Bettings and Love

di PinkyCCh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - l'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ***
Capitolo 3: *** Stupida ***
Capitolo 4: *** Cambiamenti ***
Capitolo 5: *** Non sono una puttana ***
Capitolo 6: *** Conoscenze? ***
Capitolo 7: *** Betting and Love ***
Capitolo 8: *** La gelosia? ***
Capitolo 9: *** Ti proteggerò io ***
Capitolo 10: *** Scommessa svelata ***
Capitolo 11: *** Vendetta ***
Capitolo 12: *** Rivelazioni ***
Capitolo 13: *** Dimentica ***
Capitolo 14: *** Nuova vita? ***
Capitolo 15: *** Tu ed Io ***
Capitolo 16: *** Listen ***
Capitolo 17: *** Noi siamo l'amore ***
Capitolo 18: *** Dubbio ed Addio ***
Capitolo 19: *** Pensieri di uno stronzo innamorato ***
Capitolo 20: *** Epilogo - Do You Remember? ***



Capitolo 1
*** Prologo - l'inizio di tutto ***




- Prologo - L'inizio di Tutto -

 

Ho sempre cercato di passare inosservata durante tutti gli anni scolastici.
Non mi è mai piaciuto essere al centro dell’attenzione.
Da quando ho cominciato a frequentare il liceo, ho cercato di mantenere un profilo basso.
La mia missione era questa: arrivare al quinto anno senza problemi.
Tutto è filato per il verso giusto fino a quel fatidico giorno.
 
Volevo diplomarmi e fuggire per sempre dalla mia città: Taranto.
Questo era il mio sogno.
Frequentavo il quinto anno del liceo scientifico.
Nella mia scuola, come in qualsiasi altra scuola italiana, c’era un notevole variegato di esemplari umani.
Le scimmie, gli uccelli di terra, i pesci fuor d’acqua, i leoni predatori e poi c’era la categoria “x”, quella indefinibile: la mia.
Categoria detta dell’asociale.
Oddio avevo anch’io delle amiche, due per l’esattezza, ma mi bastavano. Linda e Katia.
Non avevo bisogno di altro.
Il mio mondo ruotava intorno alla scuola, le mie due amiche e la famiglia: era perfetto così.
Purtroppo, in ogni storia, accade sempre qualcosa di inaspettato e giustamente, capitò anche a me
 
 
“Elis, oggi abbiamo lezione con il professore Santoro, hai studiato?” mi chiese Katia preoccupata.
“Perché? C’era da studiare? Merda, merda, merda!” ovviamente dalla mia risposta capì subito che non avevo preso in mano il libro.
“Sì. Dieci pagina di letteratura, tesoro.”
“Oh Mamma mia. E adesso?” ero veramente agitata.
“Facciamo filone, così ci salviamo? Ce ne andiamo in villa Peripato, che ne dite?”
“No, non possiamo! Abbiamo già fatto troppe assenze, Kat.”
“Oh Elis, che pignola!” brontolò Katia.
“No Kat! Ha ragione Elis“ intervenne Linda in mia difesa.
“Lin! Non ti ci mettere anche tu, uffa! Come faccio se mi interroga?” piagnucolò Katia.
 
Alla fine decidemmo di entrare in classe e ovviamente fummo interrogate.
Il professore ci mise un bel due.
La giornata era cominciata male, ma finì peggio.
La ciliegina sulla torta arrivò, quando ci comunicò il suo progetto, una cosa del tutto inaspettata e che, ovviamente, avrebbe segnato per sempre il mio futuro.
“Ragazzi, ho deciso di creare dei gruppi di studio, in vista dell’esame di maturità.”
Avvertii nitido un brivido percorrermi la schiena.
Perché avevo un brutto presentimento?
Il professore continuò con il suo bel discorso “Dunque, i gruppi sono formati da due persone. Adesso vi comunicherò i nomi delle coppie che ho formato…”
Coppie? Era un lavoro a coppie? I gruppi di studio erano di solo due persone?
Il professore cominciò a leggere i nomi.
Linda e Katia erano capitate erano insieme.
Che fortuna sfacciata! E io? Con chi sarei finita?
Non feci in tempo a formulare questo pensiero che sentii Santoro nominarmi “Molinari e Blasi, insieme.”
Molinari e…Blasi?
“Mi tocca pure la secchiona, che cazzo.”
Mi girai di spalle per guardare la persona che aveva parlato.
Cazzo! Ero capitata con Nico Blasi.
Lo stronzo per eccellenza.
Aiutatemi!, pensai sentendomi crollare il mondo addosso.
 


***
Ragazzi, ci terrei davvero a consigliarvi una long romantica che personalmente AMO.
L'autrice è MandyCri  e la Long s'intitola: Un sacco di patate. L'amore non è bello se non è litigarello...

Iniziamo un'altra avventura!
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Capitolo 2
*** Primo giorno ***






 

- Primo Giorno -
 



“No, ma vi rendete conto? Devo fare coppia con Blasi, per tre mesi, tre lunghissimi mesi! Io mi chiedo, perché il professore non sfoghi le sue voglie perverse con la moglie, piuttosto che prendersela con noi studenti? Dannazione!” non ero affatto contenta e piagnucolando con le mie amiche.
“Elis calmati, magari andrà bene…?”
Andare bene? Come poteva andar bene se ero in coppia con il ragazzo più… più presuntuoso, arrogante, stronzo, menefreghista e bastardo dell’intero istituto? Era praticamente impossibile.
Sospirai, cercando d’inalare quanto più ossigeno possibile, per calmarmi
Nulla, sembrava andare per il verso giusto.
Dannazione! Ma perché doveva succedere proprio a me?
Avevo pianificato tutto per bene.
Avevo deciso di passare i miei cinque anni al liceo, in completo anonimato, proprio come in un tipico cliché da commedia americana.
“Molinari! Bellezza!”
Sobbalzai, ma non osai girarmi. Sapevo a chi apparteneva quella voce odiosa.
“Blasi…” sibilai a denti stretti “Cosa vuoi?”
“Come siamo scorbutiche!” mi rispose candidamente.
“Dici? Ma se sono così dolce!” replicai facendogli il versetto.
“Sì, come un marshmellow.  Ma che idea! Da oggi ti chiamerò Marsh!” mi prese in giro divertito “Comunque volevo solo comunicarti che ti aspetto a casa mia, alle 16:00 in punto. Non tardare.”
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere, che si era già dileguato con quella massa informe dei suoi amici.
 
“Ma che bastardo! Ma come si permette?” brontolai, rivolgendomi alle mie due amiche.
“Dai Elis, magari scoprirai nuovi lati di lui, non essere subito negativa.” provò a consolarmi Linda.
“Sì e magari vi metterete anche insieme, proprio come nelle favole!” aggiunse l’altra squinternata.
“Rimbambite. Sognatevelo!”
Salutai in quel modo le mie amiche e me ne andai quasi indignata.
Io e Blasi insieme? Ma quando mai? Ma che film avevano visto?
Il bello e dannato con la sfigata di turno?
Troppo scontato per essere vero ed io odiavo essere scontata.
Era la cosa che più detestavo al mondo.
 
 
“Mancano dieci minuti alle sedici ed sono già di fronte casa Blasi. Sono proprio una bimbetta senza spina dorsale.  Uffa!” mormorai tra me e me.
Ero proprio senza speranze.
Mi ero nascosta dietro un cespuglio e attendendo che arrivassero le sedici.
Si poteva essere così sfigate? Assolutamente!
“Che ci fai qui dietro?” la voce di Blasi mi fece sobbalzare.
Alzai il viso di scatto e ritrovai l’artefice dei miei incubi che mi fissava divertito.
“Ehm…” sussurrai. Che avrei dovuto dirgli?
“Niente, stavo parlando al telefono, tutto qui. Andiamo?” inventai quella scusa lì per lì, alzandomi di scatto e mostrando un lato “B” tutto sporco di fango.
“lo sai… sei tutta sporca di fango.” sorrise divertito.
Ecco appunto!“Oh, merda” sbottai.
“Forza, entriamo così ti presto qualcosa di mio” disse con gentilezza.
“Come? Cosa? No, no…” protestai. Ci mancava solo quello.
“Non c’è nessuno, tranquilla. Andiamo” mi rassicurò lui non riuscendo a togliersi dal viso quel sorriso divertito.
Mi limitai ad annuire, sentendo le guance imporporarsi per l’imbarazzo.
Seguii Blasi dentro casa, in religioso silenzio, quasi avessi terrore di rompere il precario equilibrio che si era creato.
Mi fece accomodare in salotto e mi disse di aspettarlo.
Iniziai a perlustrare la stanza. Era davvero bella.
Una tipica casa del sud, piena di decorazioni e mobili in legno. Lo stile era classico, ma rustico al tempo stesso.
Le pareti erano di un rilassante giallo crema.
Sembrava la tipica casa dei sogni.
“Prendi. Metti questi” mi disse Blasi, distogliendomi dai miei pensieri e lanciandomi una felpa enorme e un paio di pantaloni neri della tuta.

“G-grazie…” mugugnai imbarazzata.
“Quando finisci di cambiarti, dammi i vestiti sporchi che li metto in lavatrice e poi li passo in asciugatrice” ordinò.
Annuii. Mi spogliai velocemente.
Ero già in imbarazzo così. Ci mancava solo che qualcuno ci vedesse con me mezza nuda e pensasse che fossimo in atteggiamenti intimi.
Intimi? L’avevo pensato veramente? Oh Dio! volevo dire compromettenti.
“Hai finito?”
“U-uh..sì. Ecco tieni” gli porsi i vestiti sporchi evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
Lui li prese e scomparve, ancora una volta, dietro l’enorme porta che separava la sala dal corridoio.
Riapparve, dopo ben dieci minuti, con dei libri in mano.
“Pronta per studiare?”
Annuii. Non facevo altro quel giorno!
Ci sedemmo sul divano marrone, aprimmo i libri ed iniziammo a scegliere il primo argomento.
Fu più il tempo che passammo a ridere e scherzare di quello che passammo a studiare.
Non avrei mai creduto che Blasi fosse un essere umano! Lui, sempre avvolto da quell’alone di figaggine e mistero, era un comune mortale, proprio come me.
“Che ne dici di una pausa? Caffè?” mi chiese Nico stiracchiandosi e portando le braccia dietro il collo.
Un momento. Da quando lo chiamavo per nome?
“Sì, per me va benissimo” Risposi.
Lo vidi alzarsi e dirigersi verso la cucina che era separata dal salone da un arco.
Decisi di seguirlo, mi sentivo in soggezione a rimanere sola, soletta.
“Disturbo? Posso darti una mano, se vuoi…” Chiesi cercando di essere utile.
“Certo! Nel primo cassetto ci sono i cucchiaini.”
Annuii e seguii le sue direttive, trovando le posate.
 
 
 
Prendemmo il caffè chiacchierando e, in men che non si dica, arrivò sera.
Non mi ero resa conto che il tempo era volato così in fretta.
Gettai uno sguardo all’enorme orologio appeso alla parete della cucina.
“Oh cavolo è tardissimo! Sono già le 19:00! Devo scappare…” dissi con impeto.
“Vai già via?” mi chiese sorpreso.
“Sì, devo aiutare mio padre.”
“Ti accompagno.”
“No, no! Sta tranquillo. Ehm… i miei vestiti?”
Si alzò e si diresse verso il corridoio.
Tornò poco dopo con i miei vestiti e me li porse.
Mi rivestii in fretta e lo chiamai non appena fui di nuovo vestita.
Blasi mi accompagnò alla porta con un sorriso malizioso stampato su quella faccia da schiaffi che si ritrovava.
“Ehm… io vado allora. Ci si vede domani a scuola… Nico.”
“Certo Marsh… a domani!”
 

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Capitolo 3
*** Stupida ***




- Stupida -



 
Dopo quel pomeriggio ne passarono altri cinque, tutti piuttosto piacevoli, a parte qualche brutta battutina che, ogni tanto, Nico mi lanciava.
Ormai era diventato naturale per me chiamarlo per nome e non per cognome. Mi sembrava degno di potergli riservare tale onore.
Da quando avevamo iniziato il progetto di studio insieme, sembrava un’altra persona. Forse agli occhi degli altri, poteva apparire come il classico ragazzetto che cambiava a seconda della ragazza con cui si vedeva, ma non era il caso di Blasi. Almeno io non lo credevo.
Quel ragazzo era in grado di farmi saltare tutti i nervi del corpo, ma al tempo stesso, riusciva a farmi sorridere.
Scossi la testa, cercando di cacciare via quei pensieri sdolcinati dalla mia testa e mi accessi una Marlboro Light, le mie preferite
Inalai una boccata di fumo per rilasciarla, poco dopo, in una nuvoletta bianca. Quel piccolo movimento, mi rilassava. Sapevo che fumare faceva male alla mia salute, ma continuavo imperterrita.
Senza rendermene conto, ero arrivata davanti al cancello dell’istituto.
Alzai lo sguardo e mi ritrovai una massa informe di studenti.
Certo che di prima mattina, i ragazzi sembravano tutte scimmie-zombie.
Sorrisi per quel pensiero buffo.
 
“Buongiorno Marsh!”
Sobbalzai, quando avvertii un braccio cingermi le spalle. Alzai lo sguardo e vidi Nico che mi stava fissando con uno sguardo da pesce lesso.
“Cosa ti serve Nico?” dissi acida.
“Sei sempre così astiosa di prima mattina?”
Appunto, come non detto!
“Nico, ti prego, ho due ore di sonno, la prof di matematica oggi deve interrogare e sto attraversando il mio periodo buio del mese.”
“Periodo che?”
“Ho il ciclo, Nico!”
“Ecco come allontanare i ragazzi da te, Molinari. Molto raffinata.” Concluse staccandosi da quella specie di abbraccio.
“Almeno ha sortito l’effetto desiderato.” Ribattei, regalandogli un sorriso trentadue denti.
“Mi chiedo come facciano le tue amiche a sopportarti...”
“Io mi chiedo come faccia la sottoscritta a sopportare te.”
Nico inarcò un sopracciglio, fissandomi intensamente, cosa che mi fece perdere un battito. Che diamine voleva? Perché mi guardava così? E poi, perché si stava avvicinando a me in quel modo?
“N-Nico? Cosa vuoi?” E perché non rispondi? Avrei voluto aggiungere.
Arrivò ad una spanna dal mio naso, chinandosi leggermente. Sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie e istintivamente chiusi gli occhi, stringendomi nelle spalle e sentendo il sangue affluirmi alle guance.
Che stava accadendo? Mi morsi le labbra con forza, non appena sentii il fiato di Nico vicino al viso.
Deglutii a fatica, sentendo quasi la saliva graffiarmi la gola.
Nico mi scostò leggermente i capelli e fece un movimento strano con la mano.
Non appena avertii il corpo di Nico arretrare, aprii istintivamente gli occhi e lo ritrovai tutto sorridente mentre mi scrutava.
“C-che…?”
“Avevi un lombrico tra i capelli. Se si può definire lombrico quell’essere viscido, tra l’altro.”
Se in quel momento fossi stata un cartone animato giapponese, credo che la mia faccia potesse essere, tranquillamente, paragonata a quella di Bunny, la protagonista di Sailor Moon.
Ma che diamine mi era preso?
Scossi la testa, cercando di far sparire l’imbarazzo che mi aveva assalita.
Avevo fatto proprio la figura dell’allocca. Dannatissima me!
“Entriamo?” mi chiese gentile.
“Uh… sì!”
Ci dirigemmo verso l’entrata. Inutile dire che gli occhi di tutti fossero puntati su di noi. Fantastico!, pensai.
Proprio io che avevo sempre professato l’anonimato a scuola, stavo camminando fianco a fianco allo stronzo più popolare del liceo. Vaffanculo!
 
 
 
Per tutto il resto delle ore scolastiche, mi sentii osservata. Il motivo? Le mie compagne di classe mi lanciavano occhiatacce in continuazione. Il motivo era semplice: erano invidiose dello pseudo rapporto che avevo con Nico.
La cosa che, però, mi irritava era che tutti erano a conoscenza del motivo della nostra frequentazione.
Ma si sa che le donne, quando si tratta di “maschio figo”, perdono completamente il cervello e odiano ogni essere vivente che osa avvicinarsi al motivo del loro interesse o tormento. In questo caso a Blasi.
Mi passai nevroticamente le mani tra i capelli e ovviamente mi guadagnai un’occhiata sorpresa e perplessa da Linda e Katia.
 
“Elis, ma si può sapere che ti prende?” mi chiese Katia.
“E me lo chiedi anche Kath? Da quando faccio coppia-studio con Blasi, le ragazze, se potessero, mi ucciderebbero solo con lo sguardo. Ma guarda te in che razza di situazione mi sono cacciata!”
“Dai, è normale. È il classico ragazzo tutto muscoli e sex appeal. Le ragazze gli sbavano dietro, persino se si scaccola il naso!” rise Linda.
“Lin, tu sei sempre volgare. Che schifo!”
“Potrei sapere cos’avete di così importante da dirvi per non poter aspettare la fine dell’ora? Se è così interessante, fate partecipe anche il resto della classe!” Ecco, ci mancava la professoressa di matematica che ci sgamava.
“Nulla professoressa, non avevo capito un passaggio e Lin e Kath mi stavano aiutando…”
“Molinari, non dire scemenze! Sei tu che aiuti loro nella mia materia. Per questa volta, fingerò di non aver visto e sentito nulla. Torniamo alla lezione adesso.”
Finalmente la campanella suonò, decretando la fine delle lezioni, per quel giorno. Gli studenti si accalcarono tutti verso l’uscita, per potersela svignare il prima possibile da quel carcere. Onestamente, non mi era mai portata questa gara, tanto prima o poi, saremmo usciti tutti lo stesso, dunque me la presi comoda come al solito.
Avevo un rito fisso che condividevo con le mie amiche. Tutti i giorni all’uscita da scuola, sigaretta e caffè delle macchinette. Quel giorno non fu da meno, se non per un piccolo imprevisto.
Appena ci sedemmo sulla nostra abituale panchina, udimmo in lontananza delle urla.
Incuriosite ci avvicinammo al punto da dove provenivano le grida. E con nostra grande sorpresa ci ritrovammo la combriccola di Nico con una trentina di ragazzi, tutti radunati a cerchio, uno strano presentimento mi fece indietreggiare, impaurita. La più coraggiosa fu Linda che si avvicinò per poi urlare subito dopo “Fermateli, fermateli! Si ammazzeranno! Vi prego!”
Fu in quel momento che le mie gambe si mossero da sole. Avanzai verso il quel gruppo e rimasi sorpresa per la scena che mi si parò davanti. Mai e poi mai, mi sarei aspettata di vedere Nico che se ne stava in un angolo con le braccia conserte e con un sorrisetto soddisfatto, mentre due ragazzi del biennio si scazzottavano, invocando di tanto in tanto le madri dell’altro. Rabbrividii per quelle bestemmie gratuite.
Dopo un po’ di minuti, finalmente, la lotta stile sumo sembrò concludersi. I due ragazzi erano sfiniti. Nico avanzò verso di loro “Tutto qui? È già finito lo spettacolo? Siete una vergogna.” Disse con voce glaciale.
Quelle parole furono per me il colpo di grazia. Provai la stessa sensazione di ricevere un secchio di acqua gelata in testa.
In quel momento la paladina della giustizia presente in me, simile a Sailor Moon, si risvegliò.
Feci qualcosa che mai e poi mi sarei mai sognata di fare.
Avanzi a passo spedito verso Nico, mi posizionai davanti a lui in modo da guardarlo bene in faccia.
C’era fuoco nei miei occhi e sorpresa nei suoi.
Dischiuse la labbra per parlare, forse, ma non gli diedi tempo.
Gli stampai un bel cinque in faccia “Mi fai schifo” sibilai, poi mi voltai e me ne andai.
Non feci molta strada. Nico mi afferrò il braccio, bloccandomi “Marsh che ci fai qui? E che cazzo ti è preso?!”
“Mi chiedi cosa mi è preso? Stai incitando due ragazzini a menarsi solo per il tuo puro divertimento. Te ne rendi conto? Mi fai schifo Blasi. SCHIFO! Pensavo di essermi sbagliata sul tuo conto ed invece mi rendo conto che non è così! Fottiti bastardo!”
Conclusi, livida in volto e strattonando il braccio per sfuggire dalla sua presa.
Ma che diavolo mi era preso? Ma vaffanculo!
La mia tranquillità era andata, per sempre, a farsi friggere.
In quel momento era l’unica cosa di cui ero certa.
Stupida Elisabetta!
 
 

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Capitolo 4
*** Cambiamenti ***





- Cambiamenti -





Da quella sfuriata, erano passati tre giorni. Tre giorni in cui non rivolsi parola, sguardo o ringhio verso Blasi. Sì, ero tornata a chiamarlo per cognome. Dopo quel giorno non lo sopportavo più.
Come si può incitare alla violenza? Era una della cose più disgustose e ripugnanti che si potesse fare.
La cosa assurda, però, era che Blasi non sembrava minimamente toccato dalle parole che avevo gridato quel giorno. Ma in fondo, perché avrebbe dovuto? Ci conoscevamo a malapena, nonostante avessimo passato gli ultimi cinque anni nella stessa classe.

“Elis, a cosa pensi?” mi chiese Kath. Alzai lo sguardo dal mio cappuccino e lo puntai su di lei..

“A nulla, semplicemente sono stanca per il troppo studio.” risposi evasiva.
“Dai, vedrai che andrò tutto bene. Oggi dovete vedervi, vero?” domandò lei invece capendo benissimo a cosa era dovuto il mio pessimo umore.
“Sì.” uscì solo quel monosillabo dalla mia bocca.
“Elis, devi reagire! Mi spieghi che ti prende?” Kath sembrò infervorata.
“NULLA Kath. NULLA, va bene?” gridai.

Mi alzai di scatto, sbattendo i palmi delle mani sul tavolino del bar. Perché pensare a quell’idiota mi innervosiva così tanto? Oh già! Quasi me ne ero dimenticata. Io odiavo i tipi come lui!
Uscii dal bar, camminando velocemente lungo il corso. Passeggiare tra tutti quei negozi, mi metteva sempre di buon umore, era il mio passatempo  preferito, nonostante non avessi i “dindini” necessari per acquistare un solo capo d’abbigliamento che mi piaceva, ma mi bastava anche solo guardare le vetrine per rilassarmi.
Avevo imparato ad accontentarmi anche solo di quello.
Purtroppo, la situazione economica della mia famiglia non era certo delle migliori e per aiutarli limitavo le uscite di denaro allo stretto necessario e i vestiti alla moda non erano certamente necessari.
Così guardavo e sognavo solo ammirandoli.
Tra l’altro, da quando, era emerso il problema dello stabilimento ILVA, tutto era peggiorato.
Tutta la città era caduta nel caos più totale, così come gli abitanti del ceto medio.
La città sembrava essersi spaccata in due. Da una parte i ricchi che erano rimasti tali e dall’altra le persone “normali” che erano andate ad ingrossare la fila dei poveri.
Persa in quei tristi pensieri, non mi accorsi del gruppo di ragazzi che camminava dinnanzi a me e ovviamente ci andai a sbattere contro.

“Ahi, che male.” Esordii massaggiandomi la parte indolenzita.
“’Sta ‘npò attenta.” mi riprese un ragazzo del gruppo-
“Sì, scusatemi, non l’ho fatto apposta, ero distratta.” mi giustificai subito, senza nemmeno guardare in faccia nessuno, giusto per non incorrere in grane inutili.
“Oh, ma tu non sei la Molinari?”

Alzai di scatto il volto, accorgendomi che quei ragazzi, erano degli studenti del mio istituto.

“Quindi?” da dove mi usciva tutta quella spavalderia? Perché avevo cambiato modo di fare così repentinamente? Non riuscii a trovare una risposta adeguata. Sentivo solo il sangue ribollire nelle vene dalla rabbia.
“Oh, la civetta che gira intorno a Blasi. Oddio, è ancora più sgorbia di quanto avessero detto.” disse uno dei ragazzi divertito.

Le mani iniziarono a prudermi. Avvertivo la testa scoppiare e le guance in fiamme.

“Senti, ma chi cazzo ti conosce? Come ti permetti a rivolgerti a me in questa maniera? Ma guarda un po’..” non riuscii a trattenermi. Che cosa volevano da me? Non riuscivo proprio a capirlo. Non avevo mai fatto niente di male a nessuno. Anzi! Avevo sempre cercato di passare inosservata. Possibile che pochi giorni a stretto contatto con quell’essere avesse portato a tutto questo e sconvolto la mia vita super noiosa e tranquilla?
“Come, prego? Ma che bel caratterino ha questa nanerottola, vero ragazzi?.” il tizio si rivolse agli altri membri del gruppo con voce divertita e con un sorriso idiota stampato in faccia.

Ok, ci stava! La mia altezza era il mio punto debole e un tasto dolente per la mia vanità. Ma che colpa ne avevo se entrambi i miei genitori erano bassi?
Decisi di fare la cosa migliore e quella che mi riusciva decisamente meglio: girarmi ed andarmene via. Non avevo voglia di rogne e, soprattutto, non li sopportavo più.

“Dove vai? Ti sei già stufata? Ma che ragazza coraggiosa… scappi a gambe levate?” mi redarguì subito lo stesso ragazzo che aveva parlato prima.
“No, semplicemente non sopporto la gente stupida come voi, dunque, ciao.” dissi voltandomi per andarmene via. In fin dei conti anch’io avevo un minimo di orgoglio personale, mi sembrava giusto rispondergli a tono.

M’incamminai nuovamente, ma il tizio mi fermò prendendomi un polso.

“Si può sapere che cosa volete ancora?” chiesi agitata. Ma cosa avevo fatto di male? Stavo solo guardando delle vetrine per sognare un po’!
“Divertirci nanerottola.” rispose lui quasi ghignando.

Mi spaventai. Deglutii a fatica, quel tono di voce non presagiva nulla di buono.

“N-non ho voglia di divertirmi. Non con voi almeno.” cercai di essere spavalda e forse anche un po’ menefreghista, ma dentro di me, mi sentivo tremare.
“Oh senti verginella pudica, non rompere i coglioni. Mamma mia quanto sei frigida!” disse lui, rafforzando la presa sul mio polso.
“Frigida? Sai almeno il significato di tale parola?” ma perché non me ne stavo zitta una volta ogni tanto? No! Questa mia boccaccia doveva sempre dar aria ai mei pensieri!
“Complimenti! Fai anche la saputella! Te l’ha mai detto nessuno che sei… come dire… noiosa?” rispose lui sempre più stizzito.
“Bene sono felice che pensi questo di me. Ora, lasciami andare, e trovati una più… scopabile, intesi?” niente non riuscivo proprio a tenere a freno quella maledetta linguaccia che mi ritrovavo.

Non feci neanche in tempo a pronunciare la frase, che il gruppo si avvicinò a me ed al ragazzo con cui avevo parlato così piacevolmente fino a quell’istante.
Sono fottuta, pensai.
Mi guardai intorno spaventata. Possibile che nessuno accorresse in mio aiuto? Che nessuno si rendesse conto che quei ragazzi mi stavano importunando? Dannata omertà!

“Quanto la fai lunga, dai vieni. Vedrai che non te ne pentirai.” Disse ancora il tizio facendo schioccare la lingua e usando un tono di voce alquanto malizioso.

Cercai di divincolarmi, in preda al panico, dalla sua presa, ma senza risultati.

Sono spacciata, sibilai a denti stretti tra me e me.
 
“Che succede?”

Mi girai tirando un sospiro di sollievo. Nico stava avanzando deciso verso di noi, con le mani in tasca e lo sguardo severo.

“Blasi!” disse sempre lo stesso tizio mollando, repentinamente, la presa dal mio polso “Nulla. Non sta succedendo assolutamente nulla! Volevamo solo scambiare due chiacchiere con la Molinari.”
Nico alzò un sopracciglio perplesso “Non mi sembra che lei sia d’accordo, però. O sbaglio?” si rivolse direttamente me.
“Hai ragione! È proprio così” affermai prontamente.
Ero salva! Grazie a Dio.
Qualcuno da lassù mi aveva protetta e si prendeva cura di me.

“Lasciatela e smammate. ORA.” ordinò Nico con voce dura.
“Non è di tua proprietà Blasi.” rispose l’imbecille dell’altro ragazzo, come se non capisse realmente cosa stesse succedendo.
Ma era forse scemo? Chiunque se la sarebbe data a gambe!
“Non fatemi incazzare.” ribatté Nico agitato.
“Senti ‘npò, perché non ci lasci in pace? La Molinari voleva divertirsi con noi. Era d’accordo, non avremmo mai fatto nulla contro la sua volontà. Vero pupa?” l’essere abominevole si rivolse direttamente a me.

Che faccia tosta! Ma come si permetteva di cambiare le carte in tavola in quel modo?
Avvertii un moto di rabbia inondarmi le vene. Sentii la furia impossessarsi di me. Mi faceva schifo. Non so cosa mi prese, ma senza rendermene nemmeno conto gli sputai, letteralmente, in faccia. Avevo una buona mira, a quanto sembrava!

“Brutta troia di merda!” mi offese subito lui, prendendomi nuovamente per il polso.
Cosa avevo fatto?
Avevo di nuovo paura. Perché avevo reagito così?

Con la coda dell’occhio, vidi Nico fare un salto in avanti. Mi staccò dal ragazzo con una brutalità allucinante.

“Figlio di puttana! Sparisci dalla mia vista, tu e quella marmaglia, hai due secondi, prima che riduca la tua faccia schifosa in una polpetta, bastardo!” una vena apparì all’altezza della tempia di Nico, pulsando freneticamente.
Sembrava davvero arrabbiato e la cosa, mi fece sentire, stranamente, al sicuro anche se la cosa poteva sembrare alquanto paradossale.
Un ringhio poco amichevole, uscì dalla bocca di Nico, facendo indietreggiare il gruppo di ragazzi, che scapparono letteralmente.

“Stai bene Marsh?” mi chiese preoccupato
“S-sì…credo. Grazie.” No! Non stavo affatto bene. Mi tramavano ancora le mani e le gambe, per non parlare del cuore. Batteva come un forsennato.
Quella situazione, mi aveva scombussolata, mi sentivo una persona debole. Ed io, odiavo sentirmi così.
Odiavo tutto ciò che mi rendeva fragile agli occhi degli altri, ma soprattutto a me stessa, perché io non lo ero.
Vero, volevo passare inosservata, ma non per questo mi sentivo una debole, anzi.
Ero considerata una specie di uragano, tra i miei parenti e a me andava bene così in fondo.
Ero sempre stata semplicemente me stessa.
Quell’episodio, però, mi aveva scioccata, avevo provato paura e non ne andavo fiera.
Dio se l’avevo provata!

“Non mi sembra che tu stia tanto bene.” Mi disse lui gentilmente.

Da quando Nico si era avvicinato così tanto? E perché mi stava scrutando gli occhi in quel modo?
Che cavolo! E perché, adesso, il mio cuore aveva batteva tanto forte? Sembrava un cavallo impazzito.

“Sì! Va tutto fottutamente bene, ok?!?” risposi acida.
“Uffa! Si può sapere, perché ti agiti così tanto, scusa?” mi redarguì subito lui.

Già, perché mi stavo agitando così tanto?

“Affari miei, ok?” non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo. Non volevo rispondergli così, ma mi sentivo quasi persa. Perché?
“È  così che mi ringrazi per averti salvato quel fondoschiena niente male che ti ritrovi?” disse lui tra lo sgomento e il divertito.
“Fottiti maniaco sessuale.”

Risposi così, con maleducazione e il cuore che pompava indiavolato nel mio petto.
Mi voltai ed iniziai a camminare, cercando di seminarlo.
In fondo se l’era cercata, giusto? Cercai di giustificarmi così.

“Oh, ma che cazzo ti prende? Tu sei proprio isterica, diamine! Ti ricordi almeno che oggi dobbiamo studiare insieme?” urlò lui di rimando.

Mi fermai di colpo e mi voltai di scatto. Lo incenerii con lo sguardo per poi continuare a camminare.
Quel ragazzo mi era davvero antipatico!
Scossi la testa, disturbata dai miei stessi pensieri. Ma cos’avevo che non andava?
Un minuto prima Nico mi era simpatico, quello dopo, lo consideravo altamente sgradevole.

“Marsh, mi spieghi cosa ti prende?” mi chiese dolcemente, raggiungendomi
“Nulla Blasi, nulla. Forza andiamo a studiare va.”
 
 
 


 
Eravamo a casa mia, come sempre d’altronde.
Non riuscivo a capire, perché non potessimo mai studiare da lui. Non che la cosa mi dispiacesse, almeno giocavo in casa e quindi non avrebbe potuto farmi niente.
Già, perché lui aveva la consolidata reputazione di donnaiolo. Un cliché!
Eravamo seduti vicino e sentivo il suo respiro regolare, intervallato da sonori sbuffi. Possibile che fosse carino anche quando si annoiava?
Un momento!
Da quando pensavo che Blasi fosse carino? Lui era Blasi, accidenti!
Era solo il mio compagno di studio, stronzo e spavaldo, non era un ragazzo da ammirare!
Nico mi si avvicinò e posò una mano sulla mia fronte, attirando la mia attenzione.
Deglutii, perché mi faceva quell’effetto? Se continuava così, tra poco gli avrei sbavato dietro.

“Marsh sei tutta rossa e stai sudando.” Disse premuroso.

Oh no! anche la voce era diventata sexy e le sue labbra?
Erano così perfette!
La sua pelle? Liscia e chiara.
I suoi occhi?
Bloccai subito i miei pensieri. Cosa mi stava accadendo? Domanda che quel giorno mi ero posta almeno un milione di volte.
Il cuore cominciò, per l’ennesima volta, a battere forte. Strinsi le mani a pugno e mi resi conto che erano sudaticce.
Mi sentivo in preda al panico e cuore e mani non mi aiutavano certamente ad uscire da quella situazione.

“Marsh, ma che ti prende? Sei tutta rossa in viso.” Nico sembrava sinceramente stupefatto e forse anche un po’ preoccupato.
“Va via, ti prego. Vattene Nico.” era la soluzione migliore, cacciarlo. La migliore per me, per uscire indenne da quel momento.
“Cosa?” la meraviglia gli si dipinse in volto.
“VA VIA! FUORI DA QUESTA CASA!” urlai fuori di me.
 
 
 
****************************
Finish anche questo capitolo. Devo dire che stavolta è stata una faticaccia, visto che non voleva scriversi proprio!
Passiamo ai ringraziamenti, va.
Giulia1911: Vorrei davvero ringraziarti per i tuoi consigli, poiché recensioni come la tua, mi aiutano a crescere e migliorare il mio stile. Mi fa sempre piacere leggere queste recensioni! Giuro! Cercherò di seguire i tuoi consigli!
 
Chara: Ti ringrazio ancora per la pazienza che adoperi per leggere questa mia mostruosità! Ormai, quando aggiorno, non vedo l’ora di vedere quel numeretto delle recensioni aumentare, per vedere se mi hai dato qualche consiglio in più! Spero che questo capitolo sia di tuo gradimento!
 
Inoltre vorrei ringraziare tutti colori che seguono, ricordano e preferiscono la mia storia! Siete davvero in tanto e non me lo aspettavo mica!
Bene, alla prossima! Baci!
  

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Capitolo 5
*** Non sono una puttana ***





- Non sono una puttana -


 

Prima di allora non mi ero mai resa conto, realmente, di quanto la mia vita fosse anonima, grigia ed insignificante.
Le mie giornate erano si concentravano solo sullo studio e sul lavoro.
Non c’era altro nella mia vita.
Avevo sempre reputato Kath e Lin le mie migliori amiche, ma la realtà era diversa.
Loro erano semplici amiche di scuola. Nulla di più.
Certo, uscivamo insieme, ma non c’era altro.
Il rapporto non era minimamente paragonabile alle amicizie epiche che hanno sempre descritto i grandi autori.
In verità, erano loro due che uscivano, si vedevano e condividevano tutto.
Io non facevo parte della loro cerchia, mi aggregavo.
Mi sentivo anonima in confronto a loro due.
Forse quel pensiero scaturiva gran parte dalla mia situazione familiare, o più probabilmente dal fatto che io fossi un’asociale.
Sinceramente? Non lo sapevo, o forse mentivo a me stessa per non darmi una risposta.
Il fatto era che, dopo aver conosciuto Nico, mi ero resa conto che la mia vita, tirate le somme, era uno schifo assoluto.
Passando i giorni ad osservarlo, mi ero resa conto di quanta luce emanasse e, soprattutto, di quanti amici sinceri avesse attorno.
Il paragone con la mia vita era stato solo una conseguenza a tutto ciò.
Ed io? Io nulla.
Mi sentivo circondata da un alone grigio e privo di qualsiasi sfumatura.
Uno schifo.
Le domande mi attanagliavano la mente.
Non facevo altro che chiedermi se un giorno avrei potuto avere anch’io un po’ di quella felicità che provavano i miei compagni.
Forse all’università, sempre se ci fossi mai potuta andare.
Non avevo alcun tipo di appoggio, anche se l’avrei desiderato con tutta me stessa.
La mia famiglia non faceva altro che buttarmi giù, demoralizzarmi. Per loro ero peggio di una schiava.
No, il nostro non era il solito rapporto conflittuale-adolescenziale genitore-figlia.
Era qualcosa di più, di peggiore.
Era puro odio che, in tutta sincerità, non sarei stata nemmeno io in grado di spiegare. Avevo passato talmente tanti anni a chiedermi per quale motivo io fossi l’unica alle elementari a non avere i genitori presenti alle recite di fine anno o quella che doveva tornare a casa da sola, perché non c’era mai nessuno che veniva a prendermi a scuola a fine lezioni che, dopo un po’, ci avevo fatto l’abitudine e le domande si erano fermate.
Le ferite, però, bruciavano ancora. Me le sentivo ancora addosso, ancora fresche.
Avrei tanto voluto poter essere come tutti gli altri, questo era il mio più grande desiderio.
Il giorno del mio diciottesimo compleanno lo avevo passata seduta ad un tavolo in un bar con la compagnia di Lin e Kath e un cappuccino.
Non avrei voluto una festa o chissà quale regalo, mi sarebbe bastato un semplice “Auguri figliola.” Non pretendevo tanto, ma non fui accontentata.
Mio padre e mia madre si limitarono ad un semplice cenno del capo appena svegliata, lo stesso di ogni mattina. Una specie di buongiorno, in lingua genitoriale.
Mi mancava il loro sostegnom il loro afferro e più volte avevo provato a parlarne con i miei, ma era stato tempo perso, parole gettate al vento. Loro si limitavano a liquidare, velocemente, la questione con un “è solo una tua impressione”.
Come no! Una mia impressione!
Che pensieri depressivi che stavo facendo! Mi stavo, praticamente, autodistruggendo.





“Ehi Marsh, possiamo parlare?”

Guardai incuriosita Nico e annui, senza dar peso, realmente, alla cosa.
Lo seguii nel cortile e mi sedetti su una panchina, ormai arrugginita.

“Dimmi.” Chiesi indifferente.
“Cosa ti prende ultimamente?”
“A me? Che dici?” lo fissai sorpresa. Possibile si fosse accorto che il mio morale fosse a terra?
“Sei sempre triste e sovrappensiero. “
“Oh, nulla Nico. È solo stanchezza dovuta allo studio ed al lavoro.” Mentii. Se ne era accorto anche lui che non stavo bene. Perfetto!
“Lavori?” mi domandò stranito.
“Sì. Non lo sapevi?”
“No. Che lavoro fai?”
“Aiuto i miei.” Risposi elusiva. Non mi andava che sapesse tante cose di me.
“Sì, ma che lavoro?” insistette.
“Nico, questi credo siano affari miei, non credi?”

Mi stavo spazientendo parecchio. Non avrei mai detto a nessuno che tipo di lavoro fosse. Erano cose personali. Ma poi, perché cazzo gli avevo confidato che lavoravo? Che cavolo mi prendeva? Avevo sbagliato io a confidarglielo.

“Elis, cosa c’è che non va?” mi chiese nuovamente, come se non avesse nemmeno sentito ciò che gli avevo appena detto.

Deglutii. Ormai il soprannome che mi aveva affibbiato era diventato una routine e sentirmi chiamare per nome da lui, era un qualcosa di strano e bello.

“Nico, ti prego. Non fare domande. Sono cose private di… famiglia.” Dissi con voce tremolante.
“Elis, nessuno piange per nulla!” ma perché continuava ad insistere?
“Piangere? Ma che dici!” gli risposi seccamente.
“Elis, non fai altro che piangere e guardare nel vuoto. Ce ne siamo accorti tutti.”
“Nico, basta.”

Mi alzai indispettita e mi avviai a passo spedito verso l’edificio.
Come si permetteva di intromettersi nelle mie questioni personali?
Stronzo di un Blasi!

 




 
Era davvero stancante lavorare e studiare al tempo stesso.
Gli orari erano assurdi e la paga era bassa.
Spesso, mi chiedevo come facessi a pagare tutto con quei pochi spiccioli, non trovavo risposta eppure ci riuscivo. Più che altro dovevo farcela. Per il bene di tutti.

“Elisabetta, ti muovi? Credi che le cose si puliscano da sole?” mi apostrofò la responsabile.
“Sì, mi scusi signorina Marta.”
“Muoviti o anche per oggi dovrai restare oltre l’orario di chiusura.” Mi rimproverò lei per niente intenerita dal mio tono servile.

Annuii tornando a lavare ed asciugare le stoviglie.
Era davvero uno strazio pulire tutti i giorni incessantemente, per poi finire e correre al secondo lavoretto che facevo.

“Elis, ci sono le tue amiche fuori.” Mi disse un mio collega di lavoro.
“Oh, Ren, non posso lasciare, altrimenti Marta mi castra!” risposi a malincuore.
Probabilmente lui se accorse, perché subito mi fece un gran sorriso “Tranquilla, vai, ci penso io qui. Torna presto però!”
“Grazie Ren!”

Mi asciugai le mani e corsi fuori dalla cucina uscendo dal retro.
Non era la prima volta che le mie amiche venivano a fare un salto al ristorante, più che altro, quel giorno, era l’orario ad essere strano. Erano già le dieci di sera, cavolo!

“Elis, ciao!”

Eccole. Sorrisi vedendo Kath sventolare il braccio destro per salutarmi.

“Ragazze che ci fate qui?” chiesi perplessa.
“Ecco…ehm…”
“Sono stato io.”

Spalancai gli occhi, perdendo un battito o forse dieci, al cuore.

“N-nico..?” balbettai allucinata.

No! Mio Dio, ero impresentabile!
Capelli sconvolti, occhiaie, pallida, puzzavo di detersivo e fritto ed i miei abiti bianchi, ormai non lo erano più.
Che figuraccia!
Quanto mi vergognavo in quel momento! Ma perché?

“C-che ci fai qui?” riuscii a dire, poi la mia voce divenne dure “Perché lo avete portato qua?” chiesi rivolgendomi direttamente alle mie amiche.
“Non prendertela con loro. Sono stato io ad insistere. Volevo sapere dove lavoravi e loro mi hanno detto che, ogni tanto, lavori qui.”
“Ehm, noi ora andiamo è tardi! A domani ragazzi!” Lin e Kath si dileguarono velocemente



“Nico non ho tempo, devo tornare a lavoro.” Borbottai infastidita.
“Per correre al secondo stupido e schifoso lavoro che fai, dopo questo?”

Sobbalzai e saltellai sul posto, nervosa. Come faceva a saperlo?

“Elis, non so perché lo fai, ma cazzo è umiliante per una donna. Lo capisci? Proprio tu che hai sempre voluto vivere nell’anonimato. Proprio tu che sei così… così pura!”

Aveva ragione. Chinai il capo, colpevole.
Proprio io, facevo un secondo lavoro che era in contrasto con me stessa. Ma sapevo che senza quel secondo lavoro non avrei mai potuto andare avanti e tantomeno la mia famiglia che contava su di me. Nonostante quel lavoro fosse contrario al mio modo di essere e di pensare, mi era necessario.
In ogni caso, giusto o sbagliato che fosse, chi era lui per giudicarmi?
Non sapeva niente di me e tantomeno il dolore che avevo nel cuore! Non era a conoscenza delle ferite interiori che mi bruciavano sotto pelle, non poteva comprendere il fardello che portavo con me da tanto di quel tempo…
“Nico, ascolta…” provai a parlare, ma lui mi interruppe subito.
“No Marsh, ascolta tu. Sei una donna, una bellissima donna, non puoi buttarti via così.”
Il suo moralismo diede il colpo di grazia al mio sistema nervoso.
“Zitto! Zitto Nico! Non sai nulla! Sono costretta, ok? È quello stupido lavoro mi permette di andare avanti! Lo vuoi capire o no?” urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
Ma come si permetteva!
“Dare piacere a uomini bastardi e viscidi ti permettere di andare avanti? Dio che schifo Elis! Che schifo!” potei leggere nei suoi occhi tutto il suo disprezzo.
“Non sono una puttana! Faccio solo la spogliarellista…” mi giustificai, ma perché poi se non facevo nulla di male?


Sì, ero una spogliarellista, non una puttana.
Giusto?





*
***
In questo capitolo, scopriamo un po’ di più su Elis e sulla sua vita.
Una famiglia rompipalle, più o meno tutte ce ne ritroviamo qualcuna. Forse Elis esagera e vede le cose in modo diverso, ampliando i sentimenti? :o
Vedremo, su!

Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo ed un grazie a Chara per i suoi consigli e recensioni bellissimi >w<

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Capitolo 6
*** Conoscenze? ***







- Conoscenze ? -


 

Da quella sfuriata erano passate due settimane. Di Nico, nemmeno l’ombra. Dopo aver scoperto il mio segreto, mi aveva evitato peggio della peste. Era umiliante, come cosa. non volevo ammettere a me stessa, che forse, la presenza breve di Nico nella mia vita, era diventata qualcosa d’importante. Si preoccupava per me, di difendermi, di tutto. Si comportava da…vero amico. Ecco.
Ma come potevo spiegargli il motivo di quei lavori? Non ero riuscita a spiegarlo nemmeno a me stessa a dire il vero. Non mi ero neanche resa conto dei lavori che avevo accettato. Era successo tutto di botto, senza che me  ne rendessi conto. Era una situazione surreale.
Dovevo parlare con Nico, e spiegargli. Non sapevo cosa, ma sapevo che dovevo parlarci. Era una questione importante. Punto.

“Nico..”

Lo chiamai, punzecchiandogli la spalla con l’indice destro, cercando di attirare la sua attenzione.
Nulla, non mi degnava di uno sguardo.
Continuai imperterrita.

“Blasi, credo che la nana ce l’abbia con te.”

Evitai di rispondere acidamente solo perché grazie a Luca, Nico finalmente si era voltato verso di me, guardandomi truce.

“Che vuoi?”
“Parlarti, ti prego.”
“Non vedi che sono impegnato a fare di meglio che parlare con una nanerottola?”

Ma cosa gli prendeva?
Gonfiai le guance, facendogli capire che aveva esagerato. Se pensava che io fossi una di quelle bambinette che scappava via piangendo, beh si sbagliava di grosso.

“Senti brutto stronzo che non sei altro, ho detto che devo parlarti, dunque non osare replicare e vieni con me. ORA.”

Conclusi prendendolo per un braccio e cercando di trascinarlo con me. Peccato che non si muovesse di un millimetro.

“Nico, per favore.”

Forse la mia supplica doveva averlo commosso, visto che iniziò a seguirmi. Raggiungemmo il cortile della scuola, sedendoci su una panchina verdastra.

“Siediti.”

Gli feci cenno.

“Cosa vuoi Molinari?”

Sobbalzai nell’udire il mio cognome pronunciato da lui.
Deglutii e cercai di trovare le parole adatte per incominciare il mio discorso.
Ma cosa dovevo dirgli? Poco importava, almeno ora mi stava parlando.
Sospirai, cercando di calmarmi.

“Ascolta, non puoi giudicare me o la vita che faccio. In realtà tu non conosci nulla di me. Come puoi pensare che a me piaccia umiliare me ed il mio corpo in quel modo assurdo? Non credo neanche che sia giusto dirti i motivi dietro le mie scelte, anche se sbagliate. Ma ciò che voglio dirti è che odio il fatto che tu non mi parli, odio il fatto che m’ignori, odio il fatto che mi odi, odio il fatto che tu abbia scoperto qualcosa della mia vita di cui non vado fiera, odio il fatto che non so perché odi me stessa. Insomma so che questo discorso è un casino, ma è il casino che ho ora in testa. Per favore…”

Nico, si alzò di scatto, andandosi a posizionare dinnanzi a me.

“Elis…”
Iniziò il suo discorso, guardandomi con uno sguardo talmente intenso da farmi sciogliere.

“..Sì?”

Sorrise, ma non fu un sorriso sincero, quasi più un ghigno.

“Mi fai schifo. Sei solo una lurida puttana come le altre.”

Concluse, alzandosi, girandosi di spalle ed incamminandosi verso l’edificio.
Rimasi imbambolata lì, non so per quanto tempo. So solo che vennero le mie amiche a risvegliarmi da quello stato di trance in cui ero caduta.

“Elis, ehi, tutto ok?”

Alzai lo sguardo vitreo, verso di loro, facendole sussultare.

“Elis ma che cazzo ti succede? Oh Elis!”

Ma che cazzo mi stava succedendo?
Possibile che un coglione del genere, potesse farmi un effetto così devastante? Chi cazzo era lui? E dov’era finita l’Elis anonima che non permetteva a nessuno di ferirla? Non potevo permettermi una cosa simile. Non io.
Tornai in me, scuotendo la testa.

“Sì ragazze. Sto bene. Tranquille.”

Esordii alzandomi da quella panchina come niente fosse ed uscendo dal cortile, lasciandomi le mie due migliori amiche alle spalle.
Avevo bisogno di svagare la testa. Dovevo riflettere e quale miglior posto se non il Mc’s Donald?
 
 



“Salve, vorrei ordinare il Big menù, gentilmente.”
“Subito signorina.”

Adoravo quel posto. Forse perché ormai ero abituata a quell’odore di fritto, misto a cibi carbonizzati.
“Ecco a lei, signorina.”
“Grazie mille.”

Pagai il conto e mi andai a sedere ad un tavolo vicino la grande finestra posta all’ingresso.
Adoravo sedermi in posti dove era possibile vedere la vita. Era come osservare tutto esternamente, quasi come il Grande Fratello. Poter osservare la gente camminare, litigare, mangiare, i mezzi che sfrecciavano per le vie della città. Mi faceva sentire quasi un Dio. Alcune volte, mi soffermavo su alcuni passanti, immaginandomi la loro vita e creandomi veri e propri film mentali. Forse era stupido, ma a quell’epoca, era la mia unica fonte per evadere dalla mia schifosa realtà.

“Sei sola?”

Alzai il viso, andando ad incontrare un paio di occhi color ghiaccio, che mi scrutavano incuriositi. I lineamenti del viso duri, labbra sottili e dritte, capelli castani, spalle muscolose. Ma chi era, un divo di Hollywood?

“Come scusa? Dici a me?”
“Sì, a te. E a chi altrimenti?”

Inarcai un sopracciglio, indispettita. Ma che voleva?

“Non sono affar tuoi.”
“Beh, credo tu sia sola. Dunque non ti dispiace se ti faccio compagnia, giusto?”

Non mi diede il tempo di rispondere, che si era già seduto sulla sedia, di fronte a me.
Quel tipo mi procurava l’orticaria. Era davvero irritante, per tutte le orche del mar Caspio!
Iniziò a farmi le solite domande per abbordare una ragazza. Mi stavo innervosendo parecchio. Giuro.
Decisi di ignorare quell’elemento, convinta che se gli avessi dato corda o meno, avrebbe continuato quella lagna.
Finii di consumare il mio Big Menù, alzandomi ed avvicinandomi al bidone della spazzatura per gettare le carte.

“Aspetta, faccio io. Tranquilla.”
“Allora, senti un po’, ma si può sapere cosa vuoi? Non ti conosco e non voglio…”
“Ma io voglio conoscere te.”

Concluse sorridendomi sfacciatamente.

“A me non interessa, dunque…CIAO.”

Finii per poi sorpassarlo e gettando finalmente le mie carte.
Uscii dal locale, con i nervi a fior di pelle.
Sentii una presenza camminare alle mie spalle e sfortunatamente sapevo già di chi si trattasse.

“Allora senti – esordii girandomi verso il ragazzo – cosa vuoi esattamente? Oltre al fatto di voler conoscere la mia persona?”

Ok, ero sembrata austera, vero? Ma se lo meritava!
Mi si avvicinò, chinandosi verso di me, arrivando ad una spanna dal mio naso, sorridendo.
Sentii le guance andare in fiamme per quella assurda vicinanza.

“Se mi avessi dato ascolto, ora lo sapresti. Mi chiamo Vincent e ti ho notata al Midnight. Sei carina.”

Midnight. Midnight, il locale dove facevo la spogliarellista. Cazzo. Il cuore batteva all’impazzata. Le gambe tramavano alla Giacomo Giacomo, le mani sudate. Oddio.
Che avesse voluto farmi del male? No, aveva detto che mi trovava carina.

“Cosa vuoi?”
“Conoscerti. Mi sei sempre sembrata triste su quel palco. Volevo conoscere la persona fuori il personaggio che interpreti, mia cara Moon.”
“N-non credo sia il caso. La politica del locale è chiara. Niente rapporti con i clienti fuori dal lavoro.”

Saltellavo sul posto nervosamente, cercando una via di fuga. Mi sentivo come un uccello in gabbia. Quel tizio mi metteva ansia, cavolo.

“Non ti farò del male, tranquilla. Sono un bravo ragazzo, eh!”

Continuò, tirandosi finalmente su ed allontanandosi da me restituendomi aria.

“Senti, io…”
“Vincent? Che ci fai con Elis?”
“Nico? Ehi, ciao!”

Nico? Nico e Vincent si conoscevano?
Guardai spaventata Nico, notando il suo sguardo infuocato.
Ero nei guai?

“Allontanati da lei. ORA.”



********************

Ci ho messo un pò ad aggiornare, ma va bene, no? ç_ç
Quì vediamo Nico sotto un aspetto diverso da solito. Diciamo che si mostra per quello che è per davvero. Ma perchè avere una reazione così esagerata? Che ci possa essere dell'altro dietro?
E questo Vincent? Si conoscono già i due ometti a quanto pare.
Povera Elis, la sadomizzo per davvero ù__ù Mi odierà, ne sono sicura.
Bene ora ci terrei a ringraziare le mie due recensitrici (?) dello scorso capitolo, per esserci e per darmi consigli. Vi ringrazio pupe. Davvero. Grazie. In questo modo sto cercando di migliorare sempre di più.
Alla prossima!

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Capitolo 7
*** Betting and Love ***







- Betting and Love -


 

Nico e Vincent si conoscevano?
E perché Nico sembrava alquanto incazzato?
Lo sguardo di Nico incuteva terrore puro. Deglutii a fatica, cercando di non far trapelare l’angoscia che si stava impossessando del mio corpo.
Avevo ancora la figura di Vincent che sovrastava il mio corpo e riuscivo a sentire lo sguardo di Nico bruciare sulla pelle.
Che avrei dovuto fare?
E poi perché aveva praticamente ordinato a Vincent di allontanarsi da me? Che cavolo se ne fregava lui, scusa?
Con tutti quei pensieri che mi frullavano in testa, non mi resi conto che il centro del mio tituba mento si era avvicinato pericolosamente, guardando in cagnesco Vincent.

“Come scusa? E perché mai, Nico?”
“Fa come ti dico, Vincent. Grazie.”

Disse, avvicinandosi e parandosi tra me ed il nuovo arrivato. Che stava succedendo?
Sentivo la testa pesante ed il cuore che a poco a poco, rallentava i suoi battiti.
Il respiro si era smorzato, quasi avessi il terrore di perdermi qualche passaggio del dialogo nel mentre respiravo.
Perché Nico guardava in modo truce Vincent? E perché si conoscevano?
Oh, quante cazzo di domande!

“Ehm…scusate ma io…dovrei andare.”

Per quanto quelle improvvise attenzioni di Nico, mi lusingassero, la situazione era alquanto ridicola.

“Ti accompagno Marsh.”
“A dire il vero, la signorina era in mia compagnia.”
“Appunto. ERA. Ora sta con me. Ci si vede Vin.”
“Stanne pur certo, Blasi. Stanne pur certo.”
 


Nico mi trascinò letteralmente via, senza fermarsi un solo secondo e senza darmi tregua.
Continuavo a chiamarlo e supplicarlo di fermarsi, ma lui non mi ascoltava minimamente, che cavolo stava succedendo? Perché sembrava così arrabbiato? Che cavolo gli avevo fatto?
Dannato di un Blasi!

“Nico, fermati, ti prego. Non ce la faccio più. Ho bisogno di respirare, cazzo.”

Finalmente, arrestò la sua corsa, girandosi di scatto e fissandomi negli occhi.

“Come lo conosci?”
“Chi?”
“VINCENT! Vincet, Elis, Vincent. Cazzo!”

Sobbalzai impaurita. Sembrava un diavolo.

“I-io non lo conosco. Ha cercato di rimorchiarmi al fast-food.”
“Continui a mentirmi. Ho sentito quando diceva di averti notata nello squallido locale dove smerci il tuo corpo. Cazzo.”
“N-nico…io…”
“Sta zitta. Ti rendi conto? Questa volta ti ho salvato io, e se non ci fossi stato, eh? Che sarebbe accaduto? Porca puttana Elis, te ne rendi conto?”
“Nico, ma si può sapere cosa vuoi da me? Che te ne fotte della mia vita privata? Me lo spieghi, porca puttana? No dimmelo, perché mi sento di uscire matta!”

Fece uno scatto in avanti, prendendomi le braccia con le sue mani e strattonandomi con forza, sino a farmi male.

“Ahi Nico, mi fai male!”
“Tu non capisci! Quei porci vogliono solo scoparti,leccarti e solo Dio sa cos’altro e a me da letteralmente al cazzo vedere degli uomini viscidi che osano toccare gli oggetti delle mie scommesse!”
“S-scommesse?”

Vidi il volto di Nico, diventare pallido e strabuzzare gli occhi, allentando la presa sulle mie braccia. D’istinto indietreggiai, inorridita.
Cosa voleva significare che ero l’oggetto delle sue scommesse? Quali scommesse?
Che cazzo voleva da me? Con chi avevo avuto a che fare per tutto quel tempo?

“Elis, ascoltami io…”

Lo vidi boccheggiare e cercare di avvicinarsi a me, ma prontamente alzai le mani davanti al viso, facendogli intuire che non volevo che si avvicinasse.

“Che significa Nico? Sono una scommessa? E che scommessa? Che sta succedendo Nico? Eh? Cosa sta succedendo? Dimmelo, ti prego, perché io non capisco più nulla per davvero.”

Conclusi con le lacrime agli occhi.

“Marsh, ascolta, io non…volevo dire quelle cose..”
“Ma le hai dette Nico.”
“Lo so, e me ne pento.”
“Sono una scommessa?”

Chinò il volto.

“Con chi?”

Chiuse gli occhi.

“Cosa ci guadagni?”

Sospirò.

“Mi fai schifo.”

Si portò le mani nei capelli.

“Sparisci dalla mia vita, bastardo.”

Alzò il viso.

“Ti odio, bastardo.”

Aprì la bocca per parlare.

“Addio, Nico.”

Mi voltai e me ne andai.
Ero stata tradita. Da cosa poi? Io e lui non eravamo neppure amici, ma mi sentivo ugualmente tradita, umiliata, delusa.
Perché stava capitando tutto questo a me? Che avevo fatto di male?
Iniziai a correre per le vie della città, incurante delle lacrime e della gente che mi guardava truce.
Più ci pensavo e più piangevo.
Una strana consapevolezza, si era fatta largo in me. Una consapevolezza che rigettavo con tutte le mie fottute forze.
Non poteva essere. Non doveva essere. Non lui.
Presi il cellulare e composi il numero di Linda, ansiosa che rispondesse.
Sentivo uno strano calore accrescere in me ed il cuore batteva all’impazzata.

“Avanti Lin, rispondi, cazzo. Ho bisogno di parlarti.”

Quando ormai avevo perso le speranze, ecco che Lin risposte.

“Pronto?”
“Oh Lin, finalmente! Ho bisogno di te.”
“Oddio, che è successo? Dove sei? Vengo subito!”
“No tranquilla… E’ solo che…”
“Cosa succede, piccola?”
“Mi sono innamorata. Credo.”
“Nico.”

Non fu una domanda, ma una semplice constatazione. Ed io mi sentivo tremendamente in imbarazzo.

“Sì…”
“Ok, preparo la cioccolata ed il thè alla pesca e chiamo Kat. Fra quindici minuti a casa mia.”

Non ebbi il tempo di ribattere che mi aveva già chiuso il telefono in faccia.
Loro, mi avrebbero aiutata di certo a dimenticare o capire quel bastardone.
 
 



 
Ero arrivata presso l’abitazione della mia amica. Avevo un po’ di tremarella. Chissà cosa mi avrebbe aspettata in quell’appartamento del centro città.
Mi avvicinai al portone grigio sbiadito posizionando il dito sul citofono e premendo sopra il bottone con il nome della famiglia di Linda.

“Sì? Chi è?”
“Sono io, Elis.”
“SALI.”

Annuii, convinta che lei potesse vedermi. Mi diedi mentalmente della stupida per la mia goffaggine.
Iniziai a salire le scale, quasi fosse il mio patibolo ufficiale. Entrare in quella casa, significava ammettere faccia a faccia i miei sentimenti per quello stronzo patentato.
Arrivai finalmente al portone di casa in legno massiccio, della mia amica.
Non feci in tempo a bussare che mi ritrovai le mie due amiche sull’uscio della porta, fissarmi in modo strano, con un sogghigno alquanto perfido.
Deglutii, immaginandomi già l’interrogatorio.

“Sapevamo sarebbe finita così.”

Esordirono all’unisono le due stronze.
Sospirai avanzando verso di loro, che mi lasciarono lo spazio necessario per entrare.
 



Ci trovavamo nella camera di letto di Lin. Una piccola stanzetta tinteggiata di un celeste chiaro, con armadio a muro, letto e scrivania. Quasi spartana oserei dire.
Eravamo sedute per terra, intente a bere della sana cioccolata calda, quando Lin iniziò a parlare.

“Lo ami tanto?”

Per un pelo non sputai tutta la cioccolata che avevo in bocca, ma un po’ mi andò di traverso, facendone fuoriuscire un po’ dalla bocca. Ingoiai il liquido color cacca e fissai le mie amiche, sbigottita.

“Ragazze…”

“Elis – intervenne Kath – sapevamo che sarebbe accaduto. È un classico, cazzo. Ma che è successo? Hai l’aria funeraria.”
“Ecco…è un casino…”

Iniziai a raccontare tutto, fin dal primo incontro, per finire alla scoperta della scommessa e delle domande a cui non avevo ricevuto risposta.

“Miiiiiiiiinchia che bastardo. Ma io gli taglio il pisello, porca puttana. È un cornuto!”
“Lin, io credo che dovremmo andargli a fare una visita.”
“lo credo anch’io Kath, lo credo anch’io. Che stronzo patentato.”
“Ragazze, vi supplico, non fate nulla. Passerà. È solo una stupida cotta adolescenziale. Davvero.”
“Ma tu ci stai male. E poi che cazzo gliene fotte a lui dei tuoi lavori e della tua vita privata?”
“Che poi, perché non ci hai detto del Midnight? Noi siamo tue amiche…”

Non riuscii a rispondere, perché il cellulare iniziò a squillarmi incessantemente. Le mie amiche me lo strapparono letteralmente di mano, infuocando i loro sguardi.
Lin, aprì la chiamata esordendo in maniera infelice.

“Brutto figlio di puttana, domani, a scuola, ti mangio il pisello. Sei un bastardo tu e la tua cricca. Domani vi ridurremo in pezzettini!”

Chiuse la conversazione, per poi posare il suo sguardo su di me.
La guardai incuriosita, cercando conferma ai miei sospetti.

“Era Nico, non credo richiamerà più.”
“Ben fatto Lin!”

Le mie amiche, iniziarono a ballare una sottospecie  di danza tribale, incitandomi a partecipare a quella follia.
Contagiava dalla loro allegria iniziai a ballare anch’io, ancheggiando come un’idiota.



Avrei dimenticato Nico.
Sì.
Infondo, era solo una cotta adolescenziale, no?

 


 

**************
 

Aggiornamento veloce veloce, visto? :3
Nico è un bastardo e le nostre amiche, sono davvero delle ottime paladine della legge, non credete?
Ringrazio le mie adorate donnine che hanno recensito lo scorso capitolo VI AMO!
Alla prossima!
 

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Capitolo 8
*** La gelosia? ***




Trailer  Pinky's Story Gruppo FB







 

- La gelosia? - 











 

Il giorno dopo, a scuola, le mie amiche sembravano delle vere body-guard ed io una stella hollywoodiana visto il modo in cui mi braccavano. Avevo a malapena lo spazio necessario per respirare.
Durante il tragitto casa-scuola, precisando il fatto che anche lì si erano fatte trovare, mi avevano riempito la testa con parole pesanti verso Nico e vari avvertimenti.
Non potevo far altro che ridere per le loro premure, ma d’altro canto, sorridevo per il loro modo eccessivo di preoccuparsi per me.
La notte inutile dirlo, non riuscii a dormire. Avevo troppe cose a cui pensare. Scoprire, o meglio, ammettere, di amare quel bastardo di Blasi, mi aveva mandato letteralmente in tilt.
Poi avrei avuto il coraggio di guardarlo dopo aver ammesso di amarlo e della scommessa?
Ah già. La scommessa. Ancora non avevo saputo su cosa si basasse e con chi avesse fatto tale schifezza.

“Ragazze, voglio scoprire in cosa consisteva la scommessa.”
“Elis, non farlo. Potresti solo procurarti altro male gratuito.”
“Non mi interessa Kath, ho bisogno di sapere.”
“Va bene, allora noi ti aiuteremo. Vero Lin?”
“Oh certo! Ma prima scusatemi un attimo. Devo tagliare le palle a qualcuno.”

Io e Kath ci guardammo e seguimmo con lo sguardo la nostra amica che si stava dirigendo da…NICO.
Porca mignotta, avrebbe combinato un casino quella. Me lo sentivo. Ne ero sicurissima.

“Kath dobbiamo fermarla!”
“Nah, lasciala fare. Vedrai che sarà divertente.”

Ridacchiò la mia amica, posandomi una mano sulla spalla.
Si certo, divertente. Per loro forse, ma non per me.

“Ehi Blasi!”

Esordii Lin, avvicinandosi pericolosamente a Blasi.

“Che vuoi?”
“Oh, nulla. Solo darti questo.”

Fu un attimo. Ma davvero, eh.

Vidi Lin sferzare un calcio nelle pa…paesi bassi di Nico. Nico piegarsi in due dal dolore. Le facce dei ragazzi sbigottiti con occhi strabuzzanti. Kath ridere come una papere ed io…io portarmi le mani sulla bocca, shoccata, ma esultando interiormente per la lezione che la mia amica aveva impartito allo stronzo patentato.

“Ben ti sta Blasi. Stai fuori dalle palle..ops scusa il gioco di parole. Ci vediamo.”

Lanciò un bacio volante in direzione dei ragazzi per poi tornare da noi tutta sorridente, come se nulla fosse accaduto.

“Tu sei matta.”
“Oh, l’ho fatto per te, tesoro. Ora pensiamo al piano : Betting and love.”
“Bet che?”
“Massì, è come abbiamo rinominato io e Kath il piano: Scopri la scommessa dello stronzo. Un nome in codice insomma.”
“Ma che razza di amiche…”

Entrammo in classe pronte per affrontare un’altra estenuante giornata all’insegno dello studio. Per fortuna mancava poco alla fine dell’anno.

“Prof Santoro?”

Una voce maschile, ruppe il silenzio quasi surreale che si era instaurato in classe.

“Dimmi Blasi.”
“Vorrei cambiare partner per la coppia-studio.”
“E per quale motivo?”
“Non voglio avere a che fare con delle pr..principianti.”

Stava davvero chiedendo al prof di cambiare partner? Con quella voce da uomo ferito? Qui l’unica ferita, ero io! Io e solo io.

“Che bastardo.”

Biascicò Kath, seduta alla mia destra.

“Che uomo senza palle.”

Sentenziò Lin, seduta alla mia sinistra.

“Che stronzo.”

Esordii io, girandomi verso lui, infuocandolo col mio sguardo.

“Che hai da guardare, Molinari?”
“Io? Oh nulla BLASI. Semplicemente mi hai anticipato, perché neanch’io voglio studiare con una scimmia scappata dallo zoo.”
“Ma come ti permetti brutta..”
“Calma ragazzi, calma. Dunque…notando le varie tensioni tra Blasi e Molinari, deduco di dover cambiare accoppiate. Uhm..Molinari?”
“Sì, prof?”
“In coppia con Denisco. Luca. Tu Blasi invece, con la Scarano.”

Io con Luca? Il migliore amico di Nico? Questo sì che era un colpo di fortuna. Avrei potuto giocarmelo per bene per scoprire tutto sulla scommessa. Ne ero certa.
 
 




“Eli, tesoro, stasera lavori, vero?”
“Sì, ma solo al Midnight, perché?”
“Nulla, volevamo uscire un po’.”
“Fino alle 19 sono libera, ma dovrei studiare un po’. Ho degli arretrati, dunque sarà per la prossima volta, mi spiace.”
 
 


Passai tutto il pomeriggio a studiare, cercando di recuperare gli arretrati. Arrivai alle 18, stanca, nervosa e sconsolata. Avevo recuperato solo la metà, per via di tutti quei pensieri che affollavano la mia testa.
Nico era stato proprio uno stronzo. Nulla da dire. Eppure boh, mi aveva fatto tenerezza in un certo senso.
Forse, incideva il fatto che me ne fossi innamorata? Ma poi, come avevo fatto? Non riuscivo neanche io a spiegarmelo. Era una cosa del tutto assurda!

“Mamma sto andando a lavoro.”

Come sempre non arrivò alcuna risposta da parte della mia genitrice. Presi la mia borsa ed il mio cappottino e mi diressi fuori da quella gabbia di matti.
 




Stavo percorrendo il viale centrale della città, quando decisi di concedermi un bel caffè al “Caffè italiano”.  Uno dei bari più in di Taranto.
Mi avvicinai al bancone ordinando il mio solito decaffeinato macchiato, attendendo il barman che si spicciasse nel prepararmi quell’intruglio.

“Ciao Elis.”

Mi voltai nella direzione dove proveniva quella voce familiare.

“Vincent.”
“Cosa ci fai qui, tutta sola, pupa?”
“Quello che fanno tutti, credo. Prendo un semplice caffè.”
“Come siamo permalosi.”

Disse, gesticolando con il braccio destro, attirando l’attenzione del barman ed ordinando un Amaro Lucano.
Le nostre ordinazioni arrivarono insieme, forse quel cretino del barman, pensava stessimo insieme. Ma che cretino.

“Allora dimmi un po’…come va con il tuo fidanzatino geloso?”

Ci mancò poco che non sputai tutto il caffè sul bancone del bar.

“Fi-fidanzato? Ma di che parli? Ma sei matto?”
“Blasi non è il tuo ragazzo?”

Persi un battito di cuore nell’udire quel nome.
No. Non era il mio ragazzo e mai lo sarebbe stato, per quanto l’idea mi accarezzasse sempre più frequentemente.

“No, non stiamo insieme. Era solo il mio compagno di studio.”
“Strano. Eppure era palesemente geloso.”

Mi scrutò con la coda degli occhi, cercando una mia possibile reazione, che però, non arrivò.
Non arrivò, perché rimasi pietrificata da quell’osservazione.
Lui geloso di me? Della sfigata di turno? Dell’oggetto della sua scommessa?

“Vedo che non te ne eri accorta. Strano. Viene tutte le sere al Midnight e non ti leva gli occhi di dosso.”
“Ecco svelato come faceva a sapere del secondo lavoro. Le mie amiche infatti, non avevano saputo mai nulla del Midnight.

Lui mi spiava. Cazzo.
Sul mio volto si dipinse un sorriso ebete e gli occhi diventarono palesemente a cuoricino.

“Ne sei proprio cotta, eh.”
“Ma chi? Io? No per niente, Vincent.”
“Attenta principessina. Le bugie hanno le gambe corte e fanno crescere il naso. E tu, tesoro, hai proprio un bel nasino. Non lo deturperei se fossi in te.”

Disse avvicinandosi al mio orecchio, sussurrandomi quella frase da capogiro.

“I-io non dico bugie…”

Infondo era così. Io non ero cotta, ero innamorata.
La cosa era ben diversa. Giusto?
 




Finalmente ero arrivata al Midnight. Vincent aveva insisto affinchè mi accompagnasse lui a lavoro, dicendo che tanto era diretto lì. Mi avviai nel camerino per prepararmi ad un’altra serata ricca di pervertiti e maniaci.
Avevo sempre giurato a me stessa che appena ne avrei avuto l’occasione, avrei mollato tutto e tutti e sarei ripartita da zero lasciandomi alle spalle quel posto di merda. Io odiavo provocare piacere a quei viscidi vermi.

“Elis tocca a te. È il tuo momento.”

Annuii alla manager del locale, sistemandomi il corpetto argentato brillanti nato, stile Edward di Twilight, ed uscii dal camerino prendendo un lungo respiro.

“Ed ecco a voi Miss Moon!”

Ecco, quella era la mia entrata in scena.
Miss Moon. Miss Luna. Mi chiamavano così le ragazze del club, per via della mia carnagione bianca. Bianca come la luna, dicevano. Pura come la luna, dicevano. Bella come la luna.
Sì, bella nell’oscurità che mi avvolgeva.
Avanzai sul palco ancheggiando peggio di una puttana, muovendo il seno, cercando di provocare più piacere visivo possibile.
Iniziai a slacciare il corpetto, slegando i lacci che lo tenevano insieme, fin quando non vidi un’ombra pararsi davanti a me.
Alzai lo sguardo incredula.

“Dannazione! Non guardatela, maiali! E tu, stupida, vieni con me!”

Scesi dal palco, vedendo lo sgomento sui volti dei clienti ed il capo insieme ai bodyguard rimanere inermi a guardare.
Ma perché non facevano nulla?
Cazzo, una loro spogliarellista veniva rapita e loro rimanevano a guardare? Ma che bastardi!
La mia corsa fu arrestata di colpo da quel tizio che mi stava trascinando.

“Non voglio più vederti spogliare davanti a quei pervertiti, cazzo.”
“Tu non sei normale! Stavo lavorando!”
“Beh trovati un lavoro decente Elisabetta!”
“Nico, tu sei matto. Questa è la mia vita. Fatti i cazzi tuoi!”
“Questi sono i cazzi miei, stupida.”
“Ah sì? E perché? Avanti, dimmi.”

Si avvicinò a me, abbassandosi di poco per arrivare all’altezza del mio viso.

“Perché sono geloso.”

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Capitolo 9
*** Ti proteggerò io ***





- Ti proteggerò io -


 

“Perché sono geloso.”

 
Lui geloso di me?
Lui, Nico Blasi, geloso della sottoscritta?
Forse quel giorno non mi ero lavata bene le orecchie e quindi non avevo udito bene le parole che aveva pronunciato.
“Nico che sta dicendo? Sei diventato scemo o cosa?”
“Cosa c’è di così difficile da capire, Marsh? Mi da al cazzo vedere quei viscidi che ti squadrano. Se solo potessero, ti scoperebbero su quei tavoli sudici. Te ne rendi conto?”
“Me ne rendo conto,ma non è una cosa che ti riguarda. È la mia vita Nico, non la tua. Cos’è hai paura di perdere la tua scommessa?”
Già, la scommessa era qualcosa che ancora mi tormentava. Volevo scoprire in cosa consistesse  
“Non c’entra la scommessa. Devi licenziarti da questo posto.”
Sospirai cercando di calmarmi, poiché quella conversazione stava mettendo a dura prova i miei poveri nervi.
“Allora Nico ascoltami bene, ok? SPARISCI DALLA MIA VISTA. ORA. Tu non sei nessuno per dirmi quello che devo fare o non devo fare. Ti è chiaro il concetto?”
Forse avevo esagerato nei toni. Vidi Nico irrigidirsi e subito dopo avanzare violentemente verso di me.
“N-Nico?”
Deglutii a fatica, sentendo l’adrenalina percorrere ogni lembo della mia carne.
Mi si parò davanti, arpionando le sue mani sulle mie spalle e facendo fuoriuscire dalla mia bocca un gemito dovuto al dolore.
Era così forte, cavolo.
“Mi fai male.” Sibilai cercando di farlo smettere.
“Elis, non voglio che tu lavori più qui. Ti è chiaro? Se non mi ascolterai, giuro che non so cosa potrei combinare. Sarei in grado di fare qualcosa di cui, sono sicuro, me ne pentirei amaramente.”
“Nico…mi fai male.”
Era l’unica cosa che riuscivo a dire. Mi stava facendo male sul serio.
“Non hai sentito cosa ti ha detto, Blasi?”
Nico lasciò istintivamente le mie spalle ed insieme ci girammo verso il punto dove proveniva la voce.
“Vincent, vedo che non hai ancora imparato a farti i cazzi tuoi.” Rispose a tono Nico.
“E tu a non ascoltare le richieste delle fanciulle.” Rincarò la dose Vincent.
“Pensavo di essere stato chiaro quando ti ho detto di stare lontano da Elis.” Ok, ora era divenuto un campo di battaglia quel vicolo dove ci trovavamo.
Vincent avanzò di qualche passo verso noi, sorridendo sornione.
“Blasi, non credo tu sia nella posizione ideale per dettare leggi et simili, sai?”
“Sta zitto, stronzo.”
Nico si era innervosito, era palese. Me ne accorgevo da come serrava la mandibola e dai pugni chiusi, segno inequivocabile che era nervoso.
“Credo che Elis non sappia nulla a riguardo, vero? Non sa di chi o meglio cosa sei. Giusto?”
“Che vuoi dire Vincent?”
Finalmente mi ero decisa ad intervenire in quell’assurda conversazione.
Le parole di Vincent mi avevano fatto sussultare, creando ulteriore scompiglio nei miei pensieri e facendo nascere una domanda più che lecita.
Chi sei Nico Blasi? Avrei voluto dire, ma ero completamente paralizzata ed impaurita da quello che avrei potuto scoprire se avessi posto tale domanda.
“Elis, finchè sei in tempo scappa da questo bastardo. Potresti fare la fine della sua ex ragazza.”
Ex ragazza? Nico non aveva ex. Insomma tutti conoscevamo il suo lato playboy! Lui non aveva ragazze fisse.
“NON NOMINARLA BASTARDO!”
Ecco questa era la prova. Lui aveva davvero avuto un’ex.
Nico si scaraventò su Vincent, sferrandogli un pugno in pieno volto, facendo cadere quest’ultimo sull’asfalto umido della sera. Vincent si rialzò, contraccambiando il pugno ricevuto. Iniziò così una rissa alla quale non sapevo mettere fine.
Non ero di certo una combattente. Cos’avrei dovuto fare? In preda all’agitazione ed alla paura, mis scaraventai sui due ragazzi che si stavano scazzottando, gridando.
“Vi prego basta. Fermatevi!”
Inutile, non mi ascoltavano.
Nella colluttazione ricevetti un pugno sul braccio destro, che mi indusse a gridare dal dolore. Solo in quel momento i due giovani parvero risvegliarsi e degnarmi d’attenzione.
“Cazzo, che male.” Imprecai in preda al dolore.
“Elis, dio mio, mi dispiace. Fammi vedere!” mi si avvicinò Vincent.
Ritrassi il braccio come scottata. Non volevo essere toccata da lui. Mi facevano paura entrambi, a dire il vero.
“Marsh, vieni qui. Fa’ vedere cosa ti abbiamo fatto, per favore.” Intervenne Nico, con quella sua voce profonda.
Credeva che imitando gli attori dei telefilm, con quella voce profonda, mi avrebbe fatto capitolare?
Oh come si sbagliavano entrambi. Io non ero una di quelle donne che capitolano appena un uomo usa un tono più erotico.
“Osate avvicinarvi di un altro passo e giuro che mi metto ad urlare peggio di una matta. Sono stata chiara?”
I due ragazzi si guardarono per poi posare nuovamente lo sguardo su di me.
“Nico, sei sicuro che il pugno le abbia preso il braccio e non il cervello?” esordì Vincent.
“Credo di non esserne sicuro Vincent.”
Ora si prendevano pure gioco di me?
Indispettita e dolorante mi girai di spalle, pronta ad incamminarmi nuovamente verso il Midnight per tornare finalmente a lavoro e guadagnarmi lo stipendio misero.
Iniziai a camminare quando mi sentii afferrare dal polso. Mi girai indispettita, trovandomi Nico che mi scrutava serio in volto.
“Pensavo di esser stato chiaro a riguardo.”
“Nico, io devo lavorare. Lo capisci?”
“Hai così bisogno di soldi?”
Ma a lui cosa importava, oltre al fatto che fosse geloso? Maledizione.
“Nico, lasciala stare.” Intervenne Vincent.
“Non sono cose che ti riguardano.” Rispose Nico, abbastanza alterato.
Vincent alzò le mani in segno di resa, facendo intendere che aveva gettato la spugna.
“Ok ok, vi lascio da soli. Ci vediamo Elis.” Concluse regalandomi un sorriso degno da fotomodello.
“Ciao Vince.” Lo salutai contraccambiando il sorriso.
I due ragazzi si salutarono, invece, con un cenno della testa.
“Ora torniamo a noi due.” Disse Nico rivolgendo nuovamente la sua attenzione su di me.
“Non ho nulla da dirti, NICO.”
“Io credo che abbiamo da parlare invece.”
Quella conversazione mi stava procurando stress, cavolo. Ma che voleva?
“Nico ascolta – sospirai – non voglio che tu t’intrometta nella mia vita. Sono stata ben chiara?”
“Perché ti ammazzi di lavoro?”
“Nico…”
Nel pronunciare così tante volte il nome di quel ragazzo, ormai era divenuta una cosa meccanica.
“Elis, io non capisco perché tu voglia umiliare il tuo corpo in questo modo.”
“Devo Nico. Devo.”
“Chi ti costringe? Dimmelo.”
Cosa avrei dovuto fare? Avrei dovuto confidarmi con lui? Avrei dovuto dirgli la verità sulla mia insulsa vita?
“Nico credo che non sia opportuno, credimi.”
“Io voglio sapere, però.”
Sospirai e guardandolo negli occhi, decisi di fidarmi per una volta di lui.
“Ho bisogno di lavorare per mantenere la mia famiglia.”
Lo guardai cercando un qualunque segno di scetticismo, che non arrivò, anzi. Mi incitava con lo sguardo a continuare.
“Ecco vedi…i miei genitori non mi apprezzano. Non chiedermi il perché, non lo so neanch’io. So’ solo che mi odiano, anche se loro si ostinano a dire il contrario. Da quando è iniziato il caso Ilva, la mia famiglia è caduta in disgrazia. Mio padre ha perso il lavoro perché la sua ditta, che era un subappalto dell’Ilva, è stata licenziata e così ci siamo ritrovati senza soldi. Ho dovuto darmi da fare e cercare un lavoro che mi permettesse di mandare avanti la famiglia. Mio padre è caduto in depressione e mia madre è diventata isterica. Se non porto uno stipendio decente a casa, mi danno botte e non voglio subire ancora. Appena finirò il liceo andrò via da qua. Ricomincerò da capo, perché sono stanca Nico. Stanca della merda che c’è intorno a me. Voglio vivere e sentirmi libera. Capisci ora?”
Finii di raccontare con il cuore in gola, certa che mi avrebbe derisa o roba simile. Ma ciò non accadde. Mi si avvicinò chiudendomi in un abbraccio che sapeva di buono. Di casa oserei dire.
“Sta tranquilla. Perdonami se sono stato brusco, ma non sopporto l’idea di vederti nuda davanti a quei viscidi vermi. Ti troverò io un lavoro decente. Te lo prometto.”
“No Nico. Non voglio la tua pietà. Non voglio nulla.”
Ed era vero. Non volevo la pietà di nessuno. Volevo cavarmela con le mie sole forze.
“NO! Ho detto che ti aiuterò. Ti proteggerò io. Non sei più sola.”

Ecco, con questa frase fece sciogliere ogni singolo pezzo di ghiaccio del mio cuore.




***************
Salve!
Perdonate l'enorme ritardo, ma tra lavoro ed impegni non sono riuscita ad aggiornare prima!
Volevo ringraziare tutti colore che seguono/preferiscono/ricordano e recensiscono la mia storia!
Vi ringrazio di cuore.

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Capitolo 10
*** Scommessa svelata ***





- Scommessa svelata -


 

Da quella sera erano passati dieci giorni. Dieci giorni in cui ogni singola cosa era cambiata intorno a me.
Nico aveva chiesto al professore di ripristinare le coppie-studio originarie e la cosa aveva lasciato tutti sconcertati, incluso me.
Altra novità? Nico mi aveva praticamente fatta licenziare da ambedue i lavori che svolgevo, trovandomi lui stesso un lavoro degno di essere chiamato tale, sempre secondo quell’essere.
In cosa consisteva? Lavorare come cameriera presso il ristorante dove lavorava anche lui. La paga era buona era quasi quanto prendevo con i due miei ex lavori messi insieme. La cosa dunque non mi dispiaceva più di tanto. Certo ero rimasta un po’ stranita dal fatto che un lavoro semplice come la cameriera avesse una paga così consistente, ma preferii fingere. Non volevo creare ulteriori casini e poi mi andava bene così.
Nico era praticamente diventato la mia ombra. Non mi lasciava neanche per un secondo e questo non aiutava per niente il mio piccolo cuore che era già in subbuglio da quella famosa volta in cui Mister ti Proteggo io, mi aveva salvata da quei tizi schifosi.
Tra le altre cose, a scuola, le ragazze non facevano che guardarmi di traverso. Era una cosa stizzante porco Caspio! All’improvviso non sembravo più la ragazza anonima, ruolo a cui ero abituata da cinque anni, ma l’oggetto dei pettegolezzi più succulenti del liceo.
Le mie due amiche , Lin e Kath, erano rimaste sconvolte ed entusiaste da quello strano rapporto che si era creato tra me e Nico. Continuavo a dirmi che mi vedevano già sposata con venti figli a carico e con un Nico quarantenne con una panza degna di Gerry Scotti. Ogni volta che prendevano questo discorso ridevo imbarazzata dicendo che la loro immaginazione non aveva eguali, non sapendo però che segretamente bramavo anch’io quella vita. Certo magari non con quella panza che loro dicevano e non con venti figli a carico. Mi sarei accontentata di dieci figli.
Quando radunai le mie amiche una sera, dicendo che avevo urgente bisogno di parlare con loro, non mi diedero neanche il tempo di spiegare di cosa si trattasse perché loro mi precedettero affermando convinte che loro sapevano di cosa si trattasse.

“Sappiamo che sei cotta di lui. Non diciamo innamorata perché non ne siamo sicure e poi sarebbe assurdo visto che non vi conoscete da chissà quanto, ma cotta a puntino lo sei!”

Mi punzecchiò Linda.

La più calma tra le mie amiche ora mi punzecchiava! Ero davvero nella merda più totale.
Cos’avrei dovuto o potuto fare per togliermi dal corpo, quella strana sensazione e quel formicolio che mi provocava vedere Nico o anche solo sentirlo nominare?
Non dovevo e non potevo permettermi di inciampare in un sentimento come l’amore o simili. Non era nei miei piani ne presenti ne futuri. 
D’altronde cosa sarebbe accaduto se Nico avesse scoperto che facevo sogni d’amore su noi due?
Certo lui aveva detto di essere geloso di me e di volermi proteggere, ma quella non era una dichiarazione d’amore, o sbaglio?
Le dichiarazioni d’amore sono diverse. O almeno era quello che pensavo.
Mi ero sempre immaginata seduta su una panchina sul lungomare di Taranto, mano nella mano con un ragazzo fittizio. Cuore impazzito, mani sudaticce, occhi da pesce lesso e una parola sussurrata: Ti amo.
Ecco per me era quella la dichiarazione d’amore.
 
 
 

 
“Elis come va con il tuo nuovo lavoro insieme a Mister ti proteggo io?” mi si avvicinò Kath, avvolgendo un braccio intorno al mio collo.
“Va.” Risposi sbrigativa io.
“Coma va? Non hai nulla da dirci?” intervenne curiosa Linda.
“Ragazze non c’è nulla da dire, chiaro? Va tutto perfettamente, candidamente, meravigliosamente, splendidamente bene. Ok?” controbattei acida.

Le mie amiche mi guardavano come se fossi un mostro. Le avevo ferite ed era chiaro come il sole.
Guardavo la mia amica Linda con i suoi occhioni castani, con i suoi occhi biondo scuro e con quel fisico asciutto che mi guardava con occhi sgranati e feriti.
La mia amica Kath che mi guardava con i suoi occhioni celesti ed i suoi capelli neri come la pece mossi dalla leggera brezza mediterranea, disgustata dal mio atteggiamento.
Ma chi ero o meglio cosa ero diventata?
Non volevo ferirle. Volevo semplicemente chiudere quella conversazione per me un po’ scomoda perché non avrei saputo rispondere diversamente.
Come andava? Come andava?
Ho già detto che Nico era diventato la mia ombra, ma non avevo detto che mi ero totalmente ed incondizionatamente innamorata di lui.
Sì, finalmente l’avevo ammesso.
Per quanto mi costringessi a non pensarci e dirmi che non potevo permettermelo, io mi ero innamorata di Nico.
Era una bugia che lo conoscevo poco perché proprio in quel poco io avevo trovato il mio paradiso.

“Ragazze scusatemi è solo che…”
“Che ne sei innamorata Elis, ne sei innamorata. Tranquilla.” Mi rispose Kath avvicinandosi ed accarezzandomi il viso con fare amorevole.

Forse ero per davvero la loro migliore amica, come loro lo erano per me. Forse ero importante tanto quanto loro lo erano per me. Forse ero io che mi facevo troppe pippe mentali.
Iniziai a boccheggiare non sapendo cosa dire e sentendomi improvvisamente nuda e priva di ogni difesa. Priva del mio guscio.

“Sta tranquilla, siamo tue amiche e ti spalleggeremo sempre e comunque tesoro.” Rinforzò il concetto dei miei pensieri Linda.

Mi avvicinai a loro due avvolgendo entrambe in un unico abbraccio, commossa dal loro volermi bene.

“Vi voglio bene ragazze. Grazie.” Tirai su col naso, ormai prossima al pianto isterico.
“No dai che schifo! Il moccio no!” si allontanò fintamente disgustata Kath, ridendo subito dopo.

Io e Lin ci guardammo per una frazione di secondo per poi scoppiare a ridere ed iniziammo a tirare sul col naso inseguendo Kath che correva da una parte all’altra del cortile della scuola.

“Allora Blasi come procede la scommessa?”

Ci bloccammo tutte e tre di colo nell’udire quelle parole.
Chi stava parlando era Luca. Amico di Nico.
Ci nascondemmo dietro un cespuglio. Sembravamo come quel personaggio di un Anime giapponese. Detective Conan.
Udito aguzzato e silenzio tombale.

“Procede alla perfezione Lù. Non sospetta di nulla. Crede che la voglia proteggere. Dio mio quanto è stupida.”

Persi un battito di cuore e strabuzzai gli occhi. Stavano parlando di me? Ero io il motivo di cotanta ilarità?

“Pensavo che Molinari fosse più sveglia. Il primo che le fa due moine subito lei si prostra ai suoi piedi.” Continuò, ridendo, Luca.
“Dovevi vedere la sua faccia quella sera! Ahahah mi mordicchiavo l’interno guancia per non scoppiare a riderle in faccia! E se la vedessi la sera quando lavoriamo…mi guarda con gli occhi da pesce lesso. È una cosa ridicolissima.”
“Se continui così i cinquecento euro saranno tuoi Blasi. Siamo stati proprio dei geni a scommettere con quelli della 5 B che avresti fatto innamorare quella sfigata.”

Quinta B. la mia classe.
I miei compagni di classe avevano cospirato contro di me.
Mi girai verso le mie amiche cercando i loro sguardi. Erano ferite e deluse quanto me. No di meno, poiché l’unica presa per il culo ero io.
Sentivo le gambe molli e sembravano volersi staccare da un momento all’altro dal resto del mio corpo. Il cuore era come se non battesse più.
Dovevo reagire. Dov’era finita l’Elis di un tempo? Dovevo combattere per me stessa.

“Al diavolo!” imprecai riprendendomi dal mio stato di trance e dirigendomi verso i due schifosi vermi.

Inutili furono le urla delle mie amiche che mi imploravano di restarmene ferma.
No. Non l’avrebbero passata liscia quei fottuti bimbi schifosi.
Camminavo a passo svelto, raggiungendo in un 5 falcate Nico e Luca.
Mi parai tra i due, guardandoli con aria di sfida.

“TU! –dissi rivolgendomi a Luca – sparisci. ORA. O dovrò staccarti il pisello ed attaccarlo al palo della luce. E TU!- dissi rivolgendomi verso Nico- fai schifo.  Credevi che non vi avrei scoperto? Eh? Fai schifo Blasi. Schifo. Ho sbagliato a fidarmi di te. Hai un futuro d’attore. Me la pagherai. Vendetta!”

Detto questo girai i tacchi e scappai letteralmente. Non volevo concedergli la soddisfazione di vedermi piangere.
Rientrai in classe ignorando gli sguardi indiscreti dei miei compagni che mi guardavano malignamente.

Al diavolo anche loro!

Nico me l’avrebbe pagata. Oh sì. Sapevo anche a chi chiedere aiuto.

Vincent.
 

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Capitolo 11
*** Vendetta ***




- Vendetta -

 

Da quel giorno era passata una settimana intera. Settimana in cui non aveva parlato con nessuno. E con nessuno intendo anche Linda e Katia. Mi sentivo umiliata e per quanto avessi reagito fortemente sul momento, una volta arrivata a casa ero crollata e tutta la tensione si era sciolta in un lungo pianto liberatorio, che aveva lasciato subito dopo, posto alla delusione più netta.
La cosa più umiliante per una persona è capire di essere innamorata di qualcuno e subito dopo scoprire che ha fatto una scommessa per farti innamorare ed umiliare.
Avevo lasciato anche il lavoro che mi aveva gentilmente trovato Blasi, ma continuando ad uscire tutti i giorni al medesimo orario per non far insospettire i miei genitori e cercando un altro lavoro.
Avevo anche un altro obbiettivo: trovare Vincent. Ne avevo assolutamente bisogno per la mia vendetta: Vendetta per Mr TI PROTEGGO IO.
L’unico modo per trovare quel ragazzo era dirigermi nel luogo dove ci eravamo “conosciuti”, ovvero il Midnight.
Era l’unico punto d’incontro che avevo con quel ragazzo che a quanto pareva dava letteralmente sui nervi a Blasi. Perché sì, avevo visto che Blasi era per davvero infastidito dalla sua presenza, a prescindere dalla scommessa. Lui sarebbe stato il mio tallone d’Achille nei confronti di quel bastardo.
Dovevo scoprire, inoltre, cosa avesse fatto di così terribile alla sua ex ragazzo quel fetente di un uomo.
Camminavo a passo svelto verso il mio ex locale, cercando di scacciare ulteriori pensieri omicidi verso Blasi.
Erano le nove di sera, dunque il locale sarebbe dovuto essere gremito di gente pronto a sbavare dietro alle ragazze e le mie previsioni non furono sbagliate.
Entrai, ritrovandomi quasi catapultata in quella che era la mia vita fino a poche settimane fa. Un brivido percorse la mia schiena, creandomi un senso di disagio che mai provai prima d’allora.
Avanzavo, quasi intimorita, tra i tavoli del Midnight, facendo un piccolo slalom per evitare di toccare ancora una volta quei sudici maniaci che mi avevano pagato , con le loro manie verso le donne, lo stipendio.
Respiravo a pieni polmoni per cercare di scacciare il disagio che ancora non mi aveva abbandonata, ma l’aria consumata mischiata a quella della macchina del fumo, creavano un mix che portava i polmoni ad implorare pietà. Non ero più abituata.
Vidi distintamente un ragazzo che dalle fattezze corrispondeva al mio obbiettivo. Mi avvicinai a passo svelto in direzione del tipo, posandogli una mano sulla spalla destra. Se non fosse stato lui, non avrei osato immaginare la gran figura di merda che avrei fatto.

“Elis è un piacere vederti.” Sorrise beffardo Vincent girandosi verso di me.
“Ho bisogno di parlarti. È urgente.” Premetti ulteriormente la mano sulla sua spalla, fissandolo negli occhi e sperando che capisse l’urgenza che avevo.

Inarcò un sopracciglio ma acconsentì, seguendomi verso l’uscita del locale.
Si fermò affianco ad una smart nera parcheggiata fuori dal locale, appoggiandovi una mano per atteggiarsi, probabilmente.

“Suppongo si tratti di Blasi. Si è rivelato per ciò che è?”

Annuii con enfasi, facendo trapelare, forse, tutto l’odio che si annidava nelle mie membra. Era possibile arrivare ad odiare qualcuno per una scommessa? Certo,specialmente se questa scommessa aveva ferito non solo il cuore, ma anche l’orgoglio ed io ero fin troppo orgogliosa.

“Cosa ha fatto questa volta?” continuò Vincent, facendomi intuire quanto gli interessasse la questione.

Presi un lungo respiro ed iniziai a raccontargli minuziosamente ogni singolo avvenimento degli ultimi tempi. Più raccontavo e più Vincent contraeva il viso in smorfie di disgusto e disapprovazione.

“Non è cambiato di una virgola lo stronzo, a quanto pare.”
“Perché ti teme in un certo senso?” andai dritta al punto. Era arrivato il momento di svelare le carte in tavola.
“Perché io ti servo?” rispose di rimando lui.
“Lo sai che è maleducazione rispondere con una domanda ad una domanda?” risposi risoluta.
“E tu non sei maleducata a chiedermi qualcosa di privato, visto che non ci conosciamo bene?”

Fui colta di sorpresa e cavolo, aveva davvero ragione. Mi mordicchiai il labbro nervosamente. Vincent era la mia ancora di salvezza e dovevo saper giocare d’astuzia.

“Qual è il piano di vendetta?” interruppe i miei pensieri, arrivando ad una spanna dal mio viso e facendomi sussultare.
“C-come sai che…” balbettavo peggio di una bimba.
“Altrimenti perché saresti venuta a cercarmi? Non sono stupido, Marsh.”

Marsh? Come faceva lui a sapere questo nomignolo? Poi un ricordo si fece spazio nella mia mente.






“Ehm…scusate ma io…dovrei andare.”

Per quanto quelle improvvise attenzioni di Nico, mi lusingassero, la situazione era alquanto ridicola.

“Ti accompagno Marsh.”
“A dire il vero, la signorina era in mia compagnia.”
“Appunto. ERA. Ora sta con me. Ci si vede Vin.”
“Stanne pur certo, Blasi. Stanne pur certo.”

 




Giusto. Nico in quell’occasione mi aveva chiamato in quel modo e Vincent sicuramente non aveva dimenticato quel gradevole incontro.
Cercai di ritornare calma e guardai Vincent che mi scrutava aspettando la mia risposta.

“Tu gli dai fastidio. Credo che tema che tu possa raccontarmi qualcosa del suo oscuro passato. Vorrei che tu…fingessi di essere il mio ragazzo.”

Ecco. La bomba l’avevo sganciata. Attendevo la reazione del ragazzo dinnanzi a me.

“Vorresti farlo ingelosire?”
“Anche, ma credendo che noi due stiamo insieme, sicuramente il suo fegato avrà bisogno di un trapianto.”
“Ci sto. Vendicherò mia sorella Maria in questo modo anche.”
“Maria?” dissi titubante.
“La sua ex ragazza.”

Avevo sentito in lontananza un rumore sordo. Una bomba era scoppiata. sì, nella mia vita.

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Capitolo 12
*** Rivelazioni ***






- Rivelazioni -

 

Dal giorno del mio accordo con Vincent, erano passati tre giorni. Tre giorni in cui ci stavamo comportando da perfetti fidanzatini. Mi veniva a prendere da scuola, mi portava la colazione a scuola se la dimenticavo per il mio essere perennemente in ritardo, mi veniva a prendere dal lavoro che ero riuscita a trovare.
In meno di un mese avevo cambiato tre lavori. Roba da matti. Ora lavoravo presso una libreria del mio paese davvero carina. La proprietaria era una simpatica donna sulla quarantina, single perché secondo lei la razza maschile serviva solo per accontentare gli istinti primordiali femminili e non per instaurare una qualunque tipo di relazione. Quando mi riferì queste sue convinzioni non potetti far a meno di ridere di gusto. Forse avrei dovuto imitarla in questa sua scelta. In fondo non era una filosofia errata, o sbaglio? I maschi servivano solo a procreare, giusto?
Potrebbe risultare un discorso femminista ma cavolo, anche loro si comportano da maschilisti credendo che le donne siano solo oggetti del piacere.
Ma va bene torniamo a noi e non perdiamoci in discorsi, forse, troppo grandi.
Nico non si era subito reso conto del rapporto che si era instaurato tra me e Vincent, forse perché troppo preso dalla sua vita o dal suo sentirsi verme. L’ultima ipotesi, ovviamente era solo un’invenzione del mio povero cervello ormai fuso per il pensare troppo.
Mr ti proteggo io si era reso conto di tutto il terzo giorno del mio contratto con Vincent, quando quest’ultimo avendo adocchiato Nico con la sua cricca, mi si era avvicinato, appoggiando il suo braccio sulle mie spalle, abbracciandomi.

“Vin che succede?” dissi alquanto imbarazzata, perché nonostante il nostro accordo comportasse tali atteggiamenti, mi sentivo sempre a disagio.
“È qui. Reggi il gioco piccola.” Mi sussurrò sensualmente all’orecchio destro, provocandomi dei brividi.

Annuii flebilmente cercando di far sparire l’evidente imbarazzo dalla mia faccia da ebete.
Le mie amiche, che erano a conoscenza di tutto quel casino, camminavano al nostro fianco dandomi silenziosamente manforte.
Vidi di sbieco Nico strabuzzare gli occhi e fissarci allibito, mentre i suoi amici confabulavano tra di loro ed a giudicare dal fischio nelle mie orecchie e dalle loro occhiate, eravamo noi il centro dei pettegolezzi.
Gonfiai il petto, la pancia in dentro e naso all’insù fingendo di essere una snob altezzosa, abbracciai Vincent come una quindicenne con gli ormoni sballati.
La nostra avanzata fu fermata da Nico che con sguardo angosciato di osservava indispettito.
La sua espressione era del tipo: questa relazione non sa da fa!
Io e Vin ci guardammo per poi riprendere a camminare, fingendo indifferenza e sorridendo cercando di far capire che non ci importava della sua presenza.

“E questo cosa significa?” esordì Nico con una voce che tradiva la sua calma apparente.

Continuammo a fingere di non vederlo finché non fermò Vincent afferrandolo per la spalla e costringendolo a girarsi.

“Blasi non credo sia affari tuoi.” Rispose tranquillo Vincent che avevo incrementato la sua presa sulla mia spalla.
“Vin lascialo perdere, andiamo dai.” Dissi posando la mia mano sinistra sul suo petto, cercando di farlo sembrare un gesto d’amore.

Nico assottigliò gli occhi, bruciandomi letteralmente con lo sguardo. Istintivamente feci un passo indietro quasi a volermi nascondere da quell’essere che odiavo ed amavo al tempo stesso.

“Credevi di poter intrappolare anche lei nella tua lurida ragnatela, Nico? Credevi che ti avrei permesso di distruggere un’altra ragazza come hai fatto due anni fa con Maria?” lo aggredì verbalmente il ragazzo che continuava a stringermi tra le sue braccia.

Guardai Nico notando il suo viso indurirsi ed avanzare di un passo verso noi, serrando la mascella e chiudendo le mani a pugno.

“Lascia Maria fuori da questa questione. Lei non c’entra nulla.”

Si stava incazzando lo stronzo. Lui si stava incazzando!

“Forse mia sorella non c’entra, secondo te, ma anche questa ragazza rischiava di essere distrutta dal tuo abominevole modo d’essere. Fare una scommessa su di lei. Pensavo che saresti cambiato dopo quello che è successo, ma mi sono sbagliato.”
Volevo sapere. Volevo sapere cos’era successo a quella ragazza e sapere il motivo di tutto quel rancore perché non era normale per una semplice delusione d’amore.

Ero ansiosa di sapere, di scoprire, di capire.

“Non è colpa mia se tua sorella la da al primo che capita.” Rispose sogghignando Nico.

In un attimo sentii vuoto al mio fianco e vidi Vincent avventarsi contro Nico e sferrargli un pugno in pieno viso, facendolo indietreggiare. Mi portai le mani sulla bocca mentre le mie amiche gridavano verso la cricca di Blasi implorandoli di fermarli.

“Mia sorella era innamorata di te! Ha perso con te la sua verginità, bastardo!” Vincent era furente.

Nico non reagiva, lasciava che Vincent lo picchiasse e che sfogasse la sua rabbia repressa per troppo tempo.
Dopo un paio di minuti erano entrambi stesi a terra ansimanti e doloranti per la scazzottata.

“Vincent mi dispiace.” Esordì Nico fissando Vincent che giaceva al suo fianco.
“Lo so.” Rispose il ragazzo.
“Non ero pronto all’epoca. Ero solo un ragazzino impaurito e viziato. Non volevo chiudermi in un rapporto a diciassette anni. Non ero pronto ad essere padre.”

Padre. Quell’ultima parola arrivò al mio cervello come un urlo. Un urlo straziante e che aveva mandato in frantumi il mio cuore.
Lui padre. Lui padre di un figlio concepito con un’altra.
Perché dovevo innamorarmi di uno con un passato simile? Cosa c’era di sbagliato in me?

“È per questo che l’hai costretta ad abortire?” rispose acido Vincent.

Un altro macigno da cento kili da sopportare. L’aveva costretta ad abortire? Ma che razza di mostro era? Che razza di persona poteva mai essere uno che compiva tali azioni?

“Io? Ti sbagli – scosse la testa Nico malinconicamente – non l’ho costretta. Certo non ero pronto e molto probabilmente sarei scappato, come poi ho fatto, ma non l’avrei mai costretta ad uccidere il bambino. Dovresti parlare meglio con tua sorella Vincent.”

Basta. Quello era davvero tropo da sopportare e sentire. Quando ero andata a chiedere aiuto a Vincent non credevo che ne sarei uscita così malridotta e spezzata. Ero stata davvero una sciocca a credere che mi sarei potuta vendicare. Avevo ormai smesso di ascoltare i loro discorsi chiudendomi nei miei pensieri alquanto tristi ed autodistruttivi.
Nico, il Nico che avevo conosciuto io era solo una maschera creata per potermi prendere in giro. Il Nico dolce e un po’ geloso era solo frutto di una scommessa. Il vero Nico era quello che mi stava denigrando pochi giorni prima insieme ai suoi amici. Io non avrei mai potuto conquistarlo come accadeva nelle più belle fiabe d’amore. Io non avrei trovato nessun principe azzurro pronto a portarmi in salvo. Avrei dovuto salvarmi da sola. Avrei dovuto gettarmi da sola l’ancora di salvezza e risalirla. Dovevo contare solo sulle mie forze per poter rimanere a galla in quel mare di merda in cui stavo navigando da un po’ di giorni. Ero patetica, lo so, ma come si può non esserlo quando si è innamorati del tipico ragazzo stronzo? Come si può rimanere a galla se hai qualcuno a cui tieni che ti spinge verso gli abissi?
Volevo, anzi dovevo, fuggire da lì. Non potevo più sentire una sola parola pronunciata da quei due. Volevo scappar via e prima che riuscissi a formulare tale pensiero, le mie gambe iniziarono a correre lasciando dietro di me Lin e Kath che si stavano sgolando nel chiamarmi.
Basta. Non volevo sentire più nessuno. Volevo solo stare un po’ sola per metabolizzare il tutto. So perfettamente che la mia fu una reazione del tutto esagerata all’apparenza, ma apprendere in quel modo del passato di Nico mi aveva shoccata.
Corsi a perdifiato cercando di oltrepassare qualche passante che m’intralciava la strada. Arrivai sul lungo mare, il mio posto preferito. L’odore del mare, il rumore dell’acqua che s’infrangeva sugli scogli mi rilassava.
Mi sedetti su una panchina, chiudendo gli occhi e respirando a pieni polmoni quell’aria frizzantina che donava il mar Jonio. Era sempre un piacere soffermarsi in questo luogo ed apprezzarne le bellezze.

“Marsh.” Un sussurro che mi creò un brivido lungo la schiena.
Ora me lo sognavo pure a quello stronzo. Ero proprio una povera stupida.
Il mio sogno però, mi stava fissando negli occhi ed aveva poggiato le sue mani sulle mie spalle stringendole con vigore.

“C-cosa ci fai qui?” balbettai tra l’incredulo ed il nervoso.
“Secondo te?” rispose regalandomi un sorriso. uno di quelli per cui io mi ero sciolta in precedenza.

Mi alzai indispettita, togliendo le sue manacce dalle mie spalle e girandomi dandogli le spalle.

“Lasciami in pace Blasi.”
“Non volevo che venissi a scoprire tutto così. Mi dispiace.” Disse prendendomi per le spalle e facendomi voltare verso di lui per mollare subito dopo la presa.
“Ti dispiace per cosa? – mi voltai verso di lui guardandolo con aria furiosa- per aver fatto una scommessa su di me? Per quale motivo poi? Non vi ho mai fatto nulla di male Blasi. Nulla. O ti dispiace che abbia scoperto il tuo oscuro passato in questo modo? Cosa, eh? Cosa ti dispiace. Avanti dimmelo.”
“Per entrambe le cose! Ma cazzo tu offri le opportunità su un piatto d’argento! Sempre così asociale ed ingenua. Elis non è tutto oro quel che luccica!
“Me ne sono resa conto!” lo interruppi ormai furibonda.
“Tu ti sei subito fidata di me. Te ne rendi conto? Come puoi farlo? Eh? Sei solo una…”
“Illusa. – dissi chinando la testa e riprendendo fiato- mi sono illusa che tu fossi diverso e che potessi fidarmi di te, perché io ci credevo. – sorrisi amaramente – credevo che tu ed io saremmo potuti diventare amici.”
“Elis, io… “ allungò una mano verso di me cercando di accarezzarmi il volto, ma io mi ritrassi come scottata.
“Basta Nico. Sono solo parole le tue. Sei il mio sbaglio più grande.” Alzai il viso andando ad intrappolare il mio sguardo nel suo e dando libero sfogo alle mie lacrime che ormai volevano uscire per far capire a quel ragazzo tutto il mio dolore.
“Elis capisco che tu sia rimasta ferita dalla scommessa, ma…la tua reazione è eccessiva.” Controbatté Nico.
Esagerata? Per lui era esagerata? Evidentemente non era mai stato innamorato di qualcuno per poi essere ferito, deriso ed umiliato. Avrei voluto urlargli in faccia tutto il mio disgusto, la mia delusione, la mia amarezza. Avrei voluto in faccia che lo amavo ed era per quello che mi comportavo così.
“Perché ti amo Nico. TI AMO.”

Un momento. Cos’era appena successo? Chi aveva detto che amava Nico?
Oh. Ero stata io.
Io?! Dannati cervello e cuore che eravate sempre in lotta tra di voi. Ma perché la mia bocca non ascoltava mai il cervello? Perché seguiva come un segugio il cuore?
Nico iniziò a boccheggiare e guardarmi sconvolto.
Avrei voluto seppellirmi e non uscire mai più allo scoperto. Nico non accennava a riprendersi dal suo stato di trance e dunque decisi di fare la cosa più logica da fare.
Scappare.
Iniziai a correre cercando di fuggire da quel luogo che improvvisamente odiavo.
Ero arrivata ad odiare anche dei semplici luoghi per colpa di quel tizio stronzo

“Elis, aspetta!”

Mi sentii afferrare da un polso e poi buio.
Andai a sbattere contro il petto di…Nico!?
Cosa voleva ancora? Perché doveva farmi ancora altro male?
 

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Capitolo 13
*** Dimentica ***






- Dimentica -


 

Non riuscivo a capire cosa mi fosse saltato in mente in quel fottuto momento. Rivelare a Blasi i miei sentimenti in quel modo.
Forse tutto ciò che era successo in quell’ultimo periodo mi aveva destabilizzata, rendendomi completamente stupida e priva di ogni inibizione. Cosa mi aspettavo da lui? Che mi giurasse amore eterno? Che si prostrasse ai miei piedi chiedendo venia?
Dovevo essere completamente fuori.
Ormai le mie labbra completamente tagliuzzate dal mio continuarle a morderle per il nervoso e la gola che assomigliava al deserto, erano diventate la mia unica fonte di distrazione per non guardare il ragazzo che mi sovrastava con la sua figura.
Dovevo trovare un modo per uscire da quella situazione estremamente imbarazzante.

“Elis…” mi chiamò Nico con un tono dolce da far invidia allo zucchero.

Alzai lo sguardo imbarazzata ed impaurita. Non sapevo cosa aspettarmi da lui.

“Elis, guardami. Per favore.” Continuò, avvicinando ed alzando il mento con l’indice.

Mi sentii scoperta, fragile, piccola ed indifesa, mentre lui continuava ad attirarmi verso di lui con il suo sguardo.
Solo Dio sa quanto avrei voluto scomparire in quel momento cercando di non lasciare alcuna traccia del mio misero passaggio in quella vita.
Era destabilizzante vedere l’effetto che sortiva quel ragazzo sulla mia persona. Era destabilizzante ancor di più, vedere quanto misera fossi io e di quanto misero fosse il mio auto controllo.
I suoi occhi, le sue labbra, le sue mani. Ogni singolo centimetro della sua pelle era destabilizzante ed io non ero abbastanza forte per fronteggiarlo.
Chinai nuovamente testa e sguardo, andando a puntarlo sulle mie incredibili e sconvolgenti vecchie scarpe da ginnastica. Strano come in quel momento quel vecchio paio di scarpe fosse divenuto improvvisamente interessante.

“È vero ciò che hai urlato poco fa, Marsh?” imperterrito e rompi scatole di un Blasi.

Il mutismo era la mia unica ancora di salvezza. Dovevo continuare su quella linea di difesa.

“Perché?” un sussurro che uscii talmente flebilmente dalle mie labbra che persino io stentavo a sentirmi.

Un lampo di incertezza attraversò gli occhi di Nico, facendo traballare quella luce di strafottenza che lo caratterizzava.

“Perché Nico? Perché proprio io? Perché? Cosa vi ho fatto di male per indurvi a giocare con me? Nessuno di voi mi ha mai calcolata. Nessuno di voi è stato succube di qualche scherzo da parte mia o altro. I miei compagni di classe non ne avevano motivo. Ti prego…dimmi perché.”

Ora volevo sapere. Volevo solo sapere perché e come eravamo giunti a quel punto. Volevo comprendere i loro gesti.

“Marsh…”
“No ti prego. Non chiamarmi in quel modo. Ti prego.” Lo implorai, cercando di trasmettere attraverso il mio sguardo tutta la sofferenza ed il dolore che avevo nel corpo.

Si passò la mano sinistra tra i capelli, ravvivandogli ma donandogli una forma disordinata. Era bello anche così, anche incerto ed insicuro.

“Perché era divertente e non avevamo nulla da fare Elis.”

Ero un gioco per attutire la noia? Ero solo questo? I miei sentimenti, le mie emozioni, le mie delusioni, erano solo un gioco?
Guardai inorridita Nico, cercando di far trapelare tutto il mio disgusto verso di lui e di quel gioco macabro che aveva intrapreso insieme a quelle scimmie dei miei compagni di classe.

“Elis, io…”
“Valgo cinquecento euro? Li hai spesi almeno in qualcosa di utile? Oppure il sacrificio del mio cuore è valso solo un gioco per playstation?” acida e tagliente.

Chinò il capo, colpevole, sorridendo amaramente e conscio della ferita che aveva apportato al mio già inquieto cuore.

“Sai Nico – sorrisi anch’io amaramente – mi sono fidata di te. Ti ho raccontato della mia vita. Ho lasciato che ti prendessi cura di me. Ho lasciato due lavori che mi permettevano di aiutare la mia precaria famiglia. ho lasciato che mi proteggessi, ma sai…nella vita si sbaglia e tu sei il mio sbaglio più grande.”

Non sapevo se le mie parole cariche di odio e disprezzo avessero smosso l’anima di quello stronzo patentato, ma la speranza è l’ultima a morire, giusto?
Se fossi riuscita a fargli provare solo un decimo del dolore che lui mi aveva arrecato, sarei stata più che soddisfatta.
Forse avevo esagerato però. Nico aveva strabuzzato gli occhi, serrando la mascella e chiudendo le mani a pugno. Avevo esagerato, cazzo.

“Il tuo sbaglio più grande? IL TUO SBAGLIO Più GRANDE?” urlò, costringendomi ad indietreggiare di qualche passo per la sorpresa mista a paura.

Più indietreggiavo e più lui avanzava verso di me.
Andai a sbattere con la schiena contro un palo della luce. Ma prima c’era? Forse non vi avevo fatto caso.

“N-nico cosa vuoi fare?” fantastico. Balbettavo come una bimbetta.
“Nulla.” Biascicò.

Deglutii, sentendo un nodo allo stomaco, causa di aumento di batticuore e sudorazione.
Si avvicinò ulteriormente, finchè i nostri nasi non si sfiorarono, facendo affluire più sangue del dovuto alle mie gote.

“Nulla.” Ribadì Nico, sussurrandolo sulle mie labbra.

Sentii un brivido percorrere la mia spina dorsale. In un attimo ripercorsi tutta la nostra storia. Era come se tutto il dolore e le lacrime versate per quel ragazzo, stessero venendo spazzati da quel fiato che solleticava la mia pelle. Dal fiato che aleggiava sulle mie labbra, facendomi desiderare silenziosamente ed incoscientemente di toccarle, morderle e baciarle.

Perché io desideravo quel contatto dal momento esatto in cui avevo capito di amare quel bastardo.


Forse anche Nico avevo lo stesso desiderio, perché eravamo troppo vicini per un semplice dialogo.

“Al diavolo!” esordì Nico, tuffandosi sulle mie labbra.

Era un bacio strano. Al sapore di disperazione e…amore. Un bacio desiderato, passionale e casto. Un bacio a controsenso. Un bacio al sapore di scommessa. Un bacio al sapore di amore.
Tante erano le domande che ora affliggevano la mia mente, ma tante erano le risposte che non volevo per paura di scoprire qualcosa di scomodo.
Si staccò da me troppo presto per i miei gusti, appoggiando la sua fronte contro la mia e guardandomi intensamente negli occhi ormai lucidi.
Avrei voluto parlare, chiedere ma stare zitta allo stesso tempo. Cosa dovevo fare ora? Come dovevo comportarmi?
Nessuno dei due sembrava voler parlare, quasi a temere di rompere un equilibrio già precario di suo.
Ma ogni cosa bella deve finire, purtroppo. 

“Mi dispiace Elis.” Un sussurro che però arrivò come un urlo.

Gli dispiace per cosa? Per quello che mi aveva fatto passare? Per il bacio? Per cosa?
Lo guardavo timidamente, vergognandomi come una bambina scoperta a rubare le caramelle.

“È stato un errore questo bacio. Un momento di debolezza. Perdonami. Volevo solo pagare il mio debito nei tuoi confronti. Dimentica questo bacio privo di significato.”

Un dolore lampante invase ogni centimetro del mio corpo, sino ad arrivare al mio cuore, rompendolo in milioni di pezzettini. Potevano le parole ferire e distruggere in questo modo? Poteva lui ferirmi ancor di più di quanto già avesse fatto?
La risposta era: sì.
Ed io ero stata tanto stupida da permettergli di entrare ancora nel mio cuore e di abbattere le mie barriere.

“Addio Blasi.” Sussurrai a testa china, guardandolo un’ultima volta con uno di quei sguardi da telefilm. Gli voltai le spalle, iniziando a camminare con la testa rivolta verso ‘alto, conscia che tutto era cambiato.
Di solito in un momento come quello, nei film la pioggia iniziava a battere incessantemente ,ma la mia vita non era un film. Era la realtà. Ed un sole splendente illuminava le mie lacrime.

La prima delusione d’amore non si scorda mai.
 
 



“Elis, calmati. Ti prego.” Continuava a sussurrarmi all’orecchio Linda, accarezzandomi la testa mentre continuavo a piangere con la testa poggiata sulle sue gambe.
“Tesoro è solo uno stupido. Tirati su.” Kath, quanto era dolce quella ragazza?

Tirai su col naso, facendo sobbalzare Linda per il rumore che avevo fatto. Quanto potevo essere sfigata da uno a cento? Il massimo era il minimo in quel momento.

“Voglio sparire. Nn voglio più vederlo. Con che faccia mi presenterò domani a scuola? Aiuto!” conclusi appoggiandomi nuovamente sulle gambe della mia amica, tornando a piangere e singhiozzare.
“Elis, ascoltami bene!” si avvicinò Kath, alzando il mio volto e chiudendolo a coppa tra le sue esili mani. “Sei bellissima. Non hai nulla da temere. Lui è un coglione che ha voluto divertirsi non sapendo però che avrebbe perso una persona sincera e fiera come te. Perché tu, piccola mia, hai la stessa fierezza di una leonessa. Ora asciuga quei tuoi occhioni blu, rifatti il trucco, metti su un bel sorriso e mostra a quei quattro bastardi chi è Elisabetta Molinari.”

Spalancai gli occhi, guardandola sorpresa e con le lacrime che avevano ripreso a sgorgare impertinenti.
Ero una leonessa?
No, ma lo sarei diventata. Avrei dimenticato Nico e tutta quell’assurda storia.



******
Mamma che faticaccia questa volta!
Ragazzi perdonate se non rispondo ad ognuno di voi nelle recensioni, ma vado di leggermente di fretta. La tempesta dell'altro giorno mi ha praticamente distrutto mezzo locale.
Volevo ringraziare ognuno di voi per il tempo e la pazienza che adoperate nel leggere questo quattro parole in croce.
Vi ringrazio di cuore.
Volevo ringraziare le 37 persone che hanno inserito la mia storia tra le preferite, le 7 persone che la ricordano e le 94 persone che la seguono.
Dire che vedere quei numeri crescere è un'emozione indescrivibile, è un eufenismo! Voi mi scaldate il cuore. Vi ringrazio.

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Capitolo 14
*** Nuova vita? ***






- Nuova vita? -

 

Come mi sarei dovuta comportare da lì in poi?
Mi aveva chiesto di dimenticarlo. Di dimenticare quel bacio, ma forse in quella sua richiesta era contemplato anche il dimenticare ogni singola cosa che c’era stata tra di noi.
Una morsa mi attanagliava lo stomaco, inducendomi a digiunare e riducendomi al fantasma di me stessa.
Mancavo da scuola da tre lunghi giorni, diciotto ore scolastiche, milleottanta minuti. Era una vita, o almeno così sembrava ai miei occhi stanchi per la mancanza di sonno. La mattina uscivo puntualmente alle sette e trenta per non far sospettare nulla ai miei genitori e mi rintanavo nella libreria dove lavoravo, aiutando la proprietaria e guadagnando qualche extra.
Persino Margherita, la proprietaria della libreria, si era resa conto che c’era qualcosa che non andava in me.
Continuava a lanciarmi sguardi eloquenti conditi di sorrisetti che tradotti in lingua parlese significava: so che hai qualcosa e che probabilmente si tratta di un uccello di terra.
Sbuffai sonoramente per via dei pensieri che continuavano ad affliggermi, grattandomi la nuca e scaricare un po’ del nervoso.

“Ok, adesso basta Elis.” Esclamò Margherita, sbattendo sul bancone dove c’era il registro di cassa un libro che stava leggendo.

Alzai lo sguardo, frastornata, fissandola con un pizzico di sgomento.

“Ok che è una libreria, ma non è una biblioteca dove si dilige il silenzio assoluto. Che cavolo succede? Potrei saperlo oppure sarei troppo invadente?” continuò imperterrita Margherita, fissandomi intensamente.

Sospirai, appoggiandomi al bancone e sostenendomi con le mani aggrappate al ripiano.

“Mag, credimi, non c’è nulla da sapere. Solite questioni amorose.” Abbassai lo sguardo, sentendo nuovamente le lacrime minacciare di uscire e venir a far visita alle goto ormai divenute rossastre.
“Nessuna questione amorosa, come la chiami tu, è solita. Ogni storia è a se. Ogni amore ha una caratteristica propria, una sensazione, uno sguardo, una carezza, persino il dolore è personale. Non puoi razionalizzare e omologare quello che provi tu con il resto.”

Non so cosa mi colpì di più di tutto quel discorso, fatto sta che un singhiozzo uscì fuori dalla mia gola, accompagnato subito dopo da altri e dalle lacrime che ormai avevano intrapreso il loro percorso sul mio viso, facendo colare il trucco pesante che mi ero spiaccicata in faccia.
Margherita mi si avvicinò, posando la sua mano sul mio volto facendomi sussultare per quel contatto non chiesto ma del tutto delicato, quasi materno oserei dire. Quel contatto che per tanto, troppo, tempo mi era stato negato da quella che doveva essere la mia vera madre.
Mi avventai praticamente sul suo seno abbracciandola così forte che forse il suo respiro venne meno, ma non si lamentò, anzi, mi abbracciò a sua volta, depositando piccoli baci sulla mia testa, sussurrandomi tenere parole.

“Io… -un altro singhiozzo- credevo di potermi fidare di lui. Io – ancora un singhiozzo- credevo che avrei potuto cambiarlo, proprio come nelle favole più belle.  Io…-un singhiozzo che mi smorzò il fiato- sono un’illusa. Un’illusa innamorata di una scommessa.”
“Non sei un’illusa mia dolce Elis, sei semplicemente innamorata. Sei un’innamorata sbagliata.” Se voleva rincuorarmi, non ci riuscì per niente, guadagnandosi un mio sguardo alquanto confuso.
“Però –continuò a parlare- c’è un modo per rendere questo amore giusto.”
“Ovvero?” le chiesi in un sussurro.
Cambiare.”
 





 
Forse quando Mag mi disse che per rendere il mio amore giusto, sarei dovuta cambiare, non credeva che lo avrei fatto radicalmente.



Continuavo a guardare la mia immagine riflessa allo specchio. E più mi guardavo e più il mio sorriso si allargava.
Ero soddisfatta di me stessa. Lo ero per davvero.
Il trucco pesante di prima, era stato sostituito da una linea di matita fin troppo nera, il viso pallido, colorato con un po’ di blush  rosa pesca e le labbra lasciate del colore naturale.
Avevo modificato i miei vestiti troppo ordinari aggiungendoci delle borchie. Mi ero recata presso il negozio di bigiotteria in centro, acquistando dei bracciali da dura.
Ero diventata davvero un’altra persona. Sì, ma esteriormente. Interiormente ero ancora la piccola e fragile Elisabetta Molinari di prima e questa cosa m’infastidiva, ma ci avrei potuto lavorare a poco a poco.
Era passato un mese da quando avevo chiuso i rapporti con Blasi. Un mese esatto in cui avevo apportato tutte quelle modifiche alla mia vita.
Per la coppia-studio del prof. Santoro, avevo trovato una scusa banale: odiavo studiare in coppia, poiché abbassava la mia media. Il prof ovviamente storse il naso e non la prese bene, ma notando che i miei voti erano peggiorati, acconsentì a sciogliere quell’assurda coppia che eravamo divenuti io e Blasi.



 
“Elisabetta!” una voce maschile rude mi fece risvegliare dal mio stato di trance e riportandomi con i piedi per terra.

Uscii dal bagno e mi diressi in cucina, trascinando i piedi svogliatamente.

“Dimmi papà.” Tirai un sorriso, cercando di non far trapelare i miei pensieri.
“Ti hanno  già pagata questo mese?”

Ecco, sempre la solita domanda. Mai che chiedesse come stessi, se andasse tutto bene. No, solo soldi.
Sospirai e feci un segno negativo con la testa.

“E quando si decidono? Devo pagare le bollette, lo sai.”
“Papà, lo sai, è nuovo questo lavoro e non mi va di chiedere. Resisti, fra due giorni mi pagano. Per favore.” Mi morsi il labbro inferiore, cercando di reggere il suo sguardo duro che mi scrutava fin dentro l’anima.

Sospirò e mi liquidò con un cenno della mano, lasciandomi finalmente libera di uscire da quella casa infernale.
Io servivo solo per quel fottuto stipendi etto che mi portavo a casa. Ma non potevano alzare il loro culo ed andare a cercare lavoro? No. Troppo difficile.
E poi, avevo deciso di tenermi per me, almeno quella volta, un po’ di soldi poiché avevo promesso a Vincent di andare con lui in discoteca il sabato successivo. Solo per quella volta avrei voluto provare la vita di una normale ragazza della mia età. Solo per quella volta volevo non essere me stessa, quella giudiziosa e pacata.
Dopo il casino con Nico, per un po’ avevo preferito evitare Vincent, finché una sera non si presentò fuori la libreria con un cappuccino in mano e con la faccia da cucciolo.
Avevamo parlato per due ore di fila, senza fermarci un secondo ed alla fine ci eravamo completamente dimenticati di quel bicchiere contenente il mio cappuccino.
 
 




I famosi due giorni erano passati e con lo stipendio tanto atteso, era arrivato anche il sabato in cui sarei andata in discoteca con Vincent.
 


 
“Sei bellissima questa sera, piccola” mi sussurrò Vincent abbassandosi sino al mio orecchio.
“Grazie, ma è un semplice tubino nero.” Risposi, sorridendogli imbarazzata.
“Sei lo stesso bellissima.” Insistette imperterrito.
 



Dopo quello scambio breve di battute imbarazzanti, ci avviammo verso l’ingresso del locale in un muto silenzio.
Troppo imbarazzati per parlare, troppo presi nei nostri pensieri.
Arrivammo all’ingresso del locale e non appena fummo dentro, un’ondata di aria consumata mischiata alla puzza di sudore ed ormoni su di giri, invase le nostre narici, facendoci storcere leggermente il naso.
Avanzammo verso il centro della pista cercando di farci strada tra la massa informe di carne umana che cercava disperatamente di accoppiarsi.
Vincent, forse, si accorse del mio disagio e mi prese per mano, stringendola forte e sorridendomi dolcemente.
Sentii le guance infiammarsi e la sudorazione aumentare. Mi dissi che doveva essere il caldo e l’aria viziata del locale a recarmi tale effetto.

“Stai tranquilla, non ti accadrà nulla.” Mi sussurrò nell’orecchio Vincent, provocandomi brividi che partivano dall’orecchio sino all’osso sacro.

Ma che stava succedendo? Perché ora guardavo con occhi sognanti Vincent?
Forse il suo portamento elegante e sicuro, la sua dolcezza ed accortezza nei miei confronti o forse il fatto che sapesse cosa stessi passando per via di Blasi, me lo faceva vedere con occhi diversi.
Scossi la testa cercando di non pensare a quei pensieri alquanto destabilizzanti ed incomprensibili.
Giungemmo al bancone del bar e ci accomodammo sugli sgabelli alquanto scomodi e duri.

“Cosa desiderate?” ci si avvicinò un ragazzo bassotto, biondo ed occhi castani, piuttosto carino.
“Per me un angelo azzurro, per te invece?” si voltò verso di me Vincent, guardandomi negli occhi, ma non sentii un cavolo di quella frase. Mi ero persa nell’osservazione del suo corpo e dei suoi lineamenti  così perfetti e delicati.
“Elis? Ohi? Cosa vuoi da bere?” ripeté Vincent sventolandomi una mano davanti al viso.

Sbattei più volte le palpebre aprendo e chiudendo la bocca, sentendola improvvisamente secca e bisognosa di essere idratata.

“U-un…montenegro.” Stentai persino a riconoscere quella voce stridula, come la mia.
“Vai giù pesante, eh piccola?” sogghignò Vin per poi rivolgersi al barman ed ordinare il mio montenegro.

Finalmente arrivarono le nostre ordinazioni e senza esitazione afferrai il mio bicchiere ingurgitando e mandando giù quel liquore che tanto bruciava mentre scendeva lungo il mio esofago. Arricciai il naso e chiusi gli occhi per il senso di disgusto che mi aveva invasa.
Mi alzai di scatto sentendo la testa vuota ed un singhiozzo uscì dalla mia gola, facendo sobbalzare Vincent che mi guardava tra il preoccupato ed il sarcastico.

“Ehi tutto bene?” si avvicinò Vin.
“Sì, ho solo voglia di ballare un po’…con qualche bel ragazzo.” Conclusi senza dargli tempo di rispondere e mi avviai verso il centro pista.

Quelle luci psichedeliche, quei corpi tutti ammassati ed i membri maschili che si strusciavano, iniziavano a darmi il volta stomaco onestamente.
Sentii cingermi la vita da dietro, abbassai lo sguardo e mi resi conto che due braccia maschili mi tenevano avvinghiata ad un corpo alle mie spalle. Cercai di divincolarmi senza risultato. Ma chi cavolo era così stronzo da non lasciare una ragazza nonostante essa gli stesse facendo capire che non era gradito il suo tocco?

“Shh, tranquilla piccola Molinari. Divertiti un po’.” Soffiò al mio orecchio l’individuo, facendomi deglutire. La sua voce mi era familiare. Fin troppo.

Continuando a guardare davanti a me, sibilai il nome del mio aggressore.

“L-luca?”
“Mi hai riconosciuta, vedo. Nico aveva proprio ragione, hai un corpo da favola.” Rispose malignamente Luca.

Cercai di strattonarlo per potermi liberare, ma nulla. Non sembrava funzionare. Ma dov’era Vincent quando serviva? La paura iniziava a stringermi all’altezza della gola, così come la prese di Luca iniziava a stringermi la vita. Perché nessuno sembrava accorgersi di quello che stava accadendo? Le lacrime vennero a bussare alle porte degli occhi, mentre io continuavo a pregare mentalmente.

“Non vedi che le stai facendo male e che non desiderare le tue attenzioni?”
“Vincent!” urlai di gioia, peccato che il baccano del locale non permise al mio urlo di venir udito dagli altri.
“Va tutto bene Elis?” s’informò Vincent, non distogliendo lo sguardo da Luca.
“Sì, ora che ci sei tu.” Risposi titubante.

Luca mi lasciò, anzi, mi lanciò è il termine più esatto, facendomi capitolare tra le braccia di Vin.

“Minchia Molinari, fino al mese scorso ti struggevi d’amore per Blasi ed ora ti strusci a questo qua. Potrai aver cambiato lavoro, ma la spogliarellista che è in te, non ti lascerà mai. Sarai sempre una puttana.” Sputò cattivo Luca, lasciandomi interdetta.

Boccheggiai non riuscendo a trovar risposta e ferita nell’orgoglio. Le sue parole mi avevano colpita in fondo al cuore.
Vincent mi guardò dispiaciuto, prima di prendermi per un polso e trascinarmi via da quello schifo. Via dal pezzo di vita che volevo cancellare.
Per quanto mi sforzassi di non pensare a Nico, c’era sempre qualcosa o qualcuno che me lo ricordava. Era divenuto davvero un incubo. Non ce la facevo più.

“Elis…” esordì Vincent, bloccando la nostra fuga e girandosi verso di me.
“Lo pensi ancora?”
“Eh?” risposi io fingendo di non capire dove volesse arrivare.
“Lo pensi ancora a Nico, vero?” perché il suo tono sembrava amareggiato?
“Vin, io…” che avrei dovuto rispondere? Sì, lo penso e lo amo ancora, nonostante stia cercando di non farlo vedere ad occhi altrui?
“Permettimelo. Permetti a me di entrare nel tuo cuore. Lascia che sia io a prendermi cura di te. Lascia che sia io a curare le tue ferite. Lascia che diventi una cosa sola con te. Lasciati amare da me…Elis.”

Cos’era quella? Una dichiarazione d’amore?

“E poi – riprese a parlare- io ti ho visto in questo mese. Ho visto i tuoi sforzi per cambiare e dimenticare. Ho visto quanti sacrifici hai fatto e continui a fare. Permettimi di farti compagnia nella tua solitudine. Ti prometto che farò il bravo. Te lo giuro.”

Sì, quella era una dichiarazione bella e buona. Ed io? Io mi sentivo una stupida bambinetta alla quale stanno regalando un giocattolo nuovo e non sa cosa farne e come usarlo.
Vincent mi era stato accanto, mi aveva aiutata moltissimo, ma non riuscivo a vederlo come possibile fidanzato. Ma forse, lui, avrebbe potuto aiutarmi a dimenticare Nico. Forse, eh.
Scossi la testa, riposando lo sguardo su Vincent che mi trapassava con i suoi occhi, cercando di capire o captare i miei pensieri.
Forse stare con lui mi avrebbe aiutata.
Mi avvicinai a lui, avanzando molto lentamente, ponderando bene i miei movimenti. Sentivo fremere il mio corpo e il mio cuore battere all’impazzata. Trattenevo a stento il respiro, quasi avessi paura di rompere un precario equilibrio. Vincent, invece, mi guardava con un’intensità paurosamente eccitante, quasi a volermi mangiare. Quando fui dinnanzi a lui, gli accennai un sorriso. mi alzai in punta di piedi e lo baciai a fior di labbra. Un bacio casto. Nulla di più. Nulla a che vedere con il bacio che c’era stato tra me e Nico.
Mi staccai da lui e lo fissai intensamente, continuando a sorridergli.

“Questo era un sì?” sorrise Vincent, stringendomi forte tra le sue braccia.
“Sì.” Fu la mia sola risposta.

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Capitolo 15
*** Tu ed Io ***


Nota Autore: In questo capitolo ci sarà una lunga sorpresa che aspettavate. Buona lettura!







- Tu ed Io -


 

Ero impegnata sentimentalmente con Vincent. Quel Vincent che inizialmente mi aveva quasi spaventata. Quello con cui avevo ideato un piano per vendicare me stessa e sua sorella Maria. Quello che mi aveva fatto sentire finalmente a casa, dimenticando in parte il dolore che mi attanagliava da tempo ormai. Se solo avesse saputo che nonostante tutta la buona volontà, non ero riuscita a dimenticare Nico, credo che mi avrebbe mandata al diavolo in un nano secondo. Ma d’altronde non avrebbe potuto pretendere nulla, giusto? Io non gli avevo giurato amore eterno. Per quanto doloroso potesse essere, il mio cuore era solo in mano a Nico. Anche se lui l’aveva bellamente gettato nelle ortiche. Ormai per quanto ci avessi provato, mi ero fatta mente capace che non sarei riuscita a dimenticarlo tanto facilmente. Continuava a tornarmi in mente e con lui anche i momenti che avevamo passato assieme. Era una cosa totalmente logorante. Mi stavo auto distruggendo e la cosa più brutta era che ne ero totalmente ed incondizionatamente cosciente. Come potevo permettere ad un semplice ragazzo di rovinarmi la vita in quel modo?
La cosa che più m’infastidiva era quel dolore lancinante al petto che mi accompagnava in ogni minuto della giornata. Il dolore si alleviava un po’, solo in presenza di Vincent, ma per il semplice fatto che quel ragazzo aveva un effetto soporifero sui miei sensi. Con Nico era tutto eccitante, veloce ed insicuro, mentre con Vincent era tutto così familiare, cauto, noioso. Erano come il sole e la luna. Erano due opposti che non si sarebbe mai attratti tra di loro. Troppo diversi, troppo lontani per potersi minimamente avvicinare. E forse per me era un bene non dover miscelare quelle due presenza all’interno della mia vita.
Non sapevo se Nico avesse saputo della mia vera relazione con Vincent e se avesse eclissato di proposito l’argomento con la sottoscritta, ma in qualunque caso ne ero rimasta leggermente delusa. Mi aspettavo che sarebbe arrivato a metter su un casino per quella mia unione, ma purtroppo era solo un sogno di una stupida ragazzina illusa dall’amore stesso. Lui non sarebbe mai arrivato.
 



 
POV Nico

Puttana.

Ecco la prima parola che mi venne in mente quando Luca mi raccontò dell’accaduto in discoteca. Era solo una lurida puttana.
Il mio amico li aveva seguiti fuori dalla discoteca, insospettito dall’atteggiamento di Vincent, e quelle che vide lo sconcertò altamente.
Lui le aveva proposto di mettersi insieme e lei come aveva risposto? Baciandolo. Ma dico io! Uno risponde baciando? Ma che razza di risposta era? E poi lei non era quella tanto pudica e verginella che si vergognava persino a farsi vedere in mutande e reggiseno? Tutta quella situazione mi mandava in bestia. Pensare di aver mandato tutto a puttane facendomi scoprire in quel modo assurdo, era frustrante. Come avevo potuto lasciarmi sfuggire la questione della scommessa? Eppure quando l’avevo vista lì, guardarmi confusa per il mio averla trascinata via da Vincent, mi aveva fatto parlare senza riflettere.
 
 


Ahi Nico, mi fai male!”
“Tu non capisci! Quei porci vogliono solo scoparti,leccarti e solo Dio sa cos’altro e a me da letteralmente al cazzo vedere degli uomini viscidi che osano toccare gli oggetti delle mie scommesse!”
“S-scommesse?”

 



I suoi occhi. Dio, i suoi erano lucidi, sull’orlo del pianto. Mi guardava sbigottita ed incredula. Come avevo potuto farle una cosa simile? Lei che mi aveva aperto il suo cuore ed il suo mondo. Lei che avevo giurato di proteggere. Lei che avevo ferito e trattato alla stregua di una puttana, ma d’altronde si stava comportando come tale.
Aveva rivoluzionato il suo modo di vestire, di parlare e persino di camminare. Ma cosa voleva dimostrare con quell’assurda trasformazione?
Ed io? Io che ero diventato uno stalker in pratica. Per scoprire dove lavorava, avevo sguinzagliato tutti i miei fedeli amici. Quando avevo saputo che si era licenziata dal ristorantino, avevo dato di matto ma cos’avrei potuto pretendere? Che rimanesse al mio fianco nonostante tutto? Lei, lei era divenuta la mia ossessione. La vedevo ovunque. Continuavo a ripensare ed a rivivere quel bacio che io stesso le avevo chiesto di dimenticare. Ma poi perché cavolo glielo avevo chiesto? Io, io che invece lo rammentavo costantemente! Forse le avevo fatto quella proposta per paura di un qualcosa di più grande, di una qualunque aspettativa che potesse crearsi su di me, su di noi. Aspettative che, sicuramente, avrei infranto con il mio essere fottutamente stronzo.
Da quando poi avevo saputo che la relazione con quel bastardo di Vincent era diventata seria mi ero chiuso ulteriormente. Quando li avevo visti seduti in quel pub a ridere e scherzare. Una sensazione di caldo mi aveva invaso, provocandomi irritazione e sgomento per quella scenetta mielosa che mi si parava dinnanzi. Avevo costretto i miei amici a cambiare meta e dirigersi in un vecchio bar pulcioso e puzzolente. Tutto pur di non vederli insieme. Mi ero giustificato con me stesso dicendo che era solo perché avevo perso il mio giocattolino da scommessa e quei fottuti cinquecento euro con il quale mi sarei comprato il computer nuovo. Ma forse non era solo quello, ma la mia mente riluttava l’idea che potesse significare altro. Io non ero nessuno e lei non era nessuno. Eravamo degli sconosciuti in fin dei conti. Che cosa me ne fregava a me di lei? Che cosa m’importava se i suoi sorrisi non erano più rivolti a me? Se i suoi occhi non guardavano più me? Se le sue attenzioni non erano più per me? Se lei non era più la mia Marsh?
Era frustrante come situazione, cavolo.
E lui? Vincent che veniva ogni santissimo giorno a prenderla da scuola, baciandosela e stringendola ogni qualvolta mi vedeva arrivare insieme a Luca e gli altri? Irritante. Avrei voluto spaccargli la faccia, ma avevo sempre desistito, altrimenti sarei passato per il geloso di turno e non lo ero affatto. No. Non era gelosia. Solo fastidio per un giocattolo perso.
In più, ad accentuare il mio senso di irritazione ci si metteva anche mio cugino Andrea, il quale sapeva di tutta quell’assurda situazione. Lui che dispensava consigli d’amore. Ma dico, gli era dato di volta il cervello? Lui che scopava un giorno sì e mille sì? Lo scopatore per eccellenza voleva dispensare consigli? Ridicolo. Si stava cadendo nel ridicolo. Semplice.

“Nico” richiamò la mia attenzione il mio tanto dispensato cugino Andrea.
“Che vuoi?” mugugnai inviperito.
“Non le hai ancora parlato?” domandò lui poggiandomi una mano sulla spalla.
“E tu non sei in grado di farti i fatti tuoi, cugino?” acido e tagliente, come al mio solito.
“La perderai così, lo sai? Sai che lei s’innamorerà presto o tardi di qualcuno che non sia tu? Di qualcuno che sia in grado di ricucirle le ferite che tu stesso le hai procurato?” non so se il suo tono di voce, o l’argomento del discorso, fatto sta che mi avvicinai a lui con aria minacciosa ed alzando un pugno in aria pronto a sganciarlo sul suo viso.
“Non ti permettere mai più ad intrometterti nella mia vita, chiaro?” sibilai a denti stretti sul viso di Andrea.

Mi dava fastidio vedere come tutti la facessero facile, dicendomi cosa e cosa NON fare per riaverla con me. Ma loro cosa ne volevano sapere di quello che avevamo passato? Di quello che IO le avevo fatto passare?

“Neanche tu ti sei reso conto effettivamente di quello che provi per quella ragazza. Te ne rendi conto? Nico, l’amore non è mai facile, non è mai scontato o un porto sicuro, ma è proprio questo il bello. È sempre tutto nuovo e difficile da scoprire. Se così non fosse non ci sarebbe quella sensazione d’ansia ed angoscia che ti accompagna ogni volta prima di vederla o saperla tra le braccia di un altro. Fa chiarezza in te Nico, ma fallo in fretta perché lei ha già intrapreso una direzione diversa dalla tua e fra un mese e mezzo le vostre vite cambieranno totalmente direzione. Cosa credi che accadrà dopo la maturità? Ci hai pensato? Hai pensato a cosa farà lei? A cosa farai tu? Pensaci…” concluse rammaricato Andrea, guardandomi negli occhi.

Fu in quel momento che capii la gravità della situazione. Era vero. L’avrei persa, poiché la scuola sarebbe finita e molto probabilmente avremmo intrapreso strade e carriere scolastiche diverse.

“Porca zozzona…” esclamai abbassando il pugno che ancora ciondolava a mezz’aria e chinando il volto.

Mi presi la testa tra le mani realizzando che dovevo darmi una mossa. Dovevo trovarla e parlarle. Dovevo capire, anzi dare un nome a quello che mi stava capitando.
Lasciai mio cugino come un ebete a casa mia ed uscii sbattendo violentemente la porta. Iniziai a correre per le strade di Taranto senza una meta precisa.
Ero un coglione. Non sapevo neanche dove andare. non sapevo se l’avrei trovata a lavoro, a casa, con lui.
Solo pensare che potesse trovarsi in compagnia di quel coglione, mi fece risalire un conato di vomito.

“È solo possessione la mia…”continuai a cantilenare in testa, cercando di ignorare quel senso di vuoto che affliggeva testa e cuore.

Alla fine mi ricordai che lei era solita gustare un cappuccino, il suo preferito ne ero certo, al caffè italiano in centro. Quasi in automatico le mie gambe si mossero e mi condussero al bar, trovando guarda caso Elis seduta ai tavolini fuori, intenta a leggere un libro.
Un sorriso involontario apparve sul mio viso. Mossi due passi ma mi bloccai quasi subito, notando che non era sola. Vincent si era appena accomodato di fronte a lei, non prima di averle lasciato un casto bacio a fior di labbra. Quelle stesse labbra che avevo baciato con passione due mesi prima. Già erano passati due mesi da quel bacio da dimenticare. Due mesi e lei si era già dato ad un altro.
Si era già data. E se lui l’avesse posseduta anche in quel modo? E se lui avesse reso un’unica persona i loro corpi? E se lei se ne fosse innamorata? No, lei aveva detto di amare me, solo me! Ma io mi ero comportato da perfetto bastardo.

“Asciugati la bava, tesoro.” Una voce femminile mi fece sussultare e girare di scatto.

Una ragazzina mi guardava con aria di sfida e con un sorriso beffardo, mentre mi affiancava.

“Linda?” sussurrai ancora sovrappensiero.
“Blasi cosa credi di fare? Vuoi rovinarle ancora la vita?” la sua non era una vera domanda, ma un’affermazione rabbiosa.
“Tu…” cercai di parlare ma lei mi fermò con un gesto della mano.
“Tu non immagini quanto abbia dovuto lavorare per diventare così ed andare avanti. L’hai distrutta. E poi, la scommessa? Serio? Ne vogliamo parlare? Ti facevo più maturo. Ti facevo più uomo. Sei stato il suo primo amore, te ne rendi conto? Si è fidata solo di te e tu l’hai calpestata bellamente.” Sembrava inviperita, anzi lo era.

Distolsi lo sguardo andandolo a posare su Elis che rideva a qualche battuta sicuramente pessima di Vincent ed il mio stomaco continuava ad attorcigliarsi dal nervoso.

“Però – riprese a parlare Linda – tifo per te. Quel Vincent non mi convince. È troppo mieloso per essere vero e lei non prova nulla per lui se non disperazione per te.” Concluse socchiudendo gli occhi ed alzando il viso, lasciandosi accarezzare dalla brezza calda di un maggio fin troppo afoso.
Avrei dovuto risponderle, lo so, ma ero pietrificato. Non sapevo neanche cosa dirle e come comportarmi.  Continuavo a fissare Elis seduta a quel tavolo che rideva e sorseggiava il suo cappuccino tutta allegra. Era davvero cambiata, constatai, ma forse solo esteticamente perché dentro, ero convinto, fosse ancora quella ragazzina sola ed impaurita da un mondo che sembrava non le appartenesse.
“Per quanto tu mi stia non dico dove, credo che dovresti fare qualcosa. A settembre partirà…” l’ultima frase la sussurrò quasi avesse timore a pronunciarla.

Difatti al verbo partirà, mi girai di scatto e arpionai il mio sguardo al suo, facendole una muta richiesta di continuare.

“Ha deciso di frequentare l’università al nord. Sta tranquillo, non è a causa tua. Aveva quest’idea da un paio di anni ormai.” Concluse Linda.
“Sai dove andrà?”  domandai sussurrando, quasi avessi timore che quella ragazzina mi omettesse quel particolare così importante della vita di Elis.

Annuì ma aggiunse subito dopo che non me l’avrebbe detto per tutelare la privacy della sua amica.
Era frustrante sopra ogni cosa ritrovarsi in quella situazione.

“Va da lei.” Sussurrò in fine per poi voltarmi le spalle e sparire tra la gente che passeggiava in centro.

Andare da lei. Era una parola. Che avrei dovuto dirle? Come mi sarei dovuto comportare?
Scossi la testa continuando a fissare quel tavolo, sembravo uno stalker, ne ero certo.
Vidi Vincent alzarsi e dirigersi verso l’interno del bar e mentalmente mi dissi che era quello il momento esatto per andare da lei.

“Ora o mai più.” Sussurrai, iniziando a camminare a passo spedito verso Elis.

Le sopraggiunsi alle spalle, chinandomi alla sua altezza e sussurrandole all’orecchio.

“Ho bisogno di parlarti.”

Riconobbe subito la mia voce, sicuramente, poiché si girò spaventata ed indietreggiò sulla sedia stessa, portandosi le mani all’altezza del viso, quasi avesse timore di me.

“C-cosa vuoi, Nico?” mi rispose con sprezzante freddezza.

Però lo vedevo nei suoi occhi quella scintilla, la stessa che aveva avuto negli occhi mesi prima.

“Vieni con me.” Le dissi, offrendole la mia mano.

Forse avevo ancora un’ascendete su di lei, poiché dopo un momento di tituba mento si alzò, non prima di aver mandato un sms, probabilmente, a Vincent per avvisarlo.
Ci allontanammo in silenzio dal bar, lei continuava ad avere la testa china e io la spiavo di sottecchi, sorridendo ogni tanto per il semplice fatto che avesse lasciato solo quell’ameba per seguire me.
La mia felicità non durò poi molto, poiché una brutta sensazione m’invase.
Era bastato così poco per portarla con me. Ero così tanto importante per lei? Non riuscivo neanche a capire i suoi pensieri ed il motivo per il quale lei mi avesse seguito con così tanta facilità. Iniziavo a sentirmi un vero schifo.
Non credevo che l’amore rendesse così deboli, o forse sì?

“Cosa devi dirmi?” arrestò di colpo la sua camminata, fermandosi vicino una panchina sul lungomare e guardandomi con aria truce.

Forse non mi aveva seguito per amore. Rimasi sconcertato dal tono della sua voce e dal suo modo di rivolgersi. Della mia Elis ora non c’era più nulla. La ragazza dolce e solare aveva lasciato posto ad una ragazza fredda e dall’aria dura.
La guardai sospettoso e mi avvicinai a lei con cautela quasi avessi timore di spaventarla ulteriormente.

“Non osare avvicinarti. Credevi che avessi seguito come una scolaretta in calore Blasi? Ti sbagli di grosso! Ti ho seguito semplicemente per un motivo! Ti odio, mi fai schifo. Devi lasciarmi in pace, chiaro? Lasciami vivere con Vincent in pace! Devi lasciarmi in pace! Cos’è non ti hanno dato i cinquecento euro per la scommessa? Ti ho fatto perdere i soldi? Beh mi dispiace dirtelo ma il giocattolo si è rotto!” concluse ormai livida in volto ed affannata per il troppo esclamare.

Fu come ricevere una pugnalato in pieno petto ed un moto di rabbia mi fece muovere velocemente verso di lei, arrivando ad una spanna dal suo volto.
In quel momento qualcosa si schiarì dentro di me.
Le posizionai una mano dietro la nuca e con l’altra le afferrai il polso, l’attirai verso di me e la baciai.
Un bacio che sapeva di disperazioni ed emozioni per troppo tempo oppresse.
Cercò di dimenarsi e non rispondere al bacio, ma dopo un po’ contraccambiò, posando il braccio libero attorno al mio collo.
Ormai saturi dal bacio appena dato, ci staccammo ansimanti e guardandoci negli occhi, notai la sua sorpresa mista a rassegnazione e in quel momento mi resi conto che avrei dovuto dirle quello che avevo appena appreso.

“Ti amo.” Dissi di getto.
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 16
*** Listen ***




- Listen -



 

Ma cosa stavo combinando? Mi ero lasciata baciare in quel modo, contraccambiando per giunta, da Blasi. Dallo stesso Blasi che mi aveva ferita, umiliata e derisa. Come ulteriore carico da cento, mi aveva appena detto Ti amo.
Non so quale forza riuscii a trovare dentro me ma, anche se con una discreta riluttanza, lo allontanai dal mio corpo, dalle mie labbra, da me. Lo fissai intensamente cercando di trasmettergli tutto il mio disgusto e la mia sorpresa, ma l’unica cosa che lui voleva vedere, o meglio sentire, era la mia risposta al suo ti amo. Mi mordicchiai le labbra sentendo poco dopo il sapore di ruggine che tanto apparteneva al sangue. Fantastico, per il nervosismo mi ero tagliuzzata le labbra. Scostavo continuamente lo sguardo, facendolo vagare per il paesaggio circostante.
Avrei voluto rispondergli con un semplice e normale “anch’io”, ma dovevo rendere conto anche al mio orgoglio di donna ferito. Non potevo concedermi in un modo così semplice. Per quanto il mio cuore stesse gridando: Sì, ti amo anch’io. La mia mente mi urlava di fermarmi e che poteva essere una trappola. L’ennesima da parte sua.  E poi io avevo Vincent. Avevo quel ragazzo che si era mostrato nel suo lato migliore. Il  lato migliore della medaglia. Nico continuava a guardarmi quasi la sua vita dipendesse dalla mia risposta, la quale non avrebbe tardato ad arrivare. Presi un lungo respiro e lo guardai nel occhi, conscia che tutto sarebbe cambiato da quel momento.

“No, è troppo tardi Nico. Sto bene con Vincent e non ho alcuna intenzione di mandare tutto a fragole solo perché tu un bel giorno ti sei alzato di scena dritta ed hai deciso di amarmi e no – alzai un dito posandolo davanti la sua bocca – non è solo rabbia la mia, ma affetto per quel ragazzo che mi è stato accanto con tanta dolcezza e pazienza.” Conclusi il mio monologo conscia di avere un futuro da brava attrice. Ero stata convincente, lo vedevo dai suoi occhi e dai suoi atteggiamenti.

“Stai mentendo Marsh. Lo vedo, lo sento. Tu mi ami, come io amo te.” Come faceva ad avere tutta quella certezza che mi aveva fatto tremare in quel momento?

Boccheggiai ormai incerta del mio discorso di prima. Volevo davvero perdere quanto di più importante avevo nella mia vita? Volevo davvero vederlo andare via e nelle braccia di un’altra?
Ma cosa mi stava accadendo? Io non ero quella. Stavo cedendo ancora una volta a lui ed al suo dannato modo di parlarmi e guardarmi.
Scossi la testa, sorridendo amaramente conscia che lui era un tatuaggio indelebile sulla mia pelle, un qualcosa che non era possibile cancellare con una gomma per matite. Nico ormai era entrato nella mia quotidianità con una semplicità disarmante che non me ne ero neanche resa conto. Come avrei potuto chiudergli la porta in faccia dopo tutto?
Mi avvicinai a lui, posando le mie mani sul suo petto ed accarezzando con i sensi la brezza e la sensazione piacevole che provava il mio corpo al contatto con il suo. Eravamo perfettamente imperfetti insieme. Due controsensi che formavano un senso giusto. Eravamo come l’alba ed il tramonto, lontani apparentemente ma vicini grazie alla notte, il luogo segreto dove l’alba ed il tramonto si amavano.

“Ascolta Nico… - fu come nei film romantici, appena iniziai il mio discorso la canzone di Beyonce, Listen, si propagò nell’aria, facendomi sorridere- ti ho amato, è vero.” Sospirai.



 

Listen, 
To the song here in my heart 
A melody I've start 

Gli posai la mano sul mio cuore, sperando che sentisse quanto sangue pompasse non appena udisse la vicinanza di quel suo corpo che tanto bramavo.
Listen, to the sound from deep within 
It's only beginning 
To find release

Oh, 
the time has come 
for my dreams to be heard 
They will not be pushed aside and turned 
Into your own 
all cause you won't 
Listen....


“Per quanto il mio amore per te sia stato forte, è venuto il mio momento di tornare a vivere senza te, di respirare, di sentirmi finalmente libera da ogni presa in giro da parte tua e dei tuoi amici.”


 

Listen, 
I am alone at a crossroads 
I'm not at home, in my own home 
And I tried and tried 
To say whats on my mind 
You should have known 
Oh, 
Now I'm done believing you 
You don't know what I'm feeling 
I'm more than what, you made of me 
I followed the voice 
you gave to me 
But now I gotta find, my own.. 

You should have listened 
There is someone here inside 
Someone I'd thought had died 
So long ago 

Ohh I'm free now and my dreams to be heard 
They will not be pushed aside or worse 
Into your own 
All cause you won't 
Listen... 



“Ho cercato di capirti, di capire il motivo del tuo accanimento nei miei confronti, del tuo odiarmi così tanto ma non sono riuscita a trovare alcuna spiegazione e credimi…fa male!”



I don't know where I belong 
But I'll be moving on 
If you don't.... 
If you won't.... 

LISTEN!!!... 
To the song here in my heart 
A melody I've start 
But I will complete 

Oh, 
Now I'm done believing you 
You don't know what I'm feeling 
I'm more than what, you made of me 
I followed the voice, you think you gave to me 
But now I gotta find, my own.. 
my ownn...




“È proprio per il mio bene che ho deciso di andare via, via da qui, da questo luogo che mi ha solo portato tanta sofferenza e dolore. È per questo che ho deciso di pensare a me e non più a te. Sono stanca di credere a tutti voi che in realtà mi fate solo del male, un male lancinante che mi fa male proprio qui.” Premetti la sua mano sul mio seno sinistro, all’altezza del cuore.

Era vero. Ero stanca di tutto. Per la mia sanità mentale e fisica sarei andata via da lì, scappando da perfetta codarda qual’ero.
Sapevo perfettamente che scappare dal problema non l’avrebbe risolto, ma solo offuscato, però in quel momento era la soluzione che mi sembrava più logica e giusta per me.
Non lasciai a Nico il diritto di replica, poiché scappai a gambe levate e lui troppo shoccato, forse, non mi seguì ne mi fermò. Mi lasciò semplicemente andare via, per la mia strada. Come due perfetti estranei. Come lo eravamo prima di quella stupida coppia-studio.
 




Erano passati quindici giorni dal quel momento tragico-romantico. Mi ero giustificata con Vincent della mia assenza dicendogli che avevo avuto un’emergenza a casa e che ero dovuta scappar via senza pensarci due volte. Nico non mi rivolgeva parola e la cosa era alquanto strana, considerando che mi aveva dichiarato il suo amore. Ci avevo visto bene: mi aveva presa per il culo. Era l’ennesima fregatura da parte sua e di quei bacucchi di amici che si ritrovava.  Avrei voluto andare lì, vicino a lui e spaccargli la faccia e urlargli tutto il mio disgusto. Avevo fatto bene a rifiutarlo su due piedi. Lui non si meritava assolutamente il mio amore ed il mio cuore. Io meritavo di meglio e New York me l’avrebbe dato. Avevo deciso di frequentare il college lì, lontano da tutta la merda che mi circondava. Una nuova città mi avrebbe aiutata a dimenticare tutto il male subito in quegli anni.
Linda e Katia appena avevo raccontato loro di quell’episodio si erano guardate ed erano scoppiate a ridere, dicendo che se lo aspettavano e che si vedeva ed era solo questione di tempo il fatto che Nico si sarebbe innamorato di me. Sì certo, ma intanto il mio povero cuore ne era uscito a brandelli ed ormai non mi fidavo più di lui. La cosa che mi faceva incazzare poi, era il suo ignorarmi così bellamente. E che cavolo ero pur sempre, a suo dire, la ragazza che amava! Porca caspiolina!
Sembrava che nulla fosse destinato a cambiare. Sembrava tutto in una fase di stallo, quasi la situazione fosse congelata. Era una cosa del tutto surreale.




Altri giorni scivolarono via velocemente ed il caldo iniziava a farsi sentire inesorabilmente, portando con se l’ansia pre-esame di maturità. Mancavano 20 giorni esatti all’inizio di quella tortura cinese e poi tutto sarebbe finito. I temi, le interrogazioni, gli scherzi stupidi dei compagni di classe, le gite, i brutti voti, i ritardi cronici, i sacrifici. Tutto sarebbe finito. Ed io? Io mi sarei divisa dalle mie amiche e da quello che era un passato ed un presente troppo opprimente.
Quel giorno di scuola in particolare, una strana sensazione invase il mio corpo, quasi a presagire ciò che sarebbe accaduto da lì a poco.
Avevo appena varcato l’uscita della scuola con Linda e Katia, pronta alla nostra solita pausa caffè-sigaretta post lezioni.
Mi sentii chiamare da una voce tanto dolce e delicata, che stentai a credere stessero chiamando me per davvero. Arrestai la mia camminata guardando la direzione da dove proveniva tale voce.
Una ragazza sui diciassette anni, mora con occhi verdi come il prato, fisico leggermente tondo, mi guardava timidamente ed avanzava altrettanto timidamente.

“S-scusami, sei tu Elisabetta Molinari?” chiese gentilmente tale ragazza.

Annuii guardando stupita le mie due migliori amiche.

Bene!” sembrò che la sua timidezza fosse sparita all’improvviso, poiché mi si avvicinò come una furia puntandomi il dito contro e sogghignando.
“Io sono Maria. E riavrò Nico.” Concluse voltandosi di spalle e sparendo nel nulla, proprio com’era arrivata.

Maria. Quel nome non mi era nuovo. Era un qualcosa di familiare ed anche i suoi tratti lo erano.
Poi un flash.



“Vorresti farlo ingelosire?”
“Anche, ma credendo che noi due stiamo insieme, sicuramente il suo fegato avrà bisogno di un trapianto.”
“Ci sto. Vendicherò mia sorella Maria in questo modo anche.”
“Maria?” dissi titubante.
“La sua ex ragazza.”

Avevo sentito in lontananza un rumore sordo. Una bomba era scoppiata. sì, nella mia vita.






L’ex di Nico. La famosa sorella di Vincent. Ecco la somiglianza che non riuscivo a spiegarmi. Un nodo si formò in gola e gli occhi pizzicavano.
 




“Non è colpa mia se tua sorella la da al primo che capita.” Rispose sogghignando Nico.

In un attimo sentii vuoto al mio fianco e vidi Vincent avventarsi contro Nico e sferrargli un pugno in pieno viso, facendolo indietreggiare. Mi portai le mani sulla bocca mentre le mie amiche gridavano verso la cricca di Blasi implorandoli di fermarli.

“Mia sorella era innamorata di te! Ha perso con te la sua verginità, bastardo!” Vincent era furente.





La ragazza che avrebbe potuto dare alla luce un bimbo. Il figlio di Nico. Il mio Nico, il mio amato Nico.



“Non ero pronto all’epoca. Ero solo un ragazzino impaurito e viziato. Non volevo chiudermi in un rapporto a diciassette anni. Non ero pronto ad essere padre.”
 


Ormai le lacrime non le controllavo più, avevano iniziato il loro percorso, accompagnate da dei rumorosi singhiozzi che fecero preoccupare le mie amiche, chiedendomi cosa stesse succedendo.
Un flebile sussurro uscì dalla mia gola ormai in fiamme.

“Maria, l’ex di Nico. La madre del figlio di Nico, o almeno lo sarebbe stato.”

Credevo che tutto fosse finito dopo il mio addio a Nico, ed invece sembrava solo l’inizio della fine. La mia.
 
 

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Capitolo 17
*** Noi siamo l'amore ***





- Noi siamo l'amore -

 

Il pensiero di Maria tra le braccia di Nico continuava a tormentarmi da una settimana, portandomi a maledirmi per non aver risposto a quel ragazzo che mi aveva rubato il cuore. Ero stata una povera scema. Ma come avevo potuto lasciarlo scappare via da me?
Ero lì che mi arrovellavo lo stomaco ed il cervello sdraiata sul mio letto che in quel momento mi sembrava un covo di rovi. Non riuscivo a trovare alcuna posizione comoda. Ma che diamine mi stava accadendo?
Maledetta me, il professore ed il giorno in cui ho iniziato a studiare con quell’ameba. Il fatto che gli esami fossero imminenti non aiutava di certo. Dovevo prendere seriamente in mano la mia vita o non avrei mai concluso niente di concreto. Dovevo anche prenotare il biglietto per New York. Ma cosa avevo in mente? Niente, mi stavo frullando il cervello per quella storia assurda, eppure avevo cose più importanti a cui pensare, come il mio imminente trasferimento e l’esame di maturità.
Mancavano esattamente tre giorni all’inizio degli esami e l’aria umida di metà giugno faceva in modo che gli abiti mi si appiccicassero addosso creando quasi un secondo strato di pelle umidiccia e del tutto insignificante. Mi ero immersa nello studio sperando di dimenticare tutta la faccenda che riguardava Nico e Maria, che tra l’altro per quanto ne sapessi, era sparita dopo quella comparsa veloce.
Con Vincent non mi vedevo ormai da una settimana, giustificandomi con lo studio, ma la realtà dei fatti era che mi mancava Nico e lui non riusciva a farmelo dimenticare a sufficienza. Era alquanto frustrante essere sospesa in una situazione del genere. Lo studio occupava gran parte  delle mie mattine e serate e nel pomeriggio mi buttavo a capofitto nel lavoro in libreria, cosa che sortiva una specie di effetto rilassante, quasi calmante oserei dire.
 


 
I tre giorni passarono inesorabilmente veloci facendo accrescere un’ansia assurda in me, provocandomi dei sottospecie attacchi di panico.
Come ogni santo giorno degli ultimi cinque anni della mia vita, intrapresi la strada che portava al quell’edificio che avrei rivisto per l’ultima volta in vita mia, o così speravo da brava maturanda. Tutto aveva un sapore diverso quella mattina. La strada, gli alberi, le persone, io. Tutto era eccitante.

“Elis!” mi sentii chiamare e voltandomi scorsi le figure delle mie due amiche appoggiate al muretto che faceva da perimetro all’edificio scolastico.
“Ehi ragazze, siete pronte?” pancia in dentro, petto in fuori e un sorriso a mascherare la mia ansia che accresceva sempre più.
“Noi sì…” cosa voleva insinuare Linda?

Inarcai un sopracciglio squadrando le mie due amiche e cercando di scrutare dentro loro per capire cosa balenava nelle loro testoline.

“Elis..” ruppe il filo dei miei pensieri Katia che continuava a torturarsi le sue povere mani mangiucchiandone la pelle.

Sbuffai, infastidita dai loro atteggiamenti così enigmatici e le sorpassai ignorando bellamente le loro occhiate preoccupate. Ma che cosa volevano? Già ero abbastanza su di giri per fatti miei. Avevo già troppi problemi e…oh.
Ecco perché.
Spalancai gli occhi ormai inebetita e completamente irrigidita. La visione che mi si parava in quel momento davanti mi aveva creato una strana sensazione simile alla nausea.
Maria e Nico vicinissimi e lei gli stava sorridendo. Stava sorridendo al mio Nico. Un bruciore all’altezza dello stomaco venne a farmi visita e gli occhi iniziarono ad inumidirsi. No, cavolo no, non potevo permettermi di piangere. Me l’ero ripromesso! Ma quanto ero debole?
Ma cosa stava facendo ora? Si stava avvicinando al suo viso quella stronza!

Brutta stronza, togli le tue luride mani dal mio Nico. Zoccola!

Ma perché lui se ne stava immobile? Cioè…lui, ricordo perfettamente, non la digeriva affatto! Per quale motivo ora erano così vicino?
La testa iniziò a girarmi, sentivo una strana leggerezza nel mio cervello. Dio, stavo per svenire? No, non davanti a tutti, non davanti a loro, non davanti a lui. Ma perché lui non era al mio fianco? Dov’era? Il suo posto era al mio fianco, non con lei.
Mi sentivo così fragile e scoperta, quasi fossi prigioniera di me stessa. Mi ero cacciata un bel grosso guai, senza saperne come uscire. Ero stata io a rifiutarlo ed ora lo reclamavo. Una più distorta di me non esisteva, ne ero certa.
Buio.
Ero fottuta. Tutto buio intorno a me.
 
 
 


Sentivo gli occhi pesanti e la testa martellare, era come se un camion mi avesse investita.

“Molinari si sente meglio?” una voce che mi chiedeva come stessi? Ma chi era? Non riuscivo ad aprire gli occhi e non riuscivo a capire chi fosse a parlare.
“Ci penso io a lei.” Una voce che mi colpì sino in fondo al cuore. Nico era lì, con mm, ed improvvisamente mi sentii più leggera e con una gran voglia di aprire quei dannati occhi per guardarlo in faccia e sputargli veleno e sentenze sulla sua vicinanza con la putraccola.
Mi mossi leggermente su quello scomodo lettino improvvisato con i materassini che usavamo durante l’ora di educazione fisica, ottenendo come risultato solo di far un gran casino e con la conseguenza che Nico si girò, guardandomi sarcasticamente.

Ma cosa cavolo ti guardi stronzo patentato, eh?!

Sbuffai indispettita e scostai lo sguardo, evitando accuratamente il suo.
Sentii i suoi passi e la sua presenza avvicinarsi a me, chiusi gli occhi di rimando cercando di non far accelerare troppo i battiti del mio cuore.

“Ti senti meglio Molinari?” può un cognome ferire così tanto? Il mio per giunta? Dio, potevo ridurre ancora più a brandelli il mio misero cuore?

Annuii, insicura di me stessa, della situazione e di tutto ciò che mi circondava. Come riusciva a trafiggermi solo con un semplice sguardo? Dannazione, aveva detto di amarmi ed invece si comportava in maniera totalmente differente. Ma perché la mia vita doveva essere costernata di persone imbecilli e senza senso?
Sospirai affranta cercando di tirarmi su appoggiandomi sui gomiti e facendo leva sulla parte superiore del corpo. Una fitta mi trafisse la testa, facendomi portare prontamente una mano a sostenerla, cosa che non passo inosservata agli occhi di Nico che mi si avvicinò prontamente. Inutile dire che il solo sentirlo così vicino fece arrossire le mie gote ed accelerare il battito cardiaco.

“Oh! Ma sei sicura di stare bene?” chiese duramente.

Annuii e sorrisi amaramente e lui per tutta risposta cosa fece? Mi girò le spalle pronto ad andare via, quasi stesse scappando da quella stanza divenuta improvvisamente troppo piccola per entrambi.
Però, fui più veloce di lui e mi aggrappai alla sua maglietta, arrestando la sua corsa.

“Nico…resta. Ti prego.” Sussurrai abbassando la testa e vergognandomi come una ladra.

Gli avevo davvero chiesto di restare? E lui? Avrebbe accettato?
Lo sentii sospirai e poi posare una mano sulla mia testa e scompigliarmi i capelli con fare affettivo.

“Cosa devo fare con te, eh Marsh?” a sentire quel nomignolo alzai di scatto la testa e guardandolo negli e sentendo qualcosa riaffiorare in me.


La speranza.


Forse non tutto era perduto. Forse era ancora un po’ mio. Forse, eh.
Eravamo uno di fronte all’altro, lui si era abbassato alla mia altezza, sedendosi sul materassino, e guardandomi negli occhi.
Com’erano profondi quegli occhioni che tanto amavo. Sentire il suo profumo ed il suo respiro così vicino, stava mandando in tilt il mio autocontrollo. Non avrei resistito oltre, ne ero certa. Da lì a poco l’avrei baciato infischiandomene di Maria, Vincent e..l’esame di maturità. Cazzo!

“Oddio! L’esame…noi..” ma cavolo, riuscivo solo a balbettare?

Nico, forse preso dal momento, appoggiò la sua fronte contro la mia, sorridendomi sincero.

“Sta tranquilla. Ci hanno permesso di dare l’esame domani.”

Non mi servì sapere altro. Era il segnale che stavo aspettando da giorni, o forse da sempre.
Senza dargli tempo di ribattere mi tuffai sulle sue labbra, sorprendendolo e cadendo entrambi sul materassino.
Non si ritrasse come pensavo, anzi, ricambiò il bacio sempre con più veemenza, quasi a temere che fosse un bel sogno, ma pur sempre un sogno.

“Dio…quanto mi sei mancata.” Imprecò Nico mentre mordicchiava le mie labbra e le sue mani iniziavano a perlustrare il mio corpo, curiosamente.

Io dal mio canto non capivo più nulla, ero completamente in balìa di Nico e del suo essere dannatamente perfetto per me.
Sospirai non appena sentii la sua mano insinuarsi sotto la mia maglietta e giungere sino al cotone del mio reggiseno.


Stavo per diventare donna tra le mani di uno stronzo?
Non lo sapevo, ma lo desideravo.


Rinsavii quando sentii scostarsi la stoffa del reggiseno ed il mio capezzolo stuzzicato dalle abili dita di Nico.

“N-nico – balbettai come una bimba- io sono…”

Lui si fermò di colpo quasi scottato e mi guardò attentamente.
Ero ad un bivio, ma avevo già deciso.
Lo baciai con foga e quello fu il mio via libera.

“Farò piano amore.”

Sentii il mio cuore sgretolato, ricomporsi e sul mio viso comparve un sorriso finalmente sincero.
I vestiti presto lasciarono i nostri corpi già caldi e vogliosi di amarsi.
Si posizionò tra le mie gambe cercando la posizione più comoda.
Fu dolcissimo e preparò il mio corpo come meglio poteva all’ingresso del suo essere nel mio.

“Dimmi se…”
“Vai. Voglio amarti come si deve.” Lo interruppi.

Non se lo fece ripetere due volte e con una lentezza estenuante entrò in me.
Facemmo l’amore ed io diventai donna tra le sue mani.
Tra le mani dell’amore.
Eravamo insieme e tutto il resto era solo un pallido ricordo in quel momento.

“Ti amo.” Dissi di getto quando ormai il nostro amplesso aveva lasciato spazio ad una stanchezza rilassante.

Mi bacio e fu meglio di un “Ti amo anch’io.”
Rimanemmo accoccolati su quel materassino e solo dopo mi resi conto del luogo dove avevamo fatto l’amore e lui rendendosi conto dell’agitazione che albergava in me mi guardò e sorrise.

“Tranquilla, sono tutti di là per gli esami, a meno che non siano dei segugi non credono ci abbiano sentiti.”
“Scemo!” dissi tirandogli un pizzicotto sul fianco destro.

Era mio. Era tutto mio Nico Blasi!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                

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Capitolo 18
*** Dubbio ed Addio ***


- Dubbio ed Addio -



Vincent. Quel nome mi tormentava da una interminabile settimana. Da quella mattina in palestra con Nico, avevo evitato chiamate, messaggi ed incontri con Vincent. Ero una vigliacca, lo so, e forse anche dai facili costumi, però non avevo coraggio di guardarlo in faccia dopo tutto il bene che mi aveva fatto. Mi sentivo sporca. Non avevo pensato alle conseguenze delle mie azioni ed ora ne dovevo pagare le conseguenze. Dio, era frustrante! Ulteriore peso era il comportamento di Nico. Era sparito da quella volta, facendo insinuare in me il dubbio che fossi stata solo una scopata e via. Certo, ci eravamo detti ti amo, anche in tempi diversi, però ciò non voleva dire che stessimo insieme o altro.
Ma perché amare era così difficile? Era peggio di un’equazione matematica. Che nervi!
Mi alzai stancamente dal mio letto, divenuto improvvisamente scomodo quasi avesse un covo di rovi sotto di se, e mi posizionai dinnanzi allo specchio scrutando minuziosamente la mia immagine.
Ero davvero io quella? Ero io quella ragazza pallida, occhiaie incavate, labbra screpolate e capelli arruffati? I miei occhi poi…era orripilanti. Erano spenti. Il loro azzurro intenso era divenuto opaco, quasi ci fosse un velo ad offuscare la loro lucentezza.
Potevo ridurmi a quel modo per un bastardo dal cuore di ghiaccio?
Sospirai affranta e decisi che sarebbe stato meglio darmi una rinfrescata. Odiavo vedermi così trasandata.

“Ma come mi sono ridotta? Dannazione.” Imprecai a denti stretti mentre cercavo di srotolare la matassa informe che osavo definire capelli.
“Ahia! Uffa. Di questo passo finirò con l’andare a comprare una parrucca! Più pettino e più perdo capelli. Sono proprio una povera disgraziata.” Perfetto! Ora parlavo anche sola. Ero proprio un bel quadretto penoso, vero? Io e la mia depressione sfogata malamente sui capelli.

Il telefono, tornato a squillare incessantemente, mi distrasse dai pensieri tristi che mi stava assalendo in quel momento. Scocciata mi avvicinai al comodino sul quale avevo posato l’aggeggio infernale ed il mio cuore perse un battito nel leggere il nome sul display.

“Nico” sussurrai a mala pena, stentando persino io a sentirmi.

Quasi come un automa mi ritrovai a rispondere al telefono.

“Pronto?” sussurrai.
“Ehi piccola! Tutto bene?” esordì lui facendo montare in me un moto di rabbia assurda. Non si faceva sentire da una settimana ed ora mi rivolgeva parola come se niente fosse? Forse ero io che davo importanza a quanto successo tra noi. Forse ero troppo romantica. Forse…ero troppo innamorata.
“Bene.” Sbottai, cercando di essere il più fredda e distaccata possibile.
“Ehi, che succede? Sei arrabbiata?”
“No.” Tagliai corto. “Ora scusami ma ho da fare, ciao.”

Stavo per chiudere la chiamata quando urlò un “Aspetta! Devo dirti una cosa!”

“Dimmi” sbuffai ormai scocciata da quella situazione. Era davvero ottuso.

Lo sentì tentennare e sbuffare dall’altro lato del telefono. Che cosa aveva in mente ora quello stronzo?

“Allora?” lo incitai.
“..Ti va di uscire…insieme? Sì, insomma una specie di appuntamento?” sputò tutto d’un fiato,mentre il mio cuore perdeva un battito ed un sorriso comparve sul mio viso, creando una smorfia da ebete.

Mi aveva davvero chiesto di uscire? Allora non mi aveva solo usata? Forse per me c’era ancora una possibilità di stare al suo fianco, di essere una cosa sola con lui. Forse.

“Ehi, Marsh? Ci sei?” mi ridestò dai miei pensiero con una nota di divertimento nella voce. Annuii come se lui potesse realmente vedermi, ma accorgendomi della stronzata mi diedi uno schiaffo sulla fronte, aggiungendo subito dopo un “Sì sì, per me va benissimo.”
“Perfetto, allora passo a prenderti questa sera alle ventuno in punto. A dopo piccola.”

Piccola. Spalancai gli occhi incredula, mentre la chiamata era stata chiusa. Mi aveva affibbiato un nomignolo dolce e non il solito Marsh. Che fosse davvero tutto cambiato tra di noi?  Una scosse elettrica percorse la mia spina dorsale, provocandomi brividi di piacere. Dovevo ancora lavarmi, truccarmi e decidere cosa mettere.
Iniziai una corsa contro il tempo, finché un pensiero invase la mia mente.
Da quando ero diventata così snob e perfettina da dover pensare ad agghindarmi per uscire? Forse era dovuto alla presenza di Nico nella mia vita o alle possibili rivali che avrei trovato lungo il mio cammino?
Mi avviai verso il bagno, entrando nel box doccia e rinfrescandomi con il getto della doccia leggermente freddo per via del caldo opprimente di fine giugno. Mancava davvero poco al mio esame orale e dopo sarebbe tutto finito. Non ci avevo pensato. Sarei volata a New York, avrei cambiato vita, amicizie, tutto. Potevo essere davvero così egoista da incatenare a me Nico, nonostante io stessi per volare dall’altro lato del mondo? Ero una persona orribile, non c’erano dubbi. Possibile che l’amore mi avesse portato a diventare quell’essere orribile? Lui, per quanto male mi aveva procurato, non meritava di soffrire per mano mia. Io ero migliore, dovevo esserlo. A quanto pare il destino mi era avverso e non c’era felicità per me.
Dovevo parlare con Nico e rendergli presente i miei dubbi, le mie paure, le mie sensazioni, il mio mondo.
Uscii dal bagno e mi diressi in camera per prepararmi alla serata sia psicologicamente che fisicamente. Sarei uscita distrutta quella sera, me lo sentivo, ne ero certa.
Avevo sperato così tanto di avere Nico con me che avevo dimenticato tutto il resto. Ero davvero nei casini.
Il mio telefono iniziò a squillare facendomi sobbalzare dal letto. Mi avvicinai all’aggeggio rendendomi conto che Nico mi stava chiamando e quindi il tanto temuto appuntamento era arrivato.
Scesi le scale di corsa, quasi avessi terrore che potesse scomparire da un momento all’altro.
Quando giunsi fuori il palazzo lo vidi più bello che mai nella sua maglietta bianca con uno stemma dei Sex Pistol e i suoi jeans neri, capelli scompigliati come al solito ed il suo immancabile sorriso che tanto mi piaceva. Mi avvicinai alla macchina, sorridendogli sincera.

“Sei bellissima piccola.” Esordì baciandomi la fronte.

Bellissima? Per una gonna rosa ed una maglietta bianca, accompagnando il tutto con delle ballerine bianche? Forse aveva bisogno di un paio di occhiali.
Mi fece accomodare nel posto passeggero anteriore della sua auto, proprio come un vero gentiluomo ed io non potevo che sentirmi sempre peggio e fuori luogo. Quanto altro dolore avrei dovuto affrontare nel corso della mia vita? Quanto altro male avrei dovuto dare e ricevere prima di arrivare ad uno stato di pace permanente?
La macchina sfrecciava tra le strade di Taranto, facendo fondere i colori attorno a noi, creando scie colorate che mi procuravano fitte alla testa. Mi sentivo in bilico, un passo azzardato e tutto il mio precario equilibrio sarebbe andato al paese bello.

“Sei silenziosa stasera. Qualcosa ti turba? Ho sbagliato qualcosa? Sai non sono molto pratico in uscite…romantiche. Devo riportarti a casa? Devo baciarti?” mi girai shoccata, ritrovandomi un Nico nervoso e per niente sicuro di se. Non mi ero neanche resa conto che avesse accostato e che si fosse fermato. Sorrisi ed avvicinai il mio volto al suo. Gli presi il viso tra le mani e gli sussurrai un “No. È tutto perfetto. Tu sei perfetto.” Sono io non esserlo, avrei voluto aggiungere.

Annullò lui la distanza tra i nostri visi baciandomi dolcemente, quasi fossi stata di porcellana. Il punto è che io mi sento argilla nelle sue mani, pronta ad essere plasmata da lui.
No, non andava per niente bene. Dovevo essere più forte e parlare chiaro.
Ma come potevo? Dio, aveva gli occhi luminosi e pieni di vita, il sorriso stampato in faccia ed i muscoli rilassati.

“Dai andiamo Elis, la nostra serata ci aspetta. Voglio solo dirti che non sono un tipo romantico e spero di non deludere le tue aspettative.” Imbarazzato di un Nico, ma tanto adorabile.
“L’importante è stare insieme Nico, sempre.” Sorrisi cercando di confortarlo e metterlo a suo agio.

Mi sentivo una principessa in quel momento in sua compagnia. Come se fossi l’unica ragazza presente sulla faccia della terra e lui era il mio principe. Certo un principe stronzo, ma pur sempre il mio.
Camminando non mi resi neppure conto  che eravamo arrivati dinnanzi alla birreria in centro. Ecco perché mi aveva detto di non essere un tipo romantico. Lui era speciale, a me andava bene così. Non lo volevo diverso, lo volevo se stesso ed a proprio agio con me.

“Non ti piace?” mi sussurrò nell’orecchio.

Scossi la testa e gli sorrisi. Le parole quella sera sembravano non voler uscire.

“Allora entriamo!” esclamò tutto euforico trascinandomi all’interno del locale.

Ci accomodammo e cenammo a suon di birra e patatine fritte, con l’aria intrisa di alcool e rutti degli uomini, eppure per me quel posto era divenuto improvvisamente idilliaco.
Ad un tratto una conversazione di una coppia vicina, attirò la nostra attenzione.

“NO! Come pretendi che io possa accettare il tuo trasferimento a Tokyo e non dire niente? Mary dannazione sei la mia donna. Come pretendi che io me ne stia buono qui?” urlò il ragazzo livido in volto.
“Marco, ti prego. È una grande opportunità per me. Cerca di capirmi…” tentò di giustificarsi la ragazza, stringendosi nelle spalle.
“Credo sia meglio finirla qui.” Concluse il ragazzo alzandosi dal tavolo e lasciando sola la povera ragazza ormai sconvolta.

Quella conversazioni mi colpì dritta al cuore, ed un nodo mi si formò in gola. Era la stessa situazione in cui mi trovavo io. Che fosse un segno del destino? Che avrei dovuto parlarne con Nico il prima possibile?

“Se…se tu dovessi andare a New York, non credo che l’accetterei.” Sussurrò Nico mantenendo lo sguardo sulla sua birra.

Deglutii a fatica, guardandolo sconcertata. L’ora era giunta a quanto pareva e dovevo racimolare un po’ di coraggio e parlare chiaro con lui.

“Nico…senti…”
“No Elis. Ora che ci siamo ritrovati non potrei vederti salire su un volo diretto a New York. Un conto è a Bari, un conto è dall’altro lato del mondo.” Mi anticipò lui.
“Sei un egoista Nico. È l’occasione della mia vita. Come puoi dire una cosa simile?” cercai di difendermi.
“No sei tu l’egoista! Ne abbiamo passate tante ed ora che stiamo insieme, tu vuoi andare via?”

Se non fossi stata indispettita dalle sue parole avrei sentito quando ci aveva definiti un insieme, ma il mio cervello era ormai offuscato dalla rabbia e dall’indignazione.

“Ne abbiamo passate tante per colpa tua, dei tuoi amici e della scommessa, stronzo! Bene – mi alzai e stampai le mie mani sul tavolo di legno del locale – tra noi finisce qui! Addio Blasi. Tante belle cose, eh!” conclusi ormai indignata ed oltraggiata.

Lo lascia lì, nel locale, con la bocca e gli occhi spalancati dallo stupore. Ero proprio una stronza, non c’era che dire. Ma come eravamo giunti a quel punto? Perché non riusciva a comprendere le mie esigenze ed aspettative? Era una delle fasi importanti nella vita di una persona, l’università. Si stava comportando da bambino ed io con lui.
Dio, com’era frustrante non essere compresa da nessuno ed in particolar modo dall’uomo più importante nella propria vita.
Ma perché non succedeva come nei film? Perché non mi inseguiva chiedendomi scusa? Semplice. Perché eravamo nella realtà vera e cruda. Non vi erano principi o principesse da salvare ed io non ero la protagonista di un romanzo dove all’ultimo il bel ragazzo la portava via con se.
Io ero la sfigata di sempre. Per quanto mi sforzassi di cambiare, restavo sempre Elisabetta Molinari.
Sbuffai, sedendomi su una panchina del centro. La gente passeggiava allegramente e chiacchierava sorridendo. Coppiette innamorate passavano dinnanzi a me, famiglie unite, tutti sembravano aver avuto il loro pezzettino di felicità, tranne me.
 


Cosa ne sarebbe stato della mai vita? Avrei dovuto rinunciare all’opportunità di andare a New York per Nico? E se tra noi non avesse funzionato ed io avrei gettato alle ortiche un’opportunità più unica che rara?

“Elis?” oddio. Quella voce.
“Vincent?” deglutii, sbiancando subito dopo. Chissà cosa stava pensando in quel momento.
“Che fine hai fatto? Mi hai fatto preoccupare! Ma come mai sei vestita così bene? Elis…” forse iniziava a capire qualcosa.
“Vincent io…
“Sta con me Vincent.” Nico. Mi girai di scatto verso il biondino, trovandolo rosso in viso e sudato. Aveva corso? Per me?
“Che significa che sta con te?” Vincent iniziava ad innervosirsi e non aveva tutti i torti. Aveva perfettamente ragione.

Abbassai la testa colpevole ed incapace di guardarlo negli occhi.

“È la mia ragazza ora, Vincent.” Ma come faceva ad avere quella faccia tosta?
“Non dire stronzate Blasi. Prima la ferisci e poi la definisci la tua ragazza? Forse ti sei perso il passaggio in cui noi stiamo insieme.” Che stava succedendo? Mi sentivo un trofeo da vincere. Eppure la colpa era solo mia. Io non ero stata sincera con entrambi.

Decisi che sarebbe stato più opportuno intervenire prima che la situazione degenerasse. Dovevo prendermi le mie responsabilità.
Feci un lungo respiro, preparandomi al mio monologo.

“Fermatevi. È colpa mia, tutto quanto. Non osate interrompermi. – gettai uno sguardo di fuoco ai due ragazzi di fronte a me – Vincent, perdonami. Nico ha ragione. S-sono la sua ragazza. Siamo andati…abbiamo fatto l’amore. – sputai fuori, sentendomi affluire il sangue alle gote, divenute rosse – e…stiamo insieme. Mi dispiace, avrei voluto dirtelo ma non ne avevo il coraggio. Mi sono comportata da stronza. Perdonami. E tu Nico, perdonami. Sono un’egoista. Non ho pensato a te ed ai tuoi sentimenti, ma andare a New York è un’opportunità unica e non voglio rinunciarvi per nulla al mondo. Ne va del mio futuro. Non ti chiedo di aspettarmi ed amarmi, ti chiedo solo comprensione. E se non puoi, credo sia meglio finirla ancor prima di incominciarla per evitarci ulteriore dolore. Chiedo ad entrambi di smetterla, inoltre, di stuzzicarvi. Basta odio, basta diverbi, basta scazzottate. Siamo adulti ormai e dovremmo aver superato da un pezzo questa fase, non credete?”

Tirai fuori tutto, sentendomi improvvisamente più leggera.
Vidi lo sgomento sulla faccia di Nico e l’incredulità su quella di Vincent. Li avevo delusi entrambi, ne ero certa ma non mi aspettavo nulla di diverso.
Sorrisi amaramente e voltai loro le spalle.

“Credo sia giusto così. Non sempre nella vita vera esiste il lieto fine, non per me, non per noi almeno. Addio.” Conclusi con le lacrime che ormai inondavano il mio volto.

Corsi via, corsi a perdifiato lontano da loro. Lontano dai due ragazzi che erano stati un punto di riferimento nella mia vita.
Dovevo lasciarli liberi. Avevo fatto la miglior scelta della mia vita. Ora lo sapevo.

 

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Capitolo 19
*** Pensieri di uno stronzo innamorato ***


- Pensieri di uno stronzo innamorato -




Avevo finalmente conseguito la maturità. Mi ero diplomata con un bel 80, certo non era il massimo, ma giudicando quanto la mia mente fosse stata sotto stress per le mie questioni amorose, avevo raggiunto un bel traguardo.
Nico e Vincent ormai erano diventati argomenti off-limits nella mia vita e le mie amiche lo sapevano bene, difatti evitavano di nominarli. Forse il mio era un comportamento infantile, ma dovevo pensare solo a me stessa ed al mio imminente trasferimento oltre oceano.

“Elis, sei sicura della tua scelta?” chiese titubante Kath, guardandomi timorosa.

Sorrisi amaramente ed acconsentii con la testa. Ero sicura, forse, di cambiare vita e dimenticare tutto ciò che avevo di buono e brutto in quella mia vita a Taranto.

“Anche se saremo lontane, i nostri cuori saranno sempre collegati, lo sai, vero, Elis? Ti vogliamo bene stronzetta!” urlò Linda, schioccandomi un bacio sulla guancia.

Sì che lo sapevo e sapevo che senza di loro, quell’ultimo periodo sarebbe stato uno schifosissimo inferno.
New York mi attendeva o almeno questo pensavo.






POV Nico



Da quanto non la vedevo? Da quanto non toccavo e baciavo quelle sue labbra così invitanti? Da quanto? Troppo tempo a giudicare dal mio stato emotivo.
Possibile che ero stato talmente coglione da averle permesso di uscire così dalla mia vita? Cosa c’era di sbagliato in me?
Vederla così delusa da me, dal mio comportamento, dai miei pensieri. Ma chi ero? Possibile che quella ragazzina mi avesse stravolto così tanto mente e cuore? Che diamine mi stava succedendo? La verità era che mi mancava come l’aria e mi sentivo totalmente coglione.
E se sarebbe partita senza avvisarmi? E se non l’avrei mai più rivista? D’altronde come biasimarla? Ero un fottuto egoista del cazzo. Avevo pensato solo al mio benessere e non al suo. Sapevo bene quanto fosse importante per lei cambiare vita. Ricordavo ancora quando scoprii che lavorava in quel lurido night club. Sembrava passato un secolo ed invece erano passati solo pochi mesi da allora. Vedevo ancora il suo fisico leggiadro, ballare sensualmente cercando di far provare piacere visivo a quei luridi vermi che frequentavano quel postaccio. Forse dal momento in cui la vidi su quel palco, qualcosa cambiò in me, iniziando il processo di innamoramento verso Marsh.
Lei era divenuto un pensiero fisso, sembravo un pazzo. Avevo lo sguardo da pazzo. Sorrisi beffardamente di me stesso e di come una ragazza mi aveva ridotto. Neanche la storia di Maria, a suo tempo, mi aveva ridotto in quella maniera.
Fu proprio Maria che incontrai quel giorno, mentre mi dirigevo verso il bar per incontrare gli altri.

“Nico?” mi voltai riconoscendo quella voce così dolce e delicata. Maria era davanti a me e mi guardava come se fossi un fantasma. Il fantasma di me stesso.
“Ehi, ciao.” Wow che immaginazione che avevo, vero?
“Nico, tutto bene?” mi chiese sinceramente preoccupata.

Che avrei dovuto dirle? Che stavo male per via di Elis e del suo imminente trasferimento? Mi avrebbe preso per uno sfigato ed avrei ferito anche lei, poiché sapevo perfettamente i suoi sentimenti nei miei riguardi.

“Sì Maria. Tutto alla grande!” conclusi, cercando di dipingermi sul viso un sorriso quanto meno realistico.
“Non dirmi stronzate. Ti conosco bene. Avanti, siediti…” mi fece segno di accomodarmi accanto a lei su una panchina di pietra.

Seguii il suo consiglio e mi sedetti su quella scomoda e fredda panchina. Non volevo farle altro male, non ora che avevo capito quanto male facesse soffrire per amore. Non volevo illuderla oltre. Non se lo meritava.

“Nico, non mentirmi. So che stai male per lei. Che succede?” domandò Maria ancorando i suoi occhi nei miei.

Erano così trasparenti i miei pensieri? Oppure era lei brava a leggermi e scrutarmi l’anima?
Inarcai un sopracciglio e la guardai scetticamente. Dovevo confidarle i miei dubbi da bravo bambino o continuare a reggere la maschera del bello e dannato?

“So cosa stai pensando. Con me puoi essere te stesso.” Ruppe il filo dei miei pensieri Maria.

Decisi che avrei potuto fidarmi di lei. I suoi occhi non mentivano.

“Partirà…per New York.” Semplice e conciso. Ero stato bravo, no?
“Ed il problema dov’è? È una bella cosa!” sbuffò Maria, accigliandomi con lo sguardo.
“Dov’è il problema? DOV’È IL PROBLEMA? Il problema sta nel fatto che ora ci eravamo avvicinati come coppia e lei ha pensato bene di decidere di partire per quel fottuto posto oltre oceano. Te ne rendi conto? È solo una stronza egoista che pensa al suo benessere! Come crede di poter andare oltre oceano e pretendere che io l’aspetti?” non avevo più fiato in corpo per l’aver parlato senza sosta.
“Stupido. Non capisci che per lei è un’opportunità più unica che rara? Ma chi ti credi di essere? Non conosci il detto: se ami lasciala andare? Sei tu l’unico egoista qui! Ti ha mai chiesto di aspettarla? Ti ha mai chiesto una qualunque cosa? Andiamo Nico, l’hai fatta solo soffrire. L’amore è irrazionale Blasi, il vostro lo è! Ti è stata accanto, ti ha amato, è stata usata, ha pianto e dora vuoi negarle la possibilità di realizzare il suo sogno? Che razza di uomo sei Blasi?” urlò tirandomi un pugno sul petto, facendomi rimanere senza parole.

Vista in quel modo, ero io l’egoista stronzo che le aveva spezzato ancora una volta il cuore. Ma l’amavo e l’idea di perderla mi faceva andare fuori di testa. Saperla a New York, lontano da me, dalla mia protezione e dove chiunque potesse anche solo guardarla. Ero pronto a lasciarla andare così, dopo tutto il nostro trascorso? Ma infondo chi ero io per privarla di tale libertà? Ero solo un ragazzo che l’aveva umiliata e ferita.
Come potevo ora chiederle di rinunciare a tutto? Ero del tutto matto e lei del tutto perfetta.
Ma l’amore non è forse perfetta follia? Quindi, teoricamente, noi eravamo anime gemelle.
Teoricamente, però.

“Nico, se l’ami, lasciala libera di scegliere quello che ritiene più opportuno. Limitati ad amarla e darle il tuo sostegno.” Da quando era così comprensiva?
“Perché mi stai dicendo queste cose, nonostante tu…”
“Perché so quanto male faccia l’amore.” Concluse sorniona lei, alzandosi e regalandomi un sorriso sincero e carico di mille silenziose parole.
“Maria, mi dispiace. Ero un ragazzino e non sapevo..” mi posò un dito sulla bocca, zittendomi.
“Nico il passato si chiama passato appunto perché ormai è sepolto nei meandri dei nostri ricordi. Non rivanghiamolo. Pensa solo a fare la scelta migliore per te ed Elis. Per voi. Amala come merita.” Perché non potevo amare Maria? Sarebbe stato così semplice. Lei era lì, bella e dolce. Elis era sfuggente e distante.

La vita era un continuo casino.



Da quella conversazione con Maria erano passati due giorni e ancora non avevo cavato un ragno dal buco. Non avevo coraggio di chiamare Elis e chiederle di vederci, ero sicuro che mi avrebbe sfanculizzato come meritavo. Ero un codardo di prima categoria, un uomo senza palle. L’avrei davvero lasciata partire senza salutarla? Già, alla fine avevo ascoltato i consigli di Maria e deciso che non mi sarei messo in mezzo alle sue scelte. L’amavo e l’avrei lasciata andare, volare verso una nuova e migliore vita. O così mi piaceva pensare. Volevo solo il meglio per lei e se il meglio non ero io, beh avrei cercato di farmelo andare bene. Infondo l’amore era anche sacrificio, vero? L’amore è irrazionale, passionale,stupido, imperfetto e masochismo allo stato puro.
Senza rendermene conto mi ero ritrovata davanti la libreria dove lavorava Elis. Possibile che il mio subconscio si muovesse in direzione di Elis costantemente?

“Blasi che ci fai tu qui?” mi voltai di scatto ritrovandomi una nanetta che mi fissava con aria minacciosa.
“Nulla che ti possa interessare.” Sbottai acido.
“Tu dici? Ed è un caso che il tuo culo sia parcheggiato davanti al posto di lavoro della mia migliore amica Elis, nonché tua innamorata? Mio caro Blasi va a fottere le oche che frequenti tu!” l’avevo sempre detto io che quella Linda era fine come uno scaricatore di porto sessualmente represso.
“Non è affar tuo Linda.”
“Invece lo è. La mia amica per colpa tua sta di merda da quasi un anno! E tu osi dire che non sia affar mio?” urlò livida in volto dalla rabbia. Ma cosa volevano tutti da me?
“Senti Linda non sono venuto qui per discutere con te e sinceramente non so neanche come abbia fatto ad arrivare fin qui. Il mio cervello mi deve aver giocato un brutto, pessimo, scherzo.” Cercai di essere il più sincero possibile.
“Sei semplicemente innamorato. Un innamorato scapestrato,ma lo sei.” Disse risoluta la nanetta.
“Questo mi sembrava fosse ovvio.” Inarcai un sopracciglio, cercando di apparire ironico.
“Partirà. Tra due giorni.” Sussurrò, quasi temesse che la potessi sentire per davvero.

E così aveva deciso. Aveva deciso di andare via da me, da noi. Sospirai ed alzai lo sguardo. La vidi, bella come non mai nella sua divisa verde e bianca. Mentre sorrideva, intenta a leggere un libro d’amore, probabilmente. Dio quanto mi sarebbe mancata. Iniziava già a mancarmi l’aria. Quanto ero stato coglione? Avevo sprecato tutto quel tempo ferendola ed ora che la volevo al mio fianco, l’avrei persa. Che merda.

“Non posso dirti cosa fare, ma posso solo consigliarti di salutarla almeno un’ultima volta. Ci tiene.” Mi sorrise timidamente. Dov’era finita la spavalderia di prima? Forse anche lei per amore di Elis metteva da parte i rancori e le antipatie.
“Neanche io so cosa fare Linda. La amo.” Mi passai una mano nervosamente tra i capelli e scompigliandomeli un po’. Come era accaduto tutto questo?

Quando l’amore mi aveva travolto così?
Era tutto un fottuto casino ed io ero diventato incoerente.

“Blasi, ti ama e la sua è una decisione sofferta. Ma pensaci un attimo. Dovrebbe rinunciare al suo sogno per cosa? La vostra storia non è una certezza, ma un’incognita. Se non dovesse funzionare tra voi, cosa le rimarrebbe? Solo un cuore infranto come i suoi sogni.” Concluse socchiudendo gli occhi ed alzando il viso, lasciandosi accarezzare dalla brezza calda di fine luglio.
“Sono uno stronzo, vero? La sto facendo solo soffrire?” soffiai ormai esasperato.
“Uno stronzo innamorato!” mi sorrise sinceramente. “Ora scusami Nico, ma devo proprio andare. Kath mi attende per il nostro spettegolamento quotidiano!” concluse rivolgendomi un occhiolino e correndo lontano da me e dai miei tormentai pensieri.

Sarei andato all’aeroporto a salutarla, almeno questo glielo dovevo.



****************************************************

Bene, eccoci giunti al penultimo capitolo di questa sudata e lunga long.
Il prossimo sarà l'epilogo, ove scopriremo la tanto attesa decisione di Elis.
Ecco a voi il il video spoiler dell'epilogo! LINK: Video Spoiler
Detto questo..Alla prossima ragazzi.

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Capitolo 20
*** Epilogo - Do You Remember? ***



Trailer  Video Spoiler


- Epilogo - Do You Remember? -

 





“Ehi Elis, perché hai quel sorriso stampato in faccia?” mi domandò la mia compagna di stanza, guardandomi maliziosa.
“Eh? Niente... ricordi, Grace. Tranquilla.” Risposi, sedendomi sul mio letto e poggiando le mani sulla superficie e tirando indietro la testa per cercare di ricacciare indietro le lacrime dovute a ricordi troppo scomodi.
“Sai.. – disse sedendosi al mio fianco e guardandomi – ho davvero voglia di sapere cos'è questo "niente" che ti ha fatto diventare lucidi gli occhi.” Mi sorrise, infondendomi un calore che sapeva di famiglia.

Ero stata davvero fortunata due anni prima, quando arrivata a New York, mi ero ritrovata in camera con quella ragazza bionda e dagli occhioni castani, simili ad un cerbiattolo. Se non fosse stato per lei, probabilmente, non sarei riuscita a ricostruirmi una vita. Mi era stata vicino nei momenti più tristi, ma anche in quelli più felici.

“Sai Grace, credevo che amare Nico sarebbe stata la mia salvezza ed invece mi rendo conto che è stato tutto un grande sbaglio. Non si può cambiare il corso degli eventi. Lui era troppo ottuso a quel tempo per poter capire il sacrificio dell'amore. Lui voleva tutto e subito e quello fu la condanna per il nostro amore non sbocciato – tirai su col naso, ormai le lacrime avevano iniziato il loro percorso, mentre i ricordi mi passavano davanti – tutti sognano il principe azzurro, l’anima gemella. Io mi sarei accontentata del principe turchino, ma anche color cacca. – scoppiammo a ridere per quella mia battuta del cavolo - se solo avesse avuto più fiducia in noi, se solo avesse capito le mie esigenze, se solo… - scossi la testa, il passato ormai non si poteva più cambiare – sono convinta che le cose sarebbero potute andare diversamente.” Girai il viso verso Grace, e le sorrisi malinconicamente. Chissà che pena dovevo farle.
“Elis, il passato, per quanto male possa fare, credo che abbia un proprio pensiero, una propria giustificazione.” Sussurrò. Mi attiirò a sé e mi fece posare la testa sulla sua spalla, proprio come una mamma.

Socchiusi gli occhi ed immancabilmente i ricordi di quel giorno che ora mi sembrava così lontano, si materializzarono nella mia mente.
 
“Elis, mi mancherai da morire!” piagnucolò Kath, stringendomi così forte da mancarmi quasi l’aria.
“Vi prego, mi fate sentire dannatamente in colpa ragazze.” Chinai il capo con fare colpevole.

Mi sarebbero mancate. Nell’ultimo anno avevo scoperto cosa significasse avere delle vere amiche pronte a difenderti e sostenerti nella buona e nella cattiva sorte. Eravamo diventate un vero trio, finalmente.
Voltai il viso verso quelli che per anni erano stati la mia fonte di disperazione e tristezza: i miei genitori.

“Mamma, papà…” sussurrai.
“Betty, piccola mia..” piagnucolò mia madre avvicinandosi a me ed abbracciandomi con enfasi.

Sorrisi. Betty era il nomignolo con cui mi chiamavano da piccola. Forse non li avevo mai capiti fino in fondo,  forse mi ero fatta un’idea sbagliato di loro non immedesimando nel dramma in cui stavano vivendo. Si erano ritrovati senza lavoro e senza soldi e lo stress li aveva sopraffatti.
Staccai il mio corpo da quello di mia madre ed attirai mio padre verso di noi prendendolo per il braccio e facendolo avvinghiare a noi, unendoli entrambi in un abbraccio effetto piovra.

“Perdonatemi se non vi ho saputo capire entrambi e se ho pensato che fosse i peggior genitori del mondo. Perdonatemi per essere stata una pessima figlia. Vi amo.” Tirai su col naso e stringendoli ulteriormente a me.
“Tu sei stata perfetta micietta. Perdona noi per aver approfittato di te e del tuo buon cuore.” Mi sussurrò mio padre all’orecchio con i lacrimoni agli angoli degli occhi.

Sorrisi e baciai entrambi sulla guancia e ringraziandoli silenziosamente con lo sguardo.

“Va dalle tue amiche piccola.” Disse mia madre con la voce rotta dall’emozione.

Annuii e tornai dalle mie due amiche.
Erano sedute sui quelle scomodissime panchine di plastica, intente a consolarsi a vicenda.

“Ragazze…”

Alzarono i loro visi incatenando i loro sguardi al mio e sorridendomi debolmente. Volevano fare le forti? Che sciocche che erano…

“Elis, perdonaci. Non volevamo farci vedere in questo stato da te. Noi non…” le interruppi facendo un cenno della testa.
“Va tutto bene. Mi mancherete da morire – dissi mentre mi avvicinavo a loro – mi mancherete tutti.”
“Elis, io… - singhiozzò Linda, guardandomi attentamente – ho detto a N-Nico che oggi saresti partita e pensavo che sarebbe venuto.” Ammise abbassando il volto.

Strabuzzai gli occhi, conscia di ciò che aveva combinato Linda. Aveva davvero detto a quello stronzo patentato della mia partenza? Ma un moto di tristezza invase subito dopo il mio cuore. Lui sapeva e non era venuto. Lui sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta, probabilmente, che ci saremmo visti e non era venuto. Ecco quanto importante ero per lui. Gli occhi mi si inumidirono e le lacrime vennero a far compagnia alle mie gote ormai rosse.
Ma quanto ero patetica?

“Non preoccuparti tesoro. Non era destino che noi stessimo insieme. Sta tranquilla, in fondo è meglio così. Non credo che ce l’avrei fatta a vederlo ed a non partire poi.” Cercai di sembrare il più sincera possibile, ma la verità era che quella notizia e quella mancanza mi stava lentamente logorando internamente.


Ultima chiamata per i passeggeri del volo 473 diretto a New York” una voce metallica ci fece sobbalzare, segnando i miei ultimi secondi in terra italiana. Il grande momento era giunto.


Guardai negli occhi le mie amiche, vedendo il terrore e la malinconia nei loro sguardi. Mi voltai verso i miei genitori, trovando mia madre intenta a singhiozzare e mio padre a trattenersi dal piangere.
Mi avvicinai alla mia famiglia e li guardai attentamente, come a voler imprimere nella mia mente la loro immagine in un momento di tale dolcezza e dolore.

“Devo andare.” sussurrai, quasi avessi paura delle mie stesse parole.

Li vidi annuire ed abbracciarmi un’ultima volta.
Mi avviai verso il Gate, pronta per il check-in. Tremavo tutta mentre davo all’hostess i miei documenti. Un pensiero fisso in testa ed il cuore in subbuglio sarebbero stati i miei compagni di viaggio.
Avevo un unico dubbio che forse mi avrebbe solo fatto del male. Volevo girarmi e vedere se Nico fosse venuto a salutarmi, ma se così non fosse stato, il mio cuore che fine avrebbe fatto?

“Oh, al diavolo! Io mi giro!” esclamai, facendo sobbalzare l’hostess che mi guardava come se fossi stata una matta.

Mi girai molto lentamente con il cuore in gola e le mani già sudate.
Solo un secondo, un misero secondo. Pensai.
Mi  voltai ed il mio cuore ebbe un sussulto. Una chioma bionda nascosta dietro una colonna celeste. Era lì! Un sorriso si affacciò sul mio viso, sostituito subito dopo da una smorfia di dolore nel constatare che non era lui. Sospirai e mi voltai, decisa a non voltarmi mai più indietro.
Era finita. Era tutto finito.
 


Riaprii gli occhi rendendomi conto che mi trovavo nella mia camera al college e non all’aeroporto. La mente continuava a giocarmi brutti scherzi.

“Non credevo – iniziai nuovamente a parlare – che potesse fai così male ricordare Grace. Non credevo potesse far così male non vederlo lì a salutarmi insieme alla mia famiglia ed alle mie amiche. Credevo di essere forte abbastanza da poter sopportare tutto ma la verità era che non ero cambiata e continuavo ad essere la stessa ragazzina timida e senza spina dorsale di un tempo. L’Elis insicura di sempre. Mi sentivo una completa stupida. Avevo davanti a me le mie amiche e la mia famiglia ma volevo lui. Ero proprio, anzi lo sono, un’ingorda! – tirai un pugno sulla superficie morbida del letto – dannazione a lui ed al momento in cui ci siamo avvicinati!” pronunciai l’ultima frase urlando di disperazione.
La ferita era ancora aperta, il mio amore bruciava ancora ardentemente in me. Ero senza speranze.

“Non venne a salutarti?” mi domandò Grace incredula.
“Aspetta. Ci sto arrivando.” Sorrisi ed un nuovo turbinio di ricordi invase la mia mente.
 

“Elis!” una voce a me conosciuta mi fece sobbalzare e voltare di scatto.
“Nico?” ero incredula e felice.
“Perdonami se non sono arrivato prima, ma c’era un traffico madornale e non ero sicuro di volerti dire addio così. Perdonami Marsh, perdonami per la mia stronzaggine. Perdonami…”
“Ti amo.” Lo interruppi con le lacrime agli occhi.

Boccheggiò incredulo e poi mi sorrise.

“Anch’io Marsh.” Dio quanto lo amavo e quanto mi sarebbe mancato.
“Non ti chiedo di aspettarmi, perché non sarebbe giusto. Ti chiedo solo una cosa amore mio…non dimenticarti di me, di noi e di quello che saremmo potuti essere. Ricordami e la nostra non-storia vivrà attraverso i nostri ricordi.” Conclusi ormai in lacrime.
“Lo farò. – chiuse gli occhi e sospirò – Va e spacca tutto piccolo uragano e ricorda che anche se a chilometri di distanza io ti proteggerò.”

Annuii e tirai su col naso, voltandomi e ed entrando nel corridoio che mi avrebbe condotto alla mia nuova vita.
 



“Oddio è stato dolcissimo!” esclamò Grace battendo le mani con occhi sognanti.
“Già…” annuii.
“Non vi siete più sentiti?” osò domandare Grace.
“All’inzio qualche e-mail ma poi ognuno è andato avanti per la propria strada. Sai qual è la cosa più buffa? Che non mi pento di nulla ora come ora, perché so che è stata la cosa più giusta da fare. Anche se lo amo ancora, non cambierei nulla. È giusto così, no?” conclusi sorridendole.
“C-credo di sì.” Rispose perplessa la mia compagna di stanza.

Qualcuno ad un tratto bussò alla porta della camera, facendoci quasi cadere dal letto per via dell’atmosfera che i miei ricordi avevano creato. Ci guardammo quasi scocciate.

“Vado ad aprire io, tranquilla Grace.” Mi offrii volontaria per alzarmi da quel letto così comodo.

Il bussare era incessante e mi fece sbuffare.

“UN ATTIMO!” gridai.

Arrivai alla porta e l’aprii lentamente come nei film.

“Josh giuro che se sei tu questa volta ti uccido!” urlai, ma non ebbi tempo di dire o fare altro che due labbra s’incollarono sulle mie, facendomi strabuzzare gli occhi.
“N-nico?” dissi con una voce stridula tra l’incredulo e lo spaventato. “Che ci fai qui?”

Che fosse un altro miraggio? Che la mia mente avesse deciso di giocarmi un qualche brutto scherzo?

Scusa il ritardo amore, sono qui.” Disse Nico baciandomi ancora una volta.

No, non era un miraggio o un sogno. Lui era lì, davanti a me.
Nico era di nuovo con me.
 
 




Nota autore:
Che dire? Siamo giunti alla fine di quest’avventura e con rammarico dico che mi mancheranno questi due matti innamorati.
Non credevo che mettere una X su completa fosse così dolore e malinconico.
Amo questi due come fossero fratelli ormai ed è tutto merito di voi lettori! Siete stati la mia forza in questi mesi. Anche se non lo sapete, mi avete aiutata in un momento davvero orribile. Mi avete dato la forza di continuare a scrivere e di non demordere.
Vi ringrazio di cuore, davvero.
Alla prossima ragazzi.
Pinky
 
 

 

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