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di Lol_96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° PARTE-Questo sono io ***
Capitolo 2: *** Polsi marchiati ***
Capitolo 3: *** Nebbia di ricordi ***
Capitolo 4: *** Come il Pendolo di Foucault ***
Capitolo 5: *** Pericoli notturni ***
Capitolo 6: *** Ombre nei suoi occhi ***
Capitolo 7: *** Di bene in meglio ***
Capitolo 8: *** Full Moon ***
Capitolo 9: *** Luna Crescente ***
Capitolo 10: *** Luna Calante ***
Capitolo 11: *** 2° PARTE-Un nuovo inizio ***
Capitolo 12: *** Piacere e Pazzia ***



Capitolo 1
*** 1° PARTE-Questo sono io ***


Scrivo fin da quando ne ho memoria. E' l'unico modo per poter evadere da tutti i problemi che ho. Ho solo bisogno di essere ascoltato, magari anche giudicato se vi va. Lasciate pure un commento, per aiutarmi a crescere e per sapere come va nel complesso. E' la prima volta che pubblico un racconto originale, siate clementi :D
Grazie in anticipo a tutti.
-Matt

I
 
Forse io sono così. Forse sono una di quelle persone che non ha un posto nel mondo, o per lo meno vaga tutta la vita per trovarlo senza risultato … Sono una di quelle persone che si chiude in se stessa, che la notte si affaccia alla finestra e osserva il cielo immaginando come sarebbe se tutto fosse diverso. Sono una di quelle persone che se ha un libro ha in mano il mondo, il potere di cambiare la propria vita per quelle due ore di lettura al giorno. Una di quelle persone che se trova un libro vero, uno di quello che ha il tipico odore di carta vecchia  con qualche macchia d’inchiostro residua è felice. I libri sono ormai tutto il mio mondo, i miei amici.
 
Trovo fantastico il fatto che mi portino in un altro mondo, che mi facciano sentire a casa, a Hogwarts. Trovo terrificante che i pagliacci possano abitare nelle fogne, ma trovo anche magico un leone che parla con due figli d’Adamo e due figlie d’Eva. Trovo che tutto questo sia un po’ pericoloso, perché può succedere che ti allontani dalla realtà per finire nell’immaginario. Ma la mia realtà è il mio immaginario, non posso farci niente. 
 
Mi chiudo in me stesso, ascolto la pioggia ticchettare sul vetro chiedendomi se e quando arriverà la mia ora. Quando finalmente tutta questa sofferenza finirà. Chiudo gli occhi e tutto diventa nero come la pece, come quando sei in camera e spegni la luce. Quel tipo di nero che ti provoca il brivido di terrore che ti scende lungo la spina dorsale. Chiudo gli occhi e ascolto … Ascolto ciò che è e ciò che sarà. Quello che deve venire mi spaventa, ma mi spaventa ancora di più il presente. 
 
Due occhi color dell’oceano solcano il cielo cercando un indizio, un segnale. Scrutano ogni fessura fra le case, ogni spazio fra le foglie degli alberi. Chiedono aiuto silenziosamente. E questo silenzio mi terrorizza. Questi due zaffiri sono l’unica finestra sul mondo che ho, qualcosa per cui vengo veramente apprezzato. Ma mi conosco sul serio? So,per esempio, che odio le persone false? Sono consapevole del fatto che io stesso sono una persona falsa? Si,lo sono. Ma non per mia volontà… Le persone mi costringono ad esserlo,e questo mi trafigge come una spada ogni giorno. Se il mondo fosse più aperto, più libero, anche io lo sarei con lui. Ma non è così.
 
Un giorno mi chiesero chi io fossi. Ora come ora, non saprei ancora rispondere ma quello che dissi fu un semplice “Io sono io”. Non mi conosco abbastanza, ma forse questa cosa me ne renderà consapevole.
 
Una cosa la so. Sono un errore della società, sono quello che aggiusterà le cose. Sarò quello che non morirà invano, non morirà per far vivere qualcun altro. Spezzerò questa catena di sangue, perché la società non può decidere per me. Io non sono la società e lei non è me.
 
Un corpo presente di una mente assente, totalmente aggiungerei. Alzo gli occhi e lo specchio mi riflette, io sono lì ma non vorrei esserci. Vorrei essere diverso, anche se so che lo sono già. Alzo la felpa con la mano sinistra e con la destra massaggio la pancia. Di profilo sembro ancora più grasso, e l'unico pensiero che mi solca la mente è un che schifo. Mi ritrovo con una lacrima che mi scava la guancia ed in un raptus di follia, prendo una lametta da barba e incido la carne. Il rosso vivido del sangue,cola scendendo sull'ombelico giù fino ai jeans. Ora che la mia pancia è divisa da una linea di cremisi acceso sorrido, sconcertato. Quasi non ho il tempo di chiedermi come la mia mente possa pensare di poter fare una cosa simile che sono già per terra. Occhi vitrei spalancati al nulla inquadrano la mia immagine nello specchio, ricordandomi che non sopporto la vista del sangue. E da qui il buio.
 
Mi risveglio ore dopo,la testa che gira. L’odore acre del sangue mi intasa le narici, faccio fatica ad aprire gli occhi. Ancora 5 minuti mamma.
Mi passo una mano tra i capelli, ma non passa fluida come sempre.
Impigliata in questa selva blu,forzo e mi ritrovo in mano una ciocca di capelli. Si, ho fatto la pazzia di tingermi i capelli, non per il fatto di essere l’anticonformista di turno, ma perché io sono così. Io sono diverso.
Cerco di alzarmi ma la pancia mi fa male. Ora ricordo tutto. Ricordo come ho preso in mano la lametta,come quasi inconsciamente ho tagliato la mia stessa carne. Ricordo di come me ne sono subito pentito.
 
Ormai il sangue si è seccato, mi tiro in piedi a fatica e mi scruto nello specchio. Cos’ ho fatto?...
 
Questo sono io. 

——————————

Mi sveglio la notte, nel silenzio di tomba della mia camera. Scendo dal letto procedendo tastoni, apro la finestra e l’aria mi scompiglia i capelli. 
Siamo a marzo, ma l'unico pensiero che striscia nella mente è che fa caldo, terribilmente caldo. La brezza mi porta sollievo. Alzo gli occhi al cielo e mi rendo conto che il nero più totale ci avvolge,tutti.
Mi domando come sia possibile che neanche una stella brilli lassù. Si sono spente tutte? Ricordo come da piccoli, io e i miei fratelli, la sera correvamo sul prato dietro casa di mia nonna cercando di scappare da mio cugino e una volta finito tutto, ci sdraiavamo sull’ erba e scrutavamo la volta celeste. Cercavamo di unire immaginariamente tutti i puntini gialli formando una sorta di disegno che il più delle volta era senza senso. 
 
Mio cugino è morto, i miei fratelli anche.
 
Siamo nati con un nome inciso al polso, come un tatuaggio. Un marchio diabolico che ti costringe a far sgorgare sangue per vivere. La società si è evoluta in maniera talmente veloce che ora, nelle condizioni in cui siamo, i ricchi vivono e i poveri si uccidono tra di loro per avere un po’ più di aria da respirare. Perché manca anche quella. 
Se ti stessi chiedendo come sia possibile non avere più dell’aria da respirare, ti rispondo con una domanda.

Se prendi una bottiglia vuota,e la riempi di sabbia cosa ne rimane dell’aria che c'era all’interno?
 
Ecco,noi siamo tanti piccoli granelli di sabbia, l’uno schiacciato all’altro. Ogni tanto ti capita un pezzo di conchiglia,un sassolino… Quelli sono i ricconi,quelli che occupano aria senza usarla.
E noi ci ritroviamo a dormire con un coltello in mano, con le orecchie dritte pronte a percepire ogni suono ambiguo della notte. E devo ammettere che dopo diciotto anni di sonno, di suoni strani, terrificanti oserei dire, ne ho sentiti fin troppi. 

Ogni sera,torno su quel maledetto prato, quello che mi riporta alla mente ricordi  che vorrei cancellare. Mi siedo sotto il salice piangente e aspetto. Aspetto un segnale, una voce nella mia testa che mi dica di ritornare a casa, che mi dica che lì non ho più niente da fare se non piangere. E io non voglio più piangere. La lacrima è il simbolo dei nostri problemi, di quello che abbiamo dentro che vuole uscire. Una lacrima può contenere più di quello che si creda, ed io ormai ho buttato fuori tutto quello che avevo dentro.
 
Sono vuoto.
 
Ma vuoto al giorno d’oggi è bene, perché se non hai niente per cui lottare non hai niente da perdere. Puoi rischiare.
Ed è quello che voglio fare, rischiare intendo.
Mi alzo, passo una mano sul tronco del salice e sussurro due o tre parole per  ricordare chi prima mi era vicino ed ora non c’ è più.
Volto le spalle al simbolo dei miei ricordi e me ne vado. Là,sotto quell’albero, ho lasciato una parte di me che crescerà rigogliosa sotto lo sguardo protettore di chi mi veglia da lassù.
Vi voglio bene. 


 
 

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Capitolo 2
*** Polsi marchiati ***


II



Mi sento chiuso in un carcere, le sbarre davanti agli occhi e le mani su di esse.
Ho bisogno di parlare, ma anche se mi obbligassero non lo farei.

Io sono così.
Porto una maschera,una di quelle che con il passare del tempo ti si attacca addosso, e credi di essere la persona che non sei.
Parlo tanto ma poi non agisco.
Il mio sorriso è falso ed io con lui.

Se mi chiedeste di parlare di me lo farei, parlerei per ore, ma ometterei la parte più importante. Ometterei il vero me.
Ora, caro lettore, sappiamo entrambi come andrà a finire. sappiamo tutti e due che io parlerò, tu mi ascolterai ed io mentirò.
Perchè sono fatto così. Ed il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Cado a  picco come un masso. Caduta libera. Solo che invece di toccare terra, la mia corsa continua. Diventerò un masso, freddo ed estraneo, che si perde nei meandri della foresta della mia mente. 

Sono stufo di fingere di essere felice.

Fingo di essere padrone della mia vita credendo di essere libero, ma in realtà sono solo un burattino giostrato dalla società. E per sfortuna, i miei burattinai  sono crudeli, spietati.
Egocentriche persone pervase dal fuoco della fama, agiscono pensando solo a loro stessi. Perchè la vita non è fatta per tutti.
E io burattino non posso fare altro che assecondarli. O forse no?
Avessi un minimo,un briciolo di amor proprio per me stesso e per gli altri mi ribellerei. 

Ma forse è tempo di farlo, di ribellarsi ad uno schiavismo di massa. Perchè questo è. Costretti ad essere ciò che non siamo. Assassini.

************


Corro a rotta di collo giù per la strada principale. Una volta, alla mia destra un enorme centro commerciale chiamato Pop’s scrutava tutto dall’alto dei suoi 5 piani. Ora, se lo guardate bene vedrete solo un edificio abbandonato,in decadenza. Ma io non ho tempo di fermarmi e ripensare ai bei vecchi tempi…
Il cuore martella nel petto,quasi volesse uscire. La mente sfiora idee quasi idiote, cose come se giro a destra lui andrà a sinistra e me la caverò.
Volto indietro la testa tenendo il passo veloce per vedere se l’ho seminato. Ma no,lui è ancora là,lo sguardo omicida punta verso di me.
Mi guarda quasi come fossi il suo pranzo, come il leone con la gazzella. Ma io sono una preda veloce, e sinceramente non ho nessuna intenzione di farmi magiare. Allungo il passo, svolto a sinistra e mi ritrovo in una delle vie secondarie più cupe della città. Gli edifici, alti e grigi, coprono il sole vestendo la strada di un’ ombra scura. Il semaforo lampeggia,ma ormai chi vuoi che ci badi? Siamo rimasti in un centinaio in città. Con questo qua dietro centouno. Maledizione.

“Jeremy…” Sento la sua voce roca tagliare l’aria,mi chiama…
“Oh Jeremy, dove scappi?” Non lo sto guardando, ma percepisco il ghigno che si è formato sul suo viso. Un viso logorato dal tempo.
 
Avrà si e no 28 anni, ma corre come se ne avesse quindici. Una cicatrice gli parte dalla guancia destra e arriva fino alla clavicola.
Ha capelli corvi e pelle del colore del marmo. L’uomo grigio mi rincorre e io sto scappando. Non l’ho osservato attentamente ma due occhi bianchi, spenti da ogni voglia di vivere mi fissano, cercano il terrore in me.
Perché è di questo che si cibano gli assassini, del terrore. Ma i pensieri cattivi sono il piatto forte. Ti risucchiano l'anima quasi fossero Dissennatori, ma in realtà fanno molto più male. Altro che bacio, una lama trafitta nel petto è peggio. Con il bacio ti spegni di tutto te stesso, una lama la vedi, la senti.
Avverto il suo passo appesantirsi, sta rallentando. Lo faccio anche io,sono troppo stanco.
Cazzo.

Come sia possibile non lo so ma me lo ritrovo davanti,schiena dritta e petto in fuori. Perché sono così sfigato? Non poteva capitarmi un ragazzino magrolino? Ricordo che a scuola, quand’ero interrogato, il numero undici ,il mio numero, usciva sempre per primo. E anche lì imprecavo.

Mi guarda con la testa un po’ piegata, sorride, e scatta.
È veloce, non riesco a scansarmi. Si butta di peso sul mio esile corpo stremato dalla fame e dalla sete, mi atterra e mi punta il coltello alla gola.
“Con te, dovrei vivere almeno altri quindici anni” Strizza l’occhio. È pazzo.

Ormai si è talmente soprafatti dalla voglia di vivere che non ci rende neanche conto di aver perso il senno della ragione.

“Diciotto” ammetto io. Lo guardo con disprezzo, gli sputerei in faccia se avessi un minimo di saliva in gola.
Alza il coltello in aria, la lama la fende, mentalmente saluto i miei fratelli che mi stanno accogliendo nell’Ade macchiati da una pena imposta dallo Stato.

1…2…3...Le orecchie ritte registrano ogni cosa, passo gli ultimi dieci secondi senza riflettere,impassibile.
4...5... Sento solo un gran frastuono, un susseguirsi di colpi. Conosco il loro compito ma non capisco chi e perchè lo stia facendo.
6...L'odore pungente della polvere da sparo pervade le narici.
Mi chiedo cosa ho fatto per meritarmi questo, ma non trovo risposta. C'est la vie.

 
Se vi foste fermati ,come detto prima, davanti al Pop’s, avreste notato un enorme lastra di cemento con incise alcune semplici parole:


“Alla nascita verrà imposto ad ognuno ,marchiato sul polso, il nome della propria vittima.
Questo per non dimenticare che la vita è un dono, e come tale bisogna guadagnarselo”

 
In sostanza, nasco con il tuo nome inciso nel polso,ti trovo,ti uccido,mi prendo la tua vita e con lei anche l’identità della tua vittima.
Un orologio biologico ti avverte "stai per morire"... tik,tok... 
Allora dentro di te scatta qualcosa, e parti all'attacco. Uccidi.
Una specie di eredità.
Ma chi la vuole la tua sporca eredità,assassino? Io no di certo.

Mi chiamo Jeremy Landel, e il mio nome è impresso come un marchio sul polso del tizio morto.
Anzi, il suo polso è vuoto...Il mio nome l'ha ereditato qualcun'altro...





* OK, so che è corto ma ho deciso di fare tanti piccoli capitoli :D
Devo ringraziare soprattutto
Water_wolf che con la sua recensione mi ha incoraggiato ad andare avanti, e soprattutto verosunny che mi ha quasi costretto a pubblicare quello che scrivo.
Spero che il secondo capitolo non abbia deluso:) Grazie mille anche a tutti quelli che leggono in silenzio. 
Lasciare un commentino aiuta a crescere :D 

-Matt
*

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Capitolo 3
*** Nebbia di ricordi ***


III
 

La pozza di sangue inizia a formarsi,sono riuscito a stento a togliermi di dosso il corpo di … Come diavolo si chiamava il tipo?
 
“Blade…” con voce squillante annuncia la sua presenza. Alzo lo sguardo e strizzo gli occhi per vederci meglio. Sono miope e ,credo con l’impatto, gli occhiali sono volati qualche metro più in la senza accorgermene.
Nel frattempo la pioggia inizia a ticchettare sull’asfalto. Il cielo piange un’altra vittima dello Stato.
 
In piedi davanti a me, due occhi smeraldini mi fissano.
Una volta, quando ancora tutto era ok, quando ancora avevamo una vita semplice, vagavo senza meta per la città cercando due occhi che mi colpissero.
Da piccolo, verso sera, papà tornava a casa dal lavoro con gli occhiali da sole per coprire le occhiaie dovute alla stanchezza. Gli saltellavo intorno gridando che se non si fosse tolto gli occhiali,avrei dovuto ucciderlo. Già allora iniziavano a circolare i primi bambini marchiati, ed io essendolo, sapevo benissimo cosa significasse. Ma ci scherzavo sopra, non avevo mai visto occhi più belli di quelli del mio babbo.
Quando morì iniziai a cercare qualcuno che fosse alla sua altezza. Che ti facesse leggere l’anima dagli occhi.
 
Gli occhi sono lo spettro dell’anima e la mia è in burrasca.
 
Ed ora, qui davanti a me, ho ritrovato lui dentro di lei.
I capelli, biondi e lisci, erano raccolti in una coda che le ricadeva sulla spalla destra. La pelle olivastra mi riportò alla memoria il braccio di mia madre. Lei ed io li mettevamo a confronto per vedere chi si fosse abbronzato di più, e puntualmente vinceva lei perché di carnagione più scura di me. Ed allora mi arrabbiavo, uscivo in giardino a petto nudo e passavo il pomeriggio sotto il sole cocente per cambiare colorito. L’unico risultato ottenuto era un rosso acceso causato dalle insolazioni.
 
Ma ora erano lì, mamma e papà, riuniti in una sola persona.
E non potevo credere che la mia sfortuna fosse così grande. Perché sarei morto per mano dei miei genitori reincarnati in un unico corpo, bellissimo per giunta.
L’occhio mi cascò sul seno e la mia immaginazione da diciottenne saettò nel letto della mia vecchia casa, io sotto e lei sopra.
Mani calde avvolgevano il mio corpo,e con un gemito sommesso venni.
Poi, come quando il vento spazza via le nuvole, i miei pensieri vennero cancellati da una domanda, piccola ma fondamentale.
 
“Lui era il tuo marchio?” domandai io cercando di sviare il fatto che da li a poco sarei morto.
Sputò un “No” quasi fosse ferita nel profondo dalla domanda.
“Ma quindi …” Iniziai a ragionare su cosa fosse successo ma lei mi interruppe: “Si, lui non era quello che devo uccidere. Invece che ricevere i suoi anni, li ho persi”
Mi mostrò il polso sinistro, marchiato con il mio nome, seguito dal destro con il marchio della sua reale vittima. Kally Minsword. Mai sentita,per fortuna.
 
Quando ebbero inizio gli omicidi di massa, lo Stato non sapendo come fare, promulgò una legge riguardante la perdita di anni.
 

“Ogni uomo dovrà, solo ed esclusivamente, uccidere la vittima marchiata sul polso. Nel caso mettesse fine ad un’ anima innocente non erediterà i suoi anni, bensì li perderà. Erediterà però il nome della vittima, che dovrà uccidere entro un anno. Bilanciare la società richiede impegno, ma soprattutto sacrificio.”

 
Anima innocente? Ahah, che battuta. Nessuno è stato, è, e sarà innocente. Siamo tutti segnati da questa legge chiamata “omicidio”.
 
Se mi fermo a pensare al giorno in cui metterò un punto alla storia di Tobya Niggern, il mondo diventa scuro. Fisso un punto con sguardo fermo, e mi immagino in piedi, davanti ad un ragazzino in preda al panico e con un solo, veloce movimento di polso, gli incido la gola. Sangue a fiotti mi bagnano le mani, mi ritrovo sdraiato ed in uno spasmo di  razionalità penso a come sarà la mia vita di lì in poi. Fuggitivo.
Assassino.
Colpevole per me stesso, non per lo Stato. Lui comanda, e se lui dice che io devo uccidere lo farò.
NO. Mi rifiuto.
 
La nebbia iniziava a diramarsi come vapore nella doccia. Doccia.
Non me ne faccio una da una vita…
All’età di dodici anni, la mia famiglia venne sterminata da un gruppo di motociclisti alti e robusti, almeno così venni poi a sapere dalla mia vicina. Io ero a casa di Sam per la notte.
Ai polsi, tozzi e sudati, ognuno aveva inciso il cognome Landel. Sfondarono la porta di casa verso le sette di sera, mio padre uccise un tizio sulla quarantina e gli rimasero dieci anni di vita, troppo pochi per salvare tutti. Ne uccise un altro quando vide che stava premendo il grilletto contro mia madre, ma fu troppo tardi. Morirono entrambi.
Papà morì per annullamento, mamma con una pallottola in fronte. Crew, mio fratello maggiore, ne uccise uno spaccando la finestra del salotto con un pugno e, dopo aver afferrato un coccio, lo impiantò nell’occhio del meno robusto. Morì per annullamento anche lui.
Il quarto, il più robusto di tutti, afferrò Mike per le spalle e dopo averlo sollevato lo scaraventò sulla televisione. Morì alla tenera età di sette anni. Barbaman aveva appena guadagnato sette anni di vita, ma ne perse nove strangolando mio cugino.
 
Ed ora il fratello minore -forse si,forse no- di Baramen era lì, steso a faccia in giù con sei pallottole nella schiena, in un bagno di sangue.
 
“Ragazzino, alza il culo e vattene da qui appena puoi. Sei libero.”
“Sarò realmente liberò quando tu sarai morta.” Non so cosa mi prende, ma in un raptus di follia lancio il guanto di sfida.
“Se la metti così…” Estrae dalla cintura un piccolo coltellino svizzero, lo apre e caricando il braccio lo lancia. Io miei riflessi fanno schifo.
 Rimango fermo, paralizzato dal veleno che la morte ti inietta prima di agire, prima che cali la sua falce per mozzarti la testa.
 
Il coltello mi passa affianco alla testa, mi graffia appena la tempia destra e fugge dietro il mio corpo, quasi scappando dal suo compito.
 
“Se è tutto quello che sai fare …” La sfido. Sono un coglione.
“Credi davvero che una come me, una che non ha paura di sparare cinque colpi dritti sulla schiena di un armadio che sta per uccidere, possa sbagliare?”
Mi fissava come nessuno aveva mai fatto. Rabbia e sconforto la padroneggiavano. Ma quello che veramente mi inquietava era il suo fare da dura, perché lei lo era realmente. Lei aveva ucciso, e parecchio a giudicare dal suo fare da esperta.
Si voltò e dopo aver sospirato, sibilò. “Un giorno mi ringrazierai.”
Era di spalle, ma seppi che sorrise perché quando disse “29 anni guadagnati facilmente” la sua voce aveva assunto un atteggiamento giocoso.
 
Alla fine ci ero andato vicino, avevo sbagliato solo di un anno…
“Ci rivedremo presto” fu l’unica cosa che mi disse prima di sparire tra la fitta nebbia.
 
Rimasi lì, la testa bassa e le lacrime al viso. Ricordare fa male.
Ed ora che mamma e papà erano tornati da lui per salvarlo, maledizione, lui li avrebbe seguiti. Fosse l’ultima cosa che avrebbe fatto. Come mi avevano messo al mondo, potevano distruggermi.
Un gemito strozzato risuonò nell’aria. Mi resi conto che ad emetterlo ero stato io. Talmente preso dai miei pensieri, non mi ero accorto di aver iniziato a piangere. Singhiozzavo come un bimbo, come probabilmente aveva fatto Mike poco prima di lasciarci.
 
Il colonnello Finkin mi raccontò con fare teatrale di come la mia famiglia si fosse sacrificata per salvarsi l’un l’altro, di come erano stati tutti uccisi cosi eroicamente combattendo.
Non piansi una lacrima quel giorno, ma ora buttai fuori tutto quello che avevo. E mi svuotai, di nuovo.
 
I corpi erano stati portati via la mattina prima che io arrivassi a casa. Ma non potevo tornarci, avevo solo dodici anni, ero piccolo e mi sentivo colpevole della loro morte.
Se fossi stato a casa avrei potuto salvarli, o almeno morire cercando di farlo. Avrei potuto finire all’inferno, ma almeno sarei stato in compagnia.
 
Qui invece, il vero inferno non finisce mai.
 
Scappai da casa e mi rifugiai sulla collina dietro la città.
Si dice che la notte porti consiglio, ed un bambino impaurito e da solo in mezzo ad una foresta piena di animali selvatici, si consigliò da solo di scappare. Scappare più lontano.
 
Arrivai in una cittadina dopo tre giorni di cammino, disidratato e denutrito. Lì mi accasciai al suolo e svenni.
Mi ritrovai solo qualche ora dopo sul letto di una casetta in legno. Due tozzi di pane e un bicchiere di acqua sul comodino.
Il cibo scarseggiava e quello era una manna dal cielo.
 
Mi ritrovai davanti un uomo sulla cinquantina, scoprii dopo che mi aveva trovato e portato a casa sua, aiutandomi. Passai tre mesi con lui, lo aiutai nelle faccende di casa, cacciavo e coltivavo il piccolo campo di terra nel retro. Morì “donando” i suoi anni ad una donna di mezz’età che prima lo aveva sedotto ed al momento dell’atto, gli aveva conficcato un pugnale nel petto.
 
Scappai e non tornai più quando vidi il suo corpo esanime, nudo sotto le lenzuola.
 
Quello, fu l’inizio di un principio di follia che tutt’ ora mi porto dietro.
 
Ma che volete che sia, diciott’ anni e qualche raptus di idiozia sono normali.


******************************



Ieri sera non ho pubblicato causa Step up 3D :3 Soooooorry
Il capitolo è concluso con un lampo dell'ultimo secondo che mi ha fatto cambiare gran parte di quello che succederà dopo.
Speriamo che alla fine sia tutto lineare :D
Grazie ancora a chi mi supporta, e soprattutto a chi ha messo la storia tra quelle che segue**
See you soon
-Matt

 

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Capitolo 4
*** Come il Pendolo di Foucault ***


*RICAPITOLANDO*
1.      Nasciamo tutti con un nome inciso sul polso. Come in “In time” in nostri anni arrivano fino a diciotto e poi fanno da conto alla rovescia.(In pratica nasciamo e siamo sicuri di vivere 18 anni, dopo questi 18 dobbiamo uccidere)
2.      Uccidendo ricevo tanti anni di vita quanti ne aveva la mia vittima. Assieme agli anni ricevo anche il nome di colui che la mia vittima doveva uccidere
3.      Se dovessi mettere fine ad un anima che non mi è stata assegnata i suoi anni mi vengono sottratti(se ho 32 anni e la mia vittima 10, rimango con 22 anni di vita). Ricevo anche il nome di chi lei doveva uccidere. Mi ritrovo così con più di un nome inciso sui polsi.
4.      Per essere realmente libero, dovrei uccidere io stesso il mio assassino. In pratica Jeremy dovrebbe uccidere la ragazza che ha ereditato il suo nome, insieme al nome della ragazza che aveva il tipo barbuto(Spero sia chiaro Water_wolf :D)
 
 Scrivere è l'unico modo pe evadere dalla monotonia del mio essere, grazie a voi che leggete.
-Matt
 
P.s. Ho messo qua e là qualche citazione :) Se le trovate ditemelo ;)
 

IV

 
“Come posso andare avanti?”
Un alone di fumo?Nebbia? Non capisco cosa sia ma questa cosa non mi permette di vedere… Mi rannicchio portando le ginocchia al petto. Aspetto un segnale, qualcosa che mi faccia capire che non sono solo.
“Mamma, dove sei?”

Chiudo gli occhi e mi ritrovo in un prato, tutto è grigio, insolitamente cupo. Perché insolitamente ,poi, non ve lo so dire. Vivo in un mondo dove uccidere è di routine, dove il grigio delle nuvole è la quotidianità.
La mia mente è un ammasso di nuvole temporalesche in questo momento.
Faccio qualche passo per tastare il terreno. Sotto la pianta del piede, le foglie secche scricchiolano. Alzo la testa e butto un’occhiata qua e là. In fondo, all’orizzonte, una sagoma nera in contrasto con il grigio del cielo balla.
 
Balla?
 
Strizzo gli occhi e noto che una gonna, grigia anch’essa, ondeggia al vento che se fosse colorato sarebbe di quella tonalità di capelli che ti ritrovi dopo qualche anno che non fai più la tinta, quando tendi alla sessantina.
 
Ci arriverò mai a sessant’anni?
 
Tutto vibra.
Allungo le braccia per ritrovare l’equilibrio.
Avanzo passo dopo passo verso un piccolo rigagnolo da cui una piccola lepre sta bevendo.
Mi avvicino lentamente cercando di non fare rumore. Spezzo un rametto. Ma che cazzo.

Voltandosi, due piccoli occhi rossi mi fulminano. La lepre si gira, si alza su due zampe e mostra i denti. Denti rossi come il sangue. Per terra, appena dietro di lui noto qualcosa che si muove. Cerco di avvicinarmi ancora, ma l’animale sembra essere violento. Decido così di girarci attorno tenendomi a debita distanza. Ma circa quattro o cinque passi più in là lo vedo, ed il panico inizia a crescere. Il coniglio sorride. I miei occhi, quelli del mio me sdraiato con le gambe nell’acqua che giace morto, non sono più dell’azzurro acceso a cui sono abituato.

Semplicemente, i miei occhi non ci sono più. Sento la lepre ridere fragorosamente. Si alza in piedi, alta come il tizio che aveva il mio nome, e mi si avvicina. Sta mutando, non è più un animale.
L’immagine diventa nitida, quasi tastabile. Nell’aria aleggia un odore di putrefazione misto a sofferenza e fame. Perché voi non lo sapete, ma la fame ha un odore terribile. Assomiglia un po’ a quello dell’alito mattutino, quello pesante che quando avvicini la mano alla bocca e aliti per sentire se è il caso di lavarsi i denti o no, ti fa fare una smorfia di disgusto.
Ecco, sono disgustato.
 
Mi ritrovo un uomo davanti, un ghigno di perfidia stampato in faccia. Allunga le mani e mi avvolge il collo. Inizia a stringere, non respiro.
Mi agito ma non serve a niente. Con forza prepotente mi solleva e preme ancora di più i pollici alla gola.
Apro la bocca come fa un pesce fuori dall’acqua. Boccheggio.

Chiudo gli occhi un secondo e quando li riapro, due smeraldi mi fissano soddisfatti. Gli occhi che ammiravo da tutta una vita mi stavano uccidendo. Mi lascio andare e tutto sparisce.
 
Ci rendiamo conto di quanto sia flebile la vita solo quando siamo così vicini da percepirne la morte.
 
“PAPÁ!”
Mi sveglio con un urlo strozzato in gola e mi accorgo che è notte foda.
 
La fronte gronda di sudore, passo una manica della maglia per asciugarmi. Alzo lo sguardo e la luna, piena e gialla, illumina il cielo con la sua luce tiepida.
Mi ricorda una forma di formaggio, quant’è che non ne mangio più?

La fame inizia a farsi sentire, sono tre giorni che non mangio.
Quando le cose andavano bene, il cibo abbondava su ogni tavola. Ora, in questo periodo di distruzione e odio, tutto è scomparso. Gli animali sembrano spariti, pochi sono i favoriti che ne hanno uno in casa. Se solo quella lepre fosse stata vera.
Vero… Cosa lo è di questi tempi? Ma soprattutto cosa non lo è?
Ci avviciniamo talmente tanto alla follia, che non ci rendiamo conto di aver perso la cognizione della realtà. Sembra lo facciamo apposta, a diventare matti intendo.
 
“E' già difficile vivere in un luogo a cui non appartieni ma averne coscienza e avere nella testa due realtà divergenti... può farti diventare matto.” 

Si dice che per sopravvivere qui bisogna essere matti.
Ed io ci credo, essere matti è l’unica soluzione per andare avanti. Il Cappellaio Matto aveva ragione…
Ho conosciuto due mondi completamente diversi, uno di ricchezza totale e l’altro di aridità.
Siamo tutti aridi dentro, destinati a morire.
 
Non ho paura della morte. ll vero padrone della morte non sfugge ad essa ma la accetta senza rimpianti.
 
Vivo alterato tra realtà e sogno, come un pendolo.
Ormai come lo erano i libri, ora i sogni sono la mia realtà.
Una realtà da cui vorrei scappare, fuggire da questi incubi.
 
Qualcosa dietro si è mosso.  Porto la mano alla caviglia. Infilato nella scarpa c’è il coltellino che quella donna mi ha scagliato. Se l’è dimenticato ,o era un regalo?

Lo estraggo lentamente e lo faccio scattare, la lama spicca velocemente brillando alla luce della luna.
Un’ ombra, veloce e furtiva si aggira tra gli alberi. Se è un animale sono fortunato, altrimenti …
Tra il buio della foresta, noto un bagliore metallico. Anche lui è armato… Sono nella merda. Ho diciotto anni, ne dimostro diciassette e non ho neanche le forze per alzarmi e scappare.
 
Ma l’ombra non cerca me, mi guarda e passa.
 
Rimango solo con i miei pensieri. Ed un altro sogno parte, questa volta ad occhi aperti. Sto davvero diventando pazzo.
 
L’odore del pane appena cotto si spande nell’aria, una canzoncina risuona melodiosa.
Inizio a canticchiarla ignaro del fatto che quella voce, quella che sta uscendo dalla mia bocca, è roca e spezzata. Non ho mai avuto un’ugola d’oro, ma Dio solo sa quanto mi piace cantare.
 
Mi trovo in una piccola radura in mezzo ai boschi, una casetta bassa e tozza proprio al centro.
Sulla finestra, stile Cappuccetto Rosso, una piccola pagnotta appena sfornata. Mi avvicino di soppiatto per assaporare meglio l’odore, perché ormai me lo sono dimenticato.
Allungo la mano per prenderla, ed un dito, un indice stretto e affusolato, balla da destra a sinistra quasi volesse parlare.

No, no, no… Non si fa!
Mi  afferra il braccio e mi scuote.
Dolore.
Apro gli occhi all’improvviso e qualcuno mi sta davvero prendendo un braccio.
 
Spontaneamente alzo il piede destro e affondo un calcio dritto nello stomaco.
Lei rotola per terra, i capelli questa volta sciolti le coprono il viso.
“Questa volta hai proprio rotto ragazzino!” Sento la fermezza della sua voce,  ed il suo tono non lascia trasparire nulla di buono.
Irrigidisce la mano, mi butta per terra, e fa cadere con forza la mano proprio sul mio collo. Il sapore della terra non è il massimo. Svengo. Di nuovo.


 

Dunque, c'è da dire che non è un bel periodo, e conoscendomi, la vita reale si riflette un po' su quello che scrivo. E in questo momento fa tutto un po' schifo...Ergo... Capitolo di cacca*si scusa* Ad ogni modo mi serve solo come capitolo di passaggio :)
Grazie a tutti!
-Matt


 

 

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Capitolo 5
*** Pericoli notturni ***


V

 
Apro gli occhi e sputo. Il sapore della terra, misto al sangue che ho in bocca non è proprio il top. Se dovessi aprire un bar e questo fosse il cocktail della casa si chiamerebbe Bloody Ground.
 
Mi passo la mano sulle labbra e mi asciugo sulla maglietta sgualcita. La testa mi gira, ma non ci faccio caso …
 
“Finalmente Cristo! Ti piace proprio dormire …” Una bozza di sorriso si sta disegnando sulla sua faccia. Non capisco se mi prende per il culo o cosa. Si sarà resa conto che se dormo, anzi se svengo, è colpa sua?Beh, come minimo si è degnata di accendere un fuoco.
 
Guardo il cielo per capire che ore sono. Una coperta blu elettrico, adornata di tante piccole paillettes è stesa sopra di noi.
Devono essere circa le nove e mezza.
 
Dove siamo? Una piccola radura, proprio come quella del sogno, si apre davanti a me. Intorno, piantati a cerchio, i Pini fanno da muro verso il bosco.
“Se non fosse per te, sarei stato sveglio …” Mi ignora continuando a lucidare la canna di quella che sembra una pistola. Sicuramente lo è.
 
“Willow, piacere” Allunga una mano. Lo faccio anch’ io. “Jeremy” dico secco.
“Lo so come ti chiami idiota.” Muove il polso facendomi vedere il suo tatuaggio.
Non ho intenzione di passare la notte con lei. C’è qualcosa che mi inquieta parecchio. Il suo modo di guardarmi, per esempio.
Mi scruta sempre dall’altro verso il basso, a testa china. Mi studia, sembra voglio parlare, ma quando apre la bocca, si ferma e continua a farsi gli affari suoi. 
Ci siamo piazzati sotto uno dei pini più grandi.
Lei ha acceso un piccolo fuoco recintandolo con dei sassi che deve aver preso in città. Li riconosco perché sono spigolosi e sotto il nero del bruciato, noto colori accesi tipici dei murales.
 
“Che vuoi farmi?” Non mi rendo neanche conto di quello che sto per fare. Mi alzo in piedi, ondeggio barcollando verso di lei. Dopo aver estratto il coltellino, glielo punto alla gola.
Con una calma disumana, quasi fosse normale essere minacciati da un ragazzino, si alza anche lei. Mi afferra il polso.
 “Questo non è mio?” Con stupore intuisco che se l’era dimenticato.
“Un regalo” suggerisco io.
“Non mi ricordo di averti fatto regali …”
“Non ti ricordavi neanche di averlo lasciato li per terra però …”
Alzo la testa e cerco di reggere il suo sguardo. Mi accorgo solo ora che siamo a pochi centimetri di distanza che è molto più vecchia di quello che sembra.
“Quanti anni hai?”
Sembra che gli occhi le schizzino fuori dalle orbite.
MAI chiedere gli anni ad una signora!
Signora eh?
La guardo sotto un altro punto di vista. Mi chiedo cosa voglia veramente.
 
“Quindi, perché mi hai portato qui?” Mi addentro nel discorso cercando di capire chi è e cosa vuole, ma sembra restia dal dirmelo. Come un gatto. Si muove furtiva cercando di capire se sono affidabile, l’ho capito. Vuole qualcosa da me che lei non ha.
 
Capisco che lei ha intuito quello che sto pensando ed allora parla.
“Ragazzino, ho bisogno di te.”
Le parti si scambiano, la fortuna gira.
Quindi, prima mi ha salvato ed ora vuole qualcosa in cambio …
“Per cosa?”
“Non importa per cosa, fatto sta che tu ed io ora ci alleneremo. Crescerai, imparerai a combattere e mi aiuterai.”
 
Dopotutto, mi conviene imparare. So che lei ha il mio nome, e questo è un punto a mio favore visto che la percentuale più alta di omicidi è dovuta al fatto che non si conosce il proprio assassino , ma prima o poi cercherà di tagliarmi la gola e forse è meglio essere pronti per quel giorno.
 
“Va bene” Non faccio domande, accetto e basta. Nella mia testa un sacco di punti di domanda compaiono. Cosa ha intenzione di fare? Dove vuole andare? Contro chi si vuole mettere?
 
“Riposati, domani iniziamo.”
Agita la mano per salutarmi e si rannicchia sotto il tronco dell’albero.
Sto ancora qualche minuto vicino al fuoco, ho bisogno di calore.
Quello che mi è stato negato da quattro barbari.
Ripenso ai miei genitori, al loro caldo confortevole, ed una lacrima mi riga il viso.
Mi rannicchio anche io e Morfeo mi accoglie tra le sue braccia.
 
Mi sveglia mi soprassalto, la sua faccia stranita da spasmi di terrore.
“Muoviti, dobbiamo andare”
Non capisco cosa stia succedendo, si alza e spegne la piccola fiammella rimasta nel focolare.
Devono essere passate una manciata di ore visto che era ancora acceso.
“Perché?”
“MUOVITI.” L’aria autoritaria fusa con quello sprizzo di follia mi rabbrividisce. È agitata, si vedrebbe lontano un miglio.
 
Quando l’ho conosciuta mi era parsa una ragazza forte e tenace, con le fiamme negli occhi. Aveva puntato e sparato senza battere ciglio. Ed ora, ora è qui davanti a me e non capisco come sia successo.
La trovo spaesata, sembra non sappia cosa fare. Sembra abbia una doppia personalità. Ma forse tutti hanno una doppia personalità, una maschera che ci protegge.
 
Obbedisco, mi alzo e mi preparo. Non ho molto da prendere, mi rimetto semplicemente le scarpe ed estraggo il coltellino.
 
Qualcosa sta succedendo.
 
Si mette lo zaino in spalla, biascica qualche strana parola e i suoi occhi diventano per un momento neri, poi riaffiora quel verde smeraldo che ho amato.
 
Prima di partire si nasconde dietro uno dei pini e scruta circospetta il bosco.
“Andiamo” Ora appare ferma e pacata, sembra abbia la situazione in pugno e la seguo.
 
Ombre nere, ci circondano. Tanti piccoli ragni sono all’agguato in attesa della loro preda. Ma ce n’è uno il Ragno, che attende noi. O meglio, lei. Non so perché mi sono cacciato in questa faccenda ma amo le avventure.
 
È da quando ero piccolo che sognavo di partire alla scoperta del mare, solcarlo e scoprire nuove terre proprio come aveva fatto Colombo. Voglio addentrarmi nei meandri della fantasie e li vivere, vivere e consumare il mio corpo e la mia anima alla ricerca dell’ignoto.
 
Camminiamo lentamente, sotto di noi i ramoscelli e le foglie secche scricchiolano. In lontananza, un gufo bubola.
“Ecco la prova che siamo spiati” volta la testa e mi guarda dritto negli occhi. Ora che le nuvole in cielo si sono diradate mi accorgo di quanto la luce della luna faccia assomigliare la pelle di Willow a quella perlacea delle bambole di porcellana che la mamma teneva sulla mensola in salotto.
Ho sempre odiato quelle cose.
Mi fissavano con quel loro sorriso finto a cui non si poteva non rabbrividire.
 
Una leggera brezza notturna mi provoca un brivido che parte dal basso ventre. Mi giro per sicurezza, per verificare di non essere seguiti.
 
Non capisco cos’è successo finchè non mi ritrovo una piccola mano bianca che mi afferra un polso.
Si porta l’indice alla bocca in segno di silenzio.
Willow avanza, ed io scemo rimango indietro.
Sento che mi trascina letteralmente verso i meandri del bosco.
Una piccola bambina mi sta rapendo.
 
Una piccola, lunga veste le ricade sui piedi nudi.
Davanti a me, i suoi capelli biondi ondeggiano all’aria.
Canta con voce melodiosa un motivetto che non riconosco, ma che mi strega.
 
Li per li non capisco, ma poi mi ritorna alla mente quando mamma mi diceva che le Bimbe Del Bosco sarebbero venute a prendermi se non avessi fatto il bravo. A molti altri si raccontava del cattivo uomo Nero, io avevo le Bimbe.

Ci fermiamo davanti ad una pozza grande quanto la radura che abbiamo abbandonato poco prima.
La bambina si gira, avvicina le labbra alle mie e mi bacia. Un innocente bacio che mi incanta.
Apre di scatto gli occhi, bianchi come un foglio di carta, mi afferra la testa e me la spinge contro l’ acqua.
Vuole annegarmi.  
Una forza prorompente me la spinge a fondo. Percepisco la mia fine. Sento pian piano le forze abbandonarmi.
 
Sappiamo tutti come agiscono le Bimbe. Ti portano in posti  in cui non andresti da vivo -perché diciamocelo: chi andrebbe in riva ad una pozza nel bel mezzo della notte in pieno bosco?- ti uccidono e poi ti mangiano. Una specie di Sirena terrestre.
 
Ma qualcosa succede, l’acqua si colora di rosso. Non capisco se quello è il mio sangue o no. Ha già iniziato a mangiarmi? Che esseri orribili.
 
La Bimba cade a peso morto nell’acqua. Siamo uno di fianco all’altro. Per quanto voglia alzarmi non riesco a farlo, non ne ho le forze.
 
Willow mi afferra per il colletto della maglia e mi tira su.
 Sputo, insieme ad un grazie, anche acqua e fango.
 
Non so dove abbia trovato quella spada, ma l’ha conficcata dritta nella schiena della bambina e l’ha uccisa girandola ancora quando era dentro. Se giri la lama, la ferita farà più fatica a rimarginarsi.
 
Questa volta però, girare la lama era servito per uccidere, non per ferire.
 
Odio il sangue.
 
“Scappavamo da lei?”
“No, dovresti saperlo che qui in giro è pieno di Bimbe Dei Boschi. L’uomo che ci seguiva è steso per terra da qualche parte svenuto. Non posso uccidere, o tengo in vita te e non faccio morire nessuno, o ti uccido e così facendo potrei permettermi di perdere qualche anno … Ma in questo momento mi servi …”
“… Vedi di non farti ammazzare da qualcun altro.”
 
Confortante sapere che mi potrebbe uccidere da un momento all’altro.
“E quella dove l’hai presa?” Indico la lama che scintilla alla luce della luna, ancora conficcata nella schiena dell’essere a faccia in giù nell’acqua.
“Un regalo di quello che voleva uccidermi.”
Sorrido, mi ha salvato la vita due volte e invece potrebbe prendersi 17 anni e scappare. Perché?
 
Riprendiamo il nostro cammino e qualche decina di metri più in là vedo un corpo privo di sensi sdraiato a terra.
“Lo conosci?”
“Presumo sia l’uomo che doveva uccidere, il tipo con la barra che alla fine ho fatto fuori io per salvarti.
Ora, oltre al mio assassino normale, ho quest’uomo alle calcagna. Andiamo.”
 
Non sembra lo dica per darmi la colpa, ma mi sento terribilmente responsabile della sua futura morte. 


***********

Dunque, so di essere in ritardo ma è un capitolo importante per introdurre una nuova regola.
Mi hanno fatto notare che quando Willow ha ucciso l'uomo per salvare Jeremy, la persona che avrebbe dovuto uccidere quell'uomo restava senza vittima. Ecco perché Willow scappa. Ora ha 2 persone dal quale guardarsi :)
Spero vi sia piaciuto, alla prossima :D
Commentate che non vi costa niente e mi fa crescere :D
-Matt

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Capitolo 6
*** Ombre nei suoi occhi ***



VII

 

Una fitta di dolore scintilla nel mio petto.
Willow affonda di nuovo il bastone ed io, troppo lento e stanco non lo schivo lasciandomi colpire.
“Jeremy, così non va”
Sono steso a terra ormai da 5 interminabili minuti, il sangue che cola dal labbro e da un taglio sullo zigomo.
Allunga il bastone e lo afferro. Con forza mi tira su e mi dice che è tempo di una pausa.
 
Ma era ora!
 
“Tieni sempre la gamba dietro troppo rigida … Dovresti rilassarti e volteggiare, affondare, e uccidere senza nessuna difficoltà a quest’ora … Sono settimane che ci alleniamo.”
 
Si dirige verso una piccola bacinella sulla sponda di un torrente lungo la quale ci siamo accampati.
Una tenda di fortuna, fatta con qualche telo trovato per strada e qualche legno che sorregge il tutto, ci copre dalle violente tempeste che ricadono sulla valle in questo periodo.
Si piega e immerge le mani nell’acqua, le mette a coppa e beve.
 
Furtivamente,bastone alla mano e in punta di piedi, mi avvicino a lei. Alzo il legno e in un violento affondo cerco di colpirla dritta alla schiena. Ora che è girata, indifesa, è sicuramente più vulnerabile.
 
E invece no.
Gira la testa di lato e notando il mio attacco, rotola su un fianco e ci ritroviamo faccia a faccia, io con il braccio disteso e lei in ginocchio pronta a rispondere.
 
Porta le mani al terreno, afferra un mucchietto di sabbia e me lo lancia.
 
Gli occhi bruciano, li devo chiudere. Mollo il bastone per terra e me li strofino con le mani. In quel momento, da dietro le spalle, Willow mi tira un calcio dritto nella parte lombare della schiena, e cado di faccia.
 
“Qualcuno una volta mi ha detto che il miglior attacco è la difesa, dovresti impararlo”
“Ci rinuncio, non riuscirò mai a metterti al tappeto.”
“Pensa fuori dagli schemi e forse ce la farai”
 
È quasi ora di pranzo e le nostre pance brontolano.
Mi lancia una piccola balestra grande come un libro e mi dice di seguirla.
Ci addentriamo nel boschetto adiacente alla vallata e di soppiatto, indice alle labbra, mi indica un piccolo piccione appollaiato su un ramo.
 
In queste settimane di addestramento Willow mi ha insegnato molte cose. Dice che solitamente è facile riempire una brocca vuota, ma si lamenta sempre che con me è diverso.

Ed è effettivamente così.
Ho messo su parecchia massa muscolare, siamo in questa vallata da circa un mese. Facciamo lezione tutti i giorni cercando di migliorare entrambi. Io più che altro imito quello che fa lei, e devo dire che è una gran brava maestra.
La vedo ogni giorno più giovane, i capelli sempre sciolti ondeggiano al vento, lo sguardo pronto alla battaglia e la postura di una guerriera.
 
Anche se, devo dirlo, non ho la più pallida idea di come ci si debba posizionare quando si combatte.
Ma comunque, lei è il mio prototipo di guerriera.
 
 È solo che non voglio imparare.
Anzi, imparo ma non metto in pratica. Tutto questo perché non voglio uccidere.
Non voglio essere un altro robot della società comandato per fare quello che gli viene detto.
Ho tempo fino ai 20 anni, quando sarò maggiorenne, per imparare. Poi sarò costretto, ma forse per quella data tutto sarà finito.
 
Avanziamo silenziosamente tra gli alberi.
Willow mi ha insegnato anche come ci si muove nei vari ambienti.
Durante il viaggio ci siamo fermati in una palude e li abbiamo fatto un po’ di esercizio.
Non credevo fosse così difficile muoversi agilmente nella melma, è come essere in una vasca di palline colorate, quelle dove giocano i bambini.
 
Sento una freccia fendere l’aria e Willow correre per prendere quello che sembra un piccione, ora stecchito.
 
Ne prendiamo altri 2 e ci dirigiamo verso la tenda.
Accendo un piccolo fuoco mentre lei spenna gli uccelli.
 
 Ed ecco l’idea.
 
Passo tra le dita una delle due pietre focaie con cui dovrei accendere il fuoco,  cerco di percepire la sua struttura. È ruvida e spigolosa. Se la lanciassi addosso a qualcuno, si farebbe di certo male.
 
Carico il braccio e lascio il colpo.
La pietra piroetta nell’aria, dritta alla meta.
Sfiora l’orecchio destro di Willow, che è girata di schiena intenta nei sui pennuti, e le passa oltre.
 
Il movimento d’aria la percuote, si gira di scatto e mi lancia un’occhiataccia che metà basta.
 
“Visto, ti avrei preso se avessi voluto. Ho pensato fuori dagli schemi!”
“Ti do ragione, ma è comunque da vigliacchi colpire alle spalle.”
 
Non riesco a capire, seguo quello che mi dice alla lettera e sbaglio. Penso diversamente e fallisco di nuovo.
 
Fanculo.
 
Mette i piccioni sul fuoco e inizia ad arrostirli. Mangio senza dire niente. Ogni tanto ci scambiamo qualche occhiata, ma finisce tutto li.
 
 Bon appétit.

 
 
**************

Mordo il mio pezzo di carne voracemente, sembra una vita che non mangio così bene. Sotto questo punto di vista Willow mi ha salvato.
A dir la verità, lei mi ha salvato in tutto.
 
Il mio sguardo passa dalla carne a dietro,oltre le sue spalle.
Un sagoma zampetta zoppa verso di noi attraversando il prato.
Mentre si avvicina lentamente, afferro la spada che Willow stava lucidando poche ore fa.
Lei mi vede e si gira, scrutando la nuova arrivata.
Una cinquantina di metri ci separano, e capisco che qualcosa non va.
Non è una copertura, sta male veramente.
Corro verso di lei per aiutarla.
 
Willow mi urla di fermarmi, mi dice che è pericoloso, che potrebbe essere tutto un tranello per avvicinarsi a noi, per derubarci. Ma io non l’ascolto e vado.
 
Mi cade tra le braccia.
Ho il tempo solo di guardarla negli occhi per capire che la cosa è seria.
Una macchia rossa della grandezza di un palmo copre la sua pancia.
La fronte, imperlata di sudore, è segnata da un taglio sicuramente proveniente da un coltello.
 
Mi inginocchio e la faccio sdraiare sul prato.
Imploro un aiuto da Willow che mi guarda con diffidenza.
 
“È ferita cazzo! Non può farci niente!”
 
Controvoglia accoglie la mia supplica e si avvicina furtiva al corpo.
La scruta dall’alto e dopo pochi secondi se la carica con dolcezza materna sulla schiena e la porta alla tenda.
Prende dallo zaino una pezza di stoffa che immerge nella bacinella d’acqua e le toglie la maglietta.
È nuda.
Niente reggiseno, niente maglia.
So che dovrei pensare alla sua ferita, quel brutto taglio che le parte dal costato e le arriva all’ombelico. Ma proprio non ce la faccio.
Il mio sguardo si posa sul seno, prosperoso e sodo.
 
Arrossisco quando Willow mi scopre a guardarla. Faccio finta di niente e le chiedo se ha bisogno di una mano.
Spero mi dica di no, per evitare erezioni imbarazzanti.
Mi indica una piccola pomata nella tasca anteriore dello zaino, frugo qualche secondo e gliela porto.
 
Dopo aver pulito la ferita, la cosparge con la crema e la fascia con una garza di fortuna ricavata dalla sua camicia.
 
La ringrazio mentalmente perché so che era stata un regalo del marito, so quanto ci è affezionata. E l’ha usata per aiutare la ragazza, ed indirettamente me.
 
Percepisco nel suo fare uno sprizzo di amore materno e capisco che la ragazza è in buone mani.
 
La lasciamo riposare tutta la notte.
Si sveglia confusa e stordita, cerca di alzarsi ma la blocco a terra per evitare che la ferita si aggravi ulteriormente. Nel farlo, i nostri sguardi si incrociano. Un nero che va oltre le mie conoscenze, un nero pece mi travolge.
 
Non è normale.



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Ho scritto questo capitolo con calma perché volevo evidenziare il lavoro che stanno facendo Jeremy e Willow insieme. Volevo anche chiarire il rapporto che si sta costruendo tra i due. Ed ora che un nuovo personaggio entra in scena sarà più dura equilibrare la storia e il tutto. Chiedo scusa per il ritardo-questa volta clamoroso!!-
Grazie mille a tutti, fatemi sapere com'è!
-Matt :D

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Capitolo 7
*** Di bene in meglio ***


VI



Camminiamo verso nord, o almeno così mi era parso di capire guardando il muschio sulle cortecce degli alberi, per tutta la notte incessantemente.

Ci accompagnano silenziosamente gli animali della foresta con i loro richiami ed i loro rumori.
Ogni tanto si senti un frinire di qualche grillo solitario, poco più in la un topolino squittisce.
Ora che so della reale esistenza delle Bimbe, ogni albero più basso del metro e mezzo mi fa salire il cuore in gola.
Tamburella incessantemente come dovesse farsi sentire.
Immagino queste ragazzine che si avvicinano, ti persuadono con il pensiero e con lo sguardo a seguirle. Vorresti andartene ma non puoi, perché la loro presenza è magnetica. E di li a poco sai che potresti essere morto. Ma non se hai una Willow a portata di mano. –Da domani in tutti i negozi-
 
Sbuchiamo su quella che sembra essere la Statale A56, inutile fermarsi e chiedere un passaggio alzando il pollice a bordo strada.
I tempi delle auto sono finiti, la gente gira si e no a piedi figuriamoci con quattro ruote …
La costeggiamo fino alle prime luci dell’alba, quando ci troviamo in prossimità di un piccolo villaggio che sembra abitato. Il fumo corre libero verso l’alto, uscendo da quei quattro o cinque focolari accesi.
Chissà dove siamo, magari qualcuno ci ospiterà … Magari qualcuno ci ucciderà
Decidiamo che è ancora presto per addentrarsi tra le viuzze e bussare alle porte. Ci sediamo sul ciglio della strada e aspettiamo.
 
Non so esattamente cosa, ma almeno io credo di aspettare che uno dei due inizi a parlare.
Odio quei silenzi imbarazzanti.
Quando entrambi vorreste parlare ma non c’è neanche un piccolo argomento che vi accomuna.
 
Decido di rompere il tacito accordo di tabù che ci lega e chiedo con  quello che si scopri poi essere tutt’altro che tatto: “Hai paura della morte?”
 
Stava frugando nello zaino, forse cercando qualcosa da mangiare, e si bloccò. Alzò la testa e mi scrutò di nuovo, ma questa volta in maniera diversa.
Un viso quasi materno sorrise. E li capii che questa donna uccideva per scappare da una quasi sicuramente fobia per la morte.
 
Willow Polreys aveva il terrore della morte, della sua in primis.
 
Non rispose, sorvolò come su molte altre domande, facendo a finta di non aver sentito.
Ma riproposi la domanda in maniera indiretta “Sai, io ci penso tutti i giorni… Ogni sogno mi porta in posti angusti, situazioni belle si capovolgono in terribili eventi, e non posso fare altro che rimanere li e fissare il mio corpo esanime.”
 
Una lacrima solca la sua guancia e prima che io continui il discorso inizia a parlare.
 
“C’è stato un tempo, sai, quando qui sulla terra non bisognava controllarsi le spalle ogni minuto della giornata. La vita abbondava, e si viveva felice.
Mio marito è morto assassinato.
Queste leggi non ci sono da sempre. Inizialmente non era stato stipulato nulla, erano solo molte e alla rinfusa, poco chiare soprattutto.
Amavo quell’uomo ed un giorno di primavera, proprio quando lui era in giardino seduto sulla panca a prendere il sole, se n’è andato.”
Parla come se fosse obbligata, sputa tutto come se fossero anni che non parla più con nessuno.
 
“Una donna sulla trentina, bassa e ben piazzata, almeno per quello che ricordo, lo ha sgozzato.
Nessuno sapeva che i Marchiati, non dovevano interferire con le vite dei “Normali”, nessuno aveva capito che se una persona con il tatuaggio avesse ucciso una persona normale, questa sarebbe morta portando con se tanti anni quanti ne aveva la vittima. In pratica, non conoscevamo ancora l’esistenza della Legge di Annullamento”
 
“Quindi tuo marito è morto per errore?” Non avrei mai detto che una donna come lei, forte e tenace in apparenza, docile e mansueta in realtà, avesse avuto un uomo al suo fianco … Sorvolo e vado avanti.
 
“Cos’hai intenzione di fare?” Domando capendo di essere arrivato al nocciolo del discorso.
 
“Vendicarlo.”

***********************************


Sono passate ore da quella discussione, ma l’immagine del suo volta disgustato pronunciando la parola vendetta era ancora impressa nella mia mente come una fotografia. Ricordo ogni ruga, la smorfia, gli occhi iniettati di forza,di sangue.

 
Una donna sulla sessantina ci ha aperto le porte di casa sua ospitandoci per la notte.
L’ho scrutata attentamente prima di dare la mia approvazione a Willow. Una chioma leonina, del colore della cenere, le nasconde gran parte del volto facendola risultare misteriosa. Non so ben dire se per la sua altezza, o per il fatto che abbia questa specie di criniera, ma un po’ m’inquieta.
 
Ci mostra le nostre stanze e ci prega di disturbarla per ogni minimo bisogno. Non ti preoccupare nonnina, non mi farò problemi a romperti le palle.
 
La stanza,piccola ma accogliente, ospita un letto a sulla parte sinistra della parete, proprio sotto la finestra. Nella parete di destra invece, un piccolo armadio ha un’anta aperta. Incuriosito la apro, e nella confusione e nella polvere, a cui sono fortemente allergico, trovo un sacco di fotografie raffiguranti una giovane donna, un uomo prestante, e un piccolo bambino che, a giudicare dalle date in cui sono state scattate, ormai sarà bello grande.
 
Ripongo tutto come l’avevo trovato. Non voglio passare per quello che si fa gli affari degli altri, anche se in verità il mio naso si ficca nei posti più angusti per scovare notizie fresche di giornata.
 
Io avrei anche fame…
 
Sono, guardando l’orologio appeso nella parete centrale proprio sopra un quadro,  le 20.45.
 
Che starà facendo Willow?
 
La nonnina ci chiama dal piano di sotto con voce flebile avvertendoci che la cena è pronta. Vedo Willow scendere le scale e decido di seguirla.
 
Una schifosissima minestra ci viene versata nel piatto e io la guardo schifato.
Quel che passa in convento, ragazzo.
 
Stupida vecchietta, mi sta già sulle palle.
LA mangio senza fare storie, mi alzo da tavola, ringrazio e con il permesso delle due donne me ne torno in camera.
 
Il viaggio è stato lungo e sfibrante, ho ancora i polpacci duri come marmo. Mi butto sul letto e mi addormento.
 
Vengo svegliato da un urlo acuto.
Ma che cazzo, non si può stare tranquilli eh…
 
Sento il ferro battere contro il ferro, la parlata veloce della vecchietta implora pietà. L’odore di terrore aleggia nell’aria. Se l’ho sentito io, certamente anche qualche assassino l’ha percepita.
 
Scendo a passo felpato le scale, il coltellino nella mano destra.
Willow ha la spada sopra la testa, di fronte sembra esserci l’uomo che aveva steso nel bosco.
Con voce roca ordina a Willow di spostarsi. Perché si deve spostare?
Poi, idiota io, mi accorgo che sta facendo da scudo alla vecchietta. Ma maledizione, se le cerca allora!
 
Sono confuso, ma non ho il tempo di chiedermi perché quell’uomo, essendo l’assassino di Willow, debba interessarsi alla vecchietta.
 
Poi, con la coda dell’occhio, vedo la vecchia estrarre un coltello da sotto la veste.
E li capisco. Devo ammetterlo, non sarà una cima nel combattimento, ma un po’ di cervello ce l’ho.
 
Lancio il coltellino con la precisione derivata da tante ore passate a giocare con gli amici a freccette. Questo arriva dritto sulla mano della signora che lasci cadere la sua arma e con sguardo incredulo mi punta gli occhi e mi maledice mentalmente.
 
“Derek, occupati del ragazzo. Mi ha rotto le palle.”
 
L’uomo gira la testa con fare minaccioso, la spada sempre puntata su Willow. Abbassa lo sguardo per un secondo e lei ne approfitta per disarmarlo.
 
“Ragazzino, non mi serve il tuo aiuto. Se non l’avessi notato avevo la situazione in pugno. La vecchietta la stendo con un pugno, per questo qui invece …” muove la spada indicandolo “… avevo pensato che potresti occupartene tu ora che ci hai degnati della tua presenza.”
 
“Io?” la guardo incredulo e poi realizzo che mi sta usando.
 
Una delle ultime leggi uscite prima che lo Stato bloccasse ogni emanazione, per evitare fraintendimenti e cazzate varie, era semplice.
 
Visto il fatto che noi minorenni non siamo in gradi di capire cosa sia realmente giusto e cosa invece non lo è, non siamo puniti attraverso la sottrazione degli anni delle persone che uccidiamo. È una strada in salita fino ai 20 anni.
Posso uccidere e aumentare i miei anni, non sottrarli.
 
Posso ma non voglio.
 
Willow non lo sa, ma sono stufo di essere il burattino.
Voglio essere il burattinaio.
Non ucciderò.
 
“Non ci casco, arrangiati. Tanto, non perderesti anni se lo uccideresti. Anzi, saresti in parte libera. Un assassino in meno a cui badare.”
 
Mi guarda e gli affonda la lama nel petto.
La vecchietta, lacrime agli occhi, si fionda sul corpo di quello che si scoprirà essere poi il figlio sicario che le aveva ordinato di ospitarci per uccidere Willow nella notte e prendersi i suoi anni.
Con un colpo gira la lama provocandogli dolore.
Urla, e con lui anche la madre.
Estrae la spada e l’uomo si accascia a terra, la donna al suo capezzale.
 
“Prendi le tue cose e andiamocene, non abbiamo più niente da fare qui.”
 
Willow si gira di spalle, appoggia la mano sulla ringhiera delle scale ed in quel momento, quasi come fosse un fantasma, la vecchia afferra il coltello che le era caduto e si fionda su Willow.
 
Osservo la scena dall’alto, non capisco.
Come può una piccola, anziana donna pensare di aver speranze contro quella che ha appena ucciso suo figlio?
 
Amore materno, fu la mia risposta.
 
Willow legge nei miei occhi quello che sta succedendo e senza fare una piega, si gira di scatto, alza la lama e le mozza di netto la testa. Questa, lo spettro del dolore per la perdita del figlio misto alla furia ancora stampata nel volto, rotola pochi passi più in là.
 
Guarda e passa
 
Schifato, pietrificato e sbiancato dal terrore di come una donna una volta sicuramente docile e gentile si fosse trasformata in una assassina, la guardo e cerco di trattenere i conati di vomito.
 
Ma non ce la faccio, l’odore di sangue e quell’immagine macabra hanno la meglio.
Lascio uscire tutto e la mando a fan culo.
 
Assassina. Glielo dico con disprezzo, ma lei sembra non importarsene affatto del mio pensiero.
 
Di bene in meglio, insomma.





Well, vorrei sottolineare il fatto che non capisco un tubo di come si modifica il testo. Inoltre, non mi ricordo mai che carattere uso per cui ho deciso di fare l'originale e ogni capitolo sarà diverso. Tutto questo è voluto. Seeeeeeeeeeeeeeeeeeee
In più, mi scuso ancora per il ritardo. Giuro che di solito sono puntuale ʘʘ
Detto questo, ringrazio ancora una volta chi legge e commenta-si parlo proprio con te- e a tutti gli altri che leggono in silenzio. Fatemi sapere com'è :D
-Matt
p.s. non chiedetemi perché il pezzo sopra è in grassetto perché non capisco una ciosba-?-. Vado a magnà. Adios

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Capitolo 8
*** Full Moon ***


VIII

 
Mi ricade tra le braccia così dolorante che Willow le prepara una bevanda con erbe che ha trovato nel bosco,e Morfeo l’accoglie nel suo mondo.
 
Nel bel mezzo della notte, quando gli angeli urlano e tutto sembra calmo, -fin troppo aggiungerei-, mi alzo velocemente con la fronte imperlata di sudore e mi ritrovo con la testa che gira.
 
Nell’aria aleggia quella sensazione di inquietudine, come quando hai le farfalle nello stomaco e le gambe che tremano.
 
Luci provenienti dall’alto piroettano nel cielo stellato formando disegni. Allungo le mani per sfiorarle e una piccola scia di polvere argentata mi invade la mano, la ricopre.
Giro il palmo verso l’alto scrutando la sostanza che ora luccica. Dopo pochi secondi si rialza e, portata dal vento, ondeggia verso il corpo della ragazza.
Questa, ancora addormentata, spalanca gli occhi e si lascia coprire.
La polvere si stende come quando la neve ricopre candida le colline.
Una coperta di Polvere Stellare brilla su di lei.
Apre la bocca e aspira ogni piccola particella di luce, portando dentro di se tutta la polvere.
Una luce interiore, che vedo attraverso il suo costato, manda tenui rintocchi. Una piccola melodia si intona.
 
Affino l’udito per ascoltarla pienamente, per non perdermi una sola nota.
Gli animali, incantati dall’armonia della canzone, si zittiscono.
 
La ragazza si alza in piedi. Sembra essersi liberata di ogni tipo di ferita. Le cose sono due: o Willow è una portentosa infermiera o quella polvere deve averle curato il dolore.
 
Si libera della vestaglia bianca rimanendo completamente nuda. Le curve sinuose e lisce; la pelle che alla luce della luna somiglia ad una perla; i capelli sciolti alla leggera brezza notturna sembrano braci ardenti …
Cammina a passo lento, quasi avesse paura che il terreno da un momento all’altro possa sgretolarsi come sabbia.
 
Si dirige, in compagnia della melodia, verso il fiume che scorre li vicino( dove Willow di solito si ferma a pulire i vestiti mentre io accendo il fuoco e cuocio la carne).
Si ferma sulla sponda.
L’acqua manda piccoli bagliori di riflesso alla luna. Lo scroscio del fiume è l’unico rumore che si sente oltre a quello che risuona dal suo petto.
Passano interminabili minuti prima che succeda qualcosa. E quando succede, non credo ai miei occhi.
In un violento spasmo, quasi fosse ricaduta in una specie di trans, getta indietro la testa. I capelli ondeggiano, noto da lontano la bocca spalancata.
Gli stessi occhi che qualche ora prima avevano incontrato i miei, quelli neri come il carbone, ora si erano tinti di un bianco lunare.
 
Avanza in punta di piedi sui sassi della riva, immerge un piede. Capisco dal movimento repentino della mano che è ghiacciata.
Porta avanti anche l’altro piede, ed ora ha l’acqua alle caviglie.
 
Ondeggia in modo strano, quasi come i grandi pupazzi gonfiati d’aria che ci sono di solito nelle concessionarie, quelli che sembrano chiamarti agitando le braccia per attirare la tua attenzione.
Inquietanti.
 
Un sibilo le esce di gola ed in un lampo accade tutto.
L’acqua si erge formando un muro, dai suoi occhi partono due fasci di luce diretti verso l’ostacolo che si infrange appena illuminato.
Un’onda l’avvolge ed una cascata di luce ricade ovunque; per un attimo la perdo di vista.
La ritrovo sdraiata sul prato appena prima del fiume, bagnata fradicia, tremante.
 
Mi avvicino lentamente, tasto il terreno per verificare che non si sfaldi sotto il mio peso.
Non so perché lo faccio, copio i movimenti di quando si è avvicinata al fiume e questo mi fa sentire più sicuro.
Mi accovaccio su di lei e il suo respiro incredibilmente caldo e profumato mi inebria.
 
Mi guarda come se oltre a noi non ci fosse nulla, il vuoto totale.
Nei suoi occhi il nero del carbone ha lasciato posto al rosso del fuoco. Solleva una mano che posa sulla mia guancia, mi avvicino ancora e il cuore inizia a tamburellare nel petto.
 
Sembra lo percepisca perche si mette a sedere e appoggia la sinistra, la mano che aveva libera, sul mio cuore.
Batte talmente forte che l’unica maniera che ho di spezzare quel momento è un bacio. E così faccio, le stampo le mie labbra sulle sue. Non so quanto tempo passi prima che le nostre labbra si stacchino e producano uno schiocco, ma sento che la musica è finita: la colonna sonora del nostro bacio sono i nostri cuori. 
Questa volta prende l’iniziativa lei e torniamo a baciarci. Sento la sua lingua farsi strada nella mia bocca, io che l’accolgo e ricambio.
 
E qualcosa di strano succede.
 
Avverto la sua mano penetrare la mia carne come fosse aria. Sento, il vento che ora ulula. Sento il suo sapore in bocca. Tocca il mio cuore facendosi strada con le dita, lo sfiora appena.
 
Un bagliore che percepisco ad occhi chiusi, mentre il nostro bacio continua, si sprigiona dalla sua mano ed in un attimo siamo un tutt’uno.
 
Lei mi trasferisce i suoi pensieri, mi racconta la sua storia.
Si appropria della mia anima, di quello che sono. Legge la mia storia ed una lacrima le cade sulle guance. Ci stacchiamo, la scruto con sguardo cupo, ma lei sorride ed è bellissima.
Le passo un pollice in modo da togliere la lacrima.
 
Non ha mai parlato, mai proferito parola, ma so di sapere tutto di lei.
E questo un po’ mi spaventa, ma allo stesso tempo mi affascina.
 
Con quel piccolo e fragile tocco abbiamo condiviso i nostri pensieri, il nostro essere.
 
“Chiudi gli occhi …” con l’indice e l’anulare sfiora le mie palpebre e per reazione e miei occhi si chiudono.
“… cerca dentro di te, e saprai chi sei realmente. Quando lo avrai scoperto io sarò lì ad aiutarti nel tuo compito.”
Con voce melliflua mi da le istruzione che mi servono per trovare le giuste informazioni.
Suadente e persuasiva mi fa scavare affondo, nei meandri dei miei ricordi … ma aspetta, non sono solo i miei …
Mischiati a quelli che avevo già, ora ci sono anche i suoi. Siamo un tutt’uno: due anime nello stesso corpo, seppur divise.

 
*************** 

Quando la morte incontra le notti di plenilunio, tutto può succedere.
In più se la morte ha scelto una bambina destinata ad essere qualcuno di importante di sicuro qualcosa deve succedere.
 
Dopo aver chiuso gli occhi casco in una specie di trans che mostra un film mentale, stile ricordo molto consumato, che mi incuriosisce molto.
 
Ci ritroviamo, io e lei, in una stanza piena di persone che indossano tuniche verdi e mascherine bianche.
Distesa a gambe divaricate e sollevate, una donna urla incessantemente. Il dottore la incita a spingere, le dice che tra poco sarà tutto finito. Ma quel “tra poco” diventano ore.
Le cose si complicano e i medici sono costretti a farla partorire tramite cesareo: la trasferiscono in un’altra sala e dopo averla sedata, avviano l’operazione.
 
Due bellissimi occhi color dell’ambra spuntano tra le coperte in cui è stata avvolta dopo essere stata lavata.
 
Shelena, così la madre ha deciso di chiamarla, viene immediatamente allontanata dalla donna che l’ha data alla luce; scoprirò successivamente che la donna non voleva avere nulla a che fare con la bimba, anzi: è stata un errore.
 
La pargola viene affidata al Carmelo of Mary: Wahpeton, North Dakota.
 
La bimba cresce all’interno delle mura del monastero dove si dedica principalmente alla preghiera ed, essendo ancora una bambina, al cucito e all’artigianato.
Vaga giorno dopo giorno tra i giardini e il laghetto del convento, dove passa la maggior parte del tempo.
Poi la scena improvvisamente cambia, sento le sue dita sulle mie palpebre premere più forte, e mi ritrovo in mezzo ad un bosco. In lontananza un fiume ghiacciato lascia il posto ad una piccola macchia di nero: sembra uno specchio rotto.
 
Riavvolge un attimo il nastro della memoria e mi mostra la sua fuga dal monastero, come sia scappata una notte di mezz’inverno. Ma soprattutto mi fa vedere come ora, fredda ed indolenzita, cammina a fatica sulla neve alta. La vedo arrancare, mettere un piede sul ghiaccio e cadere in acqua.
Vorrei aiutarla, ma la mia figura all’interno del film non è mobile ma fissa. Le chiedo se ci possiamo avvicinare, se è possibile vedere cosa sta succedendo.
 
Lei annuisce e come il fantasma del Natale Passato, si stacca leggermente da terra afferrandomi una mano e ci muoviamo in direzione del fiume.
 
Da sopra, vedo una sagoma dimenarsi nell’acqua; le bolle d’aria che scoppiano in superficie. Poi il nulla.
 
Un raggio di luna colpisce Shelena e questa riemerge senza vita, magicamente.
 
Il suo corpo viene portato sulla riva dalla corrente. Osservando meglio, noto il pallore gelato della sua pelle, i capelli quasi rigidi dal freddo.
 
La stessa scena con la Polvere di Luna si ripete; la ragazza riprende vita. I suoi occhi cambiano colore.
 
Lei non è figlia di una donna che ha rinnegato una bambina, una donna che è stata convinta a tenerla per non abortire. Lei non è una normale ragazza ora: lei è una delle figlie della Luna.





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Dunque, ho pubblicato il capitolo perché ne vado così fiero che mi sentivo in colpa a lasciarlo riposare nel pc.
Grazie ai consigli di amici e lettori ho dato tutto me stesso nella presentazione di questa ragazza.
Puntualizzo che, essendo figlia della luna non poteva che chiamarsi Selene(nota anche come dea della luna).
Più avanti scopriremo che, come già puntualizzato nell'ultima riga, lei non è la sola: "è una delle..."
Ringrazio tutti soprattutto perchè siete critici senza farvi problemi, e questo mi aiuta.
Sottolineo inoltre che più avanti ci saranno sicuramente scene un po' spinte, forse. Indipercuiche -?- dovrò cambiare il rating in rosso(presumo).
Quindi, essendo il rosso violato a chi non ha un profilo e non ha più di 18 anni -tsè, questa parte è facile da aggirare- invito tutti a farselo! Per il mio bene e per il loro.
NON SI DISCUTE.
-
¾ di Matt

p.s. Amo formattare il testo :3
p.p.s. L' 
¼ di Matt mancante è già al mare...

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Capitolo 9
*** Luna Crescente ***


IX


Stavo pensando, con il senno di poi, che non va poi tutto così male.
Voglio dire, se mi aveste conosciuto prima di incontrare Willow mi avreste considerato un ragazzo comune, quasi morto di fame, senza famiglia ne amici.
Ora invece mi trovo qui, seduto su questo masso troppo grande per una sola persona, a scrutare la notte con aria dubbiosa ma rilassata. La leggera brezza notturna mi scompiglia i sentimenti come fosse un uragano, la luce della luna fa sbocciare in me la voglia di sapere di più, di andare avanti.
L’umidità nell’aria mi provoca la pelle d’oca ma rimango qui, solo e pensoso.
 
La notte porta consiglio, specialmente per me. È strano essere arrivato così lontano da casa, così distante dal ricordo dei miei famigliari. Risuonano in me le parole di una canzone che andava di moda qualche anno fa.
 

“Usami 
straziami 
strappami l'anima 
fai di me 
quel che vuoi 
tanto non cambia 
l'idea che ormai 
ho di te”

 
Lo stato mi ha usato, strappato l’anima dal petto, mi ha portato via l’innocenza che dovrebbe esserci in ogni ragazzino, ma tutto scorre …
Stringo i pugni per la rabbia e le unghie si conficcano nella carne provocando rivoli di sangue che escono dai palmi gocciolando sulla nuda pietra su cui siedo; gli schizzi rintoccano provocando una melodiosa malinconia nella mia mente ed ora so per certo, più di quanto non lo sapessi già prima, che non posso stare qui con le mani in mano, non posso aspettare che lo Stato venga da me: io andrò da lui.
 
Alzo la testa ed un odore di cenere e sangue mi pervade; mi rendo conto che il fumo che prima saliva dal nostro focolare ora, da lontano, non c’è più.  Attraverso il torrente saltando sui sassi che sporgono dall’acqua cercando di non bagnarmi ma scivolo su del muschio e cado di schiena.
Cerco di rialzarmi più velocemente possibile, qualcosa non va: fitte lancinanti risuonano nella mia testa, percorrono la schiena e vanno affievolendosi fino alle caviglie.
 
Quando un raggio di luce piomba tra gli alberi, qualche decina di metri più in la della nostra tenda, capisco che Shelena ha evocato i suoi poteri.
La luce, così effimera ma così potente, tocca il suolo concentrandosi su un punto preciso e poi svanisce facendo sembrare il bosco cosparso di tante minuscole lucciole.
Affretto il passo attraversando  la boscaglia non curandomi di quelli che potrebbero essere eventuali pericoli dal quale Shelena forse ci sta salvando. O forse è proprio lei il pericolo e, dopo che Willow l’ha messa sotto torchio con domande troppo spinte, ha dovuto difendersi,attaccare ?
 
E poi le dita cercano conforto sulle superfici, mentre lo sguardo mira alla profondità. Laggiù, proprio dietro alla nostra tenda, Willow giace sofferente con la testa appoggiata a terra, gli occhi quasi spenti di ogni voglia di continuare a vivere, le mani al grembo stringono l’elsa della spada che lei stessa lucidava tutte le sere, in attesa di usarla per qualcuno di veramente importante.
 
Evidentemente lei era abbastanza importante da essere una vittima, almeno per chi l’ha attaccata.
Mi avvicino silenziosamente cercando di non essere il prossimo bersaglio di qualcuno che vuole semplicemente qualche anno in più, visto che ora Willow giace morta e il mio nome è stato trasferito a qualcun altro; ma non mi devo preoccupare di nulla perché Shelena, nuda,-chissà poi perché è sempre senza vestiti - è in piedi di fianco al cadavere di un uomo sulla quarantina.
Le lacrime scorrono a fiotti sulle sue guance rigandole, le mani completamene rosse sono aperte lungo i fianchi.
Sembra non essersi realmente accorta di quello che ha appena fatto; di aver carbonizzato un uomo ed averlo ucciso brutalmente.
Non dico che non se lo meritasse, ma non avrei mai creduto che una ragazza fosse capace di tanto. Ma lei è diversa.
Rimane immobile al fianco della sua vittima ancora incapace di comprendere cosa voglia dire mettere fine ad una vita.
Lascio Willow per un attimo, rivolgo il mio sguardo alla figlia della luna e dopo averle lanciato un pensiero si fionda tra le mie braccia, gemendo di terrore e paura.
Sviene tra le mani lasciandomi il tempo di rielaborare quello che è appena successo.
 
Willow è morta. Shelena è diventata un’ assassina. O lo era già? Quell’uomo è morto, ma di lui chi se ne frega.
 
Una gran confusione di pensieri sciama nella mia mente come le api nel loro alveare. Un frastuono provocato dal non essere del tutto capace di affrontare queste situazioni, altre morti intendo, mi fanno cadere un’altra volta in un trans di luce e rumori.
Mi avvicino al corpo di Willow lasciando Shelena al suo essere allo stesso tempo violenta e inconsapevole di quello che sa fare e li mi accascio stringendo la mano di quella che era la mia maestra, la mia mentore. Piango tutte le lacrime che ho dentro, mi isolo dall’esterno e mi chiudo a ricco con il solo scopo di rimanere un po’ da solo nonostante ora lo sia realmente; ad eccezion fatta per Shelena.
 
È tornato tutto come una volta: devo combattere per la mia sopravvivenza, ma questa volta ho uno scopo.
“Vendetta” sussurro lentamente, assaporando il suo significato ed elaborando cosa può comportare: la mia morte, tanto per iniziare; potrei ribaltare le sorti di questo Stato provocando una ribellione, ma mi sembra molto improbabile visto il fatto che io combatto per Willow mentre gli altri non hanno niente per cui farlo.
 
Non riesco a concentrarmi sui miei pensieri a causa della ragazza della luna che rantola come fosse posseduta. Mi giro a guardarla destandomi dal mio torpore di riflessione e rimango scioccato.
 
Shelena cambia aspetto: i suoi capelli passano dal rosso delle braci ad un nero ebano accorciandosi di qualche centimetro, gli occhi si trasformano in un violetta pallido con pupille feline. I lineamenti mutano diventando più morbidi, quasi angelici. Il colore della pelle diventa di un grigio malato.
La violenza del suo sguardo mi fa capire che è cambiata, non è più lei.
 
“Ehi, che succede?” scandalizzato, noto che i suoi vestiti sono ricomparsi dal nulla. Una veste nera le ricade lungo le curve formose che si ritrova.
 
“Ciao tesoro” Ammicca senza  pudore, catturando il mio pensiero in una rete di profumo di rose,erba, sangue e sconcerto. La sensualità con il quale cammina, avvicinandosi sempre di più a me, mi imbarazza.
 
Dopo essere arrivata ad un palmo di naso dal mio viso, si insinua nella mia bocca con la lingua. Un bacio violento mi immobilizza e capisco che vuole comunicare: affonda con forza la mano nel mio petto e questa volta, a differenza della delicatezza di Shelena, mi stringe il cuore comprimendolo.
I miei battiti diventano irregolari, mi spavento.
 
Parte un nuovo film, questa volta molto meno limpido:
Ci troviamo in cima ad una scogliera, la brezza marina ci raggiunge portandoci un profumo di mare che ci fa rabbrividire di piacere.
In lontananza sul limite della roccia, una bambina scappa di paura. Urla di dolore e singhiozza. Un uomo sulla quarantina, forse il padre, la raggiunge spalmandole una mano sulla guancia.
 
La scena si velocizza portandoci al momento in cui la bambina, pestata a sangue, ritirandosi dalla violenza di quell’individuo, si sporge troppo e casca atterrando con un tonfo morto sull’acqua.
 
Il terreno sotto di noi scompare lasciando spazio ad una bambina morta che galleggia sul pelo dell’acqua, spinta dalla corrente a riva.
 
La scena si ripete ma questa volta la luna che splende in cielo non è piena, ma bensì crescente. La ragazza il mio fianco mi fa notare come il corpo della piccola si sotterri sotto la sabbia scomparendo per un attimo alla nostra vista. Riemerge come una fenice dalle proprie ceneri con l’aspetto della ragazza che sta alla mia destra.
 
Torniamo tutti e tre, io e loro due nello stesso corpo,  alla realtà.
 
Il corpo di Willow giace ancora inerme sull’erba a poca distanza da noi e questo mi fa scattare la scintilla promettendo a me stesso che entro sera le avrei scavato un degno giaciglio dove farle passare il resto della sua esistenza.
E così faccio: a mani nude scavo la terra e la seppellisco. Dopo aver ricoperto il buco ed aver costruito un piccolo crocifisso con dei rami che ho trovato in giro, ci attacco la foto che mi aveva mostrato con suo marito e le dico addio. Shelena mi si avvicina dolcemente, passa una mano sulla tomba facendo piovere una cascata di luce lunare. Questa, rimane ferma nonostante il vento ululi il suo dispiacere per la mia perdita. Una tomba di luce ricopre ora il tutto.
“Non durerà molto,vero?” le chiedo con un pizzico di malinconia.
 
Quasi in risposta alla mia domanda Shelena muta aspetta diventando la figlia della luna crescente. Lei, punta la mano alla polvere e un getto d’acqua la bagna. Stringe la mano a pugno e l’acqua si solidifica lasciando  una tomba cristallizzata e luminosa. “Questa durerà per sempre” la sua voce roca, mi rimanda all’ultimo film: credo che un pugno alla gola possa provocare parecchi danni, la modifica della voce compresa.
 
Le guardo riconoscente e scoppio in un nuovo, lungo pianto.
Solo io ed il mio essere solo.



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Gente, ma me lo dovete dire se posto il capitolo a metà caspita!! Sopratutto tu, VEROSUNNY!
Per il resto, scusate ancora per il ritardo e beh,... miaomiao
-Matt che non ha ancora visto il mare

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Capitolo 10
*** Luna Calante ***


X

 
Questa notte il cielo piange: il rumore dei tuoni copre i miei singhiozzi, la luce dei lampi mi abbaglia facendomi diventare cieco di dolore, il frinire dei grilli accompagna la mia malinconia occupando il vuoto della notte.
Senza neanche accorgermene mi sono seduto sotto ad un salice; il freddo vento mosso dalla pioggia mi invade ghiacciandomi i muscoli, ciò vuol dire che di qui non mi muoverò.
Inspiro a pieni polmoni l’odore di umido che il brutto tempo porta con se, chiudo gli occhi e ascolto il ticchettio sulla bara di Willow.
Annuso l’ aria, come è mia abitudine fare ormai da quando ho lasciato casa, differenziando ogni minima sfumatura di odore che percepisco: l’odore del sangue che ho sulle mani domina la scena, seguito a ruota dalla puzza di cenere e dal profumo del muschio.
 
Non ho ancora ben elaborato, pur essendo passati due giorni da quando è successo, la sua morte. Avvicino le ginocchia al petto e le circondo con le braccia rannicchiandomi in posizione fetale, così almeno mi sento un attimo più protetto rispetto a quello che sono. Questo movimento comporta l’allungamento di alcuni muscoli di cui non sapevo neanche l’esistenza: le mie braccia sembrano immobili ad ogni sforzo, la mia schiena duole.
Alcune ombre indiscrete mi attraversano gli occhi, ogni tanto mi portano qualche piccolo pesce da mangiare o un sorso d’acqua da bere, ma non me ne curo. Tutto scorre come un film a rilento, uno di quelli che si inceppa nel lettore DVD perché troppo strisciato: io sono il protagonista che dal nulla totale sale di livello grazie all’aiutante e, dopo che questo tragicamente muore, torno al livello zero.
Il livello zero mi piace: rimango invisibile agli occhi degli altri, posso stare tranquillo con i miei pensieri, piango fin che voglio senza paura che qualcuno mi veda ma soprattutto sono di nuovo solo. Una solitudine diversa dal solito; non quella che ti accompagna per tutta la vita, ma una che ti stringe a braccetto da un certo punto in poi aiutandoti a non inciampare.  
 
In realtà la mia solitudine è fasulla, qualcuno c’é.
Due … No, tre paia di occhi mi scrutano da tutto il tempo; solo che i conti non tornano. Shelena e fanno due, la ragazza di cui ancora non so niente e fanno quattro. Gli altri?
 
Questi girano a turno come una roulette russa seguendo le mie emozioni: se oggi, che mi sento stranamente meglio rispetto agli altri giorni, mi porta da bere Shelena, il giorno in cui è morta Willow, in cui ero terribilmente depresso, ci fu la ragazza nuova, ieri che ero rilassato e rigido allo stesso tempo un altro paio di fessure mi guardavano.
 
Di quando in quando, le sento discutere tra di loro come non fossero in uno stesso corpo, quasi potessero dividersi l’una dall’altra e vagare per conto loro.
Io rimango qui, imperterrito nel mio essere chiuso, focalizzandomi sulle piccole macchie di sangue che ho ancora sulle mani e che nessuno, nemmeno io, ha pensato di lavarmi via: quello di Willow, troppo importante per essere eliminato, troppo importante per lasciarlo sparire.
 
“Diana ti prego … Aiutalo!” La voce di Shelena pare preoccupata, ma nessuno risponde al suo appello.
Solo dopo un lungo silenzio la ragazza dalla voce roca, che ora si rivela con il nome di Diana, figlia della Luna Crescente, spezza l’attesa proferendo parola:
“Dovrebbe aiutarla Ecate, sappiamo entrambe che è lei quella sentimentale …” riconosco nelle sua parlata un pizzico di sarcasmo, ma anche una punta di realtà che la tradisce.
 
Il discorso mi confonde, non riesco a capacitarmi del fatto che in una persona ce ne possano essere altre due. Alzo appena lo sguardo cercando di mettere a fuoco la scena ma davanti allo sfondo boschivo in cui abbiamo seppellito Willow, trovo solo Shelena che gesticola visibilmente. Poi, facendoci più attenzione, aguzzando la vista e drizzando le orecchie, qualcosa di lei cambia ad ogni battuta: la sua voce e i suoi occhi, in base a chi sta parlando, mutano.
 
La più calma delle tre, quella che sembra chiamarsi Ecate, ha un paio di occhi color nocciola sbiadito, noto anche nella sua voce quella sensazione di vissuto di quando stai parlando con un anziano.
Comprendo che mi hanno visto alzare la testa perché i loro occhi girano in rapida successione in modo che tutte e tre possano vedere cosa sta succedendo.
Voglio andare più a fondo alla questione ed allora appoggio le mani nell’erba umida della sera e mi do una spinta per alzarmi. Avanzo barcollando verso di lei, o meglio di loro, un passo pesante dopo l’altro con le braccia morte lungo i fianchi.
 
Lei, avendo capito le mie intenzioni, scatta in avanti afferrandomi per le spalle. Una presa salda ed allo stesso tempo morbida mi afferra e so di essere al sicuro. Per un attimo chiudo gli occhi, dalle sue mani un piccolo bagliore argentato circonda le mie forme e avvicinando le sue labbra alla mia fronte imperlata di sudore mi stampa un bacio.
Capisco che lei è la più pudica delle tre dal semplice fatto che non si azzarda a profanare il mio petto, semplicemente ci appoggia una mano sopra accarezzandolo. Mi sento stranamente al sicuro così apro gli occhi.
 
Una piccola casetta di mattoni con un caminetto che fuma, governa la pianura che ci sta di fronte. Intorno, il grigio dell’imbrunire incupisce le ombre che si stanno allungando. Sullo sfondo una cornice di alberi si staglia nera come la pece facendomi rabbrividire. Un corvo da qualche parte urla.
Ci avviciniamo percorrendo la strada di ghiaino che collega la via principale alla casetta, facendo piccoli passi per non stancare troppo Ecate che ora risulta una donna anziana e minuta, una piccola treccia raccoglie i suoi capelli e un paio di occhiali squadrati le nascondono le borse sotto gli occhi causate dalla vecchiaia.
 
Mi prende per mano e una strana scossa di terrore si diffonde nel mio corpo, capisco che il posto non le piace ma che è lì per farmi un favore, così ricambio la stretta per infonderle sicurezza.
Con la mano libera afferra il batacchio sulla porta e lo fa sbattere due o tre volte rumorosamente. Una lugubre cantilena va allargandosi nell’area circostante e a quel suono la porta si apre.
 
Avanziamo cautamente attraversando il corridoio addobbato da mensole con una marea di libri di ogni genere e da piccole foto incorniciate sulle pareti. Mi fermo un momento per studiarne una che raffigura una giovane donna in bianco e nero che bacia dolcemente sulla guancia un uomo. Mi domando se troverò mai qualcuno che lo farà con me …
Stranamente so esattamente dove andare, così mi dirigo all’ultima porta in fondo a sinistra. Svolto bruscamente e rimango immobile davanti a ciò che sta succedendo. Un’ anziana donna, molto di più di quella che mi sta accanto, seduta su di una poltrona azzurra è indaffarata a lavorare a maglia. Sfila la lana dal suo rotolo con eccezionale maestria punto dopo punto intrecciando quella che sembra essere una copertina con ricamato sopra un “Benvenuto” in caratteri colore dell’acqua cristallina.
 
Faccio mente locale ripensando ai primi due ricordi che mi hanno mostrato Diana e Shelena e, comparandoli con quello che sto vivendo ora, non hanno nulla di simile. Non capisco perché Ecate abbia voluto mostrarmelo così interviene spiegandomelo. “Tieni gli occhi bene aperti, ragazzo mio…” alza l’indice della mano sinistra indicando la
 
 Porta d’entrata che si apre sbattendo violentemente ed un giro d’aria si diffonde per la casa facendo cadere la foto che ho guardato prima spezzando il vetro giusto a metà. Il nero più totale dell’ esterno entra in casa strisciando come serpi, si allunga sul pavimento fino ad arrivare alla porta del salotto dove la donna sta lavorando a maglia. Dall’ombra emerge una losca figura e , voltandosi per guardarlo dritto negli occhi, la nonna parla. “Dimmi, Messaggero della Notte, cattive notizie giusto?” la donna continua a filare la lana fissando l’uomo che, dopo aver alzato una mano ed averla portata alla bocca, ne sfila da questa le parole che vuole pronunciare. Queste, cadono morte a terra macchiando il tappeto.
 
Vanno a formare una piccola, semplice frase che si imprime a fuoco nel pavimento.
 

“Nessun “Benvenuto”, mia Signora”  

 
La donna spalanca gli occhi scossa dalla tragedia, stringe le mani attorno ad un ferro e, dopo aver sfilato i punti con una maestria e velocità innaturale, lo scaglia al petto del Messaggero che si dissolve nell’aria schizzando inchiostro ovunque.
Una piccola lacrima riga la guancia della nonna che impugnando l’unico ferro che le è rimasto in mano, se lo conficca nel cuore.
 
Noto che un cupo sorriso malinconico si è formato sul viso della donna che mi sta affianco ed una sensazione d’inadeguatezza si fa strada in me.
 
Cade a terra con un tonfo sordo, il batuffolo di lana rotola qualche metro più in la andando a sbattere contro il divano.
 
La sua bocca spalancata sul tappeto, gli occhi color nocciola sbarrati, e il piccolo rigagnolo di sangue che corre sul pavimento mi fa concentrare su un particolare che sembra collegare tutte le loro storie: Shelena, seppur scappata dal convento di sua spontanea volontà, è morta accidentalmente nel pieno della crescita;
Diana invece è stata fatta fuori dall’uomo sulla scogliera quando ancora era una bambina.
Per finire, Ecate ha provocato lei stessa la propria fine quando ormai la vita è arriva al termine.
 
Omicidio.
Morte accidentale.
Suicidio.
 
Infanzia.
Pubertà.
Vecchiaia.
 
Che ci sia un qualche strano piano dietro a tutto questo?
 
Tornando alla scena della morte della nonna, mi sorge un dubbio.
“Vecchia Ecate, come mai lei non è stata colpita dal raggio lunare?”
Di risposta alza una mano cambiando la scena. La Vecchia Ecate, non essendo ancora morta, non poteva essere salvata …
E proprio nel momento in cui mi accorgo che il suo cuore batte ancora sangue nel suo fragile corpo centenario, una mandria di ratti irrompe dalla porta nella stanza fiondandosi sulle carne.
Urla strazianti, seppur flebili, risuonano per tutta la pianura; ed è proprio nel momento in cui i piccoli incisivi dei roditori strappano la pelle e la graffiano, che la Luna fa il suo intervento.
 
I ratti scappano davanti alla potenza luminosa del raggio, la vecchia viene portata sul divano e qui, spogliata dei suoi vestiti, viene curata.
Le ferite scompaiono, i pezzi di carne ritornano incredibilmente al loro posto,gli occhi si spalancano.
 
Il cuore martella all’interno del mio petto e questo Ecate deve averlo percepito perché mi riporta alla realtà e tutto diventa confuso.
 
Il vociare delle tre donne si fa più fitto ed alla fine, come conclusione, Diana zittisce tutte.
“Domani ci sarà la Luna Piena. Sappiamo tutte cosa succederà, ed allora lui potrà vedere.”
Nel suo tono tutta la violenza è sparita, rimane solo un filo di pacata tensione.
 
Morfeo mi riprende tra le sue braccia mentre aspetto domani notte.








*******************************
Bene, dovete sapere che il signorino qui presente è stato RIMANDATO indipercuiche dovrà studiare per la bellezza di 25€ l'ora da una cicciona di medda.
Ecco spiegato il motivo per cui sono DI NUOVO IN RITARDO.
Mi scuso per il ritardo...ancora...
Beh, di questo capitolo amo la descrizione del paesaggio della casetta...Penso mi sia venuto bene no? NO??*cerca gente che fa si con la testa* COMMENTATE EH!!
Ci si sente,
-Matt che deve studiare Economia Aziendale e anche Matematica. Maledizione.


P.s. Chiedo scusa per le lacrime che vi ho fatto versare per la morte di Willow, perché SO CHE CE NE SONO STATE!*seeeeeeeee* Au revoir ;)

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Capitolo 11
*** 2° PARTE-Un nuovo inizio ***


XI

 
Il nero della notte andava affievolendosi quando Jeremy, ancora intorpidito e mezzo addormentato, si alzò per andare in bagno.
Si diresse verso il primo albero che trovò e, dopo essersi abbassato la zip, liberò la vescica.
 
Chiuse gli occhi per godersi quell’ attimo di totale silenzio e pace interrotto solo dal suo getto caldo che si infrangeva sulla corteccia e pian piano andava calando fino ad arrivare tra le sue gambe aperte.
Il frinire dei grilli della notte aveva lasciato il posto al cinguettare degli usignoli. Qualche chilometro più in la, qualche decina di metri da terra, un falchetto cadeva in picchiata dopo aver adocchiato un piccolo topolino di campagna che, ahimè, ormai era diventato la colazione del rapace.
 
In lontananza, giusto dietro alla riga di montagne che circondava la valle, il sole iniziava ad alzarsi irradiando di luce il bosco che non sembrava più tetro e spettrale come la notte precedente.
A dir la verità, non era successo un gran che durante la notte, ma a lui il paesaggio notturno proprio non piaceva; almeno in queste situazioni.
 
Jeremy si stiracchiò emettendo un gemito di piacere misto al dolore dei muscoli ancora indolenziti. Si richiuse frettolosamente la zip e si diresse lentamente verso il fiume che scorreva poco più in giù.
Si portò dietro una borraccia che avrebbe riempito d’acqua per Willow e per Shelena.
 
Camminò incespicando tra i sassi ma quando arrivò al fiume, dopo aver immerso le mani ed essersi lavato il viso, fece scivolare il liquido cristallino nel contenitore e si sedette sull’argine a godersi la giornata limpida che gli si prospettava davanti.
Dopo aver immerso i piedi con una certa calma, -la notte aveva fatto abbastanza freddo ed ora l’acqua era più ghiacciata del solito- li agitò provocando qualche schizzo che lo rinfrescarono.
Sul letto del fiume, qualche metro più in giù, vide sguazzare un paio di pesci che gli fecero salire la fame ed allo stesso tempo gli misero in corpo una voglia di muoversi che lo lasciarono sbalordito. Si alzò silenziosamente cercando di fare il minimo rumore possibile, si avvicinò ad un grosso masso che spuntava dall’ acqua sul quale si sarebbe potuto appoggiare, e dopo averlo fatto, studiò l’animale che gli nuotava un metro più in là.
Non gli ci volle molto per sorprenderlo ed afferrarlo trascinandolo a bruciapelo all’aria fresca della mattina, la cosa difficile fu tenerlo in mano. Così, quando si accorse che forse non sarebbe stato in grado di mantenere una presa salda, la scagliò a riva lasciandolo muoversi come ,appunto, un pesce fuor d’acqua.
 
Questo lo fece sentire per un attimo potente. Solo per un attimo visto che ,dopo essersi accorto che stava giocando con la vita di un animale, il tutto lo rese riluttante all’idea.
Cinse con la mano sinistra quella povera creatura di circa trenta centimetri e, dopo aver afferrato un sasso abbastanza importante per la causa, lo scagliò dritto sulla testa mettendo fine ad ogni movimento.
 
Un sorriso di soddisfazione comparve sul suo volto. Si alzò con il pesce e la borraccia nelle mani e si diresse all’accampamento dove le sue due amiche lo stavano aspettando, quasi sicuramente, addormentate. Si complimentò con se stesso quando riuscì ad accendere anche un piccolo fuoco sul quale avrebbero potuto abbrustolire l’animale.
 
Non passò molto tempo che i mugolii di Shelena lo distrassero dal fuoco, ma questi pochi attimi bastarono per bruciare la loro colazione. Imprecò dopo essersene accorto.
Shelena si alzò avvicinandosi al focolare, afferrò l’animale e gli diede un morso.
Jeremy penso che probabilmente o aveva molta fame o lo faceva solo per farlo felice. Optò per la prima e le sorrise calorosamente.
“Willow sta ancora dormendo?” La tranquillità con cui pronunciò queste parole travolse la ragazza facendole sgranare gli occhi.
“Jeremy, Willow è…” si fermò per cercare la parola adatta, per non ferire troppo i sentimenti di chi già aveva sofferto molto per la sua perdita ma nulla trovò che un semplice “…morta”.
Aspettò una qualche reazione in particolare e non ci volle molto per notare le vene del collo dilatarsi e comprimersi. Gli mise una mano sulla spalla e, dopo averla accarezzata come si fa con un animale selvatico, gli sussurrò qualche parola all’orecchio.  Parve calmarsi quando si alzò e si diresse verso la bara di ghiaccio luminoso. Posò una mano e, dopo averla ritirata per il gelo che gli partì quando la sfiorò, le disse addio una volta per tutte.
 
“Dobbiamo andarcene, non abbiamo più niente da fare qui” Jeremy spezzò il velo di silenzio che aveva coperto il bosco, e quando Shelena gli disse che la notte stessa doveva vedere, lui rimase un po’ deluso. Ora che Willow se ne era andata pensava di poter prendere il suo posto, di poter essere forte come lo era stata lei, ma evidentemente non era ancora il suo momento.
 
La vecchia Ecate girò gli occhi al cielo ed annunciò che ci sarebbe stata una luna piena fantastica quella notte, proprio da non perdere. Se Jeremy si fosse concentrato un po’ più sul viso in generale invece che soffermarsi solo agli occhi, avrebbe notato il suo ghigno quasi ambiguo.
 
Lui e Shelena si allenarono tutto il pomeriggio armeggiando con bastoni che fungevano da spade. Proprio come, venne in mente al ragazzo, aveva fatto precedentemente con la sua maestra. Fece spalline ridacchiando quando la sua amica inciampò in una radice e finì di faccia nella terra. Abbassò la guardia per un solo istante, ma fu sufficiente per finire a terra con Shelena che gli schiacciava la gola con il piede. Si ergeva alta e forte sopra di lui, una piccola goccia di sudore solitaria le rigò la fronte. Rise fragorosamente dopo aver chiarito che “mai e poi mai, bisogna abbassare la guardia.” A Jeremy parve di captare, in mezzo a quelle risate, un pizzico di vecchiaia e di esperienza in battaglia che dovevano arrivare dall’interno, da Ecate e Diana.
Quella sera i corvi disturbavano la melodiosa canzone prodotta dai grilli e dalle cicale. Uno si stagliò in volo coprendo per un attimo la visuale di quella che sarebbe diventata la loro guida: la Luna.
Erano rimasti attorno al fuoco quasi tutta la notte parlando di come sarebbe stato bello se si fosse potuto tornare indietro di qualche decina d’anni, giusto per provare a vivere l’ebbrezza dell’essere nato in un mondo “puro”. Jeremy sapeva che di puro il mondo non aveva nulla ma stette zitto e l’ assecondò nel discorso.
Stringeva in mano un piccolo ramoscello su cui aveva scaricato le proprie ansie per tutto il pomeriggio e che, ormai, aveva perso tutto il suo vigore: l’aveva rigirata tra i palmi talmente tante volte che non aveva più la corteccia.
 
Gli occhi di Diana girarono comparendo all’improvviso e quasi spaventarono Jeremy che ancora non ci aveva fatto l’abitudine.
Parlò con voce roca e pacata dicendo che ormai l’ora era vicina, e che quindi era meglio avvicinarsi all’acqua per fargli vedere cosa sarebbe successo.
 
Shelena lo prese per mano, una stretta che gli sembrò molto dolce e protettiva. Camminarono per manina senza dirsi nulla, passo dopo passo. Lo scrosciare dell’acqua attutiva i versi dei corvi e a Jeremy salirono i brividi per il freddo. “Forse è meglio se ti siedi …” disse Shelena parlando tra sé. Gli mollò la mano e lo accompagnò a sedersi su una roccia poco distante da dove lei sarebbe entrata in acqua a piedi nudi.
“Cristo ti ghiaccerai lì dentro!” La sua voce appariva mozzata dal gelo ma in cuor suo Jeremy sapeva che non parlava così per il freddo, bensì per la paura che Shelena si potesse prendere qualche strano malanno e che lo avrebbe abbandonato anche lei.
“Sta tranquillo, caro.”
 
Ora si trovava con l’acqua che le arrivava ai fianchi. Le braccia, morte lungo di essi, erano bagnate fino ai polsi.
Shelena pronunciò qualche strana parola e Jeremy, affascinato ed allo stesso tempo impaurito, alzò di riflesso la testa alla Luna.
Appariva più brillante e più viva, e lo si poteva notare facilmente dalla luce che stava iniziando a sprigionare.
Shelena aprì le braccia formando un angolo di 180 gradi, facendo alzare l’acqua che ricadde sopra di lei bagnandola. Poi,  portandole sopra la testa e facendo sbattere i palmi l’uno contro l’altro, la Luna rispose.
Successe tutto talmente veloce che Jeremy non ebbe il tempo di registrare perfettamente ciò che si stava verificando: la Luna mandò un raggio che si schiantò direttamente sulla mani di Shelena che poi si propagò per tutto il corpo rendendola splendente.
Una cosa che Jeremy fissava erano gli occhi, il suo unico portale per comunicare con tutte e tre. Variavano colore passando dalle tonalità di Diana a quelle di Ecate fino a tornare a quella della ragazza che poco prima gli stringeva la mano.
 
Un roco urlo di piacere gli fece girare la testa e quel che vide lo lasciò senza parole.
Una bambina martoriata e sanguinante si spingeva a riva facendosi accompagnare dalla corrente. Era debole solo di aspetto visto che si muoveva agilmente tra i sassi che bloccavano la via dell’acqua. Aveva un qualcosa di strano perché pian piano, ad ogni passo che faceva, l’acqua gli entrava nel corpo e la faceva crescere fino a quando, arrivata a riva, era ormai una ragazza dell’età di Shelena.  
 
Gli occhi viola e felini di Diana lo osservavano. Si passò la lingua inumidendosi le labbra ed in un batter d’occhio se la ritrovò di fronte, come quando aveva preso possesso del corpo di Shelena e l’ aveva baciato. “Le tue labbra…” gli passa un dito sulla guancia “…Quanto mi sono mancate queste dannate labbra.” Sgusciò di prepotenza con la lingua nella sua bocca e gli cinse la testa con le mani spingendola verso di lei.
“Oh Diana, sei sempre la solita scortese. Smettila!”
 
Da dietro di lei comparve Ecate  di cui riconobbe la voce ferma e composta di chi sa come ci si impone. D’altro canto, lei aveva i sui scagnozzi d’inchiostro da comandare.
 
“Ma mi stavo solo presentando come si deve!” Si girò verso di Jeremy e sorridendo allungò una mano: “Piacere, Diana. Ma mi conosci già no? Bacio bene, vero?”  Non sembrava affatto pentita di quello che aveva fatto, anzi. “Io..Io, piacere Jeremy” la guardò incerto sul da farsi, ma quando Shelena riemerse dall’acqua spezzò il silenzio.
 “Ma tranquille voi due, sapete benissimo che mi ci vogliono un sacco di energie per separarmi da voi. Fate pure come se fossi ancora in piene forze.”
Ecate rise nel vederla imporsi così come mai aveva fatto: era sicuramente cresciuta dall’ultima volta che si erano separate.
 
“Bene Jeremy, noi siamo le Figlie della Luna. Ognuna di noi è morta per una causa in particolare ed è poi stata riportata in vita dal nostro Satellite. Nessuno, nemmeno noi, sa perché Lei dia una seconda possibilità a determinate persone ma sta di fatto che siamo qui. Quello che io, come penso anche Shelena e Diana, vogliamo farti sapere è che noi ti appoggeremo insegnandoti tutto quello che sappiamo su questo mondo così che tu possa adempiere alla tua missione.”
Jeremy le guardò tutte e tre, una al fianco dell’altra. Poi le guardò e le riguardò di nuovo. Solo alla terza volta che le ebbe viste tutte disse qualcosa. Beh, “qualcosa” era pressoché un rantolo di sorpresa misto a … disgusto? No non lo era, era più una sfumatura di incomprensione.
Non riusciva a capire con che criterio le tre riuscivano a scambiarsi gli occhi e la voce da un corpo solo, non comprendeva come fosse possibile dividersi da quel corpo e diventare un trio. Non capiva nulla di loro.
 
Quasi come di risposta, dopo aver letto i suoi pensieri, Diana ridacchiò. “Sei così carino quando non capisci le cose, tesoro.”
Si girò verso le sorelle come per chiarire che quella parte del racconto era la sua, così parlò. E la cosa imbarazzò non poco Jeremy che ora si ritrovava una mano sulla coscia.
 
“Da dove posso iniziare?” Parlava tra se ma era certa che lui la stesse seguendo.
“Dunque, visto il fatto che noi abbiamo avuto una seconda possibilità, e fammi sottolineare che darne una ad una vecchietta è pressoché inutile,-qui Ecate la colpì in testa facendola irritare non poco-…Oh dai nonnina, non ti offendere. Stavo dicendo che la nostra seconda possibilità è un’opportunità di vita migliore, per il semplice fatto che rimarremo così fighe per il resto della nostra esistenza.” Detto questo staccò la mano dalla coscia di Jeremy e ancheggiò  mostrando le sue forme e quelle delle sorelle, belle quanto lei.
 
 “No, a parte gli scherzi… La Luna ci ha concesso dei poteri che lei stessa ci trasferisce in caso di bisogno, ci basta metterci in contatto con lei e ci manda un po’ di quella robetta sbrilluccicosa che ti arrostisce in meno di un secondo. Cazzo, si!” fece una pausa per prendere fiato e saliva, poi continuò “Sta di fatto che, ad ogni luna piena, noi possiamo uscire dal nostro Corpo Portante, Shelena, e finchè lei non lo decide, e su questo punto sono totalmente in disaccordo, possiamo sguazzare libere nei nostri corpi.
Tuttavia, può richiamarci solo nelle notti in cui la luna è piena ed allo stesso modo ci può far uscire.” Si girò verso Shelena e le rivolse la parola, quasi ignorando totalmente che Jeremy pendeva dalle sue labbra e che voleva sapere di più.
“Sorellina cara, dolce, piccolo tesoro, tu non hai intenzione di rificcarci in quella prigione vero? Vero?”
 
“No, per il semplice fatto che non ne ha le forze. Ed in più sappiamo entrambe, Diana, che vuole stare da sola con lui” Ecate si intromise nel discorso, e quello che disse provocò non poco imbarazzo ai due ragazzi.
 
“Ehy, volete finire di raccontarmi la storia? Odio lasciare un libro a metà!” Jeremy parve scocciato ma le tre sorelle si guardarono e risero alla sola idea di essere state paragonate ad un libro.
“Mio caro ragazzo” Sembrava strano sentir parlare una ragazza giovane e bella come Ecate, come una persona anziana. Jeremy pensò che questa era una delle cose da appuntare nel suo taccuino mentale ‘Cose di cui è meglio non discutere- evitiamo discorsi che potrebbero calare in spiacevoli inconvenienti’. “ siamo solo alla prima pagina di un libro che dura centinaia di pagine. La vita non è che un grande libro che noi stessi scriviamo, sta a noi girar pagina”
 
“Bene, vorrà dire che è arrivato il momento di voltare pagina.” Jeremy era convinto, glielo si leggeva nello sguardo: uno sguardo pieno di furore e voglia di andare avanti.
 
E da qui inizia la sua, e la loro, vera e nuova storia.
 



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Tadààààààààà !!!
Bene, mi scuso per lo STRAGRANDE ritardo ma sono appena tornato dal mare -si alla faccia vostra, ora sono un nigga-
Dunque, vorrei avvisarvi sono un casino sotto pressione per sti cazzo di esami che ho il 28-28 agosto e che me la sto facendo addosso. Ma non importa vero? Al massimo mi segano._.

Dunque, vorrei dire che ho deciso di dividere il libro in 3 parti. La prima, i primi 10 capitoli, è stata scritta dal punto di vista di Jeremy e quindi in prima persona. In questa, ovvero la seconda, ho deciso di cimentarmi nella scrittura in terza persona-giusto per vedere quale delle 2 viene meglio-. La terza parte varierà in base a come commentate, quindi fatemi sapere!! RECENSITE!!... Preciso che se vi da fastidio il passaggio prima-terza persona non avete che da dirlo e ripubblicherò questo capitolo riportandolo alla prima persona :)
Ad ogni modo, sono molto felice di come mi è riuscito questo capitolo.

Ringrazio la mia semi beta-ancora non molto esperta- *applauso della folla* e ringrazio le recensioni che mi sono state fatte, in particolare da Flareon24 -tesovo gvazie ahahah-, a Water_wolf -che spero non sia morta visto che non l'ho più sentita!-, e a Hellen96 -sai vero che ora sei legata a me e dovrai recensire OGNI CAPITOLO?- *risata malefica*
Ringrazio poi gli amici- in particolare Mati, Ire e Vero- che mi supportano sempre. Alle prime 2 ho anche da dire che non trovo il modo di inserire nel testo i vostri "troppissimo" e il nome del tipo che tra l'altro mi sono già dimenticato, sorry ç.ç

Infine, dopo tutte ste menate dico che ho riletto il testo ma è stato difficile scrivere in terza persona quindi troverete sicuramente-ci metto le mani sul fuoco- trovare qualche punto in cui Jeremy parla in prima persona. MI SCUSO!


-Matt nigga

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Capitolo 12
*** Piacere e Pazzia ***


XII
 
Quando Jeremy Landel  afferrò la pagina in pergamena profumata di quel libro chiamato vita, di fatto non sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Non sapeva che tutto sarebbe cambiato più di quanto non lo era già.
Lui, non si aspettava che avrebbe cambiato se stesso e gli altri.
 
I quattro restarono per altre due buone ore a parlare del più e del meno,  cosa che sembrò stancare molto Ecate visto che partecipava alle conversazioni di rado, ma dando un significativo contributo a tutto il discorso. Shelena invece ammiccava e sorrideva ogni tanto, giusto per far capire agli altri che stava  ascoltando ciò che una prepotente Diana stava dicendo.
Jeremy si era alzato un paio di volte per “far stiracchiare un po’ queste fragili gambe”, ma tutti sapevano che in realtà era pressoché basito dalle informazioni che le tre sorelle gli avevano dato. La prima volta che lo fece fu quando Diana dichiarò di odiare il Corpo Portante principalmente perché dietro le sbarre della prigione “non poteva dare sfogo a ciò che pensava” ed in effetti era vero visto che Shelena teneva a freno la maggior parte dei pensieri che Diana e Ecate le propinavano.  Jeremy non volle sapere nello specifico a cosa si riferisse la più peperina delle tre ma questa, armata di un cinguettare giulivo che avrebbe fatto invidia ad un usignolo,  sputò tutto quello che aveva dentro iniziando da uno dei punti più caldi, se così si può definire.
 
“No care, non azzardatevi a fare quella faccia disgustata perché sappiamo tutte che non siete delle sante.” Il suo tono di rimprovero provocò nel ragazzo una lieve sfumatura di stupore, visto che la maggior parte delle volte era lei ad essere rimproverata. 
“Vedi, tesoro,” mosse le labbra lentamente accentuando i movimenti, in modo che tutto il suo fare da gatta vogliosa venisse allo scoperto “anche se siamo pressoché sempre rinchiuse in questa specie di casa che la Luna ci ha assegnato, abbiamo bisogno tutte di…ehm, quella cosa” Jeremy sembrò confuso dal suo pudore nel dire una determinata parola ma fece scorrere le lettere come poco più in là l’acqua scorreva verso sud.
Iniziava a fare freddo e Jeremy sfregava ,di tanto in tanto, le mani l’una con l’altra cercando di produrre calore. Qualora  anche quel tipico gesto di ricerca del calore sembrava inutile allora congiungeva le mani a coppa e le avvicinava alla bocca alitando un soffio caldo che per qualche istante sembrava placare il bisogno di un fuoco.
Shelena sembrò cogliere al volo il pensiero del ragazzo e di soppiatto si allontanò dal gruppo per qualche decina di minuti.
 
“Hai capito no?” Avvicinò la mano destra, nella quale aveva unito pollice e indice formando un cerchio, e l’indice della sinistra ma non riuscì a finire il gesto perché una prorompente ma assonnata Ecate alzò una mano schiaffeggiandola sulla spalla. Un piccolo, flebile risolino uscì da Diana che lasciò la parola alla sorella maggiore.
 
“Vedi, piccolo,  detto in maniera concisa noi siamo persone in carne ed ossa e come tali abbiamo i nostri bisogni.” Tirò un’ occhiataccia alla sorella rimproverandola di aver tirato fuori, tra tanti punti della lista delle cose di cui parlare, proprio quello.
“Oh senti vecchia, se io ho voglia non è colpa mia!” sbuffò e lasciò cadere il discorso.
 
L’aria che tirava quella sera era perfetta: un flebile e mellifluo suono di fronde sbattute tra di loro accompagnava il discorso provocando nel gruppo un senso di materna tranquillità che quella terra stava dando a tutti.
Per la prima volta dopo molto tempo, Jeremy si sentì realmente a casa. Non fu una sensazione brusca o troppo violenta; risultò tutto molto calmo e tenue. Le tre ragazze lo facevano sentire vivo: amava i modi di Diana di ammiccare sensualmente, adorava perfino il senso di vecchio che distribuiva Ecate quando parlava. Ma cosa ancora più importante, si rese conto che Shelena era perfetta. In tutti i sensi in cui una persona può esserlo. E quando si accorse di star pensando ad una persona che fisicamente non era lì con loro si alzò e andò verso il limitare del bosco per cercarla.
 
Camminava piano affondando i passi nei fasci d’erba mossi dal vento, contando ogni falcata che faceva. Arrivato alla numero trentotto alzò la testa e guardò muovendola qua e là, cercando di capire dove si trovasse e con chi fosse.
Dall’analisi del tutto risultò che era finito, involontariamente e quasi inconsciamente, sotto ad una grossa quercia che otturava la sua vista. Mentre l’ aggirava passò una mano sulla solida corteccia fredda. Sentiva ogni fibra della pianta muoversi, capiva che una piccola tarma la stava ferendo mangiandola dall’interno. Aveva anche capito che in quel luogo, sicuramente non ancora da lui e dalle sorelle visitato, non era un posto dove soffermarsi allungo.
 
Ma i ragazzi a certe cose non ci pensano, proprio non ci arrivano. Se qualcosa va storto, se sono in un bosco buio e in qualche strana occasione hanno la sensazione che ci sia qualcosa che non va, fanno di testa loro.
E  fu quello che fregò Jeremy, fu il sentirsi sicuro di quello che stava facendo che lo mise nei casini ancora una volta. E ci mancò poco che non ci lasciò le penne.
 
“Shelena, dove sei?”  le parole uscirono come quando si sputa la sabbia dopo essere stati sbattuti a riva da un’onda troppo forte per poterla gestire. E quella fu effettivamente un’ onda troppo grossa per un povero ragazzo come lui.
 Il suono della sua voce riecheggiò nelle tenebre diminuendo di momento in momento. Passarono quasi cinque minuti nei quali raccolse il coraggio per girarsi e vedere cosa aveva calpestato un ramo secco, ma non volle averlo fatto. In piedi, appena sotto la quercia, una Bimba aveva la testa china ed i capelli le coprivano il viso rendendo tutta la cornice, per chi la guardava dal basso verso l’alto come Jeremy, molto lugubre.  In mano, con presa salda e violenta, teneva per il collo uno scoiattolo che con l’ultimo squittio si lasciò andare. La bambina portò il corpo alla bocca e affondò i denti nel folto pelo. Il sangue schizzò sulla vestaglia colando sulle sue gambe fino ai piedi. Da dietro l’animale, la Bimba fece vedere le gengive in un sorriso a 32 denti-tutti tra l’altro molto poco curati-. Il suo sguardo carico di sangue vagò per parecchio tempo, da capo a piedi, prima che la bambina decise cosa fare.
Lancio lo scoiattolo verso Jeremy, la folta coda marrone roteava nell’aria. Cercando di scansarsi dalla carcassa che lo avrebbe colpito in pieno abbassò la guardia e quando la Bimba gli era ormai addosso fu troppo tardi anche solo cercare di sferrare un destro per difendersi.
L’orribile bambina si ritrovava ora seduta sulla pancia di lui che, dopo essere caduto, aveva sbattuto il coccige urlando di dolore. Gli afferrò le mani per tenerle ferme piantandole a terra e soffiò aria dalla bocca per spostarsi i capelli che le occupavano la vista. Il suo volto, bianco e in alcuni punti cianotico, era rigato da graffi e da morsi. A Jeremy balzò alla mente che non tutte le sue prede morivano prima di essere mangiate. E lui era decisamente una sua preda.
Aveva ancora il sangue che le colava dal mento mischiato con la bava e quando avvicinò il viso al suo collo, Jeremy urlò. Urlò tutto quello che aveva dentro.
Il sangue iniziava a colare lentamente: la Bimba voleva giocare. Aveva solo conficcato i canini come fanno i vampiri e strisciava la lingua nei buchi cercando di infilarcela dentro provocando fitte di dolore al povero ragazzo che ora piangeva.
Con tutta la forza che riuscì a raccogliere mosse il braccio sinistro ancora stretto da una presa formidabile e si liberò. Sganciò un pugno dritto alla guancia e sentì la mascella della Bimba uscire dal suo asse. Quando questa  si ristabilì dal colpo, guardò dritto Jeremy negli occhi ed un rantolo di sorpresa le uscì dalla bocca. Se Jeremy avesse potuto fermarsi un attimo di più ad osservare, avrebbe visto che l’arcata dentale inferiore era quasi perpendicolare a quella superiore ma questo non sembrava preoccupare l’ essere che cercò di agguantare ancora la sua vittima. Ma Jeremy si scostò i tempo e questa cadde a terra di faccia. Quando si girò per rimettersi in piedi, ricevette in faccia un calcio ben assestato che fece volare la mascella qualche metro più in la. In quel momento, quando il tonfo provocato dai denti che sbattono sulle radici della quercia riecheggiò nel sottobosco, si sentì potente. Si rese conto di poter fare ciò che voleva. Avrebbe afferrato per il collo quel mostro e le avrebbe staccato la testa con forza. Oh, come gli piaceva questa sensazione …
La Bimba rimase in ginocchio per qualche secondo, guardando Jeremy da una prospettiva ancora più bassa del normale. Nel suo sguardo si percepì il pensiero della sconfitta seguito a ruota da quello della morte. Quest’ ultimo però non sembrò essere provocato dal ragazzo.
Un raggio di luce colpì in pieno la Bimba carbonizzandola all’ istante. Il corpo ricadde morto al suolo e subito dopo si sgretolò diventando cenere portata via dal vento.
 
“Me la sarei cavata, maledizione!” era offeso, ma ancora di più si sentiva debole.
“Non ho alcun dubbio al riguardo ma quelle sono creature che non muoiono facilmente!” Shelena cercava di spiegare il perché del suo intervento ma sembrava che al ragazzo non importasse la sua tesi.
“Cristo Shelena, era senza mezza bocca! Avrei potuto finirla se solo me ne avessi dato il tempo!”
“Quindi ora uccidi? Ora sei diventato uno spietato assassino? Da quando Jeremy, eh? Da quando hai cambiato la tua natura?” Shelena urlava con aspro disprezzo quello che le uscì involontariamente dalla bocca. Aveva gli occhi lucidi, i pugni stretti lungo i fianchi per cercare di calmarsi.
Jeremy si sentì attraversare da una decina di lame affilate, roventi fitte che bruciano la carne. Stava diventando quello che non voleva essere? Era cambiato?
Ripensò alla  fermezza di spirito della sua mentore, a come lei sapeva controllarsi, sapeva sempre cosa fare. Lui no. Lui stava perdendo il controllo.
Ma cavolo, quella sensazione lo appagava. Come quando aveva nelle mani la vita della trota, qualche mattina prima. Anche lì si era sentito potente.  La morte lo rendeva vivo.
 
Un ghigno disegnato a matita fece capolino sulla sua faccia e rise. Rise istericamente. Convulse note di pazzia attraversarono il boschetto.
Tutto quello che lei poté fare per cercare di riportarlo sulla giusta via, tutto quello che lei voleva effettivamente fare fu una sola cosa: spinse per la seconda volta la sua mano dentro il suo petto. Fu difficile centrare il cuore al primo colpo perché Jeremy si dimenava follemente. Quando ci arrivò, impiantò le unghie in esso e lo strinse in maniera prepotente. Lo baciò mentre il suo cuore le pulsava nelle mani. Lui si calmò, spostò la mano sinistra verso il suo ventre, poi sempre più in su.
Scostò il reggiseno che intralciava la via e le palpò il seno. Fu strano per lei. Prese il  suo gemito come un invito ad andare avanti così si abbassò la patta, e portò la mano di Shelena sul suo pene. Le insegnò, pur non sapendo che era la sua prima volta, come si faceva. Aveva passato parecchie notti a sperimentare ed ora  il lavoro lo faceva un’altra per lui. E come lo faceva bene, maledizione.
Le loro lingue continuarono ad intrecciarsi quando lei lasciò la presa sul cuore e la portò al bordo della maglietta che gli sfilò velocemente.
Si staccarono un attimo, giusto il tempo di calarsi i pantaloni e togliersi la veste.  
Rimasero nudi, pezzi di carne che vibravano di piacere.
Il freddo che andava aumentando fece strani giochi con i loro sospiri: ad ogni gemito una nuvola di vapore si formava e scompariva.
Si stesero a terra insieme e rotolarono toccandosi per interminabili minuti. Lei sentì la sua bocca mordicchiare i suoi lobi. Gli fece fare quello che voleva, era sua ormai. Lui scese sul collo, glielo baciò dolcemente e dopo essersi soffermato un attimo sul suo capezzolo scese ancora. Il campanello dell’ascensore suonò, le sue porte si aprirono ed il paradiso li attendeva. Entrò in lei con prorompente voglia. Assaporò ogni movimento del bacino che faceva e ad ogni urlo di piacere di Shelena lui andava più a fondo. Mentre lei stava sdraiata di schiena con lui sopra, gli passò le mani sulla schiena graffiandolo. Lo baciò ancora e ancora. Poi, con un unico colpo finale, venne.
 
Fecero l’amore all’età di diciassette anni. Chi dice che è troppo presto? Loro si sentivano pronti, o semplicemente era la cosa giusta da fare in quel momento.
 
Stettero stesi l’uno al fianco dell’altra per tutta la notte guardando le stelle coperte di tanto in tanto dai rami degli alberi mossi dal vento. Poi Morfeo bussò alla loro camera e loro aprirono. 







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Allora, allora, allora... Io lo so che è un mese che non pubblico ma capitemi: tra esami e altre cose non sono riuscito ad andare avanti. In più, ad aggravare il tutto, ho avuto un blocco in cui ogni parola che scrivevo sembrava sbagliata. Mi faceva schifo TUTTO ciò che mi veniva in mente.

Spero almeno sia uscito qualcosa di probuttivo dal tutto...
C'é anche da dire che non ho l più pallida idea di come si scriva una scena di sesso per cui....Vi prego datemi consigli!
Fatemi sapere com'è lasciando una recensione-che non vi uccide state tranquilli!!-

Spero sia almeno decente, alla prossima
-Matt

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