I nostri eroi a Hogwarts

di flautista_pearl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** Diagon Alley [parte1] ***
Capitolo 3: *** Diagon Alley [parte2] ***
Capitolo 4: *** Binario 9 e ¾ ***



Capitolo 1
*** La lettera ***


La lettera
 
La calda luce del sole che sorge, si posa delicata sulla mia bianca pelle. È mattina. Ed io ancora a letto, non mi sono alzata. Sono una pigrona. Sì, anche nel giorno del mio compleanno, 22 giugno.
Mi rintanai sotto la coperta, al riparo dalla luce accecante del sole e affondai il mio viso nel cuscino.
«Lucinda svegliati, devi venire ad aiutarmi», urlò mia madre dal piano di sotto.
«Altri cinque minuti», grugnii la solita risposta.
Ma non poteva sistemare Coca-Cola, Sprite, pizzette, pasticcini, pop-corn, patatine e roba varia sui tavoli con la magia? Cavolo! È una delle migliori Auror che il Ministero della Magia abbia mai avuto! Ha ottenuto tutti Eccezionale in tutte le materie ai M.A.G.O.! E adesso non riesce nemmeno ad usare un Incantesimo Levitante! Merlino! Ma cosa succede?! Che mia madre sia sotto la maledizione Imperius? Impossibile. E da chi poi? Nessuno, a meno che… Mi alzai di scatto, scesi le scale correndo e mi ritrovai davanti una Olga Winslow a dir poco adirata.
«Ce l’hai fatta a scendere!», sbottò mia madre, scrutandomi torva.
«Credevo che fossi stata assalita dai Mangiamorte! E poi pensavo che tu potessi usare magie», mi giustificai.
«Certo che posso fare magie!», sbottò, «Ma, ovviamente, non davanti ai nostri vicini di casa, faremo la festa in giardino».
No, perché proprio in giardino? Fa caldissimo, siamo in estate!
Mamma mi fulminò con uno dei suoi sguardi prima che potessi controbattere. «Comunque, cos’è questa storia dei Mangiamorte?», domandò lei.
«Niente», dissi immediatamente ma mia madre, come al solito, inarcò un sopracciglio ed intuì che c’era dietro qualcosa.
«Vado di sopra a farmi una doccia», dichiarai con voce tremante correndo per le scale e chiudendomi a chiave in bagno. Salva. Per un attimo credetti che mia madre mi avesse lanciato un Legilimens. Merlino! Ma cosa frulla la mia testa malata proprio oggi? Mangiamorte che attaccano mia madre. Sveglia Lucinda, tua madre è la più grande Auror di tutti i tempi, credi che non sappia difendersi?
Mamma era diventata diversa da quando papà, Babbano, ha scoperto che sua moglie, ossia Olga Winslow, ossia mia madre, è una strega e fu così che divorziarono; avevo quattro anni quando mi chiesero con quale genitore stare, ma una disgrazia colpì la mia famiglia poco dopo la separazione: mio padre venne assassinato da un gruppo di Mangiamorte davanti ai miei occhioni blu. Mamma accorse subito ma non fece in tempo, i Mangiamorte si smaterializzarono prima che arrivasse ma lasciarono un biglietto vicino al corpo senz’anima di mio padre:

 
Non ti sei unita a noi Olga Winslow, adesso ne paghi le conseguenze
 
Mia madre si è rassegnata ad ammettere che aveva dato alla luce una figlia Maganò. Io, Lucinda Winslow, figlia della più grande Auror Purosangue, Olga Winslow, e di un Babbano, non è riuscita neanche a fare una piccola magia, niente, non sono nemmeno riuscita a far volare una piuma. Perciò se oggi non succederà un miracolo, posso dire addio alla mia lettera per Hogwarts e posso dire di essere già iscritta in uno squallido collegio.
Dopo l’estate mamma dovrà riprendere la caccia ai Mangiamorte che uccisero mio padre, erano sette, di cui tre ad Azkaban, perciò ne mancano all’appello quattro. Mia madre vuole che stia al sicuro, ha paura che uno di quei Mangiamorte mi possa uccidere perché lei, Purosangue, non si è unita con loro.
Le solite madri protettive, è quello che dico sempre io.
Lo scopo dei Mangiamorte dopo la caduta di Voldemort è “purificare” il mondo da Babbani, Nati Babbani e perfino Mezzosangue ed io faccio parte dell’ultima categoria.
Mi buttai sotto l’acqua fredda della doccia, che in quel momento credevo che fosse la cosa più bella del mondo. Scacciai via i brutti pensieri e concentrai la mia mente al mio compleanno; sarebbe venuta un quarto di Due Foglie a casa mia, tra cui Kenny, Leona, Barry, Palmer, il Prof. Rowan, a festeggiare in giardino il mio undicesimo compleanno.
Uscii dalla doccia, mi asciugai i capelli lasciandoli leggermente umidi, andai in camera mia e mi fermai, come al solito, davanti l’armadio, con la solita domanda che ogni ragazza si pone prima di un momento speciale.
E adesso cosa mi metto?
La festa si terrà in giardino e con il caldo che farà… mi metterò una maglietta e jeans, non si sbaglia mai con questo look… almeno credo.
Scesi le scale ma, prima che potessi toccare con la punta del piede destro l’ultimo gradino, mia madre mi squadrò.
«E la festeggiata si veste con t-shirt celeste, jeans e infradito sempre celesti?», ironizzò mia madre.
Mi guardai le infradito, i jeans e infine la maglietta. «C’è qualcosa che non va?», chiesi.
«Oh, no, niente cara, pensavo che potevi metterti qualcosa di elegante. Per esempio, quel vestito bianco nel tuo armadio, hai presente?».
Sì, che ho presente. Con il colletto, di pizzo, con fiocchi da tutte le parti, lo odio. Mi faceva sentire una donna del '800 tremendamente snob, in poche parole orribile.
«Ma tu in ogni caso, Lucinda, puoi vestirti come ti pare. Sei tu la festeggiata».
Ben detto mamma, sono io la festeggiata e di conseguenza mi vesto come mi pare. Ghignai.
Mamma mi lanciò uno dei suoi sguardi. «Porto le bibite fuori», affermai.
«Sì», borbottò mia madre. Risi sotto i baffi, presi le bibite dalla cucina e li posai sul tavolo in giardino.
Erano le quattro del pomeriggio ed era tutto pronto per la festa, sarebbero arrivati fra mezz’ora.
Il campanello suonò, mi alzai di scatto dal divano, chi poteva essere adesso? Sono stata esplicita negli inviti la festa è alle 16, 30. Suonarono un’altra volta.
«Lucinda vai ad aprire, sono occupata con la torta», tuonò mia madre dalla cucina, così andai ad aprire.
Un uomo sulla sessantina d’anni mi abbracciò. «Buon compleanno, Lucinda!».
«Oh, professore!», mi sorprese, chissà perché è venuto in anticipo.
«Professor Rowan!», esclamò mia madre venuta dalla cucina. Sì, certo, “occupata con la torta”, come darle torto.
«Professore, la stavo aspettando», disse mia madre, «venga in cucina».
«Prima che me ne dimentichi, questo è per te Lucinda», mi diede una busta. «Grazie, professore!».
Mi sedetti sul divano cercando di sbirciare nella busta, ma come avrei dovuto prevedere era sigillata con la magia. Cosa dovevi aspettarti da un mago come il professor Rowan? Di tutto, anche dal sigillare la busta che contiene un regalo di compleanno con un incantesimo, era una sua mania che era cominciata quando era il mio settimo compleanno, non riuscivo ad aprire il pacco allora ero costretta a chiedere a mamma di levare l’incantesimo. Abbandonai la speranza e posai la busta sul divano.
Mi accorsi che mamma e il professore stavano ancora in cucina a discutere. Mi avvicinai alla porta in punta di piedi e cercai di origliare, ma non si sentiva niente. Ovvio, Incantesimo Imperturbabile, mai che non lo usasse mia madre per parlare. Merlino! Ma io sono l’unica in questa casa che non sa fare magie?! Quanto li invidio, loro con un  colpo di bacchetta possono fare tutto ciò che vogliono. Adesso so come si sentono i Babbani, però in un certo senso i Babbani non sanno che la magia esiste quindi posso autoproclamarmi la persona più sfortunata del mondo. Posso fondare un club per tutti i Maghinò di Sinnoh, il problema e che l’unica Maganò della regione sia io.
Uscii fuori a prendere una boccata d’aria, l’avevo detto io che faceva un caldo bestiale e mamma vuole fare la festa in giardino, solo Morgana sa cosa le è passato per la mente.
Sentii delle voci. Erano quelle di mamma e del professore: avevano lasciato la finestra della cucina aperta, per la prima volta sentii una sua conversazione senza nessuna porta con sopra un Incantesimo Imperturbabile in mezzo.
Parlavano di me, di come io non sia ancora riuscita a fare magie, dei Mangiamorte che uccisero mio padre, del mio futuro collegio e del regalo di compleanno che mi ha dato il professor Rowan.
«C’è solo un modo per sapere se tua figlia può fare magie», disse il professore a mia madre.
«E qual è?», sospirò mamma, «Dubito che funzionerà».
«Abbi un po’ di speranza, Olga. Hai presente la busta che le ho dato».
«Sì», rispose non poco convinta. Che caspita centrava col fatto che io sia una Maganò?
«Il fatto è che la busta si apre quando una strega cerca di aprirlo, perciò dobbiamo solo aspettare, l’ho fatto anche l’anno scorso ed anche l’altro». Il problema è che io ho provato ad aprirlo ma non ci sono riuscita, perciò addio Hogwarts.
«Ciao, Lucinda!», sussultai, mi girai, «Ciao, Kenny», risposi ringhiando, mi aveva interrotta.
«Che ci fai accovacciata sotto la finestra?», domandò.
«Io? Niente. Ehm, mi era caduto il braccialetto», risposi.
«Beh, Lucinda, tanti auguri di buon compleanno».
«Grazie, Kenny!», gli saltai al collo. Sciolsi l’abbraccio, per poterlo far respirare, l'ho praticamente strangolato. Lo vidi che inspirava aria a fatica e avrei giurato che le sue guance si siano tinte di un leggero rossore. Con lo sguardo abbassato mi porse il suo regalo incartato in una carta azzurra.
«Vuoi da bere?», gli proposi.
«Ehm, sì, grazie».
«Gli altri arriveranno a momenti», dissi guardando il mio orologio da polso che segnava le 16, 35.
«Prima che me ne dimentico, mamma e papà arriveranno fra qualche ora, stanno ancora al ministero».
È già, il mio migliore amico è un mago, Mezzosangue, entrambi i genitori Nati Babbani, anche Barry è un mago ed anche lui Mezzosangue, madre Babbana e padre Purosangue, l’unica Babbana del nostro gruppo è Leona.
Fortunatamente gli altri arrivarono dopo poco, ci siamo riuniti sotto l’ombra di un albero e Leona propose di giocare ad obbligo e verità.
«No, Leona, no e poi no!», esclamò Kenny che all’improvviso divenne rosso come un peperone.
«Io invece ci sto!», ero entusiasta, erano secoli che non ci giocavamo.
«Anch’io!», disse Barry eccitato. Strano l’ultima volta che ci abbiamo giocato si è ritrovato a fare cento piegamenti con una mano ed aveva detto che non ci avrebbe mai più giocato, l’aveva considerato un gioco stupido ed infantile.
«Perfetto, giochiamo tutti!», si esaltò Leona.
«Ma io ho detto di no!».
«Oh, Kenny ma lo sappiamo che volevi dire tutto il contrario», rispose Leona, «Comincio io per prima! Allora Barry obbligo o verità?».
Il biondo ci penso su qualche secondo e rispose. «Obbligo».
Sgranai gli occhi alla sua risposta, perché obbligo? Sai benissimo che Leona è una ragazza furba e ti darà un ordine faticoso.
«Mmm, fammi pensare. Dunque… Fai il perimetro della casa per quindici volte correndo».
Okay, non pensavo che la mia migliore fosse così maliziosa. Per la barba di Merlino! Se fosse una strega sarebbe smistata a Serpeverde.
«Bene! Quindici volte il perimetro della casa. E che sarà mai. Sarò anche disposto a scalare il Monte Corona!», così si alzò e cominciò a correre.
Non esagerare Barry non so se sarai ancora vivo dopo la corsa. Infatti dopo il decimo giro strisciava sull’erba come un Arbok. «Dai, ce la posso fare», grugnì.
Barry non ce la farai, te lo dice una che conosce molto bene Leona.
«Non ce la farai, Barry! Bene, a questo punto tocca ancora a me», la ragazza spostò lo sguardo dal defunto a me e Kenny, «Kenny!», il ragazzo trasalì. «Sì?!».
«Obbligo o verità?».
«Ehm, obbligo». Ma ti si è fumato il cervello? Per le mutande di Merlino! Hai visto cosa ha fatto fare a Barry? Oh, anche gli occhi ti sono andati a fuoco?
«Mmm… dai un bacio a Lucinda».
Cosa?! No cara Leona, tu non mi rovini il mio primo bacio in questo modo. Okay, la mia migliore amica non era così, non è così. Chiunque tu sia esci subito dal suo corpo, rivoglio la mia Leona! Poi, proprio il mio compleanno devono succedere queste cose? Circe ma cosa ho fatto di male io? Alzai gli occhi al cielo sperando che qualche angelo liberi la mia amica dal demone, ma non vidi nessuna figura alata scendere. Spostai lo sguardo su Kenny, rosso come un semaforo.
«Su avanti baciatevi!», ci incitò Leona.
Tranquilla Lucinda, questo è solo un brutto sogno, respira profondamente.
«Ma proprio sulla bocca?», domandò Kenny.
«Sì», rispose.
«Ma…», obbiettai, «perché non facciamo sulla guancia, non puoi rovinarmi il mio primo bacio in questo modo».
«Oh. E va bene, se no facciamo notte adesso».
Chiusi gli occhi e gli detti un bacio sulla sua guancia, mi accorsi che era bollente. Aveva lo sguardo fermo, gli passai una mano davanti.
«Okay, lo abbiamo letteralmente perso», dichiarai passando una seconda volta la mano davanti agli occhi. Lo scrollai e fortunatamente si svegliò.
«Che mi sono perso?», chiese Barry arrivando strisciando sull’erba.
«Il bacio tra Lucinda e Kenny», rispose Leona.
«Bene. Cosa?!».
«Niente, Barry. Niente», risposi prima che Leona potesse intervenire, «Su, andiamo a mangiare».
Ci abbuffammo al tavolo: patatine, pop-corn, pizzette, pasticcini al cioccolato, alla crema, alla vaniglia, di tutto.
Sentii l’inconfondibile voce di mia madre gridare: «Lucinda, ragazzi entrate a scartare i regali».
«Mamma arriviamo!», risposi.
Ero seduta sul divano, con una ventina di occhi puntati su di me che scartavo uno ad uno i regali. Mi sono assicurata che l’ultimo che avrei scartato fosse quello del professor Rowan. Ero arrivata al penultimo regalo, quello di Kenny, una carinissima collanina d’oro, quando ad un certo punto, fissai l’ultimo regalo accanto a me. Datti forza Lucinda! Merlino cosa può fare un regalo? Lo presi, me lo passai tra i polpastrelli, il ritmo del mio cuore accelerò, sentì una vampata di calore diffondersi in tutto il mio corpo. Cominciai ad aprirlo, chiusi gli occhi e strappai la carta. L’avevo aperto! Non ci posso credere! Ma strano non avevo fatto nessuna magia nelle ultime ore. Incrociai lo sguardo di mia madre e del professor Rowan, avevano gli occhi sgranati ed erano anche un po’ bassi, li guardai meglio, a dire il vero erano tutti un po’ bassi. Guardai per terra. Morgana! Stavo fluttuando! Guardai Leona e i suoi genitori, erano allibiti.
«Mamma, presto, Leona e i suoi genitori», capì subito, li accompagnò in cucina, chiuse la porta e sentii la sua voce pronunciare Oblivion, intanto mi adagiai piano sul divano e mi detti un pizzicotto sul braccio. Allora non stavo sognando! È tutto vero! Sono una strega!
Guardai cos’avevo tra le mani, un diario ed un biglietto, lo lessi.

 
Se leggi questo biglietto vuol dire che sei una strega
 
Andai dal professor Rowan e lo abbracciai forte forte.
È il giorno più bello della mia vita.
Sono seduta sul letto di camera mia, la festa era finita, l’orologio sul comodino segnava le 23:40, ancora non ci potevo credere, io, Lucinda Winslow una strega, e dire che qualche ora fa credevo di essere la persona più sfortunata del mondo.
Una figura mi distrasse dai miei pensieri, assomigliava molto ad un Noctowl, ma allo stesso tempo era differente, aveva al becco una lettera. Spalancai la finestra e presi la lettera. L’aprii e lessi:

 
Cara signorina Lucinda Winslow,
lei è stata ammessa alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

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Capitolo 2
*** Diagon Alley [parte1] ***


Diagon Alley [parte 1]

 

Cara signorina Lucinda Winslow,
lei è stata ammessa alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
 
Ancora non potevo crederci! La lettera. La mia lettera da Hogwarts. Così non passerò il resto dell’anno in uno squallido collegio ma in una prestigiosa scuola per maghi e streghe. Perché io sono una strega!
 
Mi svegliai, mi ero addormentata con la lettera d’ammissione tra le dita. Dovevo essere stanca, 22 giugno 2017 è stata una giornata emozionante, piena di… di magia. Sì, magia è la parola giusta.
Cominciai a saltare sul letto, nonostante mi fossi appena alzata, gridando per la felicità: «Sono una strega! Sono una strega! Sono una strega! Andrò a Hogwarts!».
«Lucinda, sei sveglia?».
La voce di mia madre mi fece tornare con i piedi sul letto.
«Sì, mamma», risposi fermandomi.
«Preparati. Andiamo dal professor Rowan».
Rimasi un attimo attonita da ciò che appena recepii. Dal professor Rowan? Che cosa dovrei fare dal professor Rowan? Secondo me, saranno le loro solite discussioni e mamma non vuole che resti da sola in casa, dei Mangiamorte potrebbero assalirmi. L’ho sempre detto: queste mamme moderne sono più protettive.
Detti una occhiata fugace alla lettera e la poggiai sul comodino. Scesi in cucina a fare colazione: latte, cornetto, biscotti e fette biscottate con Nutella, la mia Nutella. Ma quanto amo i Babbani e i loro prodotti? Nutella, cioccolato… Per non parlare delle loro invenzioni: televisione, computer, cellulare. Come fa una ragazza a vivere senza cellulare? Fortunatamente io ce l’ho, ho convito mia madre l’anno scorso ha comprarmelo per il compleanno, era indispensabile per me. Come facevo a stare in contatto con i miei amici quando io stavo rinchiusa in casa e loro che stavano in vacanza lontani chilometri da me? E poi, con il cellulare potevo rimanere in contatto con lei. Per esempio, quando aveva da fare delle commissioni e si recava al Ministero della Magia – di conseguenza lanciava tremilioni d’incantesimi protettivi alla casa – mi chiamava ogni cinque minuti. Non conosco una persona più angosciata di lei.
Appena finii la mia gustosa colazione – e per questo dovrei ringraziare gli adorati Babbani – mi feci una bella doccia fresca, mi vestii ed uscimmo.
Salimmo in auto e ci dirigemmo verso Sabbiafine. Entrammo nel  laboratorio del professor Rowan. È sempre rimasto uguale: un posto luminoso con ampie finestre, diavolerie elettroniche alle pareti, un enorme schermo, che avrebbe voluto incantare rendendo le immagini veramente in tre D senza aver bisogno di occhialetti speciali, e una scrivania al centro. E proprio dietro quella scrivania vi è seduto il professor Rowan intento ad esaminare tre Pokèball.
«Buongiorno professore!», salutò mia madre.
«Oh, buongiorno Olga, buongiorno Lucinda! Prego sedetevi!», ci invitò.
Ci sedemmo davanti a lui. Strano pensavo che mamma e il professore dovessero fare una di quelle conversazioni in cui centravo io, invece sembrava di no.
«Allora Lucinda, ti staresti chiedendo perché sei qui oggi. Giusto?».
«In effetti», risposi, cosa voleva da me il professore, quando già sa che io sono una strega? Non gli servono di certo altre prove, visto che mi ha già visto fluttuare a mezz’aria. Quindi non vedo proprio cosa voglia da me.
«Il 1° settembre andrai ad Hogwarts».
Annuii, a cosa voleva arrivare? So perfettamente che il primo inizia la scuola.
«E come ogni ragazzo puoi portare un animale». Animale?! Dove ho già sentito questa parola? Giusto, perché non ci ho pensato! C’è scritto nella lettera! Se non ricordo male c’è scritto che posso portare un animale, ma sinceramente non ho la più pallida idea di cos’è.
«Un animale? Cos’è un animale?», chiesi. Sarà un aggeggio Babbano? Una nuova specie di Pokémon? Una prelibatezza che hanno inventato i Babbani come la Nutella?
«Sapevo che me lo avresti chiesto. Lucinda, conosci la nostra storia?».
Sì, che la so. Mamma mi fece una testa grande quanto un grattacielo con la storia del Mondo Intero: nella seconda metà del 1600, prima che venne emanata dalla Confederazione Internazionale dei Maghi lo Statuto Internazionale di Segretezza Magica nel 1689, i maghi e le streghe inglesi perseguitate dai Babbani scoprirono una dimensione parallela – che chiamarono Mondo Interno – dove rifugiarsi e quando la caccia finì, maghi e streghe si vendicarono rinchiudendo i cacciatori Babbani nel nuovo mondo che avevano conosciuto. Questo mondo è il mio. Ma la mia casata, quella dei Winslow, non ha mai rinchiuso nessun Babbano nel Mondo Interno, anzi al contrario, i miei avi difendevano i Babbani dagli altri maghi: ritenevano che la vendetta non portasse a niente.
Feci cenno di sì col capo al professore.
«Devi sapere Lucinda che il Mondo Esterno è molto diverso dal nostro mondo».
Un mondo diverso dal nostro?
«In  che senso diverso?», domandai curiosa.
«Nel senso che nel Mondo Esterno non ci sono Pokémon».
«Non ci sono Pokémon?», ripetei.
Annuì. «Non ci sono Pokémon ma ci sono gli animali, che sono molto simili ai Pokémon ma in un certo senso anche diversi».
«Oh», mi stupii. «Ma in che senso diversi?».
«Oh Lucinda, lo scoprirai molto presto», rispose il professore con un tono allegro. «Ma non sono qui per parlare solo di questo, volevo darti una cosa che un anno fa non ti è stata data».
La mia mente cominciò a lavorare, un anno fa… qualcosa che non mi è stata data… Okay, non lo so.
«Voglio darti una di queste», ed indicò le tre Pokéball poggiate sulla scrivania. «Sai bene che un normale Babbano viene da me quando compie dieci anni e mi chiede di dargli un Pokémon per cominciare il suo viaggio. Ecco, io voglio darne uno anche a te visto che a coloro che vengono dal Mondo Interno hanno il permesso di portare Pokémon a Hogwarts. E adesso Lucinda scegli».
Tre Pokéball sono davanti hai miei occhi, quale scelgo? Quella di destra, di sinistra o quella al centro? Merlino! Sentivo lo sguardo di mia madre su di me! Non pensavo che scegliere una Pokéball fosse così difficile! Adesso so come si sente un ragazzino! Okay, Lucinda prendi un bel respiro.
«Scelgo la Pokéball di destra», dichiarai ad alta voce.
«Prendila», mi suggerì mamma. Circe! Avevo la mano tremante! La presi. Non seppi nemmeno io perché dissi quella di destra, forse è il mio istinto da strega che mi guida.
«Bene», disse il professore. «Adesso lanciala e scopri che Pokémon hai preso».
Feci come mi disse: la lanciai e dalla Ball uscì un piccolo Pokémon azzurro, con due occhi dolcissimi. Oh, ma che carino!
«Oh! Hai scelto un Piplup. Interessante!», commentò il professore. «Adesso è tuo!».
«Grazie!», dissi abbracciandolo.
 
Erano passati un paio di giorni da quando ricevetti Piplup ed abbiamo fatto subito amicizia. Abbiamo visitato i luoghi più vicini a Due Foglie: solo il Lago Verità e Sabbiafine, perché mamma non vuole che mi allontani troppo da casa e mi ha perfino affibbiato una baby-sitter che mi accompagnasse, rigorosamente strega, anziana, zitella e mezza cieca. Per le mutande di Merlino! Tutte a me devono capitare?!
Fortunatamente costrinsi mia madre ad accompagnarmi a Diagon Alley dicendole che dovevo passare un po’ di tempo nell’altro mondo così da conoscere il Mondo Esterno e da non risultare una stupida che non sa cos’è un gufo – credo si dica così. Perfetto! Tra un paio di mesi andrò ad Hogwarts e non so neanche cos’è un gufo! Mi prenderanno subito in giro a scuola. Perciò Diagon Alley aspetta, sto arrivando! Devo sapere cos’è un gufo e tutti gli altri animali e soprattutto devo incontrarli!
«Lucinda sei pronta?», urlò mia madre dal piano di sotto.
«Sì, mamma», risposi urlando. «Piplup, hai per caso visto la mia cintura?», chiesi al Pokémon accanto a me. Lui osservò attentamente la camera e fece cenno di no. «Fa niente, Piplup».
«Lucinda non scordarti la lettera, mi raccomando!», gridò ancora.
E chi se la scorda? Non potrei mai scordarla! Dopo tutto quello che ho passato! Sta nella borsetta… Dov’è la borsetta?! Merlino!
Lucinda è la prima volta che vai nel Mondo Esterno e ti scordi la cosa più importante! Mantieni la calma! Respira profondamente e vedrai che la trovi. Dov’è?!
«Allora Lucinda, hai finito?», sbottò mamma.
«Ehm… sì. Ma non trovo la borsetta».
«L’ho vista sul divano». Merlino esisti! Feci tornare Piplup nella Pokéball, scesi, presi la borsetta e raggiunsi mamma all’ingresso.
«Per andare nel Mondo Esterno bisogna prendere la ferrovia che collega i due mondi e questa ferrovia…».
«Sta nella stazione di Sciroccopoli a Unima», completai io. «Sì, lo so mamma».
Odio quando mi tratta come una bambina di quattro anni. Per l’amor del cielo! Ne ho undici! UNDICI!
«Allora saprai anche che dall’altra parte c’è la stazione di King’s Cross di Londra. E Londra è una delle metropoli più importanti del Mondo Esterno dove è facile perdersi», affermò lanciandomi uno dei suoi sguardi. Mi spiazzò.
«Okay, questo non lo sapevo», ammisi. «Ma come facciamo ad andare a Unima? È distante chilometri».
«Per questo non dovresti preoccuparti: ci Smaterializziamo», disse tranquilla mia madre.
Ci Smaterializziamo! E che sarà mai?! Morgana! Ho appena undici anni e pretendete che mi Smaterializzi? E se mi spacco? Non ci voglio neanche pensare.
«Ma sei sicura? Non è c’è il rischio che mi spacchi?», domandai.
«Nessun rischio», mi assicurò. «Tienimi il braccio forte. E non lasciarlo, mi raccomando. Fidati».
Feci come mi disse, le afferrai l’avambraccio.
«Lucinda, pronta? Uno, due e tre…».
Sentii il braccio di mia madre scappare, di conseguenza saldai la presa. Mi sentii schiacciare da tutte le parti, non riuscivo a respirare, avevo i polmoni compressi come se fossi stata travolta da un camion pesante cinquecento chili, forse anche di più. Non mi sentii più le gambe e mi aggrappai stretta a quella che doveva essere il braccio di mia madre, respirai a fatica enormi quantità d’aria e aprii gli occhi lentamente, scoprendo che non eravamo più nell’ingresso di casa mia ma in un buio stanzino, a parte la luce che emanava la bacchetta di mia madre.
«Anch’io la prima volta che mi sono Smaterializzata mi sono sentita così», commentò mia madre sorreggendomi, «È normale, di solito si vomita».
Di solito si vomita! O cielo!
«Ma non potevamo usare la Metropolvere?», domandai.
«Secondo te, come fa ad esserci un camino in una stazione metropolitana e per giunta a Sciroccopoli?».
«Giusto», odio quando mamma ha ragione.
Uscimmo da quel tetro ripostiglio che ben presto scoprii essere il ripostiglio delle scope, infatti, prima di aprire quella maledetta porta difettosa, inciampai in una di queste ultime la quale non era illuminata dalla fioca luce della bacchetta di mamma. Ci trovammo poi in un lungo corridoio illuminato che finì in una grande sala d’attesa. Non ero mai stata in una stazione ferroviaria, se hai come madre Olga Winslow è praticamente impossibile uscire di casa, solamente nel caso in cui tu abbia una baby-sitter, allora sì. Ma sinceramente se la baby-sitter in questione è una zitella, vecchia e mezza rimbambita – a parer mio ma credo che non sia l’unica – allora preferisco stare a casa. Rimasi imbambolata per un attimo ammirando la sala d’attesa che non avrebbe niente di speciale per qualunque persona, solo file di sedie schierate come soldatini, ma per me era diverso: assaporavo il dolce gusto dello stare lontana da casa. Quella visione di “libertà” sfumò nell’attimo in cui mamma mi prese per mano e mi trascinò, come se fossi una bambina, verso i binari dei treni – credo che qualcuno non abbia ancora capito che io ho undici anni!
Tutti i Babbani ci fissarono, lavoratori e studenti. Sono sicura al cento per cento che i pendolari ci abbiano scambiate per un duo comico.
«Mamma hai attirato l’attenzione di tutta la stazione», le ricordai.
«Fra qualche secondo non più», mi rispose.
Come fra qualche secondo non più?
«Chiudi gli occhi», mi disse ed io feci quanto mi è appena stato detto.
Infatti dopo due secondi aprii gli occhi e mi trovai davanti una banchina gremita di gente, ma non come quella di prima le cui persone erano lavoratori e studenti, ma una folla di maghi, si capiva dagli abiti, mantelli neri svolazzanti e bombette spiccavano qua e là in mezzo alla folla, e da una scintillante locomotiva a vapore nera la quale era pronta a partire, che non centrava affatto con i treni super velocissimi dei Babbani. Rimasi incantata da ciò che avevo davanti, non avevo mai visto una locomotiva fumante, beh in televisione sì, ovviamente, ma mai dal vivo. Giusto in qualche film ma mai davanti ai miei occhi color zaffiri.
«Come…?», domandai a mia madre.
«Magia», ovvio, «Siamo passate attraverso il muro situato tra i binari quattro e cinque. Perciò eccoci qua nel binario 4 ½  che ci porterà in un’ora nell’altro mondo», mi rispose.
Compresi quanto appena mi disse. Non avrei mai immaginato a quanto la magia potesse arrivare. Collegare la stazione di Sciroccopoli con la stazione di King’s Cross a Londra. Un’impresa quasi impossibile ma non per i maghi ingegneri dell’epoca.
«Dai, vai sul treno, io vado a comprare i biglietti», mi disse, «Intanto cercati uno scompartimento».
Annuii e vidi la figura di mia madre confondersi tra la folla. Balzai a bordo e chiusi lo sportello dietro di me. Mi misi subito alla ricerca di uno scompartimento vuoto quando, dopo un paio di minuti di ricerca, mi scontrai contro un uomo basso e corpulento, con un paio di baffi grigi il quale indossava una giacca di velluto marroncino con lustri bottoni dorati che sembravano partire dal farsetto da un momento all’altro.
«Oh!», fece il mago.
«Mi scusi, signore», dissi.
«Per la barba di Merlino! Lucinda Winslow!», dichiarò con voce solenne che per poco quasi non gridava. Rimasi un attimo sorpresa. Sono così famosa che mi conosce persino uno sconosciuto? Solo il piccolo paesino di Due Foglie mi conosce ed io conosco il paesino. E quest’uomo davanti a me non sembra proprio uno di Due Foglie.
«Hai gli stessi occhi di tua madre», affermò infine il signore.
Ho gli occhi di mia madre, che c’è di strano?
E in quel momento mi sentii piccola piccola, con lo sguardo pesante del signore su di me, ma precisamente sui miei occhi blu.
«Oh! Che sbadato! Ancora non mi sono presentato. Sono Lumacorno, Horace Lumacorno», disse porgendomi la mano destra. Gliela strinsi, «Molto piacere, signore. E come lei sa io sono Lucinda, Lucinda Winslow».
«Molto piacere. È un onore per me conoscerla», e sorrise.
«Horace stiamo aspettando te», fece una voce proveniente da uno scompartimento non troppo lontano da noi.
«Sì, arrivo», rispose il signor Lumacorno al ragazzo dello scompartimento poi si rivolse a me, «Allora arrivederci signorina. Salutami tua madre. Ci vediamo a scuola», e si dileguò.
Ci vediamo a scuola? Forse è un insegnante. Però un tipo molto buffo. Chissà che materia insegna a Hogwarts, forse Divinazione, sì, è molto probabile.
Ci misi poco a trovare uno scompartimento vuoto e mi ci infilai subito. E subito ci si infilò anche mia madre sedendosi davanti a me.
Restammo qualche minuto in silenzio, nel quale il treno cominciò a fischiare e a muoversi, finché decisi di romperlo.
«Mamma ti saluta un certo… Luma… Lumacorno, Horace Lumacorno».
«Oh! Il professore! Da quanto tempo! È sul treno? Vorrei salutarlo», mi domandò.
«Sì. Ma mi chiedevo che materia insegnasse il professor Lumacorno, Divinazione? Sa è un po’ bizzarro», domandai invece io.
«Il professor Lumacorno? Certo che no!», e rise. Cosa c’è da ridere?
«Il professore non insegna affatto Divinazione, ma pozioni».
«Pozioni?!», ripetei. E chi l’avrebbe detto che quella persona conosciuta qualche minuto fa fosse in realtà un professore di pozioni? Nessuno l’avrebbe affermato. «Comunque il professor Lumacorno sta nello scompartimento a destra in fondo», le dissi e lei si alzò.
Cominciai ad annoiarmi presto, anche per il fatto che il bellissimo parco con tutti i Pokémon selvatici, i quali non riconobbi, che si poteva ammirare dal finestrino, svanì e lasciò posto a un “paesaggio”, se così si potrebbe definire, bianco, totalmente bianco. Senza parco e senza Pokémon, come se mi avessero attaccato al vetro del finestrino un foglio di carta.
Credo fortemente che sia il limbo tra i due mondi.
Non c’è ombra di dubbio che sia il limbo. Beh, ma dopo il limbo ci sarà la stazione di King’s Cross e poi Diagon Alley!
Cominciai ad esaminare lo scompartimento, non c’ero mai stata prima d’ora in un treno. Le pareti sono di un legno pregiato che osservandone le venature ed il colore probabilmente direi che sono di mogano, i sedili sono rivestiti di velluto color bordeaux e sopra il sedile in cui prima era seduta mia madre vi è posato un giornale.
L’avrà scordato.
Lo raccolsi e lessi grande a caratteri cubitali nella prima pagina Gazzetta del Profeta. Pensai subito che non avrei dovuto prenderlo. Mamma mi aveva sempre proibito di leggere i giornali, non so per quale ragione. Ma che c’è di male a leggere un quotidiano?
Dalla prima pagina mi saltò agli occhi la foto di un uomo incatenato che reggeva un cartello con scritto §h56. Lessi il primo articolo in prima pagina:

Il Mangiamorte Avery fa un’altra vittima

Ieri, verso le otto di sera il pericolosissimo Mangiamorte Avery ha fatto un’altra vittima. Si tratta di una vecchia Babbana alla periferia di Londra. È stata ritrovata in casa dal nipote che avvertì all’istante la polizia babbana, l’autopsia babbana afferma che la vecchia è morta per una fuga di gas. Noi sappiamo che è stato Avery: c’era un testimone al momento dell’omicidio. Il magonò Andrea Feed vide il Mangiamorte entrare nella casa e puntare la bacchetta contro la vecchia. Il primo Ministro della Magia Kingley Shacklebolt chiede di stare attenti di questi tempi. Dopo l’evasione da Azkaban questa è la sua seconda vittima dopo la terribile morte di Richard Bones in cui prese la sua bacchetta. Olga Winslow si metterà al più presto alla ricerca dello spietato Mangiamorte dopo che sua figlia avrà cominciato il suo primo anno scolastico a Hogwarts. Suo padre era stato una vittima di Avery, la sua ultima vittima prima di essere rinchiuso ad Azkaban dalla stessa Olga Winslow.

Rimasi allibita da ciò che appena lessi. Ecco perché mamma non vuole che io legga i giornali. Lo ripiegai e lo rimisi sul sedile. È la notizia più brutta che lessi in vita mia, invece quella più bella è stata la lettera d’ammissione a Hogwarts. Oddio! La lettera! Ah, già! Nella borsa… Piplup!
Frugai nella borsetta per qualche secondo e ne trassi una Pokéball, quella di Piplup. Lo feci uscire. Ho sempre pensato che le Pokéball fossero scomode. Per le mutande di Merlino! Stare in una ball grande quanto un pugno mi dà una sensazione strana, mi sentirei compressa se fossi un Pokémon. Ed il povero Piplup c’è stato per circa un’ora.
«Oddio Piplup, ti senti bene?», gli domandai preoccupata.
«Piplup!», fece lui agitando il capo affermando.
«O che bello! Un Piplup!», fece una voce femminile dal corridoio. Fissai il volto della ragazza schiacciato sul finestrino che dà sul corridoio. Aveva gli occhi di un bellissimo verde e teneva legati i capelli rossi in un codino.
«Ciao!», dissi alla ragazza aprendogli la porta scorrevole e facendola entrare.
«Ciao! Piacere, mi chiamo Misty Williams!», mi porse la mano e io gliela strinsi. «Posso accarezzare il tuo Piplup?», mi chiese.
«Oh, beh. Sì, certo», le risposi.
Stavo per darle Piplup, quando ad un tratto, un ragazzo dai capelli corvini e dagli occhi marroni, un po’ più alto di qualche centimetro di me e di Misty, afferrò quest’ultima per il braccio e la trascinò via dal mio scompartimento borbottando: «Misty sei sempre la solita!».
Questo sarebbe dovuto essere il mio primo viaggio in treno. Ma più che un treno questo mi sembra sempre di più un circo, tutte persone un po’ strampalate. Prima il professor Lumacorno che invece di insegnare Divinazione insegna Pozioni, dopo quella ragazza rossa e quel ragazzo, infine:
«Ti chiedo di perdonare mio figlio», disse una donna abbastanza giovane con un bel sorriso sulle labbra.
«Oh, non si preoccupi signora», le risposi gentilmente.
«Sai qualche volta Ash è un po’ scontroso», aggiunse poi la signora, «Scusami devo andare. Ash dove stai andando?».
Il mio primo viaggio in treno, o per meglio dire in circo, risultò poi alla fine un po’ noioso, abbastanza noioso. Il viaggio durò un’ora che per me sembrava un’eternità. Mamma, quando tornò, si accorse che avevo letto il giornale, dato che la posizione in cui poggiai il quotidiano non era la stessa di quando andò da Lumacorno, e di conseguenza mi fece una delle sue lavate di capo. Rimasi la mezz’ora che mi separava dal Mondo Esterno giocando con Piplup, rileggendo la lettera d’ammissione a Hogwarts e guardando fuori dal finestrino nonostante fosse bianco come un foglio di carta. Ma poi il bianco del finestrino si trasformò in qualcosa di magnifico: una campagna verde si estendeva fino l’orizzonte e piccoli animali che brucavano assomiglianti a piccoli Mareep.
Il primo paesaggio che vedo del Mondo Esterno.
«Preparati a scendere», la voce di mamma mi distrasse dal magnifico paesaggio.
Infatti dopo un paio di minuti il treno rallentò fino a fermarsi completamente, mi alzai con Piplup tra le braccia ed uscii dallo scompartimento. Appena scesi dal treno venni assalita da una folla di fotografi e giornalisti che cominciarono a bombardare di domande me e mia madre.
«Vieni», sentii la voce di mamma e la sua mano afferrare la mio braccio e poi la stessa sensazione di compressione che provai non più di un’ora e mezza fa. Merlino! Un’altra volta!
«Tutto bene?», mi domandò mamma.
«Sì… bene», non proprio, «Potevi almeno avvertirmi che ci saremmo Smaterializzate».
E Olga Winslow mi lanciò uno dei suoi sguardi assassini che parve dire siamo scampate per un pelo e ti lamenti?
«Comunque dove siamo?», chiesi guardandomi attorno. La strada non era proprio deserta ma non era certo affollata, qualche autobus passava, carico di turisti immagino, e di rado passavano macchine. I negozi di musica, librerie e le boutique non erano molto visitati.
Beh, come smentirli con questo caldo bestiale?
«Siamo a Charing Cross Road, una nota via di Londra», mi rispose.
Charing Cross Road...
Per essere una nota via di Londra non era di certo molto frequentata, giusto qualche turista che passeggiava con una bottiglietta di acqua in mano ed un ventaglio. Cosa strana non entravano nel locale con l’insegna di legno con su scritto Il Paiolo Magico. Stretto tra una grande libreria e un negozio di dischi, i Babbani non vi facevano caso.
«Ti sei incantata un’altra volta?», mi domandò.
«Arrivo». Entrammo nel locale che ben presto si rivelò un pub non molto luminoso, con una grande sala da pranzo ed un bar. Dietro al bancone una donna sui trent’anni stava asciugando dei bicchieri con un panno ma smise subito quando alzò lo sguardo e fissò me e mia madre. Ci raggiunse sorridendo e domandò a mia madre abbracciandola: «Olga da quanto tempo? Come stai?».
«Bene Hannah, grazie. Tu?».
«Bene anch’io. E tu dovresti essere la piccola Lucinda?», domandò spostando lo sguardo da mamma a me. Annuii solamente.
«Hai gli occhi di tua madre lo sai?».
Perché oggi ce l’hanno tutti con i miei occhi?
«Beh, scommetto che siete qui per Diagon Alley, non è così?», mi fece l’occhiolino, « Vi accompagno nel retrobottega».
La seguimmo nel retrobottega e ci lasciò in quella piccola stanza.
«E adesso?», domandai a mia madre.
Lei sfoderò la bacchetta. Pensai subito che da un  momento all’altro sarebbe comparso un Mangiamorte, di conseguenza mi aggrappai forte al suo braccio sinistro – stavo quasi per soffocare Piplup tra le braccia – ma invece mia madre fece una cosa alquanto insolita: picchiettò tre volte la punta della bacchetta sul muro di mattoncini davanti a noi. Dopo qualche secondo i mattoncini si mossero formando un arco e permettendo la vista straordinaria di una grande via gremita di gente, di maghi.
«Ecco, Lucinda. Questa è Diagon Alley».
 
 
 
 
Angolo autrice:
Perdonatemi! Il precedente capitolo l’ho scritto in tre giorni e invece questo in due mesi D:
Ho avuto moltissimi impegni poi metteteci in mezzo la scuola…
Perché 4 e ½? Perché nel film le scene alla stazione non vennero fatte tra i binari 9 e 10 ma 4 e 5. Quindi ho scelto questi numeri per il binario.
Inizialmente il capitolo doveva essere unico ma era impossibile, perciò l’ho sdoppiato.
Ringrazio tutti coloro che mi seguono e soprattutto quelli che recensiscono!
Grazie per la vostra pazienza! Speriamo che io non ci metta tanto per il prossimo capitolo!
Alla prossima! La vostra flautista_pearl! <3

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Capitolo 3
*** Diagon Alley [parte2] ***


Diagon Alley [parte 2]

 
«Ecco, Lucinda. Questa è Diagon Alley».
Spalancai immediatamente la bocca e gli occhi alla vista spettacolare del viale. Alcuni maghi chiacchieravano, altri erano seduti a leggere il giornale, alcuni si scambiavano oggetti misteriosi – che non potevo identificare dovuta alla mia scarsa conoscenza sul Mondo Esterno – e talismani, un alquanto bizzarro uomo dovuto al fatto che indossava gilè verde fosforescente, pantaloni viola e scarpe rosso vermiglio, reggeva nel braccio sinistro una pila di quotidiani e nella mano destra sventolava un giornale, gridando: «Avery fa un’altra vittima! Comprate la Gazzetta del Profeta!».
«Su, Lucinda! Non mi dire che ti sei incantata un’altra volta!», esclamò mamma, riportando il mio cervello alla realtà.
Okay, questa è stata la terza volta che mi incantavo: la prima è stata nella sala d’attesa della stazione di Sciroccopoli, la seconda a Charing Cross Road e la terza qui, a Diagon Alley.
Cominciai a pensare che questa giornata d’estate sarà piena d’incontri e di magia. Oserei definirla incantevole.
«Adesso dove andiamo?», domandai, guardando le botteghe davanti a me.
«Alla Gringott», rispose lei. «La banca dei maghi», ed indicò un palazzo di marmo candido.
Ci dirigemmo verso l’imponente struttura bianca che spiccava tra i piccoli negozi di Diagon Alley, sentii che pian piano il vociare della folla scemava e percepii gli sguardi pesanti dei maghi su di me e i loro frasi sussurrate, quasi avessero paura che io le sentissi: «Non avevo visto la Winslow da più di un anno» o «Povera bambina! Vedere il proprio padre morire!».
Piplup cominciò ad imprecare gettando sguardi truci ai maghi, ma lo frenai quando stava per lanciare un bollaraggio verso una strega orribile, era vestita di stacci con il volto oserei dire deturpato e gli occhi infossati ma stranamente luminosi, vispi.
Volevo gridare ma mi trattenni. Una brava strega si comporta in modo educato!
Sembrava che fossi una sfortunata, la povera figlia che assistette alla morte del proprio padre e che era rinchiusa in casa per non fare la stessa fine del genitore.
Stavo per poggiare il piede sul primo gradino della scalinata di marmo della banca, quando una voce proveniente dalla farmacia mi fece trasalire e voltare.
«Che vi fissate tutti quanti?», urlò un uomo dal viso tondo. «Ritornate a dove eravate rimasti!», aggiunse poi.
«Neville?», domandò sbalordita mamma voltandosi.
«Olga!», disse il signore avvicinandosi e abbracciando mia madre.
«Lucinda!», fece il signore stupito. «Assomigli sempre di più a tua madre, hai suoi stessi occhi», aggiunse poi scrutandomi.
Okay, è ufficiale: tutte le persone che ho incontrato oggi – che per altro non ho mai incontrato in vita mia e non pensavo per niente di essere così, per come dire, “famosa”; beh, mia madre è la più famosa Auror di tutti i tempi ma è un fatto irrilevante – ce l’hanno con i miei occhi. Credo di essere l’unica di questi due Mondi con questo, chiamiamolo, “problema”. E se poi non sono l’unica, allora potrei fondare il club dei “Hai gli stessi occhi di tua madre”. Ho dovuto rinunciare al club dei Magonò di Sinnoh – fortunatamente – e adesso perché non farne uno nuovo, sul serio?
«Mi scusi signore, lei chi è?», chiesi. Credo che sia un mio diritto sapere con chi stia parlando soprattutto perché il signore conosce già la sottoscritta.
«Oh, giusto! Io sono Neville», a questo punto c’ero arrivata anche io, «Neville Paciock».
Sgranai immediatamente gli occhi quando l’uomo davanti a me pronunciò l’ultima parola: Paciock.
Feci scendere Piplup dalle mie braccia e frugai velocemente nella mia borsetta, finché non presi ciò che volevo: la lettera. La aprii:

 
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
 
Cara signorina Lucinda Winslow,
lei è stata ammessa alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
 
I corsi avranno inizio il 1° settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
 
Con ossequi,
Neville Paciock Vicedirettore
 
Ecco: Paciock, Neville Paciok è il vicepreside della scuola. Adesso che ci faccio caso però, non c’è scritto il nome del direttore.
«Lucinda, cosa succede?», domandò mia madre con un sopracciglio alzato.
«Ehm, no niente. Non pensavo che lui fosse il vicepreside di Hogwarts».
«Oh, per, favore non chiamarmi signore, chiamami semplicemente Neville. Ti conosco da quando avevi cinque mesi», sgranai immediatamente gli occhi. Il signore davanti a me, mi conosce da quando avevo cinque mesi?
«Però, a scuola non puoi», e mi fece l’occhiolino. «Adesso vado, ancora devo ancora fare delle commissioni», e se ne andò non prima di abbracciare mia madre, di darmi un bacio sulla fronte e di dare un pizzicotto sulla guancia di Piplup.
Salimmo gli ultimi gradini di marmo della scalinata e ci fermammo davanti all’entrata. Sulla grande insegna che portava la banca vi è scritto “Gringott, banca dei maghi”.
Mi fermai davanti alle porte interne d’argento che recavano incisa una poesia: Quindi se cerchi nel sotterraneo un tesoro che ti è estraneo, ladro avvistato mezzo salvato.
Deglutii e avanzai verso l’ampio atrio, dagli alti banconi della sala di marmo spuntavano piccoli esseri di carnagione scura, con occhi scuri e stretti, gli occhiali a mezza luna sul naso, le orecchie a punta e le dita, che stringevano piume di Staraptor ‒ ma molto probabilmente si tratta di un animale ‒ lunghissime.
Mamma si avvicinò a uno di questi, la creatura alzò gli occhi dalla scrivania ed abbassò gli occhiali.
«Mi chiedevo quando sareste arrivate signora e signorina Winslow», disse l’esserino, che saltò sul pavimento e ci fece cenno di seguirlo. Mi accorsi che era bassissimo, forse aveva la stessa altezza di Piplup.
«Mamma, ma chi è?», sussurrai in modo che l’individuo davanti a noi non ci sentisse.
«Un folletto».
Il folletto ci guidò in una delle molteplici porte che conducevano fuori dalla sala ed entrammo in un corridoio di pietra illuminato da delle torce. Ci avviamo a passo rapido lungo i binari, il folletto fischiò e un carrello arrivò sbucando dal buio; balzammo a bordo, il folletto davanti ed io, Piplup e mia madre dietro, il vagoncino prese subito velocità e cominciò a curvare sempre in discesa, i miei capelli che volavano indietro. Dopo un paio di minuti o forse anche di più, il vagone si fermò davanti ad un atrio semicircolare di pietra illuminato solo da quattro torce, scendemmo e ci avvicinammo all’unica porta che c’era. Il folletto premette il palmo della mano destra sulla porta di legno e questa si dissolse all’istante svelando montagne di monete d’oro, d’argento e di bronzo, gioielli, tiare, diademi, medaglie, pietre come il rubino, l’opale, il zaffiro, lo smeraldo, l’ametista, il topazio e perfino il diamante; sulla sinistra c’erano tre file di scaffali su cui erano poggiate piccole fialette, alcune emanavano un odore inebriante, altri delicato, alcuni invece erano terribili; su certe boccette vi era scritto Pozione Restringente, Amortentia, Pozione Polisucco, Felix Felicis, Pozione Rimpolpasangue e altre di cui l’etichetta era rovinata. Girai intorno alle montagne di monete, provando diademi, pendenti, anelli; Piplup si provò alcune collane bizzarre, con piume e perle colorate; sinceramente non pensavo affatto che la casata dei Winslow fosse così ricca.
Beh, la mia famiglia aveva almeno cinque ville in ogni regione del mondo, casa mia era tra le più piccole con quattrocentocinquanta ­­­­­metri quadrati disposti su tre piani più trecento metri di giardino, se si potrebbe chiamare giardino perché il mio assomiglia più a un parco ‒ e poi ti credo che Barry strisci già al decimo giro del perimetro ‒. Okay, casa mia non si può definire una delle case più piccole dei due Mondi.
Il mio giro d’ispezione intorno ai tesori dei Winslow terminò quando mamma finì di riempire due piccoli sacchetti di monete d’oro e d’argento.
 
Dopo una decina di minuti eravamo al Ghirigoro: un negozio bellissimo, gli scaffali colmi di volumi, enciclopedie, romanzi, libri specifici sulla difesa, sugli incantesimi elementari fino ai più complessi, la trasfigurazione e le pozioni. Mamma mi comprò un libro: Differenze e analogie, è un libro che mette a confronto le caratteristiche degli animali con quelle delle creature magiche e dei Pokémon. Questi tipi di enciclopedie le definisco mattoni, che a me fanno impazzire, passavo gran parte del mio tempo a casa ascoltando concerti di Bach e Mozart, suonando il pianoforte o il flauto traverso o semplicemente leggendo romanzi gialli di Arthur Conan Doyle o di Agatha Christie e tutti libri che mi capitavano sotto il naso, passavo le ore in biblioteca tant’è che certe volte non pranzavo semplicemente perché mi ero tuffata in una lettura avvincente.
Presto l’aria del negozio fu irrespirabile con tutta la gente che affluiva per prenotare o prendere i libri per la scuola, di conseguenza chiesi a mia madre se potevo fare un giro per Diagon Alley ‒ anche perché Piplup cominciò a sudare tantissimo ‒, all’inizio esitò ma alla fine dovette cedere perché la coda di maghi all’esterno del negozio divenne lunghissima.
Uscii dal Ghirigiro, non prima che mamma mi desse un sacchetto pieno di monete, e respirai ingenti quantità d’aria, spostai lo sguardo da destra a sinistra valutando dove si potesse trovare Olivander, visto che la lettera ce l’ha mia madre per i libri e per tutte le cose di pozioni e astronomia, decisi di comprarmi una bacchetta.
Voltai a destra e camminai senza spostare lo sguardo dalle insegne dei negozi: Madama McClan: abiti per tutte le occasioni, Accessori da Quiddich di Qualità, Emporio del gufo, Telami e Tarlatane…
Quasi alla fine di del viale acciottolato di Diagon Alley vi era un’insegna a lettere d’oro scortecciate che portava scritto Olivander: Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C., un lieve scampanellino accompagnò la mia entrata nella bottega; era un luogo molto piccolo, quasi buio.
Un uomo anziano, molto probabilmente sugli ottanta, sbucò dalla porta del retrobottega. Aveva due occhi vitrei. Mi osservò attentamente e disse:
«Buongiorno signorina Winslow», e sparì. Poco dopo riapparve con una scatoletta, l’aprì e rivelò una bacchetta, io la presi e la maneggiai.
«Acero», affermai, «Dieci pollici e tre quarti, sufficientemente elastica», il signor Olivander mi guardò stupefatto; non tutti sanno riconoscere una bacchetta, ma io sì: passavo sempre il tempo leggendo e un giorno scoprì nella biblioteca di casa un libro sui legni.
«Nucleo?», domandai, visto che non sapevo come scoprirlo.
«Crine di unicorno».
Prevedibile, tutta la famiglia Winslow aveva nella sua bacchetta il nucleo di crine di unicorno dato che il simbolo dello stemma della casata è un unicorno. La agitai: un’ampolla poggiata sul bancone scoppiò, riposi la bacchetta nella scatoletta; il signor Olivander era stupito.
«Non mi era mai successo», mormorò, «Tutti i Winslow hanno una simile bacchetta da più di cinquecento anni», sospirò. «Comunque, è la bacchetta a scegliere il mago e non viceversa», aggiunse; sgattaiolò dietro un mobile e riapparve con un’altra scatoletta che mi porse.
«Quercia, dodici pollici esatti, rigida, sempre nucleo d’unicorno», disse prima che potessi esaminarla.
La agitai e gli sportelli del mobile di legno accanto a me si aprirono e i fogli in essa contenuti volarono per tutta la stanza. Piplup scappò dalla parte opposta per non essere investito dalla folata di fogli.
«No. Neanche questa», sospirò. «Perché non proviamo…», si voltò e cercò una precisa scatoletta negli scaffali dietro al bancone.
«Eccola!», disse quando la trovò e me la porse. «Biancospino, undici pollici e mezzo, elastica, nucleo di fenice».
Esitai, nessun Winslow aveva la bacchetta con nucleo una piuma di fenice. Aprii con mani tremanti la scatoletta e presi la bacchetta in mano, immediatamente una sensazione di calore mi percorse la mano destra e ben presto la vampata si diffuse in tutto il corpo.
«Interessante», commentò il signor Olivander. «Devi sapere che il biancospino ha significati contraddittori: per i greci e i romani era simbolo di speranza e matrimonio, per i celti era invece simbolo di stregoneria e malasorte. Beh, dopotutto il biancospino ha sia bellissimi fiori bianchi sia spine aguzze. Nel folklore, il cespuglio di biancospino è legato alle fate: si dice che un biancospino solitario segnali la presenza di un reame fatato ‒ e generalmente è così ‒, mentre un boschetto con biancospini, querce e frassini sia un luogo in cui le fate sono visibili anche agli occhi dei Babbani. Secondo la tradizione, il legno per fabbricare una bacchetta magica può essere preso solo nel giorno di Beltane, a maggio».
«Fantastico! Ma, sa per caso perché la bacchetta ha scelto me? Nel senso perché nucleo di fenice se sono una Winslow?».
«Non lo so. Tua madre è una Winslow e tuo padre è Babbano. La fenice è il simbolo della famiglia dei Selwyn, la piuma contenuta nella tua bacchetta è la stessa di tutti loro, ma sinceramente non so cosa centri con te. Sa, signorina è stata la seconda bacchetta che ho fabbricato e adesso ha trovato una padrona».
«Capisco. Quanto costa?», domandai.
«Sette galeoni», afferrai il sacchetto che mi dette mamma e presi sette monete.
«Arrivederci e grazie!», salutai e afferrai la maniglia della porta.
«Grazie a lei. Credo che farà grandi cose con quella bacchetta signorina Winslow», disse il signor Olivander prima che uscissi.
Credo che farà grandi cose con quella bacchetta signorina Winslow.
Che intendeva dire? Avevo sì una bacchetta interessante, ma non credo che farò così spettacolari magie, c’ho messo un’eternità a fare una magia librandomi a due metri da terra.
Andai verso il Ghirigoro con dietro Piplup che marciava a testa alta: tutti lo guardavano, non deve capitare tutti i giorni di vedere un Pokémon.
Lo guardai divertita.
«Wow! Un Piplup!», urlò una ragazza, la voce era stranamente familiare, mi voltai e un dolore tremendo provai sulla fronte, caddi sul viale acciottolato e mi scivolò dalle mani il libro Differenze e analogie . Massaggiai la testa e vidi che la persona contro cui mi scontrai ‒ precisiamo è stata lei a scontrarsi contro di me ‒ era la stessa del treno: Misty Williams.
«Oh, scusami. È che ho visto il tuo Piplup», si alzò e mi aiutò a rialzarmi, poi corse da Piplup e lo abbracciò. Era una ragazza molto eccentrica.
Mi piegai per raccogliere il libro caduto ma sfiorai accidentalmente una mano, alzai lo sguardo e incrociai i miei occhi con due occhi color nocciola. Il mio cuore cominciò inspiegabilmente a battere, non ero mai stata tanto vicina ad un ragazzo, soltanto a Kenny e Barry perché erano i miei unici amici maghi di Due Foglie, ma adesso siamo nel Mondo Esterno.
«Perdona la mia amica, non sa quel che fa», disse porgendomi il libro.
Lo osservai attentamente e gli domandai: «Grazie, ma tu non sei quello del treno?», il mio cuore non voleva cessare di martellare.
«Sì, sono io, Ash Ketchum. Con chi ho il piacere di parlare?».
«Io sono Lucinda Winslow».
«Sei la ragazza che ha visto mori…», adesso il mio cuore cominciò  a pulsare di rabbia.
«Sì, sono la ragazza che ha visto morire suo padre», completai io mesta. «Andiamo Piplup!», il Pokémon saltò dalle braccia di Misty e camminò accanto a me, più che camminare marciavamo, beh forse correvamo perché quando mi fermai Piplup aveva il fiatone. Lacrime mi uscivano calde e amare, mi fermai, nessuno mi riconosceva come quella persona che vide il proprio padre morire, mi conoscevano come Lucinda.
Mi asciugai le lacrime col dorso della mano e sentii qualcuno sfiorarmi la schiena, alzai gli occhi e vidi un ragazzo castano con due occhi azzurri come il cielo e con un gelato in mano.
«Prendi», mi porse il gelato. «Credo che serva più a te che a me».
«Grazie!», lo presi e lo assaggiai. Era delizioso e fresco, la cosa ideale in quel momento.
«Io adesso devo andare», disse guardando il suo orologio al polso. «Ci si vede!».
«Aspetta dimmi almeno come ti chiami!», gridai ma lui non sentì, svoltò a destra con una mano in aria che mi salutava.
Piplup mi guardò con due occhi luminosi e le pinne giunte.
«Va bene, tieni», gli donai il mio gelato, era comprensibile che il Pokémon pinguino volesse un po’ di freschezza in una giornata d’estate come questa.
Chi era quel ragazzo?
Guardai pensierosa l’angolo in cui sparì il ragazzo, volevo almeno ridagli i soldi per il gelato. Piplup mi diede una gomitata e mi guardò, i suoi occhi volevano dire Lucinda Winslow ti sei innamorata.
«Non sono innamorata!», urlai, ma il mio cuore non smise di battere da quando avevo sfiorato la mano di Ash Insensibile Ketchum e non smise di martellare neanche quando quel ragazzo mi diede il suo gelato.
 
Raggiungemmo mamma al Ghirigoro e andammo a Il Calderone per comperare un calderone in peltro, misura standard due, un set di provette in vetro o di provette in cristallo ‒ scelsi quelli in cristallo ‒ e un set di bilance in ottone. Poi entrammo in Farmacia per acquistare gli ingredienti essenziali per le lezioni di pozioni come aconito, zanne di serpente, lumache cornute. Andammo poi da Winseacre’s Il Telescopio per comprare, appunto, un telescopio per astronomia.
Ci dirigemmo verso l’Emporio del Gufo, vendeva gufi selvatici, barbagianni, gufi da granaio, gufi bruni e civette bianche come recitava l’insegna. Mi ci volle un po’ per scegliere perché non capivo bene le caratteristiche di questi animali. Infine, presi una civetta bianca per le sue piume candide come la neve e per i suoi occhi color topazio, era bellissima, la chiamai Regina, pensai che fosse una buona compagna per Piplup quando saremmo ad Hogwarts.
Infine entrammo da Madama McClan: abiti per tutte le occasioni, Madama McClan mi prese le misure, Piplup cominciò a infilarsi tra le file di divise e a provare i mantelli che erano decisamente il triplo di lui, e in poco meno di mezz’ora la divisa scolastica era pronta; beh, con un colpo di bacchetta si possono fare grandi cose ed io vorrei scoprire le mie di cose.
 
Poco dopo ci ritrovammo alla stazione di King’s Cross, persuasi mamma a non Smaterializzarci per non provare per la terza volta in un giorno quella sensazione di compressione, quindi ci incamminammo per Londra con tutti i Babbani che ci scrutavano ‒ certamente girare per la città con in mano una gabbia in cui c’era una civetta non era una cosa che si vedeva ogni giorno ‒.
Non sono riuscita, però, a convincere mamma a non farci Smaterializzare a casa, perciò quell’orribile sensazione la riprovai; dopotutto avrei potuto provare la bacchetta subito: feci librare gli oggetti della mia camera per aria ‒ era sorprendente quanto fosse semplice fare magie con uno strumento che incanala tutta la tua forza, forse prima il problema era che non riuscivo a controllare i miei poteri ‒, feci suonare il pianoforte a colpi di bacchetta ed anche il flauto e il violino, ordinando il brano da eseguire e dando il tempo come un direttore d’orchestra.
 
Il primo settembre si avvicinava sempre di più, passavo intere giornate a compiere incantesimi, a leggere il libro che mi regalò mamma, a suonare e a passare i pomeriggi nelle spiagge di Sabbiafine, adesso che avevo una bacchetta avevo imparato la Fattura Gambemolli quindi in un certo senso sapevo anche proteggermi, e poi non ero sola c’erano con me anche Kenny e Barry, di conseguenza due maghi in più.
Alla fine ho fatto il forum su internet intitolato Hai gli occhi di tua madre. Non mi aspettavo che ci fossero degli iscritti, eravamo solo due: io e Harry Potter.
 
 
 
Angolo autrice:
Mi dispiace per l’attesa ma ho avuto gli esami di terza media, sono andati bene.
Allora, veniamo al capitolo vi chiedo di mettere in considerazione ogni fatto perché alcuni dettagli possono essere irrilevanti ma vi posso assicurare che fa tutto parte della storia.
Allora, la bacchetta: il legno è già stato spiegato sopra, nucleo di fenice lo scoprirete il perché più avanti, il significato è la rinascita, infatti la fenice muore e poi risorge dalle ceneri, la lunghezza: volevo che la bacchetta non fosse né troppo corta né troppo lunga, perciò dovevo scegliere un numero maggiore di nove e minore di tredici, ho pensato a un numero primo (11) e poi ho aggiunto 0,5, l’ho scelta inoltre elastica per facilitare a Lucinda la praticità.
Le bacchette d’acero sono adatte a persone con la mente indipendente, dotata d’ambizione e forte desiderio di conoscere e sperimentare cose nuove, ma anche adatte a persone riservate e complicate; legno adatto a Lucinda.
La quercia poteva adattarsi perfettamente a Lucinda la cui data di nascita corrisponde alla quercia nel calendario degli alberi celtico. La quercia è “il re della foresta”, simbolo di forza.
Tenete in considerazione la camera blindata dei Winslow e l’atteggiamento che ha la gente con Lucinda specialmente Ash, poi il gesto fatto dal ragazzo dagli occhi azzurri di cui ancora non ho rivelato il nome.
Insomma, tenete in considerazione tutto e fatemi sapere nelle vostre recensioni.
Poi vi ricordo che mentre leggete immaginatevi la scena nella vostra testa con le voci dei personaggi, credo che sapete come sono; la voce del ragazzo sconosciuto è quella di Renato Novara.
flautista_pearl
 
P.s.: Se non lo sapevate ieri era il compleanno della mia Lucinda ^.^

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Capitolo 4
*** Binario 9 e ¾ ***


Binario 9 e ¾
 
Harry Potter.
Sinceramente, chi l’avrebbe mai immaginato che il grandissimo e assai illustre Harry Potter ‒ colui che sconfisse Tu-Sai-Chi, il Prescelto, il Salvatore, insomma Harry James Potter ‒ si sarebbe iscritto al mio, insulso suvvia, club?
Lo vidi in linea e non pensai minimamente che potesse cominciare una chat tra me e il suddetto Potter. A dire la verità non sapevo che il Prescelto si dilettasse a iscriversi a forum creati su internet e a chattare. Non capita comunque ogni giorno di vedere il Salvatore del Mondo magico cercare d’instaurare una conversazione con una quasi adolescente pseudo-famosa per aver visto la morte del proprio padre in faccia con almeno una dozzina di Mangiamorte a un palmo dal naso.
 
Savior ‒ Ehi ciao!
Mother’s Eyes (fu il primo nick che mi venne in mente) ‒ Salve signor Potter. Mi scusi, ma come ha fatto a iscriversi al forum?
 
Giusto per essere un po’ schietti e arrivare dritti al punto. Sembrai distaccata e un tantino curiosa nel contempo: stavo sempre e comunque mandando messaggi a un trentenne che sconfisse uno dei più grandi maghi oscuri.
 
Savior ‒ L’aveva scoperto mio figlio Al navigando su internet.
 
E fu così che il Salvatore del Mondo magico mi parlò dei suoi figli James Sirius, Albus Severus e della piccola Lily Luna. Albus o Al come lo chiamava lui era pure del mio stesso anno e come aveva spiegato fu lui a trovare il club su internet, ma non si iscrisse perché aveva gli occhi di suo padre, gli somigliava molto diceva: occhi verdi, capelli corvini e una corporatura minuta.
Non avevo mai conversato così a lungo con un adulto che non fosse mia madre o il Professor Rowan. Era stato in un certo senso liberatorio parlare di me, della mia ‒ assai discutibile ‒ popolarità e dei miei genitori.
Di solito non parlo con tutti di me e specialmente dei miei genitori, ma il signor Potter si rivelò  davvero disponibile e comprensivo. Non parlavo di me nemmeno con Kenny, Barry e Leona. Sarei  apparsa troppo come una bambina bisognosa di attenzioni di fronte ai ragazzi. E poi onestamente, apparire ancor di più solitaria, chiusa e da psicanalisi credo non avrebbe fatto bene a nessuno; oltretutto Leona è Babbana, quindi era quasi impossibile parlare quando stavamo tutti insieme.
Avevo sì appena conosciuto il Prescelto con cui avevo discusso di argomenti prettamente personali, ma è stato come se lo avessi conosciuto da sempre, per un momento mi sembrò di parlare con me stessa. Una delle cose su cui sono sicura (alquanto bizzarro dato che sono la prima ad essere insicura su questo mondo) è il saper ascoltare. So ascoltare, anche se l’argomento della conversazione non mi interessa minimamente. Ascolto, recepisco il pensiero altrui e poi ne formulo uno mio. Mi piace ascoltare le persone, credo di non avere un motivo preciso sul perché, ma mi fa sentire me stessa. Io ascoltavo il signor Potter e lui ascoltava me. Ci fu quasi un rapporto di fiducia o forse era già radicato da quando ci eravamo presentati.
Salutai cortesemente il signor Potter verso le otto e mezza, svegliai prima Piplup che si era appisolato sul letto e liberai Regina dalla gabbia lasciandola volare intorno al giardino, andai infine giù a cenare.
A tavola io e mia madre eravamo entrambe silenziose come al solito (e Piplup stava cercando di non collassare sulla ciotola di cibo per Pokémon). Non perché ci detestavamo o altro ‒ che poi non è che ci detestiamo, è che il nostro è un modo alquanto diverso di amare: lei troppo protettiva e io troppo desiderosa di libertà e di una vita sociale stabile, sia chiaro, ma che per amore rinuncio per farla stare bene ‒ ma perché non c’era assolutamente niente su cui discutere. Entrambe sapevamo benissimo che alla sottoscritta Lucinda Winslow non piacevano i suoi «Domani vado al Ministero della Magia a parlare col ministro. Stai a attenta a casa». Ed entrambe sapevamo senz’ombra di dubbio che alla madre non piacevano i miei «Sono riuscita a suonare la prima parte di Syrinx di Debussy» o «Sai che la prima fenice comparsa nel Mondo Interno è il Pokémon Leggendario Ho-Oh?» oppure semplicemente «Ho conosciuto il signor Potter su internet».
Forse l’ultima l’avrebbe interessata pure, ma sta di fatto che il silenzio incombeva, rotto forse dal rumore delle posate e dal ticchettio dell’orologio.
Sparecchiai e lasciai mia madre a lavare i piatti, presi Piplup in braccio ormai collassato sulla ciotola e salii in camera, lo misi sotto le coperte e mi sdraiai accanto a lui sul letto.
Sentii qualcosa d’impresso sulla mia guancia destra che toccai un paio di volte. Aprii gli occhi con un po’ di fatica stropicciandoli. La luce della stanza era spenta e l’orologio a forma di Starly sul comodino segnavano le tre e trentasei. Mi sedetti sul bordo del letto ma crollai immediatamente sul fianco senza forze.
Una settimana e io sarò ad Hogwarts.
Una settimana e lascerò Due Foglie.
Una settimana e sarò libera.
Una settimana e sarà aperta la caccia ai Mangiamorte.
Rabbrividii al solo pensiero e mi raggomitolai sotto le coperte.
I Mangiamorte. E dire che Voldemort era stato sconfitto. E allora mi chiedo perché? Perché colpire la mia famiglia, mio padre, mia madre, me? Perché colpire quando è tutto finito?
Non riuscii a darmi ‒ a trovarmi ‒ una risposta ché la stanchezza e l’angoscia mi pervasero, lasciandomi cadere in sonno. Eppure i sogni per quanto irreali possano essere sono un modo per sfuggire alla realtà, a volte ingiusta e a volte severa.
 
Li passai tranquillamente gli ultimi giorni qui a Due Foglie, gli ultimi giorni prima della mia pseudo-libertà. Mi mancherà la biblioteca, la scrivania, soprattutto la sala degli strumenti. Gli archi, i fiati (sia i legni che gli ottoni), il piccolo mandolino nella sua custodia e il pianoforte di papà erano tutti in quella stanza. Il mio flauto d’argento nella sua custodia ricoperta di lana stava sempre sulla mia scrivania accanto al metronomo. Invece il violino di mia madre penso che stia in camera sua. Non c’ero mai entrata là, giusto qualche occhiata fugace da dietro la porta.
Ricordo ancora le mani di mio padre che premevano i tasti e mia madre al suo fianco col suo violino, si esibivano nella sala degli strumenti facendomi assistere a qualche mini-concerto. Era stato papà a farmi avvicinare alla musica: mi metteva seduta sulle sue gambe, prendendo poi le mie minuscole manine e facendole poi scorrere sui tasti. Non sono una vera e propria pianista, ma diciamo che me la cavavo abbastanza bene. Avrei voluto fare un brano per flauto con l’accompagnamento del pianoforte di papà. Ma i Mangiamorte giustamente me lo impedirono.
Avrei voluto chiedere al signor Potter a proposito della caccia ai seguaci di Tu-Sai-Chi in quei giorni che mi rimasero, ma non fu mai in linea. Sembrava quasi mi evitasse. Ma sta di fatto che l’ultima volta che mi ero connessa lui non c’era.
 
Il 30 agosto mamma ed io, insieme a Piplup, baule e Regina, prendemmo il primo vascello del pomeriggio da Canalipoli diretto ad Austropoli, per poi raggiungere Sciroccopoli con la corriera. Mamma ritenne saggio non abusare del mio fisico ‒ e diciamo anche della mia magia ancora in fase di controllo, Merlino! C’ho messo secoli per manifestare la magia ‒ per smaterializzarci.
Arrivammo così il pomeriggio del giorno dopo nel Mondo Esterno. Andammo subito al Paiolo Magico e mamma prenotò una stanza a due.
La camera si affacciava sulla via acciottolata di Diagon Alley. Si vedeva spiccare l’imponente figura marmorea della banca su tutte le botteghe del viale. La stanza era la numero 21. C’erano mobili di quercia lucidissimi, a due lati opposti troneggiavano due letti a baldacchino e uno specchio era appeso vicino alla porta.
Mamma, ovviamente, mi proibì categoricamente di lasciare il Paiolo, perfino di fare una passeggiata per i negozi.
Non la vidi poi per tutto il giorno, perciò ne approfittai per impararmi tutta Syrinx di Debussy; Piplup era steso a pancia in giù sul letto a fissarmi insieme a Regina appollaiata sopra l’armadio e si facevano cullare dalla musica. Fu particolarmente difficile, era sì per flauto solo, perciò un brano molto libero (con pause e semibrevi lunghe a piacimento), ma le troppe alterazioni mi stavano uccidendo. Così finii per ripassare i brani già fatti fino all’ora di cena, quando mamma mi fece chiamare per mangiare. La sala era molto affollata: molti studenti erano al Paiolo per l’inizio della scuola, ma non vidi né Barry né Kenny. Tuttavia di sfuggita notai il ragazzo del gelato, ma solamente per pochi secondi dato che era scomparso tra la folla. Abbozzai un piccolo sorriso che sparì quasi subito quando mia madre mi fece notare che avevo la forchetta sospesa a mezz’aria.
Piplup se la rideva in silenzio, ma lo squadrai di sottecchi.
 
Mi ero svegliata veramente tardi la mattina seguente. Non avevo chiuso occhio per circa sei ore per l’agitazione, forse neanche per quella, ma per mamma.
Alle undici meno dieci circa stavo superando la barriera che separava i binari nove e dieci. Inspirai un paio di volte prima di attraversarlo, avevo Piplup aggrappato alla mia spalla e il carrello saldato al mie mani. E poi presi l’ultima boccata d’aria, mi guardai intorno un paio di volte per assicurarmi che non ci fossero Babbani a guardarmi intorno (all’entrata alcuni mi guardavano storto e contemporaneamente fulminavano la mia civetta) e corsi verso il muro con gli occhi chiusi. Poi li aprii e la locomotiva a vapore era lì, davanti a me, di uno scarlatto acceso, che sbuffava anelli di fumo. L’autunno quest’anno a Londra si era fatto sentire prima e la banchina era avvolta da una densa  foschia. Era gremita di maghi, un bel po’ a dire la verità ché mi sentii a disagio. Non amo essere circondata da troppa gente, forse perché ho passato la mia vita a non circondarmi di molte persone o forse anche perché non ho avuto molte occasioni di legare.
Erano quasi le undici e il treno stava per partire. Salutai mia madre con un strettissimo abbraccio; non ci parlammo, anche perché le parole in quel momento non servivano, avrebbero guastato quell’atmosfera magica che si era creata, carica sia di ansia sia d’amore. Mi diede un piccolo bacio fugace in fronte e mi aiutò a caricare i baule insieme a Piplup che poi si limitò a portare la gabbia di Regina a bordo. Lanciai un’occhiata a mia madre a constatai la sua preoccupazione. Le rivolsi un enorme sorriso e le dissi di non preoccupassi. Lei fece una faccia corrucciata ma poi sul suo viso si dipinse un grande sorriso, uno dei rari sorrisi di mamma, uno dei più sinceri.
Balzai a bordo prima che il treno partisse e chiusi lo sportello. Si udì un fischio, il treno sbuffò e partì. Salutai mia madre dal finestrino della porta finché il treno non imbucò la prima curva. Mamma aveva un’espressione così seria che faceva trasparire la sua inquietudine, quasi palpabile. Asciugai la lacrima che non riuscii a trattenere e mi misi con Piplup alla ricerca di uno scompartimento. Ne passammo in rassegna cinque ma erano tutti occupati da studenti. Ce n’erano tanti anche nel corridoio, infatti venni spintonata un paio di volte, una delle quali la botta fu decisamente forte che caddi a terra.
«Merlino, che botta!», mormorai.
Mi massaggiai la schiena perché avevo urtato contro il baule che cadde anch’esso fragorosamente.
«Piplup! Pi-Piplup!», strepitò il Pokémon accanto a me contro la persona che mi fece crollare.
«Piplup, basta!», gli ordinai. Guardai in faccia la persona di fronte a me e involontariamente rifiutai la mano che mi porse.
«Perché?», mi domandò Ash Ketchum, tra il perplesso e l’offeso.
Mi chiedi pure perché?
Mi limitai a scrutarlo torva e lo superai trovando poi uno scompartimento vuoto. Mi ci infilai immediatamente, chiudendo poi la porta, isolandomi così  dalla confusione di fuori. Misi il baule sul portabagagli in alto con il supporto del Bollaraggio di Piplup e mi sedetti sul sedile di pelle estremamente confortevole. Regina in gabbia affianco a me dormicchiava sotto l’ala. Guardai il paesaggio fuori dal finestrino: il cielo era coperto di nuvole ma non troppo e agli scorci di Londra babbana si sostituirono ben presto la campagna, immensi campi dedicati ai cereali e al pascolo. Piplup si era addormentato sulle mie gambe ma fu presto svegliato dallo sbattere della porta: Kenny e Barry entrarono nello scompartimento senza fare troppi complimenti.
«Ti abbiamo cercata per tutto il treno. Per un momento abbiamo temuto che ti fossi infiltrata nella carrozza dei prefetti!», mi rimproverò Barry sistemando il proprio baule e poi quello di Kenny.
«Be’, almeno adesso mi avete trovata», risposi sottovoce.
«Leggi», fece Barry schietto.
Mi lanciò il giornale, la Gazzetta del Profeta.
In prima pagina c’era un’enorme fotografia in cui potevo distinguere mia madre e il signor Potter.
 
Caccia ai Mangiamorte aperta
Si sono riuniti tutti gli Auror al Ministero della Magia per prendere ciascuno le informazioni sui Mangiamorte in fuga. Gli Auror si muoveranno a squadre. Secondo alcune fonti alcuni fuggiaschi sono all’estero, probabilmente sotto falsa identità, se non oltreoceano. Il Ministero è cauto sul divulgare alcune notizie.
 
Aprii la bocca un paio di volte non sapendo trovare le parole adeguate.
«Cosa?!», feci infine perplessa con un tono di voce abbastanza alto da far sussultare Regina che stava riposando.
«Quello che mi son detto io», disse Barry. «Anche se non è certo, perché all’estero?».
«Non ci sono i controlli? Si saprebbe se un mago, oltretutto Mangiamorte si fosse imbarcato per l’estero o anche smaterializzato, no?», domandai.
«Non tieni conto delle Passaporte illegali», aggiunse Kenny piatto.
«Ma ci dev’essere un modo, non credete? Mia madre deve andare anche all’estero?».
«Ehi, calma! Non è sicuro che vada fuori la Gran Bretagna», cercò di rincuorarmi Barry.
«Tu non hai una madre Auror, non hai una famiglia distrutta, non sei mai stato rinchiuso in casa per anni affinché non morissi», le parole mi morirono in gola. Tentai di trattenere le lacrime ma inutilmente, anzi, scesero senza sosta.
Entrambi ammutolirono, non sapendo come controbattere, forse perché Piplup si era messo a scrutarli torvo. Credo fosse pronto a lanciare uno dei suoi miglior Bollaraggio se uno dei due fosse stato in procinto di fare una mossa sbagliata.
Intanto fuori la confusione era diminuita e nel nostro scompartimento si sentivano ogni tanto lo scoppio di qualche carta ‒ che fece coinvolgere Piplup nella partita a SparaSchioccoBumBum tra Kenny e Barry ‒ e le pagine di giornale. Ben presto finii il quotidiano, così dovetti chiedere ai ragazzi di prendermi il baule. Fu più difficile del previsto, ci impiegammo dei minuti veramente sudati per tirarlo giù perché Kenny mollava la presa. Presi dal baule il libro che mi serviva e lo richiusi. Barry mi guardò male: «No! Non te lo metto a posto! Non ci pensare minimamente!», sbraitò.
Gli feci una delle facce più innocenti che sapevo fare dando energia alla mia vena d’attrice, tanto innocente che alla fine prese il baule e lo mise, sbuffando sonoramente, a posto. Sorrisi compiaciuta e aprii il libro al punto in cui ero arrivata: Volatili. Ma prima che potessi cominciare il capitolo sentii dei colpetti battere il vetro della porta. Alzai lo sguardo e un’anziana signora con una divisa da cameriera mi sorrise. Kenny aprì la porta e chiese a noi se avessimo fame: Barry rispose che non aveva soldi, io invece una certa fame l’avevo così uscii dallo scompartimento e chiesi alla signora cosa ci fosse. Lei si apprestò subito a rispondere: il carrello era stracolmo di dolciumi di ogni tipo, Zuccotti di zucca, Gelatine Tuttigusti+1, Api Frizzole, Gomme Bolle Bollenti, Cioccorane, Mou, Cioccalderotti, Cioccoli, Calderotti, Bacchette magiche alla liquerizia.
Domandai a Barry e a Kenny se volevano qualcosa ma risposero entrambi che avevano il panino da casa; così decisi di comprare un po’ di tutto, presi il sacchetto con le monetine e le contai.
«Tre Bolle Bollenti, per favore», chiese una voce familiare dietro la signora. Alzai lo sguardo dal sacchetto di monetine e incontrai due occhi azzurri, il ragazzo del gelato.
«Niente lacrime oggi, eh?», fece lui ammiccando. «Tieni!», mi lanciò una delle Bolle Bollenti che aveva appena comprato e sparì dietro la signora.
«Allora signorina, cosa vuole?».
Stavo osservando il pacchetto di gomme come se fosse oro, ma fortunatamente la signora del carrello mi riportò alla realtà. Mi scrollai, diedi un’occhiata fugace al sacchetto e risposi: «Un po’ di tutto, grazie».
Pagai e posai la refurtiva sul sedile, li spostai facendomi un po’ di spazio per sedermi. Offrii più di metà bottino ai ragazzi che cominciarono a ingozzarsi come Piplup che aveva già finito tre scatole di Api Frizzole e ora stava levitando per lo scompartimento da più di cinque minuti. Cominciai con una Cioccorana aprendo la scatola di carta. La rana (ormai avevo imparato un po’ di animali col libro) di cioccolato fece un balzo e si buttò sul finestrino, verso la libertà.
«Devi afferrarlo», bofonchiò Barry con la bocca piena. «Fanno un solo salto. Carpe diem!».
Sì, certo. Cogli l’attimo.
Però in compenso guadagnai una figurina, quella di Harry Potter. La girai e lessi la descrizione:
 
Harry James Potter, Auror. Ritenuto uno degli Auror più forti del terzo millennio. Noto soprattutto per aver sconfitto nel 2 maggio 1998 a soli diciassette anni il mago oscuro più potente dell’epoca, Lord Voldemort, per aver vinto il Torneo Tremaghi e per aver ucciso il mostro nella Camera dei Segreti. Ama il Quiddtch ed è stato uno dei più giovani cercatori da un secolo.
 
La figurina ritraeva un uomo sulla trentina, quasi quarantina, dal viso sottile con i capelli corvini e due occhi di un verde molto intenso. Per un momento pensai che Harry Potter mi stesse rivolgendo un piccolo sorriso, ma poi la sua figura sparì.
 
Il paesaggio fuori cambiò: ai grandi campi si sostituirono fitti boschi e montagne e il cielo si fece più scuro.
Il sole stava tramontando e molti studenti nel corridoio giravano già con la divisa. Perciò con l’aiuto di Kenny ‒ Barry si rifiutò categoricamente ‒ e Piplup tirammo giù il mio baule. Presi la divisa e proposi ai ragazzi che sarei andata in bagno a cambiarmi e che loro potevano mettersela nello scompartimento nel frattempo ‒ con le tendine tirate ovviamente, il nudismo a undici anni non era il caso.
Così uscii alla ricerca di un bagno. Ci misi cinque minuti per trovarne uno, la quantità di studenti nei corridoi era aumentata ed era difficile sgusciare fuori. Poi finalmente trovai il bagno che (giustamente) era occupato. Mi appollaiai alla parete davanti alla porta con in braccio la divisa ad attendere.
«Domi ci mette secoli a sistemarsi in bagno», disse una ragazza che si era accostata a me, dai capelli rosso fuoco, leggermente ondulati, il viso era tempestato di lentiggini e aveva due occhi vispi color miele. E aveva già la divisa.
Mi limitai ad annuire in silenzio, sperando che questa Domi finisse presto.
«Se vuoi puoi cambiarti nel mio scompartimento, posso far uscire James e Al per qualche minuto», propose.
«Oh, be’ grazie… aspetta un momento. Hai detto James e Al? I due Potter?».
«Proprio loro due. Perché?», sorrise, mostrando le due fossette che si erano formate sulle guance.
«Una settimana fa conversai con loro padre», risposi divertita.
Lei mi fece strada verso il suo scompartimento che non era molto distante.
«Comunque io sono Rose, Rose Weasley», fece con un tono di voce più alto per sovrastare il vociare nei corridoi.
«Io invece sono…».
«Sì. So chi sei», mi interruppe. «Credo tutti sappiano chi tu sia. La figlia di Olga Winslow non passa di certo inosservata», aggiunse ammiccando.
Quando arrivammo, Rose fece uscire i due Potter, in divisa pure loro. Ci misero un po’ per uscire: la partita di scacchi fra loro stava entrando nel vivo per poi sfociare nello scacco matto vincente di Albus. Mi ritrovai perciò sola, tirai le tendine e nel modo più veloce per potei mi sfilai la maglietta e i pantaloni. Con altrettanta velocità mi infilai la divisa per poi uscire dopo non più di due minuti.
«Miseriaccia, ci hai messo pochissimo!», si meravigliò Rose. «Adesso è meglio che ti sbrighi che stiamo per arrivare».
Non me lo feci ripetere due volte: corsi il più in fretta possibile da Kenny e Barry urtando contro una cinquina di studenti. I ragazzi erano già pronti nelle loro divise e i loro bauli a terra; io invece ancora dovevo mettere a posto gli abiti e il mio libro nel mio. Ma fummo di una velocità incredibile. Kenny, Barry ed io (col supporto del Bollaraggio di Piplup) posammo il mio baule sul sedile.
Il treno stava pian piano decelerando e quando si fu definitivamente fermato io ero pronta con Piplup sulla spalla, la gabbia di Regina nella mano sinistra e il baule nella destra.
La quantità degli studenti nei corridoi era enorme, tant’è che pensai che fossimo gli ultimi a uscire, c’erano come minimo duecento studenti o forse anche di più.
Ero completamente buio pesto quando eravamo scesi e non vedevamo un palmo dal naso. Ma un uomo enorme alto sì e no tre metri, con una folta barba reggeva una piccola lanterna, piccola tanto da illuminarlo.
«Primo anno! Primo anno! Quelli del primo tutti qua!», gridava in continuazione.
 
 
 
 
 
Angolo autrice (a cui mancano 4 kanji per il test di giapponese):
Allora… che dire? Salve!
Sì insomma, è dal 23 giugno 2012 che non aggiorno la fanfic e oggi a mezzanotte mi metto a pubblicare il quarto capitolo. :’D
Si ringrazia la cara e vecchia babbana della mia Miki per il betaggio (non ha efp, se volete sapere)
E tantissimi auguri ad Andrea! Ecco il tuo regalo di compleanno, spero ti piaccia :3
E mi dispiace che abbiate aspettato così tanto per questo aggiornamento, sono mortificata çwç
Però tanto adesso potrete enjoyare, fangirleggiare, volteggiare e recensire. E vi invito a chiedermi l'amicizia su fb :3
 
Saluti a tutti i babbani, pueri e puellae che cominciano l’11 la scuola (o l’hanno già cominciata)
dalla vostra (pigra e tanto stanca) flautista_pearl :3
 
P.S. Se volete saperlo il brano Syrinx io non lo so proprio fare, come già detto nella ff troppe alterazioni. So fare giusto le prime tre battute. E se volete sentirlo ci sono alcuni video su youtube, vi consiglio di ascoltarlo se vi piace il flauto.

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