Figli divini

di massi_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ennesimo primo giorno ***
Capitolo 2: *** Una corsetta fuori programma ***
Capitolo 3: *** Brutti ricordi ***
Capitolo 4: *** Il capitano finisce al tappeto ***



Capitolo 1
*** L'ennesimo primo giorno ***






“Dei ragazzi come tanti”ecco cosa ti rispondono quando chiedi a qualcuno di Dylan, Mary o Max, come si sbagliano.
D’altronde come puoi biasimarli, quasi nessuno è mai riuscito a conoscerli veramente.
Dylan si è svegliato, come al solito all’alba, “come i polli” gli piaceva dirsi, sempre in tempo per vedere il sole che sorge.
Non lo fa apposta, è solo che lo fa e basta, fin da piccolo, ma a lui non dispiace.
Tutte le mattine appena sveglio si affaccia alla finestra di camera sua e scruta il panorama, il dolce profumo di cornetti appena fatti nella pasticceria in fondo alla strada.
Il rumore frenetico degli uccellini che si svegliano sulle cime degli alberi.
La città che sta lentamente riprendendo vita, i motori si accendono, le serrande si aprono.
Ama vedere il sole dipingere di tutti quei colori il cielo e le lame di luce contornare i palazzi. Ma la parte che preferisce di più è quando uno spicchio di sole timidamente fa capolino sopra i tetti e un raggio lo investe in pieno viso, il piacevole tepore gli accarezza le guance.
- Dylan!
Ecco, magia finita.
Il ragazzo si ributta sul letto e cerca di tapparsi le orecchie infilando la testa sotto il cuscino.
- Alzati immediatamente da quel letto!
Inutile.
- Dylaaan!
Le urla della madre non gli lasciano tregua.
- Mi sono alzato!
Urla affacciandosi al corridoio.
Dylan non ha nessuna voglia di affrontate un altro primo giorno di scuola. È la settima scuola che cambia in altrettanti anni e molte volte i suoi coetanei quindicenni possono essere, particolarmente irritanti.
Sinceramente non ne capisce il senso di andare ad una nuova scuola da cui verrò nuovamente espulso per ritrovarsi nuovamente a dover scegliere una nuova scuola.
Dylan sta iniziando ad odiare le novità.
Tanto più dopo che si è trasferito in New London, per il lavoro della madre, lei fa la gallerista d’arte e si è appena comprata una galleria proprio li.
Dylan è veramente molto contento che il suo lavoro va a gonfie vele, sia ben chiaro, ma ancora si deve ambientare a questa nuova vita.
Suo padre non lo ha mai incontrato, è un argomento tabù per la madre.
Lui sa solo che se ne è andato poco dopo la sua nascita.
Il solo pensiero lo manda in bestia, se n’è andato lasciando la madre sola con un figlio a carico e senza un pidocchioso assegno di mantenimento.
All'epoca la madre faceva la pittrice ma i suoi quadri non vendevano molto, anche se Dylan li ha sempre trovati fantastici.
Ricorda bene di come la madre quando era piccolo usciva la mattina presto e tornava a notte inoltrata per andare a fare uno dei suoi tre lavori, mentre lui rimaneva a casa con la nonna.
Fortunatamente, un giorno la madre ha venduto molti dei suoi splendidi quadri.
Ed ora eccola li, che apre una galleria d’arte proprio come ha sempre voluto fare.
Dopo essersi vestito ed essersi pettinato i biondi ricci, va in cucina a fare colazione.
Prende una tazza di latte, del succo di frutta, dei fiocchi d’avena e si mette sul tavolo.
- Per oggi puoi prendere un po’ di caffè, te lo ho lascito nella caffettiera.
La madre sta correndo da una parte all’altra della casa per raccattare le ultime cose, cercando di infilarsi un tacco tra un passo e l’altro.
Lei non gli ha mai lasciato pendere il caffè, anche se lui lo adora.
Sapete caffeina e iperattività non vanno molto d’accordo.
È si, Dylan è iperattivo e anche dislessico, non si lascia mancare niente.
- Mi raccomando oggi con la nuova scuola, comportati bene, fai il bravo studente, e fatti tanti amici.
- A-ah, come no.
La madre avvicinandosi a Dylan, gli mete una mano sulla guancia e sorride dolcemente.
- Sono sicura che qui riuscirai a farti dei nuovi amici Dylan, andrà molto meglio dell’altra volta.
Il suo sorriso è sempre riuscito a rassicurarlo, gli occhi verdi colmi d’amore gli danno speranza nel futuro.
- Lo spero tanto- dice ricambiando il sorriso.
- Adesso scusami ma faccio tardi a lavoro, oggi dobbiamo installare tutte le luci e entro la fine del mese inaugureremo la galleria- gli dà un bacio sulla fronte e mentre prende le chiavi dal comodino aggiunge:
- Ah, mi stavo dimenticando, il pranzo è nel forno e ti voglio bene.
- Te ne voglio anche io- risponde mentre si chiude la porta.
Finito di fare colazione e di fare lo zaino, Dylan è costretto a lanciarsi in quella giungla che chiamano mondo per andare a prendere lo scuola bus.
Lui di scuole ne ha visitate diverse e ognuna di esse aveva i propri professori, i propri studenti, la propria cuoca della mensa e il proprio custode.
Ma ogni singolo scuola bus, di ogni singola scuola, puzza sempre nello stesso ripugnante modo.
Dylan da una veloce occhiata alle persone e li inquadra tutti, spera vivamente che tutti lo ignorino li dentro.
Dei ragazzi seduti alle prime file stanno ripassando delle cose sui libri, evidentemente sono i secchioni della scuola.
La maggior parte indossa delle camice a scacchi portando dei vistosi occhiali e ogni tanto si vedono scintillare degli apparecchi.
Mentre dei ragazzi seduti subito dietro si diverto a incastrargli  palline di carta e molliche di pane tra i capelli.
I classici bulletti, troppi ne ha visti, alti, grossi, chi incappucciato, chi completamente rasato, alcuni indossano felpe altri semplici magliette.
Li supera veloce cercando di non attirale l’attenzione.
Non è che ne ha paura, solo che non ha minimamente la fantasia di farsi una scazzottata di prima mattina, e tanto meno il primo giorno.
Dopo ancora sono seduti i ragazzi “normali”, alcuni stanno chiacchierando, altri sembrano ancora non essersi ripresi del tutto dalle vacanze, mentre paiono essere in uno stati di trance sospesi tra questo mondo e quello dei sogni.
Nella parte più in fondo sono seduti quelli che si definiscono “i popolari”.
La maggior parte sembra essere della squadra di football o delle ragazze cheerleader della scuola quasi tutti indossano una felpa su cui spicca il loro stemma. Una aquila che regge sotto l’ascella di pennuto un pallone e alza l’altro braccio in segno di vittoria, il tutto colorato di giallo e verde.
Il più grosso di loro, che potrebbe essere il capitano, è seduto al centro e sta facendo vedere i muscoli a quella che probabilmente è la sua ragazza.
Dylan preferisce mettersi tra i ragazzi “normali”, in un posto vicino a nessuno, dietro ma non troppo vicino ai palestrati.
Si infila repentino le cuffiette del MP3, per evitare di sentire i discorsi "di un certo livello" delle cheerleader su quale rossetto mettesse meglio in risalto gli occhi.
La città gli scorre di fronte agli occhi, fino a che lo scuola bus non si ferma con un cigolio sinistro di fronte al liceo Santa Monica, quella che sarà scuola sua, per lo meno fino a che non si farà espellere.
Dylan scende quasi per ultimo, un paio di ragazzi si sono addormentati sui sedili e qualcuno si è divertito a scarabocchiargli la faccia.
Questo non fa altro che ricordare a Dylan di stare con gli occhi aperti, in tutti i sensi.
Con passo furtivo si avvia per il cortile dove vari ragazzi si stanno salutando dopo, probabilmente, non essersi visti per molto tempo.
Si vedono abbracci, baci su guance e altri più passionali.
Sgattaiola dentro prima che suoni la campanella, per evitare di perdersi nel fiume di persone che ci sarebbe stato abbreve.
Il programma di oggi dice: prima ora inglese, per fortuna ha trovato in fretta l’aula.
Si affaccia per vedere chi c'è, per fortuna nessuno.
L’aula è abbastanza spaziosa con una grandissima lavagna che copre un intera parete, una cattedra vuota proprio di fronte a cinque file di banchi.
La parete opposta alla porta è completamente tappezzata di larghe finestre che lasciano entrare una abbondante luce, evidentemente sono direzionate a est, perché ne entra veramente tanta.
Menomale, se c’è una cosa che non sopporta sono le stanze buie, gli mettono sonnolenza.
Si fionda veloce verso il banco della terza fila affianco alla finestra, guardando fuori gli viene l’impulso di aprire e scappare.
Quello è un posto strategico, non troppo avanti da farti prendere per uno sbruffone “so tutto io” e non troppo dietro da farti credere uno a cui non interessa e di riflesso essere etichettato come attaccabrighe.
Suonata la campanella e entrati gli alunni entra un uomo di mezza età, il professore, porta il riporto e degli occhialoni rotondi.
Indossa una vecchia giacca beige scuro consumata all'altezza dei gomiti, una cravatta rossa e dei lunghi pantaloni marroni.
Al primo colpo potrebbe sembrare una persona tranquilla, che non ti crea molti problemi se ti dovessi dimenticare per una volta il quaderno degli esercizi.
“grazie al cielo, sembra mi sia andata bene” pensa Dylan mentre il professore si siede alla cattedra e prendendo un gesso scrive il suo cognome.
- D’ora in poi sarò il vostro professore di inglese. Mi chiamerete professore o professor Petrelli, niente prof, proffy o altri vezzeggiativi di qualsivoglia genere. Non crediate che solo perché è il primo giorno di scuola mi metta a chiedervi come vi sono andare le vacanze estive o altre cretinate di questo tipo perché, sinceramente, non mi interessa niente di voi. Detto ciò, prendete il libro al capitolo uno.
Ottimo neanche è iniziata scuola che già la odia.
Dylan preso il libro lo apre a una pagina a caso.
Si regge la testa con il pugno facendo finta di leggere ma in realtà guarda fuori dalla finestra.
Poi non avrebbe avuto senso mettersi a leggere, non avrebbe comunque capito un accidente, come tutte le volte che prova a farlo
“Stupida dislessia”.
La giornata, oltre al fatto che molti dei professori sono pazzi, passa relativamente tranquilla, come il resto della settimana.
Ma niente dura per sempre, neanche le cose brutte, possono sempre peggiorare.
 

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Capitolo 2
*** Una corsetta fuori programma ***


Siamo alla penultima ora e Dylan sta cercando di seguire quello che dice la professoressa di scienze sulla teoria del evoluzione, o perlomeno crede stia parlando di quello.
Una donna prossima alla pensione, ma non per questo rimbambita, anzi.
Ogni minima cosa che bisbigli riesce sempre a sentirti.
Molte volte Dylan si è chiesto se in realtà non fosse un cyborg mandato dal futuro per uccidere qualcuno che poi non ha trovato e ha ripiegato sulla carriera scolastica.
La professoressa Anders ha una fitta ragnatela di rughe che le percorre tutto il viso, sembra che si debba sgretolare da un momento all’altro.
I lunghi capelli bianchi sono raccolti in una cipolla, e sul lungo naso appuntito sono appoggiati un piccolo paio di occhiali.
Le mani nodose sembrano quasi quei rami secchi che ti bussano alla finestra nei giorni di vento, solo per farti paura.
- Bene ragazzi- Dylan si sveglia di soprassalto.
- Per la prossima volta voglio una ricerca sugli adattamenti evolutivi delle piante nei vari habitat- un vocio di disapprovazione riempie la classe.
- Deve essere di almeno 10 pagine, portando dei campioni- un altro lamentio generale più forte del primo.
- Il lavoro si svolgerà in coppie, scelte da me- gli alunni fanno un ultimo tentativo di protesta alzando ancora di più la voce.
- Sempre che non vogliate farlo singolarmente e con il doppio delle pagine- tutti ammutoliscono d’un tratto.
- Come immaginavo. Allora: prima coppia…- inizia a nominare tutte le persone della classe una ad una assegnandogli il compagno, e ogni gruppo nominato è seguito da un verso di amarezza o di gioia, per i pochi fortunati.
- …settima coppia: Dylan Anderson e Max Grani…
La campanella suona poco dopo la fine della formazione dei gruppi e finalmente arriva il primo fine settimana.
Il biondo sgattaiola veloce fuori dalla scuola, tutto quello che vuole in quel momento è andare a casa.
Mentre sta tranquillante andando verso la fermata dello scuola bus, Dylan si sente chiamare
- Anderson! Anderson!
Dylan capisce e alzando gli occhi al cielo pensa “Fantastico!, togliamoci questo dente”.
Si gira e vede un ragazzo che sta cercando di farsi largo tra la mandria di alunni.
È un colosso, a occhi e croce supera abbondantemente il metro e ottanta, poco meno dei giocatori di football della scuola.
- Finalmente ti sei fermato, è da quando è suonata la campanella che ti sto chiamando, ma sei schizzato subito via. Ah, mi stavo dimenticando, piacere, Max Grani- Dice porgendo la mano a Dylan e mostrandogli un largo sorriso.
Ha dei lunghi capelli castano scuro con un’imprecisa riga centrale. Ma la cosa che più colpisce Dylan sono gli occhi, castano scuro nella parte più centrale, verde brillante più esternamente. Ma a parte questo, sono gentili e allegri, a differenza di quelli della squadra di football, a cui tanto somiglia, colmi di sbruffoneria.
- Dylan Anderson.
Risponde stringendo la mano abbozzando un sorriso.
- Beh per quanto riguarda la ricerca di scienza, ti andrebbe bene se ci incontrassimo domani pomeriggio verso le 15:00, ci possiamo incontrare qui.
- Va benissimo, solo che io non è che abbia capito benissimo quello che ci sia da fare.
- Ahahah, non ti preoccupare, lo capisco, oltre ad essere inquietante, l’Anders ha un effetto soporifero quasi su tutti.
Dylan riesce a fare un vero sorriso, dopo tanto tempo.
- Beh ottimo, io adesso vado alla fermata dello scuola bus, tu da che parte vai?
- Anche io vado da quella parte.
I due si avviano.
- Tu sei nuovo di questa scuola vero?- chiede Max
- A dire il vero si.
- Io sono arrivato qui l’anno scorso, stai tranquillo non ci metterai molto ad ambientarti qui, basta solo che segui delle semplici regole.
- Tipo?
- Tipo, cerca di stare alla larga dalla squadra di football, se ti prendono di mira è la fine. Poi non rivolgere mai parola alle cheerleader a meno che tu non sia ricco e famoso o almeno una delle due cose. Non sfottere mai il vicepreside per il suo assurdo accento francese. E cosa ancora più importante, per farti dare la doppia porzione in mensa parla di quanto ti piacciano i gatti alla cuoca, di solito quello che servono è stomachevole ma ti può essere utile di giovedì, è il giorno di pizza.
- Hey Grani!
Cinque degli stessi ragazzi della squadra di football visti sullo scuola bus si stanno avvicinando, tra spintoni e risatine si fanno larga tra la calca sul marciapiede.
Ma il moro fa finta di niente.
Oramai sono arrivati alla fermata.
- Beh credo sia meglio che vada, quindi a domani- dice Max indicando una stradina che passa attraverso un parco naturale a pochi passi da loro.
- A-a domani- dice titubante Dylan.
A lui sembra che quei ragazzi vogliano dare grane a Max, ma lui pare non preoccuparsene, quindi non lo fa più di tanto neanche lui, anche perche gli sembra uno che sa cavarsela da solo.
I giocatori si accorgono che il moro si sta avvicinando al’entrata del parco, come se non fosse la prima volta che accade, e iniziano a corrergli dietro, e certamente non perché tengono a salutarlo.
Max si gira e li vede venirgli incontro, sposta lo sguardo verso Dylan, che stava iniziando ad avere un espressione preoccupata, sorridente  gli fa l’occhiolino e inizia a correre.
Dylan non si sarebbe messo a rincorrere i giocatori se solo, nello sfrecciargli affianco, non avesse viso uno di loro tirare fuori dallo zaino una mazza di legno.
Inizia un inseguimento che si snoda tra alberi e cespugli, hanno ormai lasciato da tempo il sentiero e Max li sta conducendo sempre nella parte più fitta del bosco.
Dylan si tiene a distanza dagli altri per intervenire solo se la situazione si complica.
Ma sembra che non abbia bisogno d’aiuto, corre come una lepre in mezzo alla boscaglia da cui si riesce a vedere solo a tratti.
La corsa ha fine solo quando il gruppo di ragazzi si raduna in uno spiazzo.
Dylan si nasconde dietro ad un albero e cerca di fare silenzio e di trattenere il fiatone.
- Accidenti! Lo abbiamo perso un'altra volta! - lo riconosce, è il capitano della squadra a parlare.
Si sente il colpo della mazza contro un albero.
- Quello stronzetto, lo prenderemo la prossima volta.
- Si! Lo prenderemo! - gli fanno eco gli altri ragazzi.
Tutto il gruppo ritorna di corsa sui loro passi, passando vicino all’ albero dove si nasconde Dylan, che trattenendo il fiato schiaccia la schiena contro il tronco.
Quando ormai non si sentono più nelle vicinanze, esce dal suo nascondiglio con fare incerto.
- Max, Max! - prova a chiamare il suo amico ma senza successo.
Si guarda attorno in cerca di tracce dell’amico, ma vede solo alberi e cespugli.
Una folata di vento scuote le foglie.
Sente un fruscio poco lontano.
Dylan si volta di scatto per vedere se fosse il moro, ancora alberi.
Un ramo si spezza dietro di lui.
Un ombra si muove tra le fronde sopra la sua testa.
Dylan fa qualche passo indietro mantenendo tutti i sensi in allerta.
- BOOOOH! -
Il biondo fa un salto, si gira di scatto e trova Max appeso a testa in giù ad un ramo.
Il moro si lascia cadere e atterra in piedi.
Con le mani portate a tenere la pancia e gli occhi lacrimanti, Max  inizia a ridere fragorosamente.
- Ahahah dovevi vedere la tua faccia! Ahahahah.
Dylan si sente il volto avvampare dalla rabbia.
- Smettila idiota, mi ero preoccupato, avevano una mazza.
- Ahahahah non riesco a respirare!
Il biondo gli molla uno schiaffo sulla nuca.
- Ahi! Mi hai fatto male. Non ti dovevi preoccupare loro non hanno il fegato di utilizzarla, mi volevano solo spaventare, come ho fatto io con te poco fa Ahahah.
A Dylan scappa un sorriso, per quanto sia arrabbiato con lui.
- Ma grazie comunque.
- Di niente, spero solo che tu non mi abbia fatto perdere lo scuola bus.
La cosa che meraviglia Dylan non è tanto il fatto che a lui non interessasse di essere stato quasi minacciato con una mazza, ma il fatto che non ha una goccia di sudore sulla fronte dopo tutta quella corsa e, per quanto possa essere improbabile, non gli è sembrato di sentire nessun rumore mentre lui atterrava dall’albero.
 

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Capitolo 3
*** Brutti ricordi ***


“Accidenti”
Max è come sempre in ritardo, sta correndo nel parco per raggiungere il luogo dell’appuntamento stabilito con Dylan.
Vede in lontananza i ricci biondi del suo amico.
Gli fa cenno con la mano di avvicinarsi.
La prima volta che ha visto Dylan, non ne è stato particolarmente colpito, gli sembrava uno di quei ragazzi bellocci, che si sentono il top.
Altezza media che si aggira intorno al metro e settantacinque, gli occhi celesti e i capelli biondi e ricci leggermente più corti sulle tempie e spettinati sopra.
Con quel suo comportamento da bel tenebroso, sempre silenzioso, sempre per i fatti suoi.
Ma da quel unico incontro ha capito di sbagliarsi, non è lui a volersi comportare così, è il resto del mondo a costringerlo.
- Scusa il ritardo.
- Non ti preoccupare non sto aspettando da molto, e ora che facciamo? Voglio dire, tu hai idea di dove trovare quelle foglie?
- Beh, si da il caso che mia zia è una botanica e a casa abbiamo una serra, quindi, possiamo fare tutto li- dice con un pizzico d’orgoglio.
- Fantastico! Finalmente la fortuna gira dalla mia parte!
- D’accordo, d’accordo, ma non ti ci abituare, capito?!
Casa di Max non è molto lontana dal scuola, passando per il parco si impiegano solo dieci minuti.
A dire il vero si mette meno tempo passando per la strada, ma lui preferisce di gran lunga il parco.
È come passare sotto una doccia, che elimina ogni brutta cosa, che rinfresca e alleggerisce l’anima, che schiarisce le idee.
Tutte le preoccupazioni della scuola che sarebbe abbreve iniziata o da poco finita, sfumano fino a scomparire.
Il fruscio ipnotico delle foglie è come una melodia nelle sue orecchie.
Questo gli riporta alla mente un lontano ricordo.
Era piccolo, aveva 5 anni, e si era appena trasferito li dalla zia.
Si era seduto alla base  di una grande quercia, la sua preferita.
Enorme, maestosa, i rami piegati e contorti dal peso di tanti anni di vita.
“Quercus Ellipsoidalis” Max la riconobbe subito, come se stesse guardando il volto di un vecchio amico, anche se era la prima volta che la  vedeva.
“Che ci fa qui questa? Qui fa troppo caldo per lei dovrebbe vivere più a nord-ovest. Magari in Michigan o al massimo al nord di New York!”
Si stupì da solo dei suoi pensieri, come lo sapeva?
Ma aveva altro che gli frullava nella mente.
Si sedette nell’incavo di due radici, poggiò la schiena sul tronco e immerse il viso tra le braccia che abbracciano le ginocchia.
Un tumulto di sentimenti lo travolse: tristezza, dolore, rimorso, solitudine.
La vista si stava pian piano appannando per le lacrime che premevano per liberarsi come  un fiume in piena preme sugli argini artificiali.
Lui tentò di trattenerle ma una gli scappò e gli rigò il viso per poi cadere sopra una delle grosse radici.
A quel punto il vento scosse le foglie e nel su fruscio Max distinse una voce.
Una voce di donna, non stava parlando, cantava.
Parole a lui incomprensibili ma che riuscivano a toccare corde nascoste nel profondo del suo cuore.
Ne rimase incantato, tutte le sue preoccupazioni scivolarono via come se non ci fossero mai state fino a farlo addormentare.
Il suo ricordo termina solo con un vaga sensazione prima di chiudere le pupille, gli parve che il tronco si fece morbido, e che un abbraccio lo stinse ad esso.
- Prego si accomodi – dice scherzoso indicandogli l’entrata.
La porta da direttamente in uno spazioso salotto.
Certamente casa di Max non potrà mai essere definita “ordinata”, ma in fin dei conti la zia è sempre a lavoro e certamente lui non si mette a rassettare casa.
Sui tavoli torreggiano pile di libri e scartoffie della zia e alcune sedie sono ricoperte da indumenti vari.
Un lievissimo strato di polvere ricopre il tutto.
Ma lui sa perfettamente che esiste di peggio.
Max si dirige verso la cucina e tira fuori da un enorme frigo un cartone di succo alla pera.
- Vuoi qualcosa? Succo di frutta? Acqua? Oppure preferisci qualcosa da mangiare? Ci sono dei biscotti al cocco, vuoi?
Dice porgendogli un vassoio tirato fuori dal forno.
Dylan accetta volentieri il biscotto e si mette a fare un giro per la stanza mentre Max rimette apposto il vassoio e si infila in bocca un biscotto.
- Lei è tua madre?
Max si fa serio a quella domanda, girandosi vede Dylan che guarda una foto attaccata alla parete.
La donna ritratta ha dei lunghi capelli biondi e gli occhi come i suoi sono socchiusi in un largo sorriso, al suo fianco un uomo, di almeno una decina di anni in più di lei, con dei capelli castano chiaro, sfoggia anche lui un sorriso abbagliante.
- No, lei è mia zia Abby. Mia madre non la ho mai conosciuta - vede il biondo diventare lentamente rosso sul viso.
- Accidenti, scusami non volevo. Emh lui chi è? - quello che Max interpreta come un goffo tentativo di cambiare argomento
- Lui è mio padre, è morto quando avevo cinque anni in un incidente. Prima vivevo con lui nella fattoria di famiglia, ora vivo con mia zia - Max nota che l’amico stringe i pugni fino a far diventare le nocche bianche, evidentemente imbarazzato.
- Non ti preoccupare, non potevi saperlo, non c’è nessun problema.
Cerca di mascherare brutti ricordi dietro a un sorriso tirato.
- Beh che ne dici se ti faccio vedere il mio piccolo angolo di paradiso, che è anche la soluzione dei nostri problemi scolastici?
Max fa strada verso il giardino, il verde brillante delle foglie contorna i fiori di decine di piante diverse.
E in mezzo spicca un alta casetta tutta trasparente. 
Il moro ha sempre amato quel posto dal tetto di vetro, ottimo per far passare i brutti pensieri.
Non è come tutte le serre in cui le piante crescono sopra dei freddi tavoli di metallo, li è tutto piantato al suolo, sembra che qualcuno abbia staccato una zolla di terra di qualche posto esotico e lo abbia in New London.
All’interno si trovano le piante più disparate e dai colori più sgargianti, fantastiche orchidee in fiore crescono su alberelli contorti.
Piante carnivore insieme a strane piante dalle foglie arricciate e colorate ricoprono il pavimento.
Piante rampicanti in fiore si vedono salire lungo quasi tutte le pareti, oscurando la vista dell’esterno e avvolgendoti in un altro mondo.
Un piccolo sentiero in pietra si snoda lungo quella meraviglia.
Max fa un giro e mentre cammina raccoglie delle foglie sapendo perfettamente quali prendere.
Vede Dylan meravigliarsi di fronte alle piante carnivore che reagiscono al suo tocco.
- Forte vero? Ora è meglio iniziare a fare quella ricerca altrimenti non la finiremo mai.
Mentre rientrano a casa Max si ferma a raccogliere altre foglie, poi va in camera sua dove aveva già acceso il computer e preso dei libri dallo studio della zia prima di uscire da casa.
Si lascia cadere sopra una sedia e si avvicina alla scrivania, invita l’amico a fare lo stesso.
- Bene, io cerco su internet mentre tu potresti cercare tra questi libri, alcune cose le so già io ma non ci riesco a riempire dieci pagine. Ho messo dei segnalibri nei paragrafi dove potresti trovare delle cose interessanti.
Passa un libro a Dylan e si gira verso il monitor.
- Beh… a dire il vero… io sono fortemente dislessico, quindi…
- Oh ma non ti preoccupare, lo capisco, non c’è problema.
La ricerca la ha fatta quasi del tutto Max, ma certo non si sente sfruttato, in fondo non è ceto colpa di Dylan.
Il biondino se ne è andato verso le 18.:00 e adesso Max sta iniziando ad avere un certo languore, quindi va in cucina a prendersi un altro biscotto.
Ma passare di fronte a quella foto non è stata una grande idea.
Aveva solo cinque anni quando è successo il fatto.
Era ormai sera tardi e lui si era messo a leggere, le guancie ancora pulsanti.
Non ha mai avuto un buon rapporto con il padre, e non era la prima volta che veniva schiaffeggiato senza motivo.
Non molto tempo prima Max stava tranquillamente studiando in camera sua, il padre è entrato barcollante.
Il puzzo di alcol si è sentito subito.
Era sempre ubriaco, ma quella volta non si era posto limiti.
Afferra Max per un braccio e lo scaraventa contro la parete.
- È colpa tua se non c’è più, se non fossi nato staremmo ancora insieme - disse il padre, con gli occhi colmi di tristezza,  prima di spingerlo e farlo cadere atterra.
Si mise a cavalcioni sopra il ragazzo, bloccandogli le braccia con le ginocchia, e iniziò a schiaffeggiarlo, ogni colpo era sempre più forte.
Ma lui non urlava, non piangeva, non tentava di divincolarsi, lo guardava e basta, uno sguardo carico di disprezzo.
Non smise fino a che un rivolo di sangue son gli scese dalle labbra.
A quel punto il padre uscì sbattendo la porta, e quando sbatté anche il portone Max capì che non sarebbe tornato molto presto.
Stava ancora leggendo quando la porta d’ingresso venne aperta fragorosamente.
Quando si spalancò anche la porta della sua camera in un primo istante credete il padre fosse arrivato per un secondo round, ma quando si girò vide una donna bella e giovane con i lunghi capelli biondi e gli occhi verdi gonfi di lacrime.
Lei gli cinse il collo in un abbraccio.
- A-Abby perche piangi?
- Grazie al cielo stai bene - la voce tremula.
- Cosa è successo?
La zia respira a singhiozzi e ci mise un po’ a trovare il fiato per parlare.
Tenendolo per le spalle lo fissava negli occhi.
- Tuo… Tuo padre… Tuo padre ha avuto un brutto incidente e… -non riuscì a concludere la frase che scoppiò di nuovo in lacrime e si gettò nuovamente ad abbracciare il piccolo.
- È morto, Max, tuo padre è morto.-

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Capitolo 4
*** Il capitano finisce al tappeto ***


Fatto colazione e preparatosi Max si carica lo zaino sulle spalle e prende il mazzo di foglie per la ricerca.
L’unica cosa che gli piace dell’andare a scuola è il tragitto, il parco.
Ma quel giorno non è piacevole come tutti gli altri, è particolarmente silenzioso.
Non un filo di vento scuote le foglie, è tutto così, statico, immobile
In rapporto al fatto che sono sempre alberi, ovvio.
Sembra quasi che il bosco stia trattenendo i fiato, come se qualcosa di brutto lo dovesse far sobbalzare da un momento all’altro.
Quando poi sbuca dall’altra parte nota lo scuolabus all’inizio della strada e quando parcheggia vede scendere Dylan il quale gli va incontro.
- Ciao Dylan, come è andato il fine settimana?-
- Beh niente di che, mia madre sta aprendo una galleria d’arte sono andato a vedere i lavori come stanno venendo.
Senti a fine mese la inaugurerà ti andrebbe di venire?
- WOW che forza! Molto volentieri grazie- Max alza la mano in cui ha le foglie.
- Senti mi sono dimenticato di attaccare le foglie alle pagine spero tu abbia una spillatrice o del nastro adesivo appresso- dice con espressione mesta.
- Hey Grani, che cosa è quello? Un regalino per il tuo nuovo fidanzato? Curioso come mazzo di fiori.
Delle risatine di sottofondo.
Max riconosce subito la voce, Jason White, quel imbecille del capitano della squadra di football.
Lo ignora ad opera d’arte per l’ennesima volta e continua a camminare, senza neanche voltarsi.
- Che fai? Scappi? Proprio come hai fatto l’altro giorno. Tsk voi italiani non avete proprio un briciolo di coraggio, che pena.
A quelle parole Max ha un fremito alla mano e si ferma di colpo.
Lui è un ragazzo sempre calmo e non fa mai colpi di testa, ma se c’è una cosa che detesta è quando lo prendono in giro per il fatto che è italoamericano.
Non che sia un patriota, è solo che offendere qualcuno per qualcosa di cui non ci si dovrebbe vergognare lo manda in bestia, odia i pregiudizi.
Non è la prima volta che accade una cosa del genere.
Una volta alle elementari quella schizzata della sua maestra, una donna alta e magra che si attaccava fiocchetti e nastrini colorati ai capelli neri come se fosse lei la ragazzina delle elementari, si è raccomandata in particolar modo con lui di essere silenzioso dato che stavano entrando in biblioteca.
Anche se era la seconda volta che si vedevano!
Da quel giorno ha detestato il suo cognome, fino a qualche anno fa, quando ha fatto una ricerca su Archimede.
Ma le battute continuano a irritarlo.
Si volta a vedere chi gli parla .
Jason, un ragazzo piuttosto alto e muscoloso con un taglio alla moicano, è affiancato da altri due ragazzi, anche loro alti e massicci e delle espressioni che certo non sprizzano arguzia ma i loro sorrisetti non prospettano niente di buono.
- White.
- Stronzetto.
- Noto che ti porti sempre le bestiole appresso, cosa c’è hai paura di dover fare uno scontro alla pari?­
Uno dei due mostra i denti come per ringhiare e fa un passo avanti, ma Jason lo ferma con il braccio.
- Stai calmo lui è mio.
Max fa schioccare due volte le labbra  - Accuccia bello.
- Fossi in te non farei tanto lo sbruffone, in fin dei conti noi siamo in tre, tu hai solo…- Jason scossa uno sguardo disgustato a Dylan - il tuo ragazzo.
- “In fin dei conti”, complimenti ora sai fare anche quelli- dice con fare evidentemente sorpreso.
- Ahah o sei duro d’orecchie oppure sei solo stupido, mi chiedo cosa ci trovi il tuo fidanzato in te-
- Beh… non lo so… prova a chiederlo a Sara.
Nota con piacere che sta diventando rosso dalla rabbia, ha colpito nel punto giusto, ma questa gliel’ha praticamente servita su un piatto d’argento.
Max vede come Jason alza il braccio per caricare un pugno.
Ma ha il minimo tempo per poter realizzare cosa stesse accadendo che il suo corpo ha già iniziato a muoversi.
Un movimento involontario, una razione innata che non riesce neanche lui a controllare ma incredibilmente lenta.
Lenta come tutto il mondo attorno a lui,
È come se il tempo si fosse dilatato, ogni cosa che lo circonda si muove con una calma quasi snervante.
La sua vista si offusca, il suo udito si ovatta.
Oramai la sua mente fluttua leggera tra i pensieri più disparati sospesa in un limbo in cuoi i sensi scompaio.
L’unica cosa che sente è il suo corpo muoversi, un movimento veloce ma preciso come una danza.
Una danza mai imparata, ma da sempre conosciuta.
Dopo poco si sente trattenere, delle braccia bloccano i suoi movimenti.
Piano piano  dal nero che vede coagulano delle forme di fronte a lui.
Dapprima incomprensibili, poi sempre più nitide.
Jason ha il naso sanguinante e anche lui è trattenuto da delle persone, proprio come gli altri due energumeni, per cui servono due persone a testa, e Dylan.
Si accorge di quello che è successo solo dopo, come se la sua mente avesse messo il pilota automatico.
Era successo tutto in una frazione di secondo.
Jason stava caricando il pugno ma Max lo aveva anticipato.
Fletté le gambe e schivò il pugno scartandolo di lato, sorprendendo Jason.
Gli lanciò le foglie che reggeva nella mano in faccia costringendolo a chiudere gli occhi.
Approfittando di quel momento gli diede un bel pugno sul naso, che lo fece cadere all’indietro.
I suoi cagnolini si stavano riprendendo dalla sorpresa e probabilmente lo avrebbero anche massacrato se solo Dylan non si fosse messo in mezzo.
Aveva attirato l’attenzione di uno dei due dandogli un calcio nello stomaco.
L’altro invece aveva la sua attenzione tutta per Max, gli stava per dare un bel gancio se solo dei ragazzi non lo avessero tenuto da dietro come fecero anche con il moro e gli altri tre.
E adesso eccolo li, che si fa mettere in punizione da un professore urlante.
Preferiva quando non sentiva niente.
Le vene che guizzano sul collo del professore di educazione fisica sembrano voler esplodere.
Il viso paonazzo si contrae in strane espressioni, quasi buffe se solo non fosse sembrato così arrabbiato.
Gli sputacchi mitragliano il viso di Max come se non ci fosse un domani.
Ma lui non lo considera minimamente, sta ancora cercando di ricollegare tutti i pezzi.
Il che fa infuriare ancora di più il prof.
Da quello che gli dice il vicepreside, un uomo basso e corpulento con un forte accento francese, ha rischiato la sospensione, ma considerando che è la prima volta che crea problemi e che aveva iniziato Jason, alla fine delle lezioni gli sarebbe costato solo qualche ora di detenzione.
Ma lui ancora non sa cosa lo avrebbe aspettato in punizione.

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