La Malinconia di Tokitatsu

di AsanoLight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chocolate ***
Capitolo 2: *** Sickness ***
Capitolo 3: *** Forgiveness ***
Capitolo 4: *** Writing ***
Capitolo 5: *** ♣ A Night on the Starry Sky ***
Capitolo 6: *** Sleeping ***
Capitolo 7: *** Winning ***
Capitolo 8: *** ♣ Because you Loved Me ***
Capitolo 9: *** ♣ Old Tree ***
Capitolo 10: *** Amnesiac ***
Capitolo 11: *** Kirine Fruits ***
Capitolo 12: *** Standing in the Rain ***
Capitolo 13: *** Aqua ***
Capitolo 14: *** ♣ Glasses ***
Capitolo 15: *** Misunderstandings ***
Capitolo 16: *** Movie Night ***
Capitolo 17: *** Embrace ***
Capitolo 18: *** ♣ Elevator ***
Capitolo 19: *** Butterfly ***
Capitolo 20: *** ♣ Bathtub ***
Capitolo 21: *** ♣ Mobile Phone ***
Capitolo 22: *** BitterSweet ***
Capitolo 23: *** ♣ Love doesn't ask Why ***
Capitolo 24: *** Sing a Song ***
Capitolo 25: *** Snow ***
Capitolo 26: *** ♣ Untill Tomorrow ***
Capitolo 27: *** ♣ HateLove ***
Capitolo 28: *** Darkness ***
Capitolo 29: *** Fireworks Show ***
Capitolo 30: *** Insomnia ***



Capitolo 1
*** Chocolate ***


Titolo: Chocolate
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: Flash Fic
Wordcount: 570



 

«Ecco a te», esclamò allegro Tokitatsu spezzando il due la tavoletta di cioccolato e trattenendo per sé la razione più grande, «Vero cioccolato svizzero, una vera rarità! Me lo sono procurato infiltrandomi nell’ufficio di Bizante-sama di nasc-».

Mentre parlava portandosi uno scacco alla bocca, venne bruscamente interrotto dalla mano di Hirato, che gli afferrò severa e decisa il polso, lasciandolo interdetto, con un’espressione basita in volto.

 

«C-Cosa»

 

«La tua razione è per qualche strano motivo più grande della mia», puntualizzò Hirato indicando lo scacco che gli era stato porto con uno sguardo assai freddo e distante, «Dai le cose onestamente, Tokitatsu». «Eh? Devo forse ricordarti che quello che ha rischiato la propria posizione per procurarsi questa bontà sono stato io? Dovresti ringraziarmi anche solo per essere venuto qui a condividerlo con te, anziché lamentarti!», borbottò il fratello liberandosi della sua presa. Lasciò dunque scivolare soddisfatto lo scacco nella sua bocca e se lo rigirò tra le pareti di quest’ultima come per cogliere ogni sfumatura del suo gusto.

Accarezzò con la lingua i lati finemente lavorati del cioccolato. Erano anni che non assaggiava una tale prelibatezza. E -chissà perché, lo sguardo inquisitore e tediato di Hirato ne aveva improvvisamente accentuato il sapore rendendolo più unico che raro.

«Su, su, ora non fare quella faccia, Hirato», bofonchiò con la bocca piena, rigirandosi ancora lo scacco, in attesa che si sciogliesse; della saliva gli colò dalle labbra mentre parlava, «Non fare il bambino, lo sai che non serve mettere il muso con me. Piuttosto, perché non cresci ogni tanto?». Il comandante s’accigliò e sorrise sadicamente facendo rabbrividire Tokitatsu. “E’ la calma prima della tempesta”, gli suggerì una voce dentro di sé, forse un presentimento o molto più probabilmente la voce della ragione. Deglutì atterrito e si fece piccolo davanti a quegli occhi placidi di opale. Un brivido gli percorse la schiena e non appena lo vide compiere un passo verso la sua sedia ed avanzare si ritrasse fino a rimanere con il dorso inchiodato allo schienale.

«E-Ehi, Hirato, su ora non fare quella faccia, mi spaventi... E-Ehi, perché ti stai sistemando i guanti...? C-Cosa-». Restò impietrito davanti alla presa che il fratello gli fece sulla mascella ed all’irruzione delle sue dita nella bocca che, leste, ne cavarono lo scacco di cioccolato appiccicoso, sciolto e consunto dalla saliva.

Ebbe un sussulto.

«H-Hirato, seriamente... non vorrai-»

«Non mi interessano le tue opinioni», borbottò con tono insolente il comandante, scrutando l’impastocchiato scacco di cioccolato con sguardo indifferente, «Faccio quello che mi pare».

 

«M-Ma-!»

 

Chiuse gli occhi coprendosi la vista con un palmo. Testardo. Evidentemente non era solo la stupidità umana a non avere limiti ma anche la pervicacia di Hirato. Il fratello faceva ora scivolare il cioccolatino nella sua bocca senza farsi problemi e si ficcava entrambi gli sporchi guanti in tasca.

«Hirato... dimmi che non l’hai fatto davvero», commentò Tokitatsu, amareggiato e disgustato al contempo, «Quello scacco di cioccolato era-». «Sbavato», lo apostrofò il comandante disinteressato, consumando ora anche la razione di cioccolato che gli era stata precedentemente data, «Lo so».

«Un bacio indiretto tra fratelli!», urlò Tokitatsu, massaggiandosi imbarazzato le tempie, «Ti rendi conto che è come se ci fossimo baciati?!».

 

«Ehi, buongiorno Tokitatsu, buongiorno Hirato!», schiamazzò d’un tratto Tsukitachi facendo irruzione nell’ufficio, «Che succede di bello?».

 

«Tokitatsu è convinto di avermi baciato», rispose Hirato con nonchalance facendo spallucce.

Si lasciò andare sulla scrivania, battendo la fronte sul pianale.


 

Suo fratello era il peggiore.



 

***




Buongiorno! :)

Adoro Tokitatsu, per chi avesse letto 30 Days of Karneval l'avrà sicuramente evinto da alcuni capitoli. Inoltre è un personaggio particolare, mi sembra tanto simile  al fratello ma al contempo così diverso.... Ond'evitare confusione, i racconti di questa raccolta che saranno dedicati alla pairing HiratoxAkari li contraddistinguerò da questo segno nel titolo del capitolo "♣", dovrebbe dare un po' più di ordine ;D

Detto questo, vi ringrazio per la lettura e spero possiate continuare a seguire questa nuova e rocambolesca (?) 
impresa mano a mano che aggiornerò la raccolta. Grazie mille!

AsanoLight~

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Capitolo 2
*** Sickness ***


Titolo: Sickness
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: Flash Fic
Wordcount: 569



 

Mandò giù un sorso di bollente tè verde e si lasciò affondare, più morto che vivo, nel cuscino della camera di Hirato, portandosi stremato una mano alla calda fronte.

«Non mi sento molto bene...», si lamentò rigirandosi tra le coperte, chiudendo gli occhi disperato e cacciando un colpo di tosse.

Hirato sospirò, senza alterarsi in volto lo abbracciò e gli portò la bollente tazza di tè alle labbra incitandolo a berne un altro sorso: «Devi idratarti, prima di tutto. Poi levati quella giacca e mettiti sotto le coperte. Per stanotte te lo concedo, di dormire con me».

Tokitatsu sorrise, gli occhi lucidi da quel febbrone, e ricambiò la calda stretta del fratello strisciando il capo sul suo collo, affettuosamente, in un cenno di gratitudine.

«Hirato...», mormorò rassicurato dalle sue parole, facendo scivolare la giacca dal bordo del letto lentamente verso il pavimento e ficcandosi in movimenti assai goffi sotto le coperte, «Sei il miglior fratello del mondo».

Sorrise il comandante, senza scomporsi.

Tese una mano verso i suoi capelli, un colore assai diverso dal proprio –sembrava lo stesso delle nocciole, e gli posò le labbra sulla fronte.

«Quanto ho?», domandò curioso Tokitatsu in un infantile sorriso. Il fratello gli fece spallucce indifferente. «E’ alta, credo sia sopra i trentotto gradi», disse rialzandosi dal letto, addolcito alla vista di quei capelli che solitamente erano meticolosamente pettinati e che in quel momento non avevano una piega vera e propria, erano tutti scapigliati, «Tu nel frattempo riposati, io vado a prendere il termometro ed in cinque minuti-».

«Hirato è preoccupato per il suo fratellone?», domandò il ministro, piegando la testa maliziosamente, le gote amaranto e gli occhi sempre più lucidi, «Sono felice di vedere che ci tieni tanto a me e che stai in pena per-».

Hirato si bloccò sull’uscio della porta e si portò pensieroso un indice al mento: «Ma ora che ci penso dovrei avere un termometro rettale qui da qualche parte... Forse nell’ultimo cassetto del comodin-»

«O-Ok, scusa, mi dispiace! Vai pure e non preoccuparti per me!», si allarmò Tokitatsu, facendosi per un istante pallido in volto.

Ma Hirato era già uscito.


 

***


 

Rientrò in camera quanto prima possibile, spalancando silenziosamente la porta. Il vedere Tokitatsu serenamente addormentato nel suo letto come un bambino gli strappò un sorriso. Era una scena degna di essere immortalata. Fece scorrere lesto la mano nella tasca dei pantaloni e ne sfilò il cellulare per scattargli una foto. Tuttavia, il bip della fotocamera lo risvegliò lasciandolo frastornato.

«C-Cosa...»

«Ho il termometro», lo interruppe rapidamente Hirato prima che potesse rendersi conto del suo misfatto e, così dicendo, gli si avvicinò a carponi nel letto porgendoglielo, «Quindi non perdere altro tempo e misurati la febbre, o prendo davvero l’altro termometro».

Il fratello non esitò allora a farlo scivolare sotto l’ascella e, con la testa pesante quanto un macigno ed il corpo che implorava riposo e ristoro, si lasciò andare all’indietro sul cuscino. Si assopì ancora una volta, gli pareva di sentire Hirato parlare ma non riusciva veramente a cogliere quello che diceva.

Aprì leggermente gli occhi, quanto bastò per posare lo sguardo sul cielo stellato che si intravedeva dalla finestra ed ammirarne la magnificenza. Al contempo, rimaneva affascinato anche delle nubi, che sembravano venire tagliate in due dalle ali della Seconda Nave.

Non si curò di altro.

La luce si spense ed Hirato lo raggiunse sotto le coperte abbracciandolo affettuosamente.



 

Suo fratello era davvero il migliore.

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Capitolo 3
*** Forgiveness ***


Titolo: Forgiveness
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: Flash Fic
Wordcount:  914



 

«Tokitatsu, il comandante della Seconda Nave Hirato ha insistito per parlarle. E’ la fuori che aspetta da più di mezz’ora ed ha chiesto di farle sapere che aspetterà finché non lo lascerà entrare». Il ministro appoggiò la fronte sulla scrivania con fare seccato e fulminò poi con lo sguardo la segretaria aggrottando le sopracciglia: «E allora fallo aspettare nella sala d’attesa in eterno, fallo aspettare finché non creperà di noia o deciderà di tornarsene alla sua stupida Nave!». La donna inclinò confusa la testa restando a guardarlo con occhi severi e distanti che tuttavia rivelavano perplessità, mentre continuava a trattenere le mani un fascicolo pieno zeppo di documenti.

«Si rende conto che è del comandante della Seconda Nave che parliamo e non di un civile qualunque?», chiese allora facendosi sempre più fredda in volto, «Le sembra forse che io possa permettermi di liquidare una persona in questa maniera?». «Sì! Sì se te lo ordina il tuo capo!», berciò il ministro battendo i palmi sulla scrivania ed alzandosi di scatto adirato, «Eccome se puoi, soprattutto perché io non ho intenzione di parlare con quell’idiota, né ora né mai!».

Si interruppe dunque abbassando lo sguardo, con una punta di risentimento e rimorso.

Beh... mai no... Non ne sarei capace...”, sibilò sottovoce, poi riprese correggendosi: «O per lo meno fino a quando non mi si passerà la rabbia!».

La donna sospirò affranta passandosi una mano tra i capelli.

Siamo alle solite”, si disse tra sé e sé mentre ripercorreva il corridoio per la sala d’attesa.

Il comandante era rimasto in piedi ad aspettarla, non si era mosso di un millimetro da quando se n’era andata, e sembrava conoscesse già la risposta che lo attendeva.

«Mi dispiace», si scusò in anticipo la segretaria, «Ma quando si intestardisce sa davvero essere infantile».

«Mi lasci parlare con lui», le chiese in un affabile sorriso Hirato, levandosi la tuba ed inchinandosi in un gesto di puro rispetto, «E cercherò di risolvere come si deve questa situazione». La donna piegò le labbra in una fredda espressione e lo ringraziò con lo sguardo.

 

«Siamo nelle sue mani, comandante».


 

***


 

«Chi è che bussa? Se è ancora Hirato, ti ho detto di non farlo entrare. Lascia logorare quell’idiota nell’attesa!», borbottò alzando gli occhi al cielo. Il comandante entrò senza farsi scrupoli, sorridendo innocentemente come usava fare: «Per tua sfortuna questo tuo fratello non è così idiota da aspettare in eterno».

Tokitatsu balzò in piedi, stupito e livido in volto dallo spavento e gli indicò con l’indice la porta.

«Vattene!», berciò ancora una volta, «Ti ho detto che non ho intenzione di parlarti! E non farti più vedere per due settimane!». «Dannazione, ti ho fatto davvero tanto arrabbiare da meritare un tale trattamento?», chiese risentito Hirato, le mani nude entrambe nascoste nel suo giaccone e gli occhi dispiaciuti. Tokitatsu annuì serio, facendo piombare un pugno secco sulla scrivania: «Sì, mi hai fatto arrabbiare per davvero questa volta! Quindi ora vattene, vattene il più lontano possibile, a Karasuna oppure a Rinol a morire di freddo, da solo con Yukkin! Scompari dalla mia vista e non rivolgermi più la parola!». Il comandante sorrise notando il fratello venirgli incontro, paonazzo dalla rabbia, e pungolarlo sul petto, fulminandolo con i suoi occhi marini come se avesse voluto affogarlo in quest’ultimi se solo avesse potuto.

«Non mi hai sentito?», gli urlò adirato, incalzando l’indice sul suo sterno, «Vattene! Scompari per un po’ e portati dietro quel sorris-!».

Hirato abbassò lo sguardo grugnendo quasi divertito ma, poiché non riuscì più a trattenersi, scoppiò in una fragorosa risata che lasciò di stucco Tokitatsu.

«Che bambino che sei....», mormorò divertito prendendogli una mano mentre lasciava scivolare l’altra nella sua tasca, «Sai essere davvero infantile alle volte. E poi chi sarebbe quello a dover crescere?». Il fratello sussultò, posò lo sguardo nel palmo della sua mano e scrutò stupito il pupazzetto che Hirato ci aveva lasciato.

«L-L’hai aggiustato», commentò esterrefatto, guardando Hirato negli occhi, tutta la sua rabbia improvvisamente fu sedata, «C-Come-?». «Ci ho passato una notte intera», gli rispose l’altro in un sorriso, facendo spallucce innocentemente, «Ho fatto perfino un pastrocchio con la colla. Mi sono anche sporcato la giacca –e così dicendo gli indicò una macchia di colla che era rimasta appiccicata alla sua manica, mi dispiace davvero di avertelo rotto».

Tokitatsu non disse nulla. Posò la piccola figure dell’eroe del suo show televisivo preferito sopra la scrivania e lo osservò affascinato in controluce, accolto ed al contempo risucchiato dalle sfumature e dalla luce intensa ed abbacinante del tramonto.

Sì, era di nuovo tornato.

Un ampio sorriso si disegnò nel suo viso. Si voltò allora gettandosi tra le braccia del fratello e lo spupazzò felice affettuosamente.

«Non ti dispiacere!», disse d’un tratto, in uno sbalzo d’umore impressionante, «Sono io a dovermi scusare per le brutte cose che ti ho detto poco fa! N-Non... non volevo ecco, perdonami. Non vorrei mai tu te ne vada».

Hirato sorrise.

«Lo so», mormorò comprensivo sciogliendo l’abbraccio e ripetendo: «Lo so».

Restarono per qualche momento in silenzio, a godersi quella pace e l’armonia ritrovata dunque Hirato si congedò.

 

 

 

«Oh, vedo che avete risolto le vostre incomprensioni», commentò la segretaria, seguendo Hirato ed accompagnandolo verso l’uscita.

«Così sembrerebbe», disse allora il comandante in un sorriso compiaciuto e sereno.

Rindossò la tuba e fece comparire il suo scettro.

Fece per uscire ma si bloccò alla soglia della porta, ricordatosi di un dettaglio non indifferente.



 

«A proposito. Faccia sapere a Tokitatsu che presto riceverà il conto della lavanderia»

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Capitolo 4
*** Writing ***


Titolo: Writing
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: One Shot
Wordcount:  1035





 

«Comandanti, sono proprio fiero del vostro duro lavoro al Palazzo di Fumo», convenne Tokitatsu alzando soddisfatto un calice di rosso vino al soffitto, «Quindi propongo un bel brindisi per il mio fr-». L’occhiata di fuoco di Hirato raggiunse le sue pupille quasi incenerendole al solo contatto al che si corresse istantaneamente: «V-Volevo dire, brindiamo a voi, comandanti della Prima e della Seconda Nave!». Innalzarono i loro calici di minio, il rosso del vino brillò sotto la luce artificiale dello studio. Tsukitachi fu il primo a tracannare quanto più velocemente possibile il vino. Lanciò dunque una rapida occhiata all’orologio da parete e dopo essersi intrattenuto a parlare per una buona mezz’ora si congedò, brillo ed estasiato, senza perdere tuttavia completamente la lucidità.

 

«Mi meraviglioso di come riesca a reggere bene l’alcool», disse Hirato stracco, stravaccandosi nella poltrona e gettando esausto la testa all’indietro nello schienale. Tokitatsu si alzò ed appoggiò la bottiglia di vino sopra un ripiano della libreria, ancora euforico.

«Suvvia, anche tu gli dai filo da torcere. La verità è che lo reggete entrambi bene altrimenti non vi mettereste a discutere di lavoro davanti ad una bottiglia di sakè»

«Non si potrebbe dire lo stesso di Akari», si lasciò sfuggire Hirato in un sibilo a bassa voce. Il fratello si girò, scrutandolo con sguardo perplesso.

«Hai detto qualcosa?»

Chiuse gli occhi il comandante e sorrise tranquillo: «No, niente».

Aprì poi leggermente le palpebre, quanto bastava per lasciar scivolare la pupilla stanca lungo il corpo del fratello. Si sentiva frastornato dal vino, doveva essere stato qualche grado più alto rispetto al solito che usavano bere per festeggiare.

Sogghignò.

Non aveva mai visto Tokitatsu indossare un papillon, nemmeno nelle cerimonie più importanti. Doveva essere stata una vittoria significativa anche per lui. Oppure un semplice sfizio che desiderava togliersi da tempo, quello di vestirsi a puntino.

Sussultò d’un tratto, l’occhio catturato da un particolare che si ricordò aver scrutato per l’intera serata.

 

«Cos’è quel libro che tieni sottobraccio?», chiese incuriosito destandosi dal suo riposo, «E’ tutta la sera che te lo tieni appresso». «Questo, caro il mio fratellino, non è un ‘libro’ ma un diario», precisò Tokitatsu apostrofandolo mentre prendeva posto alla sua scrivania, «Il mio diario».

«A trentasei anni tieni ancora un diario?», domandò in tono incredulo che aveva un che di canzonatorio Hirato, alzandosi dalla poltrona ed avvicinandosi poi alla sedia del fratello, cercando di sbirciarne il contenuto. Tokitatsu, avvertito che ebbe il movimento del comandante e le sue intenzioni, sussultò atterrito richiudendo la pagina del diario imbarazzato e lasciando Hirato di stucco.

«D-Davvero?», chiese quest’ultimo incredulo sorridendo, «E’ davvero un diario segreto?».

«S-Sì!», esclamò il castano annuendo rosso in volto, distendendosi sopra la copertina come per proteggerla, «E’ mio. Ci scrivo, ok?!».

Il fratello sospirò. Che bambino.

Si sfilò la montatura degli occhiali appendendola alla sua camicia ed abbracciò il fratello: «Ti lascio alla tua scrittura, allora. Io me ne torno sulla Nave». «Eh?! Da già?!», domandò lagnoso Tokitatsu alzandosi e guardando con occhi combattuti il fratello mentre rindossava la giacca, «Ma è presto! Resta ancora un po’!».

«Non posso. Devo fare un salto alla Torre di Ricerca per discutere di alcuni argomenti importanti con Akari. Finisce il turno tra un’oretta», disse Hirato, un sorriso illuminò d’un tratto il suo volto, «E non vorrei fare tardi».

Tokitatsu sospirò comprensivo. Aprì il cassetto della scrivania e ci lasciò scivolare dentro il diario.

«Va bene...», mormorò rattristito porgendogli la tuba, rimasta fino ad allora appoggiata sul tavolino, «Spero che tu torni a trovarmi presto. Lo sai che apprezzo le tue visite».

Il comandante sospirò e si portò un palmo alla fronte apprensivo dunque gli sorrise.

Sarebbe tornato presto. Tokitatsu poteva contarci.


 

***


 

«Comandante Hirato», mormorò con una punta di stupore la segretaria vedendolo entrare, «Se sta cercando il signor Tokitatsu, è uscito un quarto d’ora fa per la riunione alla Tavola Rotonda Z».

Hirato sorrise e si tolse cortesemente la tuba: «Ah, grazie mille. E’ un vero peccato che non sia qui, mi sarebbe piaciuto potergli parlare. Se non è disturbo, vorrei entrare un attimo nel suo studio, credo di aver dimenticato qualcosa quando sono venuto ieri sera».

La donna non fece domande e gli consegnò tra le mani le chiavi dell’ufficio.

Era ordine del suo superiore –in fondo, di non negare mai nulla al Comandante della Seconda Nave.

Hirato aprì placidamente la porta, senza fretta e la richiuse con altrettanta delicatezza ed attenzione. Sfiorò poi la superficie della scrivania di noce, liscia e lucida, ed aprì il cassetto.

Il ‘libro’ era lì.

Se Tokitatsu glielo aveva proibito convenne che doveva avere davvero delle valide motivazioni.

Informazioni segrete sul nemico? O sfoghi nei confronti dei suoi colleghi alla Tavola Rotonda?

Lo prese tra le mani e lesse rapido l’intestazione in cima alla pagina. Scosse la testa rassegnato.

Era davvero un semplice diario.

Si sentì quasi deluso ad aver immaginato anche solo per un istante che potesse essere qualcosa di più.

 

Caro diario, oggi ho deciso di proporre un brindisi per il successo della missione al Palazzo di Fumo. Hirato e Tsukitachi hanno fanno un impeccabile lavoro –anche se i membri della Tavola Rotonda non sono purtroppo della stessa opinione. Non smetterò mai di essere fiero del mio fratellino. Avrei voluto si fosse trattenuto di più ma non l’ho forzato. E’ bello sapere che ha sempre qualcuno che ama e da cui tornare. Sono passati i tempi in cui il suo cuore era un austero posto. Spero solo che Akari se ne sappia prendere cura. E parlando di amore, ieri nello show televisivo è anche [...]»

 

Richiuse il diario irritato. Se quella roba fosse finita accidentalmente tra le mani di qualcuno, sarebbe stata la fine per la sua reputazione.


 

***


 

«Ha trovato quello che cercava, comandante?», domandò la segretaria mentre si puliva disinteressata le sporche lenti degli occhiali. Hirato si voltò ed annuì sollevato.

«Può farmi una cortesia...?», le chiese dunque in un affabile sorriso, «Non dica a Tokitatsu che sono venuto nel suo studio questo pomeriggio. Si sentirebbe terribilmente dispiaciuto per non avermi potuto salutare».

 

La donna annuì ed Hirato poté starsene tranquillo per un po’.

 

 

 

«Ehi Hirato, guarda il mio nuovo diario!»


 

O almeno fino a quando il fratello non ne comperò uno nuovo.

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Capitolo 5
*** ♣ A Night on the Starry Sky ***


Titolo: A Night on the Starry Sky
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato
Avvertenze: One Shot
Wordcount: 1245






Akari entrò nello studio di Hirato con passo felpato, aprendo la porta con delicatezza. Quasi fu sorpreso dall’aver trovato il comandante appisolato alla sua scrivania, con la testa nascosta tra le conserte braccia. Respirava piano e silenzioso, una vista che strappò un dolce sorriso al dottore. Gli si avvicinò senza tanti preamboli, poggiando il mento nell’incavo della sua spalla e baciandogli il retro dell’orecchio.

«Buongiorno, dormiglione», gli mormorò smielato, respirandogli vicino e rafforzando la presa attorno al suo collo, «Non ti ammazzerò mica se stringo un po’ più forte, vero?».

«Nessuno è mai morto d’amore», rispose franco il comandante, con la testa ancora bassa, sorridendo tuttavia rasserenato. Si voltò e si lasciò affogare in quel lucido tramonto che erano i suoi occhi mentre portava una mano al suo collo sfiorandolo.

Akari era docile quella sera. Si lasciava accarezzare mansueto, come se la paura che qualcuno potesse fare improvvisamente irruzione nello studio fosse stata l’ultimo dei suoi problemi. Hirato si prese allora le sue libertà e decise di azzardare cercando di allentare la cravatta del dottore ma la sua mano gli impedì ogni altro movimento, bloccandogli fermamente il polso.

«Aspetta», mormorò interrompendo un bacio.

«Cosa c’è che non va?»

«Andiamo in terrazza»

«In terrazza?», ripeté il comandante in uno smaliziato sorriso.

Il dottore annuì serio ed imbarazzato. Hirato comprese.

C’era aria di romanticismo, poteva sentirlo.

 

«Non mi sarei mai aspettato che Akari-san decidesse mai di fare qualcosa di sua iniziativa», commentò sereno, osservando il firmamento e disperdendo il suo sguardo tra le stelle che popolavano il cielo notturno. Akari teneva entrambe le braccia poggiate al parapetto, il mento a sua volta alzato, in direzione di quel cielo, lo stesso che stava in quel momento fissando il comandante con aria incerta, cercando di capire cosa ci avesse trovato di più interessante del suo volto.

Voleva attenzioni, odiava ammetterlo perfino a se stesso.

Avanzò verso il corvino, mantenendo un’espressione imbronciata, e gli afferrò la mascella con una mano portandolo a voltarsi verso di lui.

«Dovresti riposarti di più Hirato», sibilò, e lentamente avvicinava il suo viso a quello del comandante, «Cominci ad avere le occhiaie».

Il corvino non attese altri segnali, gli parve di cogliere la fretta di Akari nell’unire quella bocca alla sua e d’un tratto anche lui sentì la stessa urgenza, lo stesso desiderio di sfiorargli le labbra, le stesse sulle quali si fiondò passionalmente dopo nemmeno un secondo, con gli occhi semichiusi, cingendo allo stesso tempo la vita del dottore. Silente, Akari se ne stava docile tra le sue braccia, si lasciava spogliare solo con lo sguardo mentre la brezza autunnale accarezzava i loro corpi.

Hirato sorrise, lasciando che le loro membra aderissero completamente le une alle altre, completandosi come fossero state tessere d’un puzzle.

Passava le sue nude mani tra i capelli di Akari e capiva che era amore. Si riempiva narici, polmoni ed anima del suo odore, finché il cuore non gli scoppiava in petto e non gli pareva di bruciare.

Allora capiva che era davvero innamorato.

Capiva che era al settimo cielo.

 

«Stringiti forte a me, Akari»

 

Gli sibilò sensualmente quelle parole nell’orecchio, aumentarono i battiti del suo cuore quando non udì nessuna protesta da parte nel ricercatore ma la sua unica risposta, una stretta aumentata sul suo cappotto, il mento incastrato nell’incavo della sua spalla.

Hirato cinse la vita del dottore con le sue grandi mani e gli baciò l’orecchio mentre, avvolto dal vento, si sollevava in aria, staccandosi dalla terrazza della Seconda Nave.

 

«Hai paura dell’altezza, Akari?», gli domandò d’un tratto, trattenendogli con forza la vita, come temesse potesse cadere da un momento all’altro. Il dottore restò con gli occhi chiusi, scosso da un brivido di freddo, senza muovere un muscolo con il timore che Hirato potesse lasciare improvvisamente la presa. Negò con il capo, e fece salire le braccia fino alla sua nuca, avvinghiandovisi: «Non dire idiozie razza di bastardo. Hai un’opinione così bassa di me?».

«Forse la stessa che Akari ha di me», gli rispose di tono Hirato in un sorriso, mentre strisciava affettuosamente il mento sul collo del dottore. Akari arrossì ed aggrottò la fronte irritato.

Aveva colto nel segno.

 

«Pensavo di averti detto di voler rimanere sulla terrazza», mormorò d’un tratto cambiando discorso e cominciando a prendere confidenza con l’altezza ed aprire a mano a mano gli occhi. Sussultò osservando e luci della città sotto il suo corpo, disperse nel vuoto.

 

«Qualcosa ha catturato la tua attenzione, Akari?», chiese Hirato, avvinghiandoglisi con più forza, soffocando un sorriso nella sua spalla. Il dottore annuì e vinse la paura dell’altezza staccandosi dalla clavicola e cercando gli occhi dell’altro.

Assentì poi nuovamente con un cenno del capo ed avvicinò il volto a quello del comandante: «Stavo pensando a quanto belle sono le luci sotto di noi. E’ come se fossero diventate lo specchio del cielo». «Akari-san è poetico questa sera», si lasciò sfuggire Hirato in un sorriso, «Oltre ad essere particolarmente romantico. A cosa aspiri, Akari? L’altra notte non ti è forse bastata?».

Il dottore s’infuriò all’udire di quelle parole e strinse un pugno mostrandoglielo davanti alla faccia e suscitando la risata ancora più divertita del comandante, che lasciò andare un suo fianco per racchiudere la sua mano e proteggerla.

«Come sei carino», si lasciò sfuggire unendo le sue labbra a quelle del ricercatore, «Non potermi nemmeno colpire, con il timore di cadere...».

«No», borbottò Akari, prendendogli d’un tratto il viso tra le mani e guidando il comandante in un profondo bacio, che gli tolse quasi il respiro tanta l’intensità, che lo lasciò di stucco non aspettandosi una risposta tanto onesta, «Non mi è bastata. E credo non sia bastata neppure a te». Hirato sorrise, raggiunse ancora una volta le labbra del dottore e volò ancora più in alto, lontano di fuochi della città, come cercasse di avvicinarsi di più alla Luna.

Ma non osò staccarsi da quelle morbide labbra.

 

«Sei un talentuoso bugiardo, Akari», gli sussurrò d’un tratto, sfiorandogli una coscia e stringendolo ancora più forte a sé, «Continui imperterrito a ripeterti quanto odi ricevere queste mie coccole, quanto odi essere sfiorato, toccato, amato... Ma alla fine sei sempre qui, accanto a me».

Il ricercatore abbassò paonazzo lo sguardo, stringendosi alla nuca del comandante, sentendo la pelle, sotto i pantaloni di tela, sussultare sotto il tocco accorto di Hirato.

Aveva ragione. Era un dannato bugiardo. Ma entrambi giocavano la stessa partita.

Alzò il mento e lo baciò ancora una volta, come per dargli ragione senza proferire parola.

Una ragione che tuttavia riempiva il petto di Hirato di orgoglio ed il suo cuore di amore.

 

 

 

«Ce ne torniamo a bordo, che ne dici Akari-san?». Il dottore annuì silenziosamente, lasciando scorrere le sue mani attorno al colletto della camicia di Hirato, d’un tratto impaziente di spogliarlo e lasciarsi possedere, la stessa impazienza che era sicuro di avergli trasmesso.

Hirato sogghignò una volta posati entrambi i piedi a terra e gettò Akari sul divano del studio. Lo fissò poi per un attimo in volto, come se stesse attendendo gli dicesse qualcosa ma il dottore non parlò. Si lasciò portare via del comandante nella sua camera, preso in braccio come fosse stato una principessa, imbarazzato dall’essere scrutato dagli occhi robotici delle pecore ed al contempo divorato dall’impazienza.

 

«L’altra notte non ti è forse bastata?»

Le parole di Hirato gli riecheggiavano nella mente e si mescolavano con l’odore della sua pelle. Baciò il petto coperto dalla camicia e sospirò.

 

No”, pensò, “Quando ami non ti basta mai”.

 

Ma non gliel’avrebbe mai detto.

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Capitolo 6
*** Sleeping ***


Titolo: Sleeping
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: Flash Fic
Wordcount
: 830





 

Dormire assieme al fratello era un qualcosa al quale aveva fatto l’abitudine nella recente settimana. Aveva deciso lui stesso di proporgli di prendersi una vacanza e passare del tempo in sua compagnia a bordo della Seconda Nave. D’altronde, anche Hirato ogni tanto aveva dei rimorsi di coscienza e gli pareva di comportarsi sempre in maniera troppo fredda con quel povero ragazzo, che in fondo voleva solamente il suo bene.

Ospitarlo per qualche giorno gli sembrava l’unica maniera per sdebitarsi.

 

 

Lanciò un’occhiata furtiva al calendario, una punta di irritazione si accese improvvisamente nel suo sguardo. Dire che Tokitatsu avesse d’un tratto deciso di mettere le radici in quella Nave e non abbandonarla neppure a costo della propria vita era un eufemismo.

 

Si allacciò l’ultimo bottone della camicia da notte e si mise a letto.

Il fratello era già appisolato. La battaglia stava per avere inizio.

 

Non era certo di quanto tempo fosse passato da quando si era addormentato. Potevano essere trascorse due ore così come nemmeno dieci minuti. Ma già cominciava a sentire la sua pazienza andare in mille frantumi non appena percepì il corpo del castano sbattere contro il suo fianco e la grande mano finire direttamente sulla sua faccia. S’accigliò e, con attenta cautela, spostò il palmo che si era trovato dritto sul naso e cambiò posizione, stavolta mettendosi prono.

 

Tokitatsu allora si rigirò, la bocca semiaperta, lasciò andare sereno un sospiro e, mentre un filo sottile di saliva gli pendeva dal labbro inferiore, si era rigirato sul suo lato, coccolato dal calore del piumone. Tirò un sospiro, Hirato, e girò la testa dalla parte opposta, chiudendo gli occhi e sperando di potersi finalmente concedere del meritato riposo.

 

Sgranò gli occhi. Si trattenne ancora una volta dal vedere che ora della notte fosse stata, non lo voleva sapere. Il solo pensiero di essersi svegliato per la seconda volta di soprassalto lo irritava già di per sé. Se l’era ritrovato di nuovo addosso al suo corpo, la saliva stavolta gli aveva macchiato la camicia da notte ed il suo braccio gli gravava sulla zona lombare accentuando la sua irritazione.

 

Chiuse gli occhi. Calma. Glielo aveva insegnato Tokitatsu stesso, a mantenere la calma ed il sorriso in ogni situazione, non importa quale essa sia, non bisogna mai comunicare le proprie emozioni agli altri. Si bloccò e rifletté su quest’ultimo punto. Non ricordava che il fratello gli avesse mai detto nulla del genere. Doveva averla presa come sua filosofia di vita, il cinismo.

Strinse i pugni, si rigirò sul fianco ed allontanò con tocco accorto il corpo del fratello riportandolo sul suo lato.

 

Espirò profondamente e chiuse gli occhi, stavolta risentito.

Se fosse andato avanti in quella maniera, si sarebbe ritrovato per la fine della settimana con due occhiaie da paura.

 

 

Dopo la quinta manata in faccia, non era più riuscito a prendere il sonno. Guardò con occhi severi ed adirati il fratello, che riposava tranquillo ed ignaro di tutto al suo fianco, avvolto nel suo piumone, infagottato dalla testa ai piedi.

Prese un lembo della coperta per sé e si girò su un fianco, dandogli ancora una volta le spalle. Sentì il calore infondersi nel suo corpo, la pace regnare finalmente nella stanza.

Tutto era improvvisamente calmo.

Chiuse gli occhi e gli parve di starsene sospeso su una soffice nuvola.

 

 

Tremò scosso da un brivido e quando si risvegliò si accorse di essere rimasto scoperto per tutto il tempo. Si voltò ancora una volta, doveva essere stata l’ottava in una notte sola e gli si incendiò lo sguardo alla vista di Tokitatsu, avvolto nel suo morbido piumone.

 

Calma. Il segreto stava nel mantenere la calma.

 

 

***

 

 

Tokitatsu si risvegliò frastornato alla flebile luce del mattino che filtrava dalla finestre. Si stropicciò gli occhi ancora confuso e trasalì quando si accorse di essersi ritrovato sul il pavimento. Portò una mano sopra il materasso e si aiutò a rialzarsi montando nuovamente sul letto. Si massaggiò la schiena dolorante, e si gettò allora addosso ad Hirato, ancora assopito, abbracciandogli il torso. Gli si avvicinò al volto per baciargli una guancia ma quasi trasalì notando le pesanti occhiaie che gli solcavano il volto.

Le accarezzò allora, delineandole con il pollice preoccupato ma, sul punto di ritirare la mano, si sentì stringere con forza sovrumana il polso.

 

«Ti sei per caso svegliato?», chiese con un perfido sorriso sulla labbra Hirato, senza tuttavia aprire gli occhi. Il castano deglutì, scosso da un brivido lungo la schiena e cercò invano di liberarsi della presa: «Eh già... Temo di essere caduto dal letto mentre dormiv-».

«Non sei caduto dal letto», borbottò il minore, freddo e distaccato, aprì gli occhi abbagliando con il solo sguardo Tokitatsu, quasi fossero stati due fanali, «Ti ho buttato io giù dal letto. Ed ora lasciami dormire, se il prossimo volo non lo vuoi fare da questa Nave».

 

Deglutì raggelato.

 

Calma. Il segreto stava nel mantenere la calma.

Ma gli occhi del fratello lo incitavano a fuggire.

 

E per una volta, ascoltò saggiamente quel consiglio.

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Capitolo 7
*** Winning ***


Titolo: Winning
Pairing: TokitatsuxAkari, Hirakari
Personaggi: Tokitatsu, Hirato, Akari
Avvertenze: One Shot
Wordcount: 1231





«Anche tu, Tokitatsu», grugnì Akari, esplorando bigio il fondo del bianco e frizzante calice di vino che il comandante generale del Circus gli aveva porto, il volto oscurato da un velo di scetticismo mentre seguiva con la pupilla le bollicine di aria sollevarsi dalla conca del bicchiere e risalire fino alla superficie scoppiando, «Vedo che è una prassi del Circus, quella di rifilare vino ai ricercatori che vengono a discutere di lavoro».

«Ahah, Akari, sei sempre così freddo», ribatté in un sorriso divertito Tokitatsu, un tono quasi giocherellone, di quelli che solitamente si teneva stretto per quando passava del tempo con il fratello, «Offrire al proprio ospite del vino da bere è una forma di cortesia, oltre che essere una formalità. Pensavo non ti sarebbe dispiaciuto, specialmente ad uno come te che a tenere le distanze ci tiene parecchio».

 

Sorseggiò lentamente il suo calice, assaporava il vino sciacquandocisi rilassato la bocca e poi alzava il mento e gli pareva che la mente gli si cominciasse ad annebbiare e le parole si sciogliessero in quello stesso liquido, magico ed al contempo fatale.

Appoggiò un gomito sullo schienale del divano, le palpebre gli reggevano a stento, voleva dormire ma al contempo restare sveglio.

Udì una vibrazione ed il display del telefono del dottore si illuminò in un bagliore poi si spense di nuovo rapido nel taschino del suo candido camice.

 

Esalò stracco un respiro il castano, si sistemò gli occhiali, che gli stavano lentamente scendendo lungo il setto nasale e cercò di rialzarsi ma, prima ancora che potesse fare altre mosse, si accorse che Akari era già in catalessi, assopito sul divano di fronte a lui, le labbra dischiuse facevano passare solo un filo d’aria, quanto gli bastava per respirare.

Tokitatsu si portò una mano davanti agli occhi e si coprì la vista.

Gli cominciava di nuovo a girare la testa, non riusciva proprio a reggere il vino. Nemmeno in quello sarebbe riuscito a vincere il fratello. Era comandante generale del Circus ma in quanto a forza fisica, Hirato era di certo superiore a lui. Si era sempre preso cura di lui, l’aveva sempre protetto, ma ora i loro posti si erano invertiti. Ora era Hirato a splendere, era lui quello che con le sue ali l’avrebbe avvolto e tenuto lontano dai pericoli.

 

L’aveva sorpassato in tutto.

 

Guardò riluttante Akari, scoprendosi un occhio. Notò il colletto inamidato della sua camicia leggermente sbottonato che dava da vedere ad un pezzo di nuda pelle del suo pallido collo e la cravatta, un tessuto di tela violacea, era ora slacciata e gli pendeva da una parte. Arrossì e fece presa sul divano per riuscire a rialzarsi, vincendo l’ebbrezza che lo spingeva a gettarsi nuovamente sopra quei cuscini a peso morto ed addormentarsi come un sasso.

Barcollò, eliminò la distanza che lo separava dal dottore scavalcando a fatica il basso tavolino, rischiando di rovesciare, toccandola con il ginocchio, la bottiglia oramai vuota e risucchiata fino all’ultima goccia di vino. Infilò la mano nella tasca del camice di Akari e ne sfilò il cellulare posandoglielo accanto.

Avvicinò i polpastrelli alle sue labbra, le tastò con delicatezza, guardandole con occhi stracchi ma innamorati.

Era la sua unica opportunità.

C’era ancora qualcosa su cui poteva primeggiare, qualcosa che lui, a differenza di Hirato, poteva permettersi di avere. Si appoggiò alle cosce del dottore con estrema delicatezza, così da evitare di svegliarlo, gli pareva un’emozione più unica che rara, quella di potersi finalmente avvicinare ad Akari.

La chiave per la vittoria era tra le sue mani, non poteva essere più felice. Era come sfiorare la superficie fredda dell’acqua dell’Oceano, lo si fa con incertezza, con timore, con paura, così Tokitatsu lo fissava dapprima da distante, valutando come gli sarebbe meglio convenuto avvicinarsi a quelle labbra ed allontanarsene al contempo quanto più rapidamente possibile.

Voleva saggiarle, conoscere il sapore che hanno le altre persone e nello stesso momento provare l’emozione dell’amore ed il brivido della vittoria. Gli sfiorò i capelli, Akari emise un leggero grugnito mettendo il broncio ma non fece altro. Le labbra gli restavano protese verso il soffitto, continuava a respirare dolcemente e per Tokitatsu rinunciare proprio ora a quella follia che sembrava picchiettargli nella testa attendendo solo di essere compiuta sembrava impossibile.

 

Il cellulare vibrò di nuovo.

 

Sbuffò il castano e con una passata di mano lo fece volare giù dai cuscini direttamente sopra il pavimento. Si fiondò sulle sue labbra -quasi non gli pareva vero, e gli lasciò un bacio a stampo, di quello che i bambini da piccoli danno alla propria mamma, in un fervore di eccitazione e scombussolamento al contempo.

Riaprì gli occhi.

Stava ancora tremando dallo stupore e non sentiva nemmeno un senso di colpa quando la porta del suo studio si aprì ed Hirato lo sorprese a cavalcioni sopra il dottore, con il naso ancora pericolosamente vicino al suo, dopo quel bacio timido che gli aveva lasciato. Il minore inarcò un sopracciglio, apparentemente tranquillo in volto, una calma che tuttavia celava un sentimento ancora più grande, un turbamento non indifferente.

«Posso chiederti con staresti facendo, Tokitatsu, con Akari?», ironizzò Hirato con tono sardonico ma tagliente, sembrava volesse strangolarlo solo con le sue stesse parole.

Sorrise il comandante generale del Circus, tentando di non scomporsi e cercando di nascondere tutta la gioia che gli aveva suscitato quel bacio appena donato –il suo primo bacio, dietro alla stessa maschera dietro alla quale si nascondeva il fratello: «Stavo solamente cercando di risvegliare il dottor Akari dal suo profondo sonno».

«Oh, un metodo per risvegliarlo, capisco...», ribatté freddo Hirato. Posò lo sguardo su Akari e non impiegò molto a trarre il resoconto della serata. Si era ubriacato di nuovo. Non riusciva mai a dire di no, roba da matti.

Non si tolse nemmeno il cappotto, si avvicinò semplicemente al fratello, si chinò appena prima di lui raccogliendo il cellulare del dottore e, dopo averglielo nuovamente infilato nel taschino del camice, si intromise tra i profili dei due e baciò senza imbarazzo Akari, sotto l’occhio basito del fratello.

Ricambiò a mano a mano quel bacio il dottore, spalancando leggermente gli occhi come fossero fessure di una veneziana. Le sue lunghe ciglia rosa si dischiusero e le iridi si mescolarono in quelle di mora di Hirato. Era ancora ubriaco, lo poteva vedere il Secondo comandante solo dalla maniera in cui lo guardava, languida e seducente.

Bruciò dalla rabbia all’eventualità che Tokitatsu avesse visto quello stesso sguardo. Akari dischiuse goffamente le braccia, avvinghiandosi alla nuca di Hirato, senza chiedergli nemmeno perché Tokitatsu fosse ancora a cavalcioni sopra di lui. Lasciò poi andare la presa quando le loro labbra smisero di toccarsi e si gettò all’indietro riaddormentandosi di nuovo, come un neonato dopo la poppata.

 

«Non hai vinto, Tokitatsu», commentò aspramente, il sapore dolciastro del vino che gli aveva lasciato la bocca di Akari un poco lo disgustava ma a questo poneva rimedio comunque la sublimità del momento che aveva da poco trascorso e l’occhiata del dottore.

Allentò la cravatta e se ne sbottonò il colletto scoprendo la pelle del collo, segni rossi e piccoli morsi la tempestavano.

 

«Non hai mai vinto»

 

Così disse e dopo aver visto il fratello alzarsi nello sgomento, raccolse il dottore e se ne sortì soddisfatto, trattenendolo tra le sue braccia, come stesse esibendo un trofeo di battaglia, conscio tuttavia che la vera battaglia sarebbe cominciata quando entrambi si sarebbero ritrovati l’uno accanto all’altro, sotto le coperte.

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Capitolo 8
*** ♣ Because you Loved Me ***


Titolo: Because you Loved Me
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato
Avvertenze: One Shot, Song Fic
Wordcount: 712





«Akari-san, domani dovresti farmi un favore. Penso di riuscire a passare alla Torre di Ricerca nel primo pomeriggio, mi servirebbe tu mi procur-»

 

Si bloccò sulla soglia della porta del bagno, l'asciugamano di cotone legato al nudo collo gli copriva la glabra pelle della schiena, fino a meno di mezz'ora prima madida di sudore ed ora tuttavia intiepidita dal tepore della doccia. Sospirò addolcito e rapidamente lasciò ricadere sul pavimento ogni telo che in quell’istante copriva il suo corpo denudandolo.

 

Si avvicinò con passo felpato al letto, cercando di appoggiare quanto più delicatamente possibile i piedi scalzi a terra, per evitare che anche il minimo tonfo sordo potesse risvegliarlo. Montò poi sul materasso. Il peso del suo corpo aveva il fulcro nel ginocchio e nei suoi pugni stretti, che ora affondavano nella gommapiuma mentre azzerava molto lentamente le distanze tra di loro.

 

Gli scostò dal viso un ciuffo rosa di capelli e si lasciò sfuggire un sorriso permettendo al cuore di sobbalzargli in petto a quella vista. Restò in ascolto del suo respiro e desiderò per un effimero istante di poterglielo rubare con un bacio. Temendo tuttavia di svegliarlo, accantonò l'ipotesi e ritenne più opportuno restare in tacita osservazione.

Le nude membra di Akari giacevano inermi sul materasso, plasmato dal suo peso, sudate e stanche ma che ora sembravano aver trovato finalmente un po' di ristoro. Il torace si alzava e si abbassava assecondando l'andamento ritmato del suo respiro. Gli pareva felice, forse stava sognando qualcosa di piacevole.

 

Si accarezzò la nuca e gli parve di sentire per un istante ancora il calore della stretta del dottore, le parole d'amore sembravano riecheggiargli nella mente, i suoi gemiti avevano lasciato marchi nitidi su di lui, tanto quanto i graffi che riportava sulla schiena.

Ma erano le sue ferite di battaglia quelle.

E non poteva andarne più fiero.

 

Scrutò le sue palpebre, chiuse e rilassate ed allungò un dito per accarezzarle.

Akari era perfetto in ogni suo dettaglio.

Con quella pelle di Luna e quelle favolose ciglia lunghe, si faceva amare in ogni maniera, anche dal minimo gesto carezzevole del comandante. Lo notò arricciare dolcemente le labbra non appena gli sfiorò il naso. Lo percorse con tocco delicato, lasciando scivolare la punta del dito e la corta unghia lungo il setto, come per definirlo, con la stessa cura ed attenzione che si riserverebbe ad una bambola di porcellana, rara e pregiata, con il timore di poterla rompere. Ne toccò poi la punta e si lasciò sfuggire un altro sorriso.

Gli angoli della bocca del dottore si piegarono in una smorfia felice e la sua testa si spostò di poco, senza ripudiare quel contatto.

Quando riposava era ancora più affascinante, Hirato ne aveva la piena certezza.

Tutta la sua serietà scivolava improvvisamente via, sembrava fosse davvero capace di dimenticarsi del suo lavoro ogni tanto. Ed il cuore gli si riempiva di gioia quando lo vedeva accanto a sé, nel suo letto, con occhi chiusi ed il volto soddisfatto e riposato, felice come una pasqua.

E gli pareva di potersi permettere di chiamare quel letto casa quando Akari era con lui.

 

Lo notò d'un tratto rabbrividire, i biondi e corti peli sulle sue braccia si rizzarono divenendo ispidi, come fii d'erba, su un terreno che era la sua pelle accapponata. Raggiunse la coperta e la raccolse da terra posandogliela poi sopra le spalle. Le sue labbra arricciate si aprirono per un istante e lasciarono andare delle parole. Si avvicinò maggiormente stringendosi contro il suo corpo, con il cuore scosso da continue e folli palpitazioni, eccitato e con le farfalle nello stomaco come fosse stato ancora un ragazzino.

 

«Akari-san...», sibilò felice baciandogli la tiepida fronte, «Non smetti mai di stupirmi, anche quando dormi».

 

L'oscurità calò, nascondendo le guance rosse come papaveri e gli occhi lucidi come il cristallo del comandante, un'espressione rara da scovare sul suo volto.

 

 

«Ti amo anch'io, Akari»

 

 

You touched my hand I could touch the sky
You stood by me and I stood tall I had your love I had it all
You're the one who saw me through through it all

You saw the best there was in me

You gave me faith 'cuz you believed
I'm everything I am
Because you
you loved me

~ Celine Dion, Because you Loved Me

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Capitolo 9
*** ♣ Old Tree ***


Titolo: Old Tree
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato, Tokitatsu, Tsukitachi
Avvertenze: One Shot
Wordcount: 1237



 

Tokitatsu sorrise alla vista di quella scena che non faceva altro che scaldargli il cuore e farlo sciogliere dalla tenerezza. Quasi si sentiva in colpa per essere lì, gli pareva di violare quella bolla di serenità e perfezione nella quale avevano deciso di isolarsi ai piedi di quell'albero, l'uno con la testa appoggiata alla spalla dell'altro, con le mani congiunte.

 

I due opposti, riconciliati.

 

 

 

«Ti ho detto che non ho intenzione di portarti dietro nelle mie ricerche», Akari additò il comandante ed incrociò in un piglio di disapprovazione le braccia, mettendole conserte. Sistemò le provette riordinandole meticolosamente all'interno di una piccola borsa -quasi sembrava più un marsupio, e la richiuse facendosi pronto a partire.

«Tu e Tsukitachi mi aspetterete qui», lamentò allora, ignorando gli occhi tristi di Hirato, che sembravano implorarlo di restare, «Se non mi vedrete tornare tra un'ora avete il permesso di venirmi in cerca. Ma solo se non mi vedrete tornare».

«Akari-chan ha un bel coraggio ad andare a zonzo tutto da solo come Cappuccetto Rosso», mormorò il comandante della Prima Nave divertito sogghignando, «O, nel tuo caso, sarebbe meglio dire Cappuccetto Rosa».

Indietreggiò non appena una sventola rapida da parte del ricercatore raggiunse la sua nuca in un grave coppino.

"Il solito idiota", ringhiò dentro di sé Akari, lo stomaco contorto dalla rabbia e dalla fame.

Così dicendo si voltò, abbottonò il giubbotto che gli era stato dato in dotazione per l'esplorazione dalla Torre di Ricerca e si inoltrò nella foresta senza l'opposizione di nessuno dei presenti.

 

Aveva camminato instancabilmente per più di due ore senza concludere nulla.

Si era dedicato sin dal primo istante alla campionatura, soppesando quanto importante fosse fare un quadro delle specie che abitavano quei territori, così diversi dall'habitat naturale dei Niji.


 

Raggiunse la cima di una collina, un enorme olmo campestre svettava sulla cima di quest'ultima, la punta sembrava voler sfiorare il cielo, nel vano tentativo di raggiungerlo. Dietro la pianta si stagliava invece l'abbacinante luce del pomeriggio, mentre ancora dietro la natura dipingeva un paesaggio fatto di campi e lontane montagne.

Trascinò stracco i piedi fino alla cima della collina ed accarezzò la corteccia dell'albero riempiendosi le narici di quell'odore, così forte e marcato della natura, che lo riportava ad un mondo con il quale aveva da tempo perso i contatti, un mondo semplice ma al contempo complesso, scoperto ma al contempo da scoprire.

Appoggiò la schiena contro il tronco e lentamente si lasciò scivolare fino a sbattere il sedere sullo spazio d'erba tra una gigante radice e l'altra.

Posò il capo su una di queste e guardò in obliquo il cielo.

 

Gli uccelli si sollevavano liberi in volo. Alcuni migravano e si spostavano a stormi verso terre lontane, altri invece facevano ritorno ai propri nidi.

Sospirò e si domandò quale di quelli avrebbe potuto identificare in Hirato.

 

Hirato era sempre in giro, volava lontano ma alla fine tornava al suo nido.

Tornava per dare protezione. Tornava per amare.

 

Pensò ad un immagine che gli era sempre rimasta in testa, di una rondine mentre dava del cibo ai suoi piccoli.

L'aveva osservata una volta dalla finestra del suo studio, il verme si agitava nella morsa del suo becco poi, in un affettuoso gesto, passava a quello dei piccoli che, tra un pigolio e l'altro, se lo spartivano.

Un altro pensiero gli attraversò d'un tratto la mente e lo spinse ad arrossire.

 

«Che idiozia», bofonchiò sotto voce, portandosi una mano davanti alla bocca e cercando di trovare una posa comoda ai piedi dell’olmo.

Ripeté nuovamente quelle parole e si lasciò poi sprofondare in un pesante sonno.

 

 

Ad attenderlo c'era un dolce risveglio e la presa improvvisa di coscienza di essere appoggiato ad un braccio che non era decisamente il suo. Si stropicciò gli occhi levandosi la cispa e restò stupito dal vederlo rilassato, con gli occhi tesi verso un lontano punto nell'orizzonte. Si staccò allora e ricacciò in bocca uno sbadiglio.

 

«Hirato», mormorò confuso, «Cosa ci fai q-».

S'interruppe ed il comandante sgranò gli occhi non appena udì un brontolio provenire dallo stomaco del dottore.

Senza aggiungere altro aprì la borsa appoggiata accanto a lui -Akari dedusse se la fosse portato dietro con sé quando era venuto a prenderlo, e ne estrasse in un affabile sorriso un cestino del pranzo.

«Akari, devi essere proprio affamato, non è forse così?», domandò d'un tratto aprendolo, un odore forte di pesce affumicato ne uscì suscitando la rabbia del dottore.

«Sei un grandissimo bastardo, Hirato», mugugnò fulminandolo con lo sguardo, «Sapere che stavo crepando di fame e portarmi questo schifoso talnero».

Il comandante sorrise, ficcò nuovamente le mani nella borsa e ne tirò fuori un thermos con due bicchieri di plastica ed un piccolo sacchetto di velluto rosso contenente zollette di zucchero.

«Come mi tratti male, Akari-san», si lamentò allora prendendo un morso del pesce. Aprì il thermos e versò il bollente tè caldo nel bicchiere di plastica. Lo porse poi al ricercatore lasciandoci ricadere, dal
sacchettino rosso, una zolletta di zucchero nero.


«Dopo aver raggiunto Vantnam per comperarti questo zucchero così raro... Non mi sarei mai aspettato un simile trattamento».

Il ricercatore arrossì senza parlare. Prese tra le mani il bicchiere di plastica e ci soffiò sopra cercando di raffreddarlo. Contemplava la zolletta di zucchero mentre si scioglieva lentamente sul fondo.

 

Hirato lo osservava da vicino. Scrutava il suo affascinante profilo, quei lineamenti così morbidi del naso e del mento, quelle ciglia, così rosee e lunghe che contornavano gli occhi come fossero stati gusci di ostriche che custodiscono rare e preziose perle. I capelli gli erano quasi tornati tutti davanti agli occhi, la solita capigliatura era tornata ad essere un groviglio di ciuffi.

Si tolse un guanto e fece vagare la mano nel sacchetto fino ad estrarne una zolletta.

La prese allora tra le labbra ed afferrò il volto di Akari, incitandolo con un verso a morderla.

Il dottore si avvicinò dapprima stupito dunque, rapito dalla curiosità, lasciò scivolare a terra il bicchiere di plastica ed il tè ed accettò il dono del comandante, lasciando che gli imboccasse la zolletta direttamente nella bocca spingendola con la lingua.

Il sapore dello zucchero si mischiava con la saliva di Hirato, tutto era divenuto d'un tratto, più che eccitante, curioso e dolce al contempo.

Quel gesto pieno di amore, che gli ricordava vagamente il dono che la mamma rondine aveva fatto ai suoi piccoli lo faceva avvampare in volto e gli riempiva il cuore di felicità.

 

Tacque tuttavia per non dargli soddisfazione alcuna.

 

Fece scorrere un braccio attorno alla sua nuca e lo strinse a sé.

Per una volta, voleva essere lui a farlo sentire protetto.

Così erano rimasti, dopo aver separato ed allontanato l'uno le labbra da quelle dell'altro, appoggiati al tronco con gli occhi chiusi.

Avevano cominciato a parlare, nemmeno Akari sapeva più dove stesse parando, gli pareva che la maggior parte dei loro discorsi nascesse dal nulla e finisse senza motivo.

Tergiversavano da un argomento all'altro, facevano lunghe pause di riflessioni e per quando si accorsero che per una volta non erano finiti a litigare, si erano già addormentati l’uno con la testa appoggiata alla spalla dell'altro e le dita intrecciate.

 

 

 

Tokitatsu sospirò.

Raccolse il cilindro sporco di terra del fratello e glielo mise in testa soffocando una risata divertito.

 

Il freddo domatore e la tigre indomita.

Al Circus non servivano certo due figure come quelle.

Ma se così non fosse stato, Hirato ed Akari sarebbero stati perfetti per quei ruoli.




 
***





Un mistero è stato svelato.
Hurray!
-Cioè, parzialmente svelato.

Sembra che emerga da un dialogo di Tsukitachi (tra le pagine del capitolo 63 di Karneval) che i giovani aspiranti comandanti conoscessero già Akari alla veneranda età di 16 anni.



Sono felice.

AsanoLight~

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Capitolo 10
*** Amnesiac ***


Titolo: Amesiac
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato, Tokitatsu, Tsukitachi
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 1264




 

«Ha perso la memoria?»

«Così sembrerebbe»

 

Akari annuì con un cenno del capo, lanciando un’occhiata rapida al Comandante della Seconda Nave, in piedi accanto a lui. Il suo volto non dava segni di spavento tantomeno di stupore –sebbene tali reazioni sarebbero state da considerarsi normali in una situazione del genere. Aveva piuttosto indossato, sin da quando era giunto nella stanza, la solita fredda maschera di apparente disinteresse. Le sue labbra erano serrate, cucite. Non aveva parlato parola durante il discorso di Akari. Non si era nemmeno permesso di fare domande prima di avere sotto mano il quadro completo della situazione. Continuava solamente a fissare il fratello, il comande generale del Circus, sdraiato sul letto della Torre di Ricerca, con gli occhi chiusi mentre dormiva serenamente, all’oscuro di quello che era accaduto. Hirato sospirò ed avvicinò la mano alla guancia del fratello. La punzecchiò ed un accenno di sorriso si accese per un istante nel suo volto poi, fu questione di un secondo perché scemasse rapido, restituendogli la solita, fredda espressione.

 

«Pensi che riuscirà a ricordarsi di tutto?», chiese dunque, fissando le pupille del dottore, perdendosi nelle sue iridi, che avevano lo stesso colore delle pesce mature a giugno. Akari fuggì dapprima quell’occhiata e preferì piuttosto abbassare lo sguardo, poggiandolo sul corpo inerme di Tokitatsu. Scrutò la sua testa, una grande fasciatura gli avvolgeva la fronte, simile a quella che in passato avevano applicato a Karoku dunque lo rialzò, incrociandolo con gli occhi opalini del comandante: «Tutti ci speriamo. Sarebbe una vera e propria disgrazia se non fosse più in grado, in futuro, di riprendersi e ricordare». «Non c’è una maniera per aiutarlo?», Hirato cominciò a grattarsi la nuca, la tensione cominciava evidentemente a prendere il sopravvento su di lui.

 

«Chi lo sa»

 

La risposta di Akari si era improvvisamente rivelata fredda, come se d’un tratto non si fosse più curato di quella situazione. «Te lo dirò francamente. Per come stanno adesso le cose, non possiamo fare altro che aspettare che si riprenda. Per il resto, invece...», bofonchiò dunque il dottore lanciando uno sguardo pieno di risentimento al comandante, «Avrei piacere di discutere non il ‘Come’».

«Bensì il perché».

 

Hirato si distrasse e lanciò una lesta occhiata attorno all’enorme stanzone. Erano da soli, nessuno era in giro, né le infermiere né il mentore di Akari. Fece un passo in avanti e carezzò il mento del dottore dai rosei capelli sorridendo: «Diciamo che è stata una casualità».

«Una casualità», ripeté Akari, non molto persuaso dal malizioso sorriso del comandante, che si stava lentamente trasformando in una piccola risata. Si rifiutò allora di baciarlo liberandosi della sua presa e mettendo il broncio come fosse stato ancora un bambino: «Non mi prendere in giro. Non me ne faccio niente delle tue scuse. Cosa hai fatto a tuo fratello?! Avete di nuovo litigato?!».

«No», disse placido Hirato in un debole sorriso, «Te l’ho detto, io non ho fatto niente. Anzi, si potrebbe dire che ha praticamente fatto tutto da solo».

Akari inarcò un sopracciglio, ancora più confuso di prima: «Prego...?».

 

«Ieri sera ero nel suo ufficio, stavo seduto sulla poltrona a leggermi un libro mentre lui se ne stava alla scrivania a scrivere. Suppongo avesse avuto bisogno di prendere qualcosa dallo scaffale della libreria, perché, prima che si appiccicasse con la faccia sul pavimento, aveva preso quella direzione», spiegò Hirato.

«Sembri divertito»

«Lo sono», convenne Hirato, prendendo improvvisamente il dottore per un fianco e trascinandolo in un abbraccio. Gli baciò dunque il collo, respirando con tranquillità sulla sua pelle per poi lasciarci un leggero segno.

«Perché non ci divertiamo un po’ anche noi, Akari-san?», gli chiese senza allentare la presa.

Il volto di Akari si tinse improvvisamente di rosso. Poteva udire i battiti del suo cuore partire dal suo petto, dallo sterno ed echeggiare nelle sue orecchie, li udiva vivi, nitidi e distinti, sembravano il ruggito di un leone.

Si rifiutò tuttavia con un cenno del capo, cercando di liberarsi della presa del comandante: «Tuo fratello potrebbe svegliarsi da un momento all’altro e tu, tra tutte le cose a cui potresti pensare, il sesso è l’unica che ti è venuta in mente?!».

Hirato sospirò mentre univa le sue mani a quelle del dottore, intrecciandone le dita: «Dannazione... Akari è sempre così rude con me. Ti preoccupi sempre troppo. Perché invece non provi a rilassarti?».

«Perché non c’è mai tempo per rilassarsi!», urlò l’altro adirato, «E’ tanto difficile da capire? Non mi interessa se voi del Circus avete un sacco di tempo da perdere. Io sono un ricercatore qui oltre ad essere un dottore, e l’unica cosa per cui ho tempo è il lavoro, lavoro, lavoro!».

«E il sesso», lo corresse allora Hirato, dandogli un bacio a stampo ma tuttavia delicato sulle labbra, la sua mano sinistra stava ora accarezzando la schiena di Akari con tocco gentile ed accorto, «Hai tempo per me quando vengo a trovarti quando finisci il turno oppure quando sei tu a venire sulla Seconda Nave».

«N-Non è vero», negò il dottore, ma nella sua coscienza sapeva perfettamente di star mentendo, perché in fondo amava quelle attenzioni da parte di Hirato.

«Non ti preoccupare. Non lo faremo adesso. Non avevo nemmeno intenzione di farlo qui, in presenza di mio fratello», disse dunque lasciando andare Akari, come se stesse in quell’istante stesso restituendo la libertà ad un uccellino e con essa la possibilità di volare lontano e di non fare più ritorno.

Il dottore arrossì.

«Allora perché mi hai baciato prima?», domandò dunque, con una punta di delusione e l’amaro in bocca.

«Non posso forse baciarti quando voglio?», disse Hirato in un piglio malinconico, «Se non c’è nessuno in giro, allora va bene baciare ‘Akari-san’, no? Non c’è la necessità di fare ‘quella cosa’ ogni volta che ci vediamo. A meno che...».

Lasciò per un istante la frase in sospeso, dunque la riprese.

«A meno che tu lo voglia ovviamente», concluse allora, «Per cui, se il volere di Akari è di farlo ora e qui, posso anche prendere l’altro letto e-».

«Smettila, ti supplico», mormorò Akari, percosso dai brividi lungo la sua pelle pallida d’oca, «Basta».

«Mi piacerebbe davvero sentire queste parole provenire dalla tua bocca ora come ora. Preferibilmente accompagnate da un gemito», mormorò Hirato, gli occhi pieni di speranza, un placido sorriso sul suo volto, «E soprattutto vedere la faccia adorabile che fai quando vien-»


 

***


 

«Dunque… Fammi vedere se ho capito bene…»

 

«Tokitatsu stava per prendere un libro dallo scaffale della libreria quando è scivolato improvvisamente sul pavimento ed ha sbattuto la testa. Per quando è stato portato qui aveva perfino dimenticato il suo nome», mormorò Tsukitachi, fissando l’orologio da parete con uno sguardo pensieroso ed al contempo perplesso.

«E’ così», confermò Akari.

«E adesso mi staresti dicendo che Hirato, che stava per andarsene da questa stanza dopo essere venuto a trovare il fratello, avrebbe sbattuto la testa contro lo stipite della porta ed ora, anche lui, casualmente, ha perso la memoria?»

«Sì. Ha dimenticato tutto»

«Ed ha sbattuto la testa contro lo stipite della porta»

«Lo stipite della porta. Esattamente»

«Ma a me quel segno rosso sulla fronte sembra quello di un pugn-»

«E’ stato lo stipite», borbottò Akari, fissando serio i due fratelli, addormentati l’uno accanto all’altro, «Credimi. Sono un dottore, io».

 

Tsukitachi alzò lo sguardo e lo posò nuovamente sull’orologio da parete.

Le due e tre quarti.

Prese il suo giaccone e sorrise al ricercatore.

 

«Beh, allora chiamami quando entrambi si riprenderanno! Buona fortuna, Akari-chan! E fai attenzione alle porte!».

 

Poteva dirlo.

Tsukitachi aveva capito tutto.

Ma finché lui avrebbe tenuto la bocca chiusa, non ci sarebbe stato nulla da temere.

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Capitolo 11
*** Kirine Fruits ***


Titolo: Kirine Fruits
Pairing: Nessuna
Personaggi: Hirato, Tokitatsu
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 652



 

Allungò una mano verso la ciotola modesta di semi di Kirine posata sopra al comodino e se ne portò lentamente due alle bocca. Li masticò senza fretta, come se cercasse di assaporare ogni sfaccettatura del loro gusto, che sembrava fargli impazzire le papille gustative. Voltò pagina, si sistemò nuovamente la montatura degli occhiali, che gli era scivolata lungo il setto nasale, e mise ancora mano alla ciotola afferrandone altri due. Se li rigirava nella bocca, sotto lo sguardo tediato del fratello, che lo fissava oramai da parecchi minuti mentre si passava l’asciugamano sugli umidi capelli.

«Sei proprio lento», bofonchiò osservando Hirato con la coda dell’occhio mentre masticava, «Forse per domani mattina ce la fai a finirli tutti».

Il moro sorrise senza prendere minimamente in considerazione le parole del fratello e, quasi come lo stesse facendo apposta, prese a masticare ancora più lentamente, stavolta facendo scrocchiare i semi sotto i denti rumorosamente, suscitando l’indignazione di Tokitatsu. Si finì di asciugare i capelli, poco gli importava se rimanevano umidi, bastava non gocciolassero, e gli si sedette accanto sul letto sfilandogli il libro da sotto gli occhi.

 

«Basta leggere», lo riprese con un piglio severo, sistemando nella pagina corrente la copertina di plastica a mo’ di segnalibro e poggiandolo poi sopra il suo comodino, «Spegni la luce, che voglio dormire».

Hirato restò impassibile, come se le sue parole non lo avessero affatto alterato.

Sorrise innocentemente al fratello e spense l’abat-jour.

Tokitatsu finalmente poteva sentire di rilassarsi. Si lasciò accogliere dal tepore delle coperte, stretto nel suo piumone. Dopo una giornata impegnativa come quella, ciò che più desiderava in quell’istante era chiudere gli occhi e lasciarsi inghiottire dall’oscurità e dal silenzio della camera, volando verso terre lontane in un mondo di Sogni nelle quali non esistono lavoro, colleghi fastidiosi, problemi o Varuga o-

 

Munch Munch

 

Sgranò gli occhi.

Bastardo. Hirato era davvero bastardo.

 

Continuava a far scrocchiare i semi di Kirine sotto i denti, un rumore insopportabile ed irritante, quanto più perché li masticava lentamente ed ogni porzione che faceva scivolare nella bocca sembrava non finire mai, destinata a scrocchiare in eterno.

Continuarono i rumori.

Cercò invano di ignorarli.

Cercò di concentrarsi su altro, sul suo mondo dei sogni, nell’utopia nella quale avrebbe desiderato tanto vivere, solo con le persone a lui care, seduti in tutta calma davanti ad un bicchiere di vino a brindare alla pace nel mondo.

S’accigliò.

Niente da fare.

Quel fastidioso masticare era ancora lì, e sembrava perfino più rumoroso di quanto non lo fosse stato in precedenza. Sbuffò ed accese l’abat-jour dal suo lato.

 

«Oh, sei ancora sveglio?», domandò Hirato ostentando stupore, mentre mordicchiava un seme, «Pensavo ti fossi addormentato». «Come faccio ad addormentarmi se ogni volta che tento di chiudere gli occhi sento mio fratello rosicchiare questi stupidi semi come un roditore?!», sbottò il castano indicando la ciotola incriminata sopra il comodino, «Basta coi semi di Kirine! Lasciami dormire!».

 

Hirato sorrise. Finì di masticare l’ultimo seme e si lasciò a sua volta scivolare sotto le coperte chiudendo gli occhi. «Va bene», disse assertivo, rassicurando Tokitatsu, «Niente più semi di Kirine». Il fratello tirò un sospiro di sollievo. Niente luci di fastidiose abat-jour accese, niente irritanti rumori di stupidi semi mentre vengono masticati. Stavolta poteva davvero riposarsi. Chiuse gli occhi e tornò nel suo Paradiso. Il materasso della camera di Hirato era morbido o, forse, era il non dormire da solo a farlo sentire meglio. Ora poteva di nuovo viaggiare verso terre sconosciute, poteva volare libero nel mondo dei sogni ed essere finalmente felice. Ora poteva—

 

«Pensavo di averti detto di smetterla di rosicchiare i semi di Kirine!», sbottò Tokitatsu.

«L’hai fatto», puntualizzò placido Hirato, continuando a far scrocchiare imperterrito sotto i denti il cibo, «Queste infatti sono arachidi e non semi di Kirine».

 

Scrocchiano di più, idiota!”

 

Aggrottò le sopracciglia, soffocando il volto nel cuscino.

Qualunque cosa gli avesse detto, Hirato non gli avrebbe dato retta.

 

Che fratello bastardo.

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Capitolo 12
*** Standing in the Rain ***


Titolo: Standing in the Rain
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 1185





 

Strinse la carta di un mazzo di crisantemi tra le mani mordendosi teso il labbro inferiore e posò lo sguardo sull’enorme gradinata di fronte a lui. Silenzio. Il silenzio regnava ovunque in quel luogo senza tempo.

 

 

Doveva essere avvenuto forse più di vent’anni prima. Le memorie gli si confondevano nella mente, sovrapponendosi le une con le altre e come risultato davano solamente frammenti offuscati di quel lontano giorno e piccoli scorci, come fossero stati brevi fotogrammi estrapolati da una pellicola cinematografica.

Ma le sensazioni erano marcate nel suo cuore e gli pareva di sentirle sulla propria pelle quando si perdeva nel vano tentativo di ricordare. Poi un lampo, e tutto ritornò a galla.

 

Era rimasto in piedi per interi minuti sotto la battente acquerugiola, anche dopo il termine della cerimonia. Sentiva le strilla del suo fratellino, mentre si perdeva in chiassosi pianti. Tutt’allora non riusciva a rimembrare quanti anni avesse avuto all’epoca. Ricordava però i brividi che gli scuotevano la schiena mentre fissava la lapide e le fitte al cuore che percepiva quando incrociava i suoi occhi con quelli della donna. Ripercorreva allora disperato con i pensieri e con i ricordi ogni giorno della sua vita speso in sua compagnia, stando al suo fianco.

Osservava impotente lo stelo di marmo e le innumerevoli decorazioni che ornavano la lapide e si sentivo ridicolo a mostrarsi davanti a lei con quell’insulso crisantemo. Nonostante ciò aveva deciso di essere forte e di non lasciarsi sfuggire nemmeno una lacrima.

Guardò il cielo, ed il pensiero che lui si stesse dando pena per la sua sorte lo faceva già sentire liberato di un problema.

 

Era rimasto sotto la pioggia per interminabili minuti, come se d’un tratto il resto del mondo per lui non fosse più esistito, come se non gli importasse nemmeno di avere i preziosi vestiti che la madre aveva comperato per lui l’anno precedente tutti bagnati e rovinati dall’acqua e gli occhiali costellati dalle dispettose lacrime del cielo.

 

Non gli serviva veramente vedere altro. Credeva di aver già visto abbastanza.

Quella lapide era abbastanza per lui.

 

Non importava quanto il fratellino avesse pianto in quell’istante.

Lui si sentiva improvvisamente solo e dimenticato.

Gli pareva di dover combattere la battaglia della vita da solo.

 

Il piccolo piangeva, si lagnava perché aveva fame, perché aveva freddo, perché gli andava.

Lui invece se ne stava ancora lì, in piedi, inerme con lo sguardo basso, senza versare nemmeno una lacrima, immobile, riflettendo, prendendo consapevolezza che era davvero rimasto da solo.

Nessuno era tornato indietro per lui, nessuno era venuto a prenderlo, a dirgli di affrettarsi a fare ritorno a casa.

 

«Ma... mamma»

 

Abbassò lo sguardo e senza rendersene conto gli accennò un comprensivo sorriso.

La mano del fratellino, fragile, piccola e debole, aveva improvvisamente stretto la sua mentre i suoi occhi di ametista lo guardavano sinceri, cercando di svelare il mistero che si celava dietro quel sorriso.

 

In quel momento realizzò che non era completamente da solo.

Sebbene nessuno l’avrebbe più guardato, ci sarebbe sempre stato lui al suo fianco.

E ‘lui’ da quel giorno non avrebbe avuto altri che il fratello.

Capì che la storia della loro vita era già stata scritta ed aspettava solo di essere vissuta.

 

Sollevò il piccolo da terra imponendo quasi dispoticamente un sorriso sulle proprie labbra, mentre lo avvolgeva in uno stretto abbraccio. Gli fece dunque cenno con la mano di salutare la fotografia della donna ed il fratellino lo assecondò rasserenato spalancando la bocca in una smorfia felice che fece scivolare il ciuccio per terra. Ma quando il maggiore fece per chinarsi e raccoglierlo, si accorse che era oramai troppo tardi per frenare le lacrime e continuare ad atteggiarsi indifferente.

 

Mugugnò qualcosa il piccolo bambino guardandolo piangere, la confusione gli si leggeva in tutto il volto. Non poteva capire. E, d’altro canto, il maggiore pensò fosse stato meglio in quella maniera.

Chiuse gli occhi, altri lacrimoni scesero lungo il suo volto e strinse il fratello forte a sé.

 

Lui’ era tutto ciò che gli aveva lasciato, era l’unica persona cara ad essergli rimasta, il dono più grande che tuttavia gli fosse mai stato dato.

 

Guardò il cielo e gli baciò la fitta foresta di neri capelli.

Erano soli.

 

Da quel momento sentì il bisogno di dargli l’amore che i loro genitori non avevano potuto donargli ed al contempo il dovere di insegnargli ad amare ed a sopravvivere.

Da allora decise di proteggerlo, anche a costo della propria vita.

Lo promise a se stesso ed allo stesso tempo lo giurò di fronte a quella lapide.

 

 

Posò i fiori davanti allo stelo di marmo e fece un modesto inchino baciandosi i polpastrelli dell’indice e del medio e portandoli alla foto in un sorriso.

«E’ tanto che non ci vediamo», mormorò, guardando la donna negli occhi ed abbassando il capo rispettoso, la mano portata direttamente accanto al cuore, «Anche quest’anno sono riuscito a venire. Sembra quasi un miracolo, essere in grado di recarsi qui in segreto senza che nessuno ti venga in cerca, sapere che hai un posto dove startene tranquillo. E’ come essere a casa dopo tanto tempo».

Si perse nel pallido volto di rosa della madre.

Restò a contemplare la lapide come quel lontano giorno del suo funerale, divagando per qualche istante con la mente, su come sarebbe stato se lei non li avesse mi lasciati, se fosse rimasta al loro fianco.

 

Sarebbero mai arrivati tanto in alto?

O avrebbero condotto vite più tranquille?

 

Tokitatsu non poteva saperlo e nemmeno era interessato. Si portò improvvisamente una mano al taschino della giacca d’ufficio e sussultò ricordandosi di un dettaglio non indifferente: «Ah, giusto, che sbadato! E-Ecco, sono sicuro che da dove stai, tu abbia visto tutto quel giorno però... Ci tenevo a mostrartelo ugualmente. Ho risolto quella controversia con Hirato a proposito del pupazzetto. Alla fine me l’ha aggiustato. Eh, sì, sono proprio un bambinone certe volte, vero? E’ un fratello fin troppo bravo a sopportarmi. Non che- sopporto anch’io lui a modo mio».

Si interruppe e sorrise malinconicamente, accarezzando il volto della donna in fotografia ed adottando stavolta un tono più confidenziale: «E’ il più bel dono che abbia mai ricevuto. E poi...».

 

Si interruppe non appena sentì il cellulare vibrargli nella tasca dei pantaloni.

 

«Perdonami», mormorò cortesemente, come se stesse parlando ad una vera e propria persona. Accettò la chiamata e si intrattenne per qualche minuto dunque riattaccò e si chinò sulla lapide, mandandole un bacio.

 

«Era Hirato. Sembra abbia bisogno di me», sibilò profondamente dispiaciuto, osservando ancora una volta i fiori giacere ai piedi dello stelo, «Mamma, te l’ho mai detto che eri una donna bellissima? Se avessi vissuto fino ad oggi, non avresti perso nemmeno un briciolo del tuo fascino negli anni, ne sono certo».

 

Strinse i pugni e deglutì rialzandosi recalcitrante.

 

«Vado», sussurrò, stavolta serio in volto.

 

Non dimenticare la promessa”

Gli parve di aver udito una voce sussurrargli.

 

Sorrise, ed una lacrima gli corse lungo il volto rapida.

 

«Anche a costo della mia vita», ripeté, e così dicendo alzò lo sguardo ed il cielo gli parve improvvisamente più azzurro.

 

 

Ehi... Non piangi più nemmeno te, vero signor Cielo?”

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Capitolo 13
*** Aqua ***


Titolo: Aqua
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato, Tokitatsu
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 1062





 

Era davvero raro vedere Akari prendersi una giornata di relax e godersi la pace come ogni comune essere vivente suolerebbe fare nell’intero Universo.

Spesso la sola idea di doversi riposare sembrava devastarlo e mandarlo in ansia e quando giungeva la sera ed era questione di minuti perché rimettesse piede nella Torre di Ricerca e rindossasse il suo camice, gli pareva di tornare a vivere. Per Akari non c’era niente più sacro del lavoro, niente che lo svagasse di più. O meglio, forse un qualcosa che lo aiutava a svagarsi c’era, ma Tokitatsu non poteva saperlo.

 

 

Sorseggiò l’acqua schiacciando con le mani la bottiglietta. Le gocce gelate scorrevano seguendo le curve di plastica del contenitore e bagnavano la scrivania, rovente dopo aver riflesso per un’intera mattinata la luce del Sole.

Sfogliò un’altra pagina di giornale Akari, scaldando nella bocca prima di deglutire l’acqua gelata che aveva appena bevuto. Hirato e Tokitatsu se ne stavano seduti davanti a lui, tutti e due con gli occhi puntati alla copertina del giornale che sfogliava, concentrati, come se stessero cercando una maniera per sbrogliare una matassa e risolvere un problema.

Il dottore proseguì nella sua lettura ignorandoli. Il solo essere consapevole di avere gli occhi di Hirato puntati su di lui lo metteva terribilmente a disagio, ma sapere che a rincarare la dose c’era anche il fratello alimentava in lui l’ambiguo desiderio di stroncare il collo dei due senza pensarci due volte.

 

Voltò pagina e sbuffò.

 

Il quotidiano non raccontava mai nulla di nuovo, nulla che lui già non sapesse.

Ecco perché non ci si sprecava mai a comperarlo. Non aveva senso leggere di notizie che già sapeva, dell’ennesimo Nyanperowna che alla parata si era comportato scorbuticamente con i bambini, dell’ennesimo spettacolo salvato in extremis dai membri della Prima Nave e di tutte le inenarrabili avventure che quei bambocci vivevano ogni volta che atterravano a terra e si immischiavano con i civili.

 

Afferrò la bottiglietta d’acqua e ne bevve un altro sorso. Scrutò i due con la coda dell’occhio. Stavano ancora fissando il retro del giornale. Si staccò allora dalla bottiglia, un filo di saliva pendeva dall’imboccatura di quest’ultima e, senza curarsene, batté i fogli sulla scrivania lasciando i due fratelli di stucco.

 

«Basta leggere», tuonò annuvolato nel viso guardando dritto negli occhi Hirato, «Perché diavolo mi state fissando da mezz’ora?».

«Stavamo risolvendo un sudoku nella copertina, sinceramente, Akari-san», lo corresse il comandante in un sorriso facendo spallucce. Tokitatsu lo guardò stupito e sollevò la copertina dei fogli: «Sudoku? Pensavo stessimo risolvendo un rebus».

Sospirò il moro davanti all’ingenuità del fratello e si allentò la cravatta appoggiandosi allo schienale della sedia. Scrutò la bottiglia d’acqua, all’orlo della scrivania del dottore dal suo lato, la saliva ancora appiccicosa era rimasta depositata sul suo becco. Lo attraversò la mente il desiderio dell’afferrarla e bagnarci Akari, riversargli tutta l’acqua addosso e poi dissetarsi con quel corpo, leccarlo amorevolmente e saziarsi.

 

Sorrise.

 

«Akari, non hai l’aria condizionata nello studio?»

Se fossero stati da soli l’avrebbe anche fatto, avrebbe davvero azzardato un colpo del genere. Conosceva i modi per stregarlo, per annichilire la sua resistenza ed impedirgli di ribellarsi alla sua forza spingendolo lui stesso a concedersi senza tanti preamboli. Era un domatore –lui, in fondo. Posò lo sguardo sulla bottiglia e sussultò quando non la ritrovò al suo posto sull’orlo della scrivania.

 

«Dov’è l’ac-»

«Oh, scusa Hirato. Volevi berne un goccio te?», chiese in tono di profondo rammarico Tokitatsu, sobbalzando all’occhiata di fuoco del fratello che lo spinse ad abbassare a mano a mano sempre più il tono di voce fino ad annullarlo. Ma prima che il moro potesse dire qualcosa Akari era già balzato in piedi, rosso fino alle orecchie, strappandogli la bottiglia di mano.

«Nessuno ti ha insegnato la buona educazione?!», lo biasimò irritato in un aspro rimprovero, «Non si beve a sproposito dalle bottiglie degli altri!». Inarcò incuriosito un sopracciglio Tokitatsu, confuso da ciò che stava accadendo. Osservò poi il becco della bottiglia, ancora imbavato di saliva, le guance rosse come papaveri di Akari e gli incendi negli occhi di Hirato.

Soffocò allora una risata chiarendo tutto nella sua mente ed afferrò rapido la mascella del dottore tirandolo verso di sé e cogliendolo di sorpresa.

«Ohi, ohi..... Non avrei mai creduto che all’età di trentatre anni, uno degli ufficiali SSS nonché uno dei più nobili ricercatori qui alla Torre di Ricerca credesse ancora nei baci indiretti», mormorò ammaliato, tirandolo con forza verso di lui e vincendo la sua residenza. Si scambiò un’occhiata con Hirato, che era sembrato d’un tratto farsi livido di rabbia e gelosia in volto e tese le labbra verso il volto del dottore: «Non mi fraintendere. Non sembri l’unico a crederci qui. Ma se ti fai così rosso per un bacio indiretto, tanto vale mostrare al mio fratellino cosa significa baciare per davvero direttamente una persona».

Tese le labbra verso quelle del ricercatore mentre assaporava già il piacere di scovare l’espressione tesa dalla rabbia e dalla gelosia negli occhi del fratello, come quando si porta via ad un bambino il suo giocattolo preferito. Chiuse gli occhi, impaziente di unirsi al dottore e gli parve di sfiorare d’un tratto qualcosa di duro e freddo e che decisamente non poteva definirsi come le labbra di un uomo.

Sgranò gli occhi, pallido in volto dallo stupore.

A separarlo a pochi millimetri dalla bocca di Akari si era infiltrato uno scettro che, come una barriera, ne proteggeva l’illibatezza.

Sorrise smaliziato Hirato, tastava con lo stelo dello scettro le labbra del dottore delineandole con il bastone mentre le accarezzava delicatamente e, giocando perversamente con la sua fantasia, gli rifilava un’occhiata seducente e trasparente che avrebbe fatto comprendere le sue intenzioni a chiunque.

Tokitatsu increspò le sopracciglia notando quello scambio di sguardi, rimanendo amareggiato da quel bacio che non si era potuto permettere di dare. Leggeva chiaramente i desideri di Hirato ed ora era lui a provare invidia.

Lo scettro si posò sul suo petto e lo allontanò con accortezza da Akari.

 

«Ora, ora, per l’amor della decenza pubblica, risparmiamoci queste scenate, eh Tokitatsu?»

Il castano arrossì impacciato. Aveva prevaricato un confine che non avrebbe dovuto oltrepassare. Ma anche così gli era piaciuto.

Avere un arma letale quanto quello scettro, che solitamente ammazzava i Varugas, e sapere che era stata puntato proprio al suo petto con seria intenzione gli dava un’intima e perversa soddisfazione.

 

Hirato era geloso.

Allora non era invincibile.



 
***



Buondì! AsanoLight a rapporto! :)
Sono veramente al settimo cielo, ho avuto modo di mettere le mani su una chicca di doujinshi sulla Hirakari, non posso essere più felice! Per chi seguisse anche il manga, avete notato quanti capitoli nuovi stanno uscendo? Si stanno rimettendo finalmente al pari con le uscite in Giappone, che bello!
Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che seguono pazientemente questa raccolta e tutti quelli che la leggono per la prima volta e decidono di seguirla.
Grazie mille :)

AsanoLight~

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Capitolo 14
*** ♣ Glasses ***


Titolo: Glasses
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 1070






(immmagine proveniente da pivix, putroppo non riesco a ricordarmi il nome dell'autrice)




 

«Ti stanno bene»

 

Hirato gli si avvicinò lasciandogli un tenero ma pudico bacio sulle labbra, sfiorandogli il collo con tocco accorto e riducendo ogni distanza tra il suo volto e quello niveo e serio del dottore, così da poterlo meglio vedere. Akari era nudo e sudato sul suo letto, il corpo legato ed in qualche modo intrecciato al suo, non era una novità per il comandante della Seconda Nave. Si ritrovavano spesso così dopo aver fatto l’amore, l’uno unito all’altro, a parlare e chiacchierare del più e del meno come fossero stati una normale coppia piuttosto che due uomini forti, importanti ed al servizio del Governo.

 

Akari sistemò la montatura sul suo setto e sorrise quando ammirò il suo riflesso distorto nello specchio che rifletteva lo schermo del cellulare del comandante. I contorni della realtà erano sfocati ma non se ne poteva curare di meno.

Vedere il mondo con gli occhi di Hirato era veramente emozionante.

Sapere che lui stesso non sarebbe durato un singolo istante fuori da quella stanza senza quelle lenti intrigante.

 

Hirato gli si avvicinò, insediò una mano nel suo inguine sfiorandolo con un dito e lasciò andare un profondo sospiro compiaciuto mentre raggiungeva sornione con le sue labbra la guancia del dottore, baciandolo carezzevolmente in un vezzo che gli molse il cuore.

 

«Akari-san è bellissimo con i miei occhiali», sussurrò andando a tentoni per il suo volto, sfiorando le linee della mascella e di lì quelle del mento, come per capire quali fossero i tratti di quel volto che tuttavia conosceva a memoria.

«Dici così ma non riesci nemmeno a vedere cosa c’è ad un palmo dal tuo naso, dico bene?», ironizzò laconico il dottore prendendogli il viso tra le mani dopo essersi tolto l’ingombrante montatura ed averla posata sopra il comodino. Tornò allora a concentrarsi sull’immagine nitida che ora aveva del comandante. Hirato era nudo proprio come lui, non c'era nulla di imbarazzante. Ovunque si girasse, Akari vedeva solo cose degne d’essere definite stupende, prima fra tutte l’espressione beata e soddisfatta del moro, i suoi occhi felici ed al contempo disorientati che cercavano di appigliarsi in quelli del dottore.

 

«Dannazione se non è bello il tuo viso», si lasciò sfuggire ammaliato e sedotto e, prima che l’altro avesse avuto occasione di replicare, Akari aveva già fatto sue quelle morbide ed invitanti labbra tirandolo verso di sé. Hirato si staccò lentamente, la lingua ancora unita e congiunta alla sua ed un sorriso trapelò dalla curva della sua bocca.

Lo abbracciò forte, gli strinse con le grandi mani il fondo della schiena e da lì le fece accidentalmente scivolare lungo le sue natiche.

«Mai bello quanto Akari-san», sibilò di rimando facendosi sempre più propinquo al suo orecchio e riversando ogni singola parola al suo interno. Ne baciò poi l’elice, vi strusciò dapprima le labbra senza fare nulla, lasciando che i ciuffi dei suoi corvini capelli tintinnassero solleticandoglielo. Il ricercatore si lasciava amare assetato di attenzione anche dopo quella serata di amore e passione che avevano passato sullo stesso letto. Impazziva per Hirato e poco gli importava se presto i loro giochi sarebbero ricominciati, se ora il comandante insediava le gambe tra le sue mentre faceva scorrere leggera una mano tra le sue glabre cosce accarezzandole e suscitandogli brividi.

 

Tutto era perfetto.

Non c’era niente che avrebbe cambiato di quel momento.

 

Hirato fece scorrere la sua mano lungo la turgida intimità di Akari risvegliandola con accorti tocchi e carezze, saziandosi dei lamenti di piacere che il dottore liberava vicino al suo orecchio. Era soddisfatto Hirato, seppur -senza occhiali, vedeva la realtà assai sfocata. Ma era sicuro che in quel momento Akari stava sorridendo nel cuore mostrando la solita faccia imbronciata. Incespicò il dottore il suo nome e si lasciò cogliere dall’ebbrezza repentina dell’orgasmo. Si avvicinò ancora di più al volto del ricercatore e sorrise sereno e serafico mentre lo baciava.

«E’ una smorfia di piacere quella che penso di vedere ora come ora, Akari?», chiese ironico e così dicendo delineò le sue labbra con un polpastrello sogghignando felice.

Il dottore non rispose.

Poggiò una mano sulla nuca di Hirato e sospirò felice abbracciandogli con le gambe il bacino: «Sei sempre così composto e pieno di te... come se il tuo atteggiamento potesse cambiare il fatto che io sia già tuo».

Avvampò il corvino facendo tesoro di quelle parole, certo che non avrebbe mai più ripetuto. Lo baciò più intensamente mentre si faceva strada nel suo corpo. La fronte increspata, il collo piegato all’indietro sul cuscino, le membra tese ma pulsanti, strette ma che ugualmente mostravano la piena intenzione di volerlo accogliere. Akari era perfetto. Raggiunse con la lingua il suo mento e lo baciò mordendolo in un fervore di eccitazione. Non indossare gli occhiali gli dava sicuramente meno impicci ma si perdeva gran parte della bellezza di quello spettacolo.

Scavava lentamente nel corpo dell’amato cercando di non inserirsi troppo rudemente o in profondità. Gli accarezzò il torace e gli sfiorò con il tatto i capezzoli senza tuttavia stuzzicarli.

Akari espirò, arricciava i capelli di Hirato tra le sue affusolate dita tacendo, ogni tanto gemeva soddisfatto ora da una carezza, ora da un bacio, ora da un tocco e ora, infine, da un respiro dell’amato sul suo corpo o sulla sua nuda pelle.

Hirato si allontanò poi con cautela, la stessa con la quale si era insediato e lo baciò lasciando Akari sorpreso.

«Akari-san», sussurrò smielato sollevando il mento e rivolgendogli un’occhiata languida ed esausta, «Perdonami... Vorrei davvero continuare ma sono troppo-».

«Non ti preoccupare», lo rassicurò il dottore baciandogli la fronte, «Lo so che sei stanco».

Non era sicuro Hirato avesse udito le sue parole dal momento che il suo respiro s’era fatto nel giro di nemmeno un battito di ciglia caldo e pesante sulla sua pelle e il suo sorriso sornione e bastardo aveva improvvisamente assunto una piega angelica.

 

«Che idiota, ad addormentarsi sopra uno dei più importanti ricercatori alla Torre di Ricerca», borbottò scostandogli dal viso un ciuffo di capelli e portandoglielo dietro le orecchie in un sorriso, «E’ proprio vero che l’amore non guarda in faccia a nessuno, nemmeno se la faccia è quella di un bastardo come te».

 

Guardò gli occhiali sopra il comodino e soffocò una risata. Lasciò calare la notte nella stanza e riversò Hirato sull’altro lato del letto facendo attenzione a non svegliarlo coccolandoglisi poi accanto, con la testa scaldata sotto il suo mento e le braccia che gli circondavano il torace.

 

Tutto era perfetto.

Non avrebbe cambiato nulla di quei momenti.

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Capitolo 15
*** Misunderstandings ***


Titolo: Misunderstandings
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato, Tokitatsu
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 958




 

«Prego Akari, accomodati pure».

 

Il dottore tacque, impalato all’uscio della porta con i piedi saldamente inchiodati al pavimento e lo sguardo fisso sui due fratelli e sulla pila di documenti ora dispersi tutti sul pregiato parquet dell’ufficio. Deglutì, senza sapere se provare rabbia ed obbedire al suo istinto –che in quell’istante gli suggeriva di sbattere la porta ed andarsene, oppure rimanere basito in preda allo sgomento suscitato da quella vista.

Tokitatsu si riallacciò frettolosamente il colletto della camicia e con altrettanta foga si rifece il nodo della cravatta mentre Hirato, con il petto quasi completamente scoperto, si allontanava da lui permettendogli di rialzarsi dalla scrivania sulla quale l’aveva precedentemente sbattuto.

Notando il silenzio e l’imbarazzo generale, fu il comandante generale del Circus stesso il primo a prendere la parola.

 

«Prima che tu possa saltare a conclusioni affrettate, Akari», disse dunque accigliandosi e dandogli amichevolmente una pacca sulla spalla, le gote ancora rosee dalla bella figura che aveva fatto, «N-Non stava accadendo quello che tu ora pensi stesse succedendo –o, per succedere».

Il dottore si voltò di scatto, con un incendio nella sua occhiata minacciò di incenerire i due fratelli in un battito di ciglia se non avesse ottenuto in breve una spiegazione.

Tokitatsu fece per parlare ma la voce stentorea e tuttavia melliflua di Hirato lo convinse a tacciarsi dandogli la possibilità di spiegarsi.

 

«Akari-san, la tua gelosia quasi mi sorprende», mormorò invece il corvino compiaciuto, avvicinandoglisi e mantenendo la sua maschera di compostezza, «Ma al contempo –aggiunse dunque in un tono più basso e riservato, mi rende felice».

Il ricercatore indietreggiò paonazzo in viso dalla rabbia e dall’impaccio, piegò le rosee sopracciglia fino a creare una linea quasi continua che legava l’estremità di una a quella dell’altra, a mo’ di ‘v’, la fronte corrucciata tanta era la rabbia.

«Di cosa diavolo parli?!», gli berciò contro perdendo tutta la pazienza che aveva cercato di mantenere per sé integra da quando aveva messo piede nella stanza, «Quando sono entrato voi due stavate chiaramente-».

 

Hirato sogghignò.

Come sempre, quando si trattava della sua relazione con il fratello, nulla cominciava mai per caso.

 

 

«Ho sentito che Akari passerà qui più tardi», commentò il comandante della Seconda Nave lanciando un’occhiata d’intesa al maggiore, che allora aveva la testa poggiata sopra il ripiano lucido di noce della scrivania e la giacca che usava portare era appesa all’attaccapanni.

«Sì, dovrebbe passare più tardi», bofonchiò in tono assertivo esalando esausto un respiro, «Speriamo che riesca a non morire di caldo o per quando arriverà non mi troverà vivo».

«Se hai caldo spogliati», suggestionò allora in tono freddo Hirato, come fosse stata la cosa più ovvia del mondo, suscitando la riluttanza del fratello, «Non dovresti avere problemi, no? D’altronde, anche quella volta che hai fatto indossare alla tua segretaria il costume da bagno-».

«Sei mio fratello ma non guardi mai in faccia a nessuno quando si tratta di fare critiche, mi sbaglio forse?», domandò il castano guardandolo perplesso, sollevando di poco il mento dal pianale.

Si alzò dunque dalla scrivania e posò per un istante gli occhi su Hirato con tono di sfida.

 

«Hirato», aggiunse dunque dopo una lunga pausa di riflessione, «Io mi sto davvero annoiando. Facciamo qualcosa di divertente, dai!».

«Lo sai che quando dici così finisci sempre nei gua-»

«Tranquillo, stavolta non sarà così!»

 

Così si erano ritrovati l’uno con le mani addosso all’altro, in una delle solite ridicole competizioni indette da Tokitatsu e prive di senso alle quali, tuttavia, Hirato per qualche ambiguo motivo non sapeva dire di no.

 

Il primo a spogliare l’altro della propria camicia avrebbe vinto.

“Cosa” ancora non si sapeva, ma l’importante era vincere, non importava come.

 

Hirato aveva capito che stava per essere battuto al gioco del fratello così aveva deciso di imporsi con la forza sul suo corpo, sbattendolo con la schiena sulla scrivania e facendo volare le pile di documenti a terra.

Ma per quando era riuscito a sciogliere il complicato nodo della cravatta di Tokitatsu e scoprire il suo petto, Akari era già entrato e Tokitatsu aveva vinto la sua partita.

 

 

***

 

 

Akari ascoltò basito la storia, amareggiato, sorseggiando del bollente Darjeeling Tea.

Per l’intera conversazione non aveva fatto altro che altalenare lo sguardo posandolo ora su Tokitatsu ora su Hirato, ora perplesso, ora severamente inquisitore.

 

Aveva il cuore di Hirato, aveva i suoi sentimenti, la sua fiducia, il suo corpo, il suo amore.

Eppure c’era qualcosa che gli sfuggiva. Quando Hirato era con il fratello tendeva ad essere diverso.

C’era qualcosa che invidiava al comandante generale del Circus.

Forse il fatto che Hirato non avesse avuto bisogno di maschere con lui.

Tokitatsu sapeva tutto di Hirato, cose che lui non avrebbe mai potuto sapere.

 

 

«Akari»

La voce del comandante lo riportò alla realtà.

Aprì gli occhi e si accorse di essere nella sua camera. Sbuffò gettandosi stanco all’indietro e si passò una mano tra gli spettinati rosei capelli.

«Beh, cosa aspetti?», domandò irritato, «Ho abbassato la guardia, puoi saltarmi addosso quando vuoi».

«E’ questo ciò che vuole Akari?», chiese perplesso Hirato, sfiorandogli la fronte e depositandovi un affettuoso bacio, «Sesso violento come una bestia? Pensavo cercassi amore».

«O vuoi forse sfogare la frustrazione dopo la vista di oggi?», chiese pungente.

Akari digrignò i denti ma non rispose alla provocazione ignorandolo e suscitandogli un sorriso soddisfatto.

 

«Se c’è qualcosa che vuoi chiedermi Akari, io sono qui, non fuggo».

 

Sì, dimmi, dimmi della tua storia, della tua famiglia, delle tue paure, dei tuoi sogni. Parlami parlami di quello che eri, rivelati e getta la maschera”.

 

Una luce di flebile speranza si accese negli occhi del comandante ma si spense non appena vide Akari voltarsi dall’altro lato del letto, grugnendo mentre arrossiva in volto.

 

«Non dire idiozie e dormi»

 

Non sarebbe mai riuscito a chiederglielo.

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Capitolo 16
*** Movie Night ***


Titolo: Movie Night
Pairing: Nessuna
Personaggi: Hirato, Tokitatsu
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 811






(pivix, chocolatedrop)






 

Un fulmine cadde nel pieno della notte tingendo per un effimero istante la coltre di nubi che sovrastava il cimitero di una luce tetra ma abbacinante. Tutto sbiadì per un attimo in un terrificante bianco per lasciare nuovamente il posto all'oscurità e alla tenebra, regine di quella notte eterna e senza tempo. Una mano si alzò spaventosa verso il cielo mostrando dei pericolosi artigli ed una voce metallica e arrugginita parlò fendendo il silenzio: «Vieni a giocare con me… Miriam». La bambina si voltò atterrita, il terrore nello sguardo, con la coda dell’occhio intravide un uomo ma fu questione di un battito di ciglia perché-


 

«Tokitatsu, non c’è proprio niente di meglio da vedere?», chiese Hirato in un sospiro, osservando disinteressato lo schermo della televisione nel buio del salotto, seduto accanto al fratello ai piedi del divano, «A dirla tutta, non voglio vedere un horror questa sera». Il castano gli sorrise e si rigirò soddisfatto tra le mani il telecomando, guardando l’oggetto con ammirazione come se avesse in quell’istante stesso posseduto uno scettro del potere: «Spiacente, ma le conosci le regole. E dato che l’ultima volta hai scelto tu cosa guardare, stasera tocca a me. Per cui ci vediamo un film horror e non se ne discute più».

«Avrai gli incubi stanotte se lo guardi», borbottò Hirato strappandogli il telecomando di mano e mettendo in pausa il film, non riuscendo a parlare con la voce coperta dal grido stridulo della bambina, «E non dormirai».

Tokitatsu sbuffò e ficcò irritato una mano nella ciotola dei pop-corn, trangugiandone poi un intero pugno: «Ma fammi il favore. Incubi? Dici così solo perché sei tu quello ad avere paura! Ma è tutta finzione, non c’è da-».

«Io non ho paura», puntualizzò il piccolo con fare determinato mentre si sistemava l’antiquata montatura degli occhiali, «Ma non voglio nemmeno essere disturbato stanotte dalle lamentele di un certo qualcuno».

«Disturbato...», borbottò Tokitatsu riprendendo il suo tono con fare canzonatorio, «Ma sentilo come si atteggia a sei anni... Che caratteraccio».

«Tutto il tuo», ribatté il fratello mettendosi a braccia conserte, continuando a guardare a vuoto lo schermo.

Tokitatsu arrise senza mostrarsi irritato da quelle frecciatine e fece spallucce facendo riprendere il film dall’ultima pausa. Aprì poi le braccia, come per stringere il più piccolo sotto la sua protezione: «Su, su, se hai paura puoi sempre abbracciarmi e nascondere il tuo faccino sulla mia spalla».

«Mi sento in dovere di ricambiare l’invito», commentò pungente Hirato.

 

La conversazione morì lì e nessuno dei due disse altro fino al termine del film, momento nel quale più corvino stesso fu costretto a doversi alzare per accendere la luce.

Tokitatsu era ancora seduto a terra, sembrava pietrificato dalla paura. Hirato gli si avvicinò allora divertito e lo stuzzicò pizzicandogli la spalla: «Bu!».

«Ah! D-Dannazione, mi hai fatto spaventare!», disse il quindicenne con voce stridula, il cuore gli era improvvisamente balzato nella gola tanta era stata la paura. Hirato non gli prestò tuttavia ascolto e sgattaiolò rapidamente al piano superiore cacciandosi stanco sotto le coperte.


 

***

 

Tre e sette minuti.

Tokitatsu si rigirò ancora una volta nel materasso, tremante dalla paura. Ogni ombra d’un tratto era un motivo in più per stare in allarme e nascondersi spaventato sotto le coperte. I rami dell’albero fuori dalla finestra parevano d’un tratto una pericolosa mano assetata di vendetta e di corpi, ogni pupazzo e giocattolo in quella camera aveva assunto un’aria sinistra e maligna e temeva che dal muro potesse improvvisamente uscire qualcosa. Deglutì e scrutò Hirato, che riposava a nemmeno un metro da lui nel suo letto, immerso in un pacifico sogno.

No, non aveva ancora avuto gli incubi di cui gli aveva parlato il fratello ma in compenso non era ancora riuscito a chiudere occhio per paura di un qualsiasi pericolo sconosciuto ma incombente sulla sua vita.

«H-Hirato», mormorò sommessamente, tendendo una mano verso il suo letto, «S-Svegliati ti prego».

Il piccolo s’acciglio ma non gli rispose.

Tokitatsu sospirò tremando scosso da un altro brivido e, stavolta, in preda alla paura gli batté con la mano sul materasso, adottando un tono ancora più disperato: «H-Hirato, dai svegliati».

«Cosa vuoi?», borbottò il corvino trascinando le parole, tanta era la stanchezza, e lasciandosi sfuggire uno sbadiglio, «Non vedi che stavo dormendo?».

«M-Mi dispiace», si scusò il maggiore, «Potresti venire qui con m-».

«No», replicò Hirato secco.

 

Tokitatsu abbassò lo sguardo e sbuffò.

Cercò invano di riaddormentarsi e farsi una ragione del rifiuto del fratello ma proprio non gli riusciva.

Aveva paura, aveva davvero paura, e l’idea di dover stare ad aspettare l’alba in compagnia dei mostri della notte non lo rasserenava affatto.

Si alzò dal suo letto e si ficcò ugualmente sotto le coperte di quello del fratello, stringendolo a sé e sentendosi improvvisamente sereno e rassicurato.

 

«Ho paura», confessò.

Hirato sorrise: «Che idiota».

 

E, lasciandosi cullare da quel calore quasi materno, si lasciò a sua volta addormentare.

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Capitolo 17
*** Embrace ***


Titolo: Embrace
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu
, Hirato
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 1055




 

Tokitatsu chiuse gli occhi sereno, rigirandosi tra le affusolate dita i ciuffi corvini della folta chioma violacea del fratello. Riposava così, sul suo petto, standosene quieto senza proferire parola, quasi come avvertisse un senso di colpa nel rompere quel meraviglioso silenzio che dominava la camera. Gli occhi di Hirato nel frattanto scorrevano lenti tra le righe di un libro di letteratura inglese.

Il maggiore espirò rilassato e tese l’orecchio verso il suo petto, a contatto con la morbida stoffa di finto raso del pigiama. Ci striscò leggermente il capo e si mise in ascolto, meravigliato dai battiti del suo cuore, ritmati ed armonici.

 

Il corvino proseguì dapprima nella sua lettura senza prestargli attenzione. Sapeva che il fratello era sempre stato un mammone nei suoi confronti, non si stupiva nemmeno più di quei suoi comportamenti appiccicosi. Se ne stava a sua volta sdraiato, accogliendo il capo del maggiore sul torace, mentre cercava di scorgere le parole del libro, gettando lo sguardo oltre la sua ingombrante massa di capelli nocciola.

 

Ritornò per un breve istante con il pensiero a qualche notte precedente, quando sul suo nudo petto riposava stracco Akari. Rimembrava con quanta attenzione aveva scrutato il suo viso rilassato, quasi nel tentativo di imparare a memoria ogni minimo cenno che caratterizzava quell’espressione. Le palpebre distese, la pelle, morbida al tatto e perfetta alla vista, nivea e curata, le sopracciglia, imbronciate anche durante il suo sonno e gli angoli della sua bocca, leggermente rivolti all’insù, in un sorriso sereno e soddisfatto.

Non ricordava quanto tempo fosse rimasto ad osservarlo mentre dormiva nudo sopra di lui, dovevano essere però passati più di cinque minuti prima che lo stringesse a sé in un abbraccio e lo coprisse con la coperta.

 

«Stanno accelerando», commentò d’un tratto Tokitatsu, alzando un sopracciglio.

 

Hirato sorrise, riportato alla realtà dagli occhi di acquamarina del fratello. Aveva divagato e se n’era accidentalmente accorto. Aveva perfino perso il filo della lettura di Shakespeare. Sospirò e poggiò il libro sopra il comodino. Gli sarebbe piaciuto continuare a fantasticare, non stava più nella pelle la pensiero che il giorno seguente avrebbe avuto la possibilità di vedere nuovamente Akari alla Torre di Ricerca. Gli pareva di avere le farfalle allo stomaco al solo pensiero di poter nuovamente sfiorare le labbra del ricercatore, andargli incontro e poterlo amare ancora una volta, dopo essere tornato vivo da una delle sue solite missioni.

 

«Accelerano ancora», riprese allora il fratello sollevando lo sguardo verso di lui.

 

«Hai intenzione di ascoltare i battiti del mio cuore fino a domani mattina e farmi la telecronaca in diretta?», chiese il corvino sarcastico, in un sorriso di compassione mentre accarezzava i suoi capelli in un affettuoso gesto, «Se queste sono le tue intenzioni, non ne ho bisogno». Tokitatsu arrise comprensivo, staccando l’orecchio dal suo petto e sollevandosi.

 

«Sai», disse d’un tratto guardando malinconico fuori dalla finestra, come se non stesse effettivamente cercando le stelle nel firmamento ma tentando di ripescare delle memorie assai lontane, che si teneva tuttavia strette al cuore, «D’altronde è un qualcosa che sono abituato a fare, sentire il suono del miracolo della vita».

«Come siamo poetici», lo canzonò Hirato, ricambiando il sorriso.

Sospirò il castano.

 

«Sai, quando ancora tu dovevi nascere... C’erano delle volte che la mamma si addormentava il pomeriggio», prese dunque mettendosi seduto sul materasso, mentre con gli occhi contava le lontane stelle, «Si metteva sdraiata nel letto e chiudeva gli occhi per una o due orette, proprio come fai tu quando vieni a trovarmi. Allora io salivo sul letto, le andavo vicino, poggiavo l’orecchio sul pancione e restavo in ascolto. E mentre ascoltavo mi dicevo “Eccolo. Il miracolo della vita”».

 

«Non credevo che a nove anni tu elaborassi pensieri così profondi», disse sardonico Hirato facendo spallucce senza tuttavia mostrare un vero e proprio disinteresse. Fece cenno al fratello di sdraiarsi tappettando la metà del letto matrimoniale accanto a lui ed attese che gli venisse ancora più vicino per guardarlo negli occhi, con la testa affondata nel cuscino, sdraiato su un fianco.

 

«Non ho mai smesso di volerti bene, Hirato», riprese il maggiore, mentre spegneva la luce dell’abat-jour, «Ho cercato sempre di essere il tuo punto di riferimento e sono proprio fiero di vedere come tu abbia imparato con il tempo a camminare da solo».

«Eh, eh... Eppure sembra che certe volte tu venga ad assicurati che non perda la mia strada, Tokitatsu. E’ come se non ti fidassi completamente di me»

«Non dire cose così spiacevoli», borbottò il fratello mettendo il broncio, «Però...».

«Tutti i giorni vedo un sacco di volti, incontro una miriade di persone, la maggior parte di cui sono nemici che si presentano sotto le vesti di alleati. E quando si fa sera, sono di nuovo io, da solo, nel mio ufficio. Tutti i giorni da solo. E’ triste, sai?»

«L’avresti dovuto sapere che è questa la sorte di chi lavora per Circus»

«Sì. Lo sapevo. Ma pensavo di essere pronto a restare da solo. Speravo che tenendo la mente occupata con scartoffie e con la lotta al nemico, non ci avrei pensato. Ed invece qui, l’unico a non pensarci sei tu. Quasi ti invidio».

«Non ti proibisco mica di venirmi a trovare», puntualizzò Hirato soffocando una risata e stringendolo in un abbraccio, «Dannazione, sembra sempre tu abbia bisogno di essere compatito, Tokitatsu. Sei terribile».

 

Il ministro sorrise. Sapeva di esserlo, tanto quanto era consapevole di essere, agli occhi di Hirato, un inguaribile mammone. Nascose la testa sotto il suo mento e fece scorrere le mani lungo il suo collo fino a raggiungere il volto.

 

«Non ti togli gli occhiali, Hirato?», chiese dunque, prendendogli la montatura, « O avevi forse intenzione di riprendere la lettura per quando mi sarei addormentato?».

«Avrei atteso mezz’ora», gli rispose sincero il corvino, «So che detesti dormire con la luce accesa».

«Siamo sulla tua nave adesso, no?», ironizzò Tokitatsu, lasciandosi coccolare da quell’abbraccio grande e sicuro, «Se vuoi-».

«Forse, se mi racconti qualche altra storia sul passato, potrei anche ascoltarti e dimenticare la lettura», mormorò allora, spinto dalla curiosità, «Magari, qualcosa sulla mamma, per esempio».

 

Tokitatsu sospirò non appena sentì la sua camicia da notte venire stretta.

Sorrise comprensivo e gli passò una mano tra i capelli.

Non poteva vederlo in volto, l’oscurità non glielo permetteva.

Ma era abbastanza sicuro che, se avesse potuto farlo,

per una volta non l’avrebbe visto sorridere.

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Capitolo 18
*** ♣ Elevator ***


Titolo: Elevator
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: One Shot, PWP?, Light-Incest
Wordcount: 882





 

«Come diavolo...»

«Non fare troppe domande Akari, il tuo alito mi solletica la spalla»

«Sei un pervertito, Tokitatsu»

«Parla quello che non ha fatto altro che strisciare il suo bacino nel mio sedere negli ultimi cinque minuti»

 

 

 

Hirato crucciò la fronte e portò entrambe le mani al petto di Akari, schiacciato contro quello di Tokitatsu, abbracciandolo e stringendolo a sé: «Sono profondamente dispiaciuto dottore... C’è una maniera per fare ammenda a questo mio stolto comportamento?».

Avvampò in volto il ricercatore e, temendo di poter perdere l’equilibrio schiacciato da quei due corpi in quel bugigattolo qual’era l’ascensore, si appese con una mano alla clavicola di Tokitatsu mentre con l’altra stringeva quelle di Hirato che gli cingevano la vita.

«No», borbottò allora con tono risentito, «Purtroppo la vostra idiozia è imperdonabile. Pensavo di avervelo ripetuto fino allo sfinimento di non usare mai quest’ascensore nel retro della Torre di Ricerca, che è pericolosa».

«Ma tu la usi, Akari», disse allora il comandante generale del Circus portandosi la mano alla spalla, dove la teneva poggiata il dottore. La sollevò allora da lì ed in un gesto da galantuomo se la portò alle labbra baciandone il dorso, «Lo sai che non dovresti farci preoccupare. Se qualcuno attaccasse la Torre di Ricerca mentre tu sei qua dentro, quest’ascensore sarebbe la prima cosa a cedere e ad andare giù».

Hirato restò in tacito silenziò, guardò torvo il fratello ed intrecciò le dita con quelle di Akari, strusciando contro il suo camice il cavallo dei pantaloni, rigonfiato dall’eccitazione. Il dottore comprese e digrignò i denti quando percepì anch’egli la stessa scarica, lo stesso desiderio e si accorse di essere nella posizione sbagliata.

Desiderava veramente trovarsi tra le sue braccia in quell’istante ed invece si era ritrovato con davanti agli occhi Tokitatsu, che insistentemente giocava con il dorso della sua mano.

 

Sbuffò irritato e si poggiò con la fronte al petto del maggiore. Al diavolo tutto. In quella posizione chi poteva averlo era solo Hirato. Ancora tuttavia non sapeva dire se l’impossibilità di muoversi lo turbasse oppure gli stesse dando sollievo. Avrebbe veramente voluto fare l’amore, gli mancava tanto Hirato e sapere che erano così vicini ma che dovevano starsene contemporaneamente così, impotenti e lontani, lo faceva impazzire.

Lasciò andare un gemito e si accorse troppo tardi che le mani di Hirato, che avevano stretto ed intrecciato precedentemente le dita con le sue, ora avevano guidato i suoi movimenti fino a fargli slacciare la cintura dei pantaloni e raggiungere la sua virilità.

Tokitatsu sobbalzò scosso da un brivido non appena percepì il calore dell’alito del dottore accarezzargli la pelle. Strinse allora la sua mano e gli venne impossibile frenare la lingua che, repentina e rapida, ne percorse quasi automaticamente il dorso.

Akari trasalì e la chiuse in un pugno cercando invano di colpirlo.

«Che cazzo fai?!», gli berciò contro irritato, mollando il colpo a vuoto.

Tokitatsu lo frenò prontamente.

«Perché non lo chiedi a mio fratello?!», borbottò irritato arrossendo, sedotto in un qualche modo da un gemito che Akari aveva accidentalmente lasciato andare quando aveva sentito le calde e sudate mani di Hirato posarsi sulla punta della sua virilità, stuzzicandola e solleticandola appena, suscitandogli una piacevole scarica, «Sono un uomo anch’io, sai?!».

«Ah... Sta’ zitto!», gli rimproverò Hirato mentre lasciava scorrere la sua mano lungo l’eccitazione di Akari, strappandogli sempre più ansiti mentre il piacere stesso diventava insopportabile per lui, l’impossibilità di unirsi a quel corpo una pena davvero dolorosa.

Arrossì Tokitatsu scambiando un’occhiata sincera con Hirato poi, senza pensarci due volte, lasciò scivolare la sua stessa mano lungo il torso del dottore andando ad unirsi a quella del fratello e completando l’opera, massaggiandolo, donando ad Akari un intenso piacere che quasi lo tramortì rapido come un fulmine. Fu questione allora di un secondo perché i pantaloni di Tokitatsu si macchiassero del frutto della sua eccitazione. Tremò in tutto il corpo il dottore e piegò di poco il collo raggiungendo con la lingua la bocca di Hirato. Insistette allora il castano piegandosi di poco e leccandogli la linea del mento e di lì la mascella.

«A-Akari, voglio baciarti anch’io», disse in un grande respiro Tokitatsu, gli occhi pieni di desiderio, mai consunti però come quelli di Hirato. Il dottore scosse la testa serrando le labbra ed accarezzando con il naso la guancia del corvino: «Giammai. Hai fatto fin troppo, te».

Sbuffò Tokitatsu irritato, invidiando le attenzioni che il ricercatore dedicava al fratello.

Non gli stava chiedendo la Luna. Domandava solo un semplice bacio.

Gli strinse le guance e si avvicinò ugualmente al suo volto nonostante il suo rifiuto sotto il freddo stupore di Hirato ma, il dottore, previsto che ebbe il pericolo rabbrividì ed involontariamente si ritrasse.

Tokitatsu si era tuttavia già fiondato sulle labbra e per quando riaprì gli occhi si accorse con sconcerto e sgomento di aver baciato il fratello e molto lentamente ritrasse la lingua, disgustato ma eccitato al contempo.

Il suono di un campanello, il ritorno della luce ed in breve si ritrovarono tutti e tre per terra, ammassati l’uno sopra l’altro sul pavimento della Torre di Ricerca, sudati ed insoddisfatti, come delle bestie in calore, sotto lo sconcertato sguardo del mentore di Akari.

 

 

 

Ryoushi non voleva chiedere ma ora sapeva di avere di sicuro qualcosa di interessante da raccontare per quando sarebbe venuto a trovarlo Tsukitachi.





 
***




Buondì a tutti! :-D

Eccoci con un altro capitolo della Malinconia di Tokitatsu! Questa volta ho voluto realizzare qualcosa di diverso che tendesse un po' all'incest, rimanendo però nei limiti del possibile. Ho un debole per Tokitatsu ed Hirato ♥
Cerco sempre di aggiornare appena posso, lo studio mi porta via un sacco di tempo :(
Mi fa piacere vedere che la storia venga letta e seguita quindi non posso fare a meno di ringraziare chi quotidianamente le dedica un po' del suo tempo. Sarei felice di leggere cosa ne pensate.

A presto con una prossima storia ;)
AsanoLight

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Capitolo 19
*** Butterfly ***


Titolo: Butterfly
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu
Avvertenze: Flash-Fic
Wordcount: 269





 

Lo stringi a te con affetto e gli baci dolce la fronte come se temessi di non aver mai fatto abbastanza per lui, di non averlo amato a sufficienza, protetto come dovevi.

Ed ora ti domandi se lui ti sia veramente grato per ciò, dietro quel suo raggelato e frigido sguardo di ametista e quegli occhi severi che non perdono mai l’occasione di rimproverare il tuo troppo amore.

 

Ma anche così ti accontenti e sei felice e con il cuore in gola lo lasci andare, ripartire per qualche lontana missione; gli permetti di mettere in gioco la propria vita, sei tu stesso a chiederglielo talvolta e non ti curi –e ti danni per ciò, di quello che pensano i tuoi genitori in Cielo, di cosa direbbero sapendo la tua spietatezza verso il caro fratello.

Ecco però che i tuoi occhi incrociano i suoi ed in un battito di ciglia tutto si sistema.

E’ stato lui a scegliersi questa vita ed ora ne porta l’oneroso obbligo sulle spalle”, ti dici e tutto va meglio, l’animo tuo si placa, il cuore si calma.

Sai che puoi fidarti di lui, sai che vincerà.

 

E lo lasci allora andare, allontani lemme lemme le braccia da lui, le labbra si staccano tristi dalla fronte ed il vacuo ricolma la tua anima.

Lui ti guarda, distante e severo come sempre, c’è gravitas nei suoi occhi, poi ti sorride compito.

 

Ed ora lo sai, Tokitatsu, sai di aver veramente fatto a sufficienza e, sollevato, ti fai pronto a lasciarlo andare di nuovo, libero di librarsi nel cielo, la tua cara farfalla dalle ali di tenebra.

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Capitolo 20
*** ♣ Bathtub ***


Titolo: Bathtub
Pairing: Hirakari
Personaggi: Tokitatsu, Akari, Hirato
Avvertenze: One Shot
Wordcount: 1225





 

Hirato dava difficilmente confidenza.

Detestava l’idea che qualcuno dovesse invadere i suoi spazi e le sue libertà e, proprio per questo motivo, era spesso il primo a prendere freddamente le distanze e ad allontanarsi dagli altri.

Eppure con Tokitatsu era diverso.

Il fratello era quel genere di persona di cui più amava farsi beffa, uno di quei bambinoni eterni che vogliono giocare a fare gli adulti.

Spesso si burlava bonariamente di lui ma raramente riusciva a dirgli di no.

 

 

Doveva aver avuto nemmeno sedici anni all’epoca, era successo qualche mese prima della sua ammissione alla Chrono Mei.

 

Erano passati anni dall’ultima volta che si era ritagliato del tempo per concedersi un rilassante bagno nella vasca e, stranamente, quella sera aveva proprio voglia di lasciarsi coccolare dalle calde bolle di sapone e di immergersi nella rovente acqua fino al collo.

Ripiegò meticolosamente i vestiti e li posò sopra il letto, affianco mise la camicia da notte, linda e profumata, e si legò un asciugamano attorno alla vita. Infilò i piedi nelle pantofole e le trascinò pigramente fino alla porta del bagno lasciandole poi all’uscio, perfettamente perpendicolari all’entrata.

 

«Oh, non credevo fossi qui»

 

Tokitatsu si voltò, paonazzo fino alle orecchie, sollevò di scatto le mani dall’acqua ed incespicò: «A-Ah, Hirato! B-Bussa la prossima volta! Credevo fossi ancora in cucina!».

«Bussare...?», domandò il piccolo inarcando un sopracciglio mentre richiudeva la porta del bagno dietro di sé, «Nella casa ci siamo solo noi due, che senso ha bussare?».

«Oltretutto», aggiunse tediato aprendo un’anta del bancone e sfilandone un asciugamano pulito per quando sarebbe uscito dalla vasca, «Ti stai solo facendo il bagno, non mi sembra nulla di cui vergognarsi, soprattutto tra fratelli».

Il castano deglutì, strinse le gambe cercando inutilmente di nascondere la sua imbarazzante erezione e tentò di incitare Hirato ad andarsene. Il giovane tuttavia, ancora più impaziente, lasciò cadere il telo che gli copriva il bacino restando completamente nudo davanti a lui.

«Non fare il testardo Tokitatsu», gli ribatté, cercando ostinatamente di mettere piede nella vasca, «Voglio farmi il bagno quindi esci e lasciami entrare».

 

Notò la resistenza del maggiore e sbuffò. Poco servirono i tentativi di fermarlo da parte di Tokitatsu. Hirato era già scivolato completamente nella vasca ed ora dalla sua posizione poteva vedere a trecentosessanta gradi la situazione del fratello, con un’espressione che gridava stupore da ogni angolo del suo volto.

 

«Ehi, avanti, non mi fare quella faccia», bofonchiò il maggiore imbarazzato, stringendo le gambe e portandosi una mano davanti alla bocca tanto era l’impaccio, «Sarà capitato anche a te, di sentire il bisogno di prendertene cura, almeno una volta».

 

Hirato scosse la testa in un sospiro e cercò di essere comprensivo ed estorcere al contempo qualche informazione al fratello, giusto per il gusto di prenderlo in giro.

 

«Avanti, a chi stavi pensando?», chiese puntiglioso, in un ghigno compiaciuto.

Tokitatsu alzò lo sguardo interrogativo e lo esortò a ripetersi.

«A chi stavi pesando mentre lo facevi?», fece di nuovo eco Hirato, mentre cominciava ad insaponarsi i capelli. Poco gli importò dello spaventoso rossore di Tokitatsu, che con un po’ di riluttanza rispose: «E’ una persona che lavora come ricercatore».

Il corvino sospirò scuotendo in un cenno di disapprovazione il capo.

«Questa persona ti ricambia?», domandò buttando la testa all’indietro e cominciando a godersi il tepore della vasca.

«No, non credo. Nel vocabolario di quella persona credo nemmeno esista la parola ‘amore’. Non mi fraintendere, è davvero una brava persona ma non si lascia soggiogare dalle passioni e dai sentimenti. Odia farsi mettere i piedi in testa».

 

Hirato sorrise alle parole del fratello, raccolse la schiuma che aveva fatto il sapone sui suoi capelli e se la portò su entrambi i palmi soffiandogliela poi divertito in faccia. E si augurò allora di poter incontrare anche lui quella persona.

E prima che se ne accorgesse, aveva già scommesso con il futuro.

 

 

***

 


 

Quando si risvegliò i capelli umidi di Akari gli stavano solleticando il naso. Non credeva di essere stato veramente capace di addormentarsi in un momento perfetto come quello. Si bagnò il viso per riprendersi ed abbracciò felice il dottore.

 

«Scusami tanto, Akari. Devo essermi assopito», disse in un tono composto ma umile, portandogli le mani alle spalle e di lì le fece scendere agli avambracci, percorrendo ogni dettaglio della sua pelle, «Quanto avrei voluto restare sveglio per stare con te».

«Solo un idiota come te sarebbe riuscito ad addormentarsi nella vasca da bagno», ribatté l’altro ricacciando uno sbadiglio nella bocca. Si stirò inarcando la schiena, i turgidi capezzoli erano ora ben in vista agli occhi di Hirato che, tentatore, avrebbe voluto fiondarcisi. Ma il severo dottore mandò in breve a monte ogni suo piano quando si sdraiò sopra di lui abbracciandogli la nuca e baciandola.

«Sai, dormire nella vasca è più rilassante dello stare sul letto», capitolò Hirato chiudendo le palpebre.

Avvicinò le mani al suo petto e glielo accarezzò. Gli poggiò poi un palmo sul cuore, cercando di percepirne, attraverso il tatto, le palpitazioni. Il respiro del dottore si faceva allora pesante sulla sua spalla e di lì si spostava sul collo solleticandogli la nuca. Poi, in un fuggente istante, una pioggia di baci vi si riversò ora seguita dal passaggio della sua lingua. Sorrise il comandante sfiorandogli i bagnati capelli, alcune bollicine di sapone erano rimaste intrappolate tra i sottili fili rosa della sua testa.

«Akari», mormorò mielosamente il comandante, piegandosi sul suo orecchio e leccandogli il lobo, lo mordicchiava divertito come stesse masticando qualcosa di dolce e gommoso. Il dottore rispose tuonando amorevolmente con un grugnito, come usava fare in quelle situazioni, quando si lasciava prendere senza obiezioni ed affidava il suo corpo nella custodia del corvino.

Ed era allora questione di secondi perché il resto venisse da sé.

 

«Ti amo»

 

Diveniva rosso fino alle orecchie, le gote sembravano fiori di liquirizia pronti ad essere colti. I denti si fecero quasi pronti a mordergli la carne non appena percepì il cuore farsi grande e stretto al contempo nel suo petto, gli parve che fu privato per un istante dell’aria che respirava. Hirato gli accarezzò ancora una volta i capelli e lasciò scorrere i polpastrelli lungo il collo del ricercatore, sorrise non appena sentì la sua eccitazione cominciare a premere contro il suo corpo.

Akari se ne accorse ed avvampò ancora. Si alzò di scatto dalle spalle del corvino e si buttò a capofitto sulle sue labbra donandogli un profondo bacio. Le loro lingue si incontrarono più di una volta mentre il suo desiderio si faceva in crescente aumento. E si aggrappava disperatamente a quel corpo, affannosamente, come se gli stesse venendo concesso per l’ultima volta. Hirato comprese la fretta ma non assecondò il dottore. Prese le sue dita e ne baciò le falangi accarezzando la zona lombare della sua schiena ed insidiando un dito tra le sue rotondità senza nonostante ciò violarle.

 

«Fermiamoci qui per ora», sussurrò ammaliante, resistendo a stento a quegli occhi rosa consunti ed arsi dal desiderio. Lo baciò ancora una volta raccogliendo gli ultimi frammenti di pazienza del ricercatore.

 

Akari se ne stette immobile e deluso mentre Hirato si rialzava dalla vasca, anche lui a stento sarebbe riuscito a trattenere il proprio desiderio.

«Non temere», aggiunse dunque in un sibilo, «Continuiamo sul letto».

 

Uno scroscio d’acqua lo raggiunse seguito dall’inesorabile imbarazzo del ricercatore e dal suo distinto broncio.

Sorrise Hirato soffocando una risata.

 

Aveva vinto una scommessa.




 

***




Finalmente ho avuto modo di mettere mano sull'Anthology di Karneval. E' carinissima, su Internet ne stanno ancora realizzando la traduzione. Per chi non l'avesse ancora letta, gliela consiglio ;)

AsanoLight~

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Capitolo 21
*** ♣ Mobile Phone ***


Titolo: Mobile Phone
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato
Avvertenze: One Shot
Wordcount
: 929








 

«Pensavo che conoscessi il regolamento della nostra scuola, Hirato»

Il professore lasciò sostare per lunghi attimi lo sguardo sul giovane ragazzo, i capelli di ebano gli ricadevano davanti agli occhi, sfoggiava un piglio serio ma compito in volto che ispirava fiducia e gravitas. Annuì, un leggero rossore simile ai boccioli di rosa si diffuse a macchia d’olio sulle sue guance.

«Lo so, professor Dezart, e ne sono profondamente dispiaciuto. Sono pronto ad assumermi le mie responsabilità».

Incrociò segretamente le dita dietro la schiena pregando che la fortuna l’avesse assistito e che l’insegnante non fosse disdettamente andato a smucinare tra i suoi affari –non aveva sempre una spiegazione pronta a tutto, lui. Non era certo stata sua intenzione farsi cogliere sul fatto, a giocare con il telefonino. Se ne’era rimasto sdraiato tutto il giorno sul letto e, dopo aver passato un’intera mattinata a studiare gli appunti della lezione sulla Vita e le Scienze Biologiche tenuta dal professor Dezart, aveva sentito il bisogno ineluttabile di svagarsi un po’ e distarsi e se solo il caro insegnante non si fosse disturbato di degnarlo di una visita proprio in quel momento, forse ci sarebbe anche riuscito.

«Hirato», replicò Akari in un rimbrotto, gli occhi inchiodati nel suo sguardo, si rigirava tediato il cellulare tra le mani, «Non è una questione di prendersi o meno le proprie responsabilità. Per quanto io possa detestarti, mi trovo a concordare con gli altri professori sull’idea che tu sia uno di quelli che merita l’eccellenza. Anziché perdere tempo con i giochini dovresti concentrarti di più sullo studio delle materie».

«Non eccello forse abbastanza nella sua materia, Akari-sensei?», chiese il giovane in un tono ultroneo, piegando di poco la testa in tono perplesso ed interrogativo, cercò di rimanere in uno stato di quiete impassibile quando notò il professore cominciare a vagare con lo sguardo sul display e tappettare sui tasti.

Era il comportamento sottopressione. La capacità di mantenere la calma imperturbabile in qualunque situazione. Ed Hirato, di fermezza d’animo ne aveva da vendere.

Vide d’un tratto Akari impietrirsi, il suo sguardo farsi frigido e greve non appena realizzò di essere stato oggetto di alcune foto del ragazzo e non poté non infuriarsi a quella vista e rodersi lo stomaco al pensiero che quel reprobo elemento di nemmeno sedici anni aveva osato violare la sua libertà immortalandolo in degli scatti mentre teneva la sua lezione.

E gli tremò, accecato dall’ira, il cellulare tra le mani quando notò il ghigno sornione di Hirato.

«Ha visto forse qualcosa che non la aggrada, Akari-sensei?», domandò il giovane retoricamente, la risposta gli si poteva leggere da sé nella faccia ed ora Hirato godeva beandosi di quell’occhiata belluina e di quelle mani tremanti del professore che –se solo avessero potuto, l’avrebbero strozzato in quell’istante stesso.

Gli venne afferrato violentemente il polso dall’insegnante, il cellulare consegnato in maniera invereconda poi, senza dire altro, lo trascinò forzatamente fino alla porta e, prima che se ne fosse potuto accorgere, Hirato era già stato sbattuto fuori.

Sorrise lanciando un’occhiata rapida al display e si sentì sollevato nel vedere che la foto non era stata cancellata. Al contempo non poté risparmiarsi un attimo di intima letizia.

 

Akari voleva essere ricordato.

Forse, se si fosse impegnato abbastanza per raggiungere l’eccellenza, un giorno non avrebbe nemmeno più avuto bisogno di quella foto.

 

 

***

 

 

«Sempre a saltare il lavoro, te», lo rimproverò iattante, rifilandogli uno sguardo stralunato e risentito. Prese posto al tavolino, Hirato quasi lo ignorò continuando a giocare, seduto sulla scrivania, con il proprio cellulare.

«Oi, mi ascolti?», domandò irritato il medico, richiamandone l’attenzione. Ottenne come risposta un mugugno soffocato seguito poi da un’improvvisa flebile risata, gli occhi del comandante si erano illuminati ad una vista non indifferente.

«Akari-san, eri molto più carino a quei tempi», si lasciò sfuggire in un commento rasserenato, altalenò lo sguardo tra la fotografia e l’Akari del’presente, «Con quei capelli sempre spettinati... Sai, eri molto più incline a sorridere di quanto tu lo sia adesso». Inarcò un sopracciglio il dottore dai rosei capelli mentre incrociava le braccia sbuffando poi, pigramente, si sollevò dal divano e raggiunse le spalle del comandante impicciandosi incuriosito.

«Hai ancora quella foto?!», lo stupore quasi gli scivolò dalle labbra.

Hirato replicò tranquillo cercando di macinare la distanza tra il suo volto e quello del dottore: «Ovviamente. Perché mai avrei dovuto buttarla? E’ un ricordo così prezioso della gioventù di Akari-san, che non la cancellerei per nessun motivo al mondo».

«Vorresti dire che ora sono vecchio?», ribatté freddo Akari, gli strinse la mascella bloccandogli ogni movimento. Ma poi vide lo sguardo sincero di Hirato ed allentò la presa demordendo e lasciandosi affettuosamente baciare.

«E’ proprio perché sei più grande di me, Akari-san, che ai miei occhi sei così importante e degno di rispetto»

«Dici queste cose... Come se io avessi bisogno della tua misera compassione»

«Non era compassione»

«Non ho bisogno nemmeno di essere sfottuto»

«Non ti stavo sfottend-»

«Lo stavi facendo», aggrottò le rosee sopracciglia risentito.


Hirato tirò comprensivo un sospiro, con occhi pietosi ma al contempo divertiti lo guatò: «Akari-san, talvolta ti comporti proprio come un bambino viziato. Quanto ti atterrisce l'idea che possa un giorno andarmene e dimenticarmi di te?».


 

Tacque il dottore lasciandosi sfiorare dalle labbra calde e bollenti di Hirato che, come fiamme lo fecero bruciare spingendolo ad annuire timido ma orgoglioso con il capo, in un cenno che solo Hirato fu capace di intuire.

 

«Lasciati amare, Akari, così che io non possa mai dimenticarmi di te»

 

Ma anche prima di dirlo, sapeva già in cuor suo che, per quanto l’avrebbe baciato, per quante notti l’avrebbe fatto suo, era bastato il Sole che gli aveva irradiato il volto undici anni prima e la sua calda e sincera stretta di mano per renderlo indimenticabile al suo corpo e al suo cuore.

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Capitolo 22
*** BitterSweet ***


Titolo: BitterSweet
Pairing: Tokirato
Personaggi: Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: Flash Fic,
Incest
Wordcount: 375







 

Un bacio.

 

Cominciavano e finivano con quello.

Non si spingevano oltre, non avevano mai osato farlo, conoscevano i loro limiti.

Nei loro cuori c'erano persone diverse ma certe volte tendevano a dimenticarsene.

Si perdevano l'uno negli occhi dell'altro, travolti da un turbine di fantasticherie; aizzati dalla dolorosa astinenza si sfioravano le labbra accarezzandosi bramosi ma al contempo pudici i volti.

 

Erano fratelli, disgustava e bruciava al contempo pensarci mentre lo facevano, nella coscienza dell'innaturalezza di quei gesti. Hirato chiudeva gli occhi, immaginava le labbra di Tokitatsu come quelle di Akari, lontano terre e mari da lui.

Pativa nell'animo quella distanza anche se non voleva darlo a vedere e, se da una parte aveva quasi ripudio di sé a pensarsi intento in certi atti libertini, dall'altra non poteva non meravigliarsi di come Tokitatsu fosse sempre ben disposto ad appoggiare quei suoi ridicoli esperimenti.

Giocavano un poco intrecciando le loro lingue poi si staccavano.

Il comandante se ne restava immobile ad abbracciarlo. Gli cingeva i fianchi mentre accomodava la testa sotto il suo mento e cedeva molle alla tenerezza di quei momenti. Non voleva di più, cercava solo ristoro e sicurezza tra le braccia del fratello che ora gli accarezzava affettuoso il capo.

Dolcemente si separavano portandosi dietro un po' di impaccio.

Poi, rapidi, l'uno volegeva lo sguardo verso la finestra, l'altro lo posava sulla porta.

Si toccava perplesso le labbra Hirato, con nostalgia ed una punta di senso di colpa nell'animo.

Non era stata stata la dolciastra bocca di Akari a donargli amore.

 

Il cielo gli pareva immenso, era offuscato tuttavia da una pesante coltre di nubi.

 

«Nevica», chiuse gli occhi Tokitatsu facendo scivolare le mani nella tasca, «Il miracolo del cielo».

«Un miracolo è proprio quello che mi serve, ora come ora», commentò allora il corvino amareggiato, gli occhi del fratello lo compativano.

La neve cadeva lenta e si poteva vedere, mentre la nave atterrava, che stava cominciando a mano a mano ad attaccare sul suolo.

Presto avrebbero squillato le trombe di battaglia.

 

«Siamo arrivati»

Hirato sorrise e si preparò a secendere impugnando lo scettro.

 

C'era chi combatteva amando la morte e disprezzando la vita, chi lottava per vivere.

E poi c'era chi, come lui, combatteva solo per poter, un giorno, tornare da chi amava.

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Capitolo 23
*** ♣ Love doesn't ask Why ***


Titolo: Love doesn't ask Why
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato, Ryoushi
Avvertenze: One Shot, Song Fic

Wordcount: 1381

Altre avvertenze sul contenuto: Hirato è partito da almeno un anno e non ha ancora fatto ritorno. L'arrivo improvviso di un dono del comandante turberà non poco Akari.


Ryoushi spalancò la porta, seguito in una scia dal suo lungo codino di bianchi capelli. Delle infermerie gli erano rimaste appresso per parecchi minuti, tutte intente a complimentarlo, starnazzando e cinguettando felici di quanto bello fosse averlo come presenza alla Torre di Ricerca in quell’uggioso giorno di pioggia.

Si sistemò la mantella sopra le spalle e fece volare il suo cilindro sull'attaccapanni.

Corrucciò le folte e argentate sopracciglia quando scorse Akari alla sua scrivania, la fronte aggrottata ed il naso ingrugnato, gli si potevano quasi vedere le vene sulle tempie.

«Oh, oh, il mio allievo è per caso arrabbiato?», domandò avvicinandoglisi sprizzante di energia. Il dottore sollevò gli occhi dal pianale e li posò sul vecchio, che ora si gongolava felice e rasserenato da un lato all'altro della stanza, instancabile nonostante la sua età -spesso si chiedeva da dove diavolo prendesse tutte quelle energie.

Oscurato in volto, vestiva uno sguardo da ‘Gloomy Sunday’, come se d'un tratto l'ira gli si stesse mescolando con la malinconia. Indicò, portandosi un palmo alla fronte, un sacchetto di bianchi confetti, con all’interno inscritta una data di matrimonio.

«Quel bastardo», borbottò il dottore stringendo tra le dita il foglietto.

Ryoushi sorrise.

 

 

Love doesn't ask why

It speaks from the heart

And never explains

 

 

Era scomparso dalla vista per un anno, facendo perdere le sue tracce.

Aveva temuto fin dal primo istante il peggio ed era inutile tentare di allontanare i pensieri che lo inducevano a martoriarsi mente ed anima all’idea che fosse finito nelle mani del nemico o ancora che fosse stato ucciso.

Non aveva chiuso occhio per notti intere, si rigirava nel divano mentre continuava a ripetere a se stesso che ovunque fosse stato in quegli interminabili istanti, sarebbe stato bene e sarebbe tornato prima o poi alla Torre di Ricerca.

Ma ogni mattina si risvegliava e amaramente si accorgeva di essere da solo.

E d'un tratto l'odio gli si cominciava a rimescolare nel cuore e nello stomaco ed avvertiva uno strano senso di nausea e disgusto quando ci pensava, quando pensava al peggio, pensava che non l'avrebbe mai più rivisto.

Rifletteva allora sulle sue sensazioni, tutte le sere prima di addormentarsi si convinceva di odiarlo, odiare quel suo sorriso così bastardo e quei suoi occhi così belli e preziosi. Odiava tutto di lui.

Lo capiva dall'arrancare del suo cuore, dai suoi battiti accelerati, dalle lacrime che gli correvano rapide lungo le guance.

Lui lo odiava.

 

 

Don't you know that

Love doesn't think twice

It can come all at once

 

 

Si era convinto che non sarebbe più tornato ed aveva cominciato a farsene una ragione. Non avrebbe più avuto nessuno in mezzo ai piedi, nessuno a chiamarlo 'magnifico' oppure 'adorabile' fuorché Tsukitachi.

Ma non era da lui che voleva sentire quelle parole.

Era entrato come ogni mattina usava fare nel suo studio per revisionare le pile di documenti che apparivano magicamente sulla sua scrivania ogni volta che entrava in quella stanza.

Sgobbava intere giornate per liberarsi di quelle scartoffie eppure bastava chiudesse gli occhi per sei o sette ore per ritrovarsene lo stesso ammonto smaltito precedentemente.

Ma quel giorno non c'erano scartoffie sulla sua scrivania ma solo quel sacchetto di confetti e la data di un matrimonio già tenutosi.

 

 

Don't ask me if this feeling's right or wrong

It doesn't have to make much sense

It just has to be this strong

 

 

Lui era scomparso ed ora se ne ritornava così, sposato e felice. E gli pareva che tutto d’un tratto gli stesse crollando il mondo addosso.

Erano state tutte bugie.

Gli anni che avevano speso lavorando fianco a fianco erano menzogne, i loro baci erano solamente stati una presa in giro, lui era stato un giocattolo del desiderio, schiavo dei piaceri di un egoista comandante. Si sentiva logorare dentro, se fosse stato trafitto da una spada avrebbe provato meno dolore, meno rabbia verso il mondo e verso la sua stessa vita.

Lo odiava e lo amava. E continuava a domandarsi perché nutrisse ancora quel sentimento dopo quella notizia scritta nero su bianco. Si domandava perché non si opponesse.

E realizzava.

Capiva che Hirato era felice e lui non voleva certo rovinargli la vita ora che aveva cominciato a viverla. Prevedeva con facilità quello che sarebbe successo in futuro.

Avrebbe lasciato il Circus per potersi permettere di stare a fianco della moglie e loro non si sarebbero mai più rivisti. Si erano già salutati l’anno precedente con un bacio e l'istinto non lo aveva allora ingannato, quel giorno, quando pensò che sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti.

 

 

We don't try to have a voice

When our hearts make the choices

There's no plan

 

 

Ryoushi gli si avvicinò. Accarezzò la guancia del dottore facendo correre lungo la falange dell’incartapecorito dito una lacrima. Aprì il sacchetto di confetti, ne estrasse uno e cominciò a mordicchiarlo con il sorriso sulle labbra.

«Akari», mormorò allora cupo in volto, «Fa male, vero?».

Il giovane aggrottò le sopracciglia, batté un pugno sulla scrivania e nascose lo sguardo lucido e gli occhi rossi, rispondendo con voce spezzata e tremante: «No. Non fa male. Mi fa dannatamente incazzare però, che è diverso».

Il mentore si fece ancora più bigio, sospirò masticando serio un altro confetto e lanciò un’occhiata all’allievo, guardandolo negli occhi, cercando di scovare la verità dietro quest’ultimi.

«Sai, Akari... Sono stato per tanti anni il tuo mentore», mormorò espirando profondamente, incerto se continuare ad inserire il dito nella piaga oppure tacere. Ma sapeva che doveva parlare, doveva tirare fuori tutta la verità: «Tu ami Hirato, non è vero?».

Il dottore abbassò lo sguardo, rosso in volto. Non aveva più senso nasconderlo.

«Nessuno ti giudica, Akari»

 

 

Now I can feel what you're afraid to say

 

 

«Sì, dottore», confermò, la voce ancora più flebile, «E' imbarazzante perfino per me ammetterlo, ma ne sono innamorato».

Ryoushi si alzò dalla poltrona sgranocchiando l'ultimo confetto con aria soddisfatta e si gettò il sacchetto alle spalle andando incontro ad Akari, triste ed imbarazzato, stringendolo tra le sue braccia con quanta forza poté, ora atterrito.

«Akari?», chiese allora soffocando una risata nell'incavo della sua spalla, «Sai che giorno è oggi?».

«Una giornata di merda», replicò il dottore, rosso fino alle orecchie.

«No», gli rispose allora Ryoushi, temendo sempre più per la sua incolumità e per la vita stessa, «Oggi è...»

 

«Il primo d'aprile!»

 

Akari avvampò in volto, gli occhi disidratati e rossi dalle lacrime che aveva versato.

«Uno scherzo...?», chiese incredulo, guardando Ryoushi confuso. Il mentore annuì rasserenato e gli mostrò ancora una volta il bigliettino di carta atteggiandosi divertito: «Akari, non sei mai stato onesto con te sesso. Credevo che l'unica maniera per tirarti fuori la verità fosse quella di indurti a credere che Hirato si fosse sposato, anche se non mi sarei mai aspettato tu ci cascassi davvero -aggiunse allora sottovoce, grattandosi perplesso ma al contempo meravigliato la lunga e folta barba».

Il dottore strinse con più forza la mantella di Ryoushi e se ne allontanò cacciando un calcio alla scrivania infuriato, fregandosene del dolore che ora avvertiva al piede. Quando si voltò, si accorse che la porta era stata spalancata, ed una figura poggiava la sua schiena allo stipite.

 

 

So let's take what we found

And wrap it around us

 

 

Il suo nome gli scivolò mielosamente dalle labbra e le gambe si mossero da sé verso di lui.

Lo guardava come si mira un tesoro prezioso, un diamante, un capolavoro e senza curarsi più del resto del mondo si lasciò guidare dalla propria irrefrenabile volontà verso di lui, con la voce spezzata ed occhi e cuore improvvisamente addolciti.

Bagnarono il suo volto le lacrime nel momento nel quale gli si gettò addosso, con la consapevolezza che lui era lì e non se ne sarebbe più andato.

Respirava, il suo cuore ancora batteva, poteva ancora muoversi e parlare.

Poteva ancora amarlo.

 

 

If you give your soul to me

Will you give too much away

 

 

Gli cacciò un morbido pugno sulla schiena e sotto il suo stupore lo baciò, chiudendo gli occhi e respirando affannosamente.

 

Era bastardo, insopportabile. Egocentrico.

Ma anche così, si era accorto di amarlo, di averlo atteso a lungo, giorni ed intere notti.

Ma ora era tornato a casa e sapere il perché l’avesse pensato tanto non gli interessava più assai.

 

 

Love doesn't ask why

~ Celine Dion, Love Doesn’t ask Why

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Capitolo 24
*** Sing a Song ***


Titolo: Sing a Song
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato, Tsukitachi
Avvertenze: Flash Fic

Wordcount: 573



 

«Fratellino~!»

Tokitatsu lo accolse come sempre con molto calore nel suo studio, in una confidenza che sapeva di potersi permettere solamente quando erano da soli, unici momenti in cui quasi si rifiutava di appellarlo con il titolo di 'comandante'. Sospirò affranto il corvino. Odiava essere chiamato in quella maniera, con quel ridicolo diminutivo, a maggior ragione perché aveva oramai ventisette anni e non ne vedeva la necessità -non l'aveva mai vista.

«Beh?», chiese d’un tratto guardandolo seccato, «E' successo qualcosa di urgente? -Considerando la fretta che mi hai fatto al telefono...». «Ho forse fatto stare il mio fratellino in pensiero?», mormorò compiaciuto il ministro sfregandosi le mani e sogghignando maliziosamente. Notando Hirato fare per andarsene con aria tediata, gli poggiò rapido una mano sulla spalla trattenendolo.

«Fermo dove sei, comandante», sibilò guardandolo in tralice, serio in volto, «Dietro a questa chiamata si cela davvero una motivazione importante. La tua presenza in questo studio oggi è non necessaria bensì vitale!».

S’accigliò perplesso. Aveva un brutto presentimento.

Tokitatsu non era mai “così” euforico e febbricitante. E quando lo diveniva significava solamente...

 

«No»

Lo interruppe bruscamente prima ancora che potesse fare qualunque mossa, «Non guarderò quello show con te, se è questo il motivo per il quale mi hai chiamato d’urgenza qui». Il fratello si rattristò in volto e sfilò dal cassetto della scrivania dei fogli di carta stampata porgendoglieli. «Niente show, per oggi sei salvo!», disse alterando il suo umore ed esultando vittorioso, «Ma molto, molto di meglio!».

Hirato abbassò lo sguardo sui fogli scrutandoli perplesso: «Vocaloid? Ho letto bene?».

«Hirato, oggi e te canteremo!», esultò il fratello battendo sereno e soddisfatto le mani sotto lo sguardo esterrefatto del comandante e la sua bocca basita e semiaperta. Si domandò per un istante se Tokitatsu avesse improvvisamente perso la sanità mentale o, peggio, se ne avesse mai avuta una. Spostò lo sguardo dalle carte con i testi delle canzoni e li fece scivolare sul pianale lucido della scrivania di noce.

«No», ribadì con determinazione, «Non canterò qualcosa del genere».

«Ma-»

«Anzi, non canterò e basta, discorso chiuso».

Tokitatsu s’imbronciò in volto e lo tirò per una manica della giacca con tono lagnoso: «P-Per favore! Non ho nessun altro con cui-». «Scordatelo», bofonchiò il fratello restio, rifilandogli una tagliente occhiata che lo fece rabbrividire, «Non ho la minima intenzione di cantare e farmi sentire da tutto l’edificio».

«Per favore...», Tokitatsu gli si avvicinò prendendogli entrambe le spalle e guardandolo dritto negli occhi con la fronte aggrottata ed un piglio triste e risentito, «Solo una canzoncina».

Non avrebbe ceduto a quello sguardo. Non l’avrebbe mai fatto.

 

***

 

«Mi auguro tu stia ridendo per effetto del sakè, perché se così non fosse hai i minuti contati».

Tsukitachi soffocò un’altra risata, lucido negli occhi, aveva riso fino alle lacrime.

Si rialzò tentennante dal divano e se le asciugò con la manica del cappotto: «M-Ma certo, sono ubriaco, cosa credi! Ma ieri ero lucido e, ahahahah, davvero, quando quella segretaria mi ha raccontato di essere entrata nello studio di Tokitatsu e di avervi entrambi trovati intenti a cantare appassionatamente una canzone d’amore, ahahahah, davvero, avrei voluto esserci per vedere la tua faccia!».

Hirato sbuffò e tracannò un intero calice di sakè senza pensarci su due volte. «E’ meglio che tu non veda quella di Tokitatsu allora», borbottò irritato stringendo lo stelo del calice, «O ti si passerebbe la voglia di ridere».

Era un dato di fatto.

Suo fratello era un idiota.

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Capitolo 25
*** Snow ***


Titolo: Snow
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato
Avvertenze: Flash Fic

Wordcount: 553



 

«Tokitatsu»

 

La voce del fratello lo riportò alla realtà, chiuse le mani in pugni non appena le sentì venire accarezzate dai fiocchi di neve che, gelidi, si erano adagiati sui suoi palmi e lentamente si scioglievano nel calore della sua stretta. Restò volto verso il lontano mare, viola e scuro tanto era tempestoso.

Le nubi adombravano il cielo, stava scendendo il crepuscolo.

Hirato lo raggiunse, gli tirò un lembo del cappotto e gli abbracciò, piccolo nei suoi otto anni, la vita appoggiandovi il capo, la testa protetta da una cuffia dai cangianti colori, tutta ricamata in lana, il piumino che gli scendeva fino a sotto le esili ginocchia nel suo scarso metro d’altezza.

 

Tokitatsu lo guardò, gli accennò un sorriso e gli prese le inguantate mani. Sollevandolo poi da terra, con affetto lo trattenne tra le sue braccia.

«Che cosa stai guardando?», domandò Hirato chinando di poco la testa in tono interrogativo ed accarezzando la guancia del fratello, la punzecchiò poi divertito giocandogli uno scherzo. Arrise con gli occhi Tokitatsu e gli indicò una gabbianella intenta a fare il nido sopra un faro non molto distante.

Volava sotto la neve, cercava cibo per i piccoli affamati e stremata se ne tornava alla propria dimora rinunciando a mangiare per i suoi piccoli.

«La vedi?», gli domandò il grande indicandola con l’indice e seguendone la traiettoria del volo. Hirato sedette sulla balconata, lo strinse il fratello temendo potesse cadere.

«La vedo», confermò, seguì l’ombra della gabbianella mentre scompariva e riappariva tra le nubi ed i fiocchi di neve, «E’ la prima volta che ne vedo una».

Tossì d’un tratto portandosi una mano davanti alla bocca e tremolando scosso da un brivido.

«Hirato... Non ti avevo detto di metterti la sciarpa quando esci a giocare con la neve?»

«Me l’hai detto?», ironizzò laconico il piccolo facendo spallucce, rise di gusto divertito nella sua infantile innocenza quando il fratello gli tirò giù la cuffia fino a coprigli le orecchie e gli occhi, i capelli dai violacei riflessi gli spuntavano come ciuffi di pelo di uno schnauzer da sotto la cuffia, ribelli e lunghi. Si sciolse la sciarpa dal collo Tokitatsu, con grande pazienza la portò attorno a quello del fratellino: «Su, ora non fare storie. Non vorrei tu ti prenda l’influenza».

«Non avrai freddo così?»

«Io? Che dici?», scherzò il castano sorridendogli, «A me il freddo fa un baffo!».

«E allora perché stai tremando?», chiese Hirato retorico, s’accigliò Tokitatsu a quella domanda e adagiò il mento sulla spalla del piccolo scaldandosi il collo: «Non fare altre domande e goditi la neve. Piuttosto, dov’è finita la gabbianella che guardavamo poco fa?».

«Là», la indicò il corvino sorprendendola nel nido, intenta a scaldare i piccoli sotto le proprie ali, la scena gli suscitò un sorriso, «Anche tu sei una gabbianella Tokitatsu».

Colse il gioco il fratello, innocente gli rispose: «Lo so. Ma non sei felice di avere qualcuno che ti protegge sotto le sue ali?».

«Sì, ma vorrei anche essere capace di volare da solo un giorno, più in alto della gabbianella, per poter poi tutte le volte far ritorno da te».

«Non è un qualcosa che ti aspetteresti di sentire da un bambino di otto anni, sai?»

«Ma è sicuramente qualcosa che io direi».

Gli baciò la fronte Tokitatsu, abbracciandolo lo fece scendere dalla balconata.

 

«Su rientriamo. Tu sei troppo sveglio per i miei gusti»

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Capitolo 26
*** ♣ Untill Tomorrow ***


Titolo: Untill Tomorrow
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato
Avvertenze: Flash Fic

Wordcount: 278



 

Con un palmo si asciugò le perle di sudore sulla fronte tirando un profondo respiro. Alzò le braccia stirandosi, un alone scuro era tracciato sotto le ascelle, il tessuto della camicia era bagnato per il troppo caldo.

«Akari-san, probabilmente te l'avrò già chiesto altre volte ma non c'è l'aria condizionata qua dentro?»

Il dottore scosse la testa lasciandosi andare esausto sullo schienale della sedia.

«Rotta. Ieri», scandì irritato le parole mentre si passava una mano tra i rosei capelli. Si sbottonò il colletto della camicia ed allentò la cravatta lasciandola scivolare sul petto.

 

Hirato aveva la testa poggiata sopra la scrivania, adagiata tra le conserte braccia. I capelli sudati e madidi riposavano composti sull'avambraccio mentre con la coda dell'occhio osservava Akari intento a farsi aria con un documento su cui erano riportate le analisi fatte sul corpo di Nai, destinate ad essere archiviate. Seguì attento con la pupilla il corso che una gocciolina di sudore stava in quell'istante compiendo sulla sua pallida pelle.

Scendeva lenta dalla fronte, tracciava le severe linee del volto del ricercatore lasciando una scia al suo passaggio, poi stillava dal mento e cadeva sulla camicia.

«Il sole oggi è terribile», commentò amareggiato rigirandosi sull'avambraccio, i neri pantaloni cominciavano a stargli troppo stretti per il caldo che provava, «Sto morendo».

«Prima che tu muoia...», lo schernì Akari in un sardonico sorriso.

Alzò gli occhi al soffitto asciugandosi la fronte e restò taciturno.

Il moro sollevò il mento e si sistemò sulla sedia incrociando le gambe.

 

«Eppure potrei morire un domani»

 

«Quel domani deve ancora giungere».

Akari parlò e si voltò dall'altra parte sospirando.

E dentro di sé desiderò che il domani non fosse mai giunto.

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Capitolo 27
*** ♣ HateLove ***


Titolo: HateLove
Pairing: Hirakari
Personaggi: Akari, Hirato
Avvertenze: Flash Fic

Wordcount: 469


 

Passava lento la spazzola lungo i capelli spettinati di Akari, osservava quell’immensa distesa di fili rosa di zucchero candito spiegarsi al passaggio della sua mano. Si beava dell’espressione del ricercatore, rilassata e piena di puro ed illibato godimento, le palpebre chiuse, una duplice notte copriva i suoi occhi, il naso volto all’insù e le lunghe ciglia protese verso il suo viso, quasi imploravano di essere baciate.

Continuò a pettinarli lento, divertito dai mugugni di approvazione che lasciava andare Akari mentre tendeva la testa verso di lui assecondando quel gesto, come stesse chiedendo più coccole. Hirato comprese e poggiò la spazzola sulla scrivania avvicinando poi le mani alla sua nuca e, lentamente, con tocco lascivo e sensuale prese ad accarezzarlo tastandolo delicatamente con i polpastrelli, un tocco soave che gentilmente lo massaggiava alleviandogli ogni fatica e tensione causate dal lavoro.

Gettò il capo all’indietro il dottore, si sentì solleticato non appena percepì le sue dita insediarsi tra i corti capelli. Poi, rapide e leste, si spostarono ed ora gli sfioravano il pomo d’Adamo con gesto carezzevole. Sussultò Akari ed alzò le mani così da bloccare quelle del comandante.

«Fermo, Hirato», deglutì, posò attento i palmi sulle calde mani di Hirato, arrossì quando si vide ricambiato da uno sguardo colmo di tepore.

«Perché mai?», lo interrogò il comandante, scostò nuovamente la mano del dottore e se ne portò il dorso alle labbra mentre gentilmente vi faceva ricadere un morbido bacio, «E’ sempre così bello vederti rilassato e sollazzato... Potresti lasciarti andare, di tanto in tanto, come hai fatto poco fa».

Così disse e gli sfiorò in meno di un secondo le labbra, rapido fece scivolare la lingua nella bocca del dottore e divertito la leccò, ardendo cupidamente. Chiuse gli occhi Akari e, incendiato dall’imbarazzo, gemette e si staccò malvolentieri da lui, sentiva la nostalgia di quella bocca e della sua lingua di fuoco. Si scambiarono un’occhiata e per un effimero istante fu come se si fossero detti parole d’amore.

Gli abbracciò il torso Hirato, era una bella sensazione sapere di poter trattenere tra le proprie braccia la stessa persona che per anni aveva mirato, per anni desiderato, per anni seguito instancabilmente. E sapere di essere finalmente capace di proteggerlo lo rassicurava e lo faceva sentire felice. Posò il naso nella sua clavicola e soavemente lo baciò scoprendo il colletto della camicia così da saggiare la sua glabra e lattea pelle con le sue stesse labbra.

Ebbe un altro sussulto Akari, un gemito gli fuggì come percepì una scia di saliva riscaldargli il collo.

 

Lo amava // Lo odiava

 

Sentiva che avveniva.

L’animo si turbava, lo stomaco diveniva una foresta di farfalle e tutto il resto del mondo andava a farsi benedire quando Hirato era con lui.

 

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio, et excrucior.
~ Catullo, Odi et Amo

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Capitolo 28
*** Darkness ***


Titolo: Darkness
Pairing: Nessuna
Personaggi: Hirato
Avvertenze: Flash Fic, Hirato-centric?

Wordcount: 350


 






 

Non dici niente, già lo sai.

 

Il sole anche questa mattina brucia freddo sulla tua pelle, la consuma mentre lo contempli oramai lontano da una casa che non sei neppure sicuro di aver mai posseduto. Siedi alla scrivania, gli occhi volti verso l'azzurro cielo.

Ti domandi se tutto ciò ne valga veramente la pena, se mettere a repentaglio la tua vita giorno dopo giorno sia veramente giusto. Ma quando guardi quello che sei divenuto con il tempo, ti accorgi di essere solo che un fantasma che vaga nell'immenso buio.

Quando sei così distante da lui, ti sembra di venire inghiottito in un buco nero.

Non c'è più fuoco o scintilla che possa illuminare il quotidiano.

 

 

Ricordi il tuo passato, lo vedi scorrere davanti ai tuoi occhi inafferrabile.

 

Detesti ammettere a te stesso che avresti voluto essere come gli altri, crescere sapendo di poterti appoggiare su una madre ed un padre nel momento del bisogno ed avere un posto da poter chiamare ‘casa’ –la stessa che ora non hai nemmeno la più pallida idea di dove sia, un luogo che fosse caldo ed accogliente anche nel più rigido degli inverni.

Con amarezza ti volgi al presente e realizzi quanto crudele la vita sia stata con te.

 

Stringi i pugni.

Brucia dentro di te, lo senti.

 

E' un altro anno della tua vita che se ne va, un altro anno fatto di agognante sopravvivenza, speso a lottare indefessamente contro i nemici.

 

Questo mondo non conosce gioia, e lo sai.

La felicità è per i civili.

Il divertimento, la leggerezza d'animo, il sorriso; quelli sono doni di cui solo le persone comuni possono godere.

 

Ripensi a quel bambino che fosti, che usava sorridere con naturalezza alle carezze ed alle attenzioni del fratello. Vedi debolezza, precarietà. Non sai se sia la tua o la sua.

 

Ho ventisette anni. Sono un adulto oramai”

 

Lo dici spesso.

Akari ti guarda severo quando ti sente e tu non puoi fare a meno di sghignazzare.

 

Ma dentro di te, erra ancora nei meandri più profondi della tua anima un solitario ed abbandonato bambino.

 

Ne hai un'intima certezza.

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Capitolo 29
*** Fireworks Show ***


Titolo: Fireworks Show
Pairing: Nessuna
Personaggi: Tokitatsu, Hirato, Gareki
Avvertenze: One Shot

Wordcount: 1622





 

Sono le vivaci iridi di acquamarina di un fanciullo quelle che guardano il cielo che lo sovrastano. Corre sereno nel viale alberato tracciato dalla foresta, si sollevano le secche foglie multicolori al suo passaggio. Le luci dei fuochi d’artificio risplendono sopra il suo capo, esplodono fulgide nel cielo notturno tingendolo di mille colori. Arranca ancora qualche passo prima di raggiungere la radura, tira pervicace la manica del kimono di una giovane donna, bellissima da vedersi. La chiama e nota che gli sorride. Non può che essere felice.

Ha i capelli neri come l’inchiostro di china raccolti in una stupenda e tradizionale acconciatura giapponese, adornata con degli appariscenti fiori di loto. E’ di una rara bellezza, ha il fascino di una geisha. Non ha nemmeno quarant’anni e pure non riesce a tenere il passo con il figlio. E’ pallida nel volto, è la sua carnagione ad esserlo, sono vani gli sprechi di trucco nell’inutile tentativo di donargli un po’ di colore. Lo raggiunge con qualche stento senza smettere di sorridergli. E’ dolce la piega delle sue labbra, forse perfino piena di compassione.

Scoppia un fuoco d’artificio nel cielo e per un istante il mondo si tinge di rosso davanti agli occhi del fanciullo. E’ tutto così spettacolare quando si è infanti.

«Sono belli, i fuochi, Tokitatsu», gli si accosta alle spalle la stupenda donna e gli avvolge un velo attorno al collo per scaldarlo, a mo’ di sciarpa, «Sai, quand’eri più piccolo ti spaventavano tanto... Se non ti fanno più paura, possiamo tornarci anche l’anno prossimo così li vedrà anche il tuo fratellino o la tua sorellina».

«Ma non si spaventerà?», chiede ingenuamente Tokitatsu, gli sorride divertita la madre accarezzandogli affettuosamente il capo e portandosi serena una mano all'ancora non molto pronunciata pancia.

«No», risponde sincera e sicura di sé, un angelico sorriso risplende fulgido nel suo volto, «Non se si sentirà protetto o protetta da un fratellone forte come te».

«Fratellone?», Tokitatsu esulta, gli occhi animati di un'allegra luce, «Mi chiamerà 'fratellone'?».

«Chissà»

«Beh, io non lo chiamerò mai fratellino, se sarà un maschio»

«Oh?, e come mai?»

«Non mi piace. Avrà un nome ed io lo o la chiamerò con quello»

Soffoca una risata la donna e gli bacia una guancia. L’ingenuità dei bambini è senza pari.

«Tokitatsu... La fai una promessa alla mamma?»

«Una promessa?»

«Sì», pronuncia la frase in un sibilo e gli prende entrambe le mani proteggendole tra le proprie, al caldo, «Promettimi che, qualunque cosa accada, qualunque, tu le o gli sarai accanto, anche nei momenti più difficili».

«Devo proprio?»

«Sì. Devi proprio promettermelo...»

 

 

«Tokitatsu»

 

 

«Stai bene?».

Gli si avvicina rapido notandolo in disparte e trascina i sandali sull'erba fino a raggiungerlo. Si gira appena Tokitatsu, gli occhi volti verso l'immenso cielo tempestato di fuochi d'artificio ed ostenta una risata che tuttavia non riesce a non tradire della pura malinconia.

«Ah, ah, che domande fai? Certo che sto bene!»

 

«Stavo solamente–»

Lo stomaco gli si chiude colto da un’improvvisa morsa.

Abbassa lo sguardo.

Stava ricordando.

Ricordava di tempi lontani, tempi andati che non sarebbero mai più tornati.

Ricordava di promesse fatte ad una donna che era comparsa come un'ombra nel suo passato, una creatura che suo fratello non aveva avuto l'opportunità di conoscere. Dolci cantilene che mai più sarebbero tornate, parole di conforto che nessun altro avrebbe potuto più sussurrargli.

Non si stava solo limitando a riesumare delle vecchie memorie.

Stava elucubrando su qualcosa di più profondo, una ferita che da qualche parte nel suo animo era ancora rimasta aperta.

Gli tende una mano e gli fa cenno di avvicinarsi maggiormente.

 

«Fratellino, ricordi la prima volta che ti ho portato qui a vedere i fuochi?»

«Avevo sei anni. Come dimenticarselo», Hirato riprende le sue parole con tono di beffa, ride della sua ingenuità come un tempo aveva riso la madre, «Sei scoppiato a piangere come un bambino».

E’ un sorriso compito quello del fratello ma stranamente bello. Fa riaffiorare nella sua mente una miriade di ricordi, altrettanti ne riporta alla luce l’abbracciarlo ed il percepire i suoi neri capelli di china dai riflessi di ametista tintinnare sulla pelle. Lo rassicurano quei contatti, gli ricordano che non tutto della madre è veramente andato perso. C’è ancora rimasto qualcosa in Hirato e quel ‘qualcosa’ è nel suo sguardo, è nel modo in cui sorride, è nella maniera nella quale ama.

 

«Tokitatsu, perché siamo venuti a vedere i fuochi?», Hirato resta in piedi accanto all’oramai adulto fratello. Un’enorme linea sembra oramai dividere il grande dal piccolo. Tokitatsu si volta appena, resta con il mento teso verso il cielo, come se attendesse una risposta da lui. Ma non v’erano risposte da ottenere, non erano quello ciò di cui il giovane ragazzo andava in cerca. Erano gli occhi della madre quelli che quella sera andava cercando tra le stelle del firmamento. E, quando l’avesse trovati, li avrebbe mostrati ad Hirato e gli avrebbe detto: “Ecco, lassù c’è la nostra mamma”, e l’avrebbe fatto felice.

«Tokitatsu».

E si ricordava di aver scrutato il cielo a lungo in passato, di aver cercato quelle perle del mare notturno come un cacciatore di tesori, non era la prima estate che faceva un cosa del genere. Aveva spesso guardato ogni stella e sperato di scovare in essa qualcosa di familiare.

Quando muoriamo dove andiamo...?”, le parole della madre gli riecheggiavano ancora nella mente, ancora calde, la sua voce era davvero divina, degna di una Dèa, “Andiamo in Cielo e diventiamo tutti una stella”.

«Tokitatsu»

E ricordava di aver cercato indefessamente, quella notte di fine estate di alcuni anni prima, la sua stella ma nessuna sembrava rappresentarla. Lei non c’era, non brillava in quel cielo notturno. Se ne era andata per davvero e prima ancora che potesse realizzare il termine dello spettacolo dei fuochi, la magia era svanita e mentre nel suo cuore era rimasta lascia di un’amara malinconia, sul volto fu più difficile cancellare le tracce di alcune lacrime di dolore.

Hirato in quell’occasione non chiese, non chiese nemmeno negli anni che venirono.

Non voleva essere invasivo ed aveva un profondo rispetto per il dolore del fratello.

Quella sera però, se n’era dimenticato e, per quanto si accorse dell’errore fatto, era troppo tardi per tornare indietro.

 

«Hirato, secondo te quando moriamo dove andiamo?», Tokitatsu fa una domanda, è spiccio ed insolitamente freddo, sta ancora contemplando il vago ed apparentemente vacuo cielo notturno.

«Sotto terra»

Una voce gli risponde coincisa e laconica, non è quella di Hirato, non è quella che tanto conosce bene del fratello. E’ una risposta che si sarebbe aspettato da Akari ma che da Akari non era venuta. Volge la sua attenzione alla figura che ora emerge dal sentiero che conduce alla radura.

«Gareki, pensavo ti annoiasse partecipare alle discussioni di lavoro», Hirato ironizza ma è visibilmente turbato da quella presenza.

«Qualunque discorso si faccia più intelligente di quelli che fa Yogi va bene. Penso dunque che mi tratterrò un po’ qui. D’altro canto...», sibila ed incrocia lo sguardo tagliente e levantino con quello di ametista del comandante, «Non era aria di discussione di lavoro quella che tirava fino a poco fa».

«No, non lo era decisamente,Gareki», riprende cercando di sorridere Tokitatsu, seguendo con lo sguardo la figura del giovane, che ora avanza con passo sostenuto nel buio, il volto illuminato ora dai fuochi rossi, ora da quelli azzurri, «Ma la mia era una domanda retorica. Anche se sono stato felice di sentire il tuo parere».

«Non era un parere», ribatté severo il corvino, «E’ un dato di fatto. Non esiste Cielo per chi muore in questo mondo. Una volta che qualcuno è scomparso, è scomparso per sempre e non ritornerà mai più».

Tokitatsu ascolta scettico, forse è la prima volta che Hirato lo vede alterato, più turbato e scosso del solito da quelle parole. Nonostante ciò, tace. Non la reputa cosa saggia intervenire per fermare le parole dello spavaldo. Ogni tanto è necessario mettere le persone davanti alla realtà dei fatti.

«Ho perso delle persone care», la voce gli si fa per un istante flebile, sembra soffrire veramente a parlarne ma ancora più forte è la forza e l’impegno che ci mette nel reagire, nel celare in ogni modo ciò che prova veramente, «A causa dei Varugas. Loro non torneranno più. Né ora, né mai. Se tutti i giorni mi soffermassi a pensare a loro, finirei per impazzire, i miei ricordi diventerebbero la mia trappola, la mia tomba. Non mi lascerebbero scampo. Bisogna avere il coraggio di gettarsi tutto alle spalle, prima o poi, e di guardare avanti».

«Gareki ha ragione, Tokitatsu». Hirato si limita solo a dire ciò. Non ritiene necessario intervenire oltremodo e vuole assaporare fino in fondo l’espressione stupita del fratello –quanto raro era per lui essere colto alla sprovvista. Il castano piega le labbra in un sorriso, appoggia una mano sulla spalla del ragazzo e lo ringrazia con un sincero abbraccio. Non l’aveva mai visto così spontaneo.

A distanza di tanti anni, Hirato poteva vagamente ipotizzare che la fonte di quella sua malinconia fosse stata la mancanza della madre. Gareki si sente improvvisamente richiamare da Yogi e, come aveva fatto la sua comparsa, subito se ne va portandosi dietro la sua iattante e tracotante aria, la stessa di chi se ne va in giro come fosse una divinità fattasi uomo.

«E’ stato esaustivo?», domanda d’un tratto Hirato avvicinandosi al fratello.

«Credo di sì» commenta in un flebile sorriso Tokitatsu, «E’ un ragazzo abbastanza maturo, a discapito della sua età».

«A differenza di un certo qualcuno...», si lascia sfuggire il corvino con una punta di ironia.

Tokitatsu si volta distrattamente, inarca curioso un sopracciglio.

«Che cosa hai detto...?»

«Niente»

 

Piega le labbra in un sorriso e spontaneamente lo abbraccia stretto a sé.

«Anche se piangi, ti voglio bene, fratellone»

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Capitolo 30
*** Insomnia ***


Titolo: Insomnia
Pairing: Nessuna
Personaggi: Hirato, Tokitatsu
Avvertenze: One Shot

Wordcount: 1025




 

Aprì una bustina di semi di Kirine, con disinteresse prese a masticarli scrocchiandoli sotto i denti. Trascinava le pantofole per la cucina, stanco si muoveva come se avesse avuto al posto dei piedi due blocchi di cemento armato che gli impedivano di spostarsi perfino più del dovuto. S’appigliò ad una sedia e, con immensa fatica, la spostò lasciandovisi ricadere. Un gomito appoggiato sulla tovaglia, gli occhi stanchi volti verso il televisore. Tokitatsu lo guardò preoccupato inarcando un sopracciglio mentre giocherellava con il telecomando tra le mani.

«Nottataccia per il mio fratellino?», chiese ingenuamente scrutando le pesante occhiaie che pendevano dal suo volo puerile, lo stesso di un ragazzo che ha un piede nell’infanzia ed uno nell’adolescenza ma che ancora non è né l’uno né l’altro.

Sfoderò uno dei suoi più severi sguardi Hirato, si passò una mano tra gli spettinati capelli e a malapena gli rispose con toni bassi: «Non ho chiuso occhio per tutta la notte».

«Hai avuto degli incubi?», Tokitatsu non si curava nemmeno delle sue parole, tutto veniva ai suoi occhi normale mentre sollevava dalla ciotola di latte un manciata di cereali con il cucchiaio. Guardava Hirato mentre nervosamente tappettava le dita sopra il tavolo irritato senza riuscire davvero a capire il motivo di tanta tensione.

Ruotò di poco il capo il più piccolo, giusto per spostare l’oggetto della sua attenzione dal televisore al fratello. Non gli disse niente, ma anche solo con il suo silenzio era capace di far intendere tutto. Tokitatsu aveva fatto qualcosa di sbagliato e, anche se attualmente non riusciva a richiamare alla memoria cosa mai avesse potuto provocare nelle recenti ventiquattro ore l’ira di Hirato, era certo di aver per forza di cosa fatto qualcosa.

Posò il cucchiaio ed avvicinò le labbra alla ciotola per bere un po’ di latte.

Con la bocca piena, non sarebbe certo stato obbligato a parlare.

Sorseggiò lento la sua colazione, lo sguardo tagliente di Hirato e le borse che aveva sotto gli occhi rendevano agognante perfino il momento della giornata più sublime del dolce risveglio.

 

«Non hai proprio niente da dire in tua discolpa?», chiese il piccolo dopo una lunga pausa di silenzio. Trattenne il latte in bocca il castano senza ingoiarlo, con il desiderio di prolungare il suo silenzio il più a lungo possibile. «Non capisco proprio di cosa tu stia parlando, Hirato», riuscì finalmente a dire impacciato, un buco nella memoria, nero e scuro, occupava tutti i ricordi della notte precedente. Il corvino sbuffò in un gesto di indignazione, con piglio irritato ma di una fredda e compita rabbia si rialzò. Tokitatsu lo vide scomparire per qualche minuto e scendere dopo non molto con delle pesanti coperte tra le braccia ed un cuscino.

«E-Ehi, ma quelle sono le mie lenzuola!»

«Esatto, Aniki. Sono le tue lenzuola. Questa divano da stasera sarà il tuo nuovo letto»

«H-Hirato, aspetta! Non puoi farlo! Se è per ieri sera, ti prometto che non accadrà più-»

«Accadrà ancora», ribadì Hirato in un alquanto sardonico sorriso che aveva un qualcosa di sadico in sé, «Insisterai ancora una volta perché ti tenga la mano la notte. Farai gli incubi e mi terrai sveglio fino alle cinque del mattino fino a quando non crolli addormentato dal sonno. Dunque, vuoi farti le tue maratone di film horror? Perfetto, guardatele qui in salotto, guardatele finché non ti addormenti, fatti i tuoi dolci incubi ma non osare ancora una volta venire a svegliarmi o implorare la mia manina».

«Scherzerai, mi auguro», disse Tokitatsu incredulo, gli occhi fuori dalle orbite tanto era lo stupore.

Hirato negò con il capo: «Ho forse mai scherzato?».

Il silenzio del fratello parlò per lui.

 

***

 

Si coprì le gambe con il piumone ed appoggiò la schienale al cuscino tirando una sbadiglio. Riluttante guardava la pila di dvd horror che Hirato gli aveva con tanto affetto lasciato sopra al tavolino del salotto. L’orologio segnava le dieci di sera.

 

Erano solamente dei film. Nulla era reale. Tutto era finzione.

Bastava pensare ciò per fare sonni tranquilli.

 

Restò con gli occhi sgranati fino alle quattro del mattino. non aveva più sentito Hirato da quando era salito in camera sua alle nove e mezza in punto. Aveva visto così tanto sangue e splatter che se si fosse messo a raccoglierlo l’avrebbe anche potuto vendere clandestinamente agli ospedali per farci le trasfusioni.

Quando spense la televisione, le mani ancora gli tremavano e nella mente non v’erano altro che gli eco delle urla di gente che veniva ammazzata.

Aveva imparato la lezione?

Decisamente.

Ma ogni scherzo è bello quando dura poco.

Si fece coraggio e, ancora atterrito, risalì lento le scale come se temesse che un passo di troppo o un rumore indesiderato potesse risvegliare qualche creatura omicida della notte o far giungere qualche bestia mortifera. Cercò di entrare nella sua camera ma con stupore si accorse che era chiusa.

«Hi... Hirato?», domandò dapprima con tono cauto bussando timidamente, «Per favore, potresti aprirmi la porticina? Solamente un attimo...».

Restò in attesa. Non ottenne risposta.

Bussò ancora una volta. Niente da fare.

Un improvviso rumore proveniente dall’esterno lo fece sobbalzare.

 

«Hirato, ti prego, aprimi! Ti prometto che non guarderò mai più un film horror in tutta la mia vita!»

 

***

 

Udì un trascinare di pantofole nella prima mattina e non gli venne difficile immaginare a chi appartenessero. Si voltò e con stupore notò Tokitatsu arrancare passi fino al tavolo, le borse degli occhi che quasi gli cadevano fino a terra tanto parevano pesanti, i capelli tutti scompigliati e fuori posto. Quello non era il Tokitatsu a cui era solitamente abituato.

«Nottataccia per il mio fratellone?», lo prese in giro bonariamente.

Alzò lo sguardo Tokitatsu, quasi meditò per un istante se gli avesse convenuto rispondergli oppure starsene zitto.

«Ho passato l’interra notte davanti alla camera, rannicchiato per il freddo, a fare incubi su incubi e tu non ti sei nemmeno degnato di aprirmi la porta! Ed adesso hai anche la faccia tosta di chiedermi se ho dormito bene?!».

«Nessuno ti ha detto che dovevi morire di freddo», puntualizzò cinico Hirato masticando un seme di Kirine, «Potevi anche prenderti la coperta».

 

Lo ammazzò con lo sguardo.

Non c’era dubbio.

 

Suo fratello era il peggiore.

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