Lezioni di Letteratura: Romeo & Juliet

di Lusio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I° (Tanto per cominciare) ***
Capitolo 2: *** Atto II° (Notte bianca) ***
Capitolo 3: *** Atto III° (Quello che accadde il giorno dopo) ***
Capitolo 4: *** Atto IV° (L'essenza delle cose) ***



Capitolo 1
*** Atto I° (Tanto per cominciare) ***


Atto I (Tanto per cominciare)

 

 

 

- Romeo e Giulietta. Uno dei drammi di Shakespeare più conosciuti e più rappresentati al mondo, assieme ad Amleto e a Riccardo III. La storia d’amore di due giovani che, dopo una serie di vicissitudini, si tolgono la vita.

Nell’aula di Letteratura della Dalton Academy si sentivano solo le parole della professoressa Isabelle Plessis, il rumore che facevano i tacchi delle sue scarpe, lo strusciare delle penne sui quaderni di quei pochi studenti che stavano prendendo appunti. La professoressa Plessis parlava con voce bassa e un po’ roca con un accento che denotava le sue origini francesi e questo era uno di quei piccoli dettagli che avrebbero potuto renderla un facile bersaglio delle burle degli studenti ma nessuno ci avrebbe mai provato, per un semplice motivo: Isabelle Plessis non solo era una donna che sapeva farsi rispettare ma era anche molto affascinate. Lei era la prova vivente di quello che diceva sempre Sebastian sulle donne francesi: “Non invecchiano mai”. E infatti, a sessant’anni, la professoressa Isabelle Plessis aveva un fascino tutto suo: non era alta e aveva un fisico esile e magro, il viso aveva rughe lievi e quelle poche macchie cutanee, indici della vecchiaia, sotto il fondotinta sembravano delle efelidi; la bocca era piccola e poco abituata a sorridere, i capelli, che portava legati in un elegante chignon, erano di un rosso sbiadito, che in gioventù doveva essere stato di una sfumatura più luminosa, con qualche filo argentato sulle tempie; e gli occhi sembravano racchiudere il verde cangiante delle foreste della Francia. Le sue lezioni erano le uniche che Nick e Jeff non interrompessero con chiacchiere o videogame nascosti sotto il banco, anzi erano le uniche alle quali prestassero attenzione… sempre che “fissare insistentemente la prof. con gli occhi da maniaco e la bava alla bocca” fosse sinonimo di “prestare attenzione”. Per non parlare di James Kirk, talmente sicuro dei suoi soldi e del suo fascino, che ci provava con lei in maniera non tanto velata ogni volta che le chiedeva un approfondimento o un consiglio per una ricerca o quando le consegnava un compito, una mano sulla scrivania, una sul fianco, la cravatta allentata e l’occhio ammiccante da playboy. Ma la professoressa Plessis non era tipo da lasciarsi lusingare da simili attenzioni, anzi esigeva il massimo dai suoi studenti e per fortuna riusciva a mantenere vivo l’interesse di chi la ascoltava, modulando la voce in modo da non renderla monotona, camminando per l’aula e rivolgendo domande, di punto in bianco, ai ragazzi. Per questo era l’insegnante preferita di Kurt; a giudicare dal modo di imporsi e dalla dizione, sarebbe stato pronto a giurare che la professoressa Plessis avesse un passato da attrice.

- La storia dei due sfortunati amanti di Verona è talmente conosciuta e ha ispirato così tante storie che molti, al giorno d’oggi, la ritengono “sorpassata” o addirittura “fuori moda”. Ma voler ridurre Romeo e Giulietta semplicemente alla sua superficie è sbagliato e fuorviante. Romeo e Giulietta non è una triste storia di morte ma un inno alla vita in ogni sua forma, alla voglia e alla smania di vivere, all’amore vissuto fino allo stremo. Signor Smythe – continuò rivolgendosi a Sebastian cogliendolo di sorpresa – Signor Smythe, secondo lei perché Romeo e Giulietta alla fine si uccidono?

Sin dal primo giorno, Sebastian era sicuro che la professoressa Plessis avrebbe avuto un occhio di riguardo per lui, essendo lei francese ed essendo lui stesso vissuto per molti anni in Francia, ma si era dovuto scontrare con la realtà dell’intransigenza di quella donna tanto affascinante quanto fanatica dell’educazione.

- Ehm… be’, credo… perché Shakespeare si è giocato la carta del sesso a metà della storia – provò a rispondere Sebastian scatenando tra i suoi compagni un lieve fruscio di risatine maliziose; la Plessis, senza scomporsi, arricciò le labbra in maniera ironica, come se volesse fare il verso a quelli che ridevano.

- Grazie, signor Smythe – disse lei – Adesso mi piacerebbe sentire una risposta da uno che non abbia i neuroni collegati unicamente ai suoi genitali – continuò, zittendo tutti. Riprese a passeggiare tranquillamente tra i banchi, cercando anche solo un guizzo di timido interesse da parte dei suoi alunni. E alla fine lo trovò – Signor Hummel – si fermò davanti al banco di Kurt, in seconda fila – La vedo molto interessato; forse lei sa dirci perché, alla fine, Romeo e Giulietta si uccidono?

- Forse – rispose Kurt, alzando gli occhi dal quaderno pieno di appunti – potrebbe dipendere dalla loro età.

- Ecco, ci siamo! – esclamò la Plessis, portando il dito indice dalle sue labbra in direzione di Kurt – L’età. Dettaglio non trascurabile. Si possono fare pazzie ad ogni età per amore, ma mai come quando hai quattordici, quindici o sedici anni, quando tutto è nuovo e inaspettato. Quando ci si innamora per la prima volta ci si sente in grado di fare tutto, dallo smuovere le montagne allo scrivere  stucchevoli poesie d’amore; si pensa persino di poter morire per amore, uno può trovarlo quasi giusto; perdere la persona che ami ti fa già sentire morto dentro, in un certo senso, e la morte fisica non ti sembra poi così terribile perché hai già sofferto più di quanto potessi immaginare. Se sei una persona matura puoi anche capire che la vita va avanti. Ma quando sei giovane, puoi decidere di lasciarti andare ai colpi di testa, gli altri ti accuseranno di incoscienza ma tu avrai semplicemente seguito la tua natura. Non è d’accordo col mio punto di vista, signor Anderson? – si interruppe notando la smorfia di disappunto che era comparsa sul volto di Blaine.

- No, professoressa, non mi trovate d’accordo – rispose il ragazzo tranquillamente.

- Per quale ragione?

- Non mi riconosco nella descrizione che ha fatto del giovane al suo primo amore. Sicuramente un simile atteggiamento poteva non essere… diciamo pure “strano” anni fa, ma al giorno d’oggi i modi di fare e di pensare sono diversi, le nuove generazioni sono molto più ciniche e si tende a banalizzare certi sentimenti e le priorità sono diventate altre, per questo certe pazzie fatte per amore sono non solo inutili, ma ridicole e patetiche.

- Non vorrei sbagliarmi, ma non è lei, signor Anderson, che qualche mese fa ha fatto una serenata ad un commesso di GAP, per poi ricevere un due di picche, come si suol dire?

 - Ahia! Colpito e affondato, Blaine! – esclamò teatralmente Nick, seduto davanti a Blaine, mentre il resto della classe si lasciava andare ad una risata più libera, con la sola eccezione di Kurt che tenne lo sguardo basso sul suo quaderno, correggendo approssimativamente la posizione di un punto o di una virgola, le guance arrossate… anche se non come quelle di Blaine.

- Sì, lo ammetto, questa è un’eccezione – arrancò con le parole, il ragazzo – Ma non mi sono disperato più del dovuto quando sono stato rifiutato, anzi posso dire di stare bene oggi.

- Forse perché, in fondo, lei non provava nulla di autentico per quel ragazzo – replicò tranquillamente la professoressa Plessis – Chi lo sa, magari prima o poi, tra un anno o anche tra qualche giorno, troverà o si accorgerà dell’esistenza di una persona “più particolare” delle altre, una per la quale varrà la pena di fare qualche pazzia, non morire, certo, ma una di quelle pazzie tipo: spendere una vagonata di soldi per seguirla dall’altra parte del mondo, chiederle di sposarla con una dichiarazione in grande stile. Nella vita non si può mai sapere.

Blaine non rispose.

- Compito per la prossima settimana – continuò la Plessis ritornando alla cattedra – In questi giorni voglio che studiate a fondo quest’opera teatrale e con studiare non intendo semplicemente leggerla e analizzarla ma viverla, trovare qui fuori i sentimenti che sono racchiusi in quel libro: rabbia, amicizia, rivalità, amore. Alla fine non dovrete scrivere nessun compito o saggio. Voglio che parliate, semplicemente e sinceramente.

- Professoressa – fece Trent, alzando timidamente la mano – è molto interessante come compito, ma il fatto è che lo trovo un po’ difficile da fare. Uno avrebbe bisogno di parecchio tempo per accumulare simili esperienze e molti di noi non hanno un minuto libero nemmeno nel fine settimana. Non credo che avremo molto da raccontare la prossima settimana.

- Non è un problema che mi riguarda – lo liquidò tranquillamente la Plessis – Io vi ho assegnato un compito, spetta a voi trovare il modo più adatto per portarlo a termine. E come vi ho detto, voglio che parliate sinceramente, non pretendo la trama di un film adolescenziale.

In quel momento suonò la campanella.

- La lezione è finita. Potete andare – li congedò la professoressa, mettendosi a segnare le presenze sul registro.

- Professoressa – le si avvicinò Jeff, mentre gli altri prendevano le loro cose – Non è che, magari, potrebbe convincere il preside e gli altri docenti ad esonerarci dai compiti e a concederci delle libere uscite per questo fine settimana, così magari potremmo avere abbastanza tempo per fare quelle esperienze che ci sono state richieste dal suo compito. Insomma, anche noi abbiamo bisogno di qualche ragazza; solo perché siamo un istituto maschile non vuol dire che siamo tutti gay…

- Sebbene io ritenga la vostra incoscienza sessuale un argomento molto interessante, signor Sterling – lo interruppe lei, senza alzare gli occhi dal registro – devo ricordarle che la lezione è finita. Le auguro una buona giornata.

Sconfitto, Jeff raggiunse Nick alla porta mormorando un “Ci ho provato” a mezza voce.

Kurt era uscito dall’aula ed era a metà del corridoio quando si sentì afferrare per il braccio e voltandosi di scatto incrociò un ansimante Blaine; doveva aver recuperato i suoi libri e i suoi quaderni in fretta e furia ed essersi scapicollato fuori dall’aula ad una velocità non consentita in un istituto educativo.

- Blaine, ma che ti prende?! – fece Kurt, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo di fronte a lui, che stava cercando di riprendere fiato.

- Non volevo perderti di vista nel cambio dell’ora – rispose Blaine.

- Blaine, quanto puoi essere idiota – replicò Kurt, mollandolo e riprendendo il suo tragitto – Non ho bisogno della guardia del corpo qui.

- No, non intendevo… scusami – incespicò Blaine, seguendolo – E’ che, visto che abbiamo orari diversi per il resto della giornata, volevo sapere cosa ne pensi del compito della Plessis.

- Potevamo discuterne tranquillamente stasera senza che tu mettessi a rischio le tue coronarie.

- Mi conosci – rispose Blaine, ridacchiando – Questo pensiero mi avrebbe ossessionato per l’intera giornata, non sarei riuscito a concentrarmi durante le lezioni e i miei voti sarebbero collassati. Non vorrai mica essere responsabile delle mie carenze scolastiche?

- Dio ce ne scampi – replicò con tono fintamente melodrammatico Kurt – Comunque, devo dire che come compito è veramente interessante, per non dire strano. Al McKinley il massimo a cui si può aspirare in fatto di compiti è improvvisare delle mini scenette recitate tratte dai brani assegnati e solo quando c’è la supplente, la professoressa Holiday.

- Sai già cosa fare?

- No – si limitò a rispondere Kurt con una scrollata di spalle – Tu invece? Hai qualche nuovo commesso di GAP da corteggiare? – scherzò, nascondendo una nota amara nella voce.

- Se fosse possibile, al momento gradirei evitare qualunque cosa che abbia a che fare con l’amore. Pensavo che non esistesse niente di più complicato dell’algebra. E invece mi sbagliavo di brutto.

- Visto così, questo compito sembra l’opera di un sadico… e senza spargimenti di sangue, il che è ancora più terribile. Senti Blaine, domani pomeriggio io e…

Kurt non riuscì a concludere quello che stava dicendo perché si sentì afferrare nuovamente per il braccio, stavolta con più violenza di prima. Senza che potesse nemmeno rendersi conto di cosa stesse succedendo, sentì due dita afferrarlo per le guance e girarlo, poi due labbra umide sullo zigomo e una voce bassa e fin troppo riconoscibile che urlò “Oh Giulietta, mia Giulietta!”

- Ma sei scemo! – sbottò Blaine contro Sebastian che, lasciato Kurt, stava correndo via ridendo come un pazzo – Ti sei fatto male? – si rivolse a Kurt.

- No, tranquillo – rispose Kurt, asciugandosi il punto in cui Sebastian lo aveva baciato e massaggiandosi la mascella – Ho subito di peggio.

- Quello dovrebbe seriamente rivedere le sue priorità – borbottò Blaine, infastidito, guardando nella direzione presa da Sebastian.

- Non dargli retta – disse Kurt, ricomponendosi e riprendendo a camminare – Andiamo o faremo tardi a lezione.

- Cosa mi stavi dicendo prima che “mister Simpaticone” ci interrompesse?

- Ah sì. Domani pomeriggio io e Mercedes andiamo a farci un giro al centro commerciale di Lima: giriamo un po’ per i negozi, ci mangiamo qualcosa, prendiamo in giro le ragazze che spendono tutti i loro soldi in mise orribili – continuò strappando una risatina a Blaine – E volevo chiederti se ti andava di unirti a noi.

- Mi piacerebbe tanto; avrei proprio bisogno di staccare un po’ la spina, ma domani pomeriggio ho il corso extracurricolare di Informatica e il professor Hewet ci tiene alle presenze.

- Ah – si limitò a rispondere Kurt, non riuscendo a nascondere la delusione.

- Ma – fu lesto a rispondere Blaine, notando le labbra di Kurt ridotte ad una mesta linea dritta – magari, se riesco a finire prima, vi raggiungo – si sentiva in grande difficoltà quando Kurt sembrava perdere il suo buonumore, mentre riusciva ad esprimersi con maggior scioltezza quando lo vedeva sorridere. Questo era uno dei tanti motivi per cui Blaine avrebbe voluto avvicinarsi alla psicologia: come riusciva una persona a parlare tranquillamente semplicemente guardando il sorriso di un’altra? La risposta, sicuramente, sarebbe stata uno di quei lunghissimi discorsi complicati pieni di “teoria del tale”, “sindrome del tal’altro” e di “causa derivante dall’influsso dell’oggetto sul soggetto” e di altri mille scioglilingua, Blaine poteva ben immaginarlo.

- Non voglio che tu ti senta obbligato – si schernì Kurt – Era solo un’idea.

- Dai, ti mando un messaggio se mi libero – Blaine non demorse – Te l’ho detto che piacerebbe tanto anche a me venire con voi. Non mi perderei le vostre critiche da stilisti per nulla al mondo.

- Basta che mi prometti di non correre in macchina.

- Promesso, papino – lo sbeffeggiò Blaine dandogli un colpetto con la spalla.

- A proposito di correre – Kurt si fermò davanti alla porta dell’aula di Storia, sul viso un sorrisetto crudele – Io sono arrivato alla mia destinazione ma, se non sbaglio, tu non dovresti essere a lezione di Biologia, adesso?

“Oh cazzo” pensò Blaine; aveva completamente scordato di dover andare nell’aula di Biologia… che si trovava nell’ala opposta della Dalton.

- Penso che ti convenga correre, almeno per questa volta – canticchiò crudelmente Kurt, gli angoli delle labbra di nuovo alti, a sollevare la carne delle guance sugli zigomi.

Blaine non gli diede nemmeno il tempo di finire di parlare che subito si era voltato e si era messo a correre, fendendo la folla di studenti ritardatari, la testa che già era al momento in cui il professore lo avrebbe strigliato per benino per il ritardo; al momento in cui, il giorno dopo, nell’aula di Informatica avrebbe spiato in continuazione l’orologio, aspettando la fine dell’ora; il momento in cui lui, Kurt e Mercedes avrebbero tastato i morbidi maglioncini esposti nei negozi d’abbigliamento, ascoltato gli ultimi successi nei negozi di dischi, detto ad alta voce che non si è mai troppo grandi per entrare in un Disney Store, ingozzatisi di muffin al bar… ok, solo lui e Mercedes, mentre Kurt avrebbe sgranocchiato uno dei suoi “amatissimi” biscotti integrali, salvo poi lasciarsi tentare da una porzione di marmellata; al momento in cui Kurt avrebbe sorriso ancora, perché quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe sorriso anche Blaine.

 

* * *

 

Tra le cose su cui si era espressamente raccomandato Kurt per il suo appuntamento con Mercedes, c’era il dettaglio (importantissimo) di non dire nulla a Rachel: avevano intenzione di prendere di mira principalmente i negozi d’abbigliamento e l’ultima cosa di cui avevano bisogno erano i consigli di una che si ostinava a vestire come una vecchia signora con la fissa per le fiere di paese.

Poterono, quindi, passare quel pomeriggio come ai primi tempi della loro amicizia, quando argomenti ora irrilevanti erano ancora di vitale importanza ai loro occhi di neo-adolescenti.

- Evitando di parlare di scalette e canzoni per le Regionali – disse Kurt, provando un berretto davanti allo specchietto rotondo dell’espositore – come vanno le cose tra le New Direction?

- Come al solito – gli rispose Mercedes che intanto si stava provando una serie di occhiali da sole, di quelli che però servivano a ripararsi dal sole come ultima opzione – Non puoi immaginare cos’è successo questa settimana, poi. Rachel ha detto che qualcuno le ha messo del lassativo nel pranzo alla mensa e ha fatto scoppiare un putiferio: si è messa a dire che qualcuno di noi ha cercato di “sabotarla per soffiarle l’assolo per le Regionali”.

- Tipico di Rachel – commentò Kurt con una smorfia di fastidio al ricordo del carattere da diva consumata di Rachel.

- E dovevi vedere come il professor Schuester la difendeva! Ha attaccato con uno di quei suoi discorsi del tipo “Dobbiamo restare uniti”, “Rachel è la nostra arma vincente”, “Rachel è la reincarnazione della Grande Dea Creatrice del Mondo e dobbiamo farle da zerbini perché non siamo degni di stare alla sua presenza”; insomma, le solite cose.

- Questa è una di quelle cose che non mi mancano del McKinley.

- Alla fine, nella lista dei sospettati siamo finiti io, Santana e Puck anche se sospettiamo tutti di Brittany – concluse Mercedes con una risata; anche Kurt la seguì posando allegramente il berretto al gancio e prendendo la ragazza sottobraccio ed uscendo dal negozio in pieno stile “Mago di Oz” – E alla Dalton come vanno le cose? – si informò Mercedes.

- Sarà anche una scuola a “tolleranza zero per il bullismo”, ma le teste di cazzo si trovano anche lì; e nei Warblers c’è sempre una continua lotta per gli assoli, sembra di avere a che fare con un esercito di Rachel Berry in blazer. Incomincio a credere che tutta quella facciata di gruppo corale formato da super amiconi democratici sia una montatura per confondere gli avversari.

- Sai benissimo cosa voglio dire – replicò Mercedes, alzando gli occhi al cielo – Tu e Blaine siete ancora in modalità “amici e basta” o avete finalmente deciso di diventare “amici che si esplorano le tonsille a vicenda”? – ridacchiò ricevendo per tutta risposta una lieve gomitata nel fianco dal ragazzo.

- Per favore Mercedes evitiamo certi discorsi – sibilò Kurt.

- Perché? – fece lei, stupita – Siete tutti e due giovani, belli, con molte cose in comune e, a giudicare dalle vostre ultime cotte, seriamente bisognosi di un qualche tipo di rapporto più approfondito. Se certe cose non si fanno alla nostra età, allora quando?

- E che mi dici della “tua” vita sentimentale?

A quella domanda Mercedes si zittì, stringendo le labbra in una smorfietta imbarazzata.

- Touché – si limitò a dire – Scherzi a parte, veramente non state provando a far evolvere le cose tra voi due?

- Ma perché dovremmo? Solo perché siamo tutti e due gay? Sì, è vero, non nego di averci fatto un pensiero quando l’ho conosciuto, ma dopo tutto quello che è successo tra noi… sicuramente Blaine aveva ragione: abbiamo una bellissima amicizia, stiamo bene tutti e due così come siamo. A che servirebbe rischiare di rovinare tutto con una relazione che non sappiamo nemmeno se e quanto durerà?

Involontariamente, Kurt concluse quel discorso con un sospiro che gridava a gran voce “frustrazione”, “rassegnazione” e “sono stufo marcio di aspettare”. Se Mercedes gli avesse chiesto se preferiva avere Blaine come amico o come fidanzato o ragazzo, non avrebbe assolutamente nascosto di aver preferito mille volte la seconda opzione, ma se c’era una cosa che la vita gli aveva insegnato, a parte che il peggiore degli outfit poteva passare per un capolavoro della moda se indossato nel modo giusto, era che non c’era niente di più fragile del rapporto esclusivo tra due persone; già un’amicizia poteva avere una data di scadenza che nessuno conosceva e l’amore… stesse modalità ma più doloroso. In fondo, anche questa era una cosa che lui e Blaine avevano in comune: talmente terrorizzati dal pensiero di perdere qualcuno per uno sbaglio da preferire un’amicizia priva di scossoni; e sebbene, in alcuni momenti, sembrasse tutto irreale e di circostanza, Kurt non avrebbe mai rinunciato a quello che avevano.

- E’ meglio così – disse – Lo preferiamo entrambi.

- Se è questo che preferite – replicò Mercedes con un’alzata di spalle – Ciò non toglie che siete due idioti, lui perché dice queste cose, tu perché ci credi.

Proprio mentre Mercedes pronunciava il “ci credi” si sentì il trillo del cellulare di Kurt dalla tasca del ragazzo che lo prese e rispose – Blaine.

- Parli del diavolo – ridacchiò Mercedes.

- Dove sei? – continuò Kurt parlando al telefono.

- Sono entrato proprio adesso nel centro commerciale – gli rispose la voce Blaine – Voi dove siete?

- Siamo al piano di sopra, vicino al bar – rispose Kurt – Ti aspettiamo dentro.

- Spero che non siate ancora andati al Disney Store – continuò Blaine e, a giudicare dal fiatone, stava correndo di nuovo; sempre per raggiungerlo – E, comunque, poco importa; anche se ci siete già stati, ora che ci sono anch’io, è d’obbligo una visita.

- Va bene, piccolino – lo prese in giro Kurt entrando nel bar con Mercedes – Intanto, papà ti ordina un muffin al cioccolato.

- Non ho bisogno di altri incentivi, sto già correndo – rispose Blaine.

Kurt terminò la telefonata con un sorriso per poi vedere Mercedes che lo fissava con un sopracciglio sollevato.

- “Piccolino”? “Papà”? Siete passati ai “giochi di ruolo” con una sola telefonata?

- Oh, guarda Mercedes – Kurt corse ai ripari, già sapendo che l’amica sarebbe ritornata alla carica, indicandole un tavolino – Lì ci sono dei posti con i nostri nomi scritti sopra. Deve essere un segno del destino, andiamo – e la trascinò al centro del bar senza darle il tempo di replicare.

Si sedettero e subito una cameriera munita di una penna e di un block notes si avvicinò a loro per le ordinazioni e proprio mentre Mercedes chiedeva una cioccolata calda e Kurt un cappuccino medio, Blaine “piovve” letteralmente accanto a loro, su una sedia rimasta vuota, e con un tono di voce strozzato che gli usciva dalla bocca aperta in un sorriso a trentadue denti disse – Muffin!

- E un muffin al cioccolato per lui – disse Kurt alla cameriera.

- Facciamo due – disse Mercedes – Anzi tre. Conto sulla presenza di Blaine per farti mangiare come noi, almeno per questa volta.

Il resto della giornata passò in quella maniera doppiamente spensierata per Kurt, con l’amica e l’amico che sarebbe potuto essere qualcosa di più, senza particolari avvenimenti, una giornata alla quale bastano le cose più semplici per rimanere nel cuore di chi la vive. Un muffin condiviso, una corsa all’indietro sulle scale mobili, saltare da un negozio all’altro, spendere un bel po’ di soldi in peluche della Disney.

- Ditemi quello che volete, ma Malefica vale tutte le Principesse Disney – disse Mercedes, ammirando il suo peluche di Malefica – Questa mi terrà compagnia nei momenti in cui sarò di malumore per i problemi d’amore. A proposito di “problemi d’amore” – continuò rivolgendo ai due ragazzi un’occhiata che a Kurt non piacque per niente – con il vostro permesso, dovrei andare alla toilette delle signore.

- E cosa centrerebbe con i “problemi d’amore”? – sbottò Kurt, sconvolto.

- Fidati “cioccolatino bianco”, un giorno mi ringrazierai – Mercedes gli fece l’occhiolino ed entrò nella toilette più vicina.

- Cosa voleva dire? – chiese Blaine, confuso.

- Ha comprato un peluche di Malefica; ha preso una tartina alla carota al bar; è ovvio che è impazzita – disse Kurt, poi notò l’insegna del negozio di fronte a loro: abbigliamento da notte; a quanto sembrava, scrivere semplicemente “pigiami” non sarebbe stato abbastanza elegante – Be’, visto che siamo qui, entriamo un momento. Avevo proprio bisogno di un pigiama nuovo.

I due ragazzi entrarono: quello era un normale negozio d’abiti immerso nell’atmosfera ovattata di un gran hotel che si prepara ad andare in letargo: manichini coperti da morbidi pigiami e vestaglie, scaffali con indumenti piegati a mo’ di cuscini, grucce che esibivano capi d’abbigliamento come le cortine di un letto a baldacchino. Blaine si immerse tra quelle cortine col naso per aria, mentre Kurt buttava un occhio sui pigiami negli scaffali; ad attirare la sua attenzione fu un pigiama di taglio primaverile di stoffa leggera color blu notte, i bottoni del colletto erano di un azzurro nuovo e luminoso. Passò l’indice sul secondo bottone, tastandone la liscia morbidezza un po’ fredda tipica di un oggetto mai toccato. Mentre il dito percorreva quel minuscolo cerchio, gli tornò in mente il ricordo di un gesto simile che faceva quando era piccolo, un gesto rassicurante e denso di momenti a lungo addormentati nella sua memoria. Quattro o cinque anni; sì, doveva avere più o meno quell’età l’ultima volta che aveva passato l’indice su un bottone in quel modo.

- Ah, Kurt! – sentendo la voce di Blaine dietro di sé, Kurt ritirò la mano; voleva mantenere solo per sé quel ricordo – Mi ero dimenticato di dirti che Nick e Jeff hanno organizzato una “notte bianca” per domani alla Dalton; nulla di troppo estremo o chiassoso, vogliono evitare problemi, è solo un modo per passare una notte in compagnia. Naturalmente anche tu sei dei nostri.

- In questo caso, un elegante pigiama nuovo è d’obbligo – rispose Kurt sorridendogli e facendo per rimettersi a cercare tra gli scaffali quando un gesto di Blaine lo bloccò.

Quasi con nonchalance, Blaine passò l’indice nello stesso identico modo, sullo stesso bottone azzurro toccato da Kurt; non poteva averlo notato, anche mentre parlavano Blaine continuava a girare la testa in ogni direzione per vedere la merce esposta. Anche per lui era stato un gesto semplice e naturale. Un’altra piccola cosa che li aveva uniti in un istante della loro storia.

- Mi ricorda il colore dei tuoi occhi – mormorò Blaine guardando il bottone.

Quando uscirono dal negozio per recuperare Mercedes (e anche Malefica) Kurt aveva una busta di carta con il logo del negozio; dentro c’era il pigiama blu notte con i bottoni azzurri.

 

 

 

Nota dell’autore

Salve a tutti, eccomi di ritorno. E come sempre non rispettando quanto detto in precedenza. Avevo detto solo OS per il momento ed ecco che sforno una mini-long.

Be’, non credo che sia un male… dipende sempre se questa ff sarà o non sarà di vostro gradimento.

Da quanto si sarà capito e da quanto scritto nelle note introduttive, questa storia si colloca durante la seconda stagione, con i dovuti maneggiamenti d’autore, presenza di Sebastian in primis; diciamo che mi stuzzicava l’idea di prendere in mano l’inizio della storia d’amore tra Kurt e Blaine e farne un versione “secondo me…”

Non aspettatevi nulla di eclatante; non ci saranno avvenimenti sconvolgenti, colpi di scena ed altro. Stavolta ho preferito puntare sulla portata dei sentimenti dei personaggi. Non sarà un capolavoro di trama ma almeno è qualcosa che sono riuscito a portare a termine, bene o male e senza nemmeno tanti rimpianti o timori. Ma credo che si potrà dire che è una cosa buona solo dal prossimo capitolo.

Il personaggio della professore Isabelle Plessis è ispirato ad una delle più grandi attrici francesi della vecchia guardia: Isabelle Huppert, famosa per aver recitato in film come “La storia vera della signora delle camelie”, “Madame Bovary”, “Il buio nella mente”, “8 donne e un mistero” e “La pianista”. In questa fic. me la immagino così: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=414736711978163&set=pb.162610203857483.-2207520000.1378984224.&type=3&src=https%3A%2F%2Ffbcdn-sphotos-g-a.akamaihd.net%2Fhphotos-ak-frc3%2F970169_414736711978163_539518790_n.jpg&size=289%2C409

Chiedo perdono a chi shippa Niff, ma per il mio solito amore della credibilità non potevo fare una Dalton Academy formata da tanti ragazzi gay, quindi ho dovuto mostrarli etero; ma almeno la loro pazzia (ormai canon, possiamo dirlo) è rimasta invariata.

E ci tengo a precisare che il racconto si Mercedes non è inteso come una presa in giro nei confronti di Rachel ma di Schuester che mi sta scendendo troppo; e poi non sono cose inventate: nelle prime due stagioni lui tende veramente a piazzare in prima linea Rachel e anche Finn.

Non penso di avere altro da dire. Il prossimo capitolo arriverà la prossima settimana, non so se sempre di giovedì o un altro giorno, dipende dai miei impegni. Spero comunque di avervi incuriosito con questa introduzione.

Per qualsiasi cosa, mi trovate alla mia pagina fb:  https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

E se volete pormi qualche domanda mi trovate anche su ask: http://ask.fm/LusioEFP

Ciao a tutti e alla prossima settimana ; )

 

Lusio

 

P.S. Un saluto da Malefica (per gentile concessione della signorina Mercedes Jones)   http://cdn.s7.disneystore.com/is/image/DisneyShopping/1261000440006?$mercdetail$

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Capitolo 2
*** Atto II° (Notte bianca) ***


Atto II° (Notte bianca)

 

 

 

- Per quanto possiamo, concediamoci una botta di vita – aveva detto Nick Duval quando aveva proposto l’idea della notte bianca. I Warblers si sarebbero riuniti nella sala prove passata la mezzanotte per divertirsi “senza eccedere”. Per evitare problemi avevano corrotto Neil, il custode, con una confezione di lattine di birra e una stecca di sigarette per tappargli occhi e orecchie, almeno fino alle tre di notte, massimo le quattro. L’ideale sarebbe stato far entrare qualche ragazza alla Dalton ma ciò avrebbe richiesto più tempo solo per ideare un piano e quella festicciola era una scusa per il compito della professoressa Plessis, o meglio, il compito era una scusa per la festicciola; la professoressa aveva detto loro di “vivere” Romeo e Giulietta? Be’, la festa c’era nel dramma; mancavano le ragazze ma era pur sempre una festa – Aiuterà la componente gay ufficiale e non del nostro gruppo – aveva scherzato Jeff; il resto di loro avrebbe rimediato nel week end quando sarebbero usciti fuori, nel “mondo libero”.

Comunque sia, la notte tra venerdì e sabato, a mezzanotte, tramite messaggi di “via libera” sul cellulare, i componenti dei Warblers uscirono dalle loro rispettive stanze in pigiama, vestaglia e pantofole. Nei corridoi bui, illuminati dal bagliore lunare riflesso sui pavimenti e sulle pareti attraverso le ampie finestre, risuonarono passi leggeri e risatine soffocate lungo il tragitto che portava nella sala prove; a quell’ora di notte, senza le luci, sembrava molto più ampia e spaziosa. Forse ciò dipendeva anche dal fatto che non tutti erano presenti: alcuni avevano ceduto al sonno sopra i libri e i quaderni.

- Bene Warblers – sussurrò Nick modulando la voce in modo da dare l’impressione di una persona con la raucedine che cerca di urlare – Diamo inizio alla nostra “Notte Bianca Shakespeariana”.

- Vediamo di non farci scoprire – intervenne Thad, l’unico del Consiglio presente – Siamo già ai limiti del consentito.

- Per me questo è ancora troppo poco – disse Sebastian, alzando un po’ troppo la voce – Non è una vera festa se non ci sono luci stroboscopiche, birra a fiumi, fumo e bei ragazzi disponibili.

- Sebastian vuoi chiudere la bocca?! Ci sentiranno – gli andò contro Thad.

- Potresti chiudermela tu la bocca, Thaddino caro – sussurrò con voce più bassa Sebastian, riducendo ancora di più la distanza tra lui e Thad – Ti ho mai detto quanto io ti trovi particolarmente invitante quando sei arrabbiato?

- Deficiente – sbottò Thad, spingendolo via.

- Problema risolto, gente – disse Jeff, come se quel breve scambio di battute non fosse avvenuto – Io ho tenuto da parte qualche birra – e posò sul tavolino al centro della sala una confezione di bottiglie di birra.

- Io ho portato gli snack – disse Trent lasciando cadere accanto alle birre il suo carico di biscotti e patatine varie.

- Cerchiamo di non sporcare – intervenne nuovamente Thad.

- Thad, non rompere! – lo liquidò Nick che aveva già afferrato una birra.

- Al fumo ci ho pensato io. Se avete voglia di rollarvi qualche sigaretta, eccovi accontentati – disse James Kirk mostrando una confezione di tabacco ed una di cartine e filtri. A quell’invito risposero Sebastian, Nicholas e, dopo un po’, anche Thad; Nick, impegnato a bere, fece capire con un gesto della mano di lasciarne anche per lui.

Si trovarono quindi divisi in piccoli gruppi dispersi per la sala buia. Chi presso la finestra a fumare, chi al tavolino a mangiare e chi stravaccato sul divano a bere birra e in ogni punto si chiacchierava. E le chiacchiere, come ogni festicciola che si rispetti, vertevano sugli argomenti più futili che potessero esistere.

- Devo ricordarmi che siamo in una scuola maschile; e il mio nuovo abbigliamento da notte non può essere apprezzato come merita – disse Kurt stiracchiandosi sonnacchiosamente sul divano, passando le mani lungo il petto coperto da pigiama nuovo e vestaglia – Credo che lo userò per il prossimo pigiama party con Mercedes e Rachel.

- Per quel che vale la mia opinione – gli rispose Blaine seduto accanto a lui; a differenza di Kurt, aveva una canottiera e i pantaloni della tuta – ti trovo molto elegante; perfettamente intonato con l’ambiente.

- Più di altri sicuramente – commentò sottovoce Kurt guardando gli assurdi boxer di Jeff che venne verso di loro con una bottiglia di birra in mano.

- Ehy, ragazzi – disse porgendo loro la birra – volete favorire anche voi?

- No grazie, io passo – si schernì Kurt – Non riesco proprio a farmi piacere la birra.

- Io ne prendo giusto un poco – disse invece Blaine, prendendo la bottiglia – Solo questa. Preferirei non strafare, non sono un bello spettacolo quando mi ubriaco.

- Allora, visto che vi fate buona compagnia anche tra di voi – fece Jeff, ridacchiando – vi lascio da soli; fate pure quello che volete, tanto non c’è illuminazione e… be’, sapete anche voi cosa ci ha assegnato la professoressa Plessis – e ritornò al tavolo degli snack, non prima di aver fatto loro l’occhiolino.

“Prima Mercedes, adesso Jeff” pensò Kurt; non riusciva a capire per quale motivo sembravano comportarsi tutti come degli aspiranti assistenti di Cupido con lui e Blaine. “Ma una vita sentimentale tutta loro non ce l’hanno?”

- Ti piace Romeo e Giulietta? – gli chiese Blaine, bevendo la sua birra a piccoli sorsi, per riprendere la conversazione – O magari preferisci un’altra opera di Shakespeare?

- Mi piace Romeo e Giulietta ma devo confessare di essere uno di quelli che la ritengono un po’ sorpassata, per colpa dell’eccessivo utilizzo che ne hanno fatto in film e parodie, più che altro.

- Per non parlare degli sketch pubblicitari! – ridacchiò Blaine, facendo ridere anche Kurt – La penso anch’io così, deve essere per questo che preferisco “La Tempesta”: è l’ultima, ha il dramma, ha la commedia, ha il fantastico, ha tutto. Ed è poco utilizzata il che la rende ancora più accattivante. Tu, invece, quale preferisci?

- In tutta sincerità – rispose Kurt, mordicchiandosi il labbro inferiore – non sono molto affezionato alle opere teatrali shakespeariane.

- E perché?

- Prova tu ad apprezzare qualcosa del genere quando ti costringono ad indossare una testa d’asino in una rappresentazione di “Sogno di una notte di mezza estate” alle elementari.

Blaine rischiò di strozzarsi con la birra al pensiero di un Kurt bambino in giubba e calzamaglia e con una testa d’asino di cartapesta che rendeva ogni suo movimento precario e impacciato. Un’immagine divertente e tenera… ma soprattutto divertente. Kurt rispose a quello scoppio di ilarità con un calcio sulla gamba di Blaine che si chiuse a riccio sul divano, cercando di soffocare le risate che rischiavano di diventare troppo rumorose, la mano che sosteneva a fatica la bottiglia.

- Smettila di ridere! – fece Kurt incavolandosi.

- Sì, sì, scusami. Adesso la smetto – disse Blaine cercando di ricomporsi – Ma allora, Shakespeare non ti piace proprio?

- Mai detta una cosa simile. Non vado matto per le sue opere teatrali.

- Ti piacciono i Sonetti, allora – non era una domanda. Blaine precedette Kurt con quell’affermazione.

- Sì, molto – si limitò a dire Kurt, stendendo le labbra in un sorriso al ricordo di qualche verso che più di tutti l’aveva colpito e che teneva conservato nella sua anima. Frusciante come i lembi della sua vestaglia. Gorgogliante come le bollicine nella birra, in quel momento molto più apprezzabile per il contrasto tra il verde scuro della bottiglia e dell’ombra olivastra della mano di Blaine che la stringeva.

- Me ne fai bere un po’? – si permise di chiedergli.

- Avevi detto che non ti piace la birra – disse Blaine.

- Mi è venuta voglia di riassaggiarla. Magari i miei gusti sono cambiati.

Blaine gli allungò titubante la bottiglia, mentre tanti pensieri gli si accavallavano in testa: non c’erano bicchieri, nessuno aveva pensato a portarli, come avrebbe fatto Kurt a bere? Ma Kurt, a differenza di lui, questa volta aveva la testa semi vuota, piena solo di stanze semibuie, bottiglie verdi e occhi nocciola con sfumature d’oro. Prese la bottiglia dalla mano di Blaine senza indugio e se la portò alla bocca. Solo allora ebbe come un risveglio: stava toccando con labbra e lingua una cosa che era stata toccata dalle labbra e dalla lingua di Blaine, ne cercava il sapore attraverso quello acre della birra ma ne avvertiva solo un accenno ferroso che, però, si perdeva. Poteva sentirlo solo perché sapeva che doveva esserci. Senza rendersene conto, aveva bevuto più di quanto era nelle sue intenzioni e, con la stessa velocità con cui aveva preso la bottiglia, la restituì a Blaine che lo guardava con occhi spalancati.

- Ti è piaciuta questa volta? – si informò, incuriosito dal modo in cui Kurt aveva bevuto.

- No – rispose il ragazzo, arricciando le labbra – Confermo quanto ho detto prima: non mi piace – si lasciò poi andare sullo schienale del divano passandosi una mano sulla fronte – Oh, Dio! Mi gira la testa. Temo stia iniziando a venirmi sonno.

- Non sei abituato a bere birra, e ne hai anche bevuta una bella sorsata – disse Blaine strofinandogli una spalla con la mano – Tra un po’ ti passerà, tranquillo. Non credo nemmeno che vomiterai. Se vuoi mi alzo così puoi stenderti un poco.

- No, non voglio rischiare di addormentarmi. E poi, mi sta già passando.

Senza accorgersene, intanto, Blaine si era portato nuovamente la bottiglia alle labbra e l’immagine di Kurt che aveva bevuto a sua volta da quella stessa bottiglia solo due minuti prima lo investì in pieno come un’onda. La saliva di Kurt mischiata alla sua. Tutte e due unite alla birra. Questa volta toccava a lui sentire la testa che gli girava. Un po’ fu contento che Kurt avesse gli occhi chiusi; si sarebbe sentito fin troppo depravato e perverso a bere davanti a Kurt, ora come ora. Ma, forse per l’orario, forse per lo studio dell’intera giornata, forse un po’ per la birra, iniziava a sentirsi stanco anche lui. Chissà tutti gli altri come facevano ad essere ancora lucidi e pimpanti… ok, magari non proprio lucidi.

- Bene, ragazzi – disse Nick tutto ad un tratto – Diamo inizio alle danze.

- Non avrete intenzione di accendere la radio, spero! – saltò su Thad, tossendo, una sigaretta tra le dita.

- Per favore, Thad! – gli rispose Nick, ridendo, indice del fatto che doveva aver alzato un bel po’ il gomito – Siamo o non siamo Warblers? Non abbiamo bisogno della radio. Forza ragazzi.

Con un caos, e una tremenda mancanza di coordinazione nelle loro voci e nelle loro bocche, alcuni ragazzi iniziarono ad intonare, o almeno ci provarono, un motivetto a cappella ma non essendosi messi d’accordo tra di loro vennero fuori tanti motivi diversi. Ma il misto di birra, fumo di sigaretta, snack e sonno rendeva quella confusione armoniosa alle loro orecchie.

- Suonate, gorgheggiate – continuò Nick, euforico – O se non state facendo né l’una né l’altra cosa, ballate, che qui nessuno giudica – e afferrando Jeff per un braccio iniziò a fare con lui la parodia di quello che doveva essere un romantico ballo da sala. L’effetto era quanto mai ridicolo e comico.

- Ti va di ballare? – chiese Kurt a Blaine approfittando della libertà mentale che quella dose di alcol assunta gli aveva dato.

- Perché no? – rispose Blaine incoraggiato dallo stesso senso di libertà. Lasciò scivolare sul pavimento la birra ormai vuota e si tirò su, incespicando lievemente, aiutando Kurt ad alzarsi a sua volta prendendolo per mano.

Colto da una leggera vertigine, Kurt si aggrappò alle spalle di Blaine; in quel momento gli venne da pensare quanto fosse più basso di lui, anche se non esageratamente, e il pavimento in parquet sembrava avesse intenzione di ballare assieme a loro. “Se sollevo entrambi i piedi potrei ritrovarmi sospeso a mezz’aria” pensò “Se anche Blaine lo fa con me, magari potremmo volare insieme come in Casper. Quanto mi piace quel film; e quanto amo quella colonna sonora. Ma i ragazzi cosa stanno cantando? Non importa, fingerò che stiano facendo quella musica. E’ più bello così.”

Quei pensieri si persero nello spazio circostante la sua testa, svuotandola. Si appoggiò completamente a Blaine che lo cinse a sua volta lasciando che i suoi muscoli facciali si rilassassero in un sorriso beato. L’odore di Kurt lo tranquillizzava e lo faceva sentire più allegro; doveva essere il suo bagnoschiuma alla vaniglia. Quanto era morbida la vestaglia che indossava. Non sentiva cosa stessero cantando gli altri, nella testa aveva una di quelle litanie che conciliano il sonno, le note di un carillon, i tasti di un pianoforte. E quell’odore di vaniglia. La curva del collo. La lieve peluria poco prima dei capelli. Il lobo dell’orecchio. La guancia. Era tutto caldo e palpitante, più sensibile. La sua pelle sembrava illuminata eppure la stanza era in penombra. Blaine aveva l’impressione di passare le labbra su una pesca. Una dolce, soffice, calda pesca al profumo di vaniglia. Era tutto così morbido. Tra le sue braccia.

Un mugolio lo riscosse.

Ma cosa stava facendo? Stava abbracciando Kurt? No, anche Kurt lo stava abbracciando; insomma, stavano ballando. Ma Blaine aveva fatto un’altra cosa, senza rendersene conto. Lo aveva baciato. Tra il collo e l’orecchio. Lo aveva baciato!

“Maledetta birra!” pensò con un misto di rabbia, vergogna e frustrazione.

Sollevò la testa e, attraverso gli occhi appannati, scorse, nella penombra della luna, il viso di Kurt a pochi centimetri dal suo; sembrava un bambino, smarrito e disorientato. Blaine si sentì male. Pensò al bacio che Dave Karofsky aveva rubato a Kurt; a quello che Sebastian gli aveva dato, senza veri sentimenti, solo per gioco, l’altro giorno nei corridoi. Adesso anche lui, che gli era amico, che lo rispettava, che gli voleva bene. No, non sopportava di non vedere il sorriso sul volto di Kurt; non sarebbe riuscito a sopportare nemmeno la delusione.

- Dio Santo, scusami – biascicò, lasciandolo andare e allontanandosi verso la porta che conduceva alla toilette. Voltandogli le spalle non si accorse che Kurt teneva ancora le braccia tese verso di lui.

Quando ebbe acceso la luce in bagno rimase per un po’ frastornato dal bianco delle piastrelle dopo quelle ore passate al buio. Sentì un dolore martellante alle tempie e un senso di nausea salirgli alla gola. Brancolò fino al lavandino e iniziò a sfregarsi il viso con acqua fredda portandosi qualche goccia alla bocca per poi sputarla. Era stanco. Adesso aveva solo voglia di andare a dormire, anzi si sarebbe addormentato lì in bagno probabilmente, con la testa appoggiata al lavandino se non avesse sentito la porta aprirsi e, dopo un istante, veder comparire Nick e Jeff dietro di lui, riflessi nello specchio.

- “Buon pellegrino, tu fai torto alla tua mano” – recitò pomposamente Nick buttandosi a peso morto sulla schiena di Blaine – “che ha dimostrato solo devozione e”… e… e la mia memoria si ferma qui, e non credo nemmeno di averlo detto correttamente.

- Nick, per favore, non ho proprio voglia di sentirti scimmiottare Shakespeare – disse Blaine, scrollandoselo di dosso.

- Vorremo solo sapere perché hai mollato il povero Kurt in mezzo alla stanza senza nemmeno aver concluso il vostro ballo – disse Jeff – Eravate così carini.

- Avete visto cosa ho fatto? – sbottò Blaine, che iniziava ad innervosirsi seriamente.

- Cosa? – chiesero gli altri due all’unisono.

- L’ho baciato – rispose Blaine a denti stretti – L’ho baciato sul collo.

- Capirai! – esclamò Nick – Io e la mia ex al nostro primo appuntamento abbiamo fatto sesso.

- Che problema c’è, Blaine? – chiese Jeff – Non mi sembra che a Kurt sia dispiaciuto.

- Non capite – fece Blaine – Kurt non ha dei trascorsi felici con questo genere di cose e che sia proprio io ad oltrepassare il suo spazio personale senza che lui lo voglia… non voglio rischiare di fargli male.

- Te le ha dette lui queste cose? – chiese Jeff.

- Be’, no… ma io penso…

- Blaine, tu non devi pensare! Sappiamo tutti che non è il tuo forte. Pensi davvero che Kurt sia questo essere indifeso che sembra essere a vederlo? Non credo proprio. Fidati, ho lottato contro di lui per un assolo e stava per sbranarmi, letteralmente. Forse lo hai baciato perché hai bevuto qualche birra di troppo, forse perché volevi farlo, comunque la cosa migliore che puoi fare è ritornare in sala e chiedere a Kurt se gli va di parlarne. Parlarne non potrà che farvi bene, in ogni caso.

- E faresti bene a prendere una decisione alla svelta – disse Nick che si era appoggiato allo stipite della porta del bagno lasciata semi aperta e guardava nella stanza con interesse – Sembra che Sebastian abbia intenzione di infilarsi nei pantaloni di Kurt.

E a quelle parole, Blaine sentì il sangue andargli alla testa.

 

* * *

 

A Kurt quella situazione non piaceva per niente. Non capiva nemmeno come si fosse trovato in una situazione del genere. Un momento prima stava ballando con Blaine e quello dopo si trovava, senza capire come, con Sebastian Smythe avvinghiato a lui. Pur con la mente leggermente intontita dall’acol, sentiva benissimo la differenza che c’era tra l’uno e l’altro. Il mondo dolce, delicato, col quale Blaine lo aveva tenuto a sé, facendolo ballare, le mani che gli accarezzavano pigramente le scapole, il modo in cui le sue labbra gli avevano accarezzato il collo, il suo respiro lieve come se avesse avuto paura di turbarlo troppo. E adesso c’erano le mani di Sebastian che tastavano il suo corpo senza tanti complimenti, avvicinandosi un po’ troppo al suo sedere, e la sua voce roca che mormorava sconcezze, che Kurt sperava di dimenticare il giorno dopo, anche se non riusciva a stargli dietro e a capirlo.

- … questa serata da sfigati… la mia stanza… ho voglia… il mio… la tua bocca… culo spettacolare…

- Lasciami stare – biascicò Kurt stancamente, tentando di liberarsi dalla presa di Sebastian; ma quest’ultimo non mollava la presa, anzi sembrava divertirsi.

- Mi eccita… innocenza…

Poi “esplosero” altre voci. Riconobbe subito quella di Blaine che lo strappò dalla presa di Sebastian.

- Razza di idiota! Si può sapere che ti passa per la testa?

- Ehy Anderson, come siamo violenti – replicò Sebastian facendo le fusa – Che ne diresti di una cosina a tre? Tra me, te e Hummel la cosa potrebbe farsi molto interessante.

- Vaffanculo Sebastian! – sbottò Blaine, mettendo in allarme tutti i Warblers ancora lucidi che cercarono di farli stare zitti. In quel momento, una confezione di birra e una stecca di sigarette non sembravano più una sicurezza bastante contro la paura di essere scoperti da qualche professore.

- Ragazzi, basta! Fate silenzio! – sibilò uno di loro, agitatissimo; non Thad che era nell’angolo tra la parete e la finestra con una sigaretta consumata tra le dita e uno sguardo spento negli occhi fissi al centro della sala dove prima stavano Sebastian e Kurt.

Fregandosene altamente, per la prima volta in vita sua, del suo lato serio, composto e maturo, Blaine mandò mentalmente a fare in culo tutti, compreso Neil che si era lasciato corrompere da un gruppetto di adolescenti, e quella “notte bianca”. Continuando a sostenere Kurt, che per fortuna non era poi così alticcio da non riuscire a camminare, pur essendolo abbastanza per essere intontito, girò i tacchi e abbandonò la sala. Per sicurezza zittì Kurt per evitare che facesse rumore, anche se lui si limitava a fissarlo in silenzio, come se lo vedesse per la prima volta.

- Sei più basso di me – biascicò pigramente.

“Sei più basso di me”. “Sei più basso di me”. “Sei più basso di me”. Visto lo stato emotivo in cui si trovava, Blaine avrebbe potuto facilmente lasciarlo lì in mezzo al corridoio, al buio, ma non c’era alcuna cattiveria nella voce di Kurt; aveva semplicemente fatto una constatazione. Sarebbe stato lo stesso se avesse detto “Hai i capelli neri”, “Dovresti usare meno gel”, “Non vedo bene di che colore hai gli occhi”.

- Sì, hai ragione – gli rispose Blaine – Dai, ti accompagno in camera tua – e Kurt gli rispose a sua volta con un infantile verso di assenso.

Dopo altri corridoi e scale in penombra che ebbero il fatale effetto di conciliare il sonno ad entrambi i ragazzi, raggiunsero la stanza di Kurt; era ordinata quanto quella di Blaine (come notò quest’ultimo); aveva lo stesso odore di legno delle altre stanze e teneva le sue particolarità nascoste nell’armadio o sulla scrivania in maniera più discreta e anonima. Blaine fece sedere Kurt sul letto.

- Dormi un po’ – gli sussurrò – Domattina vengo a vedere come ti senti e, se ne hai bisogno, ti porto anche qualcosa per il mal di testa – gli strinse delicatamente le spalle e lo fece stendere, gli tolse le pantofole e lo coprì con il plaid che era sulla coperta. Per lui sarebbe stato naturale, in quel momento, dargli un lieve e fugace bacio sulla tempia ma il ricordo di quello che gli aveva dato sul collo e di quel tentativo di Sebastian di mettergli le mani addosso lo frenò. “Per stasera ha già avuto abbastanza prove del suo magnetismo animale” pensò con un sorriso divertito.

Fece per allontanarsi, credendo di lasciarlo già addormentato ma con il gesto lento e maldestro di chi vorrebbe essere veloce nella stanchezza, Kurt gli afferrò un braccio.

- Dormi con me.

Era stato come “Sei più basso di me”. Semplice e basta. Punto.

- No, non posso – disse Blaine, con il sangue che gli andava alla testa – Non sta bene.

- A me sta bene e anche a te – concluse Kurt trascinandolo su di sé con uno strattone abbastanza forte per la stanchezza di Blaine che prese il sopravvento a contatto col morbido materasso e il plaid.

Kurt lo guidò dietro di sé per poi andare a raggomitolarsi di schiena contro il petto di Blaine e incrociando le braccia di quest’ultimo sul suo di petto, di modo che le dita accarezzassero ancora i bottoni azzurri del suo pigiama nuovo – Tu resti con me stanotte e, se vedrai che mi agito per un incubo, mi sveglierai e poi mi canterai una canzone per farmi fare bei sogni. Sognerò un paesino di villeggiatura, una grande casa d’epoca sul mare, un paesino medievale con un negozio di giocattoli, una piccola bottega di souvenir e una libreria a due piani con le scale di vetro, e una strada di pietra, il cielo un po’ nuvoloso e ci saranno mio padre assieme a mia madre e ci sarai anche tu.

- Sembra bello – sussurrò Blaine nell’orecchio di Kurt.

- Ti piacerà. Ti farò vedere il negozio di giocattoli dove mi portava mia madre; è piccolo ma ci sono tante belle cose… - e si addormentò.

- Ci vediamo lì – sussurrò un’ultima volta Blaine prima di seguirlo.

Poteva già vedere quei luoghi che Kurt gli aveva descritti.

 

 

 

Nota dell’autore

Salvando giusto due o tre paragrafi, non lo ritengo un capitolo all’altezza degli altri. Spero che riusciate ad apprezzare lo sforzo e se trovate degli errori, fatemeli notare senza problemi.

E questa è stata la Notte Bianca dei Warblers. Ammetto che per i loro standard sia stata meno distruttiva del previsto ma, ammettiamolo, nessuno vorrebbe rimetterci il suo posto di studente per una festicciola notturna.

Due cose a random.

Sì, c’è una certa tensione tra Sebastian e Thad.

No, Nick e Jeff non sono una coppia; sono solo una coppia di amiconi fuori di testa.

Non penso di avere molto altro da aggiungere. Spero, naturalmente, che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Se invece l’avete trovato noioso, prometto che mi rifarò con il prossimo, pieno di cose e “cose”.

A proposito, forse il prossimo capitolo arriverà con un po’ di ritardo, visto che è abbastanza lungo e in quei giorni saremo tutti presi dalla 5x01. Non sto nella pelle!!!!!!!!!!! Quindi ho la giustificazione che può e deve essere accettata XD Mi faccio vivo io, comunque.

Ultima cosa. Riguardo al delirio finale di Kurt.

Io do sempre una certa importanza ai sogni e molte volte tendo ad “innamorarmi” di alcuni di loro, nel senso che torno a sognare più e più volte gli stessi luoghi (quelli descritti da Kurt), che non so nemmeno se esistono nella realtà. Diciamo quindi che quando sogno di trovarmi in questi luoghi (reali o immaginari) mi sento tranquillo, sereno e felice. E qui chiudiamo questa parentesi che sicuramente non sarà stata di alcun interesse per voi XD

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A presto

   

Lusio

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Capitolo 3
*** Atto III° (Quello che accadde il giorno dopo) ***


Atto III° (Quello che accadde il giorno dopo)

 

 

 

Si svegliò. Come ogni mattina, senza nemmeno capire come; non che gli importasse. Passare dal sonno alla veglia era ormai una cosa naturale, come respirare, senza starci tanto a riflettere sul modo e le cause.

Blaine aveva ancora nella testa l’immagine di una grande tavola apparecchiata in un salone d’epoca completamente illuminato da tre porte-finestre che prendevano tutte le pareti, mostrando uno sfondo da cartolina: un mare bellissimo. Aveva un ricordo abbastanza nitido di un negozietto con scaffali straripanti di giocattoli che diventava, tutto ad un tratto, una libreria con le scale di vetro. E c’era Kurt con lui, e sua madre (Kurt gliela aveva fatta vedere, una volta, in fotografia) e anche la madre di Blaine. Era uno di quei sogni che ti lasciano pieno di languore, che ti fanno desiderare di non svegliarti più. Poi, un movimento brusco o un lieve rumore, e le palpebre si aprono come un sipario nero bordato di ciglia in disordine.

Il dormiveglia era una delle cose che Blaine amava di più nella sua vita; quei brevi attimi in cui poteva godersi con consapevolezza il sonno. Doveva essersi avvinghiato al cuscino durante la notte. Si sentiva così bene. Si stiracchiò con un mugolio di piacere, avvertendo una conturbante scossa al basso ventre che premé con un certo vigore contro quel cuscino… che non era un cuscino e se rese subito conto. Prima di tutto era fin troppo lungo e, cosa più rilevante, si muoveva, respirava e aveva emesso a sua volta un mugolio quando vi aveva strusciato la sua erezione mattutina, un mugolio che Blaine riconobbe al volo. No, non poteva essere!

Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu la nuca di Kurt, il suo collo e la sua inconfondibile cicatrice. Sapeva di doversi staccare da lui prima che la situazione si facesse ancora più imbarazzante, ma le mani di Kurt stringevano ancora le sue al petto come quando si erano addormentati. Anzi, aveva l’impressione che le stringesse ancora più forte; o forse erano solo i suoi sensi resi più sensibili dal risveglio.

Con uno sbadiglio, anche Kurt iniziò a svegliarsi. Avvertendo il peso di Blaine alle sue spalle, si voltò verso di lui rivolgendogli uno sguardo ancora inebetito dal sonno, ma le sue labbra si stesero comunque in un sorriso.

“E’ Blaine” pensò automaticamente “Di lui mi fido. Con lui sto bene.”

- Buongiorno – gli sussurrò. Gli accarezzò il viso, lo avvicinò a sé e gli diede un bacio; voleva darglielo sulla guancia ma glielo posò all’angolo della bocca.

Blaine avrebbe voluto rispondergli ma dalla bocca gli uscì solo un verso gutturale. Si ricordò, poi, di essere ancora premuto contro Kurt e di avere un’ “alzabandiera” puntata verso il suo sedere. Ok, era sicuramente una delle situazioni più imbarazzanti in cui si fosse mai trovato.

- Scusami… per… - balbettò timidamente, allontanandosi leggermente.

- Non importa – Kurt lo trattenne per le mani – E’ una cosa naturale; ce l’ho anch’io.

Kurt si morse subito la lingua; anche se ora si era mostrato vulnerabile proprio come Blaine. In quel momento erano entrambi fragili e nudi, pur con i pigiami addosso, entrambi sullo stesso piano, uniti da una debolezza umana che li accomunava.

- Oggi niente lezioni? – chiese Kurt cambiando subito argomento.

- Niente lezioni – rispose Blaine.

- Allora, ti va di restare ancora un po’ qui? Non siamo obbligati ad alzarci subito.

Per tutta risposta, Blaine fece per stendersi di nuovo, poggiando la testa un po’ più vicina a Kurt, aspettando un suo “via libera” per farlo; e Kurt gli si accostò a sua volta dandogli tutta la libertà di stendersi. Nessuno dei due si riaddormentò ma rimasero in quella languida sospensione tra il sonno  e il risveglio che, quando divenne più forte, sembrò annullare ogni loro riservatezza; stiracchiandosi, Kurt si mise supino, sempre tenendo a sé Blaine che si ritrovò con il capo sulla sua spalla e una gamba tra quelle dell’altro. E in quella posizione avvertivano l’uno quello che l’altro aveva all’altezza del basso ventre e a giudicare dai sussulti, dai palpiti che da lì provenivano, la modalità “normale erezione mattutina” era stata soppiantata da altro ma fin tanto che nessuno di loro diceva nulla potevano tranquillamente far finta di niente.

Ad un certo punto, Blaine si strinse ancora di più a Kurt.

A sua volta, Kurt lasciò andare la sua mano su e giù lungo la schiena di Blaine, sollevandogli a tratti la canottiera e scoprendogli i fianchi e la base della schiena; per un momento indugiò a far scendere un po’ di più la mano verso i pantaloni della tuta che mettevano in evidenza i suoi glutei ma la tirò indietro, cioè in su, con una tale forza da sollevare quasi completamente la canottiera di Blaine che affondò il viso nell’incavo del suo collo.

- Vuoi che me la tolga? – gli chiese Blaine con voce bassissima.

- No, no. Scusami – rispose subito Kurt riabbassandogliela.

Quei piccoli gesti lasciati a metà li stavano uccidendo; volevano andare un po’ più in là di quanto già avevano sentito ed esplorato ma non volevano varcare i limiti posti dall’altro. Bastava una domanda o una richiesta buttata lì e non si sarebbero più fermati, ma rimase tutto nelle loro menti.

Ti prego, dimmi che posso baciarti, ti prego” pensava Blaine.

Ti prego, chiedimi se puoi baciarmi, ti prego” pensava Kurt.

Continuavano a stringersi ed ogni loro abbraccio si faceva sempre più forte, finché non si trovarono spalla contro spalla, petto contro petto, sesso contro sesso, gambe intrecciate. I visi ora a poca distanza l’uno dall’altro. Man mano coprirono un piccolo tratto fino a quando vi fu solo lo spazio di un’emissione di respiro a separarli.

- Posso baciarti? – sussurrò Blaine con voce roca.

- Sì – rispose Kurt “Sì ti prego fallo subito se non lo fai impazzisco baciami stringimi toccami fammi tutto quello che vuoi ma tienimi con te.”

La distanza fu annullata. Bocca, lingua, respiro, tutto una sola cosa. L’unico suono fu un gemito che poteva essere tanto dell’uno quanto dell’altro e che nascondeva un nome che usciva dal cuore. “Kurt” se era di Blaine, “Blaine” se era di Kurt.

Le mani iniziarono ad intrufolarsi in ogni punto e le gambe si intrecciavano cambiando posizione in continuazione come per mantenere un equilibrio sempre precario. Anche le labbra si separarono per eplorare altri brandelli di pelle per poi ritrovarsi.

- Cosa stiamo facendo? – sussurrò Blaine arrivando all’orecchio di Kurt – Chi siamo adesso?

- Non lo so – gemé Kurt inarcando la schiena e immergendo le dita tra i capelli di Blaine – Ma non voglio smettere.

Continuarono e continuarono, arrivando a perdere il senso dell’orientamento a furia di rotolarsi sul letto per quanto le sue dimensioni lo permettessero, arrivando a perdere le loro stesse identità, non riuscendo più a capire dove finisse l’uno e iniziasse l’altro.

Ad un tratto Blaine iniziò a tremare con violenza, si avvinghiò nuovamente a Kurt che gli rispose con la stessa intensità, e si lasciò sfuggire un verso strozzato che lo fece ricadere ansimante sulla spalla dell’altro ragazzo che, ancora fremente e scosso anch’egli da brividi, iniziò a massaggiargli la cute immergendo le dita tra i suoi capelli neri liberi dal gel per una volta. Si sentivano bene tutti e due; dormire ancora un po’ sarebbe stato l’ideale.

Ma Blaine si rese conto subito dello stato in cui versavano i suoi pantaloni e soprattutto del fatto che si trovava praticamente disteso su Kurt.

- Cosa c’è? – chiese Kurt, turbato, notando che Blaine si staccava da lui e si raggomitolava su se stesso tentando di nascondere il risultato della sua vergogna.

- Scusami – si lamentò il ragazzo, con le orecchie che gli si arrossavano in maniera impressionante – Non sono riuscito a trattenermi… temo di aver sporcato il tuo pigiama nuovo…

- No, non importa – replicò Kurt timidamente – Me lo sono sporcato da solo – e, tenendo sempre gli occhi bassi, scostò i lembi della vestaglia che indossava ancora mostrando una macchia scura e umida simile a quella che anche Blaine aveva. Si mostravano ancora nelle loro debolezze, nelle loro fragilità.

- Credo che dovremo darci una ripulita e cambiarci – propose Blaine torturando un lembo del lenzuolo.

- Potrei farlo un attimo io così, mentre usi tu il bagno, andrò in camera tua a prenderti dei panni puliti – disse Kurt – Ti va bene così?

- Sì certo, come vuoi tu.

Kurt si alzò dal letto e si diresse con passo veloce verso il bagno, chiudendo la porta alle sue spalle. Blaine, invece, si lasciò ricadere sul letto in disordine; il cuscino aveva l’odore dei capelli di Kurt e ora anche dei suoi mischiati insieme mentre le lenzuola conservavano quello più acre e muschiato del loro sudore e di altro; in sottofondo c’era il rumore dell’acqua che scorreva nella doccia. Con quel mix di ingredienti, Blaine si assopì nuovamente. A risvegliarlo (gli era sembrato che fosse passato solo un secondo) fu Kurt, con i pantaloni e la camicia della divisa addosso; Blaine si ritrovò a pensare che il preside avrebbe dovuto dare a Kurt il permesso di vestirsi così invece di indossare la divisa completa con blazer e cravatta.

- Ti vado a prendere i vestiti puliti – disse Kurt strofinandogli una spalla – Tu, intanto, va’ pure a lavarti.

Voglio che mi baci.”

Rimase una preghiera inespressa sulle labbra di entrambi. Si limitarono a stringersi la mano, giusto per permettere a Blaine di alzarsi e a Kurt di allontanarsi dopo aver preso la chiave.

Mentre lo vedeva uscire dalla stanza a testa alta, con le spalle dritte, lievemente delineate attraverso le pieghe della camicia, Blaine pensò che Jeff aveva ragione: Kurt era più forte di quanto credeva.

 

* * *

 

Quella mattina Kurt avrebbe dovuto mantenere il freno inserito per non correre e saltare per i corridoi della Dalton come un bambino dell’asilo. Riusciva solo a pensare  “Blaine Blaine Blaine” e a mille e mille baci. Lungo il tragitto tra la sua stanza e quella di Blaine non si accorse neanche di chi gli passava davanti o di fianco, un bidello intento a lavare il corridoio, la faccia assonnata di qualche studente che faceva capolino da una porta, uno un po’ più mattiniero che si dirigeva alla mensa per la colazione o ritornava da una corsetta mattutina, la totale assenza dei Warblers, sicuramente ancora addormentati dopo la loro “notte bianca”, non sentì neanche lo strepito e la confusione che provenivano dal piano di sotto. Arrivato, Kurt andò dritto diretto al settimino dove era sicuro di trovare i vestiti di Blaine; ovvio che sapesse dove mettere le mani: sia lui che Blaine passavano sempre tanto tempo insieme, nella stanza tanto dell’uno quanto dell’altro, a studiare, a parlare, ogni tanto a guardare qualche film che si portavano da casa, dopo il fine settimana ( a proposito, dopo avrebbe telefonato a suo padre per dirgli che andava tutto bene; si era dimostrato un po’ apprensivo quando gli aveva fatto sapere che non sarebbe tornato a casa sabato). Nel primo cassetto trovò la biancheria; prese un paio di boxer e lo infilò velocemente tra la camicia e i pantaloni che già aveva preso. Non era il caso di farsi cogliere da ulteriore imbarazzo, in fondo lui e Blaine erano… stop.

Cosa stiamo facendo?” aveva detto Blaine ed entrambi lo sapevano benissimo anche se non avevano avuto il coraggio di dirlo a parole.

Adesso Kurt si chiedeva “Cosa siamo noi?” Cos’erano loro? Alla luce di quanto era successo, cos’erano diventati? Amici lo erano ancora forse, ma non come prima sicuramente. In quei pochi minuti quanto avevano visto l’uno dell’altro! Più di quanto consentiva il loro status. Adesso sì che Kurt iniziava ad avere paura. La loro amicizia…

Dovevano parlare. Gli avrebbe portato la roba pulita e, quando si sarebbero schiariti le idee tutti e due, avrebbero parlato… o, almeno, avrebbero tentato di trovare il coraggio di parlare. Passando davanti alla scrivania l’occhio gli cadde su un volumetto dalla copertina spiegazzata: i Sonetti dell’amore oscuro di Federico Garcìa Lorca, con un segnalibro in mezzo alle pagine. Con una mano libera lo aprì al punto in cui Blaine doveva essere arrivato e lesse:

 

Tu non capirai mai quanto ti amo

perché dormi in me e sei addormentato.

Io ti nascondo piangendo incalzato

da una voce d’acciaio penetrante.

 

(…)

 

Ma continua a dormire, vita mia.

Senti il mio sangue rotto sui violini!

Guarda che ci spiano ancora!*

 

Abbiamo letto tutti e due questo sonetto, anche se in momenti diversi” pensò, posando nuovamente il libro “Anche questo è importante, almeno per me.”

Uscì dalla stanza e, con lo stesso passo di marcia, ritornò indietro, ma prestando un po’ più di attenzione a quanto lo circondava e questo gli diede la possibilità di avvertire il chiasso proveniente dal piano di sotto: ad ascoltare meglio si potevano distinguere le voci di Thad e di Sebastian. Chissà cos’altro era successo? Forse le solite cose: Sebastian avrà tentato di infilare le mani nei pantaloni di Thad e quest’ultimo si sarà messo a sbraitare.

Con una scrollata di spalle, Kurt filò dritto e ritornò in camera sua; Blaine non era più sul letto e dal bagno non si sentiva il rumore dell’acqua. Magari stava aspettando lì i panni puliti prima di lavarsi.

- Blaine – Kurt aprì a metà la porta del bagno, tenendo in mano i vestiti; un veloce movimento lo spinse a voltare lo sguardo verso la parete di mattonelle bianche lucide ma la sua mente registrò ugualmente Blaine, bagnato, appena uscito dalla doccia, che si copriva le intimità con un asciugamano e la curva soda dei suoi glutei. Tanto bastò a far ribollire il sangue ad entrambi e in punti dei loro corpi che era abbastanza difficile non far notare – Ti… ti ho portato… i vestiti – continuò Kurt mostrandoglieli, non sapendo dove posarli.

- Appoggiali pure lì, sul lavandino – gli venne in aiuto Blaine tentando di coprirsi meglio. Kurt entrò in bagno, sempre cercando di guardare qualunque cosa tranne il corpo, nudo e lucido per l’acqua, di Blaine, e sistemò i vestiti ben ripiegati sul bordo del lavandino, sperando che non cadessero né all’interno né all’esterno.

Fatta questa operazione, Kurt si voltò per uscire ma, arrivato sull’uscio della porta, quella che avrebbe definito una “scarica elettrica” lo fece voltare proprio mentre Blaine faceva lo stesso. Gli sembrava di vedere un quadro d’autore che aveva preso vita: il ragazzo voltato che gli restituiva uno sguardo languido da sopra una spalla, incurante della sua nudità, il mento alto, la schiena muscolosa, la spina dorsale che scendeva come un ramo fino alla linea che divideva i glutei, le braccia che tenevano sospeso l’asciugamano all’altezza del petto, e che terminava all’altezza dei fianchi.

Non interrompendo il legame che si era instaurato tra i loro sguardi, occhi verde azzurri con occhi castano dorati, Kurt chiuse la porta. I loro cuori sembravano sul punto di esplodere.

- Dobbiamo parlare – si disse Kurt premendosi il petto con una mano.

Ma non parlarono quando Blaine uscì dal bagno, pulito e vestito; avevano bisogno di mangiare qualcosa prima.

E non parlarono nemmeno dopo colazione; Kurt dovette rispondere ad una chiamata di suo padre.

E quando Kurt terminò la chiamata… nessuno dei due volle parlare.

- Posso baciarti ancora? – gli chiese Blaine, con una sfacciataggine che non si sarebbe mai sognato di avere, andandogli vicino.

- Perché non me lo hai chiesto subito? – gli soffiò Kurt sulle labbra.

 

* * *

 

Il chiasso che Kurt aveva sentito mentre ritornava nella sua camera (la prima volta non ci aveva fatto caso quindi non la ricordava), proveniente dal piano di sotto era nato davvero da una lite tra Thad e Sebastian ma non per il motivo che aveva ipotizzato.

Era iniziato tutto all’alba, dovevano essere quasi le sei di mattina. Per tutto il resto della “notte bianca” Thad se ne era rimasto in disparte, lo sguardo cupo, una birra che non aveva toccato nemmeno una volta e una sigaretta che si consumò, inutilizzata, tra le sue dita; i Warblers presenti non capirono come andarono le cose, semplicemente, ad una certa ora, alcuni avevano seguito l’esempio di Kurt e Blaine ed erano andati a dormire (sempre che non fossero già crollati sul divano come Nick), e anche Sebastian era uscito. Accortosi della sua assenza, dopo un bel po’, anche Thad era uscito.

Lo cercò per tutto il dormitorio, ma non fu capace di trovarlo da nessuna parte; arrivò a puntare persino le orecchie contro la porta della camera di Kurt temendo di sentire qualche verso equivoco che avrebbe confermato la presenza di Sebastian, ma da lì non proveniva nessun rumore. Terminato il dormitorio, Thad passò in rassegna i bagni di ogni piano. Alla fine arrivò a quelli della palestra. Il caso volle che proprio in quel momento Sebastian ne uscisse con quella che doveva essere la sua conquista di quella notte: un ragazzino del primo anno, con la faccia da Bambi sperduto nella foresta, che impallidì appena vide Thad.

- Tornatene nella tua stanza se non vuoi beccarti una sospensione – lo minacciò lo studente più anziano e la matricola, troppo spaventato per replicare, sgattaiolò via a passo lesto.

- Grazie mille, Harwood – ridacchiò Sebastian sornione – Mi hai evitato il fastidio di liquidarlo. Non so se già lo sai, ma più sono giovani più sono fastidiosamente sentimentali e appiccicosi…

- Francamente, Sebastian – lo interruppe Thad rudemente – non me ne importa un accidente dei retroscena delle tue storie da una botta e via. E’ meglio se la finisci qui e te ne vai in camera tua – e fece per voltarsi e andare via ma la domanda di Sebastian lo frenò.

- Perché?

- Perché non è ancora l’orario per andare in giro per la scuola – rispose Thad voltandosi nuovamente verso di lui.

- Ah sì? – ridacchiò Sebastian mettendosi nella sua posa da predatore: gamba destra in avanti, mano sinistra sul fianco, spalle buttate all’indietro, testa di lato, bocca socchiusa dalla quale si poteva intravedere la lingua.

- Sebastian, non ho voglia di giocare – replicò Thad, cercando di non lasciarsi distrarre dai modi di fare del ragazzo di fronte a lui – Va’ a dormire.

- Non ho sonno.

- Fa’ niente. Tornatene in camera tua.

- Non ne ho voglia.

- Va’, ti ho detto.

- Chiedimelo come voglio sentirmelo dire.

- Sebastian, adesso basta.

- Cosa “basta”? I capricci che faccio? Il fatto che ti tengo testa?

- Questo tuo modo di fare. Questa tua maniera di trattare tutti come giocattoli. Il fatto che tu sia vuoto e fatuo – scattò Thad, sbattendo un piede a terra.

- Hey, non ti azzardare neanche a dirmi che sono vuoto o fatuo – replicò Sebastian punto sul vivo, avanzando verso Thad, non più seducente ma minaccioso.

- Ecco, bravo, mostra un po’ di rabbia – Thad avanzò ulteriormente verso di lui – Mostra qualcosa di diverso una volta tanto, così almeno mi dimenticherò per un po’ di quanto tu non abbia nulla dentro a parte i cazzi che ti fai mettere nel culo.

E quelle ultime parole, dettate da uno sfogo da molto tempo soffocato, furono seguite da urla, parolacce, offese, spinte e pugni. Quel baccano richiamò l’attenzione degli studenti mattinieri, dei bidelli, di alcuni professori; di lì a dieci minuti, Thad e Sebastian si trovavano nello studio del preside, di cattivo umore per essere stato tirato giù dal letto per quella “vergognosa schermaglia tra studenti”, come gli era stato riferito.

- Rarissime volte si è assistito ad una lite così volgare e così vergognosa tra le mura di questo istituto, e mai una volta da quando io ricopro la carica di preside – disse l’uomo rosso in viso per la rabbia trattenuta a stento – Non mi aspetto nemmeno di sentire delle giustificazioni; non ci sono scusanti per come vi siete comportati e mi meraviglio maggiormente del fatto che si sia trattato proprio di voi due. Signor Harwood, lei che è capoclasse ed è anche uno dei migliori del suo anno. E lei, signor Smythe, lei che è figlio di un membro del governo…

- Io non centro nulla in tutta questa faccenda – si intromise Sebastian – Semplicemente, il “signor Harwood” dovrebbe imparare ad avere un po’ più di autocontrollo.

- E il “signor Smythe” – replicò Thad, fulminando l’altro ragazzo con lo sguardo – dovrebbe imparare a riconoscere i limiti della decenza.

- Silenzio! – saltò il preside, sbattendo una mano sulla sua scrivania – Non ho intenzione di assistere ad un altro battibecco infantile. Ora voi due mi spiegherete cosa è successo tra di voi…

Il preside fu interrotto da tre colpi alla porta e l’eleganza che trasudava quel bussare fece capire subito ai tre di chi si trattava. All’ “Avanti” del preside, infatti, la porta venne aperta dalla professoressa Isabelle Plessis, vestita di tutto punto; l’assenza di orecchini, ciondolo e gemelli ai polsini della camicia e i capelli rosso sbiadito che le cadevano lisci sulle spalle e non raccolti nel solito chignon denotavano la sua fretta di presentarsi nello studio del preside.

- Oh, buongiorno mademoiselle Isabelle – la salutò cordialmente il preside, alzandosi; anche lui, come tutti, non era insensibile al fascino della professoressa Plessis.

- Buongiorno signor preside – rispose la Plessis – Scusate la mia intromissione ma…

- Ma per carità, mia cara mademoiselle** - la interruppe il preside, passandosi una mano tra i folti capelli grigi – Vederla è sempre un grandissimo…

- La dispenso dal farmi i complimenti, preside – lo interruppe a sua volta la Plessis, freddandolo con il suo atteggiamento noncurante e distaccato – Le stavo appunto dicendo che, appena ho saputo quanto era successo e che il signor Smythe e il signor Harwood erano coinvolti mi sono sentita in dovere di venire subito da lei. Signor preside, credo che questi due studenti e le loro azioni debbano essere posti sotto la mia responsabilità.

Sebastian e Thad, per un attimo, si guardarono sconcertati per poi fissare la professoressa Plessis che sembrava più interessata ad aggiustarsi le pieghe della gonna che ai presenti.

- Potrebbe spiegarsi meglio, mademoiselle Isabelle? – si azzardò a chiederle il preside, schiarendosi la voce con un leggero colpo di tosse.

- Vede, ho assegnato alla mia classe di Letteratura, della quale fanno parte questi due signorini, un compito di “immedesimazione e assimilazione”, se così possiamo chiamarlo, sul testo di Romeo e Giulietta; evidentemente Harwood e Smythe si saranno lasciati coinvolgere eccessivamente dai ruoli di Tebaldo e Mercuzio. Riconosco che la colpa di quanto è accaduto è prima di tutto mia: ho dato per scontato che i miei studenti fossero abbastanza intelligenti da capire quali sono i limiti dell’immedesimazione e dell’interpretazione; questo è uno dei motivi per i quali sono sempre stata dell’idea che la recitazione debba rientrare tra le materie dell’obbligo nelle scuole. Comunque, tornando a noi, signor preside le chiedo scusa per l’increscioso errore nel quale, a causa della troppa fiducia riposta in un intelletto inesistente, putroppo, in questi giovani, sono caduta.

Quel discorso, imbastito di uno stile fin troppo teatrale, tolse ai tre presenti la facoltà di replicare o anche solo di articolare una parola. Rimasero tutti zitti per alcuni secondi, dando ad Isabelle Plessis il tempo di rimettersi a posto un bottone del polsino sgusciato dall’asola.

- Vuol dire, quindi – chiese, titubante e con una punta di sollievo, Sebastian – che non verremo puniti?

- Molto divertente signor Smythe – disse la Plessis, con il suo agghiacciante sarcasmo – Sono certa che, durante le ore di punizione che le darò, avrà tutto il tempo di ideare qualche altra battuta di bassa lega.

- Ma ha detto… - tentò di replicare Sebastian.

- Ho detto che l’origine della colpa è mia, quindi è mia responsabilità punirvi. Se il preside permette gradirei iniziare subito; i giorni festivi sono importanti per i giovani, ma lo sono ancora di più per noi che ci avviamo sul viale del tramonto. Le auguro una buona giornata, signor preside. Signor Smythe, signor Harwood, abbiate la compiacenza di togliervi dalla faccia quelle espressioni da pesci addormentati e seguitemi.

Quando Sebastian e Thad si riscossero dal loro stupore, la professoressa Plessis era già uscita dallo studio del preside, il quale era ricaduto pesantemente sulla sua sedia, smarrito; i due ragazzi, decisi a cogliere l’occasione, forse meno peggiore con la Plessis che con il preside, si affrettarono ad uscire e a raggiungere l’insegnante diretta, a quanto sembrava, verso la biblioteca. Alla fine, li condusse dove c’era l’archivio con i cataloghi dei titoli e dei libri presenti in biblioteca. Si fermò davanti al primo cassetto di ferro, quello contrassegnato dalle lettere A-D.

- Voglio essere buona con voi – disse aprendo il cassetto – Vi assegnerò solo un cassetto a testa.

- Cosa dovremmo fare? – chiese Thad, temendo di sapere già la risposta.

- Dovrete rimettere in ordine le schede presenti in questi primi due cassetti, lei signor Harwood si occuperà di questi che vanno dalla A alla D, mentre lei Smythe di quelli che vanno dalla E alla H.

- Ma se sono già in ordine! – esclamò Sebastian non riuscendo a trattenersi, mentre Thad lo fulminava con lo sguardo.

- A questo rimediamo subito – replicò tranquillamente la Plessis che, senza mostrare alcuno sforzo, tirò fuori completamente il primo cassetto e ne rovesciò l’intero contenuto di fogli e schede sul pavimento e, facendo lo stesso con il cassetto seguente, formò sul pavimento una montagnola bianca – Bene, ecco fatto – continuò lei soddisfatta, rimettendo al loro posto i cassetti – Potete anche iniziare. Io adesso mi ritiro; ho lasciato a metà la mia toeletta a posta per voi, ritenetevi onorati. Ripasserò più tardi a vedere come ve la cavate. Buon lavoro.

E se ne andò lasciando i due ragazzi davanti a quel cumolo di carte da riordinare. Con un sospiro di rassegnazione, Thad si inginocchiò e iniziò a raccogliere le schede, cercando quelle che andavano dalla A alla D, secondo le direttive della professoressa. Ad un certo punto si accorse che Sebastian non stava seguendo il suo esempio, anzi se ne stava immobile, appoggiato alla parete a braccia incrociate; Thad sarebbe stato pronto a giurare che avesse buttato anche qualche occhiata di troppo al suo didietro.

- Hai intenzione di rigirarti i pollici per tutta la mattinata o vuoi degnarti di venire a fare la tua parte di lavoro? – gli chiese con astio.

- Non vedo perché dovrei – rispose Sebastian – Io, in tutta questa storia, sono solo una vittima dei tuoi scatti da femminuccia mestruata.

- Fai un po’ come ti pare; non ho voglia di discutere con te – disse Thad ritornando alle carte sul pavimento – Metterò in ordine il mio cassetto. Il resto non mi interessa. Sono problemi tuoi.

- Sempre simpatico – replicò Sebastian – Se sei un tipo vecchio stampo potevi invitarmi a prendere un caffè invece di prendermi a pugni.

- Scusami? – saltò Thad, sul punto di farsi venire una combustione spontanea.

- Dai Thaddino, parliamoci chiaro per una volta. Sono abituato agli sguardi che mi lanciano tutti quelli che vorrebbero strapparmi i vestiti di dosso a morsi e francamente non li biasimo. E, giusto per tagliare la testa al toro, te lo prendi un po’ troppo a cuore il mio essere così “disponibile” con gli altri.

- Ma falla finita!

- Senti, se ti va di sperimentare, per me non ci sono problemi; ci rinchiudiamo in uno “stanzino per le scope-ate”, come li chiamo io e poi, se vuoi, potrai pure ritornare alla tua vita da etero confuso.

- Ma non ti stanchi mai di essere così cinico?

- No, per niente – ridacchiò Sebastian – Perché, tu come mi vorresti?

- Mi piacerebbe vederti dimostrare un qualsiasi sentimento disinteressato.

- I sentimenti, purtroppo, hanno la brutta abitudine di essere scontati e noiosi.

“E’ inutile” pensò Thad, sul punto di rassegnarsi. Intanto che avevano parlato, aveva raggruppato una buona parte di schede con la lettera A; adesso andavano riordinate. Non era un lavoro semplice come era sembrato a sentire la Plessis. A urtare maggiormente il ragazzo, poi, era anche il fatto che Sebastian se ne stesse sempre appoggiato al muro a fissarsi le dita delle mani, con aria annoiata. Non aveva mai notato come in quel momento la differenza che c’era tra loro due.

- Secondo te, perché Tebaldo odia così tanto? – chiese dopo un po’.

- E questo che centra?

- Centra perché, molto probabilmente, passerò i prossimi giorni a riordinare cataloghi interminabili – rispose Thad cercando di restare calmo – quindi posso già scordarmi un buon voto nel compito della Plessis; tanto vale che mi salvi con qualcosa di più tradizionale. E visto che la professoressa ci ha paragonati a Tebaldo e a Mercuzio, ho deciso di cogliere la palla al balzo. Almeno dirò qualcosa durante le interrogazioni. E non credo che rispondermi sia un lavoro troppo faticoso per te.

- Se proprio ci tieni – commentò Sebastian con un’alzata di spalle e stampandosi in faccia l’espressione del Pensatore – So già che mi pentirò di questa risposta ma, credo dipenda dal fatto che non abbia nessuno che lo ama o che lui ama. Con uno spettacolino per ragazzine come Romeo e Giulietta non riesco a pensare ad una risposta migliore.

- E Sebastian Smythe cosa pensa?

- Io non penso nulla.***

- Potresti provarci, ogni tanto – “Non sei un’Ofelia. Sei un Mercuzio, un Puck, un Ariel e un Calibano tutti in uno. Non sei cattivo; ti diverti solo ad essere libero.”

Thad aveva raccolto un’altra pila di fogli, più voluminosa della prima. La sollevò per metterla nel cassetto ma la rimise nuovamente sul pavimento vista la sua precarietà e l’ultima cosa che voleva era perdere quel poco di lavoro fatto e ricominciare da capo. Ma, cogliendolo di sorpresa, Sebastian si inginocchiò accanto a lui, prese una porzione di schede, in modo da rendere la pila meno precaria, e la mise su un tavolino lì accanto.

- Raccoglile a piccole porzioni, farai anche prima – gli consigliò, tornando ad inginocchiarsi, stavolta concentrandosi sulle schede che andavano dalla E alla H.

- Cos’è? Ti sei stancato di non far nulla? – gli chiese Thad ironicamente.

- No è solo che, visto che mi hai invitato ad uscire, preferisco rimanere libero per allora.

- Scusa, e quando ti avrei invitato ad uscire?

- Quando mi hai preso a pugni; nel mio vocabolario ciò equivale ad un invito ad uscire insieme – rispose Sebastian con la sua solita sicurezza – Vedi di portarmi in un posto carino, sono abituato al meglio.

Mentre raccoglieva altre schede da riordinare, Thad chinò un po’ di più la testa per nascondere un sorriso.

 

 

 

Nota dell’autore:

* Estratti della poesia “L’amore dorme nel petto del poeta” di Federico Garcìa Lorca (1898-1936)

** Errore del preside che finge di conoscere alla perfezione il francese per fare bella figura. In realtà, sarebbe più corretto dire “mia cara demoiselle” visto il “mia” iniziale.

*** Citazione dal terzo atto dell’Amleto. La battuta è di Ofelia.

 

Eccomi di ritorno. Scusate il ritardo ma, come sapete, abbiamo dovuto tutti affrontare un nuovo inizio di stagione e… be’, siamo sopravvissuti a stento tra numeri emozionanti e proposte di matrimonio da sogno XD

Questo capitolo è stato un parto, l’ho cancellato e riscritto più di una volta e nemmeno adesso ne sono pienamente soddisfatto. Temo di essere stato monotono e ripetitivo (a livello di parole e termini) fino alla nausea.

Permettendomi di sclerare un po’, vista anche la 5x01, per una volta sono sicuro di aver trattato un Sebastian poco OOC. Le mie tesi sul suo passaggio dalla parte dei “buoni” (anche se non credo sia mai stato cattivo, a parte la granitata al sale grosso) sono queste: 1) I capelli tagliati gli hanno fatto perdere la cattiveria, come Sansone la forza 2)Crescendo si diventa più maturi 3)Avrà trovato anche lui l’amore della sua vita (coff*Thad*coff) e per lui avrà deciso di tirar fuori il suo lato buono.

A voi la scelta; la mia è molto palese XD

Sul fronte Klaine… non credo di essere ancora in grado di ragionare in maniera seria e lineare. Se per voi è lo stesso, lascerò parlare il prossimo capitolo che arriverà martedì (credo che sarà questo, per ora, il giorno degli aggiornamenti).

Non ho altro da dire se non, complimenti se siete riusciti ad arrivare fino alla fine del capitolo.

Per qualsiasi cosa come, aggiornamenti, spoiler e la mia “rubrica di recensione Glee” che ha riaperto i battenti, vi rimando alla mia pagina: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

E se avete delle domande da pormi o curiosità: http://ask.fm/LusioEFP

Ciao a tutti.

 

Lusio

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Capitolo 4
*** Atto IV° (L'essenza delle cose) ***


Atto IV° (L’essenza delle cose)

 

 

 

Kurt baciava da dio. Blaine baciava da dio. Stavano andando avanti da… da quanto? Non lo sapevano. E, sinceramente, non aveva nemmeno tutta questa importanza. Era solo… così bello. Tutto. Labbra. Lingua. Denti ogni tanto. Mani. Gambe. Capelli sotto le dita. Volevano solo che continuasse. Ancora. E ancora. Giusto due o tre secondi per riprendere fiato. E poi ancora.

- Che cosa siamo noi due? – riuscì a dire Kurt alla fine, mentre Blaine si lasciava andare nell’incavo del suo collo; una ciocca di capelli scomposta gli solleticava il mento.

- Tu cosa vuoi che siamo? – gli chiese Blaine di rimando aggrappandosi un po’ più forte a lui, temendo un possibile, prossimo distacco.

- Un qualcosa. Un qualcosa che noi possiamo definire.

- Io non voglio definire nulla.

- Perché?

- Perché… perché ho paura – rispose Blaine e, da come tremava, sembrava essere davvero terrorizzato.

- Come puoi avere paura se lo stiamo vivendo adesso? – Kurt prese il volto del ragazzo tra le mani e lo sollevò cercando i suoi occhi.

- Appunto perché lo stiamo vivendo qui, in questo momento, come un qualcosa che ancora ci sfugge ma che ci ha afferrati. In questo momento mi sento bene, come non credo di essermi mai sentito prima. Mi sembra che ogni fibra del mio corpo sia stata moltiplicata per mille. Ho come una cascata rovente dentro che mi fa desiderare solo la tua vicinanza che non mi dà sollievo ma mi alimenta ed io non posso farne a meno. Come una droga. Tu… non provi anche tu queste sensazioni?

- Se non le provassi credi che sarei qui con te, adesso? – Kurt lo avvicinò nuovamente a sé, baciandogli gli occhi e leccando una lacrima scivolata lungo la guancia di Blaine – Ma non possiamo restare in questo stato di inconsapevolezza. Rischieremo di perderci e poi di soffrire. Forse dovremo fermarci per un po’ e riflettere, da soli, ognuno per conto proprio.

- Vuoi andartene? – gemé Blaine dolorosamente stringendosi a Kurt ancora più forte.

- No, non me ne vado – Kurt si liberò dalla sua presa e lo afferrò per le spalle con decisione – Qualunque cosa accada tra noi, positiva o negativa che sia, non ti lascerò. Non ci separeremo. Per me, ora, siamo “uno in due”. Abbiamo una vita in comune e questo non lo potrà cambiare niente e nessuno. Lasciamoci solo per adesso. Riflettiamo su quanto ci è successo. E quando penseremo di averlo capito, verremo a dircelo. In ogni caso, ci incontreremo ancora. Ci saremo sempre l’uno per l’altro.

E Kurt firmò quelle sue parole con un bacio, tenero e lieve ma pieno di quel sentimento che loro avrebbero già desiderato chiamare per nome. Blaine avrebbe voluto morire con quel bacio sulle labbra.

Quando Kurt uscì dalla sua stanza, dove si erano rifugiati, Blaine si lasciò andare con la testa contro la parete, esalando un sospiro che gli scosse il petto. Adesso a solcargli le guance c’erano due lacrime. E la sua bocca era già pronta a dire quello che sia lui che Kurt smaniavano di dire e sentire in cuor loro.

 

* * *

 

Andare a chiedere consiglio sui compiti ad un insegnante era una cosa che Kurt non aveva mai fatto; andare a chiedere consiglio per un problema personale ad un insegnante era una cosa che gli era capitato di fare un paio di volte e non era mai stato per sua iniziativa. Quella era la prima volta che chiedeva ad un’insegnante un consiglio su un problema personale che era in parte connesso ad un compito assegnato da quella stessa insegnante. Quando si diceva “c’è una prima volta per ogni cosa”.

Lo studio della professoressa Isabelle Plessis era come Kurt lo aveva immaginato. Era quasi una stanza, c’era solo una libreria per i documenti e i libri di testo, poi sulla scrivania, sulle varie mensole e su un piccolo pianoforte c’erano tante foto incorniciate: persone che forse erano parenti o amici della Plessis, luoghi lontani, la stessa Plessis nelle varie fasi della sua vita, nella gioventù e nella maturità, con abiti d’epoca (forse per uno spettacolo teatrale), esotici o di taglio maschile se la fotografia era stata scattata in un paese straniero, fino a quelle più semplici, che quasi non si notavano. C’erano, poi, statuine e soprammobili vari e un autentico tappeto persiano sul pavimento.

- Mi spiace di non poter invitarla a sedersi, signor Hummel – disse la Plessis dopo che ebbe fatto entrare Kurt – Purtroppo, quando ho terminato di arredare questo studio mi sono resa conto che non c’era spazio per più di una sedia. Se per lei è lo stesso, può accomodarsi sullo sgabello del piano.

- La ringrazio, professoressa – rispose Kurt – Non vorrei trattenermi a lungo – ma si sedette ugualmente su quello sgabello; voleva evitare di tremare o far notare un’emozione troppo forte, restando in piedi.

- In cosa posso aiutarla, Hummel? – chiese la professoressa Plessis, appoggiandosi alla scrivania e incrociando le mani in grembo.

- Si tratta del compito che lei ci ha assegnato.

- Non concedo deroghe né giustificazioni, dovrebbe saperlo.

- No, no, non sono qui per questo. Sono venuto da lei per… ehm… come posso dire…

- Con parole semplici, suggerirei, data la difficoltà in cui la vedo – gli venne incontro la Plessis con la sua caratteristica ironia.

- Ecco, io avrei bisogno di chiederle un consiglio di carattere personale.

- E questo cosa ha a che vedere con il compito che vi ho assegnato?

- Si può dire che tutto è “partito”, se posso usare questo termine, proprio dal vostro compito.

- Curioso – sogghignò la donna, divertita – Sembro aver fatto più danni in poche ore con un solo atto da insegnante che in quarant’anni di vita indipendente.

Non capendo cosa avesse voluto dire la professoressa, Kurt iniziò a torturarsi le mani, sentendo l’ansia crescergli dentro. Quando vide lo sguardo della Plessis posarsi nuovamente su di lui, riprese sperando di essere più diretto.

- La cosa riguarda me e Blaine Anderson – mise le carte in tavola – In questi ultimi giorni ci siamo avvicinati molto. Non che prima fossimo distanti, anzi. Lui è stato il primo vero amico che ho avuto qui alla Dalton; è stato l’unico ad accorgersi che non stavo bene, quando ero ancora nella mia vecchia scuola. Mi è stato vicino come nessun altro ha mai fatto, tranne mio padre. E accanto a lui ho capito tante cose: che una persona non deve essere per forza perfetta per entrarti nel cuore; che la vera gelosia può ucciderti come una tenaglia rovente nello stomaco; quanto una sincera amicizia possa farti stare bene; quanto possa essere grande un sentimento e quante emozioni esso comporti. Non credevo che una persona potesse farmi capire tante cose, né che io fossi capace di aiutare, sostenere, dare forza a qualcuno a mia volta.

Si sentì più libero e leggero quando ebbe finito quel discorso; era sembrato tanto difficile all’inizio ma, a mano a mano, le parole gli erano uscite con una tale facilità da sembrare pronte da tempo.

- Be’, è stata una confessione molto accorata – disse Isabelle Plessis, nascondendo un lieve sorriso – ma non capisco cosa centri tutto questo con il mio compito.

- Glielo ho detto: le cose hanno iniziato a prendere una piega diversa da quando lei ci ha chiesto di “vivere” le emozioni presenti in Romeo e Giulietta.

- Il fatto che lei la pensi in questo modo, Hummel, mi lusinga molto ma io non centro nulla con tutto questo. E’ una cosa che riguarda unicamente lei e Anderson. Voi due vi siete conosciuti, voi due da soli avete costruito la vostra amicizia; voi due avete fatto in modo che questa amicizia diventasse qualcosa di più profondo. Avete fatto tutto voi. Non esistono insegnamenti scolastici, compiti per casa in grado di far capire a due persone di provare dei sentimenti forti l’un per l’altro. Qual’è dunque il problema, signor Hummel?

- Il problema sta proprio nel fatto che io e Blaine abbiamo creato questa amicizia così bella che, arrivati ad un certo punto, potremmo temere di rovinarla o anche di distruggerla se le cose tra noi non funzionassero.

- E’ solo questo il problema? – chiese stupita la Plessis; aveva abbandonato la sua vena ironica e gli stava parlando come una madre avrebbe parlato al proprio figlio – La paura? Ma la paura c’è sempre quando ci troviamo davanti a qualcosa di nuovo, come quando andiamo per la prima volta a scuola, o iniziamo a guidare. Ma la paura non ci frena; guai se lo facesse. La paura di ciò che è nuovo è quasi sempre il preludio di un’avventura e l’amore non fa eccezione.

Quando ebbe finito di parlare, un’ombra scura cadde sul viso della donna che si alzò dalla scrivania, la aggirò e andò a sedersi sulla sedia dietro di essa. Sembrava essere sul punto di appassire lì, in quel momento; i suoi occhi divennero completamente rossi, come se traboccassero di anni e anni di lacrime; rughe, che prima non c’erano, le solcarono la fronte e gli angoli delle labbra sottili. Kurt temette che si stesse sentendo male e fece per alzarsi, per chiederle se le occorreva qualcosa, ma lei lo fermò con un gesto della mano, che andò poi a posare sugli occhi e infine su una foto sulla scrivania. La Plessis la prese e la guardò a lungo. In quel momento Kurt avrebbe potuto leggere tante e tante emozioni racchiuse in una; avrebbe voluto vedere chi o cosa era rappresentato in quella foto e quale significato avesse per lei.

- So di non aver alcun diritto per dirle certe cose, ma vorrei avvalermi lo stesso del mio ruolo di educatrice per farlo ugualmente – disse la professoressa, con voce bassa e grave – L’amore è la cosa più bella che esista ma va trattato con molta attenzione perché è fragile, come sono fragili coloro che amano; se tante storie, come quella di Romeo e Giulietta, si concludono con un finale triste, è proprio per questa fragilità. Lo si può rendere meno fragile con anni ed anni di nutrimento ed evoluzione; si può riuscire a mantenerlo vivo per sempre se si è forti abbastanza, altrimenti l’amore viene sostituito dalla paura di rimanere soli o, peggio, dall’abitudine. Se così deve andare a finire, tanto vale rimanere da soli perché l’amore già è morto. Lei, Hummel, cosa vorrebbe dire al signor Anderson riguardo ai vostri sentimenti?

Preso in contropiede da quella domanda, Kurt aprì e chiuse la bocca, non sapendo che dire.

- Non dica “quella parola” se non è sicuro al cento per cento – lo prevenne la Plessis.

- Vorrei dirgli – rispose Kurt, alla fine – che assieme a lui mi sento felice. E che voglio provare ad essere ancora più felice felice assieme a lui.

- Allora corra da lui a dirglielo – disse la Plessis, tornando a guardare la foto. Poi la rimise al suo posto sulla scrivania; adesso Kurt riuscì a vedere chi vi era raffigurato: c’era la professoressa Plessis molto più giovane (doveva avere tra i venti e i trent’anni), il volto pieno e tondo e le labbra a bocciolo, i capelli le ricadevano lunghi e ondulati sulle spalle, il fisico sempre magro e minuto; dietro di lei, a cingerle la vita, c’era un uomo alto e ben piazzato, un gigante in confronto a lei, riccioli chiari gli incorniciavano il volto, non bello ma simpatico e rassicurante. Sembravano due persone all’apice della felicità – Michael – disse la professoressa lasciando che un sorriso la illuminasse – Si chiamava Michael, ma io mi divertivo a chiamarlo Michel, alla francese, e lui mi ricambiava chiamandomi Elizabeth. Ci siamo conosciuti quando eravamo due studenti; lui era venuto in Francia dall’America per continuare i suoi studi ed è stato… non dico un colpo di fulmine, ma è stato un risveglio alla vita; di quelli che capitano una sola volta nella vita. Alla mia famiglia non stava bene che io mi perdessi dietro uno “zotico yankee”, come loro lo chiamavano. E visto che io e Michael eravamo in quella fascia d’età in cui si è quasi sempre pazzi, non trovammo altra soluzione che fuggire, via, in giro per l’Europa, con pochi soldi in tasca, facendo lavori occasionali per sbarcare il lunario, molte volte recitando in piccole compagnie teatrali. Vivere all’avventura come facevamo noi, col tempo, avrebbe dovuto farci perdere la passione iniziale e farci ritornare alla monotona vita di una volta; ma non fu così, anzi il sentimento che ci legava si fece di giorni in giorno, mese in mese, anno in anno più forte e duraturo. E così, quando alla fine giungemmo qui in America, ci sentivamo ormai pronti a fare il grande passo e a creare una famiglia tutta nostra. Ma in quello stesso anno, Michael venne chiamato al fronte, in Vietnam. Questa foto l’abbiamo scattata proprio il giorno prima che partisse.

Tacque. La sua voce, sebbene traboccante di emozioni, era rimasta ferma e senza incrinature. Solo un leggero tremito della mano la tradiva mostrando la sua debolezza in quel momento.

- Cosa gli accadde? – si azzardò a chiedere Kurt, con un filo di voce, pur credendo di sapere già la risposta.

- Le guerre non si dovrebbero mai fare – rispose la Plessis con voce fredda, passandosi una mano sul lato del viso dove era scivolata una ciocca di capelli – Vada da Anderson. Non sprecate un solo momento che la vita ha deciso di concedere a tutti e due.

Kurt non avrebbe voluto fare altro in quel momento: uscire da quella stanza, correre (quella volta avrebbe corso lui) fino alla porta della stanza di Blaine, aprirla senza nemmeno bussare e stringere, baciare il ragazzo che la abitava, dirgli tante cose, fino al giorno seguente e quelli che sarebbero venuti. Ma a frenare il suo entusiasmo c’era la mano bianca e tremante di Isabelle Plessis, fragile come mai avrebbe creduto di vederla. Si sentiva in colpa per essere giovane e sul punto di scoppiare dalla felicità mentre quella donna, che lo aveva aiutato a togliersi un velo dagli occhi, no.

- Vada – disse lei nuovamente, più decisa e Kurt si sollevò a fatica dallo sgabello e, cercando di non camminare in maniera rigida, uscì chiudendosi la porta alle spalle. Rimase fermo per un po’, aspettando che il suo respiro ritornasse regolare, come anche la sua circolazione. Troppe confidenze da entrambe le parti.

Poi la sentì, dietro la porta chiusa: una nota seguita da un’altra e poi da un’altra fino a formare una vecchia melodia densa di rimpianti e nostalgie. Adesso sì che Kurt trovò la forza di andarsene per non immischiarsi nel mondo privato di Isabelle Plessis; c’era spazio solo per lei, il pianoforte, le fotografie e tutto quello che significavano. Poco prima di voltare l’angolo gli sembrò di sentire una parola persa nella musica.

Ecoutes

 

* * *

 

Uscito fuori dal raggio d’azione della zona professori, Kurt aumentò il passo, lanciando qualche sporadico saluto a chi incrociava per i corridoi. Arrivò a contare i numeri sulle porte delle stanze a mano a mano che sapeva di avvicinarsi, fino a ritrovarsi davanti alla stanza di Blaine; la colpì solo una volta con le nocche per poi aprire subito dopo ed entrare per gettarsi su di lui, come per fargli una sorpresa. Ma la sorpresa l’ebbe lui stesso quando si rese conto che la stanza era vuota.

Senza starci troppo a pensare, uscì dalla stanza e si mise a correre a rotta di collo per i corridoi.

Non sapeva che Blaine stava facendo la stessa identica cosa, nello stesso momento: era andato a cercarlo nella sua stanza e, non trovandolo, era corso via per ritrovarlo. Entrambi a scivolare sul parquet o sul marmo (dipendeva da dove si trovassero) dei pavimenti, come gabbiani privi di un’ala, bloccati in un elemento non loro, bisognosi l’uno dell’altro per poter volare via. Il loro pezzo mancante.

Tra corridoi labirintici si allontanavano e si avvicinavano e si riallontanavano e si riavvicinavano senza mai incrociarsi, e il filo che li univa si riduceva ad ogni centimetro percorso. Si ritrovarono, alla fine, al centro di quel filo, dove il cuore pulsava come un piccolo nervo; in poche parole, a metà strada. Avevano percorso su e giù l’intero dormitorio per ritrovarsi a poca distanza dai loro rispettivi punti di partenza. E si erano ritrovati l’uno tra le braccia dell’altro, ma più per la rincorsa che per vere intenzioni.

- Ti stavo cercando – disse Kurt.

- Ed io stavo cercando te – disse Blaine di rimando, non riuscendo a trattenere una breve risatina.

- Blaine – riprese Kurt – Blaine, io devo…

- No, ti prego, prima io – lo interruppe Blaine stringendogli le braccia – O non credo che riuscirei più a dire nulla. Kurt, sei tu. La persona “più particolare” sei tu. Quello che cercavo in ogni ragazzo che incrociavo senza mai trovarlo. Mi hai conquistato dalla prima volta che ti ho visto, ti ho voluto bene dal primo istante in cui ho iniziato a conoscerti. Sei l’amico che sognavo di avere quando ero piccolo. Ed ora sei tutto quello che ho sempre desiderato. Non so come esprimermi. Tu mi hai toccato l’anima. Non voglio forzarti a fare qualcosa, a intraprendere una storia seria se non vuoi, mi basterà sapere che ci saremo sempre l’uno per l’altro, come hai detto tu. Ma dovevo dirtelo anch’io.

Rimasero in silenzio per un tempo che a Blaine sembrò non finire mai; già si stava maledicendo per non aver saputo esprimersi meglio, per essersi sbottonato in quel modo. Sicuramente Kurt avrebbe detto di no, avrebbero cercato di rimettere insieme quella loro strana amicizia, avrebbero dovuto dimenticare tutto quello che era stato e che sarebbe potuto essere. Ma tutti quei pensieri, accavallatisi in due secondi, vennero smentiti dallo stesso Kurt che gli gettò le braccia al collo e lo baciò con la stessa forza di quella mattina e la stessa delicatezza di quando si erano lasciati qualche ora fa.

- Blaine, sei tu – disse Kurt, staccandosi da lui ed emozionandolo coi suoi limpidi occhi verde azzurri.

Stavano iniziando ancora, proprio in quel momento.

Tenendosi per mano, entrarono nella stanza più vicina (quella di Blaine). Si stesero sul letto e ripresero da dove si erano interrotti, senza più interrogativi o incertezze o timori a porre freni a quella felicità e a quell’appagamento che ora li avvolgeva. L’unica cosa negativa (se così si può dire) fu che per quella giornata dimenticarono completamente lo studio. Ah sì, anche di mangiare.

Si addormentarono quando la luce conciliò loro un rilassante languore. Il primo a risvegliarsi, quando il sole stava tramontando, fu Kurt; dopo essersi tenuti stretti a lungo, si erano lasciati, permettendo che fossero solo i loro respiri, le loro labbra divise da un leggero filo d’aria a sfiorarsi. Non accontentandosi di quel poco, Kurt baciò le labbra di Blaine che respirò a pieni polmoni il fiato che quel bacio si lasciò dietro, sorridendo nel sonno.

Voltandosi, Kurt prese il suo cellulare, appoggiato sul comodino, e mandò un messaggio a Mercedes; voleva concludere così questo prologo prima dell’inizio vero e proprio.

 

Io e Blaine abbiamo scelto di provarci.

 

E Mercedes gli rispose:

 

Sono sicura che non ve ne pentirete ; ) Un bacio <3

 

Con un sorriso, Kurt rimise il cellulare sul comodino, quando sentì una dolce stretta decisa cingerlo per il petto, un bacio sul collo e la voce di Blaine nell’orecchio.

- Benedetto pugnale – declamò silenziosamente – Questa è la tua guaina.

- Qui resta – continuò Kurt voltandosi verso di lui e baciandolo ancora e ancora e ancora. Per la prima volta, due sorrisi uniti in uno.

- Qui resta… e fammi vivere.

 

 

Fine

anzi no

Inizio

 

 

 

Note dell’autore:

Ok, vi prego di non uccidermi.

Lo so, avrei dovuto dire che questo sarebbe stato l’ultimo capitolo e sicuramente avrò fatto un errore chiudendola qui, ma quando sono arrivato a questo punto ho capito di aver già detto tutto e che aggiungere altro sarebbe stato inutile: questo era l’inizio di Kurt e Blaine nella versione “secondo me”. Non sono Blaine Anderson quindi con le dichiarazioni sono negato, specialmente dopo quella della 5x01; temo che ora avremo tutti degli standard troppo alti XD

Spero comunque di avervi fatto emozionare almeno un po’.

Per quanto riguarda Thad e Sebastian… ho preferito lasciare un finale aperto per loro, anche perché, se notate bene, mi sono mantenuto sul massimo realismo, evitando di far correre gli eventi, anche per quanto riguarda Kurt e Blaine che non si dicono “ti amo” né fanno l’amore. Ho preferito riservare lo stesso trattamento anche per Thad e Sebastian. Comunque vada, nella mia testa, anche loro adesso stanno “thogeter & happy”.

E poi non dimenticate che questa era una mini-long.

Con Isabelle Plessis mi auguro di aver fatto un buon lavoro; ho voluto mostrare anche questo aspetto di lei per non farla rimanere semplicemente nel ruolo comico tipo Sue Sylvester, per dare anche lei una dimensione. Per la canzone, se volete sentirla, è questa, cantata da Isabelle Huppert, alla quale ho pensato per il personaggio della professoressa, nel film “8 donne e un mistero”: http://www.youtube.com/watch?v=gD_8MbEx90Q

E anche questa fanfiction è conclusa. Al momento ho lasciato per un po’ Glee e sto scrivendo una fanfiction semi originale ispirata ad una fiaba classica, e ci sto investendo molto.

Se volete rimanere informati su questo prossimo lavoro (o disastro, dipende dai punti di vista) vi rimando alla mia pagina: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483

E per qualsiasi domanda: http://ask.fm/LusioEFP

Concludo ringraziando e mandando un abbraccio fortissimo a tutte le persone che mi hanno seguito anche con questa mini-long, che l’hanno inserita tra le seguite, le ricordate e i preferiti (non ci contavo neanche) e hanno anche trovato il tempo per farmi sapere cosa ne pensavano J Vi voglio bene.

Alla prossima.

Ciaooooo

 

Lusio

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