Le Grazie

di Epicuro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'urlo di dolore di una giovane sposa ***
Capitolo 2: *** L'ira di Venere ***
Capitolo 3: *** Le sacerdotesse dell'amore ***
Capitolo 4: *** La principessa dei Ghiacci ***
Capitolo 5: *** Tra fiaba e leggenda ***
Capitolo 6: *** La curiosità uccise il topo ***
Capitolo 7: *** Un fatale errore ***
Capitolo 8: *** L'ultimo desiderio. ***
Capitolo 9: *** Siamo solo cenere ***
Capitolo 10: *** Ritorni inaspettati e raccomandazioni ***



Capitolo 1
*** L'urlo di dolore di una giovane sposa ***


PREMESSA

 

Ho avuto diversi dubbi nel decidere di mettere in rete questa storia, perché devo ammettere di non sentirmi completamente a mio agio nello scrivere travagliate storie d’amore (normalmente preferisco scrive comico-demenziale), ma ogni tanto un po’ di sano masochismo ci vuole per provare a cimentarsi in generi diversi dal solito!

 

AVVERTENZE

 

I Saint protagonisti sono quelli di Lost Canvas e le storia è ambientata nel post Ade della serie di Kurumada. Ammetto da subito di non aver letto tutto il manga, ma di essere arrivato al numero 24, per poi saltare al 26, al 33 al 35 e al 37 e 38 (prima o poi riuscirò a procurarmi gli arretrati), quindi, per i fan accaniti, perdonatemi per essermi preso qualche (diverse) libertà, soprattutto nei caratteri dei personaggi di Kurumada. Comunque la trama originale del manga sarà toccata solo di striscio in quanto non rilevante ai fini della storia, se non per le relazioni tra alcuni personaggi.

Scusate l’azzardo, ma come ho detto in premessa sono masochista e, per sensi di colpa nei confronti dei saint della serie classica, che sto torturando in altre sedi, ho deciso di torturare i loro baldi predecessori (Saga, Aiolia, Aiolos, Shura, Milo e compagnia bella tirano un sospiro di sollievo e ringraziano di cuore il qui presente scribacchino per l'esonero).

Il rating per ora è arancione, ma potrebbe tendere al rosso in futuro, in base ai personaggi (scusate, ma non ho ancora ben deciso fino a che punto spingermi con le descrizioni, in quanto mi sento ancora un po’ impacciato).

Bene, se non vi siete ancora scoraggiati e non mi avete ancora mandato a quel paese dopo aver letto le avvertenze, lascio la parola al capitolo!

Per chi lo desidera, buona lettura (almeno lo spero XD).

 

 

 

L’urlo di dolore di una giovane sposa

 

Il rosso cupo del sangue si espandeva a macchia d’olio nell’arena dei combattimenti del Grande Tempio.

Un giovane uomo sulla ventina giaceva riverso sulla terra arida, mentre una donna coperta in viso da una fredda maschera d’argento guardava impassibile il suo operato. Il suo onore di sacerdotessa era salvo e l’uomo che l’aveva vista in viso giaceva senza vita ai suoi piedi.

Non c’era più nulla da vedere e gli spalti si stavano svuotando dopo il trambusto dello scontro; lo spettacolo era finito. Solo più le urla di dolore di una giovanissima donna risuonavano ancora nell’arena. L’uomo con una fascia rossa nei capelli, che l’aveva trattenuta per la durata dell’esecuzione, lasciò la presa e la donna corse a piangere sul corpo del giovane. In lacrime si rivolse alla donna con la maschera:

«Perché? PERCHÉ? Era un soldato semplice! Non avrebbe mai potuto competere con un silver saint

«Ha visto il mio viso e chi vede il viso di una sacerdotessa è condannato a morte. Anche se sei una serva dovresti conoscere le regole del Santuario. Ho fatto solo il mio dovere per preservare il mio onore»

«Onore? Quale onore c’è nell’aver ucciso un uomo inerme per una sciocchezza del genere? Mio marito non vi ha vista di proposito! É un’ingiustizia!»

«Queste sono le regole dettate dalla somma Atena. Se fossero ingiuste non le avrebbe decretate.»

La donna si morse il labbro facendolo sanguinare, mentre l’uomo con la fascia rossa costrinse delicatamente la giovane a lasciare il corpo del marito.

«Atena» il nome della dea venne nominato in un sibilo di rabbia dalla donna, che non sfuggì all’uomo.

«Le regole del Santuario possono sembrare crudeli, ma sono tutte fatte per mantenere l’equilibrio e la pace al suo interno. E anche se di questa mi sfugge la ragione, sono sicuro che la dea l’ha fatta per il bene del Grande Tempio.» disse l’uomo con la voce più consolatrice possibile.

«Oppure per invidia... la dea conosce l’amore solo a parole!» rispose però in tono asciutto la giovane sposa.

«Ciò che hai detto è sacrilegio! Atena ama immensamente tutta l’umanità!» rispose sconvolta la donna con la maschera.

«Chiudi un occhio Silver Saint dell’Aquila, questa donna ha appena perso il suo giovane sposo!» disse l’uomo, poi rivolgendosi alla vedova: «Venite, vi accompagno a casa. Chiederò personalmente che vi venga concesso un giorno di sospensione dai vostri incarichi per lutto.»

«Vi ringrazio sommo Sisifo, ma non è necessario.» e la donna si scostò dall’uomo, che la guardò addolorato allontanarsi dall’arena.

La giovane sposa aveva infatti in mente altri propositi e quando arrivò alla sua umile capanna, dove aveva riposto i suoi sogni d’amore e il suo futuro, che ormai erano andati distrutti, prese un coltello dalla cucina andandosi a sdraiare sul letto nuziale.

“Ma che mi aspettavo da Atena e dai suoi saint, che sentissero il mio dolore? Che misera stolta che sono! Infondo dovevo immaginarlo che era solo una dea della guerra che gioca a far la donna. Dei sentimenti degli uomini alla fine non le importa nulla. Oggi ne ho avuto la prova, avrebbe potuto fermare la mano di quella silver saint, ma non l’ha fatto. Se non si tratta de suoi prediletti anche lei volge lo sguardo dall’altra parte. Siamo solo granelli di sabbia sospinti dal vento, ma se esiste ancora una divinità che ha a cuore il grido di dolore di una giovane sposa, faccia che questo sacrificio non sia stato vano, e che le mia disperazione sia il tormento di chi ha permesso questo”.

Il CLANG del coltello lasciato cadere sul pavimento, dalla mano ormai inerte della giovane, risuonò per tutta la stanza, mentre il sangue sgorgante dalla sua gola tingeva di rosso le candide lenzuola.

Una figura alta e ammantata aveva però osservato la scena:

«Donna, il tuo sangue non sarà stato versato in vano. Porterò il caos al Santuario e l’inferno nel cuore di Atena. Te lo prometto»

E la figura si face sempre più evanescente fino a svanire nel nulla.

 

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Capitolo 2
*** L'ira di Venere ***


L’ira di Venere

 

Una figura femminile alta e ammantata alzò il capo da un enorme bacile d’argento decorato con delfini e si andò elegantemente a sedere su un trono finemente intagliato. Sul retro del sedile vi era raffigurata la nascita di Venere, sulla sponda a sinistra, una giovane nuda intenta a suonare il flauto e, a destra, una donna vestita e con il capo velato, che spargeva incenso su un braciere.

Il trono era collocato al centro di un tempio rotondo situato in mezzo a un lago. Delfini e giovani fanciulle e fanciulli giocavano sulle sue sponde fiorite e le loro risa risuonavano per tutto il Santuario. Il profumo inebriante delle rose riempiva l’aria.

La figura ammantata però non rideva, ma emise un sospiro malinconico e tremendamente triste.

«Madre! Come mai quest’aria afflitta e non gaia, come consono alla dea dell’amore e della gioia?» un ragazzino adolescente alato, semisvestito, con faretra, arco e frecce fece il suo ingresso nel tempio svolazzando allegro tra le colonne.

«Perché il dolore provocato da un amore puro e cristallino spezzato ingiustamente mi provoca una tremenda tristezza, Eros.» disse la donna mentre rivolgeva al figlio i suoi occhi, in cui si rifletteva il mare.

Il ragazzo smise di esibirsi in piroette aeree e si avvicinò al bacile dove vide riflessa l’immagine della giovane sposa. Anche lui si rabbuiò e girò il viso paffuto verso la madre con aria interrogativa .

«Omicidio di un giovane sposo e suicidio della sua novella consorte.» spiegò Venere.

«Dov’è successo?» chiese il giovane dio.

«E proprio questo che mi fa infuriare! Al grande Tempio di Atene! Per via della barriera non sono nemmeno potuta intervenire, ma solo assistere impotente!»

«State scherzando madre? Li dovrebbe regnare la giustizia! Come è potuto capitare?»

«Devi sapere che in quel luogo vige una legge assurda che obbliga le donne guerriere a celare il loro volto con una maschera, segno della rinuncia alla loro femminilità. Se vengono viste senza, devono uccidere o amare chi ha avuto la sfortuna di vedere il loro volto. L’uomo di quella giovane ne ha vista una involontariamente ed è strato ucciso.»

«Ma è un’ingiustizia assurda! E Atena?»

«Non ha fatto una piega.»

«Ma non si è sempre schierata con gli umani ostentando amore universale e detestando spargimenti di sangue ecc... ?» Eros era stupefatto.

«Eros» sospirò la dea «Hai ancora molto da imparare. É più facile parlare di amore universale, che aiutare ogni giorno le persone che ci stanno accanto. Per quelle sconosciute si prova più facilmente pietà, per quelle a noi vicine, e a volte odiate, si è meno inclini al sentimentalismo.»

«Ma cosa può aver fatto ad Atena questa giovane coppia?»

«Invidia. Il peggiore dei mali. Quei due si amavano ed erano felici. Un fiore sbocciato tra le bruttezze della guerra. Erano l’amore che lei non ha mai avuto nelle varie epoche, nonostante abbia assunto un corpo di donna. I suoi cavalieri la venerano come dea, ma il suo corpo è quello di un mortale e quindi prova anche lei passioni e desiderio! I suoi uomini però non la vedono come tale e lei è ben lungi da scendere così in basso da corteggiare un umano apertamente. E non sa che si perde! Ogni scelta ha il suo prezzo da pagare!»

«Da quando Atena si confida con voi, madre?»

«Che razza di domanda è? Come dea dell’amore ho la facoltà di vedere nei cuori di umani e dei!»

Eros sorrise «Già è vero, nemmeno il grande Zeus riesce sottrarsi al vostro fascino»

«L’amore è una delle forze più potenti dell’universo, senza il mondo sarebbe già finito! E nonostante questo, quella frigida invidiosa continua a considerarmi una divinità dissoluta che danneggia gli umani con le sue dolci lusinghe. Ma cosa crede, che Zeus e gli dei dell’Olimpo abbiano vanificato gli effetti delle distruzioni di Ade per il suo aulico discorso?» disse la dea.

«Ve li siete passati tutti?» chiese maliziosamente Eros.

«Sì, pure Artemide! Sotto le lenzuola gli uomini sono più concilianti... e anche le donne! E nonostante questo, quella piccola ingrata moralista ha ancora la faccia tosta di rinfacciarmi di non far nulla per il genere umano! Se il suo adorato harem è tornato in vita insieme alle vittime di quell’impiastro del dio degli inferi non è certo per opera sua! Lei li fa accoppare tanto quanto Ade e compagnia bella, altro che resuscitare! Che lei ci sia o no al Grande Tempio, non è che faccia poi tutta questa differenza in battaglia, per quanto si vanti!»

«Siete acida oggi!» ridacchiò sornione il dio alato.

«Task! Il fatto che io non scenda in prima linea sui campi di battaglia non vuol dire che non agisca di persona per alleviare il cuore e l’animo degli uomini! Senza l’amore e la bellezza la loro vita sarebbe solo una battaglia continua senza soddisfazioni. Un altro inferno!»

Eros assunse una postura composta e autoritaria ad imitazione della madre di ritorno dagli incontri sporadici con la dea della Giustizia, copiandone anche la voce angelica ma dura: «Quella zitella acida e repressa come osa dirmi che non mi sono mai compromessa con gli umani, quando dal mio amore è nata una genia imperiale! Altro che compromessa, io agli uomini ho sempre dato tutta me stessa!»

«Eros, stai diventando veramente indisponente!»

Il dio bricconcello sfoderò un dolcissimo sorriso e due occhioni innocenti alla madre che rise di gusto: «Piccolo birbante!», ma poi tornando seria disse: «Ho intenzione di far vedere ad Atena quanto può essere terrificante il potere dell’amore. Prenderò sulle mie spalle il dolore e il sacrificio di quella giovane sposa e lo farò suo. Rimpiangerà amaramente il suo comportamento duro nei confronti dell’amore. Come scesi al Santuario duecento anni fa, per curare le ferite dei suoi soldati distrutti, in quest’epoca lo invaderò di dolore e disperazione» e la dea accarezzò la sponda del trono in cui c’era la suonatrice nuda: «Perché come portai l’amor sacro, che oggi lei ha lasciato infrangere per invidia, in questa epoca porterò al santuario l’amor profano e il devastante dolore che porta con se perdita, tradimento e passioni mal riposte!»

Eros si rabbuiò: «Quanto l’amore sacro innalza il cuore e lo spirito degli uomini, tanto l’amor profano precipita le anime nelle tenebre. Madre, siete sicura di quello che volete fare? Ne finiranno coinvolti anche i suoi saint, per i quali avete provato pietà e sconforto! E neanche le nostre sacerdotesse ne saranno immuni, sono umane anche loro! L’amore è un’arma a doppio taglio!»

«Lo so, ma anche i saint di Atena mi hanno deluso. Nessuno di loro ha alzato un dito. E come ho già detto ogni decisione ha il suo prezzo. Eros, convoca le Grazie al mio cospetto. Invaderò il santuario e avrò il cuore di Atena! Sono disposta a sopportare il peso della mia decisione!»

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Capitolo 3
*** Le sacerdotesse dell'amore ***


Le sacerdotesse dell’amore

 

Venere sedeva bellissima e maestosa nel suo Tempio. I suoi lunghi capelli dorati scendevano sinuosi lungo le spalle. Un lungo vestito celeste con strascico ricopriva il suo corpo snello ed elegante, ma allo stesso tempo generoso. Amore sacro e amore profano in lei convivevano armoniosi.

Dieci giovani donne nel fiore della loro bellezza e grazia erano in ginocchio davanti alla personificazione dell’amore:

«Per servirvi somma Venere!» dissero in coro le Grazie.

Venere le guardò e, con un velo di tristezza, sospirò, dopo di che si alzò dal trono e con un gesto della mano fece apparire nell’aria 12 volti di uomini. Le giovani li guardarono incuriosite tranne due; una avvolta completamente di bianco e con una maschera sul volto e una bionda dai capelli lunghi e lisci, dagli occhi di ghiaccio e riccamente abbigliata.

«Mie predilette che avete ottenuto il titolo di Grazie, ho una missione da affidarvi. Dovete far cadere in tentazione questi uomini. Ogni mezzo è lecito!»

«In guerra e in amore tutto è concesso!» commentò con un sorriso tra il sarcastico e il perfido la giovane bruna riccia, vestita da bandito.

«Esatto Angelica! Ma questo incarico non sarà facile, perché gli uomini in questione sono i gold saint di Atena!»

«Non si preoccupi somma Venere, sotto il cloth sono come tutti gli altri! Basterà usare il “Fascino” e il gioco è fatto!» disse senza tante preoccupazioni una castana dai capelli mossi e dagli occhi nocciola. Indossava un lungo vestito con vistosa scollatura e spacco.

«E proprio questo il problema Ginevra! Non potrete usare il “Fascino”! Essendo cavalieri di Atena, se usaste il vostro cosmo, vi scoprirebbero subito e non avete armi aggressive a vostra disposizione. Dovrete agire come donne comuni! Inoltre dovrete introdurvi all’interno del Santuario.»

«C’è un motivo preciso per il quale dobbiamo introdurci al Santuario?» chiese la giovane con i capelli lunghi fino alle spalle, azzurri e non particolarmente alta. Vestita da maschiaccio.

«Ariel, non è necessario che li seduciate al Santuario, ma è necessario che vi introduciate al suo interno. La vostra missione serve a rendere nulle le difese del Grande Tempio. Rubate i loro cuori e rendeteli vostri schiavi. In questo modo raggiungerò il mio vero obbiettivo senza trovare ostacoli sul mio cammino. Trasformare il Santuario di Atena in una mia seconda dimora mi permetterà di oltrepassare inosservata la barriera della dea.»

«Divina Venere, in poche parole dobbiamo portare il caos al Grande Tempio di Atene per farvi raggiungere indenne la dea della Giustizia giusto?» La giovane dai tratti orientali e vestita in kimono fece un inchino.

«Sì Sango! Esattamente, ho deciso di prendere su di me l’ultimo desiderio di un amore infranto ingiustamente.»

«Però non sarà facile tenere a freno il nostro cosmo! Non siamo abituate come i saint a tenerlo sotto controllo. Siccome è alimentato dalle nostre passioni e dai nostri sentimenti è fortemente soggetto alla nostra indole!» disse la donna dia capelli neri raccolti in una coda, occhi azzurri, carnagione ambrata e vestita da odalisca.

«Lo so Meroe, per questo bloccherò il vostro cosmo, in modo che non si possa manifestare in modo accidentale ed involontario.» rispose Venere.

«Quindi dovremmo agire alla vecchia maniera? Cioè corteggiamento e robe simili?» Chiese poco entusiasta la giovane dai capelli rossi e occhi verdi, vestita con un abito corto all’amazzone.

«Sì Dalila, vecchia scuola!»

«Con quali modalità? Amor sacro o amor profano?» chiese una ragazza dai capelli castano chiaro, raccolti in una treccia, e gli occhi viola, che indossava un kitone.

«A vostra discrezione Sofia. Vi lascio agire come preferite, l’importante e che portiate i cuori dei saint lontano dalla loro dea.»

La ragazza emise un sospiro di sollievo.

«Bene, se vi è tutto chiaro...» le Grazie annuirono «... Assegnerei due cavalieri particolari a due di voi. Lia, fatti avanti!»

La ragazza con i capelli biondi e mossi, raccolti elegantemente in una crocchia, fece un passo avanti e si inginocchiò di fronte alla sua dea. Vestiva abiti austeri e accollati.

«Ti affido il cavaliere della Vergine Asmita. Non è una preda facile, ma ho piena fiducia nelle tue capacità! Mi raccomando tatto e saggezza!»

«Non vi deluderò! Il suo cure sarà vostro!»

La dea annuì e chiamò al suo cospetto la donna ammantata di bianco e con la maschera: «Rose, il cavaliere dei Pesci Albafica è invece di tua competenza. Ha il sangue tossico, ma so che sei perfettamente in grado di dominare il tuo cosmo in tutte le circostanze, quindi non ne verrai privata e con le tue capacità potrai avvicinarlo senza pericolo!»

«Servirvi è un onore!» e la donna uscì dal tempio dopo un lieve inchino.

«Per quanto riguarda gli altri gestiteveli voi in base a vostri gusti e tornate vittoriose!»

«Non vi deluderemo somma Venere!» dissero in coro le Grazie, mente Venere lasciava il Tempio per ritirarsi nelle sue stanze private.

Le giovani rimaste sole iniziarono a contendersi le prede. Deluse per l’assegnazione irremovibile del cavaliere di Pesci, i più quotati erano l’Acquario, il Sagittario e il Capricorno, che fecero scaturire un acceso dibattito.

«Il tenebroso Capricorno mi suscita interesse, ho sentito dire che ha un’ottima tecnica di spada!» disse Ginevra maliziosa.

«Sei veramente volgare Ginevra!» disse Sofia con disappunto.

«Scusa se ho scandalizzato le tue dolci orecchie, donna angelo, perché non ti butti sul Sagittario? La sua armatura è alata, fra angioletti dovreste filarvela!»

Sofia la guardò accigliata.

«Ehi! Il Sagittario interessa a me!» intervenne Ariel.

«Mettiti in coda! Perché non ci provi piuttosto con il Leone?» rispose Dalila.

«Ma se non sarà nemmeno maggiorenne! Se lo cucchi Ginevra, che intanto la morale a lei non fa un baffo!» protestò Ariel.

«Mi dispiace, ma non mi piacciono i cuccioli da svezzare. Non ho pazienza!» replicò seccata Ginevra.

«A me intriga invece l’Acquario, ha quel non so che di misterioso!» intervenne Sango.

«Spiacente, ma Degel è di mia competenza e non accetto dissensi.» La giovane bionda dagli occhi di ghiaccio, rimasta in silenzio per tutta la riunione, parlò con voce fredda e determinata.

«Svetlana! Chi ti credi di essere per imporre in questo modo la tua decisione?» rispose irritata l’orientale.

«Semplicemente, fra di voi, sono l’unica in grado di avvicinarlo facilmente.» rispose Svetlana.

«Lo conosci?» chiese curiosa Meroe.

«No, ma so che è il migliore amico di Unity di Blugrad, il futuro sposo di mia sorella Anastasia. Tra poco i due convoleranno a nozze forzate e l’Acquario sarà sicuramente tra gli invitati.» Svetlana chiuse secca il discorso e se ne andò dal tempio.

«É insopportabile con il suo atteggiamento da principessa sotto vetro!» borbottò Angelica.

«Svetlana è una principessa!» rispose pacata Lia.

«Pfiù, questo conta poco! Se si dasse meno arie sarebbe più simpatica! Comunque, a me interessa il Cancro! Ha l’aria di un mascalzone! Ci sarà da divertirsi!» concluse Angelica portandosi le mani dietro la testa.

«Tutto tuo!» dissero in coro le altre Grazie, mentre Meroe disse:

«Sentite io lascerei perdere questo discorso inconcludente. É inutile stare qui a discutere per tre polli, intanto doppiamo spennarli tutti e dodici, più quelli di rango inferiore per avvicinarli. Tanto vale sedurre il primo che ci capita. Intanto queste cose non si possono mai controllare fino in fondo senza l’uso del “fascino”»

«Hai ragione Meroe. Senza il nostro cosmo, inebriare i loro sensi sarà più difficile perché rimarranno soggetti ai loro gusti. Quindi non è detto che l’obbiettivo che ci siamo prefissate sia quello che poi finisce nella rete.» analizzò Lia, che poi sospirò: «Io invece non ho la vostra fortuna! Mi sono aggiudicata una bella gatta da pelare. Me lo sento!»

«Più che tutto un bel cavaliere da spogliare! Ehi! Perché non facciamo a gara a chi ne colleziona di più?» rise Ginevra, mentre Lia volgeva gli occhi al cielo sospirando rassegnata all’idea di sentire una frase non a luci rosse della bocca della pari grado.

«Ginevra! Il nostro compito è serio, non un gioco!» la riprese Meroe, mentre Sofia annuiva alle parole dell’amica.

«Mamma mia, non si può neanche scherzare! E va bene la smetto per oggi! Andiamo a preparaci per la Grecia allora!» e Ginevra uscì dal tempio seguita dalle altre Grazie.

 

Nel frattempo...

Stanze private di Venere.

 

«Mi avete fatto chiamare, madre?»

«Sì, figlia mia. Ho un incarico importante da assegnarti. Te la senti?» e Venere fece accostare la figlia in un recipiente d’argento contenente dell’acqua. Nella superficie limpida del liquido si rifletteva l’immagine di un giovane ragazzo castano.

«È da duecento anni che aspetto il momento di poter scendere sulla terra.» rispose la ragazza.

«Questo giovane guerriero è la chiave del mio successo. Non puoi permetterti di fallire.» disse seria Venere alla figlia, guardandola nei suoi occhi celesti.

«Sono nata dall’amore, per amore e per servire l’amore. Chi infrange crudelmente l’amor sacro commette sacrilegio nei vostri confronti. Ed è ancor più grave se tale atto l’ha compiuto una dea. Il Santuario cadrà per mano mia.»

Negli occhi della fanciulla si leggeva determinazione e serenità insieme.

“Gli assomigli ogni giorno di più” sospirò sorridendo Venere e con un bacio congedò la figlia, che uscì dalla stanza con grazia ed eleganza.

«Volete proprio mettere in ginocchio Atena!» commentò Eros uscendo dall’ombra.

«Ti ho già detto che Atena patirà le pene dell’inferno, no?»

«Sareste stata un’ottima regina degli inferi!!»

«Per carità, odio il nero!» ridacchiò la dea e poi solenne ad Eros.

«Sai cosa devi fare a tempo debito?»

«Certo madre! Amo giocare sporco!» e una luccicante freccia d’oro comparve sulla mano di Eros, che poi scomparve insieme ad essa.

 

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Capitolo 4
*** La principessa dei Ghiacci ***


La principessa dei ghiacci.

 

Svetlana aveva ormai quasi finito di preparare i bagagli, quando Lia bussò alla porta della sua stanza.

«Entra pure»

La donna entrò e rimase perplessa nel vedere gli abiti che indossava l’amica.

«Come mai abito principesco e pelliccia bianca? Ad Atene non fa così freddo e Sofia ci ha detto che al Grande Tempio usano ancora i kitoni!».

«Neanche tu sei vestita da antica greca» constatò però Svetlana. Lia indossava infatti un lungo abito scuro e sobrio.

«Volevo passare a salutare un mio vecchio conoscente ad Atene, prima di iniziare la missione. Intanto la città non è lontana dal Grande Tempio.» rispose Lia.

«Io invece non verrò in Grecia con voi. Parto alla volta di Blugrad.» Rispose porgendo una busta a Lia.

«È l’invito per le nozze di tua sorella?».

«Sì. Me l’hanno inviato Anastasia e Unity, all’insaputa di nostro padre.»

«Sei sicura di voler agire in questo modo? Il passato potrebbe riaprire ferite mai rimarginate.»

«È da tempo ormai che il passato non ha più valore per me. Ho superato, credimi!»

«Non fingere con me, anche se hai rivestito il tuo cuore di ghiaccio, posso percepire ancora la fiamma del rancore!» Lia guardò Svetlana, che si sedette sul letto lasciando trasparire dai suoi occhi grigi la tristezza.

«È per mia sorella...non voglio che subisca la mia stessa sorte.»

«Capisco.» Lia si sedette di fianco all’amica e gli accarezzò i capelli e disse: «E come farai con tuo padre?»

Svetlana serrò le labbra per la rabbia: «Lui non ha più alcun potere. É tremendamente in debito con me.» Gli occhi della donna erano nuovamente tornati di ghiaccio.

«Sei quindi decisa ad affrontare il tuo passato?» chiese Lia.

«Sì!»

«Allora non posso trattenerti, ma fa attenzione, i sentimenti feriscono più delle spade!»

«Purtroppo lo so bene!» e le due amiche si abbracciarono.

«Ci rivedremo al Grande Tempio.» sorrise Svetlana.

«Ci conto, principessa dei ghiacci!» gli sorrise di rimando Lia.

 

Settimane dopo...

Blugrad.

 

Una carrozza bianca decorata d’argento e trainata da due cavalli, anch’essi candidi, si fermò davanti al cancello di un palazzo nobiliare. Il cocchiere scese dal suo sedile e aprì la portiera. I due soldati di guardia all’ingresso del palazzo, vedendo la donna vestita di bianco e argento, che scendeva dalla carrozza, sbiancarono increduli.

«Che c’è? Non avete mai visto una donna? Invece di stare il impalati andare ad avvisare qualcuno del mio arrivo. Dite che la principessa dei Ghiacci è tornata!»

Uno dei due soldati si inchinò goffamente è corse nel palazzo, mentre l’latro restò paralizzato a guardare la donna a bocca aperta.

“Tsk, guarda come sono ridotti questi, e sono pure sprovvista del Fascino!” pensò infastidita Svetlana, ma la sua attenzione fu catturata da una giovane ragazza vestita di rosa e oro che correva nella sua direzione, rincorsa da una serva con una pelliccia:

«Principessa Anastasia così vi ammalerete proprio in vista delle vostre nozze!»

Ma la giovane non gli diede retta e si affrettò ad aprire il cancello e si buttò tra le braccia della sorella maggiore.

«Svetlana, sapevo che saresti venuta!» disse raggiante.

«Per te sposterei le montagne!» e le due sorelle si ricambiarono un caloroso abbraccio.

 

Poco dopo, nelle stanze di Anastasia.

 

«Allora che ne pensi?»

Anastasia aspettava con ansia il verdetto della sorella maggiore.

«È bellissimo e ti sta d’incanto.» sorrise Svetlana guardando la sorella in abito da sposa.

«Che cos’hai?» chiese Anastasia vedendo un turbamento nel volto ieratico della sorella.

«Nulla, tranquilla».

«Non è vero. Svetlana... io so.»

La Grazia rimase spiazzata dalle parole della sorella minore e dal suo sguardo maturo e comprensivo. Dall’ultima volta che l’aveva vista si era fatta non solo donna nel fisico ma anche nel carattere.

«Non capisco.»

«Invece sì. La triste storia della principessa dei Ghiacci è leggenda. Solo che tutti conoscevano una fine diversa dalla realtà. Perché hai lasciato credere che eri morta? È stato uno shock scoprire che era stata una messa in scena montata da nostro padre!»

«In quel modo l’onore della famiglia e il mio sì sarebbero preservati.»

«In un certo senso devo quindi ringraziare le armate del regno dell’Ovest se ora sei qui al mio matrimonio.»

«Non dirlo nemmeno per scherzo!»

«Ma è vero! Sei comparsa all’improvviso per bloccare l’esercito che stava per invadere e devastare le nostre terre! Svetlana ho sofferto tremendamente per la tua scomparsa e quando ho scoperto che eri ancora viva non puoi immaginarti che gioia ho provato, anche se sei sparita nuovamente poco dopo. So quanto ti costa essere qui.»

Svetlana abbracciò la sorella e gli mormorò: «Perdonami, ho sofferto molto anch’io in questi anni, ma non ho potuto fare diversamente, ma credimi, ho sempre vegliato su di te e lo farò sempre!»

Un inserviente entrò bussando nella stanza e servì tisana e pasticcini. Le due donne si accomodarono e Svetlana, dopo aver zuccherato la bevanda, iniziò a fare domande alla sorella sul futuro sposo.

«Parlami di Unity, si chiama così giusto?»

Anastasia annuì arrossendo: «Sì, è il governatore di Blugrad. É bellissimo e colto. Ci siamo conosciuti durante un ballo organizzato da nostro padre.»

«Un matrimonio politico dunque, Dimitri non si smentisce mai! L’ideale per suggellare un legame tra Blugrad e il Regno dei Ghiacci!» disse accigliata Svetlana.

«Non è come sembra... sì è un matrimonio combinato, ma io e Unity ci amiamo. Prima di chiedere a nostro padre la mia mano, mi ha scritto diverse lettere e ora che mi sono trasferita qui, per i preparativi delle nozze, abbiamo avuto modo di conoscerci. É molto gentile e raffinato»

«Come lo era sire Jacob»

«No, ti posso garantire che il nostro è un matrimonio d’amore Svetalna! Ho piena fiducia in Unity!»

«Lo conosci solo da poco.»

«Quando ci si ama lo si capisce al volo»

Svetlana sorrise nel vedere la determinazione della sorella nel difendere il suo futuro uomo. Dai suoi occhi si vedeva che era perdutamente innamorata di Unity.

«Allora se sei così convinta non posso far altro che darti la mia benedizione!» sospirò Svetlana.

«Sapevo che avresti capito!» disse sprizzante di gioia Anastasia: «é un bravo uomo e ha sofferto tanto nella sua vita. Sono sicura che piacerà anche a te!»

Le due donne vennero interrotte da dei passi frettolosi e da una porta aperta energicamente:

«Svetlana, come hai osato presentarti qui? E tu Anastasia, che ti è saltato in mente di invitarla, lei è una...»

«... vergogna per il casato!» concluse senza scomporsi Svetlana, che, senza alzarsi dalla poltrona, appoggiò la tazzina sul tavolo: «Dimitri, nel giorno più bello di mia sorella, non potevo mancare.»

«Padre, per me è una gioia dividere la mia felicità con mia sorella, anche Unity era d’accordo e...»

«Anastasia esci. Io e Svetlana dobbiamo parlare.» la futura sposa annuì e uscì dalla sala.

L’atmosfera si era fatta gelida. Dimitri, il sovrano delle Terre del Ghiaccio, guardava con astio la figlia maggiore, che ricambiava lo sguardo con i suoi impassibili occhi grigi. Fu l’uomo a parlare per primo.

«Sei venuta a mandare a monte il matrimonio di tua sorella? Sai quanto è importante questo sodalizio?»

«Dei vostri problemi politici non me ne curo Dimitri, ma del cuore di mia sorella sì. Non lascerò che soffra come ho sofferto io, per colpa delle vostre scelte diplomatiche. Questo ve lo posso giurare... per il matrimonio... se lo manderò a monte o no, questo dipenderà Unity.» E Svetlana si alzò.

«Dove credi di andare! Non lascerò sfasciare i trattai diplomatici con Blugrad per mano di una volgare prostituta!»

«Grazia, prego. Sono sacerdotessa di Venere e non mi sono mai venduta. L’unico ad averlo fatto siete stavo voi! Rammentate?»

La donna si ergeva di fronte al padre, che indietreggiò. La figura altera e maestosa della Grazia sapeva infatti incutere soggezione.

«Se fossi in voi non sarei così scellerato da entrare nelle ire di Venere. Avete già visto di cosa è capace il potere di una Grazia sotto la protezione della somma dea dell’amore, no?»

Il padre deglutì, ricordava bene l’improvviso arrivo della principessa, l’anno precedente, che aveva portato alla tomba le armate nemiche. I soldati dell’esercito mandato a devastare il suo regno si erano uccisi a vicenda per ottenere i favori che la principessa di ghiaccio aveva messo in palio al più forte fra loro.

La sacerdotessa sorrise: «Sì, Dimitri, avete un enorme debito nei miei confronti. Quindi guai a voi se rivelate la mia attuale natura ad estranei. Solo voi siete stato testimone di quell’episodio e siete anche l’unico a conoscenza del mio attuale ruolo.»

«È una minaccia?»

La Grazia sorrise gelida: «Ovviamente.»

Poi avvicinandosi all’orecchio del padre sussurrò:

«Non vorrete mica inimicarvi una divinità, seppur straniera? Non sarebbe da voi, che avete sempre cercato di ottenere il potere con subdoli sotterfugi politici!»

L’uomo sbiancò sotto gli occhi freddi e compiaciuti della figlia.

«Logicamente no.» rispose il re.

«Allora non intralciatemi.»

L’uomo alzò tetro lo sguardo verso la Grazia:

«Come volete»

Svetlana rivolse al padre un sorriso luminoso e uscì dalla stanza, decisa a recarsi al palazzo del Governatore di Blugrad.

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I saint arrivano, non me li sono persi per strda XD, ma avevo bisogno di un capitolo per introdurre Svetlana che è un personaggio un po' complesso psicologicamente.

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Capitolo 5
*** Tra fiaba e leggenda ***


 

Tra fiaba e leggenda

 

Palazzo del governatore di Blugrad.

 

«Prego, accomodatevi. É un onore conoscervi, vostra sorella mi ha parlato molto di voi» Unity aveva dato un caloroso benvenuto a Svetlana, che si accingeva ad accomodarsi in una delle poltrone dello studio del governatore.

Unity si accomodò a sua volta e continuò a parlare:

«La vostra visita mi coglie di sorpresa. Le presentazioni dei rispettivi parenti normalmente si effettuano durante il ballo cerimoniale del Cigno.»

«Sì, conosco i vostri usi. Ho avuto modo, nei miei anni di assenza, di conoscere molte realtà e culture diverse, ma spero che possiate perdonare la mia sfacciataggine.»

«Figuratevi» rispose accomodante Unity, mentre il sorriso dolce di Svetlana si era d’improvviso trasformato in una maschera fredda ed inespressiva, simile ad un’icona.

«Allora non vi dispiacerà si vi chiedo per quale prezzo avete comprato mia sorella.»

«Scusate prego?» Unity rimase completamente spiazzato da quell’intervento.

«La stirpe della mia terra natale è rimasta legata alle leggi dei popoli barbari da cui discendiamo. Quindi per gli uomini dei Ghiacci i matrimoni non sono nulla di più che compravendite.» rispose in tono asciutto la donna.

«Nessun prezzo vale l’amore di Anastasia. Ve lo garantisco!» l’espressione di Unity si era fatta seria e glaciale a sua volta.

«Avete eluso la mia domanda. Comunque avete ragione. Il regno dei Ghiacci non ha prezzo.»

«Non comprendo.»

«Sarò più chiara allora. Il re Dimitri ha solo due figlie. Io ho gettato infamia sulla famiglia reale e quindi sono stata esclusa dalla successione. Di conseguenza, alla morte del re, voi erediterete le sue terre.»

«Quindi credete che io prenda in moglie Anastasia solo per convenienza! É vero, il nostro può sembrare un matrimonio d’interesse, e vostro padre probabilmente lo vede in questo modo, ma vi assicuro che la amo, e mi irrita alquanto sentirvi parlare di lei come un capo di bestiame! Non ho suggellato il patto contro la volontà di vostra sorella. Ho chiesto prima il suo consenso che quello del re dei Ghiacci e, nonostante per le vostre leggi io abbia già acquistato tutti i diritti su Anastasia, ho deciso di coronare il nostro amore tramite le usanze di Blugrad. Per me e il mio popolo il matrimonio è un atto sacro. Non una compravendita!» Unity aveva iniziato ad irritarsi e aveva alzato la voce.

«E proprio per questo che sono qui. Per verificare che mia sorella non sia solo uno strumento politico. Desidero per lei un futuro radioso e sarei disposta a tutto per evitarle quello che ho subito io.» e la Grazia puntò i suoi occhi grigi su quelli del governatore.

Unity si sentì mancare. Quello sguardo era come una daga tagliente che penetrava la sua anima e, nonostante il suo abbigliamento, sì sentì completamente nudo ed impotente nei confronti di quella donna.

Il tutto durò una frazione di secondo e Svetlana, distogliendo lo sguardo da Unity, si alzò e disse:

«Ma vedo che fortunatamente quello che dite è verità. I vostri sentimenti sono sinceri. Il vostro matrimonio avrà la mia benedizione e protezione. Ma badate bene, se le farete soffrire, la mia ira sarà funesta.»

Unity era impietrito e non riuscì a rispondere nulla di sensato, ma solo a farfugliare un sì.

Svetlana, in compenso aveva nuovamente assunto un sorriso dolce e rassicurante.

«Vi ringrazio per avermi ricevuta governatore. Non è necessario che vi scomodiate. Conosco la strada.»

Unity annuì e si lasciò scivolare sulla poltrona dopo che la donna aveva chiuso la porta dello studio alle sue spalle.

“Avevo sentito le voci che giravano su di lei, ma credevo fossero solo leggende!”

 

Intanto, l’ungo il corridoio che portava allo studio di Unity, Degel dell’Acquario si inchinò leggermente in segno di rispettoso saluto nei confronti della nobildonna che usciva dallo studio dell’amico. Svetlana gli rivolse un sorriso e un inchino di circostanza e proseguì senza voltarsi, come a sua volta il cavaliere.

Degel entrò bussando nell’ambiente e, vedendo l’amico pallido e assorto gli chiese:

«Unity, cos’hai? Sembra abbi appena visto un fantasma!»

Il governatore rivolse il suo sguardo al cavaliere: «Un ex fantasma Degel! Ti è mai successo di sentire la tua anima messa completamente a nudo?»

«Eh? Di che stai parlando?»

«La principessa dei Ghiacci, non ne hai mai sentito parlare?»

«Vagamente, non è una sorta di fiaba che si racconta nelle terre del Ghiaccio nei giorni invernali davanti al camino?»

«E se ti dicessi che non è una favola, ma che è la realtà?»

«Ma dai, mi prendi in giro!» rise divertito l’Acquario.

«Eppure la protagonista della storia dovresti averla incontrata poco fa, nel corridoio.»

«Parli della nobildonna bionda che è appena uscita dal tuo studio?»

«Sì, la principessa, la fata o strega dei Ghiacci, come la si vuole chiamare, è Svetlana, la sorella di Anastasia. Non lo sapevi?»

«No! Al dire il vero non conosco nemmeno tanto bene la favola. Ho solo vagamente presente che era una storia di politica, magia e amore. O qualcosa del genere. Non mi sono mai appassionato a questo genere di cose.»

«Più che una favola è una tragedia.»

«Le tragedie finiscono con la morte del protagonista, ma mi sembra che quella donna fosse viva.» rispose ironico Degel.

«Infatti, fino ad un anno fa, credevamo che Svetlana fosse morta. Ma è proprio con la sua ricomparsa che la sua leggenda si è diffusa. Nelle versioni in cui è vista come strega, si dice che sia in grado di portare alla distruzione un intero esercito, oppure, in quelle in cui è una fata, che corra in soccorso alle giovani donne in pericolo, che la invocano!»

«Umm, non è che potresti raccontarmi la sua storia per intero?» chiese corrugando la fronte il saint.

«Come vuoi, ma mettiti comodo, non è una storia allegra» e Unity iniziò a narrare all’amico la infausta sorte della principessa:

«La principessa dei Ghiacci era stata data in sposa da suo padre a sire Jacob, il sovrano confinante con la terra del Ghiaccio, come pegno della tregua tra i due regni. Durante il viaggio per raggiungere il marito, la ragazza venne però violentata dalle guardie inviate dal re per condurla al suo palazzo. Una volta giunta al cospetto di Jacob, e dopo la sua prima notte, venne ripudiata dal marito in quanto non più vergine. Jacob, dichiarando di essere stato truffato, annullò le trattative di pace gridando vendetta per l’umiliazione subita. La principessa nel frattempo aveva appreso che le guardie avevano avuto l’ordine di abusare di lei proprio per poter inscenare l’inganno. A nulla valsero le spiegazioni e le giustificazioni della giovane al padre, che la diseredò per l’onta subita dal casato e, per la disperazione e il disonore, la donna si gettò da una scogliera nel freddo mare che lambisce le sue terre. Si dice che al momento stesso della sua morte, l’esercito di sire Jacob impazzì e che tutti i sui uomini si uccisero a vicenda, compreso il re. Sulla neve fu ritrovata una scritta che diceva “Chi osa oltraggiare l’amore e l’onore delle donne a me votate cadrà per mano del mio Fascino”, mentre l’immagine evanescente di una splendida donna bionda si dissolveva nel nulla. Da allora Svetalna è venerata dalle donne del luogo quasi fosse una semi divinità e temuta dagli uomini.»

«La storia è veramente crudele, ma vedo difficile che un intero esercito possa aver perso a tal punto il senno per una fanciulla! É tipico dei cantastorie ingrossare e mitizzare le imprese di guerra di un regno! » commentò scettico Degel.

«Lo credevo anch’io fino ad un anno fa, quando il fantasma della principessa è ricomparso per fermare l’avanzata dell’esercito dell’Ovest, rivelando che in realtà non era morta, ma semplicemente andata in esilio, dopo aver sterminato l’esercito avversario. Pare che il suicidio fosse stato inscenato per ripristinare il buon nome della famiglia reale.»

«E come l’ha fermato l’esercito dell’Ovest?»

«Il regno del Ghiaccio ha mantenuto il più stretto riservo sull’episodio. L’unica cosa che è trapelata e che, quando le truppe dei ghiacci hanno fatto irruzione nell’accampamento nemico, i soldati giacevano a terra esanimi, mentre gli armati di Dimitri vennero accolti dalla Principessa e dal loro re, che li aveva preceduti per tentare un negoziato.»

«Sarà stata tutta fantasia, una costruzione ad arte per far credere che le terre dei Ghiacci siano protette da una figura magica, e la povera Svetlana, faceva proprio al caso loro, data la sua triste storia» concluse logico il Saint.

«É quello che ho sempre sostenuto, ma dopo averla incontrata di persona, non posso far altro che ricredermi. Mi sono sentito prima al cospetto di una fata e poi, mentre mi metteva sotto esame, al cospetto di una strega. Quella donna ha qualcosa di strano, mi mette tremendamente in soggezione.»

«Credo che tu ti sia fatto suggestionare un po’ troppo da queste dicerie. A me è sembrata una donna comunissima. Non ci ho visto nulla di ché. Se avesse avuto qualche potere particolare l’avrei avvertito, ma non ho percepito nessun cosmo provenire da lei!»

«Come al solito hai ragione Degel, sarà stata l’agitazione di questi giorni a giocarmi un brutto scherzo. Sai quanto ci tengo a questo matrimonio. Anastasia è come il sole che ha ridato luce alle mie giornate dopo tanto tempo... »

Degel appoggiò la mano sulla spalla dell’amico: «Sono profondamente addolorato per Serafina e per tuo padre.»

«Mia sorella ci ha lasciato per cause naturali e mio padre non è morto per mano di Ade, quindi non potevano ritornare in vita, ma è già uno splendido regalo di nozze averti al mio fianco nel giorno più bello della mia vita. L’unico rimpianto e che saremmo potuti salire entrambi all’altare...»

«Il passato è passato e dobbiamo voltare pagina per proseguire»

Unity sorrise e disse: «Ci vediamo domani sera al ballo del Cigno, ci tengo che tu ci sia!»

«Non mancherò! Voglio conoscere la giovane fortunata che ha rapito il tuo cuore. Un impresa degna di nota!»

Unity rise mentre Degel usciva dal suo studio pensieroso.

“Le leggende hanno sempre un fondo di verità, ma mi sembra tutto così assurdo! Però devo ammettere che questa storia mi ha suscitato un certo interesse. A questo punto voglio fare la conoscenza di questa misteriosa principessa dei Ghiacci”.

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Capitolo 6
*** La curiosità uccise il topo ***


La curiosità uccise il topo

 

Il ballo del Cigno era una cerimonia che consisteva in una ballo di gala col fine di presentare i futuri sposi alla comunità e riceverne la benedizione.

Il giorno tanto atteso era finalmente giunto e l’intera Blugrad era in fermento. Tutto era stato preparato con cura e il grande salone era stato riccamente addobbato a festa.

Gli invitati avevano iniziato ad arrivare al palazzo e un paggio in livrea li annunciava mentre questi facevano il loro ingresso e scendevano l’imponente scalinata per raggiungere la sala da ballo.

Unity li accolse caloroso, uno per uno, come l’etichetta di corte imponeva.

«Sei un diplomatico nato!» disse Degel avvicinandosi all’amico, quando qust’ultimo concluse gli onori di casa.

«Lascia perdere, tutti questi cerimoniali sono un vero strazio, ma vanno rispettati per non offendere nessuno!»

«A proposito, quando arriva la tua futura sposa? Sono curioso»

«Tra poco. Per tradizione la famiglia della sposa entra per ultima. Ho mandato ad avvisare re Dimitri che gli invitati sono tutti arrivati, o quasi.»

«Chi manca?»

«La principessa dei Ghiacci»

«Non entra insieme alla famiglia reale?»

«No» le luci si spensero tranne il lampadari in cristallo in cima alle scalinate «Scusa Degel, ma ti devo lasciare»

L’Acquario sorrise: «Vai pure dal tuo sole!»

Unity andò ad accogliere la famiglia reale del regno dei Ghiacci in cima alla scalinata. C’erano Dimitri con la corte e Anastasia.

Unity rimase incantato nel vedere la giovane principessa vestita di bianco e oro. Il bianco come il simbolo della sua terra coperta di neve e della sua purezza, l’oro come simbolo del sole portatore di buon augurio.

Unity si affrettò ad eseguire un inchino al re e, dopo un baciamano, in cui i suoi occhi incrociarono quelli di Anastasia, facendola arrossire, porse li braccio alla futura sposa ed insieme scesero i gradini tra gli applausi dei presenti.

Vennero quindi aperte le danze dai due promessi e quando il valzer finì, Unity accompagnò la fidanzata a conoscere il saint.

«Principessa Anastasia, vi presento Degel dell’Acquario, Saint di Atena e mio carissimo amico.»

Anastasia sorrise e fece un lieve inchino: «Onorata di fare la vostra conoscenza, Unity mi ha parlato molto di voi e sono felice che siate riuscito a venire. So quanto è importante la vostra presenza per il governatore»

«L’onore è mio principessa. Unity non mi aveva detto che eravate così incantevole; risplendete come un astro del firmamento. Il sole è meno caldo del vostro sorriso!» rispose Degel inchinandosi.

«Piano con le lusinghe, tra una settimana la porto all’altre e non vorrei vederla scappare a cavallo con un saint di Atena!»

«Non dovete temere la mia fuga a cavallo. O con la carrozza o nulla!» rispose ironica la principessa: «Cambiando discorso, mia sorella è arrivata?»

«Sì, Anastasia, sono arrivata poco dopo il vostro ingrasso, non mi sarei mai persa il vostro ballo di apertura!»

Svetlana si avvicinò con garbo al trio e la sorella si affrettò ad andarle incontro e a presentarla ai due uomini:

«Sorella, Unity di Blugrad...» disse Anastasia.

«Governatore... perdonate se ho eluso l’entrata classica, ma ho preferito evitare la presentazione per motivi di discrezione.» e Svetlana fece un lieve inchino con il capo verso Unity, che si irrigidì alla vista della donna: «Nessun problema, posso capire»

«... E Degel dell’Acquario, saint di Atena» finì le presentazioni Anastasia.

«Il vostro volto non mi è nuovo, ci siamo già incontrati?» chiese la Grazia.

«Voi stavate uscendo e io entrando nello studio del governatore. É un piacere conoscervi.»

«Conoscevi già il Governatore?» chiese Anastasia alla sorella.

«Abbiamo avuto una piacevole conversazione. Ero troppo curiosa.» rispose sorridente la donna, per poi augurare loro ogni bene e felicità.

Degel osservò la Principessa dei Ghiacci e, nonostante non fosse mai stato particolarmente suscettibile al fascino femminile, non poté non notare la particolare bellezza della donna. Un abito lungo di broccato blu avvolgeva con sobrietà la principessa, esaltandone le linee sinuose e dolci con grazia e discrezione, lasciando scoperte le spalle e parte della schiena. I capelli dorati erano raccolti in un’acconciatura discreta, dando nell’insieme una sensazione di compostezza e sensualità. Svetlana aveva indubbiamente fascino e classe, sentenziò il cavaliere e la cosa, unita alle voci che giravano sulla donna, non fece che accrescere la sua curiosità. La situazione era in più propizia per indagare sul mistero che la avvolgeva.

«Lord Degel? C’è qualcosa che vi indispone nella mia figura?» chiese Svetlna sentendosi osservata.

«Assolutamente nulla, scusate la mia impertinenza» rispose il cavaliere, ricordandosi che era maleducazione fissare troppo a lungo una nobildonna di alto rango.

«Strano, avete l’espressione di chi ha appena visto un fantasma!» sorrise rassicurante la Grazia.

«O una fata»

La grazia lo guardò perplessa: «Non ditemi che vi fate suggestionare anche voi da queste assurde dicerie!» frase che fece sentire Unity come un emerito imbecille, e poi avvicinandosi suadente all’Acquario proseguì: «Poi infondo anche i saint di Atena sono una splendida leggenda per la gran parte delle persone. Anch’io, se non fossi di fronte ad uno di voi farei fatica a crederci.»

«Avete ragione, ma quando si fa parte di un mondo non ci si rende conto di come si può essere visti dall’esterno.»

«Ottima analisi Lord Degel.»

«Solo Degel, il lord non mi si addice, sono un uomo abituato ai campi di battaglia»

«Come desiderate cavaliere.» disse Svetlana per poi voltarsi, ma il saint la fermò:

«Posso chiedervi l’onore di un ballo?»

Svetlana sorrise: «Certamente, i balli sono fatti per ballare!» e Degel prese la mano della donna per condurla alla pista dove la cinse tra le sua braccia.

La musica dolce e malinconica della danza dettava l’andamento lento e aggraziato del cavaliere. La fredda mano di Degel, appoggiata con delicatezza e fermezza sulla schiena nuda della principessa la fece rabbrividire.

«Qualcosa non va? Spero di non farvi sentire in soggezione!» disse Degel senza pensarci.

«Avete un’alta considerazione di vuoi stesso, ma mi spiace, il fremito non è dato dalla vostra presenza, ma semplicemente perché avete la mano gelata!» gli sussurrò maliziosamente la donna all’orecchio.

Degel avvampò per la gaffe «Scusate, non era nella mia intenzione tanto ardire, semplicemente intendevo dire che..».

«... siccome siate il saint dell’Acquario, uno dei 12 massimi gerarchi del Grande Tempio, la cosa potrebbe intimorirmi.» sussurrò Svetlana.

Degel annuì con il capo e poi aggiunse: «Vedo che site informata su di noi.»

«Gli echi della guerra contro Ade sono giunti fino nelle nostre terre e la vostra fama di conseguenza, ma non preoccupatevi, non mi fate nessuna paura. Una comune donna potrebbe averne, ma io sono una principessa dei Ghiacci e sono stata abituata a non abbassare la testa in ogni circostanza.»

«Dovevo immaginarlo, e ditemi, cos’altro vi hanno insegnato, anche a guidare esciti?»

«No, ma vedo che a voi non è stato insegnato come sedurre una donna.»

«Non è mia intenzione»

«Allora vi consiglio di chiedermi direttamente cosa volete sapere su di me, perché anche come detective non siete abile.»

«Non volevo essere indiscreto ed inopportuno con una domanda troppo diretta»

La musica finì e Svetlana fece cenno al saint di seguirla sul terrazzo innevato che si apriva sul salone.

Degel prontamente si tolse il mantello per metterlo sulle spalle nude della principessa, in modo che non soffrisse l’aria gelida della sera. Svetlana lo ringraziò e poi disse:

«Allora per quale motivo mi avete avvicinato? Non credo per il mio viso. Non mi sembrate il tipo d’uomo interessato a sedurre belle donne indifese.»

«Bella sì, indifesa no. Sapete essere molto tagliente.»

«Ho viaggiato molto e conosciuto il mondo»

«Siete sempre così vaga?»

«Sì, se non mi fate domande più precise.»

«Ero interessato a conoscere come una donna da sola abbia potuto sterminare un intero esercito»

«Dovevo immaginare che sareste arrivato a farmi questa domanda. Tutti me la pongono, la mia leggenda mi perseguita»

«Ogni leggenda o mito ha un fondo di verità. Io, in un certo senso, ne sono una prova vivente. L’avete detto voi stessa»

Svetlana rivolse il suo sguardo all’orizzonte «Già, è così cavaliere, ma la verità, nella mia storia, non ha nulla di magico o di glorioso come nella vostra.»

«Spiegatevi meglio»

«Sono stata violentata, disonorata, ripudiata e mandata in esilio. Per il resto nulla di più che strategia militare e abili cantastorie al servizio di mio padre. Mi dispiace, ma se vi aspettavate che vi narrassi imprese eroiche avete sbagliato mito.» Svetlana guardò dritta negli occhi il saint con un’espressione glaciale, ma allo stesso tempo triste, prima di tornare nella sala. Tristezza che non sfuggì all’Acquario, il quale impulsivamente afferrò il braccio di Svetlana bloccandola sull’ingresso.

«Sono stato veramente uno screanzato, non volevo riportarvi alla mente episodi così dolorosi. Purtroppo spesso finisco per guardare più alle regole e al lato logico delle cose e trascuro i sentimenti, ferendo le persone che mi circondano. Vi chiedo umilmente perdono» lo sguardo di Degel, nonostante cercasse di mantenersi fiero e adatto al suo rango, tradiva un profondo dispiacere.

«Non preoccupatevi, non andrò a gettarmi da una scogliera per così poco. Fortunatamente ho trovato una nuova ragione per cui lottare. Quindi non badate a me, ma a voi stesso. Il vostro senso di rimorso per non aver potuto far nulla per la persona che amavate vi tortura senza sosta, non è vero?»

«Come fate a saperlo» sfuggì al saint.

«Ogni leggenda ha un fondo di verità, no? Vi ringrazio per il mantello» e Svetlana restituì il capo all’Acquario, che rimase ad osservarla in silenzio, mentre la donna rientrava in sala e saliva le scalinate per poi svanire oltre le pesanti porte.

 

Erano passati diversi giorni dal ballo del Cigno, e Degel non aveva avuto più occasione di vedere o avere notizie di Svetlana. Avrebbe voluto rivederla, parlarle di quanto le fosse vicino e di quanto fosse stato stupido, arrogante ed egoista ad non aver considerato i suoi sentimenti, nonostante conoscesse la sua storia. Quello sguardo altero, ma allo stesso tempo spento, di chi non ha più nulla da perdere, gli pesava come un macigno e, ogni volta che lo rivedeva nei suoi pensieri, gli faceva venire un nodo in gola.

Gli face ritornare alla mante Serafina e il suo dolore per non essergli potuto stare vicino durante la malattia e di non essersi ricordato di chiedere sue notizie, ma preso dal suo ruolo, dalla sua missione, si era dimenticato di tutto ciò che c’era al di fuori di essa. Continuava a chiedersi se, se avesse agito diversamente, avrebbe potuto evitare il dolore di Unity e l’omicidio del padre da parte del suo amico. Ma ormai era un capitolo chiuso, mentre a lui era stata data una seconda possibilità e non l’avrebbe sprecata, e nella sua mente confusa dal dolore e dai ricordi un volto continuava a farsi presente: il viso fiero e glaciale della Principessa dei Ghiacci nei cui occhi rivedeva i suoi.

 

Il giorno delle nozze era finalmente giunto e le speranze di Degel di vedere Svetlana furono premiate. La donna aveva infatti presenziato in disparte alla cerimonia, ma non poté avvicinarla fino al pranzo, quando decise di prendere posto accanto a lei, che si era accomodata in un tavolo lontano da occhi e commenti troppo indiscreti.

«Vi disturba se prendo posto accanto a voi?» chiese Degel inchinandosi.

«No, figuratevi, almeno non trascorrerò il pranzo di nozze di mia sorella in ascetica contemplazione della sala. Piuttosto voi, dovreste stare attento a farvi vedere in mia compagnia. Ne va della vostra reputazione.»

«Non ditelo nemmeno per scherzo, non ci vedo nulla di disdicevole»

«Se state facendo volontariato, non è necessario.» sorrise lei.

Degel corrugò offeso la fronte: «Se non foste una nobildonna, ma uno dei miei allievi, vi garantisco che, per una frase del genere, avrei potuto dimenticarmi di essere un saint di Atena.»

Svetlana sorrise, non i suoi soliti sorrisi da etichetta, ma un sorriso vero e solare: «Allora accomodatevi e datemi del tu. Le persone o mi commiserano o mi giudicano, ma vedo che voi non fate ne una cosa ne l’atra, quindi meritate la mia stima.»

«Quale onore» rispose ironico il saint.

«Adesso potrei essere io ad offendermi e, se non mi trovassi di fronte ad un saint di Atena, ma ad una cameriera, potrei sfoderare un lessico non esattamente da protocollo!»

Degel rise e si rivolse a Svetlana: «Sei veramente incredibile, ghiacci le persone sia se ti lusingano, sia se ti biasimano.»

«Ma vedo che con il ghiaccio ti senti tuo agio. Comunque è solo difesa Degel»

«Vi difendete da me? Sono così pericoloso?» sorrise rassicurante e un po’ ironico il cavaliere.

«Può darsi.»

«Sempre vaga?»

«Certo, altrimenti sfaterei l’alone di mistero che mi circonda.»

Il pranzo passò tranquillo e la principessa e il cavaliere parlarono a lungo, lui del suo ruolo come saint e dei suoi studi e lei dei suoi viaggi in esilio per il mondo. Svetlana era una donna disincantata, pungente nelle risposte e colta, cosa che piacque molto a Degel, che poté discutere con lei di aritmetica, geometria, logica, fisica e astronomia senza nessun problema. Svetlana infatti sosteneva ogni argomentazione in modo impeccabile e approfondito.

Degel rimase piacevolmente colpito dalla cultura della donna, al Santuario non gli era mai capitato di poter discutere a tali livelli se non con il Grande Sacerdote. Nelle rare occasioni in cui aveva invitato una delle ancelle a prendere un tè nella sua casa, su pressione di Cardia (preoccupato per la sua atavica apatia nei confronti del gentil sesso), era stato pressoché un disastro. Le giovani erano in fatti tremendamente in soggezione e non capivano nulla di quello di cui parlava.

Svetlana era invece perfettamente a suo agio e gli dava pure del filo da torcere. Degel sorrise osservando la principessa intenta a discutere sull’origine delle aurore boreali, che nel suo paese natale erano tutti ancora conviti fossero opera delle fate. Svetlana si accorse dello sguardo di Degel e si bloccò:

«Ho detto qualcosa di errato?»

«No, e che quando non sei sulla difensiva e il tuo volto è disteso, sei luminosa come la stella del mattino»

«Volete dire il pianeta Venere?» chiese lei.

«Sì, esatto. Risplendete come Venere»

Svetlana sorrise: «Vi ho tetto una bugia al ballo del Cigno»

«Cioè?» chiese Degel sorpreso.

«Non è vero che non siete capace di corteggiare una donna. Devo dire che non ve la cavate affatto male, data la vostra carenza di esperienza.»

«Si vede così tanto che sono un novellino?»

«Un po’, ma apprezzo la vostra spontaneità e naturalezza nel dire quello che pensate senza troppe tattiche da predatore.»

«Ne avete incontrati tanti di cacciatori?»

«Uno... e mi ha rovinato l’esistenza»

«Sire Jacob?»

«Scusami, ma sono molto stanca, e vorrei ritirarmi» la principessa chiuse la conversazione per poi alzarsi dal tavolo.

«Aspetta Svetlana, posso rivederti?»

«Alla pineta sulla collina, domani pomeriggio.»

Degel la accompagnò all’uscita del palazzo del governatore e la aiutò a salire sulla carrozza. Era da tanto che il suo cure non palpitava più e quel giorno aveva ricominciato a battere ardente; con lei le nubi del passato si erano fatte meno grigie e pesanti, mentre quelle di Svetlana incombevano inesorabili sul suo capo. Mentre per Degel tutto diventava evanescente, per la Grazia, quei posti e la continua curiosità dell’Acquario per la sua storia, stava riaprendo ferite mai rimarginate completamente.

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Capitolo 7
*** Un fatale errore ***


Un fatale errore

 

«Degel, sono qui!» la voce di Svetlana risuonò per il boschetto di conifere.

«Qui dove? Non ti vedo!» Degel era appena arrivato sul posto dell’appuntamento e stava cercando di capire da dove provenisse la voce della principessa, quando venne centrato alla nuca da una gelida palla di neve.

«Per essere un saint hai i riflessi lenti!» rise Svetlana.

«Innanzi tutto mi hai colto alla sprovvista, secondo, non me lo sarei mai aspettato da te!» disse con disappunto il saint.

«Uno, non ti ho mai detto che amo rispettare l’etichetta di corte, due, siamo lontani da occhi indiscreti e quindi posso comportarmi come più mi aggrada. Se hai paura di perdere puoi sempre tornare al palazzo del governatore, cavaliere!» lo sfidò sorniona Svetlana.

«La tua vena tagliente non l’hai persa però!»

Svetlana gli sorrise in segno di assenso, mentre il saint la guardò con aria di sfida interpretando la parte del cavaliere offeso nell’onore: «Giammai che un saint si ritiri dalla battaglia! L’hai voluto tu e guai a te se piangi per la sconfitta!»

«Rimarrai con un palmo di naso, perché sarò io a vincere!»

«Se ne sei sicura, mettiamo in palio un premio.» disse Degel.

«Va bene, se vinco io... correrai nudo per la foresta!» rise Svetlana.

Degel la guardò attonito, quella donna era veramente subdola.

«Che c’è? Troppo pudico o troppa fifa di perdere?» lo rimbeccò Svetlana.

«Ne l’uno ne l’altro, solo sorpreso. Ti facevo più..»

«... principessa sotto vetro?» concluse la donna.

«Sì»

«Come ti ho già detto non sei costretto a stare in mia compagnia. Puoi sempre ritirarti»

«Spiacente, ma non abbandono mai le sfide. Quindi se vinco io... il premio sarà un bacio!»

“Si accontenta di poco!” pensò Svetlana, per poi dire: «Va bene. 1 a 0 per me!» e la principessa scomparve tra gli alberi della pineta.

«Quella non valeva, non barare!» e anche Degel scomparve con una palla di neve in mano.

I due si ricorrevano tra le luci e le ombre del boschetto colpendosi a vicenda con le palle di neve. Sveltana era molto astuta e riusciva a sfruttare al meglio gli agguati a sorpresa e la conformazione del bosco. Il cavaliere, dal canto suo, era molto più veloce e preciso nei lanci. Dopo un’oretta di inseguimenti ed imboscate la partita era ferma sul pareggio e Degel aveva deciso di far volgere a suo favore lo scontro a tutti i costi; sia per orgoglio maschile, sia per il premio in palio.

Svetlana gli piaceva e in quel pomeriggio gli era sembrato di ritornare indietro nel tempo, quando, ancora ragazzino, giocava a battaglia di neve con Unity e Serafina, nelle pause tra un allenamento e l’altro.

Degel salì quindi sugli alberi per avere una panoramica dall’alto del campo di battaglia e, da lassù, riuscì a scorgere la principessa, che si aggirava guardinga per il bosco, mentre si dirigeva ignara verso di lui. Quando la donna fu sotto la sua postazione, il saint saltò giù dall’albero e la colpì a tradimento con una palla di neve alla schiena, facendola cadere in mezzo al candido manto nevoso.

«Ah Ah Ah, basta, mi arrendo! Sono esausta!» rise Svetlana, mentre Degel gli offriva la mano per aiutarla ad alzarsi.

La Grazia l’afferrò, ma invece di rialzarsi fece perdere l’equilibrio l’Acquario, che le finì involontariamente addosso.

Il cavaliere era sopra la principessa e il viso di lui a pochi centimetri da quello di lei, che gli sussurrò:

«Hai vinto cavaliere, puoi ritirare il tuo premio» e Degel, con il cuore a mille, posò le sue labbra su quelle rosee della principessa in un casto bacio, il tempo dei rimpianti era finito, era ora di ricominciare a vivere.

 

I giorni passarono e la principessa e il cavaliere si frequentavano oramai assiduamente. Il luogo prediletto per i loro incontri era la pineta dove la bocca di Degel cercava sempre più frequentemente quella di Svetlana e, dal suo casto primo bacio era passato a baci più passionali e ardenti di desiderio. L’uomo, che era rimasto sepolto sotto i doveri e le incombenze della guerra contro Ade, si era risvegliato dal lungo letargo e gli faceva infiammare il cuore.

Svetalna dal canto suo aveva iniziato a provare simpatia per quel giovane. Non gli dispiacevano le sue labbra e, anche se lui era la sua preda, provava tenerezza e affetto per lui. Aveva quindi deciso di non incoraggiarlo ad andare oltre i baci e di smorzare il desiderio cieco che aveva acceso in lui, per guidarlo verso un amore più maturo e consapevole.

Infatti, anche avendo il cosmo sigillato, Svetlana, come le altre Grazie, era comunque in grado di percepire gli stati d’animo e i sentimenti delle persone che la circondavano, riuscendo a sfruttarle a suo piacimento. E quello che stava maturando in Degel era un amore malato e non puro, un misto di passionalità, desideri repressi troppo a lungo, paura della solitudine, rimpianti mai superati e possesso. E la Grazia sapeva bene che un uomo in quelle condizioni era preda facile dell’Amor Profano, e, una sacerdotessa di Venere del suo livello, poteva far scivolare la sua anima nelle tenebre della disperazione e della cieca gelosia senza troppo sforzo, ma lei non lo voleva. Venere le aveva lasciate libere di scegliere se essere splendide fate consolatrici o tremende streghe assetate di dolore, e, per quel topolino caduto ignaro nella rete, aveva infine deciso di esse fata.

Insieme al tempo passò però anche la licenza che il Grande Sacerdote Sage aveva concesso a Degel per le nozze dell’amico e, di conseguenza, si avvicinava anche il momento della separazione da Svetlana, cosa che lo tormentava ogni giorno.

Il cavaliere non voleva separarsi da quella che ormai, ingenuamente ed erroneamente, considerava la sua donna e tanto meno voleva lasciarla in balia della sua famiglia che l’aveva diseredata e costretta a vagare per il mondo ospite di regni stranieri.

Non voleva lasciarla sola e... non voleva restare nuovamente solo. Quindi prese la decisione di portarla con se al Santuario e per farlo decise di seguire le usanze e le regole del popolo natale di Svetlana. Anche lui aveva viaggiato molto e aveva imparato a comportarsi secondo le usanze dei vari popoli con cui entrava in contatto, in segno di rispetto nei confronti della loro cultura. Quindi, ritenendo opportuno comportarsi così anche in quella situazione, si recò dal re dei Ghiacci Dimitri; ignaro di stare per mettere il piede in fallo.

 

Palazzo nobiliare della famiglia reale dei Ghiacci a Blue Grado.

 

Svetlana camminava assorta per i corridoi del palazzo quando, passando davanti alla porta socchiusa dell’ufficio di suo padre, sentì la voce di Degel e del re discutere nella stanza. Incuriosita decise di rimanere ad ascoltare la conversazione.

«A cosa devo la visita di un saint di Atena?» chiese Dimitri a Degel, mentre si serviva della vodka.

«Sire, sarei intenzionato a prende in moglie la principessa Svetlana. É vedova e quindi non dovrebbero esserci particolari problemi.»

A Dimitri andò per traverso il liquore:

«Eh? Siete impazzito!»

Degel guardò perplesso la reazione del sovrano e corrugò offeso la fronte:

«Non sarò di sangue reale, ma l’incarico che ricopro come Saint dell’Acquario è tranquillamente paragonabile a quella di un funzionario di alto rango come Unity.»

«Non è per quello cavaliere, ma ho diseredato mia figlia e quindi non ne ricaverete nulla sposandola. Non sarebbe un matrimonio vantaggioso per voi.»

«La cosa non mi interessa, ma pensate al vostro regno, potreste entrare in trattative con il Santuario e diventare suo alleato. Questo significherebbe la protezione della Grande Atena.»

A Svetlana piombò addosso come un macinio il ricordo di quando venne venduta al suo defunto marito, che la somma Venere aveva mandato al creatore dopo averla salvata dalla scogliera e accolta nel suo Tempio.

“Altro che topolino caduto incauto nella rete! Sto bastardo sta trattando il mio acquisto come se fossi una bambola di pezza e senza avermi chiesto neppure il consenso!” Svetlana era furente e strinse i pugni per non entrare a prendere a schiaffi il saint. Lei era ormai una donna libera e come tale doveva essere tratta, se l’Acquario la voleva avrebbe dovuto andare da lei o almeno sincerarsi di essere ricambiato come aveva fatto Unity, cosa che Degel, per stupidità è fretta, non aveva preso in considerazione.

Nel frattempo, Degel, non ricevendo risposta dal re, che aveva assunto un’aria meditativa, aggiunse: «Se è un fatto di soldi non fatevi nessuno scrupolo, sono disposto a pagare qualunque cifra.»

Nell’udire quella frase, a Svetlana mancò il respiro per la rabbia e la delusione. Aveva provato simpatia e aveva iniziato a sentire affetto per quell’uomo segnato dal dolore e dalla solitudine, ma ora, quello che rimaneva in lei, era solo un profondo odio e rivide in Degel, Jacob. La fata sì trasformò in strega e la sua ira sarebbe stata funesta.

Intanto Dimitri rispose: «Ammetto che la vostra proposta è allettante» pensando “In questo modo Atena potrebbe sciogliermi dal gioco di mia figlia e della dea che serve, ma il problema è che non ho più alcuna autorità su Svetlana, anzi è lei a tenere sotto scacco me” quindi concluse:

«Ma ho bisogno di rifletterci sopra. C’è prima un disguido che devo risolvere. Vi farò sapere al più presto.» e congedò Degel, che, ringraziando per l’udienza, uscì dall’ufficio incontrando lo sguardo glaciale di Svetlana.

Degel sorridente gli chiese:

«Cosa hai sentito?»

«Tutto!»

«Allora non dovrò ripetermi. Tuo padre è stato vago, ma sono ottimista, ti porterò lontano da qui, al Santuario, dove finalmente potrai avere una vita serena la mio fianco. Non sei felice?» chiese infine Degel, vedendo l’espressione impassibile della donna. Era dal ballo del Cigno, che non vedeva la principessa con quel volto.

«Sono felicissima, Degel. Non sai quanto desiderassi vedere il Grande Tempio di Atene» poi tra se “anche se non mi aspettavo di raggiungerlo comprata come un animale da monta! Ma almeno ora non avrò più scrupoli di coscienza nel devastare il tuo cuore e la tua anima”.

«Incrociamo le dita allora» e Degel se ne andò dopo aver dato un bacio sulla guancia alla principessa, che invece entrò nella stanza dove si trovava il re.

«Svetlana?» disse stupito il sovrano.

«Dimitri hai il mio consenso a vendermi a Degel.» disse perentoria e asciutta la Grazia.

«A darti in moglie,vorresti dire!»

«Le mogli non si comprano, si conquistano con l’amore!»

«Cosa hai in mente?»

«Nulla che ti riguardi. Goditi i frutti di questa compravendita vantaggiosa e non ti impicciare.»

«Solo se mi sciogli dal tuo debito»

«Sei un abile ricattatore, ma da qualcuno dovevo pur aver preso questa dote. Affare fatto. Firma il contratto e il debito nei miei confronti verrà estinto.». Svetlana uscì sbattendo la porta.

“Però, matrimonio più vantaggioso del previsto, ma un po’ mi dispiace per quel povero ragazzo. Non ha la minima idea del pericolo che si porterà al Santuario.” Pensò Dimitri sfregandosi le mani.

 

Sera del giorno seguente.

Palazzo del Governatore di Blue Grado

 

Svetlana era in camicia da notte ed era seduta sul letto matrimoniale, intenta a spazzolarsi i lunghi capelli dorati, quando Degel fece il suo ingrasso nella stanza.

«Per la partenza di domani mattina è tutto pronto. Hai preparato i bagagli e salutato tua sorella?» chiese Degel.

«Sì, era felice come una pasqua quando mio padre l’ha avvisata che tu mi avevi com... ehm, preso in moglie. Ti saluta e ci augura buon viaggio» rispose la principessa senza voltarsi.

«Io invece ho salutato Unity. Anche lui ti saluta, ma purtroppo è molto impegnato e non è riuscito a passare a renderti omaggio. È stato gentile da parte sua mettere a disposizione una camera del suo palazzo per la nostra prima notte di nozze». Così dicendo si sedette di fianco a Svetlana e le spostò i lunghi capelli, lasciandole scoperto il collo, sul quale posò le sue labbra.

Il contatto con la pelle liscia e candita della donna bastò per infiammarlo di desiderio. Ora erano sposi e non c’era nulla di sbagliato nel desiderare la propria moglie, che strinse a se continuando a baciarla sul collo con passione, per poi passare alle spalle, scostando le sottili spalline della camicia per continuare a sentire la sensazione della pelle sulle sue labbra.

«Già, davvero gentile» disse lei respirando a fondo per far calare l’ira e la voglia di scostarsi dai baci e dalle mani tremendamente gelide del cavaliere, che dalle spalle stavano scendendo languide lungo il suo corpo. Degel interpretò i respiri profondi come sospiri di piacere e fece scivolare definitivamente a terra la camicia della Grazia, per poi adagiarla dolcemente sul talamo nuziale. Svetlana non oppose resistenza, ma, nel sentire le mani e poi le labbra del cavaliere sui suoi seni, rabbrividì e chiuse gli occhi per non prenderlo a schiaffi. Lo odiava, ma sapeva che per cadere, Adamo, doveva cogliere e assaggiare il frutto proibito. Un uomo, una volta colto, per quanto “saint”, non ne avrebbe più fatto a meno e, per lei, non era la prima volta che faceva l’amore con un uomo che non amava. Se non fosse stato per Venere, che gli aveva fatto conoscere l’esistenza dell’Amor Sacro, che innalza cuore e anima, per lei sarebbe ancora stata una parola sinonimo di accoppiamento.

Per Degel, invece, il sentire il corpo della sua sposa sotto di se lo rendeva contemporaneamente eccitato, emozionato e agitato. Era la sua prima volta e non sapeva bene come comportarsi. Non sapeva se seguire il suo istinto di uomo, che gli suggeriva di possederla con passione e impeto, o con delicatezza, in quanto non sapeva cosa piacesse di più alla donna, ma per timidezza non glielo chiese.

Svetlana, dal canto suo, ringraziò mentalmente di non essere più vergine da un pezzo. Degel, per via della sua inesperienza ed indecisione, le stava facendo male. Di un’unica cosa era certa, una volta giunta al Santuario e, dopo averlo cotto a puntino, gli avrebbe rovinato l’esistenza.

 

La notte passò e Degel si risvegliò al sorgere dell’alba senza trovare Svetlana al suo fianco. La donna si era infatti già vestita e guardava dalla finestra il sorgere del nuovo giorno. Degel si alzò e, dopo essersi coperto i fianchi con il lenzuolo andò ad abbracciare sua moglie, che gli rivolse un asciutto “buongiorno”.

Mentre Degel gli sussurrò, dopo un bacio sulla guancia:

«Spero che questa notte sia stata speciale come lo è stata per me. Tu sei la prima che abbia mai amato.»

“Quanta grazia!” pensò sarcastica la donna, ma poi disse: «Sono contenta che tu sia felice.» per poi rimuginare tra se: “E pensare che non mi sono data nemmeno da fare. Si vede che non conosci la differenza tra una donna che si concede ad un uomo per amore e una che lo fa solo per dovere, ma quando lo scoprirai sarà troppo tardi e la tua anima si sarà già persa nelle tenebre”.

«A cosa pensi amore mio» chiese l’Acquario vedendo la donna sovra pensiero.

«Che sto per lasciare nuovamente queste terre.»

«Vedrai che il Grande Tempio e la casa dell’Acquario ti piaceranno»

«Ne sono sicura» sorrise perfida la Grazia per poi aggiungere: «Rivestiti e andiamo a fare colazione. Il viaggio per Atene è lungo.»

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Capitolo 8
*** L'ultimo desiderio. ***


 L’ultimo desiderio.

 

SALA DEL GRANDE SACERDOTE

GRANDE TEMPIO DI ATENE.

 

«In cosa posso esservi utile, maestro?»

Sage, il Grande Sacerdote, si tolse l’ingombrante elmo per guardare negli occhi il suo discepolo.

«Manigoldo, ho un incarico da affidarti.»

«Di cosa si tratta?»

«Dei banditi si sono stabiliti nei dintorni di Atene e ci è stato chiesto un nostro intervento in virtù della devozione della città alla dea»

«Eh? Un cavaliere d’oro per dei comuni ladruncoli? Non potete inviare saint di rango inferiore?»

«Già fatto, ma si sono volatilizzati nel nulla. Ho bisogno di sapere cosa sta succedendo laggiù»

«Mi prende in giro?»

«Non sono il tipo»

«Capisco, comunque mi reputo sprecato per una cosa del genere.» e il cavaliere del Cancro fece scrocchiare annoiato una spalla.

«Vorresti rifiutare?»

«Per carità maestro! Era solo una mia considerazione, tutto qui! Parto subito per punire i marrani!»

Sage annuì, mentre il cavaliere di spalle fece un cenno di saluto con la mano, prima di lasciare la sala.

 

«Guarda, guarda! Questo è rivestito d’oro. Ma ad Atene cagano soldi?» Un tipo losco ed inquietante, con il volto coperto in parte da una bandana, scrutava, con un manipolo di uomini, il cavaliere del Cancro, che si aggirava senza il minimo timore in un vallone roccioso nei pressi di Atene. «Abbiamo scelto la zona giusta per i nostri affari!»

«Già! Basterà una pallottola ben assestata e il gioco è fatto!» disse un altro scagnozzo prendendo la mira con un fucile.

«Colpiscilo alla nuca dove quella specie di elmo lo lascia scoperto!» disse un terzo, mentre il tizio con il fucile sobbalzò. Manigoldo si era infatti girato nella loro direzione e gli aveva sfoderato un sorriso tutto denti, per poi svanire nel nulla e ricomparire alle spalle del gruppo.

«Salve! E voi sareste i terribili briganti? Mi sembrate più un manipolo di sfigati! Sage come al solito si preoccupa troppo! Vi consiglio caldamente di lasciar perdere e costituirvi al Santuario, o farete una brutta fine!»

Gli uomini, presi di sorpresa sussultarono per poi reagire violentemente alla provocazione del cavaliere scagliandosi contro di lui con dei pugnali, che però si infransero contro l’armatura d’orata.

«Minchia! Spero che non me l’abbiate rigata, o Hakurei chi lo sente!» ma il sorriso sarcastico e baldanzoso di Manigoldo venne bruscamente ombrato da una pallottola che riuscì a schivare per un pelo, provocandogli un graffio sul viso: «Avevo solo voglia di giocare con voi, ma ora vi farò fuori. Nessuno può ferirmi e rimanere vivo.»

«Davvero?» disse l’uomo ricaricando il fucile, mentre Manigoldo sghignazzò:

«Davvero! ONDA INFERNALE DELLO TSEI SHE KE»

Le anime dei banditi svanirono nel varco dimensionale aperto dal cavaliere, mentre i loro corpi piombarono come alberi abbattuti sul terreno.

«Tsk, ve la siete cercata!» disse il cavaliere stiracchiandosi.

CLA, CLACK!

«Grazie. Così non mi sono dovuta sporcare le mani, ma ora sganciami l’armatura! Con quella potrò ricavarci un bel po’ di grana! Avanti, spogliati!» disse una voce femminile alle sue spalle.

«A quanto pare i ladri spuntano come funghi oggi! Ma mai mi sarei aspettato una donna! Se volevi vedermi nudo non era necessario tutto sto casino!» il cavaliere sorrise, nonostante sentisse sulla sua nuca la pressione di un’arma da fuoco.

La donna iniziò a premere il grilletto.

«Non fare il furbo o ti faccio saltare il cervello!»

«Chi sei?»

«E a te che importa?»

«Dato che mi stai puntando un’ arma alla nuca direi che mi importa eccome! Perché mi hai ringraziato, non sei dei loro?»

«No. Quelli erano solo assassini che rubavano solo per arricchirsi. Io non mi mischio con gente del genere.»

«Quindi saresti diversa? Eppure mi stai minacciando con un’arma da fuoco!»

«Io mi occupo soltanto di recuperare e restituire il maltolto alla povera gente di questi luoghi.»

«Cosa vuoi dire?.»

«Perché non lo chiedi a colui che ti ha mandato? Se vuoi trovare i veri ladri, torna da dove sei venuto!»

«Non so a cosa tu ti riferisca, ma l’armatura non si tocca!» e il cavaliere fulmineo ribaltò la situazione afferrando il polso della donna, che fece partire un colpo a salve prima di far cadere l’arma a terra. Manigoldo era riuscito a renderla facilmente inoffensiva; con una mano la teneva bloccata contro la parete e con l’altra le aveva immobilizzato le mani. Gli occhi del cavaliere si posarono su quelli neri di lei; nessun segno di paura, ma uno sguardo fiero e indomabile gli rispose senza esitazione.

«Non ho intenzione di farti del male, ma ora verrai con me al Grande Tempio e se sai qualcosa riguardo alla scomparsa di due miei uomini ti consiglio di parlare!»

La donna sfoderò un sorriso di sprezzante sfida: «Parli di due tizzi conciati come te?»

«Li hai incontrati?»

«ANGELICA! ABBIAMO SENTITO IL TUO SEGNALE DI PERICOLO! STAI BENE?» Urlò un ragazzo con il volto coperto, prima di rimanere impalato alla vista del cavaliere d’oro, mentre un secondo, più anziano, si scoprì il volto. Manigoldo era sotto shock:

«Spiacente, ma ora sono miei uomini! Mi hanno giurato fedeltà!» sorrise lei, mentre il cavaliere lasciò la presa incredulo, per poi rivolgersi ai due.

«Quello che dice questa donna è vero?»

«Sì.» risposero senza tanti giri di parole i due ex saint.

«Ippocrate, cavaliere della Freccia, e tu, Callimaco, cavaliere della Lince, vi ha dato di volta il cervello? Vi rendete conto di quello che dite?»

«Perfettamente. É tradimento, secondo le regole del Santuario.» rispose la Freccia.

Manigoldo, esterrefatto si rivolse alla Lince: «Anche tu la pensi come il tuo superiore?»

«Si, Sommo Manigoldo, abbiamo disertato in piena consapevolezza dei rischi.»

«Perché? Diserzione equivale a morte!»

«Perché Angelica ci ha aperto gli occhi.» rispose Ippocrate: «Il Grande Tempio è marcio. Qui fuori si continua a morire per le devastazioni della guerra causata dagli dei, ma il Santuario non muove un dito! I governatori di Atene sfruttano i poveri cristi senza ritegno, ma il Santuario resta a guardare rinchiuso fuori dallo spazio tempo e questo non è giusto! Non mi sono arruolato per stare con le mani in mano mentre la gente muore per i soprusi dei potenti!»

«Esatto!» si aggiunse Callimaco: «La popolazione è decimata dalle carestie e delle pestilenze che gli eserciti hanno portato con se! Non potevamo rimanere a guardare, era un fuoco che ci bruciava dentro da quando siamo tornati in vita. Angelica ci ha dato la possibilità di servire veramente la giustizia, invece che stare ad ammuffire aspettando che a qualche altra divinità girassero storte. La guerra è finita, ma non basta una vittoria per risolvere i problemi. Tu più di noi, dovresti capirlo.»

Manigoldo annuì. Conosceva bene la fame, la povertà e la devastazione che la guerra portava con se; le aveva vissute sulla propria pelle e le cicatrici che gli avevano lasciato nel cuore erano indelebili. Manigoldo guardò negli occhi i due disertori e si sentì malissimo. Nei loro occhi vi lesse orgoglio e nessun pentimento per la scelta fatta. Li capiva, ma sapeva bene che non potevano essere lasciati liberi di proseguire nel loro intento, il Santuario non glielo avrebbe permesso.

«Se siete così convinti io...» le parole morirono in gola al saint del Cancro, mentre guardava verso Ippocrate, il suo più caro amico.

«Devi far rispettare le regole del Grande Tempio.» gli sorrise il saint della Freccia.

Manigoldo, con gli occhi lucidi, annuì, mentre Ippocrate mise una mano sulla spalla del cavaliere.

«Verremo al Grande Tempio con te e accetteremo il verdetto del Grande Sacerdote.»

«Se lo farete morirete nell’infamia come vili traditori! Non posso permetterlo!» rispose angosciato il saint.

«Ma non puoi nemmeno coprirci, non potremmo mai perdonarci di averti coinvolto in questo modo per una nostra scelta.» disse Callimaco.

«Posso sempre...»

«Ucciderci qui e raccontare a tutti che siamo morti combattendo valorosamente per Atena?» chiese Ippocrate.

Manigoldo annuì con la morte nel cuore.

«Morirò per mano tua, cavaliere del Cancro e lo farò nell’arena del Santuario, ma non prima di aver detto a Sage quello che penso sul Grande Tempio!» rispose risoluto il saint.

«Sarà un onore passare ai campi Elisi per mano tua.» disse Callimaco.

Angelica aveva assistito in silenzio alla conversazione e non riuscì a trattenersi:

«La dea che servivate prima di conoscermi non era Atena; quella che si è sempre schierata dalla parte dei più deboli? E allora perché dovrebbe condannarvi a morte? É assurdo, voi non avete abbandonato il percorso della giustizia! In voi l’amore verso l’uguaglianza e il prossimo è forte e saldo! Le vostre mani non sono sporche di sangue, ma sono pronte a donare e a stendersi verso gli altri! La vostra anima è rimasta pura! Se è una dea così misericordiosa come tutti qui sostengono vi capirà e scioglierà dal vostro obbligo nei suoi confronti»

Ippocrate si avvicinò alla donna e gli accarezzò il volto:

«Angelica, il tuo animo è luminoso e libero. Non conosci vincoli che non siano i tuoi ideali, che segui senza timore e in piena consapevolezza. Per questo ti abbiamo giurato fedeltà, rappresenti ciò che abbiamo cercato in Atena, ma che non abbiamo trovato nel Grande Tempio. Mi spiace, ma non esistono dei che abbiano a tal punto a cuore la vita di un essere umano. Purtroppo l’abbiamo capito tropo tardi. L’importante per loro è il mantenere l’ordine costituito e noi amiamo sì la giustizia, ma non abbiamo più fede in Atena e questo non è ammissibile per un saint.»

Angelica lo guardò negli occhi. Due perle nere e profonde come la notte e calde come il fuoco: «Le persone dovrebbero sempre avere la possibilità di poter seguire e credere nei propri ideali senza timore e barriere. Ogni creatura è nata per essere libera di scegliere la propria vita in qualunque momento.»

«Angelica, non rattristarti. Ti garantisco che il nostro sacrificio non sarà vano. Il sangue lascia sempre il segno e lo facciamo per nostra scelta e perché lo vogliamo» il saint della Freccia e della Lince si guardarono per poi rivolgersi a Manigoldo.

«Siamo pronti.»

Manigoldo fece cenno di seguirlo e prese per un braccio Angelica.

«Che fai?» chiesero i due saint.

«Anche lei deve venire con noi. Sage aspetta risposte.» disse il Cancro.

«Lei non ha nulla a che fare con il Grande Tempio.» disse alterato Callimaco.

«Purtroppo sì, visto che ha dato il via a tutta questa storia.»

«Manigoldo, la uccideranno ed è innocente! Ha dato solo il là a ciò che noi non abbiamo avuto il coraggio di fare da soli prima di incontrarla, ma che sentivamo nostro!» disse quasi implorando Ippocrate, ma Callimaco gli fece cenno di non preoccuparsi.

«Come condannati a morte avremo un ultimo desiderio...»

 

Sala del Grande Sacerdote.

Grande Tempio di Atene.

 

I passi della Lince e della Freccia risuonavano nel corridoio buio che portava alla sala del trono. Camminavano a testa alta, mentre Manigoldo, a capo chino, costringeva Angelica a procedere dietro ai due saint tenendogli bloccate le mani dietro la schiena.

La porta del grande ambiente venne aperta da due soldati e i quattro si ritrovarono di fronte a Sage.

Manigoldo istintivamente si inginocchiò intimando alla donna di fare lo stesso, ma Angelica oppose un’ostinata resistenza:

«Ci si inginocchia solo davanti a divinità degne del loro nome, non ad ipocriti che nel nome della giustizia depredano la povera gente di Atene!»

«Non dire stupidaggini e inginocchiati, sei di fronte al Grande Sacerdote in persona!» la riprese Manigoldo serrando la presa.

«L’ho visto, idiota di un saint ed è proprio per questo che non mi inginocchio!» Lo redarguì Angelica resistendo stoicamente alla presa del Cancro.

Anche Callimaco e Ippocrate rimasero in piedi a guardare l’inespressivo volto del Grande Sacerdote, che con un cenno della mano intimò a Manigoldo di tacere e di farla tacere:

«Saint della Freccia e Saint della Lince esigo delle spiegazioni per il vostro comportamento.»

«Non c’è nulla da spiegare, Grande Sacerdote, abbiamo disertato in piena consapevolezza e giurato fedeltà a questa donna per perseguire la giustizia altrove, visto che ha abbandonato questo tempio.» rispose Ippocrate.

«Il Santuario è la dimora di Atena in terra, l’incarnazione della giustizia, come puoi dire che essa abbia abbandonato questo luogo?» rispose freddo Sage.

«Non vi dimora quella a cui noi aspiriamo. Qui vigono solo delle statiche leggi decretate ai tempi che furono per preservare uno status quo che si può reggere solo in tempi di guerra. Quella di cui abbiamo sete è la legge del cuore, sommo Sage» rispose pacato Ippocrate.

Sage quelle parole le aveva già sentite, ma non si ricordava dove, o meglio, preferiva non rammentare.

«Ed è stata questa donna ad illuminarvi?» il Grande Sacerdote squadrò Angelica, che tentava di liberarsi dalla morsa del suo allievo come un rapace in gabbia. I suoi occhi lo colpirono; ardenti, determinati ed impavidi. Uno spirito libero e altero si dimenava fra le braccia di Manigoldo, ma Sage non riuscì ad avvertire nessun cosmo provenire da lei. Non riusciva a raccapezzarsi, quei due avevano scelto di andare incontro ad una morte certa per una comune donna.

Ippocrate rispose alla domanda del sacerdote sciogliendo anche il suo dubbio:

«Lei ci ha indicato la via che già sentivamo nostra: la via del cuore incisa a fuoco vivo nell’anima di ogni uomo; la via dell’uguaglianza e dell’amore reciproco che travalica tutte le barriere, anche quelle della giustizia classica e la ragione, se necessario. Lei ci ha fatto capire per cosa abbiamo veramente combattuto e sarò sincero: l’abbiamo fatto per amore della vita, non per Atena. Lo sapevamo da tempo, ma non avevamo mai avuto il coraggio di ammetterlo a noi stessi, prima di incontrarla.»

«Non l’abbiamo fatto per Angelica, ma perché lo sentivamo. La guerra è finita, ma il nostro desiderio di aiutare il prossimo non è morto e stare qui come dei soldatini di piombo a marcire in attesa di poter agire in difesa di Atena non faceva per noi» disse Callimaco.

«Ci siamo arruolati per amore verso l’umanità, ma ci siamo ritrovati a fare da guardie del corpo ad una dea in attesa di quelli che voi considerate nemici degli di tale nome, ma miete più vittime l’indifferenza che le vostre guerre fra dei.» concluse Ippocrate.

Sage sospirò, ciò che temeva si stava avverando: in tempo di guerra il nemico comune unisce le truppe e la sua sconfitta occupa le energie dei soldati, ma in tempo di pace si ha la possibilità di riflette e guardarsi dentro:

«Sono desolato, ma nonostante capisca i vostri intenti, non posso lasciare correre un tradimento. Questo é un esercito e i disertori vanno puniti per scoraggiare tentativi di rivolta. Queste sono le leggi, le avete infrante consapevolmente e ne riporterete le conseguenze. Sapete cosa vi attende?»

«Condanna a morte.» risposero i due saint traditori.

«Soldati, conducete questi tre banditi nelle celle in attesa dello scontro con Cardia. Vi batterete con lui in un duello che sancirà il vostro destino. Vi rimetto al giudizio delle stelle.» e i due soldati addetti alla sorveglianza della sala si avvicinarono ai condannati, all’ordine del Grande Sacerdote, ma Manigoldo li fermò nel sentire il nome di Cardia e non poté non esclamare sconvolto:

«No, Cardia non se lo meritano, anche se hanno disertato!»

«Manigoldo, questa è la mia decisione, meglio troncare sul nascere con un’esecuzione esemplare tentativi del genere. Il Santuario deve rimanere sempre e comunque saldo ai suoi principi! In caso di emergenza dobbiamo farci trovare uniti, una sola testa e un solo corpo! Lo capisci?»

«Sì, ma..» Manigoldo venne fermato da Ippocrate.

«Sommo Sage accettiamo remissivi il vostro verdetto, ma come uso del santuario richiediamo di poter usufruire del diritto ad un ultimo desiderio»

«Come da usanza del Grande Tempio esponete le vostre richieste» rispose impassibile Sage.

«Bene, io chiedo che la nostra esecuzione sia eseguita da Manigoldo, cavaliere d’oro del Cancro» disse Ippocrate.

«A malincuore, ma non posso concedervelo»

«Come non potete?» chiese sconvolto il saint del Cancro.

«Manigoldo, lo scontro deve essere imparziale e dubito fortemente che tu riesca a mantenerti tale. Nonostante la tua spavalderia, sei meno cinico di quanto sembri. Affiderò il compito ad Asmita, la loro sarà una morte rapida e indolore, almeno che le stelle non decretino il contrario...» rispose Sage, mentre Manigoldo abbassava lo sguardo stringendo i pugni. Il suo maestro aveva ragione: non sarebbe mai riuscito a combattere seriamente contro persone a lui care.

«Callimaco, anche tu hai un ultima richiesta da effettuare?» disse il Grande Sacerdote.

«Sì, io chiedo la grazia per Angelica. Non è un saint e non ha prestato giuramento ad Atena. Questa condanna nei suoi confronti è al di fuori delle leggi del santuario» disse Callimaco.

Sage rimase in silenzio a riflettere. Il saint aveva ragione, ma in quella donna c’era qualcosa che lo inquietava.

«Non potete rifiutare l’ultimo desiderio di un condannato!» ribadì l’ex saint.

«Callimaco, non possiamo lasciarla andare ora che ha visto la collocazione del Santuario e non credo che qualcuno abbia voglia di prendersi la responsabilità di questa donna.» si decise il Grande Sacerdote.

«Lo farò io. Non è da voi non concedere una seconda opportunità per redimersi» Sage si voltò in direzione dell’allievo.

«Manigoldo, sei sicuro di quello che dici?»

«Voglio darle una seconda occasione. Non è che una sciocca che ha cercato di fare la paladina della legge creando solo dolore. Le farò capire i suoi errori e la rimetterò in riga, come voi avete fatto con me.»

Sage annuì: «E così sia, Manigoldo te l’affido, ma bada bene a tenerla d’occhio.»

I Saint della Freccia e della Lince rivolsero da Angelica un ultimo sorriso mentre venivano condotti fuori dalla sala dalle guardie del tempio, mentre Angelica sconvolta si rivolse con rabbia verso il grande sacerdote. I suoi occhi erano roventi:

«Il vostro Santuario non è altro che un disgustoso sistema tirannico! Non siete nulla di più che dei comuni sovrani e come tali imponete le vostre decisioni senza nemmeno un processo civile! E questa sarebbe la dimora della dea della Giustizia? Complimenti! Preferite lavarvi le mani dietro alla consuetudine e alla tradizione che guardare alla realtà che i miei uomini vi hanno sbattuto in faccia e per la quale sono disposti a morire!»

Manigoldo tentò di far tacere la donna sibilando un “Taci e non mandare a monte l’ultimo desiderio dei due saint di tenerti in vita!”, ma fu tutto inutile. Angelica si svincolò dalla presa del cavaliere è puntò minacciosa contro Sage, che non si scompose:

«Mi fate schifo e non solo per questo! Vivete nell’oro e nell’opulenza, mentre la povera gente di questi luoghi muore schiacciata dalle tasse! E sapete perché? Per le offerte che i potenti di Atene vi recapitano per leccarvi il culo e ingraziarsi la vostra protezione! Siete complici della miseria di questo luoghi Sacerdote, se addirittura non siete voi stesso ad imporlo!»

«Questa è una calunnia! Noi non imponiamo nulla, ma accogliamo i doni che ci vengono offerti dai devoti. Rifiutarle creerebbe sconforto nei fedeli che crederebbero di non essere più sotto la protezione della dea!»

«Peccato che questo segno di “devozione” vi venga recapitato dagli aristocratici del posto e sia a scapito di poveri cristi che si spaccano la schiena sotto il sole ogni giorno! Non sono una sedicente paladina della legge, ma anch’io, a modo mio, sono votata alla giustizia, o meglio, all’amore verso di essa e questa passiva accettazione delle cose non la tollero!»

Sage era attonito e irato, nessuno aveva mai insultato il santuario in quel modo:

«Manigoldo falla tacere e portala via prima che cambi idea sulla sua sorte e ne sono pericolosamente vicino.»

Manigoldo non se lo fece ripetere due volte e agguantò in malo modo Angelica costringendola a viva forza a lasciare la sala, cercando di calmarla, ma venne fermato dal cosmo di Atena che comparve oltre le pesanti tende situate dietro il seggio di Sage. Grande Sacerdote, Manigoldo e una ricalcitrante Angelica si inchinarono.

«È vero ciò che sostieni?» la dea guardò la Grazia che ricambiò lo sguardo

“Quella gracile ragazzina è Atena?” si chiese Angelica incredula, ma il suo cosmo non lasciava dubbi; lo era.

«Sì, non sono così scellerata da rischiare l’osso del collo solo per irritare il vostro secondo, ma per portare le urla di dolore e le richieste d’aiuto della popolazione, così come hanno fatto gli uomini che per amore del prossimo passeranno a miglior vita. Ah dimenticavo, le armature dei saint le ho vendute per sfamare gli abitanti del quartiere povero di Atene. Buona fortuna a recuperarne i pezzi!» Angelica sfoderò un sorriso beffardo mentre Sage urlò:

«Cosa hai fatto? Questo è un sacrilegio!» ma Atena lo fermò.

«Sage calmati, le armature non sono un problema, le riporterò al santuario tramite il mio cosmo, ma se è vero ciò che dice questa donna, dovremo accertarci dell’operato dei governatori di Atene. Non tollero che le persone vengano sfruttate a mio nome. Siete congedati» e Atena ritornò, seguita da Sage dietro i pesanti tendaggi, mentre Angelica veniva caricata in spalla dal saint del Cancro, che la portò alla quarta casa e la richiuse in una stanza, dove la donna diede sfogo alla sua rabbia e alla sua delusione.

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Capitolo 9
*** Siamo solo cenere ***


Siamo solo cenere

 

Mentre Angelica urlava e tentava invano di sfondare la porta della camera in cui era stata rinchiusa da Manigoldo, Sage aveva raggiunto Atena oltre i pesanti paramenti.

Il tradimento del santo della Lince e della Freccia, più le accuse della Grazia, avevano lasciato sia la dea che il Grande Sacerdote molto turbati.

Sasha si accostò assorta ad una finestra per guardare fuori e fu la prima a proferire parola:

«Sage, cosa sta succedendo? Ultimamente avverto insofferenza tra le mura del Santuario e questo triste episodio me l’ha confermato.»

Il Grande Sacerdote guardò la dea mesto:

«Sarò sincero Grande Atena. La guerra è finita, il nemico comune è stato sconfitto e la pace porta con se domande, dubbi, riflessioni, voglia di vita nuova e cambiamenti. La guerra unisce gli uomini sotto un’unica bandiera, che divide il mondo in bianco e nero, buoni e cattivi, ma quando lo stato di emergenza cessa, viene lasciato il posto ai desideri personali dei singoli, che si fanno più impellenti. Il bene e gli obbiettivi comuni a lungo termine, con i sacrifici conseguenti, diventano più opprimenti e difficili da sopportare, mentre la routine e la monotonia delle giornate tutte uguali, passate in attesa di non si sa cosa, diventano insopportabilmente lunghe ed inutili.»

«Sì, capisco. Hanno lottato in funzione di un mortale nemico ed ora che non c’è più un traguardo da raggiungere si sentono spersi e cercano quindi altrove spinti dai loro desideri» commentò la dea accarezzando la ghirlanda che portava al polso: «È facile perdere di vista il proprio ruolo quando non c’è un pericolo alle porte. Il loro comportamento è più che comprensibile. Quindi era indispensabile la tua sentenza?»

Sage sospirò: «Rincresce anche a me, ma non possiamo permetterci indugi e lassismo proprio per non incentivare questo stato di cose.»

La dea annuì tristemente: «Ma almeno possiamo intervenire per alleviare le sofferenze di Atene?»

«Farò quel che posso e parlerò con gli aristocratici della città, ma il compito del Santuario è quello di ergersi da baluardo contro le divinità che si arroccano il diritto di interferire con il destino del genere umano. Immischiarsi nei problemi politici ed istituzionali interni ed esterni di uno stato, per far pendere la bilancia da una parte o dall’altra, sarebbe, in un certo senso, come comportarsi come le divinità a cui ci siamo opposti. Dobbiamo per equità rimanere imparziali» rispose tristemente Sage.

«Rappresentiamo la Giustizia, ma per poterla incarnare finiamo con l’avere le mani legate. É un bel controsenso!» commentò Atena con un sorriso amaro: «E quella donna che impressione ti ha fatto?»

«È pericolosa.»

Atena guardò Sage stupita:

«Non ho avvertito alcun cosmo...»

«Mi spiego meglio, più che lei in se, sono pericolose le sue idee e sono le idee che hanno sempre mosso il mondo» rispose pacato il Grande Sacerdote.

«Credi che la sua presenza al Tempio potrebbe portare problemi?»

«Non lo so. Le idee possono essere abbracciate come no, ma sono contento che Manigoldo abbia deciso di prenderla sotto la sua ala. Mandare a morte un essere umano per le proprie idee sarebbe andato contro i mie principi. Confido quindi nel mio discepolo. Anche lui, prima di diventare Saint, ha avuto una vita turbolenta. Spero che riesca a farle capire anche il nostro punto di vista» sospirò Sage.

«E se lei fosse nel giusto e noi nel torto?» chiese Sasha guardando seria il volto di Sage.

«Cosa vi fa dubitare?»

«Le armature.»

Sage guardò interrogativo la dea e Atena si spiegò meglio:

«Le armature sono state create per proteggere i guerrieri disposti a sacrificare la loro vita per servire la giustizia. Giusto?» Sage annuì «E hanno una vita propria legata alla costellazione che le domina. Quindi non possono essere utilizzate senza il loro consenso nemmeno dai loro legittimi possessori, figuriamoci essere smembrate e vendute come banali oggetti di antiquariato.»

«Ma questo vorrebbe dire...»

«Che le armature della Freccia e della Lince hanno appoggiato la scelta dei loro legittimi cavalieri.» rispose amaramente la dea.

 

Manigoldo aveva passato la notte in bianco. Dopo aver chiuso quella pazza furiosa all’interno di una delle stanze del suo Tempio, nella speranza che, prima o poi, a forza di urlare e tirare calci alla porta, si sarebbe calmata, era andato a fare visita a Callimaco e Ippocrate. La loro chiacchierata, probabilmente l’ultima tra i tre amici, aveva avuto dell’incredibile; il saint della Lince e della Freccia erano stati incredibilmente allegri e gioviali e avevano finito per essere loro di supporto a Manigoldo, invece che il contrario.

Il cavaliere del Cancro, seduto a terra nel deserto androne colonnato della sua casa, avvolto dalla penombra evanescente che preannuncia il sorgere dell’alba, sorrise al pensiero di quei due burloni, che scherzavano come dei deficienti. Sembravano scolaretti in vista di un viaggio, solo che il loro li avrebbe portati a visitare i sei mondi della trasmigrazione. Una lacrima scese tra il riso del cavaliere. Ade li aveva separati, poi Atena li aveva riuniti ed ora per una donna li avrebbe nuovamente persi. Manigoldo si ritrovò a pensare ad Angelica in un misto di rabbia, ma, allo stesso tempo, di comprensione. Capiva le sue intenzioni e non riusciva a condannarla. Per un esterno non era facile comprendere le regole del Santuario. Anche lui, senza la saggia guida di Sage e le sue pazienti spiegazioni, le avrebbe presto prese in odio.

Immerso nei suoi pensieri e nel suo dolore si rese finalmente conto del silenzio tombale che regnava sovrano nella casa del Cancro. Le urla e gli impropri della donna non si sentivano più e Manigoldo decise di alzarsi per andare a vede com’era la situazione.

Aprì cautamente la porta e notò che finalmente Angelica si era calmata ed addormentata.

“Era ora, ne ha di fiato nei polmoni questa, ma a forza di urlare si è stancata! I miei timpani non ne potevano più!” pensò il saint, poi, osservando la stanza letteralmente sotto sopra, aggiunse “Perché agisco sempre d’impulso! Mi sa che questa volta me la sono proprio andata a cercare!” per poi soffermarsi ad osservare seriamente la donna per la prima volta.

Angelica era seduta a terra con la schiena appoggiata al muro e il capo su uno sgabello, illuminata dai primi raggi dell’aurora; non si era nemmeno degnata di usare il letto, che tra l’altro aveva disfatto. Manigoldo si grattò accigliato la testa e non poté non notare i vestiti sudici e logori che la donna portava; chiaro sintomo della vita randagia e vagabonda che aveva condotto.

Manigoldo sospirò: “Devo procurarle dei vestiti puliti e qualcosa per lavarsi” e girò sui tacchi pensando “Dovrò andare dalle ancelle a chiedere in prestito un chitone... che figura di merda”.

 

Il sole era già alto nel cielo quando Angelica si risvegliò. Aveva male ovunque e le mani erano livide per colpa dei violenti pugni scagliati con rabbia e frustrazione contro la porta, il giorno precedente. Aveva mal di testa e un mal di gola cane.

“Così imparo a non controllarmi! Dannazione, quando imparerò a comportarmi come una signora?” poi sorridendo fra se aggiunse “Mai!”. La Grazia si guardò intorno. La camera era stata rimessa in ordine e su un tavolino c’erano della frutta, del latte, un bacile e una caraffa piena d’acqua per lavarsi e, sul letto, un kitone rosa pallido.

La donna alzò il capo di vestiario con evidente disappunto “Sto coso non lo metterò mai!”, ma notò con piacevole sorpresa le due spille in coordinato per tenere fermo l’abito sulle spalle.

 

Nel frattempo...

 

Gli spalti dell’arena si stavano riempiendo. Quella mattina un cavaliere di bronzo e uno d’argento avrebbero affrontato Asmita della Vergine, confidando nella clemenza delle stelle.

Il gold Saint rigorosamente in armatura aveva fatto il suo ingresso tra l’ammirazione degli astanti e, subito dopo, vennero fatti entrare anche i due traditori tra i fischi e gli insulti di quelli che, una volta, erano stati loro compagni d’armi e ai quali Callimaco e Ippocrate avevano spesso prestato soccorso, sia in guerra, che in pace.

“Il giudizio della gente è incredibilmente volubile!” pensò Asmita infastidito sia dai commenti lusinghieri su di lui, sia da quelli sui suoi avversari.

La Vergine si recò impassibile nel centro dell’arena senza proferire parola e si ritrovò a pochi passi dal cavaliere della Freccia e della Lince che, nonostante fossero sprovvisti di armatura, erano sereni.

«Tu credi nella protezione delle stelle?» chiese quasi ridendo Ippocrate a Callimaco.

«Le stelle non sono altro che ammassi gassosi che distano tra loro anni luce.» rispose sarcastico Callimaco.

«Allora ci vediamo all’inferno a sfottere i suoi custodi!» sorrise Ippocrate, mentre veniva dato il là allo scontro.

Asmita era rimasto in silenzio ad osservare i due ex saint, notando, con un certo stupore, la loro calma e serenità nonché la purezza del loro spirito. Non percepiva aggressività nei loro cosmi e nemmeno paura ed, incuriosito, rimase immobile a scrutare le loro anime anche dopo il via al combattimento.

Così, quando Angelica raggiunse il corridoio dell’arena, che dava accesso allo spazio per i combattimenti, guidata dagli schiamazzi e dal trambusto, si ritrovò davanti ad una situazione in stallo dove il cavaliere della Vergine e i saint traditori continuavano a scrutarsi immobili senza dar segno di voler attaccare.

Una calma surreale era scesa all’interno dell’arena, mentre dagli spalti iniziavano a piovere commenti d’impazienza e insinuazioni sulla reale fedeltà del saint di Virgo al Santuario, visto che esitava a calare la sua mano su dei vili traditori.

Asmita sorrise considerando quanto ogni volta la stupidità e il desiderio di sangue dell’uomo, riuscissero sempre a sorprenderlo, per poi rivolgersi mentalmente ai suoi avversari:

“Il pubblico reclama il suo spettacolo”

“E voi, sommo saint di Virgo, desiderate diventare il loro giullare?” rispose Ippocrate.

“Siete ardito nel parlare, ma non è mia intenzione. Porterò a termine il mio compito senza sollazzare nessuno e siccome non ho trovato nulla di oscuro nella vostra anima, sarò clemente e vi donerò una morte rapida ed indolore”

“Ad ogni modo ve ne laverete le mani della nostra sorte” rispose Callimaco.

“Il destino dei singoli non è affare mio. Se le stelle o Atena lo vorranno sopravvivrete al mio colpo”

Fra i tre calò nuovamente il silenzio, in quanto sapevano perfettamente che quella di Asmita non era nulla di più che una frase di pura retorica, a cui il gold saint stesso non prestava fede.

La Freccia e il Lupo si rivolsero quindi per un ultimo saluto verso Manigoldo, seduto in prima fila tra gli spalti, che strinse i pugni, e tutto si svolse in una frazione di secondo; un bagliore improvviso e i corpi di Ippocrate e Callimaco giacquero a terra senza vita. Asmita non si era nemmeno preoccupato di pronunciare il colpo.

Angelica era sconvolta e per la prima volta in vita sua avvertì un nodo allo stomaco. Ciò a cui aveva assistito era angosciante e terrificante assieme. Quell’uomo in armatura d’oro non aveva nemmeno dovuto toccare i giustiziati per farli passare a miglio vita. Aveva sentito parlare dello spaventoso potere di un saint di Atena, ma ad assistere di persona ad una tale potenza era cosa ben diversa che sentire parlarne da terzi, ma la cosa che l’aveva scioccata di più era stata l’indifferenza con cui il saint della Vergine, completamente impassibile, aveva vibrato il colpo. Nessun turbamento o incertezza aveva infatti minato l’anima di Asmita, che ora se ne stava andando, tra gli spettatori delusi da quello che speravano sarebbe stato uno scontro pieno d’azione.

La Grazia rimase immobile per alcuni istanti a osservare la figura aurea del cavaliere, che si allontanava verso il corridoio opposto. L’ira subentrò allo smarrimento e con foga iniziò a farsi largo tra la folla per raggiungere Asmita, dimenticandosi completamente di avere il cosmo sigillato.

Nel frattempo anche Manigoldo era sceso nell’arena per reclamare i corpi dei suoi amici e rimase stupito nel vedere la figura di Angelica avanzare spintonando senza complimenti chi si parava sulla sua strada.

«Ma come diamine ha fatto ad uscire da dove l’avevo rinchiusa?» per poi allarmarsi vedendo che la donna aveva raggiunto Asmita e l’aveva bloccato in malo modo afferrandolo per il mantello.

“Dannazione, quella donna è veramente un’incosciente!”

 

«Ehi, biondino e tu saresti un saint di Atena? Secondo me staresti meglio tra le fila del re dei morti!»

Asmita si voltò lentamente in direzione di Angelica. Non poteva vederla, ma percepiva il suo astio e il disgusto nei suoi confronti.

«Bada a come parli donna! Sai con chi stai parlando?»

«Con un cinico sicario, che uccide senza il minimo rimorso anche quando si trova di fronte a persone dall’animo nobile»

Le parole colpirono molto il cavaliere, che si irritò: «La sorte dei singoli non mi riguarda e bada a rivolgerti a me con più rispetto o potrei farti raggiungere i tuoi amici, anche se infondo sarebbe solo un atto di pietà nei tuoi confronti»

Angelica era furente, ma l’aumento del suo cosmo rosso venne bloccato dal sigillo.

«Pietà? Tu parli di cose che non conosci e noto con disgusto che, in questo luogo, dimori l’indifferenza, più che la giustizia!» il cosmo di Angelica si dimenava furente e trattenuto dal potere di Venere dentro di lei, mentre Asmita si impose con tutta la sua figura di fronte a lei, che per la prima volta in vita sua, indietreggiò. Quell’uomo face veramente soggezione e la Grazie si ritrovò a pensare senza invidia e con una punta di timore, a Lia.

«Anche tu parli senza cognizione di causa, donna. Giudichi e ti fai trasportare solo dal tuo istinto e dai tuoi sentimenti. La strada che stai percorrendo ti porterà solo ad ardere nel tuo stesso rancore»

«Per me vivere è seguire fino in fondo e con passione i miei ideali. E ciò che sarà di me non ha importanza perché siamo solo cenere e, alla fine di tutto, di noi resterà solo la forza delle nostre idee.» Rispose altera Angelica guardando dritta il cavaliere della Vergine, che la scrutò in silenzio.

«Ti è dato di volta il cervello?»

La Grazia si sentì afferrare per un braccio e, dopo essere stata costretta a voltarsi, si ritrovò faccia a faccia con Manigoldo particolarmente irato, che, dopo aver ripreso un contegno più risoluto, si rivolse ad Asmita:

«Ti chiedo di chiudere un occhio sul comportamento di questa donna e sulle offese che ti ha arrecato. É stata colpa mia, dovevo tenerla d’occhio.»

«Quindi sarebbe lei la ladruncola per cui i due ex saint sono stati condannati?» e Asmita, al cenno affermativo di Manigoldo, si rivolse ad Angelica: «Se questo è il risultato delle tue “idee” io mi fermerei a riflettere.» per poi tornare a rivolgersi al Cancro: «Per questa volta sorvolerò, ma ti consiglio di controllarla di più, se ci tieni alla sua vita. La prossima volta potrei non essere così magnanimo e anche altri saint potrebbero essere del mio stesso avviso» e la Vergine girò sui tacchi senza salutare, ma meditando sulla strana forza interiore della donna, bloccata da un potere che non aveva mai avvertito prima, e che non era riuscito a identificare.

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Capitolo 10
*** Ritorni inaspettati e raccomandazioni ***


Ritorni inaspettati e raccomandazioni

 

Il piccolo borgo di Rodorio si apriva innanzi a loro. La gente semplice di quel piccolo centro abitato, a cavallo tra passato e presente, si affaccendava nelle botteghe e nelle vie, mentre due donne ammantate e dal passo svelto e discreto, si apprestavano ad attraversarlo, senza dare troppo nell’occhio.

«Sofia, sei sicura che sia cosa saggia presentarsi alle porte del Grande Tempio come se nulla fosse?» chiese una delle due giovani, mentre seguiva l’amica, che invece procedeva spedita e sicura di sé tra le strettoie dell’abitato.

«Non ti preoccupare Meroe, per me è come un ritorno a casa, anche se avrei preferito rimetterci piede per motivi diversi»

«Sarà, ma la tua venerabile madre ti ha portato via dal Santuario quando avevi sei anni, e da allora ne sono passati dodici. Se non si ricordassero più di te o non ti riconoscessero?»

«Che si siano dimenticati della figlia di uno stimato Silver Saint morto gloriosamente in battaglia, lo escludo. La possibilità che non mi riconoscano invece è più plausibile, ma nemmeno di questo devi preoccuparti» e così dicendo Sofia portò istintivamente la mano al ciondolo a forma di civetta.

«Quindi il tuo piano in cosa consiste? Bussare alla porta del Grande Sacerdote ed esclamare “Salve vecchio, la figliola prodiga è tornata, ammazzate il vitello grasso!”?» domandò sarcastica Meroe, mentre Sofia la guidava verso una casupola al limitare della periferia di Rodorio.

«A dire il vero non sono una “figliola prodiga”, ma ufficialmente una dispersa. Comunque, no. Ho in mente un modo meno d’effetto per varcare le soglie del Santuario. Tieni pronte le lacrime Meroe, perché tra poco si va in scena»

«Oh, sai che non vedo l’ora di recitare la parte della vittima!» rispose ironicamente Meroe, mentre Sofia le rivolgeva un sorriso supplichevole e due occhioni dolci, dolci da cerbiatta:

«Per favore!»

«E va bene! Basta che non ti metti a piagnucolare!» la rimbeccò con disappunto la mediorientale, strappando un sorriso all’amica, che però assunse un’espressione preoccupata subito dopo:

«A parte gli scherzi, non posso negarti che questo incarico non mi piace. La mia infanzia l’ho passata qui e non voglio far del male a nessuno di loro»

«La Somma Venere ti ha lasciato libera di agire come meglio credi, Sofia, proprio in virtù del tuo legame al Santuario di Atena. E poi non tutti i mali vengono per nuocere, soprattutto se possono servire ad altre persone per aprire gli occhi; Atena inclusa. Quindi non sentirti in colpa per ciò che fai, ma siine fiera, perché infondo è anche per il loro bene. Alcune regole in vigore al Santuario sono assurde e deleterie»

«So che lo scopo della Somma Venere non è dare una semplice lezione ad Atena, ma ha un obbiettivo più profondo. Questo però non toglie che io sia ugualmente preoccupata. Non tutte le Grazie infatti hanno un animo nobile e preferiscono placare il loro dolore nutrendosi di quello degli altri. In più Rose ha un motivo valido per avercela a morte con Atena» commentò tristemente Sofia.

«Vedrai che andrà tutto bene, ed in caso contrario, cercheremo di aggiustare il tiro. Placare gli animi è la mia specialità» fece quindi l’occhiolino Meroe a Sofia.

«Mi appoggeresti quindi in caso di necessità?» domandò grata Sofia.

«Ovvio, siamo amiche o no? E poi devo sdebitami in qualche modo per il tuo aiuto ad accedere al Grande Tempio»

«Per ora non siamo ancora entrate» constatò però Sofia.

«Allora che aspettiamo?» sorrise Meroe e Sofia bussò sull’uscio di una piccola casupola di legno. 

 

«Arrivo, arrivo!»

Un’anziana signora un po’ troppo in carne, all’ennesimo picchiettare sulla sua porta, decise finalmente di smettere di filare e di mala voglia aprì agli inaspettati visitatori ritrovandosi così di fronte a due donne d’incalcolabile bellezza, che si tolsero i cappucci dei mantelli, scoprendo così i loro volti in segno d’educazione. La più alta delle due aveva la pelle d’ambra, gli occhi d’acqua marina e i capelli d’ebano, ma fu la più minuta, la cui pelle era candida come la luna ed i capelli caldi come il miele ad attirare maggiormente la sua attenzione ed in particolare i suoi profondi occhi d’ametista.

«No… non può essere… i tuoi occhi, i tuoi occhi sono identici a quelli di Krit..» balbettò confusa la donna rimanendo a bocca aperta senza riuscire più a fiatare. A finire per lei ci pensò quindi Sofia, porgendo alla vecchia il ciondolo che nel frattempo si era sfilata:

«Kritios?»

L’anziana con gli occhi lucidi annuì con il capo, rigirandosi il ninnolo che lei stessa le aveva regalato.

«Sì, Olimpia, sono proprio Sofia, la figlia di Kritios della Croce, che voi avete allevato come una nipote» sorrise dolcemente la Grazia.

«Questo è un miracolo! Ormai ti avevamo dato tutti per morta al Grande Tempio! Sia lode ad Atena» esclamò quindi la donna, per poi lasciare sfogo alle lacrime, mentre Sofia l’abbracciava con tenerezza.

«Non puoi nemmeno immaginare quanto mi sei mancata, tu e tutti gli altri.» sussurrò la Grazia sinceramente felice.

«Oh, Sofia, fatti guardare!» disse quindi l’anziana prendendo il volto della giovane fra le mani: «Come sei cresciuta! Sei scomparsa quando eri una bambina e ora ritrovo dinanzi a me una donna. Una bellissima donna! Tuo padre ne sarebbe stato orgoglioso! Ma cosa è successo, dove sei stata in tutti questi anni? Il Grande Sacerdote ha smobilitato l’intero Santuario per trovarti, ma senza risultati.»

Lo sguardo di Sofia si fece triste e velato di lacrime:

«Sono stata catturata dai briganti durante una mia imprudente uscita dal perimetro del Grande Tempio e venduta ad un trafficante di schiavi, che mi cedette in cambio di denaro ad un sultano per via del colore singolare dei miei occhi. Se sono riuscita a fuggire è solo grazie a Meroe» e Sofia fece cenno all’amica di farsi avanti, per poi tornare a rivolgersi ad Olimpia: «E ora siamo in fuga e senza un posto dove stare»

«Di questo non dovete più preoccuparvi. Qui siete al sicuro e sono sicura che il Grande Sacerdote sarà sicuramente contento di sapere che sei viva e saprà trovarvi un posto dove stare. Quindi ora basta pensare al passato e via le lacrime. Sei tornata è bisogna festeggiare!» e detto questo l’anziana signora si affrettò a dare la lieta novella a Rodorio e al Grande Tempio, portandosi appresso le due Grazie.

 

Nel frattempo un’alta ed elegante figura ammantata di scuro camminava senza fretta per le vie del centro di Atene, con l’intento di raggiungere l’edificio in cui era attesa, incappando in due giovani ubriachi, che puzzavano insopportabilmente di fumo.

«Ehi, bellezza perché non vieni a tenerci compagnia?» gracchiò uno dei due bloccando il passo della donna che si degnò a malapena di scostare leggermente il cappuccio per osservare i due ragazzi che le avevano fermato il passo: due stupidi damerini reduci da una notte brava, che si ritrovarono trapassati da uno sguardo di disapprovazione da occhi di un verde talmente chiaro da sembrare quasi giallo sotto i raggi del sole nascente.

«Questa città sta cadendo in basso, brulica solo di ubriaconi e meritrici. Ma perché mi stupisco? Cambiano le mode, cambiano i governi e cambiano le idee, ma infondo la maggioranza dell’umanità resta sempre uguale» bofonchiò rammaricata tra se la donna, per poi rivolgersi con fare fermo, ma al contempo compassionevole, ai due (che portavano in volto i segni dei danni procurati dal loro insano stile di vita), rimasti inchiodati sul posto dal fare della giovane, che incuteva un senso assoluto di solennità e rispetto:

«Ascoltate bene le mie parole. Dalle mie parti c’è un detto: Bacco, Tabacco e Venere, san ridurre l’uomo in cenere. Quindi fossi in voi cercherei di utilizzare il tempo che vi resta per cercare di salvarvi l’anima, perché di questo passo non vivrete a lungo. I vostri polmoni e il vostro fegato sono infatti già molto compromessi e molte delle donne di mestiere della zona sono affette da sifilide. Ora, con permesso, avrei delle importanti faccende da sbrigare»

«Si signora, ci scusi signora» balbettarono quindi i due, mentre la donna, dopo un lieve inchino, riprendeva il suo incedere.

Il lasciarsi andare in modo dissoluto ai piaceri della carne e agli eccessi erano una cosa che Lia non approvava. Gli uomini essendo stati creati ad immagine e somiglianza degli dei potevano aspirare a molto di più che appagare semplicemente i loro istinti animali, che tra l’altro spesso portavano solo alla morte. Era infatti il piacere della mente e dell’anima che la Grazia anelava di dare e ricevere. Un sorriso le si dipinse sulle labbra sottili e delicate al pensiero di Ginevra, il suo esatto opposto, che invece in quei dedali di perdizione era perfettamente a suo agio. La carne e lo spirito. Ma sapeva anche che lei non era nessuno per poter giudicare. D'altronde non aspiravano entrambe al piacere anche se in modi diversi? L’amore ha molte forme e ognuno era libero di ricercarlo come più preferiva, anche se per lei quell’attaccamento morboso al mondo terreno era tempo sprecato.

Con questi pensieri la donna giunse alla sua destinazione: l’archivio e biblioteca di Atene, dove venne accolta dal direttore e suo ex mentore, un uomo raggrinzito sulla settantina:

«È un piacere averti qui Lia. E sono contento che abbia risposto alla mia lettera»

«Il piacere è mio dottor Senofonte. È stato un onore ricevere la vostra epistola» rispose la Grazia con un lieve inchino, ricambiato da un cenno d’approvazione dall’uomo.

«Tuo padre?»

«Dopo la morte di mia madre si è buttato completamente sul lavoro e ora sta seguendo una campagna di scavi in Egitto.»

«E tu?»

«Risiedo stabilmente a Roma dove finanzio uno studio di ricerca scientifica e filosofica»

«Non dev’essere facile per una donna portare avanti una tale iniziativa, nonostante le brillanti doti intellettuali di cui sei dotata»

«Purtroppo il mondo è ancora troppo ancorato al pregiudizio e alla tradizione, ma non sono intenzionata a mollare, qualcuno deve pur dare il via per una riforma sociale in tal senso. Per il resto ho solo letto qualche libro e girato un po’ il mondo con mio padre. Molti dei vostri allievi sono sicuramente più preparati di me» minimizzò la Grazia.

«Sì, grandi eruditi e completi scemi. Il sapere non sempre è sinonimo di intelligenza ed ancora meno di saggezza, soprattutto se fine a se stesso»

«Vi vedo amareggiato. Cos’è che vi angustia, se non sono troppo indiscreta?»

«Non sei indiscreta, d'altronde è proprio per questo che ti ho chiesto di venire, perché mi è stato dato un incarico dal Grande Tempio di Atena, ma non so più dove sbattere la testa»

«Grande Tempio di Atena? Mai sentito nominare.» Lia fece finta di cadere dalle nuvole.

«È normale, dato che è un luogo sul quale si mantiene il più stretto riserbo, ma non lontano da Atene esiste un Santuario in cui dimorano tutt’ora la dea Atena e i suoi seguaci. Feci fatica anch’io a suo tempo, quando venni assunto come responsabile della biblioteca e dell’archivio storico di Atene, ad accettare l’esistenza fisica degli dei dell’Olimpo, ma non è di questo che ti volevo parlare, anche perché nel caso di assenso potrai verificare direttamente con i tuoi occhi, cosa più utile che mille parole, ed, in caso contrario, passare il tutto come il delirio di un vecchio» sospirò il venerando archivista.

«E quale sarebbe questo incarico?» chiese con una falsa punta di scetticismo la Grazia.

«Vedi Lia, la biblioteca di Atene e quella del Grande Tempio sono collegate. O meglio, sono la loro porta sul mondo dato che per motivi di segretezza il Santuario è un organismo isolato dal resto. Quindi il mio compito è di tenerli aggiornati su ciò che capita loro attorno e reperire documentazione esterna al Grande Tempio in caso di necessità. Ormai però sono vecchio e non riesco più a gestire il tutto ed ho quindi bisogno di qualcuno che mi dia una mano. Il Grande Sacerdote mi ha quindi dato l’incarico di cercare una persona adatta, ma per ora non sono riuscito a trovare nessuno adeguato all’incarico.» sospirò Senofonte.

«E quindi avete pensato a me?» domandò con falsa sorpresa Lia.

«Sì. Sei l’unica in grado di aspirare a quel posto, perché non basta essere colti, ma bisogna anche aver tatto, fermezza e saggezza per riuscire a tener testa al Grande Sage: il Sacerdote di Atena. Saresti quindi disposta a sostenere un colloquio con lui?»

«Se siete voi a chiedermelo, non posso certo rifiutare, sperando di essere all’altezza come dite» la Grazia s’inchinò in segno di profondo rispetto e subordinazione.

«Sono sicuro che non mi deluderai Lia» commentò il vecchio archivista soddisfatto, sicuro di aver trovato la persona più adatta a fare da ponte tra il Grande Tempio e il mondo esterno.

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