Like mercy from Heaven's gate

di kimi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories ***
Capitolo 2: *** Black in Potter suona bene? ***
Capitolo 3: *** Sacrifice ***
Capitolo 4: *** Born. ***
Capitolo 5: *** Inchinati alla morte, Harry ***
Capitolo 6: *** Tradimento ***



Capitolo 1
*** Memories ***


 

"E quindi non ti muovere per tutt'il tempo
in che raccolgo il frutto della mia preghiera.
Ecco, dalle mie labbra, col mezzo delle tue,
è tolto il mio peccato"

[Romeo, Romeo e Giulietta - William Shakespeare]



Ellie Baker aveva sempre guardato da lontano Sirius Black. Non perché fosse brutta, semplicemente non era il tipo che a lui piaceva: bella, senza cervello, una bambola da mostrare a tutti con orgoglio. Infatti, di bambole, nel corso degli anni ce ne erano state parecchie. Ma lei, Ellie, continuava a guardarlo di sottecchi in Sala Comune, mentre leggeva un libro, o magari agli allenamenti di Quidditch.
Per anni Ellie lo guardò da lontano, fino a quando le loro strade non si incrociarono nuovamente.


“Ellie Baker, signore. Da oggi sono la sua nuova sottoposta”
“Come non ricordarsi della piccola Ellie? – Sirius sorrise stringendole la mano – la  strega più giovane e brillante che c’era nei miei anni ad Hogwarts”


Era iniziata così, tra loro, e sembrava destinata a durare: Ellie tirava fuori la sua parte migliore, Sirius la rendeva più forte di quanto mai fosse stata. Passavano giorni interi ad amarsi, a sussurrarsi, a stringersi e a sorreggersi l’un l’altra come se fossero nati per fare solo quello. Si amavano, oh si, si amavano da impazzire.

 

“James e Lily vorrebbero nominarmi padrino di Harry”
“Qual è il problema?”
“Ho paura, Ellie. E se non dovessi piacergli? Amo quel bambino, ma se succedesse qualcosa a James e Lily, io cosa farei? Non sono capace di fare il padre..”
“Imparerai, Sirius” Ellie gli prese la mano stringendogliela delicatamente.
“Facile a dirsi, ma la pratica è tutta un’altra cosa, Ellie”
“Oh insomma, smettila: nessuno nasce sapendo fare il genitore. Credi che James sapesse come cambiare un pannolino prima di Harry? E che Lily sapesse distinguere quando il bambino aveva fame o sonno se scoppiava a piangere? Smettila di sminuirti, se mai dovessi trovarti a fare da genitore ad Harry e quando avremo un figlio, sono sicura che sarai un padre meraviglioso.”
“Dici davvero? Come fai a saper… Aspetta: hai detto ‘quando avremo un figlio’?” Sirius la guardò stranamente eccitato.
Ellie gli sorrise. “Sono incinta, Sirius, tra qualche mese Harry avrà un cuginetto con cui giocare”.


Era il periodo più felice, per Sirius. Harry aveva reso perfetto il matrimonio dei suoi migliori amici ed Ellie lo stava trasformando in una persona migliore. O forse lo aveva già fatto, non capiva ancora quanto fosse cambiato in quegli anni insieme, ma non era più la mina vagante di un tempo, aveva smesso di essere un giovane Casanova alla perenne ricerca di gonne da tirare su.


“Hanno catturato Sirius”

 

Ellie si era nascosta: i tempi erano bui e lei, ormai al settimo mese di gravidanza, non era più in grado di combattere in prima fila come prima. Remus la teneva informata, Sirius non voleva saperne di restare fermo ad aspettare; persino James e Lily combattevano nonostante avessero Harry. Il loro combattere non era servito a nulla, però, il Signore Oscuro li aveva trovati ed uccisi e solo Harry era scampato al massacro; Sirius era impazzito di dolore, aveva sempre saputo che non c’era da fidarsi completamente di Peter e alla fine era partito alla sua ricerca per vendicare i Potter. Era partito lasciandola da sola.


“Non partire Sirius”
“Devo, Ellie, devo. Quel lurido verme, la pagherà per quello che ha fatto! Pensa ad  Harry..”
“E a me non ci pensi, Sirius? A me e a tuo figlio non pensi? Ci prenderemo cura di Harry insieme, ma per l’amor del cielo, resta con noi..” supplicò. Sirius aveva lo sguardo vacuo, il dolore era così intenso da appannare tutto il resto, Ellie compresa.
“Silente l’ha portato via, dalla sorella di Lily. Quella babbana, odiava sua sorella, come potrà prendersi cura di Harry? – ma Ellie non sapeva rispondere alle sue domande. Sirius era un uomo ferito, aveva perso uno dei suoi migliori amici per mano dell’altro: era come perdere un fratello – Tornerò Ellie, te lo prometto. Ve lo prometto.”


Un bacio a fior di labbra. Un bacio sulla fronte e una carezza al ventre rigonfio. L’ultimo momento insieme di Ellie e Sirius.

“E’ una bambina.”
“Sei sicura, Ellie? Vuoi che sia io?” Remus Lupin non credeva alle proprie orecchie. Sgranò gli occhi mentre la donna gli pose in braccio la piccola.
“Si, sono sicura: tu, Remus Lupin, sei il padrino di Cathleen Alexandra Baker Black”


 


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Capitolo 2
*** Black in Potter suona bene? ***


 

[Nei suoi conti con l'uomo, il Destino
non chiude mai il suo bilancio.

Oscar Wilde]

 

 

Era assurdo, non sarebbe mai dovuto capitare: un Grifondoro e un Serpeverde insieme non è umanamente concepibile! Però Albus è un Serpeverde e Scorpius, l’odioso fidanzato di sua cugina Rose, è sempre insieme a loro. Ma lui, James Sirius Potter, non poteva assolutamente perdere la testa per una Serpeverde, nemmeno se la donna in questione era una Black. Ivonne Irene Arthemide Black era terribilmente bella, con un viso dolce incorniciato da ribelli ricci castani ma – come tutti i Serpeverde – aveva un carattere impossibile.
“Potter, mi intralci”. James non si era accorto, perso nei suoi pensieri, che l’oggetto dei suoi desideri più profondi era lì di fronte a lui. Si fece di lato lasciandole il passo ed esibendosi in un buffo e profondo inchino. Joanna, una sua compagna di Casa lo guardò con disprezzo, mentre Ivonne represse una risata.
Fu qualche ora più tardi, nel cuore della notte, che i veri James e Ivonne vennero fuori.
“Dovremmo smetterla di vederci così” le sussurrò baciandole il collo niveo.
“Non eri tu quello che voleva tenere tutto nascosto? Il grande James Potter con una Serpeverde, sia mai: nuocerebbe alla tua fama di gigolò” sbuffò lei scostandosi dall’abbraccio del ragazzo.
James non era inesperto in fatto di donne, ma ci mise davvero qualche secondo di troppo a capire che Ivy - la sua Ivy - era gelosa.
“Zio Ron non la prenderà bene – l’abbracciò da dietro – ma se è ciò che desideri, lo farò: sono pazzo di te.”
“Oh, nemmeno la mia famiglia la prenderà bene – sogghignò lei – il peggior incubo di Draco si è realizzato: suo figlio e la sua figlioccia sono ufficialmente imparentati con le persone che più disprezza al mondo! – prese fiato – Ivonne Irene Arthemide Black in Potter suona bene, vero?” e rise. Una risata così cristallina che James si sentì inondare il cuore e la voglia di baciarla prese il sopravvento; aveva ragione Rosie, quando l’Amore arrivava non guardava se si era Purosangue, Babbani o di sangue misto. L’Amore è amore e lui lo aveva trovato in Ivonne. 

 

 

 

 

NdA

Scrissi di James e Ivy settimane e settimane fa, era nei meandri del mio computer. Ero indecisa, più che altro: Ivonne è una mia creazione, così come lo sono Ellie e Cathleen, non sapevo quanto fossero gradite. Ma mi piaceva l'idea di dare anche a Sirius e James Sirius una persona con la quale condividere tutto, gioie e dolori: si sa, i fardelli - se portati in due - son più leggeri e rendono la coppia indistruttibile. 

 


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Capitolo 3
*** Sacrifice ***


 

 

[L'uomo può sopportare le disgrazie,
esse sono accidentali e vengono dal di fuori:
ma soffrire per le proprie colpe, ecco l'aculeo della vita.

Oscar Wilde



In attesa. Ecco in quale stato si trovava Codaliscia aggirandosi tra quelle quattro mura.

 


“Dimmi Codaliscia, hai nuove notizie per me? Mi auguro di non essere deluso, di nuovo: conosci bene quanto possa essere dolorosa la mia ira..”

 

Lord Voldemort lo aveva ricevuto di buon grado quando aveva annunciato di sapere dove fossero i Potter.


“Si trovano a Godric’s Hollow, mio Signore”

 

Un ghigno crudele si era fatto strada sul volto di Voldemort e, rassicurando il suo più umile e vigliacco servitore di non torcere un solo capello ai Potter, era partito immediatamente: il bambino doveva essere ucciso, subito. Ed eccolo lì, in attesa del ritorno del suo unico Signore.

Peter Minus voleva bene a James e Lily Potter, li aveva legati una sincera amicizia; ma, nel gruppo, era sempre l’ultimo. L’ultimo della classe, la mente meno brillante del gruppo, l’ultimo a riuscire a diventare un Animagus, l’ultimo uomo sulla terra che una donna avrebbe mai considerato. Forse. Minus si sentiva estremamente a disagio con loro, ma continuava a seguirli ugualmente, sperando in un futuro riscatto rispetto ai suoi più coraggiosi e popolari amici. Lord Voldemort aveva visto la sua debolezza e aveva capito come sfruttarla, come trasformare il disagio provato con degli amici cui, nonostante tutto, voleva bene in odio feroce; lo aveva cercato, lo aveva plagiato, piegato al suo volere persino con la forza: non era stato facile piegare quella mente piena di tante sciocchezze come la lealtà verso gli amici. Non era stata una passeggiata, ma ce l’aveva fatta. Codaliscia aveva sperimentato sulla sua pelle ciò che mesi dopo i Paciock avrebbero subito, fino a portarli alla pazzia.

Oh si, il Signore Oscuro sapeva essere molto convincente.


Quando, qualche giorno prima, James e Sirius lo avevano chiamato in gran segreto proponendogli di scambiarsi con quest’ultimo come Custode Segreto, Peter aveva internamente esultato: avrebbe potuto riscattarsi nei confronti del suo Padrone – che stava lentamente convincendosi ad eliminarlo a causa della sua inutilità – rivelando la posizione dei Potter. Voleva bene a James e Lily, ma Voldemort avrebbe ucciso solo il piccolo Harry e – conscio del grande dolore che avrebbe afflitto ai suoi amici – decretò che tra un marmocchio e la sua pelle, era quest’ultima che doveva salvare.

Era un topo in gabbia, ormai.


“Il Signore Oscuro è caduto”


Poche parole e Codaliscia andò nel panico. Doveva scappare: se Voldemort era caduto combattendo i Potter, Sirius e James non avrebbero impiegato molto tempo per capire che li aveva traditi.

Doveva scappare. Subito.

***

“Arthur, hai sentito? Povero bambino..”
“Ho sentito, Molly, al Ministero non si parla d’altro! E nessuno sa che fine abbia fatto, Silente si è occupato personalmente di sistemare il piccolo Potter e del funerale dei suoi genitori: sembra fossero molto amici, lui e i Potter..”
“Non oso immaginare cosa..” ma Molly fu interrotta.
“Mamma, mamma! Ho trovato il mio animaletto magico!” un bimbo dai capelli rossi mostrò orgoglioso ai genitori un topo grassoccio e con un dito mozzato.
“Sicuro, Percy? – il padre guardò attentamente l’animale che il figlio teneva stretto – Bene, si può fare, tanto non potremmo permetterci altro, di questi tempi”.

Arthur Weasley scompigliò i capelli al figlio, continuando a parlare animatamente con la moglie della disgrazia accaduta ai Potter, ignaro che l’animale appena acquistato non era altro che un traditore. 




NdA

Nonostante l'assenza di commenti, ringrazio coloro che hanno messo la storia tra le "seguite" e chi, silenziosamente, segue i piccoli parti della mia mente. Vi ringrazio, ma vi esorto a lasciarmi critiche costruttive, nel caso in cui notaste qualcosa che mi possa essere sfuggito: non siate timidi, non mordo, promesso!

Mary.

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Capitolo 4
*** Born. ***


 

[Ma la notte tardi vieni qui e mi prendi le mani,
il tuo sguardo si fa serio e poi mi parli e dici 
"Questa volta io ritorno per restare, per sempre"
ma finisce che era un sogno, al mio risveglio io ti
cerco e non so dove sei

Dove Sei - Neffa]
 

 

 

Un dolore lontano al centro esatto del petto la pungolava, continuamente, ogni volta che posava lo sguardo su Jacob.


“Dovresti prendere le dovute precauzioni, sai? Non vorrei far diventare nonni i miei genitori prima del previsto, mio padre poi chissà cosa non ti farebbe..” lasciò la frase a metà, guardando divertita il suo uomo mentre si rabbuiava alla sola idea di cosa Sirius potesse fargli se il mese successivo la sua amata bambina avesse annunciato una gravidanza. Inattesa, ma – cosa che lo stupì – lo avrebbe riempito di gioia, come lo era al solo pensiero.


“Pa-pa.. pa-pa!” il bambino cominciò ad agitarsi, picchiettando le manine paffute sul tavolo del seggiolino. Cathleen sbuffò, Charlie sarebbe tornato solo fra qualche ora e suo figlio – loro figlio – smaniava dall’idea di riavere di nuovo suo padre tutto per sé dopo settimane di trasferta.
Come lei, Jacob era biondo cenere, portava quei capelli un po’ più lunghi del solito e si rifiutava di farseli tagliare da qualcuno che non fosse Charlie. Ma gli occhi, oh, quelli erano il marchio di fabbrica della famiglia Weasley: occhi grandi, più tondi rispetto ai suoi e di un bellissimo azzurro cielo; quando Jacob si incupiva diventavano quasi grigi, ma solo al sole si poteva mirare qualche pagliuzza dorata che screziava l’azzurro. Il nasino alla francese e un piccolo taglio a forma di farfalla sotto il mento procurato chissà come, rendevano quel bambino uno dei più bei rampolli della famiglia Weasley.


“Sai che non mi dispiacerebbe?” sussurrò lui, tenendola stretta fra le sue braccia.
Cathleen sussultò. “Non essere sciocco, hai idea della fine che faresti se rimango incinta?”. Il giovane uomo la guardò e assunse un’aria pensierosa.
“Hai ragione, farti rimanere vedova per mano di tuo padre non è una delle migliori idee che mi siano venute negli ultimi dieci minuti”.
“Mmh, e qual è una buona idea?” si girò verso di lui, prendendo il suo viso fra le mani. Il ragazzo non le rispose, non a parole per lo meno. La prese fra le braccia e la baciò. Le sarebbe mancata, il suo ultimo anno ad Hogwarts mentre lei ne aveva ancora due davanti: decisamente, era ora di rifarsi di tutto il tempo che avrebbero perso.



Charlie si smaterializzò a casa giusto in tempo per entrare nella traiettoria dell’omogeneizzato: Cathie non era riuscita a fermarlo e il bambino, rifiutandosi di mangiare ancora quell’orrenda pappetta, l’aveva scaraventata dall’altra parte della sala centrando suo padre dritto in faccia.
“Oddio, scusa!” la sua compagna si diresse verso di lui cercando di reprimere – con scarsi risultati – l’eccesso di risa che l’aveva colta. Era bella, la sua Cathie. Era bella, nel fiore degli anni e ancora non credeva di riuscire a conquistarla. Non dopo la morte di Fred.


Charlie non aveva mai visto Cathleen Black. Ne aveva sentito parlare, aveva avuto occasione di conoscere Ellie e Sirius, ma mai Cathie; si aspettava una piccola snob arrogante, da come ne parlava George: ma forse, il suo fratellino, era di parte: Cathleen gli aveva portato via il suo gemello, lo aveva fatto innamorare ed era geloso di doverlo dividere con lei. Charlie rideva quando George gli raccontava indignato di come Fred occupasse il retro del magazzino in modo inappropriato, ma quando si ritrovò davanti la ragazza, non poté che dare ragione al fratello innamorato: Cathleen non era solo bella, era anche forte, fiera, orgogliosa di ciò che era e di suo padre; combatteva egregiamente, come una leonessa pronta a difendere il suo territorio. Cathleen combatteva di fianco ad Ellie, sua madre, e le vide simili, fiere, temerarie. Pronte a combattere per ciò che amavano – per chi amavano – anche se alcuni di loro erano già caduti. Le guardò di sottecchi, impegnato con gli incantesimi di protezione, e poté capire cosa Sirius vedeva in Ellie e cosa Fred vedeva in Cathleen.


“Oh, non importa, mi sarei comunque dovuto fare una doccia” le sorrise, mentre lei provava a pulirgli il viso dalla pappetta.
“Sai, credo che dovremmo cominciare a dargli del cibo vero: tuo figlio sta diventando alquanto esigente in fatto di cibo e mi sta facendo letteralmente impazzire!” si voltò strizzando l’occhio al bambino.


“Jacob.” Le sussurrò all’orecchio, prima di dividersi per la battaglia finale.
“Come?” Cathie era spaesata: fra tutte le parole di conforto, il suo fidanzato le propinava un nome?!
“Jacob; – ripeté – se sopravviviamo voglio avere un figlio, ricostruire tutto dalle macerie che questa guerra porterà e dargli quel futuro senza pensieri che noi non abbiamo visto. Jacob Weasley sarà nostro figlio” e la baciò, prima di dirigersi verso la sua postazione insieme a George.
Cathleen rimase a bocca aperta per qualche secondo prima di recepire davvero il messaggio, poi gli sorrise in quel modo in cui solo lei riusciva e annuì.
Charlie assistette, in disparte, a quella piccola scenetta: Fred era maturato davvero tanto e vederlo così deciso non poté che renderlo orgoglioso.
Ma il desiderio del rosso non si poté mai esaudire: Fred era morto. Morto col sorriso sulle labbra, come a voler prendere in giro la Morte stessa; era morto un figlio, un fratello, un amico, un amante. Era morto Fred Weasley, carico di sogni, di aspettative, di speranze. Era morto, Molly era in ginocchio accanto a lui nel disperato tentativo di trattenere George; Charlie teneva Ginny fra le braccia, Arthur abbracciava i suoi figli, Ron si era rifugiato tra le braccia di Hermione. Ma Cathleen.. Cathleen era una maschera imperturbabile di dolore: l’espressione seria, gli occhi spenti, la mandibola contratta e le mani che tremavano ma con la presa ancora salda sulla bacchetta. Ellie le si affiancò, rivedendo in lei lo stesso dolore che aveva provato due anni prima alla morte di Sirius, rivedendo le sue stesse reazioni e temendo che, assomigliando molto di più al padre, la sua bambina non avrebbe reagito come lei.



“Insomma, com’è che quando fa i capricci è figlio mio, mentre quando è bravo ed ubbidiente è figlio tuo?” chiese con un’espressione da finto esasperato. La donna rise, allacciando le braccia al collo dell’uomo “Tesoro, devo fare una doccia.. – Charlie la guardò famelico mentre i suoi istinti di uomo si risvegliavano – non credo sia il caso”.
Cathleen si staccò e prese in braccio il bambino, cullandolo dolcemente. Nel giro di qualche minuto Jacob si addormentò, sicuro ormai che anche il suo papà era tornato a casa; Charlie la guardò incantato e si chiese come facesse: quando prendeva in braccio il bambino, Jacob ci metteva secoli per addormentarsi, anzi, più lui lo cullava e più il piccolo voleva giocare. Con Cathie, questo, non succedeva, anzi, Jacob si addormentava subito e riusciva a dormire per ore intere lasciandoli riposare.
“Beh, direi che ora possiamo andare a farci una doccia – sorrise lei, ma allo sguardo corrucciato di Charlie, scoppiò in una leggera e, per quanto possibile, silenziosa risata – Jacob ha usato me come bersaglio al primo round, ne ho bisogno anche io”. Si avviarono, mano nella mano, verso il bagno ben sapendo che sarebbero finiti a fare l’amore nella grande vasca.


Erano passati tre anni dalla morte di Fred, eppure Cathleen non aveva smesso di frequentare i Weasley; anzi, Charlie aveva preso l’abitudine a passare da lei ogni volta che tornava per non lasciarla sola, per farla sentire – a modo suo – amata. Un pomeriggio d’estate, però, Charlie era sbottato.
“Insomma, Cathie, devi reagire! Devi andare avanti, sono passati tre anni, credi che a mio fratello farebbe piacere vederti ridotta così? – si fermò, lei sembrava spaurita – Devi reagire, devi rifarti una vita. Nessuno sostituirà mai Fred, ma sei giovane, non puoi chiudere il tuo cuore all’amore.”
Cathie non rispose, lo guardò di sottecchi e cercò di dire qualcosa, ma con scarsi risultati. Charlie, allora, la esortò a ripetere.
“E’ che – tossicchiò appena, per prendere tempo – amerò sempre Fred, ci sarà sempre una parte di me legata a lui. Solo che mi sento in colpa – Charlie la guardò stralunato e la esortò a continuare – Mi sento in colpa perché sto provando di nuovo qualcosa, è come se il mio cuore stia uscendo da un inverno gelido, ed è sbagliato Charlie, probabilmente io per lui sono solo un piccolo impiastro, lui invece è un uomo meraviglioso e con, decisamente, qualche anno più di me”
Charlie si sentì morire dentro: le era stato vicino tutto questo tempo amandola da lontano, conscio che ciò che le serviva era una spalla amica, non uno spasimante invadente. “Chi sarebbe quest’uomo fortunato?” chiese col groppo in gola.
Cathleen ci mise un po’ per rispondere, solo quando lui stava per perdere la pazienza lo guardò dritto negli occhi e con una sola sillaba gli cambiò radicalmente la vita. “Tu”.



“E’ un maschietto, complimenti! Come lo volete chiamare?” L’ostetrica pose il bambino fra le braccia della madre e fu allora che il neopadre rispose senza indugi.
“Jacob. Jacob Weasley”. Guardò Cathleen e le baciò la fronte mentre lei gli sussurrò un impercettibile “Grazie” pieno di significato. 



 



NdA
Ho impiegato più o meno due settimane cercando di scrivere questa shot, un po' per mancanza di tempo e un po' perché ero indecisa sul bambino. La sua descrizione, in realtà, mi è uscita naturale: è la descrizione esatta del mio Primo Amore, una persona a cui voglio un bene dell'anima ma che avrà sempre uno spazio speciale nel mio cuore anche se ormai l'Amore non c'è più. Ovviamente è sua anche la cicatrice a forma di farfalla: cadere in bici nel centro storico della sua città mentre pioveva ha richiesto una buona dose di ingegno. 

 

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Capitolo 5
*** Inchinati alla morte, Harry ***


 

Chi ci ama, in fondo,
non ci lascia mai veramente.
[Sirius Black]

 

 

“Inchinati alla morte, Harry”. 


Harry Potter aveva sentito per la prima volta queste parole alla prova finale del Torneo Tremaghi in un cimitero, costretto a duellare
con Lord Voldemort. Aveva sempre disprezzato la frase usata dal suo nemico, era come se volesse sbeffeggiarlo, come se gli stesse
suggerendo di salutare la Morte stessa e andarsene con Lei. Di abbracciarla e di soccombere dinnanzi all’immensità del Signore Oscuro.
Si era ribellato, Harry. Oh si, si era ribellato e aveva lottato negli anni successivi, fino a trionfare. No, Tom, Harry non si sarebbe mai
inchinato alla morte.

“Inchinati alla morte, Harry”.

Ci aveva pensato costantemente, nel corso degli anni. Forse, tra tutti i deliri usciti dalle labbra di Voldemort, quella era una frase giusta.
Harry aveva cominciato a pensarci dopo aver fatto visita al signor Lovegood e dopo aver, di conseguenza, conosciuto la storia dei fratelli
Peverell. Ignotus, suo antenato, lo aveva colpito: rappresentava appieno la frase che Voldemort gli disse tre anni prima.

“Inchinati alla morte, Harry”.

E fu così, che durante la sua vita, Harry raccontò più volte ai propri figli e ai propri nipoti ciò che accadde nei suoi anni ad Hogwarts:
non voleva sostituirsi all’insegnante di Storia della Magia, ma cercava di infondere nella sua discendenza la consapevolezza a cui lui
stesso era arrivato solo nell’atto finale della Battaglia.

“Inchinati alla morte, Harry”.

“Ma papà come faremo noi senza di te? Accetta i consigli di zia Hermione, curati, potresti vivere con noi per molti altri anni!” un James
adulto lo supplicò, con Albus e Lily al suo fianco al capezzale del padre.
“Figli miei è ora che io vada e raggiunga vostra madre: è troppo tempo che siamo separati, sapete bene come si arrabbierà per averla
lasciata sola a lungo – Harry sorrise, sdrammatizzando con scarsi risultati – Suvvia Lily, non piangere.. “
Lily singhiozzò più forte stringendo convulsamente la mano del padre. Se Harry provò dolore per la poderosa stretta di sua figlia, non lo
mostrò. “La tua morte fa paura, papà..” Albus strinse la spalla della sorella e abbassò lo sguardo. Harry li guardò intensamente e provò
una forte compassione per quei due uomini e per quella donna che aveva davanti: erano adulti, erano forti, ma la sua malattia li aveva
mostrati in tutta la loro fragilità.
“Prendetevi cura l’uno dell’altro, intesi? James lascio a te il testimone: sostieni Albus, proteggi Lily. E voi due – guardò intensamente i
due figli minori – sorvegliatelo: vostro fratello a volte perde la calma e se non c’è Ivy a frenarlo, voi siete la sua unica e ultima speranza.
– Harry sospirò, guardò oltre i volti dei suoi figli, verso il cielo – Sapete, nella mia vita ho avuto tante volte paura di morire. Ne ho avuta
talmente tanta che ho sempre temuto la Morte, l’ho sempre considerata come una presenza maligna. Ma la Morte è solo un traguardo,
non una fine. Non tornerò come fantasma, lo sapete meglio di me, inizierò un nuovo cammino e vi proteggerò, dovunque io sia. Una frase
babbana dice – e no, non me l’ha suggerita zia Hermione – che chi vive nel cuore di chi resta in vita, non è morire per davvero. Le persone
muoiono solo se dimenticate. Vivete, figli miei, godetevi la vita più che potete e amate chi vi sta intorno perché l’amore è il dono più grande
a questo mondo”.


“Inchinati alla morte, Harry”.

Harry era entrato in dormiveglia già da un po’, subito dopo che James, Albus e Lily se n’erano andati, per l’esattezza. Sentiva che sarebbe
finito tutto quella notte, e infatti.. Una sagoma alta, ossuta, vestita di nero lo osservava ai piedi del letto.
“Sei venuta a prendermi”. Non era una domanda, quella di Harry, era più una semplice costatazione.
“Dubitavi, forse?” a dispetto dell’apparenza, la voce della Morte si rivelò essere dolce e carezzevole come quella di una donna.
“No, sapevo che prima o poi sarebbe successo”. Harry si alzò, o meglio, il suo spirito lo fece mentre il suo corpo cominciava ad arrestare le
prime attività.
La Morte sfilò il cappuccio, rivelando una bellissima donna con lunghi capelli ricci e biondi, occhi rossi e un incarnato pallido. "Mi ricordi un
tuo antenato, sai? Ignotus, l’ultimo dei fratelli Peverell. Un uomo astuto e umile, non ricercò la vita eterna come quegli sciocchi dei suoi
fratelli, ma solo un modo per nascondersi il tempo necessario per vivere. Situazione frustrante per me, non riuscire a trovarlo, ma alla fine,
come tutti, si consegnò a me: si inchinò alla Morte” – La donna sorrise e tese una mano verso Harry. – “Andiamo, Harry Potter, tua moglie
ti aspetta e ti assicuro che per quanto sia fiera di come hai sostenuto i vostri figli, è tremendamente arrabbiata per questa lunga attesa”.
Harry si girò verso il suo corpo mentre allungava la mano verso la Morte. Sarebbe stato un duro colpo per James, Albus e Lily, ma ogni cosa
ha una fine e la sua era arrivata.

“Non abbiate mai paura, figli miei, ma soprattutto: inchinatevi alla Morte come ad un’amica”.

 

 


NdA

E’ una tematica forte, che sento particolarmente per motivi familiari. Leggendo la frase pronunciata da Lord Voldemort, ho sempre pensato
che volesse piegare Harry ad una morte veloce, indolore, da vigliacco. A sostenere questa mia tesi è la reazione che Harry stesso ha: non
si sarebbe mai arreso, se doveva morire lo avrebbe fatto da eroe, combattendo come suo padre. Con il passare degli anni, soprattutto quando
pronuncia la frase “Sono pronto a morire”, credo che abbia capito il vero senso della frase pronunciata da Voldemort anni prima, anche se egli
stesso l’aveva detta con il tentativo di sbeffeggiarlo, impaurirlo e deriderlo mentre tentava di ucciderlo. Inchinarsi alla morte non vedendola più
come una nemica, ma come un punto di arrivo inevitabile della vita. Questo è il senso che ho voluto dare a questa frase. Ah, “vivere nel cuore
di chi resta, non è morire” è la frase che ho deciso di incidere sul marmo quando morì mia nonna: le persone non ci lasciano mai veramente, vivono
nel nostro cuore e finché restano lì non moriranno mai davvero. Il loro spirito, e di questo son fermamente convinta, resterà sempre con noi.
 

 


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Capitolo 6
*** Tradimento ***


[Lasciami, che cosa cambia? 
Che ci facciamo in questo pomeriggio, 
con gli occhi chiusi come una finestra 
davanti al mare azzurro e giallo di Viareggio? 
Lasciami in questo albergo 
di specchi strabici e di tende consumate, 
ad ascoltare l'infinito tango 

del tempo che da inverno ridiventa estate. 

Lasciaminonmilasciare - Marco Masini
]



 
“Vattene!”
“Ivy aspetta, non essere precipitosa..”
Uno schiaffo interruppe gli sproloqui di James Sirius Potter.
“Non ho mai conosciuto una persona più egocentrica ed egoista di te. Non ti voglio più vedere, nemmeno da lontano. Devi sparire dalla mia vita. Non ti voglio più, mai più”. Ivonne Artemide Black non aveva mai conosciuto un dolore così grande, nemmeno l’indifferenza dei suoi genitori riusciva a farla vacillare e a farle perdere il controllo come riusciva il ragazzo di fronte a lei.
James aprì la bocca preso in contropiede, stava per controbattere ma qualcosa lo bloccò. Qualcosa, nello sguardo di Ivonne, gli fece prendere la saggia decisione di non parlare. Ivonne lo guardò con sufficienza un’ultima volta prima di voltarsi e tornare nel suo dormitorio.
 
 
Scorpius non aveva mai visto Ivonne così sconvolta, e dire che suo padre – Draco – quando aveva capito che il cugino cercava di riportare in auge lo stile dei Black a discapito delle figlie, gliele aveva sottratte con la scusa di Scorpius stesso. Ivonne era sempre stata protetta, persino Christine, Veronique e Christophe – i suoi fratelli – nonostante fossero molto più grandi di lei, cercavano di tenerla lontana dalle manie di grandezza dei genitori: Christophe si era innamorato di una babbana e si stava costruendo una vita senza magia, mentre le sorelle erano volate altrove in cerca di amore, come Veronique, e di avventure, come Christine. Ma mai una volta si erano dimenticati le speranze che erano state riposte in Ivonne; così, a turno, se la trascinavano dietro, ma quando era subentrato Draco Mafoy, avevano lasciato che la piccola di casa trascorresse sempre più tempo a Malfoy Manor piuttosto che con gli ultimi diretti discendenti dei Black. D’altro canto Filipe e Margot Black si erano presto dimenticati dell’ultimogenita e si erano lanciati nel tentativo di rifarsi una posizione nell’aristocrazia magica. Con scarsi risultati, ovviamente.
Ivonne aveva patito molto quella situazione: se da una parte i rapporti con i fratelli erano più che ottimi ed era sempre la benvenuta, d’altra parte aveva costruito un muro di ghiaccio col mondo e che i suoi genitori non provavano nemmeno a scalfire. Ivonne era cresciuta con molto amore, ma da chi non aveva diritto ad amarla così tanto. Non era mai crollata, nonostante tutto. Ma quella sera, Scorpius, dovette constatare che anche la sua procugina aveva un cuore e, come accade sovente nelle vicende umane, esso era stato fatto in mille pezzi. Da un idiota. Un idiota di nome James Sirius Potter.
“Ivy.. – Rose, che ormai era un’ospite fissa nella sala comune deserta dei Serpeverde, cercò di consolare la castana – dovresti sfogarti, ti fa male tenere tutto dentro”.
Ivonne continuò a singhiozzare silenziosamente, mentre Rose le accarezzava la testa guardando Scorpius con aria interrogativa. Fu dopo l’ennesimo singhiozzo che la ragazza si alzò e cominciò a scaricare la sua furia su ogni oggetto che intralciava il suo cammino.
“Io lo uccido. Uccido lui e uccido anche quella serpe di Bree! Altro che Grifondoro, il Cappello Parlante doveva smistarla nella sua vera Casa, anche se nemmeno un Serpeverde potrebbe mai essere così tanto doppiogiochista, infido e crudele”. Ivonne stava per distruggere anche il camino dopo aver finito con il salotto, quando Scorpius ebbe la saggia idea di immobilizzarla e strapparle la bacchetta di mano.
“Insomma, si può sapere che succede?” Chiese esasperato.
Ivonne lo guardò come in trance, si sedette e raccontò.
 
Nonostante le cose non sembrassero mutate, erano parecchi mesi che ormai Ivonne e James avevano smesso di odiarsi per passare all’antipodo: amarsi. Si incontravano di notte, nella Stanza delle Necessità, e ogni volta era diverso: ciò che inizialmente sembrava un solo bisogno carnale, si era trasformato in qualcosa di sempre più profondo. Ma James non poteva accettare di essersi innamorato di Ivonne, non di una Serpeverde e non di una Black: lei proveniva da quel mondo che aveva fatto tanto male alle persone cui voleva bene. Suo padre, suo nonno, il padrino di suo padre e di cui portava il nome. Persino zia Ellie non sopportava i Black, nonostante adorasse Christine, Veronique – allo stesso anno di Cathee – Christophe e Ivonne. Come poteva amarla quando rappresentava l’essenza dell’origine del male che era stato fatto alla sua famiglia? Ma se di notte apparteneva ad Ivonne e accantonava ogni pensiero, di giorno ne era ossessionato tanto da distrarsi persino nel Quidditch. E Bree, il capitano, se ne era accorta. James e Bree erano amici: compagni di casa e allo stesso anno, condividevano le gioie e i dolori che si provano vivendo ad Hogwarts. Con pazienza Bree aveva rotto ogni resistenza di James e lui si era confidato. A modo suo, ovviamente. E quando aveva capito che il problema di James era Ivonne, Bree aveva fatto ciò che solitamente fanno le amiche: mediare tra i due. Ma non aveva calcolato quanto Ivonne fosse affascinante e quanto fosse divertente stare in sua compagnia. Erano diventate amiche e la Serpeverde, presa da un eccesso di fiducia, aveva raccontato a Bree ciò che James era restio a raccontare. Solo che, dopo il racconto, Bree cominciò a diventare fredda, scostante, distante. E Ivonne ne soffriva, non si era mai affezionata così tanto a qualcuno, con Bree condivideva tante cose e non si capacitava come due persone così diverse ma che erano così unite, si allontanassero senza motivo. E dopo la freddezza di Bree, arrivò il gelo anche di James. Lui che era come un fuoco che distruggeva tutto ciò che si presentava lungo il suo passaggio, l’aveva carbonizzata. E non di piacere. Ivonne era tagliata fuori, col cuore gonfio di tristezza e di dolore, ma senza capire il motivo.
Fu solo qualche giorno dopo, quando per un malinteso capì che Bree mirava ad essere qualcosa di più per James e che lui ci era cascato come un pollo, che la bomba scoppiò. E ad accenderla fu, senza nemmeno farlo apposta, Albus. James si arrabbiò da matti col fratello, difese Bree allo stremo, ma fu tremendamente crudele con Ivonne. Troppo crudele. E quando Albus cercò di rimediare, il danno era ormai fatto e le scuse di James erano servite a poco. Il cuore di Ivonne era andato definitivamente a pezzi.
 
Ivonne aveva passato la notte insonne, lo sfogo con Scorpius e Rose era servito a poco e l’aveva lasciata con più dubbi che risposte. Non riusciva a capire, non riusciva a capacitarsi di tutto quel casino. Era ancora intenta a rimuginarci sopra quando un biglietto le volò in testa.
 
“Stasera al solito posto e alla solita ora. Ti devo parlare, per favore.
J.S.”
Ivonne lesse col cuore in gola, ma non sapeva se accettare o meno. Decise di lasciare James senza risposta: avrebbe deciso all’ultimo se affrontare il proprio demone di carne.
Quando, quella notte, varcò la porta della Stanza delle Necessità, al suo interno non vi trovò il solito letto a baldacchino con lenzuola morbide e fluttuanti. Non vi trovò specchi cui mirarsi e nemmeno il necessario per tutti quei lievi giochi erotici che entrambi amavano fare, dato che erano due anime nere che si erano incontrate e intrecciate. Questa volta, nella Stanza, trovò solo due sedie e James era già seduto; aveva lasciato ad Ivonne la poltrona rosso sangue in stile vittoriano, bordata di nero e che sembrava tanto comoda quanto austera. James, nonostante provasse ad evocarne una altrettanto confortevole, si ritrovava sempre su una sedia di legno dura e scomoda: forse la verità di Ivy era troppo scomoda da sentire e questo, il Castello, lo sapeva e avrebbe punito James a modo suo.
Ivonne si sedette e squadrò il ragazzo per un tempo infinito, quando lui si decise a parlare.
“Lo so che mi odi, hai tutte le ragioni per farlo, per-“
“Tu non sai un bel niente! – interruppe lei con una calma irreale – Credi di sapere l’inferno che ho passato in questi giorni, credi di sapere cosa io abbia provato nel subire il tradimento di un’amica, perché Bree l’ho sempre considerata tale, quando in realtà non faceva altro che fomentarti contro di me. Non ce l’ho con tuo fratello, ma ce l’ho con voi. Ce l’ho con lei perché non me lo aspettavo, perché non so cosa ti abbia raccontato e mi dà il voltastomaco per il doppiogioco che ha portato avanti per mesi. Ce l’ho con te perché le hai creduto come un pollo, perché ti sei bevuto ogni singola fandonia e invece di parlarne con me, hai lasciato che delle dicerie rovinassero il rapporto. Dio santo, ero solo una scopata e basta?! Ero solo una bambolina su cui sfogare le tue voglie e fingere, il giorno dopo, che andava tutto bene così? E a me hai mai pensato? Hai mai pensato per un singolo momento che dovevi parlare con me, invece di credere al mondo intero senza darmi possibilità di appello? Hai mai pensato che sono una persona?!”
James incassò il colpo. Ivonne aveva ragione, aveva creduto a Bree perché era più facile, perché lei lo capiva, lo consigliava, ma cercava sempre di imporgli la propria visione. Ivonne lo comprendeva meglio certo, ma lo faceva sentire tremendamente inadeguato e non sapeva mai come prenderla eppure non aveva mai cercato di cambiarlo. Certo, era difficile stare dietro ad una persona così scostante e tremendamente lunatica come la Black, ma era la sensazione più viva che aveva mai provato in vita sua.
“Ho sbagliato, non hai idea di quanto me ne penti. Tu sei così irritante, a volte, così scorbutica e aristocralmente snob che mi dai sui nervi – James la guardò con fervore prima di addolcire lo sguardo – ma ogni volta che facevamo l’amore, ogni volta che discutevamo non sono mai riuscito a smettere di pensare quanto tu fossi bella e quanta voglia avevo di strapparti i vestiti e di baciarti a lungo, ogni centimetro della tua pelle, e tenerti stretta. E lo penso anche ora, nonostante senta il tuo dolore addosso che mi inchioda agli sbagli commessi. Io non so se possa definirsi amore, non ho mai amato nessuno all’infuori di me – e Ivonne accennò il primo sorriso della serata – ma sento essere qualcosa di molto vicino. Perdonami Ivy, davvero”.
Ivonne lo guardò pensosa. Come poteva fidarsi ancora di chi le aveva spezzato il cuore? Come permettere a chi l’aveva ferita più di tutti di avvicinarsi nuovamente? Ma decise di provarci, forse – in fondo – ne sarebbe valsa la pena.
“C’è da lavorarci sopra, Potter. E tanto. Non te la caverai così facilmente..”
“Oh lo so – James sorrise, mentre la ragazza si guardava attorno – ma possiamo cominciare già adesso”.
La Stanza stava cambiando per volere di Ivonne: niente più sedie, niente più austerità. Solo un letto rotondo e una finestra sul mare, da cui il profumo di salsedine entrava inebriando i sensi.
 
 
James e Ivonne ci lavorarono parecchio, sulla fiducia. Impararono entrambi che, per quanto il corpo avrebbe sempre parlato di più, dovevano dar voce anche ai loro pensieri e al loro cuore. Ci lavorarono, si. Ci lavorarono una vita intera.  E furono la coppia più passionale e felice che la famiglia ebbe.

 

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