Kokoro no Kiseki

di Osage_No_Onna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. What's her name? ***
Capitolo 2: *** 01: They don't really know me (first part) ***
Capitolo 3: *** 02: They don’t really know me (second part) ***
Capitolo 4: *** 03: Braving fate ***
Capitolo 5: *** 04: Hit by the same pain ***
Capitolo 6: *** Extra Chapter 01: I hate and… love? What’s love? I only know revenge (But’ s a little difficult to adapt) ***
Capitolo 7: *** 05: Tell me the story of your soul. ***
Capitolo 8: *** 06: They' re (not) just a single speck of dust ***
Capitolo 9: *** 07: I won't betray our path ***
Capitolo 10: *** 08: I'm not a lassie anymore ***
Capitolo 11: *** 09: Will things ever be the same again? ***
Capitolo 12: *** 10: A room of tattle, a boulevard of thoughts ***



Capitolo 1
*** 00. What's her name? ***


Kokoro no Kiseki
 
00.What’s her name?
 
Piove sul cielo già buio di una notte senza luna e la volta celeste è oscurata da grandi cumulonembi plumbei, mentre le gocce di pioggia tamburellano incessanti sui vetri appannati delle case.
La ragazza sdraiata quasi senza sensi ha i vestiti sporchi e tutti strappati, la sua vista è appannata e gli arti non rispondono ai comandi che il cervello impartisce. I capelli umidicci che le ricadono sul viso delicato e smunto sono tutti arruffati e ha il corpo ricoperto da vari graffi.
Come sia capitata lì, non lo ricorda, o meglio proprio non lo sa.
Sulla T-shirt bianca immacolata spicca una strana pietra verde lavorata con maestria nonostante sembra sia stata scolpita da un principiante e sul braccio ha un bel bracciale formato da vari anelli d’ argento e vari pendenti d’ oro bianco a forma di colomba che tintinnano graziosamente ogniqualvolta si scuota il polso.
Lei ansima. Da chi stava scappando? Un grande buco nero ha inghiottito la maggior parte della sua memoria e una delle poche cose che riesce a ricordare è un volto dorato, incorniciato da bei capelli castani e setosi che sfiorano il collo, mentre gli occhi a mandorla sorridenti e pieni d’ amore sembrano due zaffiri incastonati in un tronco d’ albero bello e resistente. I denti dritti e bianchissimi fanno sfigurare le perle più belle ed il sorriso aperto promette l’ aprirsi dei cancelli del Paradiso.
Le manca il respiro, ma riesce a stringere i pugni. Provare a rialzarsi è come venir trafitta da centinaia di migliaia di spade, dalle sue ferite colano gocce di sangue. Il cervello non connette più e i suoi pensieri sono offuscati.
È forse arrivata la sua ora?
Non ci può credere. È ancora così giovane! Morire a quasi quattordici anni senza aver fatto nulla di male è un’ ingiustizia, un vero e proprio sopruso. Dannato Angelo della Morte, lei il sangue sullo stipite della porta l’ ha spalmato, insieme a molte lacrime. Forse più lacrime che sangue, però.
Addio a tutti, pensa con un piccolo e dolce sospiro.
Gli occhi stanno per chiudersi… Ah no. Cos’è quella macchia azzurra e bianca che le si sta avvicinando gradualmente?
“Ciao, ragazzina. Qual è il tuo nome?”
La voce suona incredibilmente bambinesca e fin troppo melliflua, non ti piace.
Ma hai un disperato bisogno d’ aiuto: non vuoi morire così. Un altro dei tuoi ricordi salvati è la tua convinzione che ognuno debba rendersi utile nella propria vita.
“Yu-Yumiko…”
“Oh, e come mai sei ridotta così male? Forse posso fare qualcosa per aiutarti…”
Non avevi notato la strana maschera di ferro, molto somigliante ad un castello su una rocca inespugnabile, né tantomeno il ghigno beffardo di colui che a prima vista è un bambino di nove anni dai capelli dorati incredibilmente lunghi uscito fuori dalle corti del Seicento. Come può salvarti, se sembra persino più gracile di te?
“La pre..go…mi sal…vi…”
La voce è spezzata dalla stanchezza che grava sopra di te come una catena di piombo e le tue parole non hanno il senso profondo che di solito riesci a farvi fluire morbido e delicato quasi guidato da un movimento grazioso delle mani, quelle stesse mani che adesso, rigide e quasi bloccate nei movimenti, tieni tese per chiedere disperatamente aiuto.
“Dovrai darmi la tua anima e lasciar modificare a mio piacimento i poteri di questa pietra verde che hai al collo. Ci stai?”
No. Tutto ma questo no. Normalmente diresti che l’ anima è più importante del corpo, è la vera te stessa, non vale la pena barattarla per la salvezza del corpo perché… Ma tutto questo ora è morto e sepolto, sei quasi in fin di vita e quel che conta adesso è salvarti, non morire così, sotto la pioggia. Quel che sai con certezza è che devi sopravvivere, perché c’è il ragazzo dal viso dorato che è sicuramente vivo e tu in qualche modo sei legata a lui…Non puoi deluderlo. Lui ti sembra una specie di Angelo Salvatore e non puoi abbandonarlo, non si sbatte mica la porta in faccia agli angeli.
Va contro le tue stesse leggi e non rispettarle per te è un sacrilegio.
Ciò nonostante, sei dilaniata tra la scelta delle due risposte, quella positiva e quella negativa.
Non sai che fare.
La tua testa si muove, sembra fare un cenno, poi perdi i sensi.
Tutto intorno a te è il buio più totale ed oscuro e non riesci minimamente a percepire di essere sollevata in aria da una misteriosa aura rossastra che ha in sé un potere maligno e corruttore che si sta insinuando nelle pieghe più profonde del tuo vero io.
***
 
“Yumikoooooooo!”
La voce di questo ragazzo è disperata, grida il nome di una bella ragazza che ha perduto dopo che è stato scaraventato ad Heartland City dal Tibet.
Piove, ma lui, abituato ad affrontare ben altre intemperie a mezze maniche, non ci fa caso.
La sua missione adesso è trovare la sua amata, ma come? Abituato ai villaggi, nelle grandi metropoli si sente perduto… Soprattutto in questa metropoli, che non conosce minimamente e che per lui è così surreale e tecnologica da sembrare uscita da un anime giapponese?
“Dove sono? Ma soprattutto… Dov’è LEI?” è la domanda che gli frulla in testa da più o meno quattro ore. Disperato, anche lui, come la ragazza dai capelli umidicci che in questo momento è in estremo pericolo, ma non può saperlo.
Poi una scintilla.
Nell’ insieme l’ apparizione è da mozzare il fiato.
Sospesa a mezz’ aria, è una specie di donna fantasma dalla pelle di un rosa sfumato con alcune rune violacee sparse qua e là e due occhi color della luna che lo guardano benevoli e incuriositi. I suoi vestiti argentati ondeggiano nel vento con un movimento che lascia ipnotizzati, ha delle gambe lunghe e affusolate e le curve giuste.
L’ essere davanti a lui è una visione celestiale, ne è certo. Così bello che le statue greche al confronto sfigurano.
“Ciao, umano.”saluta lei con una voce flautata che sembra far sparire il suono della pioggia.
“…Umano?”sussurra lui stupefatto. Sicuramente l’ apparizione proviene da un altro modo, ma come fa a sapere che alcuni tra gli abitanti della Terra si chiamano “umani”?
“Io sono Moon e ho bisogno di un grosso favore.”
“Io Tomoya. Scusami ma adesso non posso aiutarti, devo trovare la mia ragazza. L’ ho perduta venendo qui, per così dire.”
“Capisco…Tu non appartieni a quest’ Universo. E neanche lei.”
L’ osservazione lascia il povero tibetano senza fiato. Un barlume di speranza si fa spazio tra la cieca e nera disperazione che gli ha ormai mangiato il cuore e un piacevole tepore lo riscalda contrastando il freddo della pioggia che continua imperterrita a scendere dal cielo.
“Abbiamo una cosa in comune, vedo. Siamo simili. E io posso darti una mano a trovare Yumiko Santoro.”
“Sai dov’è? Ti prego, parla!”interviene in ragazzo con veemenza cercando di afferrare le mani dello spirito. Tentativo vano: l’ essere non è tangibile e le mani dorate di lui attraversano quelle di lei come se fossero gelatina.
“Non proprio, ma so che adesso è in grave pericolo.”
“Allora dobbiamo intervenire immediatamente!”
“Purtroppo non è in mio potere farlo adesso, mi dispiace.”
“E allora che ti ho chiesto aiuto a fare?” La voce di Tomoya esprime sconforto. “Secondo un antico proverbio del mio paese…”
Adesso il tono è leggermente saccente e Moon guarda il ragazzo incuriosita: non sa cosa siano i “proverbi” ma sa benissimo cos’è l’ amore, dato che è a causa di quel sentimento che è scappata dal Mondo Astrale. Quasi le dispiace per quel poverino che adesso si sta strappando i capelli perché non può fare nulla per la sua dolce metà.
Decide di aiutarlo, ma ad un patto.
“Senti, attualmente non sono in grado di aiutarti con le tue questioni amorose, però posso farlo per farti ambientare qui. So bene quali sono i tuoi timori perché anch’ io sono nella tua stessa situazione. Se tu troverai un oggetto per me, io potrò collaborare con te per ritrovare la prima gemella Santoro.”
“Davvero lo farai? Allora sono pronto a fare qualsiasi cosa! Ci sto!”
Tomoya accetta con un sorriso smagliante e con una nuova volontà più ardente che mai.
«Sai cos’è il “Kokoro no Rakuen”?”chiede Moon con un sorriso furbetto allontanandosi, mentre il ragazzo dagli occhi di zaffiro la segue riparandosi sotto le insegne dei vari locali.
***
 
Continua a piovere, ma il ragazzo seduto sul pilone dell' elettricità non sembra preoccuparsene: il temporale ha provocato un black-out totale ed Heartland City è sprofondata in un' enorme voragine buia. Se fosse stato giorno sarebbe stato impossibile non notarlo, dato il vestito giullaresco indaco e di un giallo fluo così acceso che avrebbe potuto illuminare l' intera città a giorno. Persino le scarpe ricordano molto quelle dei Jolly delle carte francesi, mentre il cappello, in tinta con la sua tenuta, è posato su uno dei tanti pilastri di ferro del pilone. I campanelli cuciti alla fine dei due lobi tintinnano piacevolmente nel vento e la gemma indaco a forma di chiave che egli tiene legata alla cintura manda dei bagliori inquietanti.
"Muhammad Ahmed Sahi." annuncia serissima una voce maschile. "Sono tornato."
"L' avevo ben capito, Steph." sorride il ragazzo in indaco stirando le labbra carnose in un sorriso e passandosi la mano scura tra i ricci color caffè. Poi dondola le gambe e ride, osservando l' imperturbabile compagno. Il nuovo arrivato ha bei capelli biondi, lunghi e inanellati, che al momento porta legati in un codino, e un paio di spettacolari occhi grigi.
Anche lui ha una tenuta, ma nelle tonalità del viola, che ricorda vagamente quella di un pittore, bagnata fradicia. Inoltre brandisce un enorme fucile da paintball, che fa sparire in un microsecondo con un gesto della mano.
"Allora, c' era qualcosa di appetibile in giro?"chiede interessato Sahi sedendosi accanto al compagno.
"Nulla di che, sai bene che dei pesciolini ce ne occuperemo in seguito. Dobbiamo dare la precedenza agli squali. E tu? Hai trovato Soggetto X?"è la risposta del biondo, la cui voce, anche nell' interrogativo, è piatta e senza alcuna espressività.
"No, solo mosche nere." ghigna Ricci Color Caffè. Sta per avventarsi addosso al  compagno per fargli il solletico, ma lo blocca un seccato: "Voi due parlate di questioni di massima importanza come se stesse partecipando ad un safari. Ritornate sul Pianeta Terra."
"Bentornato, QB."
"Muhammad, ti sarei grato se smettessi di usare quel ridicolo soprannome. Non capisco proprio questa vostra mania di mettere nomignoli a tutti."
"Capirai che novità! Tu non capisci niente di quel che concerne i terrestri!"
Una sorta di animale, un mix fra un gatto, un coniglio e uno scoiattolo dal corpo bianco con macchie bordeaux e gli occhi "a palla" del medesimo colore, avanza zampettando e scuotendo una coda troppo vaporosa per il corpo gracile. Si siede fra i due ragazzi e dice ventriloquo: "Il mio nome, testone, è Kyubey. Ed io, al contrario di voi, ho trovato qualcuno di interessante. Potrebbe essere una valida compagna di caccia, se la situazione non fosse... diciamo... leggermente complicata con lei."
Con le gambe penzoloni, Muhammad e Stephan, il ragazzo biondo, contemplano dal pilone la città buia sotto la pioggia mentre il vento sferza sui loro volti. Anche le escrescenze inanellate che pendono dalle orecchie di Kyubey ondeggiano spinte dalla tramontana. Lo stesso Incubator abbraccia Heartland City con lo sguardo, ma non è serio come i suoi compagni umani.
È inespressivo, eppure inquietante nella sua inespressività.
Proprio come il suo perenne sorriso.


Angolo dell' Autrice
Wow, okay. Come ho già detto, sono ancora qui e sono tutta agitata! Questo è il cross-over più grande che io abbia mai scritto e spero che vi piaccia!
Credo che questo prologo sia molto "stile Puff", ossia misterioso e confuso... Non ho nulla da dire, tranne che la ragazza di questa storia è l' OC a cui sono più affezionata e alla quale ho fatto vivere più avventure!
Devo alcuni doverosi ringraziamenti a
Feelings, per avermi sempre sostenuta con le parole (e gli scleri in chat LOL) e a Ryoku, fervente ammiratore di Yumiko che non vede l' ora di veder pubblicata questa storia.
Come ultima cosa, vorrei scusarmi fin da ora se gli aggiornamenti sia di questa long sia di "Like a rose thrown into a violent breeze" saranno lenti e irregolari, ma la scuola quasi non lascia respirare! Mi raccomando gente, se passate di qui e la storia vi è piaciuta, lasciate una recensione! E segnalate eventuali errori che alla mia testa bacata sono sfuggiti!
See you!
-Puff 

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Capitolo 2
*** 01: They don't really know me (first part) ***


Chapter 01
They don’t really know me (first part)
 
Muhammad, in completo sportivo rosso e dorato, scarpette da ginnastica e berretto da baseball, tiene la schiena poggiata contro il muro, la gamba ad angolo e le braccia incrociate. I suoi occhi scuri, nascosti dalla visiera del cappello, sembrano ostentare indifferenza mentre fischietta con estrema nonchalance. I suoi ricci folti sono più ribelli che mai e sembrano riflettere l’ agitazione che prova: sa bene che tra poco dovrà dare la caccia alle streghe e la cosa non è propriamente sicura e divertente. Lui ha già rischiato di lasciarci le penne molte volte.  
Stephan, invece, è in jeans blu-indaco, sneakers nere e T-Shirt verde e gialla. I riccioli biondi risplendono come oro colato nel sole del pomeriggio e la sicurezza che sfoggia è persino troppa, secondo il suo amico sudafricano. Si muove con decisone, ma nei suoi movimenti si scorge la consueta flemma che lo accompagna nella vita di tutti i giorni.
Ed ecco, davanti a loro, la strega: a prima vista non è che una rosa in boccio ricoperta da un cespuglio di rovi; qualcosa di innocuo se lasciato stare, insomma, ma loro sanno bene che il miglior modo per risolvere i problemi non è evitarli, ma affrontarli.
Stanno per trasformarsi ed attaccare, ma l’ arrivo di un volto noto li blocca.
È un ragazzo della loro età mediamente alto, quasi 160 centimetri, dal corpo snello, che cammina lentamente. La sua pelle ha il tipico colore dorato appartenente all’ etnia tibetana, mentre i capelli castani ricadono lisci dietro al collo, sfiorandogli leggermente le spalle. Gli occhi a mandorla, di un azzurro insolito in un asiatico ma bello a vedersi, sono incredibilmente seri e decisi allo stesso tempo. La camicia hawaiana arancione, il pantalone largo e i sandali di cuoio fanno parte della sua tenuta, ma suscitano in Muhammad  e Stephan un moto di sospetto: non è quello il tipico vestiario del misterioso nuovo arrivato, anche se il genere di vestiti è esatto.
“Tu qui?”chiede il biondo, incerto sul da farsi.
“Non vedo in quale altro posto dovrei essere se è questo il luogo in cui ho perso Santoro-oneesan. E ancora non l’ ho trovata.”risponde piatto il tibetano.
“Caspita, fratello, questo comportamento non è da te!”interviene preoccupato Ricci Color Caffè. “Davvero è così grave?”
“Sono cinque mesi, Sahi. Cinque mesi. Forse potrà sembrare un numero irrisorio, ma la situazione è grave. A quest’ ora sarà già creduta scomparsa oppure morta. Ma io so che non è così, ed io nel mio Universo senza di lei non ci torno.” È la risposta del castano, leggermente più irata nel finale. «L’ operazione “Black Pearl” procede troppo a rilento senza il vostro contributo.»
“Secondo me non c’è troppo da preoccuparsi.”
“Kyubey.”la voce del tibetano è incredibilmente dura, quasi sputa tra i denti il nome dell’ alieno.
“Smettila di trattarmi come se fossi uno scarafaggio, Shizenyuuki. Comunque, dicevo che non c’è nulla di cui preoccuparsi, dato che il tempo scorre diversamente negli Universi Paralleli. Anche Muhammad dovrebbe saperlo.”
L’ atmosfera diventa ancora più pesante e gli occhi di tutti fissano il sudafricano, che deforma il proprio sorriso facendolo diventare una smorfia di rabbia.
“Ti abbiamo ascoltato. Adesso sparisci.”dice poi seccato indicando un muretto poco distante con il mento.
Sempre con quel suo sorriso snervante, l’ animaletto fa dietrofront e scompare silenzioso come un ombra sulle sue zampette gracili da gatto.
Dopo un momento d’ esitazione, i tre riprendono a parlare e camminare, ma procedono più lentamente e le parole, strozzate nella gola, fanno fatica a farsi strada tra i pensieri cupi che attanagliano le loro giovani menti.
“A proposito, Shichan.”
È Stephan ad interrompere il silenzio con uno scatto improvviso della testa.
Si gira verso il ragazzo dalla pelle d’ ambra e lo guarda, serio, negli occhi color del cielo.
“Come sta procedendo quell’ altra missione?”  
“Vedo che ci sono ancora molte cose che non sapete di me.”è la risposta, accompagnata da uno strano sorriso beffardo.
***
 
“Cosa? Un Carnevale Mondiale di Duelli? E sarebbe?”chiede una ragazza passandosi un asciugamano candido dietro al collo imperlato di sudore.
Lei e le sue compagne si trovano in una palestra, o per meglio dire una sala da ballo, dato il pavimento di parquet lucidato a specchio e la sbarra di legno che corre lungo tutte le pareti della stanza, sulle quali sono presenti dei grandi specchi.
A fare la domanda è una bella ragazza, un po’ bassa per i suoi tredici anni e mezzo, ma dal fisico snello ed armonioso. Il viso ovale è incorniciato da una folta massa di capelli castani dai riflessi ambrati che ella tiene spesso legati in una treccia: sembra che non sappia mai come tenerli sciolti senza che le diano fastidio. Gli occhi marroni presentano due sfumature azzurre dalla forma a doppia elica e sono accompagnati da ciglia molto lunghe. Le sopracciglia, di contro, sebbene sottili, sono molti ribelli e si scompongono ogni tre minuti. Il naso è piccolo, a patata, e dalle labbra sottili color del corallo esce una voce che ha un qualcosa d’ italiano nella pronuncia.
Le dita assomigliano parecchio a quelle dei violinisti, lunghe e affusolate come sono, mentre le cosce hanno i muscoli sviluppati tipici delle pattinatrici.
La ragazza indossa una semplice tuta costituita da una T-shirt verde chiaro e un pantalone largo nero, tenuto fermo in vita da due elastici. Le scarpette dalla suola alta, bianche e nere, hanno l’ aria di essere usate da un bel po’ di tempo.
“Caspita Emerald, che intuito!” ribatte ironica una delle sue compagne, Chieko Murasaki, alle quale quindici anni e centosessanta centimetri d’ altezza non conferiscono proprio nulla di anche solo vagamente adulto. La Murasaki è una ragazza sottile, ossuta, dal viso tondo e capelli rossi scalati ai quali spesso applica delle extention blu, molto probabilmente per entrare meglio nel ruolo di Sapphire, una delle idol che in quel momento stava spopolando ad Heartland City. Gli occhi violacei, il portamento impeccabile e l’ atteggiamento altezzoso non la rendevano esattamente il genere di amica dolce e comprensiva sognata da tutti.
“Sì, insomma, è un grande evento al quale parteciperanno persone provenienti da tutto il mondo! Ci saranno tre giornate di eliminatorie e poi i duellanti più bravi, quelli che saranno sopravvissuti, per così dire, si confronteranno in una serie di gare da mozzare il fiato!” interviene la terza delle tre compagne, Aoki Makiko, con eccessiva irruenza.
I centocinquantasei centimetri, gli occhi marroni leggermente a mandorla, i lunghi capelli neri dritti come spaghetti e il carattere allegro ed impulsivo fanno sì che venga vista come “la tipica ragazza giapponese”, ma in realtà è una donnina affidabile e combattiva, pronta a tutto per tener fede ai suoi ideali, con una voce da doppiatrice. In questo momento indossa una maglia rossa dal collo al barchetta, un pantaloncino di jeans sotto al quale sbucano un paio di collant neri e delle scarpe da passeggio rosse con i lacci. Ha la fronte imperlata di sudore e non fa altro che parlare tirando un sorso d’ acqua dietro l’ altro dalla sua borraccia arancione per prendere fiato.
“Tu hai intenzione di partecipare, Ruby?” chiede quindi Chieko, interessata. Ruby è il nomignolo di Makiko, appioppatole data la passione sconfinata per le pietre preziose dai colori vivaci della pimpante ragazza corvina.
“Ma certo, Sapphire! Modestia a parte, sono stata la prima a registrarmi per poter partecipare!” ridacchia Aoki.
“Uhm. Mi sono registrata anch’ io, ma ancora non mi è stato recapitato il Frammento di Cuore. Vabbè, dato che mio padre fa parte del Comitato Organizzativo, chiederò a lui.”la interrompe la rossa assumendo un atteggiamento di superiorità. Poi, rivolgendosi alla ragazza castana, le domanda: “E tu, Emerald? Sarai della partita?”
“Sinceramente non credo. Giocare a Duel Monster non mi piace un granché…
Forse però parteciperà mio fratello. Ma, per quanto riguarda me, sono ben felice di esserne fuori.”
“Ma lo sai che sei strana? Per essere una ragazzina, intendo.” interviene una donna in tailleur blu e scarpe con tacco 10 avvicinandosi verso di lei. È la madre di Chieko, Rumiko Murasaki, una donna ventisettenne e ordinaria dai capelli mossi che le sfiorano le spalle e severi occhi azzurri nascosti da un paio di occhiali dalle lenti ovali. A nessuna delle tre ragazze riesce particolarmente simpatica, ma le portano lo stesso rispetto. “Secondo una recente ricerca, i duelli sono il passatempo preferito del 97% dei ragazzi di questa città. Tu, a quanto pare, fai parte di quel 3% che li detesta.”
“Il mondo è bello perché è vario, signora Murasaki.” interviene Makiko con una voce roca che fa scoppiare a ridere tutti i presenti.
“Ad ogni modo” riprende Rumiko “la lezione di oggi è, nel complesso, stata buona. Ruby, però, deve sforzarsi di andare a tempo con la musica e con le sue compagne. Chieko, tu balli con la stessa grazia di un branco di gnu al pascolo, e tu, Emerald, sei ancora un po’ troppo lenta nei movimenti.”
Ruby, Sapphire ed Emerald sospirano in coro. Sono abituate ai sermoni della loro manager, ma non possono dire lo stesso del tono petulante con il quale la signora Murasaki fa notare loro i rispettivi difetti.
È ora di andare.
La castana, il cui vero nome è Yumiko, scivola silenziosa negli spogliatoi e si sveste con lentezza, con dei movimenti quasi da automa. Con la stessa flemma apre la sua sacca grigia e ne estrae un bel vestito bianco immacolato, le cui maniche a palloncino terminano con una sorta di polsino verde chiaro bordato d’ oro. Il corpetto e la gonna, che ricorda la corolla delle campanule, sono tenute insieme da qualche centimetro di una strana stoffa, anch’ essa dorata, che termina con un triangolo sul davanti. Sopra di esso indossa una giacchina finemente ricamata, verde scuro, dalla quale sbuca una sorta di “mantello” verde e bianco, bordato d’ oro, che le copre la schiena e le arriva alle caviglia. Le sue ballerine sono di pelle bianca e presentano una suola gommosa che si confonde con esse.
A Yumiko piace un sacco quest’ abito, formale com’ è, semplice ma al contempo ricco di particolari. Ha persino una pietra verde che pende da una delle maniche.
La pietra verde, fedele compagna delle sue “scorribande” in città.
Esce dalla sala da ballo e cammina adeguandosi al ritmo della folla di tutti coloro che vanno verso il centro della città. Passa inosservata, così come il suo segreto, pensa.
I passetti veloci la portano in pochi minuti alla sua destinazione, un lussuoso Hotel che sovrasta tutta Heartland City con la sua imponenza. Mai quanto la Heartland Tower, certo, ma quella era casa sua da un bel po’ di tempo e vi si era affezionata con una certa rapidità.
L’ ascensore sale veloce, quasi non le da tempo per respirare, ma riesce a fermarsi per un attimo non appena arriva nella sua stanza.
Lì un bambino dai lunghi capelli biondi legati in una treccia e una possente maschera di ferro sul volto sta guardando rumorosamente più cartoni animati nello stesso momento, ridendo e battendo le mani in un modo che la ragazza trova un po’ ridicolo.
Accanto alla sedia0 dove egli sta seduto non c’è nessuno.
 “Evidentemente i miei fratelli sono altrove.”pensa con disappunto Yumiko.
“Bentornata, Sixth.” la accoglie invece il bambino, Tron, con la sua vocetta melliflua. “Sai cosa c’è di nuovo?”
Yumiko non risponde, ma rimane accanto al bambino con uno sguardo stoico, cercando di capire dove volesse andare a parare con quei preamboli.
“Ti ho iscritta al Carnevale Mondiale di Duelli, come hanno fatto anche Five, Four e Three. Finalmente potremo avere la nostra vendetta.”
“Che… COSA?” quasi strilla la tredicenne. Quel fatto proprio non le va giù: perché diavolo avrebbe dovuto giocare con dei mostri che si materializzavano come per magia dalle carte? Per lei è una cosa semplicemente inutile. Esistono passatempi molto più produttivi di quello. E poi lei non ha tempo per svagarsi: deve vendicarsi per l’ inganno ordito dal Dottor Faker contro la felicità della sua famiglia.
A questo pensiero, Sixth si blocca: già, quello stupido Dottore. Come aveva potuto farlo? Per una stupidissima ricerca, per di più! Nonostante la sua indole generalmente gentile e fin troppo tranquilla, a Yumiko quel pensiero fa tornare su una rabbia incredibile.
Decide quindi di non eccepire, pur ignorando la voce della volontà, e mentre Tron le spiega cosa avrebbe dovuto fare lei lo ascolta distrattamente, pensando che ci sono ancora troppe cose che le sue amiche, la sua famiglia e persino la sua stessa anima non sanno di lei.



Angolo dell' Autrice
Ohw, people. No, come potete vedere non sono morta, ma avevo semplicemente un computer in riparazione e una marea di compiti da fare. Quindi scusatemi davvero per l' enorme ritardo!
Anyway, passiamo ai ringraziamenti, che vanno a
Ryoku, Feelings, BennyloveAstral e Stellaskia che hanno recensito il prologo di questa storia. 
Grazie a tutti, siete fantastici! Del resto, devo raddoppiare i ringraziamenti alle sopracitate Feelings e Stellaskia che hanno inserito questa sottospecie di scarabocchio nato da una mente non troppo affidabile questa storia tra le preferite e mi hanno letteralmente riempito di gioia :')
Siete mitiche!
E, passando al chapter, per la gioia dei fan di MadoMagi sono ritornati(?) Muhammad e Stephan, due "Pueri Magi"con tutti i crismi. Vi siete fatti un' idea si chi possa essere il misterioso Shizenyuuki-san?
Spero inoltre di aver reso bene Tron >.<" Nel caso non l' avessi fatto, non mi stupirei, perché mi monta la voglia di strozzarlo tutte le volte che lo vedo (*AmoreImperituroMODE.OFF*)... E cosa pensate di Sixth, questa misteriosa sorella Tron?
A voi la parola! Mi raccomando, recensite!
See you!
-Puff
PS: Se questo capitolo è scritto letteralmente da far pena è perché ci ho lavorato su ascoltando "Uninstall" di Chiaki Ishikawa :') Detto questo, non uccidetemi.
PPS: Mi rivolgo a voi fan di Madoka Magica: avete mica trovato dei riferimenti al manga? XD

 

   



   
 

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Capitolo 3
*** 02: They don’t really know me (second part) ***


Chapter 02
They don’t really know me (second part)
 
“Perché, ma perché, Kami-sama?” si lamentò Sixth nascondendo la faccia tra le mani, entrambi i gomiti poggiati sul tavolo d’ ebano.
“Stai scherzando! È una cosa bellissima!” intervenne III in per confortarla, le mani impiastricciate di una strana sostanza biancastra.
“Parla per te. No, io al WDC non partecipo. Non so duellare. E mi annoio.”
“Così parti prevenuta.”
“E allora, cosa succede qui? La mocciosa ha un’ altra delle sue crisi?”disse beffardo IV, appena rientrato dalla sua “missione” con un sorriso sadico sul volto.
VI lo guardò storto. Non che avesse proprio in odio il secondo fratello maggiore, ma nella maggior parte dei casi il suo comportamento aveva l’ incredibile potere di farle saltare tutti i neuroni (e tutto il resto del sistema nervoso) contemporaneamente. Non le piacevano i “fighetti di città”, quindi figuriamoci chi ostentava un comportamento crudele. Certe volte, però, sapeva essere davvero adorabile con lei.
Rimpiangendo il fatto che Four non mostrasse spesso il proprio lato tenero, si limitò a grugnire, con poca convinzione: “Com’ è andata con quel… Kamishiro Ryoga?”
“Tutto magnificamente, ma queste non sono cose che t’ interessano. Perché ti lamentavi, pulce?” fu la risposta.
“Quanto ti odio quando usi quel nomignolo.”frignò la castana mettendo il broncio.
“È quello adatto a te, mocciosa.”
Tom Burrasca, piantala immediatamente!”gridò Sixth a quel punto sventolando il dito indice sotto al naso del secondogenito.
“Non potevi trovare qualcosa di meglio?”
“No, perché ti si addice. E non farmi aggiungere altre parole non ripetibili di fronte a qualcuno che ha la puzza sotto il naso.”
“Cosa stai insinuando, brutta mocciosa?”
“Io non insinuo proprio nulla.”
“Non è vero!”
“Sì che è vero!”
“No che non è vero!”
“Ragazzi, basta! Cercate di andare d’ accordo come dei buoni fratelli.”li rimproverò Three, gli occhi verdi rattristati ed il volto leggermente contratto in una smorfia triste.
Di solito, nel vedere lo sguardo triste del fratello dai capelli confetto, Sixth cedeva. Al contrario di quanto accadeva con IV, Yumiko adorava Michael.
Le piaceva tutto di lui: gli occhi verdi come smeraldi, la frangia leggermente mossa e tinta di rosa, i riccioli impertinenti che sbucavano ai lati della testa, i movimenti aggraziati da pattinatore e soprattutto la sua gentilezza d’ animo.
Cercava sempre di capire i suoi sentimenti e di confortarla, anche quando era nei suoi periodi neri e faceva fuori a colpi di sguardi in cagnesco tutti coloro che osavano anche solo avvicinarsi a lei.
“Okay, Nii-sama.” Sorrise quindi ignorando il fratello dai capelli bicolor e dando due gentili colpetti alla testa del terzogenito alzandosi sulle punte.
Poi pescò due biscotti dal vassoio d’ argento e li sgranocchiò rumorosamente.
Non aveva ancora cambiato idea riguardo al Duel Monsters: proprio non le andava giù l’ idea di dover partecipare a quello stupido Carnevale, ma insistere ulteriormente avrebbe solo complicato le cose. Se non si fosse iscritta di spontanea volontà, l’ avrebbe obbligata il maggiore dei fratelli, Five, o meglio Christopher.
Chris… Come mai era cambiato così tanto? Fino a cinque anni fa era il fratello maggiore che tutti avrebbero voluto: calmo, gentile, spesso sorridente, ma anche severo quando doveva esserlo. Tuttavia era un punto di riferimento sia per lei che per gli altri due.
Da quando aveva giurato vendetta al Dottor Faker era cambiato radicalmente: non sorrideva più, parlava poco e solo quando era strettamente necessario, ossia quando doveva dare degli ordini.
Da calmo era diventato freddo e insopportabilmente ligio alle regole.
Thomas, che pure un angioletto non era, aveva avuto un netto crollo nei confronti degli avversari e talvolta anche in quelli dei familiari; mentre Michael aveva dovuto inasprire il proprio carattere gentile e mascherare tutta la propria tristezza e tirare avanti facendo finta di niente.
Sixth era l’ unica che lo vedeva singhiozzare sotto le lenzuola ricamate prima di addormentarsi.
E lei?
Lei era diventata un’ idol che tradiva i propri fan; una ragazza all’ apparenza dolce, onesta e zuccherosa che nella vita privata passava al vaglio i deck dei propri ammiratori per vedere se questi contenessero Carte Numero. Ma non solo.
Era necessario, ma certe volte la faceva star male.
Un’ ondata di amarezza le strinse la testa in una morsa.

 
***
 
 
 
Multiverse [SLASH://]
 
“Allora? Tomoya l’ ha trovata?”chiese impaziente una ragazzina dodicenne dai capelli castani liscissimi facendo irruzione in una stanza buia. La tuta arancione era troppo grande per lei e sembrava che le sue gambe navigassero nei pantaloni.
“Forse.” Le rispose un ragazzo afroamericano dalla pelle color cioccolato e gli occhiali a “fondo di bottiglia” ben piantati sul naso che facevano sembrare verdi gli occhi marroni. Indossava un jeans blu-indaco, scarpe da passeggio ed una giacca blu sopra una maglia scolorita. “Il caro Mister Proverbi a Sproposito dice di aver individuato una ragazza molto simile a lei ad Heartland City, in Giappone. Ma non il Giappone di questo Universo.”
“Ecco, infatti un nome inglese per una città nipponica è altamente inusuale.” Intervenne un’ altra persona, stavolta una ragazza, con magnifici occhi verdi e un caschetto di capelli rossi fermato da due mollette verdi ai lati della testa che mettevano in risalto la forma perfettamente ovale del viso. Matilde, questo era il suo nome, vestiva come una collegiale: maglia a maniche lunghe e gonna corta blu accompagnate da calzettoni rosa confetto e ballerine.
“Seriamente, sono preoccupata per Tomoya. Da quando la prima delle gemelle Santoro è scomparsa ha avuto un crollo spaventoso, non sembra neanche più lui. Ma soprattutto proprio non capisco perché abbia deciso di trasferirsi lì e di diventare un… un…”proseguì poi.
“Number Hunter.”la aiutò il ragazzo dalla pelle color cioccolato.
“Ecco, grazie Isaia. Non dico che il gesto in sé sia sbagliato, so bene che lo sta facendo per ritrovare la sua fidanzata. Come lo si può biasimare? Quello che mi chiedo e che mi lascia perplessa è questo: c’è davvero bisogno di arrivare a tanto?”
“Cosacosacosa? Aggiornatemi!”chiese la dodicenne con aria curiosa.
“È arrivato a sacrificare la sua anima.”
“Oh porca Madoka.”
Per un po’ il silenzio aleggiò cupo nella stanza insieme ai molti sentimenti inespressi che i tre ragazzi cercavano da un pezzo di nascondere senza grandi risultati.
Ansia, eccitazione, inquietudine e diffidenza si mescolavano creando un mix micidiale che lasciava i presenti senza parole e con una strana sensazione d’ amaro in bocca.
“Ragazzi, ho notizie nuove di zecca per voi!” esclamò una voce allegra che portò con sé una ventata d’ aria fresca e di emozioni positive.
Paula Hernandez, ragazza spagnola di quattordici anni, era la spola tra i vari Universi, la messaggera di quel ristretto gruppo di ragazzi che stava disperatamente cercando Yumiko Santoro, enfant prodige dei manga, che a soli quattordici anni aveva già scritto o diretto dieci serie.
La giovane Hernandez era una ragazza davvero carina, con lunghi capelli rossi acconciati in modo da seguire lo stile rock/punk e due grandi ed espressivi occhi azzurro cielo. Portava un completo casual costituito da maglia, pantalone extralarge e sneakers nei toni del fucsia, contro il quale spiccava la pelle stranamente pallida.
“Guardata un po’ la foto di questa ragazza. Non assomiglia parecchio alla nostra mangaka?”
“Fisicamente sì, anzi direi che ne è la copia sputata. Gli stessi capelli castani e mossi, gli stessi occhi marroni con sfumature azzurre…”
“No. Isaia, frena un attimo. Sei impazzito, per caso?” obbiettò Valentina, la dodicenne che del resto anche la sorella minore della ragazza data per dispersa.
“Valentina ha ragione. Le incongruenze sono troppe.”la spalleggiò Matilde. “Ad esempio le ciocche di capelli che ricadono davanti alle orecchie: Yumiko non ce le ha mica tinte di verde. Inoltre le sfumature degli occhi di questa ragazza sono quattro e si incrociano a doppia elica, un po’ come la forma del DNA, mentre la seconda delle sorelle Santoro ne aveva otto e disposte a raggiera intorno alla pupilla.”
“Giusto! Anche il vestiario non corrisponde.” Approvò la quarta sorella Santoro. “Mia sorella non si infilerebbe un vestito di quelli neanche morta. Una volta, quando era più piccola, nostra madre ha impiegato tre ore per convincerla ad infilarsi un abito elegante nero accompagnato dalle calze color carne e le ballerine di vernice nere.”
“È quello che ho fatto notare al caro Shizenyuuki, ma lui è testardo.” Scosse la testa Paula. “Dice di essere sicuro: questa ragazza è la nostra ragazza.”
“Ah sì? E da cosa l’ ha capito?”chiese beffardo Isaia.
“Dagli occhi.”
“Che grandissima scemenza!”scoppiò a ridere Valentina.
“Io non direi.”la gelò subito dopo Matilde.
L’ attenzione generale fu rivolta a lei.
“È vero, le contraddizioni ci sono e non sono poche, ma effettivamente noi non sappiamo se Yumiko sia rimasta la stessa passando da un Universo all’ altro. Potrebbe aver deciso di nascondere a tutti la propria vera identità, e quando ci si maschera da cosa si potrebbe partire, se non dall’ aspetto fisico?”
“E brava la mia cuginetta! Sta imparando.”approvò la spagnola.
“Per cui fare un salto a controllare non sarebbe una cattiva idea.”concluse l’ afroamericano.
“Una robetta da niente!” mugugnò Valentina. “Andare chissà come in un Universo Parallelo, convincere chissà come mia sorella a smettere di vivere in una città ultratecnologica in cui tutti vorrebbero vivere e ritornare chissà come qui…”
“Non ti facevo così disfattista, sai Val? Il modo per arrivare ad Heartland City, almeno, ce l’ abbiamo… Ed anche una valida scusa per avvicinarla.”


Angolo dell' Autrice
Rieccomi qui! Scusatemi se sono in mostruoso ritardo, ma ho avuto il mio bel po' da fare con la scuola e tutto il resto...
Fu così che in questo secondo capitolo comparvero nuovi e misteriosi personaggi! Vabbè, se avete una buona conoscenza di cartoon italiani relativamente recenti vi sarete accorti che Isaia, Paula e Matilde appartengono al cartone "Slash://" del Gruppo Alcuni. Qualcuno tra voi lettori lo seguiva?
Ah, per inciso, il cognome "Hernandez" per la nostra(?) spagnola l' ho inventato io e solo ai fini della storia, anche perché il suo vero cognome (così come anche quello degli altri personaggi) non si conosce (o forse non lo conosco io xD)!
Si comincia anche a delineare meglio la figura di VI, la nostra sorella Tron (ergo: preparatevi a vederla litigare mooolto spesso con IV!). Avete commenti da fare? Segnalazioni di eventuali errori?
A voi la parola!
See you!
-Puff


NEL PROSSIMO CAPITOLO:
Un nuovo studente si iscrive alla Heartland Academy e finisce nella classe di Yuma. Il suo aspetto fisico molto avvenente e i suoi modi misteriosi attirano molti sguardi, ma cosa si nasconde dietro ai suoi occhi di ghiaccio e alle risposte gelide?

  
 

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Capitolo 4
*** 03: Braving fate ***


Chapter 03
Braving fate
 
 
“Uninstall, uninstall
Kono hoshi no muusu no chiri no hitotsu dato
Ima wo boku niwa rikai dekinai
Uninstall, uninstall
Osore wo shiranai senshi no you ni
Furumau shikanai
Uninstall…[1]”
Un guerriero che non conosceva le paure: questo era diventato.
Quella canzone che pulsava insistentemente negli auricolari del suo I-Pod non era un semplice sfogo, come la maggior parte delle persone pensava, ma la sua fede, il suo canto di guerra.
Nonché la prima che avesse udito da quelle labbra di rosa che lo lasciavano incantato con la delicatezza dei loro baci, con le dolci parole che emettevano e i sorrisi sfuggenti che spesso gli avevano rivolto, accompagnati da un timido ma irreprimibile scintillio negli occhi.
Quelle stesse labbra che aveva perso durante una notte piovosa.
Una notte che non smetteva più di tormentarlo.
Per un tibetano come lui passare dalle lingue sino-tibetane, come il cinese, ad una uralo-altaica quale il giapponese c’ erano state non poche difficoltà nonostante le varie somiglianze. Pur parlandolo in modo abbastanza fluente, confondeva ancora parole quali “sirena” o “bambola”[2], facendo così gaffe alquanto imbarazzanti.
Gettò uno sguardo astioso alla sua immagine riflessa in una vetrina: anche conciarsi in quel modo era abbastanza ridicolo. Non che la divisa della Heartland Academy gli stesse male o gli desse fastidio, ma lui provava un odio incondizionato verso tutte quelle cose che portavano a “standardizzare” le persone.
“Non fermarti così proprio a metà strada, stupido. Okay che sei già a metà dell’ opera, ma non puoi perderti in meditazioni filosofiche a dieci minuti dall’ inizio delle lezioni.”
Andò avanti camminando a testa alta.
“Ehi, moccioso, levati da mezzo!”
“Lo sapevo: i classici bulli di città che credono di potersela tirare con me solo perché sono ancora alle medie. Stavolta sono in quattro.”
“Spostatevi voi. Ostruite il passaggio.”
“Moccioso, non credere di poter fare il duro con noi!”
“Io non credo di poterlo fare, cervello di gallina. Io so di poterlo fare.”
“Uno sguardo glaciale è la tattica vincente in questi casi.”
“Ma sentitelo!”
“Questa sicurezza è sospetta… Aspetta, ma tu non sei mica…”
“Sono figlio di un membro del Comitato Organizzativo del Carnevale di Duelli.”
“Bugia enorme, ma buona. Se la sciropperanno di sicuro.”
“Diavolo!”
“Meglio farlo passare, ‘sto bimbetto, non si sa mai.”
“Davvero avete paura di questo microbo? Ragazzi, mi fate pena!”
“Ed ecco il classico punk con l’ istinto prevaricatore. Anche quello un ostacolo facilmente sormontabile.”
Microbo a chi? Tappati quella fogna se non vuoi finire in un oceano di guai.”
Il tibetano sgomitò riuscendo così a farsi spazio tra la folla superando persino la resistenza del tizio punk con l’ anello al naso, al quale lanciò un’ altra occhiata gelida: con la coda dell’ occhio riuscì a notare una strana aura violacea, negativa.
Il suo istinto gli disse di stare in guardia.
“Hai visto?”disse preoccupato uno spirito astrale dai lunghi capelli fucsia che ondeggiavano nel vento. “Quella era l’ aura di chi è influenzato negativamente dal potere di un Numero.”
“Non temere, Moon. Me ne occuperò a tempo debito. In fondo è il mio lavoro.”
***
 
“Ragazzi, un attimo d’ attenzione per favore!”
La voce del professor Ukyo Kitano, un uomo alto dai capelli castani con un ciuffo ondulato che cadeva di lato e degli occhiali dalle lenti quadrate ben saldi sul naso riecheggiò per tutta l’ aula. Dato il modo in cui aveva pronunciato quelle parole doveva essere successo qualcosa di serio.
“Vorrei presentarvi un vostro nuovo compagno di classe. È venuto qui dal Tibet circa cinque giorni fa, ma non si è ancora ambientato del tutto, quindi vi prego di trattarlo come un’ ospite di riguardo. Shizenyuuki, entra!”
Gli studenti sentirono un serissimo ma deciso “Sì, subito” provenire da dietro la porta, che, scorrendo, rivelò l’ aspetto fisico del nuovo arrivato.
Era un ragazzo di quelli che non passavano mai inosservati: nonostante fosse un po’ basso, aveva un viso ovale dai tratti al contempo delicati e virili e la pelle di un magnifico colore dorato. I capelli lisci e folti gli sfioravano il collo ed erano di un bel castano scuro, mentre gli occhi allungati avevano lo stesso colore del cielo terso primaverile.
Il suo fisico era asciutto ed armonioso, lo si poteva vedere persino sotto la divisa, che del resto era tenuta in modo diverso rispetto a quello di tutti gli altri alunni: ad esempio, la cravatta rossa era quasi del tutto allentata, alla vita portava una cintura rossa di stoffa messa di sbieco e, al posto delle classiche scarpe basse di cuoio, calzava dei sandali arancioni che stonavano parecchio con la divisa.
Tutte le ragazze della classe, escluse Kotori Mizuki e Cathy “Cat-chan”, andarono in brodo di giuggiole: di ragazzi così nella loro scuola ne avevano davvero pochi, inoltre si aspettavano che un ragazzo dall’ aspetto così avvenente avesse anche un carattere allegro e gentile.
Tuttavia le poche parole dell’ affascinante nuovo arrivato furono fredde e formali, pronunciate meccanicamente, come se non avesse fatto altro nella sua vita che cambiare scuola: “Salve a tutti. Il mio nome è Tomoya Shizenyuuki e spero di trovarmi bene qui con voi. Ah, a proposito, quel che vedete di me è tutto quello che vi basterà sapere. Se qualcuno di voi mi vedrà al di fuori dell’ ambito scolastico e andrà a spifferare quel che faccio in giro, può considerarsi morto.”
Questo discorso breve e secco lasciò la classe a guardare basita il nuovo allievo, per cui il prof. Kitano, sentendosi in dovere di rendere l’ atmosfera più serena, sfoggiò il migliore tra i suoi sorrisi di circostanza e disse, alquanto turbato: “Ehm… m-molto… bene. Ecco, Shizenyuuki, dato che oggi c’è un assente, puoi sederti di fianco al nostro capoclasse, Todoroki-san. Sarà lui a farti capire come vanno le cose qui.”
“Salve, Shizenyuuki-san!”intervenne il diretto interessato alzandosi di scatto dalla sedia con un sorriso forzato. “A nome dell’ intera classe ti do il benvenuto alla Heartland Academy!”
“Grazie mille.”replicò freddo Tomoya, i cui occhi sembravano voler fulminare il povero ragazzo dai capelli azzurri a caschetto e gli occhi verde limone, per poi andarsi a sedere affianco a lui.
“Okay, ora possiamo cominciare la lezione di matematica. Un identità è…”
Mentre il professor Kitano cominciava a spiegare le identità e le equazioni di primo grado ad una classe del tutto disattenta, solo lo sguardo del neo-alunno e quello di Takashi erano rivolti verso la lavagna.
Tuttavia, se Todoroki era attento e concentrato, non si poteva dire lo stesso del suo compagno di banco, la cui attenzione era rivolta a tutt’ altro.
Più precisamente ad un antico artefatto fatto quasi interamente di carbonio ed oro che, secondo un antica profezia, sarebbe dovuto servire a “placare quella catastrofe che giace al contempo nella parte più interna del cuore umano e alla fine dell’ Universo da voi conosciuto”. Secondo Moon, la sua guida, quell’ oggetto misterioso avrebbe mutato più volte le proprie sembianze, mosso dalla guida dei sentimenti umani, e sarebbe apparso più volte in varie leggende umane, quali ad esempio quella dell’ “ascesa al potere” di Zeus nell’ antica mitologia greca: in quella leggenda infatti avrebbe assunto le sembianze dell’ elmo dell’ invisibilità di Ade.
L’ ultima volta in cui fu adoperato fu durante la prima scalata del monte Everest (o monte Chomolangma[3], in tibetano), nel 1953, poi non se ne avevano più notizie, o perlomeno non ce n' erano di certe.
Ma Tomoya aveva promesso alla sua amica Astrale di ritrovarlo, e per farlo non si sarebbe risparmiato: avrebbe scandagliato ogni singolo angolo del pianeta e l’ aula della sua nuova classe non era una possibilità da escludere.
Era una questione di principio.
Facendo ben attenzione a non farsi notare, nascose la mano destra sotto al banco facendo attivare, con una leggera pressione sulle dita, un dispositivo nascosto nella sua cintura rossa.
Non appena schioccò le dita, il tempo si bloccò: il professore rimase con la bocca aperta a formare una grande O e il braccio piegato nell’ atto di prendere un pezzo di gesso; Takashi, con una faccia imbambolata, venne bloccato mentre stava aprendo il suo astuccio; mentre il resto della classe, che stava conversando oppure approfittava della lezione per recuperare il sonno perduto, si ritrovò pietrificato nelle posizioni più svariate.
C’ era persino un ragazzo dal taglio di capelli punk e gli occhi rossastri che stava ammirando alcune delle sue carte da Duel Monsters con un sorriso ebete e con un filo di bava che Tomoya reputò rivoltante.
Tuttavia quel sensore nella cintura non rilevò tracce di carbonio e lui, deluso, fece ritornare tutto alla normalità.
 
 
***
“Allora, Shizenyuuki? Come ti è sembrata la prima lezione qui?”chiese premuroso Takashi al suo glaciale compagno di banco.
“Normale.” Rispose Tomoya con un’ alzata di spalle. “Mi piace il modo in cui spiega il vostro professore, però. Riesce a semplificare anche le cose più complicate rendendo così la matematica meno noiosa.”
I due stavano passeggiando per i corridoi della scuola: era da poco suonato l’ intervallo, per cui sgranchirsi un po’ le gambe dopo lunghe ore di lezione era parsa a tutti e due un’ ottima idea. Dopo suo arrivo nella nuova classe, Tomoya era diventato leggermente meno rigido; ovunque passasse, notò inoltre Todoroki, il tibetano attirava verso di sé tantissimi sguardi e suscitava l’ ammirazione generale, seguiti ovviamente da un putiferio di commenti sulla sua avvenenza.
Il cortile, come sempre, era pieno di duellanti euforici e grintosi, tutti pronti a sfoderare i loro mostri migliori pur di vincere il duello.
“Dimmi, Todoroki-san, anche tu duelli?”chiese Shizenyuuki guardando fuori dalla finestra con gli occhi azzurri persi nel vuoto.
Il compagno lo guardò sorpreso: durante le tre-quattro ore che avevano passato assieme, Tomoya non aveva quasi mai spiccicato parola e quando l’ aveva fatto, principalmente per rispondere ad alcune domande poste da lui o dai professori, lo aveva fatto usando un tono freddo, quasi meccanico, se non addirittura infastidito o arrabbiato.
“Beh, sì. Tra i ragazzi di Heartland, come avrai potuto notare, il Duel Monsters è un hobby molto diffuso. Non me la cavo male ma in giro ci sono duellanti migliori. E tu, Shizenyuuki-san…?”
Purtroppo per lui il povero Takashi non riuscì a finire la domanda che voleva porre al misterioso nuovo arrivato, perché una forte voce femminile lo interruppe esclamando: “Tomoya Shizenyuuki, io, Haniko Kasumi, ti sfido a duello!”
La sfidante era una ragazza di seconda media, con la divisa bianca e verde acqua, i cui capelli riccissimi erano rossi e con mecche verdi e tenuti legati in due code all’ altezza delle tempie. Il suo viso era pallido e squadrato e gli occhi neri albeggiavano crudeli sotto la lunga frangia verdastra, mentre le labbra carnose erano piene di rossetto.
Tutto, nel suo abbigliamento, faceva trasparire la sua passione per la musica punk: l’ anello d’ argento al naso, ad esempio; i bracciali e la cintura pieni di borchie; gli anfibi neri al ginocchio con la suola a carrarmato erano tutte parti integranti della divisa; che del resto presentava strappi qua e là, specialmente sui bordi della gonna.
“Cosa ti fa credere che io voglia farlo?”gli chiese il tibetano con uno sguardo così gelido da poter congelare l’ inferno.
“Io ti conosco bene, Shizenyuuki. So chi sei e cosa stai cercando.”fu la risposta, beffarda e provocatoria. “E sappi che farò di tutto per impedirti per raggiungere il tuo scopo.”
“Nessuno mi potrà impedire di trovare ciò che cerco!”esclamò Tomoya arrabbiato alzando la voce di diecimila decibel. “E tu non costituirai un’ eccezione! Se vuoi un duello, l’ avrai, ma sappi che non avrò pietà verso di te!”
“Caspita!”pensò Takashi sconcertato, contemplando la singolare scenetta. “Davvero strano, questo nuovo arrivato: prima è freddo e scostante e non apre bocca nemmeno sotto tortura, comportandosi in modo formale e quasi scostante; poi s’ infiamma e risponde in questo modo ad una ragazza che lo sfida a duello! Magari lo voleva solo provocare… Che reazione esagerata!”
“Bene. Proprio ciò che volevo.”disse Haniko leccandosi le labbra. “Trasferiamoci in cortile.”

“Bada a ciò che dici e fai, sprovveduta. Qualsiasi cosa io debba fare per salvare Santoro-oneesan la farò, e se sarà necessario farti a pezzi non mi farò scrupoli! Ora il mio cuore è vuoto e non provo più nulla, tranne lo strano impulso di distruggere tutto ciò che ho davanti agli occhi."




[1]Uninstall, uninstall
mi è stato detto che io sono uno dei tanti granelli di sabbia su questo pianeta
ma questo è qualcosa che ancora non posso capire
Uninstall, uninstall
non posso fare altro che fingere
di essere un guerriero che non sa cosa sia la paura”
(PS: Ho lasciato “Uninstall” invariato perché “Disinstalla” non si può sentire)
 [2] Questo perché “sirena” in giapponese è “ningyo”, mentre “bambola” “ningyou”.
 [3] Letteralmente “Madre dell’ universo” in tibetano.





Angolo dell' Autrice
Ave Puellae et Pueri(?)! Lo so, già questo capitolo fa letteralmente pena, poi se mi metto anche a parlare latino altro che pomodori, vi troverò fuori casa mia con torce e forconi pronti a massacrarmi!
Comunque, scusatemi se non ho potuto aggiornare prima, ma i prof questa settimana sono stati giusto un po' sadici ed avevo pure da studiare sei capitoli di storia sull' antica Roma e relative schede di civiltà! D:
In questo capitolo compare la figura di Tomoya Shizenyuuki (il cognome non vi dice qualcosa?), questo nuovo, figo(?) e freddo compagno di classe di Yuuma&Co. Cosa ne pensate? Avete sospetti sulla sua vera identità?
E Moon, il suo spirito astrale, come ve lo aspettate?
Cosa e chi sta cercando con così tanta determinazione?
A voi la parola!
See you!
-Puff


NEL PROSSIMO CAPITOLO:
La misteriosa Haniko Kasumi ha sfidato il nostro Shizenyuuki a duello. Lei si rivela essere una sfidante davvero tosta, ma il tibetano non è da meno e, nonstante qualche tentennamento, evohcerà un mostro mai visto prima i cui attributi sono devastanti... Nel frattempo a VI succede una cosa strana: riesce a percepire lo stesso dolore che sente Tomoya quando viene colpito in duello... Qual è la spiegazione?

 

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Capitolo 5
*** 04: Hit by the same pain ***


Chapter 04
Hit by the same pain
 
“Combattiamo!”Gridarono agguerriti i due sfidanti dopo aver imbracciato il proprio Dueling Disk ed aver indossato il D-Gazer.
La solita schermata fece visualizzare i Life Points di entrambi i giocatori.
PLAYER HANIKO: 4000
PLAYER TOMOYA: 4000
Anche solo a prima vista si poteva notare la grande differenza tra Tomoya e Haniko:lui aveva un Dueling Disk verde brillante a forma di foglia d’ acero e il D-Gazer bianco che ricordava un fiocco di neve; mentre Haniko aveva un D-Disk giallo fluo a forma di fulmine e il D-Gazer a forma di ruota dentata.
“Ehi, cosa sta succedendo qui?”chiese Yuma Tsukumo incuriosito passando di lì.
“Succede che è in corsa un duello tra Shizenyuuki-san e Kasumi-senpai e, riassumendo, la cosa non promette nulla di buono!” gli rispose Todoroki, preoccupatissimo.
“Davvero? Forte!”si entusiasmò il ragazzo dai capelli a spine e gli occhi cremisi. “Ehi, Tetsuo, Tokunosuke, Cat-chan, Kotori! Venite a vedere!”
“Se permetti, apro io le danze!”cominciò Haniko con un sorriso beffardo sul volto. «Innanzi tutto, chiamo sul terreno il mostro “Bambola Meccanica”!»
Un fantoccio dalle fattezze femminili si materializzò in un lampo sul terreno da gioco della ragazza: i suoi capelli lisci erano fatti di fil di ferro e ogni singolo arto del corpo era tenuto insieme da due o tre bulloni saldati con maestria. Gli occhi, costituiti da due viti, emanavano bagliori inquietanti.
BAMBOLA MECCANICA
LV: 1
ATK: 750 PT
DEF: 1500 PT
«Inoltre, quando ho “Bambola Meccanica” sul mio terreno, posso attivare la Carta Magia “Richiamo delle Bambole”, che mi permette di creare un duplicato del mio mostro con le stesse proprietà!»
Infatti, come preannunciato, comparve un altro mostro identico a quello che Haniko aveva già sul terreno. Entrambi risplendevano di strane scintille viola che stavano ad indicare il loro attributo, l’ oscurità.
“E, dato che durante il primo turno non si può attaccare, lo concludo posizionando una carta coperta!”
“Ora tocca a me. Grazie davvero, Kasumi-senpai, per aver chiamato in gioco due mostri d’ attributo oscurità e di livello uno.”cominciò à parlare il tibetano, la voce irrisoria e il volto impassibile. «In questo modo posso attivare dalla mia mano la Carta Magia “Ondata Fatale”, che mi permette di evocare un mostro di livello sei o superiore senza dover offrire tributi, ma sottraendo a ciascuno dei mostri di livello 1 presenti sul terreno del mio avversario cento punti d’ attacco! Ed ora vieni, “Grande Madre Himalayana”!»
Il mostro evocato da Tomoya era una donna dalla pelle dorata e i capelli lunghissimi e nerissimi rinchiusi in due trecce che le svolazzavano intorno, mentre gli occhi azzurri sembravano imitare il colore dei grandi laghi alpini; non era proprio formosa ed il suo fisico era armonioso ma tarchiato, come quello degli uomini nordici. Indossava una lunga gonna nera e una giacca rossa e dorata, accompagnate da scarpe di cuoio chiuse e basse.
Sorrideva benevola, ma nei suoi occhi azzurri si leggevano una gran voglia di combattere e il desiderio di vincere a qualsiasi costo senza preoccuparsi troppo delle conseguenze.
Entrambi i mostri “Bambola Meccanica” di Haniko persero cento punti d’ attacco per l’ effetto della carta magia di Tomoya, facendo così imprecare la ragazza con le meches verdastre tra i denti.
BAMBOLA MECCANICA
LV: 1
ATK: 750-100= 650
DEF: 1500 PT
GRANDE MADRE HIMALAYANA
LV: 6
ATK: 1500+200= 1700
DEF: 2000
“Però! Avete visto che tattica micidiale?”commentò Tetsuo ammirato. “Ha sfruttato i mostri dell’ avversaria per evocare un mostro di livello sei senza offrire tributi!”
“Sarà pure stato bravo, ma io lo trovo scorretto da parte sua.”protestò Kotori, leggermente imbronciata.
“Io invece approvo il suo gesto.”rincarò Tokunosuke sistemandosi gli occhialetti verdi sul naso. “Mai fidarsi del proprio avversario!”
“Ha una buona tecnica, non c’è che dire, ma non sarà mai bravo quanto il mio Yuma!” quasi trillò Cathy.
Il duellante dagli occhi cremisi nemmeno la sentì: era troppo occupato ad osservare i due duellanti. In Tomoya c’ era qualcosa che lo attirava e lo atterriva contemporaneamente: quel ragazzo era troppo serio, troppo acuto, troppo austero per essere un tredicenne. Si vedeva benissimo che quel suo essere serio era una maschera, che le parole gelide che pronunciava erano forzate. Perché si comportava in quel modo, senza seguire la sua natura? Doveva aver subito qualcosa di davvero traumatico, ma cosa?
Anche ad Astral il nuovo arrivato interessava parecchio: aveva un’ ottima strategia ed un’ aura insolita, non negativa, ma neanche quella tipica degli esseri umani. Inoltre, cosa non da poco, era accompagnato da un Essere Astrale.
Un Astrale che il Duellante Fantasma non aveva mai visto e che gli faceva una sensazione sconosciuta, ma rassicurante, che gli scaldava il cuore.
«Ed ora»proseguì Tomoya, sempre più agguerrito «Chiamo sul campo un nuovo mostro, “Dragone dell’ acqua”!»
Il nuovo mostro era un drago a tutti gli effetti, ma non un “drago” europeo,ossia un lucertolone alato di quelli tozzi e massicci; bensì cinese, con il corpo lungo e sinuoso da serpente, due piccole ali sulla schiena, lunghi baffi sottili e gli occhi che risplendevano come due pietre d’ agata.
La sua pancia, segnata da innumerevoli anelli, era di un blu profondo che ricordava gli abissi dell’ Oceano Pacifico, mentre la parte superiore, compresi i baffi e le folte sopracciglia, era costituita d’ acqua dolce. I denti aguzzi e gli artigli bianchi risplendevano come perle.
DRAGONE DELL’ ACQUA
LV: 5
ATK: 2000
DEF: 2000
“Sei più idiota di quanto immaginavo, Shizenyuuki!”scoppiò a ridere Haniko. “A cosa diavolo ti serve evocare due mostri di livello diverso?”
“Effettivamente non è stata una buona idea…”Mormorò Yuma tra sé e sé. “Come farà ad evocare un Mostro Xyz?”
Il tibetano non rispose alla provocazione. Sembrava essersi afflosciato: teneva la testa bassa, così come il braccio su cui era appoggiato il D-Disk; mentre i capelli, solitamente ordinati, ora gli coprivano disordinatamente il volto e due grosse lacrime gli solcavano le guance.
“Ma allora non capisci, Tomoya? Nei duelli lo scopo principale è vincere, questo è vero, ma non bisogna diventare delle macchine senza sentimenti solo per conseguire la vittoria. Per cosa, poi? Una squallida ricompensa che spesso non esiste.
Il bello dei giochi non è primeggiare, ma partecipare e divertirsi seguendo le regole. Inoltre un tocco di galateo non fa mai male, sai? Non essere il primo a colpire le donne, anche solo per gioco: è scorretto.
Ci vorrebbero più competizioni sane al mondo.”
Queste erano state alcune delle sue prime parole… Le prime di parole di Santoro-oneesan. All’ epoca la reputava ancora una ragazza simpatica, ma strana, e a sentire queste parole era scoppiato a ridere pur reputandole vere. Non avrebbe mai pensato che si sarebbero avvicinati sempre di più, fino ad arrivare a fidanzarsi.
Ed ora che l’ aveva persa, tutto gli sembrava vuoto, privo di armonia e di felicità.
Gli sembrava di vivere in un mondo senza suono.
Nella foga della sfida le aveva dimenticate.
“Posiziono due carte coperte e termino il turno.”si riscosse, posizionando le due carte sul D-Disk con movimenti meccanici e abulici e pronunciano le parole in tono monocorde.
“Ora è il mio turno! Pesco!”Gridò Haniko eccitata compiendo una rotazione nell’ atto pescare le carte. «Chiamo sul terreno “Armadillo dei rottami” di livello due!»
Il mostro chiamato presentava nove “fasce” sulla schiena, formate da scaglie di tungsteno e i tre artigli alla fine delle zampe fatti d’ alluminio,mentre gli occhi neri erano due ruote dentate leggermente arrugginite in qualche punto.
ARMADILLO DEI ROTTAMI
LV: 2
ATK: 1300
DEF: 1250
“Ed adesso attivo il Potere Speciale del mostro appena evocato, che mi permette di far passare a due il livello di tutti gli altri mostri presenti sul terreno!”
BAMBOLA MECCANICA
LV: 1->2
ATK: 650
DEF: 1500 PT
“Ha tre mostri di livello due… Scommetto la testa che opra evocherà un mostro Xyz.”
«Con questi tre mostri costruisco la rete di sovrapposizione… EVOCAZIONE XYZ! Scendi in campo, “Wanadys, Fabbro Divino”! Attacca direttamente il mio avversario!»
WANADYS, FABBRO DIVINO
LV: 2
ATK: 3000
DEF: 1800
“Caspita! Se l’ attacco va a segno Shizenyuuki-san sarà nei guai!”esclamò impressionato Takashi. “Kasumi-senpai è davvero una duellante da non sottovalutare!”
Il Fabbro Divino di Haniko si mosse colpendo Tomoya: il povero ragazzo fu fatto sbalzare all’ indietro e la sua testa andò a colpire uno dei muri della scuola. L’ impatto fu talmente violento che fece sollevare da terra un gran polverone
***
 
VI era seduta alla sua scrivania e fissava un foglio bianco con sguardo perso.
L’ ispirazione l’ aveva abbandonata. Di nuovo.
La situazione era davvero grave: le serviva una canzone entro quel pomeriggio, possibilmente composta da lei, e ancora non le era venuta in mente una parola!
Stava andando proprio bene.
Guardò fuori dalla finestra cercando di cogliere il bello della natura (avrebbe potuto essere un buon tema), ma, stranamente, tutto le sembrò grigio e squallido.
Le fronde degli alberi non erano mosse del vento, come di solito accadeva, ma se ne stavano graziosamente immobili; i fiori avevano perso il loro fascino e la solita massa di persone costituita da pendolari, donne che andavano a far la spesa e studenti-duellanti sfaccendati impazzava lungo il corso principale.
La classica scenetta visibile a mezzogiorno dalla stanza 969 del Grand Hotel di Heartland City. Routine, insomma. Cosa c’ era d’ interessante nella semplice vita di tutti i giorni?
“Aaaah, uffa! Che noia! E adesso cosa fa…”cominciò a lamentarsi, ma non ebbe il tempo di finire l’ interrogativo perché fu colta da un dolore lancinante al fianco destro.
Stringendo i denti, vi portò la mano.
Era la sensazione che si provava quando si veniva trafitti da mille spade o colpiti da cento pugnalate contemporaneamente, un’ agonia orribile che mozzava persino il respiro.
La stessa sensazione che, in quel momento, stava attanagliando Tomoya Shizenyuuki.
Provò a contenere il dolore piegandosi sulla pancia, ma non ottenne un gran risultato, anzi: il dolore aumentò e le fece sbattere la testa sul legno massiccio della scrivania.
Gettò un urlo con voce flebile e poi una nebbia nera le annebbiò gradualmente la vista.
Five, che al suo grido era accorso nella sua stanza, la trovò semisvenuta, con la tempia sanguinante i lunghi capelli castani riversi sul quello che lei chiamava “il mio piano da lavoro”.
***
 
“Accidenti, che botta! Mi dispiace parecchio per Shizenyuuki-san, ma credo che avrà poche possibilità di vincere il duello. Oltretutto dopo quella batosta sarà secco.”commentò Omoteura portando l’ indice al mento e contemplando la scena.
“Non cantare così facilmente vittoria, Kasumi-senpai.”disse però il tibetano con voce ferma, smentendo così le parole del ragazzino dagli occhialetti verdi. “Sei una duellante davvero forte, lo ammetto, ma neanche io sono da sottovalutare!”
“Cos…? Come diavolo fai a stare in piedi dopo quel colpo?!?”strillò Haniko shockata vedendo il suo avversario rialzarsi.
PLAYER HANIKO: 4000
PLAYER TOMOYA: 4000-1500=2500
«Tu non mi hai visto, ma prima di essere colpito ho attivato la carta trappola “Ritirata delle maree” che mi ha permesso di dimezzare il danno subito. Questa è la dimostrazione di quell’ antico proverbio del mio paese che dice “Avere assi nella manica è bene, ma averne nel proprio deck è meglio”!»
“… Esiste davvero un proverbio così?!?” si chiesero gli spettatori sconcertati.
“Tsk, metto una carta coperta e termino il turno.”sputò tra i denti la punk.
«Quindi, adesso che è il mio turno, posso attivare dalla mia mano la Carta Magia “Equilibrio dei Quattro Elementi” che porta il livello di tutti i miei mostri a nove! Ora posso sovrapporre “Grande Madre Himalayana” e “Dragone dell’ Acqua” creando così la rete di sovrapposizione!» Tomoya era entrato in azione con una vitalità rinnovata a dir poco disarmante.
« Il mostro che scenderà sul mio terreno ha la forza impetuosa di un vulcano in eruzione, la tenacia delle piante del deserto, lo stesso tocco leggero ma fatale del vento e, come l’ acqua, decide l’ andamento di tutto ciò che gli è intorno… FATTI AVANTI, “DRAGO DELLA FENICE DAGLI OCCHI DORATI!”
»

Angolo dell' Autrice
Rieccomi qui! Vi sono mancata?
Partiamo subito con il nuovo capitolo: che ve ne pare? Devo dire di esserne abbastanza soddisfatta, anche perché ci ho lavorato su tre giorni di fila e quella cosa antipaticissima chiamata ispirazione mi ha abbandonata spesso!
Il personaggio di Tomoya Shizenyuuki, dopo un' attenta rilettura del capitolo 3, può sembrare contaddittorio, ma tranquilli, è la natura (Out Of Character, del resto) del personaggio in questa storia che lo rende così. Il fatto che Yumiko/Sixth possa
percepire il suo stesso dolore non vi fa scattare un campanellino nella testa?
Secondo voi, inoltre, che rapporto svilupperà il nuovo arrivato con Yuuma, Tetsuo&Company (che spero di aver reso IC)?
Volevo ringraziare
FuRa_14 e Sognatrice_Felice, che hanno cominciato a recensire questa storia: vi adoro ragazze!
Ringrazio inoltre anche tutti coloro che l' hanno messa tra le preferite/seguite/ricordate!
See you!
-Puff

PS: Da ora in poi, la storia sarà narrata esclusivamente al passato. PPS: In fondo a tutto troverete un magnifico disegno di VI realizzato da Sognatrice_Felice. Voi come ve l' aspettavate?
NEL PROSSIMO CAPITOLO:
Il mostro di Tomoya viene rivelato e, con il suo aiuto, il nostro tibetano riuscirà a rimontare nel duello.
Ma, dopo la scuola, lui e Moon si dirigeranno alla Heartland Tower, più precisamente nell' ufficio di Mr. Heartland. Che piano avranno in mente?
Sixth, nel frattempo, dopo essersi ripresa dal suo dolore lancinante (che terrà parecchio occupati i suoi fratelli), riesce a sbloccarsi e a scrivere la canzone che lei e il suo gruppo presenteranno al concerto di quella sera. Ma succederà qualcosa di strano a tutti i duellanti che vi assisteranno...




 
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Capitolo 6
*** Extra Chapter 01: I hate and… love? What’s love? I only know revenge (But’ s a little difficult to adapt) ***


Extra Chapter 01
I hate and… love? What’s love? I only know revenge.
(But’ s a little difficult to adapt)
 
“Per questo dovrai aiutarci, Yumiko Arclight. Da adesso in poi non dovrai più starti a chiedere se ciò che fai sia giusto o meno… Il fine giustifica i mezzi, così diceva quell’ autore fiorentino del Rinascimento… Machiavelli, giusto?”
La ragazza era seduta su una poltroncina bassa foderata di velluto rosso e, nonostante fossero solo le tre di notte, era già sveglia ed aveva già rimpiazzato i suoi abiti bagnati e stracciati con un bel vestito bianco di mussola. Si era persino avvolta in una coperta di lana rossa che la faceva sembrare una farfalla in un bozzolo e davanti a lei troneggiava una tazza fumante di cioccolata calda, quasi intatta. In un giorno qualsiasi quel liquido dolce e vellutato avrebbe di sicuro solleticato la golosità di Yumiko, ma in quel momento la ragazza sembrava altrove, teneva lo sguardo fisso sulle tre figure maschili che si stagliavano di fronte a lei, quelle che da quel momento in poi sarebbero state i suoi fratelli maggiori.
Aveva capito perfettamente quale fosse il loro carattere semplicemente sostenendo i loro sguardi.
Gli occhi sono lo specchio dell’ anima, recita un antico detto.
Ed era vero.
Il primo ragazzo, quello che probabilmente le aveva preparato la cioccolata, era alto cinque o sei centimetri più di lei ed aveva un viso simpatico ed un po’ addolorato: i suoi occhi verdi come smeraldi risplendevano pur lasciando trasparire la sua profonda stanchezza ed la sua chioma, per metà rosa confetto e per metà marrone, presentava alcuni graziosi ricciolini sulla fronte.
Era il più gentile, il più pacato della famiglia.
Le sorrideva benevolmente e lei, quasi per dovere ma anche per mostragli simpatia, ricambiò il sorriso. Lui sembrò arrossire.
Il secondo, invece, con i suoi occhi viola e sadici, dei quali il sinistro era segnato da una strana cicatrice a forma di croce, ed i capelli sparati rossi e gialli era il “malandrino” della situazione; mentre il terzo, freddo e ligio, quasi gelido, era il “capo”.
Era tempo per lei di dare una risposta.
“D’ accordo, lo farò. Per voi, per noi, per la nostra onorabile famiglia, Farò tutto quel che è necessario per riprenderci il nostro onore, la nostra felicità.”
Un sorriso tra il beffardo e il divertito, un cenno d’ approvazione.
Il minore abbassò la testa, sconsolato, e represse uno sbadiglio.
“Tron.”
“Dimmi, Five.”
“Five”? Quindi il ragazzo, anzi l’ uomo, con i lunghi capelli argentei e gli occhi blu si chiamava così? A che pro? E poi perché proprio “Five”, “Cinque”? Non sarebbe stato più sensato “One” o, al massimo “First”, dato che era il maggiore dei fratelli?
Erano mille le domande che si affollavano nella giovane mente della ragazza, ma stranamente, proprio lei che tempestava di domande gli insegnanti per cose molto meno difficili da capire, quella volta restò zitta.
Non seppe dire il perché.
Rispetto.
Paura di sembrare inopportuna.
Mancanza di voglia.
O forse perché la stanchezza cominciava a pesare sulle sue palpebre.
“La ragazza è stanca. Non credi che sia meglio lasciarla riposare, prima di farle cominciare l’ addestramento? A mente fresca apprenderebbe e renderebbe di più.”
Renderebbe.
Quella parola, per Yumiko, fu come una pugnalata.
Renderebbe? Cosa diavolo era, una macchina?!? No, e non voleva essere considerata come tale. In quanto essere umano, lei aveva una dignità: questa era una delle sue più ferme convinzioni.
E nulla, nemmeno una stupida missione, avrebbe permesso che le fosse calpestata.
Strinse il pugno destro e lo fece sbattere contro il tavolino di marmo, facendo così vibrare leggermente la tazza di porcellana.
“Five-Niisama, l’ hai offesa.”intervenne ad un certo punto il minore, lanciando uno sguardo ammonitore al primogenito. “Prova a controllare le tue parole… A Yumiko non piace essere considerata un oggetto.”continuò, per poi sedersi accanto a lei e farle una leggera carezza sulla testa bruna.
“Grazie…”cominciò a dire timidamente la ragazza dagli occhi sfumati d’ azzurro, ma fu interrotta dallo stesso ragazzo che disse, tristemente: “Michael. O meglio Three.”
“Grazie mille, Three-Niisama.”
“Di nulla.”
“Effettivamente, Five, hai ragione.”
La voce del bambino mascherato, quello con i guanti bianchi e la treccia biondo platino, ruppe il silenzio. Pur essendo serio, nel suo tono c’ era un non so che di irrisorio che provocò in Yumiko un vago moto d’ antipatia.
“Da adesso in poi, Yumiko, il tuo nome sarà Sixth. E dovrai capire una cosa vitale per noi, per la nostra felicità.”
Quattro paia d’ occhi si piantarono addosso a Tron, gravi e curiosi allo stesso tempo.
“Dovrai dimenticare tutto quello che ti hanno detto sull’ amore e sulla pietà. Anzi, dovrai cancellare questi due vocaboli dalla tua mente. Per noi esiste solo la vendetta, chiaro? Non ti potrai fermare davanti a nulla, né tantomeno lasciarti impietosire: la bontà è per le persone stupide e deboli. Come ti ho detto prima, ogni mezzo sarà lecito per raggiungere il nostro scopo, quindi non farti scrupoli e non esitare. E soprattutto, quando dovrai affrontare altre persone a duello, non perdere. Mai e poi mai. Il fallimento qui non è ammesso. Ora potete andare.”
“Grazie a Dio.”esultò beffardo il secondogenito, il ragazzo dai capelli sparati. “Non ce la facevo più. Ne ho abbastanza di queste parole: sono secoli che mi rimbombano nelle orecchie.”
Nessuno gli rispose.
Sixth si ritrovò sola a girovagare lungo i corridoi del museo deserto, con il cuore in gola.
Poggiò una mano sulla rampa di una scala e scese giù, veloce ma silenziosa per non svegliare i fratelli, e si ritrovò di fronte a mastodontiche statue di imperatori Romani.
Era confusa: delle mille domande che martellavano la sua testa probabilmente nessuna poteva avere una risposta certa.
Si sedette a gambe incrociate sul pavimento e qualche minuto dopo, con sua grande sorpresa, scoprì di non essere sola: probabilmente anche Five soffriva d’ insonnia, perché lo vide ritto davanti alle statue con lo sguardo perso e i pugni stretti. Portava ancora il suo abito formale bianco e blu.
“Tu qui?”gli chiese la ragazza, sinceramente stupita.
“Non dovresti essere a letto, Sixth?”le chiese V di rimando.
“Dovrei, ma non ho sonno. E poi sarei io che dovrei porti questa domanda: sembri distrutto.”
“Neanche io riesco a dormire… Sixth-imouto. Vuoi che ti prepari una camomilla?”
“No, grazie… E grazie anche per avermi chiamata sorellina.”
“Cos’è che ti tormenta?”chiese ad un certo punto il ventenne, dopo una breve pausa.
“Eh?” fu la brillante risposta.
“Intendo dire: c’è qualcosa che ti preoccupa? Hai la stessa espressione di chi è tormentato dai dubbi.”
“Cosa mi preoccupa? Tutto, direi. Sono disposta a tutto per aiutare la mia famiglia, come ho detto, ma… sai, quel discorso di Tron… mi ha lasciato l’ amaro in bocca. Come si può vivere senza amore? Io non credo che ci riuscirei. Tu, invece, sembri riuscirci benissimo. Come fai a dimenticare l’ amore per amore? Puoi insegnarmi?”
Questo profluvio di parole lasciò quasi interdetto il serio e ligio primogenito: in Sixth c’ era qualcosa di strano. I suoi sentimenti sembravano diffondersi cristallini e leggeri dalle sue parole, creando così una sorta d’ aura magica, strana, ma che sembrava avere un effetto positivo sulle persone. Per V era un diventato un mistero come le persone riuscissero a far trasparire sui loro volti le loro emozioni… O forse era lui che, avendo quasi dimenticato cosa fosse la gioia, era strano, innaturale.
Egli poggiò le mani pallide sulle spalle delicate della ragazza.
“Ascoltami, Sixth. Mi sarà difficile insegnarti come fare, perché io stesso ancora non ci riesco bene; però, se proprio vuoi, lo farò. Capisco cosa intendi e ti sono grata per il tuo coraggio. Tu sei una di quelle fragili creature che senza amore non vivono, eppure per noi hai deciso di rinunciarvi… Ti ammiro. Sarò il tuo senpai[1]e tu la mia kohai[2]. Cercheremo di cooperare, d’ accordo?”
“D’ accordo, Nii-sama.” Gli sorrise Sixth. “Quando inizieranno le lezioni?”
Domani. Ora siamo entrambi stanchi. Buona notte, imouto.”
“Oyasuminasai, Five-senpai.”
Il ventenne dagli occhi azzurri seguì con lo sguardo la figuretta esile della sorella salire le scale con passetti silenziosi ed aggraziati, simili a quelli che aveva fatto per scendere, avvolta nel vestitino bianco che la faceva sembrare una fatina o una ninfa. Teneva ancora la coperta di lana sulle spalle e, dato che essa era rosso-porpora, faceva sembrare la ragazzina la figlia di un imperatore: le mancava solo una bella corona d’ alloro tra i capelli.
Sixth svanì seguita dalla scia dei suoi capelli castani e così anche V, ormai esausto, fece ondeggiare i suoi capelli nel ritornare nella sua stanza.
 

 
 
“Uninstall, Uninstall
I no longer have a choice but to pretend
I am brave
For a soldier has to be brave
Uninstall [3]…”

 
[1] Senpai: in giapponese, compagno più grande di scuola o sul lavoro.
[2] Kohai: in giapponese, compagno più piccolo di scuola o sul lavoro.
[3] “Uninstall, uninstall
Non ho più altra scelta tranne far finta
Di essere coraggioso
Un soldato deve essere coraggioso
Uninstall…”

 
 
 
Angolo dell’ Autrice
Rieccomi qui, dopo una settimana abbondante! Scusatemi, ma tra lunedì e oggi ho avuto un profluvio di compiti in casse e non ho potuto aggiornare prima!
Ora so già che vi starete chiedendo: come mai l’ autrice non ha scritto il prosieguo dello scorso capitolo? È forse impazzita?
Purtroppo per me (e per voi), no. XD Come avrete potuto notare dal titolo del capitolo, si tratta di un extra, una sorta di “bonus” che metterò di tanto in tanto per farvi conoscere alcune parti della storia che nella trama ufficiale non sono contemplate.
Questo capitolo, ad esempio, si svolge dopo la “famosa notte” del prologo.
Cosa ve ne pare?
Abbiamo anche un Five (visto
Sognatrice_Felice? È comparso!) tremendamente OOC (fan, scusatemi!), ma, effettivamente, per me è molto difficile rendere bene personalità più complesse come quelle di Thomas o Chris…
A voi il parere! Mi raccomando recensite in tanti e segnalatemi gli errori!
See you!
-Puff
PS: Per la sezione “Nel prossimo capitolo”, vedere il capitolo precedente.
PPS: Sono l’ unica che, quando sente il nome “Christopher”, pensa a Fra’ Cristoforo dei Promessi Sposi? XD
PPPS: Mi rivolgo ai classicisti: il titolo non vi ricorda una certa poesia di Catullo?

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Capitolo 7
*** 05: Tell me the story of your soul. ***


Chapter 05
Tell me the story of your soul.

 

“Lo zucchero! Lo zucchero! IV, diavolo, dove hai messo la zuccheriera?” esclamò III spazientito mettendo sottosopra la dispensa.
“Sul tavolino del salotto, pulce rosa. Come mai?” gli rispose il diciassettenne dai capelli bicolor stravaccato sul divano.
«Come “come mai”? SIXTH È SVENUTA E TU NON LO SAI? Ma che razza di fratello maggiore sei?”» si inalberò il quindicenne davanti alla sfacciataggine del fratello.
“Disinteressato, direi. Anzi, potrei quasi mettermi a ballare la conga dalla gioia.” Fu la risposta beffarda.
Four, o meglio Thomas Arclight, era un caso disperato: da quando tutto era crollato addosso alla sua famiglia era completamente cambiato, proprio come aveva notato la sua acuta Sixth-imouto –come la chiamava III-, la sorella minore. A cominciare dall’ occhio sinistro, che era segnato da una strana cicatrice a forma di croce, provocatagli da un violento incendio. Oltre alla cicatrice, entrambi i suoi occhi viola, che cinque anni addietro erano illuminati da una luce vivace , ora albeggiavano spietati sotto al cespuglio di capelli rossi e biondi. Da impertinente era diventato malvagio e continuava a bistrattare i fratelli minori, specialmente Yumiko.
Il rapporto tra loro due, in particolare, era parecchio tormentato. La ragazza proprio non riusciva a sopportare le manie di grandezza del fratello ed il fatto che umiliasse di continuo i suoi avversari; oltre a suo essere spesso trasandato e prepotente. Di contro, IV non sopportava né la “petulanza” della sorellina né il suo acume  e non perdeva occasione per prenderla in giro.
“Adesso dov’ è la pulce saccente?”sbuffò IV alzandosi dal divano su cui si era comodamente stravaccato.
“Nella sua stanza. Five-Niisama sta cercando di farla rinvenire.”
“Che peccato. Con una rompiscatole in meno si potrebbe stare meglio.”
“Sei davvero un fratello snaturato.”
A quell’ affermazione, Four ghignò.
I due fratelli salirono una lunga rampa di scale di marmo candido (si diceva che fosse stato fatto arrivare direttamente da Carrara, città toscana famosa proprio per il suo marmo) costeggiata da una lunga rampa d’ ottone lucidissima per poi arrivare alla stanza di Sixth.
Sulla pesante porta di legno d’ ebano v’ era un disegno raffigurante tre fiori: una rosa bianca in boccio con le foglie ricoperte di rugiada, un’ infiorescenza di Rhododendron hirsutum con i suoi fiori fucsia e un fiore di lavanda dai piccoli petali violacei.
I fiori simbolo di VI: i loro rispettivi significati erano “un cuore che non conosce l’ amore”, “aver paura” e “diffidenza”, significati che ricalcavano in pieno il carattere della tredicenne.
La stanza, dalle pareti rigorosamente verdi, presentava un mobilio sobrio e funzionale interamente in legno di ciliegio: una grossa libreria (perché l’ ultimogenita Arclight, nonostante il visino innocente, era un’ appassionata divoratrice di libri e spesso ricorreva a frasi trovate proprio in alcuni di essi per mettere a tacere i fratelli maggiori) sul fondo, spesso immersa nella penombra; la scrivania, piena di fogli e con un bel portamatite di ceramica blu in bella vista posizionato accanto ad una lampada indaco; il letto con la testiera il cui materasso era in lattice ed una cassettiera stracolma di abiti affiancata da un armadio di medie dimensioni.
Sulle pareti, inoltre, insieme ad un orologio che segnava le ore in numeri romani, aveva trovato spazio la sua vasta collezione di maschere, di ogni tipo: di ferro, di stoffa, vitree, bronzee, inondate di brillantini, sobrie, piene di piume, dall’ espressione seria o dal ghigno beffardo, esse erano il vanto della loro piccola proprietaria.
Five, seduto sul letto dalle coltri bluastre, teneva la testa della ragazza, pallida e bella come giglio, sulle sue ginocchia ed i capelli marroni con riflessi rossicci spiccavano moltissimo sul suo pantalone bianco.
“En..nea…”
“Guardate, si sta riprendendo!” esclamò III emozionato sgranando gli occhi smeraldini.
Era vero: VI stava lentamente riaprendo gli occhi e le guance stavano lentamente riacquistando colorito. Cercò di alzarsi, ma dato che era molto debole ricadde immediatamente a sedere.
“Allora, Sixth, ti senti bene?”le chiese V, serio come al solito.
Sbattendo le ciglia, VI lo fissò con ammirazione, quasi con timore: il suo fratellone- senpai ormai era diventato bravissimo nell’ arte dell’ indossare la “Maschera di Vetro”, come lei definiva il carattere freddo e imperturbabile proprio di molte persone che, facendo parte di un mondo crudele, avevano dovuto “anestetizzarsi”. Mentre lui, da quella famosa notte, aveva fatto notevoli progressi, lei ancora non ci riusciva del tutto e se ne doleva, perché pensava che in quel modo avrebbe potuto soffrire di meno, nel caso i dolori avessero bussato alla sua porta.
“Sì, benissimo. Mi duole solo un po’ la testa.”rispose timidamente..
“Sai che giorno è oggi?”
“ Il 2 aprile ****, mercoledì, e ora sono le dodici e undici minuti primi.”
“E questo cosa c’ entra?”si intromise beffardo Four, che stava con la schiena poggiata lungo la parete sinistra della stanza e le gambe ad angolo.
“Cosa dovrai fare stasera?”continuò Five senza degnare di uno sguardo il secondogenito.
Yumiko abbassò la testa e i suoi occhi si velarono di malinconia.
“Non me lo ricordare. Oggi è il giorno della Prova Zero.”
“Onii-sama, non mi sembra proprio il caso di continuare a farle tutte queste domande…” intervenne Three timidamente. “Mancano poco meno di nove ore al concerto e lei deve riposarsi, dato che oggi pomeriggio le prove la terranno parecchio occupata. E poi ancora non ha scritto un solo rigo della canzone che dovrà presentare.”
“Certo, si dovrà riposare, ma per quanto riguarda il concerto non ci sono problemi dato che non lo farà.”gli rispose V serissimo. “Sixth, mettiti a letto. Ti farò portare il pranzo da III.”ordinò poi alla sorella minore.
“EEEEEEH?!”esclamò lei, quasi scandalizzata. “Ma, Five, non posso saltare questo concerto! Da esso dipenderà anche l’ esito di tutte le altre Prove!”
“Non se ne parla proprio. Hai una costituzione troppo debole, sorellina. Normalmente sei stanchissima quando ritorni dopo uno di essi, quindi figurati oggi che hai anche avuto un calo di ferro.”obbiettò il ventenne.
“Ma io sto benissimo!”
“Qui il fratello maggiore sono io e gli ordini li dà il sottoscritto, quindi non fare capricci e mettiti a letto.”
“Non sono un’ invalida! E se poi la Prova One andrà male non ci sarà quasi modo di riparare ai vari errori!”
“Five, Sixth ha ragione.”
La voce melliflua ma seria di Tron riportò un po’ d’ ordine nella stanza. Il bambino avanzò lentamente facendo risuonare i propri passi sulla pavimentazione di parquet.
“La Prova Zero non è inutile come può sembrare, anzi: amplificando il potere della pietra verde di VI con il potere dello stemma si potranno raccogliere varie Carte Numero estrapolandole dall’ animo del possessore in modo del tutto indolore, e la voce della vostra sorellina farà da tramite. Non è vero, Emerald?”
Yumiko trasalì. Emerald era il suo nome d’ arte, quello sotto il quale cantava e ballava nel suo gruppo di idols, le Three Little Souls, nel quale v’ erano anche Makiko Aoki, chiamata Ruby, e Chieko Murasaki, il cui alter ego era Sapphire. E fin qui tutto filava liscio come l’ olio. Quello che però le sue compagne non sapevano era che la “piccola” Emerald, all’ apparenza tanto carina e bonaria, era in realtà un idol senza cuore che sfruttava i propri fans per appropriarsi illecitamente delle loro Carte Numero. Ed anche se aveva imparato da tempo a passarci su, si sentiva ancora un mostro nel fare ciò.
“Quindi, Five, lascia andare tua sorella al concerto. Per quanto riguarda la ferita, basterà un po’ d’ acqua ossigenata e un cerotto.”
Per un po’ il silenzio aleggiò nella stanza.
Fu III, qualche minuto dopo, a romperlo con un pacato: “Forza, andiamo a pranzo.”
“Grazie, padre.” VI si sentì quasi in dovere di ringraziare Tron con un piccolo inchino.
Il suo pranzo a base di Tonkotsu Ramen fu molto silenzioso: la tredicenne dai capelli mossi non riuscì a mandare giù tutto, dato che qualcosa le aveva chiuso lo stomaco.

Inoltre, a chi apparteneva la voce misteriosa che l’ aveva chiamata “Ennea”, “nove”, durante il suo stato di trance?

***

 
 
Il giovane dai capelli castani era il solo che corresse lungo le strade di Heartland City in un’ ora deserta come le tre del pomeriggio, ma doveva arrivare al più presto alla Heartland Tower. Lo aspettavano.
“Dannazione, Moon, ti ho già detto un miliardo di volte che non mi devi seguire quando mi devo presentare ad un colloquio con Mr. Heartland! Potresti metterti in pericolo!”esclamò stizzito Tomoya quando notò che il suo spirito Astrale fluttuava leggero dietro di lui.
“E invece io vengo con te.”lo zittì lei mettendo il broncio. “Voglio capirci qualcosa. Chissà come reagirebbero i tuoi compagni di classe e i tuoi superiori” continuò poi con un risolino “nel caso scoprissero che fai il doppio gioco.”
“Non me ne parlare.”rabbrividì il tibetano. “Dobbiamo stare attentissimi, Moon. Questo è tutto un sottile gioco di equilibri: se crolla una menzogna è inevitabile che anche le altre cadranno in una sorta di reazione a catena. E se tutto crolla, io e te saremo letteralmente kaputt. Forse non moriremo o non finiremo sul lastrico, ma comunque  la nostra avventura qui sarà finita. E noi non vogliamo che termini, giusto?”
“Anche se tutto questo mi secca molto… Assolutamente no!” esclamò inorridita l’ Astrale dagli occhi argentei.
“Ah, a proposito, per quanto riguarda la faccenda del colloquio fa’ come vuoi, ma sarà tutto a tuo esclusivo rischio e pericolo: io non lascio le penne solo perché una stupida  Astrale ha voluto fare l’ impicciona e s’è fatta scoprire!”concluse seccamente Tomoya.
«Ed io non farò “la pecora” solo perché uno stupido umano mi ha detto di restare indietro, magari dentro una campana di vetro!”lo provocò Moon.
In quel momento l’ Astrale era più carina che mai, con i lunghi capelli lisci color dei lillà che ondeggiavano nel vento e i grandi occhi argentei agguerriti. Portava un semplice vestito fucsia che le arrivava alle caviglie con lo scollo a V le cui maniche ricordavano quelle di un kimono.
Sia Moon che Tomoya avevano un carattere molto determinato e parecchio testardo, quindi era inevitabile che “ogni tanto” avessero dei piccoli diverbi. Nonostante le frequenti divergenze, molti dei litigi erano fatti più per scherzare che per scontrarsi davvero, inoltre senza Moon il povero tibetano sarebbe finito molto presto sul lastrico.
Era stata lei a suggerirgli di cambiare il cognome tipicamente tibetano con uno giapponese e a proporgli di ritrovare la sua oneechan tramite i romanzi che tanto le piacevano.
Così lui, ritagliandosi un po’ di tempo tra tutti i suoi impegni, aveva cominciato pazientemente a scrivere alcuni libri, principalmente tutti di genere avventuroso o introspettivo, quelli che piacevano a lei. Presto avrebbe spedito il secondo libro a tutte le case editrici di Heartland City e sperava che avrebbe avuto successo. Con il primo gli era andata piuttosto bene.
In quel momento era nella sala d’ attesa della Heartland Tower con la sua testarda Moon al seguito e stava appunto aspettando di essere ricevuto del sindaco.
La filiforme assistente dai capelli biondi gli disse di entrare solo un quarto d’ ora.
“Tomoya Shizenyuuki, eh? Entra pure!”lo accolse una voce maschile proveniente da un ufficio arredato come un ospedale.
Mr. Heartland era un uomo ordinario. Ordinario ed antipatico, che al giovane tibetano non era mai andato giù. Con quei capelli verdi, gli occhiali arancioni che facevano decisamente a pugni con il tailleur verde muschio e il sorriso a trentadue denti che si stampava sulla faccia nella maggior parte del tempo, a Tomoya dava l’ impressione di essere un doppiogiochista. Anche se persino lui lo era, sentiva di disapprovarlo.
Perché i raggiri e le truffe dal giovane dagli occhi di zaffiro erano a fin di bene, ma quelle dell’ uomo all’ apparenza così ordinario e per bene per uno scopo maligno.
“Dunque, Tomoya, quante Carte Numero hai raccolto fino ad ora?” lo accolse mellifluo il sindaco di Heartland City. Il ragazzo, come al solito, si sentì disgustato dato il tono di voce che egli aveva assunto, tuttavia gli ripose chiaramente: “Fino ad ora tre.”
“Davvero niente male, contando che sei entrato a far parte dei Cacciatori di Numero solo quindici giorni fa.”si complimentò il sindaco. “Continua così, ragazzo, e ben presto potremo raggiungere il nostro scopo! Il Mondo Astrale non avrà scampo!”

“… Sì…”gli rispose tristemente il tibetano. Non avrebbe affatto voluto conoscere la reazione di Moon quando gli avrebbe riferito tutto ciò.
Non sopportava provocare dolori agli altri e ancora non riusciva a levarsi dalla testa la faccia di offesa e un po’ imbronciata che Haniko Kasumi aveva fatto dopo che lui l’ aveva battuta a duello.

 ***

Yumiko le vedeva chiaramente. Quasi come se il tempo si fosse fermato, riusciva a vedere tutte le carte che i duellanti presenti al loro concerto possedevano; le scorrevano davanti agli occhi quasi come se gravitassero intorno ad una sfera invisibile.
Ruby era ferma con i lunghi capelli incollati all’ aria, mentre Sapphire era stata bloccata nel bel mezzo di una frase e pareva stesse pronunciando una “e”.
La pietra verde che teneva al collo era calda e l’ orologio al plasma sopra di lei segnava esattamente le 23:46:11:005.
Tutte le carte che le fluttuavano davanti agli occhi erano inutilissime, le solite Carte Mostro, Magia o Trappole proprie di ogni duellante: nulla che le potesse interessare, dunque. Stava per schioccare le dita e disattivare il potere della pietra, quando un’ improvvisa macchia nera attirò la sua attenzione: era “Numero 60: Nemesi - l’ Angelo Mascherato della Giustizia”.
Sapeva bene che Tron, Five, Four e Three stavano assistendo al concerto guardandolo dal megaschermo di solito usato dal bambino per guardare i cartoni animati, e sapeva anche che loro quattro erano i soli ad assistere a questa scena, perché poco prima lei aveva fatto in modo di far disattivare le telecamere per qualche minuto.
Non poteva deludere le loro aspettative, considerando anche che la sua era una famiglia di Number Hunters e che Numero 60, con i suoi 2800 Punti d’ Attacco e i 3000 Punti di Difesa sembrava un buon “bocconcino”.
D’ impulso attivò anche il potere del suo stemma bianco raffigurante una piuma spinta da un soffio di vento, ed uno degli spettatori (un ragazzo vestito completamente di nero che portava in testa una strana tuba che stonava completamente con l’ abbigliamento casual) lanciò un grido soffocato.
Un urlo che mai nessuno avrebbe udito.
Si immaginò i sorrisi di Tron e Thomas, il cenno d’ approvazione di Chris e la carezza sul capo che avrebbe ricevuto da Michael, ma di nuovo si sentì stringere lo stomaco.
Sarebbe stata dura uscire dal locale nel quale aveva cantato ed ignorare che un’ altro dei suoi fan probabilmente sarebbe morto a causa sua.
Era per questo che lei aveva cominciato a cantare?
La pietra verde smise di emanare calore e finalmente il tempo riprese a scorrere.


Angolo dell' Autrice
Finalmente il quinto capitolo ha visto la luce! Sono commossa! *sniff sniff* Dopo giorni e settimane(?) sono ritornata da voi e scusatemi per l' orribile ritardo! T.T
Cosa ve ne pare? Abbiamo VI che finalmente(?) rinviene e non fa neanche in tempo a riprendersi che subito finisce in mezzo ad un litigio (amore fraterno :3), il "piccolo segreto" di Tomoya che viene svelato (ma, purtroppo per
FuRa14, Mr. Pandoro non c'è... e tu capisci cosa intendo XD), viene alla luce parte del carattere di Moon e della sua vita insieme al caro tibetano, e la cosidetta "Prova Zero", uno stratagemma ingegnoso escogitato da Tron per portare via le Carte Numero ai poveri duellanti di turno.
Mi raccomando fatevi sentire! *e magari lanciatemi pure dei pomodori perché me lo merito T.T*
See you!
-Puff

PS: Mi sapreste dire da quale canzone "deriva" il titolo del capitolo?
  

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Capitolo 8
*** 06: They' re (not) just a single speck of dust ***


Chapter 6
They’ re (not) just a single speck of dust

 
“Quindi è lei, QB?”chiese Muhammad ammirando dall’ alto il singolare spettacolo delle carte da Duel Monsters uscire dai Deck dei rispettivi proprietari per poi riunirsi su loro stesse formando una specie di sfera.
“Kyubey, Muhammad Ahmed Sahi, mi chiamo Kyubey.” Disse di rimando l’ animaletto dalle escrescenze inanellate sospirando rassegnato. “Ad ogni modo sì. La Guerriera Bianca -o più correttamente White Warrior- almeno secondo le leggende avrebbe la facoltà di fare cose del genere.”
“Interessante.”
Rifletté sottovoce Stephan Hawkeye. “Ma non credo che una paladina del suo calibro ruberebbe mai le Carte Numero… Infatti la nostra ragazza si è appena presa Numero 60. La sua proprietaria tra poco si sentirà mancare, poco ma sicuro.”
“Non accadrà. Nemesi - l’ Angelo Mascherato della Giustizia è una carta molto particolare, che può essere maneggiata correttamente solo se si è in possesso di poteri speciali e molto forti, quasi invincibili, altrimenti si andrebbe incontro alla pazzia se non alla morte certa. Io ne so qualcosa.”
“QB, te l’ ho mai detto che mi inquieti sempre di più ogni giorno che passa?” intervenne Muhammad scrollando la testa di ricci scuri. “Forse sì, ma non m’ importa più di tanto” sogghignò poi “dato che tu saresti persino in grado di prenderlo come un complimento.”
Il simil-gattino distolse lo sguardo indifferente per concentrarsi sul tempo che aveva ripreso a scorrere normalmente: la prima delle idol, quella con i capelli neri e lisci come spaghetti e l’ aria rimbambita vestita di rosso, non s’ era accorta di nulla e continuava a saltellare e dimenarsi sul palco come un’ ossessa. Pareva che prendesse il suo “lavoro” come un sorta di gioco infantile… al punto da sembrare una perfetta stupida. E chissà che non lo fosse davvero.
La seconda, una sorta di palo della luce con i capelli che parevano una réclame della Coca-Cola  (secondo il parere di Muhammad), ostentava in pubblico il tipico comportamento da “io so tutto e sono infallibile”, ma anche lei era fallibile, eccome! Neanche lei se n’ era accorta.
L’ unica persona rimasta, escludendo il pubblico e la security (certo, alcune persone erano sotto il controllo delle Carte Numero, ma a memoria d’ Incubator nessuna di esse avrebbe potuto fare una cosa simile, lui lo sapeva bene), era la terza idol, quella che continuava a cantare facendo finta di niente, la castana dall’ abito verde.
La ragazza con lo stemma bianco sulla mano.
L’ Incubator era parecchio attratto da quell’ immagine raffigurante una piuma circondata da una cornice esagonale piena di ghirigori, perché faceva accadere ciò che persino le Streghe, con il loro sfrenato potere distruttivo, non erano in grado di fare, ma soprattutto la ragazza era un soggetto davvero interessante.
Nascondeva dentro di sé un incredibile potenziale.
“Kyuubey, spiegati meglio circa White Warrior. Da cosa derivano tutti questi suoi incredibili poteri di cui tanto favoleggia il tuo popolo? Perché poi dovrebbe essere proprio questa ragazzina? Ma soprattutto… essa non sarà altro che l’ ennesima vittima del vostro sistema, giusto?chiese di getto Stephan, rannicchiato su se stesso e oscurandosi in volto nel pronunciare l’ ultimo quesito.
Kyubey sorrise in modo inquietante.
“Esattamente, mio caro amico, sei acuto. White Warrior non è altro che la nostra scorciatoia verso la ricchezza, o almeno voi umani la chiamereste così. La Guerriera Bianca altro non è che una ragazza con una’ anima incredibilmente adatta a combattere, piena di sogni e speranze. Se non ricordo male i racconti di Rokubey e Nanabey, ella è capace di fare cose incredibili anche senza possedere la Soul Gem.”
“Ma mica questa ragazzina può farle da sola, le cose straordinarie che dici.”
Ghignò ancora una volta Muhammad, quasi deluso dal poco spirito d’ osservazione che pareva dimostrare l’ animaletto. “Ha una strana cosa impressa sulla mano, non l’ hai notata? La si potrebbe definire uno stemma. Mi deludi, socio.”
“Non sono così tonto, Muhammad Ahmed Sahi, certo che l’ ho notato lo stemma. Ed è questo a complicare il tutto… oltre al terribile fracasso di questo posto.”
“Secondo me sono bravine, invece. Se non si limitassero solo a fare delle cover potrebbero persino sfondare.”

L’ assordante rumore delle chitarre si protrasse per un’ ora intera, poi una troupe logorata dalla stanchezza si adoperò svogliatamente per smantellare il tutto sotto la luce livida dei riflettori al neon che faceva sembrare quel luogo un ospedale.
Muhammad e Stephan guardarono a lungo gli enormi operai in tuta arancione trascinarsi lungo tutto il luogo in cui s’ era tenuto il concerto trasportando svariati oggetti, poi ritornarono verso il loro appartamento silenziosi e tristi, quasi contagiati dalla stanchezza e dalla tristezza cui avevano appena assistito.
“E’ quasi l’ una di notte, Hawkeye.”disse piano il ragazzo dei ricci color caffè con un tono serio e compassato che non era proprio nella sua natura. “Salteremo la scuola anche domani?”
“Poi vedremo, Muhammad. Stavolta Kyubey mi ha davvero spaventato.”
Anche la voce del ragazzo dai riccioli biondi era fiacca e stranamente priva d’ energia.
“Tu l’ hai riconosciuta la terza idol, non è vero?”chiese Muhammad, stavolta più duro.
“Certamente. E ti dirò di più: non è affatto nelle mie intenzione aiutare la cara bestiolina dalle orecchie penzolanti ad avvicinarla. Non voglio che Puella in Somnio cada di nuovo nello stesso tranello, ormai sarebbe la terza volta. Se è rimasta quella che conosciamo, potrebbe rifarlo… e questa volta potrebbe rimetterci ancora prima di morire. Il gelo dello Stasys non perdona.”
 
***
Multiverse [SLASH://]

Borgo del Merlo, Firenze, ore undici di sera.
L’ antico maniero medioevale appariva quasi maledetto agli abitanti del luogo, nero e lugubre com’ era, con tutte quelle guglie e quei pinnacoli, i cespugli di rovi e gli impenetrabili passaggi segreti.
Ma esso era più accogliente di quanto ci si aspettasse, anche in quelle ore buie: alla luce delle varie lanterne disseminate lungo una stanza lunga cinquanta metri e larga sessanta non una persona, ma ben tre si erano riunite attorno ad un tavolo di legno di ciliegio con le gambe bombate e decorato con mille ghirigori dal sapore barocco.
Una ragazza con il caschetto rosso e gli occhi verdi aprì il pesante portone d’ ebano, che cigolò sui cardini (il suo cigolio pareva un gemito, tanto era acuto e debole), per introdurre una nuova arrivata. Sei occhi curiosi si rivolsero verso di essa.
La persona in questione era una ragazza di circa tredici anni e mezzo, bassina ma dal fisico armonioso. Il suo viso era un ovale perfetto, incorniciato da una folta massa di capelli lisci, lunghi e neri come la notte che presentavano alcuni riflessi bluastri qui e là.
Gli occhi dal taglio allungato provavano le sue origini asiatiche (giapponesi, per essere proprio precisi) e risplendevano di una strana luce triste e determinata, del tutto insolita in quel paio d’ occhi grigio-verdi, di solito dolci e carezzevoli.
Sadako Santoro, questo era il suo nome,  aveva un bel nasino all’ insù, le labbra sottili tinte del colore delle rose e degli arti flessuosi ma non eccessivamente lunghi o magri. A qualsiasi ora quella personcina tanto dolce era sempre vestita impeccabilmente, principalmente con gonne o vestiti lunghi che la facevano sembrare una ragazza dell’ Ottocento: proprio in quel momento, portava un bel vestito rosso con la gonna a pieghe larghe e le maniche lunghe stile stola romana, sotto il quale portava un paio di ballerine di vernice nere.
Il suo incedere era lento e maestoso, ma allo stesso tempo grazioso e “leggero”, sembrava quasi una ballerina sulle sue punte che danza leggiadra su un palcoscenico, pronta a dare il meglio di sé.
“Ciao, Sadako!”la salutarono in coro Paula e Isaia, i due ragazzi seduti attorno al tavolo.
Un’ altra persona, un uomo alto e magro dalla folta capigliatura grigia e gli occhi verdi taglienti e penetranti, fino ad allora occupata ad esaminare un antico arazzo su seta, le rivolse uno sguardo interrogativo.
“Lei è la sorella gemella della ragazza dispersa, Sadako Santoro.”
“Ah già… che sia benedetta, quella ragazza nippo-italiana tanto fragile. Se ora sono qui ad aiutare quelli che un tempo erano i miei più acerrimi nemici è solo grazie a lei. Il mio nome è John Snake, ma loro mi conoscono anche come il Cobra.”
“Ad ogni modo, ho scoperto cosa sono quei simboli su quelle dieci carte che avete trovato: Alpha, Beta, Gamma, Delta, Epsilon, Zeta, Eta, Theta e Iota sono le prime nove lettere dell’ alfabeto greco antico.” Intervenne la nuova arrivata interrompendo bruscamente l’ uomo ed indicando nove sottili rettangoli di cellulosa bianchi, saltandone però uno, il sesto.
“E a cosa corrispondono nel nostro alfabeto?”volle sapere Matilde curiosa.
«L’ Alpha, la Beta, Il Delta e la Iota corrispondono rispettivamente alla “a”, la “b”, la “d” e la “i”, il Gamma è la “g” palatale, L’ Epsilon e l’ Eta sono la “e” rispettivamente breve e lunga, la Zeta corrisponde al suono “ds” mentre il Theta è il suono che usano gli anglofoni per dire “Thank”. Ma non è questo il punto. Mi passate la sesta carta, per favore?” elencò svelta Sadako, per poi chiudere la spiegazione con un tono leggermente impaziente.
Il sesto cartoncino passò svelto da una mano all’ altra e la ragazza dai capelli color della notte lo giro svelta: vi era raffigurata una bella ragazza dai lunghi capelli indaco e gli occhi decisi ed aggressivi che pareva bloccare un nemico con una sorta di scudo.
L’ immagine, tuttavia, fu totalmente ignorata, perché l’ attenzione di tutti fu rivolta allo strano simbolo, somigliante ad una “S”, incisa ad oro sulla parte superiore della carta.
“Questo è uno Stigma. In greco viene usato raramente. Non vorrei sbagliare, ma è un segno d’ origini fenicie che di solito stava ad indicare un numero, il sei. Lo vedete questo piccolo apostrofo posto sopra di esso? Ecco, quando sopra le lettere c’è uno di questi segni, chiamati apici, vuol dire che le lettere sono usate come valore numerico.”
“Quindi, se ho capito bene, queste lettere sarebbero gli equivalenti delle nostre cifre arabe.”provò a ricapitolare Isaia, picchiettando le dita lungo il tavolo.
“Esatto. Se teniamo conto che l’ ordine delle lettere è uguale a quello dei numeri ad eccezione dello stigma, che è una delle ultime lettere ma vale sei, queste carte sono numerate dall’ uno al dieci.”
“Grandioso!”esultò Paula Hernandez cercando di non alzare troppo la voce (e, ad onor del vero, spesso non ci riusciva). “Abbiamo messo insieme un tassello del puzzle. Ora bisogna capire chi ci ha consegnato queste carte e cosa ne dovremmo fare.”
A quella battuta, il Cobra fu come attraversato da un’ idea e tirò fuori da una vecchia borsa di cuoio un pila di fogli rilegati pieni di foto che mostravano gli scorci di una città futuristica. Una di quelle, in particolare, rappresentava due ragazzi l’ uno di fronte all’ altro che brandivano della carte molto simili a quelle sul tavolo, alcune delle quali erano posizionate su uno strano aggeggio di metallo posto su un braccio.
“Questa è Heartland City, Giappone, come potete ben vedere.”esordì l’ uomo schiarendosi la voce. “Molte di queste carte fanno parte di un passatempo molto praticato lì, il Duel Monsters. Secondo le ricerche condotte da me e dai miei assistenti Smilzo e Botte si sta svolgendo un Torneo Internazionale proprio di duelli con carte, che rappresenterebbero l’ animo della città.”
“Ma quelle che abbiamo noi sono bianche, quelle nelle foto sono viola, marroncine e verdi, al massimo nere.” Obbiettò timidamente Isaia. “Siete sicuro che siano le stesse?”
“Sicurissimo. A quanto pare queste carte in nostro possesso sono molto rare, specialissime, che fanno gola ad ogni buon duellante per i loro magnifici attributi. Pare che persino il sindaco della città, Mr. Heartland, ne sia attratto. Quindi, ragazzi, se davvero pensate che Yumiko sia finita lì e volete andare a recuperarla… beh, queste carte saranno non solo il vostro lasciapassare, ma anche una risorsa enorme ed un terribile pericolo.



Angolo dell' Autrice
Oh-oh-oh, buonsalve a tutti gente!
* L' autrice si ritrova fucili, pistole, forconi e altri oggetti proprio poco pericolosi puntati contro*
Sì, sì, okay, okay. Nella mia ultima fanfic su questo fandom, "Shooting Stars", avevo annunciato il mio probabile ritiro dalla scrittura e... BUM! Ecco che proprio sul più bello Zeus decide di ridarmi l' ispirazione e pubblico questo capitolo (veramente "belliffimo" oh). Quindi no, non mi ritiro. *Urla poco entusiaste della folla.*
Tralasciando la mia paranoia d' autrice che ormai è diventata abituale, cosa ne pensate? Vi pare un buon capitolo? Ci sono errori nella forma? Avete suggerimenti, consigli o critiche?
Dal canto mio, posso solo dire che questo è un capitolo "statico", con elementucci poco raccomandabili che fanno congetture degne della loro fama(?) e i nostri due Pueri Magi che (tornati qui da noi per la vostra grande giuoia) sembrano nascondere qualcosa al caro Kyuubey. Abbiamo anche i nostri cari amici provenienti dall' Universo di "Slash://" (Sì,
Sognatrice-chan, lo so che ora vuoi uccidermi perché non li sopporti <3 ) che si sono ritrovati delle carte da Duel Monsters e cercano di capirci qualcosa.
E dunque, cosa mai nasconderanno Muhammad Ahmed Sahi e Stephan Hawkeye? Da dove sono sbucati fuori Rokubey e Nanabey? Cosa potrebbe essere lo "Stasys"? Come mai quelle carte bianche hanno in numeri segnati in greco antico e da dove vengono? Cosa decideranno di fare Isaia, Matilde e Paula? A cosa serviranno mai le disequazioni nella vita? Come mai io sono scema?
Troverete le risposte a tutti questi quesiti (tranne che agli ultimi due) nei prossimi capitoli, quindi "stay tuned"!
See you!
-Puff
PS: Piccolo disclaimer: nella serie originale "Slash://" il Cobra e i suoi assistenti sono degli antagonisti. Sono diventati aiutanti nella storia solo ai fini della trama.
PPS: Last but not least, ci terrei a ringraziare le cinque persone che  hanno messo tra le preferite questa storia, ossia
Feelings, Ryoku, Sognatrice_ Felice (che vorrei strapazzare di coccole per tutto il sostegno che mi ha dato awrrrrrr!), Stellaskia e Yulin; ancora Ryoku, che l’ ha inserita tra le ricordate e Lolakiss, Ryoku (sei ovunque!) e Stellaskia (e due!), che la seguono.
Una menzione speciale va ovviamente a
Fura14, grande amica di studi e scleri che con le sue recensioni mi fa sempre morire dal ridere e mi tira su.
Grazie di cuore a tutti, come farei senza di voi?





 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** 07: I won't betray our path ***


Chapter 07
I won’t betray our path

 
“… e non si volti indietro più al mio amore
caduto per sua colpa come al margine
del prato cade un fiore che l’ aratro
tocca e va oltre.[1]

Splendido!” Esclamò una vocetta emozionata, la cui padroncina camminava a piedi scalzi sul pavimento appena lucidato della stanza 969, nel Grand Hotel di Heartland City. Sixth, ancora avvolta nella sua deliziosa camicia da notte bianca con le maniche a palloncino, si fiondò in quell’ angolo della stanza che era stato adibito a salotto, ovvero poco meno di tredici metri quadri occupati da un tavolino di un marmo rosato fiancheggiato da un grazioso divanetto biposto, ricoperto da una federa in velluto rosso.
Quest’ ultimo era occupato da Five, che si scostò per fare spazio alla sorellina.
Ella  irruppe come una furia e balzò sul divano con insolita energia, constatò Three alquanto felicemente: il concerto della sera prima era finito poco prima delle due di notte ed era strano che, a seguito di uno di essi, la loro sorellina si svegliasse così energica.
Il minore dei tre Arclight era intento a guarnire una bella torta Red Velvet con una crema che aveva preparato circa mezz’ ora prima, e tra pochissimo l’ avrebbe servita al resto della famiglia, compreso Tron che, come era sua solito nelle giornata festive, di rado si faceva vedere prima delle undici. Le sue mani delicate, nonostante fossero alquanto sporche di burro e farina, riuscivano comunque a servirsi degli attrezzi da cucina con una certa maestria e sollevavano tazze, piatti, vassoi e posate d’ argento senza che nemmeno un oggetto sfuggisse loro.
IV, invece, era già sveglio da un pezzo e alle dieci e mezza del mattino aveva già accettato e vinto due sfide: doveva pur tenersi in forma in vista dell’ imminente Carnevale Mondiale di Duelli! Era rientrato solamente per prendersi una pausa e, visto che l’ ultimo duello che aveva affrontato si era svolto proprio nella zona dell’ Hotel, aveva pensato bene di cogliere due piccioni con una fava: avrebbe ripreso un po’ di fiato e contemporaneamente tenuto d’ occhio i giocatori di Duel Monsters che si aggiravano nei paraggi, così da vedere se ce ne fosse qualcuno abbastanza bravo o straordinariamente fortunato per poter competere con lui. 
I suoi occhi viola lampeggiavano con più intensità del solito mentre si toglieva la giacca e, non appena vide quel fulmine della sorellina catapultarsi sul divano, le fece una smorfia, gesto che fu totalmente ignorato dalla diretta interessata.
Dal canto suo, infatti, VI si limitò a sbadigliare proprio in faccia a Thomas per poi riabbassare gli occhi ancora pesti di sonno sul grosso volume rilegato di pelle blu che teneva tra le mani, contenente la raccolta delle poesie del poeta romano Gaio Valerio Catullo.
Chris vi gettò un’ occhiata interessata: nonostante avesse avuto una formazione scientifica, si dedicasse all’ astronomia non appena aveva un po’ di tempo libero (cosa che, ahilui, capitava sempre più raramente) e dichiarasse di non conoscere granché di letteratura, amava molto leggere e conservava comunque un certo interesse per il latino, rimasuglio dei lunghi anni passati ad apprendere quella lingua indispensabile in ambito scientifico.
Non nutriva un fervido interesse per i neotéroi, al contrario della sorellina, e si ripromise mentalmente di ritrovare la sua copia del “De rerum natura” di Lucrezio per prestarglielo.
“Buongiorno, Sixth!” la salutò allegro Three mentre continuava a stendere la crema sulla sua torta. “Cosa leggi di bello?”
“Il carme undici di Catullo”
cinguettò allegra la ragazzina. “Nonostante il tema trattato sia triste è ugualmente bellissimo.”
“Non tutte le nugae sono allegre, VI.”
proferì Five dall’ alto dei suoi ricordi dello studio della letteratura latina, mai completato con suo sommo dispiacere. “Ne troverai anche di tristi o violente, così come ti capiterà di leggere parti dei carmina docta molto toccanti e componimenti che parlano di politica.”
“Soltanto lei può leggere roba simile!”
esclamò Four beffardo facendo segno a III di portargli un bicchier d’ acqua. “Mi chiedo proprio dove li vai a trovare, questi libri. Il tuo Ikuroh Shintai ti ha già annoiata?” chiese poi, con un tono abbastanza tediato.
 “Sei proprio come Lesbia.” lo prese in giro la sorella minore. “Non è che ti sei ispirato a lei? Oppure sei un suo discendente a nostra insaputa?”
“Che cosa intendi dire, pulce saccente?” si irritò il diciassettenne.
Io la saluto coi suoi mille amanti,
che abbraccia tutti insieme ma nessuno
ama davvero e a tutti uno per volta
rompe la schiena. [2]

Sei tu spiccicato mentre duelli: fai tanto il carino e poi li schiacci come mosche.”
“Figurati! Io non ho niente da spartire con una donna di facili costumi dell’ Antica Roma! Ma che razza di paragoni fai?!”

Il fratello quindicenne, intento a lavarsi le mani, si lasciò sfuggire un risolino: forse il paragone tra Four e la tanto decantata Lesbia (in realtà si chiamava Clodia o Claudia, aveva scoperto dopo accurate ricerche) poteva non essere proprio perfettamente calzante, ma rendeva l’ idea ed anche alquanto efficacemente.
Prevedendo aria di burrasca tra i due fratelli, V cambiò argomento con elegante nonchalance: “Beh, com’ è andato il concerto di ieri?” chiese a Sixth facendole una carezza sulla testa bruna.
“Ah, non l’ avete seguito?” chiese lei di rimando, piegando la testa di lato.
“A dire il vero non tutto.”rispose il ventenne distogliendo lo sguardo. “Tron ha perso definitivamente interesse dopo la tua cattura di Numero 60 e, dal canto mio, ho preferito ritirarmi nelle mie stanze.”
«In definitiva direi bene, ma la canzone che la Murasaki ci ha dato da imparare per il prossimo concerto mi fa dar fuori di matto. Ieri, non appena abbiamo finito, ci ha dato subito una serie d’ impegni per il mese prossimo e ci ha anche detto di ascoltare quell’ aborto. Ci ha detto persino di andare a dormire ascoltandola. “Così vi entra più facilmente in testa”, ha detto. Figuriamoci! Io so solo che se lo ascolto solo un’ altra volta commetto un omicidio. »

Mentre la tredicenne sciorinava nei dettagli tutto quel che la signorina Rumiko Murasaki le aveva detto la sera prima, con tanto di gustose descrizioni dei comportamenti dei vari impiegati o delle sue compagne idol al “grazioso” sermoncino che si erano dovute sorbire, con gran divertimento di tutti e tre i fratelli maggiori, Tron aprì silenziosamente la porta scorrevole della sua stanza, che fungeva non solo da “quartier generale”, ma anche da sala dei divertimenti e camera da letto.
Scivolò non visto nel corridoio, camminando leggero come uno spirito con le sue scarpe di cuoio sul parquet di legno di ciliegio appena lucidato. Fece il suo ingresso trionfale nel salotto proprio mentre III si accingeva a tagliare a fette la famosa Red Velvet, decorata di tutto punto e per la quale aveva pensato bene di tirare fuori i vecchi piattini di porcellana
e l’ argenteria, che aveva provveduto a lucidare due giorni prima.
“Buongiorno a tutti!” esclamò in tono particolarmente gioviale. “Vi voglio pronti, aitanti e combattivi: domani inizia il Carnevale!”
“Yay…”
esclamò annoiata Sixth, mentre il resto dell’ uditorio si limitava ad esibire un sorriso di circostanza alquanto tirato.
“Ma tu guarda la nostra Sixth, da quando hai cominciato a fare dello spirito?” la riprese sarcasticamente il bambino con la maschera privando Five della sua razione di dolce.
III non lo rimproverò, impossibile farlo, ma si limitò a tagliare un’ altra fetta di torta, più grande di quella che Tron aveva trafugato, e a servirla al fratello maggiore.
“Three, Four, Five, questi sono i vostri frammenti di cuore, sapete già come procedere.” Proseguì poi, lanciando loro un frammento di gemma rossa. “Per quanto riguarda il tuo, VI, te lo consegnerò a fine giornata. Prima faremo un po’ d’ allenamento io e te, in modo da poter sfruttare il tuo nuovo Numero al massimo.  E, dato che sei sempre stata alquanto refrattaria al Duel Monster, ci toccherà fare qualcosa d’ intensivo. Ovvero, ci alleneremo tutto il giorno.” concluse, con uno strano ghigno che gli deformava il volto.
I quattro fratelli si scambiarono uno sguardo preoccupato.
“La ucciderà!” bisbigliò Three inorridito, lasciando cadere la spatola che aveva in mano.
Sixth però non si azzardò a protestare.
Il gran momento era arrivato e lei sapeva bene che da quel giorno in poi non avrebbe dovuto fare altro che obbedire agli ordini con precisione e prontezza, senza fare obiezioni, ritardi o capricci, che non avrebbero prodotto altro che sgradevoli inconvenienti e, di conseguenza, ritardi, se non qualcosa di più grave.
Fino a qualche tempo prima avrebbe protestato energicamente se le fosse stato imposto di partecipare al Carnevale Mondiale di Duelli e, in parte, continuava a reputare quel tipo di vendetta basato su mostriciattoli, carte, mosse e contromosse perfettamente inutile.
Aveva sperato a lungo di poter contribuire in modo diverso a riportare la pace nella sua famiglia, magari in un ruolo ugualmente utile, ma che le avesse consentito di passare in secondo piano, senza essere coinvolta in quelle stupidaggini… ma invano.
Aveva stretto un patto, dopotutto.
Di Tron si poteva dire di tutto, ma non che non fosse vendicativo e testardo: quando si metteva in testa qualcosa non c’ era nulla che potesse fermarlo e pretendeva obbedienza assoluta da tutti.
Si era ben presto rassegnata, così si limitò ad assentire timidamente di fronte all’ ordine del padre.
Five alzò un sopracciglio in segno di disapprovazione: la sua sorellina era sì brava a sostenere gli sforzi, ma a lungo andare questo avrebbe influito negativamente sulla sua salute. Se poi avesse fatto davvero quel che Tron le aveva ordinato, probabilmente le sue capacità avrebbero subito un grosso calo e per i prossimi giorni aveva bisogno di tutte le sue energie. Questa decisione si rivelava alquanto rischiosa.
Si ripromise quindi di fare una bella chiacchierata con suo padre per convincerlo a ridurre le ore di tirocinio per la sua amata ultimogenita.
“E questo è quanto volevo dirvi. Sixth, con te facciamo i conti tra mezz’ ora.”
L’ uditorio si alzò lentamente da tavola. A V fu ordinato di preparare tutto l’ occorrente per la simulazione dei duelli in uno stanzino angusto adiacante a quello di Tron, solitamente inutilizzato, immerso nella penombra e ricolmo di ragnatele.
VI trascinò i piedi, che le sembravano pesanti come due ganasce, fino al bagno; mentre III e IV si diressero in cucina, l’ uno per riordinare e l’ altro per servirsi l’ ennesimo bicchier d’ acqua in quella mattinata.
“Le cose si stanno mettendo proprio bene per la nostra pulce.” Commentò Four sarcastico, la schiena poggiata contro la parete e la camicia, che era rimasta opportunamente chiusa per l’ arrivo di Tron, mezzo sbottonata.
“Direi.” Gli rispose il fratello quindicenne inquieto, mettendosi un grembiule da cucina che aveva l’ aria di averne passate di cotte e di crude. “Probabilmente stasera le toccherà fare anche il secondo rituale.”
“Come, un secondo rituale?! Uno non basta?!”

Three continuava a rassettare la cucina con sveltezza e abilità, passando da una parte all’ altra della sala, mentre gli rispondeva con queste parole: “Già, un altro. Se quella famosa notte avessi seguito tutto il discorso d’ apertura avresti sentito che il primo rituale ha impiantato in Sixth soltanto uno stemma per così dire provvisorio. Quello che ha nostra sorella non contiene nemmeno la metà dei nostri poteri, Four.”
“Interessante… e il resto?”
«Tron disse anche che le avrebbe donato quello “definitivo”soltanto qualora avesse acquisito un buon Numero ed, ovviamente, anche molta pratica di Duelli.”
“Non vorrei proprio essere nei suoi panni.”
Concluse Four, il volto contratto da un’ espressione metà contrita e metà disgustata. “Il primo rito è stato un calvario. Con il secondo non solo potrebbe vedere le stelle, ma anche raggiungerle, se qualcosa va storto…”
 
Dietro di lui, un gattino dagli inquietanti occhi rossi e con due lunghe escrescenze inanellate che nascevano all’ interno delle orecchie agitò la lunga coda soddisfatto. Se l’ espressione innaturalmente sorridente che era stampata su quel muso avesse potuto cambiare, forse avrebbe fatto un ghigno soddisfatto.
Aprì con una zampa la finestra a ghigliottina e s’ intrufolò dentro l’ Hotel, non visto da nessuno dei tre fratelli, troppo impegnati a confabulare o a sistemare astruse apparecchiature elettroniche.
Da un’ altra stanza di levò un mugolio sommesso che solo lui poté udire.
Zampettò lungo il corridoio e, quando il bel profilo dell’ ultimogenita Arclight gli si stagliò davanti agli occhi, piegò il capo e svanì nell’ oscurità, chiedendosi mentalmente che fine avessero fatto i suoi due sciocchi sottoposti.


***
Stephan Hawkeye, in T-shirt verde, jeans blu-indaco scolorito e sneakers in tinta, canticchiava “Dans ma rue” di Edith Piaf seduto su un’ alta sedia di legno.
Aveva una voce forse un po’ bassa, ma piena e melodiosa, che si alzava o abbassava di tono a seconda dell’ emozione che voleva trasmettere e mentre cantava osservava con un certo interesse un trio di amici intenti a trafficare vicino ad un grosso quadrante d’ orologio completamente vitreo.
Tra di essi c’ erano anche il suo inseparabile compagno di scorribande, Muhammad Ahmed Sahi, nella sua solita tuta rossa con abbinate scarpette da ginnastica rigorosamente bianche, e Tomoya Shizenyuuki, le cui gambe snelle sembravano navigare in un paio di pantaloni arancioni talmente larghi che, indossati senza scarpe, potevano perfettamente pulire un pavimento troppo impolverato.
Insieme ad un’ altrettanto larga maglietta gialla a maniche corte, una fascia decorata con delle foglie ,chiusa grazie ad una spilla sopra alla spalla destra, ed un paio di sandali di cuoio, la tenuta del ragazzo costituiva una versione più giovanile ed allegra del tipico costume tradizionale tibetano, nonché l’ abbigliamento che era solito adottare quando si trovava ancora nella loro dimensione.
Assieme a loro c’ era anche una ragazza: era alta, ossuta e slanciata e la sua pelle giallastra tradiva origini cinesi.
Il colore degli occhi, di un bel verde scuro, creava un bel contrasto con il loro taglio allungato incastonato nel visetto ovale, insieme alle labbra carnose ed un grazioso nasino all’ insù. La sua lunga massa di capelli neri era tenuta stretta in una coda bassa e portava un paio di orecchini costituiti da una semplice perlina azzurra.
Era vestita alquanto semplicemente: una maglia gialla dalle maniche larghe con motivi a spirali verdi e viola, un largo pantalone viola scuro fermato alle caviglie da due elastici e un paio di ballerine nere.
Sulla sua spalla destra un piccolo cincillà a righe viola, magenta e bianche seguiva con interesse tutta l’ operazione e, di tanto in tanto, si azzardava a “commentare” qualche passaggio.
“Potete spiegarmi dove avete trovato questo marchingegno?” chiese perplesso l’ australiano aggrottando le sopracciglia, quasi avesse visto soltanto allora l’ enorme macchinario intorno al quale i tre ragazzi stavano sudando da circa mezz’ ora.
“Per la terza volta, l’ ho trafugato dalla Heartland Tower.” Gli rispose Tomoya alquanto seccato, continuando ad armeggiare con il cacciavite che aveva in mano. “Certo che, piuttosto che stare lì a fischiettare inutili canzoncine, potresti pure venire a darci una mano!”continuò ancora più irritato, vedendo che l’ amico continuava ad ignorare il loro lavoro osservandoli con aria divertita
“Ma come stai?!”lo riprese Muhammad sconcertato. “Se avessimo saputo che saresti cambiato tanto radicalmente non ti avremmo certo permesso di aggirarti in questa città tanto a lungo, anzi ti avremmo riportato a Firenze tirandoti per i capelli!”
“ È esattamente quello che gli ho detto anch’ io l’ ultima volta che ci siamo visti.” Assentì Chen, la ragazza, con un secco cenno del capo, mentre regolava le grosse lancette di vetro a forza di spinte. Come i tre ragazzi, anche lei non apperteneva a quella dimensione, ma era giunta dal passato per riportare la ragazza dispersa laddove era nata: era stata la prima, tra la compagnia dei cinque ragazzi, ad accorgersi dell’ improvvisa sparizione e rapida come un fulmine aveva radunato tutti gli altri.
Si sarebbe offerta volontaria per risolvere tutto quel pasticcio, se soltanto il tibetano non si fosse fiondato come un pazzo a recuperare la sua anima gemella non appena riucevuta la notizia… quindi le era toccato raggiungerlo e cercare di rimettergli un po’ di sale in zucca, nonché raccogliere informazioni sulla strana città in cui erano capitati.
Informazioni che poi trasmetteva a Paula, la spagnola, che faceva da spola tra i due mondi e che, di tanto di tanto, faceva una capatina ad Heartland City per informare a sua volta coloro che erano rimasti nell’ altra dimensione.
Lei si era stabilita in quella città una settimana prima dell’ ingresso di Tomoya nella nuova scuola, ma, per quanto le potesse riguardare, non aveva intenzione di fare lo stesso: si era installata da clandestina in un piccolo motel vicinissimo a quello del ragazzo e, da quando lui aveva iniziato a frequentare l’ Heartland Academy, si vedevano regolarmente ogni pomeriggio per organizzare un piano strategico da mettere in atto quando, finalmente, si sarebbero riuniti tutti quanti e per trasmettere alcuni dati, visto che nel suo alloggio di wi-fi non se ne poteva proprio parlare e le seccava scroccare continuamente la connessione dai bar appositi.
“Vi prego, due capate di capo in una settimana, immeritate del resto, non riesco proprio a digerirle.” Intervenne il diretto interessato ancora più seccato.
Avesse potuto, probabilmente avrebbe preso a colpi di vanga tutto il mobilio della sua camera, scelto ed organizzato in modo da ricordare quanto più possibile quella che aveva laggiù a Kangmar, a casa sua.
Immeritate proprio non direi, testa di rapa.” Lo riprese Stephan, scettico. “Ma lasciamo perdere. Piuttosto… tutte quelle piante non ti rubano l’ ossigeno mentre dormi?”
L’ attenzione di tutti si spostò verso gli innumerevoli bonsai del novello Number Hunter, che occupavano l’ intera lunghezza di un grosso comodino in legno di cedro. Pur essendo degli alberelli in miniatura, perfettamente corrispondenti all’ immagine che evocano, non avevano quell’ aspetto martoriato che, invece, caratterizzava la maggior parte di essi: tutto merito delle amorevoli cure del loro possessore, il quale sembrava talvolta tenere più alle sue beneamate piante (oltre ai bonsai aveva un grosso vaso pieno di rododendri argentei e varie piantine di serratula alpina sparse un po’ ovunque) che ai suoi amici.
“Niente affatto, ci sono abituato. Sai bene che a casa mia ne avevo molte di più. Io amo le piante…”
“Perché lui è un rude contadino, eh, mica come voi stupidissimi cittadini che amate soltanto la puzza dello smog.”

Moon, appesa per i piedi ad uno strano scacciapensieri in legno che pendeva dal soffitto, teneva le braccia incrociate quando interruppe annoiata il suo protetto.
Aveva seguito tutte le beghe di quegli umani con un certo interesse osservando non vista ogni singola parte del quadrante di vetro, dalle grosse lancette, ai numeri romani che vi erano incisi, ai grossi ingranaggi che pur essendo fatti del medesimo materiale dell’ orologio erano perfettamente visibili.
Non aveva conosciuto nessuno dei tre ragazzi ma le fecero subito una buona impressione, specie Chen che aveva l’ aria di essere parecchio assennata.
“Moon, sei sempre simpatica come un calcio negli stinchi.”la schernì lui.
“E questa chi è? Un’ aliena?” chiese Muhammad guardando l’ Astrale con un misto di stupore e simpatia.
“Prego, io sono un’ Astrale DOC!”si offese Moon sentendosi dare dell’ “aliena”.
“E che cosa cambia?”
“Che i vostri stupidissimi alieni sono frutto della vostra fantasia e, qualora esistessero, potrebbero anche essere semplicemente dei dati fluttuanti nello spazio, noi invece siamo esponenti di una civiltà antichissima e cento volte migliore e più moderna della vostra!”
“Ah, ma davvero? E se stavi tanto bene nel tuo fantomatico mondo, allora perché sei venuta qui, in mezzo ai pezzenti?”

Fare conoscenza con il sudafricano si riverlò un’ impresa laboriosissima per Moon. Muhammad Ahmed Sahi aveva un carattere allegro ed ottimista, da vero buontempone, ma se veniva stuzzicato ricorreva praticamente sempre ai suoi assi nella manica: l’ ironia ed il sarcasmo. Come riuscisse a farla franca rimaneva un mistero persino per i suoi conoscenti, sta di fatto che gli amici gli perdonavano praticamente tutto e riusciva sempre a farsi benvolere.
E solo con loro il ragazzo rivelava il suo lato responsabile e, a volte, protettivo.
Una mezz’ oretta dopo, infatti, l’ Astrale si decise a sorridergli e pensò che, nonostante fosse alquanto strambo, avrebbe potuto combinare gran bei progetti insieme: avevano entrambi una ferrea volontà e un’ energia vulcanica, nonché lo stesso irrefrenabile desiderio di conoscere il mondo.
Si ripromise inoltre di sgattaiolare, qualche sera, fuori da quella stanza angusta e di seguirlo in quelle che lui chiamava “battute di caccia”: il nome non suonava molto divertente e magari avrebbe potuto mettersi nei guai, ma quantomeno avrebbe visto qualcosa di nuovo e… chissà? Avrebbe anche capito qualcosa di quel mondo strano, ancora nuovo ai suoi occhi inesperti.
“Quindi anche lei è arrivata qui da un’ altra Dimensione, eh? Magari potrà darci una mano, se è esperta di questo tipo di… ehm… viaggi.”
La voce della ragazza cinese la distolse.
La fissava con una certa intensità, ma senza alcuna traccia di sentimenti negativi.
Solo una traccia di pensosità, che non intaccava in alcun modo l’ espressività dei suoi bellissimi occhi.
Perché quei ragazzini erano tutti così seri e compassati? Quelli del Mondo Astrale (o almeno quelli che aveva conosciuto) erano allegri e terribilmente vivaci, correvano avanti e indietro, giocavano per strada ad ogni ora del giorno e, alla meglio, tornavano a casa con entrambi i gomiti sbucciati, non stavano un secondo zitti e si davano alla pazza gioia non appena si presentava loro l’ opportunità di poter passare qualche ora senza genitori e senza obblighi.
“Dubito che ne sappia più di noi, Chen. Me la sono ritrovata per caso davanti non appena sono arrivato qui. Mi ha promesso che, ritrovando un certo oggetto, mi avrebbe aiutato, ma per ora più che altro mi è d’ intralcio.”
Tomoya raccontò brevemente agli amici ignari cos’ era successo durante quella che lui definì “la notte fatale”(definizione che a Muhammad sembrò troppo romanzata e tirata per i capelli) ignorando deliberatamente le varie smorfie che Moon faceva di volta in volta mentre tentava di staccare il proprio piedi dallo scacciapensieri.
“Ma tu guarda!” esclamò divertito Sahi alla fine del racconto. “E bravo il nostro Tomoya, che ha stretto una sorta di patto con il diavolo e nemmeno ce lo dice. Che fegataccio!”
Sembrava aver preso tutto quel che aveva passato l’ amico per un gioco infantile.
“Diavolo a chi?!” s’ inalberò di nuovo l’ Astrale.
Nessuno dei due si era minimamente accorto che, mentre il tibetano parlava, Stephan aveva coraggiosamente preso in mano pinze, tenaglia e cacciavite ed aveva cominciato ad aiutare Chen, che preferiva dedicarsi ad una sola cosa per volta ed i cui pensieri erano completamente rivolti alle componenti elettroniche da assemblare.
Tanto prima o poi l’ amico le avrebbe di nuovo bombardato le orecchie con i suoi dubbi, le sue ansie e i suoi tormenti, per cui via di nuovo con le parole dolci e incoraggianti e i soliti discorsi sul concetto “duro come la roccia, ma flessuoso come il salice” ed altre baggianate simili, pensava.
Era una tipa d’ azione, lei!
Non vedeva l’ ora di mettersi in contatto con Isaia, Matilde, Paula e il Cobra per dire loro che il progetto era quasi ultimato.
Tirò un sospiro di sollievo: la vera azione ed “Il vero divertimento”, per dirla con le parole di Muhammad, sarebbero iniziato soltanto quando il resto della banda si fosse riunito a loro.
Mentre loro in quella stanzetta, lavoravano al passaggio ultra-dimensionale (ed erano quasi giunti al termine), gli altri facevano la propria parte allenandosi nel Duel Monsters, creandosi dei mazzi decenti e creandosi degli alter ego dettagliati, in modo da passare inosservati.
Certo, il Carnevale Mondiale di Duelli sarebbe iniziato soltanto l’ indomani e probabilmente nessuno degli altri tre amici aveva raggiunto una preparazione tale da poter arrivare quantomeno alle semifinali, ma ci avrebbero pensato loro.
E poi il loro obiettivo era ritrovare Yumiko, per cui quella dei duelli non era certo l’ unica strada da battere. Grazie all’ aiuto di John Snake, alias il Cobra, che aveva una certa esperienza in trame che, se non potevano definirsi malefiche, erano quantomeno efficaci ma nascoste agli occhi dei più, il compito sarebbe stato cento volte più facile.
“Ehi, ragazzi, nel caso non ve ne foste accorti qua abbiamo finito!” esclamò Stephan, riportando gli altri due alla realtà.
“Splendido!” sorrise Tomoya per la prima volta dopo mesi. “Il computer è già acceso e connesso, dobbiamo solo aspettare che gli altri siano in linea…”
Non fece neanche in tempo a finire la frase che un sono pling annunciò l’ apertura di una finestra e tre facce familiari si stagliarono davanti a loro.
“Ragazzi, ci sentite?” chiese Muhammad emozionato.
Risponde la segreteria telefonica della signorina Paula Hernandez. L’ utente da lei ricercato è momentaneamente occupato o assente, registri il suo messaggio dopo il segnale acustico.” Rispose una simpatica ma nasale vocetta femminile, il cui viso era contratto nel migliore sorriso “da receptionist ” che i quattro ragazzi e l’ essere Astrale avessero mai visto. “Certo che ci siamo, ma che razza di domande fate?”
Paula si faceva finalmente sentire e non era cambiata per niente: simpatica, allegra e pronta all’ azione, nonché dichiarata avversaria delle domande stupide e/o retoriche.
Benvenuto nel nostro villaggio, se ha qualche problema non esiti a chiamarci.” La prese in giro Muhammad, imitandone il sorriso di gomma e la voce. Nonostante se ne fosse burlata per secoli definendola “Cesto di Carote” in riferimento all’ estrosa acconciatura, voleva molto bene alla spagnola ed era molto felice di rivederla, anche se solo “virtualmente”.
“Sì, ci siamo. Come procedono i preparativi?”
La voce calma del losangelino Isaia, i cui grossi occhiali come al solito cascavano dal naso, riportò la serietà. Fece un piccolo balzo sulla sedia non appena vide Chen, il suo amore non tanto segreto, sorridergli da dietro la sedia di Tomoya, ma si ricompose subito dopo.
“Manca davvero pochissimo: il portale si aprirà tra dieci minuti.” Gli rispose Stephan passandosi il polso destro sulla fronte. “John è lì con voi?”
“Sono andata a chiamarlo io poco fa, ci raggiungerà a breve.”
Li informò Matilde, gentile e premurosa come sempre.
“Speriamo che non faccia tardi!” Intervenne Chen, visibilmente esaltata.
“Figurati, sai quant’ è preciso.”
“Infatti, quando si tratta di propositi di vendetta, è talmente puntiglioso che dovrebbe entrare nel Guinness dei Primati.”

Una sonora risata riecheggiò da entrambe le parti.
“Avete la pietra con voi?” chiese Tomoya apprensivo.
I tre interlocutori sventolarono i loro frammenti di pietra verde, molto simili a quello che VI nascondeva tra pieghe del suo vestito.
“L’ attrezzatura?”
Altra risposta positiva.
“E siete riusciti a procurarvi i costumi?”
Ennesimo assenso.
Un uomo anziano in abbigliamento decisamente formale (camicia, gilet, pantalone fresco fresco di sartoria e scarpe di cuoio) e i lunghi capelli grigi che gli svolazzavano dietro li raggiunse in fretta ed i suoi profondi occhi verdi si unirono alla conversazione.
Al collo penzolava la stessa pietra che avevano i ragazzi.
“Due minuti!” esclamò Muhammad agitatissimo.
“Ma ci pensate a cosa avremmo dovuto fare se non avessimo avuto questo gioiellino?” chiese Paula accarezzando orgogliosa il suo frammento di pietra verde.
“Una faticaccia immane, per arrivare lì.” Le rispose Isaia con una faccia che mostrava ancora tracce del suo antico scetticismo.
“Non avremmo vissuto le avventure più belle della nostra vita…” aggiunse Matilde, rievocando i vari momenti, belli, tristi o paurosi che fossero, vissuti l’ anno prima insieme a quelli che erano diventati i suoi migliori amici.
“Un minuto!”
“Non ci avreste mai conosciuti…”
intervenne Stephan, riferendosi non solo a lui stesso, ma anche a Muhammad e a coloro che cercavano.
“…E magari non vi sareste cacciati in questo pasticcio.” Lo zittì il Cobra con un’ espressione fin troppo accigliata.
“Trenta secondi!”
 “Oh certo, ma in fondo anche questa potrebbe rivelarsi una fantastica avventura, no? Potrebbe avere dei risvolti positivi.”
ribatté Matilde scuotendo la testa, cercando di prendere la cosa con filosofia. La realtà era che si sentiva terribilmente agitata.
“Senza contare che in fondo lo facciamo per una nostra amica.” La spalleggiò la cugina con la sua solita energia. “Ha riposto la sua fiducia i noi, non possiamo tradirla.”
“Né permetterci di perderla.”
Concluse il tibetano serissimo.
“Dieci secondi!”
Il conto alla rovescia era cominciato.
Una scarica di adrenalina scosse contemporaneamente tutti gli otto corpi.
Le pietre furono tenute altre dai corrispettivi proprietari.
Gli altri scutavano con ansia le lancette del quadrante di vetro, che sembravano muoversi alla moviola.
Cinque secondi e una piccola scintilla verde cominciò a fare capolino dallo schermo.
Quattro secondi e i corpi di coloro che si trovavano a Firenze cominciarono a sollevarsi dal suolo.
Tre secondi e il bagliore continuò ad aumentare d’ intensità.
Due secondi e gli amici ad Heartland City si presero per mano, quasi a volersi rassicurare, mentre Moon sgranava gli occhi per lo stupore.
Un secondo e il bagliore si mutò in una luce accecante.
Poi ci fu un grosso lampo e tutto piombò nell’ oscurità.  






[1] e [2]: Catullo, Carme 11 (traduzione di E. Mandruzzato).





Angolo dell' Autrice
Osage_No_Onna, precedentemente nota come PuffballOtaGirl, rientra in pista.
Sì, dopo un anno. *sigh*
Avete presente quei capitoli che somigliano più a dei parti, dato il tempo e la fatica impiegati per tirarli fuori?
Ecco, il capitolo sette appartiene a questa categoria.
E tra macchinazioni, allenamenti, congetture e pseudo-viaggi interdimensionali, comincia qui la parte più bella della storia.
Riuscirà Five a convincere Tron?
E Sixth, riuscirà a scampare a quella sfacchinata immane?
Cos' ha in mente Kyuubey e perché gli interessa tanto l' ultimogenita Arclight?
Quei quattro poveri cristi riusciranno davvero ad arrivare ad Heartland City?
Spero che l' ispirazione non mi abbandoni di nuovo, in modo da pubblicare il prossimo capitolo quanto più presto possibile!
Mi raccomando, recensite e lasciate i vostri pareri!
See you!
- ONO


 

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Capitolo 10
*** 08: I'm not a lassie anymore ***


Chapter 08
I’m not a lassie anymore
 

“Ahia, che botta!”
“Ma perché non c’è la luce accesa qui?”
“Un calo di corrente, direi.”
“Ma il salvavita che fine ha fatto, è morto?”
“Che qualcuno metta ORA mano al quadro della corrente elettrica!”
“Lo farei io, ragazzi, se magari vi alzaste…”
“Se riuscissi a vedere dove metto i piedi, magari…”

“Niente panico, amici!” intervenne Muhammad sforzandosi di non scoppiare a ridere. Puntò una grossa torcia elettrica ricoperta da una guaina blu verso il pavimento ed eccoli lì: Isaia, Matilde e Paula erano stati tutti catapultati nella stanza di Tomoya a velocità supersonica, proprio come previsto, e nessuno di loro aveva subito effetti collaterali.
L’ unica cosa che non avevano potuto prevedere era stato l’ atterraggio, per cui i tre amici e l’ uomo che era con loro si erano tutti ritrovati proni su un parquet di legno, gli uni sopra gli altri e soprattutto tutti sopra al Cobra.
Per cui ciò che si trovava per terra, agli occhi di un qualsiasi ignaro spettatore, sembrava una strana piramide umana alquanto contorta e formata da individui eterogenei, ritrovatisi lì tutti assieme senza un minimo criterio logico.
“Sono piombati giù dal soffitto?” si intromise Moon, sempre appesa per un piede allo strano scacciapensieri ligneo. “Chissà che ridere!” esclamò, senza nemmeno prendersi il disturbo di sopprimere la ridarella.
Shizenyuuki, che stava dirigendosi a riportare la corrente elettrica, si voltò di scatto e gelò l’ Astrale con una megaocchiataccia, di quelle che nei fumetti presuppongono la presenza di due o tre fulmini: di solito, quando gli accadeva qualcosa d’ inusuale, era al primo a contattare i suoi amici (e ricordava ancora lo spavento che aveva provato quando, un anno prima, aveva scoperto che la sua pietra verde era capace di trasportarlo fisicamente ovunque dovunque volesse tramite la rete Internet … ovviamente la prima cosa che aveva fatto era stata mandare un’ email proprio ad Isaia, guarda un po’), ma rivelare l’ esistenza di una strana creatura dalla pelle rosata con rune lilla ai suoi amici era l’ ultima cosa che, in quel preciso istante, gli passasse per l’ anticamera del cervelletto.
Ricordava perfettamente gli amari rimbrotti che Chen gli aveva fatto quando le aveva rivelato di essere diventato un Number Hunter: l’ amica non era certo una che perdeva facilmente le staffe, ma in quell’ occasione sembrava che sulla sua testa si fossero addensati tanti nuvoloni gravidi di pioggia, di quelli che a casa sua annunciavano il periodo più difficile della stagione delle piogge. Le sue urla erano state talmente forti che, sebbene si trovassero su una terrazza al milionesimo piano di un Hotel in cui loro poveri pezzenti non avrebbero nemmeno potuto pensare di mettere piede, per di più alle cinque del mattino, le avevano percepite persino i pipistrelli nelle cantine, sottoforma di ultrasuoni.
Figurarsi le reazioni nel venire a sapere di un’ entità extraterrestre.
“Moon, guai a te se ti fai scoprire!” le sussurrò infatti in tono eccessivamente rabbioso.
La diretta interessata non capì il motivo di quella reazione, ma gli disse, in tono lamentoso: “Potresti per favore liberarmi? Mi si è incastrato il piede in questo tuo scacciapensieri e non riesco a liberarmi! Certo che voi umani avete proprio uno strano modo di arredare i soffitti!”
“Ma allora sei sorda? Ti ho detto di stare zitta!” imprecò Tomoya tra i denti.
Non lo farò finché non mi verrai a liberare!” controbattè lei scuotendo fieramente il capo, provocando l’ondeggiare dei lunghi capelli violacei.
Mi vuoi far quantomeno riportare la corrente? Quanto sei ostinata!”
“Aspetta, amico, vengo ad aiutarti!” La voce di Muhammad interruppe quella conversazione bisbigliata. “Ma con chi stai parlando, con Moon?” chiese poi, il volto dipinto con una buffa espressione interrogativa.
Il sudafricano puntò la torcia verso l’ amico tibetano, che sembrava aver appena ricevuto una secchiata d’ acqua fredda in faccia, e poi illuminò tutto il resto della stanza per cercare il misterioso interlocutore, ma non vide affatto la bellissima fanciulla dagli occhi argentei con cui aveva discusso fino a dieci minuti prima, per cui si insospettì.
Raggiunse con due rapidi scatti Tomoya, che a quanto sembrava non aveva mai visto un quadro delle corrente elettrica nei suoi onorati tredici anni di vita, lo scacciò con un “Lascia fare a me, se continui a stare lì a litigare con l’ aria non caveremo un ragno dal buco” ed armeggiò sapientemente con gli interruttori.
Nel giro di un minuto la stanza fu illuminata a giorno. Non che ce ne fosse tanto bisogno, perché il tempo volgeva al bello ed il cielo, fuori dall’ unica finestra, si presentava terso: le lampade erano accese soltanto perché, fino a qualche minuto prima, i quattro ragazzi avevano avuto bisogno della luce diretta per poter lavorare con il “quadrante multidimensionale”, come l’ aveva ribattezzato Stephan.
Quest’ ultimo attirò subito l’ attenzione dei nuovi arrivati che, dopo che si furono rialzati e spazzolati per bene gli abiti, si piazzarono davanti ad esso e lo squadrarono per bene, con un’ espressione interessata stampata sul viso.
In particolare, l’ afroamericano Isaia ne studiava ogni minimo particolare, dimostrando una certa attrazione per gli ingranaggi interni e le poche ma essenziali componenti elettroniche riflesse dal vetro, contemplandole con una certa aria riverenziale ed un volto a metà tra il catatonico e l’ esaltato. Se ci fosse stato lui, pensarono Tomoya e Muhammad con una punta di dispiacere, avrebbero ultimato il lavoro in meno della metà del tempo che aveva effettivamente richiesto.
Le ultime due settimane erano state un laboriosissimo inferno ed era stato davvero difficile trovare un orario adatto a riunire tutti: il tibetano, ovviamente, aveva a che fare con scuola e conseguenti compiti, che solo da qualche giorno avevano cominciato a diminuire, così come per Muhammad e Stephan.
Questi ultimi, pur essendo diventati assi dell’ arte del bigiare, avevano comunque una certa voglia di apprendere (ed una media da tenere alta) e non era raro che frequentassero corsi serali per recuperare le lezioni che avevano perso. Il loro incarico da Pueri Magi, inoltre, giocava a loro sfavore, e se fosse dipeso da Kyuubey i due poveri ragazzi avrebbero dovuto fare ronde su ronde e svolgere in un paio d’ ore il ruolo al quale qualsiasi Puella avrebbe potuto adempiere in una settimana. Ad ogni modo, il perfido animaletto li richiamava al loro dovere negli orari più assurdi, spesso e volentieri proprio mentre si trovavano a casa dell’amico, per cui Tomoya e Chen venivano abbandonati al loro destino, anche per ore, mentre loro sudavano settemila camicie per uccidere più streghe in una sola “battuta di caccia”.
L’ unica che non aveva questo tipo di problemi era Chen: nella sua stanzetta aveva tutto quello che potesse desiderare (tranne il Wi-Fi, che scroccava da altre reti o dagli Internet Café) ed aveva preso questo viaggio interdimensionale come una vacanza, per cui studiava da autodidatta negli orari che maggiormente le aggradavano.
Per il resto, tranne i passaggi d’ informazioni che non le rubavano più di qualche minuto, si godeva la vita alla grande e in compagnia del suo fidatissimo Cin frequentava musei e palestre, seguiva qualche sporadica lezione di Tai Chi all’ aperto senza peraltro averne bisogno, andava al cinema ed in gelateria e praticamente tutti i giorni assisteva ai duelli improvvisati nelle piazze, in modo da impratichirsi un po’.
Ogni tanto si buttava anche lei nella mischia e, com’ era naturale che fosse, ne usciva talvolta vincitrice e talvolta vinta: il suo deck era buono, ma non eccezionale.
Si era già perfettamente mimetizzata tra la variegatissima fauna di adolescenti di Heartland City e, da quando aveva trafugato a Sadako Santoro una classica divisa da studentessa, di quelle costituite dalla classicissima maglia bianca alla marinaretta e gonna blu a pieghe, finiva addirittura per passare inosservata.
“A proposito di divise”, pensò la ragazza cinese squadrando prima la gruccia che recava la sua tenuta e poi i nuovi arrivati, che prendevano lentamente posto su alcune poltroncine gonfiabili sbucate fuori da chissà dove, “se con me hanno avuto questo successo, Matilde sarà un vero e proprio camaleonte.”
E non aveva tutti i torti: un tratto distintivo della ragazza fiorentina era proprio il suo abbigliamento, che a parte qualche trascurabile dettaglio sembrava essere uscito dritto dritto da un qualsiasi anime. Indossava infatti, com’ era suo solito, una camicetta rosa confetto coperta da una maglietta blu a maniche lunghe, sul cui petto era cucita una “emme” rossa attorniata da uno scudo; una minigonna a pieghe larghe, calzettoni bianchi e un paio di ballerine di vernice con la chiusura a cinturino.
Aggiungendo il bel faccino ovale, la pelle chiara, gli occhioni verdi e il suo tipico riserbo calzava a pennello nel ruolo di studentessa modello giapponese… dei cartoni animati. I tratti erano chiaramente troppo occidentali, ma da quando era lì le era capitato di vedere tagli a scodella blu, ciuffi dalla dubbia gravità verde limone e occhi eterocromi, per cui, in fondo, poteva benissimo passare inosservata.
A meno che non fosse troppo normale.
S’ impose di smettere di fantasticare ed abbracciò con lo sguardo tutta la stanza, felice di riavere accanto tutta la sua combriccola, che in quel momento era più o meno compostamente seduta su quelle poltroncine arancioni (inaspettato dono di Muhammad).
Isaia non sembrava troppo rassicurato.
Cos’è questa, acqua?” chiese infatti, saggiando la consistenza del suo posto a sedere con un dito. “Speriamo che non scoppi!”
“Sono sicurissime, amico, non ti crucciare per niente anche tu, come il qui presente Tomoya.” Lo zittì Muhammad annoiato, scoccando sguardo indolente prima all’ afroamericano e poi al Number Hunter, che gli rispose con un’occhiataccia al fulmicotone. “Cosa vorresti dire?” si sentì rispondere infatti, in tono irato.
Cominciamo bene!” esclamò Paula ironica, le gambe incrociate e i piedi scalzi. “Avremmo ben altro da fare che stare a guardarvi mentre litigate, quindi datevi una calmata e iniziamo la riunione!” disse poi decisa ma in tono abbastanza seccato da ottenere rispetto, rivolta ai due litiganti. “Qualcuno ha delle patatine? E le bibite?” Stephan represse a stento una smorfia: aveva anche lui una fame da lupi, ma patatine probabilmente non ne avrebbe viste più per un pezzo: il tibetano in fatto di cibo era decisamente monotematico e nel mini-frigo smaltato che possedeva non c’ erano che tsampa, una sorta di “dado” composto da sale, orzo e spezie varie, una schifezza che lui giudicava immangiabile e imbevibile ma di cui gli sherpa e i pastori nomadi andavano matti; e i t’ü, dolcetti ugualmente composti da farina d’ orzo che non erano esattamente la cosa più gustosa che avesse assaggiato in tutta la sua vita.
Il biondo Puer Magi non era esattamente una forchetta raffinata, anzi, gli si poteva mettere davanti qualsiasi cosa (tranne il tè preparato da sua sorella Victoria) e lui spazzolava via tutto, ma se nemmeno a lui era piaciuta quella roba difficilmente gli altri l’ avrebbero gradita. Chen gli aveva confidato che qualche volta andava a rifarsi lo stomaco in un ristorante distante mezz’ ora di monorotaia dal suo appartamento, ingozzandosi di involtini primavera e pollo alla thailandese.
“Questa è una questione di cui ci occuperemo più tardi.” Intervenne John Snake tirando fuori una ventiquattrore di costosissima pelle bovina, dai bordi della quale sporgevano spigoli di fogli dattilografati e biglietti scarabocchiati su carta ingiallita dal tempo.
Il viso di Tomoya in quel momento lasciava trapelare tutta la sua eccitazione, perché conosceva il contenuto di quella valigetta: era stato lui a chiedere all’ uomo di fare precise ricerche per portargliele lì con la promessa che lo avrebbe ripagato. Ma a quel piccolo dettaglio avrebbe pensato poi, perché quello era il momento di esaminare i risultati di quel duro lavoro e discuterne tutti assieme. Proprio come aveva sperato.
“Niente ragazzate da ora in poi, amici miei.” ammonì severamente tutto l’uditorio, che aveva accerchiato il basso tavolino vicino alle poltroncine per vedere meglio tutti quei dati.
“Non per il gusto di contraddirti, ma noi siamo ragazzi… Non possiamo essere perfetti.” Lo interruppe Isaia contrito, passandosi una mano sulla testa calva.
“Nessuno può esserlo, del resto.” Rincarò la dose Matilde.
“Sì sì, abbiamo capito.” prese la parola Paula, annoiata. “Quel che intendeva dire Tomoya è che dobbiamo impegnarci al massimo, senza permetterci di distrarci troppo o fare cretinate, mica che dobbiamo perderci il sonno!”
“Potremmo saltare i giochi di parole beceri e le inutili spiegazioni per arrivare dritti al punto?”
chiese spazientito Muhammad, che aveva seguito il precedente scambio di battute battendo freneticamente il piede sinistro sul pavimento. Chen si alzò per spegnere la luce e aprire le finestre, in modo da far entrare un po’ d’ aria pulita e sfruttare la luce naturale del sole.
Il Cobra annuì ed aprì la ventiquattrore con un sonoro clack, rivelandone il contenuto: una miriade di fogli tutti accuratamente spillati e rilegati contenenti migliaia di dati e, almeno ad un primo colpo d’ occhio, quelle che avevano tutta l’aria di essere carte d’ identità accompagnate da piccole ma nitide fototessere. Nessuna delle persone raffigurate, però, aveva un’aria raccomandabile.
Cosa sono?” chiese curiosamente Stephan avvicinandosi al tavolinetto. “Sembrano dati ricavati da un censimento.”
“Non proprio, ma ci sei andato molto vicino.”
Fu la risposta. “Ricordate le ricerche che i miei assistenti hanno fatto sul Duel Monsters e sulla figura di Number Hunters?”
“Come no…” grugnì Chen, braccia e gambe incrociate, guardando Tomoya di sbieco.
“Ebbene, questa è la raccolta di dati anagrafici di tutti i Cacciatori di Numeri di questa città. Espressamente richiesta dal nostro tibetano.”
Nella stanza calò il silenzio più assoluto.
Isaia trattenne il respiro per un po’ il respiro. “E a cosa dovrebbero servirci, di preciso?” domandò, con una traccia di scetticismo della voce.
“A ritrovarla, idiota. Cos’ altro se no?!”
Inutile dire di chi fosse l’ irritatissima risposta.
“Non mi dire, c’ ero arrivato da solo.” Si difese sarcasticamente l’ afroamericano, sistemandosi sul naso i pesantissimi occhiali “a fondo di bottiglia” dalle lenti verdi. “Quel che intendevo dire è che dubito che lei sia tra quegli individui: è troppo ragionevole e rispettosa per andare in giro a derubare le persone.”
You’ ve got a point here.” Intervenne Paula, che amava usare espressioni idiomatiche di altre lingue per dialogare con gli amici. “È una soluzione troppo drastica per una come lei, che è più una tipa da vita stabile e senza troppi problemi. Magari qualcuno, facente parte di una famiglia normale, le ha offerto ospitalità ed Hermanita potrebbe aver deciso di stabilirsi presso di lui, lei o chiunque esso sia.”
La cugina fiorentina approvò la sua idea con un silenzioso cenno del capo, sorridendo nel momento in cui la ragazza scomparsa fu chiamata con l’affettuoso soprannome “sorellina”.
Stephan, Muhammad e Tomoya scossero la testa contemporaneamente.
“Abbiamo i nostri motivi per credere che non sia affatto andata così.” Prese gravemente la parola il sudafricano. Era molto serio e concentrato ed aveva un’espressione meditativa che si vedeva molto di rado sul suo viso, sempre così gioioso e vitale.
“Dal nostro arrivo, io e Stephan abbiamo passato molto tempo a vagabondare per le strade di Heartland City, con qualsiasi tempo e a qualsiasi orario, per cui almeno di vista conosciamo gran parte delle famiglie benestanti della città, ma in nessuna di essa sembrava esserci una ragazza somigliante alla nostra Yumiko.”
“Avete guardato bene i capelli?”
intervenne Chen.
Muhammad sussultò.
“A giudicare dalla prima foto che ci ha mandato Tomoya, le ciocche che le cadono davanti alle orecchie ora sono tinte di verde. Magari non avete tenuto conto di questo particolare e la nostra nippoitaliana vi è sfuggita proprio da sotto al naso…” spiegò la ragazza, accompagnata da alcuni cenni del capo del suo fidatissimo cincillà.
“Non potevamo non tener conto di un particolare tanto rilevante” le rispose Stephan, che nel gruppo era colui conosceva meglio la ragazza dispersa –ben cinque anni! - “eppure posso garantirti che non l’abbiamo vista, ciocche tinte o meno.”
Un sospiro riempì la stanza: la situazione si faceva complicata. Il ragazzo biondo dalla doppia identità era estremamente affidabile e tutte le volte in cui gli davano un compito da svolgere lo svolgeva sempre con rapidità ed efficienza, con risultati raramente deludenti seppur non sempre fossero quelli aspettati. Anche Muhammad, con tutta la sua buona volontà, cercava di essere affidabile come il compagno, ma una volta si sentiva stanco, l’altra non abbastanza attento, un’altra ancora trascurava dettagli importanti… così passava in secondo piano ed erano veramente poche le persone che si affidavano a lui. In compenso però sapeva bene come tenere alto il morale degli amici ed era il primo a riprenderli se mollavano o a farli riappacificare in caso di litigio: era il miglior “collante” che potesse mai esistere, nonché molto aperto verso le altre culture e molto altruista.
“Magari era a scuola, quando voi setacciavate la città…” disse a mezza voce Matilde, che apriva bocca per la prima volta dopo secoli.
“Alle sette di sera o alle cinque di pomeriggio? Ne dubito.” Le rispose Stephan.
“Il sistema scolastico giapponese è molto diverso da quello occidentale e le giornate sono molto più lunghe, inoltre molti studenti prendono spesso lezioni serali. Avete provato ad osservare le scuole?”
La scuola.”
Puntualizzò il tibetano. “L’ unico edificio degno di questo nome è la Heartland Academy, alla quale del resto mi sono iscritto anch’ io. Non penso di esagerare dicendo che ospita l’ottanta per cento dei ragazzi della città.”
“E non l’ hai cercata lì?”
“Ho vagliato tutte le prime delle prime e sono stato sfidato a quei dannatissimi duelli da alcuni alunni di seconda ma no, non l’ho vista. Escludo l’ipotesi della scuola privata, i prezzi sono alti già in Italia, figuriamoci qua.”
“Magari è finita nella zona degradata della città.”
insinuò Isaia socchiudendo i grandi occhi marroni. “E a scuola non ci va proprio.”
“Ma che schifo!”
esclamò Paula disgustata, saltando sulla poltroncina.
“Ipotesi respinta.” Intervenne Chen.
“E perché mai? Penso che, ora come ora, ogni pista sia valida.” Chiese John Snake. Non era proprio il tipo da congetture, preferiva avere piani già pronti e seguirli alla lettera.
“Un’ amica ci ha assicurato che non è finita in quelle zone.”
“Più precisamente?”
“Una buona amica.”
“Quindi sarebbe nelle zone alte?”
li interruppe Matilde. “Ma… se è davvero così, a che cosa ci servono tutti questi dati? Ai ricconi piace andare a caccia di Numeri?”
“Tutto il mondo è paese!”
sghignazzò Muhammad. “C’è chi va a stanare i cinghiali e chi le anime delle persone.”
“Messa così fa paura, però.”
“Ricconi ad Heartland City non ce ne sono, veramente. Solo il sindaco.”
Puntualizzò Tomoya. “Chen, stammi a sentire: mi sono arruolato tra i Cacciatori di Numeri a servizio di quel pallone gonfiato del Signor Heartland incoraggiato da John, passandogli anche qualche informazione sui miei colleghi, come ad esempio Kaito Tenjo.”
“… Aquilone?”
chiese Isaia esterrefatto.
“ Non Kite, testone, Kaito. Ad ogni modo contavo anche di ricevere qualche indizio, sempre secondo i dettami dell’amica. E, a quanto sembra, sembra esserci una connessione tra tutti i nostri simili…”
“Stando alle mie ricerche, gli uomini a servizio di Mr. Heartland sono a contatto con altre dimensioni e stanno cercando si distruggere una di essa. Ma non è il solo…”
“Grandioso. Notizie proprio rassicuranti.”
Sbuffò Paula. “Probabilmente, prima o poi, ci ritroveremo a fronteggiare questi megalomani nella nostra dimensione.”
Comunque, ho trovato dei legami con altre famiglie e guardate un po’ cosa ho trovato…”

L’ uomo prese dal fondo della ventiquattrore un fascicoletto rilegato con la massima cura e ne fece scorrere le pagine davanti agli occhi dei giovani amici, in modo che potessero leggere tutto quel che v’ era scritto. E quel che videro era effettivamente impressionante: numeri incredibili, resoconti d’ azioni che avevano potuto leggere soltanto nei più fantasiosi e orribili romanzi gialli, frammenti di vite lacere e ormai meccanizzate.
La somiglianza con una situazione a loro ben nota e devastante per la dispersa era decisamente impressionante. Corrispondeva persino la divisa, anche se le fototessere non consentivano di vederla per bene.
I partecipanti a quell’ allegro convivio si guardarono tutti a vicenda, con una scintilla birichina che brillava nei loro occhi: era una sorta di segnale convenuto che dava l’inizio alla ricerca ufficiale in città. Era tutto pronto, compresi i sette frammenti di cuore che davano accesso al WDC.
Ovviamente era già stato stabilito che i ragazzi avrebbero rischiato in prima linea, duellando e cercando di ottenere più frammenti di cuore possibile, mentre John Snake sarebbe rimasto nelle retrovie per raccogliere ulteriori dati e coordinare le operazioni, decidendo le eventuali modifiche da apportare.
L’ atmosfera divenne adrenalinica e sembrava che l’euforia, i timori e le speranze avessero impregnato tutta la stanza.
“Ragazzi?” chiese il Cobra come a chiudere la questione.
L’ attenzione generale fu rivolta a lui.
“Niente ragazzate!”
La riuscitissima imitazione della perentoria affermazione che Tomoya aveva usato all’inizio della riunione fece scoppiare a ridere tutto l’ uditorio, soprattutto a causa del tono petulante e della vocina sottile, e così tutte quelle emozioni si stemperarono per un attimo lasciando il posto all’ allegria.
Moon non aveva fiatato, ma fece eco a quelle risate con un sorriso soddisfatto sul volto: i prossimi giorni promettevano di essere davvero interessanti… e proficui.
***
 
In circostanze normali, Five avrebbe definito lo stanzino accanto alla stanza da letto di Tron “inutilizzato”, ma mentre sfacchinava per creare collegamenti elettrici ed eliminare una polvere talmente ostinata che sembrava essersi stratificata e ragnatele filate talmente tanto tempo prima che si erano seccate come se si fossero trovate in un deserto, si rese conto che l’espressione adatta per definire quel luogo era “sgabuzzino fin troppo malandato”.
Gran parte del mobilio, tra l’ altro di gran valore, era stato completamente roso dai tarli, mentre ciò che s’ era salvato non aveva potuto in alcun modo resistere all’ assalto dei ragni e degli acari della polvere, la vernice bluastra del muro si stava scrostando e sul soffitto faceva bella mostra di sé una crepa fin troppo pericolosa che minacciava di far crollare lo stucco. Il pavimento, tanto per cambiare, era a dir poco sudicio.
La situazione era a dir poco disperata ed il ventenne, almeno in un primo tempo, avrebbe volentieri chiesto aiuto, ma Four se l’era battuta alla svelta e Three era troppo occupato a pulire la cucina, per cui aveva dovuto rimboccarsi le maniche.
Tron, ovviamente, non aveva mosso nemmeno un dito per aiutarlo e ne aveva approfittato per mettere ordine nel suo Deck e in quello di Sixth, scomparsa nella sua cameretta.
Mentre, accucciato per terra, litigava con due cavi difettosi che non volevano proprio saperne di fare contatto ed accendere un macchinario molto simile a quello che lui e Kaito avevano usato durante i loro allenamenti, il terzogenito fece capolino dagli stipiti della porta.
“Five?” chiese timidamente il quindicenne. “Sono passato per vedere se avevi ancora bisogno d’ aiuto…”
“No, non più.”
Gli rispose il fratello maggiore, guardando astiosamente i due cavi che stringeva. “O meglio, non adesso. Penso di non aver mai visto una stanza più sporca di questa, ma per rimetterla in sesto ci vorrebbe un miracolo.”
“O molto olio di gomito.”
Puntualizzò Three ridacchiando. Ma il tono si fece subito molto più serio, mentre chiedeva, alquanto ansioso: “Sei riuscito a convincere Tron?”
“Niente affatto. Sai benissimo quanto può essere ostinato, soprattutto quando si tratta di sconfiggere il Dottor Faker e i suoi alleati. E una ped… voglio dire, un aiuto in più gli farà sempre comodo. Mi sa che oggi VI non avrà scampo.”

Michael non rispose. Ma mentre volgeva, come suo solito, gli occhi verso il pavimento sentì il cuore accelerare i suoi battiti e il sangue salirgli alla testa. Strinse entrambi i pugni e digrignò i denti, mentre un’ondata di rabbia lo assaliva.
“Perché?” si chiedeva. “Perché siamo obbligati a portare avanti quest’ inutile farsa?”
Il suo animo dolce e gentile non riusciva ancora a capire.
Per quale motivo avevano dovuto mettere in atto tutta quella messinscena? Quale reale utilità avevano gli abiti, gli stemmi, i Numeri? Al ricordo del suo rituale la sua schiena veniva ancora scossa dai tremiti e un dolore acuto gli perforava le tempie e quando duellava il D-Tatto gli pizzicava la pelle intorno all’ occhio, quasi fosse un altro continuo monito della sua missione.
Perché accanirsi tanto? Sconfiggere definitivamente il loro giurato nemico avrebbe riportato tutto alla normalità? Non scherziamo! Che fine aveva fatto l’uomo ragionevole e indulgente che era stato Byron Arclight? Ma soprattutto, perché coinvolgere un’innocente ragazzina con la quale non avevano alcun legame e che, probabilmente, se non fosse stato per quell’ orribile lavaggio del cervello, non avrebbe neanche nemmeno sfiorato l’ idea di combattere per una causa a lei totalmente estranea e del tutto priva di senso?
“Ce n’ è bisogno?! Povera Yumiko, non se lo merita.”
“Three…?” chiese il primogenito preoccupato, vedendo il fratello assorto.
“Scusami, Five. Stavo solo pensando alla situazione assurda in cui ci troviamo. Nostro padre torna da una dimensione parallela trasformato in un mostro assetato di vendetta, tessendo le sue trame con malefica intelligenza. Non ci è permesso opporci… Abbiamo scelto la via più contorta e difficile per raggiungere un obiettivo importante, quando in realtà basterebbe così poco… e per questo ci approfittiamo di una ragazza con la quale non abbiamo alcun legame… costringendola a fare quel che probabilmente non farebbe mai e… strappandola a quel che è suo.”
La voce monocorde con cui il terzogenito pronunciò quelle parole
“Three, ma che stai dicendo?”
Five, che durante il monologo del fratellino s’ era alzato, si ritrasse senza pensarci: non era mai capitato che Three, sempre così docile ed obbediente, si fosse lamentato così apertamente. Al contrario, di solito li esortava con molta veemenza a riappacificarsi e portare avanti i loro compiti con solerzia e lui stesso si dimostrava molto diligente ed efficiente nel farlo. Ma non si era mai espresso al riguardo.
Il primogenito si rimproverò mentalmente per la sua stoltezza: naturale che non l’avesse mai fatto, perché l’insubordinazione non era ammessa in quella loro piccola società e il ragazzo non aveva affatto intenzione di essere buttato fuori dalla propria famiglia che, seppure disastrata, era comunque la cosa più preziosa che aveva.
E non poteva certo biasimarlo, perché anche lui, grossomodo, si sentiva così.
Abbassò a sua volta lo sguardo, incontrando i grandi occhi smeraldini del fratello.
Per loro fortuna Tron era nella sua stanza, perché queste parole erano davvero molto pericolose ed entrambi lo sapevano benissimo, ma era stato così bello, almeno per una volta, liberarsi di quella bugia che stava loro addosso come la gramigna.
“… Io provo a parlarle.” Disse alla fine il terzogenito, la voce monocorde. “Tu cerca in ogni modo di dissuadere nostro padre. Sarebbe davvero una follia se la facesse allenare davvero così tanto.”
Pronunciate queste parole, girò i tacchi e uscì dallo stanzino.
Attraversò in fretta il corridoio che dirigeva alla stanza dell’ ultimogenita, preparandosi mentalmente un bel discorsino per consolare la sorella, che immaginava distesa sul letto in lacrime. Quando però aprì la pesante porta di legno con il disegno a pastello dei tre fiori, stranamente lasciata solo accostata, la trovò con la schiena poggiata contro il cuscino ad ascoltare musica, il visino contratto in un’espressione seria ed impassibile.
Non si era ancora rivestita del tutto ed aveva addosso soltanto il suo solito vestito bianco e dei calzini in materiale sintetico, mentre le scarpe giacevano sotto al letto e la giacchetta verde, fresca di bucato e stiratura, era appesa ad un appendiabiti di fianco all’ armadio.
Sulla scrivania, abbandonato al suo destino insieme ad alcuni schizzi malriusciti raffiguranti una divinità romana, giaceva la raccolta di poesie di Catullo.
Essa faceva parte di una collezione ben fornita sul mondo greco-romano, alla quale spesso e volentieri anche Three aggiungeva qualche reperto o svariate informazioni, specie sul teatro e sulla vita quotidiana. Era una delle tante cose che rinsaldavano quotidianamente l’affetto tra i due “piccoli” di casa e il primogenito, che si univa a loro quando non aveva proprio niente da fare, mentre Thomas se ne teneva fuori.
Avrebbe potuto essere un buon pretesto per attaccare bottone, ma al momento né Three né Sixth avevano gran voglia di conversare. La ragazza sembrava quasi non essersi accorta della presenza del fratello maggiore.
“Sixth…? Posso parlarti?” Michael prese la parola per primo, alquanto incerto sul da farsi. Probabilmente strappare gli auricolari dalle orecchie della sorella sarebbe stato più efficace, ma non amava ricorrere a tali metodi: gli sembrava scortese, oltre che brutto.
La castana annuì e spense il suo I-Pod blu, uno dei suoi tesori più recenti. “Dimmi pure.”
“Senti, per quella questione dell’ allenamento forzato…”
cominciò il maggiore, alquanto impacciato e timoroso. “Sappiamo che non ti va giù.”
L’ interlocutrice s’ irrigidì e il timore di provocare qualche litigio si fece sentire chiaramente nella voce del fratello.
“A me e a Five sembra ingiusto, quindi cercheremo di venire a patti con Tron in modo da…”
No.”
Quell’ interruzione secca e repentina lo lasciò senza fiato.
Non ebbe nemmeno il tempo di ribattere che VI riattaccò a parlare: “Non ce n’è alcun bisogno, papà ha ragione. Me lo sono meritata, perché ho sprecato troppo tempo a fare scemenze e ne ho impiegato troppo poco ad allenarmi nei duelli. Non mi vanno giù, ma credo che dovrò farmene una ragione: vincere il Carnevale Mondiale di Duelli è essenziale per la riuscita del nostro piano e se questo è l’ultimo giorno utile per potenziare la tattica, allora lo sfrutterò al meglio.”
“Ma tu avevi il tuo lavoro da idol! Non devi- ”

“Non è una scusa valida. Devo proprio ricordarti che è stata tutta una copertura per rubare le Carte Numero? Il Sessanta, ieri, è stato un buon affare, una carta così non si trova certo tutti i giorni e devo imparare a conoscerla se voglio battere i miei avversari. Ma il mio deck è in condizioni pietose. Avrei dovuto chiedere a Four o a Five di darmi qualche lezioncina, in tutto questo lasso di tempo. Non puoi negarlo: sono la meno brava della famiglia e tutte le volte in cui Tron mi guarda mi sento addosso i suoi occhi pesano più di un macigno. Sono una tale delusione per lui!”
“No!” Strillò la vocina della coscienza di Three.
Di che delusione e delusione vai blaterando? Non lo sei affatto! Siamo noi che non siamo degni, soprattutto Tron, che crede di poterti comandare a bacchetta e pensa di poterti sfruttare a piacimento come sta facendo con noi! Mai un ringraziamento, per lui è solo dovere, uno stupidissimo dovere che non ci condurrà da nessuna parte! Nemmeno il Vello D’ Oro lo renderebbe felice, noi siamo degli Argonauti senza speranza! Tu, in special modo, non dovresti nemmeno essere qui tra noi! Sei un angelo di luce in questo modo di tenebre! Se solo potessi ricordare…”
Ma non le disse niente di tutto questo. Si limitò solo a sospirare e a carezzare tristemente la testina bruna della sorella, passando le dita nei suoi capelli folti e setosi.
“Non sei affatto una delusione.” Disse poi, deciso. “Almeno, non per noi. Tu sei un tesoro, ecco cosa sei.”
“Lo dici soltanto per blandirmi!” esclamò lei ridendo. Ma, nel vedere le braccia aperte del quindicenne, si gettò in quello che aveva tutta l’aria di essere un abbraccio fraterno.
E lo era, effettivamente. Per un po’ i due ragazzi rimasero l’uno nella braccia dell’ altra, cercando un po’ di conforto da accumulare, quasi fosse una sorta di bevanda prodigiosa che li aiutava ad affrontare al meglio le loro sfide.
Sixth non si era mai accorta, fino ad allora, di quanto fosse caldo ed accogliente il petto del fratello quindicenne; mentre Three osservò meglio il corpo della sorella, così stretto sul petto e così largo sui fianchi, e lo reputò delizioso. Le curve sul suo corpo si stavano accentuando, a vantaggio delle anche, ma il seno continuava ad essere delicato ma piccolo.
Intrecciarono anche le loro mani sinistre, le dita che si chiudevano gradualmente.
La mano della minore, alquanto fredda, fu riscaldata dal tocco caldo e delicato del maggiore.
“Io trovo che sia comunque ingiusto nei tuoi confronti. La sfacchinata, voglio dire.”
riattaccò il terzogenito dopo un po’, ancora ben stretto alla ragazzina.
“Certo che sei proprio ostinato.” Sospirò la sorellina.
Perché è la verità. E, credimi, se anche Chris lo pensa e Thomas si è dimostrato scettico, vuol dire che papà sta davvero esagerando.”
“O forse siamo noi, quelli esagerati. Sembriamo dei bambinetti che non vogliono crescere, diciamocelo. Il tempo in cui potevamo scegliere il nostro gioco preferito è finito, bisogna crescere e uniformarsi a quel che ci chiedono i nostri superiori. Non siamo più dei ragazzini, dovremmo proprio farcelo entrare in queste nostre testacce ostinate.”
“Ci stanno obbligando a crescere troppo in fretta, ricordatelo.”

Michael concluse il discorso sciogliendo l’ abbraccio ed alzandosi dal letto con un piccolo sospiro. “Sei proprio sicura di non voler farci niente?”
“Sicurissima.”

Il tono con cui fu pronunciata questa parola, però, non era affatto deciso: era più che altro abbacchiato, non troppo convinto, come se Sixth avesse buttato lì quella parola soltanto per farla finita e starsene un po’ in pace prima di essere torturata.
Nonostante vivesse con loro da soli cinque mesi, i tre fratelli conoscevano la grande determinazione (per non chiamarla ostinazione) di Yumiko e sapevano anche che, una volta preso un impegno, avrebbe fatto del suo meglio per portarlo a termine senza intoppi: incredibile quanta energia potesse esserci in quel corpicino gracile.
Three provò, solo per un attimo, una punta d’ invidia.
Smorzati dalla distanza, cominciarono a giungere le voci di Tron e Five. Stavano discutendo animatamente e la voce del ventenne era alquanto concitata ed un po’ roca, mentre dalle rare battute del bambino si capiva che era alquanto annoiato e non stava del tutto seguendo la conversazione.
Normalmente i due fratelli minori, in particolare il quindicenne, si sarebbero precipitati a vedere cosa stesse succedendo, ma in quel preciso momento stabilirono entrambi che non avevano affatto voglia di farlo ed in segno di complicità portarono entrambi l’ indice davanti alla bocca, come se volessero dire all’ altro di tacere.
Si sporsero un pochino dalla porta e rimasero a guardare Chris che discuteva con il padre, i suoi gesti moltiplicati dalla lunga ombra che proiettava sul pavimento e sulle pareti scrostate.






Angolo dell' Autrice.
Wow. Come al solito, mai fidarsi di sé stessi e di me soprattutto, perchè anche se ho delle idee mozzafiato non vedono la luce presto come vorrei.
Questo capitolo è l' ultimo che caricherò prima delle vacanze. L' ho appena finito (come al solito penso che avrei potuto fare molto di meglio) e, se volete provare l' euforia del sentirvi uno straccio, vi consiglio assolutamente di provare le ore piccole di fronte ad un computer: dire che sono ricretinita è poco.
Non ho neanche la forza per fare un bell' Angolino, sigh.
Ad ogni modo, vi lascio qualche interessante info-intrattenimento.
Per quanto riguarda la prima parte, ho fatto disperatamente appello i miei (pochi, a dire il vero) ricordi su Slash:// (hanno cancellato le puntate su Rai.tv, maledetti) e ho cercato quanto più possibile di mantenere IC i personaggi, eccezion fatta per Tomoya e John/ Cobra, mandati OOC per i fini della storia, come ho già detto qualche capitolo fa. Stephan e Muhammad sono invece due OC (nel caso v' interessi) ed è stato parecchio divertente farli interagire per la seconda volta con i personaggi canonici. *li spupazza*
Per quanto riguarda la parte sugli Arclight... oddio, spero non mi uccidiate! In particolare con Michael, povero confettino. L' idea di mostrare un loro lato nascosto mi ha sempre sorriso parecchio, ma temo di essermi spinta davvero troppo oltre.
Nel caso sia così, mi troverete avvolta nella mia tunica monacale e con la testa rasata cosparsa di cenere.
Inoltre ci terrei a ringraziare(?) l' artista francese Zaz, che con la sua meravigliosa canzone "Gamine" mi ha ispirata moltissimo, e tutti voi che avete inserito questa storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Infine, so che alcuni di voi seguono (anche se sarebbe più corretto dire "seguivano") anche la mia altra long, "Like a rose thrown into a violent breeze": ho cominciato di recente a scrivere un nuovo capitolo (dopo quasi un anno, miserere di me) e mi dispiace non essere risuscita a finirlo. Vi prego di perdonarmi. (Hoshiko vi saluta, btw (?)) 
Fatemi sapere cosa pensate di questa roba. Vi auguro buone vacanze!
See you!
-Osage_No_Onna 
PS: Riuscita a riconoscere la citazione da Shugo Chara presente nel capitolo?

 
   
 






 

 
 

 
 
 







 



 
 
  

 

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Capitolo 11
*** 09: Will things ever be the same again? ***


Chapter 09
Will things ever be the same again?
 

Quando Four rientrò al Grand Hotel di Heartland City, quella sera, l’atmosfera gli sembrò diversa dal solito. Erano le 18:40 quando decise di far rientro a “casa” e, camminando a passo svelto lungo strade ancora gremite di studenti sfaccendati dall’ aria fiacca, adulti tiranneggiati dai loro pargoletti urlanti, nervosi uomini d’ affari che stringevano i loro cellulari e le loro ventiquattrore tutte uguali come se non perderle fosse questione di vita o morte e coppiette che si godevano l’aria frizzante e fresca della sera camminando placidamente; si ritrovò vicino alla soglia del colossale edificio: mille stanze per quaranta piani, uno dei quali era interrato, ed un grosso cuore circondato da una doppia elica dorata (ad imitazione di quello della Heartland Tower) la cui spesa per l’ illuminazione mangiava circa un quarto degli incassi.
Il diciassettenne lo trovava alquanto ridicolo, quindi volse gli occhi al cielo per non guardarlo.
Mancavano pochi minuti alle sette, eppure il sole stava già tramontando.
Il cielo aveva assunto varie sfumature di arancione e rosa, ma la lieve striatura rossa che stava cominciando ad apparire all’ orizzonte faceva presupporre che tra non molto la luce solare si sarebbe dovuta scomporre nei suoi sette colori, creando uno spettacolo meraviglioso.
Veloci caroselli di rondini si susseguivano sopra la sua testa, riempiendo l’aria di allegri cinguettii, mentre il profumo delle camelie rosa e di quelle variegate gli solleticava le narici.
Alcune calendule, tra le aiuole che circondavano l’ ingresso, erano fiorite anzi tempo, mentre i boccioli delle compagne ondeggiavano appena alla lieve brezza primaverile.
Quel paesaggio idilliaco gli allargò il cuore e per un po’ rimase immobile a qualche metro dall’ ingresso, desiderando ardentemente che tutte le sere fossero come quella: si sentiva straordinariamente bene, sereno e in pace con sé stesso come non lo era ormai da tempo.
Il passaggio di due ragazze, l’ una mora con mèches rosse e dai magnifici occhi smeraldini che tradivano origini cinesi, l’ altra dalla lunga coda di cavallo e gli abiti grigio perla, cieca a giudicare dalle spesse lenti scure che le coprivano gli occhi, non lo turbò minimamente.
Si riscosse solo quando sentì qualcuno sbattere contro di lui.
L’ apparizione si affrettò a chiedergli scusa in inglese e Four la squadrò con aria seria: era un uomo dal fisico asciutto e, a giudicare dalle rughe e dal grigiore dei lunghi capelli, doveva aver passato la cinquantina da un po’.
Aveva occhi verdi, allungati e scrutatori, che scintillavano di una strana luce, un grosso naso aquilino e zigomi alti. Tutti i suoi abiti, dalla camicia al gilet ai pantaloni, sembravano essere stati acquistati di recente. I mocassini che calzava, invece, erano stati logorati dal troppo uso.
Sembrava essersi perso e si guardava intorno con aria ansiosa e sospettosa.
Four capì immediatamente che qualcosa non quadrava.
“Perdoni la mia distrazione”. Gli disse in tono di scusa rialzando il grosso trolley di cuoio che gli era caduto. “Ha bisogno d’ aiuto?”
“Lei risiede in quest’ hotel?”
fu la secca risposta.
“Brutto segno” s’ insospettì il giovane. Cosa poteva volere, quell’ uomo? Perché quella domanda improvvisa e del tutto inaspettata? E il tono secco?
Quell’ uomo non gliela contava giusta.
Cos’ era venuto a fare? Non l’aveva mai visto prima in città.
Per quel che ne sapeva poteva essere un agente segreto, una spia o, peggio ancora, un efferato criminale, un sicario.
Decise di giocare a carte coperte.
“Perché dovrebbe interessarle?” chiese freddamente.
“Semplicemente perché, da turista, non conosco bene la città e vorrei sapere quanto costerebbe pernottare qui.”
Four tirò un sospiro di sollievo, ma qualcosa ancora non gli tornava: perché mai un turista avrebbe dovuto venire ad Heartland City (o a Khartoum, ad Helsinki o a Las Vegas) senza prima prenotare una camera d’ albergo o prendere in affitto, se non una casa, almeno un appartamento o uno stanzino per dormire?
Semplice disorganizzazione oppure, come sospettava, c’era qualcosa sotto?
Ancora carte coperte.
“Lei non ha propriamente l’aria del riccone” commentò, aria scanzonata e mani nelle tasche.
L’ uomo si irrigidì. “È molto costoso?”
« “Costoso” è un eufemismo. Tutte le persone che vede qui sono almeno milionarie. Miliardari, politici, artisti di fama internazionale. Roba di lusso. Concedono sconti solo ai riccastri esteri.»

Discreta ridacchiata, gesti nervosi dell’interlocutore.
“Grandioso. Saprebbe consigliarmi un posticino economico? Niente topaie, ovvio.”
“Strano tipo” pensò ancora Four. Parlava cortesemente ma poi cadeva nel confidenziale senza volerlo, come se non fosse stato abituato a trattare con gli sconosciuti o con i superiori.
Bisognava stare al gioco.
“Nulla di più facile, carissimo. Imbocchi la strada a sinistra non appena esce dal complesso, poi, arrivato al semaforo, giri a destra e percorra i primi tre isolati. Al quarto troverò un hotel, un tre stelle. Il vitto è buono, dell’alloggio non saprei dirvi ma credo che tenga alto lo splendore delle stelle. È in ottima posizione e circondato da negozi.”
“Da quel che mi ha appena detto direi che ho trovato la mia residenza provvisoria.”
Sorrise l’uomo, afferrando la valigia. “La ringrazio molto per il suo aiuto. Ci si rivede.” Si accommiatò, prima di svanire all’ orizzonte.
“Piacere mio, arrivederci.” Rispose meccanicamente il diciassettenne, mentre pensava “Non credo proprio” in risposta all’ ultima affermazione.
Chiamò tra sé “L’ Uomo Incognita” lo sconosciuto, poi si decise finalmente ad entrare e prenotò l’ascensore.
Qualche minuto dopo varcava la soglia dell’appartamento 969, trentottesimo piano.
Tutto era insolitamente quieto e, nonostante le finestre aperte, non entrava un filo di vento.
Sul divanetto rosso giaceva una figuretta sottile: era Sixth che, sfiancata dal lungo allenamento forzato con Tron e attanagliata da un’improvvisa emicrania, vi s’ era buttata a peso morto mezz’ ora prima. Doveva essersi lavata i capelli, notò il secondogenito, perché qua e là tra la folta chioma mossa spuntava qualche ricciolino ribelle.
Seduto su una poltroncina, Tron masticava con tutta calma un boccone della sua terza o quarta fetta di Red Velvet nel giro della stessa giornata e non parve accorgersi del suo arrivo.
Three, le mani sporche di wasabi [1], si accingeva a preparare la cena canticchiando sottovoce “Lord Randal”, una delle sue ballate preferite. Lo salutò con un sorriso e poi intonò l’ultima stanza.
“What d’ ye leave to your true love, Lord Randal, my son?
What d’ ye leave to your true love, my handsome young man?
I leave hell and fire, mother, mak my bed soon
‘For I’m sick at the heart and fain would lie doon… [2]
Senza saperlo, cantava la sua rabbia.
Five sembrava essersi volatilizzato.
Tron finì la sua torta, si volse verso Four e gli lanciò uno sguardo di sbieco. Poi, con un tono fintamente svampito, chiese a Michael: “Ehi, Three! Conosci questo giovane uomo nel mio salotto?”
Il diretto interessato represse una smorfia di fastidio: quella pantomima non era che un modo tacito di rimproverarlo ogniqualvolta combinasse qualcosa di sbagliato. Perché Tron si ostinava a ripetere sempre lo stesso rito? Avrebbe preferito i rimbrotti di poche, dirette parole.
“Tuo figlio.” Rispose al posto del terzogenito, accennando un sorriso.
“Mio figlio chi?”
“Il secondo, Four…”
“Ah, già!”
Tron provava una sorta di gioia maligna nel far finta di rinsavire per poi rimproverare l’arrogante figliolo. “Ehilà, grande F.! Non credi di stare esagerando con le uscite, ultimamente?”
“È per i duelli, padre. Dovrò pur essere allenato in vista del grande giorno. E poi stare sempre chiuso in casa mi fa impazzire.”

Il bambino socchiuse gli occhi sotto la pesante maschera di ferro. “Ma quasi nove ore in giro sono troppe, caro mio. Questa casa non è un albergo.”
Sorvolando sull’ assurda frase contradditoria appena pronunciata dal genitore, il ragazzo rispose beffardo: “Infatti, è un Bed and Breakfast.”
Prima che Tron avesse il tempo di replicare, Michael chiese apprensivo dalla cucina: “Almeno hai mangiato qualcosa per pranzo? Qualcosa di sano?”
“Non preoccuparti per questo!”
ridacchiò il secondogenito per poi esclamare, sempre rivolto al fratello minore: «Cadetto, cantaci un po’ “Barbara Allen” e fa’ in modo che si senta!»
Four aveva un inconfessato debole per le canzone interpretate dal fratello.
Certo, la maggior parte di esse erano antiche ballate i cui protagonisti andavano incontro ad una tragica fine, da Lord Randal che muore avvelenato a Geordie incatenato a catene dorate, e la voce di Three non era esattamente quella di un tenore, anzi corrispondeva a quella di un mezzosoprano tragico, chiara ed argentina com’ era, ma era sempre piacevole ascoltarlo in quei rari momenti di quiete.
Quand’ erano più piccini era la madre a cullarli con la sua bella voce simile al suono dell’ arpa e da quando era scomparsa, quasi sei anni fa, erano sempre Chris o Michael a sostituirla.
Di tanto in tanto, durante le sere calme che si trascinavano avanti nella loro fatica, il primogenito riesumava dall’ oblio in cui era precipitato il vecchio pianoforte a coda appartenuto a Miss Arclight, un vecchio Steinway scordato dal quale si riuscivano ancora a tirare fuori suoni armoniosi, e rallegrava il loro animo suonando vecchie canzoni, brani sconosciuti sentiti per radio ma il cui motivo era stato afferrato grazie al suo incredibile orecchio assoluto, le canzoni straniere di cui Sixth si riempiva le orecchie o versioni più lente delle ultime hit eseguite dalle Three Little Souls.
Five aveva una bella voce, possente e melodiosa, ma, vuoi per l’imbarazzo, vuoi per il rifiuto di far sentire la propria voce, finiva quasi sempre per occuparsi solo dell’accompagnamento musicale.
Era il solo che sapesse suonare bene il piano: Four ne aveva appresi i rudimenti ma non aveva la maestria del fratello maggiore, Three amava la musica ma c’era bisogno che qualcuno suonasse per lui, per quanto riguarda Sixth la ragazza guardava lo strumento con aria truce, quasi volesse sfidarlo a duello.
Anche lei, come il terzogenito, aveva una vocetta chiara e dolce, ma tendeva ad acuirla durante il canto e dopo un po’ risultava sgradevole alle orecchie. Inoltre, quando doveva tenere una vocale o una sillaba troppo a lungo, le sue corde vocali non reggevano.
Quando non cantava accompagnava Chris con il suo violino, uno dei pochi “residui” della sua vita precedente.
La voce di Four era un po’ aspra, ma si dava sempre da fare per accordarla a quelle di fratelli e sorella e per tenere il tempo.
In passato, da gentiluomo generoso e raffinato qual era, anche Byron amava cantare e suonare: non di rado lo si sentiva accompagnare la consorte mentre cantava la ninnananna ai figli ancora piccoli.
Si recava spesso a teatro per le prime dei concerti e aveva una vasta collezione di vecchi dischi, tutti di musica classica: Rondò Veneziano, Bach, Schiller, Liszt, Stravinskij, ma il suo preferito era Beethoven.
Fattisi più grandicelli, i ragazzi Arclight avevano preso l’abitudine di ascoltare la musica sul suo vecchio grammofono e, come lui, la apprezzavano nonostante i salti e gli stridii.
A Tron, invece, questa passione non era rimasta e preferiva ritirarsi per la notte o guardare i cartoni quando vedeva il resto della famiglia accingersi a cantare.
Ma per il secondogenito quelle ore scandite dalle note non erano solo un semplice svago, come dava a vedere: erano la sua consolazione, la sua speranza.
La musica penetrava dentro la sua anima risanando le sue ferite, placando la sua rabbia celata e gli infondeva la dose adatta di ottimismo per fargli credere che tutto si sarebbe risolto per il meglio e la sua famiglia sarebbe ritornata quella di un tempo.
Oltre ai duelli era la sola cosa che lo tenesse vivo.
Quando III annuì con insolito vigore in risposta alla sua domanda gli si allargò nuovamente il cuore e sulle labbra di VI dormiente passò un lieve sorriso, quasi avesse assistito a tutta la scena.
Tuttavia, il povero ragazzo ebbe appena il tempo di intonare “T’was in the merry month of May… [3]” che il tirannico capofamiglia lo bloccò con un secco colpo di tosse e Five, fino ad allora occupato a rimettere a posto l’attrezzatura elettronica, fece capolino nella stanza.
“Perfetto, ci siamo tutti.” Gongolò Tron facendo dondolare le gambe avanti e indietro. “Che abbia inizio la seduta straordinaria!”
“Cosa sarebbe, una riunione di condominio?” pensò seccato Four, le sopracciglia aggrottate, mentre Three usciva dalla cucina e si accomodava su una delle poltroncine rosse insieme al primogenito.
Sixth continuava beatamente a dormire, per cui il terzogenito chiese se ci fosse bisogno di svegliarla.
Risposta negativa. “No, lasciala dormire. Se avessimo avuto bisogno di lei te l’avrei già chiesto, no? E poi non credo proprio che le piacerà ascoltare quanto sto per dire…”
Le sopracciglia del secondogenito schizzarono fino alle stelle.
Cosa intendeva dire? La riunione verteva su di lei? E allora perché non avrebbe dovuto ascoltare?
“Certo che è davvero incredibile la velocita con cui vi siete affezionati a quella bimbetta.” Continuò il bambino. “Davvero, ragazzi, non vi facevo così sprovveduti.”
Intuendo la piega che stava prendendo la conversazione, Four chiese, con fare interessato: “Com’ è andato l’allenamento?”
“È stato una vera tortura. Quella ragazza è molto intelligente ed ha una buona strategia, ma il suo odio verso le carte non le permette di duellare bene. Non si applica.” Testuali parole.
Michael, chiaramente teso, deglutì rumorosamente e i suoi occhi s’ adombrarono.
Gli altri due si scambiarono uno sguardo apprensivo, ma tutti e tre sperarono per un secondo che il padre non dicesse quel che aveva in mente, risparmiando alla nuova venuta futuri dispiaceri. Purtroppo, la loro richiesta non fu accolta.
“Farete bene a dimenticarla, cari miei, perché tra un po’ non la vedrete più.” Ghignò infatti Tron, gli occhi che brillavano di luce malvagia come sempre accadeva quando esponeva uno dei suoi piani. “Stasera, dopo cena, le dovrò fare un altro rituale per potenziare il suo stemma, così sarà al vostro livello e potrà fare tutto degnamente. È sempre utile avere una mano in più…”
“E dopo che avremo attuato la nostra vendetta?” chiese Five, algido come sempre.
“Non ci ho ancora pensato, ma credo che non potremo tenerla con noi. Una mocciosa sul groppone è proprio una gran seccatura. Credo proprio che dovrà tornarsene da dove è venuta…”
Three si alzò di scatto, il volto ancora più teso, e si diresse verso il divanetto rosso sul quale la ragazza dormiva, del tutto ignara di quelle parole. La prese in braccio, reggendola per le spalle e le ginocchia e, dopo aver bisbigliato qualcosa del tipo “La porto nella sua stanza” corse difilato nel lungo corridoio che separava i vari ambienti dell’appartamento per non far vedere le lacrime che cadevano sulle sue guance.
In occasioni normali, Four non avrebbe nemmeno notato quella scena oppure si sarebbe limitato a ridere dietro al fratello, ma quella scena lo lasciò senza fiato: come faceva, Michael, a rimanere così gentile ed innocente nonostante vedesse perennemente la famiglia sfasciarsi? Ma soprattutto, come poteva Tron dire quelle parole? Se diceva quello di una ragazza che aveva raccolto per strada non c’era da stupirsi se ormai i figli erano diventati piccoli paggetti obbedienti, subordinati alla sua volontà.
Lui ci aveva fatto la pelle da un pezzo, ma tutto quel che aveva subito aveva fatto sì che dentro di lui crescesse un seme amaro, che ormai si faceva sentire sempre più spesso.
Non riusciva a buttare giù tutto come un tempo e, tutte volte in cui pensava che Tron avesse raggiunto il fondo, veniva puntualmente smentito.
Decise di rimanere ancora un po’.
“E come pensi di fare?” chiese beffardo. “Vuoi aprire un varco dimensionale, com’è successo con te?”
“Sei perspicace.” Ridacchiò il bambino. “Faker l’ha fatto sembrare un giochetto da bambini, vuoi che non ci riesca io?”
“E se invece non sarà così?” chiese invece Chris.
Il fratello diciassettenne aveva sempre trovato innaturale la sua proverbiale calma.
Il suo volto non tradiva emozioni e, da cinque anni a quella parte, non l’aveva mai fatto, nemmeno una volta per sbaglio. In particolare, gli occhi rimanevano sempre gli stessi, tremendamente stoici e solo le labbra potevano far capire quel che provava, anche se spesso veniva da chiedersi se quel che esprimeva il suo volto di porcellana fosse reale o fosse invece tutta una finzione, una maschera. Sixth aveva espresso spesso la propria ammirazione (ed anche l’invidia) per questa capacità del fratellone e solo adesso Four ne capiva il motivo.
“Allora credo che l’unica soluzione sia l’orfanotrofio.”
“Vado a vedere cosa sta combinando Three in quella stanza. Ci sta mettendo decisamente troppo tempo a tornare.”
Four si alzò e percorse il corridoio a grandi falcate. Era semplicemente disgustato dalle parole paterne.
Cosa gli faceva credere di poter decidere sulla vita di Sixth fino a quel punto? Che schifo.
Non aveva esattamente bei ricordi dell’orfanotrofio e l’immagine di quel luogo squallido e oscuro, con tutte le privazioni che aveva patito, aleggiava ancora nei suoi incubi più tremendi.
In quei giorni terribili era stato semplicemente malissimo. Aveva imparato presto come reagire alle beffe altrui, ad usare il sarcasmo o peggio la violenza per farsi rispettare e far rispettare il fratellino, troppo timido e debole per autodifendersi.
Aveva capito quanto poteva essere marcio il mondo, a volte; che spesso e volentieri i sogni s’ infrangevano come cristalli sul pavimento; che stare piantato coi piedi ben saldi a terra lo avrebbe aiutato ad evitare altre delusioni.
Spalancò la porta della stanza di Sixth con un colpo secco.
La ragazza era stata distesa su un fianco sul letto dalle coltri candide coltri e continuava a dormire come se nulla fosse successo, ma Michael, seduto ai suoi piedi, leggeva la raccolta di favole di Esopo chiamata “La Rosa e l’Amaranto” con una certa agitazione.
Più che leggerla, anzi, sfogliava solo le pagine senza darvi nemmeno uno sguardo e sia i kanji sia le lettere greche si presentavano agli occhi come masse informi d’ inchiostro senza un qualsivoglia ordine o significato, più indecifrabili delle rune.
Tremava senza riuscire a controllarsi, ma cercava disperatamente di reprimere i singhiozzi, cosa che invece gli riusciva alquanto bene.
“Nemmeno tu hai retto, non è così?” chiese Four al fratellino, sedendosi accanto a lui e accarezzandogli la testa com’ era solito fare con il suo cagnone.
Michael scosse la testa: la cara bestiola mancava a tutti, questo era chiaro, ma non era un buon motivo per pretendere che lui la sostituisse; per cui si limitò da scuotere la testa e ad annuire tristemente.
La facilità con cui pensa di… poterla mettere da parte… dopo tutto quel che sta facendo… è orribile… sto male io per lei… mi ha ferito.” Singhiozzò il povero quindicenne portandosi le mani alla bocca. “Che fine ha fatto nostro padre…”
“È diventato un mostro, ecco che fine ha fatto.”
Gli rispose duramente il fratello. “E noi i suoi infaticabili schiavetti.” Per consolare Three, cercò di buttarla sul ridere: «Certe volte mi aspetto solo che, dopo ogni ordine, ci dica “Tutto chiaro, schifosissimi buoni a nulla?” e allora sarebbe identico a quel generale, sai, quello di quel film che abbiamo visto due mesi fa…»
Non ci riuscì, perché il fratello ricominciò a gemere ed ancora più forte.
“Credo che manchi davvero poco perché cominci a farlo, sai…” gli rispose il quindicenne, facendogli gelare il sangue nelle vene. “Ogni giorno che passa ho sempre più paura, mi sento come se fossi sotto la spada di Damocle…”
“E probabilmente lo siamo. Perché continuate a dargli retta e a comportarvi come cagnolini? Anzi, perché lo facciamo?”
“Perché in fondo noi continuiamo ad amare nostro padre, credo.”
fece Michael asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “Anzi, è sicuramente così. Credo che sarebbe molto più strano se fosse il contrario, cioè se lo odiassimo. Come si fa ad odiare un genitore? E poi lo appoggiamo, anche, perché anche noi vorremmo che ritornassimo quelli di un tempo… però…”
“Però?”
“Però, proprio stamattina, mi chiedevo se tutto questo fosse davvero necessario…”
Entrambi tacquero per un po’, gli occhi bassi.
“Penso di aver capito cosa intendi. Tu concepisci la serenità come l’adattarsi alla situazione in cui si è e fare di tutto per migliorarla. Sono anch’ io dello stesso parere.”
Per quanto questa affermazione potesse sembrare inconsistente o contradittoria rispetto al suo usuale comportamento, anche il fondo al suo cuore ardito bruciava il desiderio di serenità.
“Già…” rispose Michael lentamente. Il fratello aveva centrato perfettamente il bersaglio, ma ormai lui stava cominciando a perdere le speranze: Tron non avrebbe MAI ceduto, era stato letteralmente divorato dal quella stupida vendetta e qualunque cosa avessero fatto per provare a fermarlo sarebbe risultata del tutto inutile.
In parte, il povero quindicenne ammirava i tentativi del fratello di ribellarsi al tirannico padre e di seguire, in un certo senso, la sua strada, e gli sarebbe piaciuto imitarlo, ma il solo pensiero di farlo gli faceva salire dei sensi di colpa astronomici: data la sua indole dolce e remissiva non sopportava vedere i familiari arrabbiarsi o soffrire a causa sua.
Si era rimproverato spesso per la sua codardia, ma non trovava il modo per cambiarla nel coraggio che tanto desiderava avere.
“Three, va tutto bene. Siamo tutti e tre insieme in questo progetto… Speriamo che finisca al più presto.” Gli sorrise Four, passandogli nuovamente una mano sulla testa.
Il quindicenne deglutì e sorrise, gli occhi pieni di gratitudine, ma nessuno dei due si sentiva minimamente sollevato.
Quando lasciarono la sorella a riposare sul suo letto per ritornare nel salotto sembrava che entrambi camminassero sulle uova e che avessero un blocco di cemento nello stomaco, più che un semplice groppo.  
***
 
 
La stanza di Tomoya, a malapena bastevole per una persona, si stava letteralmente trasformando in un bugigattolo atto ad ospitarne ben cinque: c’ erano borse e borsoni ovunque (che erano costati ai ragazzi un paio di altri viaggetti interdimensionali, se non di più); abiti che volavano dappertutto; un angolino dedicato a una provvista generosa di cibo che i due Pueri Magi, usciti per un’altra delle massacranti ronde imposte da Kyuubey, avrebbero portato; oltre a quattro futon distesi per terra.
“Sarà fantastico abitare in questa topaia!” esclamò Paula su di giri, gettandosi a pesce su uno di essi.
Sua cugina, occupata a ripiegare gli abiti e a sistemarli in uno strano armadio triangolare che sembrava essere fatto di compensato, non sembrava essere dello stesso parere.
“Non sarebbe stato meglio prendere in affitto un’altra stanza?” mugugnò infatti armeggiando con uno dei suoi innumerevoli maglioni, di quelli che in quelle calde giornate di fine aprile facevano venire caldo solo a guardarli.
Il tibetano, disteso sul suo letto, sospirò. “Anch’ io l’avrei preferito, ma con questo stupido Carnevale Mondiale di mezzo tutte le stanze libere, dal migliore Hotel a cinque stelle al peggior buco in questa città, sono state prese d’ assalto dalle miriadi di turisti.”
Sospiro di rimando. Non era difficile capire a cosa stesse pensando la povera fiorentina, che odiava i luoghi eccessivamente affollati più di qualsiasi altra cosa.
Ma la vivace spagnola non la pensava come lei, anzi, si sentiva eccitata alla prospettiva di sfidare persone provenienti da tutto il mondo così come lo era stata quando le era arrivata l’e-mail d’ ammissione al campus “La Tredicesima Torre”, in cui poi s’ era perfezionata nel suonare la batteria ed aveva conosciuto la sua allegra combriccola internazionale di amici.
Solo che il WDC era molto più adrenalinico.
Aveva imparato in fretta a giocare a Duel Monsters e si riteneva piuttosto brava, quindi era più che naturale che non vedesse l’ ora di incontrare persone che condividevano questa sua (nuova) passione e di imparare nuovi trucchi.
Non era affatto seccata da quel “trasferimento momentaneo” e, così come aveva sempre fatto con qualsiasi evento, lo prendeva con vitalità ed ottimismo.
Isaia, già in pigiama blu e grigio sulla cui maglietta era stampato un grosso occhio di Ra, era seduto su una sedia e cercava di risolvere alcuni test di logica e matematica su una rivista consumata. Lui aveva già finito da tempo di sistemare quel poco di bagaglio che si era portato dietro ed ora, felice di non dover sgobbare fino a tardi sui libri, si rilassava un po’. I giochetti d’ enigmistica lo divertivano moltissimo e, grazie all’ intelligenza matematica che possedeva, risolveva in pochi secondi giochi per i quali gli altri impiegavano molto più tempo, ma aveva un grosso debole, non celato, e per questo veniva spesso stuzzicato.
“Non ho capito perché a terra ci sono quattro futon…” disse, interrompendo per un attimo i suoi ragionamenti. “Chi altro dorme con noi?”
“Chen.” Rispose dal suo letto il tibetano, celando il suo sollievo nell’ avere anche l’amica cinese accanto a lui nel gravoso compito che dovevano portare a termine: in parte ce l’aveva ancora con lei per tutti i rimbrotti che gli aveva fatto, ma sapeva anche che senza di lei non sarebbe stata la stessa cosa.
Arrossendo violentemente e provocando le risatine soffocate di Matilde e Paula, Isaia chiese: “M-ma come? Non si era trovata una stanza anche lei?”
“Avevamo già deciso che, al vostro arrivo, si sarebbe sistemata qui.”

Le guance del povero afroamericano divennero ancora più rosse, con gran divertimento degli spettatori, ma per fortuna il ragazzo fu salvato in extremis dallo squillo del suo cellulare.
“Sì, pronto?!” si affrettò a rispondere. Se non fosse stato così agitato (e questo accadeva praticamente tutte le volte che parlava con Chen o si parlava di lei) probabilmente non avrebbe posto quella domanda, perché nella circostanza in cui si trovava c’era solo una persona che avrebbe potuto chiamarlo.
“Isaia, sono John. Tutto bene lì da voi?” rispose la voce del Cobra all’ altro capo del filo invisibile che li collegava.
Nemmeno avessero sentito tutto, gli altri si voltarono immediatamente verso di lui.
“Ah, sì, tutto bene… stiamo finendo di sistemarci. E tu? Sei riuscito a trovare un posto in cui stare?”
“Sì, sono riuscito miracolosamente a trovare una stanza libera in un ryokan[4] nei pressi della piazza.”
Rispose l’uomo con una punta di soddisfazione.
A onor del vero la stanza era alquanto stretta e definire l’arredamento “spartano” sarebbe stato un eufemismo, ma quantomeno le pareti erano state tinteggiate di recente con colori vivaci e tinte pastello e le finestre davano sulla strada.
“È stata una stupidaggine, a ripensarci adesso, non aver prenotato prima…” sospirò ancora Matilde, passata dai vestiti ad una pila di libri decisamente più alta di lei che le era costata una borsa supplementare.
“Come potevamo sapere quali alberghi chiamare?” rispose di rimando Paula, ancora stesa supina sul futon ormai completamente sottosopra.
“Sacrosanta verità”, pensò Isaia mentre si sforzava di seguire le parole dell’interlocutore che dava loro appuntamento per l’ora di cena vicino ad un ristorante chiamato “Starry Garden”.
La loro riunione strategica di quella mattina si era protratta per un bel po’, ma c’ erano ancora alcune cose da definire e, visto che il piano avrebbe dovuto essere messo in atto a partire dal giorno dopo non potevano permettersi di sprecare altro tempo.
In attesa che la chiamata terminasse, Tomoya si alzò dal letto e si sporse alla finestra, pensieroso.
In un vicolo angusto un plotoncino di gatti macilenti si azzuffava per una coscia di pollo già mezza spolpata: in un certo qual senso il ragazzo aveva già avuto occasione di conoscerli e talvolta, quando avanzava un po’ di carne dal suo pranzo o dalla cena la lasciava volentieri a quelle povere bestiole.
Aveva persino dato dei nomignoli ad alcuni di loro, in modo da riconoscerli più in fretta: Suren, la più anziana del gruppo, era una maestosa soriana marrone dalle sfumature color ebano e intensi occhi verdi e, nonostante la sua magrezza, aveva qualcosa di magnetico nello sguardo; Naran e Bayar, i due inseparabili cuccioli di Japanese Bobtail, talmente curiosi che una volta erano riusciti chissà come ad entrare dalla finestra in camera sua ma poi non ne erano più usciti fino al suo arrivo; e Squid, il più pasciuto del gruppo, silenziosissimo, discreto come la neve e dall’ aria annoiata, erano quelli a cui più si era affezionato.
Si sentì un sonoro “click” e Isaia poggiò il cellulare sul cassettone pieno di bonsai.
“Abbiamo ufficialmente qualcosa da fare per stasera.” Annunciò ai compagni, socchiudendo gli occhi: probabilmente non gradiva molto sentire i loro occhi su di sé.
“Ossia?” chiesero gli altri tre contemporaneamente.
«Il Cobra ci ha invitati a cenare con lui al ristorante. Lo “Starry Garden”. Tomoya, tu lo conosci?»
“A dire il vero no.” rispose il diretto il diretto interessato. La sua voce, però, non era fredda o indifferente come le altre volte, perché tradiva un certo interesse. “Ci sono passato davanti qualche volta, ma con quell’ aura da ristorante di lusso che emana non credevo che ci sarei mai andato.” Sorrise.
“E perché dovremmo andarci, se è tanto costoso?” volle sapere Matilde, ancora alle prese con la sua pila di libri.
“Perché deve darci le ultime disposizioni.”
Il tibetano storse il naso: evidentemente non considerava una grande idea passarsi informazioni in un luogo superaffollato. Inoltre neanche a lui piaceva trovarsi in mezzo alla folla e forse non era così strano, visto che era cresciuto nel Tetto del Mondo e solo poche volte ne era sceso.
Paula notò il suo gesto, lo comprese al volo e prese la parola: “Non è poi un piano così insensato, quello di John: mimetizzarsi tra le persone è il miglior modo per passare inosservati. E poi non credo proprio che i VIP che cenano lì siano tanto interessati a divulgare i nostri segreti, queste persone vogliono soltanto starsene in pace per un po’.”
“Anche i muri hanno le orecchie.”
Sentenziò la cugina, e questo bastò a farle temere di aver parlato troppo precipitosamente.
“E la prudenza non è mai troppa. Faremo meglio a misurare i gesti.” Approvò il loro “mentore” con un discreto cenno del capo.
Isaia stava per ribattere sarcasticamente alla mancanza del classico “Un antico proverbio del mio paese” ma si guardò bene dal farlo e, abbandonata la sua rivista, cercò tra i suoi indumenti quelli più adatti ad una serata mondana.
Ci fu un breve silenzio interrotto da una domanda di Matilde, che voleva sapere dove fossero finiti Muhammad, Stephan e Chen. Quest’ ultima era andata a fare una passeggiata in centro e probabilmente era rimasta invischiata in qualche duello, ma degli altri due, che avrebbero dovuto essere rientrati da un pezzo, non si avevano informazioni.
Soddisfatta la sua curiosità, la studiosa ragazza estrasse dalla sua borsa un quadretto, un paio di disegni ed uno strano involto di seta giapponese.
Dentro vi erano sette fiori secchi che ancora conservavano i loro colori, accesi o delicati che fossero: fra tutti spiccava una grossa camelia i cui petali bianchi presentavano anche una lieve sfumatura rosa acceso in punta, ma il grosso ibisco rosso o il delicato ma forte amarillide, con il suo colore rosa delicato, non avevano nulla da invidiargli.
Gli altri fiori, a parte un piccolo lillà dallo stelo strappato, le erano sconosciuti, ma grazie al cielo la precedente proprietaria aveva posto vicino ad ognuno di essi un biglietto su cui ne era scritto il nome. Così scoprì che il calicanto era un fiore piccolo dalle delicate tinte giallo chiaro; che l’agapanto, nonostante somigliasse moltissimo al fiordaliso, era in realtà molto diverso e che i fiori di piracanta erano bianchi, al contrario delle bacche che presentavano colori accesi.
“Rappresentano l’evoluzione del nostro rapporto” le spiegò Tomoya mentre riponeva i fiori in una scatola, mentre l’ombra di un sorriso sfiorava le sue labbra sottili. Anche gli altri due seguivano con interesse, ma cercavano di dissimulare la loro curiosità. “Hanno tutti un significato ben preciso. Quando le ho regalato il primo fiore, l’amarillide, ho pensato che sarebbe stato un messaggio giocoso senza appello, perché la invitavo a confidarsi e allora era ancora… diffidente. Eppure, incredibilmente, ha risposto. I fiori erano, in un certo qual senso, un modo per comunicare quel che non avevamo il fegato di dirci di persona. Così il significato dei fiori diventava più profondo e affettuoso al mutare dei nostri sentimenti per l’altro.”
Il viso del ragazzo a quel punto esprimeva nostalgia e Matilde giurò a sé stessa che non ne aveva mai vista così tanta negli occhi di qualcuno, specie negli adolescenti. Era paradossale che proprio loro che dovevano godersi la gioventù si erano lanciati in una missione con la quale non si poteva scherzare, pensò la ragazza per un momento vedendo l’amico assente.
Ma fu solo un momento, perché lui riprese a parlare: “Purtroppo stavolta non sarà così: non basterà lasciarle un fiore ed un messaggio al davanzale della finestra per sperare di ritrovarla, ci vorrà molto più tempo. Mi mancano quei momenti e talvolta dubito persino che riusciremo a riportare tutto alla normalità…”
Un suo sospiro aleggiò per tutta la stanza, solleticò la tristezza nei cuori dei presenti e infine rotolò fuori dalla finestra, sorpassando i gatti che avevano in qualche modo trovato un accordo e si stavano godendo la loro magra cena e scoppiò come una bolla sopra i tetti più bassi di Heartland City.
Due alte ombre si stagliarono contro i muri dell’ostello: erano Stephan, che data la caviglia slogata procedeva zoppicando e dai cui occhi traspariva un guizzo di terrore e allo stesso tempo sollievo per essere scampato a qualche orribile tortura, e Muhammad che procedeva ad occhi bassi, i cui arti presentavano almeno una decina di lunghi graffi ed aveva una tempia sanguinante.
Dietro di loro, il mandante delle loro missioni zampettava come se nulla fosse successo: ovviamente non era lui quello esposto alle raffiche di attacchi delle Streghe, che si avventava contro di loro nella speranza di ucciderle e di ricavarne dei Grief Seeds.
Era un compito che spettava agli umani. Lui doveva solo cristallizzarne le anime e raccogliere l’energia negativa che sprigionavano quando finalmente si sarebbero trasformati in Streghe e Stregoni a loro volte, così che l’Universo continuasse a vivere.
Questo Muhammad non lo sapeva, ma nonostante si fosse abituato all’ imperturbabilità dell’animaletto nel suo intimo trovava comunque molto fastidiosa la sua totale mancanza d’ empatia.
Dal canto suo Kyuubey non capiva perché quei mocciosi si ostinassero a non controllare la Soul Gem: non solo avrebbero reso molto di più in combattimento, ma si sarebbero anche risparmiati tutte quelle smorfie e il dolore. In compenso avevano almeno la decenza di usarla per guarirsi, come stavano facendo davanti ai suoi occhi.
Il sudafricano spalancò con veemenza la porta della stanza e vi entrò, seguito a ruota dall’ amico, si avvicinò a Tomoya e, guardandolo negli occhi azzurri e gli disse minacciosamente: “Prova a ridire quelle parole e ti spacco le ossa una per una.”
Il ragazzo deglutì: aveva recepito il messaggio.
Doveva essere ottimista.
Ma certe volte proprio non gli riusciva.
Non riusciva ad essere quello che era sempre stato e a togliersi quella maschera che aveva dovuto attaccare al viso con la colla.
Non riusciva a non sprofondare nel pessimismo.
Non sapeva nemmeno lui perché e questo lo feriva.
Espresse per l’ennesima volta il desiderio di sbrigarsela in fretta e per bene.
Ma chi poteva assicurargli che ce l’avrebbe fatta per davvero?




[1] Wasabi: pianta la cui radice è molto simile al rafano, usata per insaporire il pesce crudo.
[2]: "Cosa lasci al tuo vero amore, Lord Randal, figlio mio?
Cosa lasci al tuo vero amore, Lord Randal, mio bel giovanotto?
Le lascio il fuoco dell' inferno (lett. "l' inferno e il fuoco"), madre, fa' presto il mio letto
Perché ho male al cuore e vorrei distendermi."
Antica ballata scozzese eseguita da Girolamo dell' Armellina. (La traduzione non è mia, ma l' ho trovata su Youtube)
[3] "C' era nel gaio mese di maggio..."
Altra ballata dalle origini incerte. La versione nella storia è quella eseguita da Joan Baez.
[4] Ryokan: albergo in stile tradizionale giapponese.




Angolo dell' Autrice (di ritorno dalle vacanze con un minimo d' ispirazione, yay)
E quindi rieccomi qui dopo un mesetto buono.
Nemmeno stavolta so bene cosa dirvi, se non che ho iniziato a scrivere questo capitolo durante gli ultimi giorni della mia vacanza a Caprioli (in provincia di Salerno). Calliope qualche volta mi vuole molto molto ma molto male :V 
Per quanto riguarda la prima parte, quella forse più "lavorata" e scritta meglio, si focalizza molto su Thomas/IV. Come ho scritto anche in una delle anteprime su Effebbì, non sono una sua fan sfegatata (son fedele a III, io), ma mi piaceva molto l' idea di scavare nella sua psiche e nel suo passato. In fondo, a parte quei "pochi" screen nei flashback di Tron, Chris e Michael, non ne sappiamo granché. Inoltre ho spesso supposto che la sua spavalderia e l' irriverenza fossero tutte una maschera (quanto mi piacciono le persone complessate jfgnlodfj *^*) e, guarda caso, questa teoria è stata confermata: in pratica è quello che ci sta peggio di tutti. Ce l' ha coi fratelli perché fanno i leccapiedi, è vero, ma soprattutto se la prende con sé stesso.
Sono una famiglia di piccoli complessati *^* Ma io li amo così <3
La seconda parte è invece un po' più "sforbiciata" in fretta e molte cose sono effettivamente strane (specie i due ragazzi e le tre ragazze nella stessa stanza... speriamo non succeda nulla), ma se ti catapulti in una dimensione parallela senza prima informarti bene su di essa devi pur correre qualche rischio. cx
Ho tratto da qualche vecchia FF alcune idee, come quella del plotoncino dei gatti (by the way, il nome Suren vuol dire "maestosità" in mongolo, mentre Naran e Bayar significano rispettivamente "sole" e "gioia" nella stessa lingua. Molti nomi mongoli presentano antiche radici tibetane e penso che sia bellissimo), prima "appartenente" a Yumiko (quella originale); mentre lo "Starry Garden" era inizialmente una sala da té in cui III e VI andavano per riflettere dopo il ritorno di quest' ultima nella sua dimensione (una pseudo-riunione di famiglia).
Per i fiori (inserzione pubblicitaria) mi sono basata su una nuova FF, che pubblicherò a breve (spero...).
E poi Muhammad e Stephan, i nostri fabiolosi Pueri Magi: secondo voi perché usano la Soul Gem solo per guarire ed in battaglia si auto-sottopongono a torture atroci? Saranno masochisti? Chissà x)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
A presto rivederci (speriamo... DI NUOVO), anche con "Like a rose"! (troppo pigra per scrivere tutto il titolo...)
-Ono

 

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Capitolo 12
*** 10: A room of tattle, a boulevard of thoughts ***


Chapter 10
A room of tattle, a boulevard of thoughts
 
La ragazza squadrò la propria immagine riflessa nello specchio quadrato del bagno con aria critica. Il vestito che indossava, rosso ed aderente come un tubino, metteva in risalto il suo bel fisico magro ed armonioso, scolpito da anni ed anni di lunghi allenamenti di Tai Chi.
Le iridi verdi incastonate quasi per sbaglio nei suoi occhi a mandorla brillavano di una strana luce, insolitamente seria, mentre faceva quelle considerazioni fra sé e sé.
Lo specchio non le mentiva, come invece era successo a Yumiko nei mesi prima di incontrarla, ma trovava che l’immagine che le porgeva davanti agli occhi fosse, per quanto molto carina, molto insolita. Per un secondo non si era riconosciuta.
Smise immeditatamente di pensare al passato per focalizzare meglio il presente: fra poco meno di mezz’ ora John sarebbe passato a prenderli tutti e sette per cenare in un ristorante di lusso strabordante scintillii, noiosissimi ricconi inguainati nei soliti tailleur o in vestiti gli uni più astrusi (e scomodi) degli altri e formalità.
La cosa migliore da fare era cercare di mimetizzarsi, in modo da scambiarsi tutte quelle preziose informazioni passando inosservati.
Prese la spazzola e cominciò a ravviare i lunghi capelli neri, lasciati sciolti per l’occasione, finalmente liberi dall’ oppressione del codino verde che li aveva imprigionati fin troppo spesso.
Le setole percorsero velocemente ma coscienziosamente ogni centimetro di quella cascata di seta fino a quando la mano ossuta di Chen decise di aver fatto abbastanza e posò quel prezioso strumento sulla mensola di fronte allo specchio.
Con uno slancio insolito la cinese si mise ai piedi, proporzionati alla sua statura a scapito dell’ usanza cinese di bloccarne la crescita, un paio di nuovissime ballerine di vernice ed uscì dal bagno. Nella stanza di Tomoya l’aspettava l’insolito spettacolo di una Paula con i lunghi capelli rossi sciolti e spioventi sulle spalle, seduta compostamente su una traballante sedia pieghevole di legno, e di Matilde che la pettinava diligentemente con un pettine nero.
La fiorentina era davvero carinissima nel suo abitino blu notte, che con quell’ arriccio sulle ginocchia faceva l’effetto di una soffice nuvola, e sulle sue spalle scendeva morbido un lungo foulard argenteo. Con i sandali neri dal tacco basso e il braccialetto di onice al polso sinistro era davvero una magnifica visione.
La cugina non era altrettanto elegante, ma anche lei era vestita diversamente: la candida maglia aderente metteva in risalto le sue curve ancora acerbe, mentre le gambe erano nascoste, com’ era sua suo solito, da un pantalone molto largo fermato alle caviglie da due elastici, il cui tessuto assomigliava molto a quello dei blue jeans. Ai piedi calzava un paio di converse nere i cui lacci sembravano essere stati lavati di recente.
I ragazzi si erano probabilmente volatilizzati nei bagni di servizio.
“Tu cosa ne pensi?” stava chiedendo Paula alla cugina, cercando di ignorare gli strappi ai nodi che i denti del pettine procuravano ai capelli.
“Di cosa?”
“Di tutto questo, ma soprattutto del cambiamento di Tomoya. Francamente io ci sono rimasta di sasso. D’accordo, la situazione non poteva non avere delle conseguenze, ma non pensavo che sarebbero state queste. Fa quasi paura con quell’ aria dura che si tiene perennemente addosso.”

La cugina alle sue spalle smise per un attimo di armeggiare con il pettine per risponderle: “Sì, hai ragione. Io però mi aspettavo qualcosa del genere. Lui è molto orgoglioso e, quando ci si mette, anche parecchio testardo. Inoltre non sembra, ma tiene davvero molto ai suoi familiari e a Yumiko, soprattutto perché ha sempre fatto del suo meglio per tirarla su e, senza farcene caso, si è innamorato di lei. Si sono scoperti a vicenda, per così dire, ed hanno imparato ad accettarsi e ad amarsi. Ma ora lei si è cacciata in un guaio più grande di noi… Credo sia normale che sia preoccupato.”
“Questo non giustifica il repentino cambio di carattere.”
Obiettò decisa la cugina.
Matilde arricciò le labbra e corrugò la fronte, cercando di trovare una spiegazione plausibile. Evidentemente non la trovò, o forse non giudicò credibile la girandola di opzioni che si era formata nella sua mente, perché sospirò e disse: “Potrebbe essere una sorta di meccanismo di autodifesa. Ricordi il comportamento di Yumiko durante i primi tempi?”
“Hmm-hmm.”
Le rispose Paula, pensosa. “Potresti avere ragione. Però lei ha tutt’ altro tipo di carattere, per lui sarebbe stato più sensato rimboccarsi le maniche, lavorare alacremente ed andare avanti non ottimismo, non diventare uno zitellone pedante, acido e senz’ anima.”
“Beh, per il lavorare alacremente direi che lo sta facendo eccome. Io rimango dell’ ipotesi che è tutta una maschera pirandelliana.”
“Che noia.”
“Comunque a me non è sembrato questo gran Re delle Nevi che vai decantando. Magari il nostro arrivo l’ha tirato su di morale.”
“Confermo.”
Intervenne Chen, che fino ad allora era rimasta in silenzio ad assistere all’ interessantissima conversazione. Ne dedusse che la fiorentina non aveva perso il suo spirito critico e la sua intelligenza, mentre la spagnola era rimasta la solita emotiva con la risposta perennemente pronta, più incline all’ azione che alla riflessione; ma entrambe erano rimaste più o meno colpite dalla situazione surreale in cui si trovavano e dovevano ancora attutire il colpo.
Lei, invece, l’aveva già fatto da un pezzo. Aveva dovuto suo malgrado sopportare gli sbalzi d’ umore dell’amico, gli ordini insopportabilmente imperiosi e le crisi di pianto improvvise, lo aveva preso per il collo e scosso come un albero di limoni se ce n’ era stato bisogno, avevano sfogato la loro rabbia correndo lungo le strade lastricate dei giardini pubblici improvvisando gare di velocità, avevano sudato e passato intere nottate in bianco per trovare ed installare il dispositivo per i viaggi interdimensionali. Ma avevano anche riso a crepapelle sul ridicolo tailleur verde muschio e la terribile montatura arancione degli occhiali del Signor Heartland, si erano sfidati reciprocamente a duello per testare le loro abilità, avevano rievocato i “bei vecchi tempi” con una punta di nostalgia, avevano esplorato ogni angolo della città scambiandosi informazioni ed impressioni, avevano imparato a perseverare insieme. Le due cugine non avevano visto che ad una piccolissima parte di quel nuovo mondo e lei voleva lasciare loro tutto il divertimento.
“Confermi cosa?” chiese Paula incuriosita.
“Che il vostro arrivo lo ha tirato su.” Le rispose Chen ridacchiando. “Durante le prime settimane era a dir poco insopportabile con tutti i suoi malumori. Finiva sempre per riversarli addosso a me.”
“Beh, doveva pur sfogarsi in qualche modo.”
Cercò di difenderlo Matilde, la cui voce tradiva una certa preoccupazione per il compagno.
Proprio in quel momento fece capolino dalla porta d’ ingresso Muhammad, avvolto in uno strano completo, decisamente fuori dai suoi standard: camicia bianca e panciotto grigio perla appuntato fino all’ ultimo bottone, pantaloni di lana neri a righe grigie tenuti opportunamente su da un paio di bretelle, calzettoni di cotone nere e scarpe di vernice.
Con una tuba, un bastone e un fiore all’ occhiello si sarebbe potuto benissimo mimetizzare tra la folla di gentlemen dell’ Ippodromo di Astrot.
Paula e Chen scoppiarono a ridere, mentre la povera fiorentina cominciò poco a poco ad assumere un colorito violaceo nel tentativo di non seguirle a ruota.
“Ma come ti sei vestito?” riuscì a chiedere la spagnola dopo vari tentativi. «Assomigli al Cappellaio Matto di “Alice nel Paese delle Meraviglie”!»
“Beh? Mai visto un tight?” chiese il sudafricano, imitando le pose affettate degli aristocratici snob.
“Dove l’hai preso?” fu la risposta di Matilde, che si lasciò involontariamente sfuggire un risolino. “È così… ”
“Se stai pensando che non è da me… Puoi dirlo forte!”
la interruppe l’ amico con un sorriso che gli attraversava tutto il viso. Il suo scherzo era perfettamente riuscito.
“L’ hai preso in una sartoria teatrale?” disse incredula Paula scoppiando nuovamente a ridere. “Sei troppo forte, amico mio.”
“Certamente, quando mai potrò rimettere una cosa simile? E poi non ho alcuna intenzione di comprare abiti da pinguino che non metterò mai.”
“Sembri un attore.”
Osservò Chen, le gote arrossate.
“Non lo siamo un po’ tutti, in fondo?” fu la filosofica risposta. Life’s but a walking shadow, a poor player that struts and frets his hour upon a stage, and then is heard no more…[1]
“Senti, puoi fare tutte le citazioni colte che vuoi, ma quel vestito rimane comunque ridicolo, quindi fila a metterti qualcosa di più adatto.”
Sentenziò la spagnola con un tono a metà tra l’altero e il divertito.
A quella battuta fece il suo ingresso, per niente trionfale, anche Isaia. I tre sguardi femminili parvero approvare le sue scelte in fatto di vestiario: camicia bianca, gilet blu notte, uno pseudo-jeans di un nero così scuro che al confronto l’inchiostro sarebbe parso di un grigio sbiadito e scarpe abbinate. Sull’ avambraccio teneva poggiata una giacca cerata: evidentemente non aveva escluso a priori la possibilità del cattivo tempo, anche se non avrebbe dovuto preoccuparsi così tanto: in caso di pioggia buona parte del tragitto per lo Starry Garden avrebbe potuto essere coperto dalla monorotaia e il costo di un biglietto non era poi così elevato.
“Be’? Perché mi guardate in quel modo?” chiese il ragazzo divertito, ma gli bastò un’occhiata all’ abito dell’amico sudafricano per capire tutto e sgranare gli occhi.
Decise saggiamente di non commentare e sviò il discorso verso un argomento a suo parere interessante e in quanto tale degno di essere approfondito: “Ragazzi, secondo voi che tipo di famiglia è, questa che ha raccolto Yumiko?”
“I numerati, intendi dire?”
saltò subito su Paula, senza nemmeno dargli il tempo di finire. “A giudicare da quelle divise così… non saprei, stile Diciassettesimo o Diciannovesimo Secolo, direi che è una famiglia antiquata, molto antiquata. Secondo me l’eredità passerà tutta al figlio maggiore.”
“E i cadetti si fanno monache e frati, secondo te?”
scoppiò a ridere Muhammad. “Non credo proprio che anche in Giappone le cose vadano così.”
“A me, veramente, più che giapponesi sono sembrati inglesi.”
Intervenne Matilde pacata.
“Non credo ci siano molti elementi concreti per affermarlo, in questa strana dimensione parallela le differenze somatiche sono quasi inesistenti.” Osservò a sua volta Chen, che aveva bene impressi nella sua mente i volti dei duellanti che aveva sfidato: era un bel numero e tutti provenienti da quella città, nonostante alcuni di essi sembrassero decisamente europei. La sua comoda casetta a Jiayuguan talvolta le mancava e nonostante si fosse stabilita ad Heartland City già da tempo ancora non si sentiva del tutto pienamente parte di quella realtà, anzi: talvolta si sentiva come una sorta di dea distante che guardava il mondo attorno a sé senza esserne sfiorata, come se tutto quell’ insieme di palazzi non fosse davvero tangibile, ma una sorta di illusione creata da un qualche demiurgo del quale non sapeva classificare il comportamento.
Era malefico o semplicemente neutro, disinteressato?
Questa cosa le dava alquanto fastidio: a casa sua si era sempre sentita in armonia con tutto ciò che aveva attorno, perché invece adesso non ci riusciva?
Promise a sé stessa che sarebbe riuscita ad ambientarsi per bene, poi ritornò a seguire i discorsi degli amici: nel frattempo era entrato nella stanza anche un elegantissimo Stephan in camicia bianca, giacca nera, pantalone in tinta che sembrava essere uscito da una sartoria di prim’ ordine appena due secondi prima e scarpe di vernice.
Il nero della sua tenuta creava un bel contrasto con la sua pelle pallida e i capelli biondo paglia; se avesse indossato anche un papillon avrebbe potuto benissimo sembrare un piccolo cameriere. Inoltre quell’ outfit si confaceva davvero moltissimo ai suoi modi signorili e sempre cortesi, talvolta persino un po’ antiquati, che adottava anche tra amici: con Yumiko, ai suoi tempi, era stato un vero e proprio angelo custode, di quelli a cui i cattolici rivolgevano talvolta le loro preghiere.
Quest’ ultimo stava facendo notare agli altri che in quella misteriosa famiglia sembrava non esserci un capofamiglia, per cui la questione dell’eredità probabilmente non era nemmeno da porsi.
“Ma andiamo!” ribatté Paula poco convinta. “Ci sarà pure qualcuno che dirige le loro operazioni, no? Sono pur sempre Cacciatori di Numeri!”
“Magari è il giovane con la divisa blu, il ventenne…”
intervenne Isaia, calmo ma deciso.
Agli sguardi straniti dei compagni, si affrettò a spiegare: “È plausibilissimo, credo. Five, supponendo che sia davvero questo il suo nome, ha appena vent’ anni. Ad un primo colpo d’ occhio gliene daremmo almeno dieci in più, lo so, ma sta di fatto che ha raggiunto la maggiore età, quindi potrebbe occuparsi lui di tutto dal momento che gli altri tre componenti hanno rispettivamente diciassette, quindici, tredici e nove o dieci anni.”
“In effetti…”
concordò titubante Matilde.
“Boh, anche ammettendo che sia lui, quella famiglia in generale mi puzza di poco di buono. Poi quel tipo ha anche uno sguardo che non mi piace. Sembra privo d’ anima. Vedrete che è un mostro senza cuore e una volta cuccatosi tutti i soldi butterà gli altri fuori di casa.”
Impossibile fermare la ragazza barcellonese quando partiva per la tangente con le proprie teorie: anche se normalmente era logorroica e comunque alquanto irruenta, quando si fermava a pensare partoriva le idee più strambe e contorte, spesso basandosi solo su una semplice immagine. La sua testardaggine non aiutava, per cui anche se qualcuno avesse provato a dissuaderla lei sarebbe rimasta cocciutamente sulla sua posizione fino a quando, in qualche modo, il diretto interessato non avesse confermato o smontato la sua teoria.
“Non ti sembra di esagerare un po’?” ridacchiò Muhammad facendo capolino dalla porta. Evidentemente era andato a cambiarsi poco prima, perché aveva indosso una felpa rosso acceso con tanto di cappuccio, un jeans decisamene troppo a zampa d’ elefante e delle sneakers un po’ troppo vecchiotte di un rosso sbiadito. Faceva una figura alquanto miserella rispetto agli altri due amici, ma quantomeno non aveva più quel ridicolo costume addosso. Inoltre quei vestiti sembravano riflettere al meglio la sua personalità, per cui lui stesso si sentiva meglio dopo averli indossati.
“Cosa ti diranno alla sartoria teatrale?” ribatté la spagnola.
“Oh, proprio niente.”
“Direi… Quel tight era davvero orribile. Secondo me non l’ha mai indossato nessuno.”

A Matilde quell’ affermazione sembrò decisamente fuori luogo, visto e considerato che sua cugina non badava certo all’ eleganza, anzi, non aveva molto buon gusto nel vestire (secondo il suo modesto parere). Il classico bue che dà del cornuto all’ asino, insomma. “Però è sempre divertente sentirti speculare.” Continuò il sudafricano, sedendosi sul comodino affianco al letto di Tomoya e cominciando a dondolare energicamente le gambe.
“Continua. Ammesso che sia vero quanto dici, che fine faranno gli altri quattro?”
“È una sfida?”
ridacchiò lei.
 Il ghigno sulla faccia del ragazzo tradiva completamente il suo divertimento, nonostante avesse provato a mascherarlo con degli occhi serissimi.
“Così mi inviti a nozze, bello mio. Io penso che il secondo finirà a fare il militare e, detto tra parentesi, con quella faccia da sbruffone pieno di sé che ha meriterebbe come minimo di perdere un braccio, mentre gli altri tre diventeranno rispettivamente un ottimo ecclesiastico, un chierichetto disilluso avviato al sacerdozio e una suora insoddisfatta.”
“Come la Monaca di Monza?”
ridacchiò Matilde facendo ondeggiare il caschetto di capelli rossi. “Che brutta fine.”
Stephan alzò un sopracciglio: “Ma la futura suora di cui stiamo parlando è la nostra amica. Non credo sia carino ipotizzare per lei un futuro così poco roseo…”
Un deciso bussare alla porta della stanza interruppe le loro congetture: era John Snake, anch’ esso elegantissimo nel suo completo gessato grigio, cravatta in tinta e mocassini. Aveva con sé l’immancabile ventiquattrore straripante documenti e un sorriso gentile sul volto stanco, ma i suoi occhi scintillavano ancora di vitalità e sembrava voler abbracciare tutti i suoi piccoli amici.
Dietro di lui c’era Tomoya che, in mancanza di abiti adatti per l’occasione, aveva deciso di ripiegare sulla sua divisa da Number Hunter.
Era molto diversa da quella che indossava il suo collega Kaito e persino da quelle degli Arclight: era infatti costituita da una maglia bianca e larga, le cui maniche avevano un’apertura a triangolo ed erano bordate di nero. Al di sotto di esse spuntava un altro paio di maniche, lunghe e nere come il colletto, a sua volta bordato di bianco e stretto da un nastrino di un colore indefinito tra il magenta e il viola.
Sugli omeri poggiava una mantellina viola dalla forma trapezoidale, dai contorni neri.
I pantaloni erano a loro volta completamente neri, eccezion fatta per i motivi a losanga, anch’ essi viola, che ne attraversavano, sui lati delle gambe, tutta la lunghezza. I calzini candidi presentavano lo stesso motivo dei calzoni, mentre le scarpe che aveva ai piedi erano le classiche calzature basse di cuoio che gli studenti della Heartland Academy indossavano sei giorni su sette.
“Bene, ragazzi” esordì l’uomo sorridendo. “Il ristorante dista circa venti chilometri, per cui copriremo buona parte del tragitto in monorotaia. Avete con voi i soldi?”
L’ uditorio assentì ubbidiente, ma fu opportunamente messo in guardia dal loro previdente mentore: “State attenti al vostro comportamento sui mezzi pubblici: in Giappone, sapete, le norme della convivenza civile sono molto diverse che da noi. In particolare, su treni e autobus è vietato persino leggere. Se davvero non volete passare questi venti minuti a guardare le mosche, potreste ascoltare musica, rigorosamente con gli auricolari, oppure dormire.”
“Ammesso che riusciate a trovare posto.”
Rincarò la dose Tomoya. “Il che è quasi impossibile, visto e considerato che qui pare sempre che sia l’ora di punta.”
“In questo non è che sia tanto diverso da quanto accade in Italia, eh.”
Fece notare Matilde con un sorriso a dir poco tirato.
Non era propriamente una veterana di treni e metropolitane, ma tutte le volte in cui s’ era ritrovata a viaggiare sui mezzi pubblici si era sempre ritrovata pressata tra adulti nervosi e studenti universitari, più o meno noncuranti di tutto quel caos, che cercavano con evidenti difficoltà di sfogliare le pagine dei loro bravi quaderni per ripetere nozioni di anatomia, i casi d’ incidenza di strane malattie genetiche o la concezione delle divinità nelle tragedie di questo o quel tragediografo greco.
Paula era una specialista delle corse mattutine per prendere l’ autobus e grossomodo s’ aspettava qualcosa di simile anche in quel futuro ipertecnologico; a Isaia quell’ annuncio non fece né caldo né freddo, abituato com’ era a destreggiarsi tra la folla di pendolari della metropolitana di Los Angeles; mentre Chen sospirò rassegnata, rimpiangendo di non poter usufruire di una bicicletta: da quanto aveva visto non era esattamente popolare come mezzo di trasporto, al contrario di quanto accadeva a casa sua.
La comitiva, alquanto strana agli occhi dei passanti insonnoliti, si avviò verso la stazione sotto un cielo già scuro e tetro, dalle grosse nuvole che coprivano luna e stelle, nonostante mancassero circa dieci minuti alle otto di sera.
Il vento freddo che spirava alquanto violentemente da nord- ovest, inoltre, sembrava penetrare sotto la pelle dei poveri ragazzi raggelando loro le ossa. La sensazione generale era quella di aggirarsi senza meta sotto una strana volta nera come l’inchiostro, senza indicazioni, né mappe o bussole per potersi orientare e senza avere la possibilità di predire dove si potesse arrivare. A rallegrare le strade, però, c’ erano le insegne luminose di svariati negozi e vari maxischermi installati sui muri dei palazzi, che trasmettevano notiziari o i video musicali dei brani di tendenza.
In quel momento, proprio su quegli schermi, una ragazzina piccola e snella dagli occhi scintillanti, avvolta in un abitino rosso da lolita, compì una piccola giravolta e, facendo l’occhiolino, si aggregò a due compagne sullo sfondo e insieme a loro terminò una canzone dal ritmo un po’ troppo vivace.
“«Happy Go Lucky!» delle Three Little Souls.Commentò Tomoya, disgustato.
“Cos’ ha che non va?” chiese Matilde, che camminava a braccetto con Stephan.
“A parte il ritmo, il testo è decisamente troppo frivolo.” Argomentò il tibetano. “E poi ha il titolo più abusato di sempre. Inoltre quando senti una canzone praticamente ovunque, ventiquattr’ ore su ventiquattro, è normale che ti venga la nausea.”
“Non è così male, dai!”
intervenne allegramente Paula, per poi commentare tra sé e sé che Tomoya stava davvero diventando troppo orso. Riferì sottovoce il suo pensiero a Muhammad, che cominciò a ridacchiare senza ritegno.
Nel frattempo sugli schermi una donna ancora giovane, dai capelli rossi e una voce un po’ aspra, cantava in prima persona la passione e la fedeltà di una ragazza che, perso il suo promesso sposo, si lasciava decapitare da un nemico ubriaco che si era innamorato di lei a prima vista e aveva cercato di insediarla.[2]
Quando Stephan lesse il nome della cantante, tale Bernadette Chevalier, e vide che anche il brano successivo era interpretato da un gruppo francofono, rimase sinceramente sorpreso: non si aspettava che in Giappone trasmettessero con tale frequenza canzoni straniere, soprattutto francesi. Anzi, aveva supposto che, oltre ai vari gruppi e cantautori asiatici, le uniche canzoni estere che venivano fatte passare per radio o sui canali televisivi fossero principalmente inglesi o americane.
“Non è così. In questo periodo, in particolare, c’è stato un boom d’ ascolti proprio per le canzoni francesi. La più gettonata, almeno per quanto riguarda i miei compagni, è La ligue des morts di Alain Rachét. Alle ragazze, oltre a Isabelle, piace moltissimo anche Sur les pontes de Guyenne.” Spiegò ancora Tomoya.
“Ah sì?” Stephan era divertito da questa situazione, ma nel profondo del suo animo sprizzò anche una scintilla di fierezza: sua madre, Anaïs Lamarque, era infatti parigina e portava i figli in patria tutte le volte che le era possibile farlo. Il ragazzo, insieme alla sorella Victoria, aveva visitato la capitale francese almeno sei o sette volte e non aveva tardato a considerarla una seconda casa.
Sin da piccino, inoltre, aveva amato la lingua francese, e poteva vantarsi di conoscerla bene quasi quanto la madre, al contrario di quanto era accaduto per l’olandese. “Hai mai provato a far sentire loro Eblouie par la nuit o Port Coton[3]? Probabilmente andrebbero in sollucchero.”
“Non ci ho mai pensato. Quello non è esattamente il mio genere di musica, preferisco il New Age.”
“E soprattutto non ha tempo di pensare alle altre ragazze.”
ghignettò Chen. “Nel suo cuore è già stata scolpita l’immagine di una sola di esse e, prima che possa essere sostituita, i fiumi scorreranno al contrario.”
Il diretto interessato sospirò seccato, suscitando una certa dose di empatia in Matilde ed Isaia, entrambi ragazzi dall’ animo semplice e romantico, a cui l’amore di Tomoya per la sua ragazza piaceva molto: entrambi lo sentivano come innocente, ingenuo, ancora in boccio ma allo stesso tempo autentico, di quelli spesso descritti in tante poesie, quelli in cui dominano la fedeltà e l’ abnegazione per l’ altro.
Gli amori cristallini, in cui gli amanti ricevevano e donavano all’ amato non solo tutto ciò che avevano di meglio, ma anche tanti momenti non esattamente facili da vivere sempre con assoluta dedizione nel voler aiutare l’ altro.
Il resto della passeggiata trascorse in un imbarazzato silenzio, così come il breve viaggio in monorotaia, che si svolse in una calma iperbolica, per non dire religiosa: in particolare Tomoya, distaccatosi da tutto il resto della compagnia, fissò tristemente il cielo niente affatto stellato, illuminato solo da pacchianissime insegne luminose al neon.
Le sue belle iridi azzurre avevano perso l’ espressività di una volta e, quando non fissavano pensose o scintillavano infastidite o irate, non facevano altro che fissare le cose senza vederle per davvero, perse in tutt’ altri pensieri, svuotate, senz’ anima.
Solo le anime a lui affini riuscivano a capire cosa fosse nascosto dietro a quel ghiaccio e, quando il ragazzo le fissava distrattamente, loro sostenevano il suo sguardo accennando talvolta un sorriso: tra le tante c’era una bella ragazza alta, dai lunghissimi capelli corvini quasi sempre racchiusi in uno strettissimo chignon (con la sola eccezione di sei ciocche, probabilmente méchate dati i colori marrone, azzurro e blu oltremare, che le ricadevano davanti alle orecchie) e la pelle color della luna. La vedeva spesso in monorotaia, avvolta nella divisa rossa dell’altra scuola media importante della città, con un classico greco o latino sottobraccio e l’aria tristemente assorta di chi pensa ai propri piccoli guai. Anche lei non pensava al mondo esterno e, nonostante il portamento ostentasse una certa fierezza, si era racchiusa a riccio in sé stessa, per evitare di ferire o ferirsi.
Come aveva fatto anche lui. Certe cose che cerchiamo di non far trasparire vengono ugualmente a galla senza che ce ne accorgiamo, ormai lo sapeva.
La prima volta in cui s’ erano visti lei aveva il naso affondato nell’ Orestea di Eschilo, un bel librone dalla copertina in cuoio fulvo, in traduzione giapponese con il testo originale a fronte come si usa fare anche in Italia.
Quando aveva alzato la testa s’ era ritrovata di fronte lo sguardo di lui inumidito per la nostalgia e lei, mossa da chissà quale sentimento benevolo, gli aveva sorriso dolcemente e lo aveva salutato. Peccato, però, che dovesse scendere alla fermata successiva.
Da allora si erano rivisti varie volte, ma non avevano avuto occasione di diventare amici… e probabilmente neppure la voglia.
Forse perché erano anime fin troppo simili, troppo rinchiuse nel loro guscio e troppo occupate a pensare a loro stesse e alle loro priorità per aprirsi ai compagni di sventura.
Proprio a quella ragazza misteriosa stava pensando il ragazzo, quando gli amici lo fecero tornare alla realtà con l’avviso del loro arrivo.








Angolo dell' Autrice.
Whoa, sono tornata. L' avevo pure detto (In "
The stranger and the silver garden") che presto avrei aggiornato anche questa storia, anche se come potete vedere è stato un "presto" mooolto relativo.
Che dire di questo capitolo?
Innanzitutto, se vi siete già dispiaciuti per l' assenza degli Arclight, ho cattive notizie per voi: seguiremo i ragazzi di Slash:// per un bel po' di capitoli, ma vi prometto che ci sarà un capitolo extra con i nostri numerati-complessati preferiti. U.U
Scusatemi inoltre per la brevità (i capitoli precedenti erano più lunghi), ma ho preferito dividere l' unico grande capitolo che sto scrivendo da... settembre scorso (yuppi) in due, per non compicarvi/mi la vita.
(La mia scrittura ultimamente ha sfondato i limiti del "ciceroniano", sappiatelo. D:)
Spero di aver reso bene il carattere di questi bimbi e.. mboh, se vi ricordate ancora della mia esistenza sappiate che ogni parere sarà bene accetto, ma se volete entrare nelle mie grazie venite con me ad offrire ecatombi al povero Ludo Ariosto che sta ancora bestemmiando lassù nel cielo del Sole(?).
 (È da novembre che sono in fissa con il genere cavalleresco, venite a soccorrermi.)
See ya!
-ONO
PS: Ricordate i fiorellini citati nello scorso capitolo? E ricordate che avevo annunciato che avrebbero fatto parte di una storia? 
No?
Vabe', nel caso vogliate ficcanasare, ve la linko qui: "
Fifteen Flowers on the Wall".


 

[1] "La vita non è altro che un'ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e si dimena nella sua ora sul palcoscenico, e poi non se ne sente più nulla..." [William Shakespeare, Macbeth, Atto V, scena V]
[2] Riferimento alla morte di Isabella, principessa di Galizia, nell’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto.
[3] Entrambe canzoni dell’artista francese ZAZ.

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