In dieci giorni

di Laylath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Trovare la pace con se stessi. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. Un gesto necessario ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. Fedeltà e disperazione. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. Rabbia e preoccupazione. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. Menzogna e sorpresa. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. Paura e confessione ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. Castello di carte. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. Il posto di ciascuno. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. Ultimi preparativi ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. L'operazione Prova di fedeltà. Parte 1 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. L'operazione Prova di fedeltà. Parte 2 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11. Il senso della giustizia. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12. Il folle filo del rasoio. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. Il valore di una bandiera. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14. Disposizioni prima della battaglia ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. Scontro finale. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. Giungere in cima. ***
Capitolo 18: *** Epilogo. Il giorno dopo il decimo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. Trovare la pace con se stessi. ***


Prologo. Trovare la pace con se stessi.



Giorno 0.

 
Era in pace con se stesso, o almeno cercava di convincersene. 
Roy Mustang aprì gli occhi neri e fissò il soffitto bianco sopra di lui, illuminato dalla luce perennemente accesa del corridoio della prigione di Central City. Cercò la piccola macchia d’umidità, poco vicino alla parete, che spezzava la monotonia di quella tinta unita e gli parve che negli ultimi giorni fosse aumentata di qualche centimetro.
La sua schiena protestò, emise un lieve gemito e quel suono parve rimbombare nella cella.
La cosa fu quasi sorprendente: il rumore dei prigionieri di giorno era così assordante e continuo che sembrava impossibile avere un attimo di tregua e poter sentire perfettamente un suono così debole.
Emise un altro mormorio, mentre guadagnava la posizione seduta e, ancora una volta, fu il rumore più forte tra quelli presenti nella cella. Sembrava che di notte tutti cercassero di fare il minor rumore possibile, forse per dimenticare dove si trovavano.
Fissò con rassegnazione le sbarre, cercando di indovinare quante persone fossero rinchiuse in quel corridoio: almeno un centinaio di sicuro. Un sovraffollamento inusuale, certo, ma questo significava che non c’era l’intenzione di trattenerli per molto.
In questo la democrazia non si stava dimostrando molto dissimile dalla dittatura che Amestris aveva conosciuto fino a nemmeno un anno prima: eliminare gli elementi che potevano mettere in pericolo il governo. Un procedimento decisamente militare più che democratico, ma forse era necessario.
Effettivamente la nuova amministrazione non si sarebbe potuta considerare stabile fino a quando ci fossero state figure ingombranti e scomode come l’Alchimista di Fuoco. Simbolo di un passato troppo vicino che dunque poteva tornare; personaggi di cui un paese in pieno assestamento non aveva assolutamente bisogno, i militari come lui dovevano sparire, specie quelli che avevano partecipato ad Ishval.
Ecco la scusa, il casus belli con cui giustificare tutte quegli arresti, la maggior parte dei quali si sarebbe trasformata in esecuzioni: quanto era accaduto ad Ishval era una macchia che nessuno avrebbe mai potuto cancellare; dunque perché non usarla a favore del nuovo governo?
Oh certo, sapendo quello che c’era stato dietro quella guerra di sterminio, una persona si sarebbe sentita in dovere di rivedere i fatti sotto una nuova luce.
Ma non era il suo caso.
Aveva ucciso migliaia di persone con la sua alchimia del fuoco: poteva ancora sentire le loro urla, i loro corpi che bruciavano… quel caldo insopportabile che andava a sommarsi al clima desertico. Era stato un mostro che poi gli altri avevano chiamato “eroe”. Ed il peso di quella guerra, ora che la lotta contro gli homunculus era finita, ora che aveva portato la pace nel suo paese, si faceva sentire sempre di più.
Del resto non era quello a cui avevano sempre aspirato lui e Riza?
Un mondo dove non si sarebbe più ripetuto un orrore simile, un paese finalmente giusto, con un Parlamento al posto del Comandante Supremo ed il suo consiglio di generali corrotti dalla promessa dell’immortalità.
Dove l’esercito sarebbe stato presente solo per difendere i confini da nemici terreni e reali.
E se il prezzo da pagare doveva essere la sua condanna… beh, ne valeva la pena.
In fondo cercava l’espiazione dei peccati del passato: avrebbe accettato l’inevitabile condanna a morte con serenità. Era un qualcosa che aveva messo in conto sin da quando aveva deciso di tentare quella folle scalata verso il vertice, con Hughes e Riza a sostenerlo. Alla fine era andata in maniera leggermente diversa da quello che si erano aspettati: homunculus e alchimia erano penetrati nella loro tormentata storia, portandoli a collaborare con persone straordinarie ed inaspettate. Ma il risultato l’avevano ottenuto: una democrazia, un sistema di governo che avrebbe protetto la gente.
Anche Hughes avrebbe capito, ne era certo… non era diventato Comandante Supremo e sarebbe stato presto condannato, ma andava bene così.
 
“Etciù!”
Quel lieve starnuto lo scosse dalle sue riflessioni.
Girandosi verso l’angolo destro della cella, da dove era provenuto quel suono, Mustang vide il sergente Fury raggomitolarsi ancora di più su se stesso, cercando di proteggersi dal freddo di quel pavimento. Quando avevano proceduto all’arresto della sua squadra, in maniera così improvvisa, Fury indossava solo la camicia a maniche corte: quando era impegnato a lavorare alla sua radio tendeva a levarsi la giacca della divisa e così, in quelle notti autunnali, soffriva il freddo in maniera particolare.
Con un sospiro il colonnello si alzò e andò a sedersi accanto al suo sottoposto.
“Ti prenderai un raffreddore, sergente; – mormorò levandosi la giacca e drappeggiandola su quella figura dormiente – devi prenderti maggior cura di te stesso.”
Al contatto di quella stoffa calda sulle braccia scoperte, il ragazzo emise un lieve mormorio e parve calmarsi. Le sue mani si mossero lievemente, alla ricerca di qualche componente di una radio immaginaria: trovarono invece i pantaloni del suo superiore e vi si aggrapparono, come avrebbe fatto un bambino. Notando un lieve rossore intorno agli occhi, dietro le lenti, Mustang capì che il ragazzo aveva pianto anche quella sera.
Quante volte l’aveva fatto in quei giorni di prigionia? Tante, ma ogni volta in maniera silenziosa e quando credeva di non essere visto dai suoi compagni… voleva sempre apparire coraggioso per non far preoccupare gli altri, anche quando era chiaro che se la stava facendo addosso. Aveva tanta paura di morire.
E, oggettivamente, non era giusto che quel ragazzino di ventidue anni, con tutta la vita davanti a sé, venisse condannato, pagando per una colpa che non era sua. L’unica cosa che si poteva rimproverare a quel giovane era di aver seguito fedelmente il suo superiore, sfidando per lui la morte e pericoli che non avrebbe mai dovuto affrontare. La sua colpa era essergli stato leale fino all’ultimo.
E continuava quella prova di lealtà con encomiabile coraggio, nascondendo come poteva paura e lacrime, al contrario di diverse persone, molto più grandi di lui, che stavano in altre celle di quel braccio della prigione.
Posando una mano su quella chioma dai dritti ciuffi neri, Mustang pensò che una sorte simile stava toccando anche ad altre tre persone dentro quella cella.
 
Guardando dal lato opposto rispetto a dove si trovavano lui ed il sergente, vide Havoc e Breda che dormivano schiena contro schiena, come due veri compagni d’armi. Quei due erano amici per la pelle sin dall’Accademia, ma, da quando erano in squadra con lui, Mustang non li aveva mai visti esporsi in una dimostrazione così palese del loro legame fraterno. Perché quelle due schiene che riuscivano ad adattarsi l’una all’altra, nonostante la differenza d’altezza, esprimevano non una necessità fisica per dormire decentemente, ma una sorta di protezione emotiva l’uno per l’altro: un contatto fisico che si permettevano per affrontare, ancora una volta insieme, quell’ultima fatidica prova.
Ad Havoc erano finite le sigarette già da due giorni e la guardia non aveva acconsentito a procurargliene altre: se l’avesse fatto per lui l’avrebbe dovuto fare per decine di altre persone. Ma per il biondo la mancanza del suo rotolo di tabacco era veramente intollerabile, per quanto cercasse di starsene tranquillo. Del resto Havoc aveva parecchio da recriminare su quella situazione: aveva ripreso l’uso delle gambe da poco più di tre mesi, grazie alla pietra filosofale del dottor Marcoh, e l’avevano buttato in quella cella. Che senso aveva riprendere a vivere se tutto doveva finire in breve tempo?
Sì, anche questa era un’ingiustizia.
Havoc borbottò qualcosa mentre un broncio appariva nei bei lineamenti e, quasi automaticamente, Breda si mosse e nel sonno diede una lieve gomitata al fianco dell’amico.
“Smettila…” mormorò il sottotenente rosso; e a quelle parole Havoc si calmò e riprese a dormire.
Due persone complementari come loro non le aveva mai viste. Come facesse Breda, così intelligente e scaltro, ad avere come miglior amico quel biondo fuori di testa era ancora un mistero. Già, Breda… a lui avevano levato il buon cibo, ma non se ne lamentava: ora che Havoc era in crisi d’astinenza era lui che cercava di mantenere la tranquillità in quella cella affollata dall’intera squadra. Lo faceva a modo suo, a volte con discrezione, a volte con qualche battuta, a dimostrazione di quanto fosse capace di gestire la situazione. Era lui che spesso si prendeva cura degli altri, specie di Fury.
Havoc era senza dubbio una personalità più forte, forse il naturale leader dopo Mustang stesso, ma aveva bisogno di Breda a coprirgli le spalle e a consigliarlo… a fornirgli la sicurezza di cui necessitava.
Un braccio ed una mente perfetti. E tra qualche giorno tutto sarebbe finito: perché uno era rimasto ferito da un homunculus e l’altro aveva girato metà paese dietro suo ordine… tutto per il loro superiore.
Mustang spostò la sua attenzione all’altro lato della cella, davanti a lui e Fury: ecco infine Falman, la sua discreta enciclopedia vivente. Così diverso da tutti gli altri soldati… con una memoria prodigiosa ma poco senso dell’azione: a volte sembrava che il maresciallo vivesse in un mondo tutto suo, fatto di nozioni, archivi, dossier. Probabilmente era in quella realtà alternativa che si era rifugiato in quei giorni di prigionia, parlando pochissimo e solo su richiesta; a Fury avevano portato via la radio, ad Havoc le sigarette, a Breda il cibo… ma a Falman non avevano potuto portare via la sua memoria. Ed ora scappava dalla realtà il più possibile, magari ripetendo chissà quale voce sconosciuta dell’enciclopedia: perché più era difficile da ricordare più a lui piaceva. Una personalità sorprendente e allo stesso tempo delicata… eppure Mustang non aveva esitato a metterlo a guardia di Barry the Chopper, certo che se la sarebbe cavata. Perché Falman, nonostante tutto, era estremamente affidabile e indispensabile a lui e alla squadra: persino i silenzi, a volte, potevano costituire un conforto.
Falman: l’uomo che aveva rischiato di perdere nel freddo nord e che, invece, con incredibile lealtà era tornato da lui, sfidando le ire del Generale Armstrong. Chissà come se la cavava quella donna nella sua fredda parete di Briggs, dove il nuovo governo le aveva concesso di tornare assieme ai suoi uomini.
Nonostante tutto, la democrazia non si poteva permettere di scherzare con un vicino così pesante come Drachma.
E Falman avrebbe potuto essere nel nord in quel momento… ed invece era in quella cella a spartire il destino del superiore che avrebbe seguito fino in fondo.
 
No, non era in pace con se stesso e ora sapeva il perché.
C’era una profonda ingiustizia nella condanna che avrebbero subito i suoi uomini. Loro l’avevano sempre seguito perché credevano davvero che lui avrebbe cambiato le cose in meglio: in questa loro speranza non era compresa quella fine così cattiva. Avevano tutto il diritto di vedere Amestris rinnovarsi, continuare a lavorare per realizzare questo sogno.
E tutti loro non avevano preso parte ad Ishval: avevano l’anima pulita sotto quel punto di vista.
Avevano il diritto di vivere.
 
Un lieve cigolio lo fece voltare e vide che il tenente Hawkeye aveva cambiato posizione nella piccola branda dove dormiva. Nella cella c’era solo quel posto per sdraiarsi e tutti avevano insistito che fosse il tenente ad occuparlo.
Roy sospirò: sulla donna non poteva dire niente. Non poteva parlare di ingiustizia per la condanna che avrebbe subito pure lei. Lo portavano nel cuore il peso di tutte quelle morti, forse lei in maniera peggiore… perché aveva visto nel mirino ogni singola persona che aveva ucciso. L’alchimia del fuoco ne aveva certo ammazzato molti di più, ma era un insieme indistinto ed in qualche modo miracolosamente impersonale. Ma per un cecchino come Riza questa grazia non era concessa.
Da quando era iniziata a girare la voce di un loro possibile arresto, la donna si era rifugiata in un silenzio sempre più profondo. Ma non era qualcosa dettato dalla paura: era come se stesse iniziando ad intravedere una luce in fondo ad una galleria. Lei stava aspettando da anni un’espiazione delle sue colpe e sembrava che in quegli ultimi giorni fosse per la prima volta in pace con se stessa.
Ora che dormiva pareva la solita Riza, ma quando era sveglia sembrava di avere a che fare con una creatura eterea. I suoi uomini erano molto preoccupati per questa calma così surreale: il tenente che conoscevano avrebbe cercato in tutti i modi di portarli fuori da lì e, in ogni caso, non avrebbe mai avuto un atteggiamento simile. Tuttavia, dopo qualche giorno, erano arrivati ad accettare e rispettare quel volontario isolamento… ma solo Roy poteva capirlo. Quello che avevano passato insieme lo rendeva perfettamente consapevole che la ragazza portava dentro di sé il peso di tanti peccati, volontari e non.
Non era bastato bruciare in parte il tatuaggio sulla sua schiena, cancellando per sempre i segreti dell’alchimia del fuoco: il senso di colpa per avergli permesso di conoscere il segreto di quella ricerca non sarebbe sparito. I bei sogni che aveva condiviso con lei davanti alla tomba del maestro Hawkeye l’avevano in qualche modo traviata, certo, ma la volontarietà della maggior parte delle azioni che aveva compiuto in seguito era innegabile.
No, per lei non avrebbe potuto fare niente, anche perché non gliel’avrebbe mai permesso.
 
Fury si mosse lievemente, accentuando la presa sui pantaloni del colonnello.
“E’… è il microfono…” balbettò.
Persino nei suoi sogni quel ragazzo non riusciva a fare a meno della sua amata radio…un pensiero che riuscì a far sorridere Mustang.
Fu in quel preciso momento che prese una decisione.
Ho ancora un dovere da compiere nei confronti di queste persone.

 



_________________
NdA.
Premetto che questa sarà l'unica nota che metterò, perché non credo ci saranno bisogno di spiegazioni nei capitoli successivi.
L'idea di questa ff nasce dopo che ho letto il racconto di Finn_the_raccoon "Democrazia sanguinaria". What if...? di quel tipo ne avevo letto anche altre, ma quella mi ha colpito in maniera davvero particolare (quindi Finn, ti ringrazio profondamente per averla scritta). 
Tuttavia la mia ff, per quanto nasca in uno scenario che molti hanno ipotizzato, specie per Riza e Roy, con me prenderà una direzione diversa. Già dal prologo potete capire come parta da un momento differente i soliti inizi.
Per il resto, che l'altra ff che sto scrivendo mi perdoni, ma dovrà condividere la mia attenzione con questa... che mi stava chiedendo prepotentemente di uscire.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. Un gesto necessario ***


Capitolo 1. Un gesto necessario.



Giorni 1-2

 
Il giorno dopo era da poco passata l’ora di pranzo quando la guardia che in quei giorni si era occupata di portare il cibo si accostò alla cella e, controllando i fogli che aveva in mano, disse:
“Sergente Maggiore Kain Fury, preparati. Tra cinque minuti verranno a prenderti per il processo.”
A quelle parole sulla cella piombò un silenzio mortale: gli sguardi di tutti si spostarono sul ragazzo che si era lentamente alzato in piedi nel sentire chiamare il suo nome. Era completamente sbiancato in volto e cercava di controllare il tremito del labbro inferiore.
“Come sarebbe? – chiese Havoc, andando verso la guardia – Ci processate separatamente?”
L’uomo fu evidentemente sorpreso di quello scatto d’ira del sottotenente, tanto che indietreggiò di un passo. Si vedeva che non si era ancora abituato a dover trattare con tutti quei militari che, fino a qualche tempo prima, erano suoi collaboratori e non certo prigionieri.
“Sì, signore: – ammise infine – per le squadre di persone, uhm, illustri come la vostra è stata decisa una procedura speciale. Verrete chiamati uno alla volta.”
“E secondo te questo ragazzino riesce a dire qualcosa? – chiese Havoc, sempre più irato, indicando il suo angosciato compagno – Cazzo! Non lo vedi che è terrorizzato?”
“Signore, non sono io a decidere…” cercò di spiegare la guardia.
“Calmo, Havoc: – intervenne Mustang, facendosi avanti con aria seccata e posando una mano sulla spalla del biondo – lascia fare a me. Dimmi, secondino, è previsto che gli imputati abbiano un avvocato?”
“Sì, signore. Un avvocato d’ufficio che verrà fornito…”
“Sciocchezze. Sono il diretto superiore di questo ragazzo e dunque è mio diritto e dovere essere presente al processo: sono io il suo difensore ufficiale.”
“Eh? Ma signore… io non so se…”
“Oh, non ti preoccupare. Sono sicuro che non ci saranno problemi in merito”
 
Mentre camminavano per i corridoi della prigione, in mezzo a diverse guardie, Fury sospirò di sollievo. Il colonnello procedeva accanto a lui con passo deciso, come se si trattasse di una normale giornata di lavoro… se non fosse stato per le manette che stringevano i polsi di entrambi.
La sicurezza che emanava Mustang era tale che il sergente se ne era sentito in qualche modo contagiato ed era riuscito a ricacciare indietro tutte le lacrime: accompagnato dal suo superiore sarebbe riuscito ad affrontare con dignità quel processo e la conseguente condanna.
Certo, era terrorizzato all’idea di morire: si chiese per la centesima volta se fosse molto doloroso e se dopo la morte ci fosse qualcosa. Non aveva mai visto esecuzioni capitali, ma sapeva che durante le impiccagioni qualche volta si moriva subito, altre volte no… sperava che, nel caso, a lui e ai suoi compagni toccasse una morte rapida e indolore. Insomma doveva spezzarsi subito il collo e…
Oh mamma, spezzarsi…
Un sussulto involontario gli sfuggì dalle labbra.
“Fury, schiena dritta e sguardo in avanti” gli ricordò Mustang, distogliendolo da quei pensieri così cupi e morbosi.
Immediatamente il ragazzo si raddrizzò, arrischiandosi a lanciare un’occhiata al suo superiore: Mustang guardava davanti a sé, il bel viso imperscrutabile. Aveva imposto la sua volontà e dunque sarebbe stato presente come avvocato d’ufficio ai processi di tutti i suoi sottoposti.
Era in qualche modo confortante sapere che, fino all’ultimo, il colonnello si sarebbe preso cura di loro.
 
“Caso numero 436: Amestris contro Kain Fury, sergente maggiore del precedente regime dittatoriale. Sottoposto dell’alchimista di fuoco, colonnello Roy Mustang.”
Fury annuì lievemente e fece un passo avanti per presentarsi alla giuria.
Dietro di lui, Mustang analizzava rapidamente l’ambiente. Si trovavano in una grande sala, probabilmente una mensa, che era stata risistemata per l’occasione. Erano entrati da un ingresso laterale e le guardie li avevano condotti fino a una balaustra di legno che separava gli imputati dal banco della giuria. Dietro di loro c’erano invece diverse panche di legno, occupate da decine di civili e funzionari del nuovo governo: si vede che i processi della sua squadra attiravano parecchio l’attenzione generale.
Squadrò con occhio critico la giuria che aveva davanti: uno sedeva al centro di un lungo tavolo di legno e probabilmente era il giudice principale, incaricato di condurre il processo. La faccia di quell’uomo non gli piaceva per nulla: sicuramente aveva fatto a spintoni con altri per poter essere il giudice della squadra del grande eroe di Ishval.
Questo si mangerebbe Fury in un sol boccone…
Le altre facce, nove in tutto, erano abbastanza variabili. Alcuni sembravano annoiati da quella situazione: sicuramente erano quelli che partecipavano quasi tutti i giorni a processi di questo tipo.
Condannare a morte le persone vi sta annoiando? Oggi vedrò di venirvi incontro.
Altri, una piccola minoranza di tre uomini, sembrava sinceramente intenzionata a dare giustizia ad Amestris. Lo notò dalle loro facce: erano abbastanza perplessi nel vedere la giovane età di Fury, accentuata dal fatto che non aveva nemmeno la giacca della divisa, ed il suo viso così infantile e terrorizzato… probabilmente sembrava loro di dover giudicare poco più che un bambino.
“Kain Fury, – riprese la voce del giudice, distogliendo Mustang da quell’analisi – lei è accusato di aver preso parte al precedente regime militare che tanto ha devastato il nostro paese. Tra le varie accuse che pendono sui componenti dell’esercito la più grave è certamente la guerra di Ishval che ha portato al quasi totale annientamento di un’etnia”
Il giudice si fermò e fissò il sergente con sguardo malevolo, quasi aspettasse una reazione a quelle accuse che gli aveva appena rivolto. Fury lo fissava ipnotizzato, come un topo davanti ad un serpente: i pugni del ragazzo erano così serrati da essere lividi.
“Qualcuno di voi mi dice le date d’inizio e fine della guerra civile di Ishval?” chiese Mustang con noncuranza, la voce che risuonò limpida nella sala, spezzando quella tremenda tensione.
Il suo intervento provocò un mormorio di sorpresa da parte di tutti. Come era possibile che un prigioniero parlasse in quel modo? Ma alcuni avevano sguardi sospettosi: sapevano chi era e che ci si poteva aspettare di tutto da lui.
“La guerra civile è cominciata nel febbraio del 1901 – rispose uno dei giurati – e si è conclusa nell’ottobre del 1908, come tutti ben sanno.”
“Perfetto. – sorrise compiaciuto Mustang – In questa sede dichiaro il sergente maggiore Kain Fury totalmente estraneo agli eventi di quel conflitto”
“Cosa? – scattò il giudice – Come osa dire una cosa simile, colonnello Mustang? Faccia silenzio! Le ricordo che anche lei è imputato e la sua presenza qui è puramente…”
“Mi limito a dire un dato di fatto – lo interruppe Mustang, scrollando le spalle con un sorriso divertito – Perché non date un’occhiata alla scheda dell’imputato? O non vi siete presi nemmeno la briga di procurarvela? Beh, in ogni caso ci penso io a fornirvi alcune informazioni anagrafiche su di lui: è nato nel settembre 1893… vediamo, a inizio guerra aveva otto anni e alla dichiarazione di fine ostilità ne aveva compiuti da poco quindici. Infatti è entrato in Accademia nel 1910, a diciassette anni, come prevedeva il regolamento. Non credo che sua madre gli abbia permesso di partecipare alla guerra: avrebbe fatto troppo tardi la notte, non credete? E tu, Fury, chiudi la bocca: non guardarmi come se avessi una coda da lucertola e orecchie da gatto.”
In ogni caso successe esattamente quello che Mustang si era aspettato: il caos più totale.
Aveva capito immediatamente di trovarsi davanti al classico processo sommario, fatto per concludersi nell’arco di poche ore, dove tutti si aspettavano perfetta collaborazione da parte degli imputati… prima finivano di liberarsi di tutti quei militari, meglio sarebbe stato. Frasi come “non capivo quello che stava davvero succedendo” o “eseguivo solo gli ordini” potevano essere gestite senza troppi problemi: quelle erano davvero scuse.
Ma sbattere in faccia l’oggettiva realtà dei fatti aveva avuto la capacità di gettare in piena crisi la serissima aula di tribunale.
Avevano commesso un grosso errore arrestando tutta la sua squadra e generalizzando le accuse. Impostato in maniera differente e con diverse imputazioni, il processo contro il sergente poteva davvero portare a qualche castigo, anche se non certo la condanna a morte… ma per come si erano messe le cose, Mustang nutriva rosee aspettative per ottenere la totale assoluzione.
E sono appena all’inizio…
 
Per la prima volta da quando erano iniziati i processi, il caso venne rimandato alla mattina successiva, quando il sergente sarebbe stato interrogato senza la presenza del suo superiore.
Ma a parere di Mustang, ormai, i giochi erano fatti: la parte buona della giuria e diversi altri ormai erano nettamente a favore del ragazzo e solo una minoranza si ostinava a volerlo incriminare… ma si capiva chiaramente che lo faceva per recuperare la dignità che le sue dichiarazioni avevano distrutto.
Quando rientrarono in cella, dopo che il secondino ebbe levato loro le manette, l’alchimista si sedette con aria compiaciuta sulla branda.
“Signore! – esclamò Fury accostandosi a lui, mentre si massaggiava lievemente i polsi liberi dalle manette – Lei… lei non doveva fare tutto questo!”
“Che cosa è successo?” chiese Havoc, avvicinandosi insieme a Breda e Falman.
“Diciamo che ho fatto ragionare la giuria; ed il sergente è sulla buona strada per essere assolto” dichiarò Mustang.
Subito sui volti dei suoi uomini comparvero dei sorrisi compiaciuti, i primi dopo quei giorni di prigionia. Sembrava quasi di essere tornati ai vecchi tempi, ma il sergente non condivideva lo stesso entusiasmo.
“Colonnello, – ribadì seriamente – lei non doveva assolutamente addossarsi tutte quelle responsabilità!”
“Ho semplicemente detto la verità, Fury. – spiegò Mustang a beneficio degli altri – Tu, per ovvie questioni anagrafiche, non hai mai preso parte alla guerra civile”
Il giovane pestò un piede a terra, in un gesto esasperato.
“No! Non quello! Signore… lei non doveva dire che io non sapevo niente e che lei mi ha manipolato!”
A quelle parole Breda e gli altri capirono quanto era successo e intuirono anche quali fossero state le intenzioni del loro superiore: addossandosi tutte le responsabilità delle azioni di Fury, Mustang intendeva liberarlo da qualsiasi accusa. Ma in questo modo andava ad aggravare la sua situazione non proprio felice: allo sterminio, e al complotto contro il precedente regime, perché in quel frangente era così che appariva la lotta contro Bradley, si andava ad aggiungere la corruzione di un giovane soldato.
“Ha detto davvero questo?” chiese Breda, rivolgendosi a Fury
“Sì! – si disperò il ragazzo, portandosi le mani nei capelli neri, come se ora il colonnello venisse condannato per colpa esclusivamente sua – Ma perché non ha lasciato che mi prendessi le mie responsabilità, signore? Ero perfettamente consapevole di quello che stavo facendo e non…”
“Tu ovviamente non dirai nulla di simile domani, quando ti interrogheranno” lo fulminò Mustang, abbandonando l’aria compiaciuta e squadrando il ragazzo.
“Come? Certo che dirò la verità, colonnello! Non potrei mai…”
“E no, sergente! – Mustang si alzò in piedi e si portò davanti a lui, incombendo minacciosamente. Dannazione, quella era una faccenda a cui doveva provvedere: se Fury contraddiceva le sue dichiarazioni mandava all’aria tutto quanto. – Tu domani, davanti a quegli scemi, confermerai quanto ho detto in aula, parola per parola. Non voglio sentire discussioni in merito!”
“Non lo farò! – si ostinò Fury, cercando di sostenere l’occhiata di fuoco del suo superiore; un gesto di sfida che nessuno gli aveva mai visto fare fino ad allora – Io non posso mentire così su di lei, colonnello! Dirò loro la verità, la semplice e limpida verità! Dovranno credermi!”
“Idiota! – iniziò Havoc – Non capisci che sta cercando di tirare almeno te fuori dai…”
La frase venne interrotta dal rumore dello schiaffo.
I secondi trascorsero pesantemente, mentre Breda, Havoc e Falman fissavano la scena con un misto di incredulità e imbarazzo.
Mustang teneva ancora il braccio teso dopo aver colpito il sergente: il suo volto era carico di rabbia nei confronti del ragazzo, come mai era successo prima. Fury si portò la mano sulla guancia arrossata, gli occhiali leggermente storti per l’impatto subito dal viso. Gli occhi scuri iniziarono a luccicare per le lacrime che, dopo qualche istante, iniziarono a scorrere sulle guance.
“Te lo ripeto solo un’altra volta, Fury. – disse Mustang impassibile e spietato – Tu domani confermerai quanto ho detto in aula poco fa. Non ho bisogno della tua stupida prova di lealtà, ragazzino”
Fury non rispose, ma si coprì il viso con le mani ed iniziò a singhiozzare disperatamente, lì, davanti al suo superiore. Gli altri rimasero indecisi per qualche secondo se intervenire o meno, considerato che il colonnello stava ancora guardando con rabbia il sergente. Ma prima che potessero fare qualche gesto, intervenne la persona che fino a quel momento era stata in disparte.
Riza passò con calma tra Havoc e Falman e si portò accanto a Fury. Dopo aver lanciato una rapida occhiata al colonnello, la donna abbracciò il soldato con una tenerezza infinita, facendogli posare la testa corvina sul suo petto.
“Piccolo mio, – mormorò con voce così dolce che sembrava impossibile che appartenesse al marziale tenente Hawkeye – non sai quanto le tue parole mi rendano fiera di te: sei così leale e coraggioso… fedele alle persone che ami fino all’ultimo e disposto a difenderle con tutte le tue forze.”
A quelle parole i singhiozzi del sergente si fecero ancora più disperati e si aggrappò con forza alla giacca della donna.
“Ma per quanto le tue intenzioni siano le migliori, soldatino, – continuò Riza, accarezzandogli i capelli dritti – domani devi fare quanto ti ha detto il colonnello. Tu devi vivere, Fury. Sei così giovane e hai tutta la vita davanti a te: tu andrai avanti, ti sposerai, avrai una bellissima famiglia… e la tua adorata radio. – riuscì a sorridere e ad accennare una lieve risata – E vedrai questo paese rinnovato… e con la tua grande volontà contribuirai a renderlo migliore.”
“Non posso! – pianse il ragazzo con la voce soffocata dall’avere il viso nascosto nella divisa di lei – Non… non posso andare… avanti senza… di voi!”
“Sssh, certo che puoi, soldatino. Sembra così difficile adesso, ma vedrai che ce la farai. Come quando sei arrivato da noi e non sapevi come fare: un passo alla volta. Ti prego… tu non sai che sollievo mi darebbe saperti fuori di qui, senza nessuna condanna.”
“Ma sì, piccoletto. – intervenne Breda, andando accanto a loro – Tutti noi vogliamo che tu ti salvi”
“Sarebbe davvero importante per noi, Fury. – gli fece coraggio Falman – Fatti forza: andrà tutto bene.”
Lui ed Havoc si accostarono al gruppetto e si prodigarono per confortare il giovane soldato. C’era un sincero sollievo nelle loro parole e nei loro gesti: erano davvero felici di sapere che almeno il piccolo della squadra avrebbe evitato quella sorte orribile. Altre persone sarebbero state gelose e contrariate da quell’avvenimento che stava salvando un'altro e non loro stessi, ma la loro amicizia, la loro lealtà, superava abbondantemente simili sentimenti.
Mustang rimase in disparte ad osservare quella scena: la mano con cui aveva schiaffeggiato il ragazzo gli faceva male… bruciava. Colpire Fury era stato come dare un calcio ad un cagnolino che ti ha sempre seguito, fedele e fiducioso, ma era stato un gesto necessario. Avrebbe voluto avvicinarsi a quel gruppetto e confortarlo pure lui, ma era meglio mantenere un atteggiamento contrariato nei suoi confronti, per convincerlo ulteriormente su quanto doveva fare il giorno successivo.
Che pianga, si disperi… che sfoghi ora le sue lacrime. Che arrivi ad odiarmi! Ma domani quel ragazzo deve essere assolto, a tutti i costi!
 
Il giorno successivo Fury si trovava seduto ad un tavolo, davanti a una rappresentanza della giuria del giorno precedente. Se fosse stato attento, il ragazzo si sarebbe reso conto di tanti piccoli dettagli che facevano capire come le intenzioni di quasi tutti fossero di assolverlo. In primis non era stato ammanettato quando erano venuti a prenderlo in cella, ma solo scortato da due guardie. L’avevano condotto in una stanza più piccola rispetto a quella dove si era tenuto il processo e sembrava che si stesse ascoltando un testimone più che un imputato. La verità era che praticamente tutti avevano creduto a quanto detto da Mustang il giorno prima.
Quella mattina la maggior parte dei giurati si stava chiedendo come avevano anche solo potuto pensare che quel ragazzino che sedeva davanti a loro, con disperata apatia, potesse essere stato capace di seguire volontariamente e consapevolmente un uomo come Mustang.
Fury effettivamente si presentava peggio del giorno precedente: aveva un aspetto sconvolto, gli occhi arrossati per il gran piangere e, soprattutto, aveva il cuore gravato da un tremendo senso di colpa. Ma tutti pensavano che quel ragazzo fosse solo terrorizzato da quanto stava succedendo.
“Sergente Fury – gli disse un uomo con voce tranquillizzante – le accuse contro la sua persona sono state riviste in camera di consiglio. Effettivamente non le può essere imputata alcuna colpa sulla guerra civile del 1901-08 e su questo le chiediamo scusa. Su di lei restano solo le accuse di aver collaborato con l’alchimista di fuoco nel complotto contro il defunto comandante supremo King Bradley…”
Era un homunculus e loro volevano ucciderci tutti!
“Tuttavia il colonnello Mustang ha dichiarato che lei non era assolutamente consapevole delle sue reali intenzioni e che, sin dall’inizio, ha sfruttato la sua buona fede per ottenere la sua collaborazione…”
E’ una bugia! Sapevo esattamente quello che stavo facendo… sapevo che il colonnello voleva cambiare il paese in meglio e io ero disposto a seguirlo ovunque! Non mi ha mai mentito, non mi ha mai tenuto nascoste le sue ragioni… perché lui voleva che lo seguissimo per quello che era!
“… pertanto le chiediamo di confermare o meno questa versione dei fatti. Se le cose sono andate come ha detto il colonnello, qualsiasi accusa su di lei cadrà e verrà rilasciato”
State sbagliando, state tutti sbagliando…
“Sergente?” lo chiamò con gentilezza uno dei giurati
“S… sì?” Fury alzò lievemente lo sguardo, gli occhi pieni di lacrime
“Conferma che è stata esclusivamente colpa del colonnello Mustang?”
Colpa di che cosa? Lui ha salvato il paese, ci ha dato speranza… ha avuto il coraggio di riconoscere i suoi peccati e cercare di porvi rimedio! Perché lo state processando? Perché mi state chiedendo di tradirlo in questo modo? Perché devo essere proprio io a condannarlo?
“Lo conferma?” chiese di nuovo la voce
No! Non lo confermo! Lui è innocente! Lui è un eroe e tutti voi dovreste dirgli grazie! Lui… mi sta salvando la vita a discapito della sua. Non posso… non posso…
“Sì… - le sue labbra si mossero passivamente, seguendo l’ultimo ordine del colonnello – confermo”
“La giuria allora assolve l’imputato da tutte le colpe a suo carico. Sergente maggiore Kain Fury, lei viene rilasciato seduta stante”
Il ragazzo emise un gemito e poi scoppiò a piangere tanto che uno dei giurati, intenerito, si alzò dalla sedia e andò a posargli una mano sulla spalla.
“Coraggio, giovanotto, è tutto finito. Come puoi vedere la giustizia fa sempre il suo corso… posso capire queste lacrime di sollievo”
Ma non erano lacrime di sollievo. Il cuore del sergente era più pesante che se l’avessero condannato a morire venti volte: anche se non era davvero colpa sua, si sentiva come il peggiore dei traditori, un’orrenda pecora nera che aveva appena consegnato ai lupi il proprio amato pastore.
Non doveva finire così… non doveva!
Sentiva il rumore di sedie spostate, di voci attorno a lui, ma era come se provenissero da lontano.
Qualcuno lo incitò ad alzarsi dalla sedia, ma quando ci provò sentì le gambe cedergli improvvisamente.
E dopo un lieve senso di vertigine più nulla.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. Fedeltà e disperazione. ***


Capitolo 2. Fedeltà e disperazione.

 

Giorni 2-3


La notizia che il sergente era stato assolto in piena formula fu riferita all’alchimista di fuoco e al resto della sua squadra qualche ora dopo. Mustang annuì compiaciuto: il suo piano aveva iniziato muoversi nel verso giusto e una delle fasi più delicate era stata portata a termine. Aveva avuto qualche incertezza quando aveva saputo che Fury sarebbe stato ascoltato da solo: aveva temuto fino all’ultimo un inaspettato colpo di testa del ragazzo, dettato dalla sua incrollabile, onesta e ingenua fedeltà. Ma, fortunatamente, nonostante quell’accenno di ribellione il giorno prima, Fury si era dimostrato docile come al solito ed aveva eseguito l’ultimo ordine che gli aveva imposto.
Si concesse un sospiro di rammarico nel pensare che le ultime parole che aveva detto a quel ragazzo fossero state così irate. Avrebbe voluto ringraziarlo sinceramente per essere stato un soldato così leale nei suoi confronti… concedergli una stretta di mano, un’arruffata alla sua dritta chioma corvina.
Ed invece gli aveva dato uno schiaffo.
Ma nonostante tutto il sergente sarebbe vissuto e questo era l’importante.
Sarebbe andato avanti nella sua vita: se c’era una cosa che non gli mancava era l’ottimismo. La sua morte non avrebbe spezzato quell’animo così volenteroso.
Mentre vedeva i restanti suoi uomini che si scambiavano compiaciute pacche sulle spalle nel sapere che il ragazzo era libero, si accostò con noncuranza alla porta della cella, dove ancora stava il secondino.
“Ehi, amico, – mormorò, appoggiandosi alle sbarre con la schiena e fissando i suoi uomini con fare distratto – se il primo ad essere processato è stato il sergente, vuol dire che stanno procedendo dal grado più basso fino al vertice, no?”
“Esatto, colonnello” confermò l’uomo con aria perplessa.
“Perfetto. E quando sarà il prossimo processo?”
“Probabilmente domani stesso, signore”
“Grazie dell’informazione” annuì Mustang, posando il suo sguardo su Falman.
E stanotte inizia la seconda fase del piano…
 
Quella notte, quando fu sicuro che tutti si erano addormentati, Mustang si avvicinò al maresciallo e lo scosse leggermente per la spalla. Falman emise un lieve lamento e poi si svegliò, sorprendendosi nel vedere  il suo superiore così vicino.
“Dobbiamo parlare” mormorò Roy, facendogli cenno di alzarsi e camminando fino alle sbarre della soglia.
Falman si massaggiò lievemente il collo, irrigidito per la scomoda posizione seduta che usava per dormire, e raggiunse il colonnello chiedendosi cosa potesse averlo spinto a svegliarlo ad un’ora così tarda.
“Domani tocca a te essere processato” dichiarò Mustang fissandolo di sbieco.
Il maresciallo accolse quella notizia con un cenno del capo, segno che se l’aspettava. Rimase impassibile accanto al suo superiore, senza commentare ulteriormente la notizia: come al solito preferiva nascondere qualsiasi emozione gli passasse per la testa.
Fu quindi il colonnello a continuare:
“Ho intenzione di tirare fuori di qui pure te”
“Cosa? – si sorprese questa volta Falman – Signore, un conto era Fury su cui si poteva giocare sulla giovane età, ma nel mio caso…”
“Nel tuo caso giocheremo sul fatto che, durante la guerra civile, non hai mai combattuto una battaglia. Falman, tu prima di entrare nella mia squadra hai fatto parte del reparto investigativo: non hai avuto niente a che vedere con la guerra… se non ricordo male negli anni del conflitto hai prestato servizio o ad East City o a Central, ma mai in trincea e men che meno ad Ishval”
“E’ corretto signore. – confermò Falman, tenendo basso il tono della voce – Ma questo potrebbe non bastare. E anche se venissi prosciolto dalle accuse della guerra civile, non riuscirà a far credere alla giuria che non ero consapevole dei suoi piani”
“Certo, un conto è Fury che basta vederlo per crederlo ingenuo e facile preda di una persona come lo scaltro alchimista di fuoco. – confermò Mustang – Con te, invece, mi gioco la carta di Briggs.”
“Signore?”
“Ufficialmente, mentre compivo i terribili atti contro il caro King Bradley, tu stavi con le truppe di Briggs. Se hanno lasciato fuori da questa epurazione la Armstrong ed i suoi uomini perché vogliono che qualcuno con gli attributi sorvegli il confine nord, allora devono fare lo stesso con te: non possono contraddirsi in maniera così evidente. In quel momento tu non eri al mio servizio, tutti lo possono confermare”
Il maresciallo abbassò lo sguardo con aria colpevole. In realtà quella che aveva appena detto il colonnello era una forzatura bella e buona: lui era sempre stato fedele a Mustang e quella parentesi tra le truppe di Briggs era stata voluta dallo stesso Bradley… una cosa che poi gli si era ritorta contro. Ma Falman non poteva dimenticare che, quando credeva di star per morire per mano dell’homunculus, le sue ultime parole erano state per il colonnello.
Mi dispiace tanto, colonnello Mustang… io credo che morirò qui.
Quella frase pronunciata con voce singhiozzante, quando credeva che tutto fosse perduto, risuonò nella mente di Falman.
“Signore, lei mi sta chiedendo la medesima cosa che ha imposto al sergente, vero?”
“Sì, – confermò Mustang, senza girarci intorno – ma con una differenza. A lui l’ho dovuta imporre, a te la sto chiedendo… a ben pensarci, nelle attuali condizioni di prigionia, non è che possa avanzare la minima autorità su di voi”
“Non deve nemmeno dirlo, colonnello! Non importa se adesso siamo prigionieri: la mia fedeltà nei suoi confronti non deve mai metterla in discussione!”
“Se mi sei così fedele allora posso chiederti di dare qualsiasi colpa a me domani? – gli chiese Mustang guardandolo negli occhi – Dire che non avevi idea di quanto stavo in realtà complottando e che ti ci sei trovato in mezzo senza volerlo?”
“Signore…” Falman abbassò il capo.
“Te lo chiedo adesso perché domani la giuria potrebbe essere più preparata rispetto a ieri, quando ho spiazzato tutti con il caso di Fury. – proseguì l’alchimista, spostando lo sguardo sulla lampada che stava nel soffitto del corridoio – Potrebbe essere necessario che sia tu stesso a doverti scagionare… potrebbero impedirmi di parlare liberamente, non ho nessuna certezza”
Falman rimase in silenzio a soppesare le parole che il suo superiore gli aveva appena detto. Avrebbe seguito quell’uomo fino all’inferno e sarebbe morto al suo fianco, senza alcun rimpianto. Certo, ci voleva un bel coraggio per rifiutare quell’offerta di salvezza che gli stava offrendo, ma non poteva…
“Falman, – mormorò Mustang con voce stanca, interrompendo i suoi pensieri – voi dovete vivere… per favore”
C’era una sincera richiesta nel tono di quell’uomo in genere così imperscrutabile e sicuro di sé. Il maresciallo si accorse di quanto Mustang apparisse davvero provato. La sua condanna era inevitabile, lo sapeva bene, eppure si stava adoperando fino all’ultimo per salvare tutti loro a costo di essere incolpato in maniera ancora più schiacciante.
Non poteva negargli il suo supporto in quest’ultima missione.
“Farò come desidera, colonnello” sospirò Falman, abbassando il capo in gesto di resa.
“Grazie, Falman: ho sempre saputo di poter contare su di te… su tutti voi. - sorrise sinceramente Mustang, protendendo la mano destra per stringergli il braccio - Adesso ti conviene tornare a dormire: domani sarà una giornata lunga e potrebbe dipendere tutto da te”
“Certo, signore… buonanotte” salutò mestamente l’uomo, girandosi per tornare al suo posto.
“Buonanotte, Falman” rispose il colonnello.
Non avevo dubbi: convincere Falman è stato relativamente facile.
 
Il giorno successivo Mustang si congratulò con se stesso per aver avuto la prontezza di spirito di parlare con Falman la sera precedente. La giuria infatti non era disposta ad accettare una scena analoga a quella che si era vista nel processo contro Fury e dunque l’alchimista fu ammesso in aula, ma col preciso ordine di tacere fino a quando non gli fosse stata concessa la parola.
Lui fu abbastanza accorto da seguire le istruzioni che gli erano state imposte: per salvare i suoi uomini doveva trovare il perfetto equilibrio tra accondiscendenza e faccia tosta. Tuttavia era necessario che anche gli altri facessero il loro gioco e, per fortuna, Falman seppe gestire perfettamente quella partita.
“Maresciallo Vato Falman, dalla sua scheda risulta che lei durante la guerra civile faceva parte del reparto investigativo che ha operato presso East City e Central City”
“Si, signore” confermò Falman, impassibile.
Beh, almeno a questo giro si sono premurati di procurarsi la scheda dell’imputato. – pensò Roy, poco dietro il suo sottoposto – Anche questo gioca a nostro favore… la parte buona della giuria sarà ancora favorevole all’assoluzione.
“Non avendo partecipato direttamente alla guerra, le accuse che le sono rivolte – continuò il giudice con voce calma – sono di aver complottato con il colonnello Mustang, all’epoca dei fatti suo superiore, per rovesciare il governo del Comandante Supremo King Bradley. Come si dichiara in merito a questa accusa?”
“Estraneo ai fatti, signore. All’epoca io prestavo servizio sotto il Generale Armstrong a Briggs” il tono del maresciallo era neutro e sicuro.
Ancora una volta ci fu un mormorio nella sala.
“Però era presente qui a Central il giorno della rivolta”
“Come soldato di Briggs, certamente. Ma non ebbi assolutamente occasione di rivedere il colonnello se non quando tutto fu terminato: gli uomini che comandavo assieme al Capitano Buccaneer potranno confermare quanto ho detto. Dovrebbero essere di stanza a Briggs.”
Mustang si congratulò con Falman: tirare fuori il nome di Buccaneer che, nei pochi mesi precedenti l’ascesa del nuovo governo, era stato omaggiato come un eroe, era stata una mossa brillante.
“E allora perché poi lei è tornato al servizio dell’alchimista di fuoco?” chiese ancora il giudice
Falman si irrigidì per un secondo e altrettanto fece Mustang.
“… Perché…
Perché è lui il mio superiore, - pensò Falman - non Olivier Armstrong. Perché anche se eravamo distanti centinaia di chilometri l’uno dall’altro non abbiamo mai smesso di essere una squadra e sapevamo che prima o poi saremo tornati insieme!
“… fu un ordine che venne direttamente dal Quartier Generale di Central davanti al quale nemmeno il Generale Armstrong poteva fare qualcosa. Seppi solo in seguito che era stato il colonnello a forzare quella richiesta.”
Non è vero, sono stato io a fare esplicita domanda per tornare sotto il colonnello. Era stato Bradley a separarci e, nel momento in cui è morto, qualsiasi mio legame con l’armata di Briggs è finito.
“Colonnello Mustang?” chiese il giudice, rivolgendosi all’interessato
“Confermo quanto ha detto il maresciallo. Lui sarebbe rimasto nelle truppe di Briggs, ma sono stato io a forzare il suo ritorno presso di me… non volevo che il generale Armstrong potesse vantarsi di aver preso uno dei miei soldati: semplice questione di principio” dichiarò con una calcolata e arrogante scrollata di spalle.
Dai, guardatemi pure con disprezzo… eccomi. Un uomo che pur di compiacere il proprio ego e non darla vinta ad una donna, gioca con la vita di un soldato. Convergete la vostra attenzione su di me, bravi. Ma non dimenticatevi di assolvere lui.
 
La camera di consiglio questa volta durò poco più di venti minuti, tanto che ai due imputati non venne nemmeno richiesto di uscire dall’aula. Vennero fatti sedere su due panche, una dietro l’altra.
Falman, con i polsi ammanettati, guardava impassibile la parete davanti a sé: non osava voltarsi verso Mustang. Il gesto sarebbe potuto apparire sospetto, ma soprattutto si vergognava profondamente per le parole che era stato costretto a dire: adesso capiva perfettamente cosa doveva aver provato il sergente Fury il giorno prima… un senso così opprimente di tradimento.
Cercò di scacciare quei pensieri e fissò la parete sopra il tavolo della giuria, dove era appesa la nuova bandiera di Amestris: color porpora con una grande “A” dorata al centro. Uno dei primi provvedimenti del nuovo governo era stato cambiare il simbolo del paese. Il drago argentato su fondo verde brillante era stato eliminato da qualsiasi edificio governativo: una bandiera così visceralmente legata all’esercito doveva essere dimenticata.
Ma a lui quella visione non piaceva per niente: non si sentiva rappresentato da quella bandiera… non lo rispecchiava. Quel porpora era così pesante e fastidiosamente opulento.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce del colonnello.
Nella panca dietro di lui, Mustang era seduto con la testa china, la schiena piegata: agli occhi della gente sembrava oppresso dalla consapevolezza che la sua situazione andava ad aggravarsi di processo in processo.
“Falman, trova Fury – mormorò l’alchimista ad occhi chiusi – e aiutalo a superare… insomma, hai capito, no?”
Il maresciallo fece un gesto impercettibile con la testa: sì, quella era una richiesta a cui avrebbe obbedito senza nessuna esitazione. Avrebbe trovato il suo compagno e l’avrebbe aiutato in quella difficile situazione: prendendosi cura uno dell’altro avrebbero in qualche modo mantenuto il senso della squadra.
Furono quelle le ultime frasi che i due si scambiarono, prima che la giuria assolvesse in piena formula anche il maresciallo che venne rilasciato quella mattina stessa.
Mentre una guardia gli levava le manette, Mustang gli passò accanto, scortato dagli uomini che l’avrebbero ricondotto in cella. Fu solo un fugace sguardo quello che intercorse tra i due, ma fu un saluto più che sufficiente.
 
Proprio in quei momenti Fury si svegliava in un letto d’ospedale dove era stato trasportato quando era collassato la mattina precedente. I medici attorno a lui parlarono di un crollo nervoso dovuto alla tensione di quei giorni passati in prigione e alla scarsa alimentazione che gli era stata fornita in quel posto.
Erano tutti molto gentili con lui: sembravano estremamente sollevati e felici della sua presenza in ospedale; sentiva le infermiere bisbigliare tra loro che lui era un soldato risultato innocente e dunque non sarebbe stato giustiziato come stava accadendo a troppi.
Fu quasi con rammarico che gli permisero di lasciare l’ospedale qualche ora dopo, quando furono sicuri che si era ripreso.
Uscito dall’edificio, il sergente si guardò intorno con aria smarrita.
Girandosi verso destra vide la strada che l’avrebbe condotto verso il suo appartamento: sarebbe dovuto andare da quella parte, farsi una doccia e levarsi quegli indumenti che, dopo una settimana addosso, puzzavano in maniera davvero fastidiosa. Avrebbe dovuto prendere un treno che lo conducesse via da lì, verso casa sua ed i suoi genitori, nelle tranquille campagne dell’est…
Invece i suoi piedi si mossero automaticamente verso sinistra.
Fu un’inesorabile marcia, passo dopo passo, con il cuore che diventava sempre più pesante.
Quando le strade si aprirono su quella piazza al giovane venne la nausea.
Nel lato opposto, proprio di fronte al palazzo dell’attuale governo, stava un palco di grandi dimensioni e, al centro, una forca di robusto legno scuro. La piazza era deserta: sembrava che la gente la evitasse di proposito quando non c’erano esecuzioni, quasi fosse un luogo maledetto.
Fury avanzò lentamente, una piccola figura in mezzo a quel posto così grande, ed arrivò a una ventina di metri dal palco: gli occhi scuri fissarono ipnotizzati quella grande trave verticale a cui era fissata un'altra orizzontale. Non vi era nessun cappio, quello veniva fissato il giorno dell’esecuzione…
Il palco era soprelevato di almeno quattro metri ed era come una grossa scatola: l’impalcatura sotto era nascosta da travi di legno per evitare alla gente la vista dei corpi che cadevano dalla botola. Alla folla doveva bastare quel breve attimo in cui vedevano il condannato scomparire alla loro vista: poi restava solo quella corda tesa ad annunciare la morte del malcapitato… o la sua agonia nel caso ci fossero stati strattoni al cappio. Sì, perché la morte poteva arrivare anche per soffocamento, se non si era fortunati: e allora potevano passare anche eterni minuti, mentre il corpo si dibatteva alla ricerca di aria…
Le immagini dei suoi amici che subivano tutto questo gli sfrecciarono nella mente.
Basta! BASTA!
Con un singhiozzo disperato il sergente girò le spalle e scappò via davanti a quella terribile visione.
Non poteva sopportare che, entro poco tempo, i suoi amati compagni sarebbero saliti in quel posto maledetto e le loro vite sarebbero state troncate in un modo così orrendo.
 
“E così anche Falman è libero! – commentò nel medesimo momento Havoc, tenendo tra i denti uno stecchino che era riuscito ad estorcere al secondino: se non poteva fumare, almeno aveva l’illusione di avere la sigaretta in bocca – Bel colpo, colonnello!”
“Speriamo davvero che riesca a trovare Fury: – disse Breda, passandosi una mano tra i capelli rossi – il piccoletto non era messo bene e avrebbe bisogno di un sostegno in questo momento”
“Oh, vedrete che lo troverà” li rassicurò Mustang con una scrollata di spalle. Lanciò una rapida occhiata al tenente e questi gli rivolse un pallido sorriso, accompagnato da un cenno del capo. Anche se non parlava molto anche lei era felice della liberazione di due membri della squadra.
E così anche la seconda fase del suo piano era andata a buon fine.
Adesso veniva la parte tosta: Breda ed Havoc erano i clienti più difficili e, come se non bastasse, avevano lo stesso grado. Chi sarebbe stato processato per primo? Forse Havoc, considerato che era qualche mese più giovane rispetto a Breda.
Però non poteva correre rischi.
Girandosi verso le sbarre vide il secondino che passava e sorrise.
Per fortuna c’è chi mi può procurare determinate informazioni…

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. Rabbia e preoccupazione. ***


Capitolo 3. Rabbia e preoccupazione



 
Giorni 3-4.


“Non penserà davvero di avere gioco facile anche con me, vero colonnello?” le parole di Havoc risuonarono nella cella e Mustang alzò lo sguardo con lieve sorpresa. Tuttavia si riprese quasi immediatamente e rivolse al sottotenente un sorriso di scusa.
“Sono stato così poco prudente che ti sei accorto delle mie intenzioni, Havoc?”
“L’ho capito sin da quando è arrivato a schiaffeggiare Fury” scrollò le spalle il biondo.
Era notte e nel corridoio della prigione tutto taceva come al solito. Ora che non c’erano più Fury e Falman, lo spazio era più gestibile e così ciascuno aveva maggior superficie dove accomodarsi per dormire. Tuttavia Breda e Havoc non avevano rinunciato alla loro posizione schiena contro schiena, tanto che anche Mustang si era abituato a vederli così ogni notte, trovando in quella visione qualcosa di incredibilmente giusto e naturale.
Il colonnello si stava giusto domandando come avrebbe fatto a svegliare Havoc senza destare dal sonno anche Breda, ma il sottotenente biondo gli aveva risolto il problema. Alzandosi in piedi dalla parete dove era poggiato, Mustang si avvicino alla coppia di amici e si sedette a gambe incrociate a poca distanza da loro, leggermente spostato verso Havoc: in quella posizione particolare il dialogo con il suo sottoposto non sarebbe stato un faccia a faccia.
“Perché non si è messo davanti a me, signore? – gli chiese Havoc con un sorriso – Guardi che ormai posso muovere le gambe: incrociarle per farle posto non sarebbe un problema. Così invece la devo guardare di sbieco… non posso muovere troppo la testa, altrimenti corro il rischio di svegliare Breda”
“L’ho fatto di proposito, ne avevo nostalgia: – ghignò Mustang – hai un profilo così interessante. Vederti così mi ricorda quando eravamo ricoverati assieme dopo che quell’homunculus ci aveva quasi fatto fuori”
“Allora ci gode a ricordarmi i miei fallimenti sentimentali, signore. – rispose Havoc con aria falsamente offesa, lanciandogli un’occhiata di sbieco con gli occhi azzurri che sembravano illuminati dalla bianca luce del corridoio. Poi mise la mano nel taschino della divisa e tirò fuori lo stuzzicadenti mangiucchiato, mettendoselo in bocca – Forse dovrei dire questo alla giuria, domani, non crede? La sua pena aumenterebbe di molto, mi sa”
“E che altro avresti intenzione di dire alla giuria?” chiese Mustang, mentre con la mente vedeva un filo di fumo che usciva da quello stuzzicadenti, come se fosse una sigaretta accesa.
“Che sono una massa di coglioni, dal primo all’ultimo. E che io non ho alcuna intenzione di dire qualcosa contro l’uomo che seguo da anni. Gli eventi mi hanno costretto a rimanere indietro una volta, colonnello: non accadrà di nuovo, non a questo giro”
No, non sarebbe successo. Gli era bastato il senso di impotenza che aveva provato in quel letto di ospedale.
Mi tagli fuori da tutto questo. Non sprechi più tempo con me.
Quanta sofferenza gli erano costate quelle due frasi… più di scoprire che non poteva più camminare per quella lesione al midollo spinale. Si era sentito devastato all’idea di non poter più essere utile a quell’uomo che incarnava tutte le sue speranze e i suoi ideali: il leader ideale che lui e Breda avevano trovato dopo gli anni orrendi della guerra civile.
“Havoc…” mormorò Mustang.
“Lei ha detto che mi avrebbe aspettato al vertice, signore, e l’ha fatto davvero. – dichiarò il sottotenente guardando davanti a sé – Se devo essere sincero, non è proprio il vertice che mi ero immaginato, ma ci sono. E non intendo andarmene… e, la avviso, non le conviene provare a darmi uno schiaffo come ha fatto col piccoletto: con me queste cose non funzionano”
“Saresti persino capace di restituirmelo, eh?”
“Potrebbe essere un’opzione interessante. Magari le farebbe ricordare chi è davvero e che può fare il culo a questi idioti come e quando vuole” scherzò il biondo, ma non senza una lieve nota di ironico rimprovero.
Mustang non poté fare a meno di sorridere a sua volta: Havoc era senza dubbio un osso duro, difficile da smuovere dalle suo posizioni.
Proprio la tipica ostinazione di un ragazzo di campagna, vero Havoc? Con te me la devo giocare in modo diverso. Ci sono cose con cui devo fare i conti da solo, senza voi a sostenermi.
“Non ti posso promettere un’ultima sigaretta prima dell’esecuzione, ne sei consapevole?” gli chiese dopo qualche secondo.
“Sopravviverò – scrollò le spalle Havoc, credendo di aver convinto il suo superiore a lasciar perdere l’idea di salvarlo: poi si rese conto della sciocchezza che aveva appena detto e si corresse - sopravviverò… per i successivi due minuti prima di morire. E’ poco tempo, del resto”
“Morirà anche Breda, te ne rendi conto? – dichiarò Mustang con calcolata freddezza – E’ chiaro che se tu ti rifiuti di collaborare lo farà anche lui: è troppo viscerale questa fratellanza, vero Havoc?”
Ecco l’esitazione che aspettavo. Dentro di te avevi questo dubbio, vero? Ma sentirlo da parte di un’altra persona fa apparire questa eventualità molto più reale, non trovi? Mi dispiace giocare su questo punto, sottotenente, ma mi ci hai costretto tu.
“Lui è diverso…” mormorò Havoc
“Certo, è intelligente come pochi, una delle migliori menti strategiche che abbia mai conosciuto. Ma non ti lascerà fare questa follia da solo, lo sai bene. Come ti sentirai in quel momento? Lui morirà senza nessun rimpianto, lo sai bene… ma tu?”
“Lei può convincerlo, signore, come ha fatto con Fury e Falman” disse Havoc, fissandolo con rabbia, proprio come aveva fatto in ospedale più di un anno prima.
“Certo, ma devo avere le carte giuste per convincerlo… – il colonnello resse lo sguardo di quei furiosi occhi azzurri senza esitazione – e tu sai bene qual è la carta vincente: sapere che tu sei salvo. Stanno scalando la gerarchia, Havoc: dal sergente a me. Non posso salvare Breda se salto il gradino precedente, ossia te”
“Pare quasi un ricatto, non crede?”
“Lo è? Dimmelo tu… per come la vedo io è la cosa più giusta che sto facendo nei vostri confronti. E poi mi aspetto un’altra cosa da te”
“Che cosa, colonnello?” chiese lui a denti stretti
“Tu e Breda dovete vivere e ritrovare Falman e Fury. Siete responsabili di loro, in quanto gradi più alti. Proteggetevi a vicenda fino a quando non sarete sicuri che questo governo vi lascerà in pace… Queste vostre assoluzioni che sto strappando con le unghie e con i denti potrebbero essere solo una tregua per voi. Capisci cosa voglio dire?”
E non è solo un qualcosa che sto tirando fuori per convincerti. Dovrete lottare anche quando tutta questa storia sarà finita… e dovrai essere soprattutto tu a guidare gli altri.
“Certo – annuì Havoc – e lei, signore, lo capisce?”
“Non ho più voglia di discutere, sottotenente, - sospirò Mustang alzandosi in piedi: non aveva intenzione di affrontare determinati argomenti che potevano allontanarlo dallo scopo principale di quel discorso – Dimmi solo che domani farai quello che mi aspetto da te”
“Ai suoi ordini, colonnello… e cosa vuole che dica?” chiese piatto il biondo, riprendendo a guardare davanti a se.
Mustang si risedette al suo posto e chiuse gli occhi, sentendo una grande necessità di dormire.
“La semplice verità: che tu eri ferito e non hai preso parte al colpo di stato. E, se te lo chiedono, non ne sapevi nulla”
Mi dispiace Havoc, ma non mi seguirai questa volta. Le cose sono cambiate rispetto a quel giorno in ospedale in cui ti dissi che ti avrei aspettato in cima.
 
Jean Havoc davanti a una giuria di gente di chiara estrazione alto-borghese: una scena veramente divertente. Se non fosse stato per la situazione in cui si trovavano, con tutto quello che stavano rischiando, Roy si sarebbe goduto lo spettacolo.
Havoc mancava della timidezza di Fury o dell’impassibilità di Falman: il suo disprezzo per quelle persone era stampato a chiare lettere sul suo volto, tanto che l’alchimista ebbe il timore che condannassero il sottotenente per pura antipatia verso la sua persona.
Havoc… non giocarmi brutti tiri.
“Sottotenente Jean Havoc, durante la guerra civile lei ha preso parte a combattimenti” iniziò il giudice
“Certamente, sono un soldato” rispose Havoc con malagrazia
“Nello specifico…”
“Ho combattuto prima contro le bande di ribelli che imperversavano nel settore est di Amestris: facevo parte della Squadra Falco*…” disse il biondo, senza aspettare che il giudice terminasse.
Un mormorio ammirato percorse il pubblico presente al processo, quasi un centinaio di persone: la Squadra Falco era stata una delle leggende della guerra civile e le storie su di essa erano tantissime. Ma soprattutto, c’era un dettaglio molto importante che era saltato fuori a fine guerra e che Havoc non mancò di far notare
“… dopo aver portato relativa tranquillità in quella parte del paese, il nostro capitano ci ha portato a combattere nel fronte sud contro Aerugo: disse chiaramente che non voleva che la sua squadra andasse ad Ishval”
E’ questo che voleva dicessi, colonnello? Che mentre lei faceva il cattivo in quel posto, io invece facevo parte di una squadra buona e gentile che ha rifiutato di partecipare a quella guerra? Se sapessero quanti ribelli ho ucciso durante la guerriglia…
La giuria non poteva dire molto su questo punto. Per l’opinione pubblica il ruolo avuto dalla Squadra Falco era stato fondamentale, specie per aver riportato una situazione di calma nel settore Est del paese, martoriato da bande di ribelli e vagabondi. Sotto quel punto di vista Havoc era un eroe in positivo.
“Dopo la guerra è entrato a far parte della squadra del colonnello Mustang e vi è rimasto fino ad un incidente che l’ha coinvolta poco più di un anno fa… in seguito al quale fece domanda di congedo”
Sì, un maledetto homunculus mi ha infilzato come uno spiedo e se non fosse stato per il colonnello sarei morto in quel sotterraneo. Ma io devo stare zitto su queste cose… e devo incolpare l’uomo che mi ha salvato. Che stronzata clamorosa che è questo processo… e questo governo!
“Sì – disse a denti stretti – ma poi la ferita si rivelò meno grave del previsto e il colonnello mi richiamò in servizio”
Mi richiamò per farmi usufruire della pietra filosofale… pretendendo che il dottor Marcoh curasse prima me e poi lui. Perché quel folle è fatto così: mette sempre prima gli altri… come adesso! E io a dargli retta!
Aveva una voglia tremenda di vomitare tutte queste verità davanti a quelle persone, a prescindere se l’avrebbero creduto o meno. Sentiva l’esigenza di andare a prenderli a calci uno per uno, far sparire dalle loro facce quell’aria di supponenza.
Ma lo sguardo del colonnello lo trafiggeva da dietro, lo sentiva come una pistola puntata alla schiena. Gli aveva dato la sua parola e dalle sue azioni dipendeva in maniera seria anche la vita di Breda: l’aveva messo all’angolo senza possibilità di scampo.
“Lei dunque non era presente quando il suo superiore mise in atto il suo complotto contro il defunto King Bradley?”
Oh, avrei tanto voluto esserci…
“No, non ero presente. Ero tornato a casa mia, nel distretto Est.”
La giuria rimase in silenzio, non sapendo che altro dire.
Mustang scosse il capo incredulo: un bell’esempio di giustizia, davvero. Avevano tenuto in prigione un uomo che non era nemmeno presente durante il colpo di stato, ridotto com’era in sedia a rotelle. Per giunta era anche un ex componente di un corpo d’elite amato e rispettato.
Stava per intervenire e smuovere la situazione quando venne preceduto.
“Dovete liberarlo!” disse una voce tra i presenti nella sala.
A questo sconosciuto sostenitore di Havoc se ne unirono altri: un mormorio si diffuse tra la gente ed era particolarmente seccato.
L’alchimista si riprese immediatamente e decise di sfruttare quel momento.
“Il sottotenente Havoc non ha niente a che vedere con quello che è avvenuto in questa città più di un anno fa. Fu solo dopo che si congedò che decisi di complottare contro il Comandante Supremo: lui, nelle condizioni in cui era, non poteva aiutarmi… non avevo tempo da sprecare con lui
Havoc sussultò vistosamente a quell’ultima frase e serrò gli occhi.
Bastardo! Mi ritorci contro le mie stesse parole.
“Conferma quanto detto dal colonnello Mustang? - chiese il giudice, guardando con una certa apprensione il pubblico innervosito. Ma poi batté pesantemente il martello sul tavolo – Silenzio! O l’aula verrà sgomberata: la giustizia deve fare il suo corso!”
I mormorii si fecero più radi e si ottenne un accettabile silenzio.
“Ripeto: sottotenente Havoc, lei conferma quanto ha detto il colonnello Mustang, ossia che non venne coinvolto nei suoi piani per rovesciare il governo?”
“Lo confermo…” sussurrò Havoc
“In questo caso, la giuria si ritira per deliberare”
Grazie al cazzo… giudice maledetto. Ma la tua faccia non la dimentico, fidati!
 
Le guardie erano così preoccupate dalla sala in fermento che non si curarono affatto di Havoc e Mustang.
Il sottotenente si avvicinò al colonnello con un broncio seccato sul viso.
“Si sta davvero facendo condannare da questo branco di idioti?” chiese con voce cupa
“Loro sono il mio ultimo problema, Havoc. – scosse il capo Mustang – Credi che ci impiegherei molto a sistemarli tutti?”
“E che cosa sta aspettando? Andiamo, colonnello! Tramortiamo queste guardie in due secondi e ci liberiamo delle manette: prendo le loro pistole e lei intanto fugge. – Havoc sorrise – Tempo dieci minuti e abbiamo liberato anche Breda e il tenente”
Mustang non poté fare a meno di ricambiare quel sorriso. Le parole di Havoc erano così sincere e convinte che di sicuro ce l’avrebbero fatta. Ma si costrinse a scuotere il capo.
“Non spari da diverso tempo, Havoc. E’ dall’incidente che non partecipi più ad un’azione: sei arrugginito”
“Ma per questa gente ci vuole ben poco… persino quel tappo di Fury ce la farebbe”
Il sottotenente mosse le braccia, come per incitare ulteriormente il suo superiore e le sue manette tintinnarono.
No Havoc, queste persone, per quanto odiose, sono il mio tribunale. Evidentemente per condannare i miei peccati meritavo giudici di questo tipo… non posso lamentarmi.
“Ricordati che mi hai promesso: – si limitò a dire, sedendosi nella sua panca – trova Fury e Falman. Domani farò scagionare anche Breda, hai la mia parola”
Havoc non disse niente. Rimase a guardare l’eroe che aveva seguito con sincera convinzione per anni, incredulo davanti a quella passività. Non si sarebbe mai aspettato una cosa simile da un uomo che si era sempre dimostrato pronto all’azione, anche durante le situazioni più disperate… anche quando non avrebbe dovuto.
Tutto questo non si addice a lei, colonnello. Non è questa la persona in cui ho sempre creduto.
Ma non ebbe tempo di dare voce a questi pensieri perché la giuria ricomparve nella stanza. Raggiunsero il tavolo e non si sedettero nemmeno: il giudice cercò Havoc con lo sguardo e disse
“Sottotenente Jean Havoc, questa corte la dichiara innocente in merito a tutte le accuse che le erano state rivolte…”
“Ma quali accuse…” sbottò Havoc
“Lei è libero di andare” e fece cenno ad una guardia di levare le manette al soldato.
L’uomo si avvicinò con fare timoroso, come se avesse paura di un’aggressione da parte di quel ragazzo così alto e robusto. Ma Havoc si limitò a tendere i polsi: sembrava terribilmente deluso.
Senza aspettare altro, appena libero, il sottotenente si avviò verso l’uscita dell’aula: la porta destinata alla gente comune che veniva ad assistere ai processi. Ma mentre si incamminava, non mancò di passare accanto a Mustang.
“E’ stato un onore perdere il mio tempo con lei, signore – disse, citando di nuovo le sue parole che il colonnello prima gli aveva ritorto contro – Non ho dubbi che farà un ottimo lavoro anche con Breda”
“Contaci…” disse Mustang, ma Havoc era già passato oltre.
Lo sapeva che il sottotenente sarebbe stato quello che l’avrebbe presa nel modo peggiore, ma non ci poteva fare niente. Sì, era vero: tirare in ballo Breda era stato un ricatto bello e buono, ma indispensabile… come lo schiaffo a Fury.
Adesso trovali, Havoc. E insieme a loro trova una ragione per andare avanti… del resto prima di entrare nella mia squadra eravate perfettamente in grado di camminare da soli. Se il tuo disprezzo è il prezzo per la tua vita, allora lo pago volentieri.
 
Come uscì dalla prigione – tribunale con aria così minacciosa che tutti si facevano da parte, Havoc rimase sorpreso nel trovare Falman che lo attendeva. Il maresciallo era poggiato con la schiena ad una colonna del grande cancello, a braccia conserte, i ciuffi bianchi mossi da una lieve brezza autunnale: vedendo il suo superiore abbandonò quella postazione.
“Sottotenente Havoc” salutò, avanzando verso di lui e mettendosi sull’attenti.
“Che cosa ci fai qui, Falman?” chiese il biondo
“La aspettavo, signore. – rispose con semplicità il maresciallo – Del resto erano chiare le intenzioni del colonnello, no?”
“Quello stupido! – corresse Havoc, mettendo particolare enfasi nella parola “stupido” – A che gioco vuole giocare? Perché non salva anche se stesso?”
“Signore… - esitò Falman – noi forse non possiamo giudicare. Il colonnello ed il tenente Hawkeye hanno Ishval nel loro passato… e sappiamo quanti soldati non riescano a fare del tutto i conti con quello sterminio”
“Sì, ma da lui non me l’aspettavo… non è il modo in cui dovrebbe reagire. Sta sbagliando tutto! – poi fissò con perplessità il maresciallo e si accorse che mancava qualcosa… anzi qualcuno– Dov’è il ragazzino?”
Falman abbassò lo sguardo con aria preoccupata: solo allora Havoc si accorse che indossava ancora la stessa divisa che aveva in tutti quei giorni di prigionia e che aveva un’aria distrutta, il volto già magro scavato in maniera ancora più evidente…
Non ti sei concesso nemmeno di andare a casa e farti una doccia… devi essere davvero in pensiero per Fury. Merda, che fine ha fatto il piccoletto?
“Non l’ho trovato da nessuna parte, signore. – ammise il maresciallo – E non posso negare di essere molto preoccupato: da quanto mi hanno detto qui in prigione, pare che sia svenuto durante il suo processo e l’abbiano portato in ospedale. Ma tutto quello che ho saputo lì è che è stato dimesso ieri mattina… ho cercato in lungo e in largo per la città, compreso il suo appartamento. Ma non l’ho trovato”
“Diamine… ci mancava anche questa – sospirò Havoc, mentre la rabbia veniva sostituita dalla preoccupazione per il sergente – Non doveva essere lasciato solo mentre era in simili condizioni”
“Che possiamo fare?”
“Andiamo a cercarlo ancora, ovvio. – dichiarò Havoc – Il colonnello mi ha affidato il compito di prendermi cura di voi e lo farò. Ma prima – mise una mano sulla spalla di Falman – andiamo assolutamente a comprarmi un pacchetto di sigarette… altrimenti esplodo!”
Falman fissò il sottotenente e non poté fare a meno di sorridere divertito: sì, senza l’odore di tabacco Havoc non era lo stesso. Sicuramente con lui aveva maggiori probabilità di trovare Fury.
 
“Tenente, come si sente?” chiese Breda, accostandosi alla branda dove era sdraiata Riza.
Il colonnello era ancora assente e dunque l’uomo si trovava a dover aiutare il tenente da solo.
La donna era estremamente pallida e si era sdraiata in maniera improvvisa, quasi avesse avuto un calo di pressione. Nonostante il respiro lievemente ansimante, riuscì ad aprire gli occhi castani e a sorridere.
“Va tutto bene, Breda, sono solo… leggermente stanca”
Il sottotenente scosse il capo con aria seccata e si sedette accanto a lei, provvedendo con delicata fermezza a sbottonarle la giacca della divisa. Questo gesto parve avere effetto immediato, perché Riza prese a respirare con maggiore disinvoltura.
“Signora, in questi giorni lei sta mangiando meno di un uccellino: dovrebbe fare più attenzione e pensare alla sua salute”
“Perdonami se ti faccio preoccupare”
Tastandole il polso Breda fece uno dei suoi sorrisi scaltri e commentò
“Perdonare… un verbo interessante. In questi giorni scommetto che ci pensa spesso”
La donna non rispose e chiuse gli occhi, come se volesse cacciare quell’intrusione dal mondo esterno.
Per favore, Breda, lasciami in pace… le tue buone intenzioni non mi possono aiutare… salvare.
“Bambina, – disse la voce del sottotenente – chiuditi pure nel tuo isolamento volontario, se ti fa stare meglio. Ma Ishval non la cancelli in questo modo, dammi retta… tu e il colonnello state sbagliando tutto”
Le parole venivano da tanto lontano, tanto che dopo qualche secondo Riza si convinse di averle sognate.
Perdono… assoluzione… espiazione. Ancora pochi giorni… e poi l’incubo finirà.

 


 
per il passato di Havoc e Breda sto facendo riferimento a una mia fic scritta in precedenza "Brothers in arms" che parla delle loro vicende dall'Accademia fino all'ingresso nella squadra di Roy, dopo la fine della guerra civile. Mi sto concedendo questa licenza perché ai miei occhi questi personaggi devono avere tutti un passato con cui potersi confrontare, altrimenti determinati scambi di battute che ho in mente per questa storia sarebbero impossibili.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. Menzogna e sorpresa. ***


Capitolo 4. Menzogna e sorpresa

 

Giorni 4-5.


Ora che erano rimasti in tre in quella cella, Mustang rivolse la sua completa attenzione a Breda.
Come sempre decise di aspettare la notte, per parlargli quando il tenente si fosse addormentato.
Tuttavia quella sera notò un comportamento molto strano da parte del sottotenente dai capelli rossi: come portarono la cena, lui posò la sua scodella a terra e prese quella destinata a Riza. Si portò davanti a lei, seduta sulla branda, e porgendogliela le disse:
“Adesso mangi tutto, signora. Fa poco meno che schifo, posso capirlo… ma giuro che resterò qui davanti a lei fino a quando non avrà mandato giù l’ultimo boccone. Non può permettersi di stare male come stamattina”
Nonostante l’uso della terza persona, c’era una forte componente di rimprovero nella voce dell’uomo: sembrava che stesse riprendendo una bambina che fa i capricci per mangiare.
Mustang osservò in silenzio la scena, curioso di vedere chi avrebbe vinto in quella gara di volontà: lo sguardo irato lanciato dagli occhi castani di Riza non gli era sfuggito. Sembrava quasi accusare Breda di essere andato ad interrompere una cosa estremamente importante per futili motivi.
Tuttavia la situazione psicologica di quel momento vedeva un netto squilibrio di forze e così, dopo qualche secondo in cui la vecchia ostinazione del tenente aveva fatto la sua ricomparsa, la donna abbassò lo sguardo e, con malavoglia, iniziò a mangiare.
Breda fu di parola e rimase davanti a lei a braccia conserte, guardandola impassibile mandare giù quello stufato dal contenuto indefinibile. Dopo una decina di bocconi il colonnello notò un cambiamento: Riza non stava più mangiando per compiacere Breda, ma per vera fame; divorò quello stufato in pochi minuti, restando poi a guardare la ciotola vuota con un misto di delusione e sorpresa.
Breda sospirò e presa la sua ciotola, che aveva lasciato da parte, gliela porse.
“Tanto per una sera che non mangio questa cosa, non morirò” commentò sarcasticamente, guardando Riza che partiva all’attacco della seconda porzione di cibo.
“Non ti preoccupare – ribadì Mustang – ti prometto che potrai banchettare come si deve già domani sera”
Ma sì, con uno come lui posso anche saltare gli schemi. Tanto siamo rimasti solo in tre.
“Ora mi dirà che devo pensare a quell’idiota di Havoc, vero? Vuole usare anche su di me la carta del legame di fratellanza, o sarà più originale, signore?”
Il sorriso sarcastico sul volto del sottotenente fece ricordare a Mustang che aveva davanti il vero cervello dei suoi sottoposti. Breda era spesso la sua carta vincente: nessuno lo considerava molto a vederlo, con quella stazza e quell’espressione spesso annoiata. In realtà era un uomo rapido con la mente quanto con l’azione: l’unico che probabilmente gli teneva davvero testa. Bastava pensare che a scacchi, diverse volte, l’aveva battuto.
No, con lui non era il caso di usare trucchi simili.
“Peccato non avere qui una scacchiera, Breda. – sorrise Mustang – Ne uscirebbe fuori una bella partita: vedo che siamo carichi entrambi”
Breda sorrise e poi volse la sua attenzione su Riza che aveva terminato di mangiare. Le prese la ciotola di mano e la posò sul vassoio che poi il secondino avrebbe ritirato.
“Vuole un consiglio, signora? Adesso si metta a dormire… e mangi anche quando non ci sarò io a controllarla. Se proprio desidera andare al patibolo deve essere un minimo in forze per salire le scale, non crede?”
Mustang sgranò gli occhi a quella battuta crudele, tanto che stava quasi per richiamarlo. Riza gli sembrava già abbastanza provata psicologicamente e non era il caso di infierire. Tuttavia, ancora una volta con grande sorpresa, la donna annuì distrattamente e si sdraiò nella branda.
Breda le tastò la fronte con gesto gentile e dopo qualche secondo annuì: l’abbassarsi e alzarsi regolare del petto indicavano chiaramente che si era addormentata quasi subito.
“E’ interessante come un’apatia causata da traumi di guerra si possa presentare a più di otto anni di distanza”disse, andando a sedersi davanti al colonnello.
“Non giudicarla così, Breda – scrollò le spalle Mustang – non giudicare nessuno di noi”
“Certo, la più indicata a giudicare è quella giuria di idioti davanti alla quale si prenderà tutte le colpe. Credevo avesse migliore considerazione di se stesso, signore… per pura questione di dignità”
“E chi dovrebbe giudicarmi, secondo te? – stranamente con lui l’alchimista si sentiva libero di poter parlare – Quelli che ho bruciato vivi? Difficile richiamarli dalla morte… e forse la condanna da parte loro sarebbe arrivata così in fretta da non lasciarmi il tempo di salvare voi”
“Persino un gatto sarebbe un giudice migliore di quelli che si è scelto. Posso anche capire la vostra ansia di… espiare quello sterminio perché, è inutile cercare di addolcire la pillola, di sterminio si è trattato. – lo sguardo di quegli occhi grigio chiaro incluse anche la figura dormiente di Riza – Ma in questo modo… mphf, mi scusi, signore, ma da lei mi aspettavo di più”
“Mi dispiace di aver deluso queste tue aspettative: – sorrise contritamente Mustang – avresti preferito una fine più eroica?”
Breda scrollò le spalle e fece un sorriso furbo
“Non credo che sia la sede più adatta per fare un discorso del genere. E non ne avrei nemmeno voglia, considerato che sono a stomaco vuoto. – fissò di nuovo il tenente addormentato – La signora aveva bisogno di recuperare le forze: la obblighi a mangiare anche nei prossimi giorni”
Tutto qui quello che hai da dire, Breda? – si sorprese Mustang – Di prendermi cura del tenente, cosa che avrei comunque fatto? Che cosa stai complottando?
“A che gioco vuoi giocare, Breda? – gli chiese osservandolo con attenzione – Perché ti stai arrendendo con tanta facilità? Proprio tu… con cui ho giocato a scacchi per intere ore, a volte perdendo”
“Non voglio giocare a nessun gioco, non avrebbe senso. – Breda si alzò e andò verso la parete che avrebbe usato come cuscino, dato che per la prima volta non c’era Havoc – Ha già deciso tutto, colonnello: ha scelto di morire e in questo momento io non posso farci nulla. Se domani al processo provassi a difenderla lei mi si ritorcerebbe contro… non mi piacciono le partite in cui il mio avversario è così rassegnato”
“E’ una partita diversa quella con cui mi sto confrontando adesso, sottotenente: – ammise Mustang – l’ho iniziata più otto anni fa ed è arrivato il momento di concluderla. Ed è una partita dove… effettivamente non c’è un vero vincitore”
“Non sembra un gioco divertente e stimolante – commentò il rosso – e sembra che non ci sia possibilità di ritirarsi: si deve andare fino in fondo”
“Eh già. Stanotte prendo congedo da tutte le partite che abbiamo fatto, Breda… L’ultimo gioco che ti chiedo di fare con me sarà domani, quando dovremo fregare la giuria: a dire il vero tu sei quello più difficile da scagionare”
“Certo: io ero alla radio durante il colpo di stato… tutti hanno sentito la mia voce: è innegabile che io fossi ai suoi ordini e fossi al corrente del suo piano. Il sergente poteva anche essere assieme a me, ma con lui si poteva giocare con la buona fede e la giovane età… Io purtroppo non ho il faccino adorabile di Fury: non sarei credibile”
“Allora abbiamo una notte di tempo per trovare una soluzione, non credi?”
“Non avevo sonno, del resto: dormire a stomaco vuoto non mi piace. Ma prima… giusto per curiosità: cosa vuole che faccia una volta uscito da qui? Ha anche per me un incarico speciale?”
Mustang sorrise compiaciuto e disse
“Trova gli altri  e non permettere loro di compiere cavolate: è un momento delicato e non dovete fare mosse false”
Breda rimase a fissarlo per qualche secondo, prima di annuire con convinzione.
“Si fidi di me, colonnello. Li terrò d’occhio io… specie Havoc”
“Sapevo che avresti capito”
Breda fece uno dei suoi sorrisi sarcastici e le successive ore furono passate ad elaborare una via d’uscita anche per il sottotenente.
 
Per la prima volta da quanto aveva iniziato ad assistere ai processi dei suoi sottoposti, Mustang era più teso di quanto si aspettasse. A conti fatti era una vera fortuna che Breda fosse l’ultimo della lista: la corte ormai era indirizzata ad assolvere tutti i suoi uomini per dare la colpa esclusivamente a lui. Ma, per quanto concerneva il colpo di stato, le prove contro Breda erano pesanti e con poche difficoltà di scagionarsi.
A questo giro dobbiamo dare il meglio di noi.
Mentre entravano nell’aula, ancora una volta colma di gente, i due soldati si scambiarono un’occhiata di sbieco, prima che Mustang prendesse posto in una panca dietro il suo sottoposto.
La prima parte del processo era abbastanza facile e a loro favore: Breda aveva i medesimi precedenti di Havoc nella guerra civile
“Anche lei, come il sottotenente Havoc, ha fatto parte della Squadra Falco” disse il giudice, leggendo la cartella relativa all’imputato
“Si, signore – annuì Breda impassibile – vi ho prestato servizio fino al suo scioglimento a fine guerra civile”
Già a questa affermazione il pubblico iniziò a mormorare, pronto a incoraggiare la liberazione del soldato come era avvenuto il giorno precedente per Havoc. Tuttavia il giudice proseguì nella lettura
“Dopo la guerra lei è entrato al servizio del colonnello Mustang. Ed era presente a Central City durante il colpo di stato”
“Sì, ero presente: il colonnello mi incaricò di aiutarlo nel rapimento della signora Bradley e, successivamente, di andare alla sede di Radio Capital per cercare di portare la popolazione dalla sua parte”
Che faccia sorpresa che hai, signor giudice. Che c’è? Ti sorprende così tanto che finalmente ci sia uno degli uomini del colonnello che si dichiara suo complice? Non ti sembra vero? Oh, ma siamo solo all’inizio… aspetta di vedere cosa abbiamo progettato: se sono anni che seguo quest’uomo un motivo ci sarà.
“Lei dunque conferma di essere stato a conoscenza dei piani del colonnello per portare avanti il suo colpo di stato?” c’era davvero una forte meraviglia nella voce del giudice
“Confermo. Ne ero al corrente”
La sala mormorò perplessa: questo processo era diverso dagli altri. Sembrava che il sottotenente Breda fosse davvero colpevole di aver aiutato Mustang.
“E come si giustifica da queste accuse?” chiese il giudice, dopo essersi ripreso dalla sorpresa iniziale.
“Fui incaricato dal Generale Grumman di stare accanto al colonnello e di controllarlo: – scrollò le spalle Breda – nel caso compisse qualche azione pericolosa avrei dovuto valutare la situazione e agire di conseguenza”
Questa è stata proprio una bella trovata, colonnello. Il nostro caro Grumman è in ritiro ad Est e dubito che si preoccuperanno di chiedergli conferma… ed in ogni caso, quella vecchia volpe ci conosce bene e ci reggerebbe il gioco. Niente male, davvero niente male
Ad aggiungere un ulteriore tocco a quella farsa, Breda lanciò un’occhiata dietro di sé, dove stava il colonnello. Mustang lo guardava con rabbia, come se davanti a lui ci fosse il più infimo dei traditori… e ovviamente il gesto era calcolato in modo che tutti potessero vederlo.
Dopo qualche secondo, Breda fece un sorriso gelido al colonnello e rivolse di nuovo la sua attenzione alla giuria.
“Quando prendemmo in ostaggio la signora Bradley, mi premurai che non le accadesse nulla di male e dunque suggerii di portarla con me a Radio Capital, per farla parlare… l’idea piacque molto al colonnello e mi diede ascolto. Il piano originario, dato che ero sempre in contatto con il Generale Grumman, prevedeva che, al mio segnale, avrebbe inviato truppe a Central. Però ci fu quell’incidente ferroviario in cui sembrava che il Comandante Supremo fosse perito, e così il passaggio delle forze dell’Est fu ritardato e me la dovetti cavare da solo”
“Tu – sibilò Mustang, in modo che sentissero tutti quanti – proprio tu!”
Ah, Breda… siamo attori consumati! Non mi aspettavo di potermi addirittura divertire ad un processo!
“Mi dispiace per lei, colonnello. Ma era controllato sin da principio e come vede, alla fine, si è arrivati alla resa dei conti”
Peccato che lei stia facendo i conti in modo sbagliato, signore. E soprattutto con l’oste sbagliato.
Durante questo scambio di sguardi e battute, la giuria come il pubblico, era rimasto attonita. Sembrava che nessuno avesse il coraggio di intervenire in quella disputa tra Mustang e Breda per paura di venire pugnalato da quegli sguardi così penetranti.
Fu il giudice che si costrinse a parlare
“Ehm – si schiarì la voce – sottotenente Breda, qualcuno può confermare quanto da lei dichiarato?”
“Può chiamare il Generale Grumman, se vuole, vostro onore. - scrollò le spalle Breda – Ma a parer mio basta la reazione dell’alchimista di fuoco”
Effettivamente Mustang sembrava sul punto di liberarsi delle manette e attaccare il suo sottoposto: si alzò persino in piedi in un gesto rabbioso. Ma dopo qualche secondo si risedette ed esibì un sorriso cattivo.
“Me l’hai fatta, Breda… – commentò – in tutti questi anni… notevole, ne sono davvero ammirato”
“E’ stato un osso duro, signore – sorrise il sottotenente – ma non poteva farcela davvero”
Sì, effettivamente per la giuria tutto questo poteva bastare: Breda aveva lavorato contro l’alchimista di fuoco e dunque qualsiasi accusa di complotto nei suoi confronti decadeva. A conti fatti il nuovo governo avrebbe dovuto anche ringraziarlo.
E il ringraziamento fu l’immediata liberazione, senza nemmeno bisogno della camera di consiglio.
Processo davvero sommario: mi hanno creduto senza preoccuparsi di chiedere una minima conferma a Grumman. Persone molto affidabili, direi. – sorrise sarcasticamente Breda – Ce li siamo mangiati in un sol boccone, colonnello: una delle sue migliori interpretazioni… come quando ha fregato il boss Acciaio a proposito dell’uccisione del sottotenente Ross.
Fu un vero peccato che dovessero tenere fino all’ultimo i loro ruoli di antagonisti: gli sarebbe piaciuto concedersi una risata con quell’uomo dalla mente fine come la sua. Dovettero accontentarsi di guardarsi con finto odio reciproco, mentre il colonnello veniva riportato in cella.
Bel lavoro Breda – si complimentò Mustang, mentre le porte si chiudevano dietro di lui e le guardie e iniziavano a camminare nei corridoi della prigione – sapevo di potermi fidare di te. E so che farai un buon lavoro anche con gli altri.
 
Come uscì da quella prigione e vide che ad aspettarlo erano solo in due, Breda capì che l’inizio non era dei più promettenti.
“Ehilà, Breda – salutò Havoc, con finalmente una sigaretta fumante tra le labbra – che cosa ha inventato per te il colonnello?”
“Quando ve lo racconterò vi farete un paio di risate, ragazzi. – rispose il rosso, dando un amichevole pugno nel braccio di entrambi – Che ne è di Fury?”
Le facce di Falman e Havoc si incupirono e gli dovettero raccontare delle loro infruttuose ricerche per Central City. Avevano girato ovunque, ma non c’era traccia di quel ragazzo: sembrava che dopo le sue dimissioni dall’ospedale si fosse dileguato.
“Inizio a pensare che, forse, sia davvero andato via dalla città” ipotizzò Falman, grattandosi la nuca con perplessità
“No – scosse il capo Havoc – è ancora qui, ne sono certo. Sarebbe come scappare via e lui non è tipo da farlo: è piccolo ma il fegato non gli è mai mancato”
Breda si mise a braccia conserte e rifletté su dove potesse essersi rifugiato il sergente. Conosceva Fury da anni, da quando era entrato in squadra, e sapeva che nei momenti di difficoltà se non c’erano loro a sostenerlo tendeva ad isolarsi. Salvo poi cercare di risolvere i suoi problemi con encomiabile tenacia.
… fedele alle persone che ami fino all’ultimo e disposto a difenderle con tutte le tue forze.
Le parole che aveva detto il tenente Hawkeye per consolare il sergente si fecero largo nella mente di Breda: ma certo… il ragazzo stava cercando una soluzione. E, per pensare, Fury aveva bisogno di trovarsi davanti all’oggetto del suo problema.
“Andiamo – disse iniziando a incamminarsi – so dove trovarlo, se non adesso, nell’arco delle prossime ore”
 
Era sera tardi quando Fury iniziò il solito pellegrinaggio che ormai faceva da un paio di giorni.
Era qualcosa di terribilmente doloroso, ma non ne poteva fare a meno: era come se, a un certo punto della giornata, le sue gambe decidessero da sole che era il momento di andare. E così si ritrovava a camminare per le strade, con la gente che spesso lo guardava stranita per le sue condizioni: aveva ancora addosso la divisa sporca e non si faceva una doccia da tantissimo… ma forse era la sua espressione di attonito dolore a attirare di più gli sguardi.
Tuttavia non si curava di loro: si rendeva conto della presenza di quella gente, ne prendeva atto e andava avanti, girando nei vicoli giusti, percorrendo le strade che l’avrebbero condotto lì.
E per la quarta volta si ritrovò all’ingresso di quella piazza maledetta: con quel patibolo che lo aspettava, fiero e altero come sempre. Strinse i denti a quella visione, ma non chiuse gli occhi: ormai aveva imparato a non abbassare lo sguardo davanti al nemico.
Le braccia si strinsero leggermente.
“Va bene… - mormorò il sergente – sei pronto? Andiamo, allora”
Passo dopo passo percorse quella piazza, fermandosi alla solita distanza di sicurezza da quel palco maledetto. I suoi occhi scuri, dietro le lenti, analizzarono ogni singolo pezzo di legno, cercando di scomporlo come se fosse una radio: perché per lui era necessario conoscere i singoli pezzi per poter trovare cosa non andava.
Ma per la quarta volta si dovette rendere conto che questo sistema non andava bene. Non c’era elettronica in quella forca: nessun circuito stava alla base di quanto stava per succedere ai suoi amici.
Per la milionesima volta formulò qualche assurdo piano nella sua testa: aveva recuperato la sua pistola che ora stava di nuovo nella fondina della cintura. Per un minuto si vide compiere imprese incredibili, riuscendo a salvare tutti i suoi amici, ma la realtà fu rapida ed impietosa a distruggere quei sogni.
Aveva di nuovo la sua arma, era vero: ma davanti a quella situazione gli sembrava piccola ed inutile, come lui stesso.
“Come possiamo fare a salvarli?” sospirò
Strinse maggiormente le braccia attorno a quello che portava, quasi a voler essere rassicurato e riprese a fissare la forca con sguardo assente, senza rendersi conto dello scorrere del tempo. E dei passi che si avvicinavano
“Ma bene! Fammi indovinare. Pensi di risolvere tutti i problemi del mondo fissando come un ebete quella forca?”
Il cuore di Fury smise di battere per un interminabile secondo.
“Sottotenente?” chiamò, girandosi verso la voce
“Certo, scemo! Ti abbiamo cercato ovunque in questa stupida città. – Havoc diede un leggero scappellotto al collo del ragazzo – Eravamo davvero in pensiero… e tu eri qui a fare il cretino con un cane in braccio: proprio una bella visione!”
“Oh, signore! – singhiozzò di gioia Fury, vedendo anche Falman e Breda – Allora siete salvi pure voi”
“Ma sì, sergente: – lo consolò Falman, mettendogli le mani sulle spalle – tranquillo, siamo qui. Va tutto bene”
“Metti giù quel cane e mi avvicino pure io” disse Breda, tenendosi a debita distanza.
Fury lasciò andare Black Hayate che balzò a terra e fissò con gioia i soldati che conosceva da sempre. Falman e Havoc si strinsero attorno al sergente, seguiti da Breda che lanciava occhiate nervose all’animale.
Ma il cane sapeva stare a distanza di sicurezza da quell’umano che si spaventava sempre in sua presenza.
Nel frattempo Fury piangeva calde lacrime di gioia, mentre sentiva quelle goffe dimostrazioni di affetto nei suoi confronti. I suoi compagni erano lì, accanto a lui: nessuna condanna pendeva sulle loro teste. Erano salvi e questo era il più bel miracolo del mondo.
Sono salvi, sono salvi! Grazie… grazie! Amici miei, non potete immaginare il sollievo… credevo di avervi persi per sempre!
“Si può sapere che fine avevi fatto? – gli chiese Falman – Ti abbiamo cercato ovunque”
“Io… io sono andato a casa del tenente – spiegò tra le lacrime – volevo… volevo salvare almeno Black Hayate. E… avevo paura di trovarlo morto per la fame… dentro casa. – i singhiozzi si fecero più congestionati, tanto che Breda gli batté alcuni colpetti sulla schiena – Ho… ho dovuto forzare la porta e… e non l’ho visto… ma poi… c’era una finestra aperta che… dava sulle scale esterne. L’ho trovato dopo ore e aveva fame ed era sporco! Piangeva… E sono rimasto a casa del tenente perché avevo paura… Oddio, non sapere che cosa voglia dire avervi qui!”
“Fantastico, – sospirò Havoc – noi a cercarlo e questo che correva dietro ad un cane”
“Va bene, direi che può bastare. – mormorò Breda, mettendo un braccio attorno alle spalle di Fury e arruffandogli i capelli sporchi – Andiamo, sergente, abbiamo tutti bisogno di lavarci e mangiare qualcosa di decente. E non è il caso che la gente veda quattro soldati qui, davanti a questo palco: non è il momento di dare nell’occhio”
“Andiamo a casa mia: – propose Falman – una notte di riposo non potrà farci che bene”
“E il colonnello? Ed il tenente?” chiese Fury speranzoso
“Lascia stare, piccoletto. – lo zittì Breda – Hai bisogno di staccare per un po’”
Non è il momento di raccontarti certe cose. La cosa più importante è rimetterti in sesto, ragazzino. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. Paura e confessione ***


Capitolo 5. Paura e confessione

 

Giorni 5 - 6

 
Come il secondino portò il vassoio con la loro cena, Roy lo prese e lo depose davanti alla branda dove Riza stava seduta con lo sguardo assente, fissando un punto imprecisato del pavimento.
Il colonnello sospirò: quando era tornato in cella e le aveva annunciato che anche Breda era fuori, lei si era limitata a fare un brevissimo sorriso e un cenno del capo; poi era di nuovo sprofondata nella solita apatia.
Adesso che non aveva più gli altri uomini a cui pensare, Mustang si poteva rendere pienamente conto di come fosse ridotta la sua più fidata assistente: in quei giorni non aveva voluto vedere il cambiamento che la stava lentamente ed inesorabilmente consumando.
Non aveva voluto perché sapeva che non aveva il diritto di intervenire, come invece era successo per gli altri.
In nemmeno dieci giorni era dimagrita tantissimo: la pelle era pallida e il viso scavato. La giacca della divisa iniziava a caderle in maniera troppo evidente e anche il maglioncino nero che indossava sotto non era più… riempito come si doveva. A dire il vero, però, la cosa più sconcertante non era tanto il cambiamento fisico quanto l’espressione: quell’apatia, come se non esistesse nulla al di fuori della sua persona, e soprattutto lo sguardo perennemente assente eppure così sereno da far paura. Come un angelo della morte che sorride per la distruzione del mondo… solo che lei stava sorridendo alla sua stessa morte.
Tenente… cosa posso fare per te? Vorrei spronarti e farti continuare a vivere… eppure una parte di me sa che non posso permettermi di fare questo.
“Tenente, – la chiamò con voce gentile, porgendole la cena – devi mangiare, coraggio”
Solo quando la ciotola le fu messa davanti agli occhi la donna la prese e iniziò con mosse automatiche a mangiare: l’appetito e la piccola vitalità che Breda era riuscito a tirarle fuori la sera precedente sembravano sparite.
Mustang mangiò metà della sua porzione, mentre controllava che lei consumasse la sua: lo fece con deliberata lentezza e così, quando la donna terminò il suo pasto, si avvicinò e le mise la parte restante della sua cena nella ciotola.
“Oggi non ho molta fame – si giustificò con un sorriso di scusa – e sarebbe un peccato sprecarlo”
Guardò Riza che riprendeva a mangiare, come se stesse obbedendo diligentemente ad un ordine: gli occhi  che fissavano impassibili lo stufato che veniva raccolto dal cucchiaio.
Beh, almeno lo stomaco assimila il cibo senza bisogno di volontà.
Come il secondino ebbe ritirato il vassoio, Roy si accerto che Riza fosse addormentata e poi si sedette accanto a lei, nella branda. Fissò con malinconia la cella, accorgendosi di quanto fosse vuota senza i suoi uomini: cercò di immaginarseli uno ad uno, nelle posizioni in cui erano soliti dormire.
Cercò di colmare l’inevitabile sensazione di vuoto che gli attanagliava l’anima.
Ho fatto la cosa giusta e loro sono tutti salvi… ma devo ammettere che è dura sapere che, in qualche modo, ho sciolto la squadra che mi ha seguito per tanto tempo.
Squadra… forse per loro era più corretto parlare di famiglia. Li conosceva così bene, da anni: si era inevitabilmente andati oltre il rapporto militare. Per esempio sapeva quali libri amava leggere Falman, o che Havoc dopo una serata andata a male con qualche ragazza tendeva a piangere come un disperato. Sapeva quali erano i cibi preferiti di Breda e che Fury, quando lavorava alla radio, adorava mangiare merendine al cioccolato.
E so che la donna accanto a me ha sulla schiena un tatuaggio in parte bruciato. So di essere stato io a farle tutto questo… e che lei mi ha seguito fino all’ultimo.
“Sentimentalismo… - disse con aria stanca – ci mancava anche questa sciocchezza, vero tenente?”
Nessuna risposta provenne dalla sagoma dormiente di Riza, ma Mustang continuò a parlare come se lei gli avesse chiesto perché era sciocco.
“E’ sciocco perché mi fa sentire ancora più triste di quanto non sia già. Li ho salvati, tenente, eppure ne sento la mancanza… Una parte egoistica di me li vorrebbe ancora in questa cella a sostenermi”
Bene, sto proprio cadendo in basso.
I suoi pensieri furono interrotti da un lieve movimento nella branda.
Riza si girò supina, una mano sulla fronte e l’altra sul ventre: gli occhi aperti fissarono il soffitto, ma Mustang capì immediatamente che il tenente era cosciente e consapevole.
“Non è sciocco, signore, – mormorò la donna, la voce leggermente raschiante dal fatto che negli ultimi giorni aveva parlato pochissimo – è umano”
Dopo il prime istante di sorpresa per vederla finalmente consapevole della realtà, Mustang si concesse di sorridere.
“Umano… una splendida parola in confronto alle immagini di guerra che affollano i nostri ricordi, vero? Cosa abbiamo fatto per meritare persone come loro, tenente? Cosa ho fatto per meritare la loro assoluta fedeltà?”
“Ci ha creduto, signore… e ha fatto credere anche loro” un sorriso apparve nel viso della donna, sincero e puro come poche volte
“E tu ci hai creduto?”
“In lei? Certo. E ho avuto ragione: il paese è cambiato ed è in buona parte merito suo”
“Vorrei poter cambiare un’ultima cosa: – disse d’impulso – se domani…”
Riza posò una pallida mano su quella del suo superiore, interrompendolo
“Sono i miei peccati: – mormorò – di quelli non si può prendere carico lei, colonnello”
Il tono era calmo ma deciso e chiudeva definitivamente quella questione.
Espiazione. L’abbiamo cercata così tanto, tenente, ma adesso che ci siamo quasi arrivati… Perché non riesco ad accettare la cosa come fai tu?
“Quindi domani al processo devo stare zitto?” si limitò a chiedere
“Risponda solo con onestà, signore” consigliò lei
Poi chiuse gli occhi, sprofondando di nuovo nei suoi pensieri, legata alla realtà solo dalla mano che teneva sopra quella del suo superiore. Era un gesto sciocco ed infantile, ma aveva bisogno di avere un sostegno per quella paura che l’attanagliava quando il mondo esterno si faceva sentire.
Negli ultimi giorni era scivolata in una realtà personale dove finalmente riusciva a trovare la pace con se stessa, dove le persone che aveva ucciso non la tormentavano più. In oltre otto anni non aveva mai smesso di rivedere le loro facce, ma negli ultimi tempi sembrava che quelle visioni l’avessero finalmente lasciata: i suoi sonni erano dolci e felici come nella prima infanzia, quando ancora non pensava che la vita fosse crudele.
Prendendo congedo da questo mondo, se ne andrà via anche l’odore della morte, della sabbia, del sangue… finirà il senso di dolore e di colpa. Ancora pochi giorni, colonnello, ancora poche ore e Ishval finirà per sempre.
 
A casa di Falman il tavolo di cucina era ingombro dei resti di un’abbondante cena: finalmente i quattro soldati si erano concessi, per la prima volta, un pasto come si doveva e dei vestiti puliti. Avevano mangiato come disperati, gustando ogni boccone che sapeva di libertà e di riunione: c’era in loro una ritrovata spensieratezza nel sapersi tutti e quattro insieme e al sicuro, almeno per il momento. Per circa due ore si erano concessi di pensare solo a loro stessi: un’esigenza che i loro corpi e le loro menti, provate dai diversi giorni di prigionia, non potevano più rimandare.
Era stato Fury il primo a crollare dopo il pasto, tanto che il maresciallo l’aveva accompagnato in camera da letto facendolo distendere: lavato e con abiti puliti addosso, il sergente aveva un aspetto decisamente migliore, ma era terribilmente esausto.
“Come sta?” chiese Breda, mentre Falman chiudeva la porta della stanza da letto e si avvicinava ai suoi due compagni ancora seduti al tavolo.
“E’ crollato non appena ha messo la testa sul cuscino. – spiegò il maresciallo – Era veramente provato: in questi giorni si è davvero trascurato molto. Vederci liberi, poi, è stata veramente un’emozione forte per lui, ma sono sicuro che domani sarà già in condizioni decisamente migliori”
Breda annuì e preso un pezzo di carne dal piatto lo lanciò a Black Hayate che stava a diversi metri di distanza. Con occhio attento guardò il cane addentare il boccone e sdraiarsi soddisfatto sul pavimento: anche lui era dimagrito ed il pelo non era lucido come al solito.
“Domani ci sarà il processo del tenente: – disse Falman sedendosi al tavolo e prendendo in mano un bicchiere di vino – pensate che il colonnello salverà anche lei?”
“No, non lo farà. – sospirò Breda – Quei due hanno deciso di morire, non è chiaro? Se anche il colonnello volesse salvare il tenente, lei non glielo permetterebbe. In questi giorni quella donna era davvero in condizioni precarie, ma sono sicuro che domani sarà cosciente e vigile per dichiararsi colpevole”
“Che stronzata! – sbottò Havoc accendendosi una sigaretta – Era la guerra, porca miseria!”
“Ad Ishval non era guerra, Havoc: – lo corresse Breda – era sterminio e lo sai bene pure tu. Noi l’abbiamo evitato solo per la saggezza dei nostri superiori… sotto un certo punto di vista ha ragione il colonnello: non possiamo giudicare”
Noi non possiamo giudicare? E quegli idioti di giudici che siedono dietro a quel tavolo? Ma le hai viste le loro facce? A quelli di Ishval non gliene importa nulla: vogliono solo fare fuori il colonnello”
“Certo, ma loro sono solo il mezzo con cui il nostro superiore vuole arrivare alla redenzione. Alcuni hanno scelto il suicidio dopo quella guerra: lui preferisce essere giudicato da un qualcosa che dia la parvenza di giustizia”
“Non è giustizia…” disse Falman tristemente
“No, non lo è! – annuì Havoc – Domani andrò a quel processo”
“Non fare cavolate, Havoc: – lo ammonì Breda – fammi questo favore personale, va bene?”
I due si fissarono intensamente per diversi secondi, prima che il biondo facesse cenno affermativo con la testa.
“Sta tranquillo che mi limiterò a guardare”
 
Il pomeriggio successivo Havoc mantenne la parola e si recò all’ingresso della prigione-tribunale, accodandosi alla gente che entrava per assistere al processo del tenente Riza Hawkeye. In abiti borghesi il giovane non dava più di tanto nell’occhio e quindi nessuno fece domande; chi eventualmente lo riconobbe come un soldato che era stato giudicato nei giorni precedenti, decise di lasciarlo in pace.
Restando nelle ultime file, tanto la sua altezza gli consentiva un’ottima visuale, Havoc aspettò con pazienza che la gente si sistemasse a sedere.
Solo dopo la giuria entrò, andando a sedersi sul solito tavolo.
Come vide il giudice, il sottotenente sentì la rabbia montargli
Ancora quel maledetto! Quanto può essere odioso da uno a cento? Almeno diecimila! Ma giuro che se lo becco per strada lo distruggo!
I suoi pensieri di personalissima vendetta contro il giudice furono interrotti da una porta laterale che si aprì, lasciando entrare alcune guardie che scortavano il tenente e il colonnello.
Era strano vedere da un’altra prospettiva una scena che si era vissuta di persona qualche giorno prima: Mustang aveva la stessa espressione impassibile mentre si accomodava in una panca dietro il tenente? Oppure quando avevano processato Havoc aveva un atteggiamento diverso, dettato dal fatto che era sicuro di tirarlo fuori dai guai?
Se anche il colonnello volesse salvare il tenente, lei non glielo permetterebbe
Le parole pronunciate da Breda risuonarono nella mente di Havoc: perché per lei doveva funzionare la cosa? Tutti loro avevano cercato di persuadere quell’uomo a non salvarli… perché con lei doveva andare diversamente?
Andiamo, colonnello! Dammi il colpo di scena… scagiona anche lei! Puoi farlo!
Spostando lo sguardo sul tenente, ad Havoc vennero quasi le lacrime agli occhi: dov’era finita la donna fiera che conosceva da anni? La sua compagna al poligono di tiro, l’unica che avesse una mira con cui potersi confrontare. Perché davanti a quella giuria si stava presentando una creatura smarrita e spenta che della vecchia Riza aveva solo le sembianze?
“Tenente Riza Hawkeye – iniziò il giudice – lei ha partecipato allo sterminio di Ishval: venne chiamata dall’Accademia per le sue doti di cecchino”
“Sì signore – la voce della donna era flebile, eppure incredibilmente udibile in tutta l’aula – venni chiamata al fronte al secondo anno d’Accademia. C’era bisogno di nuove forze”
“Ha partecipato alle azioni contro la popolazione civile?”
“Sì…” la voce ebbe un tremito
Havoc tolse lo sguardo da lei e lo portò su Mustang. L’alchimista sedeva immobile nella panca, lo sguardo nel vuoto, come se si rifiutasse anche solo di ascoltare quanto stava succedendo in quell’aula.
Avanti, maledetto! Dì qualcosa! Non lasciarla a suicidarsi in questo modo!
“… provocando la morte di decine e decine di persone, tra cui moltissimi civili” la voce del giudice, dal tono particolarmente spietato, riportò l’attenzione di Havoc sul processo.
“Addirittura il suo ruolo in quel frangente fu tale che le valse la promozione a maresciallo, nonostante la sua giovanissima età…da soldato semplice a maresciallo, un salto di diversi gradi”
Bastardo, ma che dici!? Come se avesse ammazzato quella gente per avere dei gradi in più! Sono le regole militari, non l’ha mica chiesto lei! Gli avanzamenti di grado in periodo di guerra sono la norma! Cazzo, tenente, digli qualcosa!
Ma quel pallido riflesso della Riza che conosceva si limitò a fare un cenno smarrito con la testa e a muovere le labbra in una risposta che nessuno sentì.
“Ripeta quello che ha detto in modo che la sentano tutti, tenente” ordinò il giudice
“Venni avanzata di grado per i miei meriti sul campo di battaglia” dichiarò la donna con voce piatta.
Il colonnello serrò i pugni che teneva sulle ginocchia, ad Havoc non sfuggì.
Era come aveva detto Breda: lei era riuscita ad imporsi sulla volontà di Mustang.
“Immediatamente dopo la guerra, lei entrò al servizio dell’allora tenente colonnello Roy Mustang, come guardia del corpo e assistente personale”
“Sì, lo confermo”
“Perché lo fece?”
Riza esitò e anche Mustang si irrigidì maggiormente.  La donna si girò verso il suo superiore, fissando i propri occhi castani, lucidi e consapevoli, su quelli neri e sottili dell’alchimista.
Lo feci perché nonostante tutto quell’orrore noi condividevamo ancora quel sogno che un soldato mi confessò davanti alla tomba di mio padre. Un sogno che parlava di un mondo migliore, costruito mattone dopo mattone… avevamo un disperato bisogno di credere che era ancora possibile. Che non avevamo distrutto tutto quanto con quella guerra. Che forse… c’era un minimo di redenzione…
“Perché mi chiamò lui: durante la guerra ebbi occasione di salvargli la vita e questo gesto…”
Mustang non sentì il resto della frase della donna, ma continuò a fissare i suoi grandi occhi castani.
Me l’hai salvata mille volte la vita, non è per questo che ti ho voluta… Tu eri l’unica che potesse davvero capire fino in fondo quello che volevo fare. L’unica che potesse in qualche modo capire che cosa avevo provato nel scoprire che… questa maledetta alchimia del fuoco seminava morte invece che aiutare la gente. Eri diversa da Hughes che, con la sua speranza di una vita matrimoniale felice, preferiva dimenticare la guerra e tornare a vivere… tu non dimenticavi i nostri peccati, non potevi. Nemmeno bruciando quel tatuaggio… Maledizione, tenente, perché siamo arrivati a questo punto?!
Riza si voltò e gli occhi castani smisero di essere il riflesso della sua anima distrutta.
“Lei ha poi seguito il colonnello in ogni sua missione e spostamento”
“Sì, signore”
“Fino a quando il defunto King Bradley la prese come assistente personale”
“Confermo. Sperava di tenere d’occhio sia me che il mio superiore”
“Lei era dunque a conoscenza delle reali intenzioni del colonnello Mustang”
“Certamente e l’ho seguito fino all’ultimo, nella più sincera e totale convinzione. E non rinnego nulla” Riza a questa risposta alzò lo sguardo verso la giuria. Non c’era alcun rimorso in quell’affermazione, anzi vi era una notevole nota di fierezza e orgoglio sia per se stessa che per l’uomo che aveva aiutato.
Nel fondo della sala, Havoc sussultò
Perché hai aspettato tanto a tornare in te, Riza Hawkeye? Perché tiri fuori solo adesso la tua grinta, levandoti quella maledetta maschera da anima dolente? E, soprattutto, perché lo fai in modo da segnare la tua condanna? Siete due idioti! Tu e quell’altro che non fa niente per bloccarti! Vi sbatterei la testa contro il muro ad entrambi!
Si dovette trattenere per non dare un forte pugno alla parete accanto a lui.
La gente del pubblico, intorno alla sua persona, mormorava lievemente: la donna si era condannata da sola con le sue affermazioni. Non aveva cercato nessuna giustificazione alla guerra o al colpo di stato.
Loro non potevano aiutarla.
“La corte non ha bisogno di ritirarsi per decidere davanti ad una confessione così chiara e palese. – la voce del giudice riscosse Havoc che, a quelle parole, impallidì – In nome del governo democratico dello Stato di Amestris, questa corte condanna l’imputato Riza Hawkeye, tenente della precedente dittatura militare, per i seguenti crimini: partecipazione attiva allo sterminio di Ishval, complotto contro il precedente governo, appoggio continuo verso un uomo dichiarato pericoloso per il paese. La pena per questi reati è la condanna a morte per impiccagione. La sua sentenza, signora, verrà eseguita in data da decidere, non appena verrà concluso il processo al colonnello Mustang, domani pomeriggio. E con questo la corte si ritira”
Il sottotenente rimase attonito a bocca aperta, tanto che se avesse avuto una sigaretta tra le labbra gli sarebbe caduta.
La donna fu circondata da due guardie che la scortarono verso la porta che l’avrebbe ricondotta in cella. Mustang, dietro di lei, scortato da altre due guardie, seguiva col volto basso… la fronte e gli occhi nascosti dai sottili capelli neri.
Riza si girò per un secondo, attratta forse dallo sguardo insistente di Havoc.
Lo vide, come non poteva notare quel giovane alto e biondo che stava in piedi in mezzo a tanta gente seduta… e che la fissava con dolorosa sorpresa.
Gli fece un gentile sorriso, con cui esprimeva tutto il suo affetto per lui, per la sua fedeltà e amicizia. Perché voleva che l’ultimo gesto per lui e gli altri della squadra non fosse di tristezza o disperazione.
Perdonami, Havoc, ma non puoi salvarmi. Ma tu e gli altri siete stati meravigliosi in questi anni. Amici e compagni, quello che mi avete donato non lo potrò mai dimenticare… è stato anche grazie a voi che sono andata avanti. Grazie… grazie…
“Tenente…” mormorò Havoc, guardandola sparire dietro le porte, scortata da quelle guardie e dalla figura impassibile del colonnello.
La gente intorno a lui iniziò a mormorare sull’esito di quel processo: erano perplessi e sconcertati che, questa volta, l’alchimista di fuoco non avesse regalato loro nessuna sorpresa.
Havoc sentì montargli la nausea a stare in mezzo a quelle persone che non potevano capire quello che stava succedendo. Con un gesto improvviso, girò le spalle a quell’aula, con quella maledetta bandiera porpora che si stagliava sulla parete di fondo, e andò fuori a respirare aria pulita.
 
Uscendo vide Breda che lo aspettava, poco fuori dai cancelli.
Il biondo non poté fare a meno di raggiungere il suo compagno con passo affrettato.
“Sono due emeriti coglioni! – sbottò con voce rotta – L’hanno massacrata! E lei zitta, così come il colonnello! Io… io li ammazzerei!”
“Calmati, Havoc. – mormorò Breda, afferrandogli il braccio per bloccare quello sfogo – Te l’avevo detto che sarebbe andata così. In questo momento non possiamo fare molto per loro. Che mi dici della sentenza?”
“Impiccagione, ovviamente – rispose il biondo con sguardo cupo – in data ancora da destinarsi. Vogliono prima processare il colonnello, domani pomeriggio… evidentemente vogliono giustiziarli lo stesso giorno, insieme”
“Sì, credo che andrà così: del resto sono due figure legate strettamente tra di loro. Adesso non ci resta che aspettare domani il processo del colonnello”
“Maledizione,Breda! Come fai ad essere così calmo?”
“Perché voglio vedere fino a che punto del baratro arriveranno quei due” dichiarò il sottotenente rosso
“Il baratro sarà quella botola che si aprirà sotto i loro piedi, non c’è molto da dire”
“Finiscila, Havoc. Adesso cerca di riprenderti: torniamo a casa di Falman e riferiamo a lui e Fury le novità. La cosa importante è stare uniti e dobbiamo pensare al sergente: sarà quello che accoglierà peggio di tutti la notizia, fidati”
Con un sospiro Havoc fissò per l’ultima volta il tribunale e poi seguì il suo compagno verso la loro base momentanea.
 
In cella Riza era sprofondata di nuovo nella sua apatia.
Giaceva nella branda e teneva gli occhi chiusi, come se si stesse riposando dopo una lunga, estenuante, prova.
Seduto accanto a lei, il colonnello la vegliava, accarezzando distrattamente una ciocca di capelli biondi che era sfuggita dal fermacapelli della donna.
Non ho potuto fare niente…

 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. Castello di carte. ***


Capitolo 6. Castello di carte



Giorno 7


C’era una volta un bambino con capelli ed occhi neri a cui piaceva molto fare i castelli con le carte.
Adorava vedere quelle costruzioni diventare mano a mano più alte, con altre carte disposte orizzontali intorno a quelle verticali, in modo da proteggerle e sostenerle.
E più il castello diventava alto più lui ne era felice.
Si immaginava che ogni carta fosse l’elemento di un mondo meraviglioso, dove tutti erano felici, dove il sole splendeva sempre e non c’erano guerre e disperazione.
Un mondo a portata di bambino, dove era la vita a farla da padrone, senza i problemi degli adulti.
Il suo castello stava venendo davvero bene ed era felice di mettere altre carte sopra l’ennesimo piano: nonostante fosse sempre più alta, lui riusciva sempre ad arrivare in cima alla costruzione per mettere nuovi elementi.
Ma, all’improvviso, un vento fortissimo spazzò via l’opera che gli era costata tanta fatica e tante speranze. Non era un vento freddo, ma caldo… tanto caldo. E portava con sé tantissimi granelli di sabbia che gli sbatterono con violenza nel viso, entrandogli anche negli occhi sottili.
Con un gemito il bambino se li sfregò con i pugni chiusi, versando qualche lacrima per il bruciore, ma quando li riaprì non vide nulla: era tutto buio.
Per fortuna lui conosceva una magia: schioccando le dita una scintilla apparve nelle sue mani. Così rossa e brillante riusciva a fargli vedere di nuovo le sue braccia e parte del suo corpo. Concentrandosi riuscì a far diventare quella minuscola scintilla una fiamma che, senza bruciarlo, gli ballava nel palmo della mano.
Gli venne in mente che con quella luce avrebbe potuto recuperare le carte e iniziare a ricostruire il suo castello: non lo spaventava l’idea di cominciare da capo.
Così fece diventare la fiamma ancora più grande, cercando di illuminare il suolo per vedere dove fossero finite le sue carte. Ne vide una a poca distanza e si avvicinò con un sorriso… ma come si chinò per raccoglierla, questa entrò in contatto con il fuoco.
Pochi secondi e fu un inferno di calore e fiamme.
Il buio scomparve e le rovine di Ishval, in mezzo al deserto caldo e opprimente, fecero la loro comparsa. Odore di bruciato… di carne bruciata. Spari, urla… guerra.
Il bambino si guardò intorno preoccupato e spaventato: conosceva quel posto e ne aveva paura. Sapeva che lì stava succedendo qualcosa di orribile. Nonostante sentisse tutti quei rumori non c’era nessuno accanto a lui, e questo lo spaventava ancora di più.
Iniziò a correre tra le rovine di quel posto, alla ricerca di qualcuno che lo aiutasse, che lo portasse via da lì.
“Havoc! – gridò spaventato con la sua voce infantile – Breda! Falman! Fury! Dove siete?”
Man mano che avanzava le lacrime ripresero ad uscire dai suoi occhi scuri, rendendogli la vista appannata… ma aveva paura di fermarsi, perché sapeva che quegli spari e quelle persone bruciate l’avrebbero raggiunto.
“Tenente?...Dove siete?! Per favore – singhiozzò – non lasciatemi solo”
Le case distrutte dalla guerra si diradarono e giunse in una sorta di piazza, dove almeno quegli scheletri di abitazioni non sembravano pronti a crollare su di lui. Girandosi di lato si accorse di non essere solo: vide una giovane soldatessa dai corti capelli biondi. Indossava un cappotto bianco sopra l’uniforme militare ed era inginocchiata a compattare un mucchio di terra con sopra due pezzi di legno legati a formare una croce.
Il bimbo sentì che quella persona gli doveva essere in qualche modo conosciuta e così si avvicinò.
“Che cosa fai?” chiese fermandosi a pochi passi di distanza
“Finisco di fare la tomba per un bambino” disse lei con voce piatta, continuando a sistemare la terra con le nude mani
“Un bambino? – si dispiacque lui – Oh poverino, e chi era?”
Lei alzò lo sguardo dalla tomba e si girò verso di lui: occhi castani e gelidi, occhi di un angelo della morte che scendeva dal cielo. Il piccolo indietreggiò istintivamente di un passo
“Ma sei tu, Roy. Questa è la tua tomba” disse con semplicità
“Che? – si spaventò lui – Ma io… io non sono morto! Guarda! Sono davanti a te!”
La donna scosse il capo e gli tese la mano
“Forza, vieni… - lo chiamò – non vedi tutto quello che hai combinato in questo posto? Come castigo starai in questa tomba”
“Quello che ho combinato…? – lacrime scesero sulle guance pallide del piccolo Roy, mentre si guardava intorno – Ma, io non ho…”
“Le carte, Roy, le tue carte: le hai avvicinate troppo alla tua fiamma di cui andavi tanto fiero… e guarda”
“No! Non è vero, me ne sarei accorto… e poi… poi erano solo carte!” si disperò
“Era il tuo mondo” lo corresse lei, tendendo con più insistenza la mano sporca di terra… e di sangue.
Roy indietreggiò ulteriormente, spaventato da quella donna così familiare eppure così diversa e fredda.
La sua schiena sbatté contro qualcosa e mani lo sostennero: girandosi con la paura di vedere qualcosa di spaventoso, magari uno degli uomini bruciati, si trovò invece davanti alla figura di un soldato biondo e con la sigaretta in bocca
“Havoc! – lo chiamò sorridendo, lieto di riconoscerlo – Havoc! Portami via di qui, per favore”
Tese le mani, fiducioso, nella speranza di essere preso in braccio e portato al sicuro da quel ragazzo così grande e rassicurante, con quell’odore di tabacco che superava quello di bruciato.
Havoc si chinò e fece per prenderlo, ma una voce lo bloccò
“No, non farlo”
Il sottotenente fissò il piccolo con aria di scusa e poi riguadagnò la posizione eretta
“Hai ragione, Breda, me ne ero scordato”
Girandosi verso la direzione in cui stava guardando Havoc, Roy vide Breda che si avvicinava assieme a Falman
“Ma perché? – chiese disperato – Perché non deve farlo?”
“Perché tu hai scelto di non essere salvato. – gli spiegò impassibile il rosso – Forza, non vedi che lei ti aspetta?”  e gli fece cenno di andare verso la donna bionda che ancora stava inginocchiata davanti a quel mucchio di terra, la mano tesa verso di lui.
“Non voglio! – pianse disperatamente, cercando di scappare – Non voglio morire!”
Corse via con gli occhi serrati, ma andò a sbattere contro una nuova persona. Alzando lo sguardo rimase sorpreso… perché Fury era più alto di lui? E perché aveva quello sguardo così irato, così innaturale.
Prima che potesse parlare, il sergente gli diede una sberla che gli lasciò la guancia bruciante.
Scoppiò a piangere, portandosi una mano sulla parte lesa.
“Te lo ripeto solo un’altra volta, Roy. – disse Fury impassibile e spietato… come era stato lui – Tu domani confermerai tutto quanto. Non ho bisogno della tua stupida prova d’innocenza, ragazzino”
“Roy – mormorò Riza, perché quella donna era davvero Riza – basta con i capricci: andiamo”
“Basta! Basta! – strillò lui – Io non voglio! Non voglio!”
Delle manine nere sbucarono dal terreno… erano tante, come tentacoli: prima che potesse fare qualcosa lo avvolsero completamente e lo sollevarono da terra. Da quella posizione alta poteva vedere i suoi uomini che lo guardavano impassibili; poi i tentacoli neri si mossero e lo portarono sopra la tomba: il mucchio di terra si aprì, mostrando una voragine scura, dove non c’era speranza ma solo disperazione… e un grande occhio rosso.
“No! No…Nooo!!”
 
“No!” esclamò Mustang, ridestandosi improvvisamente.
I suoi sensi di soldato furono rapidi a capire che era stato solo un incubo e che si trovava nella cella della prigione. Si voltò di lato e vide, con sollievo, che il suo brusco risveglio non aveva destato il tenente: anche se probabilmente non l’avrebbero svegliata nemmeno con le cannonate da quanto dormiva profondamente in quella branda.
Invidiò quel sonno così pesante e tranquillo: l’incubo che aveva avuto era stato veramente snervante e gli aveva lasciato una pessima sensazione addosso… come se quei tentacoli neri, tremendamente simili a quelli dell’homunculus Pride, fossero ancora sul suo corpo.
Una notevole distorsione della realtà, certamente dovuta allo stress e al fatto che tra poco sarebbe toccato a lui essere processato: il colmo era stato certamente Fury con quell’aria così cattiva che gli dava quella sberla.
Avevo anche io quell’espressione quando l’ho schiaffeggiato?
E Riza che lo chiamava insistentemente verso quella tomba? Quella tomba che nella realtà lei aveva fatto per un bambino senza nome di Ishval, lasciato sulla strada, mentre le truppe di Amestris festeggiavano la tanto agognata fine della guerra.
Non voglio più vedere quello sguardo nei tuoi occhi, tenente…
Con un sospiro sentì dei rumori che annunciavano il risvegliarsi della prigione.
Dopo pranzo sarebbe toccato a lui essere giudicato e, per la prima volta da quando erano iniziati i processi, sarebbe stato solo, senza nessuno della sua squadra a sostenerlo.
Scrollando le spalle con rassegnazione chiuse di nuovo gli occhi, preferendo concedersi ancora qualche ora di riposo.
Ma l’urlo del bambino che veniva portato in quella voragine lo tormentò fino a quando vennero a prenderlo.
 
“Per l’ultima volta, sergente, lascia stare” disse Havoc, mentre arrivavano in prossimità del tribunale.
“No! – dichiarò Fury, camminando accanto a lui, Falman e Breda – Voglio essere presente… è un mio dovere”
Il sottotenente squadrò per la decima volta il piccolo della squadra, sorprendendosi di quanto si potesse dimostrare ostinato. Vestito in abiti borghesi sembrava ancora più giovane, anche se lo sguardo parlava di una maturità profonda, arrivata con prove dure e difficili.
Si era ripreso quasi del tutto dalle condizioni precarie in cui l’avevano trovato: molto probabilmente aveva ragione Breda nel dire  che era stato soprattutto uno stress psicologico a ridurlo in quelle condizioni. Nonostante persistesse un lieve pallore nel viso, il ragazzo sembrava in buona forma.
Proprio per questo Havoc avrebbe voluto evitare di portarlo con loro al processo.
Se non posso venire con voi, signore, ci andrò da solo
Ma non se l’era sentita di far valere la sua autorità in quel frangente: nonostante tutto gli era sembrato che Fury avesse davvero il pieno diritto di essere lì, a chiudere quel ciclo di folli processi. Le due persone che erano entrate per prime in quel posto, dovevano essere presenti quell’ultimo giorno.
Non c’era molto di razionale in quell’idea, ma era una di quelle sensazioni che si sentono giuste per istinto.
Tuttavia, man mano che procedevano verso la prigione, ad Havoc erano sorti sempre maggiori dubbi: in fondo lui voleva proteggere Fury dall’ennesima delusione. Gli era bastato vedere la sua faccia quando gli avevano detto che il tenente era stato condannato.
… è un mio dovere.
Dovere, giustizia, fedeltà… si stavano intrecciando troppe cose in quei giorni.
Anche Breda e Falman dopo un primo momento di perplessità avevano acconsentito alla presenza del ragazzo.
In fondo era giusto che a quel processo fosse presente tutta la squadra.
 
L’aula adibita a tribunale questa volta era gremita, come ci si doveva aspettare.
“Pare che metà Central City sia venuta qui – commentò Havoc – mi domando se sia presente anche gente proveniente da fuori”
“Non credere, - scosse il capo Breda - per quanto la notizia del processo dell’alchimista di fuoco sia di pubblico dominio, è comunque limitata alla sola Central City”
“Cosa?” si sorprese Falman
“Finché eravamo in prigione non potevo esserne certo, ma dopo essere stato fuori ne ho la conferma. La capitale sta vivendo una situazione davvero particolare: - fece uno dei suoi sorrisi sarcastici - è l’unica a sapere come e quando i soldati del precedente regime verranno processati. La nuova democrazia – ci fu particolare enfasi su quella parola – ci va giù pesante con la censura di radio e giornali: preferisce rendere partecipe il resto del paese a cose fatte”
“C’era più libertà con il Comandante Supremo” sbottò Havoc
“E’ semplicemente una mossa astuta – scrollò le spalle il robusto sottotenente - tenendo questi processi più o meno nascosti al resto del paese, basta controllare Centra City con un numero minimo di forze per avere in mano le redini di tutta Amestris. L’importante è che la maggior parte dello stato ignori quelle cose… salteranno fuori a tempo debito, quando la gente sarà pronta ad accettarle… o semplicemente non ci sarà più nulla da fare”
In ogni caso i cittadini di Central non avevano potuto fare a meno di accorrere in massa a quel processo.
Havoc e gli altri dovettero spintonare per riuscire a passare. Ma mentre il sottotenente con Breda e Falman si dovette accontentare delle ultime file, Fury approfittò della sua snella figura per riuscire a scivolare, con discreta disinvoltura, fino alla balaustra che divideva il pubblico dalle panche destinate agli imputati.
Di conseguenza quando la porta laterale si aprì per far entrare il colonnello, scortato dalle guardie, i due si videro chiaramente.
Fury? – pensò Mustang – Accidenti, ma perché ti hanno permesso di venire?
Per un attimo gli tornò in mente il soldato adirato del sogno: quanto era diverso dal ragazzo che stava a pochi metri da lui in cui lineamenti delicati ed infantili erano segnati solo da dolore e tristezza.
Tuttavia non ebbe tempo di pensarci ulteriormente: questa volta non doveva stare in silenzio mentre la giuria interrogava uno dei suoi. Stavolta toccava a lui.
Forza, signori, eccomi qua. Facciamola finita con questa farsa… voi fate un favore a me e io ne faccio uno a voi, liberandovi della mia presenza. Scambio equivalente, no?
“Colonnello Roy Mustang, - iniziò il giudice senza preamboli – lei venne convocato, in quanto alchimista di stato, per prendere parte alla guerra di Ishval: dal 1907 al 1908, anno di conclusione del conflitto. Conferma?”
“Sì, confermo – rispose Roy con voce chiara, gli occhi puntati sulla parete di fronte a lui, sulla linea centrale della “A” dorata sulla bandiera: certo che l’avevano fatta davvero brutta… – L’allora Comandante Supremo King Bradley decise di porre fine agli anni di guerra civile che stavano devastando il paese: con l’ordine  numero 3066 decretò lo sterminio di Ishval. Tra le truppe che vennero inviate, ci furono anche gli alchimisti di stato”
In realtà dovevamo solo creare uno stemma di sangue per portare avanti i piani degli homunculus. Siamo stati pedine nelle loro mani… ma la guerra l’abbiamo combattuta senza fermarci a riflettere se era giusta tutta quella morte. O se abbiamo riflettuto l’abbiamo fatto nel silenzio, senza reagire nell’immediato.
“Quante persone ha ucciso in quell’anno di guerra?”
Fu una domanda inaspettata, tanto che Mustang distolse lo sguardo dalla bandiera per portarlo davanti al giudice.
Mi chiedi quanti ne ho ucciso? Quante persone possono morire in un’esplosione di un edificio devastato dalle fiamme? Vuoi proprio saperlo? Vuoi davvero che te lo dica?
“Sicuramente più della maggior parte dei soldati presenti ad Ishval. – disse con voce rabbiosa – La mia alchimia è una delle più distruttive”
… le carte – mormorò la voce spettrale del sogno – le hai avvicinate troppo alla tua fiamma di cui andavi tanto fiero… e guarda…
“Si rende conto che questa sua affermazione è molto grave?” chiese il giudice, con una serietà che tuttavia non riusciva a nascondere un perverso compiacimento
“E’ la semplice verità” scrollò le spalle Mustang, ignorando il mormorio della folla e soprattutto la voce dell’incubo.
Ma questa volta a disturbarlo era anche la consapevolezza di avere inchiodato su di sé lo sguardo del sergente. Poteva sentire quegli occhi scuri sulla sua schiena, li vedeva nella sua mente nella loro espressione di dolorosa sorpresa…
Fury fissava il colonnello con le lacrime agli occhi.
Non è vero che l’alchimia è solo distruttiva, colonnello! Non posso dimenticare di come ne abbia sentito il calore quando le sue fiamme sono passate tra me e il tenente, senza nemmeno sfiorarci, per salvarci da quell’homunculus… E’ lei a deciderle come usarla! E da quando la conosco l’ha sempre usata per fare del bene! Per favore… per favore lo dica!
“Alla fine della guerra le venne conferita l’onorificenza di Eroe di Ishval”
“Sì: l’esercito ritenne che il mio apporto alla guerra fosse stato importante”
Titolo che ho sempre odiato, ma che non ho rinnegato…era un ulteriore monito per ricordarmi quanto fosse sbagliato il sistema che onorava gli assassini come me.
“In seguito lei salì in fretta di grado: effettivamente essere colonnello a soli venticinque anni è raro”
“Semplicemente nel Quartier Generale dell’Est ebbi occasione di mostrare quanto valevo”
Mi vuoi levare anche questo, giudice? Non ho nulla di cui pentirmi della mia permanenza ad East City: ho preso con me gli uomini migliori che potessi mai chiedere, condividendo con loro i miei sogni e le mie aspirazioni… questo non me lo puoi levare. Questo non è un peccato.
Gli occhi neri sfidarono il giudice a fare ulteriori domande relative al periodo trascorso ad East City: dovette fargli paura perché l’uomo preferì andare oltre.
“In seguito lei fu trasferito a Central City dove, dopo un breve periodo, mise in atto il colpo di stato che portò alla morte del comandante supremo”
Sì, io e un altro po’ di gente. Forse non sai che, se la tua anima è ancora attaccata al tuo corpo, lo devi a me e ad altre persone che hanno combattuto come disperati. Sciocchi, non potete capire che cosa avete rischiato! In fondo voi mi dovreste ringraziare! Notevole come la verità si possa distorcere nell’arco di nemmeno un anno…
“Non lo nego, complottai per prendere il posto di King Bradley”
“E tra le altre cose coinvolse anche un giovane soldato che aveva corrotto”
“Non è vero!” il sussurro di Fury giunse all’orecchio acuto del colonnello. Questi si arrischiò a sbirciare con la coda dell’occhio e intravide il giovane aggrappato pesantemente alla balaustra, le guance rigate di lacrime.
Certo che non è vero, ragazzo… lo sappiamo bene che tu mi seguivi perché credevi in me, sapendo benissimo cosa volevo fare. Non ti ho corrotto in alcun modo, non l’ho fatto con nessuno di voi.
“Sì, approfittai della sua buona fede, come ho specificato in un precedente processo – si costrinse a dire con noncuranza – Il soldato in questione era un ottimo elemento nel settore elettronico e, dalla sua scheda personale, sapevo che aveva un carattere facilmente influenzabile. Ma lo sapete già, no?”
Dannazione, Fury, ma perché sei in prima fila a risentire queste menzogne?
“Inoltre fu lei a rapire la signora Bradley e a scatenare la guerriglia per le strade di Central”
“Sì, sono stato io”
E quella donna in fondo è salva grazie a me e ai miei uomini. Ma lei sta ben nascosta in un posto sicuro con il nuovo Selim… non la coinvolgerete. Ha già passato troppi travagli per quella storia. Quanto a te… la devi fare ancora lunga? Mi stai veramente irritando!
“Ed inoltre…”
“Oh insomma, che altro vuole sapere? – chiese il colonnello con arroganza – Quanto sono stato perfido e malvagio? Si faccia bastare Ishval, giudice. Si faccia bastare quelle centinaia di morti che ho provocato con la mia alchimia in quelle sabbie maledette: è quello il crimine per cui vado condannato! Del colpo di stato non me ne importa niente”
Basta con questa farsa! Non capisci che lo rifarei anche domani il colpo di stato?
“Colonnello Mustang!”
“Non intendo rispondere ad altre domande idiote! Se deve emettere una sentenza lo faccia, adesso!”
“Che?... Ma questo è affronto alla corte! Colonnello, mantenga la calma o peggiorerà la sua situazione…”
“E se peggiora rischio la condanna a morte?” sorrise ironicamente Mustang
Una battuta che ebbe l’effetto di zittire completamente il giudice e il resto dei suoi colleghi.
Hai voluto a forza i processi della mia squadra per farti bello? Ti ho fregato in tutti i casi, idiota! Hai sempre fatto il mio gioco e ti ho sempre controllato! Adesso fammi il favore di smetterla di fingere un’autorità che non hai! Qui comando io! Condannami, maledetto!
“Eh… - il giudice esitò davanti allo sguardo infuocato dell’alchimista, ma piano piano si riprese – questa corte, considerate le prove contro di lei, la dichiara colpevole di aver preso parte allo sterminio di Ishval e del colpo di stato contro il precedente regime. La sentenza è morte per impiccagione: lei e il tenente Riza Hawkeye verrete giustiziati tra due giorni: domenica 14 ottobre. Così è deciso!”
“Tante grazie” sbottò Mustang, mentre la sala mormorava sempre più rumorosamente, galvanizzata da quell’inaspettato finale di processo dove era stato l’alchimista a farla da padrone.
Mentre la giuria si ritirava, il colonnello vide le guardie che si guardavano tra di loro, indecise su chi dovesse essere la prima ad avvicinarsi alla sua figura, palesemente arrabbiata e temibile.
Ignorandoli completamente, Mustang si diresse verso la balaustra dove stava Fury.
Provate a fermarmi e aggiungeranno anche degli omicidi alla lista delle accuse.
Il suo sguardo era così minaccioso che anche le persone che stavano vicino al sergente si fecero da parte; e le guardie si tennero prudentemente lontane.
“Ti ho sempre detto di tenere la schiena dritta e lo sguardo alto, Fury – gli disse. Ma poi fece un sorriso e sospirò  - Ehi, sergente, ma perché sei venuto, sciocchino?”
“Colonnello… - singhiozzò Fury, afferrando impulsivamente una manica del suo superiore – ma perché? Perché?”
“Ssh, ora calmati – disse Mustang. Ma come poteva quel ragazzo piangente avergli dato uno schiaffo nel sogno? – In fondo è un bene che tu sia qui: ho l’occasione di chiederti scusa per quello schiaffo”
“Non è stato…” cercò di rispondere il giovane, guardandolo con occhi lucidi
“Mi dispiaceva essermi congedato da te con quella sfuriata: ma era necessaria per salvarti. – sollevò le mani ammanettate per accarezzare la testa corvina – Ma sono sicuro che tu lo sai. Però sono felice: ho l’occasione di dirti che sono sempre stato fiero di te, come di tutti gli altri. Sul serio, sergente, ti voglio ringraziare per essere stato un soldato eccezionale e fedele… e dillo anche agli altri: lo siete stati tutti”
Con la coda dell’occhio vide le guardie che si stavano avvicinando
“Non lasciarti andare, ragazzo: – gli sussurrò prima di indietreggiare – devi continuare a credere”
“A credere? – esclamò Fury guardandolo con disperazione – E a cosa devo credere dopo che… ho assistito a tutto questo?”
Mustang si limitò a rivolgergli uno stanco sorriso.
“Perdonami, sergente, ma questo lo devi scoprire da solo…”
 …no, anzi, scoprilo con gli altri. Sono sicuro che ce la farete.
 
La sala si svuotò lentamente, con la gente uscente che commentava incredula l’andamento di quello strano processo. Tutti avevano la netta impressione che a comandare fosse stato l’imputato e non la giuria: il senso di autorità di quel governo vacillava pesantemente. La gente era maggiormente portata a riconoscere l’autorità militare, ben rappresentata dall’alchimista di fuoco. Certo, aveva usato la sua supremazia per farsi condannare e questo spiazzava ogni forma di buon senso.
Insomma, la confusione era tanta.
Fu così che nessuno fece più caso a quel ragazzo in pantaloni neri e maglietta bianca che singhiozzava chino sulla balaustra. Quando la sala fu vuota, il suo pianto rimase l’unico rumore udibile.
“Fury… - sospirò Falman, incitandolo a sollevare il busto e abbracciandolo per confortarlo – che è successo?”
“Mi ha chiesto scusa… per lo schiaffo – spiegò il sergente, mentre la mano gentile del maresciallo gli accarezzava i capelli dritti – ha detto che era fiero di me… di tutti noi. Ma perché? Perché si è fatto condannare?”
“Vedi, ragazzino, la verità è che…” iniziò Havoc, frugando nelle tasche per prendere una sigaretta. Ma non seppe continuare… non a voce alta.
La verità è che è stato un emerito coglione…
“Fury, ti ha detto altro?” chiese Breda con gentilezza
“Ha detto che dovevo continuare a credere. – disse il giovane, scostando il capo dal petto di Falman e fissando i suoi compagni – E quando gli ho chiesto in cosa dovevo credere… mi ha risposto che dovevo scoprirlo da me”
“Oh bene, un bel modo di congedarsi” commentò sarcasticamente Havoc
“Signore, in che cosa dobbiamo credere?” chiese il sergente
“Bella domanda: se trovi una risposta fammela sapere, mi raccomando”
“Beh, direi che qui non è rimasto molto da vedere” mormorò Falman
I quattro soldati in borghese lanciarono un’occhiata a quella bandiera porpora che si stagliava orgogliosa sulla parete davanti a loro. I loro occhi si riempirono di astio contro quell’emblema di falsa giustizia e democrazia: era piuttosto il simbolo di un nuovo potere arrogante, passato nelle mani di un oligarchia borghese piuttosto che militare.
Sul serio avevano combattuto e rischiato le loro vite per tutto questo?
“Andiamocene, – disse Havoc – prima che dia fuoco a quella bandiera con l’accendino”
 
In cella Mustang si massaggiò i polsi liberi dalle manette e si sedette nel letto dove stava Riza.
“Sai, tenente, ho avuto occasione di chiedere scusa a Fury per lo schiaffo… è stata l’unica parte decente di quel processo”
Nessuna risposta, nemmeno un piccolo sorriso: era completamente assente.
“Il sogno si è interrotto, tenente, ma quella tomba non era solo per me, vero? Due giorni e ci andremo insieme… ma quel bambino senza nome di Ishval non tornerà in vita per questo”
E’ stato tutto… uno stupido castello di carte…

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. Il posto di ciascuno. ***


Capitolo 7. Il posto di ciascuno.

 


Giorno 8


Non ci sarebbero stati altri processi durante i due giorni che mancavano all’esecuzione del tenente Hawkeye e del colonnello Mustang. Il governo aveva deciso che tutta l’attenzione doveva essere focalizzata su quelle singole impiccagioni: il più grande tra gli eroi di Ishval e la sua assistente, anche essa una delle più temibili partecipanti a quella guerra.
Domenica 14 ottobre, alle 10.00 di mattina.
Tutta la popolazione di Central City sussurrava questa notizia con tono sommesso, quasi avesse paura di farsi sentire. Chi passava vicino alla piazza col patibolo girava accuratamente lo sguardo.
Tutti si chiedevano se avrebbero avuto la forza di andare all’esecuzione, ma nel profondo del loro animo sapevano che l’avrebbero fatto. Erano un popolo abituato alla presenza militare e, per quanto le esecuzioni pubbliche fossero state molto rare, infatti si tenevano sempre all’interno della prigione stessa, erano in qualche modo convinti che fosse giusto esserci. Anche se questa volta sembrava più un gesto di rispetto nei confronti dei condannati, piuttosto che per dimostrare il proprio appoggio al governo.
 
Era questa l’aria che respirò il maresciallo Falman mentre tornava a casa sua con due pesanti buste per la spesa. Aprendo la porta dell’appartamento notò con lieve disappunto il caos che vi regnava, ma in qualche modo ne fu anche confortato: nel divano del soggiorno Havoc russava profondamente, le lunghe gambe che sbordavano fuori. I soldati infatti erano rimasti tutti in quella sistemazione, certamente stretta, ma recante un notevole senso di sicurezza. C’erano piccoli disagi in tutto ciò, in primis la sistemazione per dormire, ma nessuno aveva protestato per quei sacrifici.
“Sei tornato, Falman? – chiese Breda, uscendo dalla cucina – Che si dice nelle strade?”
“Niente di particolare – sospirò il maresciallo, passando al rosso una delle buste della spesa – C’è molta attesa mista a tensione per l’esecuzione di domenica”
“Tipico della gente di città: hanno paura che venga levata loro la quotidianità e che le cose cambino. – scrollò le spalle il sottotenente, iniziando a svuotare la busta nel tavolo di cucina – Un anno fa piangevano sinceramente il Comandante Supremo, timorosi che la vita potesse cambiare”
“Piangeranno anche la morte del colonnello?”
“Non in maniera così eclatante, ma lo faranno: è un altro pezzo del loro rassicurante passato che se ne va. Un eroe che tutti conoscevano di fama: sono storditi perché non capiscono davvero cosa sta succedendo. A loro andava bene la vita di prima e non comprendono questi cambiamenti dove quello che è stato giusto ora è sbagliato”
“Sarò sincero, signore, - sospirò il maresciallo – non comprendo nemmeno io. Insomma… anche se alla fine abbiamo combattuto contro Bradley e gli homunculus, noi siamo diventati soldati perché credevamo davvero di fare del bene al nostro paese. E nel nostro piccolo l’abbiamo fatto, prima che iniziasse tutta la faccenda dei fratelli Elric: non poteva essere così sbagliato. Non possiamo essere stati così ciechi”
Breda si mise ai fornelli, per preparare un caffè bollente di cui avevano tutti bisogno
“No, non siamo stati ciechi: vado fiero di quello che sono. L’ho pagato a caro prezzo con le esperienze che ho vissuto durante la guerra civile, ma non ho smesso mai di lottare e credere in un futuro migliore per il mio paese… se non fosse stato per gli homunculus e il loro piano che ha portato tra le altre cose ad Ishval, a parer mio non c’era molto di sbagliato in Amestris”
“Sa, ieri prima di andare a dormire, Fury si è sfogato un po’. Per lui è veramente difficile la situazione: insomma, noi abbiamo vissuto le nostre esperienze prima di entrare nella squadra del colonnello, ma per uno giovane come lui, la realtà si è quasi obbligatoriamente ridotta a Mustang, persino più che all’esercito stesso”
“E’ un imprevisto a cui il colonnello doveva pensare, prendendolo con sé appena uscito dall’Accademia”
“Quel ragazzo ora non sa in cosa credere… e nemmeno io. – Falman scosse il capo e Breda lo guardò con sincera sorpresa, sapendo quanto fosse raro che il maresciallo si aprisse così, anche verso i suoi amici – Non è questo il mondo per cui ho lottato, sottotenente, quello per cui, davanti allo stesso Bradley, ho avuto la forza di puntare la pistola”
“Non è il mondo per cui abbiamo lottato tutti noi. Non facciamo i finti tonti, Falman, noi abbiamo sempre appoggiato il colonnello perché speravamo di vederlo a capo di questo paese. Perché dopo quello che è successo durante la guerra civile sapevamo che lui avrebbe cambiato le cose”
“E le ha cambiate, – si intromise Havoc, entrando con aria assonnata – ma nell’ultimo anno ha fatto una cazzata dopo l’altra, a mio modesto parere. Quanto ci vuole per quel caffè?”
“Vacci piano, biondo! – lo pungolò Breda – Non sono tua moglie e tutta la mia simpatia andrà alla sfortunata che eventualmente ti sposerà”
“Divertente…  - sbadigliò Havoc accendendosi una sigaretta – Allora, novità in città?”
“Falman mi raccontava dell’aria di contrita attesa per l’esecuzione di dopodomani. E da qui sono partiti i pensieri di due militari delusi”
“Allora aggiungete anche me. Non mi è ancora passato il senso di nausea di ieri… stupido colonnello: poteva fare quello che voleva”
“E’ questo il problema principale: lui ieri ha fatto, effettivamente, quello che voleva.– ammise Breda – E noi ci siamo già scontrati contro questo ostacolo. E’ lui a voler essere condannato… come se potesse cancellare la guerra di Ishval con la sua morte.”
“Insomma ha lavorato per anni e aveva come unico obbiettivo essere condannato?” chiese Falman, a cui tutto questo non tornava per nulla: perché non era il modo di pensare di Mustang
“No, la sua idea era davvero quella di cambiare il paese, la condanna era solo una conseguenza che era disposto ad accettare, anche se ha tenuto questo pensiero per sé e per il tenente… anche quell’altra avrebbe bisogno di una bella scrollata. – spiegò Breda – E’ come se… come se una volta caduto il governo di Bradley, la causa dello sterminio di Ishval, gli sia mancata qualsiasi motivazione. Si è sentito arrivato a prescindere dal nuovo governo che aveva ottenuto…”
“Insomma il discorso è “Bene, io ho fatto la mia parte aiutando ad uccidere il cattivo, ora pensateci voi”? Non lo credevo così vigliacco: è una fuga bella e buona”
“Più o meno è così: ma come ti ho detto, Ishval è un qualcosa che noi non possiamo giudicare appieno. Non abbiamo idea di quello che si portano dentro lui ed il tenente: ma per fargli desiderare così tanto la morte… beh, se sono stati così onorati vuol dire che sono stati tra i più bravi ad uccidere. - scrollò le spalle il rosso – Comunque prendete le tazze e andate a svegliare Fury: a quello ci vuole una dose doppia di caffè per tirarlo su.”
“Vado io…” sospirò Falman
Rimasti soli i due compagni di tante avventure si guardarono intensamente per diversi secondi.
I loro occhi parlavano di rabbia e delusione, orgoglio ferito…
“In ogni caso io non li giustifico! – sbottò Havoc, bevendo un sorso di caffè – Ci hanno sempre spronato ad andare avanti: che lo facessero anche loro. Ishval non risorgerà appena il cappio farà il suo dovere sui loro colli”
“Ah, ma su questo mi trovi perfettamente d’accordo” alzò le spalle con noncuranza Breda, come se stesse parlando di cosa preparare a pranzo
Il biondo posò la tazza di caffè sul tavolo
“Senti un po’, Breda, – mormorò  – dopo il processo del tenente mi hai detto che volevi vedere fino a che punto del baratro riuscivano ad arrivare quei due”
“Sì, mi ricordo: vediamo se i nostri pensieri coincidono, Havoc. Vediamo se questa viscerale fratellanza funziona sempre…” propose il rosso, sedendosi davanti all’amico e fissandolo con aria furba
“Ma non è detto che debbano cadere nel baratro, no?” il sottotenente sorrise con aria compiaciuta
“Assolutamente no” annuì Breda, alzando la tazza quasi a brindare
I due sogghignarono, come quando all’Accademia militare progettavano qualche evasione per andare a bere in qualche locale.
“Buongiorno a tutti” li interruppe Fury che entrava insieme a Falman. Il sergente si sedette stancamente accanto ad Havoc, gli occhi arrossati dalle lacrime versate. Con addosso i calzoncini corti e la maglietta bianca sembrava un bambino assonnato che si prepara mentalmente per andare a scuola.
“Ehilà, tappo! – lo salutò Havoc con vivacità, scompigliando i capelli neri – Come va? Dormito bene?”
“Eh? – si sorprese Fury, davanti a tutta quell’allegria cosi fuori luogo – Insomma…”
“Non va bene, sergente – lo rimproverò Breda, versandogli una tazza di caffè – ti voglio in forma: questo pallido fantasmino che vedo davanti ai miei occhi non ci servirà a molto”
“Servire a cosa?” chiese perplesso il sergente
Fissò Falman alla ricerca di qualche spiegazione, ma il maresciallo sembrava sconcertato quanto lui.
Il sorriso che Breda e Havoc fecero loro prometteva grossi guai… ma prometteva anche di tornare a credere.
 
Glacier Hughes stava per lavare le stoviglie con cui aveva fatto merenda assieme alla figlia
Era molto pensierosa, tanto che la piccola Elicia le aveva chiesto cosa ci fosse che non andava.
L’aveva tranquillizzata, spiegandole che era solo sovrappensiero per le tante cose che doveva fare e così la bambina era andata tranquillamente a giocare nella sua stanza.
Aveva iniziato a riprendersi dalla morte del padre, ora sorrideva più spesso: non le poteva certo dire che la mamma era in pensiero perché il miglior amico del suo caro papà stava per essere giustiziato.
Aperto il rubinetto rimase con le mani sotto l’acqua, dimenticandosi dei piatti sporchi.
Conosceva il colonnello Mustang di persona, ma ancora di più da quanto gliene aveva parlato Maes: un uomo giusto, un amico fedele, praticamente un fratello. Una persona che lui aveva sempre voluto spingere verso l’alto… e se ci credeva così tanto voleva dire che ne valeva davvero la pena.
Lo porterò in alto perché lui cambierà le cose
No, Maes non sarebbe stato contento di sapere che il suo migliore amico stava per raggiungerlo.
Qualcuno bussò alla porta e la donna si riscosse, affrettandosi a chiudere il rubinetto.
“Vado io mamma!” esclamò la vocina di Elicia
La donna mormorò qualcosa, mentre si asciugava le mani con un canovaccio e andava a raggiungere sua figlia all’ingresso. Rimase sorpresa quando vide un uomo alto, dai capelli biondi che sorrideva alla bambina.
“Ciao piccolina, – le stava dicendo – c’è la mamma?”
“Sì, certo! – sorrise Elicia, conquistata dal sorriso di quel ragazzo – Ecco che arriva. Tu chi sei?”
“Chiamami pure Jean”
“Io mi chiamo Elicia”
“Lo so… oh, eccola signora Hughes” salutò l’uomo quando vide Glacier
“Posso aiutarla, signore” chiese cortesemente la donna, non riconoscendolo
“Mi chiamo Jean Havoc, forse il mio nome non le dice nulla ma sono uno…”
“…degli uomini del colonnello Mustang” concluse lei, fissandolo con un sorriso
“Mi conosce?”
“Mi sono tenuta informata… sui vostri processi e su quello del vostro superiore. - sospirò tristemente – Ma prego, entri pure”
“No, vado di fretta, ma la ringrazio. – scrollò le spalle Havoc, posandosi allo stipite della porta – Volevo solo chiederle se domenica ha intenzione di andare… insomma… - guardò la bambina che ancora lo fissava con curiosità – ha capito, no?”
“Sì, ho capito. – annuì lei – Effettivamente volevo andarci… mi sembrava giusto nei confronti della persona che mio marito aveva sempre…”
“Signora, – la interruppe Havoc – accetti il mio consiglio e resti a casa quel giorno”
“Eh?” si sorprese lei
“Sarà una cosa molto movimentata e non vorrei le accadesse qualcosa. Al colonnello dispiacerebbe… - poi si rivolse alla bambina – Ehi, Elicia, che ne diresti se domenica mattina tua mamma restasse a casa a fare una bella torta? Magari la aiuti pure tu”
“Oh, sì sarebbe bello! – esclamò felice la bambina – E poi vieni ad assaggiarla, signor Jean?”
“Conservatemene una fetta - sorrise arruffandole i capelli – Allora, signora, mi promette di stare a casa?”
Glacier guardò quell’uomo, sorprendendosi di come potesse essere diverso rispetto a suo marito e allo stesso Mustang. Tuttavia annuì
“Sì, resterò a casa a fare una torta con mia figlia”
“Perfetto. Le auguro buona giornata”
Senza aspettare risposta il ragazzone si girò e si avviò per andare via.
E questa è fatta. Ora possiamo procedere con più tranquillità.
 
Come rientrò a casa Havoc vide che il soggiorno si era trasformato in un campo di battaglia.
C’erano diverse scatole di cartone sparse nel pavimento e decine e decine di pezzi elettronici ad occupare il tavolino davanti al divano. In mezzo a quel caos, Fury la faceva da padrone, lavorando come un ossesso.
Dopo un primo momento di sorpresa, il sottotenente sorrise compiaciuto nel vedere il ragazzo completamente concentrato e soprattutto motivato.
Uno degli effetti immediati della loro decisione, infatti, era stato il risveglio del sergente: da creaturina piagnucolante era tornato a dimostrare la solita determinazione. Ed era veramente un bene, perché quello che stavano per fare l’avrebbero dovuto portare a termine in quattro… e non in sei come al solito.
“Vedo che qui ci stiamo dando da fare” commentò andando accanto al sergente
“Sì, – rispose il giovane, ancora in calzoncini e maglietta – da casa mia ho recuperato quello che mi serviva. Dovrei riuscire a creare delle radio portatili per tutti noi, ovviamente con segnale protetto”
“Più piccole sono meglio è, ricordalo – Havoc arruffò i capelli del ragazzo, ma questi non sembrò nemmeno accorgersene, intento com’era a smontare alcuni pezzi per creare i nuovi apparecchi – dobbiamo poterci muovere senza troppi disagi”
“Sissignore!”
“Tempo di consegna previsto?”
“Domattina saranno pronte per il collaudo, signore”
“Ottimo”
Lasciando il sergente nel bel mezzo dei suoi apparecchi elettronici, Havoc si diresse in cucina dove, nel tavolo pieno di bicchieri, spuntini e mappe, aveva luogo un vero e proprio consiglio di guerra.
Breda e Falman erano seduti a quel tavolo e indicavano vari punti in un foglio disegnato.
“Il palco prende praticamente il lato nord della piazza: i prigionieri vengono portati da un camion che parte direttamente dalla prigione, a circa due isolati di distanza. Tutti gli accessi alla piazza del lato nord e di almeno metà dei lati est ed ovest saranno ovviamente controllati: l’afflusso della gente potrà avvenire solo da poche e scelte vie” la voce del sottotenente spiegava questi particolari, mentre Falman annuiva.
“Da quanto ho capito – disse il maresciallo – saranno presenti diverse autorità del nuovo governo: staranno nel balcone dietro il palco, del resto è il palazzo governativo di Central… non sanno ancora che farsene del vecchio Quartier Generale”
“Eccomi tornato” salutò Havoc, sedendosi tra di loro
“Fatta quella commissione?” chiese Breda
“Sì, lei non verrà: l’ho convinta a restare a casa”
“Molto bene: era un dettaglio a cui dovevamo pensare…” annuì Breda, riportando l’attenzione sui fogli
“Lei non verrà, – commentò Havoc – ma il resto della popolazione che sarà inevitabilmente presente?”
“Lascerà la piazza non appena l’azione comincerà. Sono spaventati, Havoc, ecco la verità: questo nuovo governo non piace nemmeno a loro”
“Non vorremo coinvolgerli, spero”
“No, non ci penso nemmeno. – scosse il capo con decisione il sottotenente rosso – Per due motivi fondamentali: questo governo per ora ha toccato solo i militari e non i civili… dico per ora perché non mi sembra molto affidabile. Di conseguenza la gente è spaventata, perplessa, ma non esasperata. Noi invece sappiamo bene cosa sia la vera l’esasperazione: l’abbiamo vista ad Est durante la guerra civile, quando le rivolte per le privazioni erano all’ordine del giorno… non credo abbia bisogno di andare oltre, vero Havoc?”
“Dimmi il secondo motivo, ma credo di saperlo” sorrise il biondo
“Ho giurato a me stesso di non vedere più la popolazione coinvolta in rivolte che hanno portato a combattere l’uno contro l’altro. Anche questo lo sai bene. Noi sappiamo individuare il nostro nemico, ma loro no… sarebbe il caos”
“E come farai a convincerli a lasciare la piazza?”
“Basterà l’inizio dell’azione, vedrete. - annuì Breda – Noi siamo in quattro e non abbiamo certo intenzione di occupare tutte le vie di fuga. E anche con le forze armate che ci troveremo contro cerchiamo di andarci piano… non siamo in trincea, non sono veri nemici. Insomma, l’azione deve essere limitata alla sola piazza: il resto della città non va toccato”
“Approvo” disse il sottotenente biondo
“Piuttosto dobbiamo pensare a quello che serve a lei, signore” ricordò Falman, rivolgendosi ad Havoc
“Ci penserò stasera… del resto sono sempre un soldato, no? E i gradi più bassi non possono certo disobbedire a un sottotenente”
“Ti accompagno io, comunque, – sospirò Breda – vorrei evitare complicazioni. E poi ho promesso al colonnello di tenerti d’occhio”
“Mi offendi, Breda”
“Mhpf… piuttosto. Se tutto va come deve andare ci aspetta un secondo compito abbastanza arduo: tenere testa a quei due”
“Ci penseremo a tempo debito e… oh, il telefono” si sorprese Havoc, sentendo lo squillo
“Vado a rispondere” si alzò Falman
Breda ed Havoc guardarono il maresciallo andare a rispondere, lievemente preoccupati che ci fossero guai in vista. Effettivamente l’aria sorpresa di Falman li fece sussultare, ma poi lo sentirono dire
“Edward… beh, sì… il colonnello? Ecco, forse tu non lo sai ma…”
Falman sembrava davvero in difficoltà a spiegare la situazione al giovane Elric.
Breda scosse il capo e si alzò
“Passamelo”
Falman annuì e gli lasciò la cornetta
“Ehilà capo Acciaio, come va?” chiese il sottotenente
“Sottotenente Breda! Ma che cosa succede? – chiese lievemente seccata la voce dell’ex alchimista – Ho provato a contattare il colonnello, ma nessuno mi ha saputo spiegare nulla. Anzi sembravano spaventati! Che cosa diavolo ha combinato il tuo superiore? Perché non si trova?”
“Semplicemente perché il colonnello è in prigione. – alzò le spalle Breda, come se fosse una semplice comunicazione di servizio – Lui e il tenente verranno giustiziati domenica: purtroppo sono notizie che il nostro nuovo governo non ama far circolare”
“Cosa? Ma sta scherzando spero!” la voce di Ed era tra l’incredulo e il preoccupato
“Mai stato più serio, Acciaio: il nuovo governo vuole fare giustizia per Ishval… e chi sono due dei maggiori eroi di quella guerra?”
“Stupido colonnello… idiota! Dobbiamo fermarlo! Quando succederà?”
“Domenica alle dieci, ma tu non ci sarai” dichiarò Breda
“Ma che sta dicendo? Ovvio che ci sarò! Non lascerò che quel maledetto muoia!”
“Perfetto: sono le otto di sera. – fece Breda guardando l’orologio – Dimmi, quando parte il primo treno dalla tua Resembool?”
“Ma…”
“I treni partono solo di mattina, quindi devi aspettare domani. Poi dovrai arrivare ad East City e ci giungerai di sera tardi… difficilmente troverai un treno. E anche se lo trovassi, non arriverebbe a Central che per l’ora di pranzo: non credo rinviino l’esecuzione per attendere te.”
“Troverò un modo!”
“E una volta qui che farai, dimmi? – Breda era particolarmente spietato – Ti è per caso tornata l’alchimia? O forse vuoi coinvolgere anche tuo fratello? Non si è ancora ripreso del tutto dall’essere tornato nel suo corpo, lo sai bene anche tu!”
“Bastardo! – la voce di Ed sibilò – Il tuo colonnello sta per farsi uccidere e tu…”
“Ed io farò quello che devo fare per salvarlo, con la mia squadra. Tu stanne fuori, fagiolino!”
“A chi hai detto fagiolino?! Cosa credete di fare senza di…?”
“Stavi per dire "senza di me"? Adesso ti spiego un paio di cose, Edward Elric, ascoltale bene perché non le ripeterò. – il sottotenente era davvero arrabbiato – Noi siamo una maledettissima squadra da anni! Pensi che non ce la siamo cavata fino a quando sei arrivato tu? Pensi che quando tu e tuo fratello eravate in giro per cercare la pietra filosofale, noi stavamo con le mani in mano? Noi lavoravamo insieme! Con delle fottute azioni che nemmeno ti immagini! O forse non ti ricordi come noi abbiamo liberato il sottotenente Ross, prendendoti anche per i fondelli tra le altre cose? Il colonnello Mustang e il tenente Hawkeye sono i miei superiori! Miei, di Havoc, Falman e Fury… tu questo privilegio non ce l’hai più! Anzi non l’hai mai avuto quanto noi, perché non sei mai stato della squadra! Non cercare di entrare in qualcosa che non ti riguarda, Edward: hai già sofferto abbastanza!”
“Ma come puoi pensare che io resti a guardare!” chiese Edward dopo essersi ripreso da quell’improvvisa sfuriata.
“Lo penso e lo pretendo, Edward Elric! Non ci rovinerai il piano! Adesso scusaci, ma abbiamo molte cose da fare. Buonanotte e salutami tanto Alphonse!”
E con quelle parole brucianti, il sottotenente sbatté la cornetta sul telefono.
Havoc e Falman lo guardavano increduli e anche Fury li aveva raggiunti
“Perché l’ha trattato così?” chiese Falman
“In fondo lui voleva solo aiutare: – lo giustificò Fury, levandosi gli occhiali con aria imbarazzata e pulendoli – non aveva certo cattive intenzioni…”
“Non condanno le sue intenzioni, – spiegò Breda tornando al tavolo – ma domenica non possiamo sbagliare di una virgola ed Edward è un’incognita troppo grande che si è sempre preoccupato di gestire il colonnello: in queste condizioni noi non possiamo permetterci di… Merda, non sapete come sono felice che quel treno non arriverà mai in tempo… perché tanto so che quel testardo partirà lo stesso.”
Havoc lo raggiunse e gli diede una pacca sulle spalle
“Sì, hai ragione, è davvero una fortuna. – sorrise. Poi guardò gli altri due membri della squadra e disse – Domenica ci giochiamo tutto quanto: la vita del colonnello e del tenente è nelle nostre mani. Edward è abituato a combattere contro… cose che noi non… insomma scoppierebbe un disastro e la popolazione non è preparata a questo. Senza contare che non usando più l’alchimia potrebbe escogitare qualcos’altro, ma non è questa la situazione adatta… e ci toccherebbe intervenire per aiutarlo, anzi controllarlo. – si accese una sigaretta e proseguì - Noi lavoriamo insieme da anni: conosciamo le reazioni uno dell’altro… c’è bisogno di tutto il nostro affiatamento per essere perfetti. Per farcela dobbiamo essere coordinati come mai siamo stati e, vi assicuro che, nel nostro passato in un corpo d’elite come la Squadra Falco, io e Breda abbiamo imparato quanto possa essere importante sapere di poter contare sulla puntualità e affidabilità del resto del gruppo in questa tipologia di missione. Edward non è un soldato: non ha la disciplina che ci serve in questo frangente… e vorrebbe fare tutto da solo. Lui ha fatto coppia sempre e solo col suo fratello: non può comprendere fino a che punto sia importante la coordinazione tra noi quattro.
E poi… il colonnello mi ha affidato il compito di guidarvi e proteggervi: senza Edward sarà più facile perché so come vi muovete e posso agire di conseguenza”
Fury si levò le cuffie che aveva attorno al collo e mormorò
“Eravamo noi in quella cella con il colonnello… siamo noi la sua squadra, gli uomini di cui è andato fiero. Siamo noi che l’abbiamo seguito perché credevamo davvero in lui. E’ un nostro dovere…”
“Sì, avete ragione – ammise Falman – e poi, se dobbiamo pensare anche al dopo…”
“Infatti. – confermò Breda – Abbiamo a che fare con un Mustang e una Hawkeye che non sono quelli che Ed conosce. Già durante l’azione ce la dovremo vedere con la loro reazione o assenza di reazione. Con loro dobbiamo giocare una partita psicologica spietata: al colonnello l’ultima cosa che serve è l’esuberanza di Ed che lo aggredirebbe, sperando di ottenere una risposta. Ma non è questo il momento: è un qualcosa che solo un altro soldato può fare… qualcuno che abbia ucciso con l’uniforme addosso.”
I quattro rimasero in silenzio per qualche secondo, poi il sottotenente rosso riprese il controllo della situazione
“Bene, archiviata questa storia, torniamo a lavorare alla pianta della piazza: abbiamo un mucchio di dettagli a cui pensare e pochissimo tempo. Havoc, dimmi secondo te qual è il punto migliore…”
“Io torno a lavorare alle radio” sospirò Fury
“E io preparo altro caffè” mormorò Falman
E andarono avanti per ore.
 
Nella sua cella Mustang cercava di addormentarsi, ma il ricordo dell’incubo ancora lo tormentava.
Sulla branda accanto a lui, il tenente dormiva senza che alcun sogno le sfiorasse la mente.
Poco più di un giorno…




___________

posto stasera perché domani potrei non riuscirci :P

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. Ultimi preparativi ***


Capitolo 8. Ultimi preparativi.

 

Giorno 9

 
“Ore 8:36 di sabato 13 ottobre 1916. Collaudo radio terminato: tutto in regola e pronto all’azione” sospirò Fury, levandosi le cuffie spegnendo l’ultima radiolina che aveva provato. Si stiracchiò pesantemente, sentendo la sua spina dorsale che protestava per la posizione china che aveva tenuto per così tante ore.
Era stato un lavoraccio, ma ce l’aveva fatta e, se doveva essere sincero, ne era altamente soddisfatto: era innegabile che adorasse cimentarsi in queste sfide di elettronica.
Mise con cura gli apparecchi in una scatoletta di cartone e poi provvide a sgomberare il tavolo del salotto che aveva monopolizzato per tutto quel tempo. Quindi si alzò e andò in cucina dove stavano i suoi compagni.
“Le radio sono pronte e funzionanti, signore. – sorrise, rivolgendosi ad Havoc – Sono riuscito a farle davvero piccole e anche le cuffie non sono ingombranti: le ho private della struttura e le possiamo indossare senza problemi direttamente nell’orecchio”
Tuttavia il sergente si accorse immediatamente che qualcosa non andava: invece di congratularsi con lui o comunque dare la loro approvazione, i suoi compagni lo fissarono con attenzione mista a preoccupazione.
“E’ per caso successo qualcosa?” chiese timidamente
“Non proprio: – sospirò Breda – diciamo che ci stiamo rendendo conto di alcune forzature a cui saremo costretti, data la mancanza di due elementi della squadra”
“Beh, è normale – alzò le spalle il ragazzo sedendosi al tavolo, nel posto vuoto accanto ad Havoc e fissando la pianta della piazza piena di segni fatti a matita – se volete posso aiutarvi… mi spiegate come intendete gestire l’azione?”
“Fury… - iniziò Havoc, fissandolo con gli occhi azzurri lievemente preoccupati – la verità è che il mio ruolo è obbligato e da questo non si può prescindere… così come quello di Falman. Ci mancano ancora due elementi da definire: tu e Breda”
“Sono pronto a qualsiasi ruolo, signore. – dichiarò il sergente con determinazione – Anche se ho quasi sempre svolto azioni di copertura o comunicazione, sono anche stato in trincea al fronte contro Aerugo. Non ho paura di svolgere ruoli pericolosi”
“E già, ormai il piccolo della squadra è cresciuto” sospirò il biondo arruffandogli i capelli
“Diglielo Havoc, – disse Breda – non è il caso di rimandare oltre”
“E sia: Fury a te tocca portare in salvo il colonnello” disse tutto d’un fiato il sottotenente
“Cosa? – si sorprese il sergente – Ma signore! Pensavo che a questo avrebbe provveduto lei!”
Havoc sospirò e mise il dito su un punto preciso della pianta
“Questa è la vecchia torre campanaria e si affaccia nel lato sud della piazza, proprio al centro… in perfetta linea con il patibolo: io devo stare lì per aprire le danze e coprirvi quando vi allontanerete dal palco. E’ un ruolo che richiede una mira perfetta… e chi ha la mira perfetta nella squadra siamo io e il tenente, ma la signora è uno degli elementi da portare in salvo”
“Sottotenente Breda, e lei?” chiese il giovane, rivolgendosi all’uomo dalla chioma rossa seduto davanti a lui
“Io, non so ancora come, farò da diversivo: è fondamentale che tu e Falman abbiate modo di portare via i nostri obbiettivi… in qualche modo catalizzerò su di me l’attenzione, cosicché Havoc riesca a coprirvi con più facilità”
“Diamine…” sospirò Fury, rendendosi conto che quella missione era davvero una delle più pericolose che avesse mai fatto
“Il piano è questo, sergente – spiegò Falman – C’è una sola forca e dunque ci sarà una prima persona ad essere impiccata e sarà il tenente, perché è la procedura… si parte col grado più basso. – vide il ragazzo che sussultava davanti all’idea che la donna fosse la prima, ma proseguì – Hai visto anche tu in che condizioni si trova… in ogni caso: la corda si spezzerà, fidati, e io sarò sotto la botola a recuperarla. La mattina presto io e te dobbiamo andare sotto quel dannato palco e mettere fuori combattimento le persone che ci sono: quelle che in genere si occupano della rimozione dei corpi una volta che… hai capito, no?”
“Sì, signore”
“Nel momento in cui la corda si spezza – proseguì Havoc – scatta l’azione vera e propria: dobbiamo sfruttare al meglio gli attimi di sorpresa che ci saranno. La folla capirà subito che c’è qualcosa che non va ed inizierà ad andare via dalla piazza, passando da queste vie da cui sono giunti; – ed indicò il lato meridionale della piazza – nel frattempo arriverà il diversivo, così tu e Falman potrete andare via con i nostri superiori. Del tenente è necessario che si occupi Falman: fra voi due ha le maggiori competenze per soccorrerla… e potrebbe doverla trasportare dato che le sue condizioni di salute non sono ottimali, tutt’altro”
“E io che dovrei fare?” chiese il ragazzo, senza mostrare alcun timore
“Starai sempre sotto il palco, ma al segnale tu andrai nella parte posteriore… tanto le guardie saranno distratte dal diversivo di Breda…”
“E’ inutile che mi guardi così, Havoc. Te lo trovo entro questo pomeriggio il diversivo”
“… e tirerai giù il colonnello: lui è lucido e senza difficoltà di movimento. Supplicalo, minaccialo con la pistola, prendilo a calci, ma correte subito in una via laterale: vi garantirò la copertura per uscire dalla piazza”
“Il colonnello potrebbe… non essere collaborativo” ammise il sergente
“Sì… effettivamente è da tenere in considerazione, ed è un punto che ci lascia perplessi. – sospirò Breda – Ma non ti nascondo che tu potresti essere quello che lui seguirebbe senza troppe difficoltà…”
“A me? Perché dovrebbe? Sono il grado più basso tra tutti noi e sono quello che avete sempre… oh!”
“Capisci, Fury? – spiegò Breda – Qui giochiamo di psicologia… è anche giusto che ripaghiamo il colonnello con la stessa moneta con cui ci ha tirato fuori di prigione. Tu sei il grado più basso, ma non è quello che conta: sei il più piccolo, quello che lui ha preso in squadra senza che avessi alcuna esperienza; prima non hai terminato la frase, ma lo farò io per te: tu sei quello che tutti noi abbiamo sempre, inconsapevolmente o meno, protetto… mettiamolo davanti al ricatto emotivo. Non se la sentirà di lasciarti solo, perché tu sarai apparentemente solo”
“Il colonnello ci ammazzerà tutti…” sospirò Fury
“Che ci ammazzi, – sbottò Havoc – ma che poi riprenda in mano la sua vita e vada avanti. Allora Fury te la senti di ricoprire questo ruolo?”
Il ragazzo fissò la pianta della piazza e si immaginò tutti gli scenari possibili… si accorse che non aveva paura, anzi, si sentiva estremamente determinato. Dopo il colpo di stato non gli era più capitato di fare missioni, ma del resto con la sua squadra e poi in trincea, ne aveva visto tante. A volte si sorprendeva lui stesso di quanto avesse passato in nemmeno cinque anni nell’esercito.
Certo, l’idea di trovarsi solo con il colonnello palesemente arrabbiato con lui non era molto confortante, ma per salvare la vita al suo amato superiore era pronto anche a quel rischio.
Guardandolo con occhio critico era un piano al di fuori della norma persino per loro che di strappi alla regola avevano imparato a farne… e anche parecchi.
Ma aveva tutte le possibilità di funzionare
“Me la sento, signore!” dichiarò con sicurezza
Gli altri annuirono e si misero a fissare la mappa, definendo ulteriormente i dettagli del piano.
 
Qualche ora dopo, Havoc si trovava davanti alla prigione per svolgere un compito abbastanza particolare.
“Sottotenente Jean Havoc; – si presentò alla guardia che gli si parò davanti – sono qui per visitare il colonnello Mustang: ai condannati è concessa un’ultima visita, no?”
La guardia fece un cenno affermativo e dopo aver controllato che non avesse armi con se lo condusse per i corridoi della prigione.
Ad Havoc fece uno strano effetto ritrovarsi in quel posto anche se, essere lì con la consapevolezza di non dover andare in cella, gli liberava l’anima da un peso opprimente. Invece di dirigersi verso l’ala con i prigionieri, la guardia lo fece accomodare in una piccola sala dove c’era un tavolo con due sedie.
Dopo che gli venne detto di aspettare, il biondo si mise su una di esse e si accese una sigaretta; dopo un’attesa di qualche minuto la porta si aprì ed entrò il colonnello
“Dovevo immaginare che eri tu” sorrise Mustang, il volto tirato e stanco e le mani ammanettate
“Beh, volevo che mi vedesse di nuovo con una sigaretta tra le labbra, signore. –rispose al sorriso Havoc – Nottata difficile, vero? Ha una faccia…”
“Sai com’è… – scrollò le spalle il colonnello, sedendosi dall’altra parte del tavolo, mentre una guardia restava accanto alla porta – quando sai che non ti resta molto da vivere non è che sei proprio rilassato e propenso al sonno”
O un incubo ti impedisce di dormire…
Havoc fece un profondo tiro con la sigaretta e l’aria si riempì dell’odore di tabacco… una cosa che Mustang trovò stranamente confortante.
“Come sta il tenente?” chiese
“Pare che sia già dall’altra parte: – ammise con tristezza l’uomo – lei ha già trovato una pace interiore…”
“Una bella fuga, signore, non posso negarlo… non me ne intendo molto di discorsi seri, ma so riconoscere un soldato che si chiude malamente in sé per il trauma di guerra. Non è in pace con se stessa, non sul serio”
“Ne sai qualcosa, sottotenente?” Mustang gli lanciò un’occhiataccia
“Sì, signore. Sul tenente direi di sì: anche io sono stato un tiratore scelto, un cecchino”
“Il tenente Hawkeye si comporta come meglio ritiene opportuno. – sbottò il colonnello, insistendo a volerla difendere – Sei venuto qui per salutarmi o per farmi la predica?”
“Più che altro per una curiosità, una domanda che brucia a tutti noi… in cosa dobbiamo credere?”
Mustang sgranò gli occhi davanti a quel quesito: Havoc aveva l’aria annoiata, eppure tremendamente seria
“Come ho detto a Fury, dovete scoprirlo da voi. Camminate con le vostre gambe, ragazzi: non avete bisogno di me a farvi da balia”
Havoc, a che gioco stai giocando?
Mustang guardò il suo sottoposto, scoprendosi particolarmente interessato a quella curiosa versione di Havoc che si lanciava in discorsi non proprio terreni.
“E lei ha scoperto in cosa credere, signore?”
“Io?”
“Sì, lei. Una volta credeva in se stesso e nelle sue capacità… e ne era così convinto che l’abbiamo seguita senza esitazioni, e non eravamo certo gli ultimi arrivati. Dov’è finita tutta questa determinazione?”
“Havoc, finiscila! – sbottò Mustang con un broncio lievemente seccato – Non torniamo su questa storia. Credevo che in questi ultimi minuti assieme saresti stato di compagnia. Sai, in queste occasioni si cerca di tirare su di morale il condannato a morte”
“Scusi tanto, signore, – disse con un sorriso contrito il sottotenente – non pensavo volesse recitare questo ruolo che non è suo fino all’ultimo. Allora, di che cosa vuole parlare? Dei vecchi tempi? Di quando mi hanno trafitto quasi a morte e sono finito in sedia a rotelle?”
“Che visita sgradevole! – commentò Mustang con un ghigno cattivo – Dovrò tornare in cella con il tuo odore di sigaretta e la testa piena delle tue stronzate… non cambi mai, sottotenente”
“Non mi ha preso in squadra per il mio indubbio senso dell’umorismo?”
“Certo come no! – poi vide che la guardia guardava l’orologio – Visite brevi per il condannato, Havoc. Dimmi una cosa, state tutti bene?”
“Sì, tutti… anche il cane del tenente” annuì Havoc
“Ottimo. Domani avete intenzione di venire?” gli occhi di Mustang divennero remoti
Non so nemmeno io se vi voglio o meno a vedermi morire…
“E’ nostro dovere esserci, signore. Non può negarci anche questa prova di fedeltà”
“Impedite a Fury di guardare, se avete un minimo di buonsenso. – sospirò lui – Ha versato troppe lacrime in questi giorni”
“Con tutto il rispetto, signore, – dichiarò Havoc alzandosi dalla sedia – il sergente ha il diritto di comportarsi come ritiene opportuno. A domani, colonnello, porti i saluti di tutti noi anche al tenente”
“A domani, sottotenente”
 
Seduto in una panchina in una piazzetta poco distante dalla prigione, Breda aspettava il ritorno di Havoc. Il rosso sottotenente mangiava distrattamente una ciambella comprata in un bar di fronte, ma a dispetto della sua aria annoiata, la mente lavorava freneticamente.
Erano le cinque di pomeriggio e ancora non aveva trovato il diversivo.
Non dubitava che sarebbe riuscito a trovare qualcosa, ma lo seccava notevolmente di tardare così tanto rispetto all’avanzamento del piano. La problematica fondamentale era che il suo diversivo doveva tenere conto di molte cose, prima fra tutte garantire l’incolumità della popolazione civile: questo voleva dire eliminare una serie di espedienti tipici della guerriglia che aveva combattuto durante la guerra civile. Operare in città era certamente più complicato che nelle campagne.
Devo trovare qualcosa che attiri tutta l’attenzione dei soldati che saranno presenti, in modo da garantire a Falman e Fury una maggiore possibilità di fuga.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla vista di Havoc che lo raggiungeva
“La tua faccia parla da sola, Havoc: – commentò con uno dei suoi soliti sorrisi scaltri – il colonnello è riuscito a irritarti di nuovo”
“Sei venuto qui per salutarmi o per farmi la predica? – fece il biondo scimmiottando il suo superiore – Cazzo, quell’aria da vittima sul suo viso mi fa rivoltare lo stomaco!”
“Lo so, ma qualcuno doveva andare a porgergli l’ultimo saluto: io dopo il processo avrei destato sospetti… toccava a te. Come ti è sembrato d’umore?”
“Rassegnato e testardo. La solita storia che abbiamo visto quando eravamo in prigione: ha scoperto che condannarsi da solo gli piace più del previsto”
“E del tenente che ha detto?”
“Pare che sia totalmente assente. – ammise Havoc con aria preoccupata, mentre i due si avviavano verso casa – Sono davvero preoccupato per lei, avrei dovuto parlarle tante volte durante tutti questi anni di lavoro… ma questi cavolo di gradi di differenza e il suo carattere me lo hanno impedito. Merda, sarà anche un tenente, ma è più giovane di noi”
“Se tutto va come previsto le potrai parlare, tranquillo” sospirò Breda.
Poi la sua attenzione fu attratta da un piccolo gruppo di soldati che avanzava in direzione della stazione.
“Che guardi?” chiese Havoc
“Ti dispiace se facciamo una deviazione?”
“No, però dovremmo andare a lavorare al piano e…”
“Solo qualche minuto: voglio vedere una cosa”
Con disinvoltura si diressero verso la stazione: c’era poca gente a quell’ora in quanto era uno spazio morto tra i treni dei civili che transitavano più o meno fino al primo pomeriggio e quelli militari che si muovevano la notte.
“Hai visto che i soldati sono tutti di grado basso?” notò Havoc
“Sì, ma non mi sorprende. – scrollò le spalle Breda – Qui a Central molti ufficiali sono stati mandati in congedo dal nuovo governo, sai la solita questione di sicurezza. E non hanno ancora provveduto a nominarne nuovi, forse vogliono aspettare di finire l’epurazione che stanno mettendo in atto: guarda… caporali, sergenti, marescialli, ma nessun grado più alto”
“Tutti giovani e imberbi: fanno sembrare Fury un soldato navigatissimo”
Ma Breda non ascoltò l’ultimo commento del suo amico: erano arrivati alla parte della stazione riservata esclusivamente all’esercito, fortunatamente indossavano entrambi la divisa, e aveva finalmente individuato quello che voleva. Facendo cenno ad Havoc di assecondarlo, si avvicinò con passo marziale ai soldati che stavano vicino ad un particolare treno.
“Sergente – chiamò, facendo il saluto militare che venne immediatamente restituito da un giovane sergente e da altri cinque soldati semplici – a che punto sono i preparativi per il convoglio?”
“Sarà tutto pronto entro domani notte come previsto, sottotenente! – rispose il giovane cercando di apparire il più convinto possibile – Aspettiamo gli ultimi rifornimenti domani pomeriggio”
“Molto bene: arrivo previsto?”
“Secondo il programma il convoglio partirà da qui domani notte. Dopo tre giorni di viaggio e quattro soste arriveremo a North City in prima mattinata”
“Ottimo; – annuì Breda – avete avvisato Briggs? Negli ultimi tempi si sono lamentati che le comunicazioni non erano state precise: il Generale Armstrong non vuole inefficienze”
“Sissignore, è stato tutto stabilito e i contatti con Briggs effettuati!”
“Bravo soldato, è questa l’efficienza che voglio vedere nei giovani! Terminate di caricare tutto quanto entro stasera, così domani avrete un po’ di riposo prima della partenza”
“Certo signore! La ringrazio per i complimenti!”
“Ah, un ultima cosa… quel bestione è pronto all’azione, vero? Non succederà come l’altra volta che non c’era il carburante e per portarlo a Briggs abbiamo dovuto perdere un sacco di tempo”
“Non so… però, provvedo subito signore: gli facciamo il pieno di benzina immediatamente”
“In fretta: sono questi dettagli che fanno la differenza. Fatelo adesso, vi sarà più facile. Ma mi raccomando, aspettate domani all’ultimo per caricarlo nel rimorchio: per ora sta bene qui. E’ capitato di decidere cambi di posizione tra i vagoni all’ultimo minuto e farlo scendere è più complicato che farlo salire”
I soldati scattarono sull’attenti e corsero a procurarsi del carburante. Rimasti soli Havoc e Breda fissarono il bestione in questione
“Manie di grandezza degli Armstrong? – chiese perplesso Havoc – Va bene che a Briggs ora c’è anche il Maggiore, ma qui si esagera” con un sorriso divertito pensò al robusto maggiore che aveva ottenuto l’esilio a Briggs, agli ordini della sorella. La sua storia ad Ishval si era conclusa in maniera differente rispetto a quella del colonnello e sembrava che il nuovo governo volesse dare dimostrazione di giustizia con quella particolare condanna. In fondo il nome degli Armstrong era troppo importante per poterlo ignorare e condannare a morte un membro di quella famiglia: persino Havoc lo sapeva.
“No, non si esagera. – rispose Breda – Falman una volta mi ha raccontato che nei piani sotterranei di quel posto c’è un vero e proprio arsenale. Uno in più o uno in meno di questi non fa differenza”
Havoc lanciò un’occhiata furba al suo collega
“Vuoi dirmi che è questo il diversivo?”
“Ti ricordi quando eravamo in trincea durante la guerra civile? Spesso tu venivi mandato in ricognizione… beh, mentre tu giocavi al giovane esploratore, ho stretto amicizia con alcuni del reparto meccanica”
“Non mi dire. Lo sai guidare?”
“E’ stata un’esperienza indimenticabile, fidati: ed è più facile di quanto si creda. E poi lo sai che, dopo Falman, sono io quello che ha la memoria migliore del gruppo” sogghignò Breda
“Sai, Breda, c’è una cosa che ho sempre adorato di te: – sorrise Havoc, guardando i soldati che portavano le taniche di benzina e iniziavano a fare il pieno al diversivo – ossia la tua capacità di sorprendermi con azioni che in genere sono degne di me”
“Effetto collaterale della nostra viscerale fratellanza, Havoc. Dammi ancora un paio di minuti per farmi analizzare un paio di dettagli e poi possiamo andare”
“Prenditi pure il tempo che vuoi”
 
Quella sera il secondino portò al colonnello e al tenente il loro ultimo pasto.
Prendendo il vassoio dalle sue mani, Mustang notò che l’uomo sembrava leggermente triste, quasi non ci volesse credere che il giorno successivo loro sarebbero stati giustiziati.
“Quattro su sei sono salvi, amico: – mormorò il colonnello – un ottimo risultato”
“Di questi tempi direi di sì, – ammise l’uomo – ma avrei preferito un sei su sei”
“Non si può ottenere tutto dalla vita, no?”
L’uomo scrollò le spalle e si allontanò, lasciando i due occupanti della cella a consumare la cena.
Mustang si avvicinò alla branda e posò il vassoio a terra. Si sedette accanto a Riza e la scosse lievemente
“Tenente, svegliati, devi mangiare”
Solo dopo diversi secondi la donna aprì lievemente gli occhi: se ci fu coscienza in essi fu solo momentanea; ritornò quasi immediatamente ad essere una sorta di bambola che respirava. Era in quelle condizioni già dal giorno precedente e dunque Mustang non si sorprese quando dovette imboccarla lui stesso. Quella sera aveva provato a destarla raccontandole della visita di Havoc e parlandole del fatto che il suo cagnolino fosse al sicuro, ma niente l’aveva smossa.
Non è in pace con se stessa, non sul serio
Le parole di Havoc erano state molto dure, ma pronunciate con una tale convinzione che il colonnello non poteva fare a meno di crederci. Come terminò la propria cena, dopo aver fatto mangiare quella bambola che assomigliava al tenente, si inginocchiò davanti a lei, dato che stava ancora seduta
“Sembra quasi una proposta di matrimonio, eh? Tuo nonno ne sarebbe anche felice, tenente… ma non è questo che cerco…”
Fammi vedere nel profondo dei tuoi occhi, tenente… dietro il gelo immobile dell’angelo della morte che sei diventato c’è davvero il soldato in fuga? C’è l’umanità di una persona tormentata?
Gli occhi castani fissavano il vuoto, specchi incredibilmente belli di un qualcosa che vedeva solo lei: non ricambiarono lo sguardo del colonnello. Eppure Mustang non si arrese: prese le fredde mani pallide tra le sue e fissò ancora più intensamente, cercando quell’incrinatura che voleva e allo stesso tempo non voleva trovare.
Dannazione… devo saperlo! Sono io che ho sbagliato qualcosa per non essere in pace con me stesso… oppure la tua è solo un’illusione, tenente? Dietro l’armatura di irrealtà che ti sei costruita in queste settimane… tu vedi ancora Ishval?
Durò solo un istante, ma ci fu davvero un’incrinatura nelle iridi castane e il colonnello fu rapido a vederci la guerra. Le mani fredde ebbero un sussulto e lui fu rapido a lasciarle.
“Scusami, – mormorò, prendendola per le spalle e facendola distendere – non volevo disturbarti… dormi pure tenente. Resterò a vegliarti, tranquilla”
Non sei davvero in pace con te stessa, tenente. Non ci potevi davvero riuscire… nessuno potrebbe. Aveva ragione Havoc: sei solo scappata in un mondo dove ti sei illusa di stare al sicuro. E non sai quanto sono… dannatamente felice di scoprire questa umanità in te.
“Sciocco dirlo, ma mi sento meglio. – sorrise – Non mi sento più… così solo”
 
L’orologio appeso alla parete segnava le undici di notte.
Il piano era stato formulato in tutti i dettagli possibili e tutto era pronto per gli ultimi preparativi di domani mattina. Ciascuno di loro conosceva il suo ruolo e la sua posizione ed erano perfettamente pronti all’azione, con la giusta carica di motivazione e adrenalina.
Insomma la situazione era ottimale.
E allora perché cazzo sono così teso? Calmati Jean Havoc, calmati!
Il sottotenente aspirò profondamente dalla sigaretta, cercando nella nicotina un minimo di sollievo, ma la tensione proprio non ne voleva sapere di andarsene.
Eppure ho fatto missioni molto più pericolose di questa…
“Quando fumi in questo modo vuol dire che c’è qualcosa che non va” disse la voce di Breda.
Girando la testa Havoc vide il suo amico che lo guardava con preoccupazione. Senza chiedere altro, il rosso si sedette accanto a lui sul divano e attese
“Falman e Fury?” chiese Havoc dopo un po’, facendo cadere la cenere su un bicchiere che aveva improvvisato come posacenere
“Dormono ed è un bene: domani dovranno essere belli carichi considerato che l’azione fisica spetterà soprattutto a loro… un bel paradosso, vero? L’addetto alle comunicazioni e l’uomo della memoria”
“Falman dovrà praticamente trasportare di peso il tenente, su Fury e il colonnello sarà più difficile capire come gestire la situazione. Forse dovrei rivedere il piano”
“Il piano non può avere altre migliorie, Havoc” sorrise Breda
“E allora perché mi sento così agitato? Che diamine c’è che non mi torna a questo giro?” esclamò esasperato il sottotenente, passandosi la mano sui capelli biondi e serrando gli occhi
“Havoc, a questo giro sei tu il leader, ecco cosa non ti torna” spiegò Breda con un sorriso comprensivo, dandogli una pacca sulle spalle.
Havoc aprì gli occhi con sorpresa e si mise a fissare il bicchiere con la cenere come se fosse la prima volta che ne vedeva uno in vita sua
“Non ne avevi ancora preso del tutto coscienza, eh? – chiese il compagno con una lieve risata – Tipico di te: hai parlato di guidarli e proteggerli come se fosse normale, ma solo ora hai realizzato che sono azioni che fa un leader”
“Non è che siete molto fortunati allora, se il vostro leader se ne rende conto solo ora”
“Davvero non siamo fortunati? Allora siamo particolarmente scemi ad essere tutti d’accordo nell’accettarti come tale”
“O folli” corresse lui
“Beh, se non sbaglio una volta il tenente ha detto che era un bene che ci fossero dei folli come il colonnello. Follia attira follia, Havoc: se siamo qui perché vogliamo cambiare le cose quando i giochi sembrano già fatti, abbiamo seriamente qualche problema. Ma ci fidiamo di te Jean… io mi fido di te: ti affiderei infinite volte la mia vita e sono tranquillo ad affidarti quella di Fury e Falman, e sai quanto ci tenga a loro”
“Sei bravo a farmi passare i pensieri, Breda…” sorrise Havoc, inconsciamente sollevato da quelle parole
“Ti copro le spalle come sempre, Havoc, su questo non devi mai dubitare. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò, funziona così, no?”
“Grazie, fratello” sospirò Havoc, come se gli fosse stato levato un grande peso… anzi, come se Breda l’avesse aiutato a sollevarlo.
Ora era pronto ad agire come leader.
I loro sguardi corsero all’orologio: undici e mezza.
Dieci ore e mezza…

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. L'operazione Prova di fedeltà. Parte 1 ***


Capitolo 9. L’operazione “Prova di fedeltà” (parte 1)

 

Giorno 10.

 
Ore 6.55
 
Le prime luci che annunciavano l’alba iniziavano a comparire nel cielo di Central City, accarezzando la città ancora addormentata e restia ad abbandonare la sicurezza del sonno.
Prometteva di essere una bella giornata autunnale, particolarmente soleggiata e priva di nuvole.
Nell’appartamento del maresciallo Falman nessuno dormiva più: le attività fervevano da almeno un’ora; come l’ultima radiolina fu attivata, sintonizzata ed indossata, quattro soldati in divisa si lanciarono un’occhiata.
“Molto bene, ragazzi – dichiarò Havoc, mettendosi davanti agli altri con le mani sui fianchi – mancano cinque minuti alle sette e all’inizio dell’operazione Prova di fedeltà. Faccio un brevissimo sunto: i nostri obbiettivi lasceranno la prigione alle dieci meno un quarto e la prima esecuzione è prevista per le dieci. Prima delle otto Fury e Falman devono essere già sotto quel palco…”
“Sissignore!” esclamarono in coro i due interessati, mettendosi sull’attenti
“…Breda tra le dieci e le dieci e tre minuti tu devi arrivare con il diversivo”
“Sarò puntuale, non temere”
“In cosa consiste il diversivo?” chiese Falman
“Oh, stai tranquillo, maresciallo, – sorrise Breda – sarà una bella sorpresa”
“Ricordatevi, – disse Havoc rivolgendosi a Fury e Falman – appena capirete che il diversivo è entrato in azione portate via i nostri obbiettivi da lì: avete ben presenti quali sono le due vie separate che dovete prendere vero?”
“Sì” annuirono
“E tranquilli per la copertura, a quella ci penso io. Anzi, giusto per ricordarlo, io alle otto sarò pronto nella mia postazione nella torre campanaria. Due parole chiave per questa missione: rapidità e precisione. Alle dieci si inizia, massimo per le dieci e venti la prima parte della missione deve essere completata. Facciamo capire a questi pivelli cosa vuol dire vedersela con gli uomini dell’alchimista di fuoco”
“Sissignore!”
“Considerato il tempo per dileguarci e depistare eventuali inseguitori, l’appuntamento nel luogo scelto è previsto per le undici meno dieci, massimo le undici: ogni ritardo deve avere un preavviso e una giustificazione valida!”
“Sissignore!”
Le lancette dell’orologio segnarono le sette precise.
“Andiamo, soldati. Salviamo i nostri superiori”
Chiusero alle loro spalle la porta di quell’appartamento dove nell’arco di quarantotto ore avevano deciso di credere e sperare ancora: si lasciarono dietro mappe, apparecchi elettronici, piatti sporchi e tutti i loro dubbi. Di quelli non avevano bisogno: la determinazione era la loro arma principale.
Come uscirono sulla strada si guardarono intorno, ma nessuno era ancora presente nelle vie addormentate: era domenica e molti esercizi commerciali sarebbero rimasti chiusi… tutta l’attenzione doveva convergere sull’esecuzione di quella mattina.
I quattro si lanciarono un’ultima occhiata e poi ciascuno andò a prendere posizione.
 

Ore 9.00
 
Il colonnello Mustang era già sveglio quando il secondino si affacciò alla sua cella.
“Signore, - disse l’uomo – sono le nove: tra mezz’ora verranno a prendervi”
“Sì, capisco” annuì il colonnello, alzandosi da terra.
E così era arrivato il momento, ma lui non sapeva come sentirsi. Cercò di convincersi che finalmente era arrivato il tempo di chiudere i conti con il passato e con se stesso: essere in pace con la propria coscienza era un dettaglio secondario. La cosa importante era espiare i peccati che aveva commesso in guerra. Era la giustizia in cui aveva sempre creduto, che aveva cercato… non si sarebbe tirato indietro: era un gesto necessario per ripagare quel massacro e dare un insegnamento al paese.
Ma mentre la sua mente diceva queste cose, una parte più intima continuava a vedere quella tomba che si apriva sotto di lui, con l’occhio rosso ad attenderlo. Il suo istinto gli diceva di ribellarsi, che c’era qualcosa di estremamente sbagliato in quello che stava succedendo.
Smettila, alchimista! – si disse, scuotendo il capo con aria seccata – Hai solo paura di morire, ed è normale. Ma è una cosa che devi tenere per te stesso… presto sarà tutto finito. Una volta lì saranno solo pochi attimi, nemmeno te ne renderai conto…
Pensieri pessimi ed improduttivi: la sua parte ribelle decise di ricacciarli indietro e pensare ad altro.
Si diresse verso la branda e scosse il tenente
“Forza, tenente: – le disse, svegliandola - è quasi ora”
La donna si mise a sedere, aiutata dal suo superiore: l’incrinatura che Mustang aveva visto la sera prima era sparita. Riza Hawkeye anche nell’apatia restava una donna ostinata.
Il colonnello sospirò e vide che i capelli biondi erano quasi tutti sfuggiti al fermacapelli: sedendosi accanto a lei cercò di pettinarli con le dita e di rimetterli in ordine
“Riza, Riza… - le disse dolcemente, mentre le chiudeva il fermaglio e osservava il risultato più o meno decente che aveva ottenuto – non ti avrei mai dovuto parlare dei miei sogni, davanti alla tomba di tuo padre. Non avrei mai dovuto trascinarti in tutto questo… ti avevo ordinato di spararmi nel caso avessi fatto qualcosa che non andava: forse avresti dovuto farlo da subito. Ora… non so se mi senti o sei persa nel tuo mondo, tenente, ma sappi che… con te al mio fianco sono sempre stato sicuro di poter fare tutto. Grazie, davvero… sei stata… oh, beh, in fondo lo sai”
Sono stato sicuro di poter fare tutto… ma che cavolo di tutto sarebbe questa pazzia? E’ davvero la giustizia che ho cercato?
Passi che avanzavano nel corridoio gli fecero capire che non c’era altro tempo per pensare.
“Coraggio, tenente – disse facendo alzare Riza e sistemandole la giacca della divisa – facciamo insieme quest’ultima missione”
Che la tua apatia regga, tenente… perché l’angoscia che sto provando vorrei che la evitassi, davvero.
Ma le guardie che arrivarono ad ammanettarli e condurli fuori, videro l’alchimista di fuoco altero e fiero, senza alcuna crepa nella sua maschera di sicurezza. E la donna accanto a lui aveva uno sguardo così remoto che tutti si chiesero come potessero essere così indifferenti alla prossima morte.
Una delle guardie commentò
“Ishval ha proprio levato l’anima ai soldati che vi hanno preso parte”
Oh no, ti assicuro che ce l’ha solo lacerata… siamo semplicemente bravi a nasconderlo.

 
Ore 9:40
 
Un tiratore scelto veniva quasi sempre posizionato in punti alti, dove aveva la possibilità di dare il meglio di se. Havoc aveva sempre trovato in quelle sistemazioni un lato poetico, assai strano per lui: un cecchino aveva la possibilità di vedere dei paesaggi mozzafiato, fino a quando non si doveva concentrare sull’azione.
Fumando tranquillamente una sigaretta, seduto a gambe incrociate sul pavimento dell’ultimo piano della torre campanaria, dato che il davanzale era alto soltanto un metro, il sottotenente aveva l’occasione di vedere Central City in un modo tutto nuovo e particolare. E’ vero, la torre campanaria non era particolarmente alta, ma sicuramente lo era di più rispetto alla maggior parte degli edifici: anche del palazzo del governo che vedeva davanti a se, immediatamente dietro il palco.
Scrollando le spalle guardò l’orologio che aveva portato con sè e vide che era quasi l’ora di agire: sporgendosi in avanti esaminò ancora una volta la piazza. Per motivi di sicurezza il palco e la popolazione civile erano separati da uno spazio vuoto di circa una quindicina di metri: facendo un rapido calcolo, ipotizzò che fossero presenti almeno un cinquecento persone, se non di più. Erano arrivate con relativa calma e tranquillità, con l’esitazione che ormai aveva imparato ad attribuire alla gente di Central City.
I soldati visibili erano relativamente pochi, circa cinquanta: evidentemente non si aspettavano problemi.
Questo fatto era confermato ulteriormente dalla relativa facilità con cui Fury e Falman avevano neutralizzato il personale addetto alla rimozione dei corpi sotto il palco.
Le pezze di stoffa imbevute di cloroformio hanno funzionato. – aveva annunciato Falman alla radio, circa una mezz’ora prima – Dormono tutti e per sicurezza io e Fury li abbiamo legati e imbavagliati ad una delle travi. Ma l’effetto dovrebbe durare per diverse ore, quindi non ci daranno problemi.
Tutto stava andando come previsto, tanto che per un secondo Havoc si concesse di essere fiero di se stesso e del modo con cui stava gestendo il resto della squadra: la loro coordinazione in queste fasi preparatorie era stata perfetta.
“Havoc, come va la situazione in piazza?” chiese la voce di Breda nell’auricolare che portava
“Tutto bene, Breda… nessun ritardo per ora. Anzi, credo che stia per arrivare il camion con i nostri obbiettivi”
“Va bene. Allora io inizio a muovermi. Sono le 9:43: arrivo del diversivo previsto in circa quindici minuti. Le strade sono tutte mie, fidati”
“Attento al traffico” scherzò Havoc
Un movimento attirò la sua attenzione e vide che sul balcone del nuovo palazzo governativo si erano affacciate diverse persone. Servendosi di un binocolo il sottotenente diede un’occhiata a quei volti.
Cazzo di borghesi col culo attaccato alle poltrone! – sbottò mentalmente – Scommetto che nessuno di voi ha mai visto un campo di battaglia e tanto meno Ishval… eh? E adesso siete lì a prendervi meriti di non so nemmeno che cosa quando è tutto costruito da altri… brutti… eh? Ma ci sei anche tu, maledetto giudice!
Con te ho ancora un conto aperto! Tu aspetta e vedrai che ti combiniamo!
Ma i suoi pensieri di vendetta furono interrotti: da una strada laterale arrivava il camion con i condannati a morte.
“Va bene, ragazzi, – disse con voce piatta – stanno arrivando. Nessun errore, mi raccomando”
“Sissignore!” esclamarono tre voci, all’unisono
 
Le manette che gli avevano messo non erano i soliti bracciali d’acciaio che aveva durante i vari processi: erano una particolare tipologia che al posto della catenella che legava le due estremità aveva una barretta di metallo; in tal modo le mani stavano obbligatoriamente a quindici centimetri di distanza.
Precauzioni? – si chiese Mustang – Non abbiate paura… potevate anche evitare di ammanettarmi con le mani dietro la schiena. O almeno, per apparenza, potevate fare lo stesso anche con il tenente.
Buffo come a pochi minuti dalla propria morte la mente potesse fare simili pensieri pratici.
Il camion si fermò e dal mormorio che giunse alle sue orecchie, Mustang capì che erano arrivati alla piazza delle esecuzioni: delle guardie abbassarono la passerella di metallo e fecero loro cenno di scendere.
“Dovete aiutarla… io non posso” spiegò il colonnello, indicando con un cenno il tenente seduto accanto a lui.
Senza protestare, una guardia si fece avanti e indusse la donna ad alzarsi, non senza una certa gentilezza.
Beh, certo, è giusto essere gentili con le signore.
Come passarono oltre il camion vide il palco con la forca e tutta quella gente che guardava.
La tomba si stava di nuovo aprendo davanti ai suoi occhi.
Per… per Ishval. Per quel massacro. E se qualche dio esiste, che possa perdonarci.
Le guardie fecero salire loro le scale di legno.
 
“Va bene, li hanno fatti salire sul palco: Fury, Falman tenetevi pronti”
“Sissignore”
Le voci questa volta erano tese: erano quasi al momento cruciale.
Havoc trasse un ultimo tiro dalla sigaretta, ancora a metà e poi la posò con delicatezza sull’angolo del parapetto. Quello che stava per fare era di fondamentale importanza e non poteva permettersi nessuna distrazione.
Si girò a sinistra e prese l’arma che aveva accanto: un fucile a grosso calibro, modello B35, pallottole più grosse della media. Non era propriamente un’arma da cecchino, ma qualunque tiratore scelto non avrebbe potuto fare a meno di riconoscerne la bellezza e la perfezione. Quello era un fucile di lusso: fregarlo ai magazzini dell’esercito assieme ad altro materiale era stata una bella trovata.
Controllò che fosse carico e pronto, ammirando ancora una volta la bellezza di quell’unico grosso proiettile grigio chiaro e poi levò la sicura.
Si posizionò sul davanzale, posando parte della grossa impugnatura sui mattoni grigi: controllò il bilanciamento e guardò col mirino il punto dove stava la forca.
Visuale perfetta.
 
Non c’era bisogno di presentazioni per i due condannati: gli uomini che osservavano dal balcone del palazzo governativo avevano deciso che faceva più effetto un dignitoso silenzio.Tutta la popolazione sapeva chi erano quei due.
Per una deliberata scelta a favore della spettacolarizzazione, nel palco erano presenti solo i due condannati, il boia e due guardie a tenere il prigioniero che sarebbe stato giustiziato per secondo.
I due uomini fecero fermare Riza e Roy appena dopo le scale e il boia si fece avanti per prendere il braccio di Riza.
Impulsivamente Mustang diede uno strattone, ma le guardie lo tennero fermo.
“Tenente!” chiamò con voce rotta
Merda, merda, merda! Scusami Riza, perdonami! Avrei dovuto salvare anche te! Sono stato un’idiota!
 
Fury e Falman sentirono dei passi dalle travi di legno sopra di loro.
Si scambiarono un cenno d’intesa e Falman andò proprio sotto le fessure che indicavano la botola.
Fury si diresse al limite posteriore delle strutture, dove si apriva una porta tra le travi di legno.
Tirò fuori dalla fondina la sua fedele pistola M5 che l’aveva accompagnato in tante avventure.
Forza ragazzi… per le persone che amiamo…
 
Negli ultimi giorni era stata a malapena cosciente di avere un corpo e di trovarsi in una cella di prigione: lo capiva da lievi segnali come qualcuno che la obbligava a mangiare qualcosa o l’aiutava nelle necessità fisiche. Ma per il resto era stata in una realtà parallela dove non c’era assolutamente nulla.
Un posto ombroso, silenzioso, pacifico e fresco, così distante dal caldo di Ishval. Era quella la redenzione che cercava? Il posto dove finalmente le sarebbero stati perdonati i suoi peccati? Sulle prime si era posta quelle domande, ma poi aveva scoperto che, in ogni caso, in quel mondo lei non esisteva, non aveva passato o presente, non aveva niente da farsi perdonare. Poteva dimenticarsi di essere Riza Hawkeye.
Ma nell’arco di un singolo minuto quel rifugio di ombra venne squarciato via dalla vista del cielo azzurro e dalla sensazione di sole nel viso. I suoi occhi sentirono l’esigenza di socchiudersi per ripararsi da quei raggi così forti e fu come se un brusco strattone la riportasse all’interno del suo corpo.
Ebbe un sussulto di sorpresa per quel ritorno così improvviso alla realtà, ma subito si accorse della situazione in cui si trovava: un uomo la stava conducendo alla forca.
“Colonnello?” sussurrò girando d’istinto la testa e intravedendo per qualche secondo il suo superiore, con le mani dietro la schiena e due guardie che lo tenevano fermo. Ma era sicura che lui l’avesse chiamata.
Poi guardò davanti a sé e rimase sconcertata: tutta quella gente che la guardava.
Si sentì incredibilmente violata.
Perché? Perché mi state guardando così!? Che cosa volete da me?
La paura si impossessò della sua persona: era una sensazione così pesante e soffocante che la paralizzò completamente. Il suo corpo, abituato ormai ad una situazione di quasi totale letargia, reagì con un violento tremito.
Il boia le mise la grossa fune attorno al collo e strinse il cappio.
Lacrime: si era dimenticata del lieve solletico che facevano mentre restavano intrappolate tra le ciglia.
Serrò gli occhi e poi fissò in alto, davanti a sé, cercando con disperazione di escludere tutto.
Nonostante la vista offuscata vide che nella torre proprio davanti a lei c’era qualcosa che brillava.
 
Una volta, durante la guerra civile, aveva salvato la vita di Breda sparando un colpo che era passato a nemmeno un centimetro dal volto del suo migliore amico.
Nonostante fossero passati anni e avesse avuto tantissime altre esperienze come tiratore scelto, Havoc lo considerava ancora il suo tiro perfetto.
Questa volta però, sapeva di doversi ulteriormente superare.
Dal mirino di precisione osservò il boia che, con espressione impassibile, stringeva il cappio sul collo di Riza.
Vide gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime
Merda… è tornata cosciente della realtà.
Ma fu il pensiero di un secondo: il suo istinto da tiratore scelto e la sua disciplina annullarono qualsiasi distrazione dalla mente. Vide il boia allontanarsi dalla donna di qualche passo, mettendo la mano sulla leva che avrebbe aperto la botola.
L’aveva osservato bene nemmeno un’ora prima, mentre faceva alcune prove per vedere che il meccanismo d’apertura funzionasse.
Il pollice si serra sulla leva tre secondi prima che dia lo scatto… è stato così tutte le cinque volte che ha provato. Non è coincidenza, ma dato di fatto
Il fucile era puntato e l’occhio azzurro pronto a cogliere quel minimo movimento.
 
Riza ansimò disperatamente, mentre percepiva che il boia stava per azionare la leva.
La folla davanti a lei rumoreggiava nell’attesa del momento fatidico.
Per favore… per favore smettetela!
 
Mustang aveva gli occhi inchiodati sulle spalle della donna: non riusciva a capacitarsi che tra pochi secondi sarebbe scomparsa dalla sua visuale, uccisa.
I suoi pugni si serrarono dietro la schiena.
Maledetto me! Maledetto idiota! Tenente! RIZA!
 
Il boia serrò il pollice sulla leva.
Havoc lo vide e, con una freddezza impressionante, fece pressione sul grilletto.
Il colpo partì.
 
Il proiettile iniziò a volare dritto nell’aria tiepida di quel mattino d’ottobre. Roteava su se stesso, lasciando dietro di se una scia argentata che durava un millesimo di secondo
Era una visione bellissima, come un frammento di stella cadente che avesse deciso di sorprendere il mondo comparendo di mattina e non di notte.
 
Quando quel pezzo di metallo si trovava a meno di quindici metri dal patibolo, il boia azionò la leva.
Riza sentì letteralmente mancare la terra sotto i piedi.
Il cappio attorno al suo collo si strinse lievemente mentre iniziava a cadere
Nel momento in cui la corda si tendeva, il proiettile la colpì in pieno, a nemmeno tre centimetri dai capelli biondi. Più di metà della corda non resistette a quel bolide di metallo che la colpì a velocità elevata, andando poi a incastonarsi come una gemma, nella trave verticale della forca
L’altra metà non riuscì a sostenere il peso della donna e si spezzò.
 
Riza cadde all’interno della botola, semisvenuta.
Falman fu pronto a prenderla tra le braccia.
 
La corda spezzata che pendeva fu vista da tutti.
Due secondi e fu il caos.
 
Dalla torre, Havoc si concesse un sorriso soddisfatto, prima di riprendere la sigaretta dal davanzale e aspirare profondamente.
Lasciò cadere il fucile a grosso calibro sul pavimento e prese in mano il più maneggevole fucile ad alta precisione.
L’operazione Prova di Fedeltà era appena cominciata.
Erano le dieci precise.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. L'operazione Prova di fedeltà. Parte 2 ***


Capitolo 10. L’operazione “Prova di fedeltà” (parte 2)

 

Giorno 10
 

Ore 10:00
 
Falman come vide che la botola si apriva tese le mani verso l’alto, pronto a sostenere il peso del tenente nel caso la corda avesse fatto resistenza: non avrebbe permesso a quel cappio di stringersi a morte sul collo della donna. Tuttavia questa precauzione non fu necessaria: il corpo di Riza cadde inerme senza che la corda facesse alcuna resistenza, perché era chiaramente spezzata.
Levandosi dal fascio di luce proiettato dalla botola aperta, Falman si spostò accanto a uno dei pilastri, inginocchiandosi per verificare le condizioni della donna che teneva tra le braccia.
“Tenente! – la chiamò con urgenza, mentre allentava con ferma delicatezza il cappio che aveva al collo – Si faccia forza!”
Con estremo sollievo notò che il collo non aveva subito nessuna lesione: Havoc era stato davvero formidabile con quel colpo di fucile. Con un gesto rabbioso, il maresciallo gettò lontano quella corda maledetta e poi prese delle piccole tenaglie che aveva nella tasca: con esse spezzò le manette ai polsi della donna che fu finalmente libera da qualsiasi forma di prigionia.
L’unico problema è che era chiaramente svenuta: per sicurezza Falman le tastò il polso e sentì un battito paurosamente irregolare e accelerato.
Degli spari sopra di lui gli ricordarono che l’operazione era in pieno svolgimento.
“Va bene, signora, – dichiarò, sollevando tra le braccia Riza, e alzandosi in piedi – adesso andiamo via da questo posto. Si fidi di me.”
 
Nel momento in cui aveva visto il fascio di luce illuminare improvvisamente l’ambiente sotto il palco, Fury aveva aperto la porta di legno da cui lui e Falman erano entrati alcune ore prima e si era così trovato immediatamente nel retro del patibolo.
Avrebbe tanto voluto restare lì sotto per sincerarsi che il tenente fosse realmente salvo, ma purtroppo il suo compito gli imponeva di essere il più rapido possibile per sfruttare al massimo l’effetto sorpresa.
Aveva la pistola puntata davanti a sé, pronto a sparare su chiunque gli si fosse parato davanti, ma fortunatamente non c’era nessuno. Quindi spostò immediatamente lo sguardo al di sopra delle scale di legno a pochi metri da lui e vide il colonnello tra due guardie. Queste ultime sembravano molto agitate, evidentemente colte di sorpresa da quanto stava succedendo: fu questione di un secondo prima che quella di sinistra si portasse una mano alla gamba, crollando a terra con un grido di dolore.
“Grazie, sottotenente!” esclamò Fury, riconoscendo in quel colpo l’intervento di Havoc
Sapendo che doveva essere rapido, salì i primi scalini e sparò alla seconda guardia, colpendola al braccio: fu un colpo ravvicinato che anche una persona con una mira nella media non poteva sbagliare; non aveva alcuna intenzione di uccidere quell'uomo, ma solo renderlo innocuo.
“Colonnello!” chiamò finendo di salire gli scalini
“Fury?” esclamò Mustang spostando lo sguardo dalle guardie ferite al suo sergente.
Era ancora scioccato nell’aver visto la corda che doveva uccidere il tenente spezzarsi all’improvviso per restare a penzolare sulla forca, davanti a un pubblico sconcertato; alla sorpresa si era aggiunta immediatamente una scarica di sollievo che gli aveva attraversato tutta la spina dorsale. Poi quasi subito uno dei suoi carcerieri era caduto a terra e ora la comparsa del sergente…
Cazzo! Possibile che siano stati così folli da…
“Venga, signore! – Fury prese per un braccio il suo superiore e lo incitò a scendere dalle scale di legno – Qui siamo un bersaglio troppo facile!”
Troppo incredulo davanti a quel ragazzo così determinato e così diverso rispetto al Fury piagnucolante che aveva visto l’ultima volta, Mustang lo seguì passivamente giù per le scale.
“Sottotenente Havoc, ho preso il colonnello! – disse Fury, guardandosi intorno con foga – Adesso usciremo allo scoperto! Venga colonnello, da questa parte! E non si preoccupi per il tenente, ci penserà il maresciallo Falman!”
Piccolo irresponsabile che non sei altro! Da quando ti metti a fare azioni così spericolate?
Ripresosi dalla sorpresa iniziale il colonnello iniziava a sentire la rabbia montargli dentro: quei disgraziati dei suoi uomini avevano organizzato quella follia, in barba alle sue disposizioni di stare al sicuro. Ma certo! E la corda si era spezzata perché qualcuno aveva sparato contro di essa.
Fu tentato di dare un calcio al giovane che gli dava le spalle, preso com’era dal suo ruolo di sfondamento, ma poi si rese conto della situazione di reale pericolo in cui si trovavano: non poteva assolutamente distrarre Fury o il ragazzo poteva rischiare più del dovuto. Adesso non era il tempo di recriminare ma di agire.
E una parte di lui esultò e si disse che non vedeva l’ora che succedesse una cosa simile.
Come uscirono da dietro il palco il colonnello notò che la situazione era più difficile del previsto: da una parte c’era la folla che stava letteralmente fuggendo dall’altro lato della piazza. Ma davanti a loro c’erano decine di soldati che si stavano riprendendo dalla sorpresa iniziale e iniziavano a girarsi verso la loro direzione.
“Merda, Fury, fai attenzione!” disse, tenendo la sua posizione dietro il ragazzo… anche se avrebbe voluto prendere il sergente e metterlo dietro di sé.
I soldati si stavano rendendo conto che si trovavano davanti a un chiaro tentativo di fuga.
Fury indietreggiò di un passo, andando quasi a sbattere contro Mustang: avevano la via chiusa.
Ma fu solo per pochi secondi.
“Ma quello è un carro armato!!” gridò un soldato.
“Che cosa ci fa qui un carro armato?!”
Tutti si girarono Mustang e Fury compresi
“Oh cavolo! – esclamò il sergente – Sottotenente Breda allora è questo il diversivo?”
Da lato opposto della piazza, proprio dalla via che dava sullo spazio che separava il palco dal pubblico, stava entrando un grosso carro armato, con il cannone puntato verso i soldati. I pesanti cingoli spazzarono via, con un sordo botto, le transenne che chiudevano quell’accesso alla piazza e il bestione meccanico si mosse verso di loro.
“Breda?! – sbiancò Mustang – Ma voi siete completamente impazziti!”
Impazziti? Cazzo, ma se questa è una delle migliori performance che abbiano mai messo in atto!
“Venga via, signore! – disse Fury, afferrando un lembo della giacca della divisa del superiore – Finché il diversivo regge!”
A Mustang non rimase che seguire Fury che correva disperatamente verso una delle vie laterali in direzione direttamente opposta al carro armato.
Vedendo che il percorso tra dove stavano e la via che dovevano imbucare era troppo piena di soldati, il sergente fu costretto a ripiegare su un altro vicolo laterale più vicino, sperando di potersi ricongiungere alla strada principale. Purtroppo non era quello che avevano previsto nel piano, ma se non approfittavano di quella situazione sarebbe stato peggio.
 
Come sentì la voce di Fury che diceva la parola carro armato, Falman capì che poteva finalmente uscire da sotto il palco. Aveva preferito aspettare che tutta l’attenzione fosse catalizzata sul famoso diversivo per potersi dare alla fuga col tenente.
“Havoc, io mi muovo. Ho il tenente privo di sensi con me”
“Vai pure, Falman, ti copro io. Fury e il colonnello sono ormai fuori dalla piazza”
Annuendo e facendosi coraggio, il maresciallo consolidò la presa sulla donna svenuta che aveva tra le braccia e iniziò a correre verso i palazzi del lato ovest della piazza. Per quanto fosse estremamente leggera, Riza era comunque un ingombro e quindi l’andatura di Falman era abbastanza rallentata.
Proprio per questo costituiva un bersaglio facile e, purtroppo, la via di fuga prevista era ad almeno cinquanta metri da lui… un’infinità se si consideravano tutti i soldati presenti. Ma purtroppo era necessario che prendesse proprio quella in modo che le direzioni differenti prese da lui e Fury riuscissero a depistare i loro avversari.
La piazza era un vero caos: parte della folla che era venuta ad assistere era riuscita ad andare via dalle strade che davano nel lato sud, ma una buona parte non aveva ancora guadagnato la via di fuga e si stava accalcando pericolosamente… e una prerogativa del piano era di non coinvolgere i civili.
E purtroppo la strada che avrebbe dovuto imboccare lui era troppo vicina alla gente che ancora cercava di uscire e che si ammassava.
“Havoc  qui è un caos totale!”
“Maledetti cittadini… sono lenti come bradipi ad uscire da questa cazzo di piazza! Falman procedi lungo i palazzi, poco davanti a te c’è una rientranza tra due edifici: rifugiati lì! Adesso inizio a metterne fuori combattimento un po’…”
Falman sentì i primi spari e corse dove gli aveva detto Havoc. Quella specie di apertura era larga abbastanza per permettergli di infilarsi e aveva anche un minimo di protezione fornita da alcune sporgenze dei muri.
Dando alcuni colpetti alle guancie pallide di Riza, riprese a chiamarla
“Andiamo, tenente, si svegli! Sono io, Falman! Dai… forza!”
Un mormorio uscì dalle labbra di Riza e gli occhi si serrarono ulteriormente.
Si stava riprendendo.
“Fal… Falman…?” chiamò debolmente, mentre sollevava leggermente le palpebre
“Va tutto bene, signora – la rassicurò il maresciallo – Vedrà che la tireremo fuori da qui. Non si preoccupi e lasci fare tutto a me e agli altri”
Riza sentì quelle frasi, ma vennero assimilate solo da una parte del suo cervello: la parte militare, quella del tenente che conosceva e si fidava dei membri della sua squadra. Il suo corpo fu invaso da una sensazione di sollievo incredibile mentre posava la testa sul petto del maresciallo.
Era nelle mani dei suoi compagni: era al sicuro.
 
“Corra colonnello, corra!” continuava a dire Fury, mentre si inoltravano in quella via secondaria.
Sentiva gli spari e il rumore della piazza farsi sempre più lontani e in cuor suo osò sperare che fosse riuscito a mettere in salvo il suo superiore.
Stava lui davanti ad aprire la strada con la pistola tenuta pronta e ,ogni tanto, si girava a vedere se Mustang lo seguiva. Sentiva sulle sue spalle tutta la responsabilità della vita del suo superiore e allo stesso tempo una scarica di adrenalina che gli faceva vibrare ogni fibra del suo essere. Non gli era mai toccata una parte simile in tutte le missioni che aveva fatto e stava scoprendo che l’esaltazione poteva essere davvero tanta.
Tuttavia la parte più pacata e razionale della sua persona cercava di tenere a bada quell’entusiasmo troppo fuori luogo, ricordandogli che stavano rischiando la vita.
“Attento Fury!” avvisò il colonnello in uno di quei momenti in cui il sergente si era girato a controllare che lui ci fosse e, un secondo, dopo Fury si trovò a terra: aveva inciampato come uno stupido su un mucchio di rifiuti che qualcuno aveva lasciato in mezzo a quei vicoli.
“Non è niente, signore! – si rialzò subito – Ecco, mi segua… noi siamo… ehm…”
Quella breve sosta gli fece prendere atto della realtà: non aveva la più pallida idea di dove fossero; avevano preso delle strade completamente diverse rispetto a quelle che aveva studiato la sera prima. Quel posto gli era totalmente sconosciuto: aveva sperato che si ricollegasse a una via principale, ma non era così.
Fury che fine avete fatto tu e il colonnello?” chiese proprio in quel momento la voce di Havoc
“Abbiamo fatto una deviazione per cause di forza maggiore, signore… ma vedremo di uscirne in qualche modo” rispose senza troppa convinzione e con un lieve senso di vergogna
Si guardò intorno, cercando di orientarsi, ma in quella zona della città non c’era mai stato.
E adesso che cosa posso…
“Maledetto idiota!” gridò Mustang, ricordandogli che non era solo
“Eh? Ma signore, io…” balbettò
Era arrivato il momento che temeva: il colonnello si era ripreso dalla sorpresa iniziale e si stava davvero arrabbiando.
“Tu e i tuoi dannati compagni! Ma come vi è saltato in mente di combinare questo disastro?” per quanto avesse le mani legate dietro la schiena, Mustang incombeva su Fury in maniera inquietante: gli occhi dell’alchimista mandavano fiamme
“Non… non potevamo lasciare che lei e il tenente…”
“Sì che potevate… e soprattutto dovevate!”
“Mi… mi scusi, colonnello, - mormorò il ragazzo abbassando lo sguardo con aria colpevole.- Ma… in tutta onestà, non mi posso ritenere pentito di quanto ho fatto”
Mustang fissò con rabbia il sergente per qualche secondo: una parte di lui era furiosa contro quell’azione altamente sconsiderata a cui aveva appena partecipato… perfettamente degna della sua squadra, se doveva essere sincero. Dall’altra non poté fare a meno di comprendere il gesto che avevano compiuto i suoi ragazzi: del resto anche lui non aveva fatto tutto quello che poteva per salvarli?
Il silenzio teso tra i due venne spezzato dal rumore di molti passi che correvano verso di loro.
“Merda, – sibilò il colonnello – ci stanno braccando!”
“Da questa parte!” propose Fury, imboccando la prima via che trovò, senza sapere dove li avrebbe condotti.
A Mustang non restò che seguirlo.
 
Nel frattempo Breda, a bordo del diversivo, cercava di tenere sotto controllo la situazione.
Era stato un gioco da ragazzi entrare nella stazione ancora vuota e prendere possesso del mezzo pesante: per sua fortuna quel giorno sembrava che pochi dovessero partire e, inoltre, c’erano pochissimi militari a sorvegliare il convoglio destinato al freddo nord.
Così, dopo essere stato dentro il carro armato per qualche ora, riprendendo confidenza con il sistema di funzionamento, si era mosso senza che nessuno potesse fermarlo.
La parte iniziale del piano aveva funzionato alla perfezione: aveva catalizzato sul carro armato l’attenzione della maggior parte dei soldati, consentendo a Falman e Fury la possibilità di fuga.
Tuttavia adesso si trovava circondato da diverse decine di uomini in divisa a cui, oggettivamente, non se la sentiva di fare troppo del male: usare il cannone era fuori discussione.
“Havoc, senti un po’, perché non mi dai una mano con questi scemi? Giusto metterne fuori combattimento un paio, tanto per metterli sull’avviso”
“Dammi tempo, Breda. Sto facendo piazza pulita a Falman… se questi stronzi di cittadini si decidessero a uscire dalla piazza… Bene! Era ora! Falman la via di fuga prevista è libera, senza civili nell’arco di venti metri. Esci da lì e vai. Ti concedo cinquanta secondi di copertura da adesso!”
“Ricevuto, signore!” esclamò la voce del maresciallo
“Cinquanta secondi? – disse Breda – Ma sì, posso gestire questi idioti anche per altri cinque minuti!”
La sua mano andò alla leva del cambio
“Forza, bellezza, - mormorò – sgranchiamoci un po’ le gambe”
Il gruppo di soldati che stava davanti a lui si dovette spostare di corsa per evitare di essere investito dai cingoli.
 
Sentendo l’ordine di Havoc, Falman uscì dal rifugio improvvisato e si diresse verso la via di fuga prestabilita, finalmente libera.
Attorno a lui sentiva gli spari e le grida, ma non si voltava a guardare. Sapeva di doversi affidare esclusivamente alla copertura che gli offriva Havoc. Nella sua mente contava quei cinquanta secondi che aveva a disposizione, ignorando tutto quello che lo circondava.
Riza diventava sempre più pesante da portare e considerata la tensione non era facile: dopo quella breve ripresa di coscienza, la donna si era praticamente addormentata tra le sue braccia.
Rischiò quasi di inciampare quando vide un soldato pararsi davanti a loro, ma subito uno sparo ben mirato colpì l’uomo sulla gamba e Falman poté riprendere la sua corsa.
Dieci secondi… e ancora pochi metri!
Con un ultimo slancio il maresciallo si infilò in quella strada secondaria e stretta.
“Uscita dalla piazza effettuata, sottotenente. – disse con un lieve affanno – Il tenente è illeso, sebbene di nuovo privo di sensi: adesso andiamo in posti più sicuri!”
“Ottimo lavoro. Io tengo questi scemi lontani da dove siete scappati… prendi tutto il vantaggio che puoi”
“Ricevuto!”
 
Dopo che ebbe accertato che i soldati non si avventurassero verso la direzione dove era scappato Falman, Havoc spostò la sua attenzione al resto della piazza.
Finalmente gli ultimi sprazzi di civili si stavano decidendo ad andare via. Sul selciato c’erano solo diversi militari feriti: almeno una quindicina. Per fortuna che erano tutti privi di esperienza e non avevano saputo organizzarsi in gruppi, altrimenti sarebbero stati molto più difficili da gestire.
Vediamo… una ventina sono intorno a Breda, ma ora li sfoltisco io. Merda, me ne mancano alcuni all’appello.. almeno una decina rispetto al conteggio iniziale. Che siano scappati…?
Mentre puntava il fucile per aiutare il suo compagno, una spiacevole sensazione gli attanagliò lo stomaco. Ma doveva ignorarla… almeno per il momento.
 
Fury continuava a correre per quei vicoli della parte vecchia della città, così piccoli e pieni di ostacoli. Faceva del suo meglio per aprire la strada al suo superiore, ignorando completamente il senso dell’orientamento: la cosa importante era depistare le persone che li stavano seguendo.
Mustang lo seguiva senza dire niente: aveva capito che qualcosa nel piano era andato storto e non era il caso di mettere nel panico il sergente più di quanto fosse. Ma a un certo punto lo vide fermarsi di colpo
“Oh no! – esclamò Fury, abbassando le spalle – Abbiamo… abbiamo girato in tondo. Quella è la piazza!”
Mustang guardò oltre il ragazzo e vide effettivamente che la strada si apriva sul piazzale dell’esecuzione, incredibilmente vuoto.
“Da qui possiamo recuperare la via che dovevamo prendere originariamente, no?” gli fece notare
“Sì, ma dobbiamo rientrare nella piazza per raggiungerla… qui non ci sono vie laterali…”
“Nel frattempo dammi una mano con queste manette: – propose il colonnello, muovendo quanto poteva le braccia obbligate dietro la schiena – correre così non è molto agevole”
“Oh, mi scusi, signore! – arrossì Fury – Avrei dovuto pensarci prima!”
Il sergente andò dietro il colonnello e iniziò ad armeggiare con quelle particolari manette. Mustang sentì le mani accaldate del ragazzo che sfioravano le sue, mentre cercavano di aprire il meccanismo: doveva essere davvero esausto. C’era anche un lieve tremito che non passò inosservato.
“Calmo, Fury, va tutto bene…” disse con voce rassicurante
“Ecco io… Cavolo, devo aver perso le tenaglie nella caduta di prima. – mormorò il sergente, dopo una lieve esitazione - Pero, aspetti, signore, forse in tasca ho il cacciavite… non credevo che l’ammanettassero così…”
Il cacciavite… - Mustang si ritrovò a sorridere – Non ne riesci proprio a fare a meno dei tuoi strumenti per la radio, Fury.
“Bene, qualcosa si smuove – mormorò il giovane strattonando leggermente uno degli anelli che iniziava a cedere – dovrei riuscire a…”
“Fermi dove siete!”
Mustang sentì la mano di Fury irrigidirsi e un lieve rumore gli fece capire che il cacciavite era caduto a terra.
Girandosi nella direzione da cui erano arrivati, vide che cinque soldati si avvicinavano con cautela a loro.
Merda…ci hanno raggiunto!
Diede uno strattone irato alle manette, accorgendosi di avere maggiore libertà di movimento. Una parte lucida della sua mente gli disse che mancava pochissimo per far cedere l’apertura.
“Colonnello, – disse Fury a voce bassa, stranamente piatta – vada via da qui: la seconda traversa da questo lato della piazza, si ricongiunge alla via principale… e poi in quel posto dove abbiamo tenuto nascosto Barry… ”
“Fury non fare cazzate” sibilò Mustang, gelido, vedendo che il ragazzo si era portato tra lui e i soldati e aveva teso la pistola. I militari non persero tempo ad estrarre le loro armi.
“Colonnello, la prego, – mormorò il sergente, mentre una prima incrinatura di paura gli compariva nella voce – vada e soprattutto viva e vada avanti. Io credo in lei… non voglio credere in altro. Per favore… la copro io”
Mustang diede un altro strattone alle manette, il cedimento era vicinissimo
“Ragazzo, levati subito da lì, se non vuoi morire. Abbassa la pistola” disse il comandante dei militari
“Scordatelo! – lo sfidò Fury – Lui vivrà e non permetterà più che succedano cose simili!”
Cazzo Fury, non fare l’eroe! Non lo sei!
“Ti concedo cinque secondi per abbassare quella pistola, giovanotto. Poi spariamo. Uno…”
“Vada, colonnello!”
Mustang strattono ancora il polso.
“Due…”
Cazzo di manetta, cedi!
“Tre…”
“Per favore, signore… scappi!”
L’anello di metallo finalmente cedette, staccandosi dalla barra di metallo
Nemmeno un anno prima il Portale della Verità si era aperto davanti a lui per colpa degli homunculus. Aveva perso la vista fino a quando il dottor Marcoh non gliel’aveva restituita con la pietra filosofale.
Ma una cosa vantaggiosa da tutta quella vicenda l’aveva ricavata.
Non aveva bisogno di un cerchio di trasmutazione per usare l’alchimia.
“Quattro!”
Le sue mani libere si portarono rapidamente davanti al petto, congiungendosi tra di loro: era da tempo che non lo faceva, ma sapeva che non avrebbe sbagliato
“Fury, stai immobile!” ordinò
I palmi si congiunsero e i due anelli di metallo che ancora aveva ai polsi stridettero tra di loro, provocando una piccola scintilla.
L’alchimia di fuoco si scatenò.
 
All’ordine del colonnello Fury si era immobilizzato, il suo corpo e la sua mente che reagivano d’istinto a quella voce che per anni l’aveva guidato. Nell’arco di un secondo tutto attorno a lui ci furono fiamme: un muro di fuoco.
Il giovane serrò gli occhi, ma solo perché quel calore li avrebbe fatti lacrimare inutilmente.
Perché sapeva che l’alchimia del fuoco, per quanto fosse una delle più distruttive, poteva anche proteggere: in quel nido di fiamme niente l’avrebbe potuto toccare.
“Oh colonnello…” mormorò con sollievo.
Adesso sapeva che sarebbero sopravvissuti.
 
Mustang tenne sotto controllo le fiamme: voleva solo spaventare quei soldati e mettere una protezione tra Fury e le loro pistole. Tuttavia era giusto spettacolarizzare la cosa: era il momento di finirla e la cosa migliore era mettere quei soldati davanti alle possibilità del grande Alchimista di Fuoco.
Le fiamme si alzarono d’intensità, arrivando alla piazza, perfettamente gestite in quello spettacolo pirotecnico.
 
Dalla torre Havoc vide le fiamme uscire da un vicolo e sogghignò
“Ma guarda… qualcuno si è ricordato che può usare l’alchimia. Bentornato, colonnello”
 
Fury continuava a tenere gli occhi chiusi.
Aveva abbassato la pistola e ora cercava di capire come e quando tutto sarebbe finito. Il rumore del fuoco che ardeva in maniera innaturale attorno a lui lo avvisava che l’alchimia era ancora in atto. Il calore lo accarezzava quasi con dolcezza, con la chiara intenzione di non fargli alcun male.
Poi all’improvviso tutto terminò
“Tutto bene, sergente?” chiese la voce del colonnello, mentre due mani si posavano sulle sue spalle.
Fury aprì gli occhi e vide che davanti a sé non c’era più anima viva
“Signore… loro sono…”
“Scappati via come lepri non appena hanno visto le fiamme. – spiegò Mustang con un sorriso – Non sono certo abituati a vedermi all’opera come voi. Vogliamo andare?”
“C… certo signore… io… io la ringrazio per avermi salvato la vita” sorrise timidamente Fury mentre si incamminavano.
Stavano per uscire allo scoperto nella piazza quando il colonnello si fermò.
“Dov’è il microfono?” chiese al sergente
“Il microfono? – arrossì il giovane, tirando fuori dal colletto della divisa un filo con attaccato un piccolo microfono – Eccolo… però io..”
“Zitto e passamelo”
 
Falman, Havoc e Breda rimasero interdetti
“A tutti i membri della mia maledettissima squadra: – disse la voce di Mustang – adesso basta giocare. La festa è finita: recatevi immediatamente nel luogo stabilito”
“Sissignore…” dissero i tre
 
Breda sospirò, preparandosi a lasciare il carro armato
“Havoc, coprimi quando esco da questo bestione, mi raccomando”
“Tranquillo Breda, ci penso io…”
Il sottotenente rosso annuì e stava per tirare la leva del freno. Tuttavia il suo sguardo, attraverso la feritoia, si posò sulla forca, da cui ancora pendeva la fune spezzata.
Improvvisamente gli tornò in mente lo sguardo disperato e fisso di Fury il giorno in cui l’avevano ritrovato, proprio mentre guardava quel simbolo di morte.
La rabbia montò e la sua mano si spostò dalla leva del freno a quella della marcia.
Il carro armato si mosse pesantemente fino a portarsi davanti alla forca.
 
Proprio in quel momento Mustang e Fury uscivano nella piazza e notarono il movimento
Fury trattenne il fiato e anche il colonnello si irrigidì nel vedere quello che stava per succedere
 
“Questo – dichiarò Breda – è il mio personalissimo concetto di GIUSTIZIA!!”
Il lungo cannone montato sopra il carro armato si portò completamente di lato e poi a una velocità impressionante girò su se stesso, andando a scaricare le sue tonnellate di peso sul palo verticale che reggeva la forca.
Il legno si sbriciolò in centinaia di schegge.
 
Fury non poté fare a meno di sorridere, come se Breda gli avesse fatto il più bel regalo del mondo.
Mustang dilatò gli occhi neri davanti a quella visione.
 
La tomba di terra si richiuse e l’occhio rosso sparì dalla vista del bambino.


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11. Il senso della giustizia. ***


Capitolo 11. Il senso della giustizia.

 

Giorno 10.


Ore 10:50
 
Con una rapida torsione del gomito, Falman riuscì ad aprire la porta del vecchio appartamento.
L’interno era quasi del tutto al buio se non fosse stato per alcuni leggeri spiragli di luce lasciati dalle imposte socchiuse.
Un’ondata di ricordi lo avvolse mentre faceva i primi passi all’interno della stanza e chiudeva la porta con la schiena.
In quelle stanze vecchie e polverose aveva trascorso delle giornate davvero particolari a fare la guardia a Barry the Chopper, una creatura così strana e letale come mai ne aveva incontrato. A quanto sembrava a quell’appartamento erano destinati a legarsi i momenti più spericolati della sua carriera militare.
L’abbaiare di un cane lo fece riscuotere e si ritrovò Black Hayate che gli girava attorno alle gambe, impazzito nel riconoscere la sua padrona ancora priva di sensi tra le sue braccia.
Scuotendo la testa e rendendosi conto che non poteva farsi distrarre da quei ricordi, Falman portò Riza nella stanza adiacente, dove c’era un vecchio letto e la distese sopra. Si allontanò dal letto il tempo necessario per accendere la luce e poi tornò al capezzale della donna, slacciandole la casacca della divisa e levandogliela.
“Fai il bravo” disse al cane che, obbediente, saltò ai piedi del letto e si sdraiò, quasi a fornire alla donna un sostegno sia fisico che emotivo.
Dopo aver sentito il polso di Riza e aver constatato che c’era un lieve miglioramento rispetto al battito irregolare di poco prima, Falman tornò nel soggiorno-cucina recuperando da una borsa, che avevano portato la sera prima assieme al cane, un asciugamano pulito. Lo bagnò con l’acqua del lavandino e tornò accanto alla donna, tamponandole con delicatezza la fronte e i polsi.
“Coraggio, signora… è tutto finito. Riprenda i sensi…”
Mentre cercava di far ritornare cosciente il tenente, Falman sperò con tutto il cuore che gli altri arrivassero presto. Purtroppo mentre trasportava il tenente su per le scale, la radiolina gli era caduta e quindi ogni altro collegamento con il resto del gruppo era fuori discussione.
Intanto Riza scosse lievemente il capo e gemette.
“Dai che ci siamo… coraggio!” sorrise Falman
Ma i suoi incoraggiamenti si interruppero quando sentì dei rumori provenire dall’esterno.
Si tese e la sua mano corse alla pistola.
Ma poi notò che Black Hayate aveva alzato il muso e scodinzolava festoso, pur non spostandosi dalla sua posizione ai piedi di Riza. Questo poteva voler dire solo una cosa: chi stava arrivando era gente conosciuta.
Sentì la porta che si apriva e subito il silenzio dell’appartamento fu spezzato.
“Falman!” chiamò Havoc
“Sono qui, signore” rispose
Subito venne raggiunto da Havoc, Breda, Fury e il colonnello, tutti illesi e salvi.
“Tenente!” si preoccupò subito Fury, inginocchiandosi davanti al letto e prendendo la mano pallida tra le sue.
“Si sta riprendendo, tranquillo, – disse Falman – a breve dovrebbe recuperare i sensi”
“Problemi al collo?” chiese Mustang, non riuscendo a nascondere una certa apprensione
“No, signore, nessuna lesione”
 La risposta di Falman fece tirare un lungo sospiro di sollievo a tutti quanti. Era come se fino all’ultimo avessero temuto che quel cappio maledetto avesse in qualche modo ferito la donna in maniera irreparabile: lo stesso Havoc non aveva potuto fare a meno di pensare che il suo colpo non avesse danneggiato la corda in maniera sufficiente.
“Va bene, – mormorò Mustang, osservando Falman che posava l’asciugamano bagnato sulla fronte di Riza – adesso lasciamola qui a riposare. Tanto quando riprenderà i sensi ci avviserà il cane… Voi quattro ora venite con me nell’altra stanza e facciamo un bel discorsetto
L’ultima frase aveva avuto il tono impassibile del comando e i quattro soldati sussultarono interiormente.
Senza aspettare risposta, il colonnello girò i tacchi e si diresse verso la porta
“Ecco il momento, signori. – annunciò Breda, muovendo il primo passo – Qui ci giochiamo il nostro superiore: o lo convinciamo adesso o mai più”
Annuendo, gli altri seguirono il sottotenente rosso.
Adesso che era finita l’azione iniziava la parte più delicata dell’operazione.
 
Ora che le imposte erano aperte, si poteva notare come il tavolo di legno, di modeste dimensioni, presentasse molte rigature e in diversi punti fosse rovinato; le sedie che lo accompagnavano non erano in condizioni migliori. Si vedeva che quel mobilio era stato abbandonato a se stesso da tempo. Anche se i soldati avevano dato una rapida ripulita a quel posto, il giorno precedente, tutta la stanza recava i segni di più di un anno d’abbandono.
Eppure Mustang sedeva a quel tavolo come se si fosse trovato nel suo ufficio, con la sua scrivania di legno pregiato e la sua comoda poltrona. Le lunghe gambe erano accavallate e le braccia conserte mentre fissava con aria severa i suoi quattro sottoposti davanti a lui.
Il fatto che ai polsi avesse ancora quei cerchi metallici da uno dei quali pendeva una barra del medesimo materiale erano dettagli trascurabili.
Il colonnello fissò i suoi uomini con espressione impassibile, uno per uno.
All’estrema destra stava Havoc, con l’immancabile sigaretta in bocca: il leader di quel gruppo di folli, quello che in teoria avrebbe dovuto guidarli e proteggerli e che, invece, li aveva spinti in quell’impresa.
Accanto a lui c’era sicuramente il maggior artefice del piano, lo stratega. Gli occhi grigi di Breda erano impassibili e la sua figura tozza era tranquillissima, come se l’aver seminato il panico con un carro armato fosse una cosa da tutti i giorni.
Poi Falman, con la sua solita stoicità, che non riusciva tuttavia a nascondere una nota di preoccupazione per quanto stava per succedere.
Ed infine il ragazzino, quello che si era voluto improvvisare eroe arrivando a fargli da scudo davanti ad altri soldati.
“Io non so nemmeno da dove cominciare. Perché non me lo suggerite voi?” chiese con voce falsamente calma.
I suoi uomini si guardarono con un misto di perplessità e preoccupazione: sembrava che stessero decidendo chi si doveva proporre come portavoce.
“Molto semplice, colonnello. – disse Havoc dopo qualche secondo – Lei ha salvato noi e noi abbiamo salvato lei ed il tenente. Come è giusto che succeda in una squadra”
“Se non sbaglio proprio a te avevo dato il compito di tenerli al sicuro” obbiettò Mustang.
A quelle parole gli occhi azzurri di Havoc ebbero un abbaglio di rabbia.
“Sono tutti qui, illesi, signore. E quando eravamo in missione mi sono accertato di proteggerli per quanto possibile. Vuole che mi prenda la responsabilità di tutto quanto? Va bene, è colpa mia… mi dispiace di aver dato loro un motivo per sperare”
“Sottotenente non dica queste cose. – intervenne Falman – Noi eravamo tutti d’accordo con il piano: e siamo tutti abbastanza adulti per prendere le decisioni da soli, mi pare”
“Adulti, eh?” chiese Mustang, spostando significativamente lo sguardo su Fury.
Ma il sergente non si lasciò intimorire: con voce flebile ma decisa disse
“Ho ventidue anni e sono un sergente maggiore dell’esercito, signore. Ho affrontato decine di missioni insieme a questa squadra e sono stato in trincea a combattere. Sarò il più piccolo, è vero… ma anche se non ci fossero stati loro io avrei tentato qualsiasi cosa per salvarla… da solo
“Ma perché…? – sospirò il colonnello – Perché siete così testardi? Voi non potete…”
“Signore, – continuò il sergente, interrompendolo – perché vuole che noi smettiamo di credere il lei?”
Mustang spostò lo sguardo sul ragazzo e vide che il viso infantile aveva un’espressione di dolorosa sorpresa. Per un tremendo istante il volto di Fury si confuse con quello di tanti giovani di Ishval che non sapevano di trovarsi a pochi passi dalla morte, quando lo vedevano avanzare. La stessa espressione di dolorosa sorpresa, come a dire: perché ci stai facendo questo?
La sua mascella si irrigidì.
“Fury, vieni, finisci di levarmi queste maledette manette; – disse con voce tesa, allungando le mani – e poi vai dal tenente e controlla che vada tutto bene. Resta con lei…”
“Ma… - il giovane si avvicinò timoroso a quelle mani, quasi avesse paura di poter essere picchiato – io non volevo…”
“Da bravo, fai quanto ti ho ordinato” lo bloccò impassibile il suo superiore.
Con un sospiro il sergente frugò nelle sue tasche, tirando fuori altri strumenti da lavoro e prese ad armeggiare con le manette. Considerato che non erano più in una situazione di pericolo, era decisamente più calmo e quindi gli bastarono pochi momenti per far scattare in maniera definitiva gli ingranaggi d’apertura. Mustang annuì e gli fece cenno di andare.
Con uno sguardo preoccupato verso i suoi compagni, il sergente abbandonò la stanza.
Fu Breda a parlare, quando il silenzio proseguì per diversi secondi
“Perché non ha risposto alla domanda del ragazzo, signore?” chiese con franchezza
“Perché lui è l’ultima persona che può capire… ma da voi mi aspettavo di più”
“Ancora questa cazzo di storia di Ishval?” sbottò Havoc
“Sottotenente, datti una calmata” lo ammonì Mustang
“Solo nel momento in cui lei smetterà di fare la vittima, signore! Mi sono davvero stufato di questo atteggiamento di merda! Non è questa la persona che io ho sempre seguito senza esitazioni!”
Mustang si alzò di scatto dalla sedia, sbattendo i pugni sul tavolo. Gli occhi neri fissarono quelli azzurri con aria minacciosa e per un attimo sembrò che il colonnello avrebbe aggredito il suo sottoposto… che sembrava pronto a reagire.
“Havoc, finiscila: – disse Breda, mettendo una mano sul braccio del compagno – vatti a fare un giro fuori, avanti. Magari dai una controllata che non ci sia nessuno in vista… Falman, perché non lo accompagni?”
Il maresciallo fissò dubbioso il sottotenente e poi lanciò un’occhiata al colonnello, come per chiedergli conferma.
“Andate: – annuì Mustang – questa zona è quasi del tutto disabitata, ma è meglio essere prudenti.”
Il maresciallo si fece avanti e posò una mano sulla spalla di Havoc. Il sottotenente sembrava contrariato da quella soluzione, ma non oppose resistenza. I suoi occhi azzurri erano ancora carichi di rabbia.
Fu solo quando furono usciti che Breda parlò di nuovo
Lo immaginavo, – pensò squadrando il suo superiore con attenzione – con lui me la devo vedere io da solo.
“Adesso credo che possiamo parlarne con tranquillità, signore” annunciò, sedendosi davanti al colonnello
“Non vedo di che cosa dobbiamo parlare, sottotenente: – si imbronciò Mustang, non mancando di notare il gesto di sfida insito in quella posizione seduta – ho già spiegato le mie motivazioni decine di volte”
“Mi dispiace, ma fino a questo momento nessuna delle motivazioni da lei presentate mi è sembrata sufficiente”
I due si fissarono con aria di sfida, ma era qualcosa di diverso rispetto all’ostilità che poco prima aveva animato il battibecco tra Mustang ed Havoc: questa volta c’erano due contendenti freddi e spietati.
Non avrebbero alzato la voce, non ne avevano bisogno.
 
Quella zona della città era praticamente disabitata e quindi fare un giro di ricognizione era relativamente facile e tranquillo. La verità era che Havoc aveva seriamente bisogno di prendere una boccata d’aria e sfogarsi: lo si capiva dalla camminata rapida e nervosa, dalle nuvole di fumo che faceva uscire dalla bocca e dall’espressione contrariata.
Falman camminava accanto a lui, tenendo il passo con quell’andatura e aspettando che la rabbia del sottotenente scemasse naturalmente. Poteva capire bene come si sentisse Havoc in quel momento: anche lui era parecchio contrariato dall’ostinazione del colonnello nel voler continuare con l’atteggiamento vittimistico… arrivando a rimproverarli per tutti gli sforzi che ci avevano messo in quella missione disperata. Ovviamente, per il carattere che si trovava, non esternava la cosa come Havoc: cercava piuttosto di riflettere e di analizzare il problema in tutte le sue possibili sfaccettature.
“Cazzo, quanto lo odio! – sbottò Havoc rompendo il silenzio – Noi a farci il culo per lui e tutto quello che ha da dire è che non possiamo capire!”
“Signore…” mormorò Falman
“Ci ho sperato, Falman, capisci? – spiegò il biondo voltandosi verso il maresciallo e guardandolo con esasperazione – Quando ho visto quelle maledette fiamme uscire da quel vicolo ho davvero sperato che fosse tornato quello di sempre. Che questa dannata parentesi di depressione fosse finalmente finita! E invece nulla! Avrei preferito restare paralizzato a questo punto! Almeno sarei rimasto a casa mia e avrei evitato di vedere lo sfacelo della persona in cui ho sempre creduto!”
“Va bene, signore, ora si calmi” suggerì Falman, sentendo il respiro ansimante di Havoc, dopo quello sfogo che era andato in crescendo.
“Possiamo confidare solo in Breda… forse è l’unico che lo può far ragionare”
“Io credo che non ci sia molto da ragionare” azzardò Falman, sorpreso della sua stessa intuizione
“Che vuoi dire?”
“Ecco, è solo un’idea… - riprese il maresciallo pensieroso, guardando nella direzione dove stava il loro rifugio – ma io credo che il colonnello sia già tornato quello che conosciamo… altrimenti non avrebbe usato l’alchimia per salvare Fury. E poi quando ci ha ordinato di finire con la missione... a me è sembrato di sentire un tono che mancava da diverso tempo. Però credo che… il colonnello debba ammetterlo a se stesso di aver fatto un errore con questo atteggiamento…”
Havoc sospirò
“Speriamo, Falman, speriamo… e che Breda lo aiuti in questo compito”
“Piuttosto signore, perché nel frattempo non andiamo a procurare qualcosa da mangiare? Sia il colonnello che il tenente devono essere a digiuno da ieri”
Havoc annuì distrattamente e si avviarono a cercare un negozio dove poter comprare qualcosa senza destare troppi sospetti. La rabbia del biondo era scemata, come Falman aveva previsto: restava solo una stanca rassegnazione che se la batteva con una speranza ostinata a morire.
Fino a prova contraria.
 
“Mettiamo le carte in tavola, colonnello, – iniziò Breda, decidendo di compiere la prima mossa – che cosa cercava quando ha deciso di formare la squadra?  Penso che sia un mio diritto saperlo, non crede?”
Mustang intrecciò le mani sul tavolo, finalmente senza l’ingombro delle manette.
A dove mi vuoi far arrivare, Breda? Perché parti dal principio del nostro gruppo?
“Avevo bisogno di uomini eccezionali per portare avanti le mie ambizioni, dovresti saperlo”
“Questa risposta mi andava bene fino ad un anno fa. – rispose il sottotenente, fissandolo con aria di divertito rimprovero – Per ambizione io intendo arrivare al vertice del potere, non finire impiccato per mano di un governo che sicuramente è il peggiore che Amestris abbia mai avuto… ed è in carica da nemmeno un anno”
Mustang si ritrovò a sorridere per l’ultima frecciatina del sottotenente, ma poi si sorprese a pensare di quanta verità ci fosse in quella frase.
Davvero era questa la mia ambizione?
Se doveva essere sincero nelle ultime ore aveva dimostrato a se stesso che era tutt’altro che entusiasta all’idea di finire sul patibolo. E c’era di più rispetto alla naturale paura della morte… c’era un’insoddisfazione di fondo che non l’aveva mai lasciato. Tuttavia, si poteva permettere di dare credito a questa parte della sua persona?
“Breda, che cos’è per te la giustizia?” chiese all’improvviso
“Ci vorrebbe Falman per avere la definizione corretta, colonnello” scherzò Breda
“Sul serio, dimmi il tuo parere”
Breda si poggiò sullo schienale di legno e si mise a braccia conserte, fissando il vuoto con aria riflessiva: si concesse un buon minuto per pensarci.
“A parer mio la giustizia è una cosa molto strana, signore. Se ne parla così tanto ma nessuno potrà mai dare una definizione universale… certo, tutti diciamo che è giusto andare d’accordo, rispettare le leggi, il paese. Ma ciò che è giustizia per me può essere ingiustizia per altri… Quello che va bene ad Amestris non andrà bene a Xing o a Drachma, per quanto magari ci siano dei punti in comune. Ishval considerava l’annessione ad Amestris un’ingiustizia, ma noi no, e questo è un dato di fatto, a prescindere da quello che poi è stato fatto per opera degli homunculus.”
“Sei rapido ad arrivare ai punti cruciali, Breda, vero?” sorrise amaramente il colonnello
“Non è il caso di girarci intorno, signore – disse il rosso scrollando le spalle – Ho una mentalità molto pratica, dovrebbe saperlo ormai”
“Lo sterminio di Ishval è ingiustizia agli occhi di chiunque, Amestris ha solo voltato le spalle a questa realtà”
“E che giustizia c’è nel morire dopo più di otto anni da quella guerra, signore?”
“Se c’è un assassino in libertà non lo catturi e lo processi a prescindere dagli anni passati dal suo ultimo omicidio? O forse vale la regola della buona condotta?”
“Quanto ci godeva nello scatenare la sua alchimia su quel paese, signore?”
“Niente, se proprio vuoi saperlo mi volevo tranciare le mani ogni volta che schioccavo le dita. La notte non riuscivo a dormire al pensiero di quanti ne avevo ucciso in una giornata – Mustang fissò con rabbia il sottotenente e continuò il suo sfogo, accorgendosi di volerne parlare – Fiamme e sangue e sabbia… sabbia che non finiva mai di entrarti negli occhi e nell’anima. Arrivavi a chiederti se la tua vita aveva senso, se la divisa che indossavi e in con cui credevi di aiutare il paese fosse davvero simbolo di giustizia”
“E perché non ha fatto come Armstrong, signore? Lui ha abbandonato il campo di battaglia: ha significato vergogna, certo, ma è stato un gesto di coscienza che…”
“Come pensava di cambiare le cose fuggendo? Non avrebbe ottenuto nulla! – sibilò Mustang – No, dovevo restare, continuare a combattere… perché Bradley era lì! Se volevo cambiare le cose dovevo restare fino alla fine in quell’inferno, rendermi conto di quanto potesse essere orribile l’animo umano”
“Perfetto, l’ha fatto. E con questa consapevolezza ha scelto di convivere con i suoi peccati e di cambiare le cose… e all’inizio aveva anche le idee ben chiare su come fare: diventare Comandante Supremo! Merda, signore, ma si rende conto che nessuno l’avrebbe mai osato anche solo pensare? Spodestare King Bradley! Ad ultima analisi un homunculus, ma fino a due anni fa quell’uomo era il simbolo di un intero sistema!”
“Un sistema che ha scatenato quella folle guerra civile di sette anni, Breda! Dove militari assetati di gloria godevano nel ricevere incarichi contro gente inerme… tu non sai cosa può voler dire vedere famiglie distrutte”
“Signore, – disse Breda, fulminandolo con lo sguardo – io ho combattuto la guerriglia contro i ribelli nelle campagne dell’Est, anche vicino a casa mia. Tra quei ribelli la maggior parte erano solo disperati, miei compaesani che cercavano di far fronte alla fame e alle privazioni… cercavano una via d’uscita a una guerra che li stava logorando. – il tono di voce si alzò leggermente e i lineamenti furono distorti dal dolore del ricordo - Che giustizia c’è nel riconoscere i cadaveri di persone e sapere che li avevo uccisi io con la mia squadra? So cosa vuol dire vedere famiglie distrutte… lo so meglio di lei, mi creda: non avevo persone di carnagione scura e occhi rossi davanti a me, per quanto la cosa possa sembrare estremamente razzista… erano miei compaesani! Era mio…” si fermò a metà frase e rimase in silenzio per qualche secondo.
Mustang si ricordò di quel dettaglio sul passato del sottotenente e si pentì di averlo fatto arrivare anche solo ad accennarlo. Tuttavia proseguì
“E allora ti rivolto la domanda, Breda. Se la guerra civile ti ha fatto così schifo, come è giusto che sia, perché allora mi hai seguito? All’epoca non mi conoscevi, ero solo l’eroe di Ishval… dovevi odiarmi più che osannarmi”
“Non la osannavo, infatti. Il suo nome ed il suo titolo erano simbolo di quella strage. L’ho seguita perché nel suo sguardo ho visto la voglia di cambiare, signore. Mi è bastato un secondo per capirlo e anche ad Havoc e Falman! Lei ha dato un nuovo senso alla divisa che indosso, signore. – Breda si alzò dalla sedia e si sporse nel tavolo, il suo viso a pochi centimetri da quello del colonnello – La persona che ho seguito non ha rinnegato la strage che ha fatto, non ha voltato le spalle a quei morti… non ha archiviato Ishval come un qualcosa da ritirare fuori quando fa comodo, come invece è successo in questi mesi! E’ questa la giustizia di cui parla signore? In quella bandiera porpora? In quella giuria che ha usato Ishval solo come scusa per eliminare figure scomode come lei? In quelle persone che non si stavano nemmeno preoccupando di condannare Fury, che durante la guerra era un ragazzino? Era morendo impiccato che lei pensava di aiutare Ishval? Di dare giustizia a quella terra? Colonnello, lei così sta solo scappando… otto anni in ritardo rispetto al Maggiore Armstrong”
“Ne ho uccisi a centinaia! Lo capisci sì o no?” esclamò il colonnello
“E allora ne aiuti il doppio a vivere, porca troia!” sbottò Breda
I due contendenti si fissarono con odio, ma il sottotenente non aveva intenzione di cedere
Andiamo! Lo so che dentro di te capisci benissimo quello che voglio dire… e che sei d’accordo!
“Questi stronzi, – continuò, facendo un gesto vago ad indicare il governo – non faranno niente per Ishval. Cureranno i loro interessi e chissà cosa combineranno… ma ha visto che hanno fatto in nemmeno un anno, signore? Uccidere i soldati di quello sterminio è l’errore peggiore che si possa fare… buona parte dell’esercito verrà annientata: voi avete visto la parte peggiore della guerra, avete vissuto… conoscete fino in fondo l’orrore e lo ripercorrete ogni giorno nella vostra anima! Voi non commetterete mai più un errore simile! Perché sapete quanto è costato a tutti!”
“Breda…” Mustang sospirò
“Signore,- continuò il sottotenente con ostinazione - io e gli altri non permetteremo che lei compia un gesto così vigliacco come morire. La aiuteremo, la sosterremo e quanto altro, perché crediamo in lei… e lei crede in noi. Mi faccia il favore, finisca di fare la vittima e guardi dentro se stesso: quanto, durante tutti questi giorni di prigionia e processi, ha sentito il bisogno di prendere a calci quei coglioni?”
“Non ci vuole molto, mi sa…”
Quanto in cuor suo, dietro a quell’idea malsana di espiazione tramite morte, si è detto che lei avrebbe gestito le cose diversamente, dando davvero una nuova possibilità a questo paese?”
“Adesso non…”
“Quante volte si è detto… dovrei esserci io al posto loro come Comandante Supremo? Perché democrazia sarà anche una parola bella, ma tutto questo di democrazia non ha nemmeno l’odore! E io preferisco di gran lunga il sistema precedente con una figura di cui so che posso fidarmi! Un maledetto Comandante Supremo… quello che ho visto tempo fa quando entrai nel suo ufficio per la prima volta.”
Dammi la scintilla d’ambizione, colonnello, andiamo!
Mustang abbassò il capo, i capelli neri che gli scesero a coprire la fronte e gli occhi. Il resto del volto aveva un’espressione così impassibile che Breda non seppe giudicare che pensieri gli passassero per la testa.
Si risedette nella sedia, aspettando che quel periodo di meditazione passasse.
Ho fatto tutto il possibile, colonnello… ma ora tocca a lei.
Trascorsero almeno tre minuti in cui nella stanza non ci furono movimenti e l’unico rumore era quello dei respiri dei due soldati.
Per tutto quel tempo Breda non smise di fissare il suo superiore.
“Dimmi una cosa, sottotenente, – disse improvvisamente Mustang, senza cambiare posizione – ma promettimi di essere sincero”
“Ha la mia parola, signore”
L’alchimista di Fuoco alzò lo sguardo, gli occhi neri che brillavano di orgoglio, fierezza e ambizione.
“Tu e gli altri avete intenzione di seguirmi in un nuovo colpo di stato? Niente di impegnativo, conto di terminare in poco tempo” il sorriso che fece era un qualcosa che Breda non vedeva da tempo
“Io e gli altri mica siamo stanchi, signore – sogghignò il rosso – ci dica solo che dobbiamo fare. Un due ore di riposo e di organizzazione e la aiutiamo a sistemare questa faccenda”
Ciao ciao, vittimismo… bentornato colonnello!
E non poté fare a meno di tirare un grosso sospiro di sollievo.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12. Il folle filo del rasoio. ***


Capitolo 12. Il folle filo del rasoio

 

Giorno 10.
 
Ore 11:30.
 
Era sempre stato il tenente a prendersi cura di lui, non era mai successo il contrario.
Proprio per questo motivo la situazione sembrava così strana. Per Fury stare seduto davanti al letto dove giaceva la donna era destabilizzante, soprattutto perché, dopo gli eventi tumultuosi che si erano succeduti negli ultimi giorni, aveva per la prima volta il tempo e la calma per rendersi conto delle condizioni in cui essa versava.
Riza Hawkeye era stata una seconda madre per lui, tanto che a volte si dimenticava che tra di loro c’erano solo tre anni di differenza. L’aveva preso sotto la sua ala protettiva quando era appena entrato nella squadra del colonnello e trovava difficile relazionarsi a soldati molto più esperti come Havoc, Breda e Falman. L’aveva sempre incoraggiato e spronato, certo, con la disciplina tipica della sua persona, ma era anche vero che gli aveva concesso dei momenti di… tenerezza se così poteva definirli. Tutti in squadra l’avevano sempre protetto, ma lei l’aveva fatto in un modo più marcato e differente.
Vedere un punto di riferimento emotivo così importante giacere privo di sensi, con quel pallore sul viso, aveva la capacità di fargli sentire un forte peso nel cuore.
Aveva preso la mano della donna nella sua, in una stretta delicata, come se tenesse un cucciolo di gattino. Muoveva delicatamente il pollice nel palmo della mano di lei, come se quella lieve frizione potesse in qualche modo aiutarla.
Tenente… per favore si svegli… abbiamo bisogno di lei. Per favore, signora, non mi lasci senza la sua guida.
Poco prima aveva dichiarato al colonnello che lui era ormai grande, ma in quel momento gli era difficile ricordarlo a se stesso. Dalla porta chiusa aveva sentito le liti della sua squadra, la sfuriata di Havoc e poi quel discorso tra Breda e il colonnello. Lui non sarebbe mai riuscito a capire, avevano ragione.
Per lui Mustang era l’eroe della giustizia, la persona che incarnava gli ideali a cui credeva. Ishval era solo un nome, un evento che l’aveva appena sfiorato, grazie alla fortuna che aveva avuto il suo piccolo paese, miracolosamente risparmiato dalla guerra. Doveva ammettere che, spesso e volentieri, decideva di dimenticare quel particolare dettaglio del passato del suo superiore… quando aveva scoperto che la guerra in quel paese non era stato il “buono contro cattivo” delle favole, si era trovato davanti alla triste realtà dell’esercito di Amestris.
Ma nonostante questo non poteva fare a meno di credere in Mustang. Proprio perché aveva odiato quel titolo, mai infatti se ne era vantato da quando Fury lo conosceva, e perché in lui c’era un innato senso di giustizia. Il sergente sapeva che avrebbe seguito quell’uomo in capo al mondo… ambizione, orgoglio, giustizia… erano tutte caratteristiche che si amalgamavano perfettamente a comporre l’eroe in cui credeva.
“Anche se non posso capire davvero… io sono sicuro che lui sarebbe il capo perfetto per Amestris. – mormorò alla figura priva di sensi – E sono certo che lo pensa anche lei, signora. Voi mi avete insegnato a credere in quello che faccio, nei valori giusti… tornare a combattere insieme per tutto questo sarebbe una cosa meravigliosa, non crede? Insieme, come solo noi sappiamo fare… vero, bello?”
Black Hayate uggiolò felice al suo compagno di giochi umano.
“Sì, questa è solo una prova che siamo stati chiamati a superare. E poi, signora, io sarò anche l’ultimo a poter dire qualcosa sulla guerra civile… su Ishval… ma, persone come lei e il colonnello non sono dei mostri da condannare. Lei è sempre stata così buona con me, non… non si arrenda per un passato che, sebbene non vada dimenticato, deve essere superato.”
Il tenente mosse debolmente la testa ed emise un flebile lamento; gli occhi si serrarono ulteriormente, come se fosse in preda ad un brutto sogno.
“Signora! – la chiamò Fury – Sono io! Sono Fury… coraggio si svegli, è al sicuro adesso. Non c’è più niente che le possa far del male”
Gli occhi castani si aprirono debolmente e fissarono davanti a sé. Black Hayate si fece avanti e leccò con gentilezza il mento della padrona, uggiolando felice.
“Hayate?” mormorò lei, con perplessità
“Ha visto, signora?” – sorrise il sergente con fierezza – Ho pensato anche a lui. Adesso siamo di nuovo tutti insieme. Aspetti, vado a chiamare il colonnello e gli altri: saranno tutti felicissimi di vederla cosciente”
“… Fury…?” balbettò mentre sentiva che il sergente lasciava la stanza.
Il cane continuava a farle entusiasticamente le feste, ma la donna non riuscì ad alzare la mano per accarezzarlo.
Era tutto vero, non era stato un sogno: Falman e gli altri avevano salvato lei e il colonnello.
Il sollievo che aveva provato nemmeno un’ora prima in quel breve attimo di coscienza non si ripresentò.
Sentiva solo una profonda angoscia che l’attanagliava.
Ma perché… perché ci hanno negato la morte!?
 
Quando Havoc e Falman rientrarono nell’appartamento una mezz’ora dopo, trovarono una situazione molto diversa da quella che avevano lasciato. Era una cosa che si intuiva appena entrati: non c’era più la stessa tensione che avevano lasciato quando erano usciti, ma una di diverso tipo.
Aperta la porta videro che al tavolo erano seduti Breda, Fury e il colonnello.
“Eccoci di ritorno. – annunciò Havoc, con voce neutra, per sondare l’umore del suo superiore – Tutto è tranquillo nella zona: a quanto pare il governo più che a cercarci pensa ad arroccarsi nel suo palazzo, mettendosi a protezione tutti gli uomini disponibili. Direi che possiamo stare al sicuro per un po’… e abbiamo procurato anche del cibo. Forse eravamo tutti tesi perché a stomaco vuoto”
“Questa è stata certamente una buona idea, Havoc – sorrise Breda, iniziando a svuotare le buste che i due avevano posato sul tavolo – Forza, sergente, dammi una mano a preparare qualcosa di decente per tutti”
Mustang si alzò per lasciare campo libero ai due cuochi e si diresse verso la finestra, incrociando le mani dietro la schiena. Ancora una volta faceva sembrare quell’appartamento il suo ufficio, come se quella fosse una tranquilla mattinata di lavoro e lui stesse beatamente oziando, divertendosi a fissare il cortile del Quartier Generale.
“Vieni, Havoc, fuma davanti alla finestra così il cibo che mangeremo non sarà intossicato” disse all’improvviso
Il sottotenente biondo si irrigidì per un momento a quell’invito, ma poi si avvicinò al suo superiore, arrivando a mettersi accanto a lui. Con mosse volontariamente esagerate aspirò dalla sigaretta e poi emise una nuvola di fumo proprio fuori dalla finestra
“Desidera altro, signore?”
“Scusami” disse Mustang fissando davanti a sé
“Signore?” si sorprese Havoc, tanto che la cenere cadde sul davanzale, ma prima che potesse fare un gesto ci pensò il colonnello a buttarla oltre la finestra.
“Tu e gli altri avete fatto la più spettacolare azione che io abbia mai visto. Mi avete ancora una volta dimostrato che non ho sbagliato a scegliere voi per formare la mia squadra… anzi, me l’avete dimostrato più di qualsiasi altra volta. E tu sei stato grandioso nel guidarli e nel proteggerli… quanti colpi hai sparato da quella torre, eh?”
Sentendo quel tono di voce e quella convinzione nelle parole del colonnello, l’ira residua del sottotenente sparì come neve al sole. Dovette trattenersi per qualche secondo prima di rispondere con tono scanzonato
“Una sessantina di colpi buoni, signore… e lei che mi diceva che ero arrugginito”
“Se le tue dita sono ancora in grado di sparare, dopo avrei bisogno del tuo aiuto”
“E per cosa, signore?” chiese con curiosità il biondo
“Sai, mi sono appena reso conto che non è da me fare la vittima. – sorrise furbescamente Mustang – Sono maggiormente portato per ruoli più importanti, per esempio essere Comandante Supremo”
Havoc rispose a quel sorriso furbo.
Ecco il colonnello che conosceva.
Non si sorprese di un cambiamento così repentino nell’arco di nemmeno un’ora. Sapeva che una delle doti del suo superiore era quella di superare gli atteggiamenti negativi non appena aveva la convinzione che c’era qualcosa di più alto che poteva ottenere… che meritava di ottenere. No, Roy Mustang non era mai stato convinto di dover morire per dare giustizia ad Ishval.
“Non voglio proprio perdermi un simile spettacolo, signore. Stia tranquillo che sarò al suo fianco”
“Molto bene. Che dici Falman? – chiese Mustang, girandosi verso gli altri – Ti va di unirti a un altro colpo di stato? Penso che questa volta ci possiamo superare: non abbiamo nemmeno Acciaio tra i piedi”
“Molto volentieri, signore. Sono a sua disposizione” annuì Falman, mettendosi sull’attenti
“Già, Acciaio. – ricordò Breda con una risata – L’ho messo proprio a sedere quel fagiolino, colonnello. Pensi che voleva venire di corsa a salvarla, dimenticandosi che non può più usare l’alchimia”
Mustang sorrise lievemente a quell’informazione. Non aveva dubbi che il maggiore degli Elric si sarebbe comportato così.
“Acciaio è sempre stato molto impulsivo, – scrollò le spalle – ma come sempre ci sarebbe stato solo d’intralcio. Chissà, magari se mi fossi affidato a lui sarei morto stecchito… no, non credo che l’avrei permesso. Gli avrei dato troppa soddisfazione con una mia prematura dipartita”
“Signore! – protestò Fury – Edward era sinceramente preoccupato…”
“Lo so, sergente – sospirò Mustang – si chiama ironia… e stando con me da anni dovresti riconoscerla all’istante, non credi?”
“Oh…” arrossì il giovane, finendo di preparare il panino
“Va bene signori, - annunciò Breda – il pranzo è servito. Accomodatevi e gustatevi i panini amorevolmente preparati da me e dal sergente: non fate complimenti”
“Ottimo, - sorrise Havoc – ho una fame!”
“Dovremmo farne mangiare uno anche al tenente come si sveglia” propose Falman
A quelle parole Breda, Fury e il colonnello fecero una faccia molto strana, tra il teso e il preoccupato. Falman e Havoc li guardarono perplessi
“Ci sono state complicazioni?” chiese il maresciallo
“Fisiche no… - cercò di iniziare Fury – ero con lei quando si è svegliata e sono andato a chiamare gli altri, ma…”
“In poche parole il tenente è incazzato nero: scusi la poca finezza, colonnello, – disse Breda – ma non credo che ci sia altro termine per spiegare la situazione”
Falman e Havoc non sembravano capire fino a che punto fosse grave la situazione e dunque gli altri tre provvidero ad aggiornarli.
 
In quel momento Riza dormiva o almeno si sforzava di farlo.
In realtà il suo desiderio sarebbe stato rientrare in quello stato di apatia che l’aveva tanto protetta per tutto quei giorni, ma sembrava che il suo corpo e la sua mente non ne volessero sapere di tornare in quella condizione di torpore. Sentiva continuamente gli stimoli che tenevano attivo e vigile il suo corpo: l’odore di vecchio in quella stanza, le lenzuola ruvide sotto di lei, il rumore del suo respiro e di quello di Black Hayate. Chiudere gli occhi non bastava ad escludere la realtà esterna che era tornata prepotentemente a farsi avanti.
Eppure c’era andata così vicino…
Stava per finire… stava per finire tutto! Ero terrorizzata, è vero, ma sarebbe stato solo per pochi istanti…
E invece i suoi compagni l’avevano salvata, con un’azione spettacolare, degna di miglior causa. Una piccola parte di lei provava a capire le loro buone intenzioni, ma la maggior parte della sua persona li malediceva e li odiava profondamente: le avevano levato la possibilità di uscire dall’incubo una volta per tutte.
Ishval, con tutti quei morti, quelle vittime innocenti… un tormento che avrebbe continuato a seguirla.
Ci aveva provato in tutti i modi a venire a patti con la sua anima di peccatrice, ma proprio non ce l’aveva fatta. E come poteva? Nei suoi sogni rivedeva tutte quelle persone che erano entrate nel mirino del suo fucile per qualche secondo prima di essere fulminate da un suo proiettile.
Con la morte tutto questo sarebbe finito.
A volte le importava più di un ipotetico perdono che avrebbe potuto trovare una volta morta.
Bastava che finisse quel tormento.
Cosa avevano sbagliato? Eppure lei e il colonnello erano perfettamente consapevoli che ci sarebbe potuta essere un’eventualità come il patibolo, una volta caduta la dittatura di Bradley. L’avevano fatto: ora Amestris era una democrazia. Avevano compiuto quel maledetto compito che si erano imposti per dare un minimo di giustizia a quel massacro. Ora erano assassini e non eroi: il paese aveva la giusta visione delle loro persone.
Come avete potuto farmi questo?
L’aveva gridato con tutta la forza possibile quando Fury era rientrato col colonnello e Breda. Ricordava perfettamente di come Black Hayate fosse sceso dal letto, spaventato per il suo sfogo.
Il colonnello aveva cercato di parlarle, non si ricordava nemmeno cosa avesse detto… ma un concetto era chiaro: lui non voleva più morire.
Che ti dovevi aspettare, Riza Hawkeye? Del resto è lui quello forte, no? L’hai seguito per anni perché hai creduto in questa forza che avrebbe cambiato il paese…
Ma se per il colonnello poteva trovare una minima giustificazione per lei proprio non ci riusciva. La sua vita le sembrava un errore tremendo che doveva essere eliminato. E gliel’avevano impedito.
Non aveva voluto sentir ragioni: dopo la sfuriata si era chiusa in un ostinato silenzio che niente era riuscito a spezzare. Si era girata di fianco, faccia contro la parete e aveva deliberatamente ignorato ogni loro parola. Non le importava nulla se Fury la stava supplicando con la solita voce timida… questa volta l’odio era rivolto a tutti, anche a lui.
Non potete capire! Siete solo dei maledetti egoisti!
 
La porta che si aprì la fece distogliere dai suoi pensieri. Serrò ulteriormente gli occhi, fingendo di dormire: non aveva nessuna intenzione di sentire ancora le loro patetiche giustificazioni.
“Tenente? – mormorò la voce di Fury. Perché ovviamente erano così vigliacchi da mandare avanti lui – Sono venuto a portarle qualcosa da mangiare… non ha fame? Eppure le farebbe bene… l’ho preparato io… non ci ho messo niente di particolarmente pesante dato che è da quasi un giorno che non mangia”
Sentì il rumore di un piatto che veniva posato nel comodino e la presenza del sergente accanto a lei.
Rimasero in silenzio entrambi, uno aspettando un qualche segnale, l’altra ostinandosi nel suo mutismo.
“Va bene – sospirò infine il giovane – Lo lascio qui… così quando se la sente potrà mangiarlo. Se posso fare qualcosa per lei…”
Vattene! Ecco cosa puoi fare per me! Andartene!
Dopo qualche secondo il giovane parve capire che non c’era nulla da fare e se ne andò. Riza riusciva perfettamente ad immaginarsi la classica espressione da cucciolo bastonato che il sergente assumeva in queste situazioni, ma per la prima volta non ne fu minimamente intenerita.
E’ anche colpa sua!
L’odore del panino arrivò alle narici e il corpo le fece capire che avrebbe gradito molto mangiare. Tuttavia ignorò il suo stomaco che richiedeva nutrimento: non voleva dare la minima soddisfazione a tutti loro.
La porta si aprì con un cigolio
Adesso a chi tocca? Falman?
“Ehilà tenente, come va?” disse una voce ben nota
Havoc… perché tu?
I suoi occhi si socchiusero leggermente mentre l’odore di sigaretta si aggiungeva a quello del panino.
“Ho saputo che sta facendo la difficile, signora… vedesse la faccia che ha Fury in questo momento. Sembra che gli abbiano appena distrutto una delle sue amate radio”
Havoc si sedette nel letto, Riza avvertì il materasso che si muoveva e soprattutto il corpo del sottotenente che toccava il suo: in un letto singolo è improbabile mantenere le distanze. Era chiaro che l’uomo non sarebbe andato via con la stessa facilità di Fury.
“Sottotenente la prego di andarsene” disse a voce bassa
“Ah, allora parla! Mi avevano raccontato di un ostinato mutismo… sono i soliti esagerati”
“Havoc non è il momento, te lo assicuro”
“Non è il momento per che cosa?” fece il finto tonto il sottotenente… un tono che fece scattare di nuovo l’ira di Riza.
“Ascoltami bene, sottotenente – sibilò, alzandosi a sedere e fissandolo con gelidi occhi castani – forse non hai capito ma era un chiaro invito ad andare via da questa stanza
Tuttavia sembrava che Havoc non fosse minimamente impressionato o spaventato.
“Hm… e io che ero venuto qui sperando di essere ringraziato per averle salvato la vita. Sul serio, tenente, speravo che lei potesse capire la perfezione di quel tiro e congratularsene…”
Riza non aveva bisogno di spiegazioni per sapere che quel bagliore nella torre che aveva intravisto quando credeva di stare per morire era in realtà il riflesso del sole su un mirino di precisione. A posteriori era facile da indovinare…
“Vuoi che ti ringrazi? Scordatelo… tu non capisci cosa mi avete negato! Cosa tu mi hai negato con quel tiro!”
I lineamenti di Havoc si indurirono, come raramente succedeva: non era l’espressione di improvvisa e impulsiva rabbia che tutti conoscevano. Questa volta il viso era una maschera impassibile.
Dopo qualche secondo di silenzio il sottotenente allungò la mano e afferrò il braccio di lei.
“Vogliamo andare?” le chiese, ma era più un ordine che una richiesta
“Cosa?... E dove vorresti…?”
“Non è il posto giusto per parlarne. Vuole camminare da sola o la devo portare io dato che è molto debole”
Riza Hawkeye non poteva tollerare quella sfida
“Ce la faccio benissimo a camminare, sottotenente. Andiamo pure!”
Con mosse volontariamente calme si alzò dal letto, rifiutando qualsiasi aiuto. Non si mise nemmeno la giacca, ma si limitò a fare un cenno al compagno. Uscì prima lei dalla porta, tra gli sguardi sorpresi degli altri.
“Noi andiamo a farci un giretto… effettivamente quella stanza è piccola e deprimente” annunciò Havoc, prima di seguire la donna.
 
Non appena furono usciti fuori dall’appartamento, fu Havoc a prendere il controllo della situazione e a portarsi davanti a Riza, aprendole la strada con passo calmo. Era come se aspettasse che una bambina impacciata, che tuttavia si ostina a voler camminare da sola, lo seguisse. Effettivamente mentre procedevano per le strade, Riza iniziò ad accusare il peso di giorni di relativo immobilismo: le sue gambe iniziarono a essere stanche già dopo una ventina di metri, nonostante l’andatura calma. Fu costretta a poggiarsi più volte ad un muro.
Ma Havoc non la aiutava: si limitava a lanciarle un’occhiata e a fermarsi in mezzo alla strada, lasciandole il tempo per riprendersi. Sapeva benissimo che l’ultima cosa che Riza voleva era il suo aiuto.
In ogni caso il posto dove dovevano andare non era molto distante.
“Eccoci arrivati” annunciò il sottotenente
“Ma questa è…” si sorprese Riza, guardando la rampa di scale davanti a loro
“Sì, lei è stata in questa sorta di torre più di un anno fa… quando Falman faceva da guardia a Barry e tendevamo l’agguato agli homunculus. Adesso vorrà scusarmi, signora, ma non possiamo stare qui tutto il giorno ad aspettare che lei faccia le scale”
Prima che Riza potesse ribattere, Havoc la prese tra le sue braccia e iniziò a salire gli scalini.
“Sottotenente!” protestò la donna, costretta a mettere le braccia attorno al collo del compagno
“Niente di equivoco, signora, - spiegò lui – solo esigenze dettate dalle sue condizioni di salute”
A Riza non restò che accettare quella particolare situazione: a quanto sembrava quel giorno era destinata ad essere portata in braccio dalle persone della sua squadra. Questa volta però non era praticamente priva di sensi e si rendeva perfettamente conto della forza delle braccia di Havoc, del torace muscoloso sotto la giacca della divisa: non era mai stata così vicino a lui da sentire quanto fosse davvero pregnante l’odore di sigaretta.
“Eccoci arrivati” disse Havoc, arrivando in cima alla torre, proprio in quella specie di stanza aperta dove lei si era appostata per giorni e giorni. Con gentilezza il sottotenente la mise a sedere nel pavimento, proprio vicina al bordo: a venti centimetri dalle sue gambe c’era un salto di almeno quaranta metri.
“Bel panorama, vero?” chiese il sottotenente, sedendosi accanto a lei e continuando a fumare la sigaretta.
Riza fu costretta ad ammettere che aveva ragione: nonostante non fosse particolarmente alta, quella torre offriva davvero una bella visuale di quella parte di Central City, con quelle case un po’ abbandonate a se stesse, inframmezzate da piccoli cortili interni. Tuttavia si riscosse
“Perché mi hai voluto portare qui?”
“Perché è ora che io e lei parliamo, signora, ed era giusto che lo facessimo in un posto dove lei ha espresso tutta la sua abilità di cecchino”
Riza si irrigidì a sentire quell’ultima parola
“A cosa vuoi arrivare, Havoc?”
“A capire perché desidera così tanto morire, signora. Anche ora che il colonnello ha deciso di andare avanti”
Riza non rispose, restando ferma nella sua rigidità. Il colonnello aveva deciso di andare avanti, era vero… lei avrebbe dovuto seguirlo, ma la sua missione la considerava conclusa da quando era caduta la dittatura militare che aveva portato ad Ishval.
“Non c’è motivo per cui debba continuare a vivere. Ho fatto ammenda come potevo dei miei peccati e ora non c’è più niente da fare”
“Oh, la prego, sono certo che può essere più convincente”
No, Havoc non era come Fury che sarebbe rimasto in silenzio o avrebbe reagito con disperazione. Havoc in questo frangente mostrava tutto il suo essere franco e privo di tatto.
“Non mi aspetto che tu capisca”
“Pessima scusa, signora. Perché invece non andiamo dritti al problema e parliamo di Ishval e delle persone che ha ucciso? Perché fa quell’espressione come se avesse appena visto un fantasma? In fondo è lì la causa di tutto, no?”
“Ti proibisco di andare oltre, Havoc. – sibilò Riza, cercando di recuperare il controllo e l’autorità – Ti ricordo che sono un tuo superiore!”
“Già… una differenza di gradi che ha causato un problema da molti anni. – sospirò Havoc, finendo la sigaretta e spegnendola con attenzione sul pavimento sporco – Peccato che adesso a me non me ne freghi molto di parlare col tenente. Quello che mi interessa è parlare con Riza, il cecchino come me”
“Havoc!”
“Finiscila, ti prego… questi gradi ci fanno anche dimenticare che sono più grande di te. Ho avuto pure io le mie esperienze di cecchino, ma non ho mai avuto modo di poterle confrontare con le tue”
“Che cosa vuoi saperne tu?” esclamò Riza spaventandosi all’idea di quel confronto che avrebbe inevitabilmente tirato fuori tutto quanto.
“Il primo morto è quello che ti resta sempre sullo stomaco, vero? Ti sembra così piccolo visto col mirino e non ti sembra nemmeno una persona quando lo vedi cadere a terra all’improvviso… il mio è stato un ribelle a nord del settore est, ma credo che il tuo sia stato ad Ishval, no? Ti hanno spedito lì che ancora non avevi terminato l’Accademia.”
“Havoc, smettila…” iniziò Riza mettendosi le mani nelle orecchie per non sentire.
Ma il sottotenente si allungò verso di lei e le afferrò le braccia per impedirle di tapparsi le orecchie
“Poi diventa quasi una cosa automatica, vero Riza? Ci facciamo l’abitudine… mira e spara, mira e spara… arriviamo a contare quanti ne uccidiamo. Ma dopo un po’ perdiamo il conto, no?”
“Per favore, smettila!” scosse il capo lei, cercando di allontanare quella voce spietata.
“Però ci resta sempre quella grande, folle, emozione ogni volta che premiamo il grilletto, Riza. – Havoc la fissava, imprigionandola con il suo sguardo azzurro e da assassino – Non neghiamolo, amiamo alla follia la scarica d’adrenalina che ci dà quell’attesa di pochi secondi tra sparo e bersaglio. Anche se il bersaglio sono esseri umani!”
“Finiscila!” pianse lei
“Finirla? – esclamò lui alzandosi in piedi e obbligandola a fare altrettanto – Noi siamo cecchini, Riza: siamo bravi ad uccidere le persone, perché negarlo? Viviamo sempre con i nostri sensi di colpa, rivediamo le nostre vittime nei sogni… non ci lasciano mai!”
“Siamo assassini!!”
“No! Questo no! Perché anche se posso provare dei brividi esaltanti quando sparo, non sarò mai felice di aver levato la vita a delle persone… mi arriverà dopo qualche secondo questa consapevolezza, ma c’è e ti assicuro che sta lì la differenza!”
“Tu non eri ad Ishval! Lì non c’è stato…” un singhiozzo le bloccò la frase in gola
“Lì è stato sterminio… quanti ne hai uccisi, eh? Avanti, è il momento buono per dirlo, Riza! Non l’hai fatto davanti al colonnello, ma con me devi farlo! Perché io e te siamo uguali!”
“Decine e decine! – pianse lei – Havoc sono un’assassina lo capisci! Sapevo che era sbagliato! Lo sapevo!! Eppure ho continuato… a sparare… e sparare… Merito di morire. Con la mia mira perfetta ho solo ammazzato persone…”
Havoc la fissò per qualche secondo, in un misto di pietà e comprensione, ma poi gli occhi azzurri si indurirono. Prima che potesse capire cosa succedeva, Riza sentì che veniva spinta verso il salto di quaranta metri. Nell’arco di un secondo si trovò in bilico nel vuoto, una minima parte dei suoi stivali sull’orlo della stanza, con solo la mano di Havoc che le teneva il braccio: se lui la mollava era la fine, perché era completamente sbilanciata all’esterno e non aveva possibilità di recuperare l’equilibrio
“Eccoti qua! – le disse Havoc – E’ questo il punto a cui ti trovi, Riza!”
“Havoc!” ansimò lei, fissando terrorizzata i muri sotto di lei
“E’ un filo sottilissimo, nemmeno lo vedi… è il folle filo del rasoio tra essere cecchini e assassini! – la sua mano stretta attorno al polso era l’unica cosa che tenesse Riza – Dimmi che sei un’assassina e io ti lascerò andare! Ti restituirò la morte che ti ho negato qualche ora fa con quel tiro!”
“Havoc…!” le lacrime uscirono dagli occhi di lei, cadendo nel vuoto. Era terrorizzata all’idea che quella mano la lasciasse
“Solo una precisazione, prima che tu decida da che parte del filo vuoi stare: – continuò lui – se anche una sola volta in vita tua hai sparato con l’intenzione di salvare la vita ad un altro, allora scordati di questa cazzata di essere un’assassina!”
“Come puoi chiedermi di dimenticarlo?” si disperò lei
“Andiamo Riza! Dimmelo! Sono sicuro che in quel maledetto inferno che hai vissuto, almeno una fottutissima volta hai scelto volontariamente di non sparare a un bambino o a una donna!”
Gli occhi della donna si dilatarono.
Passarono degli interminabili secondi di silenzio, ma poi accadde l’inaspettato. La mano che Riza teneva inerme si strinse sul polso di Havoc, tirando leggermente. A quel segnale, il sottotenente fece uno scatto all’indietro e Riza si ritrovò tra le sue braccia.
“Ascoltami, Riza…ascoltami! – le disse il biondo scrollandola leggermente – E’ un fottuto compromesso, lo so, ma per tutti i morti che abbiamo provocato e che si presentano nei nostri sogni, noi abbiamo anche la possibilità di vedere i volti delle persone che amiamo… e avere la consapevolezza che sono vivi grazie a noi!
Guardami…guardami! Quando hai sparato durante la missione di tre anni fa, hai evitato che il sergente venisse ucciso, ti ricordi? O quando da questa torre hai sparato a quella cosa mostruosa che era il corpo di Barry, proprio quando la mia pistola si era inceppata… io e Falman ti dobbiamo la vita… Aiuta a vivere, sorella, perché noi cecchini possiamo fare anche questo… aiuta il colonnello ad andare avanti”
La donna l’aveva ascoltato, su questo non c’erano dubbi. Lacrime silenziose iniziarono a scendere nelle guance, ma passarono pochi secondi prima che si trasformassero in singhiozzi disperati. Havoc la abbracciò con una tenerezza incredibile e lei non ebbe esitazione ad affondare il viso nel suo petto
“Piangi, Riza, piangi… ma fammi un favore… queste lacrime non devono essere per Ishval, devono essere per te stessa… abbiamo tutto il diritto di farlo e tu te lo sei negata per troppo tempo”
E rimase lì a cullarla dolcemente fino a quando l’orrore vissuto otto anni prima non venne finalmente sfogato.
 
“E’ quasi un’ora che sono assenti – disse Falman , guardando l’orologio – dovremmo andare a cercarli?”
“No, – scosse il capo Breda – vedrai che Havoc la farà ragionare. E’ l’unico che possa farlo”
Fury e il colonnello stavano in silenzio, il primo chiaramente triste e disperato, il secondo riflessivo. Mustang stava infatti pensando a quanto avrebbe potuto e dovuto fare per Riza.
L’ho spronata ad andare avanti… l’ho assecondata bruciando il suo tatuaggio… ma non mi sono mai preoccupato di assicurarmi che lei si sfogasse. Dannazione a me, mi sono affidato a lei senza pensare che fosse lei la prima ad avere bisogno di me.
I suoi pensieri furono interrotti dalla porta che si apriva e il tenente ed Havoc fecero la loro ricomparsa.
Riza aveva pianto, questo era sicuro, ma il suo viso aveva un non so che di rilassato… come se fosse stato sfogato un peso enorme che si portava dietro da tempo.
“Tenente, va tutto bene?” chiese Fury facendosi avanti
Lei lo guardò per qualche istante e poi sorrise
“Sì, sergente, va tutto bene adesso. – disse accarezzando leggermente la chioma corvina – Ti andrebbe di portarmi il panino che mi hai preparato prima? Ora ho leggermente fame”
“Davvero? – esclamò lui illuminandosi in viso – Vado subito signora, anzi gliene preparo un altro che quello ormai l’avrà mangiato Black Hayate! Venga, si sieda al tavolo con noi!”
Riza fissò con dolcezza i suoi compagni: i loro volti parlavano di tanta preoccupazione per lei e si sentì in dovere di chiedere scusa.
“Io… mi dispiace di avervi fatto preoccupare per tutto questo tempo… sul serio. E mi dispiace per quella sfuriata di prima… voi non c’entravate nulla. Anzi, siete stati così premurosi con me…”
“Oh, non si preoccupi, signora, – scrollò le spalle Breda – capitano a tutti i momenti negativi”
“L’importante è che ora si riprenda del tutto” annuì Falman versandole un bicchiere d’acqua.
Il sollievo provocato da quelle parole e quelle dimostrazioni di amore e conforto le fece quasi salire le lacrime agli occhi. Poi lo sguardo si spostò sul colonnello che ancora si ostinava a non parlare
“Ho saputo che vuole fare un nuovo colpo di stato, signore”
“Sì tenente. – rispose lui dopo qualche secondo – Ho capito una cosa molto importante: non c’è giustizia nel cercare la fuga con la morte… non riporterebbe in vita coloro che abbiamo ucciso. Ma possiamo cercare di dare un futuro migliore a quanti sono rimasti… - ci fu un attimo di silenzio e poi Mustang prese una pistola che era stata poggiata sul tavolo e la spinse verso la donna – Mi sono affidato completamente alla tua protezione, dicendoti anche che, nel momento in cui avrei fatto qualcosa di sbagliato, tu avresti avuto l’autorizzazione a spararmi. Io ho intenzione di rovesciare questo governo e diventare Comandante Supremo, tenente. Sei libera di prendere quella pistola e spararmi se ritieni che non sia una cosa giusta”
La stanza si fece silenziosa, solo per un secondo ci fu il rumore del coltello che Fury aveva fatto cadere nel tavolo per la sorpresa provocata da quelle parole.
Riza fissò l’arma per diversi secondi e poi la impugnò
“Prenderò questa pistola, signore – disse con voce calma – e l’aiuterò ad arrivare in alto… noi, non abbiamo ancora finito”
Mustang sorrise sollevato, così come tutti.
L’operazione “Prova di fedeltà” si poteva dire conclusa ed erano le tre del pomeriggio: in cinque ore di missione erano riusciti a tornare una squadra.
“Qual è il piano, signore?” chiese il tenente
“Breda, esponi quanto abbiamo pensato poco fa”
“Volentieri, colonnello”
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. Il valore di una bandiera. ***


Capitolo 13. Il valore di una bandiera

 
Giorno 10

 
Ore 16.00
 
Roy Mustang pensò che c’era una grande differenza tra il colpo di stato che aveva portato alla caduta di Bradley e quello che stava per compiere in quel momento. Il primo caso era stata una vera e propria lotta tra uomini e homunculus, dove non era in ballo tanto il governo o la politica del paese, quanto le loro stesse vite. Non c’era stato nessun spodestamento, in realtà, solo la fine di quelle creature e del loro fantomatico Padre: Bradley era uno di loro… non era mai stato il vero capo di Amestris.
Mentre procedeva con i suoi uomini per le vie della città, il colonnello sentiva che era questo il vero Colpo di Stato a cui era destinato. Non andava ad intrecciarsi con trasmutazioni umane, homunculus e quanto altro: qui c’era solo lui e la sua squadra; la sua ambizione e la sua voglia di cambiare radicalmente le cose. Non era più uno dei tanti… adesso era lui il protagonista: era questo che la sua squadra, e lui stesso, voleva e non li avrebbe delusi.
La vista del patibolo quella stessa mattina gli sembrava lontana secoli.
Si sentiva completamente rinato e carico di ambizione e orgoglio: non vedeva l’ora che Central City assistesse alla sua più schiacciante vittoria su quella parodia di governo.
Aveva la sua alchimia e già questo lo metteva in netta posizione di vantaggio rispetto a quei patetici soldatini che il governo si era messo a protezione: giovani reclute, fedeli ai nuovi capi, ma prive di grandi esperienze. Nessuno di loro aveva visto l’alchimia… gli alchimisti di stato erano pochi dopo l’epurazione di Scar di qualche anno prima. Quelli più potenti, come Basque Grand, erano stati eliminati dalla vendetta personale e distorta dell’uomo con la cicatrice: restavano lui e il maggiore Armstrong come migliori esponenti di quella categoria, peccato che l’alchimista nerboruto fosse in esilio a Briggs.
Ma c’era una cosa molto più importante: mentre camminava per le vie di Central, sapeva che accanto a lui c’erano cinque soldati che avrebbero sfidato la morte per la sua persona. La sua squadra, la sua vera carta vincente.
Lanciando uno sguardo dietro di sé vide che, tutto sommato, Riza riusciva a stare al passo con gli altri: ovviamente stavano tenendo un’andatura tranquilla per lei e Falman le camminava accanto pronto a sostenerla. La cosa migliore da fare sarebbe stato aspettare un paio di giorni per garantire alla donna un minimo di ripresa, ma aveva ragione Breda nel sostenere che il ferro andava battuto finché era caldo e dovevano approfittare delle ore di sbandamento che la fuga di quella mattina aveva provocato.
Fare affidamento sulla popolazione sarebbe stato impossibile: le strade erano quasi del tutto deserte. Era chiaro che l’avvenimento di poche ore prima aveva gettato la gente nel panico e dunque preferivano restare chiusi nelle loro abitazioni. Per lo meno non avrebbero creato nessun intralcio.
“Sembra quasi una città fantasma…” mormorò Fury a un certo punto, sorpreso di come potessero camminare il bella vista senza incontrare alcun ostacolo.
“Fidati, sergente, - lo rassicurò Mustang – nell’arco di un paio di giorni tornerà la Central City che conosci”
“Credete che la popolazione accetterà senza problemi il cambiamento che stiamo per fare?” chiese Havoc
“Sì, – annuì deciso Breda – vedrai che per loro sarà come un gradito ritorno: questa falsa democrazia non ha mai convinto nemmeno loro… il governo si è giocato tutto quando ha iniziato ad eliminare i militari”
“Pessima idea: – commentò Mustang – se Creta e Aerugo ci attaccano chi pensano di mandare in trincea? I pochi soldati che sono rimasti nei quartier generali? Quei pivellini che hanno assunto come nuovo esercito? Si devono rendere conto che non esiste solo Briggs: Amestris ha anche altri confini… si vede che in quel governo manca qualcuno esperto di questioni militari. Qui nelle prigioni di Central c’è una buona percentuale dei migliori soldati del paese…”
“E’ loro che deve convincere davvero, signore: – ricordò Falman – una volta fatto, sarà tutto in discesa”
Intanto erano arrivati alla via dove stava il cancello della prigione. Mustang squadrò da lontano quelle sbarre di ferro, ricordando quando era passato attraverso di essi una ventina di giorni prima: un uomo privo d’ambizione e rassegnato al suo destino, ma solo in apparenza.
Non verrò mai più meno a me stesso, lo giuro.
“Come vuole procedere, signore? - chiese Havoc – Ci sono due guardie davanti al cancello… contiamone almeno un’altra ventina che ci creeranno problemi all’interno dell’edificio”
“Dici? – sorrise furbescamente l’alchimista, mentre gli tornava in mente il secondino che li aveva assistiti durante la loro prigionia – Invece io credo che la situazione si ribalterà in fretta a nostro favore. Tu e Breda, venite con me… voi altri raggiungeteci appena vi faccio un segnale”
“Colonnello, non dovrebbe fare mosse azzardate” protestò il tenente facendosi avanti. Aveva di nuovo indossato la fondina con la pistola, ma Mustang non l’aveva ancora vista prenderla in mano.
“Fidati tenente, lascia fare a me”
Fury e Falman non poterono fare a meno di nascondere un sorriso quando videro la faccia di esasperata rassegnazione della donna, mentre Mustang e i due sottotenenti si avviavano con disinvoltura verso l’ingresso della prigione.
“E’ semplicemente tornato tutto alla normalità, signora” sorrise Fury
 
Il trio di soldati avanzò con passo sicuro verso le due guardie che stavano ai lati dei cancelli. Erano una visione abbastanza impressionante con Havoc che teneva tranquillamente un fucile in spalla, Breda a braccia conserte e Mustang con le mani in tasca e un sorriso malizioso sulle labbra.
“Salve, signori – esordì il colonnello con il tono del comando – ho necessità di passare”
Le due guardie ovviamente l’avevano riconosciuto, ma erano così sconvolte di vedere l’alchimista di fuoco davanti a loro che chiedeva di passare che non riuscirono a reagire immediatamente.
“Colonnello Mustang – disse una di loro con voce incerta - … lei è ufficialmente un condannato a morte fuggito e…”
“Ah sì, quella storia: Breda, Havoc… che ne dite di spiegare ai nostri amici la situazione?”
Con una mossa fulminea i due soldati furono ciascuno davanti ad una guardia a minacciare relativamente con il fucile e con una pistola.
“Niente di personale, ragazzi, – disse Breda – ma vi chiediamo cortesemente di posare le vostre armi e di seguirci all’interno: abbiamo un bel discorso da fare a tutti quanti”
Mentre Breda e Havoc facevano strada, spingendo le guardie davanti a loro, Mustang fece un rapido cenno al resto del gruppo che era rimasto indietro.
La presa della prigione di Central City era appena iniziata.
 
La prima cosa che fecero fu di recarsi nell’ala dove erano stati detenuti e dove erano presenti moltissimi militari provenienti da East City: avere il loro appoggio sarebbe stato semplice e utile.
Breda ed Havoc provvidero ad aprire la strada come sempre, tanto che non fu nemmeno necessario usare l’alchimia del fuoco per creare il panico tra le guardie: l’elemento sorpresa stava enormemente giocando a loro favore; tuttavia era chiaro anche un altro dettaglio, ossia che le guardie della prigione non si opponevano a loro con reale convinzione.
Non sono mai stati convinti che noi siamo davvero i loro nemici: – pensò Mustang, osservando come Breda disarmava con facilità una guardia che gli si era parata davanti – è solo una resistenza di facciata. In realtà anche loro sono dalla mia parte.
“Sergente, – ordinò mentre passavano davanti ad una stanza – qua dentro ci dovrebbero essere le radio ed i telefoni di collegamento: fai in modo che la nostra venuta non trapeli; ci dispiacerebbe rovinare la sorpresa, no?”
Annuendo Fury entrò nella stanza, uscendone fuori dopo appena un paio di minuti.
“Tutto sotto controllo signore: i collegamenti con l’esterno sono bloccati fino a suo nuovo ordine” sorrise rimettendosi in tasca un cacciavite e un paio di pinzette.
Arrivati nel settore desiderato, dopo aver messo a tacere meno di una decina di guardie, Mustang e i suoi si trovarono faccia a faccia col secondino.
Il colonnello sorrise furbescamente e gli mise una mano sulla spalla:
“Ciao amico, come vedi alla fine se ne sono salvati sei su sei. Che ne dici di portare a termine l’opera e liberare anche gli altri soldati?”
L’uomo rimase interdetto per qualche secondo, mentre fissava con meraviglia quell’uomo così diverso da quello che aveva conosciuto nei giorni in cui era stato in cella. Tuttavia alla fine sorrise compiaciuto
“Agli ordini, colonnello” disse, prendendo dalla cintura le chiavi delle celle e iniziando ad aprirle.
Decine e decine di soldati di East City uscirono fuori da quegli ambienti, increduli davanti a quanto stava succedendo: il nome del colonnello continuava ad essere pronunciato con una sorta di timore reverenziale.
“Ehi, Havoc! Breda! Che cosa avete combinato?” disse un soldato con un sogghigno, riconoscendo i compagni con cui si era divertito tante volte nelle sale ricreative del Quartier Generale dell’Est.
“Ciao Thomas! – salutò Havoc – Abbiamo pensato di cambiare un po’ le regole del gioco, vi va di unirvi a noi?”
Erano soldati di East City che conoscevano l’alchimista di fuoco e la sua squadra: tra molti di loro c’era un rapporto di amicizia o comunque rispetto e fiducia e dunque fu abbastanza naturale che, nell’arco di cinque minuti, il gruppo che prendeva possesso della prigione diventasse di almeno un centinaio di persone. Tanto che a Mustang e i suoi sottoposti non restò che sovrintendere la situazione.
“Liberate gli altri, - ordinò Mustang ad alcuni capitani – squadre da cinque persone: troverete le armi nel magazzino al piano di sotto. Assicuratevi che alle guardie della prigione non venga fatto alcun male, limitatevi a bloccarli se fanno resistenza… una volta terminato vi voglio tutti nella grande sala dove si tengono i processi: devo fare un discorso a tutti voi”
“Sissignore!” risposero gli uomini scattando sull’attenti, pronti a seguire quell’uomo che li aveva salvati da un processo e una morte quasi certe. La notizia della fuga rocambolesca di quella mattina si era ovviamente diffusa tra i prigionieri e, tra quelli provenienti da East City, era nata una flebile speranza che l’alchimista di fuoco non sarebbe scappato abbandonandoli al loro destino. E avevano avuto ragione.
Come gli ordini furono dati, Mustang si girò verso la sua squadra.
“Andiamo a preparare la sala, ragazzi: – disse – ho bisogno di essere visto e sentito da tutti”
 
“Spostate le panche sui lati, è meglio che stiano in piedi! – ordinò Mustang mentre avanzava a grandi passi nella sala che l’aveva visto protagonista di tanti processi  - Levate anche queste balaustre, tanto non mi paiono inchiodate al pavimento… La cosa migliore è che io salga sopra il tavolo, Falman, dammi una mano a spostarlo verso il fondo, servirà maggior spazio, considerando tutti i soldati che stanno per arrivare”
Le mani di Riza si unirono a quelle dei due uomini quando iniziarono a spingere il pesante tavolo di legno
“Oh no, tenente – la bloccò Mustang – tu non devi fare sforzi”
“Ma signore, - protestò lei – non ho fatto niente durante l’azione di presa della prigione.”
“Non è stato necessario, l’hai visto anche tu. Siediti e riposa… avrò bisogno che tu mi stia accanto quando parlerò e dovrai stare in piedi. Meglio che riprenda le forze”
“Signore…” sospirò lei
Ma il colonnello le rivolse un sorriso supplichevole, come se le chiedesse di rimandare la firma di centinaia di documenti, e la donna si sentì obbligata a cedere… almeno per quella volta.
“Colonnello, posso chiederle un favore?” domandò Falman, dopo che Riza si fu allontanata
“Dimmi pure, maresciallo”
Falman alzò lo sguardo sulla parete che stava davanti a loro, dove stava appesa la bandiera della nuova Amestris.
“Non mi è mai piaciuta quella bandiera, signore: – dichiarò l’uomo – non voglio che lei parli sotto questo simbolo che non ci rappresenta”
Mustang fissò a lungo quel porpora e quell’oro; i suoi occhi sottili si strinsero ulteriormente.
Quella bandiera era il simbolo di un governo fasullo e malato… era il simbolo di un suo errore personale. Non avrebbe mai dovuto sentirsi arrivato dopo la sconfitta di Bradley, non avrebbe mai dovuto accontentarsi di sentire la parola democrazia, senza accertarsi che fosse veramente tale. Quella bandiera rappresentava tutta la sua negligenza nei confronti del paese.
Ma la storia ci insegna che si deve porre rimedio ai propri errori.
“Trovate una scala, qualsiasi cosa, ma fatela sparire da lì. Non è la nostra bandiera… hai ragione, non parlerei mai sotto quello stemma”
 
Aiutato da Fury, il maresciallo riuscì a trovare una scala in una sorta di ripostiglio qualche stanza dopo.
“Vieni, sergente – disse – aiutami a spostare queste scatole altrimenti avremo difficoltà a passare con la scala”
“Va bene” annuì il giovane, facendosi avanti e prendendo la prima. Ma subito il suo sguardo si illuminò
“Che hai visto?” chiese Falman, vedendolo aprire meglio la scatola di cartone che teneva in mano
“Guardi, signore, guardi! – esclamò, come se avesse appena aperto un regalo di natale – E’ la nostra bandiera!”
Le sue mani tirarono fuori la stoffa verde brillante, accuratamente piegata. Nella parte superficiale si vedeva parte del drago argentato che sembrava splendere dopo essere stato tirato fuori da quel posto.
Falman tese le mani e aiutò il sergente a spiegare almeno in parte la grossa bandiera: non sembrava per niente rovinata da oltre un anno che era stata messa in quella scatola.
“Il drago argento su sfondo verde è il simbolo del nostro grande paese: – iniziò a recitare Fury – il drago è un animale forte e orgoglioso che difende i suoi confini contro qualsiasi nemico. Esso porta ricchezza e prosperità. Il campo verde indica la speranza e la rinascita, perché Amestris è in grado di risollevarsi da qualsiasi difficoltà”
“La storia della bandiera… – sorrise il maresciallo – pensavo che ormai a scuola non la insegnassero più”
“Oh no, signore! – scosse il capo il ragazzo, sorridendo al pensiero che, effettivamente, non era passato molto tempo da quando era stato a scuola – Il mio maestro ce l’ha insegnata e ci teneva che la sapessimo. Certo, è molto più semplice rispetto a quello che ci hanno insegnato in Accademia, ma ho sempre preferito  questa versione… e poi, mi è sempre piaciuta l’idea del verde che indica la speranza e la rinascita: mi ha sempre spronato ad essere un soldato migliore”
Falman posò una mano sulla spalla del sergente, intenerito dall’ingenua e totale fedeltà a quello stemma che il ragazzo aveva appena dimostrato.
“Ci credi davvero in questo simbolo, vero sergente?”
“Sì – arrossì lui – e devo dire che poterla finalmente rivedere e prendere in mano, mi da un grandissimo senso di sicurezza e speranza per il futuro. Quella bandiera porpora è così pesante e opulenta… non me ne sento proprio rappresentato: questa invece è così bella e leggera… a volte, quando ero ragazzino, mi immaginavo che al drago spuntassero le ali e che mi portasse nella sua groppa a vedere tutto il paese”
“Che ne dici, sergente, non sarebbe bello che il colonnello parlasse sotto questa bandiera?”
“Oh, per me sarebbe davvero fantastico! Andiamo a fargliela vedere”
 
Riza stava seduta su una sedia, ad osservare i suoi compagni che si davano da fare per sistemare la sala.
Il suo corpo era grato per quella pausa dopo l’intenso sforzo a cui era stato sottoposto e questo la faceva sentire inutile. Non le era mai capitato di sentirsi così debole e ora le sembrava impossibile di essersi lasciata andare così tanto: la sua condizione psicologica doveva essere stata veramente instabile per portarla a non rendersi conto di quella decadenza. Si era resa conto di avere i capelli sporchi, la pelle che le prudeva per i giorni senza fare una doccia, la divisa che puzzava in maniera assai poco decorosa: dove era finito il soldato marziale e perfetto che era sempre stata? Lanciando un’occhiata al colonnello si rese conto che tra di loro c’era una grande differenza: per quanto anche lui fosse sporco e maleodorante dopo quei giorni di prigione, riusciva ancora ad emanare quell’aura di potere e di carisma che gli era propria. Che importava che i capelli neri sembrassero unti per quanto erano sporchi? Che importava se la divisa puzzava quanto la sua? Il viso era deciso e orgoglioso mentre indicava ad Havoc dove spostare la balaustra, la sua voce carica di sicurezza e autorità, o mentre spiegava a Breda come comportarsi una volta che tutti fossero arrivati. Il Mustang della prigione si vedeva solo in dettagli assolutamente trascurabili.
E io invece? Come sono ridotta?
La sua mano andò alla pistola, che i suoi compagni non le avevano permesso di usare durante la presa della prigione, e la tirò fuori dalla fondina. La prese tra le mani e iniziò ad esplorarne tutte le parti, con gli occhi chiusi, riconoscendo tutti i dettagli che aveva toccato decine e decine di volte. Era come fare pace con un’amica fidata. Stranamente non si sentì in colpa nel provare quelle belle sensazioni nell’accarezzare l’arma: aveva temuto che i sensi di colpa, che l’avevano colpita così malamente nelle ultime settimane, avessero cambiato per sempre il suo feeling con la pistola, ma non era così. E la cosa le diede estremo sollievo: per stare accanto al colonnello e proteggerlo, lei aveva bisogno di essere in perfetta sintonia con l’arma.
Alzandosi in piedi tese il braccio, per vedere se riusciva ancora a tenerlo fermo e con sua grossa sorpresa ci riuscì: il resto del corpo poteva anche cedere, ma se si trattava di stare fermi per mirare, Riza Hawkeye era una delle migliori.
Sentì l’improvvisa esigenza di sparare a qualcosa, sentire di nuovo il brivido di cui Havoc aveva parlato. Capiva che per tornare davvero se stessa doveva premere quel grilletto.
Incurante del posto dove si trovava, cercò un bersaglio che si potesse adattare e con un sorriso cattivo lo trovò.
Il colpo di pistola fu così improvviso che tutti si girarono di scatto, temendo che fosse successo qualche imprevisto. Mustang dilatò gli occhi quando vide che a sparare era stato il tenente che ancora teneva la pistola tesa: il bersaglio era stata la “A” della nuova bandiera del paese.
“Oh, mi congratulo, tenente – esclamò Havoc – un ottimo centro!”
“Ti ringrazio, Havoc. – disse lei impassibile, sciogliersi i muscoli delle spalle con alcuni movimenti rotatori – Avevo proprio bisogno di un po’ d’esercizio: sono rimasta ferma troppo a lungo”
“Considerato quel centro, tenente, – sorrise Mustang, avvicinandosi a lei e fissando quel buco nero in mezzo all’oro della lettera – direi che posso tranquillamente continuare a fidarmi della tua protezione”
“Ci conti, colonnello. Non potrei mai lasciare quel posto a qualcun altro” disse lei fissando il medesimo punto
“Appena diventerò Comandante Supremo, – mormorò Mustang – uno dei primi provvedimenti che prenderò sarà di aiutare Ishval. Per ogni persona che è stata uccisa ne aiuterò altre a vivere: darò a quella terra vera giustizia, per quanto le mie mani siano sporche di sangue di quel popolo”
Riza sorrise
“Forse sarà paradossale che sia proprio uno dei peggiori autori dello sterminio a fare tutto questo, – continuò il colonnello – ma ti dirò che in fondo ci trovo un senso di giustizia molto più forte piuttosto che finire impiccato, senza la possibilità di rimediare davvero. Potrai perdonarmi nel caso quest’idea di redenzione non coincida con la tua, tenente?”
“Signore… - sospirò lei – davanti alla tomba di mio padre mi ha parlato di un sogno meraviglioso: costruire un paese migliore mattone per mattone. La prima volta è crollato tutto rovinosamente, ma questo non vuol dire che si deve smettere di provare… adesso lo so. E questa volta abbiamo gli strumenti giusti per farlo, a partire dalle quattro persone meravigliose che ci hanno salvato in tutti i modi possibili.”
Mustang sorrise a quelle parole
Questa volta non sarà un castello di carte, ma una solida costruzione di mattoni che non crollerà. Soprattutto perché non saremo solo noi due a farlo.
“Ehi! – esclamò la voce di Fury, distogliendolo dai suoi pensieri – Guardate che abbiamo trovato!”
 
Un quarto d’ora dopo la grande sala era stracolma di militari. Erano diverse centinaia, provenienti per la maggior parte dai distretti dell’Est e del Sud. Le loro facce, così come le loro divise erano sporche e disordinate, ma nei loro sguardi c’era nuova linfa vitale causata da quella liberazione inaspettata.
Quasi tutti sapevano che la condanna era quasi inevitabile, ma la situazione era cambiata a loro favore.
Non erano più prigionieri, ma soldati. Si riconoscevano uno nella divisa sporca dell’altro, come commilitoni che si ritrovano dopo una battaglia dall’esito incerto.
E la loro attenzione si spostò immediatamente dall’uomo che era salito con un agile balzo sopra il tavolo in fondo alla parete. Sopra di lui era appesa, maestosa, la bandiera di Amestris, quella su cui tutti avevano prestato giuramento, per la quale avevano combattuto.
Perché per un soldato la propria bandiera è un simbolo di vitale importanza.
In piedi accanto al tavolo stava una donna, la schiena perfettamente dritta, nonostante l’aspetto stanco. E sul lato destro altri quattro soldati schierati quasi in difesa dell’uomo che stava per prendere la parola.
La voce di Mustang squillò limpida per tutta la sala, fino alle ultime file.
“La maggior parte di voi mi conosce solo di fama, quindi mi presenterò ufficialmente. Io sono il Colonnello Roy Mustang, Alchimista di Fuoco, Eroe di Ishval. Questa donna accanto a me è la mia personale assistente e guardia del corpo, il tenente Riza Hawkeye, anche lei eroina di Ishval e loro – indicò i soldati a destra – sono la mia personalissima e fedele squadra. Chi proviene dal Quartier Generale dell’Est sa bene di chi parlo”
Ci furono alcuni mormorii durante la pausa che succedette questa presentazione: tutti sapevano chi era Roy Mustang e che era stato l’artefice della loro liberazione.
Dopo aver permesso ai soldati di prendere coscienza della situazione, Mustang riprese a parlare.
“Mi presento a voi per chiedere il vostro sostegno: ho intenzione di rovesciare questo governo e di diventare Comandante Supremo, come lo è stato King Bradley”
Il mormorio questa volta fu molto più intenso e con la coda dell’occhio il colonnello vide che anche i suoi uomini si lanciavano occhiate perplesse: non si aspettavano un intervento che andasse subito al sodo.
Niente fronzoli questa volta: se questi uomini mi devono seguire lo devono fare sinceramente e completamente.
“Come molti di voi sanno, il motivo per cui siamo stati imprigionati è perché dovevamo in qualche modo pagare l’eccidio che si è consumato più di otto anni fa ad Ishval: si voleva dare giustizia a quel popolo che l’esercito ha quasi del tutto annientato… io stesso sarei dovuto morire impiccato questa mattina.
Non so quanti di voi si portino dentro l’orrore di quella guerra, ma presumo tutti. In quelle sabbie il nostro essere soldati è stato messo a dura prova, perché non c’è stato alcun onore nel massacro di una popolazione civile inerme… perché abbiamo fatto questo!”
Gli uomini abbassarono colpevolmente lo sguardo, ricordando le loro colpe in quella guerra: nessuno di loro aveva mai smesso di rivedere Ishval nei propri sogni.
“Forse la morte per quelli come me sarebbe una cosa giusta… ma non per mano di questo governo! – il tono passò da calmo a deciso – Non vogliono davvero dare giustizia ai morti di quella terra: per quella gente che ci voleva condannare, Ishval è solo una scusa per liberarsi di figure scomode come noi. Siamo l’esercito del vecchio regime, ci temono… e arrivano a usare quello sterminio per i loro scopi!”
Il mormorio questa volta fu di rabbia: stava toccando un tasto davvero dolente
“Durante i processi della mia squadra mi sono reso conto della superficialità di queste persone: Ishval è l’ultimo dei loro pensieri. Finito di epurare noi, lasceranno quella terra al suo destino, invece di aiutarla a rinascere come una vera giustizia vorrebbe! Si sono messi a fare processi sommari, senza preoccuparsi di far finire in mezzo agli accusati persone che con la guerra non hanno avuto a che fare. Potevo anche accettare di pagare con la vita quella guerra, ma non in questo modo e per mano di queste persone!”
Alcune grida d’assenso: l’alchimista si stava dimostrando davvero bravo a comunicare con la folla.
“La nostra vera redenzione sarà lavorare per Amestris! Come abbiamo sempre fatto! E Ishval fa parte di Amestris! Aiuteremo quella gente a ricostruire il proprio paese, dimostreremo che l’esercito è lo strumento di giustizia in cui tutti possono davvero credere!”
La sua mano indicò la bandiera dietro di sé.
“Guardate! E’ questa la bandiera in cui crediamo! Quella per cui ci siamo arruolati nell’esercito… quella per cui abbiamo combattuto per il nostro paese! Io non mi sento rappresentato da un governo che come primo atto mi leva il simbolo per cui tanti soldati sono morti onorevolmente in trincea contro Creta, Aerugo e Drachma… quella bandiera porpora, con quella grossa “A” dorata al centro, rappresenta solo la volontà di quelle persone di cancellare il passato! Uno dei più madornali errori che un governo possa commettere! E’ dal passato che si impara: ci sono tutte le nostre imprese, i nostri errori… non si devono rinnegare! Non va cancellata la memoria di un paese! Non si può eliminare da Amestris la maggior parte dell’esercito! Perché Amestris siamo anche noi! E ne andiamo fieri!”
“Infervorare i militari… lo sta facendo davvero bene, signore” mormorò Breda, compiaciuto
“Questo governo non farà mai del bene al paese: – esclamò il colonnello, alzando la mano per placare il vociare – penserà solo a se stesso. Ma nessuna di quelle persone ha mai visto un campo di battaglia, nessuno di loro potrà mai capire il grande sacrificio e impegno che ciascuno di noi ha messo per questo paese! Ishval è stato un clamoroso e terribile sbaglio… ma non possiamo cancellare tutto il buono che l’esercito ha fatto. Perché io credo profondamente in questa divisa e in questa bandiera!”
I soldati erano assolutamente d’accordo con lui: quell’uomo li stava risollevando, stava dando loro dei motivi per continuare a combattere, per riuscire ad andare avanti nonostante la colpa presente nei loro passati.
“Io e la mia squadra – annunciò infine con calma, dato che ormai aveva l’attenzione di tutti – tra circa un’ora, ossia appena ci organizzeremo, abbiamo intenzione di andare al palazzo del governo e prenderne possesso. Intendo rovesciarlo con uno dei colpi di stato più rapidi che si siano mai visiti… Vi ripeto quello che ho detto all’inizio: ho intenzione di diventare Comandante Supremo e di ridare ad Amestris la dignità che merita. Se pensate che io possa rappresentare degnamente il paese, unitevi a me! Noi siamo l’esercito più potente! Drachma, Creta e Aerugo non riusciranno mai a prevalere su di noi… siamo nettamente superiori! Noi siamo l’eccellenza dell’esercito! Come può questo governo anche solo pensare di mandare avanti il paese senza noi a proteggerlo? Sappiamo benissimo quanto i paesi confinanti non attendano che un passo falso per attaccare! Sul serio ci vogliamo far governare da persone che espongono Amestris a tali minacce?”
Urla di acclamazione
“Quanto pensate che ci voglia a circondare quel palazzetto e a fare piazza pulita? Non abbiamo nemmeno bisogno di aspettare rinforzi! Mi basta solo la vostra approvazione! Chi viene con me?”
Questa volta ci fu un vero e proprio boato. Soldati che aspettavano l’occasione di riscatto avevano finalmente trovato il leader da seguire. E Mustang era finalmente nel ruolo che aspettava di ricoprire da un’intera vita.
“Se la cava bene il colonnello: – sogghignò Havoc, rivolto a Breda – riesce ad avere successo tanto con gli uomini quanto con le donne, non trovi?”
“E’ un leader nato: – sorrise il sottotenente rosso con una nota d’orgoglio – aspettavo con ansia il giorno in cui l’avrei visto scatenarsi in tutto il suo carisma. Ecco le nostre truppe, Havoc… entro qualche ora saremo la squadra del neo Comandante Supremo di Amestris”
“Havoc! – esclamò la voce del colonnello – Dammi la bandiera!”
“Eccola, signore!” sorrise il sottotenente prendendo da terra la bandiera porpora che lui e Falman avevano provveduto a deporre poco prima… con immensa gioia.
Come l’ebbe in mano, l’alchimista di fuoco la mostrò alla folla
“Questa non è la nostra bandiera! Questa non è Amestris! Faremo ritornare il drago d’argento su tutte le aste, su tutte le finestre! Verde e argento!”
“Verde e argento!” ruggì la folla.
La presa della prigione era terminata.
Erano le cinque e mezza del pomeriggio.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14. Disposizioni prima della battaglia ***


Capitolo 14. Disposizioni prima della battaglia.

 

Giorno 10.

 
Ore 17:30.
 
Mustang rimase a guardare il suo personalissimo esercito che acclamava i colori della bandiera: uomini d’esperienza, forgiati da tantissime battaglie. Con quelli avrebbe potuto spazzare via non uno ma cento governi. Ma una delle sue carte vincenti era saper ragionare anche quando era facile farsi prendere dall’entusiasmo: doveva sfruttare al massimo le loro possibilità, ma con giudizio.
“Molti di voi hanno sicuramente lavorato insieme: – disse attirando l’attenzione di tutti – voglio poter contare su tutto l’affiatamento possibile.  Che si riformino le squadre, che gli uomini che hanno un superiore si riuniscano a lui… chi è privo di affiliazione si porti invece nel lato sinistro della sala. Havoc, provvedi tu ad organizzarli”
“Sissignore!” scattò sull’attenti il sottotenente
“Poi mettete questo tavolo al centro e trovate una piantina abbastanza grande di Central City: voglio che tutti possano vedere come agire. Nel frattempo che si riuniscono in squadre, Falman, tu provvedi a fare un rapido censimento… al mio ritorno voglio sapere esattamente di quanti soldati disponiamo: grado e provenienza”
“Sarà fatto, colonnello” annuì Falman
“Breda, tu accertati che niente sia trapelato sulla nostra presa della prigione: prendi due uomini che conosci bene e fai un giro di ricognizione tutto attorno”
“Sissignore” disse il rosso, avviandosi subito a cercare sue conoscenze di East City.
“Io ho una faccenda da sistemare – dichiarò Mustang, scendendo dal tavolo – ma come torno voglio che tutto sia in ordine; non abbiamo tempo da perdere: sono le cinque e mezza e alle otto e mezza il sole tramonterà. Per allora deve essere tutto finito, quindi dobbiamo muoverci di qui alle sei e un quarto al massimo. Confido nelle grandi capacità organizzative e nella disciplina di soldati d’eccellenza come voi!”
Queste ultime parole furono come l’autorizzazione a far cominciare l’ordinato caos tipico di un’adunanza militare: era incredibile come tutti iniziarono a muoversi sapendo esattamente cosa fare e dove andare. Gradi alti che chiamavano i propri sottoposti, altri che si affiancavano a Falman per aiutarlo, altri ancora che andavano diligentemente verso Havoc. Questo sì che era l’esercito.
“Fury, vieni con me – chiamò il colonnello dirigendosi verso la porta – ho bisogno del mio esperto di comunicazioni”
“Arrivo subito signore!” esclamò felice il ragazzo
Al tenente non venne detto niente: era scontato che seguisse il colonnello.
 
La sala comunicazione era abbastanza grande: trattandosi della prigione di Central City era ovvio che fosse ben fornita. Mustang, entrando, pensò che finalmente il sergente stava per fare quello per cui era nato ed entrato nell’esercito e la cosa gli diede un grande senso di sollievo.
“Dimmi che ti ricordi tutte le linee segrete, sergente” disse sedendosi al tavolo dove c’era una grossa radio
“Lei mi offende, colonnello, - protestò il ragazzo, mettendosi le cuffie e passandone un altro paio al colonnello – con chi la devo mettere in contatto?” e senza aspettare risposta si mise ad armeggiare con alcuni fili che aveva precedentemente staccato. Prese dalla tasca uno spinotto e lo attaccò al corpo principale della radio: la macchina emise il segnale d’accensione.
“Linea diretta con Grumman, Fury: è giusto aggiornarlo della situazione. Siediti pure, tenente, tanto ho un paio di chiamate da fare”
“Il collegamento inizierà tra una ventina di secondi, signore” annunciò il sergente con voce sicura, facendo un segno affermativo con la mano.
Ah, le care vecchie radio con i segnali protetti e segreti… un’altra grande trovata dell’esercito. Chissà se il nuovo governo ne è al corrente o ha deciso di ignorarle. O molto probabilmente i nostri Generali non sono così stupidi da far trapelare questi piccoli segreti al primo governo in carica che arriva.
Qui East, codice segreto, prego” disse una voce marziale
Qui Flame-zero-alpha-roger-dieci meglio conosciuto come Roy Mustang
“C… colonnello?” balbettò il soldato
“Sì io… - sorrise Mustang, deliziato di quella reazione di sorpresa – mi può passare il Generale Grumman? E’ urgente”
“Solo un minuto, signore, la metto immediatamente in collegamento”
Mustang non dovette attendere molto prima che la risata del vecchio Grumman si facesse sentire
“Mi hai appena fatto vincere una bella sommetta, ragazzo mio. Ero sicuro che non ti saresti adattato a quella situazione di prigionia”
“Lieto di essere per lei una certezza, signore. – sorrise il colonnello – Del resto lei mi conosce davvero bene, anche più di me stesso, ogni tanto”
“Circolavano voci che dovevi essere impiccato stamattina… sai, i pettegolezzi dell’esercito superano anche le censure dei mezzi d’informazione, e le tue performance durante i processi dei tuoi uomini mi sono già note. Sapevo che avresti organizzato qualcosa, non ero nemmeno preoccupato in maniera seria”
“Ah, Generale, lei mi leva sempre la soddisfazione di prenderla di sorpresa”
“Il tenente sta bene?”
“Sì, stiamo tutti bene: i miei ragazzi hanno organizzato una missione di liberazione in grande stile, stamattina. Ma dato che ci sono ho pensato di rendere la cosa molto più interessante”
“Ah sì? – la voce del vecchio si fece attenta – Non mi dire, allora la tua ambizione non è svanita nel nulla”
“Entro le prossime tre ore ho intenzione di rovesciare questo governo e diventare Comandante Supremo, signore” annunciò Mustang con un sorriso
Ci fu un attimo di silenzio e poi la risata di Grumman la fece da padrone
“Ah, mio giovane ambizioso colonnello, – disse l’uomo quando si fu ripreso – si vede che i colpi di stato esercitano una grande attrazione su di te. E a quanto pare questa volta i tempi sono maturi per far spazio ai giovani. Il mese in cui ho fatto da interregno tra Bradley e questo governo mi hanno letteralmente messo fuori gioco”
“Non dica questo, signore: spero di poter contare sul suo appoggio e i suoi saggi consigli quando tutto sarà finito. Ho sempre bisogno del sostegno di una persona come lei”
“Vuoi che ti mandi degli uomini?”
“No, qui a Central bastano quelli che mi hanno appoggiato dopo che ho preso la prigione”
“Ahaha! Grandioso, ragazzo, ti giuro che avrei pagato per essere presente. Beh, finalmente il paese avrà una guida decente… sai, Aerugo e Creta si stanno facendo troppo audaci e un Comandante Supremo che tenga presente anche queste faccende farebbe proprio comodo. Comunque, giusto per sicurezza, manderò una delegazione a Central: è bene che gli altri sappiano che l’Est appoggia pienamente il futuro capo di stato… ma in cambio pretendo un dettagliato racconto di tutta la storia”
“Io e i miei ragazzi saremo felici di farglielo, signore… Havoc e Breda sono dei veri maestri nel fare i resoconti. Spero di rivederla presto, signore”
“Lo spero anche io, Comandante Supremo… adesso vado a dare la bella notizia a Rebecca, credo che sia al poligono di tiro quella bella figliola! Ah, avessi un paio di anni di meno…! A presto, ragazzo e buon lavoro!”
“Grazie, signore” salutò Mustang, facendo cenno a Fury di chiudere il collegamento
Si levò le cuffie per qualche secondo e sospirò
“Dannazione, che fastidio questi capelli sporchi… giuro che entro stasera mi farò una doccia. Va bene, l’Est è fatto… adesso passiamo alla vera gatta da pelare: Fury, mettimi in collegamento col nord”
“Quartier Generale di North City o Briggs?” chiese il sergente
“Briggs, ovviamente… è lì la vera forza del settore nord”
Dopo aver aspettato il collegamento ed essersi identificato, Mustang trattenne un sorriso all’idea di quello che sarebbe successo nei prossimi minuti
“E così sei ancora vivo, colonnello da strapazzo” disse una ben nota voce irritata
“Generale Armstrong, - salutò – è sempre una gioia poter parlare con una bellezza come lei. Riesco anche ad immaginare la sua meravigliosa e luminosa persona che…”
“Perché non sei a pendere sulla forca, dannato?”
“Beh, ne avrebbe sofferto signora: non ha ancora avuto il piacere di essere mia graziosa ospite a cena e non avrei mai potuto farle un torto così gr…”
“Smettila di fare il pagliaccio una buona volta, Mustang! A cosa devo questa chiamata sulla linea segreta?! Hai trenta secondi per darmi una spiegazione plausibile prima che venga io ad impiccarti di persona!”
“Volevo solo annunciarle che sto per diventare Comandante Supremo”
Ci fu un silenzio totale dall’altro capo dell’apparecchio, tanto che per qualche secondo il colonnello credette che la linea fosse interrotta.
“E così alla fine stai ottenendo quello che volevi…altro che pentimento per Ishval. No, tu non sei come quell’idiota di mio fratello” disse infine, con voce piatta, la maggiore degli Armstrong
“C’è modo e modo di affrontare un pentimento, mi creda, signora” disse Mustang con voce altrettanto piatta, il tono che faceva scendere il gelo nella stanza. Il tenente rimase impassibile, ma Fury tenne lo sguardo basso… la cattiveria sottintesa era qualcosa di incredibile
“Che cosa vuoi da Briggs, Mustang?” chiese lei dopo qualche secondo
“Il suo appoggio, signora. – rispose il colonnello riprendendo un tono normale – Dopo che avrò preso Central e deposto questo governo, avrò bisogno che la mia nomina venga confermata da tutti i settori del paese: l’est con Grumman è già dalla mia parte… sud ed ovest non saranno un problema. Ma il suo appoggio è basilare, signora”
“Mi stai dando la possibilità di ricattarti, te ne rendi conto?”
“Dico la realtà dei fatti. Perché mentire su una cosa che sappiamo entrambi? Briggs è potente e senza il suo appoggio non si può essere sicuri: a volte mi chiedo come mai lei sia tornata nei suoi monti senza dire niente su questo nuovo governo”
“Il confine con Drachma non ha tempo da perdere col governo del paese. Qui dobbiamo tenere sotto controllo il maggior nemico di Amestris: c’è bisogno di soldati veri, non di parodie di soldato come te”
“Ma questi soldati veri hanno bisogno di un governo che li sostenga in modo serio. Si è informata su quello che sta succedendo nei confini ovest e sud? Creta e Aerugo non stanno aspettando altro che colpire… perché vedono che questo governo sta levando linfa all’esercito. Le procedure militari sono chiare: se un confine è in difficoltà si inviano truppe dagli altri settori… questo governo ha intenzione di eliminare metà esercito regolare: ce la farà la grande armata di Briggs a coprire tutti i confini del paese?”
Non saranno idioti fino a questo punto, spero”
“Nell’arco di un mese o poco più ci sarebbe l’eliminazione delle persone che hanno partecipato ad Ishval: di quale percentuale dell’esercito parliamo? Cinquanta per cento? Anche di più mi sa… le truppe mandate in quel deserto sono state innumerevoli. Ma facciamo cinquanta per arrotondare… poi abbiamo un venti per cento delle truppe a Briggs e nel settore nord. Un trenta per cento a coprire l’intero confine ovest e quello sud… soldati che non hanno l’esperienza di quelli stati ad Ishval. Quanto si può reggere? Io stimo massimo tre mesi… non sarà mai possibile formare truppe di riserva decenti. E nel frattempo anche Drachma tenterà di nuovo di sfondare… una, due, tre… sarà la quinta o la decima volta che ci riuscirà? E lei, signora, sa che questa non è solo una storiella per intimidirla: è la realtà”
“Sono davvero così folli…”
“Non sono soldati, tutto qui. Mi garantisca il suo appoggio, signora… e i confini saranno di nuovo sicuri”
“Va bene, maledetto, avrai il mio appoggio e quello di Briggs. MA ad una condizione”
“Si?”
“Ti riprenderai a Central quell’idiota di mio fratello ed i suoi due uomini che l’hanno seguito! Quel sottotenente Ross è anche decente, ma quell’altro biondino è proprio una mammoletta. Tipico di Alex prendersi uomini così… che ritornino a Central”
Mustang dovette fare tutto lo sforzo possibile per trattenere una risata, ma riuscì a tenere la serietà che conveniva
“Ha la mia parola, signora”
“Allora vai a fare il tuo colpo di stato e non seccare fino a quando non avrai bisogno di me”
La linea si interruppe di colpo
“Che donna! – esclamò il colonnello con un sorriso – Ma con le giuste tecniche di seduzione anche lei è capitolata ai miei piedi. Impara, Fury: bisogna saper sempre trattare con il gentil sesso. Tutte hanno un punto debole”
“Fury, ti proibisco di ascoltare quanto dice il colonnello a proposito delle tecniche di seduzione” corresse il tenente
“Oh… ecco io… – balbettò il sergente arrossendo – con quale Quartier Generale vuole che la metta in contatto, signore?”
 
Dopo aver depennato dalla lista delle cose da fare anche quelle incombenze post colpo di stato, Mustang ritornò nella grande sala che, ormai, era diventata un vero e proprio consiglio di guerra.
“La attendevamo, signore” disse Falman, facendogli posto a capo del grande tavolo dove era stata sistemata una cartina di Central City. Attorno al mobile, oltre ai suoi uomini, c’erano almeno una decina di ranghi alti dell’esercito, evidentemente i maggiori esponenti delle squadre presenti nella prigione.
“Falman, rapporto delle forze disponibili” ordinò il colonnello iniziando a fissare la mappa
“Sissignore: totale dei soldati, noi sei esclusi, quattrocentoventisei unità. La maggior parte proveniente da East City e South City… rango dal sergente maggiore in su, fino ad arrivare a tre generali di brigata. Totale delle squadre con precedenti esperienze: trentasei, con una media di dieci uomini a testa. Senza affiliazione circa cinquanta unità. Tutte i soldati hanno ricevuto o stanno per ricevere un armamento adeguato: fortunatamente nella prigione di Central i magazzini sono ben forniti”
“Ottimo! – annuì Mustang – Breda, che notizie da parte del governo?”
“Tutto tace signore: la presa della prigione non è stata ancora scoperta. A quanto pare – ed iniziò ad indicare la mappa – i membri del governo sono tutti racchiusi nel solito palazzo, ossia nella piazza delle esecuzioni. Tutta l’area, in un raggio di circa un chilometro, è controllata dalle loro truppe: trecentocinquanta uomini, direi… a cui vanno aggiunti quelli presenti nel palazzo stesso. Direi che siamo superiori di numero noi di circa una ventina di unità”
“Condizioni della città?”
“Tutto deserto: la popolazione sa che sta per succedere qualcosa ed è rintanata in casa. Pare che anche le comunicazioni ferroviarie siano momentaneamente interrotte: il governo ha ordinato che a nessun treno sia permesso di arrivare in stazione”
“Hanno paura di rinforzi, è chiaro…Ovviamente le loro truppe sono meglio equipaggiate”
“Chiaro, signore e ci stanno aspettando”
Il colonnello fissò la mappa pensoso: per quanto il loro numero fosse lievemente superiore, doveva tenere conto che si trattava di soldati che erano appena stati liberati dopo diversi giorni di prigionia. Non erano certo nelle migliori condizioni e non poteva contare su una grande resistenza fisica.
Ma posso sempre usare l’alchimia…
Una possibilità certamente da considerare: ovviamente doveva fare molta attenzione trovandosi al centro della città e con il nuovo metodo di trasmutazione, fatto senza l’ausilio dei guanti, aveva ancora qualche problema ad avere il pieno controllo delle fiamme. Certo, qualche ora prima era riuscito a controllarle e a racchiudere Fury in un cerchio di fuoco, ma non poteva permettersi errori.
“Va bene. – sospirò infine, lanciando un’occhiata a tutti gli uomini presenti attorno al tavolo. Doveva dimostrare loro di essere uno stratega capace, altrimenti non li avrebbe mai conquistati – Rimango del parere che la missione vada conclusa entro le prossime ore: non voglio dare loro ulteriore tempo per organizzarsi”
“Però potremmo organizzarci meglio anche noi” fece notare un maggiore
“Sì, ma sarebbe sempre un maggior vantaggio per loro. Noi siamo appena usciti da giorni di prigionia e non siamo fisicamente e mentalmente pronti a resistere a lungo: se non sfruttiamo appieno questa scarica di adrenalina ed entusiasmo perdiamo metà delle nostre possibilità. Il fisico dei nostri inizierà a richiedere il dovuto riposo… sappiamo che succederà, siamo stati in guerra, no?”
“Come vuole agire, signore?” chiese Havoc
Mustang guardò ancora una volta la mappa, la sua attenzione che si concentrava su un determinato punto.
“Facciamo quello che meno si aspetterebbero: andiamo a sfondare nella piazza”
Un mormorio perplesso percorse tutto il tavolo: la piazza era ovviamente il punto maggiormente presidiato. Sarebbe stato più conveniente assaltare prima postazioni più deboli.
“Lì c’è la maggior parte delle truppe, colonnello – disse Breda – e sono pronti per l’assedio”
“Appunto: se sgominiamo quelle è fatta, il resto crolla di conseguenza. Sarebbe inutile sprecare le nostre energie in azioni troppo lunghe che ci stancherebbero nel momento in cui affronteremo il grosso di quelle forze: saranno anche pivelli, ma sono giovani e freschi”
“Dalla prigione alla piazza la strada è abbastanza breve – commentò Havoc – il lato sud, da cui dobbiamo arrivare, ha due vie principali abbastanza larghe… ma saremo oggetto di un tiro al bersaglio”
“Havoc, preparati una squadra di una ventina di tiratori scelti, sono sicuro che li trovi: voi ci farete da copertura… uno dei nostri primi obbiettivi è prendere la torre dove ti sei appostato; da lì avrete la piazza a portata di tiro”
“Ricevuto, signore – sorrise Havoc, accendendosi una sigaretta – vado subito a cercare gli uomini, un paio li conosco di persona”
“E nel frattempo noi sfondiamo – dichiarò Mustang – a metterli nel panico ci penso io, in modo che abbiano qualche esitazione nel loro tiro al bersaglio. Ci sono domande? Sono le sei meno cinque e tra un venti minuti vorrei muovermi”
“E come li vorrebbe… uhm, mettere nel panico, signore?” chiese uno degli uomini
“Oh suvvia, sono o non sono un alchimista? - sorrise il colonnello – In ogni caso, ecco le disposizioni per il resto dell’esercito”
Ed iniziò a parlare, notando con soddisfazione che tutta l’attenzione era sinceramente catalizzata su di lui.
Ho la loro fiducia…
 
Venti minuti dopo, Mustang stava a capo delle truppe che si muovevano diligentemente dietro di lui. File ordinate, pochissimo rumore: cos’altro ci si poteva aspettare da quegli uomini che sapevano come agire in un campo di battaglia? Li aveva avvisati che si trovavano all’interno di una città e che dunque era necessario essere il più rapidi possibili.
“Nessun problema con i civili… non ce ne sono in giro, ma comunque combatteremo all’interno delle vie. Cercate di proteggere le case, nel caso spostatevi per non farle diventare bersagli. Il nostro compito è pensare alla popolazione e alla sua incolumità.”
Ulteriori parole che avevano conquistato gli uomini: tutti avevano famiglie e amici e non avevano alcuna intenzione di far del male ai compaesani. Era bastata la guerra civile a metterli davanti a questa terribile realtà e nessuno di loro aveva voglia di ripeterla. Anche con i soldati del governo avevano intenzione di andarci relativamente leggeri.
“Sono solo giovani traviati da uomini senza scrupoli – aveva detto il colonnello, lanciando un’occhiata di sbieco a Fury – Non dimentichiamoci che potrebbero restare a far parte dell’esercito una volta finito tutto. Cerchiamo di fare meno morti possibile”
E così, dopo tutte quelle raccomandazioni, era arrivato il momento di muoversi. Nelle prossime due ore si sarebbe deciso il destino del paese: o vincevano o morivano, questo era chiaro.
Stava circa dieci metri davanti alle truppe, con solo quattro uomini con lui. Falman e Fury sarebbero stati in posizione coperta, Havoc avrebbe guidato la presa della torre, il tenente sarebbe stato accanto a lui a proteggerlo… e Breda…
“Eccomi, signore – disse il sottotenente, arrivando da una via laterale – ho fatto il prima possibile”
“La commissione che ti ho affidato?”
“Compiuta, colonnello: – sghignazzò il sottotenente – direttamente da casa sua ecco un paio dei suoi guanti” e gli porse gli oggetti in questione.
Mustang li prese in mano, estasiato nel sentire il contatto con la sua personalissima stoffa d’accensione. Li infilò con lentezza, assaporandone ogni centimetro di pelle che veniva racchiuso in quella protezione: ora si sentiva veramente se stesso ed era pronto a dare spettacolo.
“Va bene, ragazzi: adesso il gioco si fa pesante.”  Guardò ciascuno di loro con orgoglio: avrebbe voluto stringere la mano a tutti, ma non sarebbe stato il momento.
Più di un anno fa, nei sotterranei di Central, diedi a tre di queste persone un ordine ben preciso…
“Sapete quello che dovete fare, squadra - disse con voce sommessa – ma soprattutto a voi cinque do un altro personalissimo ordine che mi aspetto venga eseguito senza alcuna esitazione”
“Ci dica, colonnello” disse il tenente
“Non morite” disse tutto d’un fiato, fissandoli attentamente
“Sissignore!” risposero in coro quelle cinque persone, a lui più care della sua stessa vita.
Quanta fiducia e quanta determinazione nelle loro figure stanche ma dritte e fiere.
Questa volta arriviamo davvero in cima, ragazzi… non vi deluderò!
Senza attendere altro si mise in marcia: cinque soldati che lo seguivano tre passi dietro e dopo ancora il resto dell’esercito.
“Del resto che senso avrebbe morire dopo tutto il casino che abbiamo fatto per salvarlo?” disse la voce di Havoc in tono sarcastico.
Mustang sorrise… era bello riavere la sua squadra al completo.

 
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15. Scontro finale. ***


Capitolo 15. Scontro finale.

 

Giorno 10.

 
Ore 19.00.
 
“Hanno preso quella maledetta torre, sì o no?” chiese Mustang con esasperazione
“Sì, signore! – rispose Fury, sistemandosi meglio l’auricolare con cui si teneva in comunicazione con il sottotenente – Ma Havoc ha detto che hanno perso almeno cinque uomini tra i tiratori scelti… la resistenza è stata peggio del previsto”
“Lui sta bene?”
“Pare di sì, almeno… dalla voce non mi sembrava ferito. Un minuto di tempo e inizia la copertura”
“Molto bene. Preparatevi all’assalto!”
La situazione non era facile e non poteva negare di esserselo aspettato. Il primo impatto con le forze a protezione del governo era stato più duro del previsto: erano giovani e impauriti, ma con quel tipo di paura che ti fa attaccare più che fuggire. Purtroppo quella foga rendeva difficile ai suoi soldati, provati fisicamente dalla prigionia, di reggere un assalto così pesante. La presa della torre aveva richiesto più tempo e sacrifici del previsto, nonostante a terra fossero rimasti anche soldati nemici.
Devo arrivare a quella maledetta piazza… in queste vie e con tutti questi soldati non posso scatenare l’alchimia.
Mustang era assieme ai suoi uomini, o meglio, Falman, Breda e Fury circondavano lui ed il tenente.
Sulle prime l’alchimista aveva protestato, ma poi aveva accettato quella protezione: non potevano permettersi di rendere Riza un facile bersaglio. La donna era troppo provata per poter avere i riflessi pronti che la caratterizzavano: si vedeva che non era per niente in grado di reggere la situazione.
“Tenente, dovresti andare nelle retrovie e…” ripeté per la decima volta
“Il mio posto è qui, signore!” disse la donna con ostinazione, il volto segnato dalla fatica
“Signora, forse dovrebbe seguire il consiglio del colonnello”
“No, sergente… attento alla tua destra piuttosto”
“Sì!”
“Mi dispiace dirlo, ma questa situazione fa più danno che altro – commentò Breda, allontanando con un colpo di fucile un soldato che si era avvicinato troppo – E’ un classico, se vedono un gruppo piccolo gli piombano addosso… o ci separiamo o facciamo qualcosa!”
Mustang annuì, capendo che il sottotenente aveva perfettamente ragione.
“Fury l’auricolare che mi hai dato è attivo?”
“Eh? Si, colonnello, perché?”
“Tu e Falman andate nella traversa a sinistra: da quella parte lo sfondamento mi pare quasi completo”
“Cosa? – si sorprese Falman – Ma signore, noi non possiamo lasciarla…”
“Ci penserà Breda a coprirci – scosse il capo Roy – e ho bisogno che voi siate lì ad aggiornarmi della situazione: niente assalti personali, restate in copertura… devo essere aggiornato in tempo reale”
Fury e Falman si scambiarono un’occhiata perplessa
“E’ un ordine, ragazzi” ricordò loro Mustang
E così facendo un rapido saluto militare, i due soldati si staccarono da loro e corsero verso la posizione che gli era stata ordinata. Era stato un ordine necessario, anche se il colonnello rimpianse di averli allontanati da sé: avrebbe voluto averli accanto per poterli proteggere, ma in quel momento, senza poter usare l’alchimia, era più rischioso farli stare vicino alla sua persona.
“Non si preoccupi, tenente – disse nel frattempo Breda, mettendo una mano sulla spalla di Riza – andrà tutto bene. Non gli accadrà nulla di male”
Riza annuì, ma dentro di sé sentiva un’inevitabile tensione: vedere Fury, per la prima volta, in mezzo a un tale caos le metteva più ansia di quanto si fosse mai aspettata. Era qualcosa di molto diverso rispetto alle loro solite missioni… questa era una vera e propria guerra con decine e decine di soldati che combattevano. Sapeva che il sergente era stato in trincea durante la loro separazione forzata a causa di Bradley, ma vederlo avanzare tra i nemici di persona era una cosa molto peggiore.
“Non è solo, c’è Falman con lui – ribadì il colonnello – e poi il piccolo ha un fegato non indifferente. Ti ho suggerito decine di volte di permettergli di spiccare il volo”
“Sono sicura che il sergente Fury e il maresciallo Falman se la caveranno egre…”
Fu un attimo e il braccio della donna si alzò fulmineo in direzione del colonnello. Il proiettile partì, passando a una decina di centimetri da Mustang e andando ad impattare contro un soldato che stava a cinque metri da loro, pronto ad aggredirli. Lo sguardo della donna rimase fermo e impassibile, mentre il nemico cadeva a terra senza emettere suono.
“Faccia attenzione, colonnello – disse Riza – non dia le spalle al nemico. Breda, tu controlla a sinistra, io penso al lato destro”
“Come desidera, signora… ma al primo accenno di cedimento…”
“Stai tranquillo che non metterò a repentaglio la vita del colonnello per una stupida ostinazione”
“Ottimo… ed intanto questi pivelli iniziano a farci largo. Havoc e i tiratori scelti hanno sicuramente iniziato a fare fuoco, signore!”
“Molto bene! – Mustang si girò verso le sue truppe: si vedeva che quel primo scontro le aveva indebolite, ma si intuiva perfettamente che erano pronte a scattare per la scarica di adrenalina che avrebbe dato il suo comando. Quindi alzò la voce ed esclamò – Per il drago d’argento! Per Amestris! Prendiamo quella dannata piazza! Adesso!!”
Fu come uno squillo di tromba, come se la crepa di una diga cedesse e l’acqua si riversasse violenta al di fuori di essa. Uomini prigionieri da settimane tornarono soldati aggressivi e potenti: l’onda travolse la resistenza delle truppe cittadine con una violenza inaudita. Non furono più sparate pallottole, ci fu solamente un violentissimo impatto corpo a corpo.
Mustang fece cenno a Riza e a Breda di farsi immediatamente da parte: si appiattirono contro un muro per lasciar passare quella fiumana di persone che spingevano in avanti e altre che cercavano di bloccarli.
Stanno dando tutto in quest’azione di sfondamento – pensò il colonnello, mettendo un braccio davanti al tenente per proteggerla ulteriormente – Una volta in piazza saranno stravolti. Dovrò fare tutto il possibile per spronarli!
Quando videro che la spinta verso la piazza era terminata, i tre si portarono avanti, riuscendo a passare in mezzo a tutte quelle persone.
“Uomini di Amestris! – gridava Mustang – Ottimo assalto! Ma ora ricompattatevi: la strada per la piazza è aperta! Ripeto: ricompattatevi… devono trovarci come fronte unito!”
La scintilla di follia apparsa sui soldati si spense immediatamente, come se la voce del colonnello avesse premuto un interruttore. La disciplina di anni ed anni fece il suo effetto e gli uomini furono lesti ad eseguire quell’ordine. Le truppe del governo approfittarono di quel momento per indietreggiare con velocità nella piazza.
“Che hanno in mente?” chiese Mustang
“Indietreggiano con troppa fretta – commentò Breda – stanno certamente facendo spazio a qualcosa di grosso”
Mustang lanciò uno sguardo dietro di lui: insieme a Breda e il tenente si trovava a circa una decina di metri dall’inizio della piazza, mentre dietro le sue truppe si disponevano ordinatamente, pronte a una nuova azione. Si era creato un preoccupante vuoto tra loro e i nemici… quasi tutta la piazza.
Si fece un improvviso silenzio.
Tutti sentivano che stava per succedere qualcosa di grosso.
“Eh no! – esclamò Breda, con un broncio offeso – Questa non dovevano farmela!”
Riza dilatò gli occhi
“Ma quello è un carro armato!”
“Ah sì… tu eri priva di sensi, tenente. – ricordò Mustang – Ma per salvarci tra le altre cose è entrato in scena anche un carro armato”
“E’ lo stesso che ho usato io stamattina – protestò il sottotenente – Questa è vera e propria maleducazione! Sono irrimediabilmente offeso, signore”
“Beh, anche tu a lasciarlo in mezzo alla piazza… – sorrise sarcasticamente il colonnello – Guarda come avanza bene”
“Signore! – esclamò un soldato dietro di loro, con tono preoccupato – Che cosa dobbiamo fare?”
Il carro armato procedeva verso la loro parte con aria minacciosa: dietro di lui le truppe governative lanciavano grida di incoraggiamento, come se fossero sicuri di avere la vittoria in pugno
“Poverini, quasi quasi mi dispiace per loro” sorrise Mustang
Batté le mani e poi si piegò per poggiale con forza sul terreno. Stimolata dall’alchimia la pavimentazione della piazza iniziò a muoversi violentemente verso il carro armato: fu come se il terreno avesse preso vita e in pochi secondi il mezzo venne imprigionato da lastre di cemento e marmo che provvidero a storpiare il cannone.
“Possibile che tutti si dimentichino che oltre all’alchimia del fuoco so usare anche quella normale?” chiese con un sorriso rammaricato il colonnello.
“Stia tranquillo che d’ora in poi se lo ricorderanno” sorrise Breda
“Bel colpo colonnello” esclamò Havoc nell’auricolare
“E ora… secondo e definitivo attacco! Amestris!”
E l’esercito iniziò ad avanzare.
 
Nel giro di pochi minuti la piazza fu palcoscenico del feroce ultimo scontro tra le forze ribelli e quelle governative: ormai tutti gli uomini di entrambe le fazioni erano su quel grande rettangolo di spazio libero in mezzo alla città. I combattimenti corpo a corpo, con fucili e baionette, proseguivano senza sosta con uomini relativamente freschi che si scontravano con altri animati da una profonda determinazione. Quasi al centro della piazza stava una sorta di curioso monumento: un carro armato sollevato dal terreno da diverse lastre di cemento e pavimentazione; pendeva curiosamente verso sinistra, stabilizzato da quei sostegni ed il cannone era piegato a metà e racchiuso in una strana protezione di malta solidificata.
Mustang, Breda e il tenente stavano in disparte rispetto alla ressa, proprio vicino a quel carro armato: il resto dei soldati aveva paura ad avvicinarsi a quell’ammasso di metallo che pareva dover crollare. Solo il colonnello era sicuro della sua stabilità e si era messo in quella sorta di rifugio.
Riza sembrava reggere abbastanza bene: sembrava che anche lei avesse una buona carica di adrenalina dentro di sé. Aveva sparato diverse volte e tutti i suoi colpi erano andati a segno: più che altro erano le gambe che ogni tanto cedevano, ma Breda era sempre pronto a sostenerla.
Anche il sottotenente rosso se la cavava discretamente: sapeva come proteggere sia il colonnello che il tenente e ora che si trovavano in una posizione relativamente coperta, era più rilassato, sebbene vigile e attento.
Mustang alzò lo sguardo alla torre da dove provenivano numerosi spari e sorrise: Havoc e la sua squadra di tiratori scelti stava facendo davvero un ottimo lavoro di copertura. Aveva visto almeno una ventina di avversari cadere per colpi arrivati dall’alto.
Sì, è solo questione di poco, ma direi che è fatta. Stanno cedendo perché non si aspettavano che resistessimo così tanto… ancora poco, forza! Forza!
Il suo sguardo corse infine al lato sinistro della piazza: l’unica cosa che lo preoccupava era che non riusciva più a rimettersi in contatto con Fury. La parte razionale di lui gli diceva che era molto probabile che, in mezzo a quel caos, la piccola radio fosse caduta o avesse subito qualche colpo. Eppure aveva un’insistente fitta di timore che proprio non voleva lasciarlo.
“Signore?” chiese Riza, guardandolo con curiosità.
“Niente, tenente… pensavo solo che siamo quasi pronti per l’attacco finale”
No, Riza era l’ultima persona a cui dire una cosa del genere: non poteva preoccuparla proprio in quei momenti fatidici.
E poi – si cercò di convincere, scrollando le spalle – non è solo, ma con Falman.
 
Proprio in quel momento Fury e Falman si trovavano nel bel mezzo della battaglia.
Da quando l’esercito era entrato nella piazza ed era iniziato l’ultimo scontro si era persa qualsiasi cognizione di squadra: era il caos più totale.
Fury era abbastanza disorientato: il tipo di guerra a cui si era abituato era quella della trincea, fatta di corse lungo i corridoi di terra e nemici sotto forma di bombe e granate da evitare. Lo scontro corpo a corpo, con le baionette, era qualcosa che non aveva ancora avuto occasione di sperimentare… e non avrebbe mai voluto farlo.
Infatti era proprio in questa tipologia di battaglia che il suo corpo mingherlino e piccolo mostrava tutti i suoi limiti. In un corpo a corpo c’era bisogno di un fisico forte come quello di Havoc e Breda per poter opporre adeguata resistenza: la sua bassa statura e il suo peso leggero erano un vero ostacolo.
Fino a quel momento era stato costretto a tre scontri e tutte e tre le volte era bastato il primo impatto a mandarlo a terra. Era una reazione abbastanza inusuale che lasciava perplessi gli avversari: loro si aspettavano che il nemico indietreggiasse, non che cascasse seduto come una pera. Ma era per questo motivo che il sergente, pur vedendosela brutta, era sempre riuscito a salvarsi: il momento di sbandamento bastava perché qualche soldato suo alleato arrivasse ad impegnare l’avversario.
Ovviamente la radiolina si era rotta al primo scontro.
E a questo si aggiungeva il fatto che la ressa l'aveva separato da Falman.
Aveva visto il lavoro fatto dal colonnello con quel carro armato e intuiva che piano piano la lotta stava volgendo a loro favore: bastava guardare il lento ma inesorabile avanzare dei suoi alleati nella superficie della piazza.
Però sentiva l’impellente necessità di trovare i suoi compagni: l’unica cosa che sapeva di loro era che Havoc stava sopra la torre… un posto troppo lontano da raggiungere.
Se doveva essere sincero si sentiva un po’ come quando da bambino si era perso alla fiera del paese.
Solo che qui al posto di gente sorridente c’erano soldati che combattevano con ferocia.
“Maresciallo?” iniziò a chiamare, cercando di farsi strada in quella confusione e evitando più che poteva eventuali scontri. Se gli capitava aiutava i suoi compagni, tanto li riconosceva per le divise maggiormente logore e rovinate, ma il suo scopo era ricongiungersi agli altri.
Fu per questo motivo che non vide il soldato che puntò la baionetta contro di lui e procedette all’affondo.
Il colpo, considerata la sua bassa statura, l’avrebbe dovuto colpire appena sotto il cuore…
Ma come si girò all’ultimo, avvertito da quell’istinto tipico di chi è stato in guerra, vide solo la divisa blu di un soldato messo di schiena che si inzuppava rapidamente di sangue.
Gli occhi neri del sergente si dilatarono d’orrore come vide che l’uomo che gli aveva fatto da scudo aveva i capelli bicolore.
“Maresciallo!!” esclamò disperato, mentre Falman cadeva all’indietro. Riuscì in qualche modo a sostenerlo, mettendo tutto l’impegno possibile del suo esile corpo.
“Fury… - ansimò Falman, portandosi una mano alla ferita e serrando gli occhi per il dolore – stai bene?”
“Signore – singhiozzò il ragazzo, inginocchiandosi e sostenendogli il busto – è stata tutta colpa mia!”
“Vai nelle retrovie, Fury…”
Le retrovie? Come posso pensare di lasciarla qui…?
Fury si guardò attorno con disperazione, vedendo che, miracolosamente, nessun avversario sembrava intenzionato ad avvicinarsi a loro per dare il colpo di grazia al maresciallo.
“Per favore – chiamò – aiutatemi! Dobbiamo portarlo via!”
“Sergente – disse Falman con un colpo di tosse – vai, è un ordine”
“Signore… signore! – pianse Fury – Il colonnello ci ha detto che dobbiamo sopravvivere… non possiamo… non può adesso… ce l’abbiamo quasi fatta!”
Proprio in quel momento alcuni soldati si avvicinarono a loro, riconoscendoli come uomini della squadra del colonnello. Sollevarono in fretta Falman e aiutarono ad alzarsi Fury.
“Alle retrovie, presto!” disse uno di loro
Fury, iniziò a seguirli, come intontito… i rumori della battaglia sembrarono sparire nella sua mente. Sentiva solo un forte ronzio nella testa, come una fastidiosa interferenza delle sue radio.
Per favore… per favore… non Falman!
Non si accorse nemmeno dell’urlo vittorioso
“Retrocedono definitivamente! Abbiamo la vittoria in pugno!”
 
Dal modo in cui le forze governative retrocedevano, Mustang capì che avevano davvero vinto: la piazza era ormai in mano ad una sola fazione e i nemici rimasti si stavano affrettando verso il palazzo governativo, anche se una notevole parte di loro stava facendo cadere le armi in segno di resa.
Non potevano farcela contro uomini d’esperienza…
Alcuni gradi alti si accostarono a lui, facendogli rapidi rapporti: la piazza era definitivamente in mano a loro, i morti erano relativamente pochi ed il palazzo del governo sarebbe stato preso nell’arco di venti minuti da alcuni gruppi specializzati in simili raid.
“Perfetto! – annuì Mustang – Voglio che il palazzo venga ripulito dai soldati: che tutti gli uomini del governo vengano portati illesi nella sala principale. Voglio scambiare quattro chiacchiere con loro”
“Agli ordini, signore!” si mise sull’attenti il generale di brigata che gli aveva riferito gli ultimi rapporti.
“Non era un soldato che parlava a un colonnello – commentò Breda come l’uomo si fu allontanato – quello stava già parlando al Comandate Supremo”
Mustang sorrise compiaciuto
“Bene, adesso prepariamoci ad andare a fare quattro chiacchiere con i nostri amici. Un bel faccia a faccia tra loro e me… e la mia squadra. Sentito Havoc? Organizza i tuoi uomini e poi raggiungimi”
“Arrivo, signore!”
“Avvisi anche il sergente e il maresciallo, allora” fece notare Riza
“Oh… ecco con loro ho qualche difficoltà di contatto, ma sono sicuro che…”
“Signore! – lo chiamò un soldato, arrivando di corsa – Uno degli uomini della sua squadra è stato ferito!”
A quelle parole Mustang si irrigidì, il viso che sbiancava. Riza si appoggiò pesantemente a Breda e il sottotenente stesso dovette mantenere il proprio autocontrollo.
“Come!? E’ grave!? Dove si trova? Portami immediatamente da lui!!” ordinò Mustang
Il soldato indietreggiò davanti a quella sfuriata.
“Mi segua, signore…” balbettò
Il colonnello e gli altri lo seguirono a grandi passi
No… non potete farmi questo… io vi ho ordinato DI NON MORIRE!
 
Quella fasciatura improvvisata faceva davvero impressione a Fury.
Nonostante il sangue avesse smesso di uscire era così sporca di rosso che il sergente temeva che il maresciallo fosse praticamente dissanguato. Il soldato che aveva provveduto a curarlo, un veterano di diverse battaglie, l’aveva rassicurato dicendogli che il taglio non aveva leso organi vitali: era un punto del corpo dove non c’erano bersagli utili.
Perché lui è molto più alto di me – aveva capito Fury mentre scuoteva il capo con disperazione – Quel colpo mi avrebbe preso al cuore e lui mi ha fatto da scudo.
Dopo che erano arrivati nelle retrovie, per fasciare il maresciallo avevano utilizzato la sua stessa camicia. Com’era pallida la pelle di quell’uomo, com’era magro…
Dovendosi occupare anche di altri feriti, il soldato che aveva curato il maresciallo si era poi allontanato, lasciando Fury ad occuparsi dell’uomo privo di sensi. Il sergente l’aveva coperto con la sua giacca e anche con la propria e ora stava lì a tenergli la mano. Se non fosse stato per la smorfia di dolore sul viso, sembrava quasi che il maresciallo dormisse appoggiato a quel muro grigio.
“Per favore… - mormorava Fury – abbiamo promesso al colonnello di non morire… Non ora, signore! Non ora che ce l’abbiamo fatta…”
Tirò su col naso, mentre nuove lacrime gli uscivano dagli occhi
“Maresciallo… la prego… lei ha ancora così tante cose meravigliose da raccontarmi! Mi ha promesso di parlarmi dei draghi… si ricorda? Mi ha detto che… che mi avrebbe raccontato tante storie su di loro…”
Pensando a quell’uomo così gentile e riservato che, tante volte, gli aveva raccontato decine di storie, proprio come ad un bambino, a Fury si strinse il cuore. Non doveva essere proprio lui a trovarsi in quelle condizioni.
“Falman! Fury!” esclamarono delle voci e subito il sergente ed il maresciallo furono circondati dal resto della squadra.
“Falman! – esclamò Mustang tastando la fronte all’uomo privo di sensi – Avanti Falman! Svegliati!”
“E’ stata tutta colpa mia!” singhiozzò Fury
“Oh no, soldatino… non è così” mormorò Riza, abbracciandolo
“Sì invece! – pianse il giovane – Mi… mi ha fatto da scudo… Ha perso tantissimo sangue!”
“Calmo nanetto – disse Havoc – che hanno detto? Ha organi danneggiati?”
“No… però…!”
“Ecco! – esclamò Mustang, interrompendolo – Dai Falman, riprenditi, così! Sapevo che non saresti venuto meno al mio ordine!”
Con un lamento Falman aprì gli occhi, trovandosi davanti tutta la squadra.
“Oh, maresciallo!” mormorò Fury aggrappandosi a lui e singhiozzando
“Fury? – sussurrò – Stai bene?”
“Sta bene – sorrise Mustang – Era solo molto spaventato per la tua ferita, Falman”
“La battaglia…”
“Vinta, soldato… abbiamo vinto… ce l’abbiamo fatta!” annunciò Mustang con un sorriso stanco
“Mi congratulo con lei, signore…” riuscì a sorridere Falman
“Ce la fai ad alzarti? – chiese Havoc – Appoggiati a me, ti portiamo da un’altra parte…”
“Signore! – arrivò un soldato – Il palazzo ha ceduto e i membri del governo deposto sono stati radunati nella sala grande, come da disposizioni!”
Mustang annuì distrattamente.
Avrebbe voluto seguire Falman in ospedale e accertarsi che fosse curato come si conveniva, ma non poteva rimandare quel momento cruciale.
Ma perché!? Dovevano essere presenti tutti loro!
“Signore, - chiese per l’appunto Breda – vada pure… noi resteremo qui con Falman”
“Andare dove?” chiese il maresciallo, mentre si rimetteva in piedi sostenuto pesantemente da Havoc
“Dovevamo andare tutti a scambiare quattro chiacchiere con quei maledetti… - spiegò il sottotenente – ma considerate le tue condizioni…”
“Andiamo” disse Falman con determinazione
Mustang si girò verso il suo uomo con sguardo sorpreso, ma poi scosse il capo
“Maresciallo hai perso molto sangue e…”
“Signore – mormorò l’uomo – ci hanno già impedito di vincere tutti insieme al precedente colpo di stato… ma questa volta… in quella che è la sua vera vittoria… dobbiamo essere tutti al suo fianco. Sono certo che… - si bloccò per una smorfia di dolore e si portò la mano al fianco – il sottotenente Havoc mi può aiutare a camminare”
Nessuno degli altri obiettò.
Le parole di Falman rispecchiavano la verità: la volta precedente avevano vinto, ma erano tutti in luoghi differenti e questo aveva levato qualcosa di fondamentale alla loro soddisfazione. Per quanto avessero collaborato tutti quanti, persino Havoc allora bloccato nella sedia a rotelle, era mancato l’orgoglio dell’essere tutti uniti a poter dire che ce l’avevano fatta.
Questa volta è la mia vera vittoria, ha ragione… loro hanno il diritto di essere al mio fianco. Ed è mio desiderio che ci siano.
“Havoc, Fury – ordinò – aiutate Falman a camminare. Breda, tenente, voi dietro di me. Andiamo a prenderci la nostra personalissima vittoria”
E con passo lento, ma deciso, si avviarono verso il lato della piazza.
Oltre quel palco dove stava ancora il cumulo di detriti della forca
In quel palazzo dal cui balcone pendeva la bandiera porpora.
Erano le otto di sera.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16. Giungere in cima. ***


Capitolo 16. Giungere in cima.

 

Giorno 10.

Ore 20.00.

Ci sono momenti della vita che vengono attesi per tantissimo tempo: spesso nei sogni ci si immagina come saranno, come ci si comporterà quando accadranno davvero, tanto che a volte sembra quasi di recitare un copione studiato a memoria per anni.
Per Roy Mustang non era affatto così e l’aveva capito da quando aveva messo piede in quel palazzo.
Ma non era stata la ricchezza degli arredi o la maestosità degli interni a metterlo in soggezione, tutt’altro.
Non erano nemmeno i numerosi soldati, schierati lungo le pareti, che gli rivolgevano deferenti saluti militari al suo passaggio.
La verità era che nella sua mente si era immaginato tantissime volte il momento in cui sarebbe stato a capo di Amestris, ma nei suoi sogni era sempre solo ad avanzare verso la soglia del potere. La sua immaginazione l’aveva visto percorrere i corridoi senza nessuno accanto, con i suoi stivali che riecheggiavano sicuri in un silenzio totale.
Adesso dietro di lui sentiva i passi e la presenza di altre cinque persone, l’andatura forzatamente lenta per permettere ad uno di loro di tenere il passo. Non c’era la perfezione della sua divisa linda e stirata, dei capelli corvini lucidi e pettinati: l’immagine di quell’eroe perfetto che avanzava verso la cima era sparita.
La realtà era decisamente migliore.
Questi momenti sono solo nostri, amici miei. Sono solo nostri perché ci abbiamo creduto fino in fondo per un’intera vita... Questa volta nessuno ci impedirà di arrivare in cima.
Arrivati alla fine di un’imponente scalinata, si trovarono davanti a un’enorme porta di legno pregiato sorvegliata da due soldati: lì dentro c’era l’ultimo ostacolo, l’ultima questione da risolvere.
Con un cenno ordinò agli uomini di aprire la porta e si fece avanti, seguito dal resto della sua squadra.
 
Una stanza degna della famiglia Armstrong, ecco l’unica definizione che si poteva dare.
Le pareti erano decorate con preziosi stucchi e semicolonne ornamentali stavano lungo le pareti; il pavimento era quasi tutto ricoperto da pregiati tappeti rossi e un lungo tavolo a forma di ferro di cavallo si trovava al centro della stanza, con una ventina di sedie foderate con velluto.
La democrazia di Amestris era in quella stanza, il potere di un intero popolo era in quel tavolo, in quelle sedie, in quegli stucchi… in quelle venti persone ben vestite che sedevano sui loro scranni, tenute d’occhio da alcune guardie discretamente poste agli angoli della stanza.
E dietro di loro il grande balcone che dava sulla piazza, ora nascosta da pesanti tende di velluto rosso.
Vi ho davvero permesso di arrivare a tutto questo?
Fu il primo pensiero che Mustang ebbe non appena tutta quell’ambientazione gli fu saltata all’occhio.
E’ vero che era un militare e che il tipo di sfarzo che concepiva era quello dell’ufficio degli alti gradi dell’esercito, che obbligatoriamente manteneva una contenuta dignità. Ma quella stanza gli trasmetteva soltanto ostentata opulenza e nessun senso del potere: solo vana auto glorificazione.
Finalmente si concesse di guardare le facce di quelle persone: espressioni tese e preoccupate, ma che non riuscivano a nascondere un enorme fastidio. Come se non riuscissero a concepire che lui si fosse ribellato alla condanna a morte. Scorrendo lungo il tavolo il suo sguardo si soffermò su una persona in particolare: il giudice dei suoi processi.
E’ questo che hai ottenuto processando la mia squadra e condannando me e il tenente? Uno scranno in questo tavolo… è per questo che non ti stavi nemmeno preoccupando di condannare un ragazzino che la guerra civile quasi non l’ha vissuta?
Si costrinse a calmare la propria rabbia.
“Maresciallo, dovresti sederti: non mi pare il caso che tu stia in piedi considerata la ferita” disse sommessamente.
“Ma signore…”
“Sul serio. – lo interruppe Mustang, facendosi avanti e andando accanto al membro del governo che gli stava più vicino – Non affaticarti più del dovuto”
Rimase semplicemente in piedi, davanti a quell’uomo di mezza età, leggermente pingue, che lo guardava con sconcerto e terrore, chiedendosi cosa potesse volere da lui. Dopo qualche secondo di gelida attesa, finalmente si alzò tremante; Mustang senza dire altro prese la sedia e la portò verso Falman, aiutando quindi Havoc a farlo sedere.
Prima di rigirarsi verso quelle persone, il colonnello lanciò un’occhiata a ciascuno dei suoi uomini.
Per quanto Falman avesse l’espressione dolorante in lui era presente una grossa determinazione a non farsi vedere in difficoltà da quelle persone: il fatto di essere seduto, con la sola giacca insanguinata a coprirgli il torace fasciato, non gli levava alcuna dignità e la schiena era perfettamente dritta. Accanto a lui stava Havoc, la giacca aperta a far vedere la maglietta nera, aderente al petto muscoloso: il sottotenente si stava accendendo una sigaretta, cosa che Mustang accolse con un mezzo sorriso; chissà che effetto avrebbe fatto a quelle persone vedere la cenere cadere sui loro preziosi tappeti; poi, dall’altra parte della sedia, c’era Fury, quello che al proprio processo aveva fissato il giudice come un topo fissa il serpente che lo sta per mangiare… ora gli occhi scuri esprimevano solo tanto disprezzo per quelle persone. E per far arrivare una persona buona come il sergente ad un punto simile ci si doveva davvero mettere d’impegno.
E l’hanno fatto attaccando le persone che lui ama come una seconda famiglia…
Breda stava impassibile a braccia conserte, ma Mustang notò che si era messo strategicamente accanto tra il sergente e Riza, quasi a fare da sostegno ad entrambi: di certo il rosso se la stava godendo un mondo a dimostrare che, in realtà, lui non aveva mai tradito il proprio superiore.
E poi Riza…
Anche tu ti stai chiedendo come abbiamo fatto a farci giudicare da persone come queste, tenente?
Sì probabilmente era questo il pensiero che attraversava la mente della donna, perché nonostante l’espressione marziale, si vedeva chiaramente una grande sorpresa nel profondo dei suoi occhi.
Davvero, come si poteva pensare che persone simili potessero dare giustizia ad Ishval?
Tutti questi pensieri durarono pochi secondi, ma rimasero bene impressi nella mente di Mustang.
La sua attenzione tornò quindi alle altre persone presenti nella stanza.
“Chi di voi fa da portavoce, signori?” chiese educatamente
Gli uomini si guardarono perplessi tra di loro, probabilmente sorpresi da quel tono gentile. Si erano sicuramente immaginati un atteggiamento diverso da parte di quell’uomo così pericoloso. Tuttavia dopo qualche secondo un uomo abbastanza anziano, che stava seduto al centro del tavolo, disse
“In un sistema democratico tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione, colonnello. Ma date le circostanze farò io da portavoce. Sono Andrew Lodder, presidente di questo augusto consiglio che rappresenta il popolo di Amestris”
“Benissimo, – disse sarcasticamente il colonnello – allora, dato che tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione, io Roy Mustang, farò da portavoce a tutti i soldati che sono qua fuori, dopo aver combattuto aspramente per la propria vita”
“Allora, se lei è il portavoce, i suoi uomini possono anche lasciare la st…”
“Loro non si muoveranno di qui. – la frase fu detta in tono sommesso, quasi un sibilo, ma bastò a far calare un gelido terrore su tutti gli esponenti del governo – Forse è meglio che mi spieghi: in questo momento voi non siete nelle condizioni di imporre nulla né a me né a loro. Qui comando io”
“Questo è un chiaro attacco alla democrazia! – si alzò in piedi il giudice con aria irata – Colonnello Mustang, lei si è reso colpevole di un gravissimo crimine nei confronti del paese!”
Mustang alzò gli occhi al cielo: si era dimenticato di quanto quell’uomo potesse essere irritante.
“Sottotenente Havoc, - disse – il giudice forse non ha capito che non deve parlare senza permesso: non è educato. Se succede ancora pensaci tu, chiaro?”
“Molto volentieri, signore” sorrise con aria cattiva il sottotenente
Ma a quanto sembrava il giudice non riusciva a tollerare che gli uomini da lui processati fossero così spavaldi nei suoi confronti.
“I suoi uomini erano stati graziati, colonnello! Ma dopo questo affronto la condanna per loro è inevitabile! Siete tutti destinati al patibolo!”
Senza nemmeno dire altro, Mustang fece un rapido cenno con la mano e Havoc si mosse.
Tu non sai quanto ho aspettato il momento in cui ti avrei avuto tra le mie mani, stronzo! – pensò il sottotenente mentre si avvicinava all’uomo – Adesso ti insegno io a condannare le persone a cuor leggero!
Arrivò davanti al giudice che, ostinatamente seduto nella sedia, quasi fosse simbolo di un potere che lo rendeva inviolabile, lo squadrava con disprezzo.
“Non provare a fare qualcosa, soldato” gli intimò l’uomo
“E chiudi il becco, idiota! - ritorse Havoc, facendolo alzare a forza e dandogli un pugno ben assestato in mezzo allo stomaco – Hai parlato anche troppo in questi ultimi giorni!”
Senza nemmeno un gemito, l’uomo si accasciò sulle ginocchia, piegandosi in due per il dolore. Il pugno di Havoc gli aveva letteralmente mozzato il fiato.
“Ecco fatto, signore” dichiarò il sottotenente, tornando al suo posto
“Grazie, Havoc – sorrise il colonnello – Allora, altri che hanno qualcosa da ridire, oppure possiamo andare avanti e parlare di questioni più serie?”
La dimostrazione di forza aveva avuto l’effetto desiderato e nessun’altro osò obbiettare.
Dopo dieci secondi di calcolato silenzio, Mustang riprese a parlare.
“Molto bene… dunque, recenti avvenimenti mi hanno portato a riflettere sulla validità di questa democrazia – mise particolare enfasi su quella parola – e sugli effetti che essa potrà avere nei confronti del paese”
“A cosa si riferisce, in particolare?” chiese l’anziano portavoce, congiungendo le mani sopra il tavolo
“Questioni militari, più che altro… non sono sicuro che i confini verranno ben protetti se si procederà alla condanna di tutti i soldati che hanno preso parte alla guerra di Ishval. Stiamo parlando di più di metà esercito”
“Ma certo, è chiaro che noi, uomini carenti di esperienza militare, possiamo aver mal calcolato l’esigenza di dare giustizia ad Ishval, rispetto alla sopravvivenza del paese”
Un’affermazione che andava a sfiorare l’ironia.
“Ditemi, che provvedimenti sono stati presi per Ishval?” chiese
“L’ha visto anche lei, colonnello: dare giustizia a quelle morti con la condanna di tutti coloro che vi hanno preso parte. Questo era inteso a far capire che a questo governo interessa che i crimini…”
“No, non intendevo questo. Volevo sapere che provvedimenti sono stati presi per aiutare quel paese a rinascere…”
“Ishval? – esitò l’uomo – Se devo essere sincero…”
“Avete confermato la bozza, fatta nel mese successivo la caduta di Bradley, in cui si permetteva al popolo di Ishval di tornare nelle loro terre?” chiese
“Uhm… non credo che sia stata presa in considerazione”
“Allora avete provveduto voi stessi a far riunire i superstiti e a migliorare le loro condizioni di vita”
“Non c’è stato tempo per…”
“Sicuramente avrete pensato a ricostruire almeno in parte quel paese, parte dello Stato di Amestris, e favorire la sua riqualificazione”
“Il primo gesto che si poteva fare per quel popolo era di condannare tutti voi!” disse un altro membro del consiglio
“Davvero? A me sembra invece che sia stato un gesto a favore esclusivamente vostro…  ora ditemi… perché nessun Ishvaliano era presente nella giuria dei processi? Almeno i rappresentanti avevano il diritto di stare a quel tavolo”
“Sono questioni pertinenti il governo…”
“Ma democrazia è il governo del popolo… gli Ishvaliani sono parte del popolo. No, decisamente qualcosa non mi torna… e a te, Breda?”
“Proprio no, signore. A me sembra solo che qui qualcuno stia cercando di salvarsi le chiappe” rispose il sottotenente con un sogghigno.
 “Colonnello Mustang, – disse un altro membro del consiglio, alzandosi e parlando per la prima volta – la situazione ci pare abbastanza chiara. Ci dica cosa vuole”
“Cosa voglio?” Mustang fece un’espressione di finta sorpresa
“Esatto: si può arrivare ad un accordo. – sorrise l’uomo in tono accondiscendente – Lei e tutti i suoi uomini riceverete la grazia e verrete reintegrati. Dato che, come ha sottolineato, siamo carenti in questioni militari, le offriamo il comando delle forze armate del paese… in questo modo i confini saranno sicuri. E poi ci assicureremo che per Ishval vengano presi i migliori provvedimenti, magari  con la sua stessa supervisione. Del resto, lei deve anche pensare a quanto sarebbe destabilizzante per il popolo vedere un repentino cambio di governo, dopo poco più di un anno dalla caduta di King Bradley”
Mustang guardò con attenzione quell’uomo relativamente giovane.
Ecco il tentativo di corruzione… mi sembrava strano che mancasse.
Il suo silenzio venne interpretato come l’inizio di un cedimento.
“Suvvia, colonnello, tutti hanno un prezzo… e sono sicuro che è la soluzione più conveniente per tutti”
“Quelli dietro di me sono i miei uomini…” iniziò
“Beh ci saranno ovviamente posti di riguardo anche per…” ma la mano alzata del colonnello lo bloccò
“… mi hanno seguito con totale fiducia e abnegazione per anni, credendo nelle mie capacità e nella mia volontà di cambiare il destino di un paese distrutto. Una di loro ha visto l’inferno di Ishval con i suoi stessi occhi, seppellendo un bambino senza nome il giorno in cui si festeggiava la fine della guerra. Un altro ha rischiato di perdere l’uso delle gambe per combattere contro qualcosa di così pericoloso che voi non potete nemmeno immaginare… per seguire me. Lui – indicò Breda – non mi ha mai tradito perché, nonostante sia un genio che poteva camminare da solo, credeva nelle mie ambizioni, nella volontà di non far capitare mai più un errore grave come la guerra civile. Quell’uomo seduto è tornato da me nonostante il destino ci avesse separato… ha detto di no a Briggs e nemmeno un’ora fa ha perso tantissimo sangue. Ma nonostante tutto si è alzato in piedi e ha stretto i denti per essermi accanto anche in questo momento. E lui… – il suo dito indicò Fury – lui ha creduto in me perché anche se non aveva mai visto la guerra, aveva la speranza di un futuro in continuo miglioramento. E per me ha affrontato la trincea, il colpo di stato… perché ci credeva, non perché l’avevo corrotto.
E ora avete la faccia tosta, di chiedermi di voltare le spalle a tutti loro… per che cosa? Per un maledettissimo scranno a quel tavolo?”
Il tono di Mustang era così furioso che tutti i membri del consiglio si ritrassero: avevano giocato in maniera totalmente sbagliata. Tuttavia, dopo qualche secondo il colonnello riprese la calma.
“Ho visto e sentito abbastanza – dichiarò – E’ chiaro che questo governo non può e non deve rappresentare Amestris. Considerata la mia posizione di rappresentate delle forze armate, dichiaro sciolta quest’assemblea inutile e dannosa… si vede che questa tipologia di democrazia non va bene al paese. Assumo in questo istante la carica di Comandante Supremo, in attesa che essa venga ratificata dai generali degli altri settori di Amestris”
“Questo è un colpo di stato bello e buono!” protestò un consigliere, mentre tutti si alzavano in piedi increduli
“Sì, lo è. E voi non avete alcun potere in merito. Soldati – fece cenno alle guardie poste ai lati della stanza – scortate queste persone in un’altra stanza e sorvegliatele. La loro sorte verrà decisa in un altro momento e in un’altra sede. Appena possibile verranno trasferiti in prigione… sono certo che avranno modo di riflettere come abbiamo fatto noi in questi giorni”
 
“Che incredibili teste di cazzo! – commentò Havoc, non appena la porta si fu chiusa – Come si è trattenuto dal dargli fuoco, signore, ancora non lo capisco”
“E lei si stava facendo condannare da quei tipi là, colonnello” disse Breda con un sorriso sarcastico
“Si vede che ero proprio stanco, sottotenente – sorrise di rimando Mustang – del resto, con quei pasti schifosi che ci davano in prigione, non ero certo al massimo delle forze”
“Non mi sembra ancora vero. – sussurrò Fury – Signore, ma si rende conto che ce l’ha fatta? E’ davvero Comandante Supremo! E noi siamo tutti qui, con lei… non è questo che abbiamo sempre sognato? Ed è proprio come me l’ero immaginato!”
“Davvero ti eri immaginato una scena simile?” chiese Falman, con un sorriso
“Sì, signore… magari non pensavo ad una stanza simile – sorrise il sergente – ma che fossimo tutti insieme, beh quello sì!”
Mustang arruffò con tenerezza i capelli neri del ragazzo: ecco la versione corretta del sogno, quella che considerava l’aspetto più importante. Non c’erano divise pulite o uomini ordinati… ma erano insieme, dopo aver lottato a lungo.
“Adesso si dovrà affacciare al balcone, signore – suggerì Breda – l’esercito e là fuori che l’attende. E’ giusto che anche loro la possano festeggiare”
“Oh, allora aspettate un secondo. Maresciallo Falman, – chiese Fury – se non sbaglio questo palazzo prima era sede di un’ambasciata vero?”
“Cosa? Beh, sì… mi pare proprio di sì”
“Allora torno il più in fretta che posso!” scattò il sergente, correndo fuori dalla porta
“Ma che gli è preso?” chiese Havoc grattandosi perplesso la testa
Mustang scosse il capo con rassegnazione: non aveva la minima idea di cosa volesse combinare Fury. Poi volse la sua attenzione a Riza, l’unica che non aveva ancora parlato.
“Allora, tenente, - chiese in tono scanzonato – sei pronta ad essere di nuovo la personale assistente del Comandante Supremo?”
Lei sorrise, un sorriso così bello e sincero come mai le aveva visto fare. Sembrava anche di vedere una lacrima nell’angolo dell’occhio destro, ma con un cenno del capo se mai c’era stata, sparì.
“Adesso non potrà permettersi di oziare, signore. – lo ammonì, mentre cercava di sistemagli la divisa ormai completamente sbrindellata – Avrà molte più responsabilità”
“Oh, ma sono sicuro che mi aiuterai come sempre” sorrise lui
“Non posso certo permetterle di mantenere ancora determinati atteggiamenti, signore. Domani inizieremo a sistemare tutto quanto e…”
“Tenente, – rise il colonnello, mettendole l’indice sopra le labbra – tutto a domani… adesso hai solo l’ordine di essere felice e goderti questo momento insieme a tutti noi”
Con un sospiro la donna annuì, ma non riuscì a negarsi un altro sorriso.
“Eccomi, colonnello!” esclamò Fury, rientrando con un grosso fagotto verde tra le mani
“Dove eri finito?” chiese Havoc
“Se era un’ambasciata, allora sventolava anche la bandiera di Amestris – spiegò il giovane, spiegando in parte la stoffa verde tra le mani – e così mi sono fatto aiutare dalle guardie… per fortuna l’abbiamo trovata quasi subito!”
“E che ci vuoi fare con quella bandiera?” chiese Breda
“Signore – sorrise il sergente porgendola a Mustang – la vuole portare fuori con sé, nel balcone? E’ la nostra bandiera…”
Mustang la prese in mano, accarezzando quella stoffa.
Ambizione, orgoglio… tutto sparì davanti a quel verde. Rimase solo il desiderio di un giovanissimo soldato, davanti alla tomba del suo vecchio maestro d’alchimia: e quel soldato raccontava ad una giovane ragazza la sua speranza di poter un giorno migliorare il paese.
“E’ stata… una bellissima idea, sergente” ammise
Con i suoi uomini si incamminò verso quelle tende di velluto che lo separavano dal balcone e dalla folla. Quando allungò la mano per aprirle, si girò e vide che gli altri si erano fermati a rispettosa distanza, con Falman sostenuto da Havoc.
“Che succede, signore?” chiese Riza
“In quel balcone ci andremo tutti insieme” disse Mustang
“Cosa? – disse Falman – Oh no, signore… è lei il Comandante Supremo. E’ lei che le truppe aspettano”
“Questo Comandante Supremo non sarebbe nessuno senza i suoi uomini. Abbiamo vinto assieme, no?” scosse il capo il colonnello, facendo loro cenno di avvicinarsi. Tese una mano verso il centro.
Gli altri lo guardarono perplessi, e poi fu Fury il primo a interrompere l’esitazione, posando la propria mano sopra quella del suo superiore. E subito quella di Riza, Breda, Havoc e Falman seguirono l’esempio.
“Sul serio, ragazzi – mormorò il colonnello – grazie… grazie a ciascuno di voi”
“Grazie a lei per aver reso i nostri sogni realtà, signore” sorrise Riza
Rimasero così fermi, per interminabili secondi in cui ciascuno ripercorreva la propria storia, il proprio incontro con quelle persone così straordinarie che erano diventate fondamentali nella propria esistenza. Assaporarono il gusto di essere una famiglia unita e compatta, nel momento più bello della loro vita.
“Adesso direi che possiamo andare” sorrise infine Roy.
La pila di mani si disfece e per quell’incredibile sintonia che avevano, nessuno chiese disposizioni. Furono Fury e Breda i primi ad uscire in quel balcone, con la piazza colma di soldati che attendevano. La folla era festante, ma come li vide uscire si fece più calma, capendo che era arrivato il momento. Seguirono quindi Havoc e Falman che andarono a disporsi a destra, rispetto ai loro compagni…
“Ci siamo, colonnello” sorrise Riza, prendendo in mano la tenda
“Ci siamo, tenente” restituì il sorriso Roy, tenendo la bandiera stretta a sé
Ed insieme uscirono, con Riza che si manteneva un passo dietro al suo superiore.
Come vide il colonnello, la folla esultò, un boato incredibile se si considerava che quegli uomini erano stanchissimi dopo la battaglia. Ma non si poteva restare zitti davanti alla vittoria, alla rinascita.
Mustang guardò quelle centinaia di persone che lo acclamavano e il suo pensiero tornò a quel giorno lontano, ad Ishval, in cui aveva fissato il suo sguardo su Bradley, ripromettendosi di scalare la vetta
Il potere di una singola persona è molto limitato. Per questo farò tutto ciò che è in mio potere, per quanto limitato, per le persone a cui tengo. Chi sta sotto di me proteggerà chi sta sotto di loro. Noi, miseri umani, dovremmo riuscire a fare almeno questo.
Una progressione geometrica, eh? Ciò significa… che per proteggere l’intero paese, tu dovrai stare in cima alla piramide.
Immagino sia bellissimo trovarsi in quella posizione. Hughes, non penso di poter salire così in alto tutto da solo. Questo è poco ma sicuro.
Potrebbe essere interessante. Voglio far parte di quest’azione. Voglio vedere come il tuo ingenuo idealismo cambierà il paese.
“Adesso lo potrai vedere, Maes, - sussurrò – e spero che ne sarai felice”
Poi fissò di nuovo i suoi uomini, sorridenti e fieri, un passo dietro di lui.
Avrebbe dovuto fare un grande discorso, era questo che si faceva sempre in queste occasioni, no?
Avrebbe dovuto parlare dei cambiamenti, delle sue grandi speranze, dei sogni per il futuro che avrebbero realizzato tutti assieme.
Ma poi guardò la bandiera tra le sue mani e capì una cosa molto importante: era tutto in quel simbolo.
Non aveva bisogno d’altro.
Facendo un ultimo passo verso la balaustra, alzò la bandiera col pugno destro, liberandola e permettendole di sventolare fiera nella luce del tramonto. Il drago argento sembrava volare nel campo verde, verde come la speranza che aveva appena riacceso nel cuore del paese
“AMESTRIS!” gridò con tutta la forza che aveva in corpo
“AMESTRIS!” ruggì la folla, in risposta.
Ma soprattutto sentì le cinque voci squillanti dietro di lui: non ebbe bisogno di girarsi per capire che tutta la sua squadra aveva alzato il pugno in aria in segno di vittoria.
“AMESTRIS!” ripeté ancora
E la folla lo seguì in quel meraviglioso inno di vittoria.
Era il tramonto del decimo giorno.
Ed era arrivato in cima, assieme alla sua squadra.
 
La radio trasmetteva musica classica, come sempre a quell’ora subito dopo cena.
Elicia dormiva già e Glacier si era seduta nel divano a rilassarsi. Su un vassoio nel basso tavolino davanti a lei stava la torta che avevano fatto quella mattina. La piccola aveva insistito affinché la conservassero per il signor Jean, che di certo sarebbe venuto a mangiarla.
Guardando la finestra, la donna si chiese che cosa fosse successo. Tutta la giornata era rimasta chiusa in casa, non osando uscire: la radio non aveva detto nulla, né la gente aveva riferito qualcosa… ma era anche vero che la sua casa era molto distante da quella piazza.
La musica classica si interrupe.
“Interrompiamo le trasmissioni per dare un annuncio a reti unificate. Oggi, 14 ottobre 1916, il governo democratico di Amestris è stato ufficialmente deposto dal neo Comandante Supremo Roy Mustang.”
Gli occhi della donna si dilatarono e le lacrime iniziarono a scendere.
Si alzò in piedi e andò accanto alla radio
“Il Comandate Supremo ha annunciato che i primi provvedimenti del governo saranno per Ishiv…”
Click
La mano della donna girò la manopola e la radio si spense.
Accanto all’apparecchio vi era una foto di due giovani soldati, l’aria furba e sorridente… entrambi bruni, uno con gli occhiali, l’altro con gli occhi scuri.
“Ce l’ha fatta, Maes… - sussurrò Glacier con un sorriso – ha realizzato il vostro sogno. Sono sicura che ne sei estremamente felice.”

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Capitolo 18
*** Epilogo. Il giorno dopo il decimo. ***


Epilogo. Il giorno dopo il decimo.

 


La mattina successiva tutta Central City era in fermento. La notizia del cambio di governo era stata divulgata la sera precedente e ora tutti si affacciavano sulle strade, ansiosi di commentare le ultime novità. C’era una strana forma di sollievo nella gente: il ritorno di un Comandante Supremo sembrava averli rassicurati ed il fatto che moltissimi militari circolassero per le strade, in atteggiamento completamente pacifico, faceva pensare quasi ad un giorno di festa.
Ma ancor più rassicurante era vedere di nuovo le vecchie bandiere sventolare dalle finestre e dai palazzi. Sembrava che chiunque ne possedesse una, sentisse l’esigenza di mostrarla al resto della gente dopo averla tenuta nascosta per così tanto tempo.
Insomma era una città che si riconosceva dopo mesi e mesi passati in uno strano limbo.
Tra le altre cose era stata levata la censura a radio e giornali e dunque le notizie sul nuovo Comandante Supremo si sentivano uscire da ogni finestra, da ogni bar. Tutti conoscevano Roy Mustang: era qualcuno di cui si potevano fidare. Perché la gente di Central City era fatta così: aveva bisogno di determinate certezze per poter andare avanti serena, e l’ex colonnello era proprio la persona indicata. Non era stato l’eroe della guerra civile? Non aveva cercato di aiutare l’amato Bradley durante il colpo di stato? Era questa la verità a cui faceva piacere credere.
Fu quindi questo il clima che trovarono i passeggeri del treno quando finalmente arrivarono in stazione, dopo quella sosta forzata che era durata quasi un giorno intero. Problemi di sicurezza: era stata questa l’unica spiegazione che i perplessi controllori avevano potuto dare, mentre erano fermi in mezzo alla campagna… ordini che venivano direttamente dal governo.
Edward Elric non perse tempo a sentire i pettegolezzi: uscì dal vagone come un uragano e corse disperatamente verso l’uscita della stazione.
Se fosse stato attento si sarebbe accorto delle vecchie bandiere che sventolavano per le vie della città o dell’allegria della gente, ma lui era così impegnato a lanciare maledizioni che non ci fece proprio caso.
Senza più il suo cappotto rosso, sostituito da un più anonimo cappotto marrone, l’ex alchimista d’acciaio correva per le strade, cercando di arrivare il più presto possibile alla piazza principale.
Sapeva benissimo di essere quasi ventiquattro ore in ritardo, eppure non voleva arrendersi all’evidenza che non era riuscito a fare in tempo. Il colonnello ed il tenente erano morti e lui non era lì a salvarli.
Da quando Breda l’aveva trattato in malo modo con quella telefonata, lui aveva dato di matto. A nulla erano valse le proteste di Alphonse e di Winry… ed il fatto che lui non poteva più usare l’alchimia.
In ogni caso quel bastardo di Mustang aveva bisogno di lui per essere salvato… cosa potevano anche solo pensare di fare quegli idioti dei suoi uomini?
“Maledetti! – disse a denti stretti – Col vostro stupido orgoglio l’avete fatto morire!”
Finalmente, alla prossima curva, sarebbe arrivato nella piazza. Non sapeva ancora cosa avrebbe trovato, ma era da quel punto che doveva partire per…
“Ma che cavolo…” ansimò, fermandosi di colpo
Non si ricordava affatto che in quella piazza, proprio al centro, ci fosse un carro armato imprigionato in quella che era una chiara dimostrazione di alchimia. Con passo lento e occhi sgranati si diresse verso quell’impressionante monumento e lo sfiorò con la mano.
Solo allora i rumori attrassero la sua attenzione e vide che, dall’altra parte della piazza, un gruppo di soldati stava iniziando a smontare quello che sembrava essere un grosso palco. E tra le figure ne riconobbe due.
“Tu… maledetto!” sussurrò a denti stretti, facendosi avanti.
“Oh oh, ma guarda chi è arrivato… - sogghignò Breda, notando il giovane ormai a pochi metri da lui – Ehi Edward, te l’avevo detto che i treni avrebbero fatto ritardo”
“Ehilà, Ed! – salutò Havoc, levandosi la sigaretta dalle labbra – Arrivi a cose già fatte, mi sa”
“Maledetti! Come potete parlare così! L’avete fatto mori…”
“Ah, mi era sembrato di riconoscere queste grida… Acciaio, proprio non riesci a moderare i toni, vero?”
Ad Edward si fermò il cuore per alcuni interminabili secondi. Dovette fare uno sforzo per girarsi verso la voce che aveva appena parlato.
Avanzava verso di lui, con la divisa pulita, i capelli neri e fini leggermente scossi dalla brezza d’ottobre e il sorriso sarcastico sulle labbra. Appariva leggermente pallido e stanco, come se fosse da parecchio che non si concedesse qualche ora di sonno. E, a confermare il fatto che si trattasse proprio di lui, accanto c’era una soldatessa bionda, ancora più pallida e provata, coi capelli biondi stretti da quel fermaglio inconfondibile e gli occhi castani e profondi.
“Maledetto colonnello!” riuscì a dire Edward, nascondendo a malapena un sorriso
“Comandante Supremo, prego: – lo corresse Mustang, alzando la mano guantata – nelle ultime ore ho fatto un salto di gradi notevole. Avresti dovuto informarti.”
“Ma lei… lei ed il tenente dovevate essere impiccati ieri mattina!”
“Ah, quella storia. Scusa, Breda, ma non avevi detto ad Acciaio che ci avreste pensato voi?”
“Io gliel’ho anche detto, signore, – scrollò le spalle il sottotenente – ma qualcuno ha manie di protagonismo, anche peggio di lei”
“Ma insomma! – sbottò Ed – Che cavolo è successo qui?”
“Semplicemente quello che ti ho detto: - spiegò Mustang con pazienza - ci hanno pensato i miei uomini a liberare me ed il tenente… e con loro ho rovesciato il governo ed ora sono Comandante Supremo: è incredibile cosa si possa fare in nemmeno una giornata, vero?”
Ed rimase a bocca aperta, spostando lo sguardo da Havoc e Breda al colonnello, anzi Comandate Supremo, ed il tenente… che aveva un sorriso divertito sul viso.
“Edward, - spiegò con gentilezza Riza – io e il Comandante Supremo abbiamo la fortuna di avere uomini fedeli ed eccezionali accanto a noi. Ci hanno salvato in tutti i modi possibili… era una battaglia esclusivamente nostra. Non spettava a te combatterla: tu ed Alphonse avevate già fatto la vostra parte.”
“Però apprezzo l’interessamento, anche se ho ancora qualche sospetto che tu in realtà sia venuto qui per assicurarti che ero morto davvero; – sorrise ironicamente Mustang – in ogni caso, come ricompensa, ti pagherò la notte in albergo ed il biglietto di ritorno per la tua Resembool. Mi dispiace che tu sia venuto qui proprio in questo momento… sai, ci sarà così tanto da fare in questi giorni: la mia nomina ufficiale, la questione di Ishval, i confini poco sorvegliati… il tenente mi ha già imprigionato per i prossimi mesi a venire”
Fece la solita smorfia tra il rassegnato ed il rammaricato, come a supplicare il tenente di concedergli la possibilità di fuga da tutti quegli impegni. Ma Riza si limitò a guardarlo con aria severa.
“Signore, le ricordo che oggi ha un sacco di lavoro da sbrigare: tra poco dobbiamo…”
“Certo, ma lo faremo davanti a una colazione abbondante: ricorda che devi ancora riprenderti, tenente”
“Sono perfettamente in grado di gestire…”
“Mi premurerò di controllare personalmente. In ogni caso, Havoc, Breda, assicuratevi che la rimozione di questo dannato palco proceda spedita. Voglio la piazza libera entro stasera… prima di riprendere possesso del quartier generale è il caso di sistemare tutto quanto in questo posto”
“Sarà fatto, signore” assicurò Havoc
“Avete visto Fury? Avevo bisogno di lui: i telefoni in questo dannato palazzo fanno davvero schifo”
“E’ andato a trovare Falman in ospedale”
“In ospedale? – chiese Ed preoccupato, riscuotendosi – Che gli è successo?”
“E’ rimasto ferito nella battaglia di ieri sera, – disse Riza – ma per fortuna non è nulla di grave, anche se ha perso molto sangue. I medici hanno detto che in una settimana potrà essere dimesso”
“Potresti andare a trovarlo, che ne dici fagiolino?” lo prese in giro Breda
“Sì, di certo lui ti darà un ampio resoconto… ha un sacco di tempo libero, anche se credo che Fury gli avrà già procurato decine di libri”
“Fagiolino a chi? – scattò Ed, contro il sottotenente rosso – Proprio lei che…” ma si dovette fermare davanti allo sguardo sicuro di Breda che sembrava sfidarlo
Andiamo… chi è che non ce la poteva fare senza di te? Riconosci o no la forza della nostra squadra?
Questa silenziosa contesa durò per una decina di secondi e alla fine Ed si arrese.
“Credo che andrò a trovare il maresciallo” annunciò con stizza
“Perfetto, – scrollò le spalle Mustang – se vedi Fury digli che lo sto cercando… Rassegnati, Acciaio, sarai destinato ad avere me come capo del paese”
“Che fortuna… eh…” commentò imbronciato Ed
“Passa qui stasera, – gli disse il Comandante Supremo con un sorriso – in fondo un posto a tavola si aggiunge senza problemi”
L’ex alchimista fece un sorriso sarcastico prima di fare un cenno di saluto e volgere le spalle al Comandante Supremo e ai suoi uomini.
Maledetto colonnello – pensò soddisfatto – e pensare che ho fatto due giorni in treno per salvarlo… Dovevo saperlo che l’erba cattiva non muore mai. Adesso Winry si infurierà ancora di più.
Già, doveva pensare anche a chiamare lei ed Al… per dare loro le splendide notizie.
Ma probabilmente le avevano sentite alla radio prima di lui.
Era sempre colpa del colonnello…
 
Rimasti di nuovo soli, Breda ed Havoc ripresero a dirigere le operazioni di smontaggio del palco.
Mentre un soldato passava accanto a loro con una carriola carica dei detriti di legno della forca, Havoc gli fece cenno di fermarsi: con sguardo curioso frugò tra quei pezzi di legno, cercando quel bagliore grigio chiaro che l’aveva attratto all’improvviso.
“Ma tu guarda, – sorrise tirando fuori una scheggia di legno di una decina di centimetri con incastonato un proiettile – questo mi sa che lo tengo come ricordo. Del resto è stato il mio tiro perfetto”
“E così è fatta: – sospirò Breda, mentre il compagno si affiancava a lui, e tornavano a guardare quel palco che, trave dopo trave, scompariva – non mi sembra quasi vero. I nostri sogni di una vita sono finalmente realtà… e tutto in così poco tempo. E’ incredibile: lavori per anni, ma alla fine ti giochi tutto in pochissime ore”
“E’ un po’ come sparare: posso provare un tiro per tantissime ore al poligono, ma quello che conta è che mi esca bene quando è davvero necessario. Ma fa un certo effetto pensare che ora siamo qui, questo te lo concedo… credi che le cose cambieranno?”
“Tra noi sei? – sorrise Breda, avvertendo una lieve nota di preoccupazione nella voce di Havoc – Jean, anche se avrà dei gradi in più sulla spallina, come tutti noi, quello resta sempre Roy Mustang. Tra noi non cambierà assolutamente nulla, fidati. Altrimenti non sarebbe certo venuto a parlare con noi in questo momento”
“Voleva solo rimandare il lavoro” sogghignò Havoc
“Dimostrazione che non cambierà mai. Ma nonostante tutto sarà il miglior Comandante Supremo che Amestris abbia mai avuto, questa è una certezza”
“Su questo non ho mai avuto dubbi neppure io” sorrise Havoc guardando compiaciuto quel proiettile grigio che ancora teneva in mano
 
Fury correva per le vie di Central, affrettandosi a raggiungere il palazzo governativo, sede provvisoria del Comandante Supremo fino a quando il Quartier Generale non fosse stato rimesso a nuovo.
Sperava che il suo superiore non si arrabbiasse troppo per la sua assenza prolungata, ma la verità era che non se l’era sentita di andare subito via dall’ospedale: si sentiva tanto in colpa per quanto era successo a Falman… anche se sarebbe stato accanto al maresciallo in ogni caso. Fortunatamente, con una fasciatura decente e un pigiama dell’ospedale, l’uomo stava decisamente meglio rispetto alla sera prima quando, dopo i festeggiamenti nel balcone, era quasi svenuto tra le braccia di Havoc. A posteriori era stata una follia permettergli quello sforzo, ma se lo stesso Falman aveva rinunciato alla sua preziosa razionalità per almeno una volta… voleva dire che ne valeva davvero la pena.
Comunque, se si sbrigava con il lavoro, contava di tornare a trovarlo anche quella sera stessa e…
“Mi scusi, – chiamò una voce, mentre ormai era in prossimità del palazzo – dovrei chiederle un favore”
Fury si girò, perché nonostante la fretta lui era comunque un ragazzo educato, e si trovò davanti una donna con una bambina accanto che reggeva un pacco tra le mani
“Mi dica, signora” disse rispettosamente, rispondendo al sorriso della bambina
“Sto cercando il Comandante Supremo… sono Glacier Hughes”
“Oh! – si sorprese Fury – Ma certo, signora, venga con me! Il Colonn…eh, Comandante Supremo sarà felice di vederla”
“E tu chi sei?” chiese la bambina
“Mi chiamo Kain Fury – rispose lui – e sono un aiutante del Comandante Supremo”
“Ciao Kain, io sono Elicia”
“Lo so, mi hanno parlato di te”
“Senti, conosci il signor Jean? Devo dargli la torta che ho fatto assieme alla mamma”
“Più tardi Elicia, – sorrise la donna – magari ora il signor Jean è occupato”
“In ogni caso, venite con me” sorrise il sergente, porgendo la mano alla bambina
 
“Allora, signore, deve assolutamente prendere visione di…”
“Ma perché tutto non si può risolvere con un po’ d’azione! – protestò Mustang – Documenti, documenti, documenti! Dì la verità, tenente, li hai fatti apparire dal nulla per indispormi”
“Signore, - lo rimproverò la donna, appoggiandosi allo schienale della sedia, con aria seccata – deve rendersi conto che ora ha la responsabilità dell’intero paese”
“Già – mormorò lui, fissando pensieroso la grande finestra da cui si poteva vedere tutta la piazza – mattone per mattone… ce ne vorrà per ricostruirlo”
Riza lo fissò in silenzio per qualche secondo
“Signore, lei non dimentichi mai che non è da solo ad affrontare tutto questo. Tutti noi vogliamo contribuire a mettere questi mattoni” disse infine con un sorriso
“Dieci giorni…”
“Che?”
“Sono bastati dieci giorni per cambiare così tanto… è iniziato quando ho preso la decisione di salvare tutti i ragazzi dalla forca. Era esattamente dieci giorni fa che Fury veniva processato… è stato come aver lanciato una palla di neve dalla montagna: è diventata una valanga”
“Un’ottima valanga, signore: ci ha permesso di capire davvero dove sta la nostra redenzione. Avevano ragione a rimproverarci: la nostra era solo una fuga”
“Non scapperemo più”
“No, questo è sicuro”
“E so anche che non mi farai scappare da questi documenti – sospirò lui – va bene iniziamo e… avanti!” esclamò quando bussarono alla porta
“Scusi il ritardo, signore! – disse Fury entrando – ma io…”
“Sergente, era ora! – lo rimproverò con finta severità Mustang, lieto di avere un altro motivo per rimandare il lavoro burocratico – Non sparire più in questo modo”
“Mi perdoni, Comandante, ma ci sono delle persone che desiderano vederla”
“Ah sì?”
“Venga signora” sorrise Fury, facendo cenno alla donna di avvicinarsi
Mustang sgranò gli occhi e si alzò immediatamente dal tavolo
“Mi perdoni se sono venuta qui all’improvviso, signore” disse Glacier con tono di scusa, mentre una lacrima le colava sulla guancia
“Non deve nemmeno dirlo, - scosse il capo Roy, prendendole le mani tra le sue – venga, la prego”
“Mamma?” chiamò Elicia, perplessa davanti a quella persona che ricordava vagamente
“Tesoro… lui è l’amico di papà. Non lo riconosci? Eppure c’è in una foto nel tavolo del salotto: quella dove papà sorride abbracciato a lui”
“Elicia, ciao – salutò Roy, chinandosi verso di lei – senti, perché non vai a fare una passeggiata con il sergente? Così io e la tua mamma parliamo”
“E poi la vuoi assaggiare la torta che abbiamo fatto?” chiese lei speranzosa
“Ma certo” sorrise Roy, accarezzandole la guancia e facendola arrossire
“Vieni piccolina, - la chiamò Fury – ti porto a fare un giretto qui attorno”
 
A volte per i bambini è naturale provare immediata simpatia per determinate persone.
Il fatto che nemmeno dopo cinque minuti Elicia fosse comodamente seduta sopra le spalle del sergente, mentre uscivano dal palazzo, dimostrava come questa teoria fosse vera.
Alla bambina quel soldato piaceva in un modo diverso dall’amico del suo papà o dal signor Jean. Non si sentiva timida nei suoi confronti e gli sembrava quasi di avere a che fare con un suo coetaneo troppo cresciuto.
“Allora, c’è una fetta di torta anche per me?” chiese Fury
“Certamente!” sorrise la bambina affondando le sue manine nei folti e dritti capelli neri
“Sono sicuro che sarà buonissima”
“Oh… ma che stanno facendo?”
“Stanno smontando un palco” spiegò con gentilezza il sergente
“Un palco? E che spettacoli ci facevano?”
“Oh, cose brutte… non era uno spettacolo che piaceva alla gente, fidati”
Fury si fermò proprio davanti a quella struttura ormai quasi del tutto smontata: si sentiva il cuore così leggero al pensiero che non ci sarebbe stata mai più nessuna impiccagione. Gli sembrava così surreale l’idea che nemmeno dieci giorni prima lui veniva in questa stessa piazza a fissare con orrore la forca, cercando disperatamente un modo per salvare i suoi amici.
“Kain?” chiamò Elicia
“Dimmi”
“Hai visto che hanno messo la bandiera verde? Sai, era da tanto che non la vedevo”
“E’ la bandiera di Amestris: sai che animale è quello al centro?”
“Un drago! Però non è come i draghi delle favole… vedi che non ha le ali?”
“Si che le ha – sorrise Fury, mentre il vento faceva muovere la bandiera – guarda attentamente… vedi come gli spuntano quando c’è vento?”
“Vero! Allora è un drago magico!”
“Sì – ammise il giovane – e se ci credi davvero, quel drago ti farà salire nella sua groppa e volerà in alto, portandoti a vedere tutto il paese”
“Waaah! Davvero? E a te è mai successo?”
“Certo che sì! E scommetto che succederà anche a te!”
“Ma credi che anche lui sputi fuoco?”
“No, o se lo fa è solo per difendere tutti noi” spiegò Fury con una risatina tornando poi a fissare con orgoglio quella bandiera.
Perché il fuoco non è fatto solo per distruggere, ma anche per difendere le persone. Sono le nostre scelte che determinano il destino del paese.
Ed io voglio continuare a credere in questo drago… perché è in grado di farci volare davvero in alto.
 
Era la mattina del 15 ottobre 1916.
Esattamente otto anni prima, nel medesimo giorno, la guerra civile terminava, promettendo alla popolazione un periodo di pace dopo sette anni di violenza continua.
Ed in quel momento, mentre un sergente e una bambina fissavano incantati il drago argento che si agitava fiero per la brezza autunnale, Amestris risorgeva ancora una volta.
Dieci giorni e sei persone per cambiare il destino delle loro vite e di un intero paese.
Tutto perché durante una notte in cella, un uomo aveva deciso che quattro persone andavano salvate.
In fondo basta crederci davvero.






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nda
E così è finita questa ff che mi ha letteralmente preso sin da quando ho provato ad abbozzare il prologo. Ne sono successe così tante che anche a me pare passata un'infinità e non solo dieci giorni.
Sono felice di aver dato a questi personaggi una what if? che rendesse loro giustizia. Quelle dove Roy e Riza finivano impiccati, per quanto molto belle, mi lasciavano sempre il senso di rabbia addosso. Mi sono sempre detta che gli uomini della squadra non l'avrebbero mai permesso. Del resto sono d'accordo con quanto detto in questo ultimo capitolo: la redenzione non sta nella morte, quella era solo una fuga. E due persone come Mustang e il tenente non sono tipi da fuggire.
Spero tanto che sia piaciuta anche a tutti voi ^_^
Grazie per averla seguita

Un bacio

Laylath

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