In girum imus nocte et consumimur igni di Neal C_ (/viewuser.php?uid=101488)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Omnes homines liberi aequique dignitate atque iuribus nascuntur ***
Capitolo 2: *** Nihil morte certius ***
Capitolo 3: *** Quo vadis, baby? ***
Capitolo 4: *** Absit iniuria verbis ***
Capitolo 1 *** Omnes homines liberi aequique dignitate atque iuribus nascuntur ***
TITOLO: In girum imus
nocte et consumimur igni *
NOME: Neal C.
FANDOM: Hyperversum
RATING: giallo
PAIRING : Ian/Isabeau,
Martewall/Nuovo Personaggio, Daniel/Jodie
AVVENTIMENTI: linguaggio
forte, het
GENERE: generale,
drammatico, storico, introspettivo, avventuroso
TITOLO CAPITOLO : Omnes
homines liberi aequique dignitate atque iuribus
nascuntur*
In girum imus nocte et consumimur igni
1. Omnes homines liberi aequique dignitate atque
iuribus nascuntur
All’imbrunire di una tranquilla giornata estiva un messaggero
si presentò alle guardie di Chatel-Argent con un messaggio
urgente per il Signore di Montmayeur, Jean Marc de Ponthieu.
Ian dovette abbandonare a malincuore il suo posto accanto al figlio
Marc, immerso nei suoi studi di “latinorum”, e il
ragazzino tirò un sospiro di sollievo guardando con simpatia
una giovane guardia imbarazzata, forse al suo primo giorno di servizio,
rigida e con il volto in fiamme davanti all’espressione
seccata del Conte.
“Monsieur, mi dispiace disturbarvi ma è
urgente”
La sua frase cadde nel vuoto mentre il Signore del castello fulminava
con uno sguardo il figlio minacciosamente, affinchè non si
sentisse dispensato dagli studi, ma alla fine si rassegnò a
seguire il soldato, di buon passo.
Tutte le volte che qualcuno si faceva annunciare con un messaggio
urgente in genere c’erano guai in arrivo.
Ian pregò con tutte le sue forze che niente rovinasse,
quest’anno, il compleanno del suo secondogenito, Michel. Era
una data importante, il suo decimo compleanno e Ian aveva pensato ad un
piccolo ricevimento per pochi intimi. Ma il solo pensiero del
messaggero che lo attendeva nel cortile dell’ “alta
corte” lo innervosiva profondamente.
Era quasi un anno che si era ritirato dalla corte di Francia e dalle
politiche spietate che inseguivano le lotte sanguinarie dei baroni in
Inghilterra, sulla quale la presa francese si faceva sempre
più debole ogni giorno che passava e la Regina Bianca di
Castiglia, da due anni reggente al trono di Francia per il figlio Luigi
IX, aveva dovuto affrontare anche l’ostilità dei
baroni francesi del sud e trovava sempre più difficile
controllare la situazione oltre Manica.
Ian aveva temuto più volte di essere strappato alla sua pace
e invece quei mesi erano trascorsi fra i rapporti di Monsieur Thibald
de Chailly, i registri dell’attività
agricola-mercantile del feudo, i colloqui e le mille richieste dei suoi
sudditi, il cantiere per quel nuovo mulino, a poche miglia da Arras, e
un secondo cantiere per restaurare la torre del monastero di
Saint Michel di cui aveva promesso di occuparsi in uno slancio di
generosità “aristocratico-feudale”. Se
non ci fosse stata sua moglie a soccorrerlo con la sua esperienza e la
sua grande conoscenza dei terreni Ian avrebbe avuto un esaurimento
nervoso.
Il momento che preferiva arrivava nel pomeriggio tardo, in cui
raggiungeva Marc e Michel e li assisteva nello studio del latino,
della geografia, del francese e dell’inglese.
Con grande disappunto di Marc, Michel, pochi mesi prima era stato
invitato dal barone di Dunchester, Geoffrey Martewall a passare da lui
il mese di agosto e il bambino aveva pregato il padre di accettare
l’invito.
Ian era restio all’idea di mandare suo figlio in Inghilterra
da solo e aveva risposto che ci avrebbe pensato su.
Fortunatamente Dunchester e Glevehen erano al riparo dalle guerre
intestine e Martewall si manteneva neutrale nonostante le sue
collaborazioni segrete con Bianca di Castiglia e la sua
fedeltà alla corona francese.
Ci avrebbe pensato su ancora un po’. In fondo non
c’era fretta.
Dopo il compleanno di Michel ne avrebbe parlato con Isabeau e poi
avrebbe scritto a Geoffrey la sua risposta. Questo si ripeteva fra se e
se Ian quando finalmente si trovò davanti il messaggero.
In abiti scuri da viaggio e mantello con il cappuccio in testa,
nonostante la calura estiva di pieno luglio, questi si guardava intorno
frettolosamente e ciò rese Ian ancora più nervoso
e maldisposto di quanto non fosse già.
“Monsieur Comte, J'ai un message pour vous”
annunciò, inchinandosi profondamente, quasi tirando un
sospiro di sollievo “de l'Angleterre”
“Dovete aver fatto un lungo viaggio, sarete
stanco.” Esordì Ian pazientemente, annuendo, in
tono serio.
“I miei uomini si occuperanno di voi affinchè vi
rimettiate in forze prima di partire. Siete mio ospite.”
“Grazie, Monsieur.”
Seguì un attimo di silenzio, attesa da parte di Ian mente
l’uomo raccoglieva le idee.
“Mi manda il barone di Dunchester. ” a quelle
parole Ian ebbe un brivido, come un cattivo presentimento;
che fosse successo qualcosa? Cattive notizie da Londra?
“vi avverte che egli sarà vostro ospite in
occasione del compleanno di vostro figlio che sarà
festeggiato presso la dimora di vostro fratello, in Piccardia.
E”” aggiunse davanti allo stupore del Conte
“Monsieur de Ponthieu vi fa sapere che saranno presenti anche
Sua Altezza la Regina Bianca di Castiglia e Monsieur Tebaldo IV, Conte
di Champagne.”
Ian rimase sconvolto a fissare il portone d’ingresso
presidiato da un manipolo di soldati, tutti sull’attenti nel
momento in cui il conte era sceso in cortile.
Gli uomini dovettero sentirsi addosso lo sguardo del loro signore
poiché gonfiarono il petto e si fecero più dritti
e attenti, osservando concentrati il portone come se questo potesse
spalancarsi da un momento all’altro.
Ma Ian non vedeva niente di tutto questo e sentiva la mente in
subbuglio, assediata da una valanga di domande.
Perché questa riunione urgente? Si sarebbe parlato della
questione inglese? E perché proprio il giorno del compleanno
di Michel?
“Monsieur, vi sentite bene?” Ian dovette
tranquillizzare l’uomo che lo osservava preoccupato ma anche
conscio di non aver portato esattamente delle buone notizie.
Sicuramente questo significava tornare alla vita di intrighi politici
nello stagno degli squali, dove Guillaume avrebbe approfittato del suo
“occhio di falco” ,come lo chiamava lui, per
tessere nuove strategie e formare nuove alleanze a corte.
Dopo aver congedato il messaggero nelle mani delle guardie, Ian si
riavviò pensieroso, non verso la biblioteca dove il figlio
lo attendeva, ancora intento nella lettura di San Tommaso ma
bensì per raggiungere Isabeau e schiarirsi le idee.
**********
Daniel Freeland si disse che quello era proprio un buon giorno per
fuggire, indietro di ottocento anni.
Il lavoro in laboratorio era stato massacrante, per poco non aveva
fatto fallire l’esperimento di elettromagnetismo che avrebbe
dovuto presentare alla conferenza di quel liceo tecnico-linguistico, la
settimana successiva e aveva dovuto completare in fretta e furia la
presentazione power point per l’occasione. Reclutare nuove
matricole era fra i compiti affidati a Ricardo che però in
quel momento era spaparanzato su una spiaggia della Florida a
spassarsela e gli aveva affibbiato per e-mail questo sgradito
onere. Grazie al cielo aveva ancora il week-end per poter
respirare e poi, dopo quel dannato progetto si era ripromesso di
prendersi una bella vacanza con Jodie.
Anche lei prima di Agosto non avrebbe avuto le ferie e
mancava ancora poco.
Ma quel giorno era il 25 luglio, il compleanno di Michel e Daniel non
sarebbe mancato per niente al mondo.
Fu semplice programmare Hyperversum e caricare la partita salvata,
controllare il backup dei dati che era solito fare, persino quello su
memoria esterna e, dopo aver lasciato un biglietto di spiegazioni a
Jodie, immergersi nel mondo virtuale, e ritrovarsi a camminare al
confine con il monastero di Saint Michel, al limitare del boschetto.
Quando fu vicino alla cinta esterna delle mura di Chatel-Argent vide
che c’era troppo movimento al di fuori delle mura, anche per
un semplice compleanno. Ian doveva essere vicino poiché
Daniel sentì per un attimo le sue percezioni amplificarsi
mentre la magia della macchina del tempo lo catapultava nel medioevo.
Con suo sollievo accanto a lui c’era il suo cavallo, con una
sacca da viaggio che prometteva di contenere le fantomatiche provviste
che lo avevano accompagnato fin dalla sua partenza dalle isole della
Scozia.
Al posto della sua T-shirt nera da casa, sformata, aveva addosso
camicia e calzoni e stivali, mantelllo da viaggio e un fresco cappello
per proteggersi dal sole estivo. Con sé aveva il suo arco e
la spada nel cinturone, simbolo della sua posizione di cavaliere,
sebbene quest’ultima fosse molto meno amata da Sir Freeland.
Si riscosse, tornando a concentrarsi sul convoglio da viaggio che stava
uscendo dalle porte del castello diretto a est, verso Bearne
a quanto ricordava.
Salito in sella, lo inseguì al trotto per stargli dietro e
man mano che si avvicinava riconobbe le divise dei soldati di scorta,
bianche e azzurre dei Ponthieu.
Alcuni subito lo identificarono e Daniel su annunciato ancor prima di
dire A.
Il convoglio si fermo per un attimo mentre Ian scendeva da cavallo per
andare a salutare il suo più caro amico di sempre, anche se
un po’ in ritardo all’appuntamento.
“Ehi, signor conte, dove te ne vai di bello?”
Ian gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla e invitandolo a
cavalcare accanto a lui mentre dava ordine di riprendere il cammino. Si
giustificò dicendo che aveva cercato di ritardare la
partenza il più possibile per non dover perdere il loro
appuntamento mensile.
“Ma non dovevamo festeggiare quel farabutto del tuo
figlioletto?” scherzò Daniel, cercando con lo
sguardo Isabeau che però era nascosta dalle tende di una
rudimentale carrozza. Infatti Ian aveva preferito rinchiudere li moglie
e figli per non far sforzare Isabeau e non costringere i bambini a
cavalcare tutto il tempo.
“Ma non è un po’ anacronistico un
carrozzone alla cenerentola?” motteggiò
l’inglese e ricevette un’occhiataccia
dall’amico.
“Non me ne importa niente. Diciamo che in genere si
usa per il trasporto dei malati. Ma è meglio
così. Se dovessi controllare quella furia di Marc che va a
cavallo avrei un esaurimento nervoso dopo il primo
chilometro.”
“Allora signor conte, che si dice? In che guaio mi stai
cacciando?”
“Sono stato richiamato a corte praticamente”
brontolò Ian e Daniel quasi carpì una punta di
preoccupazione e infelicità che lo misero
sull’attenti. Forse che veramente sarebbero andati incontro a
qualche guaio?
“Temo che dovremo festeggiare Michel alla presenza della
Regina Bianca e del suo alleato prediletto Monsieur de
Champagne”
“Wow, l’importante è che il vino lo
garantisce de Champagne” tentò di mostrarsi
spiritoso Daniel ma Ian si rabbuiò al pensiero della folla
che lo aspettava presso il fratello.
“Ma non eri tu il preferito di Bianca di Castiglia?”
“Ho felicemente ceduto il primato al Conte Henri
Grandpré. E adesso la Regina ha trovato un solido alleato,
ancor più potente di Grandpré.”
“Quindi Champagne è uno che conta?”
“Teobaldo IV è figlio di Bianca di Navarra e di
Teobaldo III di Champagne, un fedelissimo della corona francese e anche
un uomo del Papa. Ha partecipato alla IV crociata al primo appello di
Innocenzo III e il figlio è stato un protetto del Re Filippo
Augusto. ” recitò quasi a memoria Ian sempre
più scontento della caterva di personaggi storici che si
affacciavano all’orizzonte e con cui, presto o tardi avrebbe
avuto a che fare.
Daniel fischiò scherzosamente per esprimere tutto il suo
stupore e aggiunse quasi malizioso:
“E così la Regina si è sistemata ben
bene con questo qui”
Ian lo guardò curioso mentre abbassava la voce per non farsi
sentire da Monsieur de Chally che cavalcava poco dietro di lui.
L’uomo gli aveva fatto un cenno amichevole di saluto che
voleva essere una sorta di inchino a cui Daniel aveva
risposto chinando il capo con rispetto.
Ma quando Ian lo aveva preso in disparte Chally aveva distolto lo
sguardo tornando ad osservare gli alberi che incorniciavano la strada
di pietra, sobbalzando sul suo cavallo.
“Cosa ne sai? Hai letto qualcosa sull’atlante
storico?”
“No, ho tirato a indovinare” aggiunse Daniel
inarcando il sopracciglio perplesso “vuoi dire che fra i due
c’è veramente qualcosa?”
“Chi può dirlo? ” commento con un tocco
amaro Ian “alcuni dicono che si tratta solo di una decina di
lettere al mese, un amore platonico e passeggero, altri
pensano ancora peggio, che la regina stia tradendo la sua vedovanza. E
tutto ciò ovviamente non aiuta quando sei una donna
avversata da almeno una decina di baroni che ti vorrebbe quieta come
una casalinga del Massachuttes.”
“Ehi, vedo che ogni tanto rispolveri un po’ il
vocabolario del ventunesimo secolo. Allora non sei diventato un vecchio
conte medievale obsoleto.”
Ian gli scoccò un’occhiataccia quasi offesa e
ribatté minaccioso: “dovrei sfidarvi a duello per
quest’offesa Messere…”
“Come non detto” ridacchiò Daniel
restituendo al compagno il sorriso.
**************
Daniel non aveva mai visto Ian così teso e attento mentre
salutava con un finto sorriso Teobaldo di Champagne e la sua consorte
Agnese di Beaujeu.
Ma non appena ne ebbe l’occasione, si appartò poco
lontano, all’uscita del giardino verso cui sciamavano molti
degli ospiti oppressi dalla calura della sala e invitò
Daniel a raggiungerlo.
Aveva un’aria talmente afflitta e pensierosa che
l’amico attese spiegazioni al suo fianco con il sopracciglio
inarcato e un’ombra di curiosità negli occhi
chiari.
“Non posso credere che Guillaume abbia invitato mezzo mondo
per il compleanno di Michel”
Il biondo avvertì irritazione e risentimento del giovane nei
confronti del fratello e lanciò un’altra occhiata
alla sala, annoiato. C’erano parecchi personaggi a lui
conosciuti, in primis l’energico Etienne che parlava a voce
altissima attirando l’attenzione della famiglia de Bearne al
gran completo, e persino i Courtenay.
Daniel riconobbe Pierre de Courtenay *che Ian aveva battuto in torneo
almeno quindici anni prima.
Era parecchio invecchiato, la capigliatura si era ingrigita e schiarita
del tutto ma sembrava in salute e si accompagnava ad una dama che
doveva essere sua moglie da come lei gli dava il braccio.
La dama era parecchio più giovane di lui ma sembrava
comunque piuttosto affettuosa con il suo consorte.
“Il conte si è risposato da poco. La sua storica
consorte è morta almeno un anno e mezzo fa.”
“Beh, non sono poi una coppia così male
assortita.”
Ian scosse il capo funereo mentre volgeva la schiena al gruppetto per
non dover essere costretto a incrociarne lo sguardo e il saluto.
“Io non potrei mai risposarmi dopo Isabeau”
“A Isabeau non capiterà mai nulla.”
Asserì serissimo Daniel cercando di cancellare i pensieri
che ronzavano in testa dell’amico. Tentò quindi di
cambiare argomento e soddisfare la sua curiosità:
“Embè, a parte Ponthieu che ha trasformato il
compleanno di tuo figlio in un nido di intrighi politici qual
è il problema?”
Ian sgranò gli occhi e ribattè truce:
“E ti pare poco?!” guadagnandosi
un’occhiata paziente e un sospiro da parte del fisico.
“Senti, Io non conosco neanche la metà della gente
in questa sala. Si può sapere cos’è che
ti rende così… nero? ”
“Vedi quei due?” indicando due gentiluomini uno in
nero, all’apparenza molto giovane in abiti
ecclesiastici impreziositi da una lunga sottile catena che
culminava con una croce d’argento e l’altro invece
vestiva i colori di un casato a Daniel sconosciuto, in giallo e nero, e
aveva tutta l’aria di essere “duca di qualche
cosa”.
“Quelli sono Hugues de Lusignan e Pierre de Dreux*.
Il giovane Lusignan è uno che promette di fare carriera.
È invischiato fino al collo nelle beghe fra il
Papa e il Patriarca di Gerusalemme, per non parlare
dell’appoggio del padre Jacques I de Lusignan che in futuro
diventerà il re di Cipro, di Armenia e di
Gerusalemme.”
“E l’altro?”
“L’altro è il figlio del Duca di
Britannia, Robert II de Dreux, e secondo cugino del
Re.”
“Filippo Augusto?” azzardò Daniel ma
ricevette un’occhiata di fuoco.
Ecco che in qualche secondo rinasceva il professore di storia anche se
più intollerante che mai davanti all’ignoranza
altrui.
“Daniel, attualmente è re di Francia e Conte di
Artois Sua Maestà Luigi IX detto ‘il
Santo’ ”
“Scusa tanto se non sono aggiornato sull’ultimo
pettegolezzo fra i feudatari di Francia.
Tu mica sai chi è stato eletto ultimamente alla presidenza
degli Stati Uniti d’America?”
rimbeccò arrabbiato il fisico, incrociando le braccia per
rimarcare il concetto.
“Lo so benissimo, invece. Quell’Obama, il senatore
junior dello stato dell’Illinois.”
Ribattè Ian esasperato
“non smettevi di ripetere che non ti pareva vero di vivere il
primo presidente afroamericano della storia.”
“Ok, ok, grazie tante, professore. Allora
cos’hanno quei due che non va?” tagliò
corto Daniel, indispettito.
Ian gli fece segno di uscire in giardino. In effetti sembrava
proprio che Etienne e De Bar si erano accorti della sua scomparsa e lo
cercavano ansiosamente.
“Quei due hanno entrambi cospirato contro la Regina Bianca di
Castiglia quando ella era ancora reggente”
rivelò Ian lasciando l’amico stupefatto e
allarmato.
“E cosa diavolo ci fanno due traditori della corona in casa
tua e di Ponthieu?!” si pronunciò indignato.
“Pare che si siano pentiti. Li ha scagionati proprio Teobaldo
de Champagne.”
Alla domanda muta dell’amico Ian aggiunse, per completezza di
dettagli, con tono pensoso:
“D’altra parte anche de Champagne era un traditore
prima di invaghirsi della Regina Bianca.”
“Ma che tormentata storia d’amore”
commentò il fisico sarcastico.
“C’è solo un tassello di questo
intricato puzzle che non riesco a posizionare;”
confessò Ian, a mezza voce, lo sguardo perso verso
l’aiuola del giardino che era stata potata di fresco
probabilmente proprio in occasione di quel giorno. “cosa
c’entriamo noi? Io , la mia famiglia e soprattutto
Michel?”
“Beh, magari tuo fratello voleva fare le cose in
grande” disse Daniel per poi stupirsi lui stesso
dell’appellativo con cui aveva definito Guillaume de Ponthieu.
Non era stato facile accettare l’idea che il suo migliore
amico di sempre viveva nel medioevo, gareggiando ai tornei, ballando
qualche strana Carola medievale, andando a caccia con il Re di Francia
e i suoi più fedeli feudatari e rischiando ogni giorno di
essere spedito in qualche insensata crociata da cui avrebbe potuto non
uscirne vivo. Si era abituato all’idea ormai, accettando che
Jean Marc de Ponthieu prendesse il posto di Ian Maayrkas, consapevole
che qualunque vita lontano dalla sua famiglia e soprattutto da Isabeau
lo avrebbe distrutto.
Ma chiamare Guillaume de Ponthieu fratello era qualcosa che andava
aldilà delle sue forze.
Anche Ian doveva essersene accorto perché per un attimo lo
osservò con gli occhi spalancati e poi si sciolse in un
sorriso, il primo di quella mattinata.
“perché non glielo chiedi?”
suggerì Daniel e stava per aggiungere qualcosa ma apri la
bocca e la richiuse senza emettere suono.
Ad un cenno di Daniel, Ian si girò per accogliere Sua
Maestà la Regina Bianca di Castiglia, accompagnata da
Guillaume de Ponthieu e Teobaldo de Champagne.
La donna avanzava regale in uno splendido vestito bianco con un
intreccio di fili d’argento fra i capelli e sulla gonna un
motivo di gigli d’oro si rincorrevano sull’azzurro
mare del raso, simbolo della monarchia francese. A Daniel apparve molto
più severa, appena un po’ invecchiata,
come testimoniavano sottili rughe intorno agli occhi e sulla fronte e
soprattutto gli occhi stanchi e un po’ infossati di chi non
dorme sonni tranquilli da molto tempo.
Al suo fianco il Conte di Champagne la seguiva con lo sguardo, quasi
adorante, incapace di nascondere la sua ammirazione per la sua regina;
non sembrava rendersi conto di Ponthieu che osservava la
scena divertito.
“Vostra Maestà” fece un profondo inchino
Ian, seguito da Daniel “spero che la nostra
ospitalità sia di vostro gradimento. È un onore
per noi avervi qui.”
“E voi siete un cavaliere come vostro solito, Monsieur
Jean” gli sorrise amichevole Bianca di Castiglia mentre
incrociava, per un istante, lo sguardo di Daniel.
“Monsieur Freeland, siete tornato a farci visita. Presso la
corte di Francia sarete sempre il benvenuto. Speriamo di avervi al
più presto, voi e il vostro signore.”
Ian si sentì in dovere di rettificare, forse troppo
precipitosamente
“Mia Signora, Daniel per me è un amico e un
fratello. Non ci lega alcun vincolo di vassallaggio.”
La Regina accettò la cosa con un cenno e un sorriso.
“Siete un uomo libero dunque Monsieur Freeland. Di nome e di
fatto.” Aggiunse amara
“Sono in pochi ad essere uomini liberi di fare le proprie
scelte. Non è così Monsieur de
Ponthieu?” chiamò in causa Guillaume che
acconsentì chinando lievemente il capo ma rimanendo
silenzioso.
“Ciascuno di noi è nato perché il suo
destino si compia così e non altrimenti. Nessuno di noi ha
potuto scegliere. Neppure adesso che reggiamo le fila del potere
possiamo donare la libertà ai nostri cari.”
Concluse la dama con un sospiro.
Ian non sapeva come interpretare quel discorso eppure sentiva che
avrebbe finalmente scoperto il perché di quella strana,
urgente e misteriosa convocazione.
Cercò aiuto presso il fratello, gettandogli uno sguardo
smarrito che denunciava tutta la sua confusione ma il conte rimase
impassibile come un busto di marmo.
“Maestà, vi prego di spiegarvi. ”
confessò con voce supplichevole Ian mentre i cattivi
presentimenti aumentavano.
“Monsieur, voi siete al corrente della situazione in
Inghilterra. Ormai siamo in una situazione di stallo e io ho bisogno
più che mai che i baroni, sia inglesi che francesi mi siano
fedeli. Eppure prevedo che molto presto mio figlio riuscirà
a portare dalla sua parte quei Signori ancora titubanti che non osano
schierarsi apertamente con la Francia perché guidata da una
donna” parlò con voce ferma e con freddezza
facendo quasi rabbrividire Daniel che, fino all’ultimo
trattenne il fiato.
“So bene cosa si dice di me a corte. Che sono una strega, che
dovrei starmene buona e lasciare la politica nelle mani degli uomini
come sempre è accaduto e sempre accadrà.
D’altra parte sono anche stanca di combattere e accetto con
piacere la prospettiva che mio figlio finalmente diventi
l’unico sovrano di Francia. Non sono certo un avvoltoio
assetato di potere” con un sorriso e uno sbuffo il
suo volto sembrò rischiararsi e la sua espressione si fece
quasi divertita “alle mie spalle già mi chiamano
tiranna e mi paragonano ad Agrippina”.
Daniel rimase un attimo perplesso. Come al solito la sua ignoranza in
storia non lo aiutava e in questo momento avrebbe voluto almeno
ricordare vagamente chi fosse Agrippina e Ian sembrò
intuirlo poiché gli gettò un’occhiata
di rimprovero senza però osare interrompere la Regina.
“Proprio per questo mi rivolgo a voi, Jean de Ponthieu. Ho
bisogno della vostra fedeltà, di tutto ciò che
potete darmi perché il progetto di mio marito, di mio figlio
e dei nostri antenati si compia.”
Ian ascoltava emozionato e turbato. Sapeva che la Regina gli avrebbe
chiesto qualcosa, qualcosa che lui avrebbe voluto poter rifiutare e
invece avrebbe dovuto accettare. Forse qualcosa di terribile.
Si sentiva in trappola, come un pesce all’amo mentre lo
sguardo freddo del fratello lo trafiggeva quasi minaccioso.
“Mia signora, avete la mia stima e avrete per sempre la mia
fedeltà, in nome di Dio, di San Michele e San
Giorgio.” Fu costretto a giurare, con la voce fioca
come un prigioniero che pronuncia le sue ultime volontà e
attende la sua condanna.
La donna annuì soddisfatta e addolcì il tono,
quasi materna: “So quanto vi costa farmi questo giuramento e
so quanto vi costerà prendere in considerazione la mia
proposta. Non vorrei mai essere costretta ad ordinarvelo con
l’autorità che Dio e gli uomini mi hanno
concesso.”
Dopo un minuto di silenzio Guillaume de Ponthieu, rimasto in silenzio
fino a quel momento si pronunciò cercando di suonare il
più freddo e asettico possibile.
“Jean, con Sua Maesta la Regina Bianca abbiamo concordato che
è necessario rinsaldare i legami con
l’Inghilterra. È necessario che Sua Altezza Luigi
IX possa contare sui domini di Dunchester e Glevenhel e da
lì cominciare la riconquista di ciò che
è sempre appartenuto alla Francia, fin dai tempi dei
normanni.”
Ian avrebbe voluto urlargli contro, di farla finita, di dirgli cosa
veramente pretendessero da lui, cosa sarebbe stato costretto a
sopportare per i suoi giuramenti e i suoi vincoli feudali.
“Per questo pensiamo che sia necessario, per il bene delle
nostre nazioni, annunciare il fidanzamento fra Madmoiselle Leowyn
Martewall, figlia di Monsieur Geoffrey Martewall e Michel de Ponthieu,
mio nipote”
Mio figlio.
Ian sentì il grido strozzarsi in gola. Gli tremavano i denti
e le labbra come se improvvisamente avesse avuto un colpo di freddo. Fu
costretto a voltarsi, di tre quarti, per non dare le spalle alla regina
e per nascondere lo sgomento.
Suo figlio quel giorno festeggiava il suo decimo compleanno ignaro di
ciò che era già stato deciso dalle alte sfere
della politica francese.
Era promesso. Avrebbe contratto un matrimonio di interesse.
Sarebbe stato obbligato a sposare la figlia di Martewall. Ma
perché Michel? Perché non il giovane
figlio di Guillaume?
La risposta affiorò fulminea e maligna, come un veleno.
Michael era il secondo di un ramo cadetto. Il suo destino era
già segnato dalla nascita.
Non avrebbe ereditato nulla secondo i codici medievali. Tutto
ciò che poteva chiedere al fratello era una lettera di
raccomandazione per il convento semmai avesse avuto la vocazione di
farsi prete oppure una piccola somma di denaro con cui procurarsi le
armi e vendersi al miglior offerente.
Era orribile. Un orribile incubo.
Fu richiamato all’ordine da Teobaldo di Champagne che
commentò, con voce profonda
“Questo è un giorno importante per la Francia
Monsieur. Apprezziamo la vostra fedeltà e ne terremo sempre
conto” come se Ian avesse già accettato.
Daniel era profondamente indignato. Il suo istinto di uomo moderno si
ribellava a quella barbarie e fu tentato di rispondere sarcasticamente
davanti al ringraziamento affettato di de Champagne.
La Regina Bianca, saggiamente, alla fine si pronunciò in una
sorta di congedo “attenderò con ansia la
vostra risposta Monsieur. Prima di partire vorrò vedervi.
” fece prima di allontanarsi silenziosamente con Teobaldo al
seguito.
“Isabeau ne è già al
corrente?” chiese infine con voce strozzata al fratello che
non accennava ad allontanarsi studiando le sue reazioni.
“Si e approva.”
L’ennesimo macigno si abbattè sulla schiena di Ian
Maayrkas che scoppiò in singhiozzi come un bambino.
Ormai la tensione si era rotta. Adesso desiderava solo sfogarsi.
“Come hai potuto farmi questo Guillaume?! È mio
figlio! Ed è tuo nipote! Tu…” non
riusciva a trovare le parole, balbettava istericamente “tu
non capisci quanto è pericoloso! E fra sei anni non
sarà diverso! L’INGHILTERRA NON SARA’
MAI FRANCESE!” ruggì fuori.
Con grande stupore e costernazione, Daniel si accorse che il suo amico
bestemmiava a voce bassa, in francese. Ormai era così
radicata in lui quella lingua, quell’identità non
sua che il francese gli appariva la lingua più naturale, la
sua lingua madre. Non aveva potuto ignorare in quelle ore in cui si era
intrattenuto solo ed esclusivamente con lui che il suo inglese era
sempre più musicale, sempre più venato di un
accento francese che anche in quel momento lo inquietavano, mentre il
suo migliore amico soffriva le pene dell’inferno.
“Dovresti essere orgoglioso del ruolo che Michel
avrà in tutto questo. Deve considerarsi molto
fortunato di godere del favore della regina. Così
avrà l’occasione che a tanti secondogeniti
è stata negata. Avrà un nome rispettabile,
avrà suoi terreni da amministrare e per di più
servirà il suo re imparentandosi con una nobile famiglia che
ci è cara e amica. Cosa potrebbe desiderare di
più un padre per il proprio figlio?”
La Libertà.
Questo avrebbe voluto gridargli ancora e ancora Ian eppure, ad ogni
secondo che passava si sentiva raggelare sempre di più
poiché la logica medievale a cui si appellava Ponthieu era
stringente.
Il suo ragionamento non faceva una grinza, anzi, l’americano
stesso sembrò avvertire l’orgoglio del francese e
la sua delusione nei confronti del giovane.
“Speravo che con il tempo, vivendo al nostro fianco, mio e di
Isabeau avresti compreso anche ciò che al tuo paese deve
apparire estraneo e incivile. Alcune volte è necessario fare
sacrifici per un bene superiore.”
Replicò duramente Ponthieu prima di allontanarsi
con passo pesante.
***************
Note
* Famoso palindromo latino – tr.
“Andiamo in giro di notte e siamo consumati dal
fuoco.”
Detto delle falene che, attratte dalla fiamma, finiscono per bruciarsi.
Famosa frase attribuita a Virgilio e considerata, nel
medioevo, una formula magica [WIKI]
* Universalis de iure hominum declaratio
– Art. I
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
– “Tutti gli uomini nascono liberi e pari
per dignità e diritto.”
*Pierre de Courtenay , primo sfidante di Ian al torneo contro Derengale
(Hyperversum vol.1)
*Hugues de Lusignan [WIKI]
, Pierre de Dreux [WIKI]
Angolo
dell’autrice
Questo titolo ha un suo perché. Anzi ne ha ben due.
Intanto quello del destino per Ian (come per gli uomini in generale)
è una sorta di chiodo fisso e la possibilità di
conoscere la sorte propria e dei propri cari è un tarlo che
erode continuamente la mente del protagonista e di ciascuno di
noi. Insomma Ian è in tutto e per tutto una falena
attratta dalla fiamma.
Se poi finirà per bruciarsi lo vedremo insieme.
E poi non si può negare che Hyperversum è un
fantasy e il catapultarsi nel medioevo è magia.
Dunque direi che anche come formula magica, cade a fagiolo.
Non ho stesso delle vere e proprie note storiche, ma vi ho lasciato,
come indirizzo orientativo i link di wikipedia, sempre utile e
efficiente per ogni curiosità.
Ad ogni modo in genere cerco di essere piuttosto precisa con
l’ambientazione storico-fantastica (della Storia e del libro
insomma) qualunque errore, imprecisione, incoerenza, non chiarezza,
dimenticanza, vi prego, fatemelo notare.
Mi scuso in anticipo ma sono piuttosto lenta negli aggiornamenti.
Uomo avvisato mezzo salvato.
Ed è la prima volta che scrivo in questo fandom ma i suoi
personaggi hanno spesso popolato le mie fantasie, dunque spero di non
essere OOC (altrimenti, tell me please).
Grazie a chi vorrà leggere, commentare, e soprattutto
criticare (nel bene e nel male, anche spietatamente),
Neal C.
P.s inutile dire che non ho alcun diritto su nessun personaggio (tranne
quelli inventati da me, tipo la figlia di Martewall) e ogni
cosa che scrivo è pura fantasia
Ebbene si, chiamasi disclaimer.
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Capitolo 2 *** Nihil morte certius ***
2. Nihil morte
certius*
Ian scuoteva il capo sordo ad ogni suono, rumore o parola che sia.
Davanti a lui Isabeau gli spiegava ancora una volta, pazientemente,
quale grande onore e quale immenso vantaggio sarebbe stato per il loro
figlio cadetto quel matrimonio con la figlia di Martewall.
“è tuo amico Jean. È una famiglia di
cui fidarsi. ”
“è l’Inghilterra! È un paese
pericoloso!” le urlava addosso
l’americano e sentiva le lacrime pungergli gli occhi tanto
che dovette trattenersi con veemenza.
Non era bene che l’uomo si mostrasse debole, anche davanti
alla propria moglie.
é il codice di qualunque cavaliere degno di questo nome,
pensò Ian con amarezza.
Ormai si ritrovava sempre più spesso ad ammettere a
sé stesso che la sua identità di americano del
ventunesimo secolo stava lentamente sbiadendo. E
ogni volta se ne pentiva.
Gli sembrava di fare un passo indietro, dalla civiltà alla
barbarie.
Un mondo e un tempo barbaro dove lui era l’uomo e Isabeau la
donna, dove Bianca di Castiglia invece che essere una donna
in quota era una strega, dove si frustava chi commetteva un furto e si
mandava a morte chi si macchiava di omicidio, un mondo dove si
combinavano i matrimoni per non soccombere.
L’amarezza si trasformò in disgusto e si
ritrovò a desiderare, solo per un momento di fuggire
aldilà del tempo, di viaggiare verso casa, verso il suo
appartamento e la sua cattedra alla University of Phoenix, le
cene da John e Sylvia, i pomeriggi ai videogames con Daniel e Jodie e
le partire di basket di Martin.
Poi guardava la moglie che si adoperava disperatamente per farlo
sorridere e rassegnare e scacciava ogni pensiero con tutte le sue forze.
“Tra l’altro Michael era entusiasta di andare in
Inghilterra da Geoffrey. Si piaceranno vedrai, questo
renderà tutto più facile. Si conosceranno.
È la cosa migliore che potesse capitargli, Jean”
Per un attimo il mondo si fermò.
E se si fosse preso un paio di giorni? Se ne avesse riflettuto con
Daniel e con Jodie davanti ad una bella pizza, dopo una doccia
calda? E se si fosse allontanato per un po’ da quel
mondo stressante, dalla tana del lupo e dai suoi famelici ospiti?
Il suo pensiero saettò subito al codice di famiglia che
aveva nel cassetto del suo ufficio all’Università.
La cattedra era stata istituita per lui, in fondo non potevano averlo
spostato senza attendere il suo consenso. Tutti i suoi materiali di
ricerca dovevano essere lì.
L’idea di sbirciare fra le pagine di un atlante storico il
destino di suo figlio lo colpì come un fulmine a
ciel sereno. Ci sarebbe riuscito? Valeva la pena di provarci.
“Jean? Amore? Mi ascolti?”
“si, si” rispose Ian in fretta guardandola con i
suoi occhi chiari e arrossati, desiderando perdersi in quelli nocciola
di lei. Era lo sguardo di un cucciolo smarrito, ferito
nell’anima e bisognoso di calore.
Isabeau si addolcì con un sorriso luminoso andandosi a
sedere vicino a lui sul letto a baldacchino preparato sontuosamente con
lenzuola di lino e inserti in seta.
I piedini bianchi spuntavano timidamente da una lunghissima camicia da
notte bianco latte e lei lasciò che lo scialle di cotone
azzurrino scivolasse timidamente lasciandole le spalle scoperte.
Rabbrividì al tocco freddo della mano di Ian che
le sfilava lo scialle dalle spalle e la invitava gentilmente a
stendersi accanto a lui.
Nonostante il caldo degli ultimi di luglio che promettevano una notte
afosa, Isabeau appoggiò la massa di ricci biondi sul petto
nudo del marito lasciandosi accarezzare il viso con dolcezza.
Lui mormorò dolcemente al suo orecchio
“speriamo”
E si ripromise di farle domani la sua proposta mentre la spostava
dolcemente da se e si chinava a baciarle la fronte protettivo.
************
“Vuoi tornare nel futuro?!”
Daniel era sbalordito. Non riconosceva quella stessa persona
che lo aveva pregato strenuamente la prima volta di non allontanarlo
dalla sua amata anche se pugnalato a morte e la seconda volta che gli
aveva impedito di cambiare vita quando tutto sembrava perduto.
Non ne vedeva la ragione.
“Che senso ha!? Non dovresti stare qua a combattere la tua
battaglia per la sua libertà?!”
Ian sospirò funereo annunciandogli tetramente “Non
c’è niente per cui combattere, Daniel.
Non è previsto che io rifiuti.”
“Non vorrai accettare una cosa del genere?! Ian, cristo,
è tuo figlio!”
Lo vide alzarsi feroce e rosso in viso, quasi minaccioso nelle sue
vesti principesche.
Ian aveva sempre torreggiato su tutti loro eppure aveva tentato di
dissimulare la sua altezza e prestanza fisica in tutti i modi. Daniel
ricordava uno Ian che voleva passare inosservato, che cercava di
mettere ciascuno a proprio agio, deciso ma sempre cortese, umile e mai
arrogante.
Ma davanti a lui c’era un feudatario francese la cui smorfia
sul viso suggeriva che non fosse affatto un tipo abituato ad ascoltare
consigli altrui o sentirsi apostrofare in quel modo brusco e poco
rispettoso.
“COSA CREDI?! CHE IO NON LO SAPPIA?!” si
fermò per riprendere fiato e per abbassare lentamente il
tono di voce; con i suoi ruggiti rischiava di attirare
l’attenzione di tutto il castello.
“E allora dimostrami che non sei una testa vuota, riempita
fino all’orlo di queste ridicolaggini medievali!
Dimostra di essere ancora Ian Maayrkas, quello che un tempo ha sfidato
Ponthieau e a fregato a Mr cadetto il posto di preferito e la moglie
più bella d’Europa. Ragiona! Questa
è follia! ”
Ian alzò gli occhi al cielo davanti alla sarcastica sintesi
della sua vita fatta dal suo migliore amico e cercò di
evitare il suo sguardo nel timore di leggervi lo stesso disgusto che
aveva provato a sua volta.
Non voleva avere conferma che quella fosse una follia anzi, voleva in
tutti modi convincersi che sua moglie avesse ragione.
Ma solo quel codice medievale poteva aiutarlo a
fare luce su questo mistero, a costo di leggervi
l’irreparabile.
“Daniel, ti ho già spiegato i motivi. Dovrai
ammettere che sono tutti ragionevolissimi.
Inoltre non ho scelta e persino Isabeau sostiene che questo
farà la fortuna di Michael.
Ti prego, non rendere tutto più difficile.”
L’altro si zittì percependo la disperazione nella
voce dell’amico ma quando stava per riprendere a ribattere fu
preceduto da Ian che cercò il suo sguardo annunciando con
decisione:
“Adesso ho bisogno di te. Tu mi porterai con te questo
week-end a New York.
Ho bisogno di sapere se mio figlio sarà al sicuro. Ti
prego.”
Il biondo sbuffò e aggiunse, velenoso, con una stoccata che
l’altro incasso faticosamente, con un singhiozzo
“E cosa farai se scoprirai che questo potrebbe portare alla
sua morte? Lo darai lo stesso in sposo a quella
lì?”
“Non lo dire neanche per scherzo” si
ribellò con tono rabbioso il giovane padre “Io so
che non è così”
Daniel abbassò lo sguardo mortificato e sconfitto mentre
mugugnava di malumore
“programmi per il week-end? Come hai in mente di assentarti
per le prossime quarantotto preziosissime ore?”
Ian cominciò ad esporre il suo piano, meditando su ogni
parola, ripassandolo in ogni dettaglio.
Contava di raccontare che avrebbe passato qualche giorno in
pellegrinaggio al monastero di Saint Michael come buon auspicio per la
decisione presa mentre Daniel avrebbe fatto finta di partire per il
porto a cui avrebbe attraccato la nave che lo avrebbe condotto oltre
Manica, verso la fantasiosa Scozia da cui dicevano di provenire.
Daniel sarebbe tornato momentaneamente a casa e avrebbe calcolato in
base ai tempi del gioco come programmare la partita salvata che avrebbe
riportato l’amico al Monastero, al momento in cui Ian aveva
finito la sua preghiera ed era andato a fare una passeggiata nel bosco,
oltre il recinto del cortile esterno alle mura della struttura
monastica.
In quel punto sarebbe stato prelevato da Daniel e in quel punto sarebbe
poi tornato, due giorni dopo, con un nuovo backup di dati.
Fatti i conti per bene, fra i due momenti ci sarebbe stato uno scarto
di massimo due minuti, anche meno.
E nel frattempo Ian e Daniel avrebbero avuto il loro weekend.
Il biondo si complimentò con l’amico. Ormai era
diventato anche troppo bravo ad escogitare sotterfugi.
Semplicemente adesso è meno difficile. Posso fare quello che
voglio e raramente devo rendere conto a qualcuno,
pensò dolente Ian mentre concludeva fra se e se,
è il potere, ti apre tante strade e poi,
all’ultimo, ti taglia via le ali.
E così fu.
Ian dovette congedarsi dai suoi ospiti che reagirono tutti in maniera
piuttosto simile, apprezzando e lodando il suo gesto pio e
congratulandosi per la buona scelta e il matrimonio alle porte.
In fondo sarebbe stata questione di sei anni. Infatti Ian aveva
però ottenuto che il figlio non si preparasse al matrimonio
né lasciasse casa prima dei sedici anni.
Per la sua istruzione innanzitutto e poi doveva dimostrare di essere un
uomo e un cavaliere gareggiando al primo torneo in nome della sua dama.
Con grande fortuna di Ian, il torneo estivo capitava pochi giorni prima
del compleanno di suo figlio.
Dunque il suo debutto in società non sarebbe stato prima di
metà settembre.
Avrebbe avuto ancora un mesetto in più per prepararsi a dire
addio alla casa paterna.
Ancora una volta Ian si era fatto promettere che il torneo non fosse
spostato né posticipato in alcun modo.
Prima di metà settembre suo figlio sarebbe stato ancora un
uomo libero.
Le sue volontà furono messe per iscritto, firmate dal Conte
con inchiostro nero e con un sigillo della casa.
Mancava solo la firma di Geoffrey Martewall ma Ian era certo che anche
lui avrebbe acconsentito.
In fondo, prima di accogliere il figlioccio, Martewall doveva
assicurarsi che il futuro marito di sua figlia fosse un abile cavaliere
e un uomo istruito. In compenso Ian si impegnava a mandarlo
in Inghilterra ad agosto, per tutto il mese, ogni anno escluso quello
del suo sedicesimo compleanno.
Per Michael sarebbe stata una buona occasione per esercitare il suo
inglese e soprattutto la scherma con il futuro suocero. Inoltre sarebbe
stato partecipe della gestione della casa e avrebbe avuto occasione di
abituarsi alla presenza della sua sposa e imparare a comportarsi come
di dovere.
Non che in Inghilterra le buone maniere fossero molto diverse ma era
fondamentale abituarsi e conoscere la tana del lupo prima di
avventurarcisi.
Daniel assisté sgomento ma quasi incuriosito alla cerimonia
di giuramento che coinvolse Ian e il messo inglese che fu investito
dell’autorità del padrone in assenza del barone di
Dunchester.
Ian si guadagnò lo sguardo soddisfatto e compiaciuto di
Guillaume.
A lui disse più tardi che semplicemente non ne poteva
più della folla di personaggi politici più o meno
influenti che affollavano casa sua e che voleva stare da solo per
pensare.
“è una cosa ammirevole. So che non
è stata una decisione facile. Sono fiero di mio fratello in
questi momenti.”
Se credeva di riscaldare il cuore di Ian non aveva fatto i conti con il
suo disagio, il disagio del bugiardo che nascondeva, per
l’ennesima volta, i suoi sotterfugi e i suoi
inganni per salvarsi la pelle.
Ma in fondo Jean Marc era ancora troppo scosso dalla notizia del
fidanzamento prossimo del figlio perché il suo disagio non
potesse essere scusato.
Chi invece fu doloroso salutare fu Isabeau, ma Ian non se la sentiva di
darle una simile preoccupazione.
Per lui erano quarantotto ore ma per lei sarebbero stati pochi secondi.
“Il solito samaritano” commentò Sancerre
scandalizzando Grandprè mentre il giovane de Bar rideva
beffardo. Inoltre Etienne si fece promettere che tutti i giovani
cadetti del mitico gruppo da torneo avrebbero organizzato a Michael un
addio al celibato degno di questo nome.
Aveva poi aggiunto che un padre così pio e religioso certo
non avrebbe provveduto ad educare e affinare le arti
dell’amore del suo giovane figliolo dunque spettava agli zii
e cugini acquisiti colmare quelle lacune.
Ian si era fatto finalmente una risata dopo giorni, incapace persino di
fare il finto offeso mentre Daniel nascondeva
l’ilarità nel bavero della sua casacca e Isabeau
arrossiva, gli occhi pericolosamente allarmati e la boccuccia
spalancata.
Proprio mentre cercava le parole più adatte per inchiodare
il vecchio amico di ventura fu, ancora una volta interrotto da un
messo, stavolta un giovane inglese rossiccio dall’aria
piuttosto conosciuta.
“Monsieur Jean?”
“Beau?”
Il giovane Beau, un ragazzo alto e muscoloso, vestito con i colori dei
Martwell veniva avanti fiero, con gli occhi scintillanti dalla
contentezza e dall’orgoglio, specie nel vedere la meraviglia
e la gioia del suo ex-cavaliere e mentore.
Ian corse persino ad abbracciarlo. In quel momento la gioia
lo sopraffece forte almeno quanto lo erano stati altri sentimenti negli
ultimi giorni.
Alla fine, davanti all’imbarazzo del giovane,
stamperò l’abbraccio con qualche pacca vigorosa
sulla spalla eppure era certo che anche Beau, in un certo senso,
ricambiasse.
“Come te la passi? Come va con Sir Martewall?”
“Oh, Monsieur, sarò scudiero ancora per poco! Dopo
il torneo di Natale mi è stata promessa
l’investitura!”
Il giovanotto ventunenne scoppiava di orgoglio come un pavone che
sfoderava la sua coda multicolore.
“Magnifico! E vedo che il tuo francese è assai
migliorato e il tuo accento peggiora di giorno in giorno.” Lo
rimbecco Ian per mitigare quella valanga di complimenti che rischiava
di far scoppiare d’orgoglio il giovane scudiero.
“Prima di tutto Monsieur, ho per voi un messaggio da parte di
Sir Martewall. Si scusa molto ma è sbarcato due giorni fa
sulla vostra terra ed è a riposo. In realtà ha
avuto una brutta febbre durante il viaggio e dunque rimarrà
a riposo un altro giorno prima di raggiungervi qui a Bearne.”
Ian annuiva preoccupato per la salute dell’amico,
non osando interrompere il ragazzo.
“Intanto potrai riposarti per un paio d’ore, e con
Monsieur Daniel, davanti ad un bel bicchiere di vino saremo felici di
sentire qualcuno dei tuoi racconti. ” la voce si fece severa
e grave “Poi potrai dire a Geoffrey che l’indomani
parto per un pellegrinaggio al Monastero di Saint Michael in
onore del legame che unirà le nostre casate.”
Notando alcune perplessità del giovane ripetè
l’ordine in inglese e continuò così,
notando il sollievo plateale del giovane “e dirai
che se mi vuole raggiungere lì sarò lieto di
incontrarlo, fargli firmare un contratto in cui sono riportare le mie
condizioni così che lui possa scrivere le sue e io a mia
volta mi impegno a firmare e ad adempiere alle sue richieste.
Per lui sarà un sollievo visto che il monastero è
più vicino al porto dove è sbarcato e a Chatel
Argent.
Inoltre i frati sono molto ospitali con i viaggiatori e
sicuramente saranno trovare dei rimedi alla febbre e
all’influenza del tuo padrone.”
Daniel ancora una volta assisteva alle mirabili conclusioni di Jean
Marc de Pontieu che, come un novello Sherlock Holmes, sapeva mettere
ogni tassello al posto giusto, prevedere ogni cosa e incastrare in ogni
attimo della sua vita un’incombenza.
Gli ci vuole proprio una vacanza, si diceva, impressionato.
Inoltre non riusciva bene a capire cosa ci fosse di buono
nell’attirare Martewall proprio laddove volevano compiere la
famosa stregoneria e dileguarsi.
Una tragica fatalità poteva, ancora una volta, distruggere
la vita di Ian in quel mondo per sempre.
Oppure, pensava Daniel con raccapriccio, chissà di cosa
sarebbe stato capace Guillaume de Pontieu per sbarazzarsi di un
testimone scomodo come Martewall?
Si disse che lo avrebbe concordato a suo tempo con Ian. In
fondo l’amico sapeva quello che faceva.
Doveva solo fidarsi di lui e sperare che niente rendesse la situazione
attuale più complicata di quanto già non fosse.
*****************
Il giorno dopo Ian lo dedicò ai figli.
Portò a caccia Marc e Michel, la mattina presto, dovette
onorare l’invito a pranzo della Regina ma nel pomeriggio si
dileguò, scusandosi infinitamente; purtroppo i
figli erano indietro con lo studio e non aveva intenzione di
sollevarli dal loro dovere neanche un attimo.
Scoprì orgoglioso che Marc, per il decimo compleanno del
fratello, aveva fabbricato con le sue mani un piccolo arco.
Si era fatto aiutare da alcuni soldati di Chatel Argent con cui usava
allenarsi di tanto in tanto al “poligono da tiro”.
Lui aveva fatto fare per Michel un pugnale con intarsi in argento e con
inciso lo stemma dei Pontieu e inoltre, cosa sulla quale Guillame aveva
avuto da ridire, aveva fatto fare per lui un anellino con il sigillo
del casato di famiglia.
Era abbastanza strano, quasi sconveniente, che il minore, il conte
cadetto, ricevesse un dono così importante ma Ian volle
rimarcare una cosa evidente a tutta la corte: era e sarebbe sempre
stato suo figlio, qualunque cosa avessero detto e fatto di lui le alte
sfere.
Marc non se la prese e non dette adito alle voci degli invidiosi.
Era troppo eccitato per la presenza dei cugini della casa De Bar,
Grandpré e de Sancerre e quasi trovò invadente la
presenza costante e affettuosa del padre.
Si mostrò insofferente durante le noiose lezioni di latino e
inglese e promise che avrebbe letto il capitolo giornaliero de
“La Mort d’Artu”* prima di coricarsi.
Ovviamente non lo fece e il padre, prima di dargli la buona notte,
glielo fece notare con un finto cipiglio severo. Il piccolo ne fu
così mortificato che promise che il giorno appresso ne
avrebbe letti due.
Naturalmente non lo avrebbe fatto, questo Ian lo sapeva bene, eppure
sorrise intenerito per poi andare a salutare Michel.
Lo trovò mezzo addormentato, che già
sonnecchiava, la mente lontana anni luce dagli intrighi terrestri in
cui era inconsapevolmente coinvolto.
Ian gli accarezzò la fronte ed ebbe un singhiozzo quando lo
vide sbadigliare e accogliere quella carezza esitante con
un’espressione di abbandono e di pace interiore divine.
L’americano richiamò se stesso
all’ordine. In fondo si stava comportando
come se suo figlio fosse stato condannato a morte e ancora una volta si
ritrovò a pensare che in fondo la tesi di Isabeau era
più che ragionevole. Era un onore e un privilegio
agli occhi di tutti, tranne per lui.
Dunque, era forse Ian che sbagliava?
Daniel era partito quella mattina stessa da Bearne, ufficialmente
diretto verso il sentiero che passava per Saint Michel e portava poi
nel feudo di Montmayeur fino ai porti sulla Manica.
Dopo circa venti minuti di cammino, fece una ricognizione nei dintorni
e, appurato di essere solo e indisturbato, aveva richiamato
l’icona di Hyperversum, pronto per essere catapultato nel suo
tempo.
A casa lo aspettava Jodie, appena tornata a casa con le buste della
spesa, che trafficava in cucina con il forno. Daniel si
infilò alle sue spalle sorprendendola con un bacio a
tradimento, sulla nuca.
“Brrr, mi fate rabbrividire Monsieru Freeland!”
scherzò la ragazza mentre infornava un gustoso gatteau.
“Sei stato da Ian?” chiese poi, seria e
preoccupata “tutto bene o beghe in
arrivo?”
“si è cacciato in un bel
pasticcio” ammise Daniel raccontando di Michel e della
promessa di matrimonio firmata davanti a Bianca di Castiglia e Monsier
de Champagne.
Jodie si mostrò molto turbata e quasi indignata dalla
brutalità della pratica.
“Io non potrei mai sopportarlo per mio figlio,
mai!” aggiunse addolorata “per caso Ian
ha perso il senso delle cose? Della giustizia? Come ha
potuto?”
“Non ha avuto scelta” cercò di
giustificarlo Daniel sebbene non potesse fare a meno di ricambiare il
punto di vista della moglie.
“Si ha sempre una scelta” replicò Jodie,
spazientita e Daniel ne approfittò per cambiare in fretta
argomento.
“Comunque passerà da noi per il weekend”
questo bastò a farle tornare il sorriso sulle labbra
“e ha qualche desiderio?” disse lei con uno
strano tono che a Daniel non piacque “si,
stasera pizza.
Io avrei qualche desiderio, sai com’è”
“Oh, ma con mio marito non è divertente”
civettò la ragazza.
“E Johnny?” cambiò argomento Daniel,
guardandosi intorno, quasi allarmato dal silenzio che invadeva il resto
della casa.
“Johnny è da un’amica”
“un’amica?”
Vedendo il sopracciglio alzato del marito Jodie ridacchiò,
divertita, e lo tenne in sospeso per un po’ mentre tagliava
le cipolle per l’insalata.
“A studiare. È la migliore della classe.”
“Ah”
“lo vado a prendere per cena e prendiamo la pizza
da ‘al dente’ ”
“io margherita. Vedrai che Ian vorrà quella
quattro stagioni.”
Sorrise fra se e se pensando alla reazione deliziata di Ian davanti
alla pizza.
Per quanto non lo volesse ammettere, Daniel sapeva quanto gli mancasse
la modernità dopotutto.
Fu distratto dall’impetuoso Jay, il cane con cui conviveva da
almeno tre anni.
Avevano pianto moltissimo la morte di Skip, il vecchio cane di Ian che
era sopravvissuto fino a sette anni.
Era cresciuto con Johnny ed erano passati alcuni anni dalla sua morte
prima che i Freeland si decidessero a prenderne un altro.
Eppure Jay era talmente esuberante e ricordava talmente tanto Skip che
non avevano potuto resistere.
“Tra un po’ conoscerai Ian” gli disse, a
mezza voce, carezzandolo sulle orecchie e alzandosi mentre il cagnetto
lo seguiva scodinzolando.
***********************
Geoffrey Martewall mosse qualche passo fuori dalla canonica.
Dopo di lui qualche giovane francescano lo superò,
discreto, abbassando il capo in segno di rispetto.
Si udivano ancora gli ultimi canti gregoriani , la messa era quasi
terminata ma l’inglese non aveva voluto aspettare.
Aveva bisogno di aria e non ne poteva più di stare
in ginocchio, con le mani congiunte, mentre intorno a lui salmodiavano
in latino.
Si sentiva stanco, ancora debilitato dalla febbre che lo aveva
costretto a passare il viaggio nella stiva, in preda al mal di mare e a
forti coliche.
Aveva mangiato pane spugnato e per poco non aveva evitato che un terzo
salasso lo uccidesse.
Quel bastardo del medico di bordo, pensava, per poco non lo aveva fatto
ammazzare, con quegli insulsi rimedi a base di sgombri e impacchi di
sale che avrebbero dovuto alleviare il mal di mare.
Ricordava ancora con terrore invece quei prelievi forzati che gli
annebbiavano la vista e gli toglievano la terra sotto i
piedi; perdere la facoltà di ragionare, anche per
pochi minuti, era una tortura e il viaggio era stato un
insopportabile successione di buchi neri, in cui tutti i sensi erano
appannati e il bruciore gelido della febbre lo consumava
incessantemente rendendo incoerente qualunque pensiero.
A stento era riuscito a riferire a Beau il messaggio per Jean, mentre
il trasporto verso il monastero di Saint Michael procedeva a
rilento.
Adesso, dopo tre giorni di cure incessanti da parte dei monaci,
finalmente era tornato a camminare e perfino a tirare di
scherma, ma ancora non aveva riacquistato i suoi riflessi
veloci e faticava a concentrarsi.
Si guardò attorno, con un senso di sospetto e inquietudine
che lo inseguivano da mesi, da quando si era deciso a partire per la
Francia.
Neppure lì, in quel piccolo e arroccato monastero, riusciva
a sentirsi tranquillo e portò istintivamente la mano al
fodero della spada vuoto, che gli pendeva dal fianco.
All’interno del convento, come sempre nella casa di Dio, era
proibito portare armi e la cosa lo fece sentire ancora più
indifeso. In quanto malato non aveva conservato niente, neppure il
pugnale che solitamente portava nascosto fra le vesti. Tutti i suoi
vestiti erano stati lavati e rinfrescati e ogni lama era custodita dai
padri nell’armeria, conservata gelosamente perché
proprietà di un ospite illustre, amico intimo del Conte de
Ponthieu.
Dopo un po’, si disse che era il caso di tornarsene nel
cubicolo che gli era stato assegnato e si disse che sarebbe passato in
biblioteca, con il permesso dell’abate, e ne avrebbe
approfittato per scambiare quattro chiacchiere sulle difese del
monastero e carpire qualche consiglio di strategia francese.
Infatti, nonostante la sua salda alleanza con la Francia, gli riusciva
ancora difficile pensare ai francesi come conterranei date le sue varie
e per lo più negative esperienze.
E poi le curiosità non si negano a nessuno, aggiunse fra se
e se.
“Geoffrey!” Lo richiamò una
voce familiare “Ti aspettavo”
All’ingresso della canonica si ergeva Jean de Pontieu che gli
sorrideva, sollevato.
Era vestito di una semplice tunica bianca, spoglio di
qualunque veste regale e dei simboli dei Pontieu; sembrava
solo un ragazzone in forma, poi con quei capelli scompigliati e neri e
i piedi neri che calzavano i sandali di cuoio tipici del saio
francescano.
Eppure gli occhi tradivano una scintilla di intelligenza, erano
brillanti e chiari come zaffiri;
Inoltre Martewall conosceva bene il suo amico e sapeva che
quell’accenno di catenina d’argento che spuntava
dal collo rozzo della tunica informe portava appeso l’anello
della casata, con il sigillo dei Ponthieu, dono del fratello da cui non
si separava mai.
“Jean”
“Amico mio, ho saputo della tua malattia. Spero che tu ti
stia rimettendo.”
Ian si era avvicinato preoccupato, cercando nel viso del compagno
provato i segni evidenti della sua salute fragile.
“Si, il viaggio è stato duro. Ma adesso
abbiamo molte cose di cui discutere.”
Lo richiamò all’attenzione Martewall,
quasi perentorio. Gli fu grato che fosse passato
all’inglese e ancora una volta non potette non meravigliarsi
dell’inflessione curiosa che sia lui che il biondo straniero
Freeland avevano sempre avuto. Eppure cominciava
quasi a sentire un accento francese, musicale, che si
affacciava quando Ian abbassava la guardia.
“Ti spiace se facciamo una passeggiata nel giardino qui
fuori?” chiese cautamente l’amico.
“Il cimitero?” grugnì Martewall con un
lampo di ironia negli occhi che fece sorridere Ian.
“Qui sono sepolti alcuni miei illustri parenti”
confessò Ian, lanciando uno sguardo vacuo alle
cinque file di lapidi che spuntavano dal terreno scuro, con qualche
ciuffo d’erba striminzito che ancora sopravviveva.
“è piuttosto piccolo.”
Osservò Martewall
“come tutto il resto del complesso” Ian
scrollò le spalle.
“Tutti illustri guerrieri?” chiese
l’inglese ma Ian rispose scuotendo la testa e ribattendo
pensoso
“Illustri si, ma ecclesiastici.”
“francescani?” si meravigliò Martewall,
tanto che Ian abbozzò un sorrisetto e corse a tormentarsi il
labbro con i denti prima di rispondere
“Benedettini. E non particolarmente parchi e sobri. Non tutti
almeno.”
“Una razza diffusa” commentò anche con
un misterioso tono l’inglese
Ian lasciò passare ancora un momento prima di rivolgergli lo
sguardo interrogativo.
Aveva notato quanto Martewall si guardasse intorno, come se si sentisse
spiato e come se quel luogo non lo tranquillizzasse. Stava
quasi cominciando a pensare ad una nevrosi tanto era difficile seguire
lo sguardo diffidente del leone di Dunchester.
“C’è qualcosa che devi dirmi
Geoffrey?”
“Abbiamo dei nemici, Jean.” Gli
annunciò l’inglese, con un tono rabbioso che
faceva paura tanto era grave
“Nemici potenti che non vogliono questo
matrimonio. Ma non so chi e non so
perché.”
Ian rimase profondamente turbato e sentì le spalle
irrigidirsi, in un moto di paura; sospettava che questa situazione
sarebbe stata pericolosa per suo figlio e adesso i suoi timori
promettevano di realizzarsi molto presto.
“Cosa sai?” lo implorò con lo
sguardo e Martewall, inarcata la schiena con una smorfia di stanchezza,
si mosse in direzione di una panca, posta proprio all’entrata
del piccolo cimitero.
“Non credo che siano coinvolti i pretendenti inglesi che mi
hanno chiesto precedentemente la mano di Leowyn. Sembrano
tutti abbastanza innocui. ” si interruppe e Ian
sentì l’ansia montare “ma
potrebbe essere qualcuno che si ripromette di fare domanda non appena
io o te saremo spariti dalla circolazione.”
“Sono questi i tuoi timori? Come fai a
dirlo?” Ian si sentiva il sangue gelare e strinse i
pugni, rabbioso.
“Lo so perché questa mia malattia non è
affatto casuale, Jean. Credo di essere stato avvelenato ma non so come.
Forse lentamente, giorno per giorno, dunque sono certo che
c’è un inglese dietro tutto questo.”
“Magari un inglese che aspira a conquistate feudi che si
uniscano ai baroni ribelli e rinneghino l’alleanza con Sua
Maestà Luigi il Santo.” Completò Ian
per lui, quasi senza fiato e il barone dovette notarlo
perché commentò, pensieroso:
“Come al solito mi stupisci con la tua straordinaria
capacità di interpretare le trame segrete dei tuoi
nemici e il tuo intuito.”
“Già, un vero occhio di falco”
ribatte amaro il giovane.
“più che un dono, è una
maledizione” riflettè ad alta voce
l’inglese guadagnandosi un sospiro sfinito di Ian.
“Cosa altro hai dedotto?” incalzò
l’americano, impaziente.
Si fidava del giudizio dell’amico come di se stesso e non
stentava a credere che l’unione dei loro casati sarebbe stata
l’epilogo di una lunga battaglia.
“Intanto ho buone ragioni per credere che ad avvelenarmi sia
stato il medico di bordo.
Ma qualcun altro, fra le mura di casa mia, deve aver dato inizio a
tutto.
Quell’insulso insetto avrebbe solo dovuto debilitarmi ancora
ma non capisco a che pro visto che non sono stato attaccato durante il
viaggio.”
“Forse sperava che tu morissi di febbre. ” dedusse
Ian, accigliandosi “Beau mi ha raccontato che hai
rischiato molto. ”
“No. Non così tanto” sminuì
l’inglese “ho la pelle più dura di
quello che sembra”.
“Eppure ero certo di potermi fidare di quel medico, visto che
me lo ha consigliato la Regina Bianca ” rivelò
Martwell, stavolta visibilmente inquieto “potrebbe mai
volersi liberare di me in modo così subdolo?”
“Non ci pensare neanche!” si ribellò
Ian, quasi offeso dall’entità
dell’insinuazione “ non ti permetto di insultare in
questa maniera la mia regina!”
“Sei un fedelissimo, come sempre.” Si compiacque
Martwell con un mezzo sorriso sotto i baffi
“Ti pare il momento di scherzare Geoffrey?” lo
rimproverò l’americano, continuando a fare
l’offeso.
“Non fu quel de Lusignan a cui la regina affidò il
compito di presiedere l’unione fra i nostri rampolli?
” chiese conferma il barone lasciando Ian stupefatto.
Ecco il perché della presenza di quei due, personaggi
estremamente scomodi oltre che impopolari se non nel novero degli
scandali degli ultimi anni.
“Vuoi dire che…” Ian soffocò
per la sorpresa, lasciando la frase a mezz’aria,
“i traditori restano sempre traditori, Jean.”
Ribattè duro Martewall.
“No, io non posso credere… Sua maestà
si fida di loro e…” le proteste degli giovane
furono zittite dall’occhio attento di Martewall che gli fece
cenno di tacere.
“Hai sentito anche tu?”
“Co…!” il clangore del ferro si
abbattè sul legno della panca mentre Ian era sbalzato
all’indietro dalla spinta energica del barone. Il pugnale lo
aveva mancato di pochissimo, constatò il giovane e
un lampo di rabbia quasi lo accecò, aiutandolo a rimettersi
in piede dopo la brutta botta sul fondoschiena.
Accanto a lui Martewall era inchiodato per terra cercando di frenare la
mano del suo assalitore, avvolto dal saio e coperto in viso
da un cappuccio.
Ben presto fu raggiunto da un complice che oltrepassò
velocemente l’entrata del cimitero, avvicinandosi minaccioso
per dare man forte al compagno.
Ian strisciò per terra, dietro la panca, e si
avventò sull’assalitore di Martewall come un
rinoceronte alla carica. La sua altezza e la sua possanza fisica ebbero
la meglio sul monaco ma dovette constatare con orrore che non impugnava
più il pugnale.
Poco dietro di lui, Martewall respirava a fatica, il ferro
conficcato nel petto.
Ian, furibondo e rabbioso come una belva ferita, colpì nella
bocca dello stomaco l’uomo costringendolo a ripiegarsi su se
stesso con un grido soffocato. Con un ultimo colpo al collo
l’assalitore rovinò per terra, sbattendo la testa
e poco dopo, rivoli di sangue colarono copiosi dal naso e dalle
orecchie.
Con grande stupore dell’americano, il secondo uomo giaceva
riverso, dietro la panca con una freccia conficcata nel cuore.
“Ian!” la voce di Daniel lo riscosse dalla sorpresa
e il conte lo raggiunse, accanto al corpo del barone, ancora
boccheggiante.
“Geoffrey! Geoffrey! ” Daniel si scostò
perché lui potesse chinarsi sull’amico gravemente
ferito e Ian prese a scuoterlo, temendo che perdesse i sensi
“Dio! Geoffrey!”
“Ian, ormai è tardi. Fra poco sarà
morto.” Gli fece con un fil di voce il biondo.
“NO! Possiamo salvarlo!” singhiozzò
disperatamente il giovane mentre lacrime calde gli offuscavano lo
sguardo .
“è impossibile! Solo una sala operatoria potrebbe
salvarlo! Ian!”
E in quel momento, dallo sguardo disperato dell’amico, Daniel
intuì cosa avrebbero potuto fare.
“Io… non è una buona idea”
rispose solo, balbettando , disgustato da se stesso per quello che
stava per dire
“DANIEL! VOGLIO SALVARLO! ORA!” gli
tuonò contro l’americano ma Daniel scosse il capo,
lo sguardo vacuo.
“è il suo destino Ian. Lui è nato qui e
morirà qui.” Pronunciò quelle
parole lentamente e incassò con una smorfia lo schiaffo
dell’amico che gli lasciò la guancia arrossata e
dolorante.
“RICHIAMA HYPERVERSUM! ORA!” gli ordinò
Ian, gli occhi iniettati di sangue.
Suo malgrado Daniel evocò la mela e si costrinse ad aprire
il varco mentre intorno il silenzio era rotto solo dal respiro stantio
di Geoffrey.
Un momento prima di ordinare il “chiudi partita”
Daniel si concesse un’occhiata al volto livido di Martewall.
Era bianco, cadaverico, gli occhi sbarrati davanti all’icona
fiammeggiante e guardava le loro figure come se avesse davanti il
demonio. Il suo respiro era accelerato e più affannoso di
prima mentre mugolava dal terrore.
Ma, all’ennesimo ruggito di Ian che chiamava il suo nome, il
chimico chiuse la partita, senza più esitazioni.
Immediatamente si sentì formicolare ovunque e fu
risucchiato ancora una volta dal vortice di quella diavoleria
tecnologica.
Presto riprese il contatto con la realtà. Percepiva sulle
mani i guanti e sentiva il pavimento sotto le gambe incrociate, le
cuffie gli irritavano le orecchie e il profumo di gatteaux si
affacciava, fievole, dalla cucina.
Il suo sguardò andò subito a Ian accanto a
sé ma quello che vide gli apparve straordinario.
Distesi sul tappeto di casa c’erano Ian Maayrkas in maglietta
bianca e jeans chiari e accanto a lui Geoffrey Martewall in
maglietta e jeans neri, entrambi senza un graffio, semplicemente
immersi in un sonno profondo.
Davanti a lui, sullo schermo i dati della partita erano stato
cancellati e Hyperversum aveva resettato tutto il suo database. Ancora
una volta gli proponeva, beffardo, una nuova partita.
Daniel si prese la testa fra le mani, stropicciandosi le palpebre e
lasciandosi andare in un sospiro frustrato.
Non ce la faceva più, quel maledetto gioco era una diabolica
stregoneria.
*********************
Note
* Titolo, tr. Niente è più certo della
morte [WIKI]
* “La Mort d’Artu” Thomas
Mallory [WIKI]
COLONNA
SONORA:
Muse, H.A.R.P, Wembley [LINK]
El*ke, Rock’n’roll High school [LINK]
Placebo, Twenty Years [LINK]
Angolo
dell’autrice
Colpo di scena, DANDAN.
E adesso comincia la trama promessa nell’introduzione.
Mi scuso per la patetica scena di combattimento. È la prima
che abbia mai scritto e direi che è abbastanza penosa, al
limite dell’irragionevole, non lontano dal fantasioso.
E so che le premesse ricordavano il modo in cui Ian è stato
strappato alla morte (fine Hyperversum I) ma stavolta la cosa
è abbastanza diversa dal momento che ne Ian ne Geoffrey
riportano ferite e soprattutto, in genere, non c’è
modo per trasferire oggetti o altre persone che non siano personaggi
giocanti del gioco attraverso il varco nel tempo. Ma
è esattamente quello il mistero e non penso che
riuscirò a spiegarlo.
Questo ovviamente rende piuttosto difficile trovare il modo di
riportarli indietro.
Non so se lo farò. Ci devo pensare.
Magari se mi sento buona vedrò di non condannarli
all’agonia per tutta la vita.
Grazie sempre a chi legge, recensisce e sopratutto fa notare qualunque
imperfezione/disattenzione/errore ecc.
A presto,
Neal C.
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Capitolo 3 *** Quo vadis, baby? ***
3. Quo vadis, baby? *
“Daniel? chiamo per la pizza?”
Jodie fece capolino dalla cucina, ancora in grembiule, con il cordless
in mano ma il sorriso le morì sulle labbra non appena
lanciò un’occhiata al soggiorno.
“Cos’è successo?” fece
orripilata davanti ai due corpi distesi “Daniel?”
cercò conforto nel marito mentre constatava la presenza di
uno sconosciuto, dai capelli neri scompigliati e la barba scura e
cespugliosa.
“Io… non lo so” ammise funereo il
marito, sollevandosi in piedi.
“Ma chi è quello? E Ian? Sta bene? È
ferito? È…” si interruppe mordendosi il
labbro e sforzando di non credere neanche per un attimo a
ciò che quella vista le suggeriva.
“Dorme come un bambino, tranquilla.” Non
disse una parola su Martewall, distogliendo lo sguardo stancamente.
Ma Jodie non si lasciò scoraggiare dal silenzio del suo uomo
e corse in cucina, tornando con un bicchiere da vino colmo
d’acqua. Davanti alla perplessità di
Daniel, la ragazza si avvicinò minacciosa ai due giovani
addormentati, quindi lanciò loro contro l’acqua.
Dopo poco Ian sbattè gli occhi, arricciando le labbra in una
smorfia infastidita.
Mise a fuoco il salotto di casa Freeman e, dopo un attimo di
smarrimento, realizzò dove si trovava e il suo pensiero
corse subito a Geoffrey, fino a pochi minuti fa ferito e agonizzante.
Jodie gli sorrideva rassicurata e Ian ricambiò il sorriso,
sollevato dall’aria familiare.
Si tirò su sui gomiti, i muscoli della schiena ancora in
criccati, come se fossero stati sottoposti ad uno sforzo troppo grande,
stirò il collo e poi si volse verso Geoffrey,
ancora addormentato.
Vederlo così, in T-shirt e jeans, gli fece una strana,
curiosa impressione e gli strappò un sorriso il pensiero
che, dopo una rasatura, il barone di Dunchester sarebbe stato un vero
Don Giovanni.
Poi sembrò ricordarsi dell’attentato che lo aveva
lasciato ferito a morte e i suoi occhi corsero subito al suo petto, con
urgenza.
Ancora una volta ringraziò mille volte Hyperversum
e le sue assurde regole.
Ma nonostante l’acqua e lo spavento Geoffrey non accennava a
svegliarsi.
“Ma come…” sospirò il
giovane, tirandosi a sedere, per poi mettersi in piedi a fatica.
“Non lo so. Non so com’è cominciata, non
so come controllarlo. ”
Daniel continuava a mettersi le mani nei capelli, incapace di
nascondere la frustrazione che aumentava ogni secondo che continuava a
rimuginarci su.
“Cazzo” concluse infine, con un sospiro
“CazzoCazzoCazzoCazzo!” sbattè il piede
sul pavimento facendo saltare Ian ma neanche questo sembrò
svegliare Martewall, ancora beatamente immerso nel sonno.
“Daniel” lo richiamò intimorita Jodie,
ancora con il cordless in mano, cercando l’appoggio di Ian
nel suo sguardo ma il bruno era assente “Prima o poi si
sveglierà… poi che faremo?” diede voce
ai pensieri di tutti.
“E se non si sveglia? A questo punto forse lo
preferirei…” borbottò feroce Daniel.
Con grande sorpresa dei presenti Ian dette prova di un’
incredibile freddezza, come se avesse il completo controllo della
situazione. Infatti si avvicinò gentilmente a Jodie, la
quale gli lasciò il cordless di tacito accordo,
dopodichè, mentre componeva un numero fece alla donna, con
tranquillità:
“Si sveglierà. Se non sono morto io non lo
farà neanche lui. In fondo tutto quel che
Hyperversum fa accadere deve essere scritto.”
Affermò come se si trattasse del postulato di una religione.
Pochi secondi dopo ordinò alla pizzeria sotto casa due
margherita, una bianca prosciutto e funghi e una quattro formaggi.
Daniel lo guardava sbalordito. Era sotto shock o cosa? Dove la tirava
fuori tutta quella tranquillità?
Pranzarono in silenzio.
Jodie tentò con diplomazia di chiedere di Isabeau e dei
bambini ma Ian era taciturno e ben presto ella desisté. Che
la cosa non lo avesse scosso neanche un po’ era impossibile,
osservò Daniel fra se e se mentre cercava ogni pretesto per
non doversi scervellare su quanto accaduto poco prima.
“Daniel, secondo te cos’è
successo?” incalzò Ian, intavolando
l’argomento dal nulla mentre si alzava per buttare il cartone
della sua pizza con il cornicione semi mangiucchiato che non era
riuscito a finire.
“Da quanto tempo non mangiavo una pizza”
osservò poi, con un sorriso per riempire il vuoto lasciato
dal silenzio dell’amico che si ostinava a non rispondere e
non pensare.
“Se si sveglia, chiamatemi.” Replicò
alla fine Ian, stancamente
“Vado a farmi una doccia e poi cinema stasera?”
Quella sera andarono a vedere un thriler di spionaggio, in 3D, e per di
più stracolmo di effetti speciali tanto che Ian ebbe per un
attimo un giramento di testa.
Piuttosto Johnny fu entusiasta del suo ritorno e per quanto non fosse
cool uscire con i genitori per un cinema, grazie alla presenza dello
“zio Ian” accettò con piacere.
Il giorno dopo uscirono a mangiare in un ristorantino thailandese e il
giorno ancora dopo ordinarono del sushi. Ma Martewall non si
svegliò.
Il giorno dopo il loro ritorno, i due uomini di casa lo sollevarono con
fatica, stendendolo sul letto, nella camera degli ospiti e
là lo lasciarono, controllando ogni ora che si svegliasse.
Più il tempo passava e più si angosciavano.
Daniel si era preso due giorni di ferie e aveva armeggiato tutte le
mattine con il computer cercando di recuperare tutti i dati della
partita ma ogni volta che inseriva i dati del back-up, Hyperversum non
riusciva a caricare lo scenario e si bloccava.
Quando ricostruivano uno scenario leggermente diverso e meno
particolareggiato il gioco funzionava normalmente rendendo tutto ancora
più inutile e frustrante.
Daniel e Jodie discussero a lungo con Ian se era il caso di chiamare
John e Sylvia e avvertire Martin della loro presenza
lì.
Ma finchè Martewall non si svegliava e non era messo
“sotto copertura” non era il caso di rischiare.
Dopo il weekend Ian si ripresentò in Università e
fu salutato calorosamente dal rettore e da alcuni colleghi che gli
chiesero delle sue lunghe spedizioni in Francia e delle campagne di
scavo a cui diceva di aver partecipato. Il giovane superò
brillantemente la prova annunciando che avrebbe scritto tutto nel suo
prossimo libro ed era tornato alla scrivania proprio per mettere a
frutto la sua esperienza.
I colleghi lo avevano salutato con una pacca sulla spalle e gli avevano
proposto un pranzo di benvenuto a cui non aveva potuto rifiutare. E
così si era aggiornato sulle ultime novità di
facoltà e aveva fatto conoscenza con il ricercatore che lo
aveva sostituito fino a quel momento, un certo Dereck Anderson.
Ma quando era tornato a casa, stremato, aveva scoperto che nulla era
cambiato.
“Forse è in coma” aveva riflettuto
Jodie, mentre ricontrollava il battito cardiaco e la pressione, con
delicatezza e premura.
Inoltre c’era un altro problema da fronteggiare:
nel momento in cui Geoffrey Martewall si fosse svegliato, in ogni caso
sarebbe stato privo di documenti, di registrazione
all’anagrafe, di un’identità.
Come creare una persona dal nulla?
E se si fosse ammalato come avrebbero potuto rimediare visto che di
fatto non esisteva affatto qualcuno che avesse quel nome, quella data
di nascita, le sue impronte digitali?
Solo in quel momento Ian si rendeva conto di quanto fosse stato ingenuo
da parte sua pensare che in America, nel ventunesimo secolo, Martewall
si sarebbe potuto salvare. Se Hyperversum avesse funzionato come di
dovere, al suo arrivo Geoffrey sarebbe stato ferito gravemente, e
avrebbe avuto bisogno di assistenza. Dove trovare i soldi e i documenti
per garantirgli assistenza in un ospedale?
Tutti questi quesiti assillavano Ian impedendogli persino il sonno e,
in quei giorni, aveva faticato ad addormentarsi.
Dopo quattro giorni che persisteva quella situazione snervante, Jodie
si pronunciò, mentre i tre ragazzi di casa facevano
colazione a latte e cereali e attendevano il caffè,
svogliatamente:
“Ragazzi, non può andare avanti
così”
Ian sollevò la testa dalla tazza e dal cookie che stava
intingendo nel latte, rabbuiandosi subito:
“ha dato segni di vita?”
“è quello il problema, Ian! Non mangia da tre
giorni! Ha assunto quelle poche gocce che sono riuscita a fargli
entrare a forza in bocca! Rischia la disidratazione oltre che di morire
di inedia!”
“Tu cosa proponi?” chiese sarcastico il ragazzo, ma
se ne pentì subito.
“Dobbiamo fare in modo da ricoverarlo per commozione
cerebrale e coma profondo.” Interruppe Daniel che stava per
obbiettare, alzando una mano a mo’ di stop e brandendo il
caffè in maniera pericolosa
“Facciamogli fare dei documenti falsi, facciamogli
un’assicurazione sulla vita e mandiamolo in
ospedale.”
“Sei impazzita? Sai quanto costa un’assicurazione
sulla vita? E poi a chi li chiediamo i documenti falsi?”
ribattè il marito, indignato ma subito Ian si
ritrovò a mediare fra i due litiganti.
“Jodie, aspettiamo almeno un altro giorno. Quanto ai
documenti falsi vedrò cosa posso fare, oggi
stesso.”
Suonava molto misterioso, quasi alla James Bond questa frase ma lo
stesso Ian non sapeva bene cosa fare e l’aria smarrita e
assente del suo volto di quei giorni ne era la prova.
Da quando aveva lasciato Isabeau e la sua famiglia sorrideva di rado,
si rinchiudeva in momenti di mutismo profondo e doloroso, alle volte si
sfogava con pianti e singhiozzi appartati e mangiava poco volentieri.
Jodie non fu convinta del tutto dal tentativo di Ian ma fece un sospiro
annunciando che andava a controllare Martewall un’altra volta
quando un urlo eccheggiò per le scale, proveniente dal piano
di sopra.
I tre ragazzi si guardarono allarmati, incapaci di reagire. Ian si
riprese per primo, scattò in avanti, correndo per le scale e
quando piombò in camera trovò Geoffrey
rannicchiato in posizione fetale, che nascondeva il volto contro un
cuscino e singhiozzava istericamente.
Il bruno si avvicinò lentamente e gli toccò la
spalla con cautela ma questo sembrò agitare Martewall ancora
di più tanto che si ritrasse e cominciò a urlare
e a scalciare come in preda al panico.
Erano gridi rauchi, urla stridule e strozzate, come in preda ad
un’angoscia e un’agonia senza fine e Ian ne fu
quasi spaventato, incerto su cosa fare.
“Geoffrey… ti prego….
calmati” lo richiamò debolmente
“Geoffrey, GEOFFREY!”
alzò gradualmente il tono della voce per sovrastare i suoi
lamenti e arrivò ad afferrarlo per le spalle, sollevandolo
di peso da letto e scuotendolo violentemente come volesse svegliarlo da
un incubo.
Vide riflesso nei suoi occhi la paura folle di ogni cosa fosse intorno
a lui, della stregoneria, e di lui, il suo amico Ian che si era
tramutato in aguzzino catapultandolo in quella prigione in muratura, da
che si trovavano in un cimitero verde.
“LASCIAMI! COSA MI HAI FATTO?! COSA MI HAI FATTO! SPORCO
STREGONE! DEMONIO IMMONDO!”
Si rattrappì su se stesso e Ian notò che le mani
erano strette al petto in maniera soffocante, appese ad una lunga
catenina di ferro. Stringeva spasmodicamente una croce di legno, da lui
stessa intagliata, che portava dal giorno della sua investitura
cavalleresca.
“Geoffrey… ti prego…”
ripetè Ian afflitto “sono sempre io,
Jean… sono tuo amico… devi credermi”
Ma non ricevette risposta tranne un acuto mugolio e un singhiozzo. Poi
cominciò ad udire uno strano salmodiare, fitto e disperato,
mentre Martewall aveva chiuso gli occhi e li teneva sigillati.
“Pater noster qui es in caelis, libera nos a malo,
Pater noster qui es in caelis, libera nos a malo, Pater noster qui es
in caelis, libera nos a malo… * ” e continuava
freneticamente mordendosi le labbra e bagnando il cuscino di lacrime
sconvolte.
A Ian venne una stretta al cuore e in quel momento non ce la fece
più; si catapultò fuori dalla stanza mentre
sopraggiungevano Daniel e Jodie, lui con un cambio di vestiti, lei con
un vassoio di minestra, pane, acqua, vino, olive nere e del formaggio.
Entrambi allarmatissimi lanciarono un occhiata all’amico
sconvolto ma non lo fermarono mentre si precipitava di sotto,
tappandosi le orecchie.
Quando sentirono la porta di casa sbattere con veemenza seppero di
essere soli in casa.
Jodie entrò per prima con il vassoio esitante e lo
spettacolo di Martewall in quelle condizioni la scosse non poco. Anche
lei provò a richiamarlo più volte, non
tentò mai di toccarlo ma gli ripetè parole
amiche, lo esortò a mangiare e a calmarsi ma
l’energia di Martewall era infinita e non smetteva di pregare
ossessivamente, di raggomitolarsi su se stesso e singhiozzare senza
tregua.
Alla fine gli lasciarono il vassoio accanto al letto e vestiti e
asciugamani nuovi su una sedia, poco lontano e chiusero la porta.
I lamenti si attutirono e, dopo poco più di
mezz’ora in casa regnava il silenzio.
Il giorno dopo Jodie si trasferì a casa dei genitori con
Johnny, fortunatamente ancora ignaro della presenza di Martewall in
casa. Daniel scoprì che Geoffrey non aveva toccato
cibo, rimasto a raffreddare tutta la notte e così fu per
altri due giorni a venire.
Beveva sempre qualche sorso d’acqua ma né il pane,
né il formaggio né la minestra erano toccate.
La cosa angosciava profondamente i due giovani ma ogni volta che si
azzardavano ad entrare Martewall ricominciava a gemere e a pregare fino
allo sfinimento.
Al terzo giorno dal suo risveglio, quando i due ragazzi vennero a
fargli visita lo trovarono con lo sguardo opaco, sfinito. Non aveva
neppure più la forza di singhiozzare, rimaneva a fissare con
occhi vacui la parete bianca, la persiana semiabbassata e ogni tanto
deglutiva con il respiro pesante.
Quella notte stessa lo colse la febbre con brividi fortissimi che
denunciavano disidratazione, emicranie fulminanti da stress che lo
costringevano a tenere gli occhi chiusi e a vivere nel buio, oltre che
uno stato di depressione avanzata, come diagnosticò Jodie,
con le lacrime agli occhi.
Dovettero fargli ingurgitare la minestra a forza e, nel tentativo di
farlo bere, gli infradiciarono la t-shirt.
Rimediarono avvolgendolo in pesanti coperte di lana e costringendolo a
ingoiare le compresse di tachipirina. All’inizio
Martewall dovette credere che lo stessero avvelenando eppure poi ci
fece l’abitudine e smise di reagire.
Al quinto giorno, dopo il risveglio, Ian si recò prima del
solito in camera di Martewall e per di più senza il vassoio
della cena fra le mani.
Si sedette sul bordo del letto e notò che come al solito
Geoffrey non lo guardava ma teneva gli occhi semi chiusi e vacui,
puntati verso la parete di fronte.
Ian si allungò e con rabbia gli dette uno schiaffo in pieno
volto, attirando così l’attenzione
dell’amico che debolmente lasciò ricadere la testa
dal lato di Ian guardandolo con i suoi occhi scuri e spenti, le
occhiaie impastate di lacrime asciutte che ancora lasciavano il solco
sul suo volto pallido e sofferente.
“Cosa diavolo stai cercando di fare Geoffrey? Vuoi lasciarti
morire di inedia, di depressione, essiccato come una piantina al sole?
Vuoi commettere peccato verso Iddio nostro signore togliendoti la vita
che lui ti ha donato e lui solo può riprendersi?”
e così dicendo lo scosse ancora con violenza, gli occhi
accecati di lacrime
“Che razza di cavaliere sei! Credevo di conoscere Geoffrey
Martewall, il Leone di Dunchester e invece davanti a me
c’è solo un vigliacco! Svegliati e affronta la
realtà prima di giudicarla!”
Continuò a urlargli contro “VIGLIACCO”
per cinque minuti buoni finchè gli mancò il fiato.
Ma l’amico non reagì, tornando a guardare la
parete, sconsolatamente.
Fu allora che Ian reagì con violenza e afferrò la
sua catenina rigirandola intorno al collo, sul punto di strozzarlo.
Geoffrey reagì debolmente allungando le mani come per
respingere il corpo dell’altro e artigliargli il braccio ma
ben presto rimase inerme sotto la sua stretta.
Tuttavia continuò ad agitarsi disperatamente,
l’ultimo brandello del suo istinto di sopravvivenza.
Ian gli sussurrò all’orecchio rabbiosamente
stringendo e rilasciando a tratti la presa per suonare più
minaccioso “potrei strozzarti Geoffrey, mettere
fine alla tua vita…”
“fallo” fece quello con un mormorio roco
e strozzato, a malapena comprensibile, dopo cinque giorni di silenzio.
“Uccidimi” lo pregò Martewall con un
lamento “poiché…”
prese a tossire, incapace di parlare tanto era arida la gola. Ian si
affrettò a fargli ingoiare un po’
d’acqua dalla bottiglia che aveva accanto al letto e
così Geoffrey potette terminare a fatica la frase:
“…poiché mi hai condan-nato a ques-to
infeerno…cosa, mi hai fatto, cosa…”
ritornò muto.
Ian allentò la presa e poi ritirò le mani
lasciandolo a tossire seccamente, quindi si alzò guardandolo
con occhi glaciali “se è questo che
pensi allora non posso fare nulla per te. Lasciati pure morire come il
più infimo dei vigliacchi… disonori la
cavalleria, san Michele e san Giorgio e… deludi il
più grande degli amici” terminò con
voce rotta, incapace di nasconderla.
Quella sera fu Daniel a lasciare il vassoio accanto al letto e ad
augurargli la buonanotte non ricevendo altra risposta che un singhiozzo
strozzato.
Il giorno dopo, con grande stupore, Daniel scoprì il piatto
della minestra vuoto come la bottiglia accanto al letto, il formaggio
mezzo mangiucchiato, cinque o sei noccioli di oliva e un fondo di vino
nel bicchiere.
Ma quando andò da Martewall lo trovò che dormiva
profondamente. Nel bagno in corridoio c’era una bacinella di
plastica con un fondo di un liquido denso e giallastro.
Daniel arricciò il naso, riconoscendo l’odore
stantio di urina e gettò tutto nel water.
La prima cosa che gli avrebbe insegnato, si disse, era
l’utilizzo di un bagno moderno.
Qualche ora dopo fu richiamato dal rumore dei suoi passi sul parquet
mentre si affrettava a raggiungere il catino in bagno. Fece in tempo a
precederlo e a spiegargli in poco tempo quale grande invenzione fosse
il water e quello sembrò non ribellarsi, accogliendo la
novità con un sospiro.
Chiamò Jodie per farsi consigliare qualcosa da prendere
contro la diarrea e gli misurò la febbre, di qualche grado
più bassa, constatò con sollievo.
Dopo avergli somministrato un’altra tachipirina lo rimise a
letto.
Nei successivi giorni di convalescenza, Geoffrey si
impegnò quanto poteva per apprendere il funzionamento del
bagno mentre la febbre di abbassava sempre di più e lui
tornava a mangiare normalmente.
Ma ancora non osava scendere le scale né esplorare altre
stanze del piano di sopra.
Non si sporgeva dalle finestre e non permetteva che le tende di lino
bianco fossero discostate benchè avesse consentito
l’apertura delle persiane per fare entrare la luce.
Non domandò dove fosse Ian, perché non si fosse
visto in giro negli ultimi tre giorni, i giorni della sua
ripresa. Il giovane ne aveva approfittato per
allontanarsi ed era volato a Seattle per presentare una nuova
pubblicazione del collega Dereck Anderson e annunciare al mondo intero
il suo ritorno fra gli accademici.
Dopo la sua prima settimana di convalescenza Daniel gli aveva spiegato
il funzionamento della doccia, l’esistenza
dell’acqua corrente regolabile a piacimento fra calda e
fredda, l’esistenza dello shampoo e del bagnoschiuma, la
componente acido acetilsalicilica della tachipirina e
l’esistenza delle medicina e delle pillole solubili ,
avendogli dovuto somministrare calcio, magnesio e vitamina B e C
tramite integratore.
Martewall era uno studente attento ma taciturno, con un’ombra
di perenne sofferenza e disagio sul volto mentre annuiva, quando aveva
capito oppure scuoteva la testa con un tacito invito a ripetere.
Daniel non si scoraggiava, parlandogli in modo colloquiale e familiare,
ogni tanto abbozzando un sorriso e tentando una battuta che lo lasciava
assorto e talvolta sembrava quasi inquietarlo.
Poi fu la volta della luce elettrica, scoglio duro da superare, ancor
più dell’acqua corrente, della plastica e qualche
breve accenno al petrolio che lo lasciò perplesso.
Dopo due giorni di faticose spiegazioni Daniel era tornato dal lavoro
con un’enciclopedia universale per bambini e gliela aveva
portata insieme al pranzo.
Da quel momento Martewall aveva impiegato tutto il tempo a leggere,
talvolta trascurando anche di dormire. E ogni giorno si meravigliava e
cominciava a chiamare le cose per nome sussurrando come un bambino che
impara a parlare.
Fu dopo la prima settimana che Geoffrey improvvisamente si rivolse a
Daniel che gli aveva appena portato il pranzo
“tu… hai
un’out…omobili?”
“Cosa?” rimase perplesso il ragazzo.
“Una carrozza che va a… olio”
La cosa fece sorridere Daniel, specie detta in quel modo
timoroso, con un timbro basso, sottovoce, e si affrettò a
correggerlo, rallegrato:
“Un’automobile dici? Va a benzina. In
realtà la mia va a gasolio però il principio
è lo stesso.”
Geoffrey sospirò come se gli costasse una terribile fatica
impegnarsi in quella conversazione ma alla fine annuì e
ammise stentoreo “l’ho letto.
È tutto assurdo… e orribile”
Questo commento lasciò Daniel pensieroso e lasciò
che l’amico continuasse, prendendosi il suo tempo.
“Non è naturale. Tutto quello che fate va
assolutamente oltre qualunque… qualunque legge di natura.
Voi volate. Ma la natura non ci ha provvisto di ali.
Voi vedete di notte come di giorno. Nessuna creatura, tranne
quelle notturne può sconfiggere
l’oscurità.
Voi vi sentite da chilometri con degli apparecchi che usano
l’essenza dei fulmini, la stessa per accendere le luci nella
notte. Come avete fatto a catturare il lampo?”
Sembrava quasi sragionasse mentre elencava tutto ciò che
aveva letto e che lo aveva lasciato mezzo tramortito. Era
spaurito come un cucciolo abbandonato che lottava con le unghie e con i
denti per sopravvivere davanti ad un mondo nuovo, ostile e tremila
volte più evoluto della civiltà da cui proveniva.
“E poi le vostre ricchezze! Tutto è ridotto a dei
pezzi di carta straccia e delle monete di volgare metallo.
Anzi, alcune volte si tratta solo di soldi finti,
inesistenti, che hanno la stessa consistenza
dell’aria.”
“Si chiamano azioni” ironizzò Daniel ma
non se la sentì di infierire
“E fate continuamente debiti con degli strozzini che vi
prestano tutto ciò che vi serve per vivere e vi fanno
credito solo perché andate sventolando un pezzo di carta.
”
Non era male come definizione per una carta di credito, si
ritrovò a pensare Daniel, cercando di nascondere un sorriso
e annuendo comprensivo.
“Geoffrey… non so spiegarti perché. Ci
separano almeno mille anni di storia. Non so come siamo
arrivati a questo ma sappi che tutto quello che tu trovi inspiegabile e
contro natura per me è assolutamente
normale. Mi dispiace ” aggiunse
poi contrito ma Geoffrey non lo degnò di uno sguardo e
scivolò verso le scale che conducevano al piano di sopra, la
zona camere da letto.
***********************
Note
* Titolo tr. Dove vai, baby? , direi che per descrivere lo smarrimento
iniziale era perfetta, non trovate?
Diciamo che originariamente è tratta dal vangelo
apocrifo di Pietro [LINK]
ma io preferisco una versione più
“laica” [LINK]
* Tr. Dal latino : Padre nostro che sei nei cieli, liberaci
dal male…
Angolo
dell’autrice
Direi che Geoffrey ha preso molto bene il suo primo contatto con la
società moderna/contemporanea/ipertecnologica
dell’era dei duemila.
è sulla buona strada, se si impegna. Se non si suicida prima.
Ma siccome è il mio personaggio preferito e la storia non
avrebbe molto senso senza di lui naturalmente se la caverà
in qualche modo. Augurategli buona fortuna.
Grazie a chi mi segue, chi recensisce, chi legge in silenzio.
E grazie in particolare ad Eli_hope per la sua frequenza assidua e per
avermi inserita fra gli autori preferiti :)
E voialtri, qualunque cosa vogliate farmi notare, sappiate
che non aspetto altro.
Neal C.
|
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Capitolo 4 *** Absit iniuria verbis ***
4. Absit iniuria verbis*
ATTENZIONE
in questo capitolo sono riportate delle “nozioni” di scherma
tradizionale/medievale.
Avviso lettori e lettrici che non sono ferrata in materia,
l’unica esperienza
che ho è quella dei Gdr online e non, dunque vi lascio la
mia fonte principale
di informazioni.
http://maestrodarmi.altervista.org/colpi.htm
Se qualcuno più esperto di me avesse qualcosa da farmi
notare, non esiti a
farlo.
Buona lettura
Quella sera quando IanMaayrkas rientrò a casa, per la prima
volta dopo dieci
giorni, rimase a
bocca aperta dalla
sorpresa, davanti allo spettacolo quasi surreale che si stava svolgendo nel suo salotto.
Davanti a lui c’era Daniel che giocava ad Hyperversum e nel
frattempo sembrava
spiegarne il funzionamento ad un Geoffrey insolitamente
mansueto.
Entrambi erano seduti sul tappeto, Daniel in jeans e maglietta e
Geoffrey in
tuta.
Accanto a loro giacevano i resti di due confezioni di nudols con
pezzetti di
pollo fritti, una coca cola e una birra, poggiati alla ben e meglio su
due
buste di plastica con l’indirizzo del take away
più vicino.
Daniel dovette aver finito la spiegazione perché si
lasciò cadere sul divano
sconsolato mentre Geoffrey guardava lo schermo del computer come se si
stesse
specchiando nel monitor luminoso.
Ian posò il borsone da viaggio per terra davanti alla porta
d’ingresso e fece
il suo ingresso nel salotto, annunciandosi con una lieve schiarita di
voce.
I due uomini si girarono a guardarlo,
Daniel con un sorriso di ben tornato, Martewall con
un’espressione
indecifrabile sul volto: certo non gioia del suo ritorno, constatò
dispiaciuto l’americano.
“Gli hai spiegato il funzionamento di Hyperversum?”
esordì, lasciandosi cadere
sulla poltroncina accanto al divano, spostando lo sguardo da un amico
all’altro, quasi volesse controllare, di sottecchi le
reazioni di entrambi.
Stavolta fu Geoffrey a rispondere, in tono aspro e accusatorio:
“Si. E ho capito tante cose. ”
Se Ian era rimasto colpito dall’ acidità
dell’inglese, non lo dette a vedere,
bensì si mise più comodo sulla poltrona e
scalzò le converse rimanendo a piedi
nudi.
“Cosa intendi dire?” chiese quasi noncurante.
”Intendo dire che ho sempre avuto ragione su tutto. O meglio ho sempre avuto
ottime ragioni di
credere in Jerome e nelle sue ‘menzogne’ , come le
hai sempre definite. ”
A sentire il nome di Derengale, Ian sollevò lo sguardo da
terra, quasi
digrignando i denti.
“Derengale era un crimale.”
“Almeno non mentiva. Non
era un
impostore che ha ingannato tutto il mondo…” poi
aggiunse, sottolineando “…
allora conosciuto.”
“Gli hai detto proprio tutto eh?” si rivolse Ian a
Daniel, quasi seccato.
Daniel non sapeva dove guardare. Come un idiota non aveva neppure
pensato che
avrebbe messo in pericolo l’identità del suo
migliore amico. Che avrebbe dovuto
omettere qualche dettaglio, che avrebbe dovuto fingere o almeno in
qualche modo
dissimulare il coinvolgimento di Ian in qualche modo.
Tentò la via della mediazione:
“Ehm… Geoff,
forse un tempo è stato
così, ma adesso Ian è francese, ha una casa, una
famiglia…”
“Ha una posizione che non è sua. Ha una moglie che
non era destinata a lui. È
solo un impostore!”
fu la risposta spazientita dell’inglese e Ian si
sentì costretto a ribattere
violentemente, gli occhi iniettati di sangue, nel tentativo di
controllare la
rabbia.
“Sai a chi era destinata Isabeau?! A Dammartin! Uno schifoso
bastardo che
l’avrebbe disonorata per poi costringere la MIA famiglia a
sposarli!”
“Non è la TUA famiglia! Non hai nessun legame di
sangue con i Ponthieu, non
avresti neppure il diritto di rivolgermi la parola! Sei un patetico
ladro di
identità, probabilmente un plebeo, figlio di
chissà quale razza in questa
caotica mescolanza che chiamate America! ” lo
liquidò con rabbia Martewall.
“Questa caotica mescolanza è un paese libero!
È un paese dove chiunque può
diventare ciò che vuole!
Quanto a me… mi è stata offerta
l’opportunità di divenire dapprima un famiglio
e poi un membro a tutti gli effetti del casato dei Ponthieu. Oseresti
discutere
la decisione di Sua altezza reale Filippo Augusto
e mio fratello Guillaume de Ponthieu, CONTE
di Francia?!”
Ian si costrinse a riprendere fiato dopo quell’arringa
sfiancante ma Martewall
fu pronto a ribattere:
“Oserei discuterne anche con il Padreterno…
perché so di avere ragione!”
“E allora finiresti sulla forca per aver offeso un sovrano
per diritto divino!
Come tuo padre, per tradimento!”
Vide l’inglese impallidire dalla rabbia e stringere i pugni
spasmodicamente
come se si stesse controllando dal saltare addosso
all’americano.
“NON OSARE PARLARE DI MIO PADRE IN QUESTO MODO, LURIDO
PEZZENTE BASTARDO!”
Gli urlò infine contro mentre Daniel li guardava sconvolto e
balbettava i loro
nomi, come se questo bastasse a richiamarli all’ordine.
“Come ci si sente a perdere ogni cosa? Totalmente sradicato e
in un mondo
ostile? Bene, io
così mi sentii
all’epoca! Poi entrai nella famiglia di Guillaume che mi
protesse come un
fratello. E adesso SONO suo fratello, SONO un Conte di Francia e dunque
devi
portarmi il rispetto che merito, soprattutto tu,
BARONE*!”
affermò quasi altezzoso, Ian, sottolineando il
titolo dell’amico con
cattiveria.
“Non ti devo nulla! Dovrei sputarti addosso come sul
più sudicio dei vagabondi!”
“Allora esci pure di qui!
Esci da quella
porta e sparisci! Perché adesso stai godendo della sontuosa
ospitalità del più
sudicio dei vagabondi, qui presente!”
Ian si alzò di scatto indicando la porta perentorio, come si
trovasse davanti
ad un bambino o un cane disubbidiente.
“IAN! GEOFFREY! Adesso basta! Calmatevi! “
Ordinò esasperato
Daniel, preoccupato della deriva a
cui quel litigio furioso stava portando.
Forse sarebbe dovuto intervenire prima, aveva pensato poi quando un
silenzio
carico di tensione era sceso sui due litiganti.
Ian aveva ancora il braccio spiegato mentre Geoffrey lo guardava con
odio
feroce, quasi disprezzo.
Dopo anche un minuto di stallo, estremamente imbarazzante per Daniel, Ian annunciò
stizzito:
“Vado a farmi una doccia!”
Daniel tirò un sospiro di sollievo e stirò
persino le labbra in un sorriso
davanti a quell’uscita comica, ma non osò guardare
in faccia l’inglese che
trasudava collera e odio.
Daniel bussò alla porta di camera di Ian e si
schiarì la voce prima di
rispondere all’imperioso “chi
è” dell’amico, oltre la porta,
annunciandosi.
Quindi fece il suo ingresso timidamente ma dovette attendere che Ian
uscisse
dal bagno, in accappatoio e con un asciugamano in testa che gli dava
un’aria
buffa, quasi innocua.
Lo scienziato fece un mezzo sorriso, finalmente rilassato, come se quella commedia
casalinga gli
togliesse un peso dal cuore.
“Ehi, man, are you on a date?” *
scherzò, fischiando impressionato mentre Ian
usciva dall’accappatoio
e si infilava i
pantaloni di un tuta stravecchia e dal bordo slabbrato, fulminandolo
con lo
sguardo.
“Ok, era pessima” ammise poi l’amico,
andandosi a sedere sul letto, nuovamente
inquieto dal momento che Ian non rispondeva alle provocazioni e a
stento
sembrava aver notato la sua presenza.
“Come va fra te e Geoffrey, eh? Ormai siete
amiconi.” Constatò Ian e terminò di
vestirsi infilandosi un magliettone XXL, apparendo più
scaciato che mai, i
capelli neri ancora avvolti nell’asciugamano che colava acqua
sulla tuta dei
pantaloni, andando a formare piccole pozzanghere sul pavimento.
“Beh, è quasi divertente. All’inizio era
letteralmente terrorizzato…” cominciò
Daniel, cauto e fu subito interrotto e giustificato
dall’amico “naturale che lo
fosse” gli ricordò Ian ma il tono era
tutt’altro che comprensivo.
“Chi meglio di te lo sa” riflettè a voce
alta Daniel, evitando però lo sguardo
di Ian.
Questi, nel frattempo, era impegnato a strizzarsi i capelli e a
pettinarli con
un pettine color tartaruga, abbandonando l’asciugamano sulla
sedia girevole
della scrivania.
”Dovresti… essere meno duro con lui, Ian. Sta
passando un momentaccio. E ce la
sta mettendo tutta”
lo avvertì Daniel, suonando un po’ paternalistico,
come se invitasse il figlio
quindicenne ad essere più tollerante con il fratellino di
appena quattro anni.
“Impara in fretta. Sta familiarizzando con tutti i vari
ordigni di casa, si sta
lentamente ambientando.
E ogni giorno devo tentare di rispondere alle sue curiosità.
E non è mica
facile!” scherzò il ragazzo, fingendosi
terrorizzato all’idea. “Mi
sembra di essere tornato ai tempi di Johnny.
‘Papà cos’è
questo?’ , ‘Papà,
perché?’. È
strano dovergli spiegare sempre tutto.”
“Mi fa piacere che ti diverti”
lo interruppe
scocciato Ian, mostrandosi scontroso e insofferente.
“Senti, Ian, devi capirlo. Solo in questo momento Geoffrey
sta scoprendo che
tutto quello per cui è morto il suo migliore amico, tutto
quello per cui la sua
vita è cambiata è falso! Pensaci! Se, una volta
rilasciato dalla prigionia
fosse tornato in Inghilterra, senza perdere tempo a catturarti, senza
altro
pensiero che quello del folle eroismo di
suo padre a cui far fronte magari sarebbe stato tutto
diverso.”
In quel momento Ian realizzò che era stanco:
stanco di essere forte, di dover capire gli altri e
reprimere i suoi
sentimenti, la sua disperazione per non complicare ulteriormente una
situazione
che lui stesso aveva causato.
“Daniel” gli ruggì contro, lentamente,
come se volesse trapanargli il cervello
imprimendovi le proprie parole a forza
“la storia non si fa con i se e con i ma. E non
può sempre essere colpa
mia.”
come se volesse, per la prima volta, scaricare quelle
responsabilità che,
disgraziatamente, solo lui avrebbe potuto prendere a carico.
Daniel capì rapidamente come girava il vento e si
affrettò a scuotere il capo
in segno di diniego, quasi a volerlo rassicurare.
Attese ancora qualche secondo nella stanza,
come se volesse convincere sé stesso a dire qualcosa ma Ian
gli aveva già
girato le spalle, e si affannava a rovistare nei cassetti, alla ricerca
di un
paio di calzini puliti.
**************
Da quel momento i contatti fra i due cavalieri si fecero freddi e
ostili ogni volta
che erano costretti ad incontrarsi.
In seguito ad una settimana di convivenza Ian annunciò che
aveva trovato una
stanza per studenti di fronte all’università e si
trattava di pochi soldi,
tanto più che avrebbe condiviso la stanza con un ragazzetto,
il più delle volte
assente. Dopo un animato discorso con Daniel,
lo scienziato era stato costretto a cedere e a lasciarlo
andare. Aveva
ancora tentato di obiettare in extremis mentre Ian radunava le ultime
cose da
caricare nel portabagagli, inclusa la sua lampada da comodino verde
menta,
comprata in Francia e lasciata accesa notti intere di studio.
“Ian, non posso credere che te ne stia andando. È
casa tua! Non puoi lasciarla
a lui! ” gli gridava contro Daniel con voce indignata ma Ian
non distolse lo
sguardo dagli oggetti radunati nel portabagagli.
“Domani ti telefono per i documenti di Geoffrey. Ho trovato
qualcuno che me li
può procurare senza troppe difficoltà.”
“Ian, mi hai sentito?”
“Mi sono anche informato per l’assicurazione
sanitaria. Un mio collega mi ha
consigliato un’ ottima polizza assicurativa. ”
“Ian?” lo
richiamò Daniel, incredulo
all’idea di non riuscire a distoglierlo neanche per un attimo
dal suo parlare
distaccato “Il
problema è che non
possiamo mentire su tutta la linea. La sua copertura salta.”
Lo
ammutolì di nuovo il ragazzo con un
che di imperioso e autoritario e lo scienziato pensò per un
attimo che quelle
parole suonassero molto alla James Bond
“è inglese? Che sia inglese allora,
se ci tiene.
Ma questo vuol dire che saremo costretti a fargli anche un permesso di
soggiorno falso fra i vari documenti.
Oppure dovremmo sostenere che ha preso la cittadinanza?
Impossibile.
A meno che non è già terza
generazione… ”
“Ian, cazzo mi stai ascoltando?!” fu allora che il
bruno esplose, sbattendo il
portellone della macchina violentemente e pestando i piedi per terra
“No ascoltami tu, cazzo! Abbiamo un problema da risolvere in
un mondo dove anche
una buona copertura può saltare in
niente! Lui non lo capisce perché, giustamente come mi
ripeti da settimane, non
sa un cazzo di niente. Ma tu quando ti svegli?!”
Lasciò Daniel annichilito e non gli dette neppure il tempo
di riprendersi. Il
biondo sentì la portiera del guidatore
sbattere a sua volta e il motore mettersi in moto ruggendo
più del solito.
“Ti chiamo stasera” annunciò perentorio
Ian prima di partire a marcia indietro,
congedandosi imperioso e sparendo per il vialetto che portava verso il
centro.
Ma Ian non chiamò né quella sera né il
giorno dopo e Daniel, dal canto suo, si
chiese se cercarlo ma rimase a guardare il telefono della sua scrivania
inquieto come se dovesse squillare da un momento all’altro.
Davanti a lui volteggiava sul monitor lo screensaver che era subentrato
ai
grafici con le ultime ricerche che Ricardo gli aveva mandato.
Non riusciva a concentrarsi, non riusciva a lavorare mentre,
l’orecchio teso,
poteva sentire il volume
della tv che
dava un documentario sulla storia della guerra di secessione americana.
Da quando Martewall aveva scoperto la televisione ne era rimasto
dapprima
insospettito e poi affascinato.
Aveva imparato ad andare su History Channel e Nat Geo* e passava le ore
a
guardare documentari al punto che ogni tanto lo osservava strofinarsi
gli occhi
un po’ arrossati.
Geoffrey non se ne lamentava mai ma doveva essere fastidioso il primo
impatto
con il mondo dei pixel.
Daniel si passò una mano sugli occhi socchiudendoli per un
istante, esausto di
guardare quel fastidioso screensaver che lo stava facendo ammattire.
Il giorno dopo era sabato ma era indietro da una settimana sul lavoro e
quella
sera avrebbe dovuto darsi una mossa. Dovette realizzare che era passato
più di
un mese dall’arrivo disperato di Geoffrey, un mese che non
usciva di casa, un
mese che non respirava aria “pulita” . Certo, non
erano messi male come New
York e Washington ma certo Phoenix non era il polmone verde
d’America.
Se il barone non era ancora impazzito lo sarebbe diventato a breve,
concluse,
tirandosi su, pigramente.
Doveva rinnovare gli ingressi in palestra oppure avrebbe perso il
fisico del
cavaliere di cui tanto amava vantarsi Jodie con le colleghe.
Fu allora che gli balenò un’idea strabiliante.
Frank! Frank Lloyd Wright!
Non l’architetto*. L’istruttore di scherma di Ian
era la soluzione ai suoi
problemi.
Geoffrey era un maestro della scherma medievale e certo Frank non si
sarebbe
annoiato.
Magari avrebbe imparato anche qualche cosa.
Lasciò la scrivania, passando un attimo per la cucina per
recuperare un bicchiere
d’acqua, e mentre si informava se l’amico volesse
qualcosa da bere, finalmente
squillò il telefono.
Daniel atterrò sul cordless come una furia ma
dall’altra parte gli rispose
Jodie:
“Amore, domani Johnny è in uscita libera con la
scuola, passerà tutta la
giornata fuori.
Vogliamo pranzare insieme?”
“Hai pausa pranzo?”
“No, domani comincio alle quattro e finisco a mezzanotte.
Potresti prendere tu Johnny, a proposito?”
“Non c’è problema.”
Jodie sembrò esitare prima di chiedere e quei secondi di
silenzio a telefono
rimbombarono nelle orecchie del marito come se l’apparecchio
dovesse tacere per
sempre
“Ha chiamato Ian?”
“No.”
“Tutto bene lì?” chiese lei speranzosa
davanti alla voce indecifrabile di lui.
“Si. Mi è venuta un’idea. Domani
potremmo andare in palestra da Frank.”
“Che cosa?! Scordatelo, Dan, non puoi esporlo così
al mondo senza nessuna
preparazione!”
“Ma è un mese che si prepara psicologicamente! Gli
faremo venire una psicosi!
Già assomiglia ad un sociopatico!”
“Anche tu saresti stato un sociopatico se Ian non ci avesse
costretto a
metterci in gioco allora.”
“E io sono contento che lo abbia fatto. E voglio che sia
così anche per
Geoffrey.”
“Potresti traumatizzarlo!”
“Potrei anche svegliarlo. E questo sarebbe già
qualcosa. E poi prima o poi
dovrò tornare alla mia vita normale! Al lavoro cominciano a
chiedersi quanto ci
metto a sbrigare il lavoro a casa, hanno bisogno di me in
laboratorio.”
“Daniel… io non credo che sia una buona
idea” terminò Jodie, esasperata, per
poi aggiungere con un sospiro “poi fa quel che ti
pare.”
“Ci vediamo per un sandwich da David, all’angolo,
sotto casa?”
“Ok. Domani Jhonny finisce alle sette. Devi essere a scuola
per quell’ora.”
“Ok… Jod… Ti amo.”
ma la moglie aveva già chiuso la comunicazione per allora.
Daniel rimase con la cornetta in mano, ad ascoltare il martellante
ticchettio
che segnalava “occupato” finchè non si
riscosse riattaccando alla ben e meglio.
Sentiva uno strano vuoto. Avrebbe voluto che Jodie lo rassicurasse
invece di
rompergli le uova nel paniere.
Si ripeté che quella era la cosa migliore da fare per tutti
e si rassegnò a
tornare alla scrivania, di nuovo prigioniero delle statistiche sulla
diffusione
del bacillo X nell’organismo Y.
**********************
Verso le quattro in tv cominciavano i documentari di David Attenborough
sulla
BBC e come al solito Geoffrey si era accoccolato su una poltrona, le
gambe
incrociate e la schiena abbandonata all’indietro mentre
attendeva la fine
dell’ennesimo stacco pubblicitario.
Accanto alla sua sedia c’era il sussidiario di storia della
terza classe di
scuola superiore di Jhonny, aperto agli ultimi capitoli, sul patto
Molotov
Ribbentrop* fra la Russia stalinista e la Germania nazista, prima dello
scoppio
della seconda guerra mondiale.
Il barone si era incuriosito e vi aveva dato un’occhiata per
poi ritrarsi,
scoraggiato dalle innumerevoli complicazioni che il testo comportava.
Gli era
ancora estraneo infatti il concetto di
“inflazione”, tanto meno i concetti di
“revanscismo francese”, “crisi di Wall
Street” o ancora “guerra-lampo”.
Aveva persino visto un famoso film su questa benedetta seconda guerra
mondiale
e aveva scoperto che un pazzo austriaco provvisto di baffetti,
un’aria truce e
una voce suadente che aveva sedotto una nazione intera, aveva
programmato lo
sterminio di sei milioni di ebrei.
Neanche le persecuzioni nei villaggi spagnoli o in quelli della
Bretagna o
dell’alta Inghilterra, le regioni più
selvagge, erano state così sanguinose e
orribili - aveva
avuto occasione di commentare con
Daniel, quel giorno a pranzo.
In effetti gli imperiali* erano sempre stati dei barbari, o almeno lui
aveva
conosciuto solo ottusi mercenari in cerca di ricchezze più
che di gloria,
troppo concentrati sul guadagno personale per avere un minimo di onore.
Erano
bravi combattenti e temibili avversari ma anche ingiustificatamente
crudeli in
battaglia.
A detta di Daniel le cose erano parecchio cambiate e adesso, al posto
dell’impero c’erano dei piccoli stati.
Inoltre proprio questa Germania sanguinaria era diventata tra le prime
potenze
d’Europa.
Ma nessuno sospetta nulla? – aveva chiesto Geoffrey, con un
sopracciglio
inarcato, segno della sua scettica perplessità.
Daniel aveva
dichiarato di capirne poco
di politica, troppo poco per pensare di poter dire la sua.
aveva solo ribadito, da buon patriota, che non vi era forza politica,
economica
o militare che potesse superare in potenza il colosso americano.
Geoffrey aveva replicato, punto sul vivo, che gli americani dovevano
molto alla
loro patria, l’Inghilterra ma una risata franca di Daniel
aveva chiuso il
discorso ancora una volta.
Dopo la pubblicità di un nuovo farmaco anti-asma
seguì quella di uno zaino e
una collezione scuola per bambini, quindi quella di una nuova serie tv.
Ma proprio quando la sigla familiare del documentario esplodeva dagli
altoparlanti lo
schermo si spense di botto, senza vita.
Dietro di lui Daniel aveva appena azionato il telecomando e stava
riempiendo il
borsone della palestra.
“Che diavolo fai?”
“Vestiti sportivo. Andiamo in palestra”
“In palestra? Cioè dove ci si allena?”
“Si. Voglio vedere se sai tirare di scherma come un tempo o
ti sei rammollito
del tutto”
Bastò questo a fare avvampare il leone che si
tirò in piedi precipitosamente
sbottando che non era mai stato più in forma e che lo
avrebbe stracciato, in
qualunque disciplina, ancora di più in un confronto di spade.
“Vedremo” sorrise sotto i baffi Daniel mentre
richiudeva la zip del borsone con
aria furbetta.
La palestra era vicina, appena un isolato da casa di Daniel e si faceva
tranquillamente a piedi.
Oltrepassare la soglia del portone del palazzo era sembrato piuttosto
naturale
per entrambi ma l’americano percepiva chiaramente che il
barone aveva i nervi a
fior di pelle.
Si guardava intorno quasi ossessivo, cose se ogni cosa potesse
improvvisamente
cambiare, crollargli addosso o , peggio ancora, aggredirlo.
Le rare auto che passavano sull’asfalto della strada che gli
correva di fianco,
apparivano meno spaventose ma ancora più incredibili dopo
averle viste in tanti
film moderni.
Forse quello che Geoffrey trovava più strano era
l’assenza di animali, di vita,
di natura.
L’enorme parco, oltre la carreggiata principale gli appariva
come una
ricostruzione, un giardinetto che abbelliva il grigiore di una terra
cementata,
come se questa fosse, col tempo invecchiata e diventata grigia e
stempiata.
Lui stesso, per un attimo si sentì vecchissimo, ridicolmente
obsoleto, quasi un
matusalemme che ha visto decisamente
troppo in vita sua.
Daniel sapeva di non poter sconfiggere quello stato di disagio e
angoscia che
l’amico aveva riflesso negli occhi;
pensava ancora che prima o poi si sarebbe abituato almeno
quanto basta
per ignorarlo, fino al giorno in cui lui e Ian sarebbero tornati a casa.
La palestra era piccola, affiliata ad un noto centro sportivo di
pallanuoto.
Lo stesso Frank prima di cominciare la scherma aveva giocato nella
pallanuoto e
aveva persino vinto un paio di premi a livello regionale.
Lo trovò come al solito nell’ampia palestra- campo
da gioco che allenava un
giovanotto volenteroso ma evidentemente non particolarmente portato vista la totale mancanza
di coordinazione
oltre ai riflessi un po’ lenti. Doveva essere un principiante.
“No No No! Non ci siamo proprio!”
Geoffrey osservava sulla porta un nero dal fisico imponente e le spalle
da
nuotatore che scuoteva il capo violentemente, con profonda riprovazione
mentre
impugnava a martello una finta spada ad una mano e mezzo, forse in
plastica o
in qualche altro materiale plastico color ferro.
“Che cazzo affondi a fare ragazzino?! Ma chi ti ha insegnato
ad attaccare?
Attila, il re degli unni?
Ragiona! Quanto ci metto a schivarti e ad attaccare il fianco scoperto,
eh?
Cristo!
Tutti e incompetenti e senza cervello dovevano capitarmi!”
Daniel sorrise sotto i baffi davanti all’espressione smarrita
dello sbarbatello
che lasciava penzolare la spada abbandonata sul fianco che tirava
giù il
braccio, inclinandola di taglio.
“E non affettarti una gamba Cristo! Qual è la
posizione di attesa? Qual è la
regola fondamentale? Tieni le posizioni o ti tagli una mano!”
Stavolta il principiante sembrò voler protestare che avevano
interrotto il
duello e non si aspettava certo un attacco a sorpresa dal suo maestro
di
scherma in una palestra alla quale versava ogni mese 80 dollari al mese. Ma mentre si risentiva
degli insulti dell’allenatore
e dei suoi rimproveri poco ortodossi già Frank non lo
ascoltava più.
Lo mollò di punto in bianco non appena vide Daniel e,
appoggiata di piatto la
spada sul pavimento, gli corse incontro per un abbraccio e una pacca
sulla
spalla, cameratesco
e quasi opprimente
nel suo genere, mentre sovrastava la figura di Daniel, minuta al
confronto.
“Ehi amico, come andiamo? Sei tornato per due
colpetti?”
“Tutto bene. Ma oggi non sono io che ti farò
sudare” insinuò
Daniel, certo che bastava anche meno
per insinuare la pulce nell’orecchio del vecchio Frank.
Questi saltò ogni cerimonia, con una risata soffocata, come
volesse deriderlo
dopo aver ascoltato una balla colossale.
“E allora chi sarebbe questo… campione?”
chiese, sogghignando “perché ho
davvero voglia di mettere qualcuno a tappeto.”
“Ti avverto, esce da una brutta malattia. ”
“Potrebbe non sopravvivere allora. Sicuro che sia pronto a
rischiare la sua
vita?” scherzò mentre si guardava intorno, ormai
decisamente impaziente di
conoscere il suo prossimo sfidante e gli occhi subito si puntarono
sull’unico
candidato possibile : Geoffrey Martewall.
Questi osservava la scena in silenzio, ancora sulla porta, intento a
studiare
l’ambiente quanto mai curioso, domandandosi quale potesse mai
essere l’uso di
complicate strutture di legno aderenti alle pareti, dette anche
spalliere, o
della trave in posizione decentrata. Sull’altro lato dello
stanzone poi erano
messe in fila, macchine per glutei, tapis roulant,
macchine per trazioni addominali e un buon
assortimento di pesi, tutte spaventosamente simili
all’assortimento di una sala
di tortura.
“Ehi amico, che cazzo fai laggiù? Hai visto un
fantasma?” lo apostrofò quasi
con un latrato Frank, squadrando il suo avversario da capo a piedi, pensieroso.
“Allora? Accetti?”
Daniel suonò troppo
impaziente per i suoi gusti, l’istruttore di scherma era
quanto mai sospettoso.
Che l’amico gli stress giocando un brutto scherzo in qualche
modo?
“Ma lui ce l’ha la lingua? ”
ribatté e con fare gradasso, impettito come un
pavone, mosse qualche passo mentre Geoffrey sembrava finalmente voler
dedicare
attenzione a Daniel e al suo amico grande e grosso.
“Siete uno sportivo ,sir?” ** chiese
l’inglese, poco lontano dai due uomini,
quanto basta per inserirsi nella conversazione.
Frank fece una risata sonora che non piacque all’inglese.
Daniel osservò il
barone irrigidirsi, il volto grave e accigliato di chi ha ricevuto
un’offesa
gratuita e pretende delle scuse.
“Ma dove cazzo lo hai pescato questo, da un romanzo storico?
” infierì Frank,
facendo cenno di asciugarsi le lacrime come se avesse riso con la
pancia in
mano per ore.
“Ehi nonnetto, hai fatto la guerra del Vietnam e hai deciso
di tornare in
forma?” si rivolse stavolta direttamente a Geoffrey che
spalancò gli occhi, tra
il confuso e l’oltraggiato.
In quel momento non aveva neppure idea di cosa fosse il Vietnam, doveva
essere
un posto esotico, americano o comunque del mondo contemporaneo
allargato, in
cui c’era stata una guerra.
Ma ciò che lo sconvolse era l’atteggiamento di
Frank oltre che la sua pelle
bronzea, mulatta che avrebbero dovuto farlo umile, consapevole delle
sue basse
origini e della sua natura di barbaro, meritevole solo di una vita da
schiavo.
Ricordava di aver letto da qualche parte che lì non
funzionava così.
Le genti erano di tutti i colori, ciascuno rivendicava i propri diritti
e
rifuggiva dai doveri, ormai le classi sociali erano innanzitutto una
questione
di censo e sicuramente non di nascita o sangue blu.
La cosa, letta su di un libro suonava estremamente affascinante, quasi
impensabile, forse addirittura positiva eppure se quella villania
spinta era il
risultato di ciò allora era da considerarsi negativa,
dannosa,
controproducente.
Inoltre quel suo modo di spostare un peso dal piede
all’altro, le braccia
incrociate, sicuro di se mentre ciondolava a mento alto con un
sorrisetto
stampato in faccia lo urtava, quel’aria da boss solo
perché proprietario di
quella baracca era una condotta inammissibile alla presenza di un
barone
d’Inghilterra.
“Non so chi vi
crediate di essere, ma datemi pure una
lama e rimpiangerete di avermi dato del nonno”
rispose serio e tetro Martewall, le labbra incurvate in
un’espressione ostile,
quasi di disprezzo.
Daniel temette che questo avrebbe scatenato l’anima iraconda
di Frank ma questi
non sembrava essersene neppure accorto mentre procurava
un’arma al suo
avversario.
Geoffrey ricevette da Daniel la
spada e
una pacca di incoraggiamento, controllò il bilanciamento di
quel manufatto in
alluminio constatandone la leggerezza, insolita, persino più
leggera dei
bastoni di legno con cui era solito allenarsi da quando era bambino.
Provò un affondo e un paio di fendenti facendo roteare la
spada con forza e
Frank sollevò un sopracciglio sorpreso, quasi come se si
aspettasse di trovarsi
di fronte ad uno sprovveduto e sorrise di gusto.
Si sarebbe divertito, pensò Daniel, mentre
l’istruttore intercettava la lama di
Martewall con una stoccata a tradimento.
L’inglese si accigliò mostrandosi irritato di
quell’interferenza, quasi si
trattasse di un attacco, e premette la lama di piatto su quella
dell’avversario
facendo scivolare la spada di Frank verso il basso.
Questi fu costretto ad incurvare la schiena e quasi a piegarsi e prese
ad
indietreggiare per prevenire l’affondo di Martewall.
Ma l’inglese rimase fermo mentre il rivale si raddrizzava, i
lineamenti del
volto induriti e la determinazione negli occhi.
L’istruttore non gli dette neppure il tempo di
assumere la posizione di guardia, ma attaccò
rapido con un fendente dritto,
mirando alla spalla destra di Geoffrey ma questi parò il
colpo forzando la mano
e rispose con un fendente diretto alla testa del rivale. Parato il
colpo, Frank
cominciò ad attaccare pesantemente, costringendo Geoffrey ad
indietreggiare.
All’inglese cominciavano a dolere le braccia e le spalle, le
lame cozzavano fra
di loro con un aspro clangore metallico e il barone non riusciva
né a mantenere
la posizione nonostante si sforzasse di parare i colpi gravando sulle
gambe, né
ad avanzare.
L’istruttore infatti non solo era più allenato ma
era un avversario massiccio e
possente e sapeva ben adattare queste caratteristiche fisiche al suo
stile
brutale di combattimento.
Entrambi ansimavano, stringendo le lame e abbattendole
sull’avversario con
veemenza, mirando alle spalle e alla testa, troppo vicini per tentare
un
affondo senza lasciare la guardia scoperta.
Geoffrey notò con
la coda
nell’occhio che la loro posizione non era più
centrale e si avvicinavano
pericolosamente alla porta della palestra.
Erano in stallo da troppo
tempo, entrambi forti nella tecnica, cosa che Geoffrey non si aspettava
da un
avversario di quel tempo.
Eppure l'allenatore era
troppo regolare, impedito nei movimenti veloci dalla sua corporatura
grossa e
muscolosa, preferiva parare e affondare senza pietà
piuttosto che schivare
conservando le energie.
Doveva giocare d'azzardo, si
disse, mentre schivava un colpo e l'avversario guadagnava un altro
metro.
Sbuffò, dando segni
di
stanchezza, e finse un affondo mirando al fianco destro, la guardia
scoperta
quasi ammiccante all'avversario. Frank affondò trionfante,
con tutto il fianco
mancando l'inglese per un soffio.
Questi invece si spostò di lato e lo colpì
sulla scapola, infierendo sulla schiena ormai alla sua mercé.
Daniel vide Frank barcollare in avanti, in
difficoltà, ansimando per la sorpresa. Geoffrey ne
approfittò per colpirgli un
polpaccio, e l'allenatore inciampò nei propri piedi, con una
smorfia di dolore.
"Cavolo Geoffrey! Lo hai messo a
tappeto!" Esclamò Daniel con una risata simile ad un latrato.
Si avvicinò dandogli una pacca fraterna
sulla spalla mentre Frank si rialzava lentamente scuro in volto.
Le rughe di concentrazione sul volto
dell'inglese si erano spianate e questi aveva persino sorriso a Daniel
quando
Frank attirò l su attenzione con un mugugno contrariato.
"Daniel, Brutto figlio di puttana che
non sei altro!
Potevi dirmelo che il tuo amico era uno
serio. Mi sarei impegnato di più e l'avrei steso una volta
per tutte."
L'americano gli rise in faccia di
gusto, e
fece l'occhiolino all'inglese che
si era
fatto serio e pensoso.
"È stato un onore per me
combattere
contro un avversario come voi... Signore"
Gli tese la mano tremante, un po'
storta
quasi non fosse padrone di quel gesto.
Frank non ci fece caso e la
afferrò stritolandola con una presa di
ferro.
"Amico, sei un fenomeno ma sei
veramente suonato. Quando apri bocca sembri il mio trisavolo".
Geoffrey tirò un sospiro di
sollievo
quando Daniel si tirò il nero da parte e rimasero a
confabulare per un po'.
Aveva la bocca secca, impastata, e
improvvisamente tornava a galla la stanchezza.
Quando uscirono da lì Martewall era spossato e desiderava
solo vegetare sul
divano almeno fino al giorno dopo.
"Ho proposto a Frank
di prenderti come assistente."
"Assistente?"
Sbadigliò
Geoffrey.
"Ha bisogno di una
mano paziente che
alleni i novellini.
Dice che le iscrizioni
sono in aumento da quando il Signore degli Anelli è tornato di moda"
"Chi?"
"Non conosci... ? No
giusto.
Adesso che arriviamo a casa lo
mettiamo"
**************************
COLONNA SONORA
Note
* Titolo
: “non vi sia offesa nelle parole”
* Il rango di “barone” è più
basso in graduatoria rispetto a quello di “conte”.
* “Ehi, amico, hai un appuntamento?”
* Nat Geo,
abbreviazione di National
Geographic Channel
* Frank
Lloyd Wright, famoso
architetto,
pietra miliare dell’architettura moderna e
contemporanea
* Patto
Molotov- Ribbentrop , Patto di non aggressione fra Stalin e
Hitler (26
agosto 1939) e spartizione della Polonia dopo un’eventuale
invasione (che
avverrà pochi giorni dopo, 1 settembre del
‘39)
* L’impero,
istituzione che ha origini con il “Sacro Romano
Impero” di Carlo
Magno (800 d.c ), comprende tutta la
“Mitteleuropa”, la zona dell’Europa
Centrale, in particolare Germania,
Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Repubblica Ceca,
parte della Polonia, dell'Austria, della Francia, della Croazia e tutta
l'Italia settentrionale.
** NOTA IMPORTANTE:
In inglese ovviamente non c’è alcuna differenza
fra il Voi,
il Tu e il Lei.
Forma di cortesia e linguaggio informale dipendono dal lessico,
dall’uso di
determinate espressioni invece che altre, insomma è una
questione di registro.
Quindi considerate comunque che quando uso il voi intendo semplicemente
sottolineare il carattere anacronistico del linguaggio di Geoffrey
(tanto più
che in genere ci aggiungo parole come “sir”,
“signore” ecc. )
Angolo
dell’autrice
Spenderò
due parole sul titolo di questo capitolo che è chiaramente
ironico.
Infatti
non si può certo dire che Ian e Geoff vadano
d’amore e d’accordo e di
“iniuria” se ne sono dette parecchie, in
realtà. Ma la frase, nel significato
inteso dal povero Tito Livio , è più
attinente al comportamento di Daniel che cerca disperatamente di
mediare fra i
due senza riuscirci;
è
costretto a difendere Geoffrey e lo fa
con tutta la franchezza possibile ma Ian non ne vuole sapere;
allo
stesso tempo non se la sente di litigare con l’amico che
è anche lui in un
momento di difficoltà dopo aver perso per una seconda volta
casa e famiglia.
Un
altro appunto: Hyperversum è anche troppo politically
correct per quanto
riguarda il turpiloquio e le così dette
“parolacce” e anche io devo attenermi a
termini abbastanza tiepidi come “bastardo” nei
dialoghi fra medievali ma non
transigo su quelli moderni e contemporanei.
Infatti
non penso che due attempati giovanotti che sfiorano i
trentacinque-quaranta siano così
“puritani”.
Mi
scuso terribilmente per i tempi giurassici di pubblicazione e spero che
nonostante la mia incostanza qualcuno legga ancora questa fiction,
Neal
C.
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