Piccoli pirati crescono

di AxelKyo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Monkey D. Rufy ***
Capitolo 2: *** Roronoa Zoro ***
Capitolo 3: *** Portuguese D. Ace ***
Capitolo 4: *** Nami ***
Capitolo 5: *** Eustass Kidd ***



Capitolo 1
*** Monkey D. Rufy ***


Piccoli pirati crescono


Primo capitolo

Monkey D. Rufy


Era passato poco tempo da quando aveva ingurgitato il frutto del diavolo. Inizialmente, pensò che si trattasse di uno scherzo, una burla, tutt'al più se proprio proprio una candid camera di Shanks e dei suoi pirati. Andiamo, fatto di gomma, è impossibile! Ma poi si era dovuto ricredere. 
Prima reazione: rifiuto. Superata!

Poi, quando aveva realizzato che non avrebbe mai più potuto nuotare, (anche se per ora lo stile che gli veniva meglio era il mattone) gli si scaricò addosso una gran rabbia. Si lanciò contro un misterioso nemico immaginario (il suo riflesso in uno specchio) ma sbatté contro la superficie liscia, e cominciò a rimbalzare come una pallina impazzita in un flipper gigante. Arrestata la sua folle corsa, indolenzito e ferito nel proprio orgoglio di pirata dal sangue freddo, convenne che forse non era il caso di arrabbiarsi. 
Seconda reazione: rabbia. Superata!

All'improvviso, quatto quatto, si avvicinò a Shanks con stampata in volto un aria da duro. Porgendo al pirata una bottiglia di saké, e bevendo di gusto il suo succo di mela, disse: "ehi, amico, che ne dici di un accordo? Io ti cedo in esclusiva il potere del grande frutto del diavolo gomu gomu, e tu in cambio mi cedi i tuoi tesori, la tua ciurma e il tuo posto da capitano. Eh? Che ne dici? Eh? Eh?"
Il poderoso cazzottone che prese sulla zucca gli fece concludere la trattiva. 
Terza reazione: negoziazione. Superata!

Si stravaccò mestamente sul bancone della locanda, con un muso che arrivava fino al pavimento (per forza, era fatto di gomma) e le lacrime agli occhi. Rimpianse dolorosamente la sua giovane età, i guai che aveva dovuto patire, il disgustoso sapore di quel maledetto frutto ammuffito e il suo destino avverso. Lucky Roo si privò di uno dei deliziosi cosciotti della sua riserva privata extra, e sul volto del piccolo birbante si aprì uno smagliante sorrisone a trentadue denti. 
Quarta reazione: depressione. Superata!

"ok, è inutile piangere sul latte versato (anche se avrei taaanto voluto berlo)" disse Rufy abbarbicandosi su una sedia "diventerò il Re dei pirati, la mia ciurma sarà fortissima e temutissima e farò le chiappe viola a voi vecchiacci!" proclamò esaltato davanti alla ciurma del rosso. Errore: aveva parlato con foga. Dopo un istante si spiaccicò con la faccia gommosa sul pavimento, con la sedia rovesciata e accompagnato dalla scrosciante risata piratesca. Forse doveva riuscire a battere almeno una seggiola di legno, prima d'affrontare un gigante. 
Quinta e ultima fase: accettazione. Superata!


Angolo dell'autrice
Ciao a tutti! Prima di tutto, vi ringrazio per aver letto la mia storia, e ringrazio anche chi recensirà o mi lascerà consigli. Scusate se c'é qualche errore, o se l'HTML fa schifo, ma sto scrivendo dal cellulare e sto letteralmente impazzendo. 
A presto!

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Capitolo 2
*** Roronoa Zoro ***


Secondo capitolo

Roronoa Zoro

Una testa verde, per la precisione una testa verde con un diavolo per capello, fa capolino nella foresta …

Regia, ampliare il campo visivo, grazie.

L’essere umano al quale presumibilmente appartiene la testa (non si sa mai che strani scherzi possa giocare madre natura) è un soggetto quantomeno originale: un fanciullo, evidentemente imbizzarrito, occhi neri profondi e corrucciati, labbra arricciate in una smorfia sdegnosa, pugni serrati a tenaglia e passo pesante e strascicato. Al fianco tre katane (praticamente più grandi e pesanti di lui), una delle quali con una particolare elsa bianca.                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Il soggetto vaga (più o meno) serenamente, inghiottito dalla lussureggiante foresta … le fronde sono accarezzate da una leggera brezza, che diffonde nell’aria dei deliziosi effluvi (non di pediluvi, eh). Un magico concerto è eseguito per noi privilegiati spettatori: il lieve trillare degli insetti, lo squillante canto degli uccellini, lo scrosciare giocoso di un fiumiciattolo nelle vicinanze … ma il capolavoro sublime è il sommesso borbottio iracondo, arricchito da una lunga serie di imprecazioni non proprio ripetibili, generato dal ragazzino! Il sottofondo ideale per rendere ancor più pura e fatata la quiete boschiva e … no, un momento, qualcosa non quadra.

Regia, zoomare sulla zazzera verde. No, non l’albero. No, nemmeno quel cespuglio. Lo so anch’io che le ortiche sono meno urticanti del moccioso, ma al momento non mi interessano. No, le alghe non parlano. Ho capito anch’io che c’assomigliano, ma non è possibile che delle alghe geneticamente modificate prendano vita … oh, finalmente ci siamo, ecco il diavoletto!
Grazie al grande vantaggio d’essere il narratore, sono dotata di onnipotenza, onniscienza e pure onniscemenza … ehm … quindi, possiamo vedere che cavolo tormenti quest’anima in pena, così magari l’aiutiamo e finisce ‘sto strazio, eh cari spettatori?
Ecco a voi quel che è successo: era mattina. Il ragazzino era tranquillo, nei pressi del dojo dove si allenava nell’arte di samurai, intento a tranciare di netto una masso grande quanto una casa. Insomma, roba da niente no? Quale spada può rompersi a contatto con una roccia durissima e resistente? Nessuna, mi pare ovvio. Il ragazzo-alga pareva piuttosto soddisfatto dei risultati ottenuti, ma si sa, il destino è imprevedibile, incombe dritto dritto sulla testa della gente come una gigantesca botte piena di sakè (ah, l’ironia del destino) … Difatti, un pestifero mocciosetto, zero bravura e tutta invidia, gli volle fare un dispetto: sfidò lo spadaccino, altrimenti chiamato il-miglior-gps-umano-al-mondo, in una gara d’orientamento. Il giovane samurai avrebbe dovuto raggiungere, senza aiuto da parte di altri, una particolare grotta, ricca di cristalli verdi, che era lontana dal dojo e molto difficile da trovare, prendere un pezzetto di cristallo e tornare indietro entro la notte. Un gioco da ragazzi. Il ragazzino, armato di orgoglio, coraggio e anche con qualche invocazione al protettore di spadaccini, samurai e affini (ci sarà pure da qualche parte, no?) partì per compiere la sua missione.
Ritorniamo al presente: è pomeriggio inoltrato, e il povero malcapitato non ha la più pallida idea di dove caspiterina si trovi. Ormai è preda di un forte dissidio interiore: tornare indietro, ammettendo la sconfitta e sottoponendosi con la coda tra le gambe alla vergogna (per carità, non ci pensa proprio, che disonore!) oppure scappare lontano, frequentare un altro dojo e cancellare dalla storia quest’avvenimento disdicevole (assolutamente no, che grande gesto di vigliaccheria!) …                                                                                                                                                                                                                                Attanagliato fin nel profondo dal dilemma, non si accorge nemmeno di essere arrivato esattamente davanti a uno strapiombo semi-ricoperto di vegetazione. Fa un altro passo e vi cade dentro come un fessacchiotto, continuando a rotolare giù a gran velocità e cozzando infine con la zucca contro una parete rocciosa. Dopo qualche istante di suspense, durante il quale temiamo che la storia del nostro beneamato eroe si sia conclusa prematuramente e tragicamente (io lo temo, voi non lo so), il nostro beniamino si rialza, illeso (magari gli effetti della botta si vedranno in futuro, chissà). Il caso vuole (oppure una fortuna sfacciata, non l’ho ancora capito) che quella fosse proprio l’entrata della sua grotta! Esultando come un tifoso sfegatato la cui squadra segna un gol importante all’ultimo minuto della partita, entra nella grotta fischiettando allegramente. Si addentra nella caverna, osservando rapito il riflesso dei raggi del sole sui cristalli. In un angolo più nascosto, nota un pezzo di cristallo rotto, quindi si avvicina e lo raccoglie, pronto a ritornare al dojo vittorioso, e immaginandosi gongolando la schiacciante sconfitta del suo avversario.  Si blocca un attimo, perplesso. Gli sembra di distinguere dei particolari giochi di luce, simili a cappelli di paglia, cosciotti di carne e boccali stracolmi di sakè, ma reputa le immagini a delle visioni dovute alla stanchezza … eppure, sotto ai riflessi, nota un’ombra scura. Nascosto tra le rocce trova un piccolo sacchetto di tessuto scuro, che scosso tintinna come un campanello. Lo apre, e trova al suo interno tre pregiati orecchini d’oro a pendente, lucenti come le sue katane. Una rivelazione scuote la sua mente come un lampo sfolgorante: lui, il futuro miglior spadaccino al mondo, non sarà un samurai come tutti gli altri. Nossignore, non intende conformarsi alla massa! Lui sarà l’unico essere umano nell’intero universo a combattere con tre spade! Questa è la sua strada! E i tre orecchini saranno il suo simbolo, un terribile ammonimento per chiunque voglia sfidarlo! Stringendo nel pugno il sacchetto e il suo prezioso contenuto, e con una nuova consapevolezza nel cuore, esce dalla grotta e si dirige a testa alta e con lo sguardo fiero verso la sua meta. E chissà, forse stavolta la raggiungerà, rapido e inarrestabile come un fendente di spada.                                            
 



Angolo dell’autrice
Belle fanciulle / aitanti fanciulli, ecco a voi il secondo capitolo. Ci ho messo un po’ a pubblicarlo, ma meglio tardi che mai, no? Sono sempre stata curiosa sull’origine dei tre orecchini di Zoro, così la loro storia me la sono inventata io. Forse tutta l’allegria di Roronoa nell’ultima parte della storia è un po’ eccessiva per un tipo musone come lui, ma almeno da bambino sarà stato irruento, spero!
Se volete che io scriva qualcosa su qualche personaggio in particolare, scrivetemelo pure, io cercherò di scrivere il prima possibile, ultimo anno di superiori e patente permettendo. Come sempre, se avete qualcosa da dire, positiva o negativa, io sono qui!
Ringrazio  
Monkey D_Chopper e Kate_fu_panda per le recensioni,
D_ann e Monkey D_Chopper per aver preferito la storia   
carol96,  Ikki,  Kate_fu_panda,  Kimberly D Crystal e sakura alexia per averla seguita!

A presto!
 
Disclaimer:
I personaggi e le vicende di One Piece appartengono a Oda

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Capitolo 3
*** Portuguese D. Ace ***


Terzo capitolo

Portuguese D. Ace

L’odore fresco e gradevole dell’erba lo circondava, e il vento intenso e freddo della notte lo scuoteva, scompigliandogli i capelli scuri come le tenebre e provocandogli brividi a fior di pelle, come per esortarlo ad alzarsi e tornare a casa. Guardava il cielo stellato, con gli occhi profondi e vividi colmi di malinconia, una malinconia che da tanto, troppo tempo era la sensazione che permeava costantemente il suo cuore. Insieme alla rabbia. All’insicurezza. Alla consapevolezza di non essere gradito in questo mondo. Un sospiro affranto uscì dalle sue labbra, senza che se ne rendesse conto. Più guardava la volta stellata, più il suo sconforto aumentava. Anche gli astri, che a rigor di logica non provavano sentimenti, in quel momento sembravano così vitali, brillanti. Felici. E il divario tra lui e quei sentimenti cresceva, come un abisso, come un’enorme e gigantesca fenditura che si apre nel terreno arido e secco di una landa desolata dopo un terremoto fortissimo. Arido come il suo cuore, forte e crudele come la sua vita. Serrò gli occhi, per impedire alle lacrime di uscire, e si addormentò, con un opprimente senso di vuoto nel petto, e con una domanda che martellava incessante nella sua mente: c’era anche un solo misero motivo per cui valesse la pena per lui d’esistere? Si addormentò senza una risposta, ma ancora non sapeva cosa il destino avesse in serbo per lui.

Era mattina. Intravedeva una forte luce attraverso le palpebre, i raggi tiepidi del sole appena sorto gli scaldavano gli indumenti, bagnati della rugiada notturna. Una cornacchia gli beccava il naso, gracchiandogli concitatamente nelle orecchie con la sua voce stridula e odiosa, tentando disperatamente di svegliarlo e risparmiargli una fine infausta e ingloriosa. Ma era troppo tardi, i meccanismi farraginosi del fato si erano ormai messi in moto, e al signor Destino non gli importava proprio nulla di quale fosse l’opinione del malcapitato in tal senso. Un urlo disumano si propagò nell’aria, inizialmente lontano, poi sempre più vicino ed inquietante. Il ragazzino spalancò gli occhi, perplesso e disorientato, mentre il grido era pericolosamente vicino. Scattò in piedi a gran velocità. Grosso errore. Un oggetto non identificato, dal quale proveniva l’urlo terrorizzato si avvicinò a velocità folle dal cielo, dritto in rotta di collisione con lui. Ormai l’impatto era prossimo. Il ragazzo fece giusto in tempo a rivivere per qualche secondo le scene della propria breve vita, che scorrevano rapide davanti ai suoi occhi come una serie di diapositive in bianco e nero. In un istante, vide tutto buio e sentì un gran dolore alla testa. E lui che credeva che fosse Dadan a detenere il record mondiale per la zucca umana più dura! Povero illuso! Questa si che era una capocciata dalle dimensioni cosmiche! Il suo ultimo pensiero fu: “Se la giornata è tutta così, voglio morire ora!”  poi l’oblio. Le sue aspettative furono disattese, e sopravvisse al botto. Rimase stordito per un tempo indeterminato, fin quando non si sentì scuotere bruscamente dalle spalle, mentre una voce infantile e acuta lo richiamava a suon di “ehi!”, “sveglia!”, “ma che è, sei morto o dormi??”. Imbufalito, si riprese tutto d’un colpo, e scattò a sedere, urlando a squarciagola un “che cavolo vuoi da me!” ad un ragazzino più piccolo di lui, basso e magrolino, con una zazzera scura e corta sulla testa e una lunga cicatrice sotto l’occhio sinistro. Questo bastò, tanto che il bambino, spaventatissimo, strillò e balzò indietro di alcuni metri, cadendo di fondoschiena e ammutolendosi sul colpo. Il ragazzo più grande si alzò borbottando e scuotendosi di malavoglia la polvere dai vestiti, lanciando di tanto in tanto occhiatacce al più piccolo, che lo fissava con gli occhi spalancati, sull’orlo di una crisi di pianto. Che, purtroppo per i due poveretti, già provati sul lato fisico e nervoso, non tardò ad arrivare. Il piccino scoppiò a piangere, disperato. Sia per quello che aveva passato, evento culminato con il volo che si era appena concluso, in modo piuttosto tragico tra l’altro, sia per il dolore fisico, al sedere e alla testa, materializzatosi in un bel bernoccolo, sia per il malo modo in cui il suo interessamento per lo stato dell’altro bambino era stato accolto. Insomma lui non era né un aereo, né tantomeno un falco, e non poteva certo decidere la traiettoria con cui cadere! Se fosse stato per lui, avrebbe optato per una gigantesca vasca colma di cibo appetitoso, non di certo quel prato! Mentre rifletteva sul suo destino poco incline alla gentilezza, le sue lacrime avevano formato un fiumiciattolo che, se l’altro non fosse intervenuto per porre fine alla sua enorme tristezza, si sarebbe presto trasformato in un fiume in piena, che avrebbe allagato prima il villaggio, poi l’isola ed infine l’intero globo terrestre, dando origine al Diluvio Universale 2.0     L’altro ragazzo, con i capelli lunghi sino alle spalle e le guance punteggiate di lentiggini, si avvicinò al mocciosetto, grattandosi la nuca, e con espressione raddolcita tentò di consolarlo. Il bambino smise di piangere, e con stampata in volto l’espressione più melodrammatica che riuscì a fare, cominciò a raccontargli le proprie sciagure, parlando a raffica e senza neanche lontanamente chiedersi se all’altro interessasse quello che gli era successo. Gli raccontò di come gli adulti avessero deciso che lui dovesse andare a vivere in un’altra casa, senza neanche interpellare lui, il diretto interessato, di come giunto lì si fosse perso e, invece che dolcezza e comprensione avesse trovato un gran calcione nel sedere, ricevuto da un burbero d’un bandito, e di come quindi loro due si fossero incontrati. Il ragazzo, con il cervello in fumo e le orecchie che gli imploravano di scappare lontano da quel moccioso davvero troppo chiacchierone, disse di chiamarsi Ace e si dichiarò disposto ad accompagnarlo alla sua nuova casa. Chiamasi istinto di sopravvivenza: prima l’avesse portato lì, prima si sarebbe liberato di lui e quindi dell’essere che in quel momento stava attentando pericolosamente alla sua salute psichica. Purtroppo, quella per il moretto era proprio una giornata no: il bambino, che dapprima si era vantato, gonfiando il petto, di sapere esattamente dove dovesse andare (e come avrebbe potuto, essendosi perso?), si era rivelato come la persona completamente priva di qualunque senso dell’orientamento quale effettivamente era. Avevano girato in tondo per due ore, camminando sotto il sole cocente. Se il bambino diceva di andare da una parte, potevi metterci la mano sul fuoco (e anche il braccio e l’intero corpo, già che ci siamo) che dopo mezz’ora di giro dell’oca saresti ritornato al punto di partenza. E questa volta il piccolo pestifero avrebbe indicato come direzione “che era sicuro al 1000% fosse quella giusta da percorrere” esattamente quella opposta a quella che pochi minuti prima aveva additato col dito appena tirato fuori dal naso. I due avventurieri erano allo stremo delle forze: si trascinavano, esausti, con la lingua a penzoloni, come se stessero attraversando da giorni un deserto insidiosissimo, e con la pancia vuota. Il rumore che i loro stomaci producevano, reclamando a gran voce del cibo (magari dei succulenti cosciotti di carne) era addirittura ancora più forte e selvaggio del ruggito di un leone che dichiara guerra ad una rivale. Se nel bosco in cui i due si trovavano ci fossero stati dei leoni, con tutta probabilità sarebbero scappati a zampe levate, miagolando come dei gattini impauriti. E insieme a loro sarebbero scappate tigri, pantere, orsi, lupi, coccodrilli, rinoceronti, elefanti, mammut, triceratopi, t-rex e l’intera fauna e flora reale ed immaginaria. Ma qui non siamo a Little Garden. Il ragazzino lentigginoso decise che era davvero troppo: va bene il destino avverso, la tristezza, un proiettile umano che centra la propria testa come se avessi disegnato sulla fronte un bersaglio, ma la fame no, tutto ma questo non lo poteva sopportare. Quindi propose all’altro di andare a casa sua, riposarsi, ma soprattutto mangiare, e poi ripartire alla ricerca, e l’altro, ormai accecato dalla fame, colse la proposta come un miraggio abbagliante e, svanita miracolosamente ogni stanchezza, accettò con foga. Con talmente tanta foga, che partì a razzo verso una direzione, e l’altro dovette urlargli dietro che la propria abitazione era dalla parte opposta. Il bambino tornò indietro con velocità ancor maggiore, e gli insulti le gentili richieste del padrone di casa non riuscirono a farlo rallentare. Il ragazzo, preoccupato che se fosse giunto in ritardo non avrebbe ritrovato neppure una briciola, si lanciò all’inseguimento. Straordinariamente (chissà, forse la fame fa veramente miracoli) giunsero a destinazione senza sbagliare strada neanche una volta. Sulla porta di casa trovarono una donnona alta, robusta, dall’aria scorbutica e i capelli arancioni, che appena vide il buffo bambinetto gli chiese come si chiamasse. Quando il bimbo rispose con tono di ovvietà di chiamarsi Rufy, la donna si schiaffeggiò la mano in faccia, intuendo che razza di calamità naturale stesse facendo entrare in casa propria, e annunciò con voce rotta dalla disperazione che da quel momento avrebbe vissuto lì. Gli occhi del bambino si accesero di felicità, mentre cominciò a saltellare attorno all’altro ragazzino come un cagnolino festoso. Quello era in uno stato catatonico, con la mandibola che si era schiantata a terra. Gli unici pensieri di senso logico furono esclamazioni d’incredulità, di depressione e drammatiche frasi di cordoglio per i propri nervi, che in breve tempo sarebbero andati all’altro mondo, seguiti a ruota dalla sua intera persona. Non condividendo per niente la gioia dell’altro, entrò in casa, preceduto dagli altri due, e si chiuse la porta alle spalle, con un tonfo sordo.
Erano passate alcune settimane dall’arrivo di Rufy nella sua vita, e le cose erano molto cambiate. Certo, non mancavano i litigi e i momenti in cui era giù di morale, ma questi erano molto più rari. Era troppo impegnato a tirar fuori dai guai quel piccolo scalmanato per avere altri pensieri per la testa. Una notte si ritrovò nello stesso prato nel quale aveva incontrato il bambino, e anche questa volta si mise ad osservare le stelle che ammiccavano, lucenti. Sentì dei passi che si avvicinavano, e vide che Rufy di era seduto accanto a lui. Senza pensarci, gli chiese:
“Secondo te, io merito di vivere?” 
Durante il breve momento in cui il bambino era rimasto in silenzio, Ace si pentì di aver posto così facilmente una domanda tanto avventata, ma la reazione dell’altro lo spiazzò. Rufy lo guardava serio, con i suoi grandi occhi neri che riflettevano i luccichii del cielo sopra di loro. Poteva sembrare un bambino sciocco e infantile, ma si era accorto da subito che c’era qualcosa nell’altro che non andava, che gli impediva di vivere serenamente, che poneva un limite invalicabile alla sua felicità.
“Certo che lo meriti” rispose sinceramente. “Non mi importa chi tu sia, ma di certo sei la persona più straordinaria che io conosca, e sono fortunato ad avere un amico come te. Se tu non ci fossi, io non potrei vivere così felice come sono ora. Se tu non esistessi, penso proprio che ti inventerei” concluse, con un gran sorriso smagliante dipinto in viso. Ace spalancò gli occhi, scosso dallo stupore. Assaporò quelle parole come se fossero un miele dolcissimo, e finalmente sorrise, come mai aveva fatto prima, perché aveva sentito distintamente la pesante coltre di tristezza che gli opprimeva il cuore infrangersi sotto i colpi della bontà di Rufy.
“Grazie, anch’io sono contento di avere te, birbante e mangione che non sei altro!” disse, scompigliandogli i capelli e scoppiando a ridere insieme all’altro. Poi entrambi tornarono a guardare le stelle, sorridendo silenziosi. Ed Ace capì, capì che Rufy era la risposta alla sua domanda, che era “piovuto dal cielo” perché le stelle, rispondendogli, volevano condividere con lui la loro felicità. E si addormentò, con le labbra distese in un sorriso, e il cuore che finalmente gli palpitava nel petto libero e gioioso.
 



Angolo dell’autrice
Ciao a tutti! Ecco a voi il terzo capitolo, che dedico ad Ace, con la fantastica collaborazione di Rufy! Lo so, non è esattamente comico, specialmente l’inizio, ma pensando all’infanzia di Pugno di Fuoco purtroppo le idee tristi vengono spontanee. Spero di essere riuscita a farvi sorridere almeno durante lo svolgimento! Per quanto riguarda l’incontro tra i due e l’assenza di Sabo, lo so, ho sconvolto le cose, ma ho seguito l’ispirazione, senza riflettere minimamente su quello che scrivevo (come sempre) e la storia è venuta così. Spero vi piaccia lo stesso!

A presto, ringrazio tutti i lettori silenziosi, e anche quelli che recensiscono, preferitano (?), seguono!

AxelKyo

Disclaimer: One Piece e i suoi personaggi appartengono ad Oda, non a me
                                                    

 

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Capitolo 4
*** Nami ***


Quarto capitolo

Nami

E’ una notte buia e tempestosa. Le gocce di pioggia cadono sulla casa, come una miriade di frecce scagliate dal cielo, e diffondendo un ticchettio ripetitivo e rilassante. Due figure riposano tranquille nei loro letti, e il loro respiro regolare segue il ritmo dello scrosciare della pioggia. Un soffio di vento, entrato da uno spiffero della finestra, spettina i capelli rossi di una bambina, mentre dall’altro lato della stanza un’altra, dai capelli azzurri, si rigira nel letto, infreddolita. All’improvviso, un cigolio sinistro si diffonde nella stanza, e la finestra lentamente si apre. Un’ombra incappucciata e bagnata fradicia fa capolino, osservando attentamente le due figure dormienti. Silenziosamente, entra nel locale, e muovendosi col passo felpato di un elefante imbizzarrito che ha appena visto un topolino, si avvicina a un comodino e lascia una busta sospetta. L’individuo ghigna maleficamente, e produce una risata sadica, interrotta sul più bello da un colpo di tosse degno di un ottantenne acciaccato. Poi si dilegua, imitando con scarsi risultati le mosse di un ninja, senza farsi mancare un’epica scivolata sulla chiazza d’acqua formatasi davanti alla finestra. Reprime a fatica un gridolino di dolore, si alza e scappa via, col favore delle tenebre.

È mattina. Le due bambine si svegliano, sbadigliando sonoramente, svegliate dal canto degli uccellini e da qualche esclamazione contrariata di chi nel vicinato non ha la loro stessa voglia di alzarsi. Nami si guarda attorno, ancora disorientata dal sonno, e nota per puro caso una busta, ancora un po’ umidiccia, adagiata sul proprio comodino. Svegliata definitivamente dalla sorpresa, controlla in giro con maggior attenzione, ed insieme alla sorella nota sul pavimento una serie di impronte infangate e macchie d’acqua. Non stando più nella pelle, aprono in fretta e furia la busta: con loro immensa sorpresa, contiene un messaggio anonimo. Un misterioso individuo sfida la rossa ad una prova di destrezza: sulla loro isola è presente un favoloso tesoro, sta a lei riuscire a trovarlo, svolgendo una caccia per tutto il villaggio! Gli occhi della piccola brillano di gioia, o forse al pensiero di mettere le manine su un ricco tesoro, e si veste, pensando già di incassare una fortuna. La sorellina la guarda, con un sorrisetto poco rassicurante stampato in faccia, e con una scusa si dilegua, lasciando la nostra eroina sola nell’immane ricerca. Si catapulta fuori, come un tornado in miniatura, e con un’energia mai vista si mette alla ricerca del fantomatico premio. Il sorriso che aveva fino a quel momento, però, scompare presto, perché nella foga non ha ragionato sul fatto che non sa minimamente dove andarlo a cercare il suo caro tesoro. Dopo aver riflettuto un secondo, riprende il suo cammino, saltellando allegramente come una novella Cappuccetto Rosso. Decide di fare un piccolo sondaggio tra i suoi concittadini, per chiedere se sanno dove si trova il tesoro, pensando che da bravi vicini di casa, rivelerebbero una simile informazione ad una dolce e tenera bambina come lei. Ah, l’ingenuità della gioventù! Comunque, ignorando il fatto che qualunque persona con un minimo di buon senso il tesoro se lo terrebbe per sé, bussa a una porta, aspettando che qualcuno le apra. La porta si apre, si fa avanti una signora dall’aspetto gentile. Nami fa la sua richiesta, la signora le sorride bonariamente, dicendole che non ne sa nulla. Però le dona una mantella scura, per tenerla al caldo, e la indirizza verso un altro vicino, perché magari lui ne sa qualcosa. La bambina ringrazia, indossa l’indumento e riparte, seguita con lo sguardo dalla signora, che intanto ridacchia silenziosamente, scuotendo appena la testa. Dopo vari minuti di cammino, giunge speranzosa davanti alla porta, e bussa. Le apre un signore piuttosto anziano, col viso solcato dalle rughe. Nami chiede con entusiasmo se lui conosce il luogo dove è nascosto il tesoro. Il signore la guarda, con espressione paterna, ma le dice di no, le dà uno strano cappello a punta e le dice di riprovare con la signora che abita in una graziosa casetta dall’altro lato del villaggio. La bimba ringrazia, indossa il cappello e continua il suo cammino. È ormai pomeriggio inoltrato, e ha fatto il giro di mezzo villaggio. Nessuno sa nulla del tesoro, ma in compenso tutti le hanno dato qualcosa, chi una borsa, chi dei dolci, chi una scopa di saggina (perché poi? Mah, gli abitanti del suo villaggio sono un po’ strani ultimamente). È già diventato buio, essendo i primi giorni di gennaio, e la fame, la stanchezza e un po’ di freddo (nonostante sia larga come una botte per tutti gli indumenti che ha recuperato durante la caccia) cominciano a farsi sentire. Decide che per quel giorno la ricerca è terminata, e si dirige verso casa. Ad un tratto ode però dei rumori provenienti dalla piazza del villaggio, e si avvicina di soppiatto, determinata a controllare. Magari chissà, il tesoro può essere lì! Teme per qualche minuto che il suo anonimo sfidante abbia cambiato idea e si voglia tenere il tesoro tutto per sé. Arrivata, viene accolta da un coro di voci che urla un allegro “Sorpresa!”: nel centro della piazza è stato acceso un grande falò, ed intorno ad esso sono radunati tutti gli abitanti del villaggio, adulti e bambini, e l’atmosfera è allegra. Da un lato ci sono tutti quelli a cui ha chiesto informazioni, che sorridono soddisfatti. Ma il gruppo è capeggiato da due figure che Nami conosce bene: la sua cara sorellina e Cho, un bambino pestifero, con il quale si azzuffa più che volentieri. Entrambi sorridono sornioni, mentre la povera Nami è sconvolta: comincia ad avere l’impressione che la faccenda non si concluderà bene per lei …

Innervosita, sbraita verso i due, chiedendo il perché di quell’odissea: perché farla rigirare come una trottola impazzita in lungo e in largo nel villaggio, e poi aspettarla lì, tirando in ballo l’effetto sorpresa. Non è neppure il suo compleanno! Il ragazzino ghigna, tossisce malamente e poi le chiede se sa che giorno è. Quando Nami risponde che è il 6 gennaio, nella sua mente si accende una lampadina. Tremante, china lo sguardo sul suo abbigliamento, e allora capisce tutto. Furente, manda uno sguardo inceneritore ai due bambini, e lasciando un urlo di guerra degno di un maori, si butta al loro inseguimento, brandendo la scopa e lanciando dei piccoli blocchi di carbon dolce mirando alle loro teste. Se c’è una cosa che non sopporta, oltre ad essere presa in giro, è che l’accostino alla figura della cara vecchina che distribuisce dolcetti. Ha pur sempre una reputazione da difendere!
 
 
Angolo autrice
Ciao a tutti! Scusate il ritardo, ma tra scuola e patente sono molto impegnata. E oltretutto non ho potuto resistere all’idea di calare Nami nell’atmosfera della festa befanesca (?)                                                      
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se mi sembra un po’ un sciocchezza!
Cho, il ragazzino di cui si parla l’ho inventato io, sarebbe il fratello maggiore di Chabo, il bambino che nella saga di Arlong vorrebbe fargliela pagare agli uomini pesce.
Poi vorrei condividere con voi la mia incredibile agitazione per gli ultimi capitoli del manga! Oda sta facendo cose straordinarie, ho l’aspettativa a livelli altissimi, tra un po’ esplodo!
Inoltre, vorrei chiedervi un sondaggio per il personaggio del prossimo capitolo: preferite uno dei mugiwara o uno degli imperatori/supernove/flotta dei sette? Mi piacerebbe se inseriste la vostra opinione in un commento, mi sareste d’aiuto!
 
Disclaimer: One Piece, Eiichiro Oda ©                                                  
 

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Capitolo 5
*** Eustass Kidd ***


Piccoli pirati crescono

Quinto capitolo

Eustass Kidd

Un gabbiano vola alto nel cielo tinto di rosso. Il sole sorge, vermiglio, incendiando il mare con le sue fiamme incandescenti. I suoi raggi si espandono tutt'intorno, insinuandosi tra le foglie, solleticando i fili d'erba, introducendosi furtivi nelle case, mentre i proprietari, ignari, continuano a dormire. Un edificio, abbandonato e diroccato, svetta in cima ad una scogliera a strapiombo, fiero come un vecchio sovrano. La luce del sole avanza prepotentemente dalle finestre, ormai prive di vetri. L'aria vibra al passaggio dei raggi, come scossa da elettricità, ed essi si infrangono sulla parete in fondo al locale. Pian piano scendono, colando come vernice, e si fermano su una cassa, confondendosi con i capelli di un bambino, che dorme tranquillo, adagiato su un vecchio materasso. La luce gli solletica gli occhi chiusi e le narici come una piuma, e il suo viso si piega in un'espressione infastidita. Spalanca gli occhi e per un istante rimane abbagliato, poi scatta a sedere, sbadigliando sonoramente, e si guarda attorno. Tutto è tranquillo, i suoi due migliori amici dormono ancora, in altri punti della stanza. Il locale è occupato prevalentemente da oggetti di ferro, mobili vecchi e scalcinati, le mura sono scrostate, il disordine regna incontrastato, e quei tre ragazzini sono suoi sudditi più che fedeli. L'ambiente è pervaso da un pungente odore metallico. Il ragazzo inspira profondamente, scompigliandosi con una mano i capelli rossi come fiamme. Con quell'odore, i suoi amici e la libertà si sente a casa, molto più di quanto una dimora ricca e lussuosa possa essere. Sorride beffardo, e mentre si alza si preoccupa di dare casualmente un calcio ai suoi amici, svegliandoli premurosamente come solo una mamma affettuosa saprebbe fare. Entrambi si svegliano, ancora disorientati, e salutano il loro amico ancor più affettuosamente, con epiteti che qualunque bravo bambino eviterebbe di utilizzare. Ma si sa, il loro legame è così, particolare e al tempo stesso indissolubile. Tutti e tre corrono fuori, lasciandosi dietro una scia di vestiti che un tempo dovevano essere colorati, ma che ora hanno assunto una tinta mimetica di dubbia provenienza, e si dirigono a gran velocità verso un fiumiciattolo che scorre lì vicino, correndo come piccoli cavalli imbizzarriti. Due bambini si buttano nell'acqua senza esitazioni, schizzandosi l'un l'altro e bagnando i capelli, di uno biondi e dell'altro scuri, giocando e ridendo spensierati. Il terzo resta fuori, e guarda il proprio riflesso nell'acqua con uno sguardo timoroso, come se un mostro gigantesco potesse spuntare da un momento all'altro, nel bel mezzo di quel ruscello profondo si e no come una vasca da bagno, per divorarlo in un sol boccone. Titubante, entra in acqua poco alla volta, prima con l'alluce, poi con tutto il piede, e alla fine riesce a raggiungere i suoi amici, che lo attengono ridendo a crepapelle e applaudendo, elogiando ironicamente l'immane impresa conclusa dal loro amico. Egli li fulmina con lo sguardo, ringhia come un felino e tenta di inseguirli, ma ottiene l'unico risultato di smuovere un maremoto in quel piccolo ruscello in mezzo al bosco. Il tentato inseguimento dura ancora a lungo: il suo spiccato orgoglio degno di un futuro capitano pirata non gli permette di passar sopra alla mancanza di rispetto così in fretta. Dopotutto, ha mangiato un frutto del diavolo, per cui dovrebbero rispettarlo, non prenderlo in giro solo perché nutre un più che fondato timore per l'acqua! E poi, se i suoi amici sono così adesso, non osa immaginare come si comporteranno una volta che faranno parte della sua ciurma! Finito il bagno mattutino, si mettono alla ricerca di cibo: raccolgono un po' di frutta che hanno casualmente trovato su degli alberi, prendono del pane che delle signore al villaggio hanno gentilmente lasciato a loro disposizione a raffreddare sul davanzale delle finestre e scappano via verso la spiaggia, ridendo soddisfatti. La mattina passa in fretta, e dopo aver mangiato alla velocità della luce il cibo faticosamente guadagnato, si dedicano all'attività che in assoluto preferiscono: l'allenamento. Il loro sogno è quello di solcare i mari, essere pirati liberi e temuti da tutti, e impossessarsi finalmente del tesoro più agognato, il grandioso One Piece. Ma per raggiungere il loro obbiettivo devono diventare sempre più forti. Mentre Killer se la cava bene con le lame e Wire con le armi a lungo raggio come le lance, lui ha la possibilità di usufruire dello straordinario potere di attrarre o respingere corpi metallici. Ma purtroppo non è ancora in grado di controllarlo completamente. È per questo motivo che si allena, che cerca con costanza e dedizione di migliorare. Ultimamente pensa di essere migliorato: è già da una settimana che non distrugge niente nel tentativo di sollevare qualche vecchio rottame più grosso del solito. Ora è giunto il momento di mettersi alla prova, capire se è degno di diventare un grande pirata, che solo a nominarlo farebbe venire la tremarella anche al più valoroso dei marines, oppure se è solo un moccioso piagnucolone e deboluccio. Si piazza in una piccola radura, di fronte a un cumulo alto 2 metri di ferraglia arrugginita, composta perlopiù da tubi, chiodi e sbarre. Si posiziona con le gambe leggermente divaricate, le mani in tasca e lo sguardo determinato. Con la sua fervida immaginazione, materializza di fronte a sé un gigantesco bandito di metallo, dal ghigno mostruoso e gli occhi assetati di sangue. Killer e Wire, gli unici, trepidanti spettatori del duello (più che trepidanti oserei dire spaventati per la loro incolumità) divengono decine di persone, che osservano la scena dall'interno di un saloon, facendo il tifo per lui. Il suono dell'infrangersi delle onde sugli scogli diventa la musica lenta e ricca di suspense dei film western, e il vento che scuote le foglie degli alberi diventa una folata calda e secca, che solleva nugoli di polvere. Il vento cambia direzione, e passando all'interno dei tubi metallici produce un suono lungo e sgradevole. Il mostro ha lanciato un grido di guerra. Il rosso ghigna e attacca, sprigionando il suo potere. Con grande sforzo, cerca di sollevare il cumulo di ferro, che sembra tenti di liberarsi dalla sua presa. Ad un tratto, la massa metallica sfugge al suo controllo. Una pioggia di tubi e chiodi si sparge tutt'intorno. I tre ragazzi cominciano a correre, schivando gli oggetti di metallo come meglio possono, e di tanto in tanto lanciano degli urli, improvvisando la danza del sombrero o il cancan, per evitare di essere colpiti. Dopo qualche minuto piuttosto concitato, il biondo e il moro si trovano uno di fronte all'altro, quando alcune sbarre volanti arrivano alla loro destra. I due si guardano, si stringono la mano e si salutano, piangendo qualche lacrimuccia. Un minuto dopo, sotto una catasta di sbarre in equilibrio precario, due figure, sedute sotto alla gabbia improvvisata, rimpiangono la libertà perduta, invocando l'aiuto di un avvocato, come ogni prigioniero che si rispetti. Il loro futuro capitano si accorge della scena e smette improvvisamente di correre, mettendosi a ridere a crepapelle. Riapre gli occhi giusto per vedere una manciata di chiodi giungere veloci come proiettili verso di lui.

Un ragazzino imbronciato è appeso contro un albero, con i vestiti inchiodati appena sopra alle spalle, e le braccia incrociate, mentre i due prigionieri lo guardano ridendo sotto i baffi.
"Beh, guarda l'aspetto positivo" gli dice Killer, mostrando un'espressione innocente. "L'ultima volta che ci hai provato, abbiamo dovuto staccarti dalle chiappe venti puntine da disegno"






Angolo dell'autrice

Per chi ormai mi credeva morta, sepolta e ormai prossima al giudizio universale, mi dispiace per voi ma sono ritornata in vita solo per postare questo capitolo! Lo so, sono in ritardo pauroso, ma se non studio alla maturità ci arrivo a calci nel sedere. E la patente la prenderò a 99 anni (ad arrivarci)
Ebbene, questo capitolo è dedicato al nostro magnetico (in ogni senso) capitano Eustass Kidd, e a Kate_fu_panda che mi ha dato l'idea di scriverlo su di lui! Volevo dire che, se nei capitoli trovate qualche punto in comune, tipo descrizioni, emozioni o simili, è voluto, non è un calo di ispirazione. Più avanti capirete il motivo. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, altrimenti potete usufruire del servizio soddisfatti o rimborsati. Il modulo per la richiesta di risarcimento va compilato tramite recensione. Si prega di non esagerare con gli insulti, mentre commenti di ogni genere sono ben accetti! Per chiarimenti e delucidazioni, contattare il gestore dell'account (che poi sarei io). Bene, se il messaggio della voce registrata si è concluso, passiamo alle cose importanti.

Ringrazio:
Chi ha recensito finora: michiru93, Kate_fu_panda, afro_chopper_jr, black_rufy, Monkey D_Chopper.
Chi ha messo la storia tra le preferite: black_rufy, D_ann, Monkey D_Chopper.
Chi ha messo la storia tra le ricordate: black_rufy, Hikaru Kaoru.
Chi ha messo la storia tra le seguite: afro_chopper_jr, black_rufy, carol96, Hikaru Kaoru, Ikki, Kate_fu_panda, Kimberly D Crystal, michiru93, sakura alexia, sherry21.
E chiunque abbia letto! Grazie di cuore!

Alla prossima! Forse entro la fine dell'universo, fra qualche decina di migliaia di milioni di anni, riuscirò a postare un altro capitolo!
See ya soon
AxelKyo

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