Tratto da un sogno vero

di Sea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io so chi sei. ***
Capitolo 2: *** Chi cerca...trova ***
Capitolo 3: *** Allora dovrai trovarmi ***
Capitolo 4: *** Luoghi ***



Capitolo 1
*** Io so chi sei. ***


I
Io so chi sei

 


- Sei solo una maleducata! - Giuro che è la verità.<br />
Che rabbia. Sono così arrabbiata che l’ucciderei. Le tirerei tutti quei capelli biondi e le farei smettere di insistere nella sua stupidità con quella risata da ragazzina ingenua, pacchiana, snob, menefreghista e, se vogliamo, anche volgare. Il bello è che Laura e Luciana non fanno nulla. Quanto tempo ancora devo sopportare questa presenza?<br />
La città è ancora illuminata dal tramonto, la gente gira ancora per strada piena di borse della spesa e di bambini per la mano. I vecchietti sono già spariti e i ragazzi stanno appena comparendo: la notte è lunga.<br />
Io, me ne sto andando.<br />
Stasera non riconosco questa città: se mi guardo in giro rivedo solo qualcosa, forse la chiesa di Santa Maria del Popolo, forse qualche strada, ma il resto sembra essermi misterioso e sconosciuto. Dove mi trovo?<br />
- Adesso basta, mi sono stancata. Me ne vado ad aspettare Dario da un'altra parte, lontano da qui -.<br />
Si, questa sono io che sto andando via. Non posso tollerare che lei semplicemente mi rivolga la parola, figuriamoci sentirmi dire certe cose. No, non è proprio il caso. Sento le panchine grigie e la piazza piastrellata allontanarsi alle mie spalle.<br />
- Ma quando arriva?-. I miei pensieri escono fuori dalla mia bocca senza che io me ne accorga. Sono all’uscita di un supermercato. Questo lo riconosco: sono a Corso Vittorio Emanuele III, ma queste luci così gialle, questi alberi così bassi e queste strade così piccole non li ricordavo.<br />
Cerco di non farci caso, per il momento. Quest’ansia che ho nel petto comincia a rendermi faticoso anche il respiro. Richiamo. Tu…tu…tu…tu…tu…no, non risponde.<br />
- Uffa! -. Allargo le braccia in segno di rassegnazione e cerco di non alzare troppo la voce nel fare i miei sospiri. Perché ho un fidanzato ritardatario?<br />
Ormai la luce del sole è quasi del tutto svanita, se ne riparlerà domani mattina. Eppure c’è ancora molta gente per strada. Sarà anche quasi estate, ma sono comunque le 19:40. L’unico lato positivo di questa serata è quest’arietta tiepida, mi da un senso di pace e mi ricorda i bei giorni d’Agosto. Adoro quando l’aria mi ricorda qualcosa. I ricordi sono la cosa più preziosa che ho. Ciò che abbiamo lasciato indietro è sempre ricordato con un sorriso. Ciò che ci attende, invece, ci fa paura.<br />
Sono stufa di aspettare, vado a farmi un giro. Come mai è così buio? Ah, mi sto facendo troppi problemi, meglio camminare e rilassarsi un po’, ho bisogno di distrarmi.<br />
Mi guardo intorno mentre cammino lentamente e non posso fare a meno di notare il mistero che stasera avvolge la città. Senza accorgermene, forse per abitudine, ho accelerato il passo e ora vado di fretta come se dovessi correre a casa a preparare la cena. Faccio un po’ di slalom tra la gente che mi cammina intorno senza far caso a chi mi guarda o a chi mi supera a sua volta. Ad un certo punto la mia mente si obnubila. Cado in uno strano stato di trans, ma continuo a camminare. Il miei occhi rimangono per un po’ in standby, ma il pensare continuo non mi abbandona. Ho le mani in tasca e non ricordo come sono vestita. Infondo non mi interessa. Cammino ancora, rallento un po’ il passo, ma ho sempre l’aria di chi deve correre a salvare il mondo.<br />
Camminare al centro del marciapiede non è proprio una grande idea, ti urtano troppe persone con le loro buste stracolme, le loro borse enormi, i loro bambini e la loro ciccia. Nonostante tu faccia di tutto per evitare lo scontro, il 70% delle volte colpiscono in pieno il bersaglio. Io nel frattempo sto affinando la mia tecnica per evitare di essere travolta.<br />
Mi sposto sulla sinistra del marciapiede, accanto alla strada, alle auto parcheggiate, ai lampioni gialli e agli alberi bassi che non ricordo. La luce quasi soffusa dei lampioni mi da l’aria di camminare in un vicolo buio e pericoloso. Continuo a dirigermi verso il centro, la gente comincia a dissolversi e posso proseguire un po’ più liberamente. Ad un tratto però, mi si presenta dinanzi un’immagine particolare: diversa gente ammucchiata sul bordo del marciapiede, disposta in semicerchio, che osserva incuriosita qualcosa che non giunge alla mia vista. Cosa succede?<br />
- Oh, Signore, ti prego! -<br />
- Povera signora -<br />
Mentre sto per giungere con aria indifferente a quella folla, vedo un agente della polizia che  si accinge ad intervenire, cercando di sgomberare la zona. Vedo persone chine a terra a guardare chi sa cosa. Prima del mio arrivo, il poliziotto riesce a far allontanare la gente, intimando di tornare ognuno alla propria casa. Altri cinque secondi e sono lì che passo accanto all’oggetto di tanto interesse, gli do uno sguardo sfuggevole cercando di non intralciare la calma appena ottenuta dall’uomo in divisa. Sorpassato quel vuoto tra le due auto parcheggiate continuo a camminare, ma d’improvviso il mio pensiero si ferma. La mia mente mi impone di ricondurre lo sguardo su ciò che mi sono lasciata alle spalle.<br />
A terra c’è un ragazzo.<br />
Continuando a camminare il mio cuore perde un battito per il senso di colpa provocato dalla mia indifferenza e mentre sto per arrestare il mio passo, tra il chiacchiericcio della gente riesce a giungermi una domanda formulata a voce molto alta da una donna.<br />
- C’è un medico? Qualcuno della Croce Rossa? -.<br />
La sua voce spezzata e il respiro affannoso mi riportano sulla terra e comprendo che non è una cosa da nulla. Ancora, l’agente ripete di continuo la stessa domanda cercando di contattare il distretto o l’ospedale, senza riuscirci.<br />
Immediatamente mi fermo e mi volto. Con un po’ di coraggio ma tanta paura nel cuore sto per preferire il futuro ai miei ricordi e con tutto il fiato che ho nei polmoni un po’ affaticati, urlo la mia risposta.<br />
- Io sono della Croce Rossa! -.<br />
Senza ben capire cosa sto per fare, comincio a correre verso l’agente che, non aspettando un secondo in più, mi indica da lontano dove devo dirigermi. Col cuore a mille termino la mia corsa e anche io prendo completa visione di cosa sta accadendo tra quelle due auto.<br />
Alla mia destra un bagagliaio aperto con al suo interno una borsa da donna, una coperta, un gilet catarifrangente, di quelli che si usano in autostrada in caso di emergenza, e una bottiglia d’acqua mezza vuota. Alla mia sinistra il cofano di un’altra macchina blu, lucida e vuota. Al centro, disteso tra le due auto, un ragazzo in tenuta sportiva che respira affannosamente. Il capo poggiato a terra, le braccia distese lungo i fianchi e le gambe abbandonate e senza forze.<br />
Ancora un po’ di gente si sofferma ad osservare questo spettacolo che mi stringe il cuore come non mi era mai successo, altra continua indifferente per la propria strada.<br />
Mi accovaccio accanto a quella che credo sia la madre del ragazzo e le chiedo cosa sia successo. Il suo volto pieno di lacrime mi dice che non ha la forza di rispondermi e dopo qualche istante la sua voce esplode in un singhiozzo, abbracciandomi. Cerco di rassicurarla e rialzandomi volgo il mio sguardo al volto di quel ragazzo.<br />
L’agente di polizia cerca di far andare via la gente curiosa che soffoca l’aria intorno a quelle auto. Appena in piedi afferro per il braccio un passante e senza lasciar trasparire il mio timore, gli dico con aria severa di chiamare il 118. Come un generale addito sette persone di quelle che si erano soffermate qualche minuto in più e gli ordino di disporsi in semicerchio, creando un recinto attorno a me, al poliziotto, alla signora e al ragazzo. I soccorsi sono stati chiamati e subito ritorno da lui.<br />
L’agente mi chiede di mostrargli un documento che attesti il mio titolo di pioniere, ma io con aria molto tranquilla gli rispondo di non averlo con me e che si trova a casa nella mia borsa.<br />
Rassegnato, mi risponde a sua volta - Non fa niente -.<br />
Ignorando ciò che succede intorno a me, comincio la mia opera. Chiedo a un passante di aiutarmi e lui subito risponde alla mia richiesta. Prendo la coperta dal bagagliaio dell’auto aperta e facendo alzare il corpo del ragazzo, la pongo sotto la sua schiena. Tornato a terra, il poliziotto si sposta sulla strada permettendomi di stare alla destra del ragazzo per constatare quale sia il suo stato.<br />
- Come si chiama? - chiedo seria alla signora.<br />
Un po’ sorpresa dalla domanda, mi risponde - Eric -.<br />
- Ciao Eric, - è cosciente - io mi chiamo Sarah e faccio parte della Croce Rossa. Adesso cercherò di aiutarti, ma dovrai cercare di rispondere a quello che ti chiedo -.<br />
Dopo aver pronunciato questa frase, apre gli occhi e mentre tenta di respirare normalmente fa un sorrisino. Si può dire che sia lui a tranquillizzare me. Mi sfugge un sorriso di ritorno.<br />
- Cosa ti è successo? -<br />
Sempre respirando affannosamente si porta una mano alla testa e mi risponde.<br />
- Stavo tornando a casa in auto e all’improvviso ha cominciato a girarmi la testa. Ho fatto appena in tempo a parcheggiare e ad uscire che sono caduto. Ho il corpo tutto intorpidito. -<br />
- Ok. -. Nel frattempo ho controllato il battito. - Hai fumato qualcosa? Hai bevuto o mangiato? Hai preso qualche medicinale? -<br />
- No, ma ho terminato da poco l‘allenamento - Forse si è solo affaticato troppo. La madre rimette giù le gambe che stava tenendo alzate.<br />
È buio e rimane solo la luce del lampione accanto all’auto. Non posso fare molto.<br />
Mi pongo alle sue spalle, poggiando la sua testa sulle mie gambe, lo copro con un lembo della coperta e, a sua richiesta, gli do un po’ d’acqua.<br />
- Stai tranquillo, arrivano i soccorsi. Nel frattempo cerca di tranquillizzarti. -<br />
Con un cenno della testa fa ciò che gli ho consigliato. Lascia pesantemente andare il capo sulle mie gambe, rilassa i muscoli. Sembra che sia riuscita a tranquillizzarlo almeno un po’. La madre mi è vicina e gli tiene la mano con una tale dolcezza e preoccupazione che perfino io mi sento al sicuro.<br />
Che strana sensazione. Il mio cuore batte all’impazzata eppure il peggio sta passando. Mi dispiace non poter fare di più.<br />
È passato qualche minuto, il battito è decelerato e sembra star meglio. Però è gelido. Trema.<br />
- Hai freddo? -<br />
- Un po’… -.<br />
Tolgo la giacca che avevo sulle spalle e lo copro come posso.<br />
- Non preoccuparti, a parte il venticello fresco che tira, il freddo è causato dallo shock, ma adesso mi pare che tu stia meglio. -.<br />
- Si, molto. Grazie -<br />
- Dovere -.<br />
Comincia a muovere le gambe e le mani. Non suda più. Ma dove sono i soccorsi?<br />
La madre comincia ad essere stanca, le dico di andare a riposarsi e che a lui ci avrei pensato io.<br />
Il poliziotto non si muove dal suo posto, continuando a proteggermi dalla strada.<br />
Dario ancora non arriva. Provo a richiamarlo.<br />
- Pronto? -<br />
- Amore, dove sei? -<br />
- Mi dispiace, sono rimasto bloccato qui. La macchina non parte! -<br />
- Ascolta, io sto soccorrendo un ragazzo, sono qui da diverso tempo e non so a che ora torno a casa. Ti chiamo appena arrivo. Ok? -<br />
- E brava la mia pioniera. Va bene amore, a dopo. Ti amo -<br />
- Ti amo! -<br />
E anche questa è andata.<br />
<br />
Niente. Non si vedono.<br />
I soccorsi a Torre del Greco non esistono. Roba da non credere.<br />
Nel frattempo ho cominciato ad accarezzargli distrattamente i capelli e sembra proprio che lui si sia addormentato. Il battito e il respiro sono tornati regolari, fortunatamente.<br />
- Come sta? -. La madre apprensiva sembra sia più rilassata. La gente va via ed io e l’agente ringraziamo per la collaborazione.<br />
- Sembra molto meglio, signora - Un sorriso spunta sulle mie labbra. - Ora dorme -.<br />
Ed ecco che i fatti mi dimostrano il contrario. Riportando lo sguardo sul suo viso, mi sono ritrovata osservata. Due occhi verdi mi scrutano tranquillamente, come quelli di un bambino assonnato. C’è una foresta in quegli occhi.<br />
Un po’ interdetta, prendo la parola per non lasciar trasparire il mio imbarazzo.<br />
- Ciao -<br />
- Ciao… -<br />
- Come stai? -<br />
- Grazie a te, bene. Scusami se ho creato tanto disturbo, non era mia intenzione farti rimanere tanto tempo. -<br />
- Non preoccuparti. Ora hai respiro e battito regolari. Hai qualche malessere oppure sei stanco? -<br />
- Mi sento molto debole. -<br />
- Allora riposati ancora un po’ -.<br />
Non mi risponde nemmeno che sta già portandosi sul lato sinistro, in posizione fetale, abbracciandomi le gambe. Che ragazzo strano.<br />
Fa sempre più freddo e il cielo comincia ad annuvolarsi. Sono molto stanca anche io, vorrei chiudere gli occhi anche solo per due minuti.<br />
Non ci ho nemmeno pensato che lentamente mi piego su di lui e comincio a dormire anch’io, circondandogli la testa con le braccia.<br />
Al mio risveglio mi ritrovo con la giacca del poliziotto sulle spalle, una madre che protesta per il ritardo dei soccorsi, un ragazzo sconosciuto che mi abbraccia, e il cellulare che squilla.<br />
- Pronto? -. È mia madre.<br />
- Si può sapere dove sei? -<br />
- Mà, sono per strada. Un ragazzo si è sentito male e l’ho soccorso. Ti spiego meglio quando tornerò a casa. Ciao! -<br />
- C’è molta gente che si preoccupa per te. Devi essere proprio una brava ragazza -. Si è svegliato.<br />
- E’ tutto normale, mi sembra. È…è da molto che sei sveglio? -<br />
- Abbastanza da vedere come dormi -.<br />
- Ei, ti avrò anche soccorso, ma nessuno ti da tanta confidenza -<br />
- Non si direbbe visto che mi hai accarezzato i capelli tutto il tempo -<br />
Ops. Ha ragione. Gli faccio una smorfia.<br />
Tenta di alzarsi, ma è ancora molto debole. Gli do una mano a mettersi seduto e con un po’ di fatica riesce nell’impresa poggiando la schiena contro l’auto blu.<br />
Pazienza, ormai ci sono dentro.<br />
È tardi e la città alle 22:00 non è proprio rassicurante. I soccorsi pare non arriveranno mai e per di più fa anche freddo.<br />
Il poliziotto ci consiglia di far terminare quest’attesa e di andare a casa visto che Eric sta meglio. Così, chiamo la madre e le dico di cominciare a rimettere tutto in macchina e che l’indomani sarebbe andata col figlio all’ospedale per gli accertamenti.<br />
Ora il problema è svegliare questo qui. Ho il suo alito sul collo e le braccia intorno alla vita. Che mammone!<br />
- Ei, sveglia! Sveglia! Dormirai a casa, avanti. -. Non ne vuole sapere.<br />
- Eric devi svegliarti, ora stai meglio! EI! -. Ecco, finalmente si è mosso.<br />
- Potresti smetterla di abbracciarmi, non sono mica tua sorella -.<br />
- Scusami! – è arrossito – Mi dispiace -<br />
- Dai, adesso cerca di alzarti -.<br />
Mi alzo per prima e una volta in piedi lo aiuto a rialzarsi, è ancora debole. Finalmente è in posizione eretta anche lui, non credevo fosse così alto. Col capo chino e le mani sulle mie spalle, cerca di trovare l’equilibrio e quando finalmente riesce, mi abbraccia. Dev’essere un vizio di famiglia.<br />
Sono un po’ sconvolta dal suo comportamento e il mio cuore sembra voglia fermarsi. D’istinto lo abbraccio anche io, anche se credo non sia molto opportuno abbracciare uno sconosciuto.<br />
Ho la testa poggiata sul suo petto, sento il suo cuore battere forte, il suo respiro di nuovo affannoso. Non va. Devo tenermi pronta, sta per crollare.<br />
E infatti, eccolo che barcolla. Per il suo peso e lo sforzo nel sostenerlo comincio ad affannare anche io. Cerco di tirarlo su, finché lui stesso decide di doversi svegliare e agitando un po’ la testa, come per tornare alla realtà, mi guarda negli occhi affannando ancora. È completamente appoggiato a me. Lo trascino accanto all’albero qui vicino per farlo appoggiare e con gli occhi cerco la madre. Ha appena finito di fare ciò che doveva ed è pronta a portare suo figlio a casa.<br />
- Eric, adesso possiamo andare. Ah, Sarah giusto? Vorrei almeno riaccompagnarti a casa dopo tutto quello che hai fatto per mio figlio -<br />
- Ma no signora, non si preoccupi, dovere -.<br />
Mi vergogno troppo. E poi sono estranei, non posso farmi riaccompagnare a casa. Tornerò a piedi, un po’ d’aria non mi farà male dopo quest’avventura.<br />
Infondo sono solo le 22:30.<br />
- NO! -. Sobbalzo vistosamente. Il suo sguardo impaurito mi fissa tutto d’un tratto, come se gli fosse stata negata l’aria. Il mio cuore perde un battito e non riesco a dire più una parola. Anche la madre lo guarda incredula. Forse non sono l’unica ad aver notato il suo strano comportamento.<br />
- Adesso noi ti riaccompagniamo a casa e non fare storie. Non lascio che una ragazza cammini sola per strada a quest’ora -. Dice sul serio. Questo ragazzo è proprio strano.<br />
La madre si è già diretta in auto, pronta a partire e lui, di tutta risposta, mi prende per mano e mi obbliga - visto che sono totalmente in preda all’imbarazzo e non riesco a proferire parola - ad entrare in auto. Da gran gentiluomo, mi apre lo sportello ancora un po’ barcollante, mi sorride – e che sorriso – e si conduce al suo posto dall’altra parte dell’auto. Si è seduto accanto a me. Sarà il freddo, ma io continuo a tremare.<br />
- Hai freddo? - La voce più premurosa di quella di un vecchio amico.<br />
- Un po’ - Spero che la mia voce non mi abbia tradito, come invece fa di solito.<br />
Si toglie la giacca e me la porge, ma ho quasi paura di accettare. Sembra quasi un invito a nozze: sposerei uno sconosciuto. Mai accettare la giacca di un ragazzo, nel momento in cui lo fai gli stai dicendo: si, ci sto.<br />
Almeno questo è quello che credo io, visto che mi è già capitato. Francesco, ad esempio, mi offrì la giacca e io da adolescente del tutto cotta, accettai. Ovviamente non era proprio il bravo ragazzo che credevo. Ora però basta, sto dilagando un po’ troppo e temo che Eric mi abbia parlato e io non abbia risposto. Meglio far finta di niente. Intanto mi stringo un po’ in me stessa aspettando che la signora giunga in centro per darle indicazioni.<br />
Psss. Psssss. Possibile che…?<br />
- Sarah? - Eric mi sta chiamando a bassa voce. Devo tornare con i piedi per terra, sono in macchina con due persone che non conosco e insisto a farmi problemi su una giacca. Piuttosto, cosa vorrà ancora?<br />
Rispondendo altrettanto a bassa voce, gli sussurro - Cosa c’è? -.<br />
Molto lentamente tenta di avvicinarsi a me senza farsi notare dalla madre. Scivola piano sulla parte del divanetto alla mia sinistra fino a giungere a qualche centimetro dal mio orecchio. Una volta ripreso il respiro comincia il suo sussurrare dicendomi:<br />
- Io forse so chi sei -<br />
Lo guardo con aria interrogativa. Ma cosa sta dicendo? Forse allude al fatto che…<br />
No, è praticamente impossibile.<br />
- C’è qualcosa, un segreto che custodisci gelosamente. Una parte della tua vita che pochi conoscono, solo i più fidati immagino -<br />
Mi trovo spiazzata. Questo ragazzo comincia a non piacermi più. Non può essere. Nessuno, ad eccezione delle mie amiche, sa a cosa lui si stia riferendo. Forse mi sta solo prendendo in giro. O forse no. E se sapesse davvero?<br />
- Non puoi nascondermelo, Sarah. E prima o poi me lo dirai tu stessa. Anche se forse ne so più io che tu -.<br />
Che aria maliziosa. Quel sorrisetto beffardo che tira fuori ogni tanto mi da un po’ fastidio. Sembra sicuro di sé, eppure non posso fare a meno di pensare che in realtà si stia solo divertendo alle mie spalle. Meglio lasciar cadere il discorso, non posso correre un tal rischio per un presuntuoso sconosciuto. La mia espressione sembra stata stampata in fabbrica. È proprio una di quelle che ti sbatte in faccia un bel “Ma sei scemo?”.<br />
Grazie alla mia recitazione, allontana il suo viso dal mio, sorprendendosi della mia reazione ed assumendo un atteggiamento di sorpresa e riflessione. Crede di essersi sbagliato su qualcosa, ma cosa? Cos’è che voleva dirmi?<br />
Che stupida che sono, mi sto preoccupando di un’eventualità abbastanza improbabile.<br />
Sembra passata un’eternità, questi cinque minuti son durati più del dovuto, ma almeno siamo arrivati in centro.<br />
- Adesso svolti a sinistra e poi prosegua dritto -<br />
Obbediente, la signora segue passo passo le mie indicazioni. Sono quasi a casa per fortuna. Le strade sono deserte e ormai il mio corpo mi segnala di dover riposare: sono le 22:45. Adesso la città sembra tornata normale, ne riconosco ogni angolo, anfratto e vicolo. Chi sa cosa è successo prima?  Sembrava tutto così offuscato e confuso. Ora, invece, i lampioni sono proprio quelli di Piazza Luigi Palomba e via XX Settembre è il solito borgo che d’estate è decorato di bandiere di ogni colore lasciate ad asciugare fino a notte inoltrata, sperando in un po’ di fresco.<br />
L’auto sobbalza inciampando in qualche fosso o vibrando su qualche tombino. Ad ogni buca mi sembra di essere più vicina a casa. È piombato un silenzio quasi luttuoso in auto, ma l’atmosfera stanca rende l’aria più respirabile. Voglio godermi il silenzio della città che mi accende i sensi e sentire il suo respiro sul volto.<br />
- Svolti a sinistra e accosti alla sua destra. Abito qui -<br />
Alle mie parole Eric sembrò riemergere dallo stato di trans in cui era precipitato da un po’. Sembra si sia appena svegliato da un sogno.<br />
Che aria strana che lo avvolge, sembra quasi di essere accanto ad un personaggio delle fiabe, uno di quelli di cui tutte le ragazzine si innamorano perdutamente. I capelli scuri e spettinati mi chiamano, vogliono incontrare ancora una volta le mie dita. Il suo sguardo invece mi dice che qualcosa è improvvisamente cambiato, mi osserva come mi vedesse per la prima volta e mi volesse giudicare: sembra quasi inorridito. Solo io posso incontrare tipi del genere.<br />
- Grazie mille per il passaggio. Buona notte! -<br />
Un sorriso sforzato mi fa alzare le guancie piene e quando mi giro e lo rincontro per l’ennesima volta stasera, si spegne. Un lunghissimo attimo avvolge i nostri sguardi, mentre apro lo sportello e cerco di buttarmi a calci fuori da quella macchina. La mia testa si svuota per un po’, per quel secondo eterno che ho impiegato per trovarmi fuori, e nel frattempo c’è una domanda che mi si presenta all’improvviso mentre lo guardo dirmi ‘ciao’: chi sei?<br />
<br />
L’aria è fresca. La macchina si allontana e la fisso incredula finchè non sparisce dietro la curva che percorro tutte le mattine. La luce gialla dei lampioni mi mette ansia, sarà meglio andare. Mi volto e dopo qualche passo supero il cancello, sparendo anch’io.<br />
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NOTE:<br />
Il titolo della storia è dovuto al fatto che gli avvenimenti narrati, li ho sognati davvero. Ho cominciato a scrivere questa storia quando ero all'ultimo anno di liceo ed ora la tiro di nuovo fuori per condividerla - finalmente - con qualcun altro.<br />
Mi auguro che il modo di scrivere da ragazzina non sia troppo evidente!<br />
Spero possa piacere, alla prossima!

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Capitolo 2
*** Chi cerca...trova ***


II
Chi cerca...trova





- Aaaaah! - Finalmente riabbraccio il mio letto. È stata una giornata davvero stressante. Tra scuola, compiti, ragazze stupide e incontri strani non so come riuscirò ad alzarmi domani. Sarà meglio andare a dormire, forse dimenticherò tutto. Almeno lo spero.
Con un sospiro decido di dimenticare le ultime quattro ore della mia vita e ogni domanda che mi è stata rivolta, mi tiro su le coperte ancora fredde e mi volto sulla sinistra dopo aver spento la lampada sul comodino. È così dolce l’aria di casa.

- Io so chi sei -
- Come fai a saperlo? Io non ti conosco -
- E’ vero -
- Allora, come fai a saperlo? -
- L’ho percepito -
- Cosa? Cosa hai percepito? Quando? Come? -
- Io so chi sei -
Chi sei?
Cosa è successo? Dov’è? Dov’è andato?
Ah, capisco, era solo un incubo. Mi sono improvvisamente ritrovata in camera mia, al buio e…sola. La foresta del mio sogno era molto più bella.
Ma cosa diamine mi sta succedendo? Sono le 3:00 e credo di star delirando. Basta, torno a dormire. Col fiato corto torno con la testa sul cuscino, impegnandomi  con tutta me stessa a dimenticare e a dormire.

Il suono assordante della sveglia mi penetra nei timpani rompendo ogni specchio della mia immaginazione. Non potevo scegliere un suoneria più fastidiosa, ma è l’unica che può farmi alzare ogni mattina nonostante mi provochi un senso di rifiuto verso il mondo. Ce la faccio ad alzarmi o ad aprire tutti e due gli occhi? No. Altri due minuti, ti prego!
Mi rituffo nel letto e torno fra le braccia di Morfeo.

- Sarah. Sarah? Sarah, ma dormi ancora? Svegliati! Sono le otto meno venti! -
Le otto meno venti…le otto meno venti?
- No! -
Mi alzo di scatto e mi metto seduta sul letto, realizzando che tra venti minuti devo essere in classe. Prima ora: Fisica. Che qualcuno mi aiuti!
Corro letteralmente in bagno, mi lavo i denti e la faccia di corsa ed evito di pettinarmi. Tiro fuori dall’armadio un jeans, una maglietta e una felpa. Infilo le scarpe, prendo la sciarpa e lo zaino; un leggero bacio a mio padre, un saluto a mia madre, e mi fiondo fuori dalla porta.
L’ascensore è occupato, prendo di corsa le scale. Accidenti quanto è tardi! Mancano solo cinque minuti. Esco dal cancello, supero la mia adorata scuola elementare, la salumeria, la farmacia e la pasticceria ormai chiusa. Comincia la salita, la parte più dura del percorso, dopodiché la curva. La curva dietro la quale l’auto di quel ragazzo è sparita. Mi blocco per un attimo guardandomi intorno, semplicemente osservando quel tratto di strada. Mancano due minuti alle otto. Devo smetterla di pensarci, è stato solo un incontro casuale, non ha importanza.
Riprendo a camminare ascoltando la musica dall’unica cuffia funzionante. Attraverso l’incrocio e ad un minuto alle otto ho perso le speranze.

Finalmente varco il cancello della scuola e salutando Tore “il bidello” fuggo in classe. La porta è ancora aperta, forse la professoressa non c’è. Sono fortunata, non è ancora arrivata. Entro nell’aula col fiato corto e subito abbandono lo zaino sul banco per salutare Rosa, Serena e il suo pancione che adoro e che contiene mia nipote, Giovanni, AnnaRita e tutti i pochi puntuali che rimangono. La III D è una classe un po’ bizzarra. Tra dieci minuti arriveranno Anna e Luciana. Racconto o non racconto? Racconto.
Le prime tre ore filano via tranquille e finalmente suona la campanella dell’intervallo. Scrocco una sigaretta e comincio a raccontare. Cerco di far capire a Luciana il motivo della mia preoccupazione e sembra lo colga.
- Ma dai, non preoccuparti. Sarà solo un caso -
Se lo dici tu. Spero sia così. L’intervallo è finito ed anche la mia sigaretta.
Queste ultime tre ore di lezione passano più lentamente e sono anticipatamente annoiata dai compiti da fare per domani. Finalmente suona la campanella delle due. Fuori aspettiamo che Dario arrivi.
- Ciao Amore, come va? -
- Ehi amore, solita giornata -
- Cosa è successo ieri? Sei tornata tardi? -

Non posso raccontargli tutto, potrebbe non avere una buona reazione. Ripeto per sommi capi la mia avventura, non ha una reazione particolare.
- Amore oggi devi studiare? -
- Uhm, dovrei -
- Dai ,comincia subito, così poi usciamo -

Diciamo che ci ho provato. Il sonno mi blocca i pensieri, il caffè non è servito a molto.  Come al solito non mi importa più di tanto ed esco con il mio adorato fidanzato. Litoranea, caffè del nonno, sigaretta, tante coccole e baci e poi tutti a casa per cena.
La solita giornata tranquilla, con l’unico inconveniente che qualcuno mi impegna i pensieri. Quel maledetto ragazzo mi ha messo strane idee in testa e non posso rimanere indifferente; se ciò che mi ha sussurrato fosse la verità, potrei cacciarmi nei guai. Devo sapere di più.
Facebook è un probabile mezzo per trovarlo.
- Vediamo: E, r, i, c. Ma si scriverà così? -
Ricordo bene il suo volto, come dimenticarlo, non posso dimenticarlo. Mi serve. Nessuno di questi è lui. Internet non mi aiuta. Cosa posso fare?

Sono le 16:00. Tornerò nel posto in cui l’ho incontrato. Cellulare, borsa ed esco.
- Ci vediamo dopo! -
- Dove stai andando? - La solita domanda di mia madre.
Prima di poter avere la sua risposta, la porta si è già chiusa. È un bel tragitto da qui, mi toccherà camminare un bel po’.  L’mp3 mi ha abbandonato.
Sono le 16:25 e qui fa caldo. Per quanto tempo dovrò aspettare?
Un’ora e mezza fa ero convinta che venendo qui avrei concluso qualcosa e devo dire che mi sbagliavo. Mi sbagliavo tanto. Chi credevo di trovare? Sarà meglio tornare indietro, Dario si starà chiedendo che fine ho fatto. Il sole che filtra tra le foglie violacee dell’alberello mi acceca per un attimo e appena faccio il primo passo sulla via del ritorno calpesto qualcosa. Abbasso lo sguardo e il mio piede urta un portachiavi, una minuscola palla da basket. Basket. T-shirt rossa, numero 83. L’albero…Eric! La mia mente si illumina improvvisamente e davanti a me vedo una lunga linea bianca disegnata a terra con una bomboletta. Un segno? Sarò impazzita, ma devo seguirla, non posso non tentare.
Raccolgo il piccolo pallone e lo infilo in borsa, il primo passo lungo quella linea mi da i brividi e mentre cammino sembra quasi che tutto intorno a me scorra troppo velocemente, mi sembra di stare affrontando una corsa contro il tempo. Come se quella linea possa sparire da un momento all’altro.
Mi fermo qualche secondo con la paura che ciò che penso sia vero. Terrorizzata abbasso lo sguardo e vedo la mia guida sparire sotto i miei occhi e senza neanche avere il tempo di pensarlo, le corro dietro mentre svanisce sotto i miei passi. La mia mente nel frattempo elabora le più improbabili, e forse non proprio impossibili, previsioni del futuro prossimo: un semplice idiota, un effetto ottico, il polline che mi ha dato alla testa, la mia immaginazione. Magia.
L’incrocio di via Cesare Battisti sempre trafficato mi costringe a rallentare un po’ la mia corsa e la linea si dissolve sempre più in fretta. Svolto a destra e superata l’edicola lascio andare le mie gambe alla discesa, ma d’un tratto la linea s’interrompe dopo avermi fatto attraversare la strada. Mi volto e l’autobus aspetta alla fermata con le porte aperte. Ci salgo appena in tempo prima della loro chiusura. Ma cosa sto facendo? Mi sono infilata in un bus senza motivo!
Non so perchè, ma mi sento davvero stupida e pentita di questa inutile corsa. Mi siedo e non posso fare altro che aspettare e vedere dove mi porta questo rottame.

Portici? Che diavolo devo fare qui? Le strade sono già trafficate e c’è afa. Non c’è nessuna linea bianca qui, dove devo andare? Mi guardo intorno sperando di trovare un segno ed eccolo che mi si fionda negli occhi. Eric è lì dall’altra parte del marciapiede, solo. Si dondola passeggiando avanti e indietro, facendo tre passi alla volta. Non mi ha visto, o forse non mi ha riconosciuto. Devo andare da lui. Metto piede sulle strisce pedonali, ma un enorme camion mi taglia la strada. Appena riesco a guardare oltre, Eric non c’è più, svanito nel nulla come se il vento lo avesse portato via. Attraverso comunque la strada per accertarmi di non essere pazza. Guardo a destra e a sinistra, ma niente da fare. Prendo alla mia sinistra e mi dirigo verso piazza San Ciro. All’angolo del marciapiede un rivolo d’acqua scivola lungo la strada ad ovest brillando al sole. Lo seguo fino al punto in cui si interrompe. Sto percorrendo una strada alberata: alla mia destra la villa comunale, alla mia sinistra il bosco. E’ aperto. Se ripenso a cosa mi ha portato fino a qui mi sento davvero una sciocca. Ma ancora una volta qualcosa mi trascina, un bambino brunetto con gli occhi verdi mi tira per un braccio e mi fa entrare. Superiamo il laghetto delle anatre e ci inoltriamo nel parco oltre la pista di pattinaggio. Siamo ai limiti del bosco e il bimbo non ha risposto a nessuna delle centinaia di domande che gli ho posto, è rimasto muto per tutto il tragitto. Mi lascia la mano e se ne va. Mi ha abbandonato sotto un enorme albero in mezzo al prato. Ancora incredula mi siedo sull’erba asciutta e aspetto che qualche altra stranezza colga la mia attenzione. Sono le 17:32 e c’è qualcosa che mi sfugge. Il bosco chiude alle sette, non c’è da preoccuparsi. Cos’è che sto dimenticando? Mentre ci penso sento che qualcosa mi sta bagnando la spalla. Ecco cosa mi sfugge: alle 17:30 comincia l’irrigazione del prato e io mi trovo in mezzo ad una cerchia di spruzzi. Mi alzo subito e cerco una via d’uscita correndo in mezzo all’acqua. Corro alla fine del prato, dietro un angolo nascosto illuminato dal sole, un piccolo paradiso. Cercando di recuperare il respiro mi getto sull’erba morbida davanti ad un piccolo laghetto. Mi avvicino alla riva e a gambe incrociate stendo la mia mano sull’acqua, ad un millimetro dalla sua superficie. Mi concentro più che posso, ci metto tutta me stessa, ma in cuor mio già so che non succederà. E infatti non succede niente. Una volta avrei potuto far vorticare l’acqua in aria a mio piacere, avrei potuto sbattere un’onda in faccia a chi lo avesse meritato, avrei potuto sollevare anche una sola goccia di questo laghetto e farla arrivare fino in Cina, avrei potuto giocare a fare disegnini d’acqua seguendo le linee del paesaggio.
Tutto questo però è sparito dalla mia vita già da un bel po’ di tempo.  Ritiro la mano dalla superficie, sfiorandola appena nel movimento di ritorno. L’acqua si increspa. Si increspa? Dovrebbe incresparsi, ma non lo ha fatto. È rimasta liscia come uno specchio. La sfioro ancora e non succede nulla, eppure non ho perso contatti con Ipse. Nemmeno lui sa darmi una spiegazione. Che sia giunta l’ora di dire addio al mare? La paura mi invade al pensiero di dover dimenticare tutto quello che è stato: le voci nella mia testa, la scoperta di Acqua, Fuoco, Terra ed Aria, l’amicizia nata tra me e lui, la magia della natura, il mio compito e la storia del mondo. No, non può essere giunto il momento, l’avrei sentito o un’onda me lo avrebbe detto. Forse tutto questo è collegato alle parole di Eric, “io so chi sei, me lo dirai”.
Appena pronunciato il suo nome nella mia mente, lo vedo riflettersi nel laghetto proprio alle mie spalle e questa volta, quando mi sono voltata, il vento non se l’era portato via. Lui è proprio qui a guardarmi dritto negli occhi.

- Vedo che ce l’hai fatta, Sarah -

La mia gola si è chiusa nel suo rifugio, la mia voce è fuggita in Africa, la mia bocca ha perso la facoltà di muoversi. Non riesco a rispondere e non riesco a trattenermi dal balbettare. I suoi occhi maliziosi mi guardano con totale disinvoltura.
Come fa ad essere così tranquillo? No, non è lui ad essere tranquillo, sono io che ho il batticuore. Devo dire qualcosa altrimenti farò la figura della scema.

- Ehm…oh…ce l’ho fatta? -
- Si -
Un momento. - Ce l’ho fatta a fare cosa? -
- Ad arrivare fino a qui. Un’altra come te ci avrebbe messo qualche giorno. Evidentemente la situazione ha compromesso i tuoi poteri, ma non il tuo istinto -

Son confusa, terribilmente confusa. Un’altra? “Situazione” e “poteri” posso immaginare a cosa siano riferiti, visto che ho appena avuto un’altra conferma, ma “istinto”?

- Adesso tu ti siedi qui, accanto a me, e mi dici tutto quello che sai, perché io non ci capisco più niente! Ho compreso che sai molte cose, ma non capisco in che modo -

Con un’espressione tranquilla, si sposta di qualche centimetro e si siede a gambe incrociare accanto a me.

- Dimmi cosa vuoi sapere -
I suoi occhi sembrano sinceri. - Risponderai a tutte le mie domande? -
- Se posso, lo farò. So che sei arrivata fin qui per sapere -
- Chi sei? -
- Io sono come te. Non sono il ragazzo che hai conosciuto sotto quell’albero l’altra sera e non sono nemmeno quello che ti ha guardato in quel modo quando sei scesa dalla macchina -
- Nemmeno quello che mi ha abbracciato? - Lo guardo un po’ sarcastica. Non mi risponde, semplicemente sorride guardandosi le scarpe.
- Io sono… -
S’interrompe all’improvviso aprendo un po’ di più gli occhi e senza che io possa fare niente, si alza di scatto e corre via, come se avesse percepito un pericolo imminente. Come un animale che fugge appena si accorge di essere osservato.
Cerco di corrergli dietro tra l’erba bagnata, ma giunta in mezzo al prato qualcosa mi blocca, non posso più proseguire.
Lo vedo lontano da me che mi guarda imponendo la mano sulla mia traiettoria. È lui a bloccarmi.
- Non seguirmi! -
- Eric, dove stai andando? Devi rispondere alle mie domande! -
- Un’altra volta! -

Un battito di ciglia ed è svanito nel nulla e insieme a lui svanisce la forza che mi blocca in mezzo al prato. Non appena ricado in avanti, raccolgo la borsa che mi era caduta e corro a più non posso per i sentieri del bosco. Mentre cerco di trovarlo, cosa in cui non spero, mille domande mi frullano per la testa. Cosa sa? Cosa vuole? Chi è? Come fa a sparire e apparire in quel modo? …cos’è?
Vorrei che questo mistero potesse risolverlo qualcun altro al posto mio.
Niente da fare, non lo trovo. È sparito davvero. Freno la mia corsa alla fine di un sentiero. La cementazione del percorso termina nonostante ci siano ancora prati. Strano. Mi fermo sull’orlo del sentiero e scruto la distesa di erba e alberi nella speranza di intravedere qualcosa, ma d’improvviso la terra comincia a tremare sotto i miei piedi. I sassolini rimbalzano sul posto, si percepisce un lieve rombo. Giro su me stessa per vedere cosa succede intorno a me e sembra che nessuno si accorga di quello che sta accadendo. Evidentemente lo sento solo io, il che per me è una cosa normale visto che nessuno può sentire ciò che sente un guardiano dell’acqua. Aspetto di vedere cosa succede.
Il terreno si crepa nello spazio tra le mie gambe piegate, pronte a scattare, e lentamente si apre e sprofonda in un buco nero. La gente ci passa su senza accorgersi di niente e nemmeno di me che ormai sono costretta a piegarmi fino a terra per non cadere. Mentre gli ultimi ammassi di terra finiscono nell’oscurità, il suolo smette di tremare e il vento dietro di me mi spinge ad avanzare. Azzardo, e scopro che in quel fosso non si cade. Cammino sui bordi ancora un po’ agitata, mentre una luce proveniente da quella profondità proietta un simbolo proprio al centro di quella circonferenza perfetta. È una forma strana, sembra quasi il portachiavi col pallone.
Un cerchio vuoto, una retta e un cerchio pieno. Lo prendo subito dalla borsa e lo faccio dondolare appeso al mio dito, in corrispondenza dell’ombra di luce e i due si sovrappongono perfettamente.
- Come mai non succede più niente? Che delusione, sembrava di essere in un film -
Deve esserci qualcosa che posso fare, forse devo usare il portachiavi. Non c’è nessuna linea, nessuna rientranza,nessuna porta, sono in piedi su un liscio specchio nero. Mi alzo e mi guardo ancora intorno, non so che fare. Mentre la mia testa si rassegna al fatto di non trovare una esplicita soluzione, sento il mio piede rialzarsi, spinto da qualcosa. Lo sposto e al centro del vuoto cresce una piantina, solo che cresce a vista d’occhio, cosa non possibile in natura. Diventa ogni secondo più grande, trasformandosi in un alberello e poi ancora in un albero e alla fine in un’enorme quercia. Un albero è appena cresciuto in venti secondi davanti a me e le sue lunghe radici sono sospese come me nel vuoto. Mi sembra chiaro, a questo punto, che mi trovo dinanzi a qualcosa di sovraumano. Qualcosa con cui forse non dovrei avere a che fare. Bene, ora cosa devo fare con questa quercia?
- Non sei tu a dover fare qualcosa con me -
Mi giro immediatamente al suono di quella voce così profonda e grave. Non può essere Eric.
- Chi parla? -
- Sono io a dover fare qualcosa con te! -
- Chi sei? Fatti vedere! -
- Mi hai qui davanti, bambina -
Qui davanti? Ma non c’è nessuno, il bosco sarà quasi deserto.
- Deserto? Se ci siamo io e te non può esserlo, bambina -
Può leggere i miei pensieri! Sono fottuta!
- Certo che posso leggere i tuoi pensieri, non sono mica un pero, sono una quercia! -
Sto sognando. Deve essere un sogno. Un incubo! Una quercia mi sta parlando e può leggere nella mia mente!
- Haha! Sarò anche diventato vecchio, ma non vorrete prendermi in giro ogni volta che rientrate. Avanti, bambina, comincia a farsi tardi. Non vorrai rientrare col buio -
Mi volto lentamente, attenta a non pensare a qualcosa che possa tradirmi. Ma come faccio? Forse la cosa migliore è far finta di non capire, a scuola funziona!
- Rientrare dove? -
- Ma come? Ad Evolah -
- Evolah? -
-
Ma tu chi sei, bambina? -
- Io sono Sarah -
Detto il mio nome, la quercia sembra pensierosa. Allunga una radice e ne pone la punta sulla mia fronte con facilità, visto che non riesco a muovermi. Una debole luce splende al contatto con la mia pelle, come se stesse illuminando la mia mente. So che è inutile divincolarsi, aspetto che dica qualcosa.
- Ma tu sei un’umana, bambina, come hai fatto ad arrivare qui? -
Mi scioglie dal suo incantesimo e ora riesco a respirare meglio. Sa che sono umana, eppure non sembra preoccupato, nonostante la sorpresa.
- Beh, non saprei. Sono arrivata e sei apparso tu. Perché sei sorpreso? -
- Mi dispiace, bambina, non posso dirtelo. Adesso devi consegnarmi la chiave e devi andare via -
- Quale chiave? Intendi forse questo? - Gli mostro il portachiavi di Eric.
- Esatto, proprio quello. Aspetta, ma quella è la chiave…Restituiscila immediatamente! - Tremo un po’ al suono possente della sua voce. Allunga una radice per prendere il piccolo pallone da basket dalle mie mani, ma io mi scosto. Devo assolutamente approfittare dell’occasione per scoprire qualcosa, anche se ho un po’ di paura.
- No, aspetta! Cos’è questo coso? Cosa apre? -
- Mi dispiace, non posso rivelarti nulla. Adesso fai la brava, bambina, non far stancare inutilmente una vecchia quercia -
- Io ho bisogno di sapere -
- Adesso basta, ragazzina, restituisci quella chiave -
- Aspetta! Io sono una guardiana dell’acqua! -
- Tu sei una guardiana? Una ragazzina così piccola? -
- Dimmi cosa apre questa chiave, ti prego! -
- Certo, essere una guardiana cambia la tua posizione, ma non capisco come fai ad avere quella chiave reale -
Chiave reale?
- Cos’è Evolah? -
- Non posso rivelarti nulla -
A mali estremi, estremi rimedi. - Allora arrivederci! -
- No, aspetta! Guardiana, perdona la mia diffidenza, ma ho degli ordini precisi. Finchè il principe non tornerà, non posso far entrare nessuno se non gli abitanti di Evolah. Anche se, senza chiave, non so come farà il principe a rientrare -
Abitanti. Dunque Evolah è una città, e se questo portachiavi è di Eric…allora il principe è lui!
- Qual è il nome del principe? -
- Il principe ha il nome del fondatore di Evolah, Eric -
Allora non ci sono più dubbi, Eric è il principe di Evolah. D’un tratto sento una voce chiamare.
- Syreo! Syreo! Aspetta, non chiuderti ancora! -
È lui!
- Ascoltami, ehm…Syreo, non dire ad Eric che sono qui. Sai, ehm…vorrei fargli una sorpresa -
- Ma… -
Mi sono già nascosta dietro di lui, senza lasciargli il tempo di controbattere. Appoggiata alla sua corteccia, sento i passi di Eric farsi più vicini fino a fermarsi.
- Syreo! Che fortuna! Ho perso la chiave. Se non ti avessi trovato fuori avrei dovuto passare la notte qui -
- Siete stato fortunato -
- Vogliamo rientrare? -
- Ecco, io... -
- Avanti Syreo, mio padre mi aspetta -
Senza aspettare un secondo in più, l’albero è costretto ad obbedire. Una forte luce bianca sorge dai bordi del cerchio e prima che quei due sparissero, mi aggrappo ad una radice.
In un tempo così breve da non poterlo definire matematicamente, ci catapultiamo nel buio della fossa. La sensazione di vuoto mi attanaglia la pancia.
Quando riapro gli occhi sono ancora aggrappata alla radice, ma non mi trovo più nel bosco. Sono in una piccola radura avvolta dalle ultime luci del tramonto.
- Grazie Syreo! -
- Di nulla, Eric -
Sbirciando dal mio nascondiglio, vedo che il ragazzo che cercavo sorride alla quercia per poi allontanarsi di corsa. Esco subito allo scoperto e comincio a corrergli dietro, ma qualcosa mi ferma.
- E tu cosa ci fai qui, guardiana? Come hai fatto ad arrivarci? -
- Mi sono semplicemente incollata ad una delle tue radici, ora lasciami andare -
- Cosa cerchi qui? Non c’è nulla che possa interessarti -
- Non cerco nulla, voglio solo sapere la verità -
- Ma non puoi scorrazzare dove ti pare, ti arresteranno! -
- Non importa, nel caso succeda qualcosa so di chi devo chiedere -
Non mi lascio trattenere oltre, mi libero dalla presa e fuggo via prima di perdere Eric di vista.
- Sta attenta! -
Non so dove mi trovo, cosa succederà, come farò a tornare indietro, ma non posso sprecare questa opportunità. Devo sapere.

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Capitolo 3
*** Allora dovrai trovarmi ***


III
Allora dovrai trovarmi






Questo posto è davvero strano. Piante enormi, alberi altissimi, fiori giganti e una luna così grande che sembra che stia per toccar terra. Non c’è nessuno in giro, ammesso che qualcuno ci sia. Eric ha rallentato, forse siamo quasi arrivati. Spero solo che non si sia accorto di nulla.
Siamo arrivati in città, credo. Ci sono casette qua e là, anche se dal loro aspetto non sembrano proprio case. Assomigliano più alle abitazioni delle fate, quelle che si vedono nei film o quelle che vengono descritte nei libri.
Continuo a muovermi in mezzo a queste foglie enormi finchè non giungiamo in mezzo ad un enorme spazio pieno di luce e di tavoli imbanditi. C’è gente in ogni angolo e il vociare e la musica coprono ogni rumore. Sono costretta a fermarmi. Tra me ed Eric c’è solo qualche metro.
- Buonasera, padre! Perdonate il ritardo -
Quello sarebbe il padre di Eric? Proprio quello con le ali? Ora che ci penso non è l’unico ad averle, qui tutti hanno le ali. Cosa sono, fate? In effetti sembrato tutti personaggi magici. Le donne vestono con abiti colorati, e non hanno proprio un aspetto umano. Dal loro viso spuntano piccoli arcobaleni che si protraggono fin sulle orecchie e ali trasparenti e brillanti. I maschi hanno ali meno delicate, ma sono aggraziati ed eleganti quanto le donne. Sono tutti bellissimi.
Eric si allontana, si dirige verso il centro di quel posto a salutare qualche persona, se si possono chiamare così. Una melodia invade l’aria e qualcuno comincia a ballare. Sembra una di quelle danze popolari da ballare in gruppo. Eric viene trascinato dalla mischia e mentre balla toglie la maglietta bianca che indossa e, con mia sorpresa, vedo spuntare dalla sua schiena un paio d’ali dal colore vagamente celestino. Avrei dovuto immaginarlo, ma tutto questo mi sembra impossibile.
Si è fermato dopo l’ultimo inchino e si dirige nella mia direzione. Che mi abbia visto?
- Ei, mamma, io vado a casa -
- Va bene, tesoro. Ci vediamo più tardi -
Le da un bacio affettuoso sulla guancia e appena si volta si impietrisce. Con la faccia distorta in una smorfia di curiosità si avvicina. Ecco, mi ha visto. Non posso lasciare che mi scopra, devo andare via.
Corro in mezzo  quella specie di piccola foresta sperando di non perdermi e di trovare la strada giusta. L’erba si fa meno fitta e più bassa, ora mi vedrà. Infatti, voltandomi, lo vedo corrermi dietro. Sono finita! Cosa posso fare? Non dovrei scappare, ma temo che sia terribilmente arrabbiato.
- Syreo! Syreo! Syreo, ti prego, esci fuori! -
Fortunatamente l’enorme quercia appare ancora alla mia vista.
- Devi portarmi a casa! -
Mi fermo davanti a lui e lo scongiuro di riportarmi indietro.
- Ti prego -
<- Perché Eric ti rincorre? -
- Riportami indietro! -
Abbraccio il busto dell’albero pregando che faccia sparire subito quel posto.

C’è ancora un po’ di luce e devo assolutamente andare a casa. A quanto pare Eric non è riuscito a seguirmi.
- Grazie Syreo! Grazie infinite! Ciao! -
Mi volto e corro via sperando che il cancello del bosco non sia chiuso.
- Guardiana, la chiave! -
- La tengo io! -
Alzo la mano per salutarlo senza voltarmi ancora. Sto pregando che Eric non mi stia seguendo.
La suoneria del telefono mi dice che è davvero tardi.
- Ma si può sapere che fine hai fatto? -
- Ciao amore -
- Dove sei stata? Il tuo cellulare è morto -
- Lo so, scusami, ero all’assemblea della Croce Rossa. È durata più del previsto -
- Dove sei ora? -
- Ehm, sto tornando a casa, ci vediamo? - Ho un terribile bisogno di distrarmi e poi, se Eric mi sta seguendo non potrà avvicinarsi se con me ci sarà Dario.
Prendo il primo treno senza biglietto, arrivo a Torre dopo dieci minuti. Devo andare immediatamente a casa, non posso fare tardi.

- Finalmente! -
Non posso fare altro che sorridere davanti a quella faccia arrabbiata. Gli butto le braccia al collo e mi bacia. Quant’è dolce. Andiamo a fare la solita passeggiata, la solita sigaretta e poi, come al solito, tutti a casa.
A cena mia madre mi chiede dove sia stata dato lo stato delle mie scarpe.
- Ehm, siamo andati a fare una passeggiata al bosco di Portici -
In effetti è quasi la verità, solo che ho fatto due passi anche in un mondo sconosciuto al quale si accede aggrappandosi ad una quercia parlante.
Uhm, ho paura che mi sto cacciando in qualche guaio. Lo zaino l’ho preparato, il pigiama l’ho messo, il computer è spento, conclusione: ora posso lasciarmi abbracciare dal mio letto.
Getto il fazzoletto appallottolato sul comodino e mi godo l’ansia generata dalla caduta libera sul materasso.
Il sonno non vuole giungere ai miei occhi, un’ondata di ansia mi trapana il petto. L’aria intorno a me sta cambiando, sta succedendo tutto così in fretta, tutto come una corsa, una fuga dal tempo e dall’ignoranza. Mi sembra di essere precipitata in un film o in un sogno o in un racconto.
Il mio soffitto è meno interessante di ciò che penso e con un battito di ciglia mi rendo conto che è già abbastanza tardi. Mi volto per poggiare il portachiavi sul comodino, gli do un ultimo sguardo in cerca di un qualche dettaglio rivelatore e poi spengo la luce.

Sono le 3:57. Apro gli occhi e non è buio come credevo. C’è una luce bluastra che illumina la parete e mi fa osservare la mia ombra proiettata sul muro. Agitata, col cuore in gola, mi volto e vedo il pallone da basket che splende sul comodino. Le sue rigature nere risplendono come se al suo interno ci fosse un piccolo sole e quasi mi acceca.
Perché splende? Fino ad ora non aveva fatto nulla del genere e perché lo fa proprio adesso? Che stia succedendo qualcosa?
Mi metto seduta e allungo la mano riflettendo bene su come doverla afferrare, potrebbe scottare o non so…ma che diamine sto dicendo?
La prendo senza esitare e mi accorgo che al suo interno non c’è nulla di simile a una fiamma: la luce è emessa da una fonte diretta, che non esita come una candela. Avvicino il pallone al viso cercando di scrutarvi all’interno, ma riesco a vedere ben poco, i miei occhi sono ancora fuori uso. Cos’è?
Lo allontano dagli occhi, la luce è tanto forte da accecarmi. Lo osservo per qualche secondo cercando di immaginare quale sia il motivo del suo splendore, quando d’un tratto quell’evento non basta ad allietarmi la nottata. Il misterioso splendore diviene intermittente.
Un rumore mi pervade le orecchie e l’agitazione è inevitabile. Non è stato il legno, non è lo scarico, non è il vento, non è la casa. Il rumore proviene dall’esterno. Continuando a tenere il portachiavi stretto nella mano destra, mi alzo cercando di fare meno rumore possibile e mi avvicino al balcone. Quasi inciampo sullo zaino, ma riesco a mantenere l’equilibrio. Il rumore si ripete, sembra che qualcuno stia cercando di aprire il balcone, che sia un ladro?
Mi tremano un po’ le gambe, ma devo andare a controllare. Mi fermo appena prima della tenda, senza fiatare, e sbircio attraverso il tessuto senza sfiorarlo, ma sembra non ci sia nessuno. Il portachiavi brilla ancora di più tra le mie mani. Il rumore persiste, devo capire cosa sta succedendo. Tendo la mano e la preparo ad afferrare la tenda, mi tengo in posizione, pronta a scappare, e col cuore in gola chiudo gli occhi, mi do coraggio e di scatto sposto la tenda. I miei occhi spalancati osservano un’ombra nera che fugge via. Il mio corpo si muove da solo e invece di indietreggiare apro il balcone, mi catapulto fuori e faccio appena in tempo a vedere un alone blu scavalcare la ringhiera e lasciarsi cadere. Quasi terrorizzata per il personaggio che ha tentato di entrare in camera mia, corro nel punto in cui ha scavalcato e mi sporgo: non c’è nessuno. Il vento fresco mi sposta la frangetta troppo cresciuta in avanti e decido che è ora di tornare dentro, ma non appena mi volto comprendo cosa fosse quell’aura blu: la luce della luna attraverso…le ali. Eric ha le ali blu. Quell’ombra era Eric e so anche perché è venuto fin qui. Abbasso lo sguardo e vedo il piccolo pallone smettere di splendere e, senza aspettare, torno dentro. Ora posso capire se è vicino, ma sarà meglio dormire, per oggi basta così. Mi rimetto sotto le coperte con i sensi ancora accesi e percepisco il lenzuolo ancora caldo sotto le dita. Ripensare a ciò che è successo è l’unica cosa che posso fare, il mio corpo si rifiuta di obbedire ad ogni mio comando e non cede neanche dinanzi alla notte e alla stanchezza.
Eric cercava la sua chiave, sono sicura. Non può esserci altro motivo, ma se è arrivato fin sul mio balcone vuol dire che mi ha riconosciuto e mi ha seguito. Ma riflettendoci meglio, la chiave ha cominciato a brillare nel mezzo della notte e questo significa che, in realtà, Eric non mi ha seguito. Lui sa chi sono, sa dove abito, sa qual è il mio terrazzo e sa esattamente quale porta varcare per raggiungermi. Non so quanto tempo impiego ad addormentarmi, ma quando giunge finalmente quel momento, non faccio in tempo a vedere il portachiavi tornare a brillare.

La sveglia suona troppo presto e con troppa presunzione. Il fatto che il mio primo pensiero sia Eric, mi da tremendamente fastidio e mi fa sentire come una vecchia donna frustrata, stanca della vita e con un perenne mal di testa. Oggi non posso tornare lì. Non voglio vederlo. Non voglio e basta. Mi fa paura la sola idea della sua presenza, ma prima o poi dovrò affrontarlo. Ma, ora come ora, ho bisogno solo di sapere ed ho capito che lui non è proprio disposto a darmi delle risposte. Oggi potrebbe aspettarsi una mia visita, quindi sarà meglio aspettare qualche giorno.
Le mie azioni sono diventate meccaniche, così senza neanche accorgermene, mi ritrovo ad aspettare l’ascensore sperando di non aver dimenticato nulla. Il cielo grigio mi da il buongiorno.

Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin. Finalmente anche questa giornata a scuola è terminata.
- Sarah, Dario viene a prenderti? - Anna vuole un passaggio.
- Si, non preoccuparti - le rispondo direttamente per non sentire sempre la solita identica richiesta.
Usciamo fuori chiacchierando di quanto il nostro professore sia strambo e appena fuori dal cancello il mio cuore si ferma del tutto, mi sento sprofondare e tutto intorno a me scompare: Eric è dall’altra parte della strada poggiato al muretto con le mani in tasca, che mi osserva. Il polline che assedia la scuola e svolazza in continuazione sembrava l’unica cosa a separarci. Temo che tutte le mie paure oggi si siano date appuntamento e abbiano deciso di realizzarsi. Torno alla realtà grazie alla paura che mi attanaglia la gola e senza aspettare afferro Anna per il braccio e la trascino fino alla macchina, ci entro e partiamo. Mi guardo indietro pregando che il mio non voltarmi abbia magicamente fatto sparire quel ragazzo e in effetti non lo vedo più. È sparito. Dov’è? Si è nascosto? Mi guarda ancora?
- Amore, cosa stai guardando? - Dario se n’è accorto, cosa dico?
- Ehm, niente amore, solo se c‘era una mia amica - Credo di averla scampata. La tensione mi rende silenziosa e attenta.
Siamo arrivati fuori casa mia, fortunatamente senza alcun imprevisto.
- Ciao amore, ci vediamo dopo! -
Che diamine ci faceva fuori scuola? Cosa devo fare adesso? Mi scoppia la testa.
I miei  libri di greco e latino non servono a distrarmi, Dario è tornato al lavoro e le mie amiche sono fuori. Il portachiavi è accanto alla mia mano destra e ho quasi bisogno di tenerlo tra le mani, è quasi insopportabile la sua presenza sul tavolo della cucina. La mia mente lo vede illuminarsi ad ogni piccola distrazione. Non dovevo cacciarmi in questo pasticcio, temo sia più grande di me. Evolah non è lontana da qui e l’unico modo per arrivarci è Syreo, quindi Eric è ancora in circolazione. L’unico modo. Unico? Sarà davvero l’unico modo?
Mi alzo dalla sedia ansiosa, in cerca di una risposta. Percorro la cucina dal balcone alla porta scorrevole finchè non mi torna una frase alla mente: “Certo, essere una guardiana cambia la tua posizione”.
Cambia la mia posizione. Forse posso avere accesso ad Evolah senza correre rischi. Ma come? Quale può essere l’accesso per una guardiana dell’acqua? Ci sarà forse un altro albero parlante? No. L’unica cosa che mi viene in mente è il laghetto alla fine del prato. “Vedo che ce l’hai fatta, Sarah”. Possibile che si riferisse al fatto che ho raggiunto il laghetto? “Evidentemente la situazione ha compromesso i tuoi poteri, ma non il tuo istinto”. Ma certo, se la fantasia non mi ha dato alla testa, l’entrata non può essere che quella!
Sono ancora in tempo ad andarci, ma lo so che lui sta aspettando. Non posso. E poi temo che sia solo un’intuizione dettata dalla disperata fantasia di una ragazzina.

Sono le 18:00 e Dario sta tornando. Il portachiavi  è rimasto lì al suo posto, non è accaduto nulla fin ora.
- Credi che riuscirai a scoprire qualcosa? -
- No. Temo che tutto ciò che penso sia solo una pessima illusione. Credo che stanotte tornerà. Se non sarò io ad andare da lui, sarà lui a venire da me. Non ho altra scelta, non sono abbastanza forte da affrontarlo -
- Non lo siamo -

La solita passeggiata sulla Litoranea, stasera, non basta a distendermi i nervi. L’aria salmastra sembra darmi forza, ma non abbastanza da resistergli. Come posso fare? Non ho la forza di aspettare il suo arrivo, né di andargli incontro, ma devo pur fare qualcosa. Alzo lo sguardo per osservare la linea dell’orizzonte e improvvisamente mi sento decisa ad agire.
Domani andrò.
Torno a casa e la cena è già in tavola, mio padre che ancora non torna e io che sono troppo pensierosa. La curiosità mi possiede senza sosta, subito corro al computer e senza esitare digito “Evolah”. Nessuna notizia, nessuna citazione, nessuna immagine. Per il momento mi rassegno e con un bel sospiro mi do la spinta necessaria a volteggiare sulla mia poltroncina bianca.
Tanto per distrarmi accendo la televisione e, guarda caso, ecco un film sulle fate: la spengo immediatamente. Prendo un libro a caso, ad occhi chiusi, pregando la sorte di assistermi, e ovviamente ecco Wings, di Aprilynne Pike. È una maledizione, non un caso.

Mi piace restare fuori al balcone in piena notte a chiacchierare con Ipse. La sua voce è dolce come il suo profumo. Sembrano passati secoli da quando tutto accadde, da quando il mare ebbe il sopravvento. Anche se so che un giorno dimenticherò tutto.
Il piccolo pallone da basket è appeso al mio collo e l’aria è strana. Devo aspettarmi qualcosa? Ti prego, fammi riposare almeno stanotte poi può scatenarsi il finimondo. Sono le 4:00 e decido che è ora di dormire, dunque benvenuto Morfeo, arrivederci pensieri. L’ultima cosa che percepisco è il contatto del portachiavi con la mia pelle e un respiro affannoso che annebbia i primi incubi.

Non ho dato alla sveglia il tempo di suonare, il mio stomaco è contratto dalla paura e il sonno è svanito in un istante, forse non l’ho mai avuto.
Il letto mi sussurra di poter dormire ancora un po’, ma le mie gambe prendono la rincorsa e mi trascinano fuori. Il balcone aperto mi invita ad uscire. Oggi è una bella giornata. Non c’è una nuvola e il mare è liscio come l’olio. Oggi, è il grande giorno.
 Il mio nuovo ciondolo non ha dato segni di vita, neanche un barlume. Mia madre comincia a chiamarmi, come suo solito, ma non si accorge che non sono a letto. La giornata comincia.
Sei ore di scuola sono pesanti, so che non passeranno mai. La professoressa spiega ancora una volta fisica, ma ancora vorrei urlarle che tutto ciò in cui crede non è vero. Il professore di religione insiste sulla struttura della Bibbia e anche a lui direi qualcosina.
Luciana mi osserva, ma fingo di non accorgermi della sua consapevolezza, che trapela da ogni suo sguardo.
- Prima o poi dovrai parlarmene - Sa che non ho intenzione di farlo. Lei sa sempre tutto.
Per la prima volta nella mia vita vorrei che l’intervallo fosse abolito definitivamente da questa scuola, ora questi dieci minuti sembrano durare quanto la corsa nel prato sconfinato di Evolah.
La campanella scioglie il nodo che mi attanaglia la gola e senza esitare torno in classe ad attendere che le ultime tre ore della giornata trascorrano.

Sono le 12:20.
- Professore, posso andare al bagno? - il suo sguardo antipatico si chiede cosa io possa mai fare nel bagno, ma i diritti degli alunni oggi non si discutono. Esco in cortile, non c’è nessuno se non il vento e le api del giardinetto che lo inseguono ronzando. Con le mani in tasca mi guardo intorno, senza pensarci, forse con l’inconscia speranza che qualcosa giunga alla mia vista. Nulla, sembrerebbe, ma sento che qualcosa o qualcuno c’è. I miei sensi si sono improvvisamente svegliati e tutto d’un tratto percepisco ogni cosa del mondo, come se mi fossi svegliata da un lungo sonno inconsapevole che teneva prigioniere le mie capacità. Lui è qui.
Lo sento nel vento e nell’umidità, nel vuoto. Mi assicuro che non ci sia nessuno anche nell’atrio solitamente occupato e scopro con piacere che non ci sono né alunni, né professori.
- So che sei qui. Non puoi nascondermelo. Ho imparato a riconoscerti - Le mie parole sussurrate giungeranno solo a chi può sentirle.
Nulla è comparso, nulla si è mosso. Mi assicuro che il portachiavi che ho riposto in tasca risplenda come credo e lui non mi tradisce.
- Ho io la tua chiave, non puoi nasconderti ancora -
Senza che io me ne accorga, intorno a me tutto si ferma. L’ape che mi stava passando davanti è ora immobile, posso osservare le sue ali trasparenti senza timore. Il vento è fermo, posso percepire con le mani dove la corrente si concentra.
- Cosa significa? - Questa volta il mio tono di voce è lontano dal sussurro.
- Nulla in particolare -
Improvvisamente mi appare dinanzi, lo spazio che ci separa è minimo e io non posso trattenermi dal guardarlo stupita negli occhi verdi, incantata dal sul respiro sulle mie labbra. Il suo sorriso un po’ beffardo mi abbaglia e la sua statura mi sovrasta, le spalle coperte dalla maglietta si impongono ai miei occhi nascondendo le ali, il suo sguardo da Peter Pan è inconfondibile.
La mia espressione sorpresa mi tradisce, lo comprendo dal suo ghigno che si estende. Con la coda dell’occhio vedo il suo braccio sinistro flettersi verso l’alto a toccare la mia spalla, ne rimango stordita, tanto è il batticuore che mi provoca. Questo ragazzo è la mia malattia.
Cosa succede? È la stessa sensazione che ho provato la prima volta che l’ho incontrato. Non posso sentirmi male ogni volta che mi è vicino, infondo lui per me non è niente. C’è qualcosa che non so.
- Come mai sei sorpresa? Non avevi imparato a riconoscermi? -
Il mio cuore sprofonda. Nello stesso istante in cui termina la sua domanda, mi rendo conto di essere ancor più debole, ancor più incapace.
- Non prenderla a male -
Nonostante mi parli con una certa confidenza, abbasso lo sguardo quasi intimidita, ma so che sto sbagliando. Mi faccio forza e torno a guardarlo negli occhi tentando di assumere una finta aria di superiorità.
- Non la prendo a male. Sono consapevole dei miei limiti - Spero che la mia finta espressione possa salvarmi, ma non ci conto tanto.
- Quali sono i tuoi limiti? -
- Dovresti conoscerli meglio di me, sua maestà -
Con mia sorpresa, è lui ad essersi tradito. È sorpreso. Dunque Syreo ha taciuto. La sua espressione varia gradualmente proponendomi il volto di un ragazzo appagato.
- Vedi? - Riprende la parola quasi con sguardo dolce.
- Cosa? -
- Non hai limiti, sei tu che te li imponi -
Non comprendo appieno ciò che quasi mi sussurra, come se mi stesse rivelando un prezioso segreto.
Non so cosa rispondergli. Il mio sguardo vaga mortificato intorno alla sua figura, evitando accuratamente i suoi occhi. La mia maschera di sabbia si è dissolta alla prima onda. Tentando di rianimarmi, noto che la sua attenzione è concentrata sul mio fianco destro e i muscoli del braccio ancora posato sulla mia spalla sono tesi.
Pronta, infilo la mano in tasca con aria indifferente e dispettosa lo guardo negli occhi, quasi soddisfatta per aver ottenuto vendetta.
- Hai intenzione di farmi passare un’altra notte fuori? -
- Forse -
Il momento che aspettavo: il compromesso.
- Cosa devo fare per riavere la mia chiave? -
- Dovrai dirmi la verità -
Il silenzio ci avvolge per alcuni secondi. Infiniti. Sembra essere sconcertato dalla mia affermazione.
- Hai scoperto Evolah, sai che io sono il principe, conosci l’entrata, sei una guardiana e io lo so. Sai cose che nessuno conosce. Cos’altro pretendi? -
- Io non pretendo nulla. Desidero solo che tu sia onesto con me, voglio dettagli sulla mia posizione. Syreo è stato chiaro -
- Capisco - Mentre pronuncia quest’unica parola, il suo braccio precipita lento e rassegnato. Forse sono riuscita a cogliere l’attimo. Ma l’umore variabile di questo ragazzo sembra mettermi i bastoni tra le ruote e la sua nuova espressione mi dice che il gioco non è così semplice. Nei suoi occhi arde un fuoco di sfida.
- Allora dovrai trovarmi, Sarah -
Stringo i pugni per trattenere la rabbia e la frustrazione per poi rispondere al suo sguardo compiaciuto e un po’ prepotente, con la maggior sicurezza possibile. Ma lui sa che per me sarà tutt’altro che facile.
- …se ci riuscirai -
Sono convinta che in un attimo sparirà, ma diversamente indietreggia di qualche passo sorridendomi e, quasi canzonandomi, mi sfila la mano dalla tasca. Vuol fare qualcosa, ma non prendere la chiave. Afferrata la mia mano con la sua sinistra, la osserva come per studiarla, come a trovare il problema. L’altra mano lo assiste nello scorrere il mio braccio, sfiorandolo fino al gomito.
Cosa sta cercando? Un brivido mi pervade al suo contatto, mentre la sua mano percorre il mio palmo alla ricerca di qualcosa. La voglia ondulata e sottile lo attrae terribilmente, con uno scatto subito la sfiora.
- Eccola - Un sussurro appena percepibile.
Concentrato nel suo fare, la percorre con l’indice e immediatamente mi sento come un’onda che sbatte impotente contro un muro alto e invalicabile. Non appena i miei occhi si chiudono a osservare questa sconfortante sensazione, lui comprende.
- Saprai la verità solo quando sarai più forte -
- Perché? - Lo sguardo basso come per sopportare un dolore.
- Lo capirai da sola. Solo così sarai pronta -
Lentamente abbandona la voglia della mia mano per poi stringerla. Mi da coraggio.
- Io so chi sei. Lo so dal giorno in cui sei venuta al mondo. So che ami ciò che possiedi e ciò per cui vivi. Non sei sola. Non lo sei mai stata e mai lo sarai. Io sono qui con te, io sono qui per restare -
Mentre proferisce tali parole, la sua mano grande ma delicata giunge a sollevare il mio viso. Il suo tocco sembra quello di un angelo e io rimango totalmente soggiogata dai suoi movimenti. Sono imbambolata davanti all’uomo perfetto che mi sta dicendo che non mi lascerà mai sola. Lui mi sta guardando negli occhi. Lo sta facendo davvero. La vita risplende in quelle iridi piene di ossigeno tanto da far sbrilluccicare di rugiada ogni singola foglia di quella profonda e incontaminata foresta. Mi sembra quasi di profanare un luogo sacro, guardando in quegli occhi.
Mi sfugge un sorriso, nonostante io non comprenda realmente quale sia il profondo e nascosto significato delle sue affermazioni.
- Sai che dovrai spiegarmi cosa significa - Le mie parole vengono fuori con insieme un po’ di consapevolezza e un po’  di abitudine.
- Capirai anche questo - Mi sento come una bambina con cui ci vuole pazienza.
Interrompe ogni contatto con me e il mio corpo si libera dal suo incantesimo, si volta, mi guarda negli occhi azzurri e un filo di vento ricomincia a scompigliarmi i capelli. Sta andando via.
- Quando ti rivedrò? - E’ l’unica cosa che mi preme di chiedergli.
- Quando sarai pronta - Non posso più scorgere il suo volto.
- Tieni pure la mia chiave, non ne ho bisogno. In questo percorso devo essere con te -
Senza aggiungere altro, con una rincorsa salta nel vuoto. È solo ora che riesco a scorgere il contorno delle ali attraverso la maglietta. Scompare e tutto intorno a me torna a vivere.

Non mi aspettavo mai che ci fosse davvero. Ero convinta di essermi solo impressionata. L’ape prima immobile, ora torna a ronzarmi fastidiosamente intorno. Sono le 12:22.

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Capitolo 4
*** Luoghi ***


IV
Luoghi





Mi sembra di aver capito tutto e niente dalla nostra chiacchierata. Ho capito che devo migliorare, credere, per conoscere la verità, ma non ne ho compreso il motivo. Non ho ugualmente compreso cosa significhi “io sono qui per restare” o “solo così sarai pronta”. Pronta per cosa? Cos’è che devo affrontare ancora?
Nonostante l’idea di seguire le sue istruzioni mi infastidisca, temo di non avere altra scelta, devo diventare più forte. Ma come?
Il mio cervello comincia a mettersi in moto alla ricerca di un metodo, nel frattempo sono costretta a tornare in classe ad assistere alla lezione di filosofia. Camminando per i corridoi della scuola, prendo il portachiavi di Eric, completamente spento e senza vita, lo osservo e non mi fido più di lui. Eric è ancora qui intorno.

Le due sono giunte più in fretta di ciò che pensavo, ora che non so cosa fare il tempo vola.
- Cosa fai oggi pomeriggio? - Luciana mi ferma trattenendomi per un braccio.
- Ho delle cose molto importanti da fare - cerco di trasmetterle attraverso la mia espressione di cosa si tratti. Sembra comprendere.
- Se hai bisogno di una mano o di compagnia, io sono a casa, lo sai -
- Lo so – le sorrido – forse ti chiamo -
Così si separano le nostre strade.
Sono le 15:00 e tutto sembra andare sempre peggio. Non so cosa fare. Cosa posso fare per diventare più forte?
Vado in bagno, riempio il lavandino d’acqua e tento di far accadere qualcosa, ma sono riuscita solo a far tremare un po’ la mano. Ci riprovo finché non riesco a far increspare la superficie dell’acqua ed anche solo questo per me è un traguardo, ma la consapevolezza che solo questo non basta, mi pesa. Sono passate due ore.

I giorni trascorrono in fretta, il tempo non sembra mai abbastanza, sto conducendo un vero e proprio allenamento tra fidanzato, scuola e amici. Ma il riempire il lavandino sembra non bastare. Non ho fatto progressi di alcun tipo.
Quando mi sembra di esserci vicina, tutto crolla, ogni mia speranza cade e la rabbia di non saper fare di più mi travolge.
Oggi vado a correre, devo scaricare questa tensione. Percorro la muraglia del porto avanti e indietro senza concedermi pause, voglio stancarmi fino a crollare, voglio cadere in un coma profondo e dimenticarmi per un po‘ della mia vita. L’aria un po’ più fresca mi scivola sul viso raffreddandomi le guance e rinnovando la vita nella mia pelle e questa sensazione mi piace. Il tramonto è più rosso del solito e le nuvole che fanno da contorno si accendono. Pochi rimangono ancora, ma poco mi importa. La mia parvenza di ragazza determinata è sparita e, ora come ora, non reagirei a nulla.
Perché non riesco?
Mi fermo qualche istante alla fine del percorso a osservare il panorama. Il sole è quasi tramontato e a vederlo  all’orizzonte, sull’acqua, mi manca l’inverno, quando tramonta su Napoli e ti sembra di vedere un’unica stella. Lo spettacolo arancio mi incanta e rimango qui, sotto la statua bronzea di Gesù posta a proteggere i pescatori, a pensare cosa ci faccio qui. Cosa penso di concludere allontanandomi dai miei problemi? In un momento la rabbia mi avvolge, prende ogni mio muscolo e pensiero, mi controlla e sferro un calcio a una bottiglia abbandonata, facendola precipitare tra gli scogli. Le lacrime fuoriescono dai miei occhi, incontrollabili. La prima stella della sera mi osserva premurosa.
Sono rimasta sola qui e rassegnata mi porto di peso sul mio scoglio preferito, il più comodo, senza sedermici ancora. In piedi guardo il mare calmo e infuriata con me stessa, muovo le braccia portandole dall’alto verso il basso tentando invano di scacciare la frustrazione.
 -Dio! -
È in questo momento che un suono familiare quasi mi perfora i timpani e una goccia d’acqua mi cade sulla guancia, scivolando fino al mento. Mi volto e l’onda che si è alzata al mio gesto, ancora precipita. Sciolgo i pugni e raccolgo col dito quella gocciolina, come per assicurarmi che non si tratti di un altro sogno. L’acqua mi bagna il dito e quasi il cuore mi esplode. Ci sono riuscita. Sono riuscita a far alzare un’onda! Un sorriso mi spunta sulle labbra e non riesco a trattenermi dal ridere. Le mie lacrime ora sono gocce di gioia. Eric aveva ragione. Ora posso. Posso continuare.
Scoppiando di gioia, avanzo tra gli scogli e comincio a giocare con l’acqua, alzando onde alte tanto da bagnarmi d’acqua salata. Osservare di nuovo l’acqua frantumarsi in aria mi fa sentire viva, sento le mie barriere abbattersi una dopo l’altra, il mio corpo rinvigorirsi e la mia mente liberarsi. Sento l’oceano, lo sento abbattersi su di me con tutto il suo vigore. Le mie mani compongono poesie di sale, le mie dita si ornano di anelli limpidi. Percepisco l’acqua inumidirmi le braccia circondate da spirali d’acqua e la mia ombra si circonda di diamanti. Sento il mio sorriso, lo vivo, e guardando il cielo so che lui è qui e so che, come me, sorride.
Ipse proferisce solo due parole.
- Ora puoi -
A voce alta, libero la mia gioia rispondendogli col cuore.
- Posso! -
Ora, posso.

- Sai di mare -
Un calore mi avvolge le spalle, mandandomi il cuore completamente in fiamme. È arrivato. Il batticuore si fa ancora più intenso, sembra quasi che il petto voglia esplodere. Prendo un bel respiro e mi volto sorridendogli e finalmente riesco a guardarlo negli occhi, davvero. Mi godo per il tempo che durerà, il suo tocco sulle mie braccia umide e le sue mani che lentamente percorrono i miei avambracci. I brividi mi possiedono senza che io possa fermarli.
- Non so immaginarmi niente più di così. Avevi ragione -
- Si, avevo ragione, ma non sei ancora pronta -
Non lascia scomparire il sorriso dal suo volto, sembra tranquillo, ma le sue parole quasi distruggono ogni mio progetto. Le piccole increspature sul mio viso si distendono deluse.
- Da domani ti aspetta il vero allenamento. Tutto questo ti è servito solo a sbloccarti. Avevi troppa paura di te stessa -
Mi ammutolisco. Avrei potuto proferire un intero discorso, ora ogni mia parola è bloccata in gola.
- Sei riuscita a riacquistare le tue capacità minime, puoi fare molto di più. Forse non ti rendi ancora conto di quanto tu possa essere potente. I tuoi poteri superano lo spazio e il mondo, basta poco per riportarli alla luce. Potrà sembrarti strano, ma è necessario che tu ora rafforzi il tuo corpo e la tua mente per affrontare te stessa. Devi dimenticare cosa sia il sangue, la carne e i pensieri, devi ritrovarti nel tuo elemento. Tu sei acqua. -
I repentini cambi d’umore mi fanno girare la testa, ma decido che è il momento di immergermi completamente in quest’avventura. Un lieve sorriso mi decora le labbra e alzando la testa lo fisso. Sento che il mio corpo sprigiona coraggio ed energia. Gli mostro il palmo della mano destra per poi coprirlo con la sua sinistra. In un attimo, un‘aura di sfida mi circonda e beffarda scopro la mia mano mostrandogli la sua: una piccola sfera d‘acqua volteggia su se stessa, luccicando all‘ultimo raggio di sole.
- Sono pronta! -
- Lo siamo - La voce da ragazzo di Ipse rimbomba nelle nostre menti.
- Lo siete - Dice osservando il mare. - Lo sei -

- Domani passo a prenderti -
Si volta e va via. Ancora una vota scorgo il contorno delle sue ali attraverso la maglietta rossa.
Non ho neanche potuto chiedergli dove e quando prima che scompaia nel nulla. Ormai è sceso il buio e la notte mi circonda. Rivolgo un ultimo sorriso al mare nero, dopodiché mi volto e anch'io vado via percorrendo la muraglia per l'ultima volta.
Dario mi aspetta al Baraonda, il bar dove ci siamo rivolti la parola per la prima volta, lo saluto con un bacio e un sorriso e non so come, mi comprende al volo.
- Sono contento per te, amore -
Mi scappa un abbraccio.

- Era ora che tornassi! - Mio padre mi guarda severo, ma non posso ribattere. Cosa dovrei dirgli?
- Ho incontrato degli amici e ci siamo fermati a chiacchierare -
- La prossima volta preferirei che tu fossi a casa per ora di cena -
- Va bene -
La fame non mi manca, divoro la cena in pochi minuti e, con la pancia piena, mi sento appagata.
Ha detto che domani passerà a prendermi. Dove? Quando? Non saperlo mi rende ancora più ansiosa. Chiamo Luciana, spero che almeno lei riesca a distrarmi.
- Buonasera, scusate l'ora, Luciana è sveglia? -
- Si, aspetta un attimo che te la passo -
- Grazie -
In meno di un secondo la sua voce risponde dall'altra parte del telefono.
- Sapevo che mi avresti chiamato -
Il tono della sua voce mi vuole dire ''avevo ragione''.
- Non vantarti troppo! - La mia voce è allegra, lo sento anch'io.
- Mi sembra di capire che hai qualcosa da raccontarmi - il suo tono è quello di una ragazzina curiosa un po’ pettegola, ma mi diverte sentirla così.
- Si - Il sorriso non abbandona le mie labbra. Comincio il mio racconto rivedendo ogni attimo, riassaporando ogni emozione, ogni odore, ogni sapore. Mi sono catapultata nel mio stesso film senza neanche accorgermi di continuare a parlare. Non appena concludo, mi butto sul letto e prendo tra le mani la chiave di Eric, spenta, ma viva. La osservo come se la vedessi per la prima volta e tutto questo ancora non mi sembra vero. Forse sto ancora sognando.
- Buona notte Sarah, a domani -
- Buona notte -
Facendo la doccia, mi diverto ancora un po' con me stessa e prima di dormire sono contenta di sapere che domani è già così vicino.

- Sembra che la situazione non sia delle migliori -
- La ragazza potrebbe migliorare -
- Dobbiamo puntare a lui! A lui! Dobbiamo approfittare della sua debolezza! -
Eric.
- Il re non può fare più nulla contro di noi, il regno sta per passare al ragazzo -
Eric.
- Dobbiamo attaccare adesso! Prima che si riuniscano! -
Eric!
Silenzio. Buio. Ombre. Voci.
- Salvami - Questa voce è reale.
Cado nel vuoto e in lontananza vedo la sua immagine tendermi le mani e lentamente scomparire.

Uno scatto mi fa alzare, la luce nella stanza è ancora debole e qualche goccia mi scende dalla fronte. Un incubo. Mi guardo intorno respirando affannosamente sperando che lui sia davvero qui, ma il silenzio mi conferma il contrario. Mi rigetto sul letto con le braccia aperte sperando che ciò che ho visto, sognato, sia solo frutto della mia paura. Intanto il tempo passa più velocemente di ciò che credo e la sveglia suona. Sono le 7:15. E' venerdì e già aspetto che Eric spunti da qualche parte e mi porti via, a vedere e a scoprire ciò che non so. La campanella delle otto come al solito suona cinque minuti prima e io già sono in classe, nonostante abbia cercato di camminare piano, ma la voglia che il momento in cui lui mi prenderà per mano e mi porterà con lui arrivi, mi fa sperare che il tempo scorra veloce come l‘acqua di un fiume in piena.
-  Buongiorno! -
I soliti puntuali arrivano nello stesso ordine di ogni mattina e ognuno di loro, nell'entrare, porge il suo personale saluto. Il professore entra col suo solito andamento, posa la cartella di pelle marrone sulla cattedra, si sfila la giacca e si siede.
Le due ore di storia sono quasi insopportabili, l'intervallo è per me una vaga speranza di vederlo, di sentirmi chiamare, di ammirare di nuovo il mondo fermarsi.
La luce del sole invade il cortile dando vita alle ombre di ognuno in un magnifico ritratto nero. Osservo il cortile in cerca di qualsiasi cosa, scruto il volto di ognuno degli studenti. La campanella suona ancora e la mia piccola speranza svanisce del tutto.
Le ultime due ore passano tra inglese ed educazione fisica: un dolce far niente. Alla fine delle lezioni, la massa degli studenti si fionda fuori dal cancello d'entrata, molti vanno via, qualcuno rimane ancora a chiacchierare o ad aspettare l‘autobus. I motorini in un attimo invadono la strada a senso unico e io, non dovendo aspettare Dario, non so se andare a casa o aspettare. Il pensiero di quell'incubo mi mette ansia, non so se dirglielo o meno. Quasi mi preoccupo nel non vederlo comparirmi davanti. Pensieri articolati mi invadono la mente, la confusione e l'ignoranza mi possiedono, temo che le verità che ancora non so possano essere collegate a ciò che ho sognato.
Lui ancora non compare, forse non è il momento. Torno a casa.
Il mio pranzo consiste in un pezzo di focaccia, ma neanche riesco a finirlo, tanto fremo.
Il mio volto parla da solo, mia madre mi osserva quasi preoccupata, ma io le assicuro di essere solo stanca. Il cuore batte forte, le mani mi tremano incontrollabili e il respirare mi è faticoso. Dario mi chiama, mi chiede come mai io sia ancora a casa. E' incredibile come sia capace di leggermi nel pensiero alcune volte.
- Vengo a prenderti e andiamo a fare un giro, devi distrarti, non puoi rimanere in questo stato finchè non tornerà. So che per te è importante -
So che per lui non è una cosa facile da dire, ma io non posso negare l'evidenza. Indosso al volo il jeans e la maglietta a mezze maniche e lui è già qui sotto che mi aspetta. Entro in auto sedendomi al posto del passeggero, gli do un bacio e partiamo. Percorriamo Viale Campania in poco tempo, superiamo il liceo e la chiesa di S. Antonio, la discesa è quasi del tutto libera e giungiamo alla litoranea, sempre un po' trafficata, in poco tempo. Durante la corsa, osservo il mare un po' mosso tra le ringhiere.  Parcheggiamo la macchina sempre nello stesso punto, scendiamo, attraversiamo la strada e subito mi poggio esausta al corrimano verde. Il mare schiumeggia sugli scogli neri e la sabbia vulcanica brilla all'ultimo sole. In poco tempo il tramonto incanta tutti i passanti. Solo il cielo e il mare si illuminano, il resto è un quadro di china.
Dario rimane incantato dal tramonto chiaro e definito, io quasi non riesco a stare più ferma, comincio a fare qualche passo agitata e a sospirare per l'attesa.
Non verrà. La mia titubante angoscia mi assassina e io mi lascio uccidere ogni secondo che passa. Non posso osare sperare che tu giunga davvero, Eric, è quasi un’utopia la sola tua presenza. Aspettarti è come combattere contro un demone maligno che aspira ad ottenere la mia giovinezza per avere un minuto di più da consumare in questo mondo, il mio mondo, egoista quanto un uomo che ha tutto e crede di non avere niente. Sei un maledetto demone. Lascio che l'agitazione mi sommerga. Non ho altro a cui appellarmi se non alla rassegnazione, ma non appena mi lascio andare a questi burberi e prepotenti sentimenti, ecco che quello stesso calore si ripresenta al cospetto delle mie spalle, con il rombo quasi assordante di una moto.
- Credo che il tuo amico sia arrivato -
Il suo tono è quello di chi sa che prima o poi lei scapperà via con lui e, mi costa ammetterlo, la mia fantasia ha spesso voluto navigare in queste acque talvolta intorpidite dalla vergogna. Ma non posso farci niente, la mia attrazione per lui è completamente indipendente dalla mia volontà. Mi decido a voltarmi e un casco integrale mi osserva su una moto nera. La mia voglia dipinta sulla sua fiancata mi conferma che è lui. È proprio lui. Per il nervosismo la mia mano si contorce in un pugno. Ma all’improvviso lo vedo scattare. Abbandona in fretta la moto al limitare del marciapiede e corre verso di me, ma non capisco il motivo di questo suo comportamento e per un attimo metto da parte le mie emozioni. La sua tuta da motociclista si ferma ad un passo da me e la parte ruvida dei guanti mi sfiora la mano. Mi si spalancano gli occhi, li vedo riflessi sul suo casco, ma non appena riprendo coscienza il suono un po’ camuffato della sua voce mi rimprovera.
- Ma sei impazzita? -
Il mio pugno è ancora avvolto dai suoi guanti.
- Vuoi dare spettacolo? -
Non capisco a cosa si stia riferendo, sento la mia testa vuota, ma la solita goccia di mare mi avverte che qualcosa sta succedendo davvero. Mi volto e vedo i turbini d’acqua creati dai miei sentimenti precipitare come il mio cuore precipita in questo momento nel mio stomaco per il terrore. Mi guardo intorno per soppesare la vastità dei danni.
L’espressione di Dario, sorpresa, mi rattrista. Sembra quasi spaventato. Come se non mi avesse mai creduto. Come se non fossi più io. I passanti curiosi osservano il mare oltre la ringhiera verde, commentando l’accaduto con le solite strane deduzioni, ma comunque non comprendendo cosa sia realmente accaduto. L’unica cosa che mi rincuora è il non poter vedere l’espressione di Eric, ho paura anche solo di immaginarla. Potrebbe essermi letale.
Sento il mio viso abbandonarsi alla forza di gravità, temo che la mia espressione mi tradisca. Mi sento terribilmente delusa da me stessa. Osservo ancora il volto del mio fidanzato e vedo ancora troppa incredulità nei suoi occhi e tento invano di giustificarmi con qualche frase sconnessa. Non so cosa fare, cosa dire, come comportarmi, ma la voce dell’affascinante motociclista dinanzi a me sembra risolvere il mio problema.
- Non fare quella faccia, avresti dovuto saperlo, Dario -
Sobbalza nel capire che lui è reale e che ciò che è accaduto è davvero opera mia. È tutta colpa delle mie emozioni.
- Ti ringrazio per averla portata qui, ma ora dobbiamo andare -
Dobbiamo andare. Dobbiamo andare. Era questo che volevo sentire. Dario cerca di replicare, ma poggiando la mia mano sul suo petto gli faccio comprendere che deve lasciarmi andare. Io devo andare. Il suo sospiro mi basta come risposta.
- Ci vediamo più tardi - Aggiungo solo questo.
Dopo aver liberato la mia mano da quelle di Eric, gli do un bacio sulla guancia e lo abbraccio pregando di essere sempre e solo Sarah per lui. La mia mano ora libera mi sembra gelare dopo essere stata riscaldata dal calore dei guanti ruvidi.
Osservo Dario andare via dopo avermi stretto la mano preoccupato e subito dopo vengo trascinata alla moto dal braccio di Eric che mi cinge le spalle con autorità, ma con la più assoluta naturalezza. Qualcuno ancora mi osserva incuriosito, ma cerco di non farci troppo caso, potrei causare altri incidenti. Non appena distolgo lo sguardo da coloro che mi osservano, Eric finalmente mi rivolge qualche parola gentile.
- Prendi questa o ti gelerai -
Mi porge un’enorme felpa azzurra che posso sentire profuma di lui. Gli accenno un sorriso ringraziandolo per poi sciogliermi al suo dolce e sincero “di nulla!”. Per un istante mi perdo nei suoi gesti, ma poi infilo il felpone velocemente presa dal pensiero di cominciare il mio nuovo percorso. Mi da un altro grande casco integrale, monta sulla moto nera e mi invita a fare lo stesso. Con meno difficoltà di ciò che potesse credere, monto anch’io.
- Tieniti forte -
Posso percepire il suo sorriso dal tono della sua voce e questa fantasia mi fa rabbrividire nonostante la felpa. Faccio come mi ha ordinato: con po’ di imbarazzo lo abbraccio e ringrazio il cielo di avere il casco, altrimenti le mie guancie farebbero invidia al più rosso dei tramonti. Queste sensazioni quasi mi spaventano.
- Andiamo -
Mentre pronuncia quest’unica parola mi accarezza la gamba quasi per confortarmi ed è proprio adesso che il mio cuore cede del tutto. Mi si spezza il fiato. Il suo tocco è così leggero e possente da farmi stare male, sentire il contatto con lui e sapere che è reale mi fa sentire più grande della mia età. Lo stringo più forte strizzando gli occhi e in un attimo siamo partiti, sfrecciamo nel traffico della litoranea ed è solo dopo un po’ che riesco ad aprire gli occhi e già siamo arrivati a Viale Europa. La moto sfreccia ad una velocità quasi innaturale e segue binari invisibili tra le auto. Mi sembra di capire che nessuno ci possa vedere. Il profumo di Eric copre qualsiasi altro odore e i suoi capelli spuntano fuori dalla base del casco scossi dal vento. Vorrei abbracciarlo così per sempre, ma non appena giungiamo all’incrocio Eric frena violentemente quasi perdendo il controllo della moto. Non proferisce parola, non un movimento, sento solo il suo torace allargarsi tra le mie braccia per riprendere respiro. Non oso fare alcuna domanda e mi limito a fare la brava bambina, anche se vorrei sommergerlo di dubbi e discorsi. È attento, sta in guardia, forse sta aspettando qualcosa. Solo ora mi accorgo che dinanzi a noi c’è una linea. Ma cosa stiamo aspettando? Nel frattempo l’orologio della chiesa suona le 19:00 e al terzo rintocco tutto ciò che stavo osservando, la chiesa, l’orologio, l’intero incrocio, si immobilizza. Sta succedendo di nuovo. Eric lo sta facendo di nuovo. E senza che io possa pensare altro, ripartiamo sgommando, lasciandoci dietro un mondo immobile. A tutta velocità percorriamo la strada dritta davanti a noi senza doverci curare di scansare oggetti o persone poiché, anche se quasi non ci credo, riusciamo a passarci attraverso, proprio come dei fantasmi. Forse ho un po’ paura.
Continuiamo lungo la strada finchè dinanzi a noi non si forma un lungo ponte di legno. Sbuca dall’asfalto come un’illusione e si confonde con esso. Eric comincia a percorrerlo, ma non riesco a vederne la fine. Non posso fare a meno di chiedermi dove stiamo andando mentre intorno a me si addensa una leggera nebbiolina che funge da guida al mio motociclista e ci conduce a ciò che mi ricorda un enorme buco nero. L’idea di doverci entrare quasi mi terrorizza, ma Eric va spedito verso di esso senza esitazione ed io, nella condizione in cui sono, non posso fare altro che fidarmi di lui, ma comunque la preoccupazione mi fa titubare, vorrei urlargli di fermarsi, ma non faccio in tempo a pensarlo che il panorama dinanzi a me diviene completamente nero. Per un attimo la mia mente si svuota, non so cosa sta succedendo. La moto prende il volo e d’improvviso non so più dove sono.
Siamo fermi sul bordo di una strada deserta che costeggia una grande spiaggia assalita dalla macchia mediterranea. L’aria salmastra mi solletica le narici superando la barriera del casco e l’unica cosa che riesco a fare è scendere dalla moto e liberarmene per poi dimenticare Eric e dirigermi verso la riva. La lingua d’asfalto è immediatamente affiancata dalla spiaggia, dunque le mie scarpe possono subito constatare quanto quella distesa sia morbida e incredibilmente sottile, sembra quasi farina. Ha un colore diverso da quello a cui sono abituata, non è né nera né bianca, ma quasi rossiccia e ciò che mi si presenta davanti agli occhi è un immenso spettacolo di colori contrastanti. Il vento mi sposta i capelli e lascia vivere qualche debole onda.
- Perché non mi hai mai parlato di questo posto? Perché non l’ho mai visto? -
È ad Ipse che mi rivolgo. Oh, mare, ti prego, dimmi perché mi hai tenuto nascosto tutto questo. Pensavo di poter avere visione di ogni spiaggia di questo mondo, ma allora perché non ero a conoscenza di questo? Come ho fatto a vivere senza averlo visto?
- Non potevo. È stato solo per il tuo bene! Forse sarai arrabbiata con me, ma io so di aver fatto la cosa giusta -
È in questi momenti che mi sento attaccata a te, come una sorella con un fratello. Mi sento ferita, ma non riesco a fartene una colpa, mi fido troppo di te.
Questo legame morboso ci unisce come due amanti e come tale anche il più piccolo segreto mi fa male.
- Non farlo più -
Sono le uniche parole che riesco a proferire, trattenendo una lacrima. Il vento fresco mi accarezza il viso consolandomi e d’un tratto il mio cuore sobbalza ancora. Lo avevo dimenticato.
Avevo dimenticato l’affascinante motociclista sulla sua moto. Lo sento alle mie spalle, il suo petto contro la mia schiena, le sue braccia, oltre la felpa e la t-shirt, abbracciarmi la vita. Emana un calore rassicurante. Più tranquilla, prendo un bel respiro e poggio la testa sulla sua spalla sfiorando le sue braccia ormai libere e nude. Lo sento irrigidire i muscoli in un abbraccio più forte e tuffare il volto nel mio collo e prendere un bel respiro. Volto il viso verso il suo per osservarlo poggiare il mento sulla mia spalla e guardare l’orizzonte. La luce del tramonto si riflette nei suoi occhi e mi fa desiderare di perdermici per sempre. Tutto questo mi fa sentire una sciocca adolescente innamorata dell’attore più bello e protagonista del film. Le sue mani scivolano sul mio ventre carezzandolo ed io devo costringermi ad ignorarlo.
- Qui puoi essere tutto quello che vuoi. Puoi provare tutto quello che vuoi -
Ora che posso ascoltare la sua voce senza che essa sia compromessa dal casco, mi sembra di ascoltare la più bella canzone. Ma cosa intende dire con questo? Le sue labbra si piegano in un leggero sorriso e cerco di disincantarmi dal rosa delle sue guance per comprendere ciò che ha detto. Posso essere. Posso provare. Dunque qui sono libera? Non c’è davvero nessuno? Esiste davvero un posto del genere?
Mi volto verso di lui lasciando scivolare le sue mani fuori dalla felpa e scoprendo che in realtà non indossa neanche la maglietta, mettendo in bella vista le sue splendide ali e il suo petto. Alzo lo sguardo dirigendolo dritto nei suoi occhi verdi, sperando con tutta me stessa di aver compreso.
- Posso davvero? -
Non so quale sia la mia espressione, tanta è la voglia di sapere da non percepire null’altro che i miei pensieri. La sua, invece, potrebbe raccontare migliaia di bellissime storie, ma io adesso voglio conoscerne solo una. Tende una mano ad accarezzarmi il collo lasciato nudo dalla felpa troppo larga e i capelli corti e abbandonato dal calore del suo respiro. In questo momento non so se sentirmi una donna o un pulcino bagnato, ma l’uno vale l’altro al suo tocco. Sorride e finalmente mi risponde.
- Possiamo -
Temo davvero di essere precipitata nel libro più bello che abbia mai letto. Lo vedo ridere, forse per la mia faccia da bambina un po‘ sorpresa. Mi sento come se fosse accaduto un miracolo, qualcosa che nel mondo reale non può essere. Questo è il minuto di perfetta e completa gioia che la vita mi concede e non credevo che potesse essere così bello. Il sangue mi sale alla testa per l’improvviso batticuore e sento il mio volto arrossire violentemente, il mio cuore è in subbuglio e ogni cellula del mio corpo vuole abbracciarlo per ringraziarlo di questo irripetibile dono. E così faccio. Gli salto letteralmente addosso con le lacrime pronte ad uscire dai miei occhi felici. Mi reggo al suo busto con la sola forza delle gambe, poiché le mie braccia sono troppo occupare a soffocarlo di gratitudine. Mi abbraccia a sua volta e mentre mi fa volteggiare fra i tripudi d’acqua che aleggiano intorno scolpendo nel tramonto le mie emozioni, sento la sua risata rimbombare nelle mie orecchie e non riesco più a trattenermi. Una lacrima mi segna il viso fino al mento per poi precipitare sulla sua nobile spalla illuminata dal sole. Si ferma come per contemplare meglio il mio abbraccio ed io approfitto per osservare le sue ali scintillare e muoversi flebilmente a piccoli intervalli, lasciando poi andare le mie mani sulla sua schiena liscia e perfettamente scolpita. I ricami splendenti colpiti dalla luce incanterebbero anche il più esperto incantatore. Percorro le sue spalle fino al collo, esplorando ogni parte di quella statua, per poi finire nei suoi capelli scuri e attaccarmi morbosamente a loro, nascondendo il viso nell’incavo del collo liscio.
Una risata si propone nella mia testa.
- Sarai contenta, immagino. Potrei dire che non si nota -
- Smettila di prendermi in giro! -
Gli rispondo alzando di scatto la testa e mostrando la lingua alle piccole onde che battono costantemente il bagnasciuga. A questo mio movimento Eric volta il viso verso il mio per capire meglio cosa io stia facendo, ma non smette di sorridere e questo mi fa sentire meno imbarazzata dal mio comportamento infantile. Non posso fare a meno di guardarlo e sorridere ammirando ogni suo particolare. Perché sono ancora un’adolescente?
Senza distogliere il suo sguardo dal mio, mi lascia dolcemente sciogliermi verso la sabbia per riprendere controllo del mio corpo. Lentamente, come se fosse una terribile ma dolce sofferenza, lascio scivolare via le mani dai riccioli che gli decorano la nuca e lascio che le braccia seguano le linee del suo petto per ritornare al loro posto. È ora di riprendere coscienza dei miei pensieri e per interrompere quel dolce strazio che è il contatto tra i miei e suoi occhi, prendo la parola.
- Allora è proprio vero… -
Le corone d’acqua continuano ad aleggiare intorno a noi, segno imbarazzante che le mie emozioni sono ancora forti e indomabili. Continuo.
- Non c’è davvero nessuno qui? Che posto è questo? -
- E’ una baia che ho creato io, tanti anni fa, ma è solo un bel pezzo di terra. E no, non c’è nessuno. Volevo che fossimo soli affinchè tu potessi liberare tutta te stessa, proprio come stai facendo adesso, visto che nel mondo reale potresti causare uno tsunami con un‘emozione un po‘ più forte -
Affermando ciò mi indica con un gesto i giochi d’acqua e le onde divenute più alte e seguenti il ritmo del mio battito cardiaco. Ciò che mi dice mi rende felice, ma una cosa mi colpisce più delle altre.
- L’hai davvero creato tu? - Gli chiedo guardandomi intorno.
- Certo -
Mi chiedo come sia possibile. Nonostante non sia un luogo esistente in natura, posso comunicare con Ipse come se fosse reale.
- E come? -
- Con la magia, è ovvio -
Sorride lievemente, soddisfatto della sua risposta. Dunque, perché?
- Perché? L’hai davvero creato…per me? -
Mi sembra di dire un’enorme bugia. Possibile che lo abbia fatto davvero per questo?
- Certo, non potevo lasciarti in balia di te stessa. Volevo che fossi libera, di esprimerti e di imparare -
Giusto. Io sono qui per imparare, non certo per divertirmi. Non so perché, ma questa consapevolezza mi rattrista un po’, forse perché rende evidente che questo non è proprio un dono fatto per piacere. Lui l’ha fatto solo per addestrarmi.
- Oh, capisco -
Ora vorrei davvero che la mia espressione mi tradisse. Vorrei dirgli che avrei voluto che fosse come credevo.
- Ma sappi che l’ho fatto per te. Per proteggerti e… -
Sento un cambiamento nel suo tono ed anche un po’ di imbarazzo. Torno ad osservarlo e lo vedo contemplare la sabbia con le guancie un po’ più rosse e le mani intente ad aggrovigliarsi. Che sia davvero imbarazzato? Può un principe così bello sentirsi in difficoltà dinanzi ad una semplice ragazza?
- …per farti felice, ecco - Sento il suo cuore riprendere qualche battito ora che ha parlato, e credo che il mio, invece, ne stia perdendo altrettanti. Sono davvero sorpresa. Gli sorrido. Ma voglio giocare un po’ con lui.
- Davvero lo hai fatto per questo? -
Mi sembra di avere a che fare con un ragazzino alle prime armi, mi fa ridere vederlo così.
- S-si… -
Non mi guarda negli occhi, così per ringraziarlo mi porgo silenziosamente verso di lui e gli do un lieve bacio sulla guancia. Quasi shockato, spalanca gli occhi e finalmente si volta verso di me. Io credo di non poter avere volto più felice e aspetto la sua reazione. Lentamente dischiude le labbra in un sorriso mantenendo il rossore in volto e piano si avvicina a me per sfiorarmi la mano e poi abbracciarmi, intrecciando i suoi muscoli intorno ai miei capelli. Sento il suo gesto molto intenso invadermi i sensi e senza che me lo aspettassi, ricambia silenziosamente quel piccolo bacio da bambina posando le sue labbra sulla pelle immediatamente accanto all’angolo destro delle mie, provocandomi quasi un mancamento nel sentire il suo respiro così terribilmente vicino e caldo.
Piccolo demone, non tentarmi così. Non sfiorare la mia anima, non desiderarla.
Cattivo, si allontana quasi cosciente delle conseguenze dei suoi gesti, in modo ancor più lento per farmi precipitare in questo supplizio.
Devo spezzare il mio imbarazzo, prima di andare a fuoco! Devo buttarla sullo scherzo. Mi levo le scarpe e la felpa e dopo aver fatto un leggero inchino gli porgo la mano.
- Principe -
Un po’ sorpreso dal mio atteggiamento mi risponde poi scherzoso.
- Principessa, prego, prima le signore -
E così mi prende la mano stringendola nella sua per trascinarmi fino alla riva tra spintoni e un po’ di malizia. Vorrei che questo tramonto fosse eterno. Giochiamo come bambini all’ultimo sole e per la prima volta uso l’acqua per difendermi e bagnarlo in risposta ai suoi scherzi e al suo solletico.
Completamente bagnati e ricoperti di sabbia, ci fermiamo per un istante in posizione di difesa finchè è lui, per la prima volta, ad usare la magia per sconfiggermi a questo gioco. Ed infatti, senza che io possa fare niente, mi ritrovo a terra e non riesco a trattenere le risate. Rido fino a quando non inciampa in un ramo abbandonato dal mare sulla riva e precipita su di me. Le sue braccia forti fanno in tempo a reggerlo prima che potessimo scontrarci e osservandolo a due centimetri da me vedo le punte delle sue ali spuntare dai confini della schiena. Ma ancora una volta vengo distratta dal suo respiro che mi obbliga a guardarlo negli occhi e ad accorgermi che è troppo vicino. La punta del suo naso mi sfiora e lo guida sui contorni del mio volto, uccidendomi. Le gote, gli occhi, il naso, il collo, il mento, le labbra. Sono fortunata che non possa conoscere i miei pensieri, anche se io vorrei tanto conoscere i suoi. Sono immobilizzata, non oso compiere un movimento o spostare lo sguardo, finchè lui si lascia andare stanco sui gomiti e infila le mani nei miei capelli corti. Il suo petto si asciuga sulla mia maglietta, e i suoi capelli lasciano andare qualche goccia sul mio viso. Tutto d’un tratto si alza allontanando gli occhi dai miei e facendomi sobbalzare sussurra un semplice “mi dispiace” pieno di vergogna. Senza far trasparire nulla, mi alzo tranquilla.
- Non fa niente -
Gli dico sorridendogli, come se nulla fosse successo, nonostante il mio cuore sia quasi collassato.
Ormai è buio e dobbiamo asciugarci. Osservo i miei vestiti fradici e lo vedo avvicinarsi.
- Non preoccuparti, ci penso io -
Tende le mani verso di me, non ho idea di cosa voglia fare. La sua mano si pone a poca distanza dal mio viso e dal suo palmo fuoriesce un caldo vento che soffiando forte mi asciuga, percorrendo ogni parte del mio corpo. Ora comprendo. Ecco perché quando sono con lui mi agito a tal punto. Lui è il vento e io l’acqua. Ecco perché ogni volta che mi abbraccia mi riscalda ed ecco perché non ha freddo senza maglietta. Termina la sua opera asciugandomi i capelli e mi sembra di essere appena uscita da un centro benessere. La mia espressione, però, rimane seria. Non me lo ero mai chiesto, ma lui me lo ha mostrato comunque.
- Ti fidi così tanto di me? -
- Perché non dovrei? -
- Non lo so, io non credevo che fossi capace di questo e io non ti ho mai chiesto niente, però tu hai scelto di fidarti di me e mi hai asciugato.. -
È palese che io sia un po’ nel panico, ma lui rimane tranquillo, forse anche stranito dalle mie domande e dai miei discorsi.
- E’ ovvio che mi fidi di te e non ci ho pensato neanche due volte ad asciugarti -
Ora che mi guarda così, mi sembra quasi deluso dalle mie parole ed io lo sono un po’ da me stessa. Prendo un bel respiro e vorrei dirgli che mi dispiace, ma vorrei tanto che lo capisse da solo. E sembra che anche questo mio desiderio venga esaudito.
- Non preoccuparti, Sarah. - si avvicina ancora un po’ - Però adesso dobbiamo raccogliere un po’ di legna, non possiamo rimanere completamente al buio -
Gli sorrido ancora, non posso farne a meno e gli poggio una mano sul petto nudo e ormai asciutto.
- Va bene -
Giriamo tranquillamente per la spiaggia raccogliendo silenziosamente la legna. Adesso mi sento più tranquilla, mi sembra di star facendo una rilassante passeggiata. Eric scava un fosso nella sabbia, vi getta la legna e tira fuori un piccolo accendino da un inserto della moto. Accende il fuoco e mi invita a sedermi accanto a lui. Adesso si. Mi sento proprio una ragazzina immersa nelle notti d’estate in campeggio, timida e un po’ silenziosa. Mai come ora, però, sono calma, del tutto tranquilla e persa nell’osservare le fiamme. Ogni tanto lo sento sospirare quasi scocciato dal mio silenzio e dalla mia dimenticata curiosità. Lo sento, è davvero infastidito. Mi sfugge un sorriso.
- Come mai sei così silenziosa? Mi aspettavo che mi facessi migliaia di domande. -
Cambio la mia postura per rivolgermi verso di lui e non riesco a decifrare la sua espressione, ora.
- Vuoi che ti chieda qualcosa? -
Si rialza dai gomiti e porge il suo busto verso di me, mi osserva quasi afflitto.
- Vorrei che mi chiedessi tante cose… -
Perché? Cosa vuoi che ti chieda, Eric? Cos’è che non puoi dirmi?

 

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