Questo è il mio regalo per Te

di FairySweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ti sto dando il tuo Sogno ***
Capitolo 2: *** Io non lo Voglio ***
Capitolo 3: *** Non lasciarla Andare ***
Capitolo 4: *** Silenzio senza Tempo ***
Capitolo 5: *** Devi solo Aspettare ***
Capitolo 6: *** Mio figlio non avrà un Padre ***
Capitolo 7: *** Ora puoi sorridere alla Vita ***
Capitolo 8: *** Ti sei perso la sua Forza ***
Capitolo 9: *** I mostri mangiano i Ricordi ***
Capitolo 10: *** Lasciale un'attimo per Respirare ***
Capitolo 11: *** Il silenzio fa tanto Rumore ***
Capitolo 12: *** Ghiaccio ***
Capitolo 13: *** Devi essere Forte ***
Capitolo 14: *** Vivo in Lui ***
Capitolo 15: *** Bolle di Sapone ***
Capitolo 16: *** Fiori e Farfalle ***
Capitolo 17: *** Addio Amore ***
Capitolo 18: *** Epilogo: La vita Scorre ***



Capitolo 1
*** Ti sto dando il tuo Sogno ***


                                                          Ti sto dando il tuo Sogno









Quante volte nella vita aveva sognato il Natale, quel Natale, con quella donna, in quella casa.
Il Natale che profumava di buono ogni stanza e che riempiva di fiocchi e pacchetti un albero verde brillante.
Il Natale che da bambino l’aveva tenuto sveglio la notte ad aspettare nel silenzio il suono magico di campanellini.
Aveva fatto tutto il possibile per avere quel Natale, per riavere dai ricordi almeno un pizzico di quella magia ma non c’era odore di biscotti nell’aria né risate di bimbi, solo una ragazza troppo stanca per lottare ancora e lui, immobile nel silenzio gelido della stanza mentre le mani stringevano tremanti quella busta.
“Dovresti parlare Owen, dovresti dire qualcosa ... parole, devi dire parole” “Tu sei ...” “Incinta” “ ... aspetti un  ...” “Bambino” mormorò passandosi una mano tra i capelli “Aspetto un bambino, di nuovo!” la voce colorata dallo sconforto, da qualcosa che lui non poteva capire “Cristina non ...” “È folle!” si alzò di colpo parlando con il vuoto davanti a sé, con qualcosa, qualcuno di incorporeo e invisibile “Ci siamo lasciati per colpa di un bambino! Ci è caduto il mondo addosso in questi anni e la vigilia di Natale sono qui,  a dirti che c’è un piccolo umano che sta crescendo dentro di me” ma le mani di Owen strette con forza attorno alle sue spalle la costrinsero a respirare “So cos’è successo, l’abbiamo passato insieme, ero lì con te” un debole respiro a spezzare il silenzio “Ero lì e ho lottato, ho sperato di riaverti indietro, di ritrovarti la notte nel letto ad aspettarmi e invece non c’eri. Poi è successo qualcosa, qualcuno lassù mi ha ascoltato e ora sei qui con me. Ti amo, ti amo da morire e amerò anche questo bambino ma se lo tieni solo per ...” “Era il mio regalo” “Cosa?” mormorò confuso ma lei sorrise liberandosi dolcemente dalle sue mani “Questo bambino era il mio regalo per te. Ho aspettato mezzanotte, ho pregato che nessuno aprisse bocca, che Meredith non parlasse e ora ... non voglio privarti di una famiglia Owen e non ...” la tirò tra le braccia stringendola con forza, perdendosi in quel tenero profumo di pesca e vaniglia che massacrava i sensi.
Non era nemmeno certo di respirare ancora, forse l’aveva solo sognato, forse quella che stringeva tra le braccia non era lei ma semplicemente un fantasma, qualcosa, qualcuno che per anni aveva sperato di vedere e che ora, di colpo diventava realtà.
La sentiva tremare, piangere per quella decisione così violenta e massacrante che aveva cambiato di colpo ogni loro dannata decisione “Questo è ... è il regalo più bello che potessi farmi” “Non voglio che tu sia solo Owen” “Non sarò mai solo” ma la sentì sospirare, posare dolcemente le mani sul suo petto allontanandolo mentre gli occhi si coloravano lentamente di commozione dove lievi note di sconforto le massacravano l’anima “Che c’è?” mormorò preoccupato sfiorandole il volto “Owen non ... ti farò del male, voglio che tu sappia che so che sto per fartene e vorrei solo ...” “Cristina!” sollevò gli occhi da terra incontrando il suo sguardo “Io sto ...” ma per quanti sforzi facesse, le parole restavano bloccate in gola senza trovare una via d’uscita “ ... ho un ...” “Cristina mi stai spaventando da morire” lo vide sorridere, mascherare la preoccupazione dietro ad una maschera contorta e strana, chiuse gli occhi qualche secondo riordinando i pensieri “Owen io ho ... ho un astrocitoma di ...” “Stai scherzando?” ma quel silenzio gelido e tagliente era una risposta più che eloquente.
Lasciò cadere le braccia nel vuoto pregando il cielo di continuare a respirare, chiedendo a Dio di restituirgli la lucidità e la razionalità perché tutto quello che riusciva a fare, era trattenere il respiro mentre ogni cosa dentro a quella dannata stanza sembrava prendere vita “Owen è ... lo so che fa male e non posso nemmeno ...” “No! No andremo in ospedale e Shepard troverà un modo! Farai la chemio e ...” si bloccò di colpo, la vide sorridere, abbassare dolcemente lo sguardo sospirando “No! Ehi! Non ci pensare nemmeno chiaro? Non ti permetto di morire per ...” “Per tuo figlio?” gli occhi si inchiodarono ai suoi costringendolo a respirare “Non voglio che tu sia solo, non voglio andare via lasciandoti qui a piangere e a soffrire” “Perché adesso!” urlò avvicinandosi a lei “Perché me l’hai detto adesso!” “Perché l’ho scoperto tre giorni fa. Perché ero terrorizzata da tutto quello che ... sono un medico! Conosco le cure e so come andrà e conosco quei farmaci! Mi sono detta: va bene, d’accordo, posso farcela! ...” riprese fiato senza staccare un secondo gli occhi da lui “ ... poi tre giorni fa ho scoperto di aspettare un bambino e mi è crollato tutto addosso” “Oh davvero?” sbottò ironico “E il mio di mondo? Hai scelto da sola!” “È il nostro bambino” “Se fai le tue scelte da sola come diavolo posso fidarmi di te!” “Perché?” rispose sfinita “Perché ho scelto di salvare nostro figlio?” “Smettila!” sorrise portandosi una mano al ventre, un gesto istintivo quasi naturale “L’ho chiamato nostro già due volte e tu non te ne sei nemmeno accorto” “Cosa?” sospirò abbandonandosi dolcemente sul divano “ Ho paura Owen, sono terrorizzata perché so esattamente come andrà e so cosa succederà ma se faccio la chemio, se inizio le cure avvelenerò anche la sua vita” “E a me non pensi?” si inginocchiò davanti a lei trattenendo le lacrime “Hai scelto per tutti e due, non puoi farlo, non puoi decidere da sola” non riusciva a respirare, a malapena era in grado di pensare “Ti sto dando il tuo sogno maggiore” “No” le sfiorò il viso incatenando gli occhi ai suoi “Mi stai uccidendo Cristina! Mi stai uccidendo e questo ... Posso avere di nuovo quel sogno ma se non inizi la chemio non ...” “No Owen” sorrise posando la mano sulla sua, una leggerissima pressione che la fece scivolare fino al collo “È già successo ricordi? Questa volta non sarà uguale” “Morirai!” “E non porterò questo bambino con me” “Morirai!” sorrise lasciando cadere la mano nel vuoto “Tu ami questo bambino, lo ami già da subito. Vuoi un figlio, mi hai punita per un figlio. Sono cambiata Owen, sono cambiata abbastanza per considerare la sua vita importante anche se la chirurgia resterà sempre la mia vita” “Non ha senso ... non può essere così e non ...” era agitato, spaventato, in lacrime davanti a qualcosa che non poteva controllare “Owen è ...” “No!” tremò spaventata da quella reazione improvvisa “No Cristina! Non è normale, non può essere una tua scelta! Se mi dai questo bambino ti perderò e non posso! Non posso perderti di nuovo!” “Non mi perderai” “Morirai! Ti vedrò soffrire per qualcosa che nemmeno riuscirai a controllare e ti perderò! Come dovrei sentirmi? Cosa diavolo dovrei fare!” ma si bloccò di colpo, era talmente concentrato sulla sua rabbia da non vedere la paura che le colorava lo sguardo.
Era paralizzata sul divano, gli occhi inchiodati ai suoi mentre le braccia proteggevano quella piccola vita dalle sferzate violente del suo carattere “Non puoi chiedermi di convivere con una scelta che non ...” “Non c’è nessuna scelta” mormorò tremante “Non devi scegliere niente amore mio. L’ho fatto io, tu non devi ...” scosse leggermente la testa alzandosi in piedi “ ... so che questa cosa porterà delle conseguenze e se non te la senti beh, Meredith si prenderà cura del bambino fino a quando non sarai pronto” “Stai scherzando vero?” sbottò ironico ma lei non rispose, si limitò ad infilare il cappotto cercando di sorridere “Dove vai?” ancora silenzio “Cristina!” strinse con forza il suo polso voltandola di colpo “Sei arrabbiato” piangeva, piangeva come una bambina e non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi “Sei così arrabbiato da non vedere la bellezza di questa cosa” “No ... no, ehi ...” gli occhi si sollevarono lentamente da terra massacrandogli l’anima “ ... non andare via” “Owen  tu ...” “Sono solo ... sono arrabbiato amore mio e non ... devi darmi il tempo di elaborare questa cosa” “Cosa?” gli occhi si sfiorarono qualche secondo mentre dentro il cuore prendeva velocemente sopravvento una paura violenta, bruciante, qualcosa che non poteva controllare e che forse, nemmeno avrebbe voluto “Vado da Meredith” “Cosa?” “Vado da lei per un po’, finché non ti passa ma giuro che poi torno qui” un debole sorriso a colorarle le labbra mentre stringeva più forte le chiavi della macchina “Cristina” ma lei non rispose, si limitò a sospirare uscendo dalla porta, lasciandolo solo con il suo dannato silenzio.

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Capitolo 2
*** Io non lo Voglio ***


                                                       Io non lo Voglio





“È Natale, che diavolo ci fai qui?” “Non lo sai?” sbottò gelido senza staccare gli occhi dalla sala operatoria sotto di loro “Te l’ha detto” “Perché non l’hai fatto tu!” Derek sospirò sedendosi accanto a lui “Perché sarebbe stato scorretto. Perché doveva dirtelo lei e darti il tempo di elaborare ogni cosa” “E scoprirlo a mezzanotte vicino all’albero di Natale mi aiuta ad elaborare tutto?” già, in fondo la sua rabbia era più che giustificata.
“Ci ho pensato Owen. Ci ho pensato ogni minuto da quando l’ha scoperto. L’unico modo per provare ad eliminare il tumore è operarla e iniziare un ciclo di cure ma aspetta un bambino. Non vuole iniziare la chemio e non vuole nemmeno rischiare un intervento così pericoloso per ...” “Perché è così dannatamente convinta di non farcela da perdere ogni stupida speranza?” “È incinta amico mio” “Non lo voglio” “Cosa?” mormorò confuso cercando il suo sguardo ma era così dannatamente lontano da costringerlo a riempire ogni buco con pensieri strani e campati per aria “Non voglio questo bambino se per averlo lei ...” “Ehi!” sbottò alzandosi di colpo, gli occhi si incatenarono ai suoi in pochi secondi “No! No chiaro! Non è così che funziona!” “Ma che diavolo ...” “Non puoi fare così! Non puoi parlare in questo modo ora che ... l’hai punita per un figlio! Le hai fatto passare l’inferno e ora sei qui a dirmi che non vuoi quel bambino!” “Morirà per averlo!” il respiro accelerato e quella dannata rabbia che lentamente prendeva il sopravvento “Morirà! La perderò per questa stupida idea di avere una famiglia!” “Ha fatto una scelta! Ha scelto il vostro bambino! Ha scelto una cosa che la terrorizza ma l’ha fatto per te! Perché è così dannatamente innamorata di te da fregarsene di ogni suo dannato problema!” lo vide trasalire, trattenere qualche secondo il respiro mentre le sue parole gli entravano dentro “È cambiata, è cambiata così tanto da spaventarmi e posso solo immaginare come ti senta tu ma qui non ... è il vostro bambino” “Come posso amarlo?” Derek socchiuse gli occhi concentrandosi sul suo respiro “Come posso stringerlo tra le braccia, come posso sorridergli quando per averlo, ho perso sua madre!” “Owen ... è il tuo bambino” “No, no questo non ... è tutto sbagliato! Non è così che immaginavo il nostro futuro. Era appena tornata sé stessa e ora questa cosa ... questa cosa più grande di noi e un bambino che non ...” “Owen!” lo strinse per le spalle costringendolo a respirare “Non ce la faccio Derek, non posso ...” “Si che puoi! È Natale, vai a casa, stringila tra le braccia e nascondi ogni paura perché è già abbastanza terrorizzata da sola” “No” si sciolse dalla presa dell’amico inspirando a fondo “Non è Natale” “Ma che ...” “È un giorno come gli altri”  sistemò di nuovo il camice tranquillizzando sé stesso e senza più dire una parola, uscì da lì.

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Capitolo 3
*** Non lasciarla Andare ***


                                                      Non lasciarla Andare






Aveva fatto di tutto per tardare, per non rientrare a casa troppo presto ma diavolo poteva fare alle sei meno dieci della vigila di Natale?. Posò le chiavi sulla mensola cercando di fare meno rumore possibile.
Un passo, un altro ancora fino al divano, fino a quell’angelo addormentato avvolto da una dolcissima coperta rossa e oro.
Era bella, era così dannatamente bella da cancellare di colpo ogni stupida sensazione, ogni briciolo di razionalità.
Forse era colpa del cervello troppo stanco e sfinito per formulare pensieri diversi o forse, la colpa era di quel piccolo umano che cresceva velocemente in lei.
Si passò una mano in viso sospirando, trattenendo le lacrime incatenandole per l’ennesima volta dietro ad un muro di ghiaccio.
Avere quel figlio significava perdere lei e non averlo significava massacrare una donna meravigliosa già distrutta da una vita ingiusta.
Si sedette lentamente sul tavolino di legno scuro senza staccare gli occhi da lei, da quell’espressione tenera e rilassata e poi il braccio dolcemente avvolto attorno al ventre.
Lo faceva sempre, ogni volta che si addormentava portava il braccio attorno alla vita quasi come a volersi proteggere da qualcosa, qualcuno ma ora, quel gesto semplice e divertente cambiava di colpo trasformandosi in qualcosa di più importante.
Già, perché dentro a quel corpo perfetto dormiva al sicuro qualcuno che di colpe non ne aveva.
Per quanto si sforzasse, per quanto provasse ad immaginare quel bambino, il suo viso, il suo sorriso, un solo pensiero gli massacrava l’anima spingendo lontano tutto quello che di buono lei gli regalava.
“Perché mi spii mentre dormo?” trasalì riportato alla realtà dalla voce della ragazza “Scusami ... non volevo svegliarti, stavo solo ...” “Pensavo non tornassi” si stiracchiò divertita aprendo dolcemente gli occhi “Almeno, non prima di qualche giorno” “Non è divertente” “Che ore sono?” si voltò lentamente verso l’orologio ma non riusciva nemmeno a vederne i numeri e forse, farla scappare da quel divano era l’ultima cosa che desiderava “È ... è ancora presto” “E su quale base lo dici?” domandò ironica giocherellando con i capelli “Speri che per osmosi i numeri entrino nei tuoi pensieri?” “Spero solo che tu stia qui tranquilla ancora un po’” “Ho dei pazienti” “No” mormorò sfinito “Non devi controllare nessuno, c’è Russell di guardia, tu resti qui a riposare” “Owen?” la fissò confuso da quel tono a metà tra lo sconforto e l’ironia “Spostati o ti vomito addosso” “Ma che ...” non gli diede nemmeno il tempo di rispondere.
Si alzò di scatto correndo verso il bagno “Cavolo” mormorò tremante inginocchiandosi accanto a lei “Cristina stai ...” “Sto vomitando?” sollevò il viso dal gabinetto cercando di respirare “Già, lo faccio più o meno ogni mattina a quest’ora” “È normale?” “Oddio che schifo” tornò a nascondere il viso lasciando che i suoi occhi cercassero ovunque una stupida scusa per toccarla “Vuoi qualcosa? Posso prepararti del tè o del caffè se ...” “No” si aggrappò con forza a lui alzandosi lentamente in piedi “Ok, ok ci sono” “Sicura?” domandò preoccupato scostandole dagli occhi i capelli ma lei sorrise inspirando a fondo “Si, si va tutto bene” le mani caddero dolcemente nel vuoto costringendola ad allontanarsi da lui.
Il ticchettio leggero dell’orologio accompagnava i gesti lenti, delicati di una ragazza nuova che si divertiva a preparare il caffè  come se niente fosse, come se quelle nausee violente non fossero mai esistite.
“Allora? Ne vuoi ancora un po’  o ...” “Cristina” sollevò gli occhi dal caffè incontrando il suo sorriso “Io non .. non so che devo fare” “Non sai se ti va altro caffè?” domandò divertita ma il suo sguardo la costrinse a paralizzare ogni altro pensiero “Non so cosa fare” “Puoi restare qui” “Ma che ...” “Resta semplicemente qui con me” sospirò passandosi una mano tra i capelli “Non puoi cambiare le cose e non puoi evitarmi nausee e giramenti di testa però ...” gli posò davanti una coppa di fragole pulite e profumate “ ... puoi restare qui e fare colazione con me, ho trovato le fragole a Natale, questo merita un festeggiamento no?” “Cristina ...” “Chissà se piaceranno anche a lui, beh, avremo tempo per scoprirlo” “Quanto?” sbottò gelido piantando gli occhi nei suoi “Un anno? Qualche mese?” “È davvero così importante?” “Morirai!” urlò lanciando all’aria la coppa di vetro, Cristina trasalì schiacciandosi con forza contro l’acciaio gelido del frigo “Morirai! Morirai per darmi questa cosa!” “È mio figlio!” trattenne il fiato mentre quelle parole urlate all’improvviso lo costringevano a trattenere ogni altra emozione “È mio figlio! È tuo figlio e non ti chiedo scusa per aver deciso di tenerlo chiaro?” un passo verso di lui, un altro ancora fino al ripiano fresco del bancone “Non cambierò idea, non lo farò adesso, domani o tra due giorni! Non lo avvelenerò per te perché se anche lo facessi, se anche provassi a lottare ...” si portò una mano alle labbra ricacciando indietro un tremito violento “ ... morirei! Morirei comunque Owen e non voglio che tu sia solo! Non voglio andare via trascinando con me anche il tuo sorriso quindi smettila di urlare! Smettila di comportarti come se tutto questo non fosse importante” “Cristina ...” “Sono adulta e in grado di scegliere! Ho scelto questo bambino ... ho scelto te e tutto quello che fai è ...  è solo ...” si avvicinò a lei sfiorandole il viso “ Stai bene?” “Promettimi che non te la prenderai con lui” “Sei impazzita?” ma la mano della ragazza si strinse con forza attorno alla sua “Promettimi che non lo lascerai solo, che ti prenderai cura di lui e che non lo incolperai per ...” “Ehi” la strinse con forza impedendole di cadere “Cristina?” respirava a fatica, non era nemmeno certo di continuare a pensare, aveva tra le braccia una ragazza sfinita, distrutta dalla sua rabbia, dalle sue paure.
Una ragazza svenuta che ora, sembrava più fragile che mai “No ehi ... andiamo amore guardami” la sollevò da terra sorridendo mentre quegli occhi scuri e profondi tornavano a concentrarsi lentamente su di lui “Così, brava, ehi ... ciao” continuava a sfiorarla, a stringerla cercando di trovare una sola stupida spiegazione a quella dannata situazione “Cosa ... tu non ...” “Sei svenuta” la strinse più forte sedendosi sul divano “Come ti senti? È passato?” annuì debolmente posando la testa sul suo petto “Sei sicura?” “Sto  ... è solo ...” “Andiamo in ospedale e facciamo un controllo per ...” “Sto bene Owen” “Mi sei appena svenuta tra le braccia!” ma lei sorrise alzandosi dolcemente “Smettila di preoccuparti, sono solo un po’ stanca ma non è niente di grave” “Cristina aspetta!” ma si era già rifugiata in bagno, lontana da lui, lontana da ogni sua stupida cattiveria.
 
 
“Gli hai parlato?” annuì debolmente stringendo più forte il frullato tra le mani “E?” “E se la prenderà con lui” “Cosa?” “Se la prenderà con lui Meredith, è così arrabbiato da ...” “Ehi” sollevò lo sguardo incontrando due occhi di cielo pieni di dolcezza “Me ne occuperò io d’accordo?” “Meredith ...” “Mi prenderò cura di lui o lei, lo farò. Se lui non avrà voglia di farlo mi occuperò di lui” Zola ridacchiò divertita giocando con una pallina colorata appena caduta dall’albero “Non voglio che sia un tuo problema” “Stai scherzando?” domandò stupita “Sei la mia persona, mi prenderò cura del tuo bambino se lui non vorrà” annuì appena lasciando uscire ogni dannata preoccupazione dal cervello “Sono una stupida vero?” “No” “Come posso ... in fondo non sarò io a crescerlo, non sarà un mio ...” “Lo porterai dentro nove mesi Cristina. In qualche modo resterà inchiodato ogni minuto di ogni ora nei tuoi pensieri” “Non si ricorderà nemmeno la mia voce” mormorò sfinita stringendosi nelle spalle “Quando succederà sarà così piccolo da non ricordare niente. Forse è un bene insomma, se non può capire cosa succede non soffrirà vero?” Meredith annuì appena sorseggiando il caffè “Non ci capisco più niente” “Tu vuoi questo bambino?” “Voglio che Owen non sia solo. Voglio avere la certezza di andare via lasciandolo con qualcuno che lo amerà per tutta la vita” “Allora non è una sciocchezza” la voce leggermente rotta dall’emozione “Sei la mia persona, perderti è l’unica cosa di cui ho paura. Ho perso Lexie e ora tu ...” ma ricacciò indietro i singhiozzi colorando le labbra di sorrisi “ ... hai scelto qualcosa di meraviglioso Cristina, non è una cosa orribile” “Hai passato tre giorni ad urlare, a cercare di farmi cambiare idea” “E ha funzionato?” chiuse gli occhi reclinando leggermente la testa all’indietro “Hai scelto Owen e si, non mi va a genio questa cosa ma sei innamorata di lui e io sono la tua persona, è compito mio starti vicino. Sono qui Cristina ...” strinse dolcemente la mano attorno alla sua scatenando un leggerissimo sorriso “ ... sono qui per te qualunque cosa tu decida” “Staccherai la spina vero?” sospirò concentrandosi sui suoi occhi “Quando non sarò più in grado di riconoscere mio figlio, quando non riuscirò più a concentrarmi su Owen o sul suo sorriso o ... tu staccherai la spina vero?” un debole si colorò l’aria incatenando quella promessa ad entrambe “D’accordo” mormorò tremante “D’accordo ... va bene, posso sopportarlo” “Se diventerà violento o cattivo ti trascino via di qui alla velocità della luce chiaro?” il rumore secco della porta le costrinse a sussultare “Ehi” “Ciao” “Vi ho interrotto?” Meredith sorrise scuotendo dolcemente la testa “Sono stato al supermercato all’angolo ...” posò sul piano scuro due buste di carta sorridendo “ ... non aveva le fragole così, sono andato in quel centro mercato enorme sulla ventiquattresima e un commesso simpatico e sciocco mi ha mandato da Grispy” sfilò dalla busta due cestini di fragole “Ho girato mezza città per trovartele” annuì debolmente voltandosi di nuovo verso l’amica.
Non era difficile capire cosa diavolo stesse succedendo, era lì dentro da qualche ora e riusciva a toccare la tensione, la vedeva dipinta nel viso della sua persona, preoccupata, impaurita, lontano da quel ricordo che custodiva gelosamente e poi c’era Owen, lui e quella sua dannata voglia di lottare per lei che al momento, non riusciva nemmeno a respirare.
Zola si aggrappò alle sue gambe alzandosi “Pallina!” “È bella Zozo” ridacchiò divertita sfiorandole il viso “Zia, bella pallina!” Meredith annuì appena allungando verso di lei un bavaglino pulito “Ti sta sbavando addosso” “Oh ... beh, non è un problema” il cercapersone sul tavolo vibrò violentemente catturando l’attenzione di entrambe “Un’emergenza” “Non sei di turno” mormorò confuso Owen voltandosi verso di lei, tra le mani reggeva una scatola di cereali e un pacco di biscotti al cioccolato, gli unici che ormai lei mangiava “Il dottor Russell ...” “No” esclamò passando Zola alla ragazza “Il dottor Russell è andato in vacanza con la famiglia. Sono l’unico cardiochirurgo di turno per qualche giorno” “Dovresti riposare!” “Sono incinta non malata!” Meredith sorrise sfilando le chiavi della macchina “Andiamo, ti accompagno io” pochi secondi per vederla cambiare di nuovo, trasformata in qualcosa di diverso e strano, così lontana da lui da farlo incazzare.

 

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Capitolo 4
*** Silenzio senza Tempo ***


                                                       Silenzio senza Tempo





“Vuole aspettare il padre?” scosse leggermente la testa voltandosi verso lo schermo “È sicura?” “Il capo è impegnato, non ha tempo per questo” il ragazzo annuì leggermente sollevando l’ecografo “Eccoci qui” linee delicate e chiare, dolcissimi movimenti colorati di grigio e nero “Ciao piccolo” sorrise seguendo lo sguardo del medico “Sta bene?” “È una piccola vita di tre mesi e mezzo” spostò dolcemente l’ecografo senza staccare gli occhi dallo schermo “Sta bene, è forte e sano” “Va bene” chiuse gli occhi lasciando l’aria libera di entrare di nuovo nei polmoni “Come vanno le nausee?” “Oh ... a volte arrivano ma va bene, non è un problema” “Giramenti di testa?” “Qualcuno” “L’appetito è buono?” scoppiò a ridere divertita prendendo dalle mani del ragazzo un tovagliolo di carta “Mangio ad ogni ora del giorno” “Bene, questo va bene” esclamò allegro aiutandola a scendere dal lettino “Dottor Perkins posso continuare a lavorare?” l’altro annuì distrattamente scribacchiando qualcosa al computer “Nei limiti del possibile dottoressa Yang. Il suo corpo ora ha bisogno di più riposo e serenità del normale. Ha bisogno di rallentare un po’ ma per il resto ...” le sorrise porgendole una busta chiara “ ... si goda il suo bambino e tutto andrà per il meglio” “Grazie” gli strinse la mano nascondendo quasi istintivamente quella busta, quelle prime fotografie così tenere e indifese.
Ci mise pochi minuti a raggiungere il pronto soccorso e ancora meno a capire che quel bambino sdraiato sul lettino, aveva poche speranze di uscire vivo dalla sala operatoria “Cavolo” Alex annuì leggermente passandole l’ecografo “C’è un versamento nel quadrante superiore” “Ha bisogno della sala operatoria subito!” “Non possiamo” “Cosa?” sbottò confusa voltandosi verso Shane “Non possiamo muoverlo da qui, le sale sono tutte occupate e non abbiamo altro spazio” “E allora perché diavolo è arrivato qui!” urlò Alex scoprendo il petto del piccolo “Ora che diavolo facciamo?” “Lo operiamo qui” “Sei impazzita?” “Hai un’idea migliore?” il ragazzo sospirò scuotendo leggermente la testa “D’accordo ...” si voltò verso l’infermiera infilando un paio di guanti “ ... mi servono bisturi, garze sterili, pinze e tutto quello che vi viene in mente” “Sei pronta?” si voltò di colpo incontrando gli occhi di Alex “Si” l’altro sorrise passandole un bisturi e di colpo, tutto il caos attorno a loro scomparve lasciando solo un leggero brivido a fare il solletico ai pensieri.
 
 
“L’ho salvato” sorrise chiudendo gli occhi, attorno a lei solo il dolcissimo silenzio della stanza di riposo e quell’attimo rubato alla frenesia “Oggi ho salvato quel bambino” strinse più forte il cuscino posando al mano libera sul ventre “Come mi sono ridotta così?” domandò divertita a sé stessa “Come faccio a parlare con il niente?” il rumore lontano dei tuoni, un dolcissimo ticchettio sui vetri, pioggia fresca che lavava via le fatiche di quella giornata lunga e pesante “Tu non sei il niente vero?” inspirò a fondo concentrandosi sul battito del proprio cuore “Oggi ti ho visto sai? Oggi ho visto le tue manine, sei così piccolo ...” una lacrima insolente scese dagli occhi cadendole sul collo “ ... sei così ... lo sai, non mi sono mai fermata a pensare come potessi essere, di che colore avessi gli occhi ma ora ...” sorrise cancellando quell’attimo di debolezza “ ... avrai gli occhi di tuo padre e la dolcezza del suo sguardo. Avrai la sua calma e la sua razionalità, il suo sorriso e i capelli scuri come i miei” si strinse più forte tra le braccia allontanando ogni briciolo di dolore “Sarai così bello da togliergli il respiro ogni volta che ti prenderà in braccio. Vedi, ora è un po’ arrabbiato con me però, sarà un bravo papà, sarà il papà migliore del mondo” la porta si aprì lentamente, un leggerissimo fascio di luce le sfiorò il viso costringendola a nascondere gli occhi “Stai bene?” sorrise annuendo appena “Non volevo svegliarti” “Non importa, non stavo dormendo ero solo ...” si mise a sedere ridendo di sé stessa “ ... ero solo impegnata a parlare con questo piccolo umano, tentavo di capire se qui dentro ci fosse davvero qualcosa” Meredith sorrise posando una mano sul suo ventre “Forse dorme e basta, io lo farei tutto il giorno” “Già” “Com’è andata l’ecografia?” sorrise sfilando dalla tasca del camice le ecografie “Oddio” “Già” “È così ... insomma e così ...” si portò la mano libera alle labbra trattenendo l’emozione “Cristina è così bello” “È un bambino” “Si ma è stupendo” le sfiorò una spalla alzando gli occhi al cielo “Certo che è stupendo, è mio o sbaglio?” scoppiarono a ridere assieme, nascoste da sguardi indiscreti, lontane da tutto e tutti.
“Hai già parlato con Owen?” ma lei non rispose, si limitò a sorridere concentrandosi sui lineamenti di suo figlio “Cristina ...” “Non posso dirglielo” “D’accordo, allora che facciamo?” “Aspettiamo e basta. Hai la mia procura sanitaria Meredith, sei la persona che si prenderà cura di lui nel caso Owen ...” “D’accordo” esclamò allegra bloccando quello scroscio improvviso di parole “Andiamo a mangiare qualcosa ti va?” “È una domanda?” “No, un’affermazione” ridacchiò tirandola in piedi “Andiamo”.

 

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Capitolo 5
*** Devi solo Aspettare ***


                      Devi solo Aspettare





Era rimasto lontano da lei per tutto il giorno. Chiuso nell’ufficio, lontano da sale operatorie o pronto soccorso.
Paralizzato in quel silenzio senza tempo che gli massacrava l’anima separandolo da lei ma costringendolo costantemente a preoccuparsi per lei.
“Capo?” annuì leggermente senza staccare gli occhi dal monitor davanti a sé “Owen?” “Si, ti ho sentito anche la prima volta” “Che ci fai qui?” “Lavoro” buttò lì confuso sollevando qualche secondo gli occhi “Si, questo lo vedo. Proviamo a riformulare la domanda” esclamò Derek posando entrambe le mani sulla scrivania “Perché non stai accompagnando Cristina a casa?” “La risposta è la stessa. Sto lavorando” ma l’altro sorrise sollevando una cartella clinica “Questo ti ha impedito di vedere tuo figlio oggi?” “Cosa?” “Già. Perché questa mattina alle nove lei ha fatto la prima ecografia e tu eri ...” lasciò cadere i fogli senza staccare gli occhi dai suoi “ ... eri qui a compilare cartelle” “Ma di che stai ...” “Tuo figlio Owen! Quel piccolo esserino che le cresce dentro!” “La smetti di trattarmi da idiota?” “Non ti ha detto niente?” domandò confuso passandosi una mano tra i capelli “Porca puttana!” “Derek cosa ...” “Questa mattina aveva l’ecografia” trasalì alzandosi lentamente dalla poltrona “Sta bene?” “E io cosa ne so? Non sta crescendo dentro di me!” sfilò dal camice il cercapersone pregando Dio di trovarvi la sua chiamata ma lo schermo era scuro e silenzioso “Lei non ...” “Non ti ha detto niente! Pensavo scherzasse quando ...” “Derek!” sospirò avvicinandosi a lui “È convinta che tu non lo voglia Owen” “Oh andiamo” “La procura sanitaria di Cristina appartiene a mia moglie” “Sei impazzito?” mormorò confuso ma l’altro sorrise scuotendo leggermente la testa “Pensavo che scherzasse, pensavo che mi stesse prendendo in giro insomma, Meredith lo fa sempre ma questa volta ha ...” “Senti” sbottò gelido piantando gli occhi nei suoi “Non so cosa sta succedendo, non so come mai o perché ma sono già abbastanza confuso così e non ho bisogno che tu ...” “La procura sanitaria di Cristina è stata cambiata ieri pomeriggio e il notaio ha validato il suo testamento” “Ma di che diavolo parliamo?” “Ha lasciato il bambino a Meredith” il cuore mancò un colpo mentre l’aria si rifiutava di entrare nei polmoni “È spaventata e confusa e ha pensato che tutto questo casino ti avrebbe fatto più male che bene” “Ha nominato un tutore?” “Puoi biasimarla?” “Non può fare scelte così ...” “Lasciala stare” “Cosa?” un sorriso tenero e rassicurante colorò le labbra dell’uomo “Lasciala stare Owen” “È la mia famiglia” Derek sorrise colorando lo sguardo di ironia “La tua famiglia era in quella stanza al secondo piano questa mattina e tu eri qui, lontano da loro”.



“Che stai facendo?” si voltò di colpo spaventata da quella voce improvvisa apparsa dal nulla “Cristina?” strinse più forte le mani attorno al bordo di ferro della scala sorridendo “Stavo prendendo una scatola e ...” “E ora scendi da lì” “Ma sto ...” “Sei arrampicata su una scala e sei incinta. Vorrei evitare di vederti con la testa piena di bozzi per questa tua stupida idea di fare sempre a modo tuo” sbuffò stringendogli la mano “D’accordo” scese lentamente senza cercare i suoi occhi nemmeno una volta “Che diavolo stavi ...” “Mi serve quella scatola” “Per cosa?” “Puoi semplicemente aiutarmi a prenderla?” ci mise qualche secondo a convincere il cervello, allungò una mano verso la mensola sospirando “D’accordo, ma se ti rivedo di nuovo in piedi su una scala ...” “Si, d’accordo” esclamò divertita sfilandogli dalle mani la carta colorata “Che c’è lì dentro?” sorrise scostandosi dal viso una ciocca di capelli troppo ribelle per sopportare le costrizioni di quella treccia meravigliosa “I suoi nomi” “Che?” “Quando quel dannato test è diventato positivo ho scelto due nomi, in realtà li ha scelti Meredith o li abbiamo scelti insieme ma ora ...” sfilò un paio di scarpine così piccole da sembrare parte del corredo di una bambola “Uao” “Sono carine vero? Le ha comprate Alex il giorno dopo aver fatto il test” “È bello scoprire che tutti ne erano a conoscenza tranne me” ma lei sorrise tirandolo dolcemente verso il letto “Leggi qui sopra” sollevò leggermente una calzina mostrandogli delle lettere, fili rosa che si intrecciavano formando un nome “Grace Elisabeth Hunt?” “Ti piace? È un nome per ...” “Si, so cos’è” era freddo e così distante da farle un male terrificante “Era ... era il nome che avrei scelto se fosse stata una bambina e se fosse un maschietto beh ...” sorrise dolcemente sollevando la seconda calzina “ ... Julian Hunt” Owen sospirò annuendo debolmente “Non ti piacciono?” “No è solo ... non so cosa ...” si passò una mano in viso ridendo, camminando nervosamente per la stanza quasi come se tutto lì dentro potesse legarlo “ ... cosa vuoi da me?” “Solo sapere se ti ...” “Ho del lavoro da fare! Non posso perdere tempo con nomi e vestitini!” “Già” mormorò sfinita abbassando lo sguardo “Questa sera resto in pronto soccorso, se hai bisogno di qualcosa ...” “No, no vai pure” nascose le lacrime dietro al sorriso allontanando per l’ennesima volta la voglia matta di piangere.
Silenzio, silenzio e nient’altro fino al suono secco e violento della porta d’ingresso “Eh già piccolo ...” sussurrò posando una mano sul ventre ormai dolcemente visibile “ ... non avrà mai tempo per noi” una lacrima gelida scivolò via dagli occhi colorando lo sconforto di dolcezza senza fine.

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Capitolo 6
*** Mio figlio non avrà un Padre ***


                     Mio figlio non avrà un Padre




Era rimasta lì fuori per ore intere, si era ripromessa di sistemare i documenti per la maternità, di controllare ogni dannata cosa e invece, tutto quello che riusciva a fare era restare lì, inchiodata fuori dalla nursery mentre un immagine tenera e delicata le invadeva gli occhi.
Un padre, un uomo semplice, alto, forse un po’ troppo magro ma comunque innamorato di quel piccolo umano che stringeva dolcemente tra le braccia.
Camminava lentamente attorno alla culletta sorridendogli, posando le labbra sulla sua fronte mentre il respiro delicato di suo figlio gli sfiorava il naso.
Si passò una mano tra i capelli sospirando “Va tutto bene?” “Che ci fai qui?” “E tu? Dovresti essere a casa” ma lei sorrise perdendosi nel calore dei suoi occhi “Non riuscivo a restare là dentro. Sono l’unico cardiochirurgo in comando e se succede qualcosa devo essere reperibile” “Si, ma esistono i cerca persone” “Secondo te è normale?” seguì lo sguardo della ragazza fino a quell’uomo perso e innamorato “È normale che un uomo si trasformi in quel modo?” Alex ridacchiò divertito stringendosi nelle spalle “I bambini rendono idioti. Lui è solo innamorato” “Perché Owen non lo è?” si voltò verso di lei studiando per qualche secondo i suoi occhi, il suo sguardo impaurito e stanco “Credevo fosse diverso, credevo di averlo vicino e invece tutto quello che riesce a fare è scappare” “Ha solo paura, devi dargli il tempo di elaborare la cosa perché non è facile rinunciare a ...” “Quel bambino crescerà con qualcuno che gli insegnerà ad andare in bicicletta, che controllerà se sotto il letto c’è l’uomo nero. Avrà qualcuno che si prenderà cura di lui quando il temporale fa rumori brutti e lontani, qualcuno che giocherà con lui e che gli insegnerà che non tutto nel mondo è sbagliato. Mio figlio non avrà nessuno” “Cristina non ...” “Oh andiamo!” sbottò voltandosi verso di lui “Ha una madre spaventata e sola che morirà tra qualche mese e suo padre è così impegnato ad odiarlo da perdersi ogni cosa di lui! Ho paura Alex! Ho paura perché sto facendo questa cosa da sola!” “Non sei sola!” la strinse per le spalle costringendola ad alzare leggermente lo sguardo “Non sei sola! Sono qui con te! Meredith è qui con te. Siamo tutti qui con te e non sarai sola” “Mi odia per averlo tenuto” una lacrima, un’altra ancora, di colpo quel fiume di emozioni troppo a lungo trattenute ruppero gli argini della ragione trasformandola in una bambina.
Sola, indifesa, terrorizzata da tutto quello che il mondo le vomitava addosso “Odierà il mio bambino e non ...” “Lo farò io” “Cosa?” sorrise scostandole dagli occhi i capelli “Controllerò se sotto il letto ci sono i mostri e se per caso ci trovo l’uomo nero beh, lo prenderò a calci in culo” “Alex non ...” “Lo porterò al parco e al luna park e gli insegnerò ad allacciarsi le scarpe e ad andare in bicicletta. Certo, magari all’inizio useremo il triciclo ma metteremo il casco” sorrise concentrandosi sui suoi occhi “E se sarà una bambina mi comporterò da guardia del corpo quando i ragazzini arrapati le gireranno attorno” “Non devi farlo per forza” “No, ma voglio farlo. Non ho mai combinato niente di buono nella vita. Tutta la mia famiglia siete voi e mi prendo cura della mia famiglia” la vide sospirare, chiudere gli occhi qualche secondo tentando di riordinare i pensieri “Cristina guardami!” si concentrò su di lui cercando di ignorare la spinta violenta delle lacrime “Andrà bene, ce la caveremo bene vedrai” “Me lo prometti?” le sorrise annuendo dolcemente “Mantengo sempre le mie promesse dottoressa quindi ...” riprese fiato tirandola dolcemente di lato “ ... ora andiamo a mangiare qualcosa e poi da Joe” “Non bevo!” “Lo so, ma puoi guardare me bere e poi riportarmi a casa” alzò gli occhi al cielo sospirando ma Alex era già partito in quarta e fermarlo sarebbe stato tutto inutile.

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Capitolo 7
*** Ora puoi sorridere alla Vita ***


                                         Ora puoi sorridere alla Vita




“È un maschio?” “Oh andiamo! Io dico che è femmina!” esclamò divertito Alex sedendosi accanto a lei “Come mai vuoi una bambina? Dovresti volere il contrario!” “E tu perché vuoi tanto un maschio?” "Ci sono troppe femmine Alex" "E tuo figlio allora?" "Lui è troppo piccolo, crescerà circondato dagli estrogeni, credi sia una bella vita? Gli serve un alleato"  “Scusate” mormorò divertita “Quello che voglio io non conta?” Peter scoppiò a ridere sollevando dolcemente l’ecografo “Vuoi aspettare il padre o ...” “No, no va bene così” “Sei sicura?” domandò preoccupata Meredith “Se vuoi posso chiamarlo” “No, il capo è in sala operatoria” “Strano” sbottò irritato Alex “Ok, allora se siete pronti io inizierei” annuirono assieme come una sola persona che aveva troppi pensieri per la testa.
Sul monitor apparvero lentamente i lineamenti di quella piccola vita che riposava al sicuro dentro di lei, era così piccolo, così dannatamente forte e combattivo da farla sorridere “Cavolo” “C’è qualcosa che non va?” domandò confusa sollevandosi leggermente dal lettino ma le mani di Alex la spinsero di nuovo giù “Zitta e lascialo lavorare” “Se qui dentro c’è qualcosa che non va ...” “Cristina forse dovresti respirare, stai diventando viola” “Ti prego Meredith, dimmi se ha tutte e due le braccia” la ragazza annuì decisa sporgendosi appena oltre l’amica “Ha due braccia e due gambe” “Grazie a Dio” Alex sorrise scuotendo dolcemente la testa “E allora cosa c’è che ...” “Si nasconde” “Cosa?” “Si nasconde, non si fa vedere e quindi risulta un po’ difficile capire cos’è” “Resterò con una culla bianca fino a quando non nascerà” “È un ipotesi” esclamò allegro il medico “A meno che ...” poi un bellissimo sorriso mentre l’ecografo si spostava dolcemente più in basso “ ... compra un orsacchiotto azzurro dottoressa, è in arrivo un bel bimbo” “Evvai!” urlò Meredith saltando dallo sgabello “Oh andiamo! È sicuro che è un maschietto? Non ha confuso un dito con ...” “Alex?” “Cosa?” “Smettila d’accordo? Ho vinto io” “Ma almeno hanno scommesso dei soldi?” sussurrò stupito Peter passandole i tovaglioli “Non ne ho idea” “Riposa un po’ di più, il corpo non è più solo tuo e ormai sei nel bel mezzo del quinto mese, dovresti rallentare” “Ma sta bene vero?” “Sta bene” l’aria entrò di nuovo nei polmoni costringendola a sorridere “Ehi, andiamo a festeggiare!” la voce squillante di Meredith spaccò a metà il silenzio “Cosa?” “Andiamo a festeggiare. Julian merita una festa” “Julian?” ripeté Alex “Che c’è? Non ti piace?” “Il mio figlioccio non avrà il nome dell’omino dei cereali chiaro?” ma Cristina scoppiò a ridere infilando di nuovo il camice “Coraggio, avrete tutto il tempo del mondo per discutere i nomi di sotto, ho bisogno di cioccolato” li prese per il camice sospirando “Fuori di qui” Peter scoppiò a ridere seguendola fino alla porta “Mi raccomando, riposa e rallenta” “Si capo” un ultima risata piena di vita e poi di nuovo il caos dell’ospedale ad avvolgerli ma non aveva grande importanza.
Ora aveva una ragione per sorridere, per alzarsi al mattino ringraziando il cielo o chiunque ci fosse lassù perché il suo bambino stava bene.
Aveva fatto una scelta, a tratti perfino incomprensibile per sé stessa e per giorni, era rimasta aggrappata alla speranza che quel mostro orribile che si divorava pezzo dopo pezzo il suo cervello restasse lontano, ben ancorato a lei e distante da quella piccola vita e oggi, per la prima volta da settimane, si sentiva in dovere di sorridere perché la vita era in qualche modo più bella e meravigliosa.

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Capitolo 8
*** Ti sei perso la sua Forza ***


                                       Ti sei perso la sua Forza




“Non hai fame?” sollevò gli occhi dal piatto “Cosa?” “Non hai mangiato niente?” “Oh ...” sussurrò stupita rigirandosi la forchetta tra le dita “ ... scusa, stavo solo ...” “Ti senti bene?” non rispose, si limitò ad annuire tornando a concentrarsi sul piatto “Ho parlato con Russell, se hai bisogno di rallentare un po’ può riassegnare dei casi e ...” “Perché?” “Sei di cinque mesi ormai, hai bisogno di ...” “Quasi sei” puntualizzò concentrandosi sul suono leggero che la forchetta provocava sul piatto “In ogni caso, sei nel quinto mese” “Dov’eri?” “Quando?” domandò divertito versandosi del vino “Questa mattina alle dieci dov’eri?” ci pensò qualche secondo cercando di riordinare i pensieri “In riunione con il consiglio, abbiamo parlato di stupidi modi per risanare il bilancio e uno di quelli erano i piattini della mensa” “Cosa?” “Già” esclamò ridendo “Stupido vero? A quanto pare spendiamo un sacco di soldi in cose inutili e ...” “Avevo l’ecografia” “Che?” “Questa mattina alle dieci ho visto tuo figlio e tu eri a parlare di piattini e idiozie del genere” “Ancora?” sbottò infastidito “Vuoi parlarne ancora?” “E perché tu no!” urlò alzandosi di colpo “Vuoi fingere che non esista? Ha quasi sei mesi di vita Owen! Perché diavolo non puoi essere contento per lui!” “Non voglio parlarne d’accordo? Non voglio parlare di questa cosa!” “È mio figlio!” trattenne il respiro sconvolto da quella reazione inaspettata e violenta “Non è una cosa! È un bambino, il mio bambino e dovresti essere fiero di lui perché fino ad ora se la cava alla grande!” “Smettila” “No! Non posso ok? Non posso smetterla perché sono terrorizzata Owen! Perché non so niente di come si cresce un bambino ma sto affrontando questa cosa da sola perché sei troppo impegnato ad incolpare il nostro bambino per ...” “Nostro?” domandò tagliente “Non ho scelto io di averlo!” “E allora perché sei qui!” urlò tra le lacrime “Perché sei qui! Perché mi stai vicino per ...” “Perché ti amo” le lacrime scorrevano violente, fermarle? Ci provava, ci provava con tutte le forze ma non riusciva nemmeno a respirare come poteva pretendere di controllare anche quello? “Ti amo ok? Ti amo e non riesco ad allontanarmi da te ma amare te vuol dire farsi male Cristina! Un male terrificante che mi mangia vivo ogni giorno che passa!” “Che diavolo c’entra ora?” “Avevo un sogno! Ti sognavo ogni notte con un bambino tra le braccia, il nostro bambino! Lo sognavo mentre scartava i regali di Natale, mentre giocava con la sabbia e guardava il mare e ora sono qui a fare uno stupido conto alla rovescia!” “È questo?” domandò tremante avvicinandosi leggermente a lui “Sei arrabbiato con me per averlo tenuto?” “Sono incazzato con te perché per tenere questo bambino morirai! Ti perderò e per cosa? Per una stupida idea? Per questo maledetto senso di maternità sbucato fuori dal nulla?” piantò gli occhi nei suoi sospirando “Smettila di fingere che tutto andrà bene, smettila di comportarti come se ti importasse qualcosa di questo bambino. Morirai e mi lascerai qui da solo con un piccolo umano a lottare ogni giorno contro la tua assenza quindi si, non mi interessa niente della sua vita, non voglio sapere il suo nome, non voglio conoscere niente di lui” “Non preoccuparti” afferrò la giacca dalla sedia cercando di sorridere, cercando di nascondere la paura e la delusione dietro ad una smorfia ma le lacrime non potevano nascondersi, non ora, non in quel modo “Non dovrai averne cura, non sarà un tuo problema” “Dove stai andando?” di nuovo silenzio, di nuovo quel fottuto muro a massacrare i ricordi e una realtà così sbagliata e contorta da distruggerlo.
Il rumore secco della porta, il vuoto e solo l’ombra pesante di quell’assenza che non riusciva a sopportare.

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Capitolo 9
*** I mostri mangiano i Ricordi ***


                                        I Mostri mangiano i Ricordi




Erano le tre e mezza di notte, troppo presto per andare a lavorare e troppo tardi per uscire di casa.
Il cellulare continuava a squillare senza tregua interrompendo anche quell’attimo di pace che i bambini le avevano concesso “Ti prego rispondi a quel dannato telefono perché se Zola si sveglia ti uccido” nascose il viso nel cuscino ignorando le parole del marito “Meredith” “Sarà l’ospedale” “Allora ...” riprese Derek sfiorandole la schiena “ ... rispondi e mandali a quel paese” sbuffò allungando la mano verso il comodino “Pronto?” “Dov’è” si mise a sedere sfregandosi gli occhi ancora pieni di sonno “Owen?” “Mer dov’è?” “Ma di che ...” “Mia moglie, quella ragazza folle e testarda che fa tutto di testa sua. Dov’è!” “Perché dovrei saperlo?” “Va tutto bene?” mormorò confuso Derek voltandosi verso di lei “Sta bene?” “È uscita di casa sei ore fa e ... e non risponde al cellulare, non so dove sia e se l’hai vista non ...” “Che vuol dire? È sparita?” “Cristina?” annuì appena alzandosi di scatto “Cosa le è successo?” “Abbiamo litigato, ho provato a fermala ma è uscita di casa e ora sembra sparita nel nulla” “Come fa una persona a sparire nel nulla?” “Vado a vestirmi” esclamò deciso Derek correndo in bagno “Owen aspetta un bambino! È malata e se le succede qualcosa non ...” “Davvero? Pensavo che fosse solo allegramente contagiata dalla follia della vita! Pensi che non lo sappia? Pensi davvero che non me ne freghi niente di lei? È mia moglie!” “Davvero? Perché non sembrava importartene molto questa mattina!” sbottò gelida infilando i pantaloni “Come diavolo fai a farla incazzare ogni volta?” “Ok, ci sono” sorrise incontrando il viso di suo marito “Vado a cercarla in ospedale, se non è lì provo da Joe e da Alex e ...” “Vengo con te” “No, no ehi ne abbiamo parlato ricordi? Io sono il cavaliere che combatte contro i draghi cattivi e tu sei la mia principessa” “È la mia persona!” “Lo so, e per questo affronto io la cattiveria, perché tu hai bisogno di riposare” sfilò dalle sue mani le chiavi posandole un bacio leggero sul viso “Tieni il cellulare attaccato e chiama Karev, forse è andata lì” annuì appena scivolando fuori dalla porta della stanza “Sta bene vero? Meredith ti prego dimmi che sta bene” inspirò a fondo cercando di controllare il flusso dei pensieri.
Avrebbe voluto urlare, gridare al mondo quanto stupido fosse stato ma tutto quello che riuscì a dire fu un semplicissimo “Starà bene” prima di chiudere la conversazione.


Sentiva il vento fresco sulla pelle, il profumo del mare proprio sotto di lei, un tenero sorriso le colorò le labbra mentre gli occhi si perdevano sul gioco allegro della luce sull’acqua.
Non sapeva nemmeno lei come diavolo era arrivata fino a lì ma ora che importanza aveva.
Se ne stava semplicemente lì, con le mani strette attorno al ferro gelido della staccionata e gli occhi persi sui disegni dell’acqua.
Silenzio, silenzio e nient’altro, attimi di pace che in qualche modo cancellavano tutto il male e la rabbia di suo marito, la sua paura, la voglia folle di chiudere gli occhi e fingere che niente fosse mai accaduto.
Un altro respiro, un altro battito violento del cuore poi uno strattone violento, ricadde indietro, stretta tra le braccia di qualcuno che faticava a riconoscere “Oddio” posò le mani sul petto del ragazzo spingendolo leggermente indietro “Sai da quanto ti sto cercando? Che diavolo ti è saltato in mente!” “Alex ?” “C’è mezza Seattle in giro a cercarti! Tuo marito sta impazzendo e ...” “Chi?” le sfiorò il viso costringendola ad alzare lo sguardo “Stai bene?” “Perché non dovrei?” “Bene, perché ora ti uccido con le mie mani” sorrise scuotendo dolcemente la testa “Pensi davvero che sia venuta qui a farmi del male?” “Non lo so, dimmelo tu” sbottò ironico allargando le braccia “Sei su una sporgenza, accanto ad un faro e sotto c’è il mare ... dimmi tu cosa diavolo devo pensare!” “Sto bene, cioè, mi fa male la testa e le mani tremano ma sto bene” “Tremi?” domandò confuso sollevandole le mani, un tremito violento le attraversò le spalle costringendo le dita a fare altrettanto “Da quanto ti succede?” “Da poco e solo quando sono molto arrabbiata ma tranquillo, non opero più” “Si, questo lo so ma dovresti fare un controllo perché le tue condizioni potrebbero ...” “Alex?” “Cosa?” ridacchiò divertita sfilando le mani dalle sue “Puoi smetterla? Posso passare gli ultimi quattro mesi di gravidanza in pace?” “Solo se prometti di non fare più idiozie del genere” ma lei non rispose, tornò a concentrarsi sul mare, sul riflesso dell’acqua ignorando il ragazzo “Alex? È lì? L’hai trovata?” sorrise chiudendo qualche secondo gli occhi “Sta bene, è qui con me e sta bene” “Oddio” sentì la ragazza sospirare, trattenere a stento un singhiozzo “Meredith sta bene, smettila di preoccuparti” “Puoi passarmela?” “Forse non è una buona idea, è sconvolta ma non so da cosa e sta tremando” “Beh ... è rimasta fuori tutta la notte” “La mano destra trema leggermente più forte della sinistra” “Sta peggiorando” “È solo un deficit motorio, è stanca e probabilmente ha fame. Ora la porto a mangiare qualcosa e poi la riaccompagno a casa e ...” “No, no non portarla a casa” “Meredith!” “Portala in ospedale, Derek è già lì, lo chiamo e gli faccio preparare la tac” annuì leggermente quasi come se la ragazza avesse visto quel gesto leggero.
Ci mise pochi minuti a convincerla ad abbandonare quel piccolo angolo di paradiso, aveva una fame gigantesca e barattare una tavola calda con quel posto era la cosa più semplice del mondo.

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Capitolo 10
*** Lasciale un'attimo per Respirare ***


                                    Lasciale un attimo per Respirare




“Ti sei divertita là fuori?” sorrise voltandosi appena verso Alex “Perché siamo qui?” “Perché abbiamo fatto una scommessa e ho vinto e ora ...” la tirò leggermente in avanti chiudendo la porta della sala “ ... mi devi un esame” “Ho un tumore al cervello ma non sono scema, smettila di trattarmi da bambina” Derek scoppiò a ridere aiutandola a sedere sul lettino “Come ti senti?” “Lo so che sei arrabbiato” “Già, incazzato abbraccia meglio quello che sento ma ora, per il bene di tutti, ci passerò sopra e fingerò di essere il neurochirurgo più bravo del mondo” il cercapersone di Alex iniziò a suonare “Cavolo” “Vai, io sono al sicuro” “Corri Karev, non preoccuparti, a lei ci penso io” il giovane annuì appena correndo fuori dalla sala visite.
“Allora, come ti senti?” “Stanca” “Sei stata sveglia una notte intera” “No, sono ...” trattenne il fiato mordendosi le labbra “ ... sono stanca” “Hai la nausea?” “A volte” “E quando di preciso?” le sfiorò il viso controllando gli occhi “Al mattino” “Solo al mattino?” annuì appena senza muoversi “Come vanno i tremori?” “Vanno e vengono” “È normale” “Davvero?” mormorò sfinita raddrizzando la schiena “Sono i sintomi del tumore. Se avessimo agito subito probabilmente ora non esisterebbero ma non l’abbiamo fatto quindi ...” riprese fiato abbozzando un leggerissimo sorriso “ ... quindi dovremo conviverci per un po’” “Noi?” ribatté divertita “Non ti crescono dei mostri dentro dottore” “No ma li prenderei tutti se potesse aiutarti a sopravvivere” la porta si spalancò di colpo costringendola a sobbalzare “Che ... che ci fai qui?” ma lui non rispose, si limitò a sospirare chiudendo gli occhi.
“Owen?” “Sta bene?” l’altro annuì appena continuando a stringerle una mano “Shepard sei sicuro che ...” “Non la senti?” “Cosa?” “Non tu, lei” seguì il suo sguardo fino al viso sfinito di sua moglie “Non senti la mia mano” “Cristina?” “Ok, amico mio la sai una cosa?” sorrise piantando gli occhi nei suoi “Continuare a starle addosso così non le fa bene quindi, che ne dici di aspettare di fuori?” “Sei impazzito?” “Forse, ma sono il suo dottore, tu sei suo marito quindi fuori di qui prima che chiami la sicurezza!” lo vide tremare, indietreggiare fino al muro “Esci di qui Owen, verrò fuori tra qualche minuto” “Vai” mormorò sorridendo “Io sto bene” ancora un altro sguardo pieno di terrore e poi la porta chiusa e solo loro due.
“Riesci a chiudere le dita?” annuì leggermente chiudendo la mano ma lui sospirò “Porca puttana” “Che c’è?” domandò confusa “Non muovi le dita” “Stai scherzando? Ma se ho appena chiuso ...” si bloccò di colpo, gli occhi fissi sulla mano ancora aperta su quella dell’uomo “Non ... avevo chiuso la mano” “Ma sta tremando, i nervi rispondono ancora” “È ... è il tumore?” “Già” sospirò sfilando il cellulare “April?” “Dimmi tutto” “Prenotami una tac urgente, manda su Jackson” non aspettò nemmeno la risposta.
Chiuse il cellulare stampandosi in viso un sorriso idiota “D’accordo allora ...” le sfiorò il volto scostandole dagli occhi i capelli “ ... ora andiamo a controllare il tumore” “Di nuovo?” “Di nuovo, te ne starai sdraiata lì e dormirai o penserai a qualcosa di molto intelligente da dire a Meredith perché l’hai fatta morire di paura” “Chi?” trattenne il respiro pregando il cielo che ogni dannato muscolo del viso resistesse così, incatenato in quel dannato sorriso “La tua persona è molto arrabbiata con te” l'espressione sul viso della giovane cambiò di colpo, la vide sorridere inclinando leggermente la testa di lato perché all'improvviso tutta la confusione e la paura erano sparite “Meredith è troppo emotiva” “Già” esclamò allegro voltandosi verso l’infermiera “Preparala per la tac e tienila lontana dalla macchinetta del secondo piano” “Oh andiamo Derek! Sono una donna incinta con le voglie” “E io sono un uomo che è saltato giù dal letto nel cuore della notte per venire a cercarti” “Perfido!” lasciò tra le mani dell’infermiera la cartella e inspirando a fondo uscì dalla stanza.


“Allora?” “Owen ...” “No, sto impazzendo ok? Dirmi di stare calmo o di sedermi non funziona perché ho passato gli ultimi cinque minuti a tentare di convincere me stesso e non ha funzionato!” “Calmati ok? Va tutto bene” “Derek ...” “Senti, ti va di sedere due minuti con me? Lo so che il tuo cervello rifiuta questa ipotesi ma ho bisogno di parlarti” lo invitò a sedere affianco a sé cercando di trovare un modo per dire tutto senza farlo svenire.
“Stiamo preparando una tac per controllare eventuali nuove lesioni ma sta peggiorando” “Mi ha detto che non opera più, che qualche volta trema e ....” “Ti ha detto quello che avevi bisogno di sentire” “Cosa?” sospirò abbassando qualche secondo lo sguardo “Non riusciva a stringermi la mano, era convinta di farlo ma le sue dita restavano immobili. Ho controllato i riflessi ed eseguito un test. La mano restava immobile ma al tempo stesso tremava da sola. I nervi stanno impazzendo e i mal di testa sono sempre più frequenti ...” “Che vuol dire?” domandò confuso “Che stai ... che vuol dire!” “Che il tumore si sta mangiando lentamente ogni angolo del suo cervello cancellando uno dopo l’altro i ricordi” “No” sorrise stringendosi la testa tra le mani “No lei ... ha ancora tempo! Ha ancora tempo per ...” “Non ricordava Meredith. Le ho detto che avrebbe fatto meglio ad inventare scuse valide perché di certo, Meredith non si sarebbe bevuta quella della passeggiata per schiarirsi le idee e lei ...” si fermò qualche secondo cercando i suoi occhi “... lei mi ha guardato e mi ha chiesto chi fosse Meredith ...” “Derek ” “ ... e pochi secondi dopo, ha iniziato a parlare di lei come se niente fosse” posò una mano sulla spalla dell'amico cercando di far assomigliare quella smorfia strana ad un sorriso “La memoria inizia ad esserne intaccata, i ricordi diventeranno via via più difficili da separare. I nomi diventeranno solo lettere, così i visi e le emozioni e ...” “Tu le avevi dato del tempo! Le avevi detto che non sarebbe successo prima di ... e ora sei qui a dirmi che sta morendo!” “Sono qui a dirti che tra qualche mese non riconoscerai più niente di tua moglie in lei!” lo afferrò per le spalle bloccando quello scoppio violento di rabbia “Lo so che fa male e so che ti può sembrare crudele e sbagliato ma lei mi ha chiesto di farlo! Quando l’abbiamo scoperto mi ha chiesto di essere così diretto con te perché cullarti nelle bugie sarebbe stato doloroso e niente di più!” lo strinse più forte costringendolo a respirare “Sto aspettando i risultati della tac e lo so che fa male ma lei ... lei non ha più tempo Owen. Tra quattro mesi, cinque al massimo si lascerà andare” “Le avevi promesso un anno” “Lo so” “Le avevi promesso che avrebbe visto suo figlio senza scordarsi ogni due secondi il suo nome!” “Lo so” mormorò sfinito “Ma è giovane e il tumore si espande più in fretta di quanto pensassimo e se continuerà così, saremo costretti a far nascere il bambino in tempi brevi e ...” “No!” esclamò gelido scattando in piedi “No! Mi hai sentito Shepard? No! È troppo piccolo!” “Sopravvivrà” “No! Non può farlo, non posso farlo perché ha passato gli ultimi mesi a parlare con quel bambino e se ora lo fai nascere e lo perde lei ...” “Quel bambino?” domandò confuso “Owen è tuo figlio!” “Non l’ho chiesto io!” urlò inchiodando gli occhi ai suoi “Non ho scelto di avere quel bambino! Ho scelto lei! Ho scelto mia moglie e lei ... lei non ha nemmeno pensato che ... ha scelto da sola! Ha scelto quel bambino e sta morendo!” “Perché è tanto brutto pensare che sia cambiata? Perché non puoi semplicemente immaginare che l’abbia fatto per te?” “Perché non è così! Perché è talmente concentrata su quello stupido nome da non vedere cosa diavolo le sta accadendo!” ma erano troppo impegnati ad urlare per accorgersi di quella ragazza tremante e spaurita che li osservava dalla porta “Cavolo” sbottò Derek avvicinandosi a lei “Ehi, che ci fai qui?” ma lei non rispose, era talmente concentrata sugli occhi di suo marito da non vedere nient’altro “Chi sei?” Owen trasalì paralizzandosi di colpo contro il muro “Cosa?” gli occhi socchiusi e la testa leggermente inclinata di lato, immobile in quella posizione, così lontana da lui da fargli male “Chi sei?” Derek sospirò sfiorandole una spalla “Che ci fai qui fuori?” di colpo il suo sguardo cambiò, si colorò di serenità e un bel sorriso illuminò le labbra “Stavo cercando un po’ d’acqua fresca” “Potevi chiamare, ti avrei mandato qualcuno” “Fa lo stesso, non importa, camminare un po’ non può farmi male no?” sorrise scuotendo leggermente la testa “Ehi, per caso hai visto mio marito?” “Sta ...” si voltò qualche secondo verso Owen “ ... sta arrivando. L’ho chiamato pochi minuti fa” “Puoi dirgli che va tutto bene?” sussurrò avvicinandosi leggermente a lui “Davvero?” un bellissimo sorriso candido come la luna e le mani strette attorno al ventre “Lo so che è arrabbiato con me per questo bambino, ma si spaventa quando succede qualcosa e non voglio che si preoccupi per me perché sto bene” “Cristina” sollevò gli occhi di colpo incontrando il viso di Owen “Ehi” si avvicinò a lei cercando di sorridere “Come stai? Come ti senti?” “Ehi, ciao” si voltò leggermente verso Derek cercando in lui una sola fotutta risposta ma leggeva nei suoi occhi solo rassegnazione.
Quei cambi improvvisi di voce, i movimenti, le espressioni del viso tutto di lei stava lentamente scomparendo e non poteva fare niente per aiutarla “Sta bene amico mio, tua moglie sta bene” annuì allegra sfiorandogli il viso “Sto bene” ma quanta fatica fingere che fosse realmente così.
“Abbiamo solo qualche altro esame da fare e poi potrai riportarla a casa” “D’accordo” mormorò prendendola per mano “Andiamo?” un debole si nell’ aria e poi di nuovo il silenzio.

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Capitolo 11
*** Il silenzio fa tanto Rumore ***


                  Il silenzio fa tanto Rumore




“Che stai facendo?” sorrise versando il caffè bollente nella tazza “Ti preparo la colazione” “Owen ...” “Oh andiamo, è una cosa carina” “ ... ma non è necessario” “Senti ...” sospirò avvicinandosi a lei “ ... mi sento uno schifo ok? Mi sento uno stupido perché mi sei scivolata via tra le dita tre giorni fa, non sapevo come stavi, dov’eri o che diavolo stavi facendo. Ho solo bisogno di un po’ di normalità quindi per favore, siediti e fai colazione” la vide sorridere, la tazza passò lentamente tra le sue mani mentre la sedia si allontanava leggermente dal tavolo.
Era una bella mattina, fresca, profumata, sua moglie era bella, forse più bella di quanto non fosse mai stata, i capelli scompigliati e una maglietta troppo grande per lei a sfiorarle le cosce, la sua maglietta, quella che gli aveva rubato la prima notte passata assieme e che nonostante la grandezza, continuava a mettere perché in qualche modo la faceva sentire protetta.
“Vuoi dell’altro caffè?” scosse leggermente la testa sospirando “Che c’è? Non ti senti bene?” “Cosa?” “Cristina” le sfiorò il viso cercando il suo sguardo “Non stai bene?” “Owen ti fermi un secondo?” posò la mano sulla sua tirandola dolcemente sul collo “Sto bene, non ho bisogno che tu sia preoccupato, non ho bisogno di vederti agitato e quello che è successo beh ... è passato. Sto bene vedi?” lasciò cadere la mano nel vuoto sorridendo “Non ricordo molto bene come è successo ma fa lo stesso, mi ricordo il tuo viso, il tuo nome e questo bambino ... sto bene” “Sei fredda” “Come?” domandò confusa ma lui sospirò afferrando la coperta dalla sedia lì accanto “Hai la pelle gelata amore mio” “Davvero?” sollevò leggermente una mano soffermandosi sul tremolio leggero delle dita “Stai tremando” “Non è ... non è il freddo” “Non importa” strinse la coperta nascondendola lì dentro.
Lontana dal resto del mondo, lontana da lui e da tutta la sicurezza che avrebbe voluto provare.
Aveva paura, era terrorizzato perfino dal respirare vicino a lei quasi come se potesse perdere un braccio o una gamba ad ogni sospiro.
La teneva a distanza, lontano, così lontano da impedirle di sorridere, a volte usava l’ironia, altre volte un sorriso forzato e ora quella dannata coperta così stretta attorno a lei da farla sorridere.
Non aveva freddo e non tremava per la paura ma l’unico modo che aveva per darsi una spiegazione era nasconderne il motivo, coprire ogni centimetro del suo corpo per nascondere a sé stesso quella piccola vita “Hai chiamato l’ospedale?” “Per cosa?” domandò confuso sedendosi di fronte a lei “Ne dirigi uno ricordi?” “Oh ... c’è Shepard e Webber, non hanno bisogno di me” “Perché fai così” “Così come?” “Ti preoccupi per me” inclinò leggermente la testa di lato studiando ogni dannato centimetro del viso di suo marito “Non l’hai mai fatto, non così” “Cristina ...” “Hai urlato, ti sei arrabbiato e mi hai tenuto lontano per cinque mesi e ora sei qui, seduto davanti a me e non smetti di torturarti ... perché?” “Sei mia moglie” “Lo ero anche prima” “Perché devo ...” “Non hai nessun obbligo Owen” “Sei impazzita?” sorrise al suono di quelle parole confuse lasciate andare nel vuoto “Credi davvero che mi preoccupi di ...” “Non devi prenderti cura di mio figlio” lo vide trasalire, schiacciarsi contro lo schienale della sedia nel tentativo folle di respirare “Avrà Meredith e Alex, si occuperanno di tutto loro, dell’asilo, della tata, dei suoi studi e della sua vita. Non ti chiedo di averne cura” “E lasciare mio figlio?” posò la mano sulla sua stringendola così forte da farle male “Stai morendo per questo bambino, ti vedo soffrire e scomparire lentamente e dopo tutto questo, credi davvero che lo lascerò con qualcuno di diverso da me?” “Strano, fino ad ora l’hai sempre e solo chiamato: tuo figlio!” l’ironia salì violenta fino al cervello bloccando per qualche secondo i battiti del cuore “Lo odi per questo, perché dovrei lasciarlo con qualcuno che vedrà in lui sempre e solo l’assassino della sua mamma?” “Perché è mio!” urlò tirandola leggermente in avanti “Mi chiedi di fingere che averlo sia la cosa più bella del mondo ed è così! Ma per avere quel sogno perderò te! Perderò la sua mamma e non posso perderti di nuovo!” una lacrima gelida scese dagli occhi costringendola a respirare “Ti ho persa talmente tante volte ormai da non riuscire più nemmeno a ricordarlo e ora ... ora che ho capito quanto ti amo sto per perderti! Non posso crescerlo da solo, non posso ... non posso accompagnarlo all’asilo o cambiargli il pannolino, non posso sorridergli ogni dannato giorno senza ...” la mano della ragazza si posò dolcemente sul suo viso bloccando quelle lacrime insolenti e violente “Nessuno sa fare il padre Owen, io non immaginavo nemmeno di poter accettare l’idea di avere un figlio ma ... beh ... tra due mesi circa nascerà un piccolo umano e sono terrorizzata perché so che questa cosa ti fa paura, so che stai soffrendo ma l’ho fatto per te” riprese fiato cercando di sorridere ma quella smorfia leggera rendeva le lacrime ancora più dolci “L’ho fatto perché sarei morta comunque. Morire con o senza intervento non cambia niente ma avere questo bambino, scegliere lui, mi da la certezza che arrivati a quel punto non sarai solo. Che ... che rivedrai me in lui e che i suoi sorrisi ti riempiranno le giornate” “Smettila” mormorò tremante ma lei scosse leggermente la testa tirando dolcemente la sua mano sul ventre, lo sentì sussultare a quel contatto che fino ad ora era riuscito a fuggire e invece, costretto lì non era nemmeno in grado di mettere in fila due pensieri “Sarai la sua prima parola Owen, gli insegnerai a mangiare da solo e controllerai che nessun mostro dorma sotto il suo letto la notte. Imparerà ad andare in bicicletta e forse cadrà ma si rialzerà e continuerà a provare ... non so come si faccia la madre, forse nemmeno cerco di capirlo perché non è con me che vivrà ma l’ho portato dentro per sei mesi e mezzo ...” un tenero singhiozzo le tagliò a metà il respiro “ ... lo sento muoversi e ... e ho paura perché mi sono affezionata a lui così tanto da preoccuparmi quando al mattino non mi da un pugno e so che tu non vuoi nemmeno sentirne parlare ma se ...” “No ehi” le sorrise inginocchiandosi davanti a lei, la mano ancora posata sul suo ventre e lo sguardo inchiodato al pavimento, lontano dal dolore che i suoi occhi potevano regalargli “Lo terrò con me. Sarò il suo papà Cristina mi hai capito?” “Giurami che non lo lascerai solo” “Ma che ...” “Giurami che quando mi sognerai la notte non te la prenderai con lui per le lacrime, giurami che gli vorrai bene e che lo terrai sempre al sicuro” “Cristina ...” ma lei scosse leggermente la testa alzandosi in piedi, interrompendo quel contatto così dannatamente tenero e violento da massacrarlo dentro “Tu non lo vuoi” mormorò tra le lacrime “Che vuol dire? Che vuol dire!” esclamò afferrandola per un polso “Non lo voglio? Che diavolo significa! È mio figlio!” la sentì tremare violentemente, la mano allentò la presa cadendo nel vuoto “È vero, è tuo figlio ma non riesci nemmeno a guardarmi negli occhi mentre lo tocchi come puoi prenderti cura di lui senza odiarlo?” un rumore secco, si voltarono di colpo verso la porta incontrando il viso fresco e riposato di Alex.
“Ehi, è troppo presto?” “No ... no ero solo ... stavo finendo di fare colazione” “Cosa ti è successo?” domandò preoccupato sollevandole il viso “Niente, il succo d’arancia era troppo aspro e ...” “Hai pianto” “No” “Tu hai pianto ragazza” “Karev che ci fai qui?” domandò confuso Owen avvicinandosi a lui “Scusi signore” rispose senza staccare gli occhi da lei “Beh ... questa mattina Cristina ha l’ecografia e sono passata a prenderla per ...” “Quando volevi dirmelo?” sbottò ironico ma Alex la tirò indietro sorridendo “Uao, d’accordo, vai a vestirti, siamo in ritardo” la vide sorridere, annuire leggermente correndo via “Sai Owen, urlare così non le fa bene” “Nascondermi le cose si?” ma l’altro sospirò annuendo leggermente “Hai deciso cosa fare?” “Di che ...” “Di quel piccolo esserino che le cresce dentro” esclamò deciso piantando gli occhi nei suoi “Hai deciso cosa fare?” “Non credo siano affari tuoi!” tornò a concentrarsi sui piatti nel lavandino cercando di allontanare il più in fretta possibile ogni dannato pensiero dalla testa “Ho comprato una culla” mormorò allegro Alex sedendosi di fronte a lui “Ho comprato una bellissima culla con una giostrina, credo che gli orsacchiotti che girino piacciano ad ogni piccolo no? E ho un fasciatoio e un mare di pannolini” ma Owen continuava a lavare quei piatti come se ogni colpo di spugna cancellasse per sempre un pezzo di sua moglie dalla memoria “Sai, all’inizio tutte quelle cose mi facevano ridere insomma, continuavo a pensare che sarebbe caduto dal seggiolone o che giocare in quella specie di girello colorato l’avesse fatto zuccare contro ogni spigolo della casa ma ora ...” si fermò qualche secondo ridacchiando “ ... ora non aspetto altro che quello. Non vedo l’ora di vederlo mentre dorme o mentre tenta di camminare da solo e sono consapevole di non essere suo padre, non lo sarò mai ma se tu non vorrai prenderti cura di lui, allora sarò il suo papà Owen e non ti lascerò più nemmeno avvicinarti a lui” “Che diavolo stiamo facendo?” sbottò picchiando con forza il bicchiere sul ripiano.
Il vetro si frantumò in mille pezzi cadendo ovunque “Che diavolo vuoi da me!” “Voglio sapere cos’hai intenzione di fare con quel bambino Owen perché sua madre è distrutta e tu continui a giocare con lei! Un giorno sei triste, un altro sembri spaccare il mondo e nei giorni come oggi, beh, sembri accettare ogni sua decisione e lei piange!” “Lei non è affare tuo!” “Lei non fa altro che piangere Owen!” urlò alzandosi di colpo “Piange per te! Per il vostro bambino! Piange perché sa cosa succederà ed è terrorizzata! Prova a nasconderlo, lo maschera dietro ai sorrisi ma non può continuare così! Voglio sapere che diavolo hai intenzione di fare con tuo figlio perché se non lo vuoi allora lo prenderò con me, gli darò il mio cognome e avrà una vita degna di essere vissuta, ma se hai intenzione di tenerlo con te, se vuoi crescerlo beh ...” “È questo che ti preoccupa? Un bambino?” “È tuo figlio!” “Lo vuoi davvero così tanto? Allora prenditelo!” Alex sorrise appena allontanandosi di un passo dal bancone “Prenditelo?” ripeté stupito “Aspetta ... non volevo ...” “Oh no dottor Hunt, ora so esattamente cosa fare” la porta della camera si aprì lentamente “Sei pronta?” la vide annuire leggermente cercando di sorridere, di nascondere ogni dannata lacrima ma più ci provava e più otteneva l’effetto opposto “Andiamo, resterai da me” sussurrò Alex prendendola per mano “Arrivederci dottor Hunt, è stato un piacere parlare con lei” sbottò gelido chiudendosi la porta alle spalle.
Pochi attimi di silenzio, pochi secondi per capire di aver fatto una cazzata, una cazzata enorme che ora diventava lentamente realtà

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Capitolo 12
*** Ghiaccio ***


                                    Ghiaccio 




“Ehi ... sono scherzi da fare?” sorrise riprendendo fiato “Sati bene?” “Perché nessuno mi ha detto che sarebbe stato così?” Alex sorrise asciugandole il viso “Perché non ho mai partorito” “Beh ... questo non ti giustifica” “Che ti serve? Acqua? Ghiaccio? Specializzandi da torturare?” “Voglio del ghiaccio e voglio sapere se mio figlio ha entrambe le braccia e un cuore forte che batte e ...” “Ok, ok ascoltami ...” le sfiorò il viso controllando il monitor fetale “ ... è un piccolo umano, possiamo farlo un piccolo umano senza preoccuparci di ogni malattia esistente al mondo” “Davvero?” “Davvero” la porta si aprì dolcemente e Meredith fece capolino sorridendole “Come stai? Come sta il bambino?” “Abbiamo ancora tempo, direi un’ora circa a meno che lui non si stanchi e decida di uscire prima” la ragazza annuì appena lasciandole tra le mani un bicchiere colmo di cubetti gelidi “Ma come ...” “Alex mi ha scritto poco fa” “Mentre parlavi con me?” domandò stupita “Sono bravo vero?” le diede un bacio sulla fronte scappando fuori dalla stanza.
Venti minuti passati a sorridere, ad ascoltare Meredith e le storie sui suoi stupidi specializzandi poi quel suono improvviso, il monitor schizzo di colpo costringendole a trattenere il fiato “Che succede qui ragazze?” esclamò un medico dall’aria fresca e riposata “Lei chi ...” “Michael Harris, sono il primario di ostetricia” infilò i guanti controllando il monitor “Che succede?” “Il battito decelera. D’accordo, Cristina ora devi girarti sulla schiena e ...” ma Meredith scattò in piedi afferrandogli un braccio “Che diavolo succede! Era tutto tranquillo e ora ...” “Se non mi lasci controllare come faccio a dirtelo?” gli occhi della ragazza si colorarono di rabbia ma la mano di Cristina stretta attorno alla sua la costrinse a cedere “Ora controllerò questo piccoletto, resta rilassata e fai dei bei respiri profondi” sollevò il lenzuolo concentrandosi sui movimenti del piccolo, la mano si strinse più forte attorno a quella di Meredith mentre un dolore massacrante saliva fino al cervello “Respira, va tutto bene” “Fa un male atroce” “Stringimi la mano, durerà poco vedrai ... vero dottore?” l’altro sospirò controllando il monitor “Ha il cordone attorno al collo” “Cosa?” “Continua a respirare, ora lo girerò per allentare la pressione” ancora qualche minuto poi di nuovo un battito forte e regolare sullo schermo.
Il respiro tornò regolare e la presa attorno alla mano si allentò leggermente “Uao, siamo stati proprio fortunati” esclamò allegro l’uomo togliendo i guanti “Sta ridendo? Che diavolo ha da ridere!” “Ma che ...” “La mia amica non reagisce bene all’ironia” esclamò divertita Meredith aiutandola a cercare una posizione più comoda “Cercavo solo di rendere l’ansia un po’ meno ansia” “La sai una cosa?” sbottò Cristina piantando gli occhi nei suoi “Non è divertente! Avevi le mani nella mia vagina fino a qualche secondo fa per girare mio figlio e perché? Perché stava soffocando con il cordone e ora ... ora ridi e scherzi e ...” “Cristina” “ ... e lascia che ti racconti una storia interessante Michael! Stai per aiutare il figlio del capo a venire al mondo! Se fossi in te userei meno l’ironia e di più la testa” “Uao” esclamò stupito “Che bel caratterino” “E non l’hai vista arrabbiata” ribatté Mer ridacchiando “So che questo bambino è importante e non solo per la sua mamma. Sono il migliore nel mio campo e sono stato trascinato qui dal capo pochi mesi fa e indovina per cosa?” “Non eserciti qui?” Michael sorrise scuotendo leggermente la testa “Sono il primario ma non qui. Esercito a New York dottoressa ma sono stato praticamente rapito da casa mia per la moglie del capo. Il bambino sta bene ma rischiamo di nuovo una situazione del genere se non lo facciamo uscire subito quindi, gli do ancora venti minuti scarsi per girarsi da solo se no lo tirerò fuori io” “Ehm ... dottor Harris forse le condizioni della paziente non ..” “Le condizioni della paziente sono gravi dottoressa Grey ma se vuole salvare questo bambino dobbiamo rischiare” “Posso parlarle fuori qualche secondo?” sbottò gelida, l’uomo annuì appena “Meredith non mangiarlo ok? Mio figlio ha bisogno di lui” “Non preoccuparti, lo lascio abbastanza vivo da aiutarti a farlo nascere” le fece l’occhiolino chiudendosi la porta alle spalle.
“Il cancro sta peggiorando rapidamente. Sottoporla ad un intervento non è la cosa migliore che possiamo fare” “Lasciamo morire il piccolo” “Cosa?” mormorò confusa “Se non vuoi sottoporla ad un cesareo facciamo morire il bambino perché ora come ora, le possibilità che si giri da solo rasentano lo zero” “Potrebbe smettere di respirare durante l’intervento! Potrebbe avere una crisi respiratoria e ...” “È un cesareo” “È un intervento!” gli occhi piantati nei suoi “Il mese scorso ha avuto una crisi ipovolemica” l’altro trasalì concentrandosi sulle parole della ragazza “È caduta mentre tentava di prendere un libro dalla mensola più alta. Si è rialzata e ha messo del ghiaccio sul fianco perché aveva preso una botta. Il giorno dopo le ho chiesto se era tutto a posto, se stava bene perché respirava in modo strano e lei mi ha detto di si, che non era successo niente ... si era scordata della caduta perché il cancro inizia a trattarla da idiota nascondendole i ricordi dottore! L’ho portata in ospedale dopo mezz’ora perché perdeva sangue dal naso, dalle orecchie ...” “Il capo non mi ha mai ...” “Perché il capo non lo sa” “Sei impazzita?” sbottò ironico ma lei sorrise “Siamo piuttosto brave ad inventarci balle credibili, la sua? Abbiamo festeggiato il quasi parto con una festa ed è rimasta a dormire da me” si avvicinò a lui concentrandosi sui suoi occhi “Non è necessario che lo sappia e tu non devi farne parola con nessuno” “E quando mi chiederà perché non opero sua moglie cosa diavolo dovrei rispondere? Perché non posso raccontarle cosa le è successo il mese scorso?” “Ci penserà Cristina, tu devi solo far nascere quel bambino senza aprirla ... puoi farlo?” “Posso provarci ma non ti assicuro niente” “Provaci! Fai nascere quel bambino e fallo prima che sia troppo tardi!” “Sembri tu la madre e non lei” un debole sorriso le colorò il viso “Forse perché suo padre non lo vuole?” “Cavolo” “Già ... quando lei non ci sarà più quel piccolo umano sarà mio Michael. Ho bisogno che stia bene e che sia vivo perché sto per perdere la mia migliore amica ... non posso perdere anche lui ...” “D’accordo” sollevò lo sguardo incontrando un tenero sorriso “D’accordo, ti prometto che farò di tutto per fare in modo che nasca e che viva ma se rischia di non farcela, prenderò un bisturi e lo tirerò fuori di lì alla velocità della luce”.

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Capitolo 13
*** Devi essere Forte ***


                                     Devi essere Forte




“Coraggio, ancora una” “Quanto cavolo è lungo un bambino!” Alex sorrise stringendole la mano “Appena esce lo misuro” “Non sei divertente” trattenne il respiro seguendo quella nuova contrazione “Vedo la testa” esclamò divertito Michael sollevando qualche secondo lo sguardo “Ora segui le contrazioni ragazza e avrai il tuo bambino” “Hai sentito?” mormorò sorridendole “Continua così e sarà fuori in un batter d’occhi” “Ti sono sfuggite le sue parole?” “Quali?” “Vede la testa!” “E allora?” “Manca tutto il resto del bambino Alex!” sbottò ironica aggrappandosi con forza al suo braccio “Oddio ... la prossima volta che mi dite che i figli sono il miracolo della vita vi prendo a calci in culo” ricadde sul letto inarcando leggermente la schiena “Alex ... tu devi ... devi farmi un favore ok?” “Che ti serve?” “Devi andare là davanti quando esce e devi dirmi quante dita ha e quante ...” “Eccone un’altra” la voce di Michael arrivò come un fulmine a ciel sereno, un’altra spinta, l’ennesima che tentava di controllare, che provava a seguire senza mostrare a nessuno quanto male facesse “Cavolo, ecco perché sono le donne a partorire” mormorò Alex schiacciandosi la mascherina sulla bocca “Noi moriremo già alla prima contrazione” “Perché non esce?” domandò stremata, il ragazzo sollevò appena le spalle sporgendosi oltre il letto “Che sta succedendo?” “Ci siamo quasi” “Non aiuta Michael” “Lo so” posò le forbici sul vassoio lasciando uscire l’aria dai polmoni “Ora spingi” “È tutto qui? Spingi?” domandò confuso ma urlò di colpo voltandosi verso Cristina “Mi stai ... mi stai bloccando la circolazione della mano e se ...” ma lo sguardo carico di stanchezza della ragazza bastò a farlo sorridere “ ... ok, d’accordo, stringi pure, sono un uomo, sono forte, sono ...” poi di colpo il mondo si fermò.
La vide sorridere, ricadere dolcemente sul letto ansimando e un pianto leggero, lontano, si voltò verso Michael “Ti presento il tuo bambino dottoressa” il piccolo piangeva senza sosta agitandosi tra le mani del medico “Dì ciao alla mamma” “Cavolo ...” mormorò stupito Alex “ ... oh cavolo” “Ciao tesoro” tremava, sapeva di farlo ma vederla così diversa, così stanca eppure tanto bella era sconvolgente.
Aveva i capelli appiccicati al viso, al collo e continuava a respirare così veloce da fargli paura “Stai bene?” “Perché?” “Respiri così ...” “Hai mai partorito?” colpito e affondato.
La porta si aprì di colpo “Sta bene?” Alex sorrise sfiorando la manina del piccolo “È un campione Mer” la ragazza chiuse gli occhi alzando il viso al cielo.
Tentava di calmare i battiti violenti del cuore perché quella corsa folle dalla sala operatoria a lì l’aveva letteralmente massacrata.
Sapeva bene che tra qualche minuto Owen sarebbe entrato lì dentro travolgendo tutto e tutti ma che importanza poteva avere ora? Era nato, quel piccolo umano era nato senza problemi e lei stava bene o almeno, era quello che lasciava trasparire “Stai bene?” sussurrò stringendole una mano “Sei sicura?” “Sto bene Mer” “È così ... è così bello Cristina” sfiorò la manina del piccolo sorridendo “Stai piangendo?” domandò confusa ma lei scosse decisa la testa aiutandola a coprire il piccolo “Stai piangendo Mer!” “No è solo ... mi sono ...” “Femminuccia” sbottò Alex passandole un fazzoletto “Hai fatto piangere la zia amore mio” sussurrò divertita sfiorando con le labbra la testolina del figlio “Allora, resterà un bambino senza nome o possiamo trovare qualcosa di meglio che Julian?” continuò divertito sedendosi sul bordo del letto “Daniel” “Oh questo mi piace!” mormorò allegra Mer battendo le mani ma il monitor schizzò di colpo costringendola a trattenere il respiro “Cazzo!” prese il bambino allontanandosi di colpo dal letto “Che le succede?” Michael non rispose, si limitò ad annuire controllando il monitor “È solo un saltello” “Sto ... sto bene Mer e ...” “Ok, ok ora ti portiamo di là”
“ Cosa? ... No non è ...” “Sei tu la paziente, comportati da paziente e non protestare!” le posò la mascherina d’ossigeno in viso tirando il letto avanti “Vado con lei” esclamò deciso Alex “Mer tu ... tu puoi ...” “Tranquilla, a lui ci penso io” un altro tenue sorriso prima di vederla scomparire dietro le porte di ferro.



“Vedrai che se la caverà alla grande. La tua mamma non si arrende mai ...” strinse più forte il piccolo tra le braccia sorridendo ma gli occhi continuavano a cercare l’orologio.
Le lancette sempre ferme nella stessa fottuta posizione e quel senso d’impotenza che non le dava tregua “Probabilmente mangerai tonnellate di frutta quando sarai grande e ti piacerà la musica. Non preoccuparti, comprerò sempre tantissima frutta e canteremo e avrai una bella casa” passeggiava avanti e indietro, cercava di tenere ogni dannata paura lontana da lì con la speranza folle che il padre di quella piccola vita corresse lì dentro “Te lo prometto, avrai una bella casa e tanti giochi. Potrai andare al parco tutte le volte che vorrai e Derek ti insegnerà ad andare in bicicletta da solo. Avrai una stanza tutta tua e una famiglia ...” asciugò una lacrima insolente cercando di sorridere “ ... te lo prometto piccolino, avrai una famiglia ma tu devi essere forte ok? Devi farlo per la mamma” poi il rumore secco della porta, il viso di Owen.
Si voltò appena, giusto quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, per poter capire quanta paura provasse in quel momento “Lei è ... sta ...” ma lei non rispose, si voltò verso di lui stringendo più forte il bambino, lo vide tremare, la mano ancora posata sulla maniglia si strinse ancora più forte rendendo la pelle chiara come perla “Dov’è?” mormorò confuso “Mia moglie ... Cristina ... lei non ...” “È nato un’ora e mezza fa, sta bene e ora ...” sorrise perdendosi qualche secondo su quel visetto assonnato, su quella pelle rosea e sui capelli scuri proprio come lei “ ... ora aspettiamo che Alex ci chiami” si avvicinò a lui sospirando “Vuoi tenerlo?” “Voglio vedere lei!” il cercapersone vibrò costringendola a respirare “Cazzo! April ha bisogno in pronto soccorso” “Dov’è mia moglie!” urlò picchiando con forza il pugno sulla porta.
Il bambino scoppiò a piangere spaventato da quel rumore improvviso e violento “Complimenti capo” sbottò gelida sollevando meglio il piccolo “Smettila di comportarti da idiota ok? C’è Alex con tua moglie” “Karev?” domandò confuso “Già, Karev. Non puoi entrare là dentro perché stanno ancora finendo gli accertamenti. Sei la sua famiglia Owen, comportati da marito e aspetta qui!” “Aspetta ... che stai ...” “Porto tuo figlio con me in mezzo al sangue?” ribatté sarcastica lasciandolo fra le sue braccia “Meredith prendi il bambino” “Non tenerlo sotto sopra, non farlo cadere e smettila di fingere che sia una malattia contagiosa, è tuo figlio” sorrise sfiorandogli una manina “La zia torna il prima possibile cucciolo” “Meredith!” ma era già scappata fuori dalla stanza lasciandolo lì come un’idiota con un piccolo umano in braccio.

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Capitolo 14
*** Vivo in Lui ***


                                     Vivo in Lui




Non sapeva come muoversi, cosa fare o cosa dire perché non era nemmeno in grado di guardare in faccia suo figlio.
“D’accordo ...” inspirò a fondo sollevando il bambino davanti al petto, lo teneva distante, lontano da sé, dalla possibilità di amarlo “ ... ora troviamo un modo per farti stare tranquillo” si guardò intorno qualche secondo ma a parte due sedie e un tavolo lì dentro non c’era niente.
“Senti, facciamo un patto ok? Io non ti faccio cadere e cerco di non farti male e tu non piangi” ma il piccolo si contorceva tra le sue mani spaventato da quel vuoto improvviso perché fino a qualche minuto prima, era stato al sicuro tra le braccia calde e confortanti di Meredith e ora, ora si ritrovava a penzolare nel vuoto mentre suo padre tentava di tenerlo lontano da sé.
“No, no no ehi ... stai piangendo, non devi piangere” ma come poteva un bambino di appena poche ore di vita ascoltarlo? Che diavolo doveva fare ora? Come poteva rassicurare suo figlio se nemmeno in lui era in grado di mettere in fila due pensieri? Era così piccolo da terrorizzarlo perché immaginava di vederlo cadere per terra di colpo per una sua stupida distrazione.
Era terrorizzato, spaventato a morte dal poter ricevere una telefonata, incapace di respirare, di muoversi, restava lì paralizzato nel niente poi il rumore della porta, si voltò di colpo aspettandosi Meredith e invece il viso sorridente di Alex gli restituì il respiro.
“Come sta?” ma lui non rispose, si avvicinò sfilando la mascherina “Lo fai piangere” “Cosa?” “Tuo figlio sta piangendo!” tremò violentemente riportato alla realtà dalle urla del bambino “Che diavolo combini!” sbottò Alex prendendo il piccolo tra le braccia “Ehi ehi ... va tutto bene campione. La mamma sta arrivando” “Karev!” alzò di colpo lo sguardo sorridendo “Sta bene, è in piedi già da dieci minuti buoni” lo vide sospirare, passarsi una mano in viso ringraziando il cielo,
“Perché era in cardiologia?” “Dopo il parto il cuore ha saltellato” “Che ...” “Lo sforzo, la paura, l’ansia che continua a nascondere ma che resta sempre e comunque lì, è un insieme di cose che ora andranno attenuandosi” “Perché rapisci mio figlio?” si voltarono etrambi verso l’entrata attratti dalla voce della ragazza.
Se ne stava appoggiata allo stipite della porta, sorrideva o almeno ci provava, i capelli sollevati dal collo per regalare alla pelle refrigerio e il camice dell’ospedale mezzo slacciato sul petto “Che diavolo ci fai fuori dalla stanza?” “Quando sei arrivato?” domandò confusa studiando il viso di suo marito “Avrei voluto prendere una navetta spaziale ma operare dall’altro lato della città non è un bene perché laggiù non ne partono” “Ok d’accordo” ribatté divertita sollevando appena le mani “Scusa, prometto che non partorirò più mentre sei lontano chilometri e chilometri” ma le mani di Owen si posarono sulle sue spalle costringendola ad alzare lo sguardo “Che c’è?” “Stai meglio?” “Certo” “No ... Cristina stai ...” sorrise posando una mano sul suo viso “È stato solo un saltello, non preoccuparti, il mio cuore non è ancora stato mangiato dai mostri cattivi” “Non sei divertente” “Già” sussurrò sfinita “L’hai visto?” “Cosa?” mormorò confuso cercando i suoi occhi “Nostro figlio Owen” “Oh” “Oh?” Alex scoppiò a ridere avvicinandosi a lei “Allora mammina, ci decidiamo a farlo cenare o pensi di crollare al suolo anche qui?” “Idiota” prese tra le braccia il piccolo sorridendo “Vi lascio soli, se hai bisogno sono qua fuori ok?” un debole si poi solo il silenzio, solo loro tre nel vuoto dei pensieri.
“Scusa ...” “Per cosa?” mormorò confuso Owen tirando la sedia fino a lei ma si accorse ben presto che quella semplicissima parola carica di tenerezza non era rivolta a lui.
Era così dannatamente bella da massacrarlo nell’anima.
Continuava a sorridere mentre gli occhi concentrati sul viso di suo figlio si riempivano di gioia, la pelle fresca del collo e del seno quasi completamente scoperto e poi quel bambino, quel piccolo esserino aggrappato con forza a lei, ai suoi respiri.
Era stanca, sfinita e perfino così riusciva a vederlo ma continuava a nasconderlo “ ... lo so che ti sei spaventato ma vedi, il cuoricino della mamma ha saltellato un po'. Oh niente di grave, solo un po’ di stanchezza tutto qui” sfiorò con le labbra la testolina del figlio inspirandone il profumo “Lo so che sei arrabbiato con me” Owen trasalì sollevando di colpo lo sguardo dal pavimento “Cosa ... stai ...” “Parlando con mio marito? Già” un bel sorriso a colorarle lo sguardo “Sei arrabbiato con me e credimi, mi dispiace davvero tanto ma ho scelto, ho fatto una scelta e ora ... beh ... ora dovresti esserne orgoglioso” “Lo sono” “Non è vero” “Cristina ...” “È qui Owen, è diventato reale” scoprì leggermente il bambino mostrandogli il suo viso “Ha i tuoi occhi, lo stesso taglio, le tue labbra, il colore della tua pelle solo, beh, è moretto come me” ma lui non rispose, si limitò ad annuire fingendo di guardare qualcosa che in realtà nemmeno vedeva “Owen” la mano posata sul suo viso, un brivido gelido lungo la schiena e niente di più “Hai un figlio. Hai quello per cui abbiamo lottato tanto, non buttare via tutto. Non fargli del male perché lui non ...” “Ti amo” “ ...lo so e ...” “No, no vedi, io ti amo, ti amo da morire, ti amo così tanto da soffrirne Cristina e quando ti sento piangere, quando so che stai soffrendo non riesco ...” si fermò qualche secondo cercando di riordinare i pensieri “... avevo fatto una promessa. Avevo giurato di tenerti al sicuro, lontano dal male, lontano dalla cattiveria del mondo, avevo giurato che avresti sorriso, che saresti stata finalmente te stessa e non ci sono riuscito” “A fare cosa?” esclamò piantando gli occhi nei suoi “Ad impedire al caso di giocare con tumori e cervelli? Non sei Dio, non puoi giocare a chi sceglie per gli altri. È successo, poteva accadere ad un’altra persona ma è successo a me e va bene così, continuare a lottare con qualcosa che non puoi controllare non fa altro che risucchiare le energie” “Stai morendo” “Ma ho dato la vita” sorrise trascinando la sua mano fino a Daniel “Lo senti?” una lacrima gelida scivolò via dagli occhi sbloccando di colpo le barriere che si era imposto tutto quel tempo “Respira Owen, respira ed è qui. È aggrappato a me e vivrà felice. Avrà la possibilità di ridere e scherzare e conoscere il mondo” “Stai morendo” “Non è vero” gli sfiorò il viso asciugando le lacrime “Vivo in lui”.

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Capitolo 15
*** Bolle di Sapone ***


                                    Bolle di Sapone





Erano le tre e mezza di notte, un ora stupenda per riposare, per cancellare le fatiche della giornata appena trascorsa e invece, lei e Alex se ne stavano sdraiati sul letto con gli occhi spalancati.
Immobili, terrorizzati da quel piccolo umano che si svegliava ogni due ore e mezzo terrorizzandoli “Sta dormendo? Ti prego dimmi che sta dormendo” mormorò schiacciandosi il cuscino sulla faccia, Alex sbuffò alzandosi leggeremente dal materasso.
Daniel dormiva tranquillo nella culla con le manine posate affianco alla testolina e le labbra leggermente increspate “Dorme” ricadde sul materasso chiudendo gli occhi “Come fa un piccolo umano ad avere tanto fiato nei polmoni?” “Quando ero piccola odiavo la culla, piangevo continuamente e mia madre era costretta ad alzarsi ogni notte almeno otto volte” “Certo, da chi poteva prendere se non da te?” la porta di vetro scivolò dolcemente di lato, Owen sorrise posando sul comodino una bottiglietta di acqua “Come stai?” spostò leggermente il cuscino di lato scoprendo il viso di sua moglie “Bene, tutto bene” Alex rotolò di giù dal letto sbuffando “Vado a controllare i miei pazienti, ci vediamo tra un'oretta ok?” un debole si poi il viso di suo marito, la sua mano forte stretta delicatamente attorno alla sua “Vuoi che ti porti qualcosa?” “Non devi controllare il ...” “Non devo fare niente” si sedette affianco a lei seguendo con le dita i lineamenti delicati del suo viso “Dormivi da piccolo?” “E questa da dove esce?” sorrise alzando leggermente le spalle “Semplice curiosità” “Beh, dormivo tutta la notte” la vide sbuffare alzando leggermente gli occhi al cielo “Alex ha ragione, ha preso da me” lo sguardo dell'uomo si posò sul visetto rilassato del bambino e per la prima volta, qualcosa dentro di lui cambiò di colpo.
Aveva un bambino, un piccolo e bellissimo bambino che avrebbe portato a spasso per il mondo metà del suo cuore.
Cristina aveva ragione, gli assomigliava davvero tanto, il taglio degli occhi, le labbra, il colore della pelle.
Sembrava fatto apposta per ricordargli notte e giorno che aveva qualcuno, qualcun'altro oltre a lei “Ehi” si voltò di colpo incontrando gli occhi di sua moglie “Va tutto bene?” “Dovrei essere io a chiedertelo” “E perché? Sei mio marito, mi preoccupo per te” gli sfiorò il viso sorridendo “Dovresti riposare” “Resti qui con me?” ci mise qualche secondo a rispondere ma alla fine un dolcissimo sì uscì dalle labbra costringendola a sorridere.
Era rimasto sdraiato accanto a lei, immobile, con le braccia strette attorno ai suoi fianchi e la fronte posata contro la sua.
Un tenero abbraccio che da mesi non si concedeva e che gli era mancato da morire poi quel pianto delicato, leggero, si alzò lentamente dal letto avvicinandosi alla culla “Ehi, no piccolo, la mamma ha bisogno di dormire un po'” le manine si sfregarono dolcemente sugli occhi mentre quel corpicino così piccolo si rigirava tra le coperte “D'accordo” lo scoprì leggermente sospirando “Ok, ora ti prendo in braccio ma devi promettermi che non piangerai ok?” era piccolo, troppo piccolo per lui, per i movimenti impacciati di un padre terrorizzato.
Lo strinse tra le braccia mentre un sorriso tenero e spontaneo gli colorava le labbra perché la manina di suo figlio si era appena posata sul suo viso.
Non sapeva nemmeno lui cosa provare, forse era rabbia o forse amore ma c'era qualcosa dentro al cuore che costringeva quel sorriso a resistergli sulle labbra.
“Sei così piccolo” posò le labbra sulla testolina del figlio abbandonandosi al suo profumo tenero e delicato “La mamma starà bene, staremo bene” una lacrima silenziosa e gli occhi pieni di lei.




Non aveva mai creduto di poterlo fare insomma, il cardiochirurgo più freddo e concentrato della west coast ora stava riempiendo la vasca per il bagnetto del suo bambino.
Se qualcuno anni prima le avesse raccontato quegli attimi probabilmente sarebbe scoppiata a ridere.
Chiuse l'acqua calda sistemando l'asciugamano sul bordo della vasca “Ehi, sei pronta? Di là siamo piuttosto arrabbiati” esclamò sfinito Owen avvicinandosi a lei “Sta piangendo?” “Non lo senti?” si voltò leggermente verso la cameretta ridendo “Forse ha fame” “Si? Beh, non credo che il mio seno gli piaccia granché” “Ok” sussurrò divertita alzando leggermente le mani nell'aria ma un tremito violento la costrinse a nasconderle di colpo “Stai … va tutto bene?” non rispose, si limitò a sorridere abbassando di colpo lo sguardo “Cristina tu ...” “Forse è meglio che sia tu a fargli il bagno” “Perché?” “Beh, potrebbe cadermi” rimase immobile ad osservare una stupida maschera che lentamente si mangiava ogni lineamento di sua moglie “Coraggio, puoi farlo Owen” “Non è vero, non l'ho mai fatto” “Allora imparerai” gli fece l'occhiolino tirandolo dolcemente verso il corridoio.
In fondo aveva ragione, ne era capace, non sapeva come o perché, evidentemente essere padre era una cosa già scritta dentro di lui.
Se ne stava lì a sorridere mentre le manine di suo figlio giocavano con l'acqua, movimenti nuovi, teneri e profumati di vita, movimenti che fino ad ora aveva solo immaginato eppure, quel piccolo corpicino aggrappato alla sua mano era parte di lui.
Così piccolo da spaventarlo, rannicchiato era lungo metà del suo avambraccio e sollevare qualcuno di così piccolo terrorizzava più di un paziente in fin di vita.
“Allora? È così difficile come credevi?” si limitò a sorridere seguendo i movimenti di sua moglie, posò l'asciugamano sul lavandino massaggiandosi con la mano libera la tempia “Ehi, vuoi sederti un po'?” “Perché dovrei? Per caso ho corso la maratona?” “Oh andiamo” “Ma dove cavolo ho messo l'asciugamano di Daniel” trattenne il fiato cercando di trovare un modo per aiutarla ma la vedeva scomparire velocemente ogni giorno che passava “È davanti a te” la vide sospirare ridacchiando divertita quasi come se quei continui cambi d'umore fossero normali “La mamma è quasi pronta Denny” si spostò leggermente di lato ma lei scosse dolcemente la testa allungando l'asciugamano verso di lui “Cristina” “Lo farai tu” “Puoi farlo anche tu” “No, no non posso” ricacciò indietro la voglia folle di urlare e prese dalle sue mani il telo candido.
Daniel finì al sicuro tra le sue braccia, la testolina posata sul petto e le manine aggrappate alla sua maglietta “Ok, ora che devo fare?” “Lo porti in camera e inizi a vestirlo” “Se tu ...” “No Owen, devi farlo tu” un altro leggerissimo tremito, un cenno d'assenso che nasceva spontaneo nascondendo per l'ennesima volta la realtà.

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Capitolo 16
*** Fiori e Farfalle ***


                                   
                              Fiori e Farfalle




“Come stai?” sospirò annuendo leggermente, il figlioletto addormentato tra le braccia e la mente persa in qualcosa che fino ad ora aveva sempre evitato.
“Mi dispiace Owen, credimi, mi dispiace davvero” “No va … va tutto bene” ma l'immagine oltre le porte di vetro faceva un male atroce.
Meredith se ne stava seduta accanto a quel letto, sorrideva, stringeva la mano di Cristina parlando, giocando con lei come tanto tempo addietro “Avrei potuto salvarla, forse avrei potuto farlo ma non …” “Non avrei visto mio figlio” mormorò sfiorando con le labbra la testolina del bambino “Già” sentì la mano di Derek stretta attorno alla sua spalla, una carezza leggera che lo costrinse a respirare “Come sta?” “Beh, la pressione è piuttosto bassa. La stiamo reidratando, risponde bene alla terapia ma è piuttosto …” “Ieri non riusciva nemmeno a raggiungere il bagno. Non ricordava la strada” “Owen ne abbiamo parlato ricordi?” “Certo che lo ricordo ma questa cosa, questo dannato senso di impotenza mi sta uccidendo. Quella non è lei, insomma, non è la stessa donna che per tutti questi anni ho avuto nei pensieri. Cristina non smette di operare, non si scorda come si esegue un trapianto, non …” “D'accordo” sussurrò Derek afferrandolo per le spalle “Ora fai un bel respiro ok? Abbiamo parlato tante volte di questa cosa. Sei preparato a tutto quello che avverrà” “Già, non voglio che accada” “Non possiamo evitarlo” chiuse gli occhi qualche secondo perdendosi nel respiro delicato del figlio. La porta si aprì dolcemente e Meredith sorrise avvicinandosi lentamente a loro “Come ...” “Mi ha scambiata per la vostra vicina di casa, la fioraia con l'amore per le violette” “Uao” “Già. Non voglio parlarne” puntualizzò lasciandosi abbracciare dal marito “D'accordo, la terapia per le prossime ore è sempre uguale, dobbiamo solo monitorare costantemente il cuore. Ho paura che a questi ritmi l'affaticamento si aggravi” “Ha chiesto di te” “Cosa?” “Ha chiesto di te Owen” “Davvero?” sussurrò tremante “Ha sorriso e mi ha chiesto se avevo visto suo marito. Un soldato alto e forte dagli occhi come il cielo” tese dolcemente le mani verso di lui prendendo Daniel tra le braccia “Va da lei” “E se non mi riconosce? Non posso sopportarlo di nuovo Meredith, non posso guardarla negli occhi di nuovo mentre tenta di capire chi sono” “Lei sa chi sei. Ha solo qualche difficoltà a mettere in ordine i pensieri ma lo sa chi sei” sorrise appena baciando il bambino “Coraggio” “Se Daniel dovesse …” “Non preoccuparti” “Hai un intervento tra poco” “Posso tenerlo io” mormorò Derek “Lo tengo con me fino a quando ne avrai bisogno. Non ho interventi fissati” “Grazie” fece un bel respiro, un ultimo sguardo al suo bambino e poi quella porta davanti, una porta come un limite invalicabile oltre il quale c'era il suo cuore.


“Come stai amore mio?” la vide sorridere appena, socchiudere gli occhi mentre la testa si piegava dolcemente di lato e per qualche secondo, qualche lunghissimo secondo, il respiro si bloccò in fondo alla gola perché se fosse accaduto di nuovo, se gli avesse chiesto di nuovo chi fosse e perché fosse in quella stanza sarebbe morto.
“Tu come stai?” “Cristina?” “Perché sei così preoccupato Owen?” chiuse gli occhi lasciando uscire l'aria dai polmoni “Che ci faccio in ospedale?” “Oh, è solo … solo un controllo” “Un controllo?” domandò confusa “Che controllo?” “Non sei stata molto bene ultimamente, ero preoccupato che potessi …” “Morire tra le tue braccia?” un tremito violento salì fino al cuore mentre quelle stupide parole si perdevano nel vuoto “Non preoccuparti, ancora per qualche ora sarò in grado di vivere assieme a voi” “Non sei divertente” mormorò sedendosi sul bordo del letto “Dov'è mio figlio?” “Cosa?” “Mio figlio, quel piccolo umano che non volevi e che ora è il centro del tuo mondo” “Lo siete entrambi” “Lo so” sussurrò divertita lasciandosi sfiorare dalla sua mano “Ma lui lo sarà per tutta la tua vita, io sono solo …” “Basta” sussurrò posando le labbra sulle sue “Puoi smetterla per favore?” “Voglio solo che tu sia preparato” “Lo sono” “Non è vero” “Non è vero, ma devi provarci amore mio altrimenti non riusciremo mai ad andare avanti” “D'accordo” inspirò a fondo cercando di calmare ogni nervo ma più ci provava e più sentiva lo stomaco attorcigliarsi, c'era sempre quella dannata nausea a dargli fastidio, notte e giorno, come un segno sul calendario che gli ricordava continuamente quel giorno.
Quanti segni aveva fatto, quanti giorni cerchiati con il sorriso sulle labbra perché un cerchio sulla carta significava un giorno in più accanto a lei.
Un giorno ancora per poterne respirare il profumo, per imprimersi a fuoco il tocco delicato delle sue mani.
Poco importava se a volte non si ricordava di lui, se lo scambiava per il fattorino della pizza o per il custode di casa loro. Era sempre lei, sempre la stessa che era riuscita a farlo innamorare, a sciogliere la corazza di ghiaccio dietro alla quale stava tanto bene.
Era arrabbiato con lei, perché lei era riuscita ad arrivare dove poche altre prima erano arrivate.
Dietro a quel muro lui ci stava bene, era al sicuro dal resto del mondo, accopagnato dai suoi incubi, da tutto quello che fino ad ora era riuscito a separarlo dalla vita normale.
Poi era arrivata lei, a cui era bastato uno sguardo solo per costringerlo a respirare. Si era aggrappato a lei, al suo coraggio, alla sua voglia di vivere e si era rialzato da terra allontanandosi da quel buio atroce che se lo mangiava vivo pezzo dopo pezzo.
Viveva di lei ogni giorno passato assieme, dei suoi sorrisi, dei suoi baci, di quell'amore violento e forse sbagliato che li costringeva continuamente a tornare l'uno verso l'altro.
Ora era lei ad aver bisogno di aiuto e la cosa che lo faceva incazzare di più, era la totale incampacità di aiutarla.
Non poteva fare nient'altro per lei perché aveva scelto da sola, l'aveva sempre ma questa volta era diverso, questa volta erano una famiglia.
Sentì la sua mano posata dolcamente sul polso, una carezza leggera che lo costrinse a cercare il suo sguardo “Non puoi arrabbiarti con me ora, non è giusto” “Non sono arrabbiato” “Sei solo bugiardo ma va bene, conosco bene mio marito” un debole sorriso gli colorò le labbra costringnedola a ridacchiare “Mi prometti una cosa?” “Cosa?” “Che gli permetterai di scegliere la vita che più gli piace” “Cristina tu …” “Io me ne andrò. Presto o tardi accadrà e voglio parlare di queste cose adesso perché ricordo chi sei, perché ho un leggerissimo sprazzo di lucidità e non voglio buttarlo. Possiamo solo parlarne?” annuì appena continuando ad osservarne le espressioni “Niente schifezze. Niente schifezze che possano fargli male ma non costringerlo a mangiare sano solo perché è di moda. Lasciagli provare tutto e dagli dei limiti” “D'accordo” “Owen …” sollevò lo sguardo incontrando i suoi occhi “ … tu sei così buono con le persone da non vederne i difetti o i piani segreti per aggirarti. Nostro figlio crescerà, diventerà un ragazzo e per fortuna o per sfortuna ha preso qualcosa da me. Spero non sia la testardaggine o l'ironia altrimenti, beh, non è il caso di spaventarti così” “No?” ribatté confuso “Dagli dei limiti, costringilo a restare dietro ai paletti che pianti lungo la sua strada” “E se scappa?” “Se scappa lo insegui e lo prendi a calci in culo per le idiozie che ha fatto” “Non credo di riuscirci” “Oh si che lo farai, ci riuscirai. Lo farai perché è giusto così, perché è questo che fanno i padri” “D'accordo” un altro bacio leggero sulle labbra, un'altra lacrima trattenuta “Hai qualche altra raccomandazione dottoressa?” sussurrò ironico scostandole dagli occhi una ciocca di capelli “No, tutto qui” “Tutto qui?” “So già che mio figlio avrà tutto quello che merita. Ci sarà Meredith che veglierà costantemente sulle scelte che farete” “Lo sai che l'hai scambiata per una fioraia?” “Lo sai che ci ha creduto?” lo sguardo sul volto di suo marito bastò a farla ridere.
“Sei … Oh mio Dio! Sei perfida amore mio lo sai?” “Oh andiamo, è solo un gioco. Sono chiusa qui dentro senza fare niente, senza parlare con nessuno. Non posso stringere mio figlio perché lo farei cadere, non posso …” “Vuoi vederlo?” “Lo farò cadere” “Sei seduta su un letto, non cadrà da qui” “E se dovesse cadere?” “Lo prenderò al volo” “Owen!” “D'accordo …” si alzò dal letto costringendola a restare inchiodata al materasso, se avesse tolto le mani dalle sue spalle probabilmente sarebbe scappata via da lì “ … ecco cosa facciamo: vado a prendere Daniel, lo porto qui e tu gli parlerai. Metterò cuscini ovunque così, se per caso dovesse scivolarti dalle mani cadrà sul morbido” “Non sei divertente” “Non mi importa” e senza aggiungere una parola si allontanò da lei.


 

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Capitolo 17
*** Addio Amore ***


                                  Addio Amore




Era preparato a questo, era pronto, era … era troppe cose. Stanco, arrabbiato, distrutto, solo.
Era incapace di piangere perché l'aveva fatto per tutto il giorno, ora, nella penombra della sala cercava qualcosa, un punto di riferimento, qualsiasi cosa che potesse costringere le gambe a muovere un passo.
Non sapeva cosa fare, cosa pensare o cosa immaginare. Allentò la cravatta cercando di respirare ma non era quel nodo di seta ad impedirglielo.
Le mani strette con forza attorno alla testa e gli occhi stretti con forza. Avrebbe voluto urlare, lanciare cose, rompere i muri, imprecare contro il cielo ma c'era un bambino addormentato nella culla lì accanto.
Un bambino così piccolo indifeso che non meritava la sua rabbia.
Gli aveva mentito, gli aveva mentito su tutto. Non sarebbe stato facile né naturale, non sarebbe passato con il tempo, il dolore non sarebbe sparito.
Dieci ore prima l'aveva avuta davanti così sorridente, così felice e spensierata, parlava con il suo bambino, parlava inconsciamente anche con lui, poi quel sangue, il cuore troppo debole.
Aveva scolpito a fuoco nella memoria quelle lunghe ore in sala d'attesa, con il respiro accelerato, la paura folle di non poterla più vedere.
Ore lunghe come anni interi poi il volto tirato e sfinito di Derek, le sue lacrime, le urla di Meredith e il pianto di suo figlio e lui, solo, immobile in mezzo a loro incapace perfino di respirare.
L'aveva vista un'ultima volta, l'aveva vista nascosta da quel telo chiaro che ormai ne custodiva i sogni.
Addormentata in un sonno diverso, qualcosa di lontano e delicato, qualcosa che non l'avrebbe più costretta a soffrire.
L'aveva stretta tra le braccia sollevandola dalla barella gelida, il volto nascosto sul suo petto e le dita intrecciate attorno ai suoi capelli mentre piangeva come un bambino.
Ora, nel silenzio di casa tutto tornava a galla. Le paure, le incomprensioni, la rabbia.
Cadde in ginocchio sul pavimento cercando di respirare, cercando di trattenere quelle urla violente che stavano distruggendo il cuore, lo spirito.
Non sarebbe sopravvissuto senza di lei, non poteva farlo. Non era capace di vivere lontano da lei, dal suo amore, dalla sua vita.
Adesso però ci era costretto, non c'erano città tra loro, tradimenti o insulti, niente aerei spariti nel nulla, niente bambini non voluti e litigi.
C'era solo un uomo, stanco, in lacrime con le mani strette attorno al volto mentre suo figlio piangeva nella culla.
Fece un bel respiro rialzandosi lentamente da terra, il cuore batteva così veloce da fargli male, posò le mani sul bordo del lettino, Daniel piangeva disperato, aveva il volto arrossato, le manine strette attorno alla testa e le gambine che si agitavano frenetiche nell'aria.
Restò immobile a fissarlo per pochi secondi o forse per minuti, non riusciva nemmeno a toccarlo, non riusciva a capire cosa provare, come poter amare di nuovo poi d'improvviso quel gesto leggero.
Posò una mano sulla pancia del piccolo e il respiro tornò per lo meno regolare, lo sollevò dalla culla stringendolo al petto e senza pensare, si mosse dolcemente cullandolo ma il pianto del bambino non voleva sparire nel vuoto della notte così come il suo.
Padre e figlio che piangevano disperati per qualcuno che ormai era solo sogno, solo amore, solo incubi.


 

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Capitolo 18
*** Epilogo: La vita Scorre ***



                                  Epilogo: La vita scorre ...





“Sei un'idiota” “Oh adiamo!” “Non ti avevo detto di stare attento?” ma il giovane sorrise porgendole la mano “Mi ricuci per favore?” “Idiota” ripeté sedendosi sullo sgabello di fronte a lui “Tuo padre sa che sei qui?” “Secondo te?” “Non sta urlando come un matto, no, direi di no” il bel volto del ragazzo si colorò di tenerezza “Perché farlo preoccupare?” “Perché è tuo padre! Si preoccupa per te!” “D'accordo” “Ho avuto diciassette anni anche io ma non giocavo con moto da cross e palle da rugby” “Se l'avessi fatto ti avrei sposata” ma lei non rispose, prese ago e filo iniziando a suturare il braccio del giovane.
“Tua madre ti avrebbe ucciso” “Lo so, lo so. Lei era come me” “No, era più pazza di te e ringrazio il cielo che il buon senso di tuo padre mitighi quel bel caratterino” “Mi dispiace” “Cosa?” “Non assomigliarle” Mer sollevò lo sguardo incontrando i suoi occhi.
Occhi chiari come il cielo che durante tutti quegli anni erano stati il suo placebo “Perché?” domandò studiandone le espressioni “Perché se io fossi più simile a lei papà non soffrirebbe così” “Daniel, ascoltami …” posò qualche secondo ago e filo mentre gli occhi cercavano quelli di suo nipote “ … non è un peccato essere diversi dai propri genitori. Tu sei tu, hai un carattere tutto tuo. Una vita tua, un modo d'essere che non può e non deve assomigliare a qualcun'altro. Tu sei un giovane ragazzo di diciasette anni, molto più alto di me, con un fisico da rugbista e il cuore di un angelo. È vero, tuo padre soffre, non passerà mai con il tempo perché per me è la stessa cosa ma non è colpa tua” “Me se io non fossi …” “Non pensarlo nemmeno” esclamò posando una mano sul volto del giovane “Tua madre ha fatto quello che fanno tutte le mamme. Ha scelto il bene del proprio bambino. Sei quella piccola personcina che la teneva sveglia la notte, che l'ha cambiata così tanto da costringerla a sorridere ogni volta che ti muovevi. Ti voleva un bene tremendo Daniel, porta dentro questo amore e non pensare a nient'altro. Tuo padre se la caverà bene vedrai” tornò a concentrarsi sul taglio che Daniel continuava a sminuire.
Un taglio di sei centimetri che partiva dalla mano e saliva lungo il polso. Giovane e bello, incurante dei pericoli che gli passavano accanto porprio come Cristina.
I capelli scuri dolcemente scompigliati, gli occhi grandi e colorati di cielo, l'incarnato chiaro e un corpo scolpito dalle lunghe ore passate sul campo da football.
Assomigliava alla sua persona più di quanto sembrasse, con lo stesso sorriso, la stessa passione per le moto e la stessa voglia di oltrepassare i limiti.
“Zia?” “Dimmi” “Mio cugino ha finito la sua punizione?” “Finirà quando voi due non farete più idiozie con il tiro a segno” “Ma non era un'idiozia” “Dove cavolo avete la testa! È più grande di te e si lascia tirare continuamente in queste cose” “Siamo grandi entrambi per punizioni e divieti” “Sarete grandi quando non avrete più bisogno di punizioni e divieti” sbottò ironica ma la tenda attorno a loro si aprì all'improvviso “Cos'è successo?” “Solo un taglio” “Solo un taglio?” ripeté Owen, Meredith annuì sfinita mettendo un altro punto “Tuo figlio e quegli idioti dei suoi amici hanno deciso che giocare a football sulle moto da cross potesse essere un piacevole diversivo alla vita di tutti i giorni” “È una cosa grave?” “Solo qualche punto” “Perfetto” esclamò cercando lo sguardo del figlio “Perché ora ti ammazzo con le mie mani” “Papà, non credi di esagerare? È solo un taglio” “Analizziamo il taglio vuoi? Avevo o no espressamente vietato di prendere la moto da cross?” Daniel annuì appena sbuffando “E l'avevo fatto perché l'assicurazione andava rinnovata vero?” un altro cenno d'assenso e un sorriso leggero sulle labbra di Meredith “Ora, aiutami a ricordare Daniel, cosa ti ho detto ieri mattina?” “Che saresti andato a parlare con i miei professori perché il mio rendimento scolastico è leggermente calato” “Quindi bambino mio, questo tuo ipotetico quanto discutibile “taglio” è sul polso di un ragazzo che aveva il sedere su una moto senza assicurazione e che si divertiva a fare idiozie con i suoi compagni invece di aprire i libri di scuola!” “Fatto” esclamò allegra Meredith disinfettando la sutura “Ti rendi conto che poteva accadere di peggio?” “Ma non è accaduto papà” sussurrò il giovane scendendo dal lettino “Io sto bene, il mio polso sta bene e tutto andrà bene” “Su questo ho dei dubbi” ribatté gelido incrociando le braccia sul petto ma la risata del figlio lo costrinse a respirare di nuovo “Papà ogni volta è la stessa storia: succede qualcosa, tu ti arrabbia, mi sgridi e poi mi perdoni. Sono fatto così, non puoi semplicemente accettarlo?” “Tua madre mi fece la stessa domanda una volta” “Davvero?” sorrise appena annuendo “E cosa …” “Che l'avrei amata anche se fosse stata diversa da quella che era” “E l'hai fatto?” Meredith sospirò stringendosi nelle spalle “Le ho fatto del male. Tante di quelle volte da non riuscire più a ricordarlo ormai ma lei è sempre tornata da me. È sempre stata l'unica donna nella mia vita” “Ha ragione tuo padre. Era unica, tu sei unico. Ora via, fuori di qui prima che mi ricordi per quale motivo di ho suturato quel braccio” “D'accordo” esclamò divertito abbracciandola, Meredith scoppiò a ridere mentre le labbra del giovane si posavano sulla sua guancia “Ci vediamo stasera d'accordo?” “Resta lontano dall'ospedale per un po', altrimenti mi costringi ad amanettarti al letto di casa tua” “Guarda che non ho alcun potere su di lei” riprese Owen divertito da quella scenetta “Torno a casa tra qualche ora, hai bisogno di qualcosa?” “No, tutto a posto” “Sei sicuro?” “Sono sicuro” prese da terra il suo zaino e il casco incamminandosi verso l'uscita assieme al padre.
Erano passati anni, anni interi eppure, lei era sempre lì assieme a loro. Negli occhi di suo figlio, nel suo sorriso, nel modo buffo che aveva di dormire.
Era lì, scolpita a fuoco nella memoria e non ne sarebbe mai uscita perché non le avrebbe permesso niente del genere “Domani mattina c'è la partita, vieni a vedermi?” “Ne ho mai saltata una?” Daniel sorrise scuotendo leggermente la testa “Ci saranno anche gli osservatori per le squadre?” “Esatto” “Stai tranquillo, sei bravo, molto bravo. Arriveranno centinaia di richiesete vedrai” “Lo so” esclamò orgoglioso “Sono il migliore no?” “Scendi di nuovo sulla terra assieme a noi?” un altro sorriso luminoso e bello prima di vederlo saltare sulla sua moto, il casco saldamente avvolto attorno al suo volto mentre il rumore del motore riempiva le orecchie “Papà?” si voltò appena cercando gli occhi del figlio “Ti voglio bene” e per qualche secondo, tornò ad affacciarsi quel ricordo tenero e delicato, il ricordo di un bambino che gli correva in contro ogni volta che apriva la porta di casa, un bambino sorridente e felice che gli ripeteva le stesse parole ogni giorno.
“Ti voglio bene anche io Daniel” “Ci vediamo a casa” il rumore del motore diventò più forte, il sorriso sparì velocemente assieme a quel giovane che custodiva in sé due cuori e due anime.

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