegli occhi così  verdi e intensi. “- Ok, ho mentito… qualcosa ho organizzato! Ma prima… metti questa!” sorrise lui, con aria furba, mostrandole un foulard di seta rosso. “- Che cosa? No, dai! Sai poi che figura a camminare con quella lì sugli occhi!” rise la ragazza, imbarazzata mentre lui era passato alle sue spalle e le stava già annodando la benda dietro la nuca. In cuor suo era al settimo cielo. Sapeva che Leon non aveva potuto sottovalutare quel loro vero e proprio primo appuntamento e aveva capito che voleva soltanto osservare la sua reazione al fatto che non avesse preparato nulla dopo averle detto il contrario. Inoltre, in quel modo, quando le aveva mostrato il foulard lei era rimasta ancora più sorpresa e stupita… insomma, il suo fidanzato era geniale! “- Ci sono io, no? Lasciati guidare da me…”disse il ragazzo, stringendole di nuovo la mano intrecciando le sue dita con quelle della giovane e portandola verso l’entrata del parco. La giovane si fece condurre da lui, affidandosi completamente al suo amato… si accorse di essere in un posto con molti fiori e alberi: ne sentiva il profumo, ne percepiva il fruscio delle foglie. Camminarono molto a lungo fino a quando sentì che Leon si era fermato, facendo bloccare anche lei, notò che fosse andato alle sue spalle e si accorse che le stava togliendo la benda. “- Ci siamo… ora puoi guardare!” disse con voce furba il ragazzo, affiancandola di nuovo. Violetta si ritrovò di fronte al grande lago del parco che conosceva bene ma, sulla riva, vi era una barchetta in legno a remi, dei fiori di campo all’interno e un cestino da pic-nic adagiato tra i due assi che facevano da sedili. “- Leon è…” la giovane non sapeva proprio cosa dire e rimase senza parole a quella visione! Era così romantico, così speciale! Aveva organizzato tutto lui, nonostante tutto quello che stavano subendo era riuscito a trovare il tempo di pensare a tutto. “- Prego, signorina!” disse Vargas, porgendole la mano e invitandola a salire sull’imbarcazione che si mosse lievemente. “- Ma è sicura?” chiese subito lei, prendendo posto e sedendosi, alquanto tesa, mentre Leon spingeva la barca dal retro. “- Sei con me, quindi è più che sicura!” sorrise il giovane, avendo messo in acqua la piccola scialuppa e balzandone all’interno atleticamente. “- Leon io non… so nuotare!” confessò lei, timidamente tenendosi saldamente ai bordi, cominciando a guardarsi intorno: acqua, acqua su tutti i lati e la paura che in lei aumentava. “- E non ce ne sarà bisogno!” esclamò, con fiato corto per la traversata, il giovane. “- E se cappottiamo?” insistette lei, nervosissima, prendendo a fissarlo. “- Non accadrà, fidati!” rise lui, remando. “- E se sono io a cadere in acqua?” chiese ancora la ragazza, in panico. “- E se, e se! Rilassati! Ho fatto canottaggio per 3 anni! Saprò condurre questo affare! E poi se non ci mettiamo a ballare la conga non dovremmo ribaltarci! Né io, né tu! E nella peggiore delle ipotesi che tu dovessi cadere so nuotare meglio di uno squalo quindi verrei a prenderti subito!” scherzò lui, continuando a guidare la barchetta verso il centro del lago.
“- Non sei d’aiuto, Vargas!” lo prese in giro lei, dandogli un piccolo pugno sul ginocchio e facendolo ghignare, fingendo che lei lo avesse fatto male. “- Smettila scemo! Se ti ho appena sfiorato!” esclamò la Castillo, scoppiando in una fragorosa risata. Era come se, con lui, riuscisse a dimenticare tutti i suoi problemi, le sue preoccupazioni… era un sogno ad occhi aperti la vita con Leon, la vita perfetta, come lo era lui.
“- Questa proprio non me l’aspettavo! Lo ammetto! Quasi mi hai fatto credere sul serio che non avessi preparato niente!” rise lei, tra una chiacchiera e l’altra, mentre Vargas cominciò a condurre sempre con più foga l’imbarcazione lontano dalla riva e si fermò, stanco, solo dopo molta fatica. “- Sì, lo immaginavo! Hai fatto una faccia quando ti ho detto che non avevo organizzato nulla! Anche se hai sorriso sei un libro aperto per me, signorina…” sorrise lui furbo, pensando a quanto tempo ci avesse messo a pianificare quella gita. “- Lo sapevi da un po’ e per questo mi hai proposto l’appuntamento proprio questa mattina… mascalzone che non sei altro!” capì finalmente la ragazza, puntandogli l’indice contro mentre lui si chinava a tirar fuori dal cestino da picnic una bottiglia piena di succo d’arancia e dei tramezzini alla marmellata. “- Prego! Assaggi!” esclamò il ragazzo, porgendogliene uno e prendendo poi a versarle un bicchiere di bibita. “- Sei geniale! Hai pensato proprio a tutto!” sorrise Violetta mordendo la fetta di pancarré e sporcandosi di confettura come una bambina. “- Hai pensato anche a dei tovaglioli, per caso?” rise d’un tratto, coprendosi la bocca con una mano. “- Sì… io ci ho pensato… ma avrei un’idea migliore…” iniziò Leon, con voce furba, avvicinandosi a lei lentamente, facendo ondeggiare l’imbarcazione e provocandole un forte batticuore per due motivi: paura ed emozione… cominciò a sperare con tutte le sue forze che non si ribaltassero… beh… non proprio in quel momento, almeno! Il ragazzo si sporse verso di lei con una delicatezza tale da non far muovere troppo la barchetta per non terrorizzarla: appoggiò delicatamente le sue labbra su quelle della ragazza e la baciò prima con delicatezza e poi, a poco a poco, sempre con più passione, prendendo ad accarezzarle dolcemente una guancia. Si staccarono quando rimasero senza fiato e si fissarono come sempre incantati, l’uno dall’altra. “- Leon, io dovrò…” tentò di iniziare lei; pensava al Canada, al trasferimento, all’allontanamento forzato che avrebbero dovuto avere. Ecco che ritornavano i pensieri! Cominciò seriamente a pensare che forse non potesse essere felice! Ogni volta che lo era davvero, come in quel momento, le tornava alla mante tutto quel caos, proprio quando le sembrava di vivere una vita normale, come un’adolescente normale con una situazione normale. “- No. Oggi niente pensieri, niente cattive sensazioni, nulla. Io e te, ricordi?” sussurrò lui, prendendole le mani dolcemente. “- Sì. Io e te. Ovunque io andrò tu ci sarai.” Mormorò la ragazza, facendolo annuire piano mentre era perso nei suoi occhi nocciola. Era una giornata splendida ed erano sicuri che così sarebbe proseguita, tra romanticismo, amore e passione e niente e nessuno avrebbe potuto rovinargli quel pomeriggio.
 
 
“- Ok, il tablet l’abbiamo preso… possiamo andare!” Pablo seguì Angie uscendo dal negozio di elettrodomestici del grande centro commerciale poco fuori città e teneva stretta una piccola busta contenente l’oggetto da far regalare da Leon a DJ. “- Già ce ne andiamo? Dai, tanto i ragazzi non ci sono nemmeno a casa!” sorrise lei, sedendosi su una panchina di fronte ad un di un negozio di articoli sportivi. “- D’accordo.” Sbuffò Galindo, raggiungendola e prendendo posto accanto a lei. “- Chissà se va tutto bene! Ora chiamo Vilu!” disse, in panico la donna, mentre Pablo le strappò il cellulare dalle mani: “- Non ci provare! Non vorrai mica disturbarli? Leon sa quello che fa, tranquilla. Tua nipote è in ottime mani.” Sorrise il moro, spegnendole il telefonino e riconsegnandoglielo. Ad un tratto la bionda guardò alla sua destra e si alzò, con la scusa di andare verso la vetrina della gioielleria ma una voce la bloccò… “- Guarda un po’ chi si rivede! Angie Saramego!” quel gracidio la fece voltare e avanzare di nuovo verso la panchina… poi quel tono così odioso… si sentì raggelare il sangue nelle vene.
“- Jade…” sorrise, sperando che la donna fosse lì con quelle altre due signorine che conosceva solo di vista, per perdonarla, per darle un’altra chance… ok, l’aveva allontanata da lei ma lo aveva fatto per proteggerla! Glielo aveva anche ripetutamente spiegato ma la mora, ovviamente, non riusciva a spiegarsi il perché di quel comportamento e la doveva considerare un mostro. La  La Fontaine fissò dapprima la bionda poi passò ad osservare Galindo che si alzò per affiancare subito la sua donna, cingendole la vita con un braccio. “- Sei anche sparita dall’Amnesia! Cos’è? Hai paura di incontrarmi o, d’improvviso, ti vergogni di essere quella che sei?” Ecco cosa voleva! Si stava vendicando e ci stava riuscendo alla grande! Angie incassò quelle parole come un pugno allo stomaco e la fissò senza ribattere, facendo però in modo che l’altra continuasse. “- Ah, ma non sei da sola! Hai già sostituito mio fratello, vedo! Che velocità, complimenti!” aggiunse, rivolgendosi ancora a lei ma prendendo ad osservare con il suo sguardo di ghiaccio Galindo che sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo.
“- Andiamo, tesoro!” sottolineò l’uomo, prendendo la mano della Saramego che sembrava pietrificata, tentando di tirarsela lontano da lì. “- Non mi pare che tuo fratello si sia mai fatto problemi a sostituirmi quando stavamo insieme.” Borbottò, con aria di sfida la bionda, facendo ghignare l’altra. “- Perché voi due siete mai stati realmente insieme, reginetta dell’Amnesia? Ma non venirmi a raccontare frottole! Lo sappiamo entrambe che tipo di relazione era la vostra… anzi, lo sanno tutti.” La voce irritante di Jade fece abbassare lo sguardo alla Saramego che, però, non stette in silenzio. “- Perché? Perché mi fai questo?” chiese, con gli occhi quasi lucidi. Era sicura che se avesse potuto sarebbe scoppiata a piangere… ma lei non voleva. Era troppo orgogliosa per farlo lì, davanti a tutti i presenti… si limitò a fissare con decisione Jade che ghignava divertita, accortasi bene del suo stato d’animo sofferente per quella situazione. “- Tesoro hai cominciato tu a trattarmi malissimo. Era il minimo che potessi fare per ricambiare!” esclamò, con voce glaciale la bruna. “- In quanto a te…” disse ancora la La Fontaine, rivolgendosi poi a Galindo. “- Se pensi che lei sia… affidabile, l’angioletto che sembra… beh, ti sbagli di grosso. Presto te ne accorgerai. Anche se non frequenti più l’Amnesia solo per fare la carina con lui è meglio mettere in guardia la tua ennesima vittima! O sbaglio?”. Pablo sbiancò e poi arrossì di colpo per la rabbia. Quella donna stava sputando veleno a ripetizione e se la sua fidanzata non le avesse risposto lo avrebbe fatto lui… sapeva anche, però, che se avesse detto qualcosa al posto della sua donna lei non gliel’avrebbe mai perdonata: glielo aveva ripetuto più volte, doveva solo difenderla dal folle, le accuse verbali sapeva schivarle da sola. “- Ascoltami bene: tu non sai niente di me, della mia vita, di tutto quello che ho passato e che sto ancora passando. E se ti interessa, l’Amnesia mi fa schifo, come la gente che la frequenta e mai ci tornerò. Ero sulla strada sbagliata… lo so, ci sono stata anch’io in quel luogo ma almeno ho avuto il coraggio e la forza di cambiare, o meglio, di ritornare la persona che ero prima di incontrare te e tuo fratello. Ci sto riuscendo sai? E lo devo all’amore della mia vita che adesso è qui accanto a me e sono certa ci resterà per sempre, come farò io con lui.  Ti volevo salvare allontanandoti da me ma se tu non lo hai capito sono problemi tuoi e non miei… sono convinta che prima o poi tutto ti sarà chiaro e sarai tu a venire da me strisciando, implorando il mio perdono… e a quel punto, mia cara, sarò io a sbatterti la porta in faccia! Ah, in fine… la vedi quella fontana laggiù? Bene, se non la smetti ti ci getto prendendoti per quelle quattro extension posticce e ridicole che hai.” Jade e le sue due seguaci rimasero stordite da quelle parole di Angie, mentre Pablo sorrideva soddisfatto… le tre, guardandola male la sorpassarono con aria sconvolta e si allontanarono in fretta.
“- Sei… stata… GRANDE!” esclamò Pablo abbracciandola di colpo e facendola girare, sollevandola a mezz’aria. “- Mi dispiace.” Disse la donna, cupa in volto, quando lui la fece ritornare con i piedi per  terra. “- Scherzi? Sono fiero di te! Concluse lui, guardandola negli occhi dolcemente. “- Ti ha detto cose che io… io non sono come dice lei, non più. Ti prego devi credermi, io ti amo davvero, Pablo, come non ho mai amato nessuno in vita mia.” Si scusò Angie prendendogli teneramente le mani. “- Lo so! Angie, lei si è vendicata, immaginavo che prima o poi lo avrebbe fatto. E ti amo anch’io, da impazzire ed è questo quello che conta. Nessuna oca da discoteca, folle o Canada ci dividerà mai.” Sorrise l’uomo, prendendo ad accarezzarle la guancia. “- Andiamo…” disse lei, finalmente con un radioso sorriso che fece imbambolare Pablo a fissarla per qualche secondo. Si sentiva orgoglioso di lei, una forza della natura ma, allo stesso tempo ancora fragile, da proteggere… e quel compito spettava a lui. Uscirono dal lato opposto al parcheggio e si ritrovarono di fronte qualcosa che fece sgranare gli occhi alla donna. “- Abbiamo sbagliato, l’auto è dall’altra… ma dove vai?” Angie camminava a passo svelto verso quella vastissima pista di pattinaggio sul ghiaccio. “- Ne vorrei un paio 39, per favore.” Disse, con decisione ad una ragazza dietro ad un banco. “- Che fai? Ti sei da poco fatta male alla gamba! Non osare varcare quella pista, Angie! Vuoi ritornare in stampelle?” Pablo l’aveva raggiunta con il fiato corto per la gran corsa ma lei lo ignorò, sedendosi su una panca di legno per mettersi i pattini. “- Rilassati! Ci so andare! Tu, piuttosto! Perché non mi fai compagnia?” sorrise lei, alzandosi e camminando piano fino alla pista, un po’ in bilico per le lame di ferro sotto alle suole.
“- Non ci penso nemmeno!” strillò lui, categorico, pensando alle inevitabili figuracce che avrebbe fatto finendo con il sedere per terra e incrociando le braccia al petto. “- Paura, Galindo?” lo sfidò lei, prendendo a passargli più volte davanti, volteggiando leggera sulla lastra di ghiaccio mentre lui, da fuori la pista, la fissava come incantato. D’un tratto, però, si scontrò con un uomo biondo e finì per cadere, scoppiando a ridere, imbarazzata, tentando di rialzarsi con qualche difficoltà. “- Stai bene?” chiese gentilmente il tizio, porgendole la mano per aiutarla a rimettersi in piedi. “- Sì, grazie…” esclamò lei, diventata violacea per la figuraccia. “- Devi fare attenzione quando pattini all’indietro! Soprattutto se in pista non sei sola!” ridacchiò l’uomo, mentre lei prese a fissare dove prima si trovava Pablo e resasi conto di averlo perso di vista, cominciò a guardarsi intorno preoccupata. “- Io sono Guido, piacere.” Si presentò lui, sorridendole quando la bionda ritornò finalmente a guardarlo ma, d’un tratto, Angie sgranò gli occhi, stupita. “- Piacere, Pablo, il fidanzato!” alle spalle del biondo, con evidenti difficoltà di equilibrio era apparso Galindo e la cosa fece trattenere a stento una grassa risata alla bionda, mentre Guido li fissava piuttosto confuso. “- Scusa, è meglio che vada… ciao!” lo liquidò la Saramego, andando a ridere vicino alle barriere e osservando Pablo raggiungerla cadendo rovinosamente una decina di volte sul ghiaccio. “- Esagerato! Mi stava solo aiutando a rialzarmi!” Esclamò Angie, prendendo a fissare l’aria distrutta del moro. “- Si stava presentando! PRESENTANDO!” Borbottò tra i denti lui, afferrando finalmente il sostegno del bordo della pista, raggiunto con non poche difficoltà. “- Almeno ti sei deciso a venire, è un punto a favore di Guido che ti ha fatto ingelosire e deciderti a prendere dei pattini per raggiungermi!” rise Angie, lasciandolo sconvolto e stizzito, facendogli alzare un sopracciglio come segno di disapprovazione. “- Ah, anche il nome ti ricordi?! Guido! Tzé!” strillò, tenendosi ancora per non cadere. “- Me lo ha detto trenta secondi fa!” si giustificò lei, lasciandosi dalla barriera e parandoglisi di fronte con le mani sui fianchi. “- Adesso prendo quel Guido e lo uso per spalare ghiaccio! Secondo me ti è venuto addosso di proposito, voleva rimorchiare la più bella della pista... quell’idiota!” disse Galindo, gelosissimo, diventando rosso di rabbia. “- Ti amo!” sorrise lei dolcemente, facendolo sciogliere subito. Lui smise finalmente di fissare in cagnesco il tipo in lontananza e la guardò, perdendosi nei suoi occhi verdi. Angie lo abbracciò e, dopo pochi istanti, lo baciò con passione. “- E adesso vieni che ti insegno. Sarai il mio allievo, Galindo, pronto?” Sorrise poi, prendendogli la mano e conducendolo lontano dal bordo della pista, sorreggendolo e, a poco a poco, insegnandogli a tenersi in piedi senza il suo aiuto.
 
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Un capitolo di pace che amo particolarmente! *_* A parte l’incidente al tablet di DJ e la scenata di Jade, ci voleva proprio un po’ di tranquillità e calcolate che ci aspettano capitoli roventi e ad alta tensione dato che, ahimé la storia volge al termine! Oh caspiterina, le mie due coppie preferite così dolciosamente dolciose… ertfewgth *-* Ok, odio la La Fontaine! >.< Un giorno, forse, capirà le intenzioni di Angie! Che belli i Leonetta in barca e i Pangie sul ghiaccio! Rfwethgtg *-* Lascio a voi i commenti... io potrei sclerare troppo… (troppo tardi, ormai ho sclerato abbastanza! XD) Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 27
*** Un incubo ad occhi aperti. ***


Il Teatro Mayor , quella mattina, era vuoto del solito pubblico che solitamente lo assiepava festoso. I ragazzi dello Studio On Beat avevano appena finito le prove per il grande spettacolo e stavano scendendo dal palco per tornare nei camerini. “- Se stasera andrete così bene, sarà di sicuro un successone!” Antonio era seduto in platea e batteva le mani soddisfatto mentre, accanto a lui, figuravano gli insegnanti dell’accademia più famosa di Buenos Aires.
 “- Zia dobbiamo andare a fare le valige… lo sai, vero?” Violetta tirò Angie in disparte e le sussurrò quella frase con rammarico e malinconia evidenti nel tono di voce. Era arrivato il fatidico giorno dello show e nella sua mente il testo di quel messaggio, “CALA IL SIPARIO”, rimbombava da una vita, facendole venir voglia di scappare da quel luogo. Era terrorizzata al solo pensiero di quella serata. Cosa aveva voluto dire il folle con quella frase se già le aveva fatto passare di tutto e di più? Voleva concludere la sua opera proprio lì? Non lo sapeva e la cosa le metteva un nervosismo che le scuoteva le ossa come un brivido troppo forte da fermare. “- No… non abbiamo ancora notizie certe da Lisandro! Magari ci vuole ancora un po’ prima della partenza!” tentò di sorridere la Saramego, mentre parlottavano fuori dal camerino e Leon e Pablo correvano verso di loro. Anche nella mente della donna riecheggiava quel sms come se qualcuno glielo ripetesse urlando a gran voce nel suo cervello, facendolo rimbombare come un eco. Non riusciva proprio a calmarsi, eppure finse di pensare positivo per non spaventare anche la sua nipotina, già abbastanza scossa dagli eventi. Quel teatro, poi… era proprio quello in cui Maria avrebbe dovuto tenere il suo ultimo spettacolo e a entrambe, solo vederne la facciata esterna, provocò una sorta di malinconia, facendo salire alle due le lacrime agli occhi che tentarono di ricacciarle dentro, facendosi forza stringendosi la mano l’una con l’altra. “- Non dovete restare sole nemmeno per un secondo! Oggi è il… gran giorno! Vuole la guerra? Beh, l’avrà!” sentenziò, con aria glaciale, Leon, mentre Violetta gli buttò le braccia al collo stritolandolo in un forte abbraccio. “- Non voglio lasciarti! Non voglio andare in Canada!” sussurrò ancora tra le sue braccia, mentre Vargas prese ad accarezzarle la schiena con dolcezza. “- Non accadrà. Lisandro ha detto dopo lo spettacolo, no? Non ha detto il giorno seguente! Probabilmente ci vuole ancora un po’…” tentò di calmarsi Galindo, cingendo la vita di Angie che abbassò lo sguardo, tristemente: “- Niente ci dividerà mai. Qualunque cosa accada! Ricordate cosa dicemmo in ospedale? Siamo una bella squadra e su questo non ci sono dubbi.” esclamò, con aria malinconica, la donna, facendo annuire tutti gli altri presenti.
“- Dai, ormai il camerino è vuoto, sono andati via tutti… vatti a cambiare che io ti faccio compagnia dentro, su!” aggiunse poi, tendendo la mano alla ragazzina che, staccandosi da Leon, entrò controvoglia a togliersi l’abito di scena che ancora teneva addosso per quelle che erano state le prove generali prima dello show che si sarebbe tenuto la sera stessa. “- Noi aspettiamo qui fuori, fate presto che andiamo subito a casa!” sorrise Pablo, appoggiandosi, come Leon, con le spalle alla porta che le due chiusero a chiave.
“- Guarda, c’è Diego!” esclamò Vargas correndo verso Dominguez che avanzava nel corridoio e anche Galindo seguì il suo collega per sapere subito eventuali novità dal poliziotto. “- Salve, bodyguards!” salutò Diego, ancora con una macchia di rossetto sulla guancia e un’altra più in basso, verso la bocca. “- Hai incontrato Ludmilla qui fuori, vero?” chiese Leon, alzando un sopracciglio e fissandolo con sguardo indagatore e divertito. “- Che cosa?! E tu come diamine lo sai?!” ghignò l’agente, passandosi una mano nel ciuffo corvino, con aria ancora sognante. “- Sono veggente! Tieni, pulisciti!” lo prese in giro l’amico, passandogli un pacco di fazzolettini di carta. “- Ah… capisco!” rise Diego, pulendosi tutte e due le guance, non sapendo quale fosse quella con le tracce di rosso. “- Ci sono novità?” domandò Pablo, incrociando le braccia al petto in attesa. “- Sì e sono belle grosse… Ecco a voi.” Dalla tasca della giacca di pelle che indossava, il poliziotto estrasse due buste gialle sgualcite, una la consegnò a Pablo e l’altra all’amico. “- Sono pronti, ragazzi. Purtroppo Lisandro ha cambiato idea… i biglietti aerei per il Canada sono per oggi alle 18. Ha detto che era meglio mandarle al sicuro prima dello show e penso anch’io che, a questo punto, sia la miglior cosa da fare. Questo folle è senza scrupoli e dobbiamo evitare che si espongano troppo.” La voce di Diego era seria e il suo sguardo passava da una guardia del corpo all’altra come per studiare la loro reazione. “- Non è possibile…” sibilò Leon, fissando quel pacco con scritto: Ca​stillo. Lì dentro c’erano tutti i documenti falsi per mettere in salvo le due e i bodyguards realizzarono appieno tutto solo quando videro, aprendo quelle buste, il destino delle loro amate. “- Paloma Martinez… non le piacerà e inizierà ad inveire contro Lisandro!” ridacchiò, amaramente, Galindo, fissando il passaporto falso della Saramego. “- Sol Ruiz. Carino… Sol le sta bene...” Disse, cupo in volto, il giovane Vargas, osservando Diego sorridere, anche lui mestamente. “- Le sta bene perché per te è un sole… amico sei stracotto!” esclamò Dominguez, osservando l’espressione malinconica del ragazzo. “- Dobbiamo correre in aeroporto, prenderemo un last minute e partiremmo con il loro stesso volo!” realizzò subito Galindo, fissando l’orologio, tesissimo. “- Già. Io sono con te.” Sentenziò Leon, dandogli una pacca sulla spalla. “- Mi mancherete. Tutti e quattro.” esclamò l’agente, rompendo un silenzio pesante che era calato nel corridoio del backstage. “- Anche tu, Diè. Sei stato un fratello per me. Ci terremo comunque in contatto tramite pc, tranquillo!” tentò di sorridere l’amico, fissandolo e osservando che, per la prima volta in vita sua, gli notasse avere gli occhi lucidi. “- Sei un bravo agente, Dominguez. Se solo avessi un altro capo potresti diventare un grande, sai? Ma lo diventerai comunque perché sei davvero forte!” sorrise Pablo, dandogli una pacca sulla spalla che, finalmente, lo riportò con i piedi per terra. Quelle parole, pronunciate da quell’uomo che tanto il giovane poliziotto stimava, lo avevano fatto commuovere e si passò il braccio davanti agli occhi, dando le spalle ai due per non farsi notare. “- Ti sei messo a piangere? TU? Sappiamo che ti mancheremo Diego ma non mi aspettavo che ti saresti mai, e dico MAI commosso per la partenza!” lo prese in giro Leon, dandogli un piccolo pugno sul braccio, facendolo ridacchiare di gusto. “- Mi mancherete. Sul serio.” Sorrise, ancora con gli occhi un po’ arrossati, lo spagnolo. Intanto, Pablo, fissava la porta del camerino in cui vi erano Angie e Violetta… perché ci mettevano così tanto per uscire? Istintivamente andò a bussare ripetutamente per sapere cosa stessero facendo lì dentro da tutto quel tempo. “- Angie? Ma quanto ci vuole? Uscite, forza! E’ venuto Diego, ci ha portato i… beh, sono pronti. Avanti, venite fuori!” disse, continuando a dare colpetti alla porta. Leon e Diego, preoccupati, si avvicinarono a lui e lo fissarono preoccupati. “- Perché non mi rispondete?! Aprite questa porta, non fate scherzi idioti, forza!” Pablo era già in panico e un orrendo presentimento gli balenò nella mente… no, non poteva essere, non in quel momento. Doveva mantenere la lucidità e Diego subito tirò fuori da sotto la camicia, una chiave strana dalla forma particolare con un lungo laccio che il giovane portava come una collana. “- Il passpartout della polizia!” Esclamò Leon con gli occhi fissi sull’oggetto, osservando, troppo in ansia per dire altro, Dominguez far cenno ai due di spostarsi dalla serratura e ficcando l’oggetto nella serratura. La porta, come previsto, non si aprì di scatto essendoci l’altra chiave all’interno ma, dopo un po’, riuscirono a sbloccarla, lasciando spazio alla visione da parte dei tre della camera: disordinata e, soprattutto, vuota. “- Dove sono?” balbettò Leon, stringendo i pugni per farsi forza. “- Eravamo qui fuori, dannazione! Qui fuori! Tutti e tre! Com’è possibile che nessuno abbia sentito nulla?!”” urlò, dando un calcio ad una sedia che cadde, con un tonfo sordo, al suolo. “- Calmati, Vargas! Stai calmo!” urlò Diego, rimettendosi la chiave al collo. “- Calmo? COME DIAMINE FACCIO A STARE CALMO! DIMMI COME POTREI! DIMMELO!” gridò Leon, tirando un pugno al muro e rendendosi conto di essersi fatto male alla mano. “- Idiota! Non fare sciocchezze! Ci servi lucido!” disse Diego, appoggiandogli una mano sulla spalla e facendolo innervosire ancora di più… stava per ribattere ma il bodyguard più grande li azzittì con un cenno della mano. “- Guardate lì!” urlò Pablo, ormai pallidissimo e tesissimo, indicando una finestra bassa che dava su un elegante giardino alle spalle del teatro. “- Sono entrati da lì! La porta era chiusa! Oppure erano già dentro e le hanno portate via da lì!” disse Galindo, avvicinandosi al vetro, ancora aperto. “- Le hanno portate via vive o… NO! IO NON POSSO CREDERCI! NON POSSO!” strillò ancora Vargas, impallidito al solo realizzare il fatto che il folle avesse potuto trascinarsi le due donne, fuori da quel camerino, prive di vita. “- Non dirlo nemmeno! Smettila, Vargas!” urlò anche il più grande dei due bodyguards, esploso alla sola ipotesi del giovane. “- Erano almeno in due. Una sola persona non ce l’avrebbe fatta a portarle fuori entrambe.” Sentenziò, ritrovando il suo aplomb da ex poliziotto, Galindo, seppur ancora in panico. “- Forse da, diciamo, ‘non vive’ sarebbe stato facile anche farlo da soli!” balbettò Leon, al solo pensiero che… no, non riusciva nemmeno a pensarci, allontanò, scuotendo il capo, quel pensiero così tremendo. Erano vive, lo sentiva e tentò di convincersi che, di lì a poco, le avrebbero sicuro ritrovate, sane e salve.
“- Chiama Lisandro! Dobbiamo subito metterci sulle loro tracce! Io non rinuncio a lei, è chiaro?” tuonò Leon osservando Galindo studiare la stanza, tentando di essere più calmo, seppur dentro stesse lentamente morendo. Non poteva credere a quello che era accaduto, non riusciva a realizzare: l’amore della sua vita era sparito, alla fine il folle ce l’aveva fatta, aveva eliminato lei e sua nipote senza che nessuno potesse fare nulla. “- CALA IL SIPARIO…” borbottò, sottovoce, l’uomo, come se avesse appena pronunciato una tremenda profezia. Era la data stabilita, il giorno dello show… e come previsto quello squilibrato era riuscito a portargli via Angie e, a Leon, la sua amata Violetta. Mentre l’agente di polizia era al telefono con il suo capo, i cellulari di Vargas e Galindo suonarono… un sms arrivò ad entrambi, nello stesso preciso istante, facendo sì che i due si fissassero, avendo già compreso da chi arrivasse quel messaggio. “- LO SHOW STA PER TERMINARE…” lessero, in coro i due. “- Sono ancora vive!” urlò, euforico, Leon. “- A quanto pare ancora per poco!” smorzò gli entusiasmi Galindo, riponendo il telefonino in tasca.
“- Ho parlato con Lisandro, ha una novità fondamentale sul passato di Maria. Al conservatorio con lei c’erano due persone che tutti noi conosciamo… una delle due era Marotti. il produttore di YouMix. Lo hanno interrogato ed ha fatto una dichiarazione interessante sull’altro allievo e il suo rapporto con la vittima. Venite, ci aspetta in commissariato! Ci spiegherà lui meglio! E il capo ha detto che manderà qui gli uomini della polizia scientifica per i primi rilievi!” disse Diego, camminando verso l’uscita del camerino. “- Leggi qui!” disse Vargas, passandogli il cellulare e osservando gli occhi di Dominguez sgranarsi al solo dover leggere quel sms.
“- Aspetta! Cosa ci fa questa penna sul davanzale?!” Galindo, con freddezza, afferrò, con un fazzoletto, l’elegante stilografica che subito ipotizzò che potesse essere stata persa, probabilmente, dal folle uscendo dalla finestra. “- E di chi sarebbe quell’affare?” chiese Leon, osservando quell’oggetto, sicuro di averlo già visto tra le mani di qualcuno e, seppur cercasse di sforzarsi, non riusciva a visualizzare il volto di quella persona. “- Non lo so… ma scattagli una foto. La dobbiamo mostrare a qualcuno che potrebbe sapere. Andiamo!” urlò Pablo, mentre Diego immortalava l’oggetto con il cellulare, rimesso al suo posto da Galindo per non interferire con le indagini e Leon lo seguiva fuori cosa che, di fretta, fece anche Dominguez.
 
 
L’ufficio di Lisandro era più disordinato del solito: spartiti, fogli sparsi ovunque e vecchi annuari figuravano sulla scrivania del commissario in maniera caotica. “- Ha iniziato ad indagare, era ora! Peccato sia tardi!” Leon voleva quasi sfidare il capo della polizia e si avvicinò con fare minaccioso alla scrivania. Dominguez lo tirò per un braccio e lo strattonò, facendolo sedere in malo modo, mentre Galindo si mise a frugare tra le carte di Lisandro, sperando di trovarci qualcosa di interessante. Finalmente, dopo le dritte dategli da Pablo, Roberto si era messo ad analizzare il passato di Maria Saramego, la vera vittima e chiave di tutto quel mistero che avvolgeva lei e che si era rivolto anche a tutti i suoi cari. Lei, Matias, German, Angelica, Angie e Violetta. Matias era un intruso in quella catena… perché? Galindo realizzò che, probabilmente come Angelica avesse trovato quel qualcosa di scomodo nella cassapanca, anche lui avesse trovato, visto o sentito compromettenti dettagli sull’identità del folle. “- Vargas, si sieda e stia zitto! Abbiamo novità fondamentali sul passato della Saramego più grande.” Disse poi Lisandro, ignorando le occhiatacce che Leon continuava a mandargli. “- Sapeva che dovevano essere al sicuro prima dello show ma non è riuscito nell’impresa! E’ tutta colpa sua! Inizialmente addirittura pensava di voler prendere il pazzo allo spettacolo! Ignorando di poter mettere ancor di più in pericolo le loro vite! Si è accorto troppo tardi del rischio che correvano!” la guardia del corpo più giovane sembrava un fiume in piena ma Lisandro lo ignorò, andando ad aprire la porta dell’ufficio per far entrare un compagno di studi di Maria. “- Signori, vi presento Emilio Marotti, studente del conservatorio, nonché uomo collegato ancora oggi allo Studio On Beat… ecco perché ho concentrato le ricerche su di lui, inizialmente credendolo un possibile colpevole, ma sbagliandomi.” Un uomo moro, di media statura e dai lineamenti decisi ghignò e si andò a sedere tra Galindo e Vargas, mentre Diego aveva aggirato la scrivania e se ne stava in piedi accanto al suo capo. “- Marotti lo conoscete, no?” al vedere Pablo e Leon, il produttore di YouMix sbiancò, sgranando gli occhi neri con aria scioccata: “- Voi? Ma tu eri un insegnante dello Studio e tu… un alunno! Cosa diamine ci fate qui?” urlò, passandosi una mano sotto al mento con aria confusa. “- Bodyguards. Ti ho anticipato di Angie e Violetta, no? Beh, loro avrebbero dovuto avere il compito di proteggerle…” sentenziò, acidamente, Lisandro, studiando le espressioni già alquanto disperate. “- Commissario la smetta! Se non fosse stato per Galindo lei sarebbe ancora in alto mare cercando in qualche maniera assurda di incastrare Angie!” la voce di Diego fece voltare di colpo Lisandro. Il capo prese a fissare il giovane minacciosamente ma decise di restare in silenzio per incutergli ancor più terrore. “- Smettiamola, per favore! Due donne sono in pericolo di vita! Ecco, Lisandro legga questo messaggio!” urlò Leon, buttandogli il cellulare sulla scrivania e facendo annuire con perplessità l’altro. “- Marotti, parli!” ordinò il commissario, facendo iniziare l’uomo a spiegare con un po’ di agitazione. “- Sì, dunque, io conoscevo di vista  Maria… una bella donna, anche da ragazza! Poi era un talento naturale tutti la notavano al conservatorio! Un esame dopo l’altro senza alcun problema, un vero portento, voti alle stelle… ma c’era qualcosa che non andava, lo notai persino io che la conoscevo appena! C’era una persona che era molto amica con lei o, almeno, così appariva a primo impatto. Io francamente ho sempre pensato fossero fidanzati tanto stessero sempre insieme! Ovunque vedessi lei, vedevo anche lui! In biblioteca, nella sala degli strumenti, nelle aule di canto, a lezione… sempre incollati! Sempre!” disse, fermandosi a riflettere, Marotti, non pronunciando il nome di quell’individuo misterioso, nessuno ebbe il tempo di fare domande perché il moro, buttandosi un pezzo della lunga sciarpa viola, di cachemire dietro le spalle, continuò: “- La sua era una passione morbosa secondo me, una sorta di ossessione… e ricordo chiaramente che una volta litigarono animatamente… lei piangeva, le chiesi se andasse tutto bene e lei finse che fosse tutto apposto. Dopo qualche settimana erano di nuovo amici quindi non ci feci troppo caso… capita di litigare, anche tra amici. Io ho sempre sospettato che lui fosse possessivo con lei, e, guarda caso, la litigata avvenne all’ultimo anno, quando lei si presentò con il suo fidanzato dell’epoca, German Castillo, al conservatorio. Poi lei diventò famosa, lui prese a lavorare nel campo musicale e ho sempre pensato che fossero ancora amici… e poi, non conoscendoli più di tanto, non erano affari miei! Quella persona che sembrava così amichevole con lei forse lo era troppo ma chissà… insomma un litigio era anche normale quindi non ho mai dato peso alla cosa. Ma ora, ora che mi state dicendo che quello non è stato un incidente, che quella persona voleva colpire anche sua sorella, sua figlia e suo marito, è probabile che si tratti di lui, a questo punto. Non potete immaginare quanto sia vicina a loro, fin troppo. Era facilissimo per lui… lo conoscete tutti, lo conosco anch’io! Non pensavo potesse arrivare a tanto! Non lo sospettavo minimamente, credetemi! Voi due lo avete avuto davanti per mesi!” esclamò Marotti, serio, indicando le due guardie del corpo. “- Quindi, Maria non era fuggita dallo Studio, voleva davvero proseguire i suoi studi in maniera professionale, perfezionando ancora di più la sua arte. Aveva detto la verità a sua sorella! D’altronde, a lei, mi sembra di aver capito che la dicesse sempre… il problema del folle è sorto dopo, al contrario di quanto pensassimo.” aggiunse Lisandro, serissimo con sguardo imperturbabile e glaciale. “- Chi è?” chiese Leon, cominciando ad avere dei sospetti… d’un tratto il telefono squillò e il commissario rispose al primo trillo. “- Sono Lisandro, dimmi tutto, Perez… Hanno riconosciuto la stilografica? Ah, hanno saputo tutto, quindi, alunni e professori… certo, chiaramente hanno fatto qualche interrogatorio… va bene, iniziate a cercarlo. E’ lui il folle.” Nella sala era calato il silenzio più agghiacciante. Pablo e Leon si alzarono di colpo. “- CHI E’?” urlò ancora Vargas, mentre Galindo, cominciando a collegare tutti i pezzi del puzzle, capì subito tutto. “- Roberto Benvenuto.” Esclamò, con aria cupa, Marotti, facendo sbiancare Pablo e Leon… tutto quel periodo vissuto nella paura gli passò davanti: i messaggi, gli incidenti, il panico, le ipotesi infondate, le accuse… tutto. Era come se avessero ricucito tanti spezzoni di scene di un film di cui solo ora avevano conosciuto il finale. “- Alcuni dei ragazzi hanno riconosciuto la stilografica, è la sua.” Sentenziò Lisandro, alzandosi di colpo facendo sobbalzare Dominguez.
“- Cosa ma… lui? Beto? Non posso crederci…” chiese Galindo, riuscendo di nuovo a proferire parola. Ci aveva parlato tante e tante volte, lo vedeva tutti i giorni, sembrava sempre così allegro e cortese che proprio non riusciva a spiegarsi il motivo di quell’odio, di quella parte oscura che era riuscito a nascondere fin troppo bene, per anni e anni.
“- Leon, andiamo! Forse so dove sono!” urlò Galindo, alzandosi e correndo verso la porta, seguito dal collega che fece un balzo dalla sedia e facendo sì che anche Diego e Lisandro seguissero Galindo, sperando tutti che avesse avuto l’intuizione giusta. “- Il giardino da cui sono usciti, dopo aver attraversato la finestra… il posto più vicino è proprio casa sua… iniziamo a cercare da lì!” disse, con il fiato corto, Pablo, salendo in macchina mentre Leon prendeva posto accanto a lui, allacciandosi la cintura. “- Noi perquisiamo prima il parco che divide il teatro dall’appartamento di Benvenuto, ci teniamo in contatto telefonicamente, Vargas!” urlò Dominguez, salendo invece nella volante della polizia accanto al suo capo. L’auto dei due bodyguard correva come impazzita, dovevano raggiungere il più in fretta possibile quella villetta, prima che fosse troppo tardi… forse, l’unica cosa che in quel momento gli apparve più veloce di quella macchina era il battere dei loro cuori e il passare del tempo che intraprese una folle corsa, inesorabile, facendo stare ancora peggio le due guardie del corpo.
 
 
L’aria puzzava di muffa e il pavimento, la prima cosa che vide, sembrava ricoperto da strati e strati di polvere. “- Angie! Violetta! Non è possibile!” la Saramego aprì gli occhi che sentiva ancora pesanti, come dopo una gran dormita o, probabilmente, un’anestesia e sentì quella voce risuonare come un eco nella sua testa. Alzò il capo e vide, con la pochissima luce che c’era che alla sua destra e di fronte a sé, vi erano dei visi familiari. “- Tesoro, come stai?” la voce di un uomo risvegliò anche la giovane Castillo che prese a guardarsi intorno con aria confusa, ancora stordita da non sapeva cosa.
“- Papà?” balbettò, assottigliando gli occhi e riducendoli a due fessure per vedere meglio. “- Sì, amore mio, sì, sono io! Stai bene?” chiese il moro, seduto quasi di fronte a sé ma un po’ più verso la sua destra… in parallelo con la sedia di Angie. “- PAPA’! OH, PAPA’ ALLORA SEI VIVO!” urlò la giovane, tentando di alzarsi ma rendendosi conto che fosse legata, con le braccia dietro la schiena, ad una sedia di legno molto antica. “- Stai ferma o ti farai male con quella corda così spessa! Sì, tesoro sto bene! Tu, piuttosto! Cosa vi ha fatto?” esclamò German, sorridendole dolcemente con aria nervosa. La ragazza era al settimo cielo! Suo padre era lì, di fronte a lei ed era sano e salvo, seppur legato come lei in quella stanza di chissà chi… “- Stiamo bene, sul serio! Solo che mi sento un po’… strana! Come ancora mezza addormentata!” disse la giovane, fissando German che annuì, mestamente.
“- Quel dannato Vargas! Sapevo che era solo un moccioso! Non era in grado nemmeno di proteggere sé stesso, figuriamoci la mia bambina!” si lagnò l’uomo, sbattendo un piede per terra con fare furioso. “- Cosa diavolo è successo?” balbettò, ancor più stordita, la Saramego, guardandosi finalmente attorno. Di fronte a lei, German la fissava sorpreso, alla sua destra, sua madre, Angelica, l’osservava con aria amorevole e rassicurante e in parallelo alla sedia di Violetta, primo scomparso, Matias La Fontaine le sorrideva con aria stupida e confusa. “- Se sono qui, sicuramente è per colpa tua!” strillò poi il biondo, facendole alzare un sopracciglio con aria interrogativa. “- Ah, sì… probabile, mi dispiace.” Sentenziò la donna come se nulla fosse, cominciando a muovere le mani, strette da uno spesso nodo dietro le spalle, cercando subito una maniera per liberarsi. “- Chi ci ha fatto questo?” chiese poi, Angie, rompendo il silenzio e guardando l’aria di German, Angelica incupirsi, mentre La Fontaine continuava a guardarla un po’ stizzito ma sempre con la sua solita aria da seduttore. “- Sono in due… ha un aiutante che entra sempre completamente mascherato… sembra un giovane, non parla mai ma esegue gli ordini del suo capo che conosciamo tutti molto bene e conoscete perfettamente anche voi.” La voce di Angelica era seria e gelida, lei lo aveva già letto in quella lettera… quel nome, quell’insospettabile gli aveva fatto tutto quel male… aveva prima eliminato Maria ed ora chissà che intenzioni aveva con loro… di certo non li teneva tutti lì per prendere un thè in compagnia. “- Io sono qui per puro caso! Non lo conosco nemmeno questo folle!” urlò Matias, esasperato. “- Un giovane?” chiese Violetta, collegando subito quella figura a qualcuno dello Studio, forse addirittura uno dei suoi amici e ignorando La Fontaine che riprese a fissare la Saramego. “- Sì… ma l’altro… quell’uomo ha sempre avuto un lato oscuro nascosto a tutti!” balbettò, con sguardo perso nel vuoto e disperato, la Fernandez. Non poteva credere che avesse ucciso lui la sua Maria, lui che sembrava volerle tanto bene, che sembrava esserle così amico… forse troppo. “- Mamma… chi è? Voi lo sapete tutti, vero?” disse Angie, ormai fin troppo curiosa di conoscere quel maledetto nome… mentre Angelica stava per proferire parola, la botola al centro di quella sorta di soffitta si aprì e un uomo completamente vestito di nero, con cappuccio nero e volto coperto da una maschera entrò, avvicinandosi con aria minacciosa alle ultime due arrivate nel suo covo. “- Benvenute! Aspettavamo solo voi per iniziare… o meglio, per mettere fine…” quella voce. Violetta e Angie la conoscevano! Si guardarono perplesse e tentarono di realizzare di chi potesse trattarsi. “- Lascia stare mia figlia, mostro!” urlò German, scalciando l’aria tentando di farsi notare. Il folle si girò e lo fissò per poi ritornare a fissare zia e nipote. “- Ce l’hai con noi, no? E allora mostrati! Abbi il coraggio di farci vedere chi sei! CODARDO!” Angie lo sfidò ringhiando con rabbia quell’accusa, facendolo avvicinare ancora di più con aria minacciosa, tanto da farle accelerare la frequenza cardiaca… la donna scrutò gli occhi scuri che sbucavano da sotto quella maschera bianca e inquietante che gli copriva tutto il viso… li aveva già visti, ma chi diamine era? A chi appartenevano? Ad un tratto, dalla botola, apparve un altro incappucciato che si avvicinò all’uomo e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. “- Che significa che sono qui? Tu non muoverti… io vado ad accoglierli come di dovere.” non si vedeva la sua bocca ma tutti furono sicuri che avesse ghignato… e chi era quell’altro tizio di cui non si era sentita nemmeno la voce? Violetta lo fissava, sapeva di conoscerlo bene, troppo bene… anche lui aveva il volto coperto e indossava una tuta nera con cappuccio. L’uomo scese la scaletta in legno della mansarda e si ritrovò al secondo piano della sua villetta. “- Un secondo!” urlò, andandosi a togliere quei vestiti compromettenti e gettandoli sotto al letto, maschera compresa. Si fiondò al piano di sotto e aprì la porta, ancora con l’affanno… non pensava che qualcuno potesse minimamente avere qualche sospetto su di lui, non sapeva della testimonianza di Marotti e, soprattutto, della sua personalissima stilografica, persa sul davanzale durante la fuga.
“- Dove le hai nascoste? Avanti, parla!” Leon si catapultò in casa scostandolo in malo modo di lato e Galindo, lanciando un occhiataccia a Beto, lo seguì, mentre il musicista assunse un’espressione innocente. “- Cosa? Di cosa parlate?” a quelle parole Pablo gli si fiondò addosso e lo prese per il colletto della camicia verde pistacchio. “- Smettila di fare il finto tonto, SMETTILA! Sappiamo che sei stato tu! Dove le tieni segregate?! PARLA!” urlò, agitandolo a mezz’aria mentre Vargas si era recato in cucina a perlustrare. L’altra figura incappucciata, sentendo le grida, si fiondò sulle scale con passo felpato e mise una sostanza liquida su un fazzoletto… “- ALLORA?” Urlò ancora Pablo, sbattendolo contro al muro e fissandolo con odio come non aveva mai guardato nessuno in vita sua. D’un tratto fu tutto buio e perse la sua lucidità improvvisamente: sentì qualcosa tappargli bocca e naso dalle sue spalle e perdendo le forze, lasciò la presa su Beto e svenne. “- Portalo di sopra! Legalo insieme agli altri, sbrigati!” urlò Benvenuto, sollevando il corpo a peso morto di Galindo. “- No, lo porti lei. Voglio pensare io al ragazzo…” ghignò l’altro, facendo prima roteare gli occhi al cielo al più grande, per poi farlo annuire, caricandosi in braccio il bodyguard bruno, messo subito fuori gioco dal suo aiutante e, soprattutto, dall’unica cosa che la sua forza e abilità da agente non potessero combattere: il cloroformio.
Leon si aggirava nella cantina da cui si arrivava direttamente dalla cucina: quel posto era un caos totale! Pentole, scope, piatti impilati, strumenti, ragnatele che pendevano dal soffitto e un odore acre di chiuso… insomma, era un incubo. Riuscì per puro caso a trovare l’interruttore e accese una fioca lampadina, trovandosi ancora sulla cima delle scalette di legno che davano su quella baraonda. D’un tratto sentì un rumore, probabilmente provocato da qualche topo e si preoccupò, pensando potesse trattarsi di una delle due donne sequestrate. “- Salve, Leon!” un sibilo alle sue spalle lo fece voltare di scatto ma era troppo tardi… il fazzoletto fu premuto anche sul suo naso e il ragazzo cadde, privo di sensi, tra le braccia del giovane incappucciato che se lo trascinò, a fatica, verso la soffitta.
 
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Questo capitolo è l’ansia! Brividi, gente! Brividi! Ok, abbiamo il nome del folle! Aiuto! Ha preso tutti!!! Angie, Violetta e Pablo e Leon si sono aggiunti alla lista dei rapiti nostro pazzo! Ve lo aspettavate? Adesso dovremmo capire il vero e proprio perché del suo gesto! Nel prossimo capitolo ci dovrà un bel po’ di spiegazioni! Pronti? Riusciranno i nostri eroi a scampare al folle? Che intenzioni avrà? Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 28
*** Rivelazioni inaspettate. ***


“- Perché? Cosa c’entravano loro?! PABLO, LEON!” le grida disperate di Angie riecheggiavano nella soffitta, mentre il folle mascherato di cui lei e la nipote ancora non conoscevano l'identità,  legava a due sedie davanti all’ultima parete vuota rimasta, i due bodyguards narcotizzati e svenuti. Il ragazzo misterioso che era con lui gli si avvicinò e gli diede uno schiaffo sul viso prima a Vargas e poi a Galindo, per farli risvegliare. I due aprirono gli occhi a fatica poco a poco, misero a fuoco quella polverosa mansarda e, piano, cominciarono a voltare il capo per guardarsi intorno: erano tutti vivi e vegeti e la cosa gli fece tirare un sospiro di sollievo. Da La Fontaine alla piccola Castillo, le presunte vittime si trovavano lì, legate ma ancora in vita. Il pazzo ghignò e si avviò verso il centro della stanza, proprio sulla botola che consentiva l’accesso alla soffitta. “- Bene, ora ci siamo tutti… immagino che anche la polizia, ormai sappia e  quindi dobbiamo velocizzare le cose, per quanto avessi preferito divertirmi di più con tutti voi… ma, ahimè, ora devo scappare con il mio assistente, di conseguenza la vostra fine sarà breve e indolore… e per la seconda non assicuro.” La voce era gelida e quasi metallica, solo dopo quella lunga frase, zia e nipote si fissarono e la donna sussurrò quel nome quasi con timore: “- Beto?” chiese, sgranando gli occhi verdi e analizzando quella maschera bianca come il latte e inquietante come solo quel sospetto poteva essere. “- Ciao, Angela. Sorpresa!” ghignò Benvenuto, abbassandosi il cappuccio e togliendo l’ostacolo che gli copriva il volto. La sua massa di capelli ricci era raccolta e tirata indietro in un codino e il suo sguardo era imperturbabile mentre cominciò a guardare tutti i presenti con aria soddisfatta. “- Lei ma...? Perché?” chiese la Castillo, sconvolta, fissando poi Leon che sembrava ancora intontito e che tentò di abbozzarle un sorriso un po’ sofferente per rassicurarla. “- Non ve l’aspettavate, eh? Certo! Io ero l’insospettabile idiota della situazione! Per rispondere alla tua domanda cara Vilu… beh, posso dirti che è una lunga storia, ma posso raccontarvela, un po’ di tempo ce l’abbiamo ancora prima di eliminarvi tutti! E mi pare giusto che voi sappiate almeno il perché di tutto ciò!” rise l’uomo malvagiamente, mostrando un lato oscuro impensabile. Dov’era il solito prof pasticcione, simpatico e allegro dello Studio On Beat? Cosa voleva da loro e da Maria, soprattutto, che aveva già eliminato? Un cerchio alla testa fece abbassare lo sguardo a Violetta che prese a fissare il polveroso pavimento costituito da assi di legno regolari ma sudice. “- Tutto è iniziato anni fa, al conservatorio centrale di Buenos Aires… Maria Saramego l’ho conosciuta alla mia prima lezione di teoria musicale… era splendida, ancora una ragazza ma dalla personalità e carattere più forte che avessi mai conosciuto. Diventammo subito amici e dopo qualche mese eravamo inseparabili. Quanto era bella… troppo per me. L’ho sempre saputo.” Beto si prese una pausa per prendere un profondo respiro, notando subito che Angie e Violetta avevano cominciato a piangere singhiozzando, un po’ per il terrore di quel momento di panico, un po’ per quel ricordo della famosa cantante. “- IO TI AMMAZZO! Come hai ucciso lei io faccio fuori te, chiaro?!!!” La voce della Saramego era disperata e si agitava come una forsennata nel tentativo di divincolarsi dalla sedia a cui era saldamente legata con una spessa corda. L’uomo non si scompose più di tanto, anzi, ghignò e continuò nel suo racconto ignorandola quasi del tutto: “- Ho sempre sperato, seppur credendoci ben poco, di avere un minimo di speranza con lei… e, forse, ce l’avrei anche fatta se da lì a poco, quando eravamo ancora al conservatorio, non fosse entrato nella sua vita il suo grande e vero amore: German Castillo.” la voce di Benvenuto si era inclinata con odio su quel nome che aveva pronunciato voltandosi di scatto e prendendo ad avanzare con incedere minaccioso verso il suo acerrimo rivale. “- Sei un mostro! Me l’hai portata via! BASTARDO!” la voce di Castillo era sopraffatta dal dolore e anche a lui scese rapida una lacrima sulla guancia, cosa che lui tentò di nascondere abbassando il viso e ritrovandosi a fissare il pavimento, con aria rabbiosa. “- Ti odiavo, German. Ti ho sempre odiato e ti odio ancora più di chiunque altro… non sono stato io a portartela via… o meglio, sì, l’ho fatto… ma tu? Tu non me l’hai forse portata via?” chiese il folle, con voce seria e gelida. “- Io l’amavo più della mia stessa vita! Ed anche per lei era lo stesso! Tu non c’entravi! Purtoppo ti voleva bene ma amava ME!” urlò Castillo, riprendendo a fissarlo con aria nervosa e disperata.
“- Già, lo so bene… e non l’ho mai sopportato. Litigammo aspramente quando ti conobbe. Lei era solo mia e tu eri un intralcio, German! Per fortuna facemmo pace ma dovetti convivere costantemente con la tua presenza nella mia vita! Maria parlava di te, ore ed ore a sentir nominare il tuo nome… che situazione orribile. Poi, per giunta, quando si sposò nacque subito una bella bambina dai lineamenti perfetti e la voce angelica come la sua mammina… Violetta Castillo.” A dover nominare il nome della giovane, l’uomo si voltò come un’ aquila che sta per planare sulla sua preda e si avvicinò con passo deciso verso il lato opposto della stanza, dove si trovava la ragazza che, per un secondo, trattenne il fiato per il terrore. Si sentiva il panico attraversarle le vene, i denti le battevano quasi automaticamente in bocca per la paura e Leon la fissò sperando di calmarla con un solo sguardo, ma fu inutile. Lei neppure se ne accorse, troppo presa dall’ascoltare il suo battito cardiaco aumentare sempre di più, superando il rumore dei suoi pensieri, ormai annebbiati dal panico.
“- Tu sei sempre stata un grande ostacolo per il mio rapporto con tua madre… una delle ragioni per le quali io ero un intruso nella famigliola felice!” esclamò, puntandole un dito contro con fare minaccioso, per poi prendere a camminare in tondo, fissando un po’ tutti. “- Il mio odio cresceva sempre di più, insieme alla ragazzina… Maria era una stella e  lo credo bene! Aveva un talento innato! La vedevo sempre meno, sempre il minimo indispensabile ma poi tornò dopo una tournée, a Buenos Aires. Riallacciammo i contatti e, un paio di volte, la riaccompagnai persino a casa… German si ingelosì… ti ricordi, Castillo? Eri tu, per una volta, geloso del ‘misterioso’ autista che portava a casa la tua mogliettina… la cosa mi piacque davvero tanto! E quando litigaste, poi! In quel periodo ero felice come mai in vita mia! Più Maria mi confidava della vostra crisi e più io mi sentivo bene… dopo anni e anni ebbi sul serio la speranza di avere una chance, quando eravamo diventati due adulti e non più due ragazzi alle prese con gli studi. L’amore della mia vita… sarebbe stata solo mia, finalmente! Le confessai i miei sentimenti una sera dopo averla riportata a casa, tentai di baciarla ma lei mi rifiutò, dicendosi confusa e scappando via dalla macchina. Ci rimasi malissimo… eppure decisi di non demordere ancora. Lei era ancora in cattive acque con il maritino e stava per partire per un altro tour… quello che si concluse, nel vero senso della parola, qui in città, qualche mese fa… venni a sapere da lei stessa che si fosse riappacificata definitivamente con Castillo e tutto grazie alla sua amata sorellina minore che li aveva fatti tornare insieme, mettendoci fin troppe parole di pace… vero, Angie Saramego?” si fermò dalla sua passeggiata in cerchio e si parò di fronte alla terza persona che tanto detestava… la donna che aveva fatto riavvicinare e unire ancora i due sposi. La Saramego lo fissò quasi con aria di sfida ma Beto non si scompose e continuò: “- Io e Maria avemmo un’ennesima forte litigata, il giorno prima dell’ultima tappa al Teatro Mayor… e il giorno dopo… beh, sapete tutti com’è andata! Diciamo che mi sono particolarmente dedicato alla ‘manutenzione’ della sua auto. La conoscevo bene, sapevo che avrebbe preso parte a quello show andandovi con la sua macchina.” esclamò, soddisfatto, Benvenuto, facendo sì che tutti lo fissassero con aria scioccata. “- MOSTRO!!! Ti ammazzo!” la voce di Angie era sopraffatta dalle lacrime. Come aveva potuto fingere di essere  amico di tutti per tutto quel tempo? Quanti anni di rancore aveva celato con quella falsa maschera di simpatia ed eccentricità? L’accecante gelosia di quell’uomo le aveva portato via la sua amata sorella maggiore e avrebbe voluto volentieri eliminare anche lui che aveva fatto soffrire tutte quelle persone a causa della sua mente folle. Angelica iniziò a piangere silenziosamente mentre Violetta singhiozzava disperata. “- No, Saramego Junior… lo farò prima io con tutti voi!” ghignò Benvenuto, scostandosi un ciuffo riccio dagli occhi. “- Lasciale subito! Non hanno sofferto già abbastanza?” la voce di Pablo che, finalmente, si stava riprendendo da quella sorta di anestetico che aveva ricevuto come Leon, fece voltare i presenti nella sua direzione. “- Non ci penso nemmeno, Pablito caro… il mio obiettivo erano solo queste tre persone che ho torturato con messaggi, scontri e quant’altro… ed ora voglio divertirmi!” rise con un suono gelido il moro, passandosi una mano sotto al mento. Intanto, l’altro giovane, incappucciato, se ne stava con le spalle appoggiate alla parete, proprio accanto alla sedia su cui era stritolato in quella corda Vargas, continuava a fissare nella direzione di Violetta, sempre coperto da cappuccio e maschera. “- Aspetta! Se Matias e mia madre non ti interessavano… perché sono qui?” chiese la Saramego, accigliandosi pensierosa, tentando di ritrovare lucidità, nella speranza di perdere tempo e che qualcuno nel frattempo, fosse andato a salvare tutti loro. “- Ottima domanda, bellezza. Dunque… La Fontaine…” iniziò Beto, camminando verso il biondo che lo guardava con odio. Era il primo ad essere stato rapito, aveva vissuto un periodo di solitudine e panico lì dentro fino a quando non arrivò Castillo a fargli compagnia… e, siccome i loro rapporti non erano dei migliori dato che German lo considerava un inutile frequentatore di discoteche che aveva una sorta di relazione “aperta” con sua cognata, le cose erano solo potute peggiorare ritrovandosi insieme lì dentro. “- La prima che volevo eliminare eri tu, Angela e volevo farlo nella stessa maniera in cui avevo fatto con Maria… stavo manomettendo i freni alla splendida Ferrari di La Fontaine, sarebbe morto anche lui ma non mi importava, volevo solo vendetta. Non mi sentivo soddisfatto di aver eliminato Maria… tutti quelli che mi avevano ostacolato nella relazione con lei dovevano pagare, tutti! Quella notte, però, fuori dall’Amnesia, il qui presente idiota si accorse di me steso sotto l’auto e voleva litigare… beh, una bella chiave inglese in testa lo mise a tacere ed è così che è stato il primo della lunga serie a venire a stare nella mia soffitta.” Ghignò con malvagità Beto, continuando a girare in cerchio per poi andare a fermarsi di fronte ad Angelica che sbiancò e alzò gli occhi, terrorizzata. “- In quanto alla tua mammina… beh, lei era fin troppo determinata! E sapevo che in quella casa c’era qualcosa che mi avrebbe incastrato… tipo questa!” sorrise il moro, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni una busta bianca con scritto sul retro, in un elegante carattere a penna nera: “Per Angie.”.
“- C’era il tuo nome lì dentro, eh? Hai portato via quella e la Fernandez che sapevi avrebbe parlato leggendo di te nella lettera!” urlò Galindo, che aveva capito da tempo che il pazzo cercasse qualcosa in quella cassapanca. “- Quando andai a fare visita ad Angelica la trovai inginocchiata proprio davanti a quel mobile… con questa tra le mani! Aveva capito, avevo sentito Angie urlare in corridoio al telefono con la madre di ‘non mettersi nei guai’... Non potevo fare altro, mio caro Pablo! E sono stato anche fortunato ad arrivare giusto in tempo, devo ammetterlo!” sorrise Benvenuto, con la sua solita calma glaciale. “- La pagherai cara, per quello che hai fatto a mia figlia e a tutti noi!” disse, digrignando i denti con rabbia, l’anziana donna. “- E l’auto che mi ha investita? Prima hai tentato in tutti i modi di farmi arrestare e poi volevi uccidermi? Che senso ha?” domandò la Saramego, prendendo ancora tempo.
“- Prima dell’auto ti venni a prendere in piscina, ricordi? Beh, avevo voglia di catturarti… poi però è stata un bene non esserei riuscito a rapirti già a casa tua, considerato mi son divertito di più a vederti soffrire, a farti sentire la colpevole di tutto da parte di quell’inetto di commissario Lisandro… quando ti hanno scagionata perché era scomparsa tua madre, però, non avevo nient’altro da perdere, tu non eri più indiziata e ti investì sperando di farti fuori direttamente! Che gioia in quel parcheggio! Pensavo davvero di averti messa fuori gioco… e per giunta con la macchina di tua madre che era già sparita nel nulla! Dannatamente geniale!” si pavoneggiò l’uomo, alzando le braccia al cielo, come per celebrare il suo piano perfetto. “- Ed io? Hai avuto il coraggio di chiudermi lì dentro con quella bestia, il giorno della festa a sorpresa!!! Volevi uccidermi senza pietà, divorata da quel mostro!” urlò d’un tratto la giovane Castillo, ancora con il viso bagnato dalle lacrime e gli occhi gonfi. “- No… o meglio, l’idea di farti fuori l’avevo… ma in quel caso ha pensato a tutto il mio collaboratore.” Disse Benvenuto, indicando il giovane poggiato al muro che salutò con un gesto rapido della mano, per poi avanzare, controvoglia, per posizionarsi accanto al suo capo. “- Fatti vedere in faccia se ne hai il coraggio!” urlò Leon, indignato. Se solo avesse potuto slegarsi avrebbe preso a pugni quei due pazzi, come potevano covare tanto odio? E chi era quel moccioso, probabilmente più piccolo di lui che aveva aiutato il folle? “- Tu mi hai preso sulle scale! Ho sentito la voce io… io HO  CAPITO CHI SEI!” urlò d’un tratto Leon, sgranando i grandi occhi verdi e fissandolo, tremante di rabbia. “- Salve a tutti…” sorrise il ragazzo, scostandosi il cappuccio dalla testa e lasciando scoperti dei folti capelli corvini. Nessuno fiatò ma attendevano che si abbassasse anche la maschera: un grosso neo sulla fronte, occhi chiari, pelle bianca e pallida… era lui, era… “- THOMAS?!” esclamò Violetta, fissandolo a bocca aperta. “- Sì signori, io.” Disse con tono fiero il ragazzo, sorridendo a Beto che gli circondò le spalle con un braccio con fare paterno. “- Dopo la morte di tua madre eravamo così uniti mia cara Vilu! Sapevo che un giorno saremmo stati insieme. Ero stanco. Stanco di essere l’amico senza speranze! Non ne potevo più! Poi è arrivato quello lì…” esclamò Heredia, indicando Vargas che mosse la testa come per volerlo affrontare, dimenticandosi di essere legato. “- …e la situazione è peggiorata, anzi, precipitata. La sera, quando in quel locale di musica live cadde il riflettore per opera del mio capo che sperava di eliminarti o farti fuori, io non ero ancora alleato con Benvenuto… ero solo disperato e volevo farvela pagare! A te e al caro Leon. La goccia che fece traboccare il vaso fu il giorno a casa Toledo… Leon mi picchiò per l’ennesima volta ed io le presi ancora, subendo in silenzio.” Disse, seccamente, il giovane. “- TE LE MERITAVI! Hai trattato malissimo Violetta dopo la serata karaoke, convinto di un amore che ancora non c’era!” urlò Leon, agitandosi come per volersi slegare. “- Appunto… ancora. Io sapevo che sareste finiti insieme, si poteva intuire. Una sera, però, entrai nella sala strumenti e vi trovai Beto che sistemava qualcosa…”
 
La sala degli strumenti era illuminata e Thomas vi si avviò con aria depressa. Come aveva potuto Leon baciare la sua Violetta davanti a tutti? Lo aveva fatto per fargliela pagare ancora una volta, ne era sicuro! Probabilmente neppure l’amava quanto lui, lo voleva solo far stare ancora peggio, sì, questa era la sua convinzione. Lui l’avrebbe amata davvero, lui e solo lui la capiva, le stava vicino, meritava di stare con la Castillo! Si avvicinò allo sgabuzzino alle spalle delle tastiere e vi notò la porta socchiusa. “- Beto! Che sta facendo?” il professore, con calma glaciale si voltò piano, sollevando un borsone dal suolo. “Sistemo le mie cose lontano da occhi indiscreti…” sintetizzò, piano, con voce metallica l’uomo, facendo correre un brivido lungo la schiena del giovane… come mai era così freddo e stranamente misterioso? “- Cos’è questa?” chiese lo spagnolo, chinandosi a raccogliere una sorta di maschera bianca e tetra. “- Dammela!” urlò l’uomo, strappandogliela dalle mani, senza dare troppe spiegazioni.
“- Cos’è quella faccia, ragazzo? Pene d’amore?” intuì subito l’insegnante cambiando discorso, richiudendo il suo borsone e uscendo dallo stanzino. “- Violetta Castillo.” Sentenziò il giovane, con un sospiro disperato nel dover solo nominare quel nome, sedendosi allo sgabello della batteria e tenendo lo sguardo basso sullo strumento. “- Ah, quel cognome comporta solo problemi…” ridacchiò Beto, andandosi ad accomodare dietro la tastiera e sistemando un po’ la sua scrivania… davvero inusuale per il solito prof pasticcione e disordinato! “- Cosa?!” chiese, confuso, il giovane, accigliandosi perplesso. “- Ti racconterò una storia, Thomas. Anch’io ho sofferto per amore e tanto. Se mi aiuterai, avrai la tua rivalsa come me e poi spariremo da questo posto, ma prima che io parli devi dirmi se sarai d’accordo a prescindere da quanto ti dirò, seppur potrà sembrarti malvagio… una dura vendetta per chi mi ha fatto tanto soffrire, entrambi.” spiegò Benvenuto, scarabocchiando su un foglio davanti a sé con la sua fedele stilografica. A quelle ultime parole il giovane Heredia incrociò lo sguardo dell’uomo e si riconobbe in lui: forse, in qualche maniera, quell’uomo gli somigliava più di quanto non immaginasse… Beto lo aveva già intuito da tempo che fossero simili e, seppur il ragazzo non avesse visto quella maschera, probabilmente, sentendosi simile a lui, gli avrebbe comunque proposto quell’accordo. “- Qualunque cosa sia… accetto.” Disse Thomas, fissando il docente con decisione e facendolo ghignare… quel ragazzo era proprio come lui, innamorato e disperato. Prese un profondo respiro e poi iniziò il suo macabro racconto…

 
“- Io ti… credevo un amico! Non è colpa mia se non ero innamorata di te, Thomas!” la voce di Violetta era tremante e il ragazzo la fissò con noncuranza. “- Sì, certo. Non era colpa tua… non è mai colpa tua!” disse, con volto cupo, Heredia, mentre Leon inveì qualcosa di pesante contro lo spagnolo che finse di non aver sentito. “- Sono riuscito a riavvicinarmi a voi, ero il povero cane bastonato che aveva perso la testa per… Emma, ah, una mia povera vittima… non l’ho mai amata, sai, Vilu? L’ho usata per dimenticare te, invano. La mattina della festa a sorpresa riuscii a prendere il cellulare dalla giacca di Leon e ad inviare quel sms. Fu una passeggiata dato che sospettavate tutti di Gregorio o Jackie… mancava in quelle foto perché andò un secondo in sala professori, ricordo bene... lo invitai io ad andare a vedere il suo registro su cui dissi di aver visto la Saenz scrivere dei voti che non spettavano a lei! Studiavo tutti i suoi movimenti per farlo incastrare e, ovviamente, avevo notato DJ immortalare il tutto… non comparendo più nella sala, tutti avrebbero sospettato dello strano prof di danza! Ah, visto che ci siamo, il tablet lo distrussi io… Pablo, grave errore venire a salvare le foto in classe, riconobbi subito che quell’affare era del caro amico blogger messicano:.. e, furioso, qualche giorno dopo pensai a distruggerglielo!” ridacchiò il giovane, soddisfatto. “- Bene, ed ora che tutto è stato chiarito, iniziamo… abbiamo un volo tra 2 ore, io e il mio socio ci trasferiremo in Australia!” ghignò Benvenuto, fissando tutte le sue prossime vittime, legate su sedie presso ogni parete della soffitta. “- Da chi iniziamo, vediamo un po’…” sorrise lui, girando in tondo e facendo battere forte i cuori di tutti i presenti. “- German! Il mio nemico numero uno…” decise Beto, fermandosi davanti all’uomo che non mostrò la paura tremenda che aveva. “- Prendi solo me. Tu in realtà vuoi me, non loro. Lasciali andare… soprattutto la mia bambina che non ha nessuna colpa!” esclamò, con aria glaciale, Castillo, sorridendo debolmente alla figlia che scosse il capo con sofferenza. “- Qui nessuno ha colpa di nulla, tu odi di più me. Io li ho fatti riappacificare, no? Perfetto. Sono qui, avanti!” Angie, con quelle parole, lo sfidò ancora, facendolo voltare di scatto e attraversare la soffitta con aria fredda e incedere allegro.
“- Ah, signorina Saramego, non ha tutti i torti… ecco perché mi sarebbe piaciuto farla passare per colpevole grazie all’idiozia palese di quel commissario da strapazzo che, conciata com’eri, non ti avrebbe mai creduta! O sbaglio, reginetta dell’Amnesia?” a quelle parole fu Galindo ad agitarsi come per sciogliersi dalle corde e colpire con un gancio il folle. “- LASCIALA STARE! NON TI AZZARDARE A TOCCARLA!” urlò, furioso e disperato il moro. “- Ah ah ah, il bodyguard! Lo capii subito che Roberto, incapace com’è, vi avrebbe solamente messo sotto protezione! Era troppo strano l’arrivo del nuovo ‘professore’ e del nuovo ‘alunno’ nello stesso giorno! Non sono mica idiota come pensavate?” sorrise Benvenuto, camminando avanti e indietro per la mansarda. “- Nessuno sospettava mai di me! Mi reputavate così stupido da non essere in grado di mettere in atto tutto questo?” aggiunse poi, improvvisamente furioso l’uomo, facendo ribattere subito Galindo: “- Doppia personalità! Tipica dei criminali folli, come te. Ma hai toppato nel momento in cui hai dovuto far sparire la signora Fernandez… a quel punto hai automaticamente scagionato Angie e, per vendicarti, hai iniziato ad agire volendola eliminare… ammettilo! La piscina era un avvertimento, ti serviva che lei fosse in circolazione per far cadere ogni sospetto di Lisandro su di lei, ma, ahimè ti è andata male. Angelica ha trovato la lettera e l’hai dovuta togliere di mezzo insieme a quel tassello fondamentale e tanto scomodo per te… un altro errore madornale lo hai fatto perdendo la penna sul davanzale… non lo sapevi, Benvenuto? Difficile portare via due corpi senza lasciar tracce, no? Per quanto tu fossi in gamba i passi falsi li hai commessi comunque!” la voce di Pablo fu come una provocazione per Beto che analizzò l’espressione seria di Galindo che, a sua volta, manteneva la calma e non gli staccava gli occhi di dosso, neanche per un secondo. “- Ormai non mi interessa più di qualche piccolo sbaglio! Vi elimino tutti e sparisco!” rise il pazzo, andando verso un baule nell’angolo della soffitta ed estraendone una pistola d’argento che fece sgranare gli occhi a tutti i presenti. “- Pezzo d’epoca, vi piace?” si pavoneggiò Benvenuto, brandendo l’arma con sicurezza. “- Mi lasci Vargas e la Castillo! Me ne occuperò io!” esclamò, euforico, Heredia, facendo sobbalzare la giovane. Lo credeva sincero, affidabile… forse non lo era mai stato, neppure prima di allearsi con Beto. La amava e non gli interessava averla come amica. Forse, in segreto, la doveva odiare già quando lei lo considerava solamente un amico, rompendo ogni sua speranza d’amore.
“- Arrenditi e non ti succederà nulla! Meglio pagare per un omicidio che per sette… lascia perdere tutto, tanto la polizia starà per arrivare, ne sono certo!” disse Galindo, tentando di placare le ire di Beto, purtroppo peggiorando solamente la situazione. “- Come? Stanno per arrivare? Oh no, lo sospettavo… in questo caso devo velocizzare ancor di più il processo…” disse, caricando l’arma estraendo dalla tasca della giacca sette proiettili d’argento che luccicarono nel buio. “- Un colpo, uno solo e sarà tutto finito… peccato, avrei preferito divertirmi un po’ di più con alcuni di voi in particolare… beh, pazienza. Tanto già vedere le vostre facce terrorizzate, per tutto questo tempo, è stato abbastanza soddisfacente!” mentre diceva quelle parole si stava avvicinando ad Angie che trattenne il fiato per qualche secondo… nel vedere l’arma la sua solita aria spavalda era scomparsa e tremava come una foglia scossa dal vento. “- German… ti tengo per ultimo, mio caro. Iniziamo dalla bella sorellina, la paciera che mi ha distrutto i piani, definitivamente.” Disse, puntandole la pistola contro. “- NO! Ti scongiuro prendi me ma lasciala in pace!” inaspettatamente Galindo cominciò a piangere, senza neppure rendersene conto, una lacrima gli solcò il viso e non poté fermare nemmeno la seconda e la terza che seguirono. “- Innamorato, eh Pablito? Mi dispiace! E poi, tra qualche minuto, la raggiungerai, tranquillo!” sorrise il riccio, distogliendo per un minuto lo sguardo sulla donna che respirava affannosamente, con il terrore dipinto nei suoi grandi occhi verdi. “- ARRENDITI, BENVENUTO! GETTA LA PISTOLA E RESTA CON LE MANI IN ALTO!” D’un tratto la botola si aprì, facendo voltare tutti in quella direzione…“- Dannazione!” urlò Beto, mentre un ragazzo moro e Lisandro facevano capolino, con le armi in mano, nella soffitta.  “- HO DETTO BUTTA QUELLA PISTOLA!” esclamò ancora Lisandro, mentre Beto non sapeva cosa fare e Thomas era rimasto paralizzato dalla paura… li avevano beccati!
“- Benvenuti! Volete unirvi alla festa?” rise Benvenuto, mentre il commissario e l’agente continuavano a tenergli le loro armi puntate addosso. Andò, sorprendentemente, dietro la sedia di Angie e slegò rapidamente le corde che la tenevano stretta a quel posto, l’afferrò per la vita e la prese come ostaggio. “- Lasciala andare! Non peggiorare la tua situazione!” urlò Dominguez, mentre la bionda era stretta nella morsa del folle. “- Peggiorare? Perché la mia situazione puo’ ancora peggiorare? Ho ucciso una donna e rapito 7 persone!” esclamò, quasi piangendo, il pazzo. “- Ma adesso… adesso devo togliermi qualche soddisfazione!” borbottò, fissando il viso della Saramego che sembrava pietrificata. “- Thomas Heredia! Non pensare di fuggire da quella botola!” Diego si voltò verso il giovane spagnolo che fissava quella via di fuga da fin troppo tempo, ormai. “- Diego! Il fidanzatino della Ferro, che piacere rivederti!” ghignò Heredia, con aria malvagia. “- Non la farai franca, amico! Mi sono beccato un morso di pitone e suppongo sia per colpa tua, vero? E chi mi ferisce la paga molto cara…” sintetizzò Dominguez, puntandogli l’arma contro, mentre Lisandro continuava a cercare di dissuadere il folle. “- Lascia andare quella donna, Benvenuto!” urlò Roberto, brandendo la pistola ma sembrava tutto inutile: Beto teneva ancora stretta la Saramego e non sembrava avesse la minima intenzione di arrendersi e liberarla. La tensione era alle stelle: Dominguez puntava l’arma verso Heredia che se ne stava incollato al muro, anche alquanto impaurito ma tenendo la sua aria da sfacciato stampata sul viso. Lisandro e Beto si puntavano le pistole tra loro mentre la bionda era tenuta ancora come ostaggio dal pazzo che, di tanto in tanto, dirigeva la sua anche verso di lei, tremante, pallidissima e immobilizzata dalla paura. “- Allora? Arrenditi ora, sei ancora in tempo! Se ti consegni tu ti sarà molto utile in tribunale, sai?” urlò il commissario, gelidamente, sperando che quel tizio lo ascoltasse e che lasciasse stare la donna. “- Lasciami in pace, commissario senza cervello! Sparisci e fai finta di nulla, o la signorina qui sarà la prima della lunga serie di vittime! O meglio, la eliminerò comunque ma prima di come avevo previsto!” esclamò il folle, ormai ancor più fuori controllo. Pablo sbiancò e cominciò ad urlare, in preda al panico per la sua amata: avrebbe voluto liberarsi da quella morsa di corde, picchiare o addirittura far fuori quel pazzo che stava terrorizzando tutti, in primis la sua Angie che brandiva come ostaggio. Beto continuava a stringere la Saramego e l'ansia in quella soffitta era giunta ad un livello elevatissimo: tutti temevano il peggio, quel tizio non si faceva problemi nell’eliminare qualcuno, lo aveva già fatto con Maria e, probabilmente, non aveva paura di ripetere quel gesto spaventoso… ma, improvvisamente, avvenne qualcosa di inaspettato.
 
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Aiuto! Le rivelazioni di Beto e del suo complice… (inaspettatissimo, diciamocelo! Anche se qualcuno lo aveva già sospettato! Bravi a chi ci aveva preso! ;)) sono state da brividi! Due amori impossibili che li hanno spinti alla follia! Due pazzi uniti e senza scrupoli, insomma! D: Questo capitolo è disperato e teso allo stesso tempo… spero vi sia piaciuto! Manca poco alla fine! Fatemi sapere cosa ne pensate della storia fin qui, vi sta piacendo? Cosa sarà successo adesso? Baci, alla prossima! Ciao! :)

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Capitolo 29
*** La resa dei conti. ***


Un colpo di pistola risuonò nella soffitta di villa Benvenuto e ne seguì l’urlo agghiacciante di dolore di German Castillo che fece spaventare tutti, in particolare sua figlia. “- PAPAAA’!!!” il grido disperato della ragazza, in lacrime, arrivò quasi in contemporanea con rumore sordo del proiettile diretto verso l’uomo, ancora legato alla sedia come le altre vittime del folle, tranne la cognata che era tra stretta saldamente per la vita dal pazzo. Era accaduto tutto nella frazione di un secondo: Beto, voltatosi verso Castillo, stritolando ancora Angie con un braccio, voleva eliminarlo, resosi conto che era quello che più di tutti odiava… non poteva rischiare di non farlo fuori… anche se fosse stato arrestato a lui, almeno un colpo, quel colpo, doveva spararlo. In quello stesso istante, però, la Saramego era riuscita a divincolarsi dalla presa e la direzione del proiettile fu deviata alla spalla di German, ferendolo ma non uccidendolo. “- VIENI QUI TU!” il pazzo stava per riprendere la bionda per un braccio e incautamente, lasciò cadere la pistola a terra che, per fortuna, Lisandro riuscì a bloccare con un piede e dopo una lunga lotta corpo a corpo, ebbe la meglio il commissario che, legandogli una manetta al polso e l’altra ad un tubo gocciolante vicino alla parete, lo riuscì ad intrappolare.
“- E tu dove credi di andare, stecca da biliardo?” Dominguez afferrò Thomas per la giacca e lo agitava con facilità, avendolo praticamente sollevato a mezzo metro dal suolo, per poi sbatterlo violentemente contro la parete. “- Arrenditi!” urlò Diego, tirandogli un pugno sotto al mento che fece alzare lo sguardo al socio di Benvenuto: erano occhi negli occhi, l'azzurro contro il verde dell'agente, la codardia contro il coraggio, il criminale che era diventato contro la giustizia del poliziotto. “- Non farlo, Thomas!” urlò Beto, tentando di scappare tirandosi tutto il condotto d’acqua a cui era ammanettato. Dominguez, non contento, stava per assestargli un altro pugno ma Lisandro gli lanciò un’occhiataccia… Heredia sembrava essersi arreso e non c’era bisogno di iniziare quell’ulteriore colluttazione. Diego allora, con la mano chiusa ancora a mezz’aria, si decise a tirar fuori, controvoglia, le manette e gliele mise senza difficoltà,  trascinandoselo fino al lato opposto della stanza, per bloccarlo all’altro tubo grondante.
Angie, intanto, era andata a liberare gli altri: sua madre, sua nipote e i due bodyguard, mentre Lisandro, con il cellulare all’orecchio, stava slegando Castillo e LaFontaine, il primo ferito e l’altro ancora sotto shock. Violetta, appena la zia la liberò, si fiondò a stringere forte il padre, mentre lui, con un solo braccio, l’accarezzava dolcemente la schiena. “- E’ finita tesoro mio. Non ci daranno più problemi… tranquilla, ma non piangere più, per favore! Lo abbiamo già fatto fin troppo! Basta lacrime, d’accordo?” disse l’uomo, sofferente per la ferita e fissando sott’occhio i due pazzi che avevano eliminato prima sua moglie e che poi avevano fatto vivere tutti loro nel terrore più assoluto… provava odio, odio come mai in vita sua… odio misto a rabbia, delusione, tristezza infinita… come avevano potuto? Gli avevano portato via la cosa più bella che avesse mai avuto, come lo era la sua bambina, chiaramente. L’unico e solo amore vero che avesse mai amato… ed ora quel folle che l’aveva strappata via da sé e da sua figlia era lì, ghignante, di fronte  a loro e, nonostante tutto, sembrava comunque soddisfatto del suo lavoro. “- Castillo, l’ambulanza sta arrivando. Andate tutti di sotto… qui con questi due restiamo noi, stanno arrivando i rinforzi così li portiamo via…” sentenziò Roberto, avviandosi verso Beto che lo guardava in malo modo… per lui, quello che era un impiastro di commissario, aveva avuto la meglio per pura fortuna e, secondo la sua mente folle, lui continuava ad essere il genio assoluto.
“- Leon!” Violetta si staccò dall’abbraccio del padre guardandolo ancora dolcemente e andò verso il giovane bodyguard che la sollevò a mezz’aria e la strinse forte a sé, per poi farla scendere con i piedi per terra e prenderle il viso tra le mani: “- Andiamo via di qui… è finita, amore mio! Finalmente è finita!” le disse, ad un soffio dalla sua bocca, per poi guardarla teramente negli occhi.
“- German vieni, scendiamo al piano di sotto, sei ferito! L’ambulanza sarà qui a momenti o forse è già qui!” Angelica, intelligentemente, avendo capito che i ragazzi volessero salutarsi come dovuto, si trascinò quasi l’uomo per le scalette di legno che apparivano dalla botola e se lo portò fuori da quella soffitta maledetta.
“- Mi dispiace! Mi dispiace è stata tutta colpa mia! Dovevo proteggerti, amore mio! Dovevo ma non ce l’ho fatta! Mi sento dannatamente inutile, così colpevole di tutto, io…” Leon, inaspettatamente, cominciò a piangere disperato, ma la giovane gli prese prontamente il volto tra le mani e si perse in quegli occhi verdi e profondi… era stata poco senza di lui in quella buia soffitta, e si rese conto in quell’istante di quanto quello sguardo fosse così indispensabile per la sua esistenza. “- Tu non c’entri nulla, ok? Non potevi farci nulla! Ma ora è finita… non parliamone più!” esclamò lei, prima di avvicinare, lentamente, le sue labbra a quelle del ragazzo che, sorpreso da quel gesto intraprendente, si lasciò andare ad un bacio passionale e travolgente, davanti agli occhi di tutti i presenti rimasti, Heredia compreso che li guardava con odio. “- Vuoi un altro pugno?” gli sussurrò Diego, sorridendo ai fidanzati e facendo abbassare lo sguardo a Thomas che sentiva ancora di covare un disprezzo profondo nei confronti di quei giovani innamorati. “- Non ti preoccupare, tanto ora non li vedrai più… in riformatorio ti troverai molto peggio, credimi! Rimpiangerai addirittura il fatto di voler vedere quei due baciarsi!” ghignò Dominguez, dandogli un forte schiaffo sulla spalla e facendolo quasi inciampare in avanti, nonostante fosse ammanettato al tubo. Le sirene dei rinforzi e, probabilmente, anche dell’ambulanza per German li fece sobbalzare. “- Di sotto, forza…” disse Vargas stringendole la mano intrecciando le sue dita con quelle della giovane,  scendendo al suo fianco, seguito da La Fontaine, al piano inferiore della villetta.
“- La tua corda è la più resistente, dannazione!” Angie stava ancora armeggiando dietro la sedia di Galindo e, finalmente, riuscì ad allentare quelle corde spessissime, asciugandosi una goccia di sudore che le corse velocemente sulla fronte. “- Ecco, ce l’ho fatta!” sorrise poi, liberandolo da quei cavi e parandosi di fronte al moro. “- Stavi riuscendo a fuggire anche da lui! Sei una grande!” esclamò Pablo, prendendole le mani dolcemente, ancora tremanti e freddissime. In quel momento avrebbe voluto incrociare i suoi grandi occhi verdi che tanto amava ma vide che lei teneva lo sguardo basso e che una lacrima le solcò una guancia, pallidissima. “- No, non fare così! Adesso è finita! Vieni qui…” le sorrise Galindo, stringendola forte a sé ma, in quel momento, si rese conto che Angie era caduta a peso morto tra le sue braccia, sapentandolo terribilmente. “- E’ svenuta!” urlò a Dominguez e Lisandro che subito corsero nella loro direzione. “- Portala di sotto, c’è l’ambulanza per Castillo, sbrigati!” urlò Diego, mentre Pablo prese in braccio la donna e scese, tenendola saldamente a sé, percorrendo i gradini della scaletta che portava fuori da quell’incubo di soffitta.
Appoggiò piano la Saramego sul divano del salotto, mentre tutti gli altri ostaggi erano già in giardino e tantissimi poliziotti si stavano recando al piano di sopra per fare irruzione nella mansarda.
“- Ehi! Angie, non mettermi paura, svegliati!” urlò, mentre le stringeva dolcemente una mano, tanto gelida da fargli venire i brividi. “- Angie! Dai, apri gli occhi!” disse, avvicinandosi di più alle sue labbra e depositando su di esse un delicato e rapido bacio. Lentamente, la bionda, si mosse e aprì le palpebre come se fosse assonnata, strizzandole forte di tanto in tanto, mentre l’uomo tirò un sospiro di sollievo. “- Cos’è successo?” chiese guardandosi intorno, mettendosi a sedere sul sofà e resasi conto di non essere più in quell’inferno di soffitta. “- L’hanno presi. Siete liberi, per sempre.” Sorrise Galindo cingendole le spalle in un abbraccio a cui lei si lasciò andare, sentendosi protetta da lui, protetta come le accadeva sempre al suo fianco. “- E’ finita! Andiamo, devi andare in ambulanza… sei svenuta, Angie! Non so per quale motivo e bisogna fare qualche controllo!” esclamò l’uomo con fare premuroso, prendendo ad accarezzarle i capelli. “- Che ore sono?” chiese la donna, improvvisamente. “- Lo spettacolo è stato annullato se intendi quello… sanno tutto anche a scuola.” Sintetizzò Pablo, aiutandola ad alzarsi e conducendola verso il giardino davanti alla villetta. “- Sto bene, non c’è bisogno di andare da nessuna part…” ma la donna, appoggiandosi completamente alla spalla di Galindo, si tenne la testa con una mano. “- Lo vedi? Vieni!” la condusse Pablo, cingendole la vita per sorreggerla. “- Sto bene! Era solo un capogiro, tranquillo…” abbozzò un sorriso la donna, andando in contro alla nipote e alla madre. “- Zia!” urlò la ragazza, vedendola camminare piano verso l’ambulanza che era parcheggiata proprio di fronte alla casa, tra una decina di volanti della polizia e una folla di curiosi che veniva tenuta a bada da alcuni agenti che stava mettendo sotto sequestro l’abitazione, circondandola con delle strisce gialle di plastica. “- Tesoro mio!” esclamò Angie, abbracciando con foga la giovane che non l’avrebbe più lasciata… ancora non riuscivano a realizzare che quell’incubo fosse finito, che potevano restare in città, che tutte le persone a cui volevano bene erano vive e vegete, nonostante loro le credessero senza vita! “- German, come sta?” Galindo si avvicinò all’uomo seduto sul lettino dell’ambulanza, ancora con le porte aperte. Lo avevano appena medicato e aveva la spalla stretta in tante bende arrotolate fino a sopra al collo. “- Meglio. Mi hanno fasciato e sto molto meglio. “L’importante è che sia finita…” esclamò Castillo, toccandosi delicatamente la parte ferita e ghignando per il dolore. “- Papà, allora?” chiese la giovane, camminando mano nella mano con Vargas, verso il moro. German, però, non rispondeva: fissava le mani intrecciate dei due ragazzi e prese un profondo respiro, come per voler dire qualcosa ma, per fortuna, intervenne Leon che colse subito dove setsse guardando l’uomo e cambiò repentinamente discorso… “- Le fa molto male la spalla, signor Castillo?” sorrise il bodyguard, fissando lo sguardo del moro incupirsi… come osava rivolgergli la parola tenendo la mano della sua bambina? Era un affronto o cosa? “- Vargas…” mormorò l’uomo, con un sussurro preoccupante, facendo sì che i due capissero e si lasciassero di colpo da quella forte stretta.
“- German, se non fosse stato per me che sono scappata dalla presa di Beto saresti morto! Dovresti ringraziarmi!” rise Angie, tentando di allentare la tensione, sedendosi sul bordo dell’ambulanza mentre un dottore insisteva nel volerle controllare la pressione sanguigna. “- Ah, sì certo! Grazie…” borbottò ancora nervoso l’uomo, mentre continuava ad osservare la figlia e il bodyguard più giovane camminare fianco a fianco, fino ad andare a sedersi sotto un albero, stremati e ancora stressati da tutta quella situazione.
“- Ti rendi conto che è tutto finito? Mi sembra di essermi appena svegliata da un brutto sogno! Ha ucciso mia madre, Leon! Io ancora non riesco a crederci… Quanto male provava verso di lei, nei nostri confronti?! Quanto odio aveva Thomas per me? Che colpa ne aveva mia madre se non amava Beto? Che colpa avevo io se non mi sono mai innamorata di Heredia?” la ragazza poggiò la testa sulla spalla di Vargas che le accarezzò dolcemente un braccio, attirandola a sé ancor di più e facendo si che lei si appoggiasse al suo petto, rilassandosi alla melodia del battito del cuore del giovane. Violetta si sentiva finalmente bene: era con la persona che amava, quei pazzi criminali erano fuori gioco e la resa dei conti per loro, finalmente, era arrivata. Adesso era libera, libera di vivere con le persone a cui voleva bene, senza dover lasciare la sua città, il suo paese per scappare dalle ire squilibrate di quei due matti. Ad un tratto, però, il cellulare di Vargas squillò ripetutamente e il bodyguard, controvoglia, lo afferrò dalla tasca costringendo la Castillo ad allontanarsi per un secondo da lui. Quel nome sul display gli fece cambiare idea… rimise il telefonino al suo posto e tornò ad abbracciare la ragazza che prese ad osservarlo un po’ perplessa. “- Era Cardozo Valdez?” chiese Violetta, convinta del fatto che l’uomo a capo dell’agenzia di guardie del corpo volesse almeno congratularsi o, semplicemente, parlare con uno tra i suoi più giovani bodyguards. “- No, era mio padre.” Disse, con freddezza, il ragazzo, abbassando gli occhi sull’erbetta verdastra del giardino di casa Benvenuto. “- Perché non gli rispondi?” chiese, candidamente la mora, accarezzandogli dolcemente un braccio con aria confusa. Sapeva del passato dell’ avvocato Vargas, del fatto che avesse aiutato Lisandro facendo incastrare ingiustamente Galindo e sua sorella, sapeva… ma non capiva ancora perché il ragazzo non tentasse almeno di parlare con quell’uomo, così distinto e serioso. “- Forse voleva farti i complimenti! Avrà saputo della missione conclusasi…” ipotizzò la giovane, mettendosi in piedi e poggiandosi con la schiena contro il tronco dell’albero. “- O forse vuole far reputare incapaci di protezione me e Pablo! Avrà altri suoi amichetti da inserire anche nell’agenzia di Valdez, suppongo…” la tono sarcastico di Leon era freddo e il suo sguardo era duro come mai. “- Leon…” tentò di dire la ragazza, mentre lui si alzò e cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro davanti a lei, come un leone in gabbia.
“- Cosa? E’ la verità! Lui agisce così! E’ così, Vilu! Che mi piaccia o no!” strillò lui, facendole abbassare di colpo gli occhi, intimidita… sapeva che non fossero affari suoi ma le dispiaceva vedere così il suo fidanzato. Soffriva di quel rapporto con suo padre ed era sicura che se avesse messo tutta quell’energia rabbiosa in una conversazione civile, forse, la situazione sarebbe solo potuto migliorare. “- Scusami, non dovevo parlarti così… è che sono così… nervoso!” spiegò poi il giovane, pentitosi di aver alzato un po’ la voce con lei che non c’entrava nulla e andò di nuovo a pararlesi di fronte, fissandola negli occhi e prendendole le mani. “- Leon tu ami la giustizia e devi essere fiero di quello che sei. Tuo padre ha sbagliato, lo so… ma è pur sempre tuo padre e calcola che aveva aiutato Lisandro solo per te, per farti inserire nella sua squadra di polizia.” Violetta tentò di calmarlo parlandogli dolcemente, con il cuore in mano e sperando di farlo riflettere. “- Un uomo innocente ha pagato! Passi pure sua sorella che comunque colpevole lo era! Io… io lo detesto. Non sai quello che ha fatto passare a mia madre! Le dissi io di lasciarlo di…” ma, in quell’istante, il cellulare squillò di nuovo.
“- Rispondi, Leon.” Esclamò seccamente la ragazza, indicandogli la tasca che emetteva dei trilli che si susseguivano sempre di più, senza sosta. Vargas fissò il display, poi guardò la fidanzata che annuì con decisione e si portò il cellulare all’orecchio. “- Avvocato Vargas… come? Non penso sia possibile, la ringrazio e la saluto. Buonasera.” Violetta lo fissava con aria interrogativa e con gli occhi sgranati.
“- Comunque così non serve! Tanto valeva non rispondergli!” borbottò la giovane incrociando le braccia al petto nervosamente, facendolo ghignare debolmente. “- Vuole vedermi… ma se pensa di riuscirci se lo scorda!” Commentò Leon, seccato e gettando quasi il cellulare nella giacca con disprezzo. Cos’era quella pagliacciata, cosa pensava di ottenere quell’uomo da lui? Si era congratulato… la notizia ormai era trapelata e tutti sapevano delle due donne protette dai bodyguards, tra cui il giovanissimo Leon Vargas e il degradato commissario Galindo. “- Leon, ascoltami. La cosa più brutta che possa capitare è perdere una persona che si ama… e per perdere non intendo solo quando questa passa a miglior vita. Hai un padre che, nonostante i suoi errori, ti ama e ti ha dimostrato che farebbe di tutto per te. Dagli una chance. Tu puoi ancora riabbracciarlo, non perdere l’occasione di chiarire. Sei suo figlio e non pensare che questa situazione sia facile per lui… anzi non lo è per nessuno dei due.” La voce della giovane Castillo era ferma, come se avesse voluto fargli quel discorso da mesi ma non ne avesse mai avuto l’occasione o il coraggio. “- Nessuno gli aveva chiesto di fare qualcosa per me. Sono abituato, non da lui, a sudare con fatica per raggiungere qualunque risultato. E, soprattutto, se fossi in lui mi vergognerei solo per ciò che ha fatto ai Galindo.” Il tono di Vargas era glaciale e non sembrava voler sentire alcuna ragione sulla vicenda. “- Rifletti su quello che ti ho detto. Su tutto quello che ti ho detto, non solo sulla parte che vuoi ascoltare tu.” A quelle parole Leon si mise seriamente a pensare… Violetta gli aveva spiegato con semplicità che suo padre, nonostante tutto, lo amasse sopra ogni cosa, che avesse ancora l’opportunità di chiarire con lui, di poterlo… riabbracciare. A quel pensiero il ragazzo per un secondo rabbrividì… no. Non poteva nemmeno ipotizzare una cosa del genere, era troppo per lui... “- Va’ da tuo padre, piccola. Io devo andare a fare un giro, da solo.” Sorrise il ragazzo, dandole un bacio sulla fronte con tutta la tenerezza del mondo. “- Promettimi che starai attento.” Esclamò lei, vedendolo afferrare le chiavi dell’auto e facendole roteare in aria, per poi riprenderle al volo con un gesto rapido della mano. “- Starò attento. Ti chiamo stasera e scusami.” Balbettò lui, con gli occhi lucidi, stringendola in un forte abbraccio.
“- Scusarti? E per cosa? E’ normale che adesso tu sia confuso… schiarisciti le idee. Ci sentiamo stasera.” Esclamò la ragazza, staccandosi da lui e incamminandosi verso il cancelletto principale della villetta, arrivando verso la zia.
“- Dove va?” Diego le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla, facendo nuovamente sbiancare German che, per fortuna, fu fatto stendere dai medici dell’ambulanza, cosicchè non potesse ipotizzare qualcosa che, in quel caso, sarebbe stato erroneo. “- Deve stare solo. Il padre gli ha telefonato…” spiegò la giovane. “- Capisco.” Ribatté prontamente l’agente Dominguez, annuendo mestamente e allontandosi al richiamo di Lisandro che lo fece scattare di corsa verso quella direzione. “- Venite, Angeles, German, Angelica… vi annuncio ufficialmente che le vostre case sono di nuovo abitabili!” La voce di Roberto fu un sospiro di sollievo per tutti… quella frase significava una sola cosa: tentare di ritornare alla vita normale, quella normalità che, a tutti, era mancata per molto tempo.
“- Mati!” un urlo gracchiante fece voltare il biondo che stava parlando con alcuni agenti puntando una bella donna mora tra essi. “- Sorellina!” urlò l’uomo,alzandosi di colpo dalla voltante della polizia e fiondandosi tra le sue braccia. “- Oh fratellino! Pensavo fossi morto! Mi sentivo persa senza di te! Persa!” esclamò, piangendo come una fontana la donna. Angie la guardò da lontano e sorrise… non aveva dimenticato quello che le aveva detto al centro commerciale, qualche tempo prima… eppure non riusciva ad odiarla. Quella donna era stata sua amica, certo faceva parte della sua vita precedente, quella di cui andava poco fiera… eppure, nonostante quelle cattiverie che Jade le aveva detto, sorrideva all’abbraccio dei due fratelli La Fontaine.
“- Tu sei troppo buona!” esclamò Galindo, afferrandole la vita da dietro e attirandola a sé con dolcezza. “- Mi dispiace averla trattata male.” “- Ah, dispiace a te?! Paradossale!” rise Pablo andandosi a parare di fronte a lei, ricordandosi le parole poco carine della mora nei confronti della sua donna. “- Un giorno capirà, forse!” rise Angie, buttandogli le braccia al collo e guardandolo negli occhi teneramente.
“- Come ti senti?” chiese Galindo, con aria seria, perdendosi nello sguardo color smeraldo della bionda. “- Ho paura a dirlo ma… sto bene. Ho sempre pensato che non meritassi la felicità, soprattutto dopo la morte di Maria. Pensavo che qualcuno avesse deciso per me che non dovessi averne nemmeno un briciolo… e ho provato a cercarmela da sola, ma nel modo più sbagliato che ci possa essere. Poi, però, tutto è cambiato, così in fretta… ho capito che la felicità non viene negata a nessuno, e l’ho capito quando ho incontrato te, nel momento in cui hai messo piede nella mia vita, quella vita che era diventata così sbagliata, senza senso... beh, ha ripreso ad averne solo grazie a te, non smetterò mai di esserti grata di tutto quello che hai fatto per me. Tu sei la mia felicità, Pablo.”
In quel momento il moro pensò di stare sognando e, per un secondo, si sentì rabbrividire per quelle parole splendide che la donna che amava gli aveva appena rivolto, con il cuore in mano e guardandolo così dolcemente da farlo impazzire. “- Angie… io non ho fatto nulla di speciale. Se sei tornata ad essere chi sei realmente lo devi solo a te stessa.” Sorrise lui, prendendo ad accarezzarle delicatamente una guancia. “- No, Pablo, credimi: se non ti avessi conosciuto sarei rimasta la reginetta dell’Amnesia per tutta la vita e non volevo. Sapevo di non volerlo ma era più forte di me… quel posto maledetto mi faceva dimenticare il dolore, le sofferenze… tutto! Poi, però, a prenderti cura di me ci hai pensato tu… nonostante mi renda conto non ti abbia reso vita facile e mi scuso!” rise la Saramego, prima che anche lui cominciasse a ridacchiare a sua volta . “- Ah, allora ne sei consapevole! Farti da babysitter non è stato per nulla semplice!” disse lui, fingendosi serio. “- Babysitter? Ma certo! Perché io sarei una bambina viziata! Come mi chiamavi all’inizio, ti ricordi?” borbottò lei, un po’ stizzita ma comunque divertita da quella conversazione. “- Sì!” esclamò lui, serio, avvicinandosi sempre di più alla sua bocca. “- ...Ma adesso sei la mia bambina!” aggiunse, inaspettatamente, facendole sgranare gli occhi e portandola ad assumere un’aria buffa.  La donna non ebbe però il tempo di ribattere: le loro labbra si sfiorarono, prima dolcemente e poi sempre con più passione, dando vita ad un bacio travolgente ed emozionante. Angelica, mentre parlava con Castillo, li guardava sott’occhio… lo sapeva! Lo aveva sempre saputo e credeva in quell’amore che aveva riportato sua figlia ad essere la ragazza meravigliosa che era stata molto tempo prima che quell’incubo fosse cominciato. Matias, da lontano, storse il naso e Jade abbassò gli occhi… era stata troppo crudele con Angie ed era pentita. German, dal canto suo, era felice che quel Galindo avesse riportato sulla retta via sua cognata… seppur tra i due non scorresse buon sangue dato lo stile di vita assunto dalla donna dopo la morte della sorella, Castillo le voleva bene come fosse anche sua sorella… la conosceva da quando era una ragazzina e, nonostante tutti gli errori da lei commessi, doveva ammettere che adorava il temperamento della bionda, anche se non l'avrebbe ammesso neppure sotto tortura.
Quando i due si staccarono da quel bacio si fissarono a lungo in silenzio, fino a quando a Pablo non venne in mente di dover restituire qualcosa alla Saramego. “- Penso che questa appartenga a te…” disse, sottovoce, estraendo dalla tasca interna della sua giacca la lettera sgualcita che teneva Beto ma che fosse stata indirizzata da Maria a lei. Angie la fissava, come imbambolata e l’afferrò, osservando quella calligrafia tanto delicata, come lo era lei, sua sorella. “- Se non vuoi leggerla io la restituisco a Lisandro… ma hanno detto che possiamo tenerla, quei due hanno già confessato davanti a noi e questo basta e avanza come prova…” disse Galindo, fissando la Saramego che prese ad odorare quella carta da lettera… l’apri quasi istintivamente ma, già dalle prime righe e non riuscì a contenere le lacrime… Pablo l’osservò e le strinse la mano sinistra che la donna teneva lungo il corpo. Gli occhi di lei facevano avanti e indietro intenti nella lettura e alcune gocce, dalle sue guance, scesero parallele cadendo su quel foglio di carta, a lei così caro. Finì di leggere e, finalmente, Galindo la vide ripiegare quella lettera e rimetterla nella busta, per poi stringerla al cuore, con ancora gli occhi gonfi e i singhiozzi che la facevano sobbalzare di tanto in tanto. “- Mi voleva salvare…” bablettò, mentre l’uomo la teneva già stretta tra le sue braccia e le accarezzava dolcemente la schiena. “- Voleva salvare me e Violetta, ma perché non ha pensato anche a lei?” pianse ancora la Saramego, ormai rossa in viso e stringendo saldamente le spalle di Pablo. “- Non pensava arrivasse a tanto… o aveva paura, soprattutto per voi. Questo per lei era solo un avvertimento diretto a te e Violetta, le cose più care che aveva… sapeva che German se la sarebbe cavata ma voi frequentavate addirittura lo Studio con il folle… forse le importava più di te e sua figlia che di sé stessa.” Le sussurrò l’ex commissario, accarezzandole una guancia e facendo passare le sue dita tra i capelli dorati della donna. “- E’ finita, Angie! Ti prego non piangere più, fallo per te, per me… non posso vederti così. Non ce la faccio.” Sentenziò l’uomo, dandole poi un tenero bacio sulla fronte. “- Andiamo a casa. Tu vieni da me, vero…?” chiese, un po’ titubante, la donna, facendolo annuire con un sorriso. Anche se il periodo di protezione era finito nessuno dei due aveva intenzione di lasciare l’altro. Mai più.
 
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 Ok, sto piangendo disperata per l’ultima parte e non solo… strappalacrime! I due folli arrestati ed era anche ora! Leonetta… Vilu che consiglia a Leon di parlare con suo padre… la dolcezza! E i Pangie? Vogliamo parlare dei Pangie? Quando lei all’inizio sviene, dettaglio da non sottovalutare… per non parlare della scena della lettera… Afcaegfvrsgrgb *-* Bene, ci aspetta l’ultimo capitolo di questa storia che spero vi stia piacendo ancora! Ringrazio davvero tutti per le recensioni stupende! :3 Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 30
*** La felicità è un dono. ***


Un auto rallentò davanti ad una villa lussuosa di colore bianco e dall’aspetto curatissimo e fin troppo sofisticato persino per il quartiere più altolocato della città. Leon scese dalla macchina dopo averla parcheggiata appena davanti al grande cancello in ferro battuto che si trovava all’esterno e si fermò davanti ad esso: esitava e si sentiva il fiato farsi corto per il nervosismo. Doveva bussare a quel grande citofono dorato e scintillante o resistere e tornare indietro? Aveva ragione Violetta o voleva dar retta ancora al suo orgoglio? Quasi d’istinto premette quel bottone e, senza avere alcuna risposta, notò che il portone cominciò ad aprirsi automaticamente con un leggero cigolio metallico. Il ragazzo lo fissò muoversi e, a passo lento ma determinato si avviò verso il viale che portava alla porta della maestosa casa. Ricordava quel posto… milioni di ricordi affollarono la sua mente e quasi si rivide, da piccolo, giocare in quel giardino così rigoglioso ed enorme, quando erano una famiglia felice, quando sua madre e suo padre erano ancora una coppia, quando lui viveva lì, con loro e si respirava ancora un po’ di spensieratezza in quella maestosa reggia.  Non appena fu sotto al portico della villa la porta si aprì e una donna bassina e magra, dai capelli rossicci raccolti in uno chignon, lo accolse con entusiasmo, stritolandolo prontamente in un forte abbraccio. “- Leon, tesoro! Sei tornato!” urlò, mentre il giovane dovette arrendersi a quella morsa affettuosa. “- Nadia! La governante migliore del mondo! Sei quella che più mi mancava di questo posto!” esclamò il ragazzo, quando finalmente la donna lo lasciò respirare, staccandosi da lui. “- Tuo padre è nel salone, suppongo ti stia aspettando...” Aggiunse lei, indicandogli la stanza che il ragazzo conosceva benissimo. Percorse quel corridoio con il cuore in gola, rimanendo sorpreso dalla quantità di foto appese alle pareti ritraenti la loro famiglia al gran completo… poi ci pensò e comprese: era tipico di suo padre ostentare una serenità che non viveva più tra quelle mura candide. Arrivò nella camera e suo padre era seduto sul divano, intento a leggere un giornale e, sentendo il rumore di passi abbassò la rivista e prese a fissarlo con aria seriosa e imperturbabile come di suo solito. “- Perché al telefono mi davi del ‘lei’?” la voce glaciale di Rodrigo Vargas riecheggiò nella vastissima camera e quella domanda spiazzò il ragazzo… perché l’accoglieva in quel modo? Il giovane fece per andarsene, scuotendo il capo con aria rassegnata. 
“- Ti preoccupi più di questo che di me, vero? Suppongo che sappia quello che ho passato ma che non ti importi più di tanto…” disse Leon, girando le spalle e volendo cominciare a percorrere quel corridoio al ritroso per tornare fuori da quella villa. “- Leon! Aspetta!” la voce del padre lo fece voltare ancora e cominciò a camminare di nuovo lentamente verso il centro del salotto. “- Non pensare che io non tenga a te. Non so chi ti abbia inculcato questa folle idea che io…” “- SMETTILA! Non ho bisogno che nessuno mi inculchi nulla! Sono un uomo, ormai! Capisco perfettamente ciò che hai fatto e non te lo perdonerò mai!” la voce di Leon era seria e il tono alterato, tanto da far sgranare gli occhi all’uomo che si alzò facendosi forza sulle ginocchia e parandosi di fronte a lui. “- Mi dispiace.” Sentenziò, a bassa voce Rodrigo, facendo sollevare lo sguardo al ragazzo che lo fissò un po’ stupito. Gli stava chiedendo scusa? Aveva ragione Violetta, allora? Il padre voleva ricucire quel rapporto disastrato con lui e lo aveva chiamato per quello? No! Non poteva essere vero. Il giovane scosse il capo con forza, scompigliandosi un po’ in capelli con una mano. “- Belle parole, ma non basta! Dimostramelo!” urlò, sentendo gli occhi farsi lucidi ma continuando a sostenere lo sguardo duro dell’avvocato. “- Hai ragione. Ti ho sottovalutato Leon ed ho sbagliato a voler per forza farti lasciare il caso, per fortuna sei testardo e non hai mollato. Sei un bravo bodyguard, ho saputo quello che hai fatto per quella ragazzina e anche… anche... anche Galindo è stato un’ottima guardia del corpo.” Un grande sospiro seguì a quella frase dell’uomo ma il ragazzo ribatté prontamente: “- Sarebbe stato ancora un ottimo commissario se non avesse perso il suo lavoro a causa vostra! Far diventare Lisandro il capo della polizia non mi è sembrata una buona idea... è un incapace! Se non fosse stato per Pablo che nonostante tutto lo ha aiutato con le indagini a quest’ora saremmo tutti morti e il folle l’avrebbe fatta franca!”. Il silenzio calò nella stanza e i due si fissarono come due pugili alla fine del primo round di un combattimento corpo a corpo, senza colpi proibiti. “- Va bene. Hai ragione tu, ne hai sempre avuta. Testimonierò contro Lisandro e Galindo otterrà nuovamente il posto che merita.” Leon non poteva credere alle sue orecchie… l’aveva detto davvero o lo stava sognando? Avrebbe voluto che qualcuno gli desse un pizzicotto per risvegliarlo ma capì che non ce n’era bisogno: forse suo padre lo aveva detto sul serio ma mentiva spudoratamente per ricucire quel rapporto con lui… “- Non lo faresti mai. Siete soci o sbaglio?” domandò, con una punta di sarcasmo, il giovane, accasciandosi a peso morto su una poltrona bianca affianco al caminetto e portandosi una mano alla fronte. “- Lo farei per te. Come ho fatto quel grave errore per il tuo bene. Ma hai sempre avuto ragione tu… sei talmente bravo che non avresti nemmeno avuto bisogno di tutta quella messa in scena che è costata il posto ad un uomo e ulteriori colpe a sua sorella per entrare subito in polizia. Testimonierò contro Roberto e dirò tutto quello che so. E’ la cosa giusta da fare e, anche se l’ho capito tardi adesso ne ho la certezza.” Leon alzò gli occhi e questi si incrociarono con quelli di Rodrigo che, per la prima volta in vita sua, gli sorrise debolmente e un po’ goffamente… voleva fidarsi? Lo avrebbe fatto davvero? Poteva credergli? Una miriade di domande gli affollarono la mente ma lui, per una volta, decise di dare ascolto al suo cuore e ai consigli della sua Vilu: si alzò in piedi un po’ tremante e, senza dire nulla, si ritrovò stretto nell’abbraccio del padre. “- Ti prego, non deludermi. Non un’altra volta. Fallo davvero... testimonia contro quell'inetto!” esclamò il ragazzo, mentre una lacrima gli rigò il viso velocemente e si aggrappò saldamente alle spalle forti dell’uomo. “- Te lo prometto. Ho sbagliato tutto con te, con tua madre… ma non è mai troppo tardi per rimediare, no?” disse, con voce meno seriosa, Vargas, ancora abbracciato al figlio. “- Leon… questa casa per te è sempre aperta, lo sai… torna quando vuoi.” Sentenziò Rodrigo, prendendogli poi le mani e fissandolo con aria interrogativa. “- L’ho sempre saputo.” Balbettò il giovane, allontanandosi poi verso la porta. “- Arrivederci, figliolo. E congratulazioni.” Esclamò l’avvocato, in piedi davanti al sofà. “- Ciao… pa…” pensava di non avercela mai più fatta ma, dopo aver preso un profondo respiro, riuscì a pronunciare quelle parole: “- Ciao, papà.” Disse, con un mezzo sorriso, uscendo poi dalla stanza e salutando Nadia con un cenno della mano, si avviò verso la sua auto con aria stranita… non poteva ancora riuscire a realizzare quello che aveva detto l’uomo: avrebbe rischiato in prima persona, facendo giustizia anche contro Lisandro, solo per lui… realizzò, sedendosi in macchina che Violetta aveva ragione e, in quel momento, si sentì un idiota nel capire che suo padre aveva sempre agito solamente per il suo bene, certo, sbagliando… ma tutti avevano diritto ad una seconda chance e se lui era disposto a tanto per riconquistarsi la sua fiducia, forse, se la meritava davvero. Afferrò il cellulare e compose un numero prima di mettere in moto… sul display trovò quel nome e la voce dall’altro lato era allarmata. “- LEON! Si puo’ sapere dove sei stato? Perché mi hai mandato quel misero sms dicendomi che non passavi a casa senza aggiungere altro? Ero così nervosa!” la ramanzina se l’aspettava ma quelle parole gli scivolarono addosso con i mille pensieri che aveva per la testa e la miriade di emozioni che sentiva in quel momento. “- Ho parlato con mio padre.” Sentenziò, con calma, Vargas, fissandosi nello specchietto retrovisore e sistemandolo per vedere meglio. “- Davvero? E com’è andata?” esclamò lei, euforica, dimenticandosi del fatto che il giovane le avesse inviato solo un messaggino per dirle che stava bene ma che non sarebbe tornato perché aveva bisogno di stare solo per un po’. “- Vediamoci, tanto lo Studio è chiuso e poi è domenica! Alle 12 al parco, alla nostra panchina…” disse lui, sorridendo quasi istintivamente al solo sentire la voce della sua Violetta e nel ricordare quel loro appuntamento al lago, in barca, quando erano ancora in balia del folle e del suo complice. “-Va bene. Ma se mi terrorizzi ancora così, senza chiamarmi e scomparendo nel nulla, saranno guai! A dopo... Ti amo, Leon.” Dopo la partaccia, quelle parole, sciolsero il cuore della guardia del corpo che abbassò istintivamente gli occhi sul volante. “- Ti amo anch’io, tesoro. Ci vediamo dopo.” Sorrise il giovane, chiudendo la chiamata e spegnendo nuovamente il telefonino per poi mettere in moto e allontanarsi da villa Vargas.
 
 
“- Non posso credere a quello che è successo! E’ così assurdo!” Francesca camminava avanti e indietro fuori dallo Studio On Beat, ancora chiuso per le ultime indagini, mentre gli altri amici erano seduti sul muretto fuori all’accademia. Tutti però, incuriositi da quel luogo, si erano recati lì fuori per vedere se ci fosse qualche avviso per il proseguimento delle lezioni dopo quello che era avvenuto. Ognuno di loro era incredulo sull’accaduto e, se non fosse stata la Rossini ad aprire l’argomento, probabilmente, nessuno avrebbe avuto il coraggio di farlo ed era più che comprensibile: un loro professore e un loro amico fidato erano due folli criminali che perseguitavano la loro adorata Angie e la dolce Violetta Castillo… per non parlare di tutta la vicenda per intero, di cui tutta Buenos Aires era venuta a conoscenza dopo quel sabato da incubo. Quella mattina, l’ultima cosa che i giovani si aspettavano era trovare la scuola addirittura con dei sigilli per ulteriori perizie e la cosa li fece rabbrividire e realizzare, ancor di più, tutto ciò che era accaduto in quel sabato sera. Avevano spesso tentato di telefonare a Violetta e a Leon ma, entrambi, risultavano irraggiungibili e preferirono lasciarli per un po’ tranquilli… d’altronde venivano entrambi da un incubo e doveva essere stato terribile, soprattutto per la povera Castillo. “- Basta! Oggi vado di nuovo a trovarla!” urlò Camilla, d’un tratto, mentre DJ annuiva, tenendole dolcemente la mano. “- Ti accompagno!” sorrise il messicano, teneramente. “- Antonio ieri sera ha telefonato ad Angie e gli ha detto che stanno bene ma che German, il padre di Violetta, voleva farle vivere un po’ di pace! E ci credo, poverina!” esclamò Federico, con il suo solito marcato accento italiano, facendo posto a Francesca che si sedette subito accanto a lui, poggiando la testa sulla spalla del ragazzo che le diede un tenero bacio sulla fronte. “- Sì ma se noi amici non le siamo vicini sarà tutto più difficile, adesso!” ribatté Maxi, abbracciando Nata che avvampò, facendo ridacchiare Lena che le fece l’occhiolino alla sorella maggiore. “- Posso chiedere una cosa?” Andres si intromise bruscamente nella conversazione, facendo già scoppiare a sghignazzare Andrea che si coprì la bocca con la mano per smorzare le risate, già sapendo cosa volesse chierdere il fidanzato. “- Ma Leon allora non era un nuovo alunno?” domandò per l'ennesima volta il moro, confuso facendo scuotere il capo a Napo e alzare gli occhi al cielo a Federico. “- Per l’ultima volta, Andres! Leon era il bodyguard di Vilu e Pablo era quello di Angie! Era tutta una scusa quella del nuovo alunno e del professore alle prime armi!” Spiegò Camilla, tentando di mantenere la calma per quell'ulteriore spiegazione all’amico. “- Quindi ci hanno mentito!” realizzò urlando il ragazzo, sgranando gli occhi neri e facendoli sobbalzare. “- Più o meno!” disse Napo, dandogli una forte pacca sulla spalla. “- No, ha ragione Andres… l’hanno fatto, ci hanno detto una bugia ma era inevitabile per proteggere la prof e Vilu!” sorrise Nata, con il suo solito tono dolce e delicato. “- Povera Emma… sarà distrutta!” esclamò Andrea, indicando poco lontano da loro la biondina che camminava tutta tremante verso il portone principale, avvolta nei suoi pensieri e nemmeno notandoli. “- Sarà venuta a vedere anche lei se domani la scuola è ancora chiusa…” ipotizzò Maxi, grattandosi il mento e prendendo a riflettere su come mai la ragazza fosse anche lei lì. D’un tratto, la Toledo, arrivò fuori allo Studio e si mise a fissare le strisce gialle che sigillavano il cancello d’entrata e quel grande foglio bianco appeso proprio su di essa, ad indicare che la scuola era sotto sequestro per i prossimi tre giorni. Nel leggere quelle parole qualcosa in lei scattò: la giovane si prese il viso tra le mani e cominciò a piangere senza sosta, accasciandosi davanti all’ingresso e accovacciandosi, portandosi le ginocchia al petto sugli scalini che davano accesso alla scuola. I ragazzi, vedendola in quello stato, si alzarono subito e corsero verso di lei. “- Emma! Su non piangere, non ne vale la pena!” sorrise Lena, allungandole la mano che la giovane strinse per ritornare in piedi. “- Mi ha… lui mi ha solo… usata! Non mi ha mai amata davvero, non gliene importava nulla di me! E’ un criminale! Lo odio!” urlò la figlia del sindaco, in preda ai singhiozzi, mentre Camilla l’abbracciava nel tentativo di consolarla. “- Non fare così! Un folle di quel tipo è meglio perderlo che trovarlo! Quello lì era senza scrupoli ed è meglio per tutti che lo abbiano preso! Lui e anche Beto!” sottolineò Maxi, facendo annuire il gruppo. “- Dai è inutile restare qui! Andiamo tutti al parco, vi va? Bisogna scaricare questa tensione terribile che abbiamo un po’ tutti addosso!” propose DJ, richiudendo con attenzione il tablet fiammante nella custodia nera e facendo strada al gruppo di amici che accettò l’idea del giovane messicano. In quel momento, Diego e Ludmilla si avvicinarono a passo veloce verso di loro. “- Branco di formichine voglio sapere se…” “- No, tesoro! Lascia parlare me…” Diego azzittì la bionda con una lieve carezza facendola arrossire di colpo, mentre avanzava verso gli altri. “- Ah! Tu sei amico di Leon perché siete quasi soci!” urlò Andres, facendo ghignare Dominguez divertito. “- Più o meno… ma devo chiedervi se qualcuno di voi lo ha visto! Non mi risponde al cellulare e pensavo fosse con voi…” sentenziò Dominguez fissando un po’ tutti con attenzione. “- Sarà con Vilu!” comprese subito Francesca, con un sorrisetto furbo. “- Noi andiamo al parco! Vi unite a noi?” li invitò Camilla, facendo subito annuire l’agente. “- Ovvio che…” ma, ancora una volta, la Ferro venne interrotta dal bruno agente. “- Sì. magari dopo passo a villa Castillo per cercare Vargas che mi ignora! Spero che non sia successo qualcosa con suo padre.” Mormorò, sottovoce Diego ma Lena che cominciò a camminare dietro di lui con il resto del gruppo sentì e si incuriosì. “- Come mai? Non è in buoni rapporti con lui?” disse la Heraldez. “- In buoni rapporti? No, credimi. E’ in una pessima relazione con l’avvocato Vargas. Mi auguro solo che non abbia detto qualcosa di cui poi si potrebbe pentire…” ribatté Dominguez, cingendo la vita della fidanzata e capeggiando il gruppo verso il parco. “- Addirittura?” si incupì Federico, temendo il peggio. “- Io non posso parlarvi di tutta la vicenda, sono affari suoi… ma si è affezionato tanto a tutti voi e sono certo che prima o poi ve ne parlerà di sua spontanea volontà!” si limitò a rispondere Diego, mentre varcarono l’imponente cancello del parco… Emma li aveva seguiti grazie a Maxi e DJ che l’avevano praticamente costretta ad andare con loro per farla distrarre, per farle dimenticare tutto quel dolore che aveva subito e che provava ancora.
 
 
“- Eccoti finalmente!” Violetta vide arrivare da lontano Leon e gli corse incontro, buttandogli subito le braccia al collo. “- Ehi!” balbettò lui, emozionato da tutto quell’entusiasmo, accarezzandole piano la schiena. “- Allora? avete chiarito? Parla, non tenermi sulle spine, su!” strillò la giovane, conducendolo per la mano verso la panchina e facendogli segno di accomodarsi accanto a lei. “- Prima di tutto devo chiederti scusa: dovevo starti accanto stanotte ma quella telefonata di papà mi ha scioccato e io… beh… perdonami.” La voce di Vargas era stranamente tremante e la ragazza colse subito tutto quel suo nervosismo. “- Leon… non ti preoccupare, l’ho capito! Mi sono arrabbiata solo perché ero preoccupata ma sapevo che volevi stare da solo e non ti biasimo, anzi!” sorrise la ragazza, prendendogli una mano e intrecciandola con la sua. “- Sono stato da lui stamattina… diamine, da quanto non mettevo piede in quella casa.” La voce di Vargas era ora gelida e forte, il solo pensiero di quell’incontro lo rendeva diverso, tenace. “- Com’è andata?” domandò la giovane, quasi trattenendo il fiato per la curiosità. Sperava con tutto il cuore che Leon si fosse riappacificato o che, almeno, avesse avuto una conversazione civile con l’uomo che il fidanzato tanto detestava. “- Ha detto che vuole un’altra opportunità, che ha sbagliato con me e la mamma…” iniziò il giovane, prendendo poi un grande respiro e interrompendosi di colpo, fissando il laghetto di fronte a sé con sguardo perso nel vuoto. Il sole era quasi al tramonto e tutto intorno era color arancio. L’aria era mite e una lieve brezza gli scompigliava i capelli e sfiorava i loro volti con delicatezza. “- Hai visto? Ti avevo detto che c’era una speranza!” Sorrise Violetta, poggiando la testa sulla spalla possente del ragazzo. “- Me lo deve dimostrare. E’ bravissimo con le parole, basti pensare al lavoro che fa e a come ha raggirato tutti con la faccenda di Lisandro contro Pablo e sua sorella!” sbottò il ragazzo, stringendo i pugni con nervosismo. “- Dagli tempo e fidati. Ti vuole bene.” Sussurrò quasi la Castillo, circondandogli le spalle con un abbraccio dolcissimo. “- Gliene darò. Ha ammesso che dirà finalmente la verità su Lisandro, probabilmente pagando anche in prima persona… vuole provarmi che aiuterà Pablo e Tamara e che ha capito di aver sbagliato fin troppo a collaborare con quell’idiota del commissario.” La voce di Leon era calma ma si notava che dentro era più che agitato per tutta quella situazione: il tremolio alla gamba che non riusciva a bloccare, gli occhi stanchi e la sua freddezza nel parlare ne erano la prova. “- Ci siamo abbracciati. L’ho fatto d’istinto ma quando ero in piedi tra le sue braccia non potevo più tornare indietro.” A quelle parole Violetta sollevò il capo dal corpo del ragazzo e sgranò gli occhi, fissandolo contenta per quella frase. “- Leon ma è magnifico! Sono così felice per te!” “- Ma io non so se ho fatto bene a fiondarmi così, come se nulla fosse, in quell’abbraccio!” ribatté, prontamente, il bodyguard, prendendo a fissare l’erbetta rigogliosa sotto di loro. “- Se lo hai fatto è perché hai seguito il tuo cuore e se hai seguito lui, beh… puoi stare tranquillo che hai fatto la cosa migliore!” la voce della ragazza gli fece alzare gli occhi e il verde del ragazzo si fuse con il nocciola della giovane. “- Quanto sei forte? Quanto?” sorrise, inaspettatamente, Leon, perdendosi a fissarla. “- Dopo tutto quello che hai subito io ti affliggo con i miei problemi e tu mi ascolti e mi consoli. Sono un idiota!” Esclamò il giovane, ridendo nervosamente. “- No. Sei perfetto. E siccome ovunque andavo, tu c’eri… adesso tocca a me: Ovunque tu andrai io ci sarò, Leon. Ti amo.” A quelle parole il cuore di Vargas cominciò a battere all’impazzata e gli sembrò di sognare: si pentì di averla sottovalutata, all’inizio, credendola una bambina… l’età non contava, la maturità era tutt’altro e lei lo era fin troppo, forse anche più di lui.
“- E io continuerò a starti accanto, amore mio, per sempre…” sussurrò Vargas, avvicinandosi al suo viso della giovane con delicatezza, sollevandole con una mano il mento e lasciando che lei socchiudesse gli occhi. “- Per sempre…” mormorò lei, con decisione, mentre sentiva il respiro di Leon farsi sempre più vicino alla sua bocca. Fu un attimo: lui le sfiorò le labbra dolcemente, per poi dar vita ad un bacio passionale e travolgente durante il quale la giovane lasciò scivolare le mani tra i suoi capelli setosi, scompigliandoglieli teneramente.
“- Ah, ecco dov’era Leon… era impegnato! E io che pensavo fosse successo qualcosa di grave! Ora capisco tutto!” Diego, con gli altri, era poco distante dai due fidanzati e li notò subito, facendogli borbottare quella frase divertito e ghignante, soddisfatto però dalla felicità dell’amico… lui aveva sempre capito, fin dall’inizio che Leon provasse qualcosa per la ragazza, per quanto la guardia del corpo lo volesse in tutti i modi negare. In quell’istante i due fidanzati si staccarono e, sentendosi osservati, si voltarono e si ritrovarono alle spalle il gruppo di amici che li fissava sorridendo… erano proprio una bella coppia felice e non volevano disturbarli, per cui nessuno di loro mosse un passo per avvicinarsi ai due che ricambiarono ai sorrisi. “- Dai, venite qui!” urlò Leon, facendo sì che finalmente gli amici si avvicinassero.
“- Ehi, amica! Non ti sei fatta sentire perché eri… ‘impegnata’?” esclamò, maliziosamente, Francesca, facendo sgranare gli occhi ad un’imbarazzatissima Violetta. “- Smettila, Fran! Sono così dolci! Ma mai quanto me e Dionny!” sorrise Camilla, fissando DJ che aveva un sorriso stupido stampato sul viso a solo sentir la voce della sua amata Torres. “- Stai bene?!” d’un tratto, in fondo al gruppo, Violetta vide Emma ancora con gli occhi gonfi e, facendosi spazio tra gli amici, la raggiunse, fissandola preoccupata. “- Dovremmo chiederlo a te!” balbettò lei, alzando gli occhi e ritrovandosi a specchiarsi in quelli altrettanto scuri della ragazza. “- Mi dispiace...” esclamò la Castillo, poggiando una mano sulla spalla della biondina che sorrise amaramente. “- No, sul serio! Tu non c’entri nulla, anzi!” spiegò Emma, con aria mortificata. Ogni tanto, quando stava con Thomas, guardava male Violetta e la detestava, considerandola un’amica pericolosa del suo ragazzo dato che, in cuor suo, sapeva benissimo che la Castillo non aveva mai provato nulla per Heredia ma che lui ne fosse fin troppo interessato e continuava a pensarla, anche stando con lei. Emma ne era pienamente consapevole e aveva sofferto due volte: avendo la piena coscienza di quello che sentiva Thomas nei confronti di Violetta pur essendo il suo fidanzato e, alla fine, avendo scoperto tutto ciò che aveva fatto nel tentativo di vendicarsi della giovane. “- Ragazzi! Basta tristezza! Andiamo al chiosco a prenderci dei frullati, dai!” propose Andres, correndo allegramente, mano nella mano con Andrea, verso un piccolo bar poco distante da dove si trovavano, con tanti tavolini in legno all’esterno e un’insegna allegra e coloratissima, come i frappé che servivano in quel luogo. Tutto il gruppo concordò e, camminando lentamente, si recò al luogo designato dall’amico.
“- Io devo stare vicino a Federico! Tesoro!!! Tienimi il posto!” l’urlo di Francesca fece voltare tutti i clienti del locale nella sua direzione e l’italiano si portò una mano al ciuffo, scompigliandolo un po’ imbarazzato. “- Maxi! Lo volevo alla ciliegia! Questo è all’arancia!” borbottò Nata, vedendo il rapper arrivare con due bicchieroni di succo color arancione. “- Ciliegia, dannazione! Non ne azzecco una!” disse Ponte, dandosi un leggero schiaffetto sulla fronte, dopo aver poggiato i frappé sul tavolo e sedendosi di fronte a lei. “- Vabbè non preoccuparti, è buonissimo comunque!” sorrise la mora, poggiando la sua mano su quella del giovane che tirò un sospiro di sollievo e la fissò con aria imbambolata. Ormai stavano insieme da quell’uscita al cinema ed erano felici e innamorati. Maxi sarebbe stato capace di prenderle la luna se solo la giovane glielo avesse chiesto… e lei amava vederlo così dolce e apprensivo nei suoi confronti . “- DIEGO! COSA DIAMINE MI HAI PORTATO?!” La voce stizzita di Ludmilla fece ruotare gli occhi al cielo all’agente che le servì un frullato color rosa chiaro. “- Questa è pesca semplice mentre io volevo la pesca Maracuja!” urlò la Ferro, mentre Dominguez si sedeva accanto a lei come se nulla fosse. “- E allora? La Maracuja la conosci solo tu! Non ne fanno frappé di questo tipo, almeno non qui. Accontentati, bambolina!” ghignò lui, cominciando a sorseggiare mentre anche tutti gli altri stavano prendendo posto. “- Prima di iniziare a bere…” sorrise Leon, fissando Diego che, un po’ contro voglia, allontanò la cannuccia dalle sue labbra e lo guardò stizzito. “- Volevo proporre un brindisi! A noi, alla fine di un incubo, ad amicizie appena iniziate…” “- Ed alle coppie più belle dello Studio On Beat! Ludmilla e Diego i forti! Maxi e Nata i più dolci, Andres e Andrea gli allegri, Napo e Lena i determinati, Camilla e DJ i teneri, Federico e Francesca i simpatici italiani! E, in ultimi ma non per importanza, i due ragazzi che, senza togliere nulla a voi altri, racchiudono tutte queste caratteristiche insieme: Leon e Violetta.” la voce di Emma era pacata ma decisa, face alzare a tutti i bicchieri con aria divertita e complice. Vargas, per non metterle tristezza, non voleva parlare di fidanzati ma la Toledo, felice per l’accoglienza nel gruppo, voleva ringraziarli prendendo la parola e facendo quel discorso così romantico. “- A noi tutti!” urlò Violetta, entusiasta, poggiando una mano sulla spalla di Emma. “- A NOI!” risposero i giovani, allegramente.
“- Possiamo bere adesso o avete qualcos’altro da aggiungere?” borbottò Dominguez, un po’ nervoso. “- Ingozzati pure!” lo prese in giro Vargas, ridendo e facendolo ghignare divertito. Erano un grande gruppo… diverso ma compatto, bello proprio perché vario e nessuno di loro era uguale all’altro. Aveva ragione Pablo quando, una volta a lezione, gli aveva detto che insieme erano migliori. Da soli erano mitici ma uniti… uniti era tutta un’altra storia. Il sole stava calando e le risate dei ragazzi risuonavano nell’aria. Nessun problema li avrebbe più afflitti, erano solo loro, la loro amicizia e i loro amori. 
 
 
“- Hai preparato tutto? La tavola è pronta?” Angie era nel panico più totale e andava dalla cucina alla sala da pranzo come una trottola impazzita. Era passata una settimana da tutto quello che era accaduto ed era la sera del compleanno della Saramego. “- Sei troppo nervosa! Calmati! Sono solo tua madre, mia sorella, German e i ragazzi! Non viene mica il Papa!” Sorrise Galindo, comodamente steso sul divano come se nulla fosse. “- Porta questi centrotavola di là! Sbrigati che staranno per arrivare! Sembri Matias buttato lì sopra!” rise la Saramego, innervosendolo per il paragone con La Fontaine, andandogli a spegnere anche il grande televisore al plasma. “- Lo stavo guardando quello, sai?” ironizzò Pablo, con aria stizzita, rimettendosi a sedere compostamente e andando verso il tavolo con quei due vasi ingombranti pieni di lilium bianchi. “- La porta! Vai ad aprire, per favore?” ordinò la bionda, andando davanti allo specchio per sistemarsi i capelli un po’ arruffati. “- Tam! Ciao!” la voce di Pablo le lasciò subito capire che sua cognata era lì e si avviò verso la porta per accoglierla con un bel sorriso smagliante. “- Angie! Che piacere rivederti! Buon compleanno!” sorrise la Galindo, abbracciandola con affetto. “- Grazie Tamara! Prego, accomodati!” disse la Saramego, facendole subito strada nel salone, sotto lo sguardo sereno del moro, felicissimo all’idea di vedere le sue due donne lì, felici e allegre come non mai. “- Perdonatemi, sono in anticipo, vero?” si scusò la mora, scostandosi una ciocca dal viso e portandosela dietro all’orecchio. “- Ma figurati!” in quell’istante, suonò di nuovo il campanello e Pablo che andò ad aprire si ritrovò di fronte German, Leon, Violetta e Angelica. “- Benvenuti!” sorrise l’uomo, facendogli da guida e conducendoli dalla festeggiata. “- Zia! Auguri!” Violetta fu la prima a congratularsi con la bionda che la strinse con entusiasmo. “- Auguri, Angie!” dissero, quasi in coro, German e Leon, fissandosi poi un po’ in cagnesco per aver parlato nello stesso istante. “- Mamma! Come stai?” Angie andò poi in contro alla Fernandez che abbassò lo sguardo un po’ tesa. Era passato così poco da quella serie di scoperte inquietanti e l’anziana donna ancora non riusciva a credere a quello che quel folle e il suo aiutante avessero fatto per pura voglia di vendetta contro degli innocenti. “- Sto bene, tesoro. Tantissimi auguri, figliola!” disse la donna, cambiando subito argomento. “- Grazie. Ti voglio bene!” sorrise Angie, abbracciandola forte, mentre gli altri prendevano posto a tavola e Pablo si apprestava a presentare sua sorella, un po’ in imbarazzo, agli altri commensali. La cena fu davvero ricchissima di pietanze, bevande e chiacchierate spensierate.
“- Papà, devi accettarlo! Io e Leon siamo fidanzati e tu non potrai farci proprio nulla!” ad un tratto la conversazione prese una piega inaspettata: Violetta disse quelle parole con decisione per poi appoggiare la sua mano su quella di Vargas che sorrise, abbassando lo sguardo. A German per poco non prese un colpo: si portò una mano al petto e Pablo cominciò a fargli aria con un tovagliolo. “- Stai bene?” chiese preoccupato a Castillo, vedendolo sbiancare e diventare lo stesso colore della candida tovaglia. “- Violetta! Non usare questi toni con me! E, soprattutto, questi termini!” gridò con aria disgustata l’uomo. “- German, sii più moderno, per favore! I ragazzi si amano, perché vuoi essere il solito troglodita antiquato?” la voce pacata di Angelica fece scoppiare a ridere Tamara, non solo per quelle parole mosse all'uomo ma soprattutto per il tono calmo con cui l'anziana le aveva dette.
“- Fratellone, voglio una suocera come la tua!” rise la mora, facendo ricambiare con un sorriso un po’ in imbarazzo il maggiore. “- German, io amo sua figlia, non la farei mai soffrire se è questo che la preoccupa… stia tranquillo! E poi non è contento che sono un bodyguard? Almeno potrò proteggerla sempre e comunque, no?” domandò Leon, beccandosi un’occhiataccia fugace da parte del suocero che lo incenerì con gli occhi. “- VADO A PRENDERE LA TORTA!” urlò Angie, sperando di smorzare quella tensione causata dal cognato. Si recò in cucina e, mentre si apprestava ad estrarre una torta gelato  dal freezer, sentì squillare il cellulare. “- Pronto? Dottoressa Alvarez!” in quel momento Pablo era entrato nella stanza e, nel sentire quel nome, richiuse la porta alle sue spalle e si avviò verso la donna, subito nel panico più totale. “- Le analisi? Sì le ho fatte giovedì mattina, a causa di quello svenimento di sabato… cos’è successo?... Non mi interessa della privacy ora mi ha chiamato e me lo dice! E’ o no una mia amica e un’ amica di Pablo?” Angie era preoccupatissima dalla voce del medico che l’aveva curata anche dopo l’incidente, quando era arrivata in ospedale e lei le aveva subito prestato i primi soccorsi. La bionda aveva fatto dei prelievi a causa dei suoi capogiri frequenti, di quello svenimento e il medico sembrava essere riuscita ad avere i risultati ed era pronta a comunicarglieli.
“- Cosa? ma com…? Ne è sicura?! Ok… grazie per avermi informata. Buonasera.” La Saramego riagganciò la chiamata e fissava sconvolta lo schermo del telefonino. “- Tesoro cosa c’è? Ti prego parla! Non mettermi paura!” Pablo le si avvicinò e le prese il viso tra le mani con aria disperata. La donna non disse nulla ma afferrò una mano dell’uomo e se la portò sull’addome. Lui la fissò un po’ sconcertato compiere quel gesto e, per quanto fosse astuto, non capì subito. “- Angie che significa?” balbettò, guardandola intensamente negli occhi, ancora preoccupatissimo. “- Significa che presto saremo in tre… Sono incinta, Pablo.” Mormorò lei facendogli un mezzo sorriso e sperando che l’uomo la prendesse bene. “- Sei…? Tu…? Io…? Tre...? Noi…? Oh santo cielo è meraviglioso!” urlò, balbettando Galindo, catapultandosi tra le sue braccia e stringendola forte, facendola scoppiare a piangere di gioia e commuovendosi a sua volta. “- Ti amo! Ti amo più della mia vita, Angeles Saramego! Mi hai fatto il regalo più bello che potessi ricevere in tutta la mia esistenza!” esclamò Galindo, prendendole le mani e osservandola con aria dolcissima. “- Ti amo anch’io. Saremo felici tutti e tre, ne sono più che certa!” sorrise lei, prima di baciarlo con passione. “- DIVENTERO’ PAPA’!” urlò Galindo, prendendola in braccio e facendola roteare a mezz’aria, per poi riportarla subito con i piedi per terra. “- Ed io mamma… caspita, mi sembra tutto così… strano!” sorrise la donna, conducendolo poi in salone, tirandoselo per un braccio. “- E il dolce dov’è finito? Ve lo siete mangiati da soli in cucina?” scherzò Violetta, notando subito le facce complici degli zii. “- Dobbiamo dirvi una cosa… il dolce lo porto dopo. Ho ricevuto una telefonata dall’ospedale.” A quelle parole tutti si fissarono un po’ in ansia e pendevano dalle labbra della donna che li osservava attenta, mentre Pablo le cinse la vita con un abbraccio. “- E allora?” chiese Angelica, in panico. “- E allora… presto diventeremo la famiglia Galindo. Aspetto un bambino.” Spiegò la donna, facendo strillare di gioia la nipote e applaudire felice Tamara. “- Un cugino! O cugina! Che bello sono al settimo cielo!” urlò la ragazza, andando subito ad abbracciare la zia. “- Complimenti collega!” rise Leon, dando una pacca sulla spalla a Galindo che diventò di colpo violaceo in viso. “- Ah! Diventerò zia!” rise Tamara esultando come se fosse allo stadio. “- Ed io nonna! Per la seconda volta! Congratulazioni, tesoro mio! Sarete felicissimi e vi auguro tutto il meglio! Un bambino sarà una gioia immensa per tutti, dopo tanto dolore una splendida notizia come questa ci voleva!” esclamò Angelica, con tono pacato e amorevole, sorridendo nel vedere la figlia finalmente felice con accanto un uomo che l’amasse sul serio, con tutto sé stesso, con tutto il suo cuore e che la rendesse serena e gioiosa come era sempre stata, prima che tutto quel tremendo periodo fosse iniziato. “- Un Galindino! Speriamo assomigli alla mamma!” disse German ridendo e fissando Pablo che alzò un sopracciglio, stizzito. “- Sono così brutto? Grazie Castillo! Sarai bello te!” si lamentò il bodyguard, fingendosi offeso. “- Ma dai! Sei bellissimo, ignora mio cognato!” sorrise Angie, schioccandogli un bacio sulla guancia. “- E’ un bel regalo di compleanno, no? Mi sa che supererà di gran lunga tutti i nostri messi insieme!” aggiunse Leon, fissando i pacchetti ancora incartati e disposti su un mobile basso sotto alla finestra. “- Il regalo migliore che potessi ricevere.” Sussurrò quasi la donna, sfiorandosi la pancia con una mano e appoggiando la testa sulla spalla del suo fidanzato che le accarezzò dolcemente i capelli. Erano finalmente sereni e felici, tutto quello che era successo doveva riuscire a diventare solo un brutto ricordo lontano per tutti loro e ci sarebbero riusciti: l’amore gli avrebbe fatto superare tutto, rimarginando anche le ferite più profonde… erano una grande famiglia e si sarebbero fatti forza l’uno con l’altro e nessuno sarebbe mai stato lasciato da solo.
 
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Fine! The end! Ah, quanto amo i lieto fine e qui ce ne voleva proprio uno, dopo quello che hanno passato i nostri poveri protagonisti in tutta la vicenda così travagliata! Il momento Leon/avvocato Vargas lo adoro! <3 e la parte Leonetta al parco? E quella con gli amici ed Emma? E il finale Pangioso con un piccolo/a Galindino in arrivo? *_* Niente, amo questo finale e spero piacerà anche a voi… manca un commovente epilogo, pronti? Ringrazio già tutti voi di cuore, siete stati meravigliosi e ho adorato alla follia le vostre splendide recensioni! :3 Grazie, grazie, GRAZIE! Alla prossima, ciao! :)

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Capitolo 31
*** Epilogo - Tre anni dopo... ***


Ti dovevo una risposta da fin troppo tempo e, finalmente, eccomi qui, penna e carta, pronta per scrivertela. Sì, so che puo' sembrare assurdo, strano e inutile... tu nemmeno potrai mai leggerla… ma era il minimo che potessi fare dopo che hai tentato di salvare la mia vita e quella di Violetta con la lettera che tentasti di farmi ricevere tu anni fa, ma che, purtroppo, prima di arrivare dalle mie mani, è passata per quelle di quel pazzo di cui non riesco nemmeno a pronunciare o a scrivere il nome…  
Sai che non sono una grande scrittrice e, infatti, potrai intuire come sia bizzarro il solo fatto che io mi sia messa a rispondere a quella tua missiva, ma mi sentivo in dovere di farlo, di dirti grazie, di sentirti ancora viva e pronta a leggere questo foglio e a sorridere nel vedere cosa è venuto in mente alla tua sorellina.
Ormai sono passati tre anni da quell’incubo che abbiamo vissuto io e tutta la nostra famiglia: anni in cui la vita è sembrata migliorare radicalmente, proponendoci tante gioie come se volesse farsi perdonare del mare di dolore in cui ci aveva abbandonati per tutto quel tempo in cui siamo state in balia della mente malata di quell’uomo e di quell’inetto del suo assistente, ormai condannati al carcere a vita per tutto ciò che hanno fatto… ti ha tradito, Maria, ti ha strappato via da tutti noi, da me, dalla tua bambina, da German il tuo unico vero amore e non glielo potrò mai perdonare, anzi, nemmeno mi passa per la testa l’idea di poterlo fare. Dopo tanto tempo dalla tua scomparsa, finalmente, sono riuscita a farti omaggio come dovuto e credimi, è stato doloroso come immaginavo ma, prima o poi, sapevo che solo riuscendo a varcare quel tetro cancello di ferro ti avrei potuta salutare come meritavi. Questa mattina, nell’anniversario che odio di più al mondo, ovvero quello della tua scomparsa, sono riuscita a metter piede per la prima volta in vita mia al cimitero e ammetto che, se non avessi avuto il sostegno di Pablo, probabilmente non ce l’avrei fatta. Ma lui c’era, lui c’è sempre e penso sia il regalo migliore che la vita abbia potuto farmi insieme alla nostra piccola Maria, nostra figlia. Non potevo pensare ad un nome migliore quando ho saputo che sarebbe stata una femminuccia e, quello che ormai posso dire mio marito, dato che l’anno scorso siamo convolati a nozze, era pienamente d’accordo con me. Dovresti vederla, sorellina mia! Ha stravolto completamente la mia esistenza e quella del suo papà in meglio e, oltre ad assomigliare molto a noi due, con i suoi occhi scurissimi e i capelli color miele, assomiglia tanto anche a te e in qualche modo, ogni volta che la guardo mi ricorda la tua dolcezza, il tuo sorriso, insomma, ricorda molto quella che sarebbe stata la migliore zia del mondo. Quanti consigli avrei da chiederti, quante cose avrei ancora da dirti... e non poterlo fare mi fanno montare una rabbia e una tristezza dentro che non immagini... Ormai sono ritornata quella che ero prima che tutto questo accadesse, quella persona fragile che ero o che forse non ero mai riuscita a nascondere del tutto, ma tu mi amavi con questo mio carattere imperfetto e lo stesso dice Pablo che, per fortuna, sono sicura mi ami sopra ogni cosa, con i miei pregi e la marea di difetti che fanno parte di me. La sua vita in questo periodo è davvero tutta un’altra storia e il passato sembra un dettaglio lontano, e non parlo solo di me e della piccola Maria ma del suo lavoro… è successa una cosa che ha dell’incredibile, dell’inaspettato: l’avvocato Vargas, suppongo per recuperare appieno il rapporto con suo figlio, ha testimoniato contro Lisandro raccontando tutta la verità e tutti i loschi affari che avevano architettato contro il mio povero Galindo, andandoci di mezzo lui stesso e facendo riottenere il posto di lavoro a Pablo che, ormai, è di nuovo il commissario più importante di tutta Buenos Aires. Sono al settimo cielo per lui, non sai quanto se lo meriti… alla fine ha vinto la giustizia, in tutti i sensi. Lui ha riottenuto il posto ma, buono com’è, ha fatto in modo che né Rodrigo Vargas, né Lisandro andassero in galera… è grazie a lui se hanno solamente perso il lavoro… ed io sono sempre più fiera di lui, troppo! Ha avuto quello che ha sempre meritato, quello che è sempre stato suo e chi ha sbagliato ha pagato con il licenziamento in tronco. Ora è di nuovo il commissario Galindo e nella sua squadra vi sono due agenti molto speciali: Diego Dominguez, già nel team di Lisandro in precedenza, che non fa altro che venerarlo come se fosse il suo dio, una divinità, un esempio di legalità da seguire e, dulcis in fundo, Leon Vargas, fidanzato ufficiale della tua bambina, Violetta. Pablo sapeva che il ragazzo avesse intrapreso la strada del bodyguard solo per ripicca ai gesti del padre e lo ha convinto, alla fine, a ricominciare d’accapo, con l’accademia di polizia e tutto il resto. Il ragazzo è riuscito, finalmente, ad intraprendere il lavoro che aveva sempre sognato fin da bambino ma che i piani di suo padre avevano mandato a monte. Lui è un giovane ambizioso e orgoglioso, voleva farcela con le sue forze e, alla fine ci è riuscito, lasciando anche suo padre a bocca aperta per tutti i riconoscimenti che sta ottenendo nel campo a cui aveva sempre puntato: quello della polizia.
Violetta non puo’ credere ai suoi occhi e, sinceramente, la vedo felice e innamorata come mai in vita sua… Vargas , come Pablo per me, ha condiviso con lei un periodo difficile della sua vita e il fatto che ancora oggi le sia accanto indica che tra di loro c’è un legame fortissimo, un amore sincero che durerà nel tempo… forse l’unica cosa positiva di quel maledetto tempo così negativo che abbiamo vissuto è stato proprio incontrare Leon e Pablo… non riesco a trovare altri lati buoni alla faccenda! Dovresti vedere quanto sono belli quei due fidanzati! Sono sempre così dolci e ti posso assicurare che sono entrambi molto maturati rispetto a tre anni  fa… Violetta continua a frequentare lo Studio On Beat dove insegno ancora, e lì si è formato davvero un bel gruppo di amici! Le vogliono tutti un mondo di bene e come biasimarli? Tua figlia è un amore, una di quelle persone che non si incontrano così facilmente, di quelle che se le trovi bisogna far attenzione a tenerle ben strette al proprio cuore.
Marotti, il produttore discografico, l’ha notata già da qualche mese e credo che molto presto le farà anche incidere il suo primo album! Lei non lo sa ancora ma ho sentito quell’uomo parlare con Antonio e sono felicissima! Ma non glielo voglio dire io, deve essere una sorpresa colossale! Immagino quando lo saprà e inizierà a fare i salti di gioia! Che bello! Sai, vederla felice rende felice anche me e, ancor di più, suo padre! A proposito di German… Speriamo che non cominci a fare storie quando saprà dei primi passi per la carriera brillante che aspetta la sua piccola, la vostra piccola che ormai è una signorina dolce e gentile con il dono di un grande talento nel campo musicale, ereditato proprio da te, Maria! Già è stata dura fargli accettare il fidanzamento con Leon, speriamo che con il CD non sia lo stesso! Povero Vargas, quanti scontri ha dovuto subire prima di riuscire ad entrare a villa Castillo senza essere cacciato in malo modo! Tuo marito ha un carattere tremendo, lasciatelo dire! Per fortuna, dopo vari discorsetti fattigli da tutti noi, sembra essersi calmato, ha capito che il ragazzo è un’ ottima persona e lo sta, a poco a poco, cominciando ad accettare in casa sua, sempre volendolo a diversi metri dalla figlia e, semmai dovesse salire in camera della giovane, pretende ancora che la porta sia lasciata aperta per passare a controllare…! E’ incredibile, bisogna ammetterlo! Che poi, per fortuna dei fidanzatini, in questo periodo è ritornato a lavorare e in casa c’è veramente poco e, quando c’è, si mette a parlare ore ed ore con l’avvocato Ferrara, la mia amica, Esme… lui usa la scusa dei processi e delle indagini, ormai concluse già da un po’ per rivederla… io, invece, sono sicura che in qualche modo sia affascinato da lei ma che non lo ammetterebbe mai, neppure sotto tortura! Lei è una donna forte e determinata, un’ avvocato giusto e corretto e sono sicura che, seppur dovesse scoccare la scintilla tra quei due, sarebbe di sicuro una bella persona per lui e per Vilu… anche se sono convinta che, il suo cuore apparterrà per sempre a te e che nessuna riuscirà a toglierti dai suoi pensieri. Sei parte di lui come lui lo era di te e questo è di sicuro quello che resterà per sempre. Come dice sempre la mamma: “L’amore, quando è vero, non puo’ essere spezzato nemmeno dalla morte…” e così sarà per anche per noi, sorellina, sia per quanto riguarda l’amore di tuo marito che per quanto riguarda quello di tutti noi che ti volevano bene. Mi ricordo ancora il periodo in cui ero la "regina" dell’Amnesia, durante il quale pensavo che non vi fossero speranze per me… ma mi sbagliavo e la cosa che mi fa più male e che rimpiango ancora oggi è aver fatto soffrire nostra madre a causa della mia stupidità, forse del mio egoismo nel voler per forza fuggire dal dolore, della mia vita completamente sbagliata in quel dannato periodo. Lei ha sempre creduto che potessi tornare quella che ero ed ha sempre avuto ragione. Non ti dico com’è contenta di stare con la sue due nipotine che, tra l’altro, si adorano come fossero sorelle più che cugine! Mamma dice che in Maria e Violetta rivede me e te da piccole e che la cosa le mette un po’ di malinconia ma le fa anche tanta tenerezza… e  grazie alle due, finalmente, sembra che stia cominciando a distrarsi un po’ anche se sono sicura che sei costantemente nella sua testa e nel suo cuore e niente potrà mai colmare il dolore che lascia in una madre la perdita di un figlio. A volte penso a come sarà stato doloroso per lei tutta questa tremenda situazione… adesso sono madre anch’io, soltanto ora posso realmente immedesimarmi in lei. Voglio starle accanto per riparare a tutti gli errori che ho fatto, voglio vederla di nuovo sorridere e, anche se so che ci vorrà del tempo, io devo esserle vicina e smetterla di comportarmi in maniera folle per farla soffrire ancor di più. Mi vergogno di quella che sono stata, sorellina mia, non immagini quanto schifo ed odio provi per me stessa… se sono cambiata è solo merito di Pablo e non gliene sarò mai grata abbastanza… ero persa ma lui ha creduto in me sin dal  primo istante in cui mi ha vista e non ha smesso mai, neppure nei momenti più difficili, di starmi accanto anima e corpo e sono certa che così sarà sempre. E’ così bello vederlo felice e innamorato di me e della nostra piccolina! Quando sta con lei perde la testa dalla gioia, l’adora più della sua stessa vita e lo stesso dice di me, “Le sue principesse!” sorride lui, ogni volta che ci vede... Avendo di nuovo il suo incarico di commissario non c’è moltissimo in casa e Maria, che già stravede per lui, gli corre incontro entusiasta quando torna a casa la sera… sono splendidi i due miei amori e non avrei mai immaginato di dirlo ma forse, adesso, posso ammettere di essere felice di qualcosa. Felice di essere diventata la signora Galindo, felice di essere mamma e felice che tutto quell’incubo, ormai, sia solo un brutto ricordo lontano. A scuola dopo l’accaduto hanno assunto un nuovo insegnante di musica, un certo Guido… un tizio che conoscevo di vista... e che Pablo odia a morte! E’ gelosissimo e sto cominciando ad avere il sospetto che faccia le sue scenate solo per sentirsi dire ogni volta quanto lo ami e quanto mi faccia bene stare con lui… ormai dovrebbe saperlo bene dato che glielo ripeto in continuazione! Ma il tipo con cui si era già scontrato alla pista di pattinaggio proprio non se lo immaginava a lavoro allo Studio, fianco a fianco con me… ci ha parlato e ha capito che non ci proverebbe mai con una donna sposata ed era sembrato tranquillizzarsi… già, sembrava! Perché adesso, la cosa che sopporta ancor meno è che, pare che Guido stia uscendo con Tamara, sua sorella! Non immagini quanto sia geloso anche con la poveretta! Lei, finalmente, sembra aver messo un po’ la testa a posto e, nonostante le ire del fratello così possessivo, si sta vedendo con l’insegnante e sembrano davvero sereni insieme… cosa che sto tentando di far capire in tutti i modi anche a quel gelosone, testone di mio marito che finge di non capire ma che, in fondo, è contento nel vedere la sorellina che si sia data una calmata dalla sua vita di fatta di trasgressione , discoteche e cattive compagnie. Insomma, la vita è ripresa con semplicità e tutto sembra essersi a poco a poco sistemato ma non del tutto, e sai perché ti dico così? Perché tu comunque non sei più qui con noi purtroppo, e non c’è giorno in cui non pensi a te. Maria, non hai idea di quanto mi manchi, di quanto la tua assenza si faccia sentire forte nella mia vita, di quanto senta un dolore profondo al solo pensiero del fatto che tu sia andata via così presto, invece di veder crescere, accanto al tuo amato marito, la tua bambina talentuosa come te e con il tuo stesso dolce sorriso.  Sei e sarai sempre nei mio cuore… io non so di preciso cosa ci sia dopo la morte né sono in grado di immaginarlo, anzi, ti dirò di più, sono l’ultima persona che puo’ mettersi a dare lezioni di teologia sull’Aldilà, ma sono certa che, ovunque tu sia adesso, ci proteggerai sempre e veglierai su di noi, sulla tua Vilu. Il tuo ricordo rimarrà sempre vivo in me, i nostri momenti passati insieme, la tua voce melodiosa che riecheggiava in casa, le liti, le risate, le canzoni, l’affetto, gli abbracci… tutto quello che abbiamo vissuto, niente escluso. Ti voglio bene, Maria, non lo dimenticare mai,
 
 
Con affetto, la tua Angie.
 
 
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 Epilogo! A me fa piangere, ogni volta che lo rileggo ho sempre le lacrime agli occhi… premetto che amo Angie in questa ff, già mi piace molto come personaggio ma il carattere che ha avuto in questa storia me l’ha fatta adorare… dovevo per forza farle rispondere a quella lettera, trattando il suo punto di vista… ringrazio tutti quelli che hanno seguito con affetto questa folle storia, grazie di cuore! Grazie, grazie e ancora GRAZIE!
Devo ringraziare i miei affezionati recensori, in particolare:
 
sweet_trilly:  Sei sempre stata troppo gentile e le tue imprecazioni sul “filo d’erba”, sul folle e su Lisandro mi hanno fatto sbellicare! XD Per non parlare di quanto ho adorato i nostri scleri Leonettosi e Pangiosi… a proposito… ho trovato un’altra Pangie! Ora mi commuovo… :’) Grazie, sei mitica e sei davvero una grande autrice! Non so davvero come ringraziarti! Grazie ancora, di vero cuore! <3
 
syontai: Eccoci! Allora, tu sei un autore eccezionale e ho adorato tantissimo le tue recensioni meravigliose! Grazie davvero di cuore per aver seguito con tanto affetto la mia folle storia e per tutti i complimenti che mi hai sempre fatto! Grazie, grazie e ancora GRAZIE! :D E W i nostri scleri Leonettosi! :3
 
Ary_6400: sempre molto gentile e costante nel recensire, davvero grazie di cuore per le splendide recensioni! :3 (l’unica che ci aveva preso già dal penultimo capitolo sul figlio Pangioso in arrivo! XD Olé :D)
 
Morgana1994: anche se in alcuni punti so che la storia ti ha messo ansia… (e hai pure ragione…) XD ti ringrazio di vero cuore per avermi seguita con tanto affetto! Grazie! :3
 
cucciolina 1210: grazie mille anche a te, sempre costante nel recensire ogni capitolo con degli splendidi commenti! Grazie di cuore! :D
 
cucciolapuffosa: le tue teorie sono state sempre stupende e mi dispiace aver dato sempre pochi indizi... ma se dicevo tutto poi che gusto c'era a risolvere il caso? XD Però ci avevi preso su Thomas… Brava! :D E grazie mille per la marea di complimenti e le recensioni splendide! :3
 
leonettissimapersempre: Anche tu sei sempre stata gentilissima lasciandomi splendide recensioni! Grazie infinite! :D
 
Anne Hepburn: Grazie mille anche a te e w i nostri scleri Leonettosi e Pangiosi! Che bello ho trovato un’altra Pangie… olè! XD :3 Grazie ancora! <3
 
Ancora grazie di cuore agli altri che hanno recensito:
 
DaniLeonetta
Jortini99
Francesca_3107
gior_gia_28
MarcescaLeonetta1812
Giuly sapientona 2000
arianna17
Supernova_151
Dolceluna83
leonetta03
 
 
Grazie anche a chi ha inserito la storia tra le preferite/ ricordate/ seguite … <3 Mi raccomando, lasciate un commentino per farmi sapere come avete trovato nel complesso tutta la ff! Sperando di non aver dimenticato nessuno e che la storia vi sia piaciuta, vi saluto! Alla prossima storia, ciao! :)
 

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