Soul of the dead.

di Stay away_00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO. ***
Capitolo 2: *** Take his soul. ***
Capitolo 3: *** New life. ***



Capitolo 1
*** PROLOGO. ***


PROLOGO.

Era quell’esatto istante in cui si sentiva completamente svuotato, quell’istante in cui tutto cominciava a perdere significato. E ad acquistare una luce nuova, differente.
Tutto quello in cui credeva, quella sensazione disperata che gli nasceva al centro del petto, li, dove c’era il cuore, quell’organo che con il passare del tempo, a suo parere aveva assunto un simbolismo bizzarro. Ma in quel momento non avrebbe saputo come meglio definirlo;
Il suo cuore si stava strappando.
O meglio, sentiva dolore, un dolore a cui non riusciva a dare un nome, forse il termine umano per quel sentimento era: Tradimento.
Si sentiva tradito, non sapeva cosa fare o come venirne a capo, sapeva che era una brutta idea anche cercare di fermarlo.
Anche il “tradimento” faceva parte della sua punizione.

 Aprì gli occhi e all’improvviso la luce lo investì.
“Sono di nuovo a casa.”
Fu quello il suo primo pensiero, quello irrazionale, quello aspettato, quello che più bramava, ma ovviamente era solo un pensiero, infondato e stupido, un pensiero che poteva essere stato formulato soltanto da qualche ingenuo e lui non lo era di certo, sapeva di non essere a casa, sapeva che non sarebbe tornato a casa per oltre sessant’anni.
A quel punto decise di guardarsi intorno, quello che lo aveva accecato non era la luce che emanava il posto da cui proveniva, ma soltanto un sole abbagliante di metà giugno, si guardò intorno, e notò che si trovava in una stradina di campagna, per lo più isolata. Vedeva qualche abitazione più in la, probabilmente qualche fattoria
Rivolse nuovamente uno sguardo a quella sfera dorata, poi alla terra su cui camminava, e inevitabilmente, delle lacrime cominciarono a rigargli il viso, proprio come se fosse un bambino.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Take his soul. ***


 CAPITOLO UNO.

 Scottdale, Arizona. 2010.

 Il suo cuore batteva veloce, forse troppo veloce. Aveva il terrore, che gli sarebbe volato via dal petto, come usava spesso dire, ma, specialmente, aveva il terrore che in quel momento stesse sognando.
Un sogno bizzarro, di quelli da cui non desideri svegliarti, ma allo stesso tempo sai che è giusto, assolutamente giusto svegliarti.
Ma i suoi occhi erano aperti e vigili, scorrevano da Edgar alla porta, più e più volte, soffermandosi, ovviamente sul ragazzo che in quel momento si stava guardando allo specchio con aria stanca. Forse sarebbe persino riuscita a capirlo se non fosse stata tanto presa dal fatto che voleva assolutamente andare a quella festa con lui.
Non capiva se voleva mettere in mostra il suo “non ragazzo” o… suo fratello. Doveva prepararsi alle occhiate di quelle quattro ochette che si trovavano in classe con lei, doveva preparasi a sentirsi stringere il cuore ancora e ancora.
Perché si, lui era suo fratello, e lei lo amava, lo amava con tutte le sue forze, incurante di quello che sarebbe successo di li a poco, ignara del destino che la aspettava.
Le sue labbra erano schiuse in un sorrisetto ebete da ormai pochi minuti, mentre studiava quella persona che aveva visto e rivisto ormai da anni.
Conosceva alla perfezione i lineamenti dolci del suo viso, gli occhi verdi - che entrambi avevano ereditato da sua madre – quegli occhi che la guardavano come se esistesse solo lei, come se entrambi fossero fuori dal mondo e forse era proprio così, si trovavano nel loro universo personale, si trovavano in quello strato di paradiso riservato solo a loro.
Avrebbe potuto continuare ripensando alla morbidezza delle sue labbra rosee e piene, oppure alla lucentezza dei capelli lisci e neri, che lui aveva ereditato da suo padre, avrebbe potuto ripensare alle spalle larghe a cui si era aggrappata quando era ancora bambina, oppure alla sicurezza che lui gli trasmetteva, ma i suoi pensieri furono interrotti da una mano che si poggiava delicatamente sulla sua spalla e dal sorriso di suo fratello.
La ragazza, Maya, quello era il suo nome, a quel punto si riscosse e si mise in piedi, sopportando lo sguardo di disappunto che gli aveva lanciato Edgar. La gonna troppo corta, o la camicia con troppi bottoni sbottonati, ma lei finse di non farci caso e saltello dalle camera del ragazzo sino alla porta di ingresso, dove salutò i suoi genitori con un lieve cenno della mano  e poi saltò sulla moto di suo fratello.

 Arrivarono un un’oretta di ritardo, ma la cosa non gli interessava, e non sembrava interessare nemmeno a suo fratello, dato che si era precipitato vicino al buffet e aveva cominciato a mangiare, mentre lei si guardava intorno, vagamente intimidita dalla musica a palla e dal fatto che non conoscesse quasi nessuno.
A quel punto cominciò a gironzolare in giro, sino a quando non incontrò uno dei suoi compagni di classe, un certo Michael Freeman, o qualcosa del genere, non ricordava bene il suo nome, infondo non era una di quelle persone che aveva sempre fatto caso a lei, ne uno di quelli che la prendeva in giro, era solito ignorarla e quella cos aquasi le faceva piacere.
Ma quella volta non la ignorò, anzi, le posò una mano sulla spalla e le rivolse un sorrisetto benevolo, mentre la salutava.
Maya in un primo momento si ritrovò completamente impreparata, non sapeva cosa fare, o come comportarsi. Voleva dirgli qualcosa ma le parole erano bloccate in gola, quindi gli rivolse semplicemente un sorrisetto timido.
Il ragazzo la portò vicino al tavolo e gli chiese se desiderava qualcosa da bere. La ragazza scosse il capo e rimase in silenzio.
Si sentiva stupida, non riusciva a spiccicare parola, o forse non voleva farlo. Era andata a quella festa per stare con suo fratello, ma lui sembrava scomparso nel nulla, sembrava quasi che si fosse dimenticato di lei, come facevano mamma e papà.
Quel pensiero le fece salire le lacrime agli occhi e tirò su col naso, portandosi una mano davanti alla bocca e singhiozzando appena.
Non era mai stata una ragazza forte, piangeva per un non nulla e si sentiva sempre cadere a pezzi quando ripensava ai suoi genitori.
Forse per quello non si era accorta che il ragazzo aveva cominciato a spingerla verso il bagno e che le aveva detto che l’avrebbe aiutata.

Lei non voleva il suo aiuto. Voleva l’aiuto di Edgar, ma lui non c’era. Lui non c’era.
Scosse appena il capo e si asciugò le lacrime lungo le guance, guardandosi intorno con aria spaesata.
Si trovava in un piccolo bagno, probabilmente quello di servizio. Le pareti erano rosa perlato e ti dava una sensazione di sconforto, come quelli delle principesse nei cartoni Disney.
-Oh… -
Era la prima cosa che le usciva dalle labbra da quando era entrata in quel posto, non si era neanche accorta di come ci era arrivata, ma alla seconda occhiata scorse la figura di Michael di fronte a lei, che le porgeva un po’ di carta igienica.
-G-grazie… -
Seconda parola, non aveva intenzione di dire altro. Afferrò la carta e si asciugò un’altra lacrima, poi, istintivamente mise il groviglio nella tasca dei jeans e rivolse un altro sorriso al ragazzo.
Era arrivata da meno di dieci minuti e già aveva intenzione di andare via. Era stato un grosso errore andare a quella festa, era stato un grosso errore convincere suo fratello, usando la scusa che si sarebbe divertita, non era vero. Lui non c’era, l’aveva lasciata sola e non vedeva l’ora di rinfacciarglielo, per farlo sentire in colpa. Così dopo l’avrebbe abbracciata e l’avrebbe fatta sentire protetta.
Posò la mano sulla maniglia della porta, ma la trovò bloccata. A quel punto si irrigidì e sentì il sangue gelarsi nelle vene.
-E’ chiusa… -
Disse con un filo di voce al ragazzo alle sue spalle. Poco dopo sentii una manciata di risatine, che non potevano appartenere ad una sola persona. Quando si voltò vide Michael in compagnia di altri due ragazzi, probabilmente più grandi, di cui non conosceva il nome.
Maya si appiattì contro la porta mentre i tre cominciavano ad avvicinarsi.
-Ho sempre pensato che fossi un bel bocconcino, ma purtroppo il gatto ti ha mangiato la lingua… -
Sussurrò accarezzandomi la guancia, sentivo l’odore del suo alito e in quel momento pensai che era rivoltante.
Dov’era Edgar?
L’altro invece fece per abbassarle una spallina della maglietta e quasi istintivamente la mano della donna scattò alla sua guancia, procurandole un graffio con l’anello d’acciaio che si era comprata qualche settimana prima.
-Aiuto! –
L’urlo della ragazza ruppe il silenzio che si era andato a creare in quella stanza. Cominciò ad urlare e urlare ancora, sino a sentirsi mancare il fiato. Urlare come urlava soltanto con suo fratello e dopo un tempo che sembrava interminabile, dopo che quei ragazzi l’avevano toccata nel modo in cui non aveva mai fatto nessuno, sentì la voce di suo fratello dall’altra parte della porta.
-Cazzo. –
Sibilò Michael riabbottonandosi i pantaloni e scappando dalla finestrella che dava il terrazzo.
I due ragazzi osservarono ancora per qualche secondo la ragazzina che piangeva in un angolino vicino alla porta e cercava di tenersi su la maglietta semi strappata, poi seguirono il compagno.
In quel caso Maya non sapeva cosa fare, restò ancora qualche minuto a sentire la voce di suo fratello che gli intimava di aprire la porta.
Si lasciò sfuggire un singhiozzo, mentre faceva ciò che lui le aveva detto.
Edgar rimase qualche secondo ad osservarla, poi entrò in bagno e si chiuse la porta alle spalle, stringendo con forza a se sua sorella, e sussurrandole che andava tutto bene. Poi si sfilò il maglioncino che aveva indossato sopra la camicia bianca e glielo porse, poi la ragazza si asciugò le lacrime e lo indossò.
-Mi dispiace tanto… -
Mormorò lei, stringendosi al braccio del ragazzo, come se fosse la sua ancora di salvataggio, e forse era proprio così.

 Erano le 11; 23 di sera, si trovavano in macchina, diretti verso casa e  suo fratello le stava facendo la predica, dicendole che era stato stupido da perte sua andare insieme a quel ragazzo, e che non capiva cosa le fosse preso. Dicendole che aveva rischiato uno stupro e che non poteva credere di amare una donna tanto idiota e distratta, che aveva rischiato grosso e che quella volta se l’era cavata solo perché c’era lui.
La ragazza voltò lo sguardo sul fratello che la stava osservando con aria severa, senza fare a meno di contemplare i suoi occhi verdi, non sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrebbe visti.

 -Edgar, attento! –

 Maya si accorse solo all’ultimo secondo dei fari dell’altra auto, non si accorse nemmeno dello schianto e della sensazione di vuoto che le aveva attanagliato lo stomaco.
Non si accorse di nulla, se non del nero che mano a mano la circondava. Ma prima di svenire riuscì a lanciare un’ultimo sguardo a suo fratello.
Un urlo soffocato seguì il rumore che era scoppiato poco prima.
Lui non respirava.

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Capitolo 3
*** New life. ***


CAPITOLO 2.

 Scottdale, Arizona. 2013.

 Padre…per favore, per favore, non fami questo.”
Quelle parole erano state vane per Samael, Lui non lo aveva ascoltato.
Lo aveva costretto a scendere su quella terra, lo aveva costretto a scegliere un corpo e a mimetizzarsi in quel posto, a vivere sessant’anni da umano, per comprendere la vita che lui aveva creato, per compredere quello che realmente poteva significare essere una creatura di Dio senza ali, senza poteri  e lui era uno dei primi angeli.
Lui che aveva scelto Dio e allo stesso tempo ripudiato l’umanità in quel momento si trovava in quel posto sconosciuto, con il viso rigate di lacrime calde e egoistiche. Lacrime di nostalgia e vergogna.
Si ritrovava in quel luogo sconosciuto, muoveva un corpo che non era il suo. Che non possedeva i suoi occhi fatti di rubino liquido e i suoi capelli neri come la pace. Quella era stata la trasformazione che aveva avuto al momento della sua scelta. I suoi occhi erano diventati rossi, come il sangue che in futuro avrebbe versato e i suoi capelli neri, come il buio che aveva circondato la sua anima, ma suo Padre aveva continuato a sperare, aveva continuato a rischiare, sino a quando lui non aveva passato il limite.
Punito.
Come se fosse un bambino disubbidiente, come se fosse un angioletto alle prime armi.
Scosse il capo, osservandosi le mani e i piedi nudi. Possedeva il corpo di una vittima di un incidente, era stato lui a scatenarlo, non sapeva perché ma quell’umano lo aveva attratto.
Edgar.
Era quello il suo nome. Aveva udito la ragazza, che doveva essere la sua fidanzata, urlare il suo nome, poi c’era stato il nulla e si era svegliato al centro di quella stradina.
Si guardò intorno con aria distratta, mentre continuava a passarsi il dorso della mano sulla guancia, come un bambino. E forse lo era, era un bambino, in quel momento non era quell’angelo potente che era stato un tempo, ma un banale umano alle prime armi con la sua vita.
Continuò a camminare per ore, o forse minuti, sino a quando non arrivò ad una piccola villetta, un po’ isolata ma molto – all’apparenza – accogliente. Possedeva un tetto giallo canarino e le mura dipinte di rosso sangue, sembrava una casa delle favole e se ne sentì improvvisamente attratto. Sapeva che era li che doveva andare.

 

“Ciao Ed… ti ricordi di me?
Sono Maya Morgan, tua sorella. Ricordi che noi non amavamo definirci in quel modo? Ci definivamo semplicemente amici, anche se intrambi sapevamo che eravamo qualcosa di più. Tu eri tutta la mia vita e quando te ne sei andato sono morta con te.
Ormai sono tre anni, fratellino. E a volte mi chiedo se tu mi osservi da lassù, se mi proteggi e mi ami come facevi una volta, oppure hai trovato un altro angelo?Hai trovato qualcuno da proteggere? Qualcuno per cui valga la pena lottare? Hai trovato la tua strada? Quella che dicevi che avresti cercato per tutta la vita? Ma… ma tu una vita non l’hai più ed è colpa mia, se non ti avessi convinto ad andare a quella festa. Edgar. Mi manchi così tanto. Mi mancano le nostre chiacchierate, mi mancano i tuoi abbracci e ho cercato di compensare con il tuo cuscino, sai? A volte lo porto nel mio letto e lo piazzo accanto a me sotto le coperte, fingendo che quello sia tu, fingendo che tu sia ancora con me e che in un modo o nell’altro tu stia ridendo a quel patetico tentativo di sentire meno la tua mancanza, a quel patetico tentativo di tornare alla realtà, alla nostra realtà. Ricordi il piccolo angolo di paradiso dedicato a noi? A volte i torni? A volte torni da me, Ed? Torneresti da me, per favore?
Non lo sopporto più. Non posso sopportare le persone felici, non posso  sopportare i fiori sulla tua tomba, non posso sopportare te. Ti odio Eddy. Mi impedivi di lasciarti solo, passavo il tempo a progettare la mia vita con te e poi sei tu quello che mi ha abbandonata. Non te lo perdonerò mai. MAI.”

 

 Maya sentì le labbra seccarsi. Il sole quella mattina era cocente e lei aveva passato la notte in bianco. Era la prima che passava senza la sua famiglia, la prima giornata da diciannovenne in quel nuovo mondo. Sapeva che per lei stava iniziando un nuovo capitolo.
Niente Edgar, niente lacrime, niente sangue.

 

 

Quel giorno provava a sentirsi viva, quel giorno provò a provava a capire e l’unica cosa che c’era da capire era che non si è mai soli, e lei non lo era mai stata.
Non aveva smesso neanche per un attimo di amare Edgar in quei tre anni, non aveva smesso neanche per un attimo di sperare e di pensare di poter morire da un momento all’altro, ma quel giorno lei tornava in vita. Quel giorno rinasceva, cercando di realizzare tutti i suoi sogni, tutte le sue aspettative, cercando di trovare una nuova ragione, anche se pensava nulla avrebbe mai rimpiazzato quella vecchia.
Aveva piazzato l’ultimo vaso di fiori ed era tornata in casa.
La sua casa con il tetto giallo e le mura rosse. Proprio come l’avevano sempre sognata lei e suo fratello, era la casetta in cui sarebbero dovuti andare a vivere una volta compita la maggiore età. Quel momento non era mai arrivato, ma non importava. Non importava affatto. Avrebbe vissuto per entrambi. Sia per lei che per suo fratello.
Si versò un bicchiere di limonata gelata e lo portò alle labbra, sentendo quasi immediatamente la gola rinfrescarsi e una sensazione di pace invaderla. Posò il bicchiere nel lavello e poi si spaparanzò sul divano, chiudendo gli occhi e sentendosi finalmente soddisfatta.
A quel punto sentì qualcuno bussare alla porta. Si sentiva spaesata, non aveva detto ai suoi genitori dove intendeva andare, ne cosa avrebbe fatto della sua vita, un giorno, era semplicemente andata via.
Doveva essere qualcuno che si era perso.
Era restia ad andare ad aprire la porta ma alla fine lo fece.

 Sentii la mano tremarle e le gambe che stavano per cederle, mentre le lacrime avevano cominciato quasi immediatamente a scorrerle lungo il viso.
-No… -
Mormorò, senza lasciare che il ragazzo – Edgar – proferisse parola, senza lasciare che potesse fare qualunque cosa, a quel punto gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò con forza, mentre continuava a tremare e singhiozzare.
Sino a quando due mani maschili non l’afferrarono per le braccia e la spinsero via e due occhi, che non sembravano affatto quelli di suo fratello non la guardarono con disgusto.
-Non ti conosco. –
Disse il ragazzo.

 

 

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