Little pieces of my life

di xX__Eli_Sev__Xx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Little pieces of my life
 
CAPITOLO 1
 
 Adoro le grandi città.
 Mi piace l’idea che tutto ciò di cui avrò bisogno possa essere lì a portata di mano.
 Non che mi piaccia la vita mondana, sia chiaro. Anzi, se posso evito di dare nell’occhio e tento di passare inosservata. Meno mi notano, meglio è per me.
 Anche se questo è stato molto difficile negli ultimi tempi. O per meglio dire nell’ultima settimana. Non che fosse molto, ma stare al centro dell’attenzione per una settimana non fa per me.
 È passata una settimana da quando sono morti i miei genitori.
 È passata una settimana da quando quell’assassino, Ivan Romanoff, è entrato in casa nostra e ha torturato mia madre e mio padre fino ad ucciderli.
 È passata una settimana e le immagini dei corpi dei miei genitori, privi di vita e coperti di sangue, continuano a balenarmi nella mente.
 Ovviamente, ogni persona, anche quella con cui non avevo mai avuto una vera e propria conversazione, dopo l’accaduto, si era presentata per farmi le sue condoglianze e, stranamente, tutti avevano continuato a ripetermi che sapevano cosa provavo. Ma io sapevo in cuor mio che non era vero.
 Come potevano sapere?
 Come potevano sapere cosa si provava ad aver perso tutto?
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti, sono xX__Eli_Sev_Xx.
Questa è la mia prima ff su CSI:NY. E’ una serie che adoro, ovviamente ho tentato di rendere la storia appassionante e spero che la adoriate come l’ho adorata io.
Buona lettera e recensite!
Un bacio, xX__Eli_Sev__Xx
[Revisionato il 29/09/2016]
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Little pieces of my life
 
CAPITOLO 2
 
 Ovviamente, quattro giorni dopo l’omicidio, un assistente sociale si era presentato alla porta di casa nostra a Sacramento, California. Io e mio fratello James eravamo appena tornati dal funerale dei nostri genitori ed eravamo ufficialmente soli al mondo.
“Ciao.” ci aveva salutato l’assistente sociale. Si era presentato e poi si era seduto al tavolo della cucina, estraendo plichi di fogli e cartelline dalla sua ventiquattr’ore. “In seguito ai recenti avvenimenti, abbiamo proceduto con la lettura del testamento dei vostri genitori.” ci aveva spiegato, parlando con voce piatta e distaccata, come se quella faccenda nemmeno lo avesse sfiorato.
 E dopotutto, era così. In fondo non era stato lui a perdere i propri genitori.
 “Cosa diceva?” era intervenuto James, poggiando la schiena allo schienale della sedia. Nonostante papà avesse sempre voluto che intraprendesse la carriera di medico, lui voleva a tutti i costi diventare avvocato. Adorava la legge e il diritto e si intendeva di faccende burocratiche, proprio come questa.
 L’assistente sociale si era schiarito la voce. “Che nella remota possibilità in cui fossero venuti a mancare, sareste dovuti essere affidati a vostro zio.” aveva continuato tenendo tra le mani il testamento e senza mai incrociare il nostro sguardo.
 “Nostro zio?” aveva domandato James, aggrottando le sopracciglia.
 “Sì.” aveva confermato l’uomo. “Attualmente, è residente a New York. Si chiama Mac Taylor. Credo sia il fratello minore di vostro padre.” 
 “New York?” avevo domandato io, parlando per la prima volta dopo sette lunghi giorni di completo silenzio. La mia voce era suonata roca e atona, priva di ogni traccia di calore. “È dall’altra parte del continente.”
 “Lo so, ma questo era il volere dei vostri genitori. Partirete domani.” aveva concluso l’assistente sociale. Poi si era messo in piedi, aveva riposto i documenti nella valigetta e ci aveva rivolto uno sguardo rapido. “Molta della vostra roba è già stata inviata. Preparate le valigie con le cose di cui avrete bisogno e inscatolate gli oggetti rimanenti. Vi verranno inviati entro una settimana. Passo a prendervi alle 18.”
 Io e James avevamo annuito e l’assistente sociale se n’era andato.
 Quella sera eravamo andati a dormire presto, dato che il giorno dopo avremmo dovuto preparare i bagagli e lasciare per sempre quella casa per partire alla volta di una città sconosciuta.
 Insieme eravamo andati a letto e, per non rimanere soli, avevamo deciso di dormire nella camera di mamma e papà.
 Eravamo rimasti tutta la notte abbracciati. Niente ci avrebbe separato.
 Ora che eravamo completamente soli, avremo dovuto sostenerci a vicenda, forse più di quanto avevamo fatto fino a questo momento.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco il secondo capitolo, man mano che andremo avanti i capitoli saranno più lunghi. Spero tanto vi piaccia, forse non si capirà ancora molto, ma dal terzo in poi andrà meglio!
Buona lettura, la vostra xX__Eli_Sev__Xx
[Revisionato il 29/09/2016]

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Little pieces of my life
 
CAPITOLO 3
 
 “Lena” sento una voce che mi chiama dolcemente. “Lena.”
 Quando apro gli occhi, la prima cosa che vedo è il viso di mio fratello accanto al mio.
 Sorrido per fargli capire che sono sveglia, ma non parlo. Non ne ho la forza.
 “Mi sa che ci toccherà alzarci. Dobbiamo fare i bagagli.” mi dice, accarezzandomi teneramente una guancia.
 Io annuisco e lui si alza, infilandosi le ciabatte e uscendo dalla stanza.
 Mi metto a sedere sul materasso e dopo aver osservato per qualche minuto la stanza dei miei genitori, ricaccio indietro le lacrime e mi avvio verso la mia camera.
 Quando apro la porta della mia camera, degli scatoloni mi aspettano accatastati uno sull’altro accanto alla scrivania.
 Mi guardo intorno, indecisa da dove cominciare, ma alla fine decido di farlo dai libri. Dai miei cari libri.
Perciò mi muovo verso la libreria e comincio a infilarli uno per volta in uno scatolone, che poi sigillo con del nastro isolante nero. Così faccio anche con le cornici, i soprammobili e alcuni peluches poggiati sul mio letto.
 Poi prendo uno zainetto, infilo dentro qualche abito di ricambio, l’mp3, il cellulare, la macchina fotografica, lo spazzolino e un libro, “Jane Eyre”. Ironico, il mio libro preferito è la storia di un’orfanella, proprio come me.
 La tristezza mi assale. Una lacrima mi scende lungo la guancia, seguita da un’altra e da un’altra. Mi affretto ad asciugarle, prima che mio fratello la veda e che cominci a farmi domande, le solite domande che non sopporterei.
 “Hai finito?” domanda James, fermo sulla porta.
 La sua voce mi riporta bruscamente alla realtà. Mi volto di scatto verso la porta, incrociando lo sguardo di James per qualche secondo, poi lo riporto sullo zaino. Chiudo la cerniera e annuisco.
 “Vieni.” mi incalza mio fratello, tendendomi la mano. “Inscatoliamo i libri di mamma e la musica di papà.”  
 Io esito, ma alla fine la stringo ed esco con lui dalla mia stanza.
 
 Dopo aver pranzato, o almeno averci provato, ci alziamo e decidiamo di andare al cimitero per vedere, forse, per l’ultima volta i nostri genitori.
 Anche se non è distante da casa, James decide di prendere l’auto per evitare un viaggio a piedi, sapendo che non avrei la forza di andare e tornare. Percorriamo la strada nel completo silenzio, accompagnati soltanto dal ronzio della nostra auto.
 Quando arriviamo a destinazione, scendiamo dalla macchina ed entriamo. Il cimitero è completamente vuoto, immerso nel silenzio e nella quiete.
 Io e James percorriamo la stradina centrale camminando fianco a fianco. Le lapidi dei nostri genitori sono nascoste da due ulivi enormi, e probabilmente se non fossimo stati al funerale non saremmo stati in grado di trovarle.
 Ci fermiamo di fronte alle lapidi gemelle e ci accorgiamo di non aver nemmeno portato dei fiori. Nessuno dei due parla, ci limitiamo ad osservare la fredda pietra su cui sono incisi i nomi dei nostri genitori.
 “Mi mancheranno.” sbotta James ad un tratto.
 Senza dire nulla, lo prendo a braccetto, poi poggio il capo sulla sua spalla.
 Passiamo più di mezz’ora ad osservare le lapidi senza parlare, poi, quando ci accorgiamo dell’ora, usciamo e torniamo a casa.
 Quando varchiamo la soglia di casa, sono le 17.30 e tra mezz’ora arriverà l’assistente sociale. Dobbiamo essere pronti a partire. Perciò do un ultimo saluto alla casa, alla mia camera, al mio letto e ai miei ricordi – che in parte rimarranno lì – e poi esco chiudendomi la porta alle spalle.
 “Eccovi” dice Brown, l’assistente sociale, quando ci vede uscire di casa. “Pronti?”
 Come no, lasciare la propria casa per trasferirsi dall’altra parte del continente è una cosa che si fa tutti i giorni. Siamo prontissimi.
 James annuisce con un lieve cenno del capo.
 A quel punto Brown apre la portiera della macchina blu elettrico parcheggiata nel vialetto e ci invita a salire. “Andiamo.”
 
 Quando arriviamo all’aeroporto e ci imbarchiamo provo una strana sensazione… una fitta allo stomaco così profonda da farmi contorcere le viscere.
 Questa sarà l’ultima volta che vedremo Sacramento e casa nostra, lo so. Non torneremo più. Una volta arrivati a New York, rimarremo lì per sempre. Addio a Sacramento, al sole, a casa nostra, alla nostra vita.
 Stringo le mani intorno ai braccioli, volgendo lo sguardo per guardare fuori dal finestrino, proprio mentre stiamo sorvolando la California.
 “Andrà tutto bene.” mi sussurra James all’orecchio, captando la mia preoccupazione.  
 Io mi volto e annuisco, nonostante non ne sia affatto sicura.
 
 Dopo tre ore di viaggio, passate a guardare le nuvole che scorrevano accanto al finestrino, finalmente arriviamo all’aeroporto di New York, il JFK. Sbarchiamo e dopo aver recuperato i nostri bagagli, percorriamo i corridoi dell’aeroporto, verso l’uscita.
 “Bene.” sbotta Brown, una volta usciti, fermandosi sul marciapiede. “Vi chiamo un taxi che vi porterà fino al laboratorio dove lavora vostro zio. Dovete assolutamente consegnargli questa, sono i vostri documenti.” ci ordina porgendo a James una valigetta.
 “D’accordo.” gli risponde mio fratello, prendendola.
 Brown annuisce. “Buona fortuna, ragazzi.” conclude. Stringe la mano a entrambi e quando saliamo sul taxi giallo che ha accostato sul ciglio della strada, lui torna in aeroporto e sparisce tra la folla.
 Io e James saliamo a bordo dell’auto. L’odore del taxi mi pervade, è un misto tra sigaretta e caramelle alla fragole. Una combinazione disgustosa.
 Cerco di non farmi prendere dalla nausea concentrandomi sul paesaggio circostante, mentre l’auto si immette nelle via della città.
 Devo ammetterlo, New York è bellissima.
 I palazzi e le grandi insegne luminose non stonano per niente. Ogni cosa è perfetta e proporzionata, in perfetta sintonia con tutto il resto. Le auto sfrecciano lungo le strade a grande velocità e i pedoni camminano lungo i marciapiedi con i cellulari tra le mani, senza nemmeno far caso a ciò che li circonda.
 È tutto così diverso da Sacramento… così diverso da far male.
 
 Una volta arrivati davanti al laboratorio della scientifica, James paga il tassista, che ci ringrazia e ci augura una buona giornata.
 Io e mio fratello scendiamo dall’auto ed dopo aver preso zaini e valigetta, entriamo nella grande struttura che è il laboratorio della scientifica di New York.
 Ci rechiamo subito alla reception, collocata al primo piano, dove una ragazza dai lunghi capelli color carota ci accoglie con un sorriso cordiale.
 “Ciao, posso aiutarvi?” ci domanda gentilmente, studiandoci con curiosità.
 “Dovremmo vedere Mac Taylor, se possibile.” risponde James, ricambiando il sorriso.
 Lei annuisce. “È nel suo ufficio.” spiega. “Potreste darmi i vostri nomi, così posso annunciarvi e preparare i vostri tesserini?”
 “James e Maddalena Taylor.” risponde James.
 La ragazza alza lo sguardo di scatto e ci squadra attentamente, aggrottando le sopracciglia. “Siete parenti del detective Taylor?” domanda infine.
 “Nipoti.” le risponde James.
 Lei annuisce e poi ci porge due rettangoli plastificati. “È un piacere conoscervi.” dice. “Questi sono i vostri tesserini. Così, se qualcuno dovesse domandarvi cosa fate qui, potrete rispondere che siete visitatori.”
 “Grazie, signorina” dice James.
 Lei sorride radiosa. “L’ufficio è al trentacinquesimo piano.”
 Sospiro. James ha di nuovo fatto colpo.
 Mio fratello è sempre stato un asso con le ragazze. Non che davvero gli interessasse, ma devo ammettere che ha sempre avuto un certo fascino.
 Alto, magro, moro e con gli occhi verde smeraldo. Tutto il contrario di me, che sono alta ed esile, bionda e con gli occhi azzurri. L’unica cosa che ci accomuna è la nostra carnagione pallida.
 Io e James siamo diversi fuori e dentro… lo siamo sempre stati. Il che è strano per fratello e sorella.
 Quando James ringrazia la ragazza della reception, mi ridesto e insieme ci avviamo verso il trentacinquesimo piano. Saliamo sull’ascensore con i nostri zaini in spalla e quando le porte si aprono, ci avviamo verso il fondo del corridoio.
 L’ufficio di nostro zio è enorme. È circondato da vetrate splendenti e ampie, ed è immacolato: ogni cosa è perfettamente in ordine. Mi sembra di vedere lo studio di papà. Sulla porta c’è una targhetta con su scritto: Detective MAC TAYLOR.
 Quando mio fratello sta per bussare, io arretro di qualche passo, sentendo un improvviso nodo allo stomaco.
 “Ehi” mi dice lui voltandosi e avvicinandosi. “Che succede?”
 “È che… E se fosse tutto diverso da come ce lo aspettiamo, se lui non ci volesse?” mormoro.
 La paura mi invade. Non avevo ancora pensato a questa evenienza, ma adesso che ci rifletto bene, potrebbe accadere. Se Mac non ci avesse mai voluti e la nostra vita diventasse un inferno? Se ci odiasse per essere piombati nella sua vita senza preavviso? Dopotutto, non è mai venuto da noi e non parlava come i nostri genitori da anni. Forse ci odiava. E ci odierà ancora di più adesso.
 “Sicuramente se siamo qui è perché ci vuole.” dice James, riportandomi alla realtà e incrociando il mio sguardo. “Stai tranquilla, Lena. Andrà tutto bene.” mi rassicura e mi prende per mano.
 Sospiro e alla fine annuisco, anche perché so di non poter fare altrimenti.
 Quando mio fratello bussa, la voce di nostro zio risuona dall’interno dell’ufficio, forte e ferma. “Avanti.”
 Mac è seduto dietro la scrivania, intento ad esaminare delle cartelline gialle, probabilmente riguardano i casi che sta seguendo. Quando varchiamo la soglia, solleva lo sguardo. “Posso aiutarvi?” domanda, aggrottando le sopracciglia.
 “Ti stavamo cercando.” dice James avanzando, senza mai lasciare la mia mano.
 Mac sembra non capire e infatti aggrotta le sopracciglia.
 Ho una fitta al cuore e sento il dolore invadere ogni mia cellula.
 È terribilmente simile a papà. So già che se rimarremo qui sarà molto complicato andare avanti e provare a dimenticare il dolore che sto provando. Non riuscirò a superare la morte dei miei genitori, non con Mac a ricordami ogni giorno che ciò che ho perso non tornerà più.
 Non immaginavo che si somigliassero così tanto.
 Non avrei neanche lontanamente potuto immaginare che sarebbe stato così difficile e che avrebbe fatto così male.
 “Siamo James e Lena.” continua mio fratello.
 Il volto di Mac si illumina. “Oh. Vi stavo aspettando.” afferma accennando un sorriso. “Scusate se non vi ho riconosciuto, ma l’ultima volta che siamo visti eravate molto più piccoli.” si scusa poggiando la penna sulla scrivania e mettendosi in piedi. Ci viene incontro e poi stringe la mano ad entrambi.
 Quando prende la mia i nostri occhi si incontrano per un momento. Mi osserva attentamente e lo vedo aggrottare le sopracciglia, poi un sorriso accennato gli increspa le labbra.
 Ritraggo la mano, abbassando lo sguardo e ricacciando indietro le lacrime.
 “L’assistente sociale ha detto di darti questa. Sono i nostri documenti.” James porge la valigetta a nostro zio.
 Mac la esamina e poi la poggia a terra accanto alla scrivania. “Ho ancora del lavoro da sbrigare.” annuncia, tornando a voltarsi verso di noi. “Accomodatevi. Appena avrò finito andremo a casa. D’accordo?”
 Noi annuiamo e ci sediamo.
 “Vi porto qualcosa di caldo. Vi va?” dice e quando ci vede annuire, esce dall’ufficio, probabilmente diretto alle macchinette del caffè per procurarci qualcosa da bere.
 Osservo mio fratello, che quando lo nota mi accarezza delicatamente la guancia, rivolgendomi un sorriso.
 “Visto? Che ti avevo detto?” chiede. “È andato tutto bene.”
 Io annuisco e poi mi volto verso la grande vetrata dietro la scrivania. Rimango per un momento senza fiato. New York, il sogno di tutti, è proprio davanti ai miei occhi.
 Eppure non provo niente. È come se la bellezza di questa città nemmeno mi sfiorasse. Ogni cosa ha perso colore da quando i miei genitori sono morti. Il mondo è diventato una pallida tela in bianco e nero, senza più colore o allegria.
 Mi alzo e raggiungo la finestra e osservo avidamente tutto ciò che mi circonda. L’Empire State Building, tutti gli edifici illuminati e poco più lontano la Statua della Libertà. Tutte cose che, prima di allora, avevo visto solo in fotografie o su cartoline.
 Avanti. Avanti, devo pur provare qualcosa.
 Stupore.
 Gioia.
 Vuoto.
 Profondo e incolmabile vuoto.
 Incrocio le braccia al petto e stringo i pugni tanto da far sbiancare le nocche.
 “È bellissima, vero?” una voce alle mie spalle mi costringe a voltarmi.
 Un uomo alto e moro sulla trentina è in piedi sulla porta dell’ufficio e ci sta osservando con le sopracciglia aggrottate.
 “Salve.” esordisce mio fratello, che si è voltato e messo in piedi.
 “Posso sapere cosa ci fate nell’ufficio di Mac?” domanda lui, muovendo qualche passo all’interno della stanza, osservando attentamente mio fratello.
 “Siamo i suoi nipoti.” spiega James.
 “Oh, sì.” esclama lui, probabilmente ricordando che nostro zio gliene avesse parlato. “Mac mi ha detto che sareste arrivati.” fa una pausa, poi si schiarisce la voce. “Mi dispiace per ciò che è successo ai vostri genitori.”
 “Grazie.” risponde James, annuendo.
 Io non dico nulla, anche perché un groppo mi si è formato in gola e non riuscirei a parlare in ogni caso. Certo, che delicatezza. Appena ci vede tira in ballo i nostri genitori morti. Non posso fare a meno di pensare che il candore non sia il suo forte.
 “Io sono Don Flack.” dice sorridendo. “Chiamatemi pure Don.”
 “Io sono James.” dice mio fratello, poi avanza e gli stringe la mano.
 Flack sorride. “Tanto piacere.”
 A quel punto mi avvicino anch’io e gli stringo la mano a mia volta. “Lena.” dico semplicemente.
 “È un piacere, Lena.” ricambia Don, sorridendomi.
 Quando lascia la mia mano, torno accanto a mio fratello.
 In quel momento mio zio rientra in ufficio con due tazze di cioccolata calda fumante fra le mani. “Flack” saluta il collega e ci porge le tazze. “A cosa devo il piacere?” domanda sedendosi alla scrivania.
 Io e James, intanto, torniamo a sederci sul divanetto.
 “Abbiamo preso Carl Finning.” risponde Don. “Lo faremo parlare.”
 Mac annuisce. “Appena avrete una confessione fatemelo sapere.”
 “D’accordo.” conclude l’altro. “Adesso vado, ho del lavoro arretrato.”
 “Ok. Ci vediamo” lo saluta Mac.
 Flack ci rivolge un cenno con il capo, e noi salutiamo, osservandolo chiudersi la porta alle spalle e allontanarsi lungo il corridoio.
 Nostro zio a quel punto solleva lo sguardo verso di noi. “Come vi sembra New York?” domanda, riponendo alcuni fogli nelle cartellina che hanno invaso ogni angolo della scrivania e tornando ad osservarci.
 “Enorme.” risponde prontamente James. “Sacramento era molto più piccola e meno caotica. Non può competere con New York.”
 Mac ride.
 E quel suono mi spezza il cuore.
 Abbasso lo sguardo. Anche in questo è troppo simile a papà.
 “E tu, Maddalena? Che ne pensi?”
 Quando sento pronunciare il mio nome per intero è come si mi ridestassi da un lungo sonno. Nessuno lo fa mai. Non ci sono abituata e sentire Mac fare una cosa del genere non fa che far aumentare il senso di vuoto che sto provando.
 Chiudo gli occhi, sentendo un forte dolore al petto.
 Qui ogni cosa è diversa. La città, le persone… persino mio zio non mi tratterà mai nello stesso modo in cui mi trattavano i miei genitori. Come farò a sentirmi a casa?
 James mi dà un buffetto sulla gamba per richiamare la mia attenzione.
 Sobbalzo e sollevo lo sguardo, incontrando gli occhi di mio zio, che sta ancora attendendo una mia risposta.
 “Ehm…” esito. “Mi… mi piace molto.” mormoro.
 Sento lo sguardo di mio zio sul mio viso e le mie guance avvampano. Abbasso lo sguardo.
 Fortunatamente, prima che Mac possa porci altre domande, veniamo interrotti da un leggero bussare alla porta.
 Sollevo lo sguardo appena in tempo per vedere Mac compiere un cenno con la mano per invitare ad entrare la donna che sta attendendo in corridoio.
 Lei varca la soglia. “Ehi, Mac!” lo saluta.
 Lui ricambia con un sorriso per poi volgersi nuovamente verso di noi. “Ragazzi, lei è Jo Danville.” la presenta.
 Jo avanza verso di noi. “Ciao!” saluta “Così siete i nipotini, eh?” domanda, anche se probabilmente conosce già la risposta. “Mac non vedeva l’ora che arrivaste.” esclama rivolgendoci un caloroso sorriso. “È un piacere conoscervi.”   
 Mio zio, nonostante l’affermazione della collega, sorride, nessuna traccia di imbarazzo.
 “Come vi chiamate?” ci chiede Jo continuando a sorridere.
 Per lo meno non ha menzionato la morte dei miei genitori. Lo apprezzo.
 “James e Lena.” dice mio fratello rispondendo anche per me.
 “È davvero un piacere! Siete così carini.” conclude facendomi l’occhiolino.
 Per la prima volta da quando sono arrivata, mi ritrovo a sorridere.
 Jo si volta verso Mac. “Allora, capo… pizza, stasera? Puoi approfittarne per mostrare ai ragazzi la Grande Mela”
 Lui volge lo sguardo verso di noi come per chiederci il permesso.
 “Per noi va bene.” dice James, anche nessuno dei due è molto in vena di pizza. In ogni caso non vogliamo sconvolgere la vita di nostro zio. È già tanto che ci abbia accolto qui, quindi dovremmo tentare di non essere un peso.
 “Allora va bene. Passiamo da te alle otto.” le dice Mac.
 Lei sorride, ampiamente soddisfatta per aver ottenuto ciò che voleva. “D’accordo, capo. E non lavorare troppo. Ti voglio tutto in tiro!” si raccomanda, poi, dopo averci salutato, esce con passo spedito e il sorriso sulle labbra.
 Mio zio sorride, scuotendo il capo.
 
 Dopo venti minuti Mac posa la penna sulla scrivania, si alza e prende la giacca. “Andiamo?” ci dice indicando la porta e prendendo tra le mani la valigetta con i nostri documenti.
 Io e James ci alziamo, indossiamo le nostre giacche e prendiamo gli zaini.
 Dieci minuti dopo stiamo camminando per le strade di New York, illuminate da lampioni, maxischermi e insegne pubblicitarie luminescenti.
 È tutto mastodontico qui.
 Anche in California ci sono città enormi, ma New York è davvero gigantesca.
 
 Quando arriviamo davanti all’appartamento di Mac, lui apre la porta e ci invita ad entrare.
 Casa sua non è molto grande, ma comunque è accogliente. Il salotto è la prima cosa che si vede, grande e spazioso; poi c’è una bellissima cucina, evidentemente poco utilizzata, due camere da letto e un bagno in fondo al corridoio.
 “Benvenuti.” ci dice, poggiando le chiavi su tavolino nell’entrata. “Molta della vostra roba è già arrivata. Venite.” conclude e ci guida verso la nostra stanza.
 La nostra camera, proprio come la sua, non è molto grande e probabilmente era stata adibita a stanza degli ospiti. Ci sono due letti contro la parete a destra, un armadio accanto alla porta e due scrivanie.
 “Che ne dite?” domanda vedendo che ci stiamo guardando intorno.
 “È bellissima. Grazie, Mac.” lo ringrazia James, cordiale come sempre.
 “Mettete pure a posto la vostra roba e poi preparatevi, tra un po’ dobbiamo andare.” ci consiglia guardando l’orologio che ha al polso. Poi esce e chiude la porta per lasciarci un po’ di privacy.
 “Carina, no?” mi incalza mio fratello, avanzando.
 Annuisco.
 “Quale letto vuoi prendere? Quello vicino alla finestra o quello vicino alla porta?” mi domanda indicando i letti divisi soltanto da due comodini.
 “Finestra.” replico.
 “Ok.” concede e intanto si sfila la maglietta, sostituendola con una camicia nera. Gliel’ha regalata la mamma lo scorso Natale.
 Un moto di tristezza mi assale, ma tento di respingerlo.
 James mi sorride. “Ti aspetto in salotto.” dice e poi esce, chiudendosi la porta alle spalle.
 Quando rimango sola, mi guardo intorno. Mi sento un’estranea in questa casa.
 Sospiro, poi prendo una camicia e un golfino grigio, me li infilo, mi sistemo la coda, bloccando i ciuffi ribelli con delle forcine ed esco a mia volta dalla stanza.
 “Bene, siete già pronti.” dice Mac, uscendo dal bagno e dirigendosi verso la sua stanza. “Ci metto un minuto.” così dicendo entra nella sua camera da letto e si chiude la porta alle spalle.
 Quando mi volto, vedo che mio fratello sta guardando le foto appese alla parete del corridoio. Mi avvicino e lo affianco, seguendo il suo sguardo. Sta osservando una foto in cui Mac e mio padre, Steve, sono fermi davanti a quella che deve essere la casa dove sono cresciuti.
 Osservo il volto di mio padre.
 Dio, quanto mi manca.
 “Mac gli somiglia molto.” constata James, senza dare spiegazioni. Sa che capirò.
 Io sospiro. “Sarà difficile dimenticare.”
 “Non dobbiamo dimenticare.” replica lui, voltandosi verso di me. “Dobbiamo cercare di andare avanti e superarlo.” dice. “Dimenticare non servirebbe.”
 In quel momento, Mac esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. “Bene. Direi che possiamo andare.” afferma.
 
 Insieme usciamo dall’appartamento e ci avviamo verso casa di Jo. Non abita molto distante da lì, ma partiamo prima per poter osservare con calma la New York notturna.
 Quando finalmente arriviamo sotto casa della collega di Mac, mio zio suona il campanello e lei scende dopo pochi minuti.
 “Ciao.” saluta allegramente “Wow, Mac, come siamo eleganti!” esclama vedendo il completo di mio zio sotto il cappotto nero.
 “Mi avevi detto di mettermi in tiro.” spiega Mac, con un mezzo sorriso. “Anche tu stai benissimo.” dichiara poi.
 “Anche voi siete molto carini, ragazzi.” continua lei, rivolgendosi a noi.
 “Grazie.” diciamo James.
 E poi ci avviamo verso la pizzeria.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti, ecco il terzo capitolo. Spero vi piaccia, come potete vedere si è allungato parecchio. La storia comincia a svilupparsi. Pubblicherò il prima possibile il quarto e intanto godetevi questo!
Buona lettura, la vostra xX__Eli_Sev__Xx
[Revisionato il 29/09/2016]
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Little pieces of my life

 
CAPITOLO 4

 
Appena entriamo, il calore mi invade, il locale non è molto grande, ma è molto curato e ordinato. Una cameriere si avvicina.
“Avete prenotato?” ci domanda.
“Si” risponde Jo. “Per quattro, Danville.” dice.
Il cameriere ci fa segno di seguirlo e attraversiamo la sala già affollata da coppie e famiglie.
Il ragazzo ci fa segno di accomodarci ad un tavolo nell’angolo del salone.
“Grazie.” lo ringrazia Mac e ci sediamo “Fammi capire, tu avevi già prenotato, quindi sarei stato obbligato a venire comunque?”
“Già. Volevo essere sicura che saresti venuto con me questa sera.” dice lei sorridendo beffarda.
Mac ride e poi guarda mio fratello che ricambia accennando un sorriso.
“Allora, ragazzi…” Jo si volta verso di me “Sapete già quando comincerete la scuola?” ci domanda.
“La prossima settimana.” interviene mio zio “I vostri libri arriveranno domani e vi ho già iscritti.” spiega.
“Hai già pensato a tutto.” dice James.
“Non volevo che perdeste l’anno.” si giustifica lui sorridendoci “Soprattutto perché so che vuoi diventare avvocato.” conclude rivolto a mio fratello.
“Avvocato? E’ molto impegnativo.” interviene Jo.
“Lo so, ma è il mio sogno da sempre. So che mi dovrò impegnare, ma voglio farcela.” spiega lui.
“Buona fortuna, allora. Bè, potrai collaborare con tuo zio.” dice voltandosi verso Mac.
“E tu, Lena?” mi domanda Jo.
Io mi volto e ci penso su.
“Non lo so ancora.” dico infine.
“Che corsi ti piace frequentare a scuola?” mi domanda mio zio.
“Matematica, storia e inglese.” dico giocherellando con la forchetta.
“E’ bravissima a scrivere.” dice James.
“Jamie.” lo blocco io.
“E’ vero. Hai un vero talento.” continua.
“Davvero? E cosa scrivi?” mi chiede Jo.
“Storie.” dico io.
“Le hai mai fatte leggere a qualcuno?” mi chiede Mac alzandosi leggermente sulla sedia.
“A James.” dico indicando mio fratello. A lui potevo mostrare qualsiasi cosa senza sentirmi in imbarazzo. Per la verità, ogni qualvolta finivo un racconto correvo da lui. Lui lo leggeva immediatamente e li adorava, tutti.
“E sa anche suonare.” aggiunge mio fratello.
“Davvero?” esclama mio zio “Non ne sapevo niente.”
Io annuisco. Certo, come poteva saperlo? Non ci siamo mai visti se non quand’ero in fasce. Non sa niente di me. Ha ancora molte cose da scoprire e non credo che le troverà su quei fascicoli.
“Cosa suoni?” chiede Jo.
“Violino, pianoforte e chitarra.” dico io. Se non fosse stato per papà, a quest’ora non saprei nemmeno da che parte si prende una chitarra. Lui adorava la musica, di ogni tipo, da quella classica a quella più moderna.
“Wow! Allora dovrai farmi sentire qualche pezzo!” esclama Jo, entusiasta.
“D’accordo.” le dico io, anche se l’ultima cosa che voglio al momento è suonare. Anche perché nessuno dei miei strumenti è qui. Forse arriverà il mio violino, prima o poi, ma il mio adorato pianoforte è rimasto a Sacramento e probabilmente finirà a qualche asta.
Finalmente le pizze arrivano, non avrei retto ancora per troppo tempo quella conversazione.
La serata passa in fretta. Io e James parliamo poco. Non abbiamo niente da dire. Siamo ancora sconvolti da tutto ciò che sta succedendo, troppi cambiamenti in poco tempo. Ma comunque tentiamo di partecipare il più possibile, per educazione.
Alla fine della cena, riaccompagniamo a casa Jo e poi ci avviamo verso casa di Mac. Quando entriamo vado a cambiarmi, mi infilo il pigiama e vado a lavarmi i denti. Jamie è a dormire prima ancora che io abbia finito. Quando esco dal bagno la luce del salotto è ancora accesa. Mac è seduto al tavolo e sta studiando dei fogli.
“Non vai a dormire?” gli chiedo, è tardi, è quasi mezzanotte.
“Oh, Maddalena. No, ho ancora del lavoro da sbrigare.” mi dice alzando per un momento gli occhi dal foglio. Quante volte dovrò ripeterlo? Deve chiamarmi Lena. Odio il mio nome. Sembra che lo faccia di proposito.
“Vuoi una mano?” ma che dico? Non dovrei nemmeno pensare che mi lascerebbe toccare qualcosa che riguardi il suo lavoro.
“Bè , non posso coinvolgerti in queste cose. E’ per la tua sicurezza.” mi dice.
Ma io mi avvicino comunque.
“Posso tenerti compagnia.” gli dico ancora.
“Mi piacerebbe.”
Allora mi siedo accanto a lui e lo guardo scrivere. Assomiglia terribilmente a papà. Ogni cosa di lui me lo ricorda.
“Mi dispiace per ciò che è successo ai tuoi genitori. Volevo loro molto bene. Anche se non ci vedevamo spesso.” mi dice, posando la penna sul tavolo.
Io annuisco. “Assomigli molto a papà” dico senza pensarci.
“Trovi?” mi chiede sorpreso “Ho sempre pensato di essere completamente diverso da lui.” mi confessa.
“Fisicamente siete molto simili.” gli faccio notare.
“Non caratterialmente.” precisa.
“Bè, anche io e Jamie non ci assomigliamo per niente. Ma comunque andiamo d’accordo.” gli dico accennando un sorriso.
Lui abbassa lo sguardo. Ho colpito nel segno.
“Per questo stai a New York?” domando.
Lui annuisce impercettibilmente.
“Che è successo tra te e mio padre?” domando ancora.
“Tempo fa abbiamo litigato” cede infine “Io volevo diventare poliziotto. Anche se lui e tuo nonno non erano d’accordo. Ho seguito la mia strada e ce l’ho fatta. Sono entrato nei Marines ed ora sono il capo della scientifica.”
Non capisco. Che male c’è a voler inseguire i propri sogni?
“Poi prima che tu e tuo fratello nasceste abbiamo litigato. Lui e tua madre sostenevano che diventare un ‘piedipiatti’ avrebbe causato dei guai a tutti. Soprattutto lavorando a New York.”
Io annuisco. Le stesse discussioni c’erano state tra papà e Jamie.
“Si è fatto tardi.” mi dice “Andiamo a dormire?”
Io annuisco e mi dirigo verso la mia camera.
“Buona notte, Mac.” gli auguro e lui mi sorride.
“Anche a te, Maddalena.”
Quando entro nella stanza ci metto un po’ per abituarmi all’oscurità. Quando finalmente riesco a intravedere ciò che mi circonda, mi avvicino al letto e mi ci infilo. Appena la mia testa tocca il cuscino mi addormento e cado in un sonno profondo.
 
Passi. Un rumore di passi invade la casa. Apro gli occhi e guardo l’ora sulla sveglia posta sul comodino. E’ l’una.
La porta della mia stanza si apre con un cigolio e vedo una figura nera avvicinarsi. Una mano fredda scivola sulla mia bocca per impedirmi di fare rumore.
Mio padre è in piedi di fianco al mio letto e con un dito appoggiato sulle labbra mi chiede di fare silenzio. Io non mi muovo e per un momento neanche respiro. Mi prende per un braccio e mi fa alzare. Mi accompagna verso l’armadio. Apre una delle ante e mi ci fa entrare.
“Ma che succede?” chiedo in un sussurro.
Lui scuote la testa, chiude l’armadio e se ne va chiudendo la porta della camera.
Quello che succede dopo lo posso solo immaginare. Sento delle grida e i miei genitori che implorano, infine, dopo circa quindici minuti, degli spari. Cinque, per la precisione. La porta d’ingresso sbatte violentemente e sento un’auto allontanarsi.
Quando esco dall’armadio corro verso la porta della mia stanza e la apro. Scendo di corsa le scale ed entro in salotto. La scena che mi si presenta davanti è raccapricciante. Mio padre e mia madre sono stesi sul pavimento, ormai coperto di sangue. Mia madre è immobile. Mio padre invece si muove convulsivamente, un rivolo di sangue gli cola dalla bocca.
“Mamma! Papà!” grido e mi avvicino “O mio Dio…” prendo il telefono e chiamo un’ambulanza, poi mi avvicino a mio padre che respira ormai a fatica.
Prendo la sua mano e la stringo forte mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Un rantolo esce dalla sua bocca. “Ti… voglio… bene…”
“Anche io papà, anche io ti voglio bene.” dico tra i singhiozzi. Gli occhi si fanno vuoti e vacui e la testa cade di lato. Nessuno dei due respira più. Il pavimento è coperto di sangue. Ogni cosa lo è.
E poi grido. Grido più forte che posso. Qualcuno mi sentirà. Qualcuno mi aiuterà.
 
“Lena! Lena!” sento qualcuno che mi scrolla violentemente. Mi sveglio, sono coperta di sudore e sto piangendo. James mi tiene per le spalle e quando vede che mi sono svegliata mi stringe forte a sè.
“Shh. Sta’ calma. Sei al sicuro.” mi dice, tentando di calmarmi. Io lo abbraccio.
“Lui li ha uccisi, Jamie. Ho sognato ancora quella sera. I colpi di pistola, l’auto che se ne va. Il sangue…” dico tra i singhiozzi. Solo in quel momento mi accorgo che davanti a me c’è mio zio. E’ in piedi. Immobile.
“E’ tutto finito. Siamo a New York. Nessuno ci farà del male. Siamo al sicuro.” mi ripete con dolcezza e accarezzandomi i capelli.
“Vado a prenderti dell’acqua.” dice Mac uscendo.
“Non ce la faccio.” confesso a mio fratello quando mio zio se n’è andato.
“Invece ce la farai, Lena.” mi rassicura lui.
Mac torna con un bicchiere e me lo porge.
“Grazie.” dico tremando.
Il resto della nottata lo passo nel letto di James, abbracciata a lui.
Il mattino dopo mi sveglio alle sette. Sono ancora sconvolta. Mio fratello dorme accanto a me. Mi alzo senza fare rumore ed esco.
Mio zio si sta preparando a colazione e quando entro in cucina si volta.
“Buongiorno.” mi saluta.
“Ciao.” dico semplicemente.
“Hai fame?” mi domanda.
Io annuisco.
“Mi dispiace.” sbotto.
“Per cosa?” mi chiede voltandosi.
“Per questa notte. Per avervi svegliati. Scusa.” ripeto ancora.
“Non è colpa tua. Può capitare.” mi rassicura.
Io deglutisco. Spero che non capiti più. Soprattutto spero di non sognare più una cosa del genere.
 
Nel pomeriggio io e James decidiamo di andare in biblioteca. Prendiamo un autobus che ci porta fino alla biblioteca vicino a Central Park e scendiamo proprio davanti alla grande struttura che è la biblioteca civica.
Quando entro resto senza fiato. Dire che è enorme è un termine riduttivo. E’ mastodontica. Saliamo le grandi scalinate e arriviamo nel punto in cui cominciano le file degli scaffali.
“Io vado nella sezione di giurisprudenza.” mi dice James.
“Ok, mi trovi nella sezione romanzi.” e ci dividiamo.
In quel momento mi accorgo che i romanzi sono davvero tanti. Dai fantasy ai gialli, dai rosa ai noir, dagli urban fantasy a quelli storici. Prendo un romanzo fantasy e mi siedo al tavolo nell’area lettura.
Questo è il momento che preferisco. Silenzio. Silenzio assoluto. So che appena aprirò le pagine di questo libro entrerò in un mondo nuovo. Una dimensione parallela. Un mondo felice e bellissimo.
Comincio a leggere. Nella mia mente si plasmano prima il paesaggio, poi i personaggi e infine tutto il resto. Circa dieci minuti nella realtà corrispondono a una settimana nel libro.
“Posso?” una voce mi riporta alla realtà.
Mi volto e al mio fianco vedo un ragazzo che indica il posto di fianco al mio. E’ biondo, alto e mi sta guardando con i suoi grandi occhi verde smeraldo. Una leggera barba gli incornicia il volto e le labbra carnose e rosse come due ciliege. Ok, non che me ne intenda, ma devo ammettere che è davvero bellissimo. Di ragazzi ne ho conosciuti tanti, ma mai carini come lui.
“Ehm… Certo.” dico.
Lui si siede e apre il suo libro, ma prima di cominciare a leggerlo da’ una sbirciata al mio.
“Angelology, eh? L’ho letto anche io. E’ molto bello.” mi spiega.
Io lo guardo e incrocio i suoi occhi verdi.
Solo ora mi accorgo che il tavolo a cui siamo seduti è completamente vuoto, come tutti gli altri.
“Sono Jeremy.” si presenta e mi tende la mano.
Io la fisso per un momento e poi mi convinco a stringerla.
“Maddalena. Ma chiamami Lena.” dico semplicemente.
“Sei nuova? Non ti ha mai visto qui.” mi dice accennando un sorriso.
“Si, sono arrivata ieri.” dico continuando a leggere.
“Bè, dal libro che hai in mano posso dedurre che ti piaccia leggere.” continua.
Io mi volto.
“E io posso dedurre” comincio “che, dato che il tavolo a cui siamo seduti è praticamente vuoto, come anche gli altri, e tu sei venuto a sederti proprio qui, tu ci stia provando con me.” dico sicura di me. Lo so, forse sono un po’ avventata, ma è quello che penso. E io sono abituata a dire sempre quello che penso.
Lui ride e poi incrocia ancora una volta i miei occhi.
“Forse.” dice “Sei venuta qui da sola?”
“Perché? Vuoi rapirmi?” domando ironica “Perché sappi che è pieno di testimoni e mio zio è uno sbirro.”
“Non sarei così stupido da rapirti qui. Non credi?” spiega.
“Molto scaltro.” gli concedo.
Dopo una attimo di silenzio, si volta per vedermi meglio.
“Quanti anni hai?” mi domanda.
“Oh, adesso ho capito.” affermo “Sei uno stalker.”
Lui ride ancora.
“Diciassette, comunque.” rispondo.
“Allora sei piccola.”
“Perchè tu quanti ne hai?” chiedo. Non sembra molto più vecchio di me.
“Diciotto.” risponde.
“Oh, allora sei molto più vecchio.” gli faccio notare, ironica.
“Certo, di un anno.”
Io sorrido.
“Non sei di qui, vero?” gli domando. Ha un accento strano.
“Sono inglese. Mia madre era di Londra e mio padre di San Pietroburgo.” mi racconta.
“Erano?” azzardo.
“Sono morti un po’ di tempo fa’.”
“Oh, io non lo sapevo, scusa.” mi affretto a dire.
“Non preoccuparti.” mi rassicura.
“Anche i miei sono morti.” gli confido.
“Davvero? Quand’è successo?” mi chiede.
“Una settimana fa’.” gli dico. Ma perché sto raccontando queste cose a lui? Insomma, nemmeno lo conosco.
“Mi dispiace. Com’è successo? Naturalmente se non vuoi dirmelo non importa.” precisa.
“Un uomo è entrato in casa nostra, una notte. C’eravamo solo io e i miei. Mio padre mi ha nascosta e poi l’assassino è entrato li ha torturati e poi uccisi. Cinque colpi di pistola.” racconto.
“E tu che hai fatto?” mi domanda.
“Sono scesa al piano di sotto. Ed erano entrambi coperti di sangue. Mio padre respirava ancora e io ho chiamato il 911. Poi mi è… morto tra le braccia. In quel moneto è arrivato mio fratello e mi ha portata via. Poi l’assistente sociale ci ha portati qui da mio zio. Da Sacramento.” preciso.
“Bè, siete molto lontani da casa.”
“Già. Ma adesso è questa casa nostra.” gli dico chiudendo il mio libro. Non riuscirei comunque a leggere qui.
“Capisco.” mi dice.
“Lena!” vedo mio fratello che mi chiama dalla rampa di scale.
Gli faccio capire che sto arrivando.
“Scusa, devo andare. Piacere di averti conosciuto Jeremy.” gli dico e mi allontano.
“Ciao, Lena.” mi saluta lui.
Mi avvio verso le scalinate e affianco mio fratello.
“Chi era quel ragazzo?” mi chiede.
“Oh, un ragazzo che si è seduto accanto a me per leggere.”
“Mmm.”
“E abbiamo parlato.” aggiungo. Mi aspetto che mi faccia una scenata sul quanto sia pericoloso parlare con gli sconosciuti.
“Solo, sta’ attenta.” mi dice.
Scendiamo fino alla reception, dove lui registra il suo libro e io il mio. Poi usciamo. Intanto fuori ha cominciato a piovere a dirotto. Dato che siamo senza ombrello facciamo una corsa fino alla fermata dell’autobus più vicina.
“Il prossimo è alle 18.30.” mi dice James.
Io guardo il mio orologio e sbuffo.
“E’ tra un’ora e mezza!” esclamo.
“Andiamo a metterci al riparo!” mi dice. Il rumore della pioggia, insieme a quello delle auto è assordante.
“Andiamo in un bar al caldo e poi verso le 18.20 torniamo qui. Ok?” propone.
“Va bene. Basta stare all’asciutto.” gli dico io. Ho freddo e sono bagnata fino alle ginocchia. Non vedo l’ora di bere qualcosa di caldo.
Quando finalmente troviamo un cafè, entriamo e ci sediamo.
“Due cappuccini.” ordina mio fratello e il cameriere se ne va “Che tempaccio!” continua, sfregando le mani una contro l’altra per scaldarle.
“Bè, dovremo abituarci. Il tempo a New York è sempre così.” gli dico.
“Già” conferma lui “Come ti sembra Mac?” mi domanda.
“Una brava persona.” rispondo “Ma chi sono io per giudicare? Soprattutto perché lo conosco solo da un giorno.” spiego.
“Che ne dici se passiamo al laboratorio dopo?” propone.
“D’accordo.”
“Non vedo l’ora di cominciare la scuola.” sbotta.
Il cameriere ci porta i cappuccini e li lascia sul tavolo. Noi ringraziamo.
“Non lo so. Compagni nuovi, nuovi insegnanti. Cambierà tutto. Mi ci vorrà un po’ per abituarmi.” gli confesso.
“Ce la farai. Abbi un po’ più di fiducia.” mi incoraggia.
Un’ora dopo raggiungiamo la fermata dell’autobus e saliamo.
Circa quindici minuti dopo arriviamo nei pressi del laboratorio. Andiamo alla reception, prendiamo il tesserino visitatori e raggiungiamo l’ufficio di Mac.
Quando bussiamo, la voce di nostro zio ci invita ad entrare.
“Ragazzi.” ci saluta “Cosa fate qui?”
“Abbiamo pensato di venire qui e andare a casa con te.” spiega James.
“Bè, grazie. Tra cinque minuti ho finito e andiamo. D’accordo? Intanto accomodatevi.”
Cinque minuti dopo, come promesso, usciamo dal suo ufficio e ci dirigiamo verso casa.
Dopo la cena ci prepariamo l’occorrente per la scuola. Domani si ricomincia.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco il quarto capitolo. Lo so, è lunghissimo ma la storia si sta pian piano plasmando per bene! Spero vi piaccia e che altro dire… buona lettura!
A presto, Eli_147

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Little pieces of my life
 

CAPITOLO 5

 
La sveglia suona alle sette. La spengo con un colpo della mano e mi stropiccio gli occhi. Cerco di cancellare gli ultimi residui di stanchezza sbadigliando. Io e James ci alziamo, mangiamo colazione e ci prepariamo per partire. Oggi si ricomincia la scuola. Non vedevo l’ora di tenere la mente occupata con lo studio.
“Volete che vi accompagni? Dato che è il primo giorno…” ci propone Mac, prima di uscire.
“Tranquillo. Andiamo con l’autobus.” lo rassicura James e poi prendiamo gli zaini.
Io annuisco e poi usciamo di casa. L’aria autunnale ci sferza il volto con l’aggressività che segna l’arrivo del brutto tempo. Prendiamo l’autobus alla fermata sotto casa e quando arriviamo a scuola ci dirigiamo subito verso la segreteria. Dobbiamo ritirare gli orari e farci spiegare dove sono i nostri armadietti. So che è infantile, ma spero che siano vicini. Non voglio rimanere sola il primo giorno.
“Buongiorno.” salutiamo e una donna cicciottella si sfila gli occhiali e ci guarda attentamente. Deve avere circa sessant’anni, i segni del tempo sono ben visibili sul suo viso. Non sembra una di quelle donne accondiscendenti, perciò decidiamo di andare subito al sodo.
“Posso aiutarvi?” ci chiede con una voce profonda, per essere quella di una donna.
“Noi siamo nuovi. Avremmo bisogno degli orari delle lezioni.” le dice cordialmente mio fratello.
“Nomi?” dice mettendo le mani vicino al contenitore dei fascicoli.
“James e Maddalena Taylor.” dice ancora lui.
“Ecco qua. James Taylor.” e porge un figlio a Jamie “E Maddalena Taylor.” conclude porgendone un altro a me “I vostri armadietti sono il 147 e il 148” ci saluta e torna a lavorare al computer senza degnarci di un saluto.
Usciamo dalla segreteria e ci dirigiamo verso gli armadietti, dovremo trovarli da soli, dato che la segretaria non ci ha spiegato dove sono. Quando li troviamo, giriamo la rotellina prestando attenzione a non sbagliare la combinazione, posiamo alcuni libri e poi ci dirigiamo verso le classi in cui avremo lezione.
“Qual è la tua prima lezione?” mi chiede James.
Io scorro il dito sul foglietto.
“Ehm… Matematica” dico infine “La tua?”
“Biologia” mi dice “Ci vediamo all’uscita?” propone.
“D’accordo. Ti aspetto nell’atrio alle tre.” gli dico, devo ammettere che dover continuare da sola mi mette in ansia.
“Ok. A dopo! Buona lezione!” mi augura e io faccio lo stesso. Mi dà un bacio e si allontana.
Mi muovo ne corridoio alla ricerca dell’aula di matematica e nel tragitto, svoltato un angolo, mi scontro con un ragazzo.
“Oh, scusami. Non volevo.” mi affretto a dire. Che figuraccia, proprio il primo giorno. Ma che ti prende, Lena?
Lui si volta e con mia grande sorpresa mi sorride radioso.
“Maddalena?” mi dice. Io rimango immobile, incredula di ciò che mi trovo davanti. Accenno un sorriso e trattengo il respiro.
“Jeremy.” dico infine.
“Come mai qui?” mi domanda.
“Bè, vengo a scuola.” gli dico. E’ abbastanza ovvio.
“Giusto. Hai già conosciuto la nostra segretaria Marge, vedo.” dice indicando l’orario che tengo in mano.
“Già.” rispondo. Marge, il nome perfetto per lei. Chissà perché non mi stupisce.
“La donna più simpatica e amorevole del pianeta. E non hai ancora conosciuto l’infermiera. Tara.” mi dice sorridendo beffardo. Noto una certa ironia nella sua voce.
“Allora spero di non sentirmi male già il primo giorno!” ribatto. se davvero l’infermiera è come la segretaria, non intendo farmi torturare da lei.
“Che lezione hai?” mi chiede avvinandosi per vedere l’orario.
“Matematica.” dico mostrando il foglio.
“Vuoi che ti accompagni? Sai, l’aula è difficile da trovare.” sembra che stia scherzando, ma comunque, accetto.
“Oh. Va bene.” Camminiamo per qualche minuto. Era davvero difficile da trovare, da sola non ce l’avrei fatta.
Quando arrivo davanti all’aula, Jeremy mi saluta e mi dice che probabilmente ci vedremo a pranzo ed io entro. Non siamo molti, i banchi sono al massimo una quindicina.
Mi siedo nel terzo banco a sinistra, accanto alla finestra, non voglio stare in prima fila, non il mio primo giorno. Come ho già detto, non mi piace essere al centro dell’attenzione. I ragazzi cominciano ad entrare. Sono dei gruppetti di poche persone. Soprattutto maschi, le ragazze saranno sei in tutto, compresa me. Un ragazzo si siede nel banco accanto al mio e mia studia attentamente prima di parlare. È carino, ma non gli parlo. Non saprei che dire.
“Sei nuova?” mi chiede.
“Si” rispondo io “Mi chiamo Maddalena, piacere. Ma chiamami Lena.”
“Ian.” mi dice lui, porgendomi la mano e io la stringo, è incredibilmente calda. Anche lui come Jeremy è molto carino. E’ alto, moro e ha gli occhi di un marrone talmente scuro da sembrare neri “Preparati a conoscere la professoressa di matematica.” mi dice. Bene. Ma in questa scuola cos’hanno tutti? Segretaria pazze, infermiere che non sono da meno e professori spaventosi. Sembra che tutti in questa scuola siano strani.
“Che ha che non va?” chiedo.
“Niente. E’ solo molto severa.” mi spiega.
Io prendo il mio orario e lo guardo. cerco di memorizzarlo, anche perché credo che presto lo perderò. Matematica per due ore. Un’ora di geografia. Due di lettere. Un’ora per il pranzo. E poi un’ora di biologia e una di inglese.
“Frequentiamo matematica, biologia e lettere insieme.” mi dice Ian, guardando il mio orario. E poi sorride.
“Bene, almeno conosco qualcuno.” mi sento sollevata. Gli sorrido di rimando e poi siamo interrotti dall’arrivo della professoressa.
Quando la lezione comincia mi presento alla classe, ovviamente su richesta della professoressa Smith. Non mi sembra tanto male, nonostante la descrizione di Ian.
Le lezioni prima del pranzo procedono molto velocemente. Tutti i compagni e i professori sono molto gentili con me e questo mi piace. Non sono poi tanto male. Quando suo la campanella della fine della quinta ora, esco dalla classe insieme a Ian. Ci dirigiamo verso il suo armadietto e poi mi accompagna al mio. Posiamo alcuni libri e riprendo solo la mia tracolla. Dentro ho il cellulare e non vorrei me lo rubassero il primo giorno, non so se Mac sarebbe contento di comprarne uno nuovo.
“Pranziamo insieme?” mi chiede lui.
“Certo.” gli dico. Credevo che avrei pranzato da sola, anche perché Jeremy non si è ancora fatto vedere. Entriamo in mensa e dopo aver preso qualcosa da mangiare ci dirigiamo verso un tavolo libero. La sala è enorme e colma di tavoli rotondi circondati da sedie rosse e blu.
“Come ti è sembrato il primo giorno di scuola?” mi chiede prendendo una foglia di insalata e bevendo un sorso d’acqua.
“Carino. Gli insegnanti non sono poi così terribili.” gli faccio notare.
“Aspetta e vedrai!” mi mette in guardia e io gli sorrido “Quando cominceranno i test e le interrogazioni preferiresti essere flagellata in pubblico piuttosto che prenderne parte. Credimi.” ok, devo ammettere che questo mi spaventa. La flagellazione? Cavoli. È solo un’interrogazione.
In quel momento arriva mio fratello, che mi scocca un bacio sulla guancia e poi osserva Ian.
“Ciao, Lena!” mi saluta.
“Ehi, Jamie. Com’è andato il primo giorno?” gli chiedo, prima che sia lui a farlo.
“Bene e a te? Posso sedermi?” domanda ancora.
“Certo. Comunque, è andata bene.” dico lapidaria.
“Ian, lui è mio fratello James.” dico rivolta al mio compagno di classe.
“Piacere, sono Ian.” si presenta. Gli tende la mano come ha fatto con me e mio fratello la stringe.
“Piacere mio.”
James si siede e parliamo delle lezioni del primo giorno. Anche a lui tutti gli insegnanti hanno fatto una buona impressione e anche i corsi gli piacciono molto.
“Ciao, Maddalena.” una voce mi costringe a voltarmi.
“Jeremy!” esclamo “Ciao. Siediti.” lo invito con un cenno della mano. Lui posa il vassoio e si siede accanto a James.
“Lui è mio fratello James e lui è Ian un mio compagno di classe” dico.
James gli sorride, mentre Ian mi sembra un po’ restio, ma subito dopo sorride.
“Piacere.” dice Jeremy, rivolto a Ian. “Io e James ci conosciamo già, frequentiamo ginnastica e latino insieme.” mi dice. Pranziamo velocemente e passiamo il resto del tempo a parlare di noi. Raccontiamo dei nostri genitori e della nostra vita a Sacramento. Ma come succede sempre, con un tempismo perfetto, la campanella suona. Così ci salutiamo. Mi dirigo verso l’aula di biologia insieme a Ian e alla fine dell’ora lo saluto per andare a seguire la lezione di inglese.
Alle tre in punto la campanella suona. Sono sollevata, non vedevo l’ora di tornare a casa. Quando esco dall’aula incontro Jeremy, diretto verso l’uscita.
“Ehi.” mi saluta con un cenno della mano.
“Ciao.” ribatto io.
“Vuoi un passaggio?” mi domanda. Probabilmente ha una di quelle macchine da super-fighi e vuole sfoggiarla con una ragazza qualsiasi. Comunque sono seriamente tentata di accettare.
“No, tranquillo. Torno a casa in autobus.” dico alla fine.
“Anche io torno a casa in autobus.” mi dice sorridendo. Io lo guardo e poi rido.
“Perché mi hai chiesto se volevo un passaggio, allora?” domando.
“Così.” mi dice lui, vago. Io scuoto la testa, in segno di resa, non lo capirò mai, credo.
“Sei proprio strano.” gli dico sorridendo.
“Touche.”
Quando arriviamo davanti all’uscita vedo mio fratello che mi aspetta.
“Quale autobus prendi?” gli chiedo ancora prima di voltarmi. Se tornasse con noi mi piacerebbe.
“Quello delle quattro. Voglio fare un salto in biblioteca.” mi risponde. Devo ammettere che rimango delusa da quella risposta.
“Ok, allora ci vediamo domani.” gli dico, celando la mia delusione.
“A domani.” mi dice lui e poi si allontana salutandomi con un cenno della mano.
“Andiamo?” mi chiede James, avvicinandosi.
“Si”. rispondo, e poi mi volto ancora una volta a guardare Jeremy che si allontana.
Quando finalmente arriviamo a casa, cominciamo immediatamente a studiare. Non che ci abbiano dato molto da studiare ma entrambi dobbiamo rimetterci in pari con il programma.
Dopo circa due ore posiamo i libri e ci sediamo sul divano a guardare un po’ di TV. Quando James si siede io mi raggomitolo accanto a lui e lui mi stringe a se. Adoro guardare la Tv con lui. Mi mancava quell’abbraccio.
Accende la TV e la prima cosa che vediamo è il notiziario. Si ferma e insieme ascoltiamo le notizie del giorno.
“Le ricerche per trovare il pluriomicida Ivan Romanoff stanno continuando” dice il giornalista mentre una foto dal criminale compare dietro di lui “La polizia californiana ha spiegato che chiunque veda quest’uomo è tenuto ad avvertire le forze dell’ordine. Nessuno deve tentare di fermarlo, è molto pericoloso. Non sanno dove sia diretto e dove si trovi, ma le ricerche stanno continuando.”
Quando vedo la foto il mio cuore si ferma.
“Jamie” dico soltanto.
“Siamo al sicuro, Lena.” dice prima che io possa continuare. ha capito che potrei dare di matto.
“Chissà dove sarà adesso.” ribatto stringendomi più a lui.
“Non importa. Siamo al sicuro.” mi ripete ancora e mi dà un bacio sulla fronte, proprio come faceva papà, per rassicurarmi. Quel gesto mi fa sentire a casa, in un certo senso.
“E se dovesse venire a cercarci?” domando.
“Non succederà. Perché dovrebbe? Non sa neanche che esistiamo.” mi dice. Ed è vero. La sera che ha ucciso mamma e papà non mi ha vista e James non era a casa. Forse non sa che esistiamo e se lo sapesse non ci riconoscerebbe. Spero solo che non abbia fatto caso alle foto che ricoprivano le pareti di casa nostra, altrimenti saremo spacciati.
Mio fratello comincia a fare zapping e qualche volta si ferma per studiare il programma. Infine decide di guardare un film e si ferma.
“E se preparassimo cena a Mac?” propongo “Per ringraziarlo di averci presi con lui.”
“D’accordo” dice James, annuendo. Sintonizza la TV su un canele di sola musica, posa il telecomando e si alza. Ci dirigiamo in cucina, verso il frigo ma quando lo apriamo vediamo che è praticamente vuoto.
“Fantastico.” dico io, richiudendo lo sportello. Ci guardiamo per un momento, poi Jamie guarda l’orologio. Lo seguo in salotto.
“Bè, credo che andrò a fare un po’ di spesa” mi dice prendendo il portafogli che aveva lasciato sul tavolino all’entrata. Si avvicina, mi scocca un bacio sulla guancia “Torno tra poco.” ed esce.
Bene. Adesso che faccio? Dopo aver girato a vuoto per circa dieci minuti, decido di sedermi sul divano a guardare un po’ di TV. Naturalmente l’unica cosa che trovo sono dei documentari. Dopo un’ora, James torna con le borse della spesa. Lo aiuto a portarle in cucina.
“Voilà!” dice soddisfatto.
“Fantastico. Che cuciniamo?” chiedo io.
“Mmm.” riflette “Che ne dici se cuciniamo del pollo arrosto con patate? E’ semplice e veloce” mi dice infine.
“D’accordo. Io mi occupo del pollo e tu delle patate” gli dico indicando un sacchetto di patate da pelare.
Dopo un’ora abbiamo finito. Inforniamo il tutto e dopo averlo preparato ci sediamo al tavolo ad aspettare.
Dopo mezz’ora sentiamo le chiavi girare nella toppa. E’ Mac. Ci alziamo senza fare rumore.
“E’ Mac.” dico a James, dando voce ai miei pensieri. Lui annuisce.
“Ciao ragazzi.” ci saluta lui. Posa le chiavi all’entrata e si toglie la giacca.
“Ciao.” diciamo in coro, sporgendoci dalla cucina. Quando nostro zio entra rimane a bocca aperta.
“Cavolo. Ma…” è tutto ciò che riesce a dire.
“La cena è pronta.” dico io “Vieni a sederti?” gli domando, interrompendolo.
“Certo” si siede e poggia le mani sul tavolo “Perché?” domanda indicando la tavola imbandita.
“Per ringraziarti.” dice James sorridendo e sedendosi alla destra di mio zio.
“E per cosa?” chiede lui stupito, ancora incantato da tutto ciò che c’è sulla tavola. Credo che non abbia mai mangiato una cosa del genere se non al ristorante.
“Per tutto quello che hai fatto per noi. Per averci accettato qui, aver pensato alla scuola e a tutto il resto. Diciamo che l’arrivo di due adolescenti non è una cosa che si affronta tutti i giorni.” gli spiego. So che lui ci vuole bene, anche se non lo dimostra. Ma comunque non deve essere stato facile. Per noi non lo è stato.
“Oh ragazzi. Grazie.” ripete ancora.
Noi sorridiamo e poi mi siedo anche io. In quel momento dimentichiamo tutto, la scuola, il lavoro, la tristezza, la malinconia. E’ un cena in famiglia. Una famiglia felice.
 
Non posso lamentarmi, lo devo ammettere. La scuola va alla grande, io e James stiamo benissimo con Mac e abbiamo trovato dei buoni amici. Mamma e papà mi mancano, certo. Però la vita sembra più… leggera, rispetto a poco tempo prima. E’ incredibile.
Non vorrei dimenticare troppo in fretta i miei genitori, un po’ mi sento in colpa. Sto dimenticando tutto, forse. I bei momenti con loro, le risate, i litigi, le lacrime. Tutto. Devo andare avanti, ma dovrei dimenticare? Lasciarmi tutto alle spalle? La mia vita è questa, dopotutto.
Le settimane passano in fretta. Tutto sembra andare per il verso giusto. Sono felice e anche mio fratello lo è. Non potremmo chiedere di meglio.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Et voilà! Ecco a voi servito il quinto capitolo, grazie a tutti quelli che mi seguono e che leggono questa ff. Un grazie speciale va a alicew in wonderland, perché recensisce ogni mio capitolo e mi da dei consigli per migliorare! Grazie Aly! ;) Buona lettura, spero che vi piaccia.
Un bacino, Eli_147

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 6

 

Un mese è passato in fretta. La nostra vita sembra tornata ad essere quella di una volta. La scuola, la casa, la famiglia. Tutto sembra tornato alla normalità.
E’ il 15 Novembre. Fa davvero molto freddo, così Mac ci ha accompagnati  a scuola, questa mattina. Io e mio fratello scendiamo dall’auto e corriamo nell’atrio prima di rimanere congelati e poi ci salutiamo.
“Oggi esco più tardi, ci vediamo a casa, ok?” mi dice prima di avviarsi verso la sua classe.
“D’accordo. Torno a casa con Jeremy” ribatto, ci salutiamo e ci avviamo verso la rispettive classi.
Questa mattina ho biologia. Quanto la odio. E’ una materia che non capisco. Credo che mi farò aiutare da Ian, lui ha una A tonda. Mi aiuterà, così nel test non prenderò una F, altrimenti mi rovinerò la media scolastica.
“Ehi Lena!” mi saluta quando entro. Mi siedo accanto a lui, dato che i banchi sono doppi.
“Ciao Ian” lo saluto di rimando.
“Pronta per questa entusiasmate ora di biologia?” mi chiede in tono ironico. sa che è una materia che odio.
“Ah ah” ribatto io “Divertente”
La professoressa entra in classe e la lezione comincia. E’ l’ora più lunga della mia vita, nonostante abbia sessanta minuti come tutte le altre.
Alla fine dalle giornata sono distrutta. Un compito in classe, due interrogazioni e posso ritenermi fortunata a riuscire a reggermi ancora in piedi.
Jeremy mi sta aspettando davanti all’entrata e quando lo vedo lo saluto con un cenno della mano. Finalmente posso uscire e riposarmi.
“Ciao Lena! Come va?” mi chiede rivolgendomi un sorriso sghembo.
“Ciao, bene a parte il freddo. Tu? Com’è andata la mattina?” gli chiedo di rimando.
“Non mi lamento” mi dice.
“Che vuol dire non mi lamento?” gli chiedo allora, ma ho l’impressione che non sia niente di buono.
Mentre usciamo si decide a parlare.
“Ho dei problemi con matematica e fisica”
“Se vuoi posso darti una mano” gli dico io.
“Dipende. Quanto hai in matematica?”
“Una A tonda, tonda.” gli dico fiera.
“Wow, complimenti! Anche se sono una classe avanti a te mi aiuterai comunque?” mi dice sorridendo.
“Grazie. Comunque, si, che vuoi che sia? Sono piccoli dettagli.” dico ironica e lui ride.
“Allora… Che ne dici se una sera ci vedessimo per una pizza o un film?” mi propone.
“Mi piacerebbe” gli rispondo. Ed è vero, in realtà non vedevo l’ora che me lo domandasse.
“Proporrei una commedia o un film storico o magari un fantasy” mi dice sorridendo.
“Vada per il fantasy.” ribatto. Sorridiamo e ci avviciniamo alla fermata del bus.
“Vuoi che ti porti la cartella? Sembra pesante” dice, indicando il mio zaino.
“No tranquillo, hai già il tuo. Grazie, comunque” è davvero gentile. Ma non glielo avrei mai lasciato portare.
“Figurati.” dice, con fare disinteressato.
Quando arriviamo alla fermata del bus continuiamo a chiacchierare e quindici minuti dopo, prendiamo l’autobus che mi lascia vicino a casa. Saluto Jeremy e salgo lentamente le scale del condominio. Infilo le chiavi nella toppa ed entro.
Dopo essermi chiusa la porta alle spalle, sento dei rumori venire dalla mia camera. Poso la cartella sul divano ed entro in cucina.
Che sia James? Ha detto che tornava più tardi. Strano. Magari ha finito prima, anche perché il nostro autobus ha ritardato.
“James? Sei tu?” dico distrattamente prendendo un bicchiere nella credenza. Apro il frigorifero e prendo il succo d’arancia e lo appoggio sul tavolo.
Nessuna risposta, quindi esco dalla cucina e mi dirigo verso la mia stanza ma nel corridoio mi blocco. Vedo un’ombra nella mia stanza. Si muove. Non può essere un riflesso. E non può essere l’ombra di James, è troppo grande. Quando esce il cuore mi si ferma letteralmente nel petto.
Non è James. E’ un uomo. E’ alto e muscoloso. Il suo corpo è coperto di tatuaggi e i capelli brizzolati sono lunghi fino alle spalle. E’ lui. Ivan Romanoff, l’uomo che ha ucciso i miei genitori.
“Bene, bene, bene” il suo accento è sovietico “Allora Steve e Caroline avevano davvero dei figli” constata guardandomi dalla testa ai piedi.
Io indietreggio lentamente, la paura mi assale. Che posso fare? Sono sola, lui è il doppio di me, non riuscirei mai a scappare. Dopo quello che ha fatto ai miei genitori, contando che mio padre era alto quanto lui, come potrei pensare di riuscire a opporre resistenza?
“Cosa vuoi da me?” gli chiedo. Devo guadagnare tempo, potrei uscire in strada, qualcuno potrebbe aiutarmi.
“Da te?” la sua voce roca mi rimbomba nella testa “Niente.” mi dice.
Mi avvicino alla porta e quando sono tanto vicina da poterla aprire, lui mi raggiunge e mi copre la bocca con una mano per impedirmi di gridare.
La voce mi muore in gola.
“Se provi a parlare sei finita.” mi dice con il suo accento russo e solo ora mi accorgo che mi ha messo un fazzoletto bagnato sul viso. Tutto si fa nero e perdo i sensi.
 
Quando riapro gli occhi una luce a neon mi costringe a coprirli con un braccio.
Quando finalmente riesco a mettere a fuoco l’ambiente che mi circonda, constato che mi trovo in una stanza vuota, quindi non è stato un sogno.
E’ molto grande, ci sono due finestra sbarrate e impolverate, segno che nessuno le spolvera da tempo. Sono circondata da muri di cemento, ci sono due sedie e nient’altro. Sul fondo, davanti a me, vedo una porta. Mi dirigo verso di lei e tento di aprirla. Naturalmente è chiusa a chiave. Do alcuni strattoni, magari se faccio forza si aprirà. Ma non succede.
Cerco di non farmi prendere dal panico e mi siedo con la schiena appoggiata ad un muro. Faccio mente locale e tento di ricordare cos’è successo, ma vengo interrotta dal rumore di una chiave che gira nella toppa.
“Bene.” Romanoff entra e si inginocchia davanti a me “Vedo che ti sei svegliata.” mi dice. Io non lo guardo. E’ l’uomo che ha ucciso i miei genitori.
“Oh, su via. Non porterai ancora rancore?! E’ passato un mese! Se ti può consolare se avessi saputo che Steve a Caroline avevano una figlia avrei ucciso anche te.” mi dice ghignando.
Io chiudo gli occhi e tento di ricacciare indietro le lacrime.
“Sei disgustoso.” gli dico, sprezzante.
“C’è di peggio, credimi.”
“Cosa vuoi da me? Perché hai ucciso i miei genitori? Cosa ti avevano fatto?” gli domando.
“I tuoi genitori? Niente.” risponde semplicemente. Allora perché?
“E allora perché?” gli domando ancora, dando voce ai miei pensieri. Voglio che mi dica perché li ha uccisi.
“Vendetta.” mi dice semplicemente.
Non capisco. Vendetta? E verso chi?
“Capo!” un uomo irrompe nella stanza, interrompendo la nostra conversazione.
“Che c’è?” domanda lui, brusco.
“Vieni a vedere! Fa’ presto.” lo incalza. lui sospira e si alza in piedi.
“Allora a presto, signorina Taylor.” mi dice e, in quel momento, mi sembra che pronunci con disprezzo il nome della mia famiglia. Così dicendo esce e chiude la porta a chiave ed io rimango sola in quella stanza.
 
Due giorni dopo, Romanoff fa il suo ritorno. Pensavo non tornasse più e invece eccolo qui. Ho paura di ciò che potrebbe farmi. Se voleva vendicarsi dei miei genitori o della mia famiglia, forse non esiterà ad uccidere anche me.
“Bene, come stai, signorina Taylor?” mi domanda, stando in piedi davanti a me.
Io non rispondo. Non si merita la mia considerazione. E poi è due giorni che non mangio e non bevo. Non so nemmeno se riuscirei a parlare. Comincio a sentire le membra deboli e stanche. La mancanza di cibo si è fatta sentire prima di quanto credessi.
“Ne sono felice.” continua allora “Sarai felice di sapere che tuo zio ti sta cercando.”
Io sollevo la testa di scatto. Lo sapevo. Sapevo che non mi avrebbe abbandonata. Spero che mi trovi presto. Non voglio che Romanoff mi uccida. Ho paura e non voglio morire.
“E noi ci faremo trovare.” conclude.
Cosa? Ma è matto? Perché dovrebbe farsi trovare? Ad un tratto, la voglia di farmi trovare, scompare. Un pensiero si fa strada nella mia mente. E se volesse arrivare a mio zio utilizzandomi come esca?
“Hai capito bene.” dice, come se mi avesse letto nel pensiero.
“Quindi è lui che vuoi.” gli dico. Adesso capisco, anche se non so il perché. Mi alzo lentamente. Le gambe non riusciranno più a reggermi se non mangerò. “Che cos’è che vuoi da mio zio?” gli domando ancora.
Ho ancora la mia giacca, ma sembra che il freddo autunnale riesca penetrare anche nelle ossa. Sto tremando, sia per il freddo che per la paura.
“Non sono affari che ti riguardano. Anche se penso che farti conoscere la storia non sarebbe male.” si avvicina “Per ora, ti basti sapere che tuo zio non è un santarellino come credi.” mi dice, ghignando.
“E questo che cosa significa?” domando io, mettendo da parte la paura che ho di lui. Voglio capire.
“Ti ho detto che per ora ti basta questo.” ribatte. Il suo sguardo si fa duro ma dopo un momento torna a sorridere. “Ah, dimenticavo.” si avvicina e estrae un coltello. Io indietreggio di qualche passo, le mie spalle toccano il muro. Sono in trappola.
Lui mi trascina per un braccio e mi tira a se. I nostri volti sono a poca distanza l’uno dall’altro. Che vuole fare? Cavarmi gli occhi? Lasciare un segno indelebile sul mio viso, in modo che mi ricordi di lui?
“Questo per rendere le cose più interessanti.” mi sussurra all’orecchio.
Sento la lama conficcarsi nel mio fianco. Non riesco nemmeno ad urlare dal dolore. Cado a terra e mi reggo il fianco. Sento che il sangue cola lungo il fianco e la gamba. Quando riesco a prendere fiato alzo leggermente la testa per guardare quell’assassino negli occhi. Lui mi osserva, sembra interessato a vedere come reagirò a questo. Io non mi muovo, non gli darò la soddisfazione di vedermi piangere o soffrire.
Ad un tratto esce chiudendosi la porta alle spalle. Finalmente.
Mi trascino lentamente fino al muro e cerco di tamponare la ferita. Strappo un pezzo della maglietta e lo premo sopra il fianco facendo molta pressione. Devo fermare l’emorragia. Dopo pochi secondi è totalmente impregnato di sangue. Il dolore che provo è indescrivibile. Le fitte al fianco si fanno via via più forti e frequenti e mi costringono a raggomitolarmi. E il fatto che la stanza sia fredda non aiuta di certo. Sono sicura che mi verrà la febbre, dato che non disinfetterò il taglio.
Ma perché sta succedendo tutto questo? Sarei dovuta essere al sicuro, con James e Mac. E poi che intendeva Romanoff con quella frase?
Passo la notte in bianco. Non riesco ad addormentarmi. Ho paura che se dovesse succedere non mi sveglierei più.
Magari sarebbe meglio, penso ad un tratto. Rivedrei mamma e papà.
Allontano subito quel pensiero e mi concentro sul respiro. Devo resistere. Devo sopravvivere.
 
Sento delle voci venire dall’esterno. La porta si apre con uno scatto e Romanoff entra.
“E rieccoci qua.” dice fermandosi davanti a me. Respiro affannosamente, sono sudata e ho fame. Probabilmente ho la febbre, che come avevo previsto è comparsa qualche ora dopo essere stata trafitta.
Sono passati quattro giorni dal rapimento e non ce la faccio più. Di fianco a me c’è un’enorme macchia di sangue. La ferita si è quasi rimarginata ma sanguina ancora di tanto in tanto, quando mi muovo. Ho perso molto sangue e mi fa male ad ogni minimo movimento, ma cerco di non darlo a vedere. Devo essere forte, continuo a ripetermi. Però sono troppo debole, sono pallida e non riesco quasi a respirare. E’ già un miracolo che non abbia ancora perso i sensi. Sono scossa da tremori, ormai da due giorni. La febbre non se ne andrà molto facilmente.
“Vedo che non hai più la forza di fare domande. Così non mi interromperai durante il racconto.” dice, prende una sedia, si siede davanti a me e poggia a terra un bicchiere d’acqua.
“Non mi interessano le tue storie.” riesco a dire con voce mozzata e la bocca asciutta. Se non morirò dissanguata, credo che morirò di fame. Allungo il braccio e prendo il bicchiere. Bevo a piccoli sorsi ma in meno di dieci secondi l’acqua è finita. Non che preferissi essere totalmente disidratata, ma adesso che ho avuto dell’acqua ne vorrei ancora e ancora. Forse sarebbe stato meglio non berla.
“Oh, dopo averla sentita capirai che ti riguarda più di quanto credi.”
Mi volto. Non voglio vederlo. Non voglio guardarlo negli occhi.
E comincia:
“Vedi, una decina di anni fa, mi trovavo a New York. Stavo aiutando la mafia russa a infiltrarsi nella polizia. Un giorno decisi di rapinare una piccola villetta appena fuori città. Ci vivano un uomo e una donna molto ricchi, insieme ai due bambini. La notte in cui entrai, il padre era ancora sveglio. Naturalmente oppose resistenza. Gli chiesi più volte dove si trovava la cassaforte, ma niente. Non me l’ha voluto dire. Così per scoprirlo li ho torturati e uccisi tutti. Ho cercato la cassaforte e l’ho trovata. Qualcuno deve aver sentito le grida dei bambini e deve aver chiamato la polizia. Quando è arrivata, io me n’ero già andato da un po’ e avevo preso quasi tutti gli oggetti preziosi. Taylor aveva recuperato ogni possibile traccia per riuscire a capire chi era stato. E c’è riuscito. Ha scoperto che ero stato io. Ha scoperto il nostro piano, ha fatto arrestare tutti i miei compagni e ha ucciso mio fratello, l’unico che avesse opposto resistenza. Io sono riuscito a scappare. E non riuscirono mai a prendermi. Per dieci anni ho viaggiato per tutta l’America, indisturbato, a cercare altri membri per la mia squadra.
E adesso cosa vedo? Un annuncio su tutti i notiziari. Ivan Romanoff, pluriomicida e rapinatore si trova attualmente a New York? Ma il caro Taylor vedrà di cosa sono capace. Oh, lo vedrà. E tu non vivrai abbastanza per vedere cos’ho in serbo per lui.” conclude.
Mi si annebbiano gli occhi e una lacrima mi riga la guancia.
“E già. Crudele il destino, eh?” mi domanda ghignando “Finalmente avrò la mia vendetta.” aggiunge alzandosi e avvicinandosi.
Mi volta il viso con una mano e mi studia attentamente.
“Gli assomigli molto.” mi dice infine “Sarà un piacere ucciderti con le mie mani.” si alza e esce.
Il rumore dei miei singhiozzi riempie la grande stanza.
Ho paura. Quell’uomo è capace di tutto. E’ totalmente matto.
Per me non c’è via di scampo, mi ucciderà per punire Mac.
Spero solo che mio zio sia prudente.
 
“Ehi ragazzina!” un uomo entra nella stanza e si avvicina. Io apro gli occhi. Dopo sei giorni di prigionia ho dovuto dormire alcune ore. Non ce la facevo più.
“Alzati” mi ordina. Io non muovo un muscolo, quindi mi alza per un braccio e mi trascina fuori. Mi accompagna in una stanza con, al centro, un tavolo ricoperto di carte e un telefono.
“Vieni Taylor. C’è tuo zio qui.” mi dice Romanoff, indicando il telefono. Mi fanno sedere su una sedia e il russo mi porge la cornetta. Tremendo la stringo nella mano destra e ascolto.
“Maddalena? Maddalena, stai bene?” la voce di Mac dall’altro capo dell’apparecchio mi fa reagire.
“Mac, non venire. E’ un trappola. Ti vuole uccidere…” dico flebilmente.
Romanoff mi strappa la cornetta dall’orecchio e la poggia di nuovo al suo.
“Hai sentito Taylor? E’ viva, ma ancora per poco. Vieni da me da solo e c’è qualche possibilità che tua nipote non muoia. La telefonata è abbastanza lunga perché la possiate rintracciare. Prima verrai qui, meglio sarà per lei.” dice. Riaggancia e mi riporta nella stanza ributtandomi a terra. Batto violentemente la testa e altre lacrime tornano ad appannarmi la vista.
“Bel tentativo ragazzina. Davvero pensi che non verrà? Davvero pensi che ti lascerebbe qui?” mi domanda con voce roca.
“Ti incastrerà.” dico, che potrebbe farmi? Uccidermi? Mi farebbe solo un favore a questo punto. E poi piango. Le lacrime scendono copiose lungo le guance.
E’ tutto quello che riesco a fare in questo momento.
Si avvicina e mi solleva per un braccio.
“Quando avrò finito con te, Taylor implorerà pietà per sé stesso.”
Cerco di divincolarmi ma lui non molla la presa. Mi lascia cadere di nuovo a terra e mi dà uno schiaffo. Continuo a singhiozzare, ma non per il dolore. Per la paura. Per la consapevolezza che Mac morirà se verrà a cercarmi.
“Questo è un piccolo assaggio di ciò che ti aspetta, piccola Taylor.”
Quando esce, lo sento ridere mentre attraversa il corridoio dell’ampio capannone dove siamo rinchiusi da troppo tempo.
 
“In piedi, Taylor!” la voce del russo mi costringe ad aprire gli occhi “Il detective è qui.” mi dice.
Io alzo leggermente la testa. L’uomo mi copre la bocca con del nastro isolante, mi prende per il braccio e mi stringe a sé. Non si lascerà sfuggire un’opportunità come questa. Rimaniamo fermi, in silenzio per un tempo che mi sembra infinito. Sentiamo ogni rumore, ogni passo, posso sentire i respiri tranquilli di Romanoff mescolati a quelli affannati che provengono dai miei polmoni. Dopo alcuni minuti la porta si spalanca. Mac entra nella stanza. E’ disarmato e senza giubbotto antiproiettile.
No, Mac. No.
“Bene! Taylor!” ringhia Romanoff “Finalmente.”
“Lasciala andare Romanoff. Non ti ha fatto niente, è solo una ragazzina.” dice appena mi vede.
“Ti piacerebbe, eh? Non sarà così facile” gli dice “Ti ricordi mio fratello, Taylor? Ti ricordi com’è morto? Lei farà la stessa fine. Te la farò pagare.”
“Lasciala andare.” ripete Mac. Io abbasso la testa, le forze mi stanno abbandonando e le gambe non mi reggono più, ma il russo non sembra intenzionato a mollare la presa su di me.
“Altrimenti? Non sei nella posizione di dare ordini.” ribatte lui.
Ha ragione. Non può fare niente.
Così dicendo alza il coltello che tiene nella mano sinistra e lo punta alla mia gola. Il panico mi assale. Voglio che mi uccida velocemente, non voglio soffrire.
“Adesso la vedrai morire.” afferma sorridendo.
“Ti prego! Aspetta!” lo implora “Non farle del male. Uccidi me, è con me che ce l’hai.”
“Siamo sentimentali. Non mi era sembrato quando hai sparato a mio fratello!” grida. Si fa girare più volte il coltello nella mano, poi lo passa lentamente sulla mia gola. Le lacrime ricominciano a cadere copiose lungo le mie guance. Il mio grido di dolore viene soffocato dal nastro isolante che mi copre la bocca. Poi mi butta terra. Io mi appoggio sulle braccia e tento di alzarmi. Tampono la ferita sulla gola, ma il sangue esce copioso, nemmeno una benda lo fermerebbe.
“Ti prego! Uccidi me! Ma non lei, ti scongiuro.” lo implora ancora mio zio.
Romanoff ride e mi sferra un calcio nelle costole mozzandomi il fiato. Tento di prendere aria. MA il calcio deve avermi rotto qualche costola, forse i polmoni sono stati danneggiati.
Mac si avvicina.
“Fermo, Taylor! Adesso arriva la parte migliore.” lo blocca, sorridendo malignamente.
Mi si avvicina e delicatamente mi solleva la testa. Mi guarda negli occhi. Mi solleva di peso per un braccio di modo che mio zio mi possa vedere.
“Guardala, tua nipote. E’ così giovane… E morirà. Per colpa tua.” dice sorridendo.
“Non toccarla o giuro che ti ucciderò.” esclama Mac.
Romanoff ride e mi stringe il braccio così forte che sembra sbriciolarsi sotto la sua forza.
Il russo si volta e mi squadra attentamente poi rigira il coltello tra le mani un paio di volte.
“E’ stato divertente. Ma ora basta.” sbotta. Così dicendo avvicina il coltello e mi trafigge un po’ al di sopra dello stomaco. Credo che abbia sfiorato il cuore, sento i battiti rallentare e senza poter fare niente, cado a terra sulle ginocchia. Tengo le mani sulla ferita, ma ormai le forze mi hanno abbandonato e non riesco a bloccare l’emorragia. Cado sulla schiena e i miei respiri si fanno profondi e affannosi. Romanoff si avvicina di nuovo e questa volta estrae una pistola. Quindi è così che morirò. In un capannone, a causa di un colpo di pistola e di ferita di un’arma da taglio. L’ultimo pensiero va a James. Ce la farà da solo? Certo. È sempre stato lui quello forte. Ce la farà. Spero solo che Mac sopravviva. Che mio fratello non rimanga solo al mondo.
“No!” grida Mac avvicinandosi.
“Signore!” uno degli uomini di Romanoff irrompe nella stanza “La polizia è qui. Stanno entrando.” gli dice.
“Sbaglio o ti avevo detto di venire da solo?” ringhia il russo, allontana la pistola da me e si avvicina a Mac. Lui è immobile. Il russo gli sferra un pungo nello stomaco. Lui si appoggia a terra con un braccio, senza fiato. Solleva lo sguardo verso il criminale appena in tempo per vederlo fuggire.
“Non è finita qui, Taylor! Me la pagherai!” gridando si allontana dalla stanza e scappa. Un rumore di passi riecheggia nella stanza. Se ne sta andando. E’ finita.
Appena mio zio riesce ad alzarsi, si avvicina.
“Maddalena” mi chiama e togliendomi il nastro dalla bocca mi sfiora la guancia con la mano “E’ tutto finito.” mi rassicura “Sei al sicuro.” dice ancora.
tenta di fermare il sangue che esce copioso dalle ferite.
Mi manca l’aria e ho la vista offuscata. Non credo che riuscirò arrivare viva in ospedale.
Lui mi solleva tra le braccia e corre fuori dalla stanza. Io appoggio la testa nell’incavo del suo collo. Sento il suo profumo. Mi piace l’idea che sarà l’ultima cosa che sentirò. Mi pervade, dandomi un senso di leggerezza.
“Grazie.” sussurro con il poco fiato rimasto in gola. Voglio che sappia che gli sono grata per tutto ciò che ha fatto. Voglio che si ricordi che gli ero grata per ogni cosa.
“Mac! L’hai trovata?” la voce di Jo mi aiuta a rimanere sveglia.
“Si. Flack!” la sua voce risuona nel capannone.
“Eccomi Mac.” sento la voce del migliore amico di mio zio. Sembra lontana, distante.
“Prendila, portala sull’ambulanza. Io vi raggiungo in ospedale. Fate presto, vi prego.” dice mio zio. Anche lui sa che c’è poco tempo, ma nonostante sappia che io morirò, non mi ha dato un ultimo saluto. Se non stessi per morire, credo che mi sentirei offesa.
“D’accordo.” le braccia di Flack mi avvolgono “Ciao, sta’ tranquilla. Sei al sicuro ora.” mi sussurra.
“Ho freddo.” sussurrò con il poco fiato rimasto in gola.
“Lo so. Adesso passerà, vedrai.” mi rassicura, ma so che non è così. Morirò, ne sono certa.
Mi sdraia su una barella e mi sfiora una guancia con la mano calda e liscia.
Un paramedico mi appoggia al viso una mascherina per l’ossigeno. Lentamente l’aria torna a scorrere nella mia gola e qualche minuto dopo mi addormento.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco il capitolo sei. Spero vi piaccia. È un po’ lunghino, lo so. Ma ho pensato di riservare un solo capitolo al rapimento. Perché questa è solo una piccola parte della storia.
Buona lettura.
Eli_147

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 7

 
Quando mi sveglio, vedo una luce bianca. Sono morta? E’ il paradiso? Cerco di mettere a fuoco ciò che mi circonda. Mi trovo in una stanza dipinta di grigio. Allora sono viva. La paura mi invade. Poi ricordo. Mac, Flack, la voce di Jo.
Per un attimo ho creduto di essere ancora in quell’orribile capannone con Romanoff, ma mi sono accorta che ci sono delle luci, dei macchinari ospedalieri e che sono su un letto. Dopo quasi una settimana in cui ho dovuto dormire su un pavimento di cemento, questo letto sembra il più comodo del mondo. Strizzo più volte gli occhi per abituarmi alla luce, che pur essendo tenue è troppo forte per i miei occhi. Ho un leggero mal di testa, devono essere i farmaci che mi hanno somministrato.
Quando tento di alzarmi scopro che devo avere qualche costola rotta. Ho delle flebo attaccate alle braccia e ho il collo fasciato, faccio fatica a muovermi, devo avere delle fasciature anche all’altezza dello stomaco e del fianco, dove quel pazzo mi ha pugnalato. Il ricordo del dolore mi costringe a chiudere gli occhi per allontanare quel pensiero. Respiro e poi mi volto verso la porta. Il vetro mi permette di vedere che nel corridoio non c’è anima viva. Deve essere molto presto. Solo ora mi accorgo che mio fratello è seduto sulla poltrona accanto al mio letto e sta sonnecchiando. Scommetto che ha passato giorni interi qui con me. Non so quanto sia passato dal mio salvataggio, ma mi sembra un’eternità.
Quando sente che mi sto muovendo si sveglia di soprassalto.
“Lena!” dice e si alza “O mio Dio. Stai bene?” mi domanda stringendo la mia mano nelle sue. E’ ancora assonnato, lo vedo dalle occhiaie che gli circondano gli occhi.
“Si” rispondo io “Quanto ho dormito?” domando poi.
“Due giorni” la sua risposta mi costringe ad alzarmi leggermente reggendomi sulle braccia.
“Due giorni?!” esclamo. cavolo, credevo qualche ora.
“Già. Io… credevo che non ti avrei più rivista.” mi dice con gli occhi lucidi.
“Sono più dura a morire di quanto credi” gli dico sorridendo. Cerco di rassicurarlo, ma anche io fino a qualche giorno fa credevo che non l’avrei più rivisto, che sarei morta.
“Mac ti ha cercata ovunque con la sua squadra. Non si è dato pace per una settimana. L’ho costretto questa mattina ad andare a casa a riposarsi.” mi racconta. Io mi volto verso la finestra. Non si è dato pace. Mi fa piacere saperlo. Gli ho dato un bel lavoro.
“Mi dispiace. Io non sono riuscita a scappare. È riuscito ad entrare in casa nostra e…” tento di ricordare, ma mi accorgo che è difficile, prima del capannone i miei ricordi sono sfocati.
“Non è stata colpa tua, è stato…” ma non conclude la frase. Prima di scoppiare in un pianto a dirotto, intervengo.
“Dovresti andare anche tu a riposare.” gli dico infine, dopo aver riflettuto.
“Ma…” tenta di ribattere. Non che io voglia che se ne vada, è solo che… ho bisogno di stare sola per riordinare le idee.
“Vai, tranquillo. Io starò bene. Mi riposerò e mi rimetterò presto.” lo rassicuro. Spero.
Dopo un momento di esitazione annuisce, prende la sua giacca e si avvicina.
“Allora ci vediamo domani, ok?” mi dice, io annuisco e lui mi da’ un leggero bacio sulla fronte. È bello sentire di nuovo il suo tocco, i suoi baci e le sue carezze, soprattutto dopo aver rischiato di perderle per sempre.
Quando esce chiude la porta. Mi volto verso l’orologio sul comodino, segna le quattro e mezza del mattino. Nonostante non abbia dormito per una settimana, non sono più stanca. Così mi alzo leggermente e vedo che accanto alla sveglia c’è un libro. Lo prendo e lo rigiro tra le mani. Dev’essere di Mac.
‘La Divina Commedia’ leggo il titolo e sorrido accarezzando la copertina. L’ho letto l’anno scorso, assieme alla mamma. E’ in assoluto il mio preferito, con ‘Oliver Twist’. Lo apro e comincio a leggere. Per un po’ mi allontano da ogni cosa brutta per seguire Dante e Virgilio nell’Inferno e negli altri regni ultraterreni.
Alle sette del mattino alzo lo sguardo e vedo entrare il medico, che si richiude la porta alle spalle. Poso il libro e aspetto che parli. Spero che abbia buone notizie, vorrei già tornare a casa.
“Bene Maddalena, vedo che ti sei svegliata” mi dice sorridendo “Come ti senti?”
“Un po’ indolenzita ma molto meglio. Grazie” gli rispondo ricambiando il sorriso. Vorrei aggiungere un ‘grazie a lei’ ma mi sembra troppo.
“Resterai qui ancora per un po’. Ma credimi, la compagnia non ti mancherà.”
Cosa intende dire? Sicuramente nota che sono perplessa, così continua.
“Sono venute varie persone qui, da quando sei arrivata. Tuo zio, una donna della scientifica, tuo fratello e altri due ragazzi” mi spiega.
Jeremy, Ian e Jo sono stati qui? Devo ammetterlo, ne sono felice. Vuol dire che un po’ si sono affezionati a me. Sorrido a quel pensiero e non vedo l’ora che tornino. Voglio riabbracciarli tutti.
I miei pensieri vengono interrotti da un rumore. Qualcuno sta bussando.
“Prego” il dottore lo invita ad entrare, alzando gli occhi dalla mia cartella clinica. E’ Mac. Sorrido quando lo vedo. Non so ancora come potrò ringraziarlo per tutto ciò che ha fatto.
“Posso?” domanda lui aprendo leggermente la porta. Il medico annuisce, ci saluta con un cenno della mano e esce per lasciarci soli. Mio zio si avvicina al letto e si siede sulla sedia dove prima stava James.
“Ciao Maddalena, come stai?” mi domanda. Io lo guardo, non riesco a decifrare la sua espressione. Che sia deluso perché mi sono fatta rapire? Ad un tratto la paura mi invade. Non sopporterei di averlo deluso.
“Bene, grazie” rispondo semplicemente. Lui mi prende una mano, stringendola tra le sue.
“Ho avuto paura di perderti” mi dice, senza giri di parole. Una lacrima gli riga il volto. Provo un’infinita pena per lui. È brutto da dire, ma ho sempre pensato che avesse un cuore di pietra. Non so che dire.
“Non è successo, sono qui” gli dico per rassicurarlo. Non è il massimo, ma meglio di niente. Vedo che il suo corpo è scosso da piccoli tremori. Trema per la paura. La paura di perdere una persona cara, di non poterla più riabbracciare, per la paura di essere costretto a darle un ultimo saluto. La stessa paura da cui sono stata invasa prima di essere salvata e prima di salire sull’ambulanza per venire qui.
“Mi dispiace di non averti saputo proteggere. Ho fallito, perdonami. Ti prego” mi implora con la voce rotta dai singhiozzi. Sento un dolore alla bocca dello stomaco che si è chiuso totalmente. Cosa potrei dire per consolarlo? Non mi sono mai trovata a dover consolare un adulto.
“Non hai niente da rimproverarti. Se avessi fallito, io non sarei qui.” lo rassicuro. Non l’ho mai visto così. Vivo da poco insieme a lui, ma credevo che fosse una persona impassibile e forte. Non credevo che potesse provare una disperazione del genere.
Lui annuisce e poi mi guarda negli occhi accarezzandomi una guancia.
“Ascolta” comincio io, ad un tratto mi sono ricordata della storia che mia raccontato Romanoff, non so se sia il momento, ma voglio capire. “Romanoff ha detto che voleva vendicarsi su di te. E’ vero?”
Lui abbassa la testa e si alza. O no, ho detto qualcosa di sbagliato. Perché non stai mai zitta, Lena?
Si avvicina alla finestra e guardando fuori, sospira. Non singhiozza più, il che è rassicurante. Spero solo non dia di matto dicendo che non sono affari miei.
“Si” si decide a dire dopo qualche minuto di silenzio “Voleva vendicarsi per la morte di suo fratello. L’ho ucciso, prima che potesse fare del male a me o alla mia squadra. Gli ho… sparato.” spiega “Rivedo ancora i suoi occhi quando mi sono avvicinato. Ho cercato di aiutarlo, ma la ferita era grave. Ed è morto sotto i miei occhi.”
“Hai fatto quello che ritenevi giusto.” gli dico.
“E’ sbagliato” si ostina a dire, scuotendo la testa.
“Se non l’avessi fatto probabilmente lui avrebbe sparato a te.” dico. Ed è così. I criminali non si fanno molti scrupoli, almeno non Romanoff e non credo che il fratello fosse molto diverso.
“E’ tutta colpa mia. Solo mia” si tocca la fronte con una mano. Si massaggia le tempie. Non credo di aver capito bene.
“Come?” gli domando. Ma di cosa parla?
“Caroline e Steve non sarebbero morti se non fossi diventato poliziotto. E lui non ti avrebbe fatto del male.” ricomincia a singhiozzare. Questa è la cosa più stupida che abbia mai sentito.
“Zio, è un pazzo. Per colpa sua tu non saresti dovuto diventare poliziotto? Ma che stai dicendo?” esclamo. Non ha senso. È diventato matto?
“Mi avevano chiesto di non arruolarmi. Sapevano che c’erano dei pericoli, per me e per loro. E io ho fatto di testa mia.” sbatte un pugno sul davanzale e a quel colpo sobbalzo.
“Zio calmati” gli dico. Adesso ho paura. Paura di lui.
“Come posso calmarmi? E’ tutta colpa mia. Dovrei aiutare le persone. Impedire che gente come Romanoff faccia loro del male e invece…”
“Sei un poliziotto perfetto. Altrimenti non saresti a capo del laboratorio. E nessuno ti incolpa per ciò che è successo” continuo a insistere per calmarlo. Ma perché è così ostinato?
La porta si apre e una donna entra con dei caffè fumanti. Per fortuna ci ha interrotti. Non avrei retto un minuto di più.
“Lena! Ti sei svegliata! Come stai?” mi domanda appoggiando tutto sul comodino.
“Bene. Grazie Jo” le dico abbracciandola. Sono così felice di rivederla. Mi scocca un bacio sulla guancia e mi sorride dolcemente come solo mia mamma sapeva fare. Quando si volta vede che mio zio è in piedi davanti alla finestra. Non l’ha neanche salutata, il che non è da lui.
“Mac.” lo chiama dolcemente.
Lui rimane impassibile, non muove un muscolo e non si volta.
“Mac, ti senti bene?” la collega gli si avvicina e gli mette una mano sulla spalla. Niente, nessuna reazione. Lui continua a guardare New York, dalla finestra.
Jo si volta verso di me e silenziosamente mi domanda cos’abbia mio zio. Io scuoto la testa e mimo con la bocca ‘non lo so’. So che si sente in colpa, ma non capisco perché.
“Mac, ti prego. Guardami. Voglio aiutarti” continua lei. Lo costringe a voltarsi e lo guarda negli occhi asciugando le lacrime che ancora solcano le sue guance. A quanto pare non è la prima volta che lo vede piangere. Gli prende il volto tra le mani. “Quello che è successo non è colpa tua. Ok?” allora ha capito. Le è bastato uno sguardo.
Mio zio la guarda negli occhi e l’unica cosa che fa e distogliere lo sguardo quando gli occhi marroni di Jo cercano di incatenarsi ai suoi.
“Sai bene che avrei potuto evitarlo” le dice in tono duro.
“Questo non è vero. Non potevi sapere che sarebbe venuto a cercare tua nipote. Lei adesso sta bene. E qui con te. L’hai salvata.” anche lei tenta di convincerlo, ovviamente invano.
“Questo non importa.” Mac prende la mani di Jo e le allontana dal suo viso “Ha rischiato di morire per me, Jo. A causa mia. Lo capisci? Capisci cosa provo? Sono distrutto, mi sento morire. Se solo penso a quello che sarebbe potuto succedere…”
“E che non è successo. Sono viva, sono qui. Davanti a te.” lo interrompo. So cosa prova, ma non è colpa sua. Vedo che i suoi pungi si stringono e le nocche diventano bianche. Ma perché non vuole convincersi che non è colpa sua?
Ad un tratto prende la giacca ed esce dalla stanza sbattendo la porta.
“Mac” lo chiamo tentando di alzarmi dal letto. Le costole rotte cominciano a farsi sentire e il dolore mi costringe a sdraiarmi di nuovo reggendomi lo stomaco.
“Dove pensi di andare?” mi domanda Jo con fare autoritario. Si avvicina e mi costringe a sdraiarmi di nuovo. Non mi ribello, potrebbe rompermi le costole ancora sane.
“Devo andare da lui” le dico decisa.
“Assolutamente no. Tu rimani qui” mi ordina con un tono che non ammette repliche. Si riabbottona la giacca e si avvolge la sciarpa intorno al collo.
“Allora parlaci tu, Jo. Ti prego. Ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino” la imploro. Non voglio che rimanga solo. Non adesso.
“Non preoccuparti.” mi rassicura. Si avvia verso la porta e esce. Spero che riesca a convincerlo
Ma perché Mac si comporta così? Se non fosse stato per lui non mi avrebbero mai salvata. Sarei morta, molto probabilmente. Dovrebbe essere fiero di se stesso. Perché non riesce a capirlo?
I miei pensieri vengono interrotti dal rumore della porta che si apre. Questa volta è Jeremy. Mi alzo leggermente dal letto e sorrido.
“Jeremy” dico, sono felice di vederlo. Almeno lui porterà un po’ di allegria, ne ho davvero bisogno.
“Ehi, Lena! Ma allora sei sopravvissuta!” esclama. Io sorrido. Incredibile, riesce a metterti il buon umore anche quando tutto sembra andare per il verso sbagliato.
“Già, speravi di liberarti di me, eh? E invece eccomi qua. Viva e vegeta” gli dico ironica.
“Dura a morire” ribatte. Ha ragione, ho resistito. Per me, per James, per Mac, per lui e i miei amici.
“Guarda che ho portato” mi dice allungandomi un sacchettino di carta “Cornetti al cioccolato e cappuccini”
“Adoro la colazione a letto” gli dico sorridendo, i caffè di Jo sono ancora lì, ma non mi preoccupo, capirà.
“Anche io” ribatte. Senza pensarci due volte mi siedo lasciandogli il posto davanti a me. Lui si siede, prende il tavolo di plastica con le ruote e lo porta accanto al letto ponendolo fra noi.
“Buon appetito” dice e mi offre un cornetto e un bicchiere di carta fumante.
“Altrettanto” gli rispondo gustando il dolce “Se i dottori mi vedessero mi ucciderebbero” constato. Non che mi abbiano proibito di mangiare dolci, ma sicuramente non è un pasto salutare.
“Non ti preoccupare. Ho già un piano” mi rassicura con aria circospetta, guardandosi intorno “Nasconderò le prove dove nessuno potrà trovarle, nel mio stomaco!”
Io rido. Con lui mi sento meglio, anche fisicamente, anche se so che è solo una sensazione e che appena se ne andrà il dolore tornerà.
“Quasi dimenticavo!” sbotta, ad un tratto “Dovrei essere furioso con te!”
“Perché?” gli chiedo. Non ho fatto niente, almeno credo.
“Bè, mi hai dato buca!” ribatte.
Io sorrido. A già. Dovevamo vederci per un film.
“Bè, non è che avessi molta scelta. Mi avevano rapita…” dico ridendo.
“Giusto. Scusa accettabile. Allora se dovessi incontrarlo gliela farei pagare. Ha fatto in modo di rovinarmi un appuntamento!”
“Già. Se non ti uccide prima lui!” dico.
“Credi che abbia qualche possibilità contro di me?” domanda alzandosi in piedi e facendo un giro su se stesso.
“Ora che ti guardo, credo che sarebbe spacciato. Un fusto come te!”
“Eh eh” ridacchia.
La porta si apre ancora.
“Jo. Com’è andata?” le chiedo.
“Insomma” risponde. Il che, mi fa preoccupare. “Tu devi essere Jeremy, l’amico di Lena.” gli dice avvicinandosi e tendendo la mano.
“Si, signora” risponde lui cordialmente.
“Jo Danville” dice sorridendo.
“E’ un piacere”  ribatte lui stringendole leggermente la mano “Bè, ora vado. devo andare a scuola. Ci vediamo, Lena.” si avvicina e mi scocca un bacio sulla guancia.
“Ciao” lo saluto e lui esce.
“Mmm. E’ carino!” esclama Jo appena lui è sparito nel corridoio.
“Già” dico io semplicemente. Incredibile. Siamo solo amici… Anche se non penso che ci crederà facilmente.
“Oh, ti piace, vero?” mi domanda avvicinandosi.
“Jo! E’ un amico.” mi affretto a dire, ma le mie guance sono già avvampate di rossore.
“Mi sa che diventerà più di un amico” prevede sognante. E poi canticchia il motivetto della marcia nunziale.
“E dai, Jo!” le dico ridendo. Lei ridacchia e si siede dove un attimo prima c’era Jeremy.
Subito torno seria, ricordandomi di mio zio.
“Mac? Cos’ha detto?” le domando impaziente.
“Si sente terribilmente in colpa. Dagli tempo, tutto passerà.” aggiunge subito dopo. Io annuisco. Forse ha ragione. Il tempo aggiusta tutto, io stessa l’ho sperimentato.
“Ma ho una bella notizia” mi dice sorridendo “Domani ti dimettono. Certo, non potrai tornare a scuola, ma almeno sarai a casa.”
Io sorrido. “Finalmente, non vedevo l’ora di dormire in un letto vero.” e sospiro.
“Verrà a prenderti Mac” mi dice “Tieni pronta la borsa. Ora devo tornare al lavoro. Tu riposa.”
“Grazie per essere venuta” le dico. Mi è stata davvero vicino ultimamente.
“Ma figurati. Riposa. Ci vediamo domani. Passo a trovarti a casa.” mi saluta e mi sorride prima di uscire. La saluto con un cenno della mano e la guardo scomparire dietro l’angolo in fondo al corridoio.
Sono rimasta sola. Guardo ‘La Divina Commedia’ sul comodino e ripenso alla mamma. La leggeva con così tanta passione, era davvero incredibile. Mi manca così tanto. Senza che me ne accorga delle lacrime silenziose mi solcano le guance. Ripenso alla mamma, a papà, a casa mia. Non posso fare a meno di pensare che se avessi avuto il coraggio di scendere qualche secondo prima, i miei genitori sarebbero ancora vivi, io non sarei a New York e Romanoff non mi avrebbe rapita. E soprattutto, Mac non starebbe così male. Non riesco a scacciare dalla mente il pensiero che tutto questo sia colpa mia. Dopo un’ora mi addormento, continuo a piangere senza riuscire a fermarmi e senso di nausea mi invade mentre sprofondo in un profondo sonno.
 
Quando mi sveglio guardo l’orologio e vedo che sono già le 7.30 del mattino. Mi alzo lentamente e comincio a preparare la borsa con la mia roba. Ci metto circa mezz’ora, ripongo tutto accuratamente all’interno del borsone. Mi accorgo solo ora che è quello che James usava per il suo corso in piscina. Deve avermi preparato lui tutto il necessario per la permanenza in ospedale.
La porta della stanza si spalanca alle mie spalle. Mi volto. E’ Mac.
“Ciao” lo saluto. Lui entra e si avvicina.
“Sei pronta?” mi domanda senza tradire un’emozione. Sembra sia in imbarazzo per ieri. Mi sembra più distaccato.
Io annuisco. Lui prende la borsa e esce. Quando ha firmato tutti i documenti ci dirigiamo verso l’ascensore. Cammino lentamente e zoppicando, le costole mi fanno male, ma è un dolore sopportabile.
Dopo circa mezz’ora siamo a casa. Quando entro in camera mia, la prima cosa che faccio e sedermi sul mio letto. E’ così comodo, quelli dell’ospedale erano durissimi.
Mio zio poggia la borsa accanto ai miei piedi e poi si avvia verso la porta.
“Se qui è tutto a posto, io torno al lavoro” mi dice. Io annuisco.
“Ci vediamo questa sera.” mi saluta.
“Ciao, Mac.” spero che mi dica qualcosa, che torni indietro a parlarmi. Niente.
Sento la porta chiudersi e mi alzo, rassegnata. Entro in cucina. L’ultima volta che ci sono entrata mi sono trovata faccia a faccia con Romanoff. Quando varco la soglia, il battito del mio cuore aumenta, lo sento rimbombare nelle orecchie. Respiro profondamente. Non devo farmi prendere dal panico. Apro il frigorifero e mi verso dell’acqua fresca.
Ad un tratto un rumore alle mie spalle mi costringe a voltarmi. Mi sembra di aver sentito qualcosa cadere. Un brivido mi sale lungo la schiena. Mi affaccio della piccola porta della cucina. Niente. Entro in salotto e accendo la TV alzando il volume. Mi aspetta un’intera giornata a casa da sola, devo trovare un modo per farmi passare quest’ansia. Forse con un po’ di musica, nasconderò i rumori inquietanti.
Dopo un’ora passata seduta sul divano, sento il cellulare squillare. Quando lo prendo vedo che c’è un messaggio di Jeremy. Lo apro e leggo il breve testo scritto in nero.
‘Ehi! Sei tornata alla base?’
Subito gli rispondo ‘Già, sono qui da circa un’ora. Ma devo ammettere che questa casa mi mette i brividi’.
Mi alzo lentamente dal divano e mi avvicino alla finestra. New York ha preso vita. Le auto si muovono velocemente per le strade e anche la gente sui marciapiedi va di fretta. Vedo dei nuvoloni temporaleschi emergere dall’Hudson, all’orizzonte. La statua della libertà mi guarda sorridente con la torcia tesa verso il cielo. Non posso fare a meno di pensare che Sacramento era molto diversa. Villette a schiera, prati verdi, distese di prati. Nessun grattacielo o enorme statua. Forse è un bene che siano così diverse. Almeno New York non mi ricorderà continuamente casa mia.
In quel momento qualcuno bussa alla porta interrompendo la corsa dei miei pensieri. Zoppicando mi avvicino e guardo dalla spioncino. Incredibile. Apro la porta e sorrido.
“Ehi, bellissima! Come va?” mi domanda Jeremy avvicinandosi e scoccandomi un leggero bacio sulla guancia.
“Bene” rispondo io, ancora confusa “Ma tu non dovresti essere a scuola?” gli domando e con un cenno lo invito ad entrare.
“Già, ma fortunatamente c’è uno sciopero generale degli insegnanti e ci hanno buttato fuori.”
“Oh. Capisco” dico “Vieni, siediti” continuo indicando il divano. Lui posa la cartella all’entrata e si siede.
“Allora, qual è il programma della giornata?” mi chiede sorridendo.
“Ancora non lo so. Ma credo che prevedrà molto riposo.” gli dico.
“Bene, allora credo che questi potrebbero farci comodo” dice mentre tira fuori dei DVD dallo zaino.
“Hai svaligiato una videoteca?” gli domando ironica, lui mi rivolge uno sguardo scettico.
“Credi che ne sarei capace?” ribatte fingendosi offeso.
Io rido. Lo guardo e poi rispondo “No, a pensarci bene no.”
“Sono troppo onesto” aggiunge e si avvicina al lettore DVD.
“No, è che non ne saresti capace.” lo correggo. Voglio proprio vedere cosa mi dirà adesso. Mi piace prenderlo in giro, perché riesce sempre a trovare un modo per volgere ogni cosa a suo favore.
“Ehi! Potrei offendermi!”
“Ma è la verità” gli faccio notare.
“Già, forse è vero!” conferma “Ecco qui. Mmm… Stiamo per vedere…” rigira più volte il DVD tra le mani e poi sorride, soddisfatto per aver trovato il titolo “Il signore degli anelli: la compagnia dell’anello” conclude con una voce da annunciatore televisivo.
“L’ho già visto un sacco di volte, ma lo considero comunque bellissimo.” affermo pensierosa. Lo guardavo spesso con la mamma. Cerco di cacciere via i pensieri tristi, voglio divertirmi con il mio amico, oggi.
Si siede accanto a me e mi circonda le spalle con un braccio.
“Godiamoci questo bellissimo viaggio nella Terra di Mezzo.” dice ridendo.
Io annuisco. Dopo due ore e mezza il film finisce, Jeremy spegne il lettore DVD e viene a sedersi accanto a me.
“Stavo pensando… Sai che assomigli un sacco a Arwen?” scherza. Io rido e poi annuisco.
“Mmm, già anche io ho notato che tra te e Gandalf c’era una carta somiglianza! Anche se non riesco a capire come mai!” ribatto. Piegandomi in due dalle risate. Sento le costole dolermi, ma non importa. Mi sto divertendo un sacco.
“Sarà per la straordinaria saggezza e il coraggio! O forse per l’avvenenza!” constata.
Ridendo mi alzo e verso qualcosa da bere. Lui mi raggiunge in cucina, dopo aver spento la Tv e aver messo al loro posto i telecomandi.
“Non ti ho ancora chiesto com’è stato il ritorno a casa.” mi dice prendendo la bottiglia e riponendola nel frigorifero.
“Grazie.” dico e poi rifletto “Bè, leggermente traumatico. Mi spaventa ogni minimo rumore, mi sento osservata e… ho paura, lo devo ammettere.” dico tutto d’un fiato. A costo di sembrare scema. Lui annuisce, ma non mi giudica, sa quando non è il momento di scherzare.
“E’ normale. Passerà. Potrei marinare la scuola, ogni tanto. Per tenerti compagnia.” mi propone, prendendo il vassoio con i bicchieri ed entrando in salotto. Torniamo a sederci sul divano e passiamo insieme tutto il pomeriggio.
Senza Jeremy sarei totalmente persa.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti, ecco a voi il settimo capitolo della mia storia. Spero vi piaccia. Ringrazio ancora una volta, coloro che leggono e alice in wonderland, che recensisce ogni mio capitolo e mi dispensa consigli utili per migliorare…
Buona lettura, l’accaldata, xXEli-147Xx

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 8

 
Mi sveglio di soprassalto alle due del mattino. Gli incubi mi tormentano da una settimana e per l’ennesima volta scoppio in pianto nel bel mezzo della notte. Mi reggo la testa con una mano e noto che è madida di sudore. Mi volto per svegliare James ma subito ricordo che è rimasto a dormire da un amico. Sono sola.
Continuo a piangere e il rumore dei miei singhiozzi rompe il dolce silenzio della casa.
Mio zio entra quasi immediatamente nella stanza, bloccandosi sulla porta. Dopo qualche secondo si avvicina. Si siede accanto a me, ma io non lo guardo e continuo a piangere. Durante le ultime notti insonni era sempre stato James ad aiutarmi. Vorrei che mio fratello fosse qui.
Mac sembra spiazzato. I residui di sonno scintillano ancora nei suoi occhi e lentamente scompaiono. Non sa che fare, lo so, lo vedo.
“Calmati ora.” mi dice dolcemente. Non ci riesco. Come faccio a calmarmi dopo l’ennesimo incubo? Dopo l’ennesima volta in cui sogno Romanoff che tortura i miei genitori e me?
“Vieni, andiamo a bere un bicchiere d’acqua.” così dicendo mi prende delicatamente per mano e mi conduce in cucina. Mi siedo al tavolo e lui mi porge un bicchiere d’acqua.
“Vuoi parlarne?” mi chiede semplicemente sedendosi davanti a me. Non so se gli interessi davvero. Forse vuole solo rassicurarmi. Scuoto la testa. Lui di rimando annuisce e si volta per guardare fuori dalla finestra.
Quando bevo, l’acqua gelida scivola giù per la gola svegliandomi ed eliminando ogni resto dell’incubo. E’ terribile, ho rivisto i volti dei miei genitori, di Romanoff, il rapimento. Sembrava così reale… Non riuscivo a svegliarmi.
Guardo mio zio, il suo viso è illuminato dalle luci di New York. E’ pallido. Vedo dei piccoli segni scuri sotto gli occhi. Gli ultimi giorni sono stati stancanti anche per lui. Osserva con attenzione la città che tanto ama, non gli sfugge nessun particolare. E’ concentrato, glielo si legge negli occhi.
E’ vero, Romanoff aveva ragione, gli somiglio. Ho i suoi stessi occhi, anche se il mio azzurro tende molto più al grigio. L’unica differenza è che i suoi capelli sono corvini e i miei biondi. Per il resto siamo così simili. Assumiamo la stessa espressione quando siamo arrabbiati, felici o stanchi. La stessa cosa succedeva con mio padre, il che è inevitabile, dato che si somigliano.
“Torniamo a dormire?” mi domanda, rompendo il silenzio. Respiro e annuisco debolmente. Mi accompagna in camera e dopo essersi assicurato che mi sia rimessa a letto se ne va. Penso alla sua reazione all’ospedale e al suo comportamento. E’ sempre più distante. Più freddo. Che abbia paura di farmi del male? Di mettermi nei guai?
Mi giro e mi rigiro nel letto senza riuscire a chiudere occhio. L’incubo e i dubbi mi tormentano. Ho paura che Romanoff possa tornare e fare del male alle persone a cui voglio bene. Ho paura di rimanere sola. Ho paura che Mac non mi vorrà più.
Dopo un’ora riesco finalmente a riaddormentarmi, anche se la sensazione di paura non mi abbandona. E temo che non lo farà mai.
 
 
UN MESE DOPO
 
“Ciao Mac, noi andiamo a scuola.” dico prendendo la tracolla nella mia stanza. James esce dal bagno e fa lo stesso. Ultimamente è più silenzioso, parla poco con Mac e anche con me. Non capisco perché. Dovrò indagare.
“Maddalena, dopo la scuola passa al laboratorio, così torniamo a casa insieme. D’accordo?” mi propone mio zio. Alla proposta sorrido e annuisco. Mi sento più al sicuro quando torno a casa con lui, dato che James ha spesso corsi pomeridiani per l’esame. Per fortuna me l’ha proposto lui, non avrei voluto chiederlo io, sarebbe stato… imbarazzante. Sono un po’ troppo orgogliosa, lo ammetto. Mio fratello, intanto, si avvia verso la porta e senza salutare esce.
“Ciao, a dopo.” dico a Mac e lui mi sorride, debolmente, di rimando.
Quando esco di casa vedo mio fratello che aspetta l’ascensore.
“Jamie.” lo chiamo.
Lui si volta e mi sorride, come se nulla fosse. Qualsiasi cosa abbia, la nasconde bene. L’ascensore si apre e mi fa cenno di entrare, mi segue e preme il tasto per scendere al piano terra. Usciamo dal portone e quando siamo davanti alla fermata dell’autobus, dopo interminabili attimi di silenzio, decido di parlare.
“Che succede?” gli domando, indifferente.
Lui scuote la testa. Quanto odio quando fa così.
“E’ da un mese che tu e Mac non vi rivolgete la parola. Che succede?” insisto. Deve dirmelo. E’ frustrante questa situazione. Anzi, è ridicola.
“Niente, Lena. Niente.” mi risponde sbrigativo. Eh no, caro. Parlerai. Non ti lascerò liquidare così la cosa!
“Non ci credo.” ribatto.
L’autobus arriva interrompendo la nostra conversazione e siamo costretti a salire. Per tutto il tragitto mio fratello non proferisce parola. Ha lo sguardo fisso in un punto fuori dal finestrino. Ho paura che facendogli un’altra domanda possa esplodere in una scenata. Non che sia solito farlo, ma non si sa mai.
Proverò a chiedere a Jeremy e Ian se sanno qualcosa.
 
La giornata passa in un lampo e quando incontro Ian e Jeremy scopro, mio malgrado, che neanche loro sanno niente.
“Ehi, bellissima!” mi saluta Jeremy.
“Ciao.” dico abbracciandolo.
“Come stai?” mi domanda sorridendo.
“Bene, tu? Che mi racconti di nuovo?” chiedo di rimando.
“Niente. A parte che la scuola mi stressa.”
“Quindi tutto normale, no?” constato sarcastica.
“Già.” annuisce.
“Posso farti una domanda?” chiedo, mentre ci avviamo verso l’aula di storia.
“Anche due.”
Sorrido. “Per caso, sai che cos’ha mio fratello?”
Lui scuote la testa. “No. Magari è solo stanco, la scuola è stressante, come ti dicevo prima. Sicura che ci sia qualcosa che non va?”
“Non lo so. Sono settimane che lui e mio zio non si rivolgono la parola.”
“Magari hanno discusso. Sono state settimane difficili per tutti e due quando ti avevano rapito.” mi dice. Cerco di convincermi che ha ragione, ma so che c’è qualcos’altro sotto. Ho un brutto presentimento.
“Forse.” rispondo, tentano di nascondere la mia inquietudine.
“Non preoccuparti. Se non te ne parla, non sarà importante.” annuisco e sorrido. Probabile. Mio fratello è solito tenermi fuori dalle questioni di poco conto. Però, questa volta, sembra diverso. Quando arriviamo davanti all’aula, Jeremy si sporge verso di me e mi sfiora una guancia con le labbra. Sento il mio viso avvampare di rossore. Che imbarazzo.
“Ciao. Ti chiamo oggi. Buona lezione.” mi sussurra all’orecchio.
Io sorrido e lo saluto con un cenno della mano. Sono letteralmente senza parole.
 
Finite le lezioni mi avvio verso la fermata e lì prendo il primo autobus per il laboratorio della scientifica. Il viaggio non dura più di venti minuti. Quando scendo mi dirigo a grandi passi verso il laboratorio e quando entro vedo che è praticamente vuoto. Èora di pranzo e tutti stanno facendo una pausa.
Guardo il tabellone e vedo che mio zio è in ufficio, fortunatamente. Mi avvio verso le scale e salgo al terzo piano. È tutto silenzioso e avvolto dalla quiete.Quando arrivo in cima alla scalinata mi scontro con Flack, probabilmente di ritorno dall’ufficio di mio zio. Mi scuso per la disattenzione, che è decisamente il mio forte e lo saluto.
“Ciao, Don.”
“Ciao, Lena.” ricambia. Si avvicina e mi abbraccia “Cosa ti porta qui?” mi domanda.
“Mac. Vuole che torniamo a casa insieme.” spiego. Lui annuisce.
“Va tutto bene a casa?” domanda, poi. Già, bella domanda, vorrei saperlo anche io.
“Si, tu?” chiedo. So che vive da solo, ma ogni tanto sua sorella torna in città ed è solita causare guai.
“Bene. Anche se sono davvero stanco.” mi confida.
“Ma non la fai mai una pausa?” domando ironica.
“A volte. Per vedere la partita.”
“Sei sempre il solito.”
“Lo sport fa bene.” mi dice.
“Si, a chi lo pratica, non a chi lo segue in TV.” dico sorridendo.
“Guardami! Sono in formissima, vuoi negare che faccia bene?” chiede indicandosi. Io scuoto la testa e insieme ridiamo.
“Ora devo scappare. Ci vediamo, biondina.” e si allontana velocemente. No, una pausa non la fa mai.
“Ciao.” lo saluto, ma è già lontano e dubito che mi abbia sentito.
Continuo a camminare verso l’ufficio di mio zio e quando lo raggiungo vedo che Jo sta avendo un’animata discussione con lui. Lui è serio ed è in piedi dietro la scrivania. Sembra contrariato. Dato che la vetrata non mi può nascondere e non ho ancora il dono dell’invisibilità, mi decido a bussare. Sicuramente mi aveva vista.
Mac mi fa cenno di entrare e quando Jo mi vede la sua espressione cambia.
“Ciao, tesoro.” mi saluta dolcemente.
“Ciao, Maddalena. Accomodati.” saluta a sua volta Mac.
Mi siedo sul divanetto, posando la borsa ai miei piedi. Mac fa un cenno a Jo e lei, senza pensarci due volte, esce, visibilmente indignata.
Mio zio la osserva andarsene e poi torna a sedersi alla scrivania e a scrivere su un fascicolo. Non riesco a decifrare la sua espressione. Lo vedo scuotere la testa, è arrabbiato di questo sono certa.
“Com’è andata scuola?” sbotta ad un tratto.
“Bene.” rispondo e poi decido di continuare “Avete litigato?”
Lui solleva lo sguardo. Mi guarda con i suoi occhi blu e poi accenna un sorriso.
“Capita.” mi dice semplicemente. Certo, non mi sembra di aver detto il contrario.
“Ha disobbedito agli ordini?” è la cosa che lo fa più arrabbiare. E’ sicuramente questo.
“Qualcosa del genere.”
“Magari è stata costretta.” azzardo. Parlerà, prima o poi.
“E’ stata imprudente, se mai. Ha tentato di arrestare un uomo senza chiedere rinforzi. E’ pericoloso, non so perché non riesce a capirlo. Poteva morire.”
“O forse ha frainteso il fatto che la tua ramanzina fosse perché ti sei preso un bello spavento e che vuoi solo che non le accada niente.” dico fiera di me per la conclusione.
Alza lo sguardo e per un momento penso che voglia uccidermi, invece si limita a sorridere. Ho colto nel segno. Lena uno, Mac zero.
 
Quando ha finito il suo lavoro usciamo dal laboratorio e raggiungiamo un ristorante dove ci fermiamo per il pranzo. Dopo aver ordinato aspettiamo impazienti i piatti.
E’ il momento giusto. Devo capire cosa succede tra lui e mio fratello.
“Sai che cos’ha James?” domando vaga.
“No.” la sua risposta è secca. Bene.
“E’ da un  po’ che non vi parlate.” azzardo.
Mi guarda per un attimo con sguardo interrogativo.
“Già.” conosce parole più lunghe di tre lettere? Accidenti. Ma perché non mi vogliono dire niente?
“Che succede? Perché nessuno vuole dirmi niente?” chiedo frustrata, dando voce ai miei pensieri.
“Non è così, è solo che non è succede niente di particolare.”
“D’accordo.” ribatto. Non mi diranno niente, mi rassegnerò. O forse no.
Durante il pranzo parliamo poco. Nessuno dei due vuole dire niente. E’ come se ci fosse un muro che ci separa. Siamo distanti migliaia di miglia l’uno dall’altra.
 
Usciamo dal ristorante alle due passate. Camminiamo lungo la strada per arrivare al laboratorio.
“Le visite dallo psicologo come vanno?” mi chiede, rompendo il silenzio.
Già. Bella domanda. Sembra non servano assolutamente a niente. Non riesco a dimenticare, è ormai quasi un anno che frequento psicologi. Niente, nessun risultato.
“Come sempre. Nessun miglioramento.” dico svelta.
Mi guarda di sbieco e poi annuisce. Il suo viso si fa cupo.
 
Quando arriviamo al laboratorio entriamo nell’ufficio di mio zio e io mi siedo sul divanetto. Prendo un libro e comincio a fare i miei esercizi di matematica.
Dopo circa quindici minuti ho finito e continuo a studiare per un’altra ora.
La noia mi assale. E la biologia trionfa su di me. Devo farmi aiutare da Jamie. Lui è davvero bravo. Io sono una vera incapace.
Mio zio, che era uscito, rientra e si siede alla scrivania. Si regge la testa fra le mani e si stropiccia gli occhi. Dev’essere stanco. Non smette mai di lavorare. Perché nessuno qui a New York può prendersi una pausa?  Se dovessero farlo cadrebbe tutto in rovina? Avvolta da questi pensieri non mi accorgo che mio zio mi sta osservando e sorride curioso.
Subito ricambio il sorriso, come ridestata da un sogno.
“Cosa studi?” mi domanda avvicinandosi e sedendosi sul divanetto, accanto a me.
Gli mostro il libro e semplicemente dico: “Biologia.”
“Non ti piace?”
“No.”
“E cosa ti piace?” mi blocco. Perché si interessa? Da quando sono arrivata qui, ognuno ha continuato a fare la propria vita. Perché questo improvviso interessamento?
“Ehm… La letteratura, l’inglese…” dico, anche se l’avevo già detto a lui e Jo, una sera in pizzeria, dev’essersene dimenticato.
“Quindi non diventerai mai un agente della scientifica.” dice sarcastico.
“Non credo sia il lavoro ideale per me.” affermo ridendo. E, sorprendentemente, lui ride con me.
Ok, sono totalmente spiazzata. E non mi era mai successo, che è tutto dire. Non so come comportarmi.
“Senti, vado a prendere un caffè per tenermi sveglio. Vuoi che te ne porti uno?” mi domanda.
Io annuisco. “Si, grazie.”
“Non muoverti di qui, ok?” mi raccomanda. Io annuisco ancora e lo guardo uscire.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco l’ottavo capitolo, non succede niente di movimentato, ma è un capitolo di passaggio, spero vi piaccia comunque! Fatemi sapere, un bacio.
xXEli_147Xx

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 9

 
POV Mac
 
Mi avvio verso l’ascensore e scendo. Raggiungo il bar più vicino.
“Due caffè.” dico al barista. Lui annuisce, si volta e comincia prepararli lentamente.
Le strade di New York pullulano di auto e pedoni che sfidano il tempaccio di inizio dicembre e il freddo pungente.
Il barista, un ragazzo sulla ventina, mi porge due bicchieri di plastica e delle bustine di zucchero. Lo ringrazio con un cenno del capo e mi avvio verso l’uscita. Cammino un centinaio di metri, sto per raggiungere il laboratorio. Lo vedo comparire sul fondo della strada grigia, illuminata solo dai taxi gialli che sfrecciano veloci lungo le vie della città. Mi mancano poche centinaia di metri, quando un boato mi spinge automaticamente a spostarmi verso il muro dell’edificio che mi sta a fianco. Vedo le vetrate del laboratorio andare in frantumi. Del fumo esce da una delle finestre dei primi piani. Una bomba.
Il mio primo pensiero e Maddalena.
Corro più veloce che posso buttando via caffè e zucchero. In pochi secondi sono davanti all’entrata. La gente sta uscendo, alcuni stanno aiutando i colleghi feriti dell’esplosione delle vetrate.
Vedo Danny e Lindsay uscire stretti l’uno all’altra.
“Danny!” lo chiamo. Lui solleva lo sguardo e mi viene incontro “Cos’è successo?” domando.
“Una bomba, al terzo piano.” spiega, ancora col fiatone.
“Mac! Jo e Lena sono ancora lì dentro.” interviene Lindsay, visibilmente preoccupata.
Io annuisco e, senza pensarci due volte, entro.
 
POV Lena
 
Apro gli occhi tentando di mettere a fuoco ciò che mi circonda. L’ufficio è totalmente distrutto, i vetri sono praticamente esplosi coprendo il pavimento come uno strato di neve. Mi sollevo sulle braccia, sono sdraiata a terra accanto al divanetto, la lampada è caduta sopra di me, ma, fortunatamente, il tavolino da caffè l’ha bloccata prima che il suo peso mi schiacciasse. Non riesco a sollevarmi. Un rivolo di sangue scende lungo la mia tempia. Ho le mani piene di schegge di vetro e il collo non è da meno. La gamba mi pizzica, quando mi volto vedo che c’è una piccola pozza di sangue sul pavimento. Le schegge di legno della scrivania devono avermi ferito la gamba.
Ad un tratto sento una voce provenire dall’esterno. C’è ancora qualcuno. Sono salva.
“Lena!” chiama.
Vedo una figura sulla soglia.
“Lena!” dice di nuovo.
“Sono qui, Don.” dico, così che possa localizzarmi sotto le macerie. Lui si avvicina, solleva la lampada e la sposta, lei ricade con un tonfo.
Mi aiuta ad alzarmi tenendomi per un braccio. Ho una gamba indolenzita, così mi reggo a lui. Ma che cavolo è successo?
“Ce la fai?” mi chiede osservandomi. Io annuisco e provo a fare qualche passo ma le gambe cedono sotto il mio peso. Mi tira sé prima che possa cadere.
“Dai, mettimi un braccio intorno al collo.” obbedisco e solo ora mi accorgo che sto tremando. Come se pesassi meno di dieci chili mi solleva. Mi stringo a lui. Il dolore mi invade la gamba, dove Don mi ha afferrata.
“Stai bene?” mi domanda. La sua voce mi tranquillizza. Ero così spaventata.
“Si, ma cos’è successo?”
“Un pacco bomba al terzo piano, è partito dal corridoio. Un ragazzo probabilmente lo stava portando in qualche ufficio.”
“Ma chi…?”
“Non lo so.”
Usciamo dall’ufficio. Prendiamo le scale e scendiamo al secondo piano. La bomba ha devastato tutto anche qui, doveva essere davvero potente. I vetri sono distrutti e ci sono fogli ovunque, la maggior parte della documentazione sarà andata persa. Non immagino la fatica di recuperare tutto questo materiale.
“Ti porto da un dottore.” mi dice interrompendo i miei pensieri.
“Aspetta, posso camminare. Controlla se c’è ancora qualcuno.” dico insistente.
“No. Ti devo portare fuori.” ovviamente non mi oppongo, dato che mi sta portando in braccio e non posso scendere, perché so che non riuscirei a camminare davvero.
Quando usciamo, tutto il perimetro è già isolato dai nastri gialli della scientifica.
“Un paramedico!” dice Flack avvicinandosi ad un’ambulanza. Solo ora mi accorgo che anche lui è ferito. Ha il braccio coperto di sangue.
“Sono tutti impegnati con i tecnici di laboratorio.” dice un poliziotto a guardia del perimetro. Don mi fa sedere nel retro di un’ambulanza vuota.
“Don, anche tu devi farti medicare.” dico.
“Ne hai più bisogno tu.” si oppone.
“No, fatti medicare subito.” ordino. Non può ignorare che ha un braccio ferito, deve farselo rimettere a posto.
“Flack! Lena!” Sheldon si avvicina di corsa, chiamandoci. Sta bene, probabilmente non si trovava all’interno dell’edificio quando la bomba è esplosa.
“Hooks! Dove sono gli altri? Come stanno?” domanda Don.
“Stanno bene. Voi?”
“Tutto a posto.” risponde lui. Anche se ho l’impressione che stia mentendo.
Hooks si volta verso di me e mi sorride. Si china per guardarmi meglio.
“Come ti senti?”
“Bene.” rispondo.
“Fammi vedere quella ferita.” studia la mia gamba e poi prende un pezzo di stoffa e lo avvolge attorno alla ferita per bloccare l’emorragia.
“Dov’è Mac?” domando ad un tratto guardandomi intorno. era uscito per comprare del caffè, ma non l’ho più visto.
“Era entrato a cercare te a Jo.” risponde.
“Non l’abbiamo visto.” constato preoccupata, voltandomi verso Flack.
“Sta bene. Non preoccuparti.” mi rassicura Don. Si siede accanto a me e mi stringe avvolgendomi le spalle con il braccio. Io preoccupata, continuo a guardare l’uscita. Nessuno esce.
“Vado a vedere se serve aiuto ai paramedici.” dice Hooks.
“Ok, resto io con lei.” risponde Don di rimando. Il collega si allontana e si avvicina alle altre ambulanze.
“Vai, c’è gente che ha più bisogno di me.” rassicuro Don. Ed è vero.
“No, rimango.” gli sorrido, contenta che non se ne sia andato.
 
POV Mac
 
Salgo al quarto piano di corsa dopo aver controllato al terzo. Maddalena non c’è, spero che sia già fuori e che non le sia successo niente. Non mi ha risposto e questo mi preoccupa, ma cerco di essere positivo, anche se non è il mio forte. Devo occuparmi di Jo, ora.
Mi dirigo verso il suo ufficio. Se le fosse successo qualcosa non potrei perdonarmelo. L’ultima cosa che abbiamo fatto è stato litigare. Corro a perdifiato, controllando che siano usciti tutti. È tutto deserto.
“Jo!” la chiamo, quando sono davanti al suo ufficio. Niente.
“JO!” Ti prego, rispondi Jo.
Mi affaccio sulla porta del suo ufficio. E’ totalmente a soqquadro. Tutto l’ordine che c’era qualche ora prima è svanito in pochi secondi.
“Jo!” chiamo ancora.
“Mac…” la sua voce flebile mi costringe a muovermi. Entro all’interno e la vedo stesa a terra vicino alla scrivania.
“Jo, sono qui.” la rassicuro. Mi avvicino e la sollevo leggermente, attento a non farle del male. Ha il braccio che gronda sangue, le schegge l’hanno praticamente trafitto ovunque. Tento di non toccarlo, per non rischiare di infettarlo.
“Sta’ tranquilla.” le sussurro stringendola e cullandola.
“Grazie.” mi dice dolcemente. Mantiene la calma, anche adesso, dopo l’esplosione di una bomba.
“Ora ti porto fuori.” la sollevo tra le braccia e lei appoggia la testa nell’incavo del mio collo. Mi sento pervadere dal suo dolce profumo.
Ti ho trovata Jo. Ti ho trovata e non ti lascerò più.
 
POV Lena
 
Ho la testa appoggiata alla spalla di Don e lui mi sta stringendo la mano. Una coperta mi copre le spalle, fa freddo e la mia giacca è rimasta sotto le macerie del laboratorio. Èquasi mezz’ora che siamo usciti e di mio zio nessuna traccia.
Comincio a preoccuparmi. Non può morire anche lui. Non può lasciarci anche lui. E’ un brutto pensiero, lo so, ma non posso fare a meno di pensare al peggio. Ad un tratto vedo due figure uscire dall’atrio.
“Mac.” dico flebilmente sollevando la testa dalla spalla di Flack.
“Hai visto? Che ti avevo detto? Sta bene.” mi dice sorridendo. Io sorrido di rimando, rassicurata.
Mio zio sta tenendo Jo tra le braccia: è ferita ma sta bene. Per fortuna è tutto finito. La sdraia su una barella e le accarezza il volto. Lei, di rimando, sorride e stringe la sua mano. Mac avvicina il volto a quello di lei e le sussurra qualcosa all’orecchio, poi le sfiora la fronte con le labbra. Grazie a Dio stanno bene. Ero così preoccupata. Avevo paura di averli persi entrambi.
Jo viene caricata su un’ambulanza e questa si allontana, a sirene spiegate, verso l’ospedale.
Mac si volta e si blocca. Gli occhi azzurri scintillano, lucidi di lacrime.
Lentamente mi alzo in piedi e gli corro incontro zoppicando. Lui viene verso di me e allarga le braccia per stringermi a sé. Gli getto le braccia al collo e mi stringo a lui che mi accarezza i capelli sollevandomi leggermente da terra.
“Stai bene?” mi sussurra.
“Si, io sto bene. Don mi ha trovata.” dico tra le lacrime. Lui mi allontana e mi accarezza il volto asciugandomi le lacrime.
“Tu stai bene?” gli domando. Non è ferito, per fortuna.
“Si, ero appena uscito dal cafè quando è esplosa la bomba.” spiega.
“Ho avuto paura di non rivederti più.” dico senza riuscire a trattenermi. Dovevo dirglielo. Lo trattenevo da troppo tempo.
“Anche io, Lena. Ed è già la seconda volta. Non voglio che succeda più, non permetterò più che accada. Te lo prometto.” mi rassicura. Una lacrima gli solca la guancia, io gli accarezzo il volto e la asciugo. Solo adesso mi accorgo che è la prima volta, dopo mesi, che mi chiama Lena. Non era mai successo. E credo di essere, in questo momento, la persona più felice del mondo.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ecco a voi il nono capitolo! Devo dire che sono abbastanza soddisfatta, spero che piaccia anche a voi!
Un bacio, xXEli_147Xx

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 10

 

Quando torniamo a casa sono le cinque passate. Io e Mac varchiamo la soglia di casa tenendoci per mano, cosa che facciamo da quando siamo usciti dall’ospedale. Lo spavento è stato talmente forte che per riuscire a calmarmi sono serviti venti minuti e due tè caldi. Da quel momento non mi sono più separata da mio zio.
Poso lo zaino e la giacca recuperati dalle macerie e ormai logori, nell’entrata. Mio fratello è seduto sul divano e sta studiando latino. Quando ci vede entrare, si alza e lascia cadere il libro sul tavolino da caffè.
“Ma dove eravate finiti?” domanda, visibilmente arrabbiato, alzandosi in piedi e avvicinandosi a noi.
“Una bomba è esplosa al laboratorio. Ho portato Lena in ospedale. Comunque stiamo bene.” spiega Mac, senza lasciare la mia mano. La sua stretta mi rassicura, così mi avvicino arrivando a toccare il suo braccio con il mio.
Jamie si volta verso di me con sguardo interrogativo. Io gli sorrido per rassicurarlo. Sto bene, anche se lui non sembra esserne sicuro.
Lo vedo stringere i pugni, tanto da far diventare le nocche bianche. Respira lentamente, probabilmente per far sbollire la rabbia.
“Una bomba?”
“Si.” risponde Mac.
“Sapete chi è stato?” chiede ancora.
“No.” continua mio zio, lapidario.
James, a quel punto, continua.
“Mac, possiamo parlare? Da soli.” conclude, rivolto verso di me.
Mac si volta e mi rivolge un sorriso. Lo guardo negli occhi e lascio la sua mano. Riprendo lo zaino e la giacca e mi dirigo in camera mia, lasciandoli soli.
Appena entro mi sdraio sul letto e fisso per circa mezz’ora il soffitto. Controllo i miei respiri, sono regolari e lenti. Ero così spaventata solo quando Romanoff mi ha rapita. Avevo paura di morire e non rivedere più le persone a cui voglio bene e che se Mac fosse venuto l’avrebbe ucciso.
Un pensiero prende forma nella mia mente.
E se fosse stato lui? Se fosse stato lui a progettare la bomba e a mandarla al laboratorio? Voleva vendetta verso Mac e di sicuro voleva depistare le indagini della polizia. Mio zio l’avrà già capito da un po’. Forse potrebbero rintracciarlo, d’altronde è ancora a piede libero. Non sarebbe male se venisse catturato.
Sento mio fratello e mio zio litigare in salotto. Jamie è furioso e non riesco a capire perché. Sta cominciando a stufarmi, non si era mai comportato così. Non ha mai avuto un carattere difficile da gestire, e adesso è totalmente diverso. Che la morte di mamma e papà lo abbia cambiato così tanto?
Ad un tratto tutto tace. Il silenzio piomba sulla casa: l’unico rumore rimasto è quello delle auto che sfrecciano veloci per strada e quello di un martello in un cantiere poco lontano da qui. Niente, nessun movimento dal salotto. Poi la porta d’ingresso sbatte violentemente.
Mi alzo lentamente e mi dirigo verso il salotto. Quando mi affaccio dal piccolo corridoio, vedo mio zio in piedi vicino alla finestra, mio fratello dev’essere uscito.
Quando sente il rumore dei miei passi si volta. Io gli sorrido e mi avvicino.
“Cos’è successo?” domando. “Avete litigato, vero?” chiedo ancora, lui annuisce “Posso sapere riguardo a che cosa?” questa volta gli interrogatori li gestisco io.
“Niente, sta’ tranquilla.” mi rassicura sorridendo.
“Tenermi all’oscuro di tutto non servirà a proteggermi.” dico “Siamo una famiglia ora, non dovremmo avere segreti.”
Esita qualche secondo e poi parla: “Ha paura che io non sappia proteggerti.”
Cosa? Non credo di aver capito.
“Ma… Non è vero.” ribatto “Mi hai salvata da Romanoff. Come può pensare una cosa del genere?” lui abbassa lo sguardo.
“Oh.” allora i miei sospetti sono veri “Quindi è vero. L’ha messa Romanoff la bomba al laboratorio.”
Mac annuisce.
“Non è comunque colpa tua.” constato.
“Lena. Se non volete restare qui non siete costretti, lo sai.” mi interrompe.
Il suo sguardo mi penetra. Non riesco a capire, vuole cacciarci via? Io non me ne voglio andare, finalmente ho di nuovo una famiglia.
“Io so che finchè sarò con te sarò al sicuro. Non me ne andrò. Sto bene qui.” lo rassicuro.
“Forse speri troppo in me. E poi ammettilo: non sono nemmeno così simpatico e non è facile sopportarmi.” dice sorridendo. Io rido, è vero, ma non è male come credevo.
“Semplicemente hai la scorza dura. Ma sotto, sotto, sei tenero come un muffin al cioccolato.”
Ride. E’ la prima volta che succede. Non l’avevo mai visto ridere davvero.
“Ti piacciono i muffin, quindi. Dovrei preoccuparmi?” domanda ironico.
“Forse.” rispondo di rimando.
Insieme ridiamo. Io mi avvicino e lo abbraccio. Lui ricambia e mi dà un leggero bacio sulla fronte. Non lo nascondo, adoro le coccole.
“Ti voglio bene, Mac.” gli dico. E mentre lo sto dicendo mi rendo conto che lo adoro e che non me ne andrei per nulla al mondo.
“Anche io ti voglio bene, Lena.” e restiamo stretti in quell’abbraccio fino a che il cellulare di Mac non squilla.
 
Non vediamo James per tutto il pomeriggio. Alle 20, dato che non si fa vivo decidiamo di cenare. Preparo un arrosto con patate mentre Mac sfoglia il mio quaderno di biologia.
“Mmm. E’ molto ordinato.” si complimenta “Cos’è che non riesci a capire?” mi domanda senza distogliere lo sguardo dai fogli.
“Ehm… Tutto?” rispondo mettendo il sale sulle patate.
“Perché? E’ facile.”
“Forse per te. Ti occupi tutti i giorni di biologia. Io non la sopporto.” affermo, voltandomi per guardarlo meglio.
Lo vedo scoppiare in una risata fragorosa.
“Perché ridi?” gli domando. Lui mi guarda e mi sorride.
“Ma se hai B.”
“Lo so, ma solo perché ho studiato e ristudiato così tante volte le cose che le so a memoria. Il problema e che a me non piace studiare a memoria. Voglio capire ciò che studio.” lui annuisce.
“Allora sabato pomeriggio lezione di biologia.” propone chiudendo il quaderno per fare posto ai piatti.
“Quindi vuoi aiutarmi?” gli chiedo stupita. Credevo non avesse tempo.
“Ovvio, sono esperto in questo campo.” conclude e mi strizza l’occhio. Sono felice, magari riuscirò a capirci qualcosa.
Dopo aver cenato ci sediamo sul divano a guardare la TV.
“Che c’è in TV?” domando mentre prende il telecomando.
“Vediamo…” dice facendo zapping. Quando trova un film si blocca. “Ah! Questo è bellissimo.”
“Che cos’è?” chiedo sedendomi accanto a lui.
“Shutter island, con Leonardo Di Caprio.” posa il telecomando sul bracciolo del divano e allarga una coperta sulle nostre gambe “E’ un thriller-horror. Vuoi cambiare canale?” mi domanda poi, accorgendosi che forse non è il periodo adatto per i film dell’orrore.
“No, va bene. E poi se c’è Di Caprio…”
“Lo immaginavo.” ribatte compiaciuto. Ridiamo e quando il film comincia, un silenzio tombale crolla sulla casa. L’unico rumore udibile sono le voci dei personaggi che escono dal televisore e riempiono l’ambiente caldo e accogliente.
 
“Lena… Lena.” sento una voce calda che mi chiama e una stretta al braccio. Quando apro gli occhi, Mac è accanto a me. Mi sta accarezzando un braccio.
“Mac.” dico tentando di spingere via il sonno che fino a qualche secondo prima mi aveva avvolto.
“James, non è ancora tornato.” mi dice “Vado a cercarlo.”
“Cosa?” cerco di mettere a fuoco ciò che mi sta dicendo “Non se n’era mai andato di casa.” o almeno, che io mi ricordi non l’ha mai fatto “Magari è da Ian o da Jeremy.” continuo, per rassicurarmi.
“Prova a chiamarli. Io lo cerco sul cellulare e faccio un giro dell’isolato. Non può essere andato tanto lontano.”
“D’accordo.” mi alzo dal divano e corro in camera mia a prendere il cellulare. Faccio scorrere i nomi in rubrica e quando arrivo a quello di Ian premo il tasto di chiamata.
Il cellulare squilla.
“Ehi, riccioli d’oro.”dice una voce dall’altro capo del telefono.
“Ciao Ian. Mio fratello è lì con te?” domando, senza nemmeno chiedergli come sta.
“Ehm… No. Non che io sappia. Perché?”domanda di rimando.
“E’ da oggi pomeriggio che non lo vediamo. E’ sparito.” spiego e la consapevolezza delle mie parole mi travolge. E’ sparito. E se fosse stato Romanoff? Se l’avesse rapito?
Mio zio si affaccia sulla porta della mia camera e sussurra che Jamie non risponde.
A questo punto potrei sul serio avere un attacco d’ansia.
“D’accordo Ian, mi chiami se lo vedi?” gli chiedo.
“Certo.”
“Grazie. Un bacio.” lo saluto.
“Notte, un bacio anche a te.”
Spengo la chiamata e scorro di nuovo i nomi in rubrica fino ad arrivare a quello di Jeremy.
“Pronto?”sento dire dall’altro capo.
“Jeremy? Sono Lena.” dico.
“Ehi bellissima!”esclama lui.
“Ciao. Per caso James è lì con te?” domando.
“No. Perché?”
“E’ sparito da oggi pomeriggio, io e mio zio siamo preoccupati.” rispondo mestamente.
“Magari è in biblioteca. Vuoi che ci faccia un salto? E’ a due passi da casa mia.” mi propone.
“Lo faresti?” chiedo stupita.
“Certo, vado e ti faccio sapere.”
“Grazie. Davvero.” aggiungo. Chiudo la chiamata e corro in cucina.
Mio zio sta ancora tentando di chiamarlo.
“Mac, non è né da Ian né da Jeremy. E se Romanoff…” comincio, preoccupata.
“No. Lui sta bene. Vado a cercarlo.” afferma. Prende la giacca e le chiavi di casa. “Rimani qui, nel caso tornasse.”
Io annuisco. “D’accordo. Jeremy è andato a cercarlo in biblioteca.”
Lui annuisce e poi si avvicina.
“Sta’ tranquilla. Sta bene.” mi rassicura. E poi esce. Il silenzio torna a piombare sulla casa. Niente si muove, perciò accendo la TV e mi siedo sul divano coprendomi le gambe con la coperta, in attesa. Di qualsiasi cosa.
 
Dopo tre ore Mac non è ancora tornato e James neanche. Come se non bastasse Jeremy non ha trovato nessuno alla biblioteca. L’agitazione sta salendo e credo che fra poco avrò una crisi di nervi.
E’ frustrante. Non posso fare niente stando seduta qui, ma non posso nemmeno uscire, perché se James arrivasse non potrei saperlo.
Ad un tratto, qualcuno bussa alla porta. Magari è lui. Poi un altro pensiero si incatena alla mia mente. E se fosse Romanoff? Magari sa che sono viva e che Mac è uscito. Forse ci stava osservando già da tempo e stava aspettando il momento opportuno per farsi avanti. O forse, sto diventando paranoica.
Mi alzo dal divano e lentamente mi avvicino. Quando sono a qualche centimetro dalla porta, guardo nello spioncino. Metto a fuoco l’immagine. E’ Jo. Apro e la invito ad entrare con un cenno della mano e con un sospiro di sollievo. Non è Romanoff, è ufficiale, sono paranoica.
“Ciao, sai dov’è Mac?” le chiedo subito.
Lei esita e abbassa lo sguardo. Allora continuo.
“Che succede, Jo?”
“Tesoro, sediamoci.” mi dice, indicando il divano.
“Oh mio Dio, che è successo? Jo, ti prego.” la imploro di parlare.
Quando ci sediamo mi prende la mano.
“Hanno fatto una chiamata al 911 circa mezz’ora fa. Hanno detto che avevano sparato ad un’agente della scientifica in un supermercato sulla trentaseiesima.”
Mi manca l’aria. Non può essere. Non può essere Mac. Ma dall’espressione di Jo, capisco che è di Mac che stiamo parlando.
“Ora dov’è?” domando cercando di mantenere la calma.
“E’ all’ospedale. Flack e gli altri sono già là.” mi rassicura.
“Andiamo. Voglio andare da lui.” sbotto alzandomi.
“Aspetta, sei sicura…?” comincia. Io la interrompo.
“Si, voglio andare da mio zio.”
“D’accordo. James?” mi domanda guardandosi intorno.
“Mac lo stava cercando. Non sappiamo dove sia.” dico, ricordandomi solo ora di lui.
“Ok, manderemo Danny a cercarlo.” in dieci minuti siamo già su un taxi che ci accompagna fino all’ospedale.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Scusate per il ritardo nel pubblicare il capitolo, ma ho avuto le mie cuginette a casa per quattro giorni e non sono riuscita ad entrare nel sito!!
Comunque, adesso sono qui con il decimo capitolo. Spero tanto vi piaccia, scorre un po’ in fretta, ma è per far andare avanti la storia…
Un bacio, xXEli_147Xx

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 11

 
Il pronto soccorso pullula di persone. Jo si fa strada tra medici, infermieri e pazienti e io la seguo. Quando vede Flack lo saluta con un cenno e lui viene verso di noi. Ha una faccia da funerale, non promette niente di buono.
“Come sta?” domanda Jo, ansiosa.
Lui mi guarda come se non volesse turbarmi, anche se entrambi sappiamo che essere delicato non è la sua specialità e poi parla: “Non ci hanno ancora detto niente.” io abbasso la testa. Intanto arrivano Sheldon, Danny e Lindsay.
“Danny, vai a cercare James. E’ sparito da oggi pomeriggio. E se non lo trovi dirama un avviso.” ordina Jo. Sono sollevata che Danny vada aa cercarlo. Chissà dov’è finito.
“Ok.” risponde lui, prontamente ed esce dal pronto soccorso con passo spedito.
“Lena. Sta’ tranquilla. Andrà tutto bene. Troveremo James.” mi rassicura Jo, però intuisce che adesso non è mio fratello a preoccuparmi, così continua. “Lui è forte. Ce la farà.”
Chiudo gli occhi e respiro, tentando di far tornare i respiri regolari. Mi reggo la testa con una mano e un senso di nausea mi pervade. L’aria torna a mancarmi. E’ come se i polmoni si fossero svuotati di colpo. Credo che potrebbe esplodermi la cassa toracica da un momento all’altro. Mi si annebbia la vista. Le gambe si fanno molli e instabili.
Sheldon si avvicina e mi stringe le braccia facendomi arretrare di qualche passo. Per fortuna mi ha presa appena in tempo, credo che sarei svenuta, altrimenti.
“Siediti.” mi consiglia. Comincio a singhiozzare e i respiri si fanno ancora più irregolari di prima. Non riesco a non piangere. Non ci riesco.
“Tranquilla.” continua lui. Mi prende il viso tra le mani e mi costringe a guardarlo negli occhi. “Respira, con calma.” Mi mostra come respirare e cerco, invano, di imitarlo.
“Flack, cerca qualcosa per farle aria.” gli dice e poi continua “Lindsay, prendile un po’ d’acqua e zucchero.”
Don prende una rivista dal tavolino della sala d’aspetto e comincia a sventolarlo vicino al mio viso. L’aria mi rinfresca un pochino ma la situazione non migliora. Sheldon continua ad accarezzarmi le guance per tranquillizzarmi.
“Respira.” continua a ripetere. Non ci riesco.
“Ecco l’acqua.” dice Lindsay, di ritorno. Me la porge e io la bevo a piccoli sorsi.
“Lentamente.” Sheldon, che prima era inginocchiato davanti a me, si sposta sulla sedia accanto. Mi stringe la mano e io poggio la testa sulla sua spalla. Con l’altra mano mi accarezza la guancia e mi culla leggermente.
“Va meglio?” domanda, mentre Flack continua a farmi aria.
Io annuisco e mi stringo a lui.
“Tesoro, andrà tutto bene.” mi dice Jo inginocchiandosi davanti a me e accarezzandomi le gambe. Si guarda intorno e poi si alza.
“Vado a cercare un medico.” dice allontanandosi “Sheldon, puoi rimanere con lei? Lindsay vieni con me.” la ragazza la segue e Sheldon annuisce.
Fantastico. Hanno appena sparato a mio zio, nessuno sa come stia e mio fratello non si trova. Non potrebbe andare meglio.
Ad un tratto vedo le porte del pronto soccorso aprirsi. Danny avanza deciso seguito da mio fratello. Sollevo la testa dalla spalla di Hawkes che si volta. Lentamente mi alzo in piedi e raggiungo James. le lacrime e la tristezza lasciano il posto alla rabbia.
“Che è successo?” mi domanda. Ok, potrei seriamente insultarlo.
“Hanno sparato a Mac.” dico sbrigativa. Danny, vedendo che non tira una buona aria, si allontana e raggiunge i colleghi.
“Se non sono indiscreta potrei sapere dove cavolo sei stato?” chiedo. Sto per esplodere.
“Usciamo. Ne parliamo fuori.” risponde.
Mi volto e lancio un’occhiata a Hawkes, che annuisce.
Seguo mio fratello all’esterno e poco lontano dalle porte, ci fermiamo.
“Allora?” lo incalzo.
“Sono uscito a schiarirmi le idee.”
“Schiarirti le idee? E ti ci sono volute otto ore? Eravamo preoccupati, Jamie. Potevi almeno prenderti il disturbo di avvertire del ritardo.” lo rimprovero.
“Adesso sono qui. Che problema c’è?” sbotta.
“Che problema c’è? Ma che ti prende? Credevamo ti fosse successo qualcosa. Mac è uscito a cercarti alle undici passate.”
“Strano. Mi stupisce già solo il fatto che si sia preoccupato. Che sia venuto a  cercarmi, poi.” continua, sarcastico.
“Ma che stai dicendo?”
“Non gli importa di noi, non lo capisci?” sbotta. Sembra che l’abbia trattenuto per troppo tempo. Quando pronuncia quelle parole mi sembra di non comprenderle a fondo.
“Chi te lo ha detto?” domando io, di rimando.
“Credi che perché ti abbia abbracciato dopo l’esplosione di una bomba, dalla quale, per altro, non è stato lui a salvarti, significhi che ci voglia bene?”
Ma che sta dicendo? Non si è mai comportato così.
“Non biasimo Romanoff per aver tentato di ucciderlo.” alle sue parole il mio cuore si blocca.
“Cosa?” sussurro.
“Hai capito.”
“Come puoi anche solo pensare una cosa del genere? Lui ha ucciso i nostri genitori.”
“Già. Per colpa di Mac.” insiste.
“E’ colpa di nostro zio se quello è un psicopatico?”
“Non vuoi proprio capire, allora.” afferma voltandosi verso la strada.
“No, tu non vuoi capire.” dico decisa, adesso mi ha stancato “Lui ci ha accolto qui, quando avrebbe potuto rifiutare, nessuno lo avrebbe costretto. Sei un ingrato. Non so cosa ti sia preso, ma dovresti portare rispetto alla persona che ci ha accolto a braccia aperte e a cui abbiamo sconvolto la vita e che, soprattutto, ora si trova in sala operatoria e lotta tra la vita e la morte.” tutto ciò che penso è venuto fuori, finalmente.
“Certo.”
“Ma perché non cresci un po’ ?” esclamo.
“Lo sto facendo. Ora scusa, ma vado a casa di Tyler a dormire, mi aspetta.” mi dice. Si volta e se ne va.
Io abbasso lo sguardo e stringo i denti. E’ la mia prima vera litigata con mio fratello, non si era mai comportato così. E’ cambiato da quando siamo qui.
“Lena.” una voce alle mie spalle mi chiama dolcemente.
“Don… Adesso rientro.” lo rassicuro mentre le lacrime mi rigano di nuovo le guance.
“Dov’è James?” domanda guardandosi intorno.
“Se n’è andato.” rispondo sbrigativa.
“Dove?”
“A casa di un amico.”
“Oh.” fa una pausa “Forse dovresti andare anche tu a dormire un po’.” mi consiglia.
“Voglio restare qui.” affermo.
“Senti, facciamo così: ti accompagno e mi fermo a dormire. Ok? Così non rimani sola. ”
Mi volto per guardare il suo viso illuminato dai fari delle automobili che sfrecciano per strada.
“Lo faresti?” domando stupita.
“Certo.” annuisce sicuro. “Andiamo a dirlo agli altri e poi possiamo andare.”
Quando rientriamo il calore del pronto soccorso mi pervade per qualche istante e poi comincio a sentire che la circolazione si riattiva. Diciamo e Jo e agli altri che andiamo a casa a riposare e loro ci salutano e ci assicurano che se dovessero esserci novità ce lo farebbero sapere.
Così, insieme, ci avviamo verso casa.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao, ecco a voi l’11° capitolo. Spero tanto vi piaccia, ci ho messo tanto impegno a scriverlo ;). Se c’è qualcosa che non va fatemelo sapere!
Volevo anche dirvi che partirò per le vacanze, domani. Potrò rispondere alle vostre recensioni, ma non pubblicare, perché con il cellulare non si può…
Comunque tornerò il 29, quindi il 30 dovrei pubblicare il 12° capitolo! Mi mancherete!!
Un bacio…
xXEli_147Xx 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 12

 
Ho le mani coperte di sangue e mi manca l’aria. I corpi dei miei genitori sono stesi, privi di vita, al mio fianco. Li scuoto, ma nessuno dei due si muove. Grido a squarciagola. Qualcuno mi aiuterà. Qualcuno arriverà. Non posso essere sola. Non posso.
 
Qualcuno mi sta scrollando le spalle e mi chiama.
“Lena, Lena!” quando finalmente riesco ad aprire gli occhi, vedo che, di fronte a me, c’è Don.
“Don.” sussurro, come se potesse essere un sogno.
“Tranquilla, sono qui.” mi rassicura.
Solo adesso mi accorgo di essere madida di sudore e che sto piangendo.
“Don.” ripeto e lo abbraccio.
“E’ tutto finito, era un incubo. E’ tutto passato.” mi stringe a sé, cullandomi avanti e indietro. “Vieni, andiamo a bere un bicchiere d’acqua.” mi propone allontanandomi di qualche centimetro.
Annuisco e lentamente poggio i piedi a terra. Mi reggo a lui, non credo che riuscirei a rimanere in piedi, altrimenti: i singhiozzi continuano a scuotermi.
In cucina, mi versa un bicchiere d’acqua e si siede al tavolo con me.
“Cos’hai sognato che ti ha spaventato così tanto? Se posso chiederlo.” domanda correggendosi subito.
Io lo guardo per un momento. Glielo dico? Non l’ho mai detto a nessuno, perché dovrei dirlo proprio a lui?
“I corpi dei miei genitori. La sera in cui li ho trovati. Erano… coperti di sangue. Mia madre non respirava più e mio padre stava… morendo. Mi ha sussurrato che mi voleva bene e poi è morto.” singhiozzo “Non ho potuto fare niente. Niente, Don. Mi è morto tra le braccia.” concludo.
“Che avresti potuto fare? Non è colpa tua.”
Io scuoto la testa.
“Se fossi uscita dalla mia stanza prima, o se avessi chiamato prima il 911, forse non sarebbe morto e forse anche mia madre sarebbe ancora qui.”
“O, forse, Romanoff  ti avrebbe uccisa insieme a loro.”  mi fa notare. Io sollevo lo sguardo. Mi prende la mano e la stringe. “Sei stata coraggiosa. Credimi. Adesso, però, devi essere forte. Mac ha bisogno di te.” Io annuisco. E’ vero. Ce la farà, devo essere forte. Per lui.
 
Finita la scuola, Don passa a prendermi e ci avviamo verso l’ospedale.
“Hai visto se James è uscito da scuola?” domando speranzosa, rompendo il silenzio che riempiva l’auto.
“No, non l’ho visto. Magari è uscito prima.” ipotizza. E’ maggiorenne, può farlo, ma non sarebbe da lui. Comunque, annuisco e torno a guardare fuori dal finestrino. Le nuvole grigie stanno lentamente coprendo New York. Credo che presto nevicherà.
Arriviamo davanti all’ospedale e Flack cerca un parcheggio abbastanza vicino da non dover fare troppo strada a piedi al freddo.
Quando entriamo in terapia intensiva, Jo e Sheldon sono seduti sulle sedie della sala d’aspetto. Quando Jo mi vede, si avvicina e mi abbraccia. Non è un buon segno.
“Che succede?” domando, sentendola singhiozzare.
Con voce rotta dal pianto pronuncia le parole che mi uccidono definitivamente.
“Oh Lena, mi dispiace. Hanno detto che…” fa una pausa per riprendere fiato “probabilmente… non supererà a notte. Mi dispiace così tanto.”
Cosa? E’ impossibile. Non può essere. Nonostante avessi il presentimento che qualcosa sarebbe andato storto, quelle parole mi uccidono dentro. Il mio cuore si spezza, avrei giurato di averlo sentito rompersi.
Allontano Jo, che tenta, invano, di tenermi la mano. Non ce la faccio. Arretro di qualche passo e mi volto. Jo abbraccia Flack, che la stringe a sé, proprio come ha fatto con me la scorsa notte.
Voglio andarmene, così corro nel cortine interno e quando sono fuori appoggio le spalle al muro e piango. Non pensavo di avere ancora lacrime da versare e invece mi sbagliavo. Non riesco a fermarmi, piango ogni lacrima che avevo trattenuto da mesi: per la morte dei miei, per la paura di morire al laboratorio dopo la bomba, per la litigata con mio fratello.
Le parole di Jo mi rimbombano nelle orecchie.
Non supererà la notte.”
“Non supererà la notte.”
Non vogliono lasciarmi in pace, ritornano a ferirmi come una lama che penetra in profondità nella pelle lacerandola ogni volta di più. Mi premo le mani sulle orecchie, come se la voce nella mia testa provenisse da fuori. Ma non è così, è qualcosa che mi corrode dentro. Che non può essere lasciata fuori.
Comincia a mancarmi l’aria e il mio respiro si fa pesante e affannato. L’aria che mi circonda sembra non bastare più. Le lacrime mi appannano la vista, sembra che tutto attorno a me sia deformato. Vedo Sheldon e Don comparire dalla porta e avvicinarsi. Quando mi raggiungono si guardano, spiazzati. Non sanno che fare. E non li biasimo. Se dovesse succedere questo, a qualcuno a cui tengo, non so cosa potrei fare per lui.
Sheldon mi prende le braccia e le stringe, come per attirare la mia attenzione.
“Lena! Lena, ascoltami. Devi essere forte, d’accordo?” mi dice. Io singhiozzo e scuoto la testa tentando di allontanarlo.
“No, no, no. Non può morire. Non è possibile.” ribatto, con voce rotta dal pianto.
Don e Sheldon si scambiano un altro sguardo.
“Hawkes ha ragione, devi essere forte.” ripete Flack. Non servirà, non mi convinceranno. Non questa volta.
“Non posso, non posso. Non ci riesco.” continuo a ripetere e poi le gambe non mi reggono più. Mi lascio scivolare lungo la parete fino a cadere in ginocchio. Non ce la posso fare. Sto perdendo tutto. Perché tutto ciò che ho deve andare distrutto in così poco tempo, senza che io possa evitarlo?
Sheldon si inginocchia accanto a me e poggia una mano sulle mie gambe, per rassicurarmi. Non parla più, anche lui non sa che altro dire. Anche perché non c’è niente da dire.
Continuo a piangere, sembra che il mio cuore stia per esplodere. Ho lo stomaco sottosopra e non riesco a pensare. Il cervello è bloccato su un unico pensiero: Mac.
Sento una puntura appena sotto il cuore, che mi costringe a piegarmi dal dolore, premendo più forte che posso all’altezza dello stomaco per alleviarlo. Non riesco a descrivere ciò che provo. O forse si.
Mi sento morire. Questo è quello che sento. E’ la stessa sensazione che mi aveva colpita, quando Romanoff mi stava puntando contro la pistola.
“Fa male.” dico. Vorrei che potessero aiutarmi, ma il mio non è un dolore fisico “Fa male, fatelo smettere vi prego.” non ritrovo un senso nelle mie stesse parole, ma che altro potrei dire? Continuo a reggermi la testa con una mano. Le lacrime mi bagnano la mano fredda. Perché sta succedendo tutto questo?
Sheldon mi accarezza dolcemente le guance e mi stringe a sé. Non parla. Sa che non esistono parole che potrebbero consolarmi.
Sto tremando e solo ora me ne accorgo. Potrei avere una crisi convulsiva e nemmeno me ne accorgerei.
Il silenzio scende nel cortile. L’unico rumore udibile oltre a quello delle auto sono i miei singhiozzi, che non accennano a fermarsi.
 
 
Mi risveglio in camera mia. Sono completamente al buio e sono vestita come questa mattina. Guardo l’ora sulla sveglia che si trova accanto a me sul comodino, sono le cinque del pomeriggio passate.
Mi sollevo sulle braccia e respiro. Vorrei che fosse stato tutto un sogno, ma so perfettamente che non è così. Poggio i piedi a terra e mi sollevo. Apro le imposte che impedivano alla luce di penetrare e con mio grande stupore vedo che fuori nevica. Un sottile manto bianco ricopre New York e i grattacieli illuminati. E Mac non potrà vederla.
La malinconia mi assale, guardo il calendario, tra meno di due settimane arriverà il mio compleanno, e sarà il più brutto della mia vita. Le lacrime tornano ad appannarmi la vista ma tento di ricacciarle indietro. Esco dalla mia camera per raggiungere il salotto, ma nel corridoio mi blocco. Sento delle voci in cucina. O meglio, una voce. Quella di Sheldon.
Mi affaccio dalla porta e lo vedo assorto in una conversazione telefonica. Quando riaggancia, entro.
“Lena. Come stai?” mi domanda vedendomi e riponendo il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Io scuoto la testa. Non riesco a parlare.
“Siediti. Ti preparo un caffè.” dice indicandomi la sedia. Io annuisco e mi siedo sulla sedia di fronte alla sua.
“Scusami per prima.” dico, quando finalmente riesco a formulare un frase di senso compiuto. Quando sento la mia voce mi stupisco. E’ piatta e priva del calore che prima la avvolgeva.
“Per cosa?” domanda stupito, accendendo il fuoco sotto la caffettiera.
“Per quello che è successo all’ospedale.” preciso.
“Oh. Non preoccuparti, ti capisco.”
“E’ solo che…” comincio “Sto perdendo anche l’ultima persona che mi rimane oltre a James. E…” a quel punto, le lacrime ricominciano a rigarmi le guance.
Hawkes si siede accanto a me e mi prende la mano.
“Lo capisco.” mi blocca e gli sono grata. Non ce l’avrei mai fatta a continuare.
“È solo che non mi era mai successo di reagire così.” confesso.
“Ascolta, quello che è successo è la somma di mesi e mesi di stress. Tutte queste emozioni e questo dolore ti hanno portato ad un crollo emotivo.” mi spiega.
“Crollo emotivo?” domando voltandomi verso di lui. Lo guardo negli occhi, sono di un marrone sbiadito, anche lui sta soffrendo per Mac.
Annuisce. “Seguito da un forte attacco di panico. Adesso devi soltanto stare a riposo. D’accordo?”
Annuisco e mi volto verso la finestra. Crollo emotivo. Attacco di panico. Non mi era mai successo. Mio fratello non è stato l’unico a cambiare.
 
Dopo aver insistito per circa un’ora, convinco Sheldon a riportarmi all’ospedale.
Mi lascia davanti alla porta e poi è costretto a correre al laboratorio. Percorro a   grandi passi i corridoi dell’ospedale e intanto digito il numero di mio fratello sul cellulare. Devo chiamarlo.
Il telefono squilla.
Dai Jamie, rispondi.
Dopo trenta secondi scatta la segreteria.
Cavolo! Ma che cos’ha nella testa? Perché non risponde? Ho bisogno di lui.
Mi dirigo verso la terapia intensiva e imbocco il corridoio che porta alla stanza di Mac.
Davanti al vetro della sua stanza c’è un ragazzo, così mi blocco a qualche metro da lui. Mi avvicino e vedo che è Adam, un tecnico del laboratorio.
“Ciao, Adam.” lo saluto. Lui si volta come ridestato da un brutto sogno.
“Oh, ciao, Lena.” fa una pausa “Come stai?” domanda infine.
“Sono stata meglio.” rispondo, tentando di non avere un altro attacco di panico o di pianto nel bel mezzo dell’ospedale.
“Mi dispiace per Mac.”
Io annuisco. Anche a me, Adam, non sai quanto.
Stiamo in silenzio e entrambi guardiamo Mac. E’ steso sul letto ed è intubato, macchinari di ogni genere lo circondano. L’ECG indica che il battito si affievolisce sempre di più man mano che il tempo passa.
“Devo tornare al lavoro. Se hai bisogno chiama, ok?” sbotta ad un tratto.
“Ok grazie, Adam.”
“Ciao, Lena.” Mi saluta con un leggero bacio sulla guancia.
Chiudo gli occhi e quando li riapro lui è già lontano, non credo che mi sentirà, comunque sussurro un saluto.
“Ciao, Adam.”
 
Aspetto da ore seduta fuori dalla terapia intensiva. Nessun miglioramento. Niente. Ogni tanto mi alzo e osservo Mac. Vorrei almeno essere accanto a lui quando succederà. Vorrei salutarlo un’ultima volta. E invece non posso.
Oh, Mac. Perché?
“Lena.” una voce al mio fianco chiama il mio nome.
“Jeremy.” dico, sorpresa di vederlo. Si avvicina e mi abbraccia. Ricambio la stretta, affondando il mio viso nella sua giacca.
“Come stai?” chiede. Perché continuano a farmi questa domanda? Mi sembra ovvio che io non stia bene.
“Sono stata meglio.” rispondo, è la mia risposta tipica.
Lui annuisce. Mi stringe le spalle con un braccio.
Ad un tratto ricordo.
“Hai visto James? E’ da un po’ che non si fa vedere.”
Scuote la testa.
“Posso provare a chiamarlo.” mi rassicura.
“Grazie.”
Stiamo abbracciati ad osservare mio zio per quasi un’ora.
Ad un tratto il cellulare di Jeremy squilla. Parla per qualche minuto e poi chiude.
“E’ mio zio. Ha bisogno di me. Torno presto, ok?” mi promette, prendendomi la mano.
“Ok.” rispondo, anche se confesso che avrei voluto che rimanesse qui.
“Mi dispiace lasciarti.” si scusa.
“Tranquillo. Ci sentiamo.” dico accennando un sorriso.
Annuisce e si avvicina, mi dà un leggero bacio e poi si volta e se ne va.
Appena svolta l’angolo, vedo che un’altra persona sta arrivando: Jo.
“Ciao, Lena.” si avvicina, mi saluta e mi abbraccia. Ricambio l’abbraccio e la saluto a mia volta. Per fortuna è arrivata, non vedevo l’ora che qualcuno mi facesse compagnia, qualcuno che condividesse il mio dolore.
Senza fare domande ci sediamo sulle sedie davanti alla stanza e lì rimaniamo abbracciate e in silenzio per un tempo che sembra eterno.
 
Dopo circa un’ora, un medico arriva, entra nella stanza e dopo qualche minuto esce. Non ci guarda, non ci parla. Niente. Assolutamente niente.
“Dottore?” lo chiama Jo.
Lui si volta e sorride amichevole, anche se non è il momento di sorridere.
“Possiamo entrare? Sua nipote vorrebbe passare qualche minuto con lui.” cerca di convincerlo. Il dottore si volta, sospira e poi acconsente con un cenno della mano.
Mi alzo e seguo Jo all’interno della piccola stanza. Il rumore dell’ECG è regolare e lento. I battiti sono sempre più lenti. Il suo viso è pallido. Jo mi dice che aspetterà fuori e quando esce chiude la porta. Ha capito che ho bisogno di salutarlo. Mi avvicino al letto e accarezzo il suo volto.
“Mac?” lo chiamo, anche se sicuramente non mi sente. “Sono Lena. Non so se riesci a sentirmi.” faccio una pausa. Ho così tante cose da dirgli. Avrei voluto dire tante cose.
“Non voglio che tu muoia. Non voglio perderti.” dico con voce rotta dal pianto. Le lacrime tornano a rigare le mie guance ancora un volta. Stringo la sua mano e mi siedo sulla sedia accanto al letto. Appoggio la testa sul materasso.
“Sei tutto ciò che mi rimane. Non lasciarmi. Ho bisogno di te. Ho bisogno di te, Mac.” continuo a piangere e le lacrime scivolano sulla sua mano.
E’ tutto così ingiusto. Perché Romanoff ha fatto questo? Perché vuole portarci via tutto ciò che abbiamo? Forse se mi avesse uccisa quando mi teneva in ostaggio avrebbe fatto meno male. Il dolore sarebbe stato niente in confronto a ciò che provo ora vedendo Mac in questo stato.
“Ti voglio bene, Mac. Ti voglio bene.” dico e spero in cuor mio che sia riuscito a sentirlo. Rimango per altri cinque minuti e poi esco dalla stanza. Chiudo la porta alle mie spalle e vedo che, in piedi, accanto a Jo c’è James. Quando si volta e mi vede, si avvicina. Jo ci osserva e entra nella stanza del suo capo, lasciandoci soli. Anche lei vuole dargli un ultimo saluto.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Come promesso, appena tornata dalle vacanze, eccomi qui! Eccovi il dodicesimo capitolo, spero tanto che vi piaccia, buona lettura.
xXEli_147Xx

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 13

       
“Lena.” dice James vedendomi ferma sulla porta della stanza di nostro zio.
Lo guardo per qualche secondo. Che dovrei fare? Dopo ciò che ha detto, che dovrei fare? Non so perché, ma mi volto e me ne vado. È tutto ciò che riesco a fare.
“Lena.” mi chiama ancora, inseguendomi. Mi afferra con forza per un braccio e mi costringe a voltarmi.
“Lasciami.” gli ordino scrollandomi le sue mani di dosso.
“Aspetta, ti prego. Lascia che ti spieghi.” mi prega.
“No.” ringhio fra i denti, tentano di rendere la voce ferma, nonostante le lacrime.
“Voglio che mi ascolti.” e io invece non voglio sentire una parola da lui.
“Lasciami in pace, ti scongiuro.” lo imploro, continuando a piangere.
“Mi dispiace.” dice infine.
“Anche a me. Mi dispiace che tu sia stato così stupido da desiderare la morte dell’unica persona che ci fosse rimasta.” sbotto. Non riuscivo più a trattenerlo. Sono esplosa, forse ho fatto male a dirlo, ma mi stava lacerando dentro.
“Ho sbagliato, lo so. E ti chiedo scusa.”
“Non voglio le tue scuse. Voglio che tu mi lasci in pace.”
“No. Sono tuo fratello. Dobbiamo rimanere uniti.” insiste.
Incrocio il suo sguardo e poi mi volto di nuovo. Continuo a camminare lungo il corridoio senza voltarmi e lui continua a seguirmi. Vuole assolutamente che lo ascolti. Non può lasciarmi in pace? Voglio stare sola.
“Mi dispiace.” ripete ancora. Mi blocco e mi volto verso di lui. “Scusa, non avrei dovuto. Io… Ho fatto una cavolata e…” una lacrima solca la sua guancia pallida.
Non ci credo. Sta… piangendo? James sta piangendo?
Non era mai successo, è sempre stato quello calmo e razionale. Quello che mi rassicurava quando avevo paura, che mi aiutava quando stavo male. Sono io quella emotiva e fragile. Lo sono sempre stata.
Per quanto sia arrabbiata con lui, non posso vederlo così. Mi fa male. Al diavolo tutto. Mi avvicino e lo abbraccio forte. Lo stringo più forte che posso e lui ricambia. Affonda il viso nella mia spalla e per una volta, mi rendo conto che è lui a dover essere consolato. Forse tiene a Mac più di quanto voglia mostrare. Piange e il suo corpo trema. Lo accompagno alle seggiole appena fuori la stanzetta e lo faccio sedere. Prendo lo zaino e gli porgo un fazzoletto. Si asciuga le lacrime ma altre sono già pronte a sgorgare.
Gli accarezzo il viso e appoggio la sua fronte alla mia.
“Scusami per prima.” dico. Lui scuote la testa.
“È me che devi perdonare.” lo allontano un po’ e lo zittisco.
“Ti voglio bene.”  continuo dopo qualche secondo.
“Anche io, Lena.”  rimaniamo stretti in un abbraccio per un tempo che sembra infinito, senza nemmeno accorgerci dei singhiozzi che provengono dalla stanza di Mac.
 
 
 
I singhiozzi si sono fatti più forti e convulsi. Io e mio fratello ci scambiamo uno sguardo d’intesa e decidiamo di entrare. Jo è seduta accanto a mio zio, con la testa china sul letto. Sta piangendo. Come prima con mio fratello mi stupisco. Non ho mai visto Jo piangere da quando sono arrivata.
Mi avvicino e le poggio una mano sulla spalla. Lei la stringe.
Ad un tratto, un rumore ci riporta alla realtà. L’apparecchio che rileva le pulsazioni comincia a gracchiare e non accenna a smettere.
Il battito sta aumentando, è salito troppo. Un’infermiera e un medico arrivano di corsa e tutto ciò che dicono è: “Sta andando in arresto cardiaco.”
Il panico mi assale. Un’altra infermiera entra nella stanza e ci invita ad uscire, eseguiamo l’ordine e senza parole continuiamo a guardare mentre il corpo di mio zio è scosso dalle convulsioni.
“O mio Dio.” sussurro. James mi cinge le spalle con un braccio. Le infermiere chiudono la tenda della stanza e ci isolano da tutto. L’unico rumore udibile è il gracchiare della macchina.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ed eccomi qui con un nuovo capitolo, spero vi piaccia anche se è breve, ma volevo riservarlo al rapporto fratello-sorella.
fatemi sapere se qualcosa non è chiaro. A presto.
xXEli_147Xx

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 14

 
 
Dopo due ore, Sheldon e Flack ci raggiungono e dopo avergli raccontato ciò che è successo, sui loro volti si dipingono espressioni di dolore, proprio come sui nostri.
Jo è in piedi accanto al muro e sta camminando su è giù per il corridoio da ore. Non si dà pace, gli occhi, arrossati dal pianto, sono sempre più piccoli e spenti.
Poi si blocca e si regge la testa con la mano e con l’altra si appoggia al muro.
“Jo?” la chiama Sheldon “Stai bene?” le domanda, avvicinandosi.
Lei annuisce e solleva la testa, tenendo gli occhi chiusi. Il pallore sul suo volto aumenta ogni minuto che passa.
Quando tenta di fare un altro passo le ginocchia le cedono. Prima che possa cadere, Sheldon la prende tra le braccia e si lascia scivolare a terra così da non farle del male. Le scosta i capelli dal viso che gronda di sudore freddo.
“Jo.” diciamo io e James in coro e ci avviciniamo preoccupati.
Hawkes la solleva e la fa sdraiare su una barella nel corridoio. Prendo un rivista dalla sala d’aspetto e le faccio aria. James le solleva le gambe, mentre Hawkes controlla i battiti.
“Vado a prenderle qualcosa di caldo e zuccherato.” dice Flack. Il collega annuisce continuando ad accarezzarle i capelli
Dopo qualche minuto, Jo rinviene. Quando apre gli occhi si guarda intorno spaesata, tentando di mettere a fuoco ciò che la circonda.
“Jo, stai bene?” domanda Sheldon, accarezzandole i capelli. Lei annuisce e si solleva lentamente sulle braccia.
“Piano.” le raccomanda lui “Don è andato a prendere qualcosa da bere.”
“Come ti senti?” domando.
“Meglio, grazie tesoro.” mi rassicura, accennando un sorriso. Non è vero, è ovvio che sta male.
“E’ meglio che ti faccia visitare.” consiglia James.
“Sto bene, è stato solo un calo di zuccheri.” ci rassicura.
Adesso che la osservo meglio noto che è dimagrita. E’ molto dimagrita. Posso vedere le costole sotto la camicetta aderente. Sfioro il braccio di Sheldon con una mano e gli faccio segno di osservarla meglio.
“Da quanto non mangi e non dormi, Jo?” sbotta, dopo qualche secondo di silenzio. Ha capito, ha avuto la mia stessa impressione.
“Sta’ tranquillo, sto bene.” continua a dire lei.
“Jo. Voglio una risposta. Adesso.” la incalza.
Lei sospira. “Ho avuto molto lavoro. Quasi una settimana.” conclude.
“Jo.” la rimprovera. Intanto Flack è tornato con un bicchiere colmo di the fumante e lo porge all’amica.
“Non ho fame e nemmeno sonno. Non in questo momento.” dice rifiutando il bicchiere.
“Siamo tutti preoccupati per Mac” intervengo “ma così ti fai soltanto del male.”
“Lo so.” ribatte, abbassando la testa.
“Allora perché?” domanda James.
“Io… Non ce la faccio.” singhiozza.
Sheldon si volta e mi guarda con sguardo corrucciato. Non riesce a capire.
“Non può morire, non posso perderlo.” continua.
“Jo, pensiamo tutti che sia ingiusto. Anche noi gli vogliamo bene.” continua Sheldon.
Nessuno di loro ha capito. Mi avvicino, le stringo la mano e con l’altra le accarezzo la guancia. Ci avevo visto giusto, tutto sommato.
“Non posso perderlo. Io lo amo.” ammette singhiozzando.
Come destati da un sogno, tutti e tre indietreggiano.
“Ma… quando?” domanda Flack a bocca aperta.
Stupido, da troppo tempo. E lui non se n’era accorto. Era evidente, gli sguardi, i comportamenti, tutto lo lasciava intendere.
“Quando mi ha salvato dalle macerie del laboratorio, io me ne sono resa conto. Avrei dovuto dirglielo. E invece ora, lui morirà e lo perderemo.”
La stringo in un abbraccio e lei appoggia la testa alla mia spalla.
“Andiamo a casa.” le dico “Vieni a dormire da noi, ok?” propongo.
Annuisce e lentamente scende dalla barella per seguire me e James, ancora stupito per ciò che ha sentito.
 
Il giorno dopo torniamo all’ospedale. Il pensiero che Mac potrebbe essere morto mi travolge e ancora una volta mi trafigge come un lama avvelenata.
Stringo la mano di Jo e insieme a James ci avviamo verso la sua stanza.
Svoltato l’angolo, James e Jo si fermano per parlare con il medico.
Io proseguo: voglio vederlo, voglio stare ancora un po’ con lui.
Entro e mi avvicino al letto. Mi siedo sulla sedia e lo osservo respirare flebilmente.
“Non sta rispondendo come dovrebbe. Non ci sono state reazioni.” spiega il medico fuori dalla stanza.
“E’ praticamente morto.” dice mio fratello, duro come sempre.
“Mi dispiace tanto.” continua il medico “Abbiamo fatto il possibile.”
La conversazione continua, ma io non ho il coraggio di ascoltare.
Stringo forte la mano di mio zio e sfioro la sua fronte con un leggero bacio. Passo il resto del tempo a guardarlo. Gli sfioro la guancia con una mano e ricomincio a piangere silenziosamente.
Ad un tratto, sento una leggera pressione sulla mano. Sembra che le sue dita abbiano appena stretto la mia mano. Impossibile. Mi alzo dalla sedia e osservo le nostre dita intrecciate. La sua mano sta stringendo la mia. Il cuore mi salta nel petto.
“Mac?” sussurro. Le lacrime tornano ad appannarmi la vista. Non posso crederci, sta aprendo gli occhi. Allora…
“O mio Dio.” esclamo, con un tono di voce un po’ troppo alto.
“Lena?” mi fratello si affaccia alla porta, preoccupato.
“Si sta svegliando.” singhiozzo, non riesco a crederci. Mi porto la mano libera alla bocca per attutire i singhiozzi. Con l’altra continuo a stringere la mano di Mac, ho paura che se la lascerò potrebbe riaddormentarsi e questa volta per sempre.
Il medico entra nella stanza e lo osserva attentamente.
Fa fatica respirare ma sembra stia bene.
“Detective? Mi sente?” chiede il medico. Con un movimento impercettibile, Mac annuisce.
Jo piange, anche lei non riesce a crederci. Esce dalla stanza e chiama i colleghi al lavoro, singhiozzando dalla gioia.
James mi poggia una mano sulla spalla e sorride.
“Si sta riprendendo.” le parole del medico mi riportano in vita. Letteralmente.
 
Sono seduta sul marciapiede fuori dall’ospedale. Sono uscita a prendere un po’ d’aria, dopo tutto quello che è successo.
Mac sta bene. Sono così felice. Sono rinata, alle parole del medico.
Un fuoristrada si ferma non lontano da lì. Don e Sheldon scendono praticamene di corsa. Hanno un’aria visibilmente sollevata.
Mi alzo in piedi e corro incontro a Don. Quando mi vede mi abbraccia, sollevandomi di qualche centimetro da terra e io ricambio la stretta appoggiando il viso al suo. Non parliamo: non servono parole per descrivere quello che proviamo. Il cuore mi galoppa nel petto e lo stomaco è sottosopra. Ciò che provo è indescrivibile.
Sciogliamo l’abbraccio e getto le braccia al collo anche a Sheldon. Mi abbraccia e mi accarezza delicatamente i capelli ricci.
“Grazie.” gli sussurro all’orecchio.
Lui annuisce e ride. E dovrei farlo anche io. Da troppo tempo sono infelice.
 
Quando tutti hanno salutato Mac, decido di entrare anche io. Voglio rimanere con lui per un po’.
Busso.
“Avanti.” sento dire dall’interno. La sua voce è quella di sempre.
Entro e vedo che è seduto e sta osservando la finestra. La sua New York gli manca. Quando mi vede, gli occhi gli si fanno lucidi.
“Lena.” dice in un sussurro.
Sento che un lacrima scivola lungo il mio viso, seguita da tante altre. Non dovrei piangere. Tutto questo è bellissimo.
“Mac.” lo raggiungo e ci abbracciamo. Insieme piangiamo di felicità.
“Ho avuto paura di perderti.” confesso tra le lacrime.
Mi sfiora il viso con una mano e mi scocca un bacio sulla fronte.
“Sono qui. Non mi perderai.” mi rassicura.
Mi lascio cullare e continuo ad abbracciarlo, seduta sul bordo del letto, ad occhi chiusi, come una bambina con suo padre.
“Ti voglio bene, zio.” sbotto, tutto d’un fiato.
“Anche io, amore mio. Non ti lascerò, te lo prometto.”
Annuisco e tento di ricacciare indietro le lacrime. Riapro gli occhi perché la porta della stanza si apre.
E’ Jo.
Mi allontano da mio zio, gli do un bacio sulla guancia ed esco.
E’ arrivato il momento di Jo, spero che non perderà quest’occasione.
 
POV MAC
 
Vedo Jo ferma sulla soglia, mentre Lena esce chiudendosi la porta alle spalle. Sono felice di rivederla. Di non averla persa.
“Mac.” sussurra. Quasi non la sento, per il gran trambusto che c’è fuori.
“Ciao, Jo.” dico io di rimando.
“Io…” comincia, poi si blocca. Si avvicina e si siede accanto a me. “Temevo che non avrei più potuto riabbracciarti.”
“Anche io.”
“Ho avuto così tanta paura.”
Sto per parlare, quando veniamo interrotti da Danny e Lindsay che entrano nella stanza.
“Capo!” esclama Danny, felice come un bambino.
Io sorrido. Che tempismo ragazzo, che tempismo.
Lindsay fa una faccia sconsolata, ha capito.
Rido di fronte a questa situazione. Non è cambiato niente.
 
Dopo cinque giorni di permanenza all’ospedale, mi rispediscono a casa.
Tutto è come l’avevo lasciato. Lena deve aver passato più tempo all’ospedale che qui.
I ragazzi sono a scuola, è stata Jo a riaccompagnarmi. Dato che Danny non c’è devo cogliere quest’occasione.
Quando chiude la porta e sorridendo mi si avvicina per prendermi la giacca, so che devo parlare adesso. Non commetterò l’errore di rimandare ancora.
“Jo.” la chiamo. Lei si volta e sorride radiosa. Quanto amo quel sorriso. Ogni volta che lo vedo sento che potrei morire.
“Dobbiamo parlare.” comincio.
“Aspetta. Prima che tu possa cominciare devo dirti una cosa.” mi interrompe. “Quel giorno, quando mi hai salvato dalle macerie, io…” non conclude la frase.
La osservo. E’ la prima volta che vedo Jo Danville senza parole.
Mi avvicino di qualche passo.
“Avrei dovuto dirtelo, me ne sono resa conto quando ho saputo che probabilmente non ce l’avresti fatta. E’ solo che…”
Si interrompe di nuovo.
Basta, Mac. Ora, o mai più.
“Mac, io…” comincia ancora. Ma non le do il tempo di concludere.
Mi avvicino e appoggio le mie labbra alle sue. Con le mani le accarezzo le guance, le nostre labbra si muovono e le nostre lingue si sfiorano. Le cingo i fianchi con le braccia e la tiro a me, lei mi abbraccia e mi accarezza i capelli. Quando i nostri visi si separano i nostri respiri sono affannati e irregolari.
“Ti amo.” le dico. La consapevolezza delle mie parole mi travolge. Non dico queste due semplici parole da troppo tempo. E adesso mi sembra una cosa totalmente insensata.
“Anche io ti amo, Mac.” mi dice, sorridendo radiosa. E’ stupenda. Ma come ho fatto a non accorgermene prima?
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Accaldata e mezza morta a causa del caldo soffocante ;D, vi presento *rullo di tamburi* il 14° capitolo!
Buona lettura e fatemi sapere!
Un bacio, la quasi sciolta, xXEli_147Xx

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 15

 
POV LENA
 
Mi sveglio alle sette. E’ sabato, so che è presto, ma dopotutto è il mio compleanno. Sono agitata, è il mio primo compleanno a New York. Compio 18 anni e vorrei che ci fossero anche i miei genitori. Mi avrebbero svegliata alle 6 del mattino per portarmi al mare. E invece qui c’è la neve e di un bagno in mare non se ne parla nemmeno.
“Lena?” sento sussurrare alle mie spalle. Mi volto, mio fratello è sveglio. Mi alzo e mi infilo sotto le coperte con lui, che mi fa spazio e mi stringe a sé.
“Diciotto anni, ma le abitudini non cambiano, eh?”
Rido. Già.
“Buon compleanno, sorellina.” mi sussurra.
“Grazie, Jamie.”
 
Mi vesto ed entro in cucina. Mac è intento a preparare colazione.
“Buon giorno, zio.” lo saluto, scoccandogli un bacio sulla guancia.
“Ehi, buon giorno.” mi dice, mi siedo al tavolo e aspetto l’arrivo di James. Quando arriva, si siede accanto a me e mi sorride.
Mac si volta e mi porge un piattino su cui c’è un muffin al cioccolato con una candelina accesa. Rimango a bocca aperta. Si è ricordato.
“Buon compleanno, Lena.” mi dice.
“Esprimi un desiderio.” mi incalza Jamie.
Chiudo gli occhi e penso a qualcosa che vorrei. Ho trovato.
Vorrei che James fosse più amichevole con Mac. Soffio e spengo la candelina.
Spero tanto che si avveri.
 
Un’ora dopo, mio fratello esce per andare da Tyler e mio zio mi propone di stare con lui al laboratorio, per non rimanere sola.
Io accetto volentieri.
Arriviamo al laboratorio e decidiamo di prendere le scale. Le nostre dita sono intrecciate e stanno man mano recuperando la circolazione dopo che, il gelo dell’inverno, le ha praticamente congelate.
Incontriamo Adam che sorride a Mac e mi abbraccia.
“Tanti auguri, Lena.” dice sorridendo. Ricambio l’abbraccio e lo ringrazio.
Lo salutiamo e continuiamo a camminare passando davanti ad uffici e laboratori.
Danny e Lindsay ci salutano da lontano e anche loro mi augurano un buon compleanno.
“L’hai detto a tutti, eh?” dico a mio zio.
“E’ un traguardo importante.” si giustifica.
“Lo sai che non mi piace essere al centro dell’attenzione.” lo rimprovero sorridendo.
“Non tutto il laboratorio lo sa, se ti può consolare.”
“Oh, bene.” mi sento rincuorata.
Arriviamo nel suo ufficio e Jo ci accoglie con un sorriso raggiante.
“Ciao, ragazzi!”
“Ciao.” la saluta Mac e le dà un leggero bacio sulle labbra. Io sorrido, ormai è diventato un romanticone.
“Lena! Buon compleanno!” mi dice, abbracciandomi.
“Grazie, Jo.” dico, felice che se ne sia ricordata.
“Sta sera cenetta a quattro?” chiede.
Mi volto verso mio zio, seduto alla scrivania. Lui annuisce.
“Casa tua?” propone a Mac. Io rido e lui annuisce ancora.
Nonostante stiano insieme, le cose non sono cambiate, a dominare è sempre lei. Mi siedo sul divanetto e osservo divertita la scena.
“Ciao, capo!” Flack entra senza bussare e sorridendo. Per fortuna mio zio è di buon umore, altrimenti avrebbe potuto ucciderlo a colpi di stilografica, è irremovibile su certe cose.
“Abbiamo preso Carly e Ted Long. Puoi chiudere il caso.” afferma orgoglioso. Lo osservo. Questa mattina è più carino del solito. Ho sempre pensato fosse un bel ragazzo, ma questa mattina lo è particolarmente.
Mi desta dal mio sogno ad occhi aperti quando si avvicina.
“Ciao, bellissima. Buon compleanno.” dice con il suo sorriso sghembo. Sto per sciogliermi.
“Ehm, grazie, Don.” rispondo ricambiando il sorriso. Si avvicina e mi sfiora con le labbra l’angolo della bocca. O mio Dio, morirò, ne sono certa, il mio cuore sta per esplodere e lo stomaco si sta contorcendo. Non so se sia un bene o un male. Sento il mio viso avvampare di rossore. Cavolo.
“Mac, vieni? Scriviamo la relazione e lo archiviamo?” propone Flack.
Mio zio annuisce, mi fa l’occhiolino ed esce. Appena svoltano l’angolo, Jo si avvicina e si siede accanto a me.
“Cupido ha colpito ancora.” ridacchia.
La guardo con aria interrogativa.
“Ma dai, non ha visto come ti guarda Flack?” esclama sorpresa.
“No.” rispondo semplicemente.
“Sei cieca?” chiede scherzosa.
“Cosa avrei dovuto vedere?” non capisco.
“E’ cotto. L’hai folgorato.”
“Io? Sono una ragazzina.”
“Si, è lui ha trentatre' anni.”
“Quindi…?” la incalzo, anche se, forse, so dove vuole andare a parare.
“E’ innamorato.”
“Di me? Impossibile. Come potrei piacergli?”
“Sei bellissima, simpatica, gentile. Una persona stupenda. La domanda è: perché no?”
“Bè, lui è un collega di mio zio. E’ più grande di me e… Sono una ragazzina.”
“Una ragazzina appena diventata maggiorenne.” precisa lei.
Io rido.
“Non funzionerebbe comunque.”
“Che ne sai?”
“E’ che… Non lo so…”
“Appunto. Dovresti provare.”
“Non credo di piacergli e poi, ti scongiuro, non dirlo a mio zio. Mi ucciderebbe.” la prego.
“Quindi ti piace!” sbotta lei.
“No. Insomma… Jo!” per molti potrebbe essere una situazione imbarazzante, ma per me no. Jo è come una madre per me. E anche se fa così, la adoro.
Mio zio fa ritorno e la conversazione finisce, anche se Jo continua a ridere sotto i baffi per un po’.
Ad un tratto il mio cellulare squilla. Sul display leggo: “Due nuovi messaggi”.
Li apro. Uno è di Ian e l’altro di Jeremy.
Apro quello di Ian per primo.
 
Tanti auguri alla più meravigliosa delle amiche.
Ti voglio bene, biondina!
                                                      Ian
 
Che carino.
Apro l’SMS di Jeremy e lo leggo.
 
Tanti auguri vecchietta.
Il tuo compagno di cinema, Jer.
P.s. Ti voglio beneee! ;)
 
Li adoro. Sono i migliori amici del mondo. Non potrei desiderare di meglio, nonostante Jeremy sia di un anno più vecchio di me, tutte le mattine, insieme ad Ian mi aspetta nell’atrio della scuola per accompagnarmi in classe. Mi tirano sempre su di morale. Ho anche amiche femmine, certo. Però con loro è diverso. E’ come avere due fratelli gemelli.
Passo tutta la mattina nell’ufficio di mio zio a leggere. Tutto è tranquillo, niente sembra andare storto, almeno per oggi.
All’ora di pranzo il cellulare squilla ancora. Un altro messaggio di Ian.
 
Pranzo insieme? Paghiamo io e Jeremy.
Ti aspettiamo fuori dal laboratorio alle 12.30.
Sii puntuale, mi raccomando.
 
                                                  Ian
Bè, pare che non abbia scelta.
“Zio?” lo chiamo. Lui solleva lo sguardo. “Ian e Jeremy vogliono offrirmi pranzo. Posso andare? Torno per le quattro, ok?” chiedo.
“D’accordo. Basta che torni per cena. Non vorrai mancare alla cena per il tuo compleanno?”
“No, tranquillo.” lo rassicuro, prendo la giacca e la borsa e gli scocco un bacio sulla guancia. “A dopo.”
“Ciao, divertiti.” e sorride.
 
“Ciao!” saluto i miei due amici, che mi vengono incontro per abbracciarmi. “Ciao, auguri!” dicono in coro. E mi scoccano un bacio per guancia. Sorrido.
Dopo un abbraccio di gruppo, mi prendono a braccetto e mi trascinano verso Central Park.
“Pronta per il pranzo più meraviglioso della tua vita?” mi domanda Jeremy.
“Certo!” affermo ridendo.
Quando arriviamo al pub entriamo e un ragazzo ci guida in una saletta a parte in cui ci indica un tavolo per tre.
Ordiniamo e poi aspettiamo con impazienza il cameriere con i nostri piatti, quasi tutti a base di hamburger e patatine fritte.
“Allora? Come ci si sente ad essere diciottenne?” chiede Jeremy.
Io sorrido.
“Bene, soprattutto perché ero l’ultima del nostro anno a dover diventare diciottenne.”
Ian ride. Lui compie gli anni ad Aprile, era già maggiorenne durante lo scorso anno scolastico, prima che lo conoscessi.
Dopo aver pranzato, decidiamo di fare un salto al parco. E’ bellissimo d’inverno, o almeno, così dice Flack.
Ecco, non so come, mi ritrovo a pensare ancora a lui. Forse Jo ha ragione, mi piace davvero. Cerco di allontanare quel pensiero, sia perché lo trovo strano e improbabile e perché se fosse vero, sarebbe un bel guaio.
Comunque, tutto ciò che mi aveva detto è vero.
Tutto intorno a noi è bianco. Gli alberi, il prato, le panchine, ogni cosa. Il lago è coperto da un sottile strato di ghiaccio che lo rende liscio come una pista di pattinaggio.
Senza che possa oppormi, Jeremy e Ian mi prendono per mano e mi portano fino ad una vera pista di pattinaggio. Prendiamo i pattini ed entriamo. Adoro pattinare, anche se a Sacramento le piste per il pattinaggio su ghiaccio non c’erano.
Entriamo e dato che la pista è vuota, possiamo muoverci liberamente. Mi prendono per mano e mi guidano lungo il bordo. Imparo in fretta e nel giro di qualche minuto pattino per conto mio. Cadiamo un paio di volte, un po’ per la mancanza di equilibrio e un po’ per le troppe risate. Non mi sono mai divertita tanto.
 
Alle quattro, quando stiamo per uscire da Central Park, il mio cuore perde un colpo. Davanti a me c’è Flack. La giacca nera è chiusa fino all’altezza del collo e il naso ha un leggero colorito rosso a causa del freddo.
“Ciao, Lena.” mi saluta sorridente.
“Ciao, Don.” ricambio il saluto con un cenno della mano. Cerco di mantenere la calma e indico i miei amici “Loro sono Jeremy e Ian i miei due amici.” dico presentandoli.
“Don Flack.” dice, stringendo la mano ad entrambi, poi si volta verso di me. “Posso offrirti qualcosa di caldo, dato che è il tuo compleanno?” Potrebbe aver parlato con Jo, le coincidenze sono troppe. Cavolo, come faccio a rifiutare?
Spero in un aiuto dai miei amici ma quando mi volto entrambi annuiscono, mi danno un leggero bacio sulle guance e mi salutano. D’altronde gli amici si vedono nel momento del bisogno.
Io e Don raggiungiamo fianco a fianco il carretto del caffè più vicino e ordiniamo due cappuccini. Ce li gustiamo seduti su una panchina e dopo aver finito ci alziamo ancora incantati dal paesaggio invernale che sarebbe perfetto per essere dipinto o fotografato.
Ricordo di aver fotografato un paesaggio invernale circa tre anni fa, insieme a mia madre. Eramo andati a sciare ed ero uscita con lei per una passeggiata. Avevo portato con me la mia macchina fotografica e avevo catturato ogni cosa, ogni fiocco di neve. Avevamo giocato a palle di neve per circa mezz’ora per poi tornare al rifugio dove ci stavano aspettando papà e James.
I ricordi riaffiorano e non posso fare niente per fermarli. La malinconia mi assale ancora e mentre cammino rimango con lo sguardo fisso sull’orizzonte.
“Ehi, che succede?” mi domanda Don.
“Ricordi.” rispondo semplicemente.
Annuisce e sorride.
“La neve non è una cosa che vedevi spesso a Sacramento, vero?” chiede, come se avesse letto il mio pensiero.
“Già.”
“Quindi non facevi spesso a palle di neve.” constata e prima che possa accorgermene mi colpisce con la neve, diritto sulla giacca.
“Questo è scorretto, detective!” dico raccogliendo una manciata di neve fresca e lanciandola. Lo colpisco e subito un’altra palla mi colpisce sulle gambe. Mi nascondo dietro ad un albero per proteggermi e tutto si ferma. Sembra che si sia fermato e proprio quando sto per sporgermi a controllare mi afferra i fianchi e mi tira con sé a terra. Atterro sulla schiena sulla neve soffice e lui cade su di me. Tiene le braccia tese, così che il suo peso non mi schiacci. I nostri visi sono a pochi centimetri l’uno dall’altro e posso sentire il suo respiro caldo sul mio collo. Ridiamo, ma devo ammettere che è una situazione alquanto imbarazzante, soprattutto dopo ciò che io e Jo ci siamo dette. Fortunatamente il freddo dell’inverno nasconde il rossore dell’imbarazzo sulle mie guance. Rimaniamo vicini per un tempo che sembra eterno, fino a che Don non si alza e mi tende la mano per aiutarmi. La stringo e mi alzo. Lui mi sorride con l’espressione che adoro e mi toglie la neve che mi è rimasta tra i capelli.
“Grazie.” dico e lui mi sorride di rimando.
Ok, vuole proprio farmi innamorare.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao!! Tadà! Ecco il 15° capitolo! Spero tanto vi piaccia…
Io, modestamente, lo trovo accettabile…
Fatemi sapere…
La vostra, xXEli_147Xx

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 16

 
Arrivo a casa alle otto insieme a mio zio e Jo. Saliamo lentamente le scale. Io e Jo a braccetto e Mac davanti. Flack mi ha riaccompagnata al laboratorio, fino all’ufficio di Mac e lì ho aspettato fino a qualche minuto dopo le sette e trenta. Come promesso Jo viene a cena da noi. Spero che abbia in mente qualcosa di gustoso. Ho una fame pazzesca.
Mac infila la chiave nella serratura e la porta si apre con un cigolio sinistro. La casa è tutta buia, l’unica luce che penetra è quella dei palazzi vicini, dai quali provengono le luci delle lampade e delle TV.  Appena entro la luce si accende di colpo.
“SORPRESA! BUON COMPLEANNO, LENA!” vengo accolta dagli auguri di tutti i miei amici. Ok, ricordate quando ho detto che odio stare al centro dell’attenzione? Ecco, questo momento è ancora più imbarazzante della caduta con Flack al parco. Tutti gli sguardi sono puntati su di me. Mi volto verso Mac e Jo, consapevole che l’idea è stata sicuramente loro.
Lucy, la figlia di Danny e Lindsay, mi corre incontro a braccia aperte.
“Auguli, tia Lena!” dice saltandomi in braccio. La afferro e la sollevo facendole fare una piccola giravolta. Lei ride divertita e strofina il suo nasino contro il mio.
“Grazie, piccola!” ribatto, dandole un bacio.
“Tanti auguri, bellissima.” dice Danny, prendendo la bambina e abbracciandomi. Il suo calore mi avvolge e il freddo dell’inverno comincia a dissolversi. Lo stesso fa Lindsay.
“Grazie.” ricambio con un abbraccio e un sorriso. Non so che altro fare. Sono stati così carini.
Sid, il medico legale, mi abbraccia forte e mi fa l’occhiolino.
“Auguri.” mi sussurra mentre mi stringe. Io ricambio con un sorriso.
“Buon compleanno, Lena.” mi dice Adam, avvicinandosi. Mi abbraccia e io faccio lo stesso. E’ venuto anche lui, nonostante ci siamo scambiati poche parole da quando sono qui.
La stessa cosa fanno Sheldon e Jeremy e Ian, che non mi aspettavo di trovare lì. Mac li trova simpatici, ma credevo che volesse passare un compleanno in famiglia. Probabilmente ha capito che per me sono molto importanti. Ringrazio i miei due migliori amici e li rimprovero.
“Quindi mi stavate distraendo, oggi!” esclamo ridendo.
“Già e mi sembrava che avesse funzionato.” constata Jer. Rido e annuisco. E’ vero, lo ammetto, non sospettavo niente.
Quando è il turno di Flack per farmi gli auguri, Jo mi dà una leggera gomitata d’intesa. Io sorrido ma allo stesso tempo la fulmino con lo sguardo. Ci faremo scoprire da mio zio. Don si avvicina e mi abbraccia. Spero di non avere qualche malformazione cardiaca, altrimenti credo che morirei qui, adesso.
“Auguri, Lena.” a quelle parole arrossisco e il mi cuore comincia a galoppare. Arrossisco fino alla punta dei capelli, non posso nasconderlo, ma nessuno sembra farci caso, sono troppo impegnati a discutere sul fatto che la festa fosse un’orchestrazione perfetta e che non avrei mai potuto scoprirlo.
Jo mi scocca un bacio e la guardo sollevando un sopracciglio. E’ tutta opera sua. Ho già detto che l’adoro?
Abbraccio forte mio zio, dato che lui ha fornito la casa mettendola nella mani di Jo, ed è tutto dire.
“Grazie.” gli sussurro all’orecchio.
“Di cosa?” mi chiede di rimando, strizzandomi l’occhio e avvolgendomi le spalle con un braccio.
Ecco perché mi ha permesso di uscire con Jeremy e Ian senza opporre resistenza. Era tutto fin troppo strano.
“I tuoi regali ti aspettano sul tavolino del salotto. Dopo la cena li potrai aprire.” interviene Jer, facendomi l’occhiolino e prendendomi a braccetto.
“Voi, non dovevate. Non era necessario.” dico, commossa.
“Invece si” interviene ancora mio zio “hai sopportato molte cose da quando sei arrivata qui, era il minimo che potessimo fare.” mi sorride e mi dà un buffetto sulla guancia.
Quando tutti si avviano verso la cucina, afferro la mano di Ian per richiamare la sua attenzione. Lui si volta e mi sorride.
“Hai visto James?” chiedo. E’ da questa mattina che non lo vedo. E’ sparito ancora, ma non voglio preoccuparmi inutilmente.
Lui scuote la testa. “Ho provato a chiamarlo ma non risponde.”
“Probabilmente è stato trattenuto da Tyler per il progetto di scienze dell’esame.” interviene Jeremy per tranquillizzarmi “Dai, andiamo a mangiare. Arriverà.”
Annuisco rassicurata e raggiungo gli altri in cucina. La tavola è già imbandita e ironia della sorte, io sono seduta proprio di fronte a Don. Lindsay e Jo ridacchiano e si siedono di fianco a lui e la stessa cosa fanno con me Ian e Jer. La cena è squisita, ogni cosa è stata preparata da Jo e Lindsay, lasagne, pollo arrosto, patatine fritte… Ingrasserò almeno di 10 kg questa sera! Sono ottime cuoche. E’ tutto fantastico.
 
La torta è spettacolare. E’ interamente di cioccolato e sopra, con del cioccolato bianco è stato scritto con un carattere arabescato “Buon compleanno, Lena!”.
E’ stupenda, oltre che enorme. Non riusciremo mai a finirla.
Dopo aver fatto il bis andiamo in salotto e apro i regali. Sono davvero tantissimi. Tutti mi hanno portato qualcosa. Dico che non ce n’era bisogno, che la festa era già troppo, ma tutti mi dicono che i compleanni senza regali non si possono considerare tali.
Alla fine della serata ho ricevuto tre libri, da parte di Sid, Danny e Lindsay e Sheldon; una macchina da scrivere da parte di Mac, James e Jo, probabilmente una sua idea, dato che solo loro sanno che mi piace scrivere. Adam mi ha regalato un castoro di peluches enorme. Lo adoro, mi terrà compagnia di notte. I dentoni bianchi spiccano sul musetto marrone e appena Lucy lo vede corre ad abbracciarlo credendo sia reale e tutti scoppiano in una risata fragorosa.
Ian e Jeremy mi hanno regalato un cuscino con la nostra foto più bella stampata sopra, siamo carini e devo ammettere che è uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto. Non ho mai legato così tanto con delle persone. Mi sono sempre isolata e quindi avevo pochi amici che ho perso dopo la mia partenza, ovviamente senza troppi rimpianti.
La piccola Lucy mi ha regalato un disegno nel quale, secondo la sua visione, io e lei stiamo cavalcando un unicorno che corre su arcobaleno. E’ bellissimo, lo appoggio al castoro e al cuscino di modo che non si rovini.
L’ultimo regalo da aprire è quello di Flack, devo ammettere che sono curiosa. Quando lo scarto noto che è una scatolina nera vellutata. All’interno c’è un braccialetto. Cavolo. E’ di oro bianco e vedo che sono attaccati vari ciondoli, una coccinella, una luna, un cuore (il più bello), e varie pietre e perle azzurre, del mio colore preferito.
“Grazie a tutti.” dico, abbracciandoli uno per uno. Quando arrivo a Flack gli avvolgo il collo con le braccia e lui mi stringe a sé, sollevandomi da terra.
“Grazie, è bellissimo.” gli sussurro e sciolgo l’abbraccio, prima che lo faccia Mac. “Mi aiuti?” chiedo indicandolo. Lui lo prende e me lo aggancia al braccio destro. Lo osservo ancora e non posso fare a meno di pensare che sia bellissimo. Sono totalmente innamorata. Ovviamente del braccialetto!
Un pensiero mi balena nella mente: e se fosse vero? Se davvero piacessi a Don? Lui mi piace, ma non so se il sentimento si affetto o… amore. Non so se ci sia un modo per scoprirlo, ma spero di riuscire a capirlo presto!
Mac mi riporta alla realtà e la festa prosegue con fotografie e risate. Devo ammettere che, anche se non amo le feste, questa è la migliore che mi abbiano mai organizzato.
 
Alla fine della serata, gli ospiti tornano a casa e io e Mac li salutiamo uno a uno. Quando la casa si è svuotata, mi siedo sul divano e osservo i regali che sono ancora sparsi sul tavolino da caffè del salotto.
Tutta la cucina è da riordinare, ma dato che domani è domenica, decido che posso rimandarlo tranquillamente.
“Ti sei divertita?” mi domanda mio zio, sedendosi accanto a me.
“Si.” sorrido. Mi sporgo e gli scocco un bacio sulla guancia. “Grazie.” Ci abbracciamo e rimaniamo vicini a osservare i regali fino a che la chiave non scatta nella toppa.
Entrambi solleviamo la testa e ci voltiamo verso l’entrata giusto in tempo per vedere la porta che si spalanca.
James si affaccia ed entra timidamente. Sembra turbato.
“Ciao.” dice posando le chiavi sul tavolino all’entrata.
“Ciao. Dov’eri finito? Ti sei perso una festa fantastica.” dice mio zio. Non credo che a mio fratello importi, però.
“Mi dispiace, avrei voluto esserci ma sono dovuto restare da Tyler per il progetto. Mi dispiace, Lena.”
“Non preoccuparti. Se vuoi c’è ancora un pezzo di torta.” lo rassicuro e indico la cucina.
“No grazie, non ho fame. Magari domani. Ti è piaciuto il regalo?” mi domanda indicando la macchina da scrivere.
“Si, è bellissima. Grazie.” sorrido. Lui annuisce.
“Vado a dormire, ancora tanti auguri, sorellina.”
“Grazie, Jamie.” e poi sento la porta della stanza che si chiude.
“Ma che cos’ha?” mi chiede Mac. Mi volto verso di lui.
“Non lo so. Domani ci parlo.”
“D’accordo.” annuisce e poi si alza “Andiamo a dormire?”
“Si, sono stanca. A domani.” lo abbraccio e lo saluto. Lui mi sfiora la fronte con le labbra.
“Buona notte. Ci vediamo a cena.” mi dice.
Andiamo a letto e cado in un profondo sonno poco dopo aver posato la testa sul cuscino. Posso dire di essere la ragazza più felice del mondo.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ed eccoci con il sedicesimo capitolo, spero tanto vi piaccia. Per la prima volta, è un capitolo interamente incentrato sulla felicità, di solito, lo sapete, sono per il drammatico. ;D
Fatemi sapere se vi piace. So che è breve e che scorre velocemente, ma dovevo passare oltre per arrivare alla parte interessante della storia… Ma sarete voi a giudicare! A presto, la vostra, xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 17

 
“Vuoi dirmi che cos’hai?!” sbotto mentre cammino su e giù per il salotto in cerca del cellulare. Cavolo! Ma dov’è andato a finire? Era qui ieri sera!
“Niente.” mio fratello è lapidario, come sempre. Abbiamo sempre parlato, da quando siamo qui, però, si è chiuso in sé stesso. Ma questa volta non lascerò che se ne vada prima di aver terminato la conversazione.
“Certo.” concordo ironicamente.
“Perché pensi che abbia qualcosa che non va?” domanda infastidito.
Forse dalla tua faccia?
“Basta guardarti. L’ha capito anche Mac.” spiego.
“Bè, vi sbagliate.”
E no. Questa volta parlerà, non si muoverà di qui finché non mi avrà detto tutto.
Trovo il cellulare sotto uno dei libri che mi hanno regalato per il mio compleanno. Raggiungo mio fratello che è seduto in cucina e sta finendo la colazione. Mi siedo di fronte a lui. Lo guardo, in attesa di una risposta.
Lui solleva lo sguardo dalla tazza e mi fissa con aria interrogativa.
“Uffa. Ma perché tutta questa curiosità?” chiede, sbuffando dalla noia.
“Ieri sei sparito e quando sei tornato eri visibilmente turbato. Hai litigato con Tyler?” se non vuole parlare andrò per tentativi. Ci azzeccherò, prima o poi.
“No.”
“Con… la tua ragazza?” azzardo.
“No. Sarah non ha fatto niente.” è fidanzato con lei da circa due mesi, è di due anni più piccola di lui, è carina ma un po’ smorfiosetta, comunque niente di che. Non mi sta antipatica, ma non mi sorprenderei se avessero litigato, sono molto diversi.
“Perché se fosse lei, la vedo tutti i giorni a mensa, potrei...” propongo, ma mi interrompe.
“Lo vuoi sapere davvero?” chiede.
Che domanda. Certo che no. Ti ho fatto questo interrogatorio per tormentarti, ma non lo voglio sapere davvero.
“Si.” dico, senza dar voce ai miei pensieri.
Sospira. E poi inspira per parlare.
“Ieri stavo tornando a casa alle quattro, quando un uomo mi ha bloccato per strada. Per questo ho ritardato tanto.” fa una pausa “Abbiamo parlato e non ci siamo accorti dell’ora.”
“Aspetta. Lo hai seguito senza sapere chi fosse? Ma sei pazzo?!” esclamo alzando la voce.
“Non è questo il punto.” mi blocca e poi ricomincia “E comunque lo conosco. Quell’uomo era Romanoff.”
Come, prego? Credo che lo sguardo di sorpresa sul mio volto non serva ad esprimere ciò che penso e provo. Ma che gli passa per la testa? Romanoff?!
“COSA?!” sbotto.
“Calmati. E’ tutto a posto. Non ci farà del male.”
“E tu come lo sai? E’ pazzo, potrebbe ucciderti!” esclamo, sempre più allibita.
“L’avrebbe già fatto da un po’.”
“MA CHE STAI DICENDO?!” sto letteralmente gridando.
“Sono in contatto con lui da tempo.” O. Mio. Dio. È pazzo, mio fratello è uscito di testa. Sono contro la violenza, ma potrei picchiarlo, a questo punto.
“Che vuoi dire?” la rabbia sta cominciando ad impossessarsi di me.
“Lo conosco da molto tempo prima che morissero mamma e papà. L’ho incontrato quand’ero in vacanza con Sam e Matt l’anno scorso. Mi ha detto che conosceva la nostra famiglia. Quando gli ho chiesto perché, ha detto solo che conosceva bene Mac.”
“Perché non hai detto niente quando sono morti i nostri genitori? Avresti potuto aiutare la polizia ad arrestarlo.”
“Io non volevo che venisse arrestato.”
Mi blocco.
“Ha ucciso i nostri genitori.”
“Non è stato lui.”
“Invece si, me l’ha confessato dopo avermi rapita. E tutte le prove lo confermavano.”
“Lo so, ma è stato costretto.” è troppo calmo, per una persona che ha dei rapporti con un assassino.
“Costretto? Non sei mai costretto a uccidere. Mai!” esclamo. Non ho mai sentito un’idiozia del genere.
“Lo sapevi che Mac ha ucciso suo fratello?”
“Si. Durante la cattura dei complici, allora?”
“E’ sai anche com’è successo?” mi domanda di rimando.
“E’ stato per legittima difesa.”
“Sbagliato.”
“Cosa? Impossibile, Mac mi ha detto che stava per sparagli.”
“Ti ha mentito.” dice tranquillamente, come se fosse una cosa ovvia.
Mi pietrifico. Non riesco più a muovermi. Non riesco a credere a ciò che ho appena sentito.
“E’ stato per vendetta.” spiega.
“Cosa?”
“Romanoff, prima che catturassero suo fratello, aveva ucciso una famiglia di quattro persone durante una rapina. L’uomo che ha ucciso era un collega di Mac. Quando nostro zio l’ha scoperto ha voluto vendicarlo. E su chi ha attuato la sua vendetta? Sul fratello di Romanoff. Lui era innocente.”
Ma che sta farneticando?
“Erano trafficanti di droga e assassini. Ti sembra poco?”
“Avrebbe potuto affrontare Romanoff faccia a faccia e non suo fratello.”
“James, ti rendi conto di ciò che stai dicendo?”
“Aspetta, Lena. Romanoff mi ha detto che è dispiaciuto per averti fatto del male e che ci vuole aiutare.”
“Aiutare a fare cosa?” domando.
“A uccidere Mac. A vendicarci.”
Mi alzo dalla sedia e comincio a camminare su è giù per la cucina. Mi tremano le gambe. Ma in cosa si è andato a cacciare? È in guai seri e sembra non accorgersene.
“Vendicarci? Di Mac? Non ha fatto altro che accoglierci  dopo la morte di mamma e papà.”
“Forse è ora che tu venga a conoscenza dell’intera storia.” dice, con aria di qualcuno che la sa lunga.
“Che storia?” perché vengo sempre tenuta all’oscuro di tutto?
“Poco prima che mamma e papà, se così si possono chiamare, morissero, ho scoperto una cosa.”
“Cosa?” si è bloccato “Cos’hai scoperto James?” insisto.
“Siamo stati adottati.” sbotta.
Adesso mi sento davvero mancare. Torno a sedermi, altrimenti rischio di stramazzare al suolo. Adottati? E da quando?
“Mamma e papà ci hanno adottati. Ma la cosa peggiore non è questa.” spiega. “Quando ho trovato le nostre cartelle cliniche ho scoperto anche chi sono i nostri genitori.” Lo guardo con aria interrogativa e per un momento ho paura che mi dica che nostro padre sia Romanoff. So che è stupido, ma questa sarebbe la cosa peggiore che potrebbe capitarci.
Non parlo, ho paura di chiedergli di proseguire con la storia.
“E’ Mac.” conclude.
“Cosa?” dico in un sussurro appena udibile.
“Hai capito. Tuo padre è Mac.” ripete. L’ansia e il dubbio mi pervadono. Mac è mio padre? Perché non me l’ha detto? Perché sono cresciuta con suo fratello e non con lui? Un milione di domande si affollano nella mia mente.
Non che non sia felice, certo. Ma… perché mamma e papà non ci hanno mai detto niente?
“E tuo padre?”
“Lui… Era il fratello di Romanoff. Quello che Mac ha ucciso.” a questo punto mi sembrano troppe le coincidenze. Mac ha ucciso il vero padre di James. E lui vuole vendetta.
“Quindi…” comincio, i pezzi del puzzle iniziano ad incastrarsi “O mio Dio. Sei stato tu a dire a Romanoff dove stava andando Mac quella sera, quando sei sparito. Era tutta una montatura perché Mac venisse trovato.”
Lui annuisce.
“E… La bomba al laboratorio… Ecco come ha fatto ad entrare, ce l’hai messa tu sul carrello della posta. Nessuno ti ha notato, per questo è riuscita ad arrivare tanto vicino all’ufficio di Mac.  Non è così?” domando e lui annuisce ancora. “Ma perché? Hai rischiato di uccidere centinaia di persone innocenti, te ne rendi conto?!”
“Ha ucciso mio padre, è mi ha portato via a mio zio Ivan.” dice e vedo la rabbia crescere nei suoi occhi.
“L’ha fatto sicuramente in buona fede.”
“Già, ammettiamo anche che sia così. E il tuo abbandono? Perché ti ha abbandonata chiedendo a suo fratello di occuparsi di te?”
“Forse non poteva tenermi.” azzardo.
“Certo.” dice sarcastico “Se lo merita, Lena. Non capisci? Mio zio ci dà l’opportunità di vendicarci per tutto questo. Dobbiamo coglierla.” tenta di persuadermi.
“NO!” esclamo, scattando in piedi. Lui mi guarda torvo come se fosse la cosa più strana del mondo. “Ci ha accolto qui, ci ha protetti. Perché dovrei volerlo morto e perdere tutto? Perché, James?”
Lui ride. Quello che sa fare, in questo momento, è ridere.
“Fa’ come vuoi. Io vado con mio zio. E’ l’unico della famiglia che mi rimane e sappi che ucciderò Mac e chiunque si metterà in mezzo morirà con lui.”
“Ma ti stai ascoltando, James?” esclamo sull’orlo delle lacrime.
“Si. Sei tu che non ti ascolti, evidentemente. Comunque se cambiassi idea, sai come trovarmi. Chiamami e ti verrò a prendere.” si alza, entra nella nostra stanza, prende il suo zaino e se ne va sbattendo la porta.
“James!” lo chiamo, ma lui non risponde. “James!”
Sta andando da lui. Gli farà del male.
Sento che torna a mancarmi l’aria. Mi metto a sedere sul pavimento, con la schiena premuta contro il divano e prendo il cellulare.
Non riesco a respirare. Devo chiamare qualcuno.
Sto male. Non ce la posso fare da sola, qualcuno deve fermarlo, non riesco nemmeno a muovermi, figuriamoci inseguirlo.
Faccio il numero di Mac ma non risponde. O, no. Non adesso. Mac dove sei?
Compongo un altro numero, il cellulare squilla per qualche secondo e poi sento lo scatto della cornetta che si alza.
“Flack.”
Tento di prendere aria respirando profondamente.
“Don.” dico affannosamente.
“Lena? Che succede?”domanda dall’altro capo, colgo l’agitazione nella sua voce. Ha capito.
“Devi aiutarmi. Ti prego.” lo imploro mentre singhiozzo.
“Dove sei?”chiede. Sento il rumore dell’auto e del traffico di New York.
“A casa.”
“Arrivo.” e chiude.
Poso il cellulare a terra. Tento di alzarmi per aprire la finestra, forse un po’ d’aria fresca mi aiuterà. Non ci riesco, sento le gambe pesanti, come se la forza di gravità fosse aumentata di colpo. La stanza comincia girare, potrei soffocare. Cado a terra, la vista mi si è offuscata. E’ tutto nero. Respiro a fatica, l’aria è troppo pesante. Non devo svenire, devo resistere, devo dir loro che James sta andando da Romanoff.
Qualcuno bussa insistentemente alla porta. Riesco a metterla a fuoco.
“Lena? Sono Flack, riesci ad aprirmi?”chiede. Non ho la forza di rispondere, se lo facessi potrei morire soffocata. Attende qualche secondo e poi parla di nuovo. “D’accordo, adesso entro.” Dopo qualche secondo, la porta si spalanca. Don entra di corsa, mi vede a terra e corre verso la finestra, la apre e poi mi solleva la testa stringendomi tra le braccia.
“Va tutto bene. Sono qui.” mi rassicura, accarezzandomi i capelli.
Continuo a far fatica respirare, sono debole e non riesco nemmeno a parlare.
Ad un tratto dalla porta, rimasta aperta, entra anche Sid. Ma cosa fa qui?
“Scusa, non c’era parcheggio.” dice rivolto a Flack.
Lui annuisce. “Devi aiutarla.”
Sid si avvicina e chiede a Don di andare a prendere dell’acqua. Quando torna gli chiede di tenermi seduta.
“Lena, guardami, d’accordo?” mi dice e mi prede il viso tra le mani. I suoi occhi grigi si incatenano ai miei. “Respira lentamente.” faccio come mi dice. Niente. Continuo e intanto mi fanno aria con un giornale. L’aria mi riempie lentamente i polmoni. Chiudo gli occhi e continuo a inspirare e espirare come mi ha detto.
“Bravissima, così.” mi incoraggia. Annuisco e in poco tempo il mio respiro torna regolare.
Mi accarezza la guancia e sorride. Mi prende le braccia per aiutarmi ad alzarmi in piedi. Don mi solleva appoggiando le mani sulla mia schiena e mi aiuta a sedermi sul divano. Ringrazio entrambi e si siedono accanto a me continuando a farmi aria.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Hello everyone! Come state? Ecco a voi il 17° capitolo. Spero tanto vi piaccia. Man mano l’azione sta tornando… ;D Fatemi sapere!
A presto, xX__Eli_Sev__Xx 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 18

 
Sento dei passi per le scale. Mac e Jo entrano di corsa in casa. La porta è ancora spalancata. Si bloccano e quando vedono che non sono sola si avvicinano più lentamente.
“Lena, stai bene?” domanda Jo, senza fiato per la corsa.
Annuisco. Ho paura che se dovessi parlare il fiato tornerebbe a mancarmi.
Mac si avvicina e si siede accanto a me. Don e Sid lasciano libero il posto e si alzano.
“Mi dispiace di non averti risposto. Scusami.” dice abbracciandomi. Ricambio la stretta e mi lascio pervadere dal suo profumo.
Don fa un cenno a Sid. Insieme salutano ed escono per tornare al lavoro e la stessa cosa fa Jo, dicendo che chiamerà per sapere come sto, più tardi.
“Ma cos’è successo?” mi domanda. Ripensando a quello che è successo le lacrime tornano ad appannarmi la vista.
“Ho… litigato con James.” spiego.
“Passerà, farete pace, come sempre.” mi rassicura e non so come faccia ad essere così paziente con me.
Dopo ciò che ti dirò, cambierai idea.penso.
“Per cosa avete litigato?” chiede, allontanandomi per guardarmi negli occhi.
Devo pensare a cosa dire prima di parlare. Quando sciogliamo la stretta, gli racconto tutto ciò che mi detto James. E’ stupito quanto me. Cammina avanti e indietro per la stanza in preda allo sconcerto. Non poteva immaginare niente del genere. E scommetto che si sentirà in colpa per non averlo capito prima.
“Dobbiamo trovarlo. Non sa quello che fa.” sbotta.
“Lui… mi ha detto che siamo stati adottati.” non faccio caso a ciò che dice e continuo a parlare, pronunciando quelle parole con estrema fatica.
Mio zio impallidisce. Si blocca.
Mi fermo a pensare qualche secondo e poi mi impongo di continuare.
“E mi ha detto che… sei mio padre.” mi fermo. E’ difficile anche per me. Tutto questo è difficile.
Mac va alla finestra, guarda New York e non riesce a parlare.
“Io… Lena…” comincia, ma non riesce a continuare, perciò lo blocco.
“Mi ha anche detto che mi hai abbandonata.” dico, spero che lo smentisca, che non sia vero, altrimenti non riuscirei a sopportarlo. Trattengo il fiato per tutta la durata del suo silenzio.
“No!” esclama e io torno a respirare “Questo no. Io… non potevo tenerti con me. Il mio lavoro, non me lo permetteva, pensavo che con mio fratello saresti stata al sicuro da Romanoff.” abbassa lo sguardo e vedo che le lacrime gli rigano il volto. Ogni volta che lo vedo piangere è come se fosse la prima, anche se, da un lato, lo apprezzo. E’ bellissimo riuscire a mostrare i propri sentimenti.
Mi alzo e mi avvicino.
“Quindi mi volevi con te? Lui mi ha mentito?” domando, voglio esserne sicura, non voglio che si senta costretto ad avermi qui, me ne andrei se volesse.
“Certo. Certo, Lena. Ma… la cosa che volevo di più era la tua sicurezza. Se ti fosse accaduto qualcosa come a tua madre, io…” lo abbraccio prima che possa terminare la frase e lui mi stringe a sé, per ora mi basta questo. Ci sarà tempo per parlare di mia madre.
Il legame che c’era tra di noi si sta rafforzando o indebolendo? Lui è mio padre, ma non me l’ha mai detto. Dovrei essere arrabbiata o felice?
 “Quindi è tutto vero. L’uomo che hai ucciso era suo padre.” affermo e devo ammettere che provo pena per mio fratello e per suo padre, nonostante fosse un assassino.
“Si, volevo salvarlo da quel mondo. Sapevo che mio fratello voleva dei figli. Sarebbe stato un padre magnifico, perciò l’ho convinto e, credimi, non è stato difficile per lui. Ma lo è stato per me.” spiega “Non volevano ferirvi, per questo ve l’hanno tenuto nascosto.”
Annuisco. Li capisco, non sono certa che se fossi stata al posto loro sarei riuscita a rivelare una cosa del genere.
“Mac, adesso basta segreti, non voglio che mi teniate nascosto niente. Sono stufa di essere tagliata fuori.”
Annuisce, sa che ho ragione, sarà anche meno pericoloso se mi spiegherà tutto. E poi in una famiglia non ci devono essere segreti.
“Tesoro, se devo essere sincero, ti devo dire che quando troveremo tuo fratello, dato che è maggiorenne, verrà accusato di tentato omicidio.” mi dice.
“Lo so. Deve pagare.” dico rassegnata. Mi dispiace, ma so che è giusto così.
 
Il campanello suona alle sei di pomeriggio, è passata una settimana da quando mio fratello è scomparso e Natale si avvicina, senza di lui mi sentirò terribilmente sola. Spero che lo trovino o che, perlomeno, abbandoni i suoi orribili progetti. 
Apro la porta e mi trovo davanti Flack.
“Ciao.” lo saluto. Lui mi sorride calorosamente.
“Ciao, Lena. Come ti senti?” mi domanda mentre gli faccio cenno di entrare.
“Insomma. Spero solo che troviate in fretta mio fratello.”
“Bè, con l’uomo che sta per arrivare da Las Vegas, lo troveremo.” lo spero. Mac ha scoperto che il capo della scientifica di Las Vegas conosce bene Romanoff e il suo caso, perciò ha pensato di chiedergli una mano. Arriverà oggi e resterà qui fino a che non sarà finita. Spero che il suo aiuto serva ad accelerare le cose.
Offro a Don un caffè e lo faccio accomodare in cucina.
“Ho saputo della faccenda dell’adozione e di tutto il resto. Mi dispiace.” sbotta. Io lo osservo e poi gli sorrido. Delicato come sempre. Deve aver notato la mia espressione, perciò si scusa.
“Scasa, sono stato indelicato. Non volevo.” scrollo le spalle. È fatto così.
“Grazie. Per tutto l’aiuto che ci dai. Che mi dai.” aggiungo. Sorride e si volta a guardare fuori dalla finestra. È pensieroso.
“Bè, comunque non è male avere Mac come papà. Poteva andarti peggio.” in effetti…
Rido. “Già.” osservo il suo viso, illuminato dalle luci della città. Osservo i suoi cocchi blu e i suoi lineamenti, una leggere barba gli incornicia il volto e le labbra rosee sono corvate in un sorriso accennato. E’ bellissimo, mi ritrovo a pensare.
Quando si volta sobbalzo. Spero non si sia accorto che lo stavo guardando così intensamente. Che imbarazzo.
“Indossi sempre il mio braccialetto?” domanda, rompendo il silenzio.
“Certo.” rispondo mostrando il polso. Mi prende la mano e la osserva, poi intreccia le sue dita alle mie. A quel gesto, non so come comportarmi. E’ bellissimo, non fraintendetemi, però… non me l’aspettavo. Alzo lo sguardo.
I nostri occhi si incatenano e continuiamo a guardarci fino a che non veniamo interrotti dalla chiave nella toppa. Ci separiamo e io mi alzo di scatto. Mi schiarisco la voce e mi avvio verso la porta.
Spero che sia James, ma, in cuor mio, so che non è così. Quando la apro, ne ho la conferma.
“Mac.” dico. Lui mi sorride ed entra. Dietro di lui c’è un uomo alto, sulla cinquantina che sorride ed entra con lui. Ha un volto serio ma gentile. E’ molto alto, nonostante io non sia una piccoletta, devo alzare lo sguardo per vedere meglio il suo volto.
“Lena, questo è il detective D.B. Russell.” spiega Mac.
Mi avvicino e sorrido. Lui mi tende la mano e io faccio lo stesso.
“Salve, sono Lena.” dico stringendola.
Sorride e con la sua voce profonda mi saluta.
“Salve, piacere di conoscerla.” sono sorpresa di vedere che si rivolge a me dandomi del lei. “Possiamo darci del tu?” domanda. Io annuisco. “Allora chiamami pure D.B.” sorrido.
In quel momento Don esce dalla cucina. Mac è stupito di vederlo, spero solo che non sospetti niente, anche perché non è successo niente. O almeno, credo.
Si presentano e poi vengo mandata in camera mia. Leggo per circa due ore mentre loro parlano ininterrottamente. Spero che arrivino ad una buona pista.
 
Corro e mi accorgo di essere madida di sudore. Davanti a me c’è mio fratello, gli sto andando incontro. Mi tende la mano e mi sorride. Cerco di avvicinarmi ma lui si allontana sempre di più.
“Lena!” una voce mi chiama, alle mie spalle.
Mi volto, vedo Mac, Jo, Sheldon, Don e tutti quelli a cui voglio bene. Mi blocco. Devo scegliere, posso andare in una sola direzione. Mi volto verso mio zio e decido di correre da lui. Sento mio fratello disperarsi, grida. Qualcuno mi afferra le spalle e io cerco di liberarmi. E’ Romanoff, lo riconosco dal suo accento russo. Vuole portarmi via. Cerco di oppormi, ma è troppo tardi, ho già un coltello puntato alla gola. Grido più forte che posso.
 
“Lena! Lena!” la voce di Mac mi sveglia. Sto tremando e sono sudata. Lo guardo e lui tenta di tranquillizzarmi dicendomi che è stato solo un incubo. Uno dei tanti. Mi accarezza le guance e i capelli, ma non mi tranquillizzo, come potrei?
Si alza e va a prendere qualcosa in bagno, anche se non capisco cosa. Sono ancora frastornata. Scuoto la testa come per scacciare via i ricordi dell’incubo da cui sono appena riemersa.
Solo ora mi accordo che anche D.B. è in piedi davanti a me. Ho svegliato anche lui. Mi tende la mano e con l’altro braccio mi avvolge la vita. Appoggio la mia mano destra alla sua e mi stupisco per quanto è calda. Mi aiuta ad alzarmi e mi guida fino in cucina. Mi reggo a lui, le gambe tremano così tanto che non riuscirei a rimanere in piedi. Continuo a singhiozzare senza riuscire a smettere.
Lui mi aiuta a sedermi e poi mi poggia una mano sulla spalla, come per rassicurarmi, per farmi sentire che è lì.
Mac torna con qualcosa che credo sia un tranquillante e me lo porge con un bicchiere d’acqua. Lo ingoio e tento di rendere regolare il mio respiro come mi ha insegnato Sid.
“Ancora quegli incubi?” mi chiede.
Annuisco e lui rassegnato fa lo stesso. Mi volto verso D.B..
“Scusa, mi dispiace di averti svegliato.” dico, tra le lacrime.
“Non è colpa tua, non preoccuparti.” mi rassicura sorridente. Invece si. Perché gli incubi continuano a tormentarmi? Perchè?
Vorrei solo un po’ di pace, tutto qui.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! ecco a voi il capitolo 18, spero tanto vi piaccia. Fatemi sapere!
xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 19

 
Marzo. E’ tre mesi che non vedo mio fratello.
Dove sei James? Torna a casa prima che sia tardi. Puoi ancora evitare il peggio. Non voglio perdere anche te. Avremmo dovuto vivere una vita normale, una volta venuti a New York. Perché ci è successo tutto questo?
 
Sto guardando fuori dalla finestra dell’ufficio di Mac e sospiro, rassegnata da questa situazione. Lui è uscito a cercare Lindsay e sono rimasta sola. Letteralmente. Nonostante ci sia Mac, non mi sono mai sentita così sola.
Che posso fare? Come posso dare una mano? Come posso rendermi utile?
Esco nel corridoio diretta verso l’ufficio di Jo. Voglio parlare con qualcuno.
Vedo Mac e Lindsay. Lui sta parlando al telefono e Lindsay ha la fronte corrucciata. Spero non sia niente di grave.
Da tempo sono tormentata, tutti, ormai, sanno che Mac è mio padre, ma io non ci riesco... Non riesco a considerarlo tale. E’ ancora mio zio, per me. Vorrei chiamarlo papà, ma sono peggiorata e non riesco nemmeno più a chiamarlo zio. Ora è solo Mac. Tutto è stato sconvolta nella mia vita.
Sento una mano posarsi sulla mia spalla e mi volto.
E’ D.B., potrei morire uno di questi giorni, non lo sento mai arrivare. Mi coglie di sorpresa, come se fosse la cosa più normale del mondo. Io odio le sorprese, soprattutto di questo periodo.
“Ciao, D.B., come stai?” chiedo, anche se si è praticamente stabilito a casa nostra da dicembre.
“Bene. Tu come stai, Lena?” domanda dal suo metro e novanta. Alzo lo sguardo per cercare i suo occhi verdi e sollevo le spalle in segno di rassegnazione.
“Come al solito.” dico, lui annuisce e insieme ci avviciniamo a Mac. Spero ci siano sviluppi. Le indagini procedono a vuoto da troppo tempo e il morale di Mac è sotto terra. Oserei dire che si sta scoraggiando, anche se non vuole darlo a vedere.
Mac chiude la chiamata e si volta. Abbiamo il tempo di scambiarci uno sguardo fugace che i vetri del laboratorio vanno in frantumi. I colpi di mitragliatrice risuonano nell’aria e D.B. mi protegge parandosi davanti a me e trascinando entrambi dietro una colonna riparata. La stessa cosa fanno Mac e Lindsay.
D.B. mi ripara sotto la sua giacca, ma i vetri che rimbalzano in ogni direzione ci colpiscono comunque.
I colpi, ad un tratto, cessano. Lui mi prende per mano e corriamo verso un’area più riparata.
“Veloce! Starà ricaricando il mitragliatore.” mi spiega, infatti, poco dopo gli spari riprendono. Ci inginocchiamo e lui torna a coprirmi. Gli spari mi ricordano la notte della morte dei miei genitori. Sembra, però, che non vogliano smettere, adesso. Mi aggrappo alla sua camicia, e lui mi avvolge con le braccia, sempre riparandomi sotto la giacca.
Da ogni parte del laboratorio provengono urla e richieste di aiuto. Spero solo che tutti siano al riparo e che nessuno venga ferito.
Una trentina di colpi e tutto finisce. Cautamente, D.B. si sporge chiedendomi di rimanere nascosta. Faccio ciò che dice e lo osservo. Mi dà il via libera ed io esco dal mio nascondiglio, lo raggiungo e lui mi cinge le spalle con un braccio.
“Stai bene?” mi chiede. Io annuisco. Mi osserva e solleva il mio viso con una mano, in modo da vederlo meglio. Lo guardo negli occhi. Mi ha salvato. Non avrei mai avuto i riflessi di nascondermi o scappare. Ho avuto così tanta paura. Le lacrime mi appannano la vista-
Mac ci raggiunge, ma prima che possa parlare lo fa D.B..
“Cosa diavolo è successo?” chiede e solo ora mi accorgo che non ci sento come prima. Premo una mano contro l’orecchio. Fa male. Quando la scosto, è coperta di sangue.
“Romanoff. Ne sono certo.”  Mac si ferma e si guarda intorno. Ancora una volta il laboratorio è andato distrutto, nel giro di sei mesi.
“Stai bene, tesoro?” chiede rivolto a me.
“Si, grazie.” rispondo, anche se sento l’orecchio e la guancia destra pizzicare. Le schegge mi hanno colpito, per questo non ci sento normalmente, comunque, per il momento è meglio che Mac non lo sappia. Tasto con la mano i danni e sento che le schegge sono arrivate molto vicine all’occhio, se fossero state di qualche centimetro più vicine mi avrebbero sicuramente accecato dall’occhio destro.
“Ti porto da un medico.” mi dice Mac, preoccupato. Le ambulanze stanno arrivando, perciò lo rassicuro.
“Sto bene. Devi occuparti del laboratorio, ora. Vado da sola.” protesto.
Ci pensa su e poi annuisce. Lo saluto e mi dice di andare dritta a casa appena i medici avranno finito. Lo rassicuro e mi incammino. Mentre mi avvio verso l’uscita incontro Flack e Sheldon.
“Lena! Cos’è successo?” domanda Sheldon.
“Hanno fatto fuoco sul laboratorio.” spiego. Sto ancora tremando a causa dell’adrenalina, ho le mani congelate ma sento comunque un caldo tremendo e il rossore sulle mie guance ne è testimone.
“Stai bene?” domanda Don, avvicinandosi e studiando il mio viso.
“Ehm, si. Sto andando da un dottore a farmi dare una controllata.” spiego indicando l’uscita.
“Ti accompagno.” dovrei dire di no, lo so. Ma non lo voglio davvero, perciò accetto senza troppo discussioni.
Sheldon corre da Danny e Jo e insieme raggiungono Mac per il rapporto.
Io e Don usciamo.
Il dottore mi osserva attentamente. Non sono un caso grave, perciò non ci mette molto. Dopo aver medicato il mio viso e avermi estratto le schegge di vetro, mi fa un test per capire quanto il mio udito sia stato danneggiato.
Anche questa volta è un disastro.
Mi dice che probabilmente, il mio udito non tonerà più come prima. Le schegge hanno danneggiato l’orecchio destro e neanche un’operazione potrebbe riparare i danni. Probabilmente, l’udito andrà e verrà, dall’orecchio destro, quindi mi consiglia di procurarmi al più presto un apparecchio per l’udito da usare quando mi causerà problemi. Niente vuole andare per il verso giusto.
Appena il medico ha terminato, Don si offre per riaccompagnarmi a casa. Accetto ancora una volta e insieme ci allontaniamo dal caos che Romanoff ha creato.
 
Dopo vari giorni di indagini, Mac e Jo rintracciano un segnale telefonico. Ma quando arrivano, Romanoff se n’è già andato. È un asso nel fuggire senza lasciare minima traccia e a quanto pare lo è diventato anche James.
Delusi e stanchi, Mac e D.B. tornano a casa dopo mezzanotte. Sono già a letto, ma sono ancora sveglia. Li sento parlare. Non hanno una pista. Come immaginavo.
 
Sono al bar vicino alla biblioteca e sto prendendo un cappuccino, è pomeriggio inoltrato.
Sto studiando storia: la guerra civile del 1861-65. Interessante, ma non abbastanza per permettermi di non pensare a James. Mi tormenta il pensiero che Romanoff possa fargli del male. E non lo sopporterei.
Sorseggio lentamente il cappuccino e tento di concentrarmi sulla storia: domani ho il test, devo assolutamente prendere un voto alto.
Torno a casa dopo un’ora e mi siedo sul divano, annoiata e preoccupata.
Accendo la TV e cerco un canale in cui ci sia solo musica. Magari mi distrarrò per un po’. Anche se non ci spero.
 
“Ciao, Lena.” Don è fermo sulla porta. Lo faccio entrare e gli dico di sedersi sul divano. Preparo un caffè. Mi ringrazia per l’ospitalità e io sorrido “Pensavo volessi un po’ di compagnia.” mi dice.
Annuisco. È stare con lui a farmi piacere, se me l’avesse chiesto un altro, forse avrei rifiutato. Verso il caffè nelle tazze e lo porto il salotto e mi siedo davanti a lui, sul piccolo tavolino da caffè.
“Mi dispiace per tutto quello che sta succedendo. Troveremo tuo fratello, te lo prometto.” mi assicura.
“Spero solo che Romanoff non decida di fargli del male.” confesso. Mi tormenta da troppo tempo, quest’idea. Solo dopo averle dato voce, mi rendo conto che è ridicola. Dovrei preoccuparmi delle persone a cui Romanoff vuole davvero fare del male, forse finchè James è con lui è al sicuro, dopotutto.
“No, è suo nipote. Non credo che lo farebbe. Per lui la famiglia è sacra.”
“La sua, ma non quella degli altri.” constato pensando ai miei genitori e al tentato omicidio di Mac.
“Già.” annuisce mestamente.
Rimaniamo fermi a fissare il vuoto per qualche minuto fino a che lui non rompe il silenzio. Si volta verso di me e si sporge leggermente dal divano.
“Voglio vederti sorridere di nuovo.” sbotta accennando un sorriso, io lo guardo torva “E dai. Sei così bella quando sorridi.” mi fa notare. Io accenno un sorriso.
Non posso fare a meno di arrossire. Ad ogni complimento il mio cuore perde un colpo. Ma perché è così estremamente carino?
Come potrebbe non piacermi? E’ inevitabile.
Abbasso lo sguardo imbarazzata e i capelli scivolano lungo il mio viso coprendomi gli occhi.  Don si avvicina e mi scosta i capelli dal viso portandone alcune ciocche dietro l’orecchio destro. Sorride e mi solleva il mento con le mani. Mi guarda attentamente come per studiare ogni particolare del mio volto. Non riesco a decifrare la sua espressione, ha uno sguardo così intenso. I suoi occhi azzurri colgono ogni mio movimento, ogni singolo respiro.
Poi, senza preavviso, si sporge dal divano, avvicina il suo volto al mio e mi bacia.
Sono sorpresa. Non so che fare. Ho già baciato, certo. Ho avuto un ragazzo, ma dopo la morte dei miei ci siamo lasciati. I suoi baci erano semplici e non ho mai baciato un uomo più grande, molto più grande. Non credo nemmeno di sapere come si fa.
Le sue labbra sono perfettamente incastrate sulle mie. Poi, da un semplice bacio a stampo, Don comincia a muovere le labbra. Io faccio lo stesso, sperando che non si accorga che è il mio primo vero bacio.
Il mio cuore comincia a battere a mille e non accenna a rallentare, sento lo stomaco, già chiuso per la preoccupazione, aggrovigliarsi sempre di più dentro di me. Chiudo gli occhi e lascio che mi tiri a se. Torna a sedersi sul divano e sono io ad avvicinarmi, questa volta. Gli prendo il volto tra le mani mentre lui mi cinge i fianchi. Mi inginocchio su di lui, che mi stringe drizzando leggermente la schiena. Piega indietro la testa e io mi sollevo per seguire i suoi movimenti.
Le nostre lingue si sfiorano creando una danza e il bacio continua fino a che rimaniamo senza fiato. Ci separiamo per un millesimo di secondo, poi riprende a baciarmi. Mi costringe a sedermi sul divano. Indietreggio tirandolo a me. È sopra di me e continua a baciarmi. I nostri respiri sono affannati, ma per la prima volta, la trovo una sensazione bellissima. Continuiamo a baciarci fino a che non lo allontano mettendogli una mano sul petto.
“Aspetta” lo fermo. “Io… Sono solo una ragazzina, perché?” chiedo.
Lui mi guarda interrogativo, sembra non capire. Sono pronta a ripete la domanda quando comincia a parlare:
“Tu mi piaci. E poi non sei una ragazzina, sei una donna, ormai. E l’hai dimostrato in questo periodo, riuscendo a sopportare tutto questo.” mi dice. Mi sembra convinto.
“Sì, ma…” comincio.
“Cosa?”
“Sono molto più piccola. Insomma, ho quasi quindici anni meno di te.” spiego.
“Mai sentito dire che l’amore non ha età?” azzarda sorridendo. Io scuoto la testa.
Abbasso lo sguardo. Forse ha ragione. Sono grande. E anche lui mi piace.
“Anche tu mi piaci.” dico, dando voce ai miei pensieri. Lui sorride, quasi se lo aspettasse. “Questo non comprometterà il tuo lavoro?” domando, il suo lavoro è la sua vita. Non voglio causare guai.
“No, lo farebbe se fossi minorenne. Sei maggiorenne, abbastanza grande da scegliere.” mi rassicura, sorridendo.
“E Mac?” chiedo, sapendo che dovremo avvertirlo.
Ci pensa su e poi parla.
“Mac… ci ucciderà.” conclude. Io rido. E’ la prima volta che lo faccio, da quando mi fratello è scomparso. Mi sembra una cosa strana. Non lo facevo da troppo tempo e non riesco a capire perché.
“Forse dovremmo aspettare. Almeno qualche giorno.” propone. Ho promesso a Mac di essere sincera con lui, ma forse Don ha ragione.
Aspetteremo.
“Posso dirlo a Jo?” sbotto.
Lui sorride. “A Jo?” chiede stupito. Gli spiego che aveva scommesso sul fatto che eravamo innamorati e tutto ciò che c’eravamo dette. Don ride, credevo che si sarebbe offeso, se devo essere sincera.
“Bè, allora è un suo diritto saperlo. Dato che c’era arrivata prima di noi.” afferma.
Io annuisco e mi alzo per aprire la finestra (fa davvero caldo, ma credo sia a causa del bacio), quando lo faccio, l’aria primaverile mi accarezza il viso e il rumore delle auto riempie l’aria. Lui si avvicina e mi mette con le spalle al muro. Avvicina le sue labbra alle mie. Ricominciamo a baciarci. È bellissimo, adesso mi domando come ho fatto a non accorgermi prima di quello che provavo. Era così evidente.
“Sai” comincio “questo era il mio primo vero bacio.” confesso alla fine. In fondo che male c’è? Mi sorride con il suo stupendo sorriso sghembo.
“E come è stato?” domanda. So che gongolerà per mesi, ma non posso mentire.
“Indescrivibile.” dico.
Sorridiamo e mi bacia ancora e ancora. Potrei rimanere qui giorni interi. Per un momento riesco persino a dimenticare tutti i problemi con mio fratello, con Romanoff e l’angoscia.
Almeno fino a che D.B. non fa irruzione. Il suo tempismo, sommato al fatto che abbia le chiavi di casa, sono una combinazione tremenda.
“Oh, scusate. Vi interrotti?” domanda. Colgo dell’ironia nella sua voce.
Sì, divertente.
Comunque, io e Don ci allontaniamo velocemente, ma lui ha già visto tutto. Per fortuna Mac non c’è. Non sarebbe stato bello scoprirlo così.
“Cavolo.” dice Don ridendo. Quando Mac ci sparerà con la sua nove millimetri non sarà altrettanto divertente, credimi Don. Non cerco di aggiustare le cose, anche perché è inutile nascondere ciò che è evidente, perciò mi limito ad implorare.
“D.B., potresti non dire niente a Mac? Vorremmo essere noi a farglielo sapere.” chiedo. Spero che, anche se sono buoni amici, non ne faccia parola con lui.
Lui, sorprendentemente, annuisce e mima una cerniera e una chiave con cui si chiude la bocca. “Grazie.” dico.
Don mi saluta, visibilmente imbarazzato e se ne va.
D.B., quando il collega è fuori, scoppia in una fragorosa risata.
“Ah ah. Divertente.” dico ridendo a mia volta.
“Tranquilla, non dirò niente.” mi rassicura ancora “Comunque state bene insieme.” aggiunge.
“Grazie.” rispondo arrossendo e abbassando lo sguardo per nasconderlo. Anche se non capisco se mi stia prendendo in giro o dica sul serio.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! E tadà! Ecco a voi il 19° capitolo, tutto per voi! ;) Spero vi piaccia a me è piaciuto molto scriverlo! Spero vi emozioni quanto ha emozionato me!
Fatemi sapere…
xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 20

 
Il giorno seguente al bacio tra me e Flack, Mac sembra non sospettare niente. Sono sollevata, anche se sono consapevole che dovrò confessarglielo prima o poi. E, comunque, Don non è un criminale, credo che sia la cosa migliore che potesse capitarmi da quando sono arrivata qui.
Mac sta camminando avanti e indietro per il salotto tentando di chiamare Jo, ma lei non risponde. Il cellulare squilla e poi parte la segreteria.
“Magari si sta facendo la doccia.” azzardo.
Lui scuote la testa. È realmente preoccupato.
Mi alzo dal divano e D.B. esce dalla cucina. Ci guardiamo e ci avviciniamo per tranquillizzarlo. Forse la questione di Romanoff ci tormenta un po’ troppo.
“Mac.” lo chiama il collega.
Lui solleva lo sguardo velocemente e continua a chiamare.
“Mac, magari è ancora al lavoro e non ha sentito il cellulare. Non ti preoccupare.” lo rassicura, mettendogli una mano sulla spalla. Ci preoccupiamo troppo. Dovremmo rilassarci, vediamo guai dove non ci sono. Infatti chiude la chiamata e sospira.
“Forse hai ragione.” D.B. ha la straordinaria capacità di calmare le persone senza fare fatica. Sarà la sua voce o il suo comportamento, ma agisce da tranquillante. Fortunatamente. Se fossi sola con Mac, in questo momento, il panico ci avrebbe già travolto. Lui non è una persona che si fa prendere dall’ansia, però, quando si tratta della sua famiglia rischia di impazzire.
Quando Mac si è calmato, ci sediamo a tavola per la cena. Mangiamo tranquillamente fino alle otto e mezza, quando Flack suona alla porta.
Mi alzo e dopo avergli aperto, sorrido. Lui, però, non sembra altrettanto contento.
“Ciao, Flack.” dico “Che succede?” domando, vedendolo scuro in volto.
Mac mi raggiunge e lo saluta. Tenta di nascondere la sua preoccupazione dietro ad un sorriso. Senza parlare, il collega gli porge una busta.
Quando la apre, Mac si porta una mano sugli occhi, come se non volesse vedere e sferra un pugno al muro vicino alla porta. A quel gesto sobbalzo, ha totalmente perso il controllo. Dov’essere grave, molto grave.
Gli sfilo la lettera di mano e con orrore vedo ciò che c’è scritto con una calligrafia elaborata.
 
Abbiamo la tua amica, Taylor. Se non farai esattamente ciò che ti diremo, lei morirà. Tieni il cellulare acceso.
                                                                                                  Romanoff
 
Hanno preso Jo. Lui ha preso Jo. Il panico mi assale e lo stomaco mi si chiude.
Com’è possibile? Com’è successo? Come hanno fatto a non accorgersi di niente? Cosa le farà?
Se l’ha rapita, vuol dire che le farà del male per farla pagare a Mac. Non riesco  a pensare ad un altro motivo per cui potrebbe averla rapita.
Ho paura di ciò che potrebbe accadere. Perché James non l’ha impedito? Lei è sempre stata buona con noi, non aveva motivo di farle del male.
“D.B.” dico. Lui si affaccia dalla cucina e io gli vado incontro, facendo cenno a Don di entrare.
Gli porgo la lettera e lui la esamina.
“Dove l’avete trovata?” domanda.
“E’ stata recapitata al laboratorio questa sera, alle 18.00.” risponde Flack.
“Da chi?”
“Un normale postino.”
“Non credo fosse un postino. Non alle sei di sera.” osservo io.
“Lena ha ragione, era sicuramente qualcuno della banda di Romanoff.” concorda D.B. “Andiamo.” dice a Flack, dopo un momento di silenzio.
Lui si muove verso la porta e Mac fa lo stesso. Non ha ancora parlato da quando ha aperto la busta.
Prima di uscire mi salutano e mi dicono di non aspettarli sveglia. Devono cominciare le ricerche il prima possibile, forse con la lettera potranno rintracciarli.
Annuisco e per l’ansia non riesco nemmeno a finire la cena. Dopo aver riordinato la cucina mi siedo sul divano e cerco di distrarmi guardando un po’ di TV. Alle undici crollo, perciò mi lavo i denti, mi faccio una doccia e poi striscio sotto le coperte. Cado in un profondo sonno, tormentato da incubi, per varie ore.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! ecco il ventesimo capitolo. È breve, lo so, ma il bello arriverà nel prossimo, per questo scorre abbastanza veloce!
Spero vi piaccia, fatemi sapere… ;D
La vostra, xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 

Little pieces of my life

CAPITOLO 21

 
Sono ferma e sto guardando New York dalla riva del lago a Central Park. È così bello. Tutto tace, alcune persone stanno camminando in riva al lago insieme ai figli.
Sento respirare affannosamente accanto a me. Una mano mi copre la bocca intimandomi di stare zitta.
 
Mi sveglio di soprassalto e scopro con orrore che non era un sogno. Accanto al mio letto, in piedi, c’è Ivan Romanoff in persona. Mi sta sorridendo beffardo. Come cavolo ha fatto a entrare? Ho chiuso la porta a chiave e con un gancio.
Mi sollevo sulle braccia e vorrei alzarmi per scappare, ma sono paralizzata dalla paura e ancora intontita dal sonno.
Nella mano destra tiene una pistola e me la sta puntando contro.
“Ciao, piccola Taylor.” mi saluta sorridente, mettendo in mostra i suoi denti d’oro. Solleva la mano dal mio viso.
“Cosa vuoi?” domando un po’ troppo sfacciatamente.
“Che tu venga con me.” risponde semplicemente.
“No, dovrai uccidermi.” rispondo. Ripensandoci, non ho paura di lui. Mi ucciderà comunque se vuole, perché dovrei temerlo?
Ride con la sua voce profonda. “Se non farai esattamente ciò che dico, a morire sarà il tuo ragazzo. Il detective.”
Cosa? Flack? Ma come…?
“Già, lo so. Sembra che ti ami davvero tanto. Vi osservo da un po’.” mi dice, come se avesse letto i miei pensieri.
“Non provare a fargli del male.” replico, ma le lacrime mi stanno già appannando la vista.
“Allora alzati e vestiti. Ti do dieci minuti.” esce dalla stanza e chiude la porta. Sa benissimo che non posso fuggire, siamo al settimo piano, se saltassi mi sfracellerei al suolo. E il mio cellulare è in salotto. Non mi resta altro da fare che aprire l’armadio e prendere un paio di jeans, una maglietta e la giacca. Quando ho finito mi infilo le scarpe, mi lego i capelli, appena in tempo, prima che lui entri e mi trascini fuori dopo aver controllato che io non abbia lasciato tracce. Mi fa posare qualsiasi cosa possa farci rintracciare dalla polizia. Usciamo e la porta di casa si chiude dietro di noi.
Scendiamo in strada, mi carica su una macchina, mi copre la testa con un sacchetto di stoffa nero e mi ammanetta. Mi tiene per un braccio, probabilmente ha paura che mi butti giù dall’auto in corsa e lo farei, se non fossi ammanettata e non andassimo ai cento all’ora.
Dopo venti minuti di viaggio, ci fermiamo, Romanoff mi fa scendere e mi trascina in un luogo che puzza di umido e muffa. Mi sfila il cappuccio, mi libera dalle manette  e mi spinge in una stanza senza proferire parola. È un capannone, deve averne la passione.
Accucciata a terra, in un angolo, vedo una donna. Sembra stia dormendo, ma quando sente scattare la porta si alza in piedi e mi corre incontro per abbracciarmi.
È Jo.
Almeno so che sta bene. Ricambio la stretta e la rassicuro. Lei singhiozza e si scusa per tutto ciò che sta succedendo, anche se non è colpa sua.
Passiamo la notte abbracciate, un po’ per ripararci dal freddo che è sceso con l’oscurità e un po’ per rassicurarci a vicenda.
 
“In piedi, signore.” ci intima una voce, destandoci dal sonno. Mi stropiccio gli occhi tentando di allontanare la stanchezza. Jo si solleva e mi aiuta porgendomi la mano. La stringo e mi alzo.
Romanoff è in piedi davanti a noi.
“Com’è andata la nottata?” domanda.
“Bene, grazie.” risponde Jo “Forse un po’ scomodi i materassi, ma per il resto bene.” ironizza. Ha recuperato la sua calma e la sua ironia, spero solo che non ci costino care.
“Lo immaginavo. Allora, spero sappiate perché siete qui.” dice. Noi siamo impassibili. Ci sono già passata, continuerà a sfinirci fino a farci parlare.
“Voglio Taylor morto e voi sarete le esche. Chi meglio della sua donna e di sua figlia possono fungere da esche?” esclama e io sollevo lo sguardo di scatto. Quindi sa che sono sua figlia, James glielo ha detto. Certo, ovvio, è suo nipote, come poteva mentirgli? “Credo che non ci metterà molto a trovarci. E a quel punto lo ucciderò.”
“È già due passi avanti a te.” lo informa Jo, è arrabbiata, si sente dalla sua voce. Sa che il russo ha ragione. Non credo che Mac si due passi avanti a lui, altrimenti Romanoff sarebbe già dietro le sbarre da un po’. Mi costa ammetterlo, però… Romanoff è davvero bravo. Nessuno è mai riuscito a catturarlo, non sono nemmeno certa ci riusciranno questa volta.
“Lo spero. Mi sto annoiando.” ribatte. “Bè, per ora abbiamo finito. Ci vediamo presto.” ci saluta ed esce.
Quando rimaniamo sole, Jo parla.
“Spero che non venga. Non voglio che gli accada niente.” dice. Lo spero anche io, ma entrambe sappiamo cosa succederà. Io non parlo. Non so cosa voglio. Vorrei tornare, vorrei tornare da mio padre. Ma non voglio che muoia.
Rimaniamo immerse nel silenzio per più di due ore. La sete ci sta consumando. Quando mi ha rapita la prima volta era diverso, era inverno, resistevo meglio alla sete, ma adesso è primavere inoltrata, di giorno fa caldo, ci disidrateremo facilmente. Romanoff deve pensarla come me, infatti, qualche ora dopo, ci porta dell’acqua, vuole che siamo perfettamente coscienti per quando Mac arriverà.
 
Al tramonto del secondo giorno, rompo il silenzio.
“Ho baciato Flack.” dico.
Jo si mette a sedere e sul suo viso compare un sorriso compiaciuto.
“Lo sapevo! Com’è stato?” domanda, soddisfatta del fatto che la sua previsione si sia avverata.
Sorrido di rimando. “Bè, bellissimo.” ma forse è troppo semplicistica come risposta.
“Che ti ha detto del problema dell’età?” sa che era ciò che mi assillava.
Scuoto la testa. “Ha detto che sono maggiorenne e quindi non creerà problemi al lavoro e che posso scegliere liberamente con chi stare.” spiego.
“Quindi…?” mi incalza.
“Quindi… stiamo insieme.” concludo. Si avvicina e mi abbraccia.
“Congratulazioni.” dice ridendo e poi continua “Mac cos’ha detto?”
Abbasso lo sguardo.
“È successo due giorni fa, volevamo dirglielo ma non c’è stato il tempo. Con il tuo rapimento e tutto il resto.” mi giustifico. Lei annuisce.
“Bè, appena ci troverà, glielo direte. Sarà felice. Flack è il suo migliore amico.” mi rassicura. Non sono sicura che andrà proprio così. Secondo la mia visione, si infurierà.
Continuiamo a parlare e le rimprovero il fatto che mesi prima avesse sospettato che ci fosse qualcosa tra me e Jeremy, ridiamo insieme e per un momento ci dimentichiamo anche del rapimento. Verso mezzanotte, però, cadiamo in un profondo sonno.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco a voi il ventunesimo capitolo! Spero tanto vi piaccia e che non scorra troppo in fretta. Anche questo è breve, lo so. Ma non preoccupatevi, si allungheranno…
A presto, fatemi sapere cosa ne pensate.
xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 22

 
Ci svegliamo di soprassalto sentendo la porta sbattere violentemente. Romanoff entra con passo deciso. In mano tiene una pistola e dietro di lui c’è James. Quando lo vedo il mio cuore mi salta nel petto. Sembra stare bene.
“Buon giorno.” ci saluta Romanoff.
Noi non rispondiamo. Come sempre.
Siamo qui da cinque giorni, ormai. Siamo spossate, l’acqua è utile ma non ci terrà in vita molto a lungo.
“Non saluti il tuo fratellastro, piccola Taylor?” domanda il russo, accortosi che sto guardando mio fratello da un po’.
“Ciao, Lena.” mi dice lui. Io vorrei rispondergli per le rime, insultarlo, ma non mi sembra il caso, perciò rispondo semplicemente con un ‘ciao’.
“Allora, detective. Questo ragazzo deve fare pratica col coltello. Che ne dici di aiutarlo?” la invita.
Lei si volta verso James e lo implora con lo sguardo. Lui, impassibile, alza le spalle.
“Alzati!” mi dice Romanoff. Io non muovo un muscolo, così lui si avvicina e mi solleva per un braccio. Mi spinge su un lato della stanza e si mette tra me a mio fratello. Solo ora mi accorgo che James tiene un coltello in mano. Sobbalzo, e la consapevolezza di ciò che sta per succedere si fa strada in me.
Jo si alza in piedi e lo guarda, l’implorazione si trasforma in pietà. In vera e propria pena, perché sa che in qualche modo James è stato manipolato, non avrebbe mai fatto nulla del genere se Romanoff non avesse mentito su qualcosa.
“James.” comincia “Perché fai tutto questo?”
“Sta’ zitta!” grida lui. Lei indietreggia. Ha capito che fa sul serio. Non riuscirà a fermarlo. Non questa volta.
Romanoff si avvicina, prende Jo per le spalle e la tiene ferma. Dopo un momento di esitazione, senza che io passo fare niente, James si muove verso di lei e la pugnala. Il coltello penetra nel fianco sinistro facendola indietreggiare. Un gemito esce dalla sua gola e crolla a terra reggendosi il fianco e tentando di tamponare la ferita.
Devo fermarli. Non posso permettere che la uccidano. Mi avvicino ma Romanoff mi punta contro l’arma.
“Ferma dove sei.” dice tranquillamente “Ora finiscila.” ordina a James. Mio fratello osserva Jo, ma invece di procedere, esita ancora.
Suo zio lo osserva e annuisce.
“Forse è ancora troppo complicato con un coltello, ci vorrebbe più esperienza.” dice dopo aver riflettuto “Tieni, usa questa.” conclude, porgendogli la pistola.
No. Non può farlo. Non la può uccidere. Non James.
Romanoff si allontana per lasciargli spazio. Quando mio fratello carica l’arma capisco che devo agire. Punta la pistola dritta alla testa di Jo, ma prima che possa sparare mi paro davanti a lei.
Lui mi scruta con sguardo torvo.
“Levati di mezzo, Lena.” mi ordina.
“No.” rispondo secca.
“Allora dovrò uccidere te al posto suo.” mi dice, forse sperando che io mi sposti. Ma non lo faccio. Vedo le nocche della mano destra, con cui impugna la pistola, diventare bianche. È arrabbiato. Per qualche istante abbassa la pistola, ma, deciso a non deludere suo zio, la alza di nuovo, puntandola al mio petto. Sento Jo, gemere dietro di me, vuole che mi tolga di mezzo, che almeno io mi salvi. Punto i piedi a terra, decisa a non spostarmi. So che non lo farà, in fondo, è ancora il vecchio James.
“Fallo.” dico, vedendo che non accenna ad abbassare la pistola.
“Spostati!” grida.
“No!” strillo io di rimando.
Stringe i denti per contenere la rabbia e poi si volta verso suo zio.
“Devono vederlo morire. Entrambe.” conclude ed esce.
Romanoff sorride e fa lo stesso, lasciandoci sole.
Mi inginocchio accanto a Jo, la aiuto ad alzarsi e ad avvicinarsi al muro, appallottolo la mia giacca, così che possa usarla come cuscino. Prendo il suo golfino, che giace sul pavimento, e lo utilizzo per tamponare la ferita. Le offro la mia razione d’acqua e la obbligo a berla tutta. Lei a piccoli sorsi la finisce e poi le consiglio di dormire, promettendole che veglierò su di lei.
 
Alba del settimo giorno.
Jo dorme spesso, quindi sono praticamente sola. La ferita si è quasi rimarginata, ma a volte perde ancora sangue, come successe a me durante il primo rapimento.
Deve essere mezzogiorno quando mio fratello entra a passo deciso nella stanza in cui siamo rinchiuse. È solo e quando vede che Jo sta dormendo si accovaccia di fronte a me.
Lo guardo.
“Come sta?” domanda, indicando Jo.
“Adesso ti importa? Dopo averla pugnalata?” chiedo, di rimando. Fa spallucce, come se la cosa fosse normale.
“Se lo merita. Scommetto che sapeva tutto.”
“Come poteva?” dico, dubito che fosse a conoscenza dell’intera storia, forse di una piccola parte. Ma nulla di più.
“Vedi” comincia, alzando la voce “la cosa che non riesco a capire, è perché tu non mi abbia più chiamato. Perché non vuoi vendicarti di Mac, dopo tutto ciò che ci ha fatto?” domanda.
“Che ci ha fatto? Non ha fatto niente, James.” dico convinta “Ci ha accolti a braccia aperte, ci ha mantenuti…” concludo.
“Se davvero non sei arrabbiata, nonostante ti abbia mentito, dovresti almeno sostenermi. Ha ucciso mio padre e mi ha strappato a mio zio. Ti sembra giusto?” chiede.
Lo guardo. “Forse. Questo non giustifica la tua vendetta o quello che hai fatto a Jo.”
“No? Ne sei sicura?” domanda avvicinando il suo volto al mio.
“Ti ha salvato da questo mondo. Dovresti essere grato a Mac.” esclamo.
Lui ride. “Questo mondo è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Qui mi sento a casa, sento di far parte di una famiglia.”
“Io e te non eravamo una famiglia?” chiedo. Mi sento offesa, lo confesso. Io e lui siamo stati uniti per così tanto tempo, che quelle parole mi feriscono nel profondo.
“Non lo siamo mai stati davvero.” non so perché, ma non piango. Nessuna lacrima riga il mio volto. Rimango apparentemente impassibile di fronte a ciò che mi dice. Infatti, se ne accorge e mi guarda con aria perplessa. Credeva di ferirmi, magari di scatenarmi un altro crollo emotivo. Si sbagliava, non ne ho la forza, o meglio, ce l’ho, ma ne ho bisogno per riuscire a sopravvivere ancora. Non la sprecherò per lui.
 “Torna in te, James. Torna in te prima che sia tardi.” dico, prendendogli il volto fra le mani e sfiorandogli le guance con le dita, ma, stranamente, non lo sto implorando, gli sto dando un consiglio. Ormai so di averlo perso, perché sprecare fiato? Anche se qui, adesso, tornasse in sé, niente sarebbe più come prima. Mi ha spezzato il cuore, ha rovinato tutto.
“Sono in me. Non sono mai stato meglio.” ribatte, allontanando le mie mani dal suo viso così bruscamente da farmi male. Si alza mi guarda ancora una volta e se ne va.
Scuoto la testa, incredula e ferita. Sento la mano di Jo stringere la mia e questo mi riporta alla realtà.
“Lena.” mi chiama.
“Sono qui, Jo.” dico e la aiuto ad alzarsi. La sua ferita ha smesso di sanguinare, ma so quanto possono fare male le fitte che ne conseguono. Ad ogni movimento sembra di ricevere un’altra pugnalata e non è piacevole.
Jo si siede con la schiena appoggiata al muro e io faccio lo stesso.
Credo che abbia sentito ogni cosa. Lo capisco da come mi stringe la mano e dalle parole che pronuncia.
“Mi dispiace.” che posso risponderle? Che posso dirle?
“Anche a me.” sono le parole che scelgo e nemmeno so perché: mio fratello è felice qui, forse dovrei gioire per lui. Ma non ci riesco e mi sento un’egoista.
 
Sono passati dieci giorni e la porta della nostra “cella” si è aperta una sola volta. Questa mattina, nessuna visita. Che si siano dimenticati di noi? La mia speranza è talmente vana che appena quel pensiero mi balena nella mente lo elimino.
Alle due del pomeriggio entra un uomo che ha il corpo quasi completamente tatuato. Ci osserva e poi ci ordina di alzarci. Io aiuto Jo, non ho più voglia di opporre resistenza. Ci accompagna in un piccolo bagno e lì ci dice che potremo farci una doccia, abbiamo venti minuti in tutto. Comincia a Jo e poi è il mio turno. Quando abbiamo finito ci riaccompagna nella stanza vuota e ci chiude dentro. Ancora.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
 
Ciao a tutti! Ecco qui il ventiduesimo capitolo. Spero vi piaccia. È tutto incentrato sulla prigionia di Jo e Lena. E per la vostra felicità e anche tornato James. ;D
Fatemi sapere…
xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 23

 
Altri due giorni chiusi nella cella. Una visita con il solo scopo di consegnare due bicchieri d’acqua. Che vogliono fare? Lasciarci qui per sempre?
Non mi stupirei se Mac avesse smesso di cercarci.
 
Al tramonto del dodicesimo giorno, però, sembra che qualcosa sia cambiato. Sia Romanoff che James entrano e sembra che si stiano preparando all’arrivo di qualcuno. Non ci rivolgono la parola fino a che un complice del russo non fa irruzione nella stanza.
“Capo!” ha una voce squillante per essere quella di un uomo. “Sono qui.” dice ed esce. Il rumore delle auto si fa sempre più forte e chiaro. Stanno venendo qui.
Mac. penso e credo che Jo pensi la stessa cosa, dato che si volta e mi rivolge uno sguardo carico di speranza.
Romanoff prende Jo per un braccio e la fa alzare da terra. La tiene stretta a sé e gli punta un coltello alla gola. James mi si avvicina e fa la stessa cosa, ma in mano ha una pistola. Mi ucciderà? Avrà il coraggio di farlo? Mi odia davvero così tanto?
Passano due o tre minuti e sentiamo qualcuno che entra. Degli spari. La paura mi assale. E se avessero ucciso Mac? Sicuramente Romanoff ha posto come condizioni di venire da solo.
La porta si apre lentamente e sulla soglia ci sono due persone. Sono Mac e D.B., entrambi con una pistola in mano. Sono vivi. Forse c’è ancora una speranza.
Quando Mac vede mio fratello, non può fare a meno di lanciargli uno sguardo carico di dolore.
“Bene, Taylor! Ci rivediamo!” esclama Romanoff, rompendo il silenzio. “Russell, felice di rivederti.” In risposta, D.B. lancia al russo uno sguardo carico d’odio.
“Finalmente potremo aggiustare i conti.” dice compiaciuto Romanoff. Ride, è sorprendentemente tranquillo, nonostante Mac e D.B. abbiano le pistole puntate contro di lui.
“Buttate le pistole.” esordisce ancora. Ha un tono annoiato, come se questa scena l’avesse vissuta centinaia di volte.
Mac e D.B. si scambiano uno sguardo ma non si muovono.
“Buttatele, o moriranno.” li intima, indicando noi. Ai due non resta che poggiare a terra le pistole e rimanere immobili davanti alla scena.
“Allora, Taylor. Ti ricordi il padre di questo ragazzo?” domanda indicando James e sembra che voglia una risposta.
Mac esita, ma quando vede che Romanoff minaccia di tagliare la gola a Jo, risponde.
“Si.”
“L’hai ucciso tu. Per vendetta.”
“No, perché stava per uccidermi.” lo corregge.
“Lui non c’entrava! Era con me che ce l’avevi. Avresti dovuto uccidere me!” grida furioso “Ora ti porterò via ciò che ha di più caro al mondo. La donna che ami e tua figlia.”
“Ti prego! Non far loro del male, non hanno fatto niente. Te lo ripeto, sono io che ho ucciso tuo fratello. Sono io che devo pagarla.” lo implora, facendo qualche passo in avanti.
“Patetico. Un poliziotto dal cuore tenero.” lentamente fa scivolare la lama e la allontana da Jo. Le dà uno spintone e la getta a terra. Lei emette un gemito di dolore. L’urto con il pavimento deve averle rotto qualche costola. Senza preavviso, Romanoff tira fuori una pistola dalla cintura e la punta contro di lei. Sorride compiaciuto. Sta per riuscirci. Sta per vendicare suo fratello.
Mac fa un altro passo avanti.
“Ragazzo” dice, rivolto a James “Uccidila.” ordina, indicando me. Il mio cuore comincia a galoppare. No, James. No.
“James, ti prego, tu non sei un assassino.” tenta di fermarlo Mac. Ma lui sta già caricando la pistola. Con un braccio mi cinge i fianchi e con l’altra regge la pistola, posso sentire la canna fredda contro la mia tempia. Le lacrime mi appannano la vista. Non voglio essere uccisa da mio fratello. Vorrei almeno che fosse Romanoff a farlo, non James.
“Tu che ne sai?” grida “Non ti è mai importato niente di me! Niente!” È furioso, perderà il controllo. Dio solo sa cosa sarà capace di fare.
“Non è vero James, io tengo a te. E lo sai.” insiste Mac.
“James” interviene D.B. “Te ne pentirai. Forse ora ti può sembrare un gesto eroico, ma ti pentirai di aver ucciso tua sorella. Lei ti vuole bene. Vorrebbe che tu tornassi da lei.” spiega.
Inutile, non lo ascolterà mai.
James sta tremando e io con lui.
“Figliolo, non ascoltarli. Se la ucciderai potrai venire con me. Ce ne andremo, ci rifaremo una vita.” tenta di convincerlo Romanoff.
James, ti prego. Ti prego, dà ascolto a D.B.. Torna da me.
James abbassa la pistola. Per un momento tutti crediamo che abbia cambiato idea, poi la punta contro Mac, senza lasciarmi andare.
“È colpa tua. Tutta colpa tua.” dice avanzando verso di lui, trascinandomi. Mac lo guarda intensamente cercando di capire a cosa si riferisca. “Se tu non avessi mentito, se non ci avessi abbandonati…” fa una pausa “Non hai saputo proteggerla! È stata rapita, torturata, un’esplosione l’ha quasi uccisa! Non potresti mai essere un buon padre! Mai!” grida furioso.
Mac abbassa lo sguardo come per… scusarsi.
“Hai ragione, non sono riuscito a proteggerla, permettimi di farlo ora. Non farle del male. È tua sorella.” continua a implorare.
“Smettila! Riuscirei a proteggerla più di quanto l’abbia fatto tu!”
“Credi che facendo questo tu la stia proteggendo?” adesso anche Mac ha alzato la voce. La rabbia sta prendendo il posto a tutto il resto.
Mio fratello non sa che rispondere. Sa che ha ragione.
“Adesso basta giocare! Ragazzo, o la uccidi tu, o lo farò io!” sono spacciata. James è bloccato, non si muove. Poi solleva la pistola, torna a puntarla contro la mia tempia e si fa da parte. Cammino seguendo i suoi passi, cosciente che se mi muoverò per scappare, Romanoff ucciderà sia me, sia Jo.
“No, è Mac che deve morire. Non Lena, la porteremo con noi.” propone James.
“Tenterà di scappare. Uccidila.” insiste il russo.
“Non scapperà, uccidi loro, ma risparmia lei.” lo implora. Abbassa la pistola, lasciandomi andare e tenendomi per un braccio. Ma che sta facendo?
Romanoff stringe la pistola che ha in mano e si volta verso Jo. Anche lui sta tremando, adesso. È arrabbiato, esploderà da un momento all’altro. Respira profondamente e si lascia sfuggire una risata.
Ad un tratto, prima che possiamo rendercene conto, si volta, tende il braccio e spara a James. La pallottola lo colpisce al petto e lo sbalza all’indietro. Riesco a tenermi in piedi per miracolo, senza che il suo peso mi trascini a terra con lui. Rimango immobile per qualche secondo. Non riesco a credere a ciò che è appena successo.
“No!” dico coprendomi la bocca con le mani. Tento di non gridare, ma non posso. “No, no, no, James!” Mi accovaccio accanto a mio fratello. Il proiettile l’ha colpito in pieno petto, molto vicino al cuore. Tento di tamponare la ferita con le mani, ma è inutile. Sono troppo piccole e la ferita è troppo grande. Romanoff era vicino, troppo vicino.
C’è sangue dappertutto, come la sera della morte di mamma e papà.
Una miriade di immagini mi invadono la mente. Il corpo di mia madre, quello di mio padre, le sue ultime parole, i miei singhiozzi, l’arrivo di James e quello della polizia. Poi come se avessi un black-out tutto si spegne.
“Che seccatura.” sento dire dal russo, che lascia cadere il bossolo vuoto a terra e torna a puntare l’arma contro Jo. Io piango. Continuo a premere sul suo petto, ma niente. È tutto inutile, tra meno di qualche minuto sarà morto dissanguato.
“James?” sussurro “Jamie, resisti, ti prego.” singhiozzo. Le lacrime mi rigano le guance e bagnano le dite di mio fratello, che sono intrecciate alle mie. Respira a fatica.
“Le…na.” rantola.
“Sono qui. Jamie, sono qui. Resisti.” imploro. So che non ce la farà. In cuor mio lo so, ma non posso rassegnarmi. Deve esserci un modo. Non può finire così.
“Mi dis…piace.” sussurra. Io scuoto la testa. Ora non mi importa più.
“A me dispiace di non essermi accorta di nulla. Scusami.” spero mi perdoni. Lo spero con tutta me stessa. Romanoff intanto assiste alla scena e sta… ridendo. È suo nipote, sta morendo e lui, semplicemente, ride. Lo devo ignorare.
“No, è colpa mia.” mio fratello fa una pausa per respirare “Ti… voglio… bene.” sussurra infine.
“Anche io ti voglio bene, Jamie.” replico. La testa si inclina da una parte e i suoi occhi si chiudono. Scuoto la testa incredula. Non può essere, è morto. È  morto anche James.
No, no, no, no!
Trattengo a stento le grida e la rabbia. Il turbinio di emozioni che si forma dentro di me, mi costringe a premere le mani contro le tempie. La testa sta per esplodermi.
“Ragazzina! In piedi!” mi ordina Romanoff. Io piango e scuoto la testa, ma lui mi solleva per un braccio e mi stringe a se. I nostri volti sono a pochi centimetri l’uno dall’altra “Quanto era noioso tuo fratello. Non voleva andare avanti. Suo padre è morto, bisogna superarle certe cose. Era così sentimentale. Sai, dovresti abituartici anche tu, tra poco anche tuo padre morirà.” continuo a scuotere la testa in preda ai singhiozzi. “Digli addio.” mi sussurra all’orecchio e mi lascia ricadere a terra. Le mie ginocchia urtano il pavimento con violenza, ma non mi importa. Sento nuovamente quel dolore, quello all’altezza del cuore. Una fitta tremenda che sembra opprimere il mio cuore tanto da poterlo far esplodere da un momento all’altro.
Romanoff, intanto, si allontana di qualche passo. Sorride malizioso e poi spara. Non riesco nemmeno a gridare ancora o a ribellarmi. Mi blocco ancora. Le lacrime continuano a sgorgare dai miei occhi, senza fermarsi. Tutto il mio corpo, però, è fermo.
Vedo Mac cadere a terra, immobile. Non si rialza. Non respira. Nulla.
Non può essere morto anche lui. Non può. Perché l’ha fatto? Perché mi ha portato via tutto ciò che avevo? Come si può essere così crudeli?
Jo grida, ma quando tenta di raggiungere Mac, Romanoff la ferma puntandole l’arma contro.
“Ferma detective!” le intima. Sorride ancora, compiaciuto per ciò che ha appena fatto. Ha ottenuto ciò che voleva. Anche Jo singhiozza.
Io abbasso lo sguardo, anche l’ultima speranza se n’è andata. Romanoff ci guarda entrambe, divertito dal nostro dolore. Dalla nostra disperazione. Dalla disperazione di chi ha appena perso tutto. Continuo a guardare il pavimento coperto di sangue.
Proprio in quel momento di distrazione, in quell’unico momento, un altro colpo di pistola fende l’aria. Non riesco a guardare. Ha ucciso anche Jo. Non singhiozza più. Non sento più nessuno rumore. Adesso rimaniamo solo io e D.B. e poi ci avrà uccisi tutti. Le lacrime tornano a scorrere con un fiume in piena. Jo non aveva fatto niente. Avrebbe potuto risparmiarla e fuggire. Lasciarla libera di andare avanti con la sua vita. Sollevo lo sguardo, consapevole che ciò che mi troverò davanti mi ucciderà definitivamente. Forse mi procurerà un ultimo crollo emotivo prima della mia morte.
Ma… il colpo non era diretto a Jo. La vedo ancora seduta, una mano poggiata sulle labbra, gli occhi sbarrati per il terrore.
Il colpo era diretto a Romanoff e me ne accorgo solamente quando lo vedo cadere sulle ginocchia e poi a terra, esanime. D.B. tiene in mano la sua calibro 9 e la sta puntando proprio dove un attimo prima c’era il russo. Jo si scansa lasciando cadere il corpo. Con grande fatica si alza e corre verso Mac.
D.B. controlla che il russo sia morto e poi viene verso di me, ritirando l’arma. Mi solleva di peso per le braccia, io non collaboro, non ne ho la forza, poi mi stringe a sé. Singhiozzo e il mio corpo è scosso da tremori, ho la mani coperte di sangue, il sangue di mio fratello. Come potrò andare avanti? Sono sola. Totalmente sola.
“Calmati, Lena. È tutto finito. È tutto finito.” ripete per rassicurarmi. Io scuoto la testa. Come può chiedermi questo? Vorrei domandarglielo, ma le parole non vogliono uscire. Crollo ancora una volta sulle ginocchia e continuo a piangere. Ho perso tutto, tutto ciò che mi rimaneva. Lui si accovaccia accanto a me e mi dice qualcosa, poggiando la sua mano sulla mia spalla. Con le labbra mi sfiora una tempia. Vorrei scansarmi. Ma non ci riesco, sono troppo scossa, vorrei solo rimanere sola. Per sempre.
Ma che dico? Lo sono già. Totalmente sola.
D.B. si allontana, probabilmente raggiunge Jo e insieme escono a chiamare rinforzi. Non sento più nessuno. Continuo a singhiozzare accanto a mio fratello. Il suo corpo sta diventando pallido e freddo. La sua pistola giace accanto a lui. Un pensiero mi sfiora. Ci dev’essere ancora un colpo. Forse potrei…
Qualcuno mi sfiora la spalla.
Lasciami stare D.B.! Lasciami in pace! vorrei gridare. Ma non riesco a parlare. Non voglio parlare.
Forse guardandomi, guardando in faccia il mio dolore, capirà che mi deve lasciare, che deve andarsene. Quindi, sollevo lo sguardo.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao, con un po’ di ritardo ecco a voi il 23° capitolo! Spero vi piaccia, è il terzultimo, quindi mi rimangono solamente più due capitoli da pubblicare.
A presto, xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 24

 
Sgrano gli occhi di fronte a ciò che vedo.
Mac è inginocchiato accanto a me e mi sta guardando.
“Lena, sono qui.” mi dice semplicemente. Che sia un sogno? Che abbia le allucinazioni? Probabilmente sono diventata pazza dopo tutto questo. Dovranno rinchiudermi in un ospedale psichiatrico. Chiudo gli occhi più volte e li riapro. Lui è ancora qui.
L’ho visto cadere a terra, morto. Com’è possibile che…? Mi rendo conto che è tutto vero. È qui, accanto a me e sta tentando di tranquillizzarmi.
“E’ finita. Sono qui, amore mio.” mi ripete. L’unica cosa che riesco a fare è gettargli le braccia al collo e abbracciarlo. Voglio sentire il suo tocco, voglio essere sicura che sia tutto vero, che sia veramente qui. Lo stringo a me e non ho intenzione di lasciarlo. Mi culla delicatamente e mi sussurra parole dolci. Io respiro affannosamente, lascio che lui mi stringa e non mi muovo. È vivo. Mio padre è ancora vivo.
 
Mi aiuta ad alzarmi. Stringo le sue mani e guardo i suoi occhi azzurri. Mi sono mancati. Non posso credere di poterlo riabbracciare. Il calore delle sue mani mi pervade e mi dà una scossa di vita.
“Ma come…? Lui ti ha sparato, io…” balbetto, ancora sconvolta. L’ho visto morire, è questo che volevo dire. Era morto, come ha fatto a sopravvivere? Lui blocca i miei pensieri accarezzandomi il volto.
“Avevo un giubbotto antiproiettile.” mi spiega. “Ho qualche costola ammaccata, ma sto bene. Tu come stai?” chiede, studiandomi.
Io accenno un sorriso e annuisco.
Poi mi rendo conto che alle mie spalle c’è ancora il corpo di mio fratello. Mi volto ma subito torno a guardare Mac negli occhi. James è in un bagno di sangue, proprio come i miei genitori. Non voglio ricordarlo così. Voglio ricordarlo sorridente, felice e spensierato.
“Ti ha protetta fino alla fine, è questo l’importante, ok?” mi dice, prendendo il mio volto tra le mani. Ha capito cosa mi tormenta. E ha ragione, nonostante tutto non mi avrebbe uccisa, voleva rinunciare a tutto questo, sarebbe tornato da me.
Torno ad abbracciare mio padre. “Avevo paura non venissi.” sbotto. Mi accarezza i capelli.
“Non ti avrei mai abbandonata.” mi rassicura.
“Ti voglio bene, papà.” sbotto. Avevo bisogno di dirlo. Lui sorride e mi scocca un delicato bacio sui capelli. Continuo a singhiozzare e non riesco a sentire ciò che mi ha detto, ma credo che abbia sussurrato un ‘anche io’. 
“Adesso usciamo di qui.” gli sento dire.
Mi prende per mano e mi accompagna fuori, il caldo primaverile mi invade appena esco dalla piccola stanza.
Quando varchiamo la soglia, il sole mi acceca. Mi copro gli occhi con una mano, era più di una settimana che non lo vedevo, se non attraverso le finestre.
Alcuni paramedici stanno entrando a recuperare i corpi, vedo Sid che ci passa accanto e dà una pacca sulla spalla a Mac. Li guardo entrare e poi cammino verso D.B. e Jo che vedendo Mac, corre ad abbracciarlo.
Lui la stringe a sé, le scosta una ciocca di capelli corvini dal viso e la bacia. Una lacrima solca il volto di lei, che però continua ad accarezzare i capelli di mio padre, senza separare le labbra dalle sue. Quando si separano, lui le sussurra qualcosa che la fa sorridere, non riesco a sentire ciò che dice, l’udito sta sempre peggio, nonostante l’apparecchio.
Non so come ringraziare D.B. per tutto ciò che ha fatto, ma lui sembra capire e mi cinge le spalle con un braccio. Io appoggio la testa al suo braccio e con il mio gli circondo il petto in un abbraccio. Abbracciati, Jo e Mac, camminano verso di noi e Mac si congratula con il collega per la prontezza di riflessi e per aver ucciso Romanoff prima che ci facesse del male.
Il capannone pullula di poliziotti, entrano ed escono senza fermarsi, raccolgono prove, scattano foto. È tutto così terribile da sembrare irreale.
Vedo una macchina fermarsi al fondo della strada. Due uomini scendono e il guidatore corre verso di noi. Tento di mettere a fuoco la sua figura, ma solo quando è a una decina di metri da me capisco che è Flack. D.B. mi lascia, sa che correrò da lui.
Gli corro incontro e quando lo raggiungo gli getto le braccia al collo. Lui mi stringe e affonda il viso tra i miei capelli. Ricomincio a piangere.
“Stai bene?” mi sussurra, sembra che anche lui sia sull’orlo delle lacrime. Io annuisco, sollevata nel vedere che Romanoff non gli ha fatto del male. I coroner escono dal capannone con due barelle coperte da teli bianchi. Don li vede e capisce immediatamente.
“Mi dispiace, Lena. Mi dispiace tanto.” dice e mi stringe ancora più forte, per farmi capire che è lì con me. Questo è quello di cui ho bisogno. Che le persone che amo siano qui. In fondo non voglio rimanere sola.
Appena sciogliamo la stretta, lui avvicina le sue labbra alle mie. È il bacio più bello che abbia mai dato. È il bacio che mi dice che sono salva, che potrò andare avanti, che non è finita, nonostante mio fratello non ci sia più.
“Ti amo.” mi sussurra a fior di labbra. Sorrido e lui fa lo stesso. Lo bacio ancora e poi sussurro anche io quelle parole così belle e dolci. È la prima volta che le pronuncio, ma non è difficile, anzi, mi sembrano talmente facili da dire che le considero riduttive per esprimere ciò che provo.
“Ti amo anch’io, Don.” dico, con voce rotta dal pianto e gli occhi arrossati e gonfi.
Lo amo, la consapevolezza delle mie parole mi travolge. Lui è mio e io sono sua. Non esiste nient’altro. Solo noi. Ora che l’ho trovato non lo lascerò andare tanto facilmente. Vorrei solamente che mio fratello fosse qui per vedere quanto siamo felici.
Quando ci separiamo, vedo che tutti gli sguardi sono puntati su di noi. Sheldon, che è arrivato con Don, ha raggiunto Mac e ci guarda sorridendo.
D.B. sta ridendo e Jo sorride compiaciuta. Mac è stupito, ma quando ci avviciniamo mano nella mano sorride. Mi abbraccia e io stupita ricambio. Credevo si sarebbe arrabbiato, ma forse l’ho sottovalutato. Ha capito che ho bisogno di essere felice. Don si avvicina e mio padre sorride anche a lui.
“Trattala bene, o ti arresto.” lo minaccia. Don ride e mi abbraccia. Jo aveva ragione. È felice, forse quanto lo siamo noi.
 
Al funerale di mio fratello ci sono tutti. I nostri amici, i nostri insegnanti, tutti coloro che l’hanno conosciuto. Nessuno sa che si era alleato con Romanoff, nessuno sa della sua storia. Tutto ciò che è successo resterà un segreto e lui verrà ricordato come era prima che tutto questo succedesse.
Ricevo strette di mano e pacche sulla spalla da tutti.
“Lo supererai.” mi dicono.
Lo so, devo andare avanti, per i miei genitori, per James, per mio padre, Mac e per me. Dobbiamo andare avanti. I miei amici e Don mi aiuteranno, lo so. James ci mancherà, ma sappiamo, in fondo, che rimarrà sempre con noi.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco a voi il penultimo capitolo! Spero vi piaccia! Fatemi sapere.
Appena avrò un attimo di tempo, pubblicherò l’ultimo. Sarà più breve, dato che si tratta dell’epilogo.
I ringraziamenti, i saluti e i pianti, li rimando all’ultimo! ;D
A presto, con l’ultimo capitolo.
xX__Eli_Sev__Xx

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Little pieces of my life

CAPITOLO 25

 

“Ciao, papà.” dico, entrando in casa. Sento il rumore delle pentole in cucina.
“Ciao, tesoro. Com’è andata scuola?” mi chiede. Mi affaccio alla porta della cucina, lo raggiungo e gli scocco un bacio sulla guancia. Sorride e mi porge il cucchiaio con il sugo appena preparato. Lo assaggio e mi complimento con lui. Da quando sta con Jo, la sua cucina è migliorata.
“Bene. Jo?” domando, non vedendola intenta a cucinare con lui. Il che è strano.
“Arriva tra un po’. D.B. sarà qui tra dieci minuti.” mi avverte. D.B. viene a trovarci ogni due mesi e ad ogni festività È uno di famiglia, ormai. Io annuisco e vado a posare lo zaino in camera mia. È passato quasi un anno dalla morte di mio fratello, ma ogni volta che entro in camera mia e vedo il suo letto, mi torna in mente lui. Sto andando avanti, ma ho ancora gli incubi e di notte mi sveglio di soprassalto, tutta sudata e con le lacrime agli occhi. Lo psicologo dice che è normale, perciò non mi preoccupo.
I miei pensieri vengono interrotti dal campanello.
“Vado io.” dico, avvertendo mio padre. Quando apro la porta mi trovo davanti D.B. che mi sorride.
“Ciao, D.B.” dico e lo abbraccio, mi solleva da terra e mi scocca un bacio sulla guancia. Ha le labbra fredde, dato che è dicembre, ma non mi importa, mi è mancato così tanto.
“Lena!” quando mi poggia a terra mi porge un pacchetto. “Buon diciannovesimo compleanno, ho saputo che è stato la scorsa settimana.” mi dice. Io sorrido.
“Non dovevi, bastava che tornassi qui per Natale, ma grazie.” ribatto stringendo il pacchetto, che probabilmente contiene un libro. Da chi può averlo saputo, non lo so. Forse mio padre.
Lo invito ad entrare e prima che possa chiudere la porta, dal pianerottolo, vedo spuntare Flack, Sheldon e Sid.
“Ciao, ragazzi.” li saluto. Gli faccio cenno di entrare e quando lo fanno li abbraccio uno per uno. Quando abbraccio Don, lui mi sfiora le labbra con le sue.
“Ciao, bellissima.” mi saluta.
“Ciao.” saluto di rimando.
Quando arrivano Jo e Danny e Lindsay con Lucy, cominciamo a mangiare. È tutto bellissimo, D.B. passerà il Natale con noi e anche tutti i nostri amici. Durante la cena, ridiamo e scherziamo raccontandoci le nostre giornate. E siamo felici, come una famiglia.
Lancio uno sguardo a mio padre che di rimando sorride.
Non potrei essere più felice, stringo la mano a Don, felice che sia lì accanto a me. Lo amo e lui ama me, cosa potrei volere di più?
Gli anni passano, ma sono felice, ho diciannove anni, il prossimo anno andrò al college insieme a Ian e raggiungeremo Jeremy. Perché so che tutto questo è solo una piccola parte della mia meravigliosa, seppur semplice, vita.
 
 
 

The end

 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Bene, eccoci giunti alla fine. Spero tanto che la mia storia vi sia piaciuta. Sto già scrivendo il seguito che presto pubblicherò.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito, preferito, ricordato e soprattutto recensito!
Grazie, grazie, grazie!
Spero di sentirvi presto e di riuscire a pubblicare il sequel (è bellissimo da dire!)
 
A presto, una bacio, xX__Eli_Sev__Xx

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