Cheats

di Columbrina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #Know you now - Prologo ***
Capitolo 2: *** #Wake up alone ***
Capitolo 3: *** #Back to black ***
Capitolo 4: *** #Rehab ***
Capitolo 5: *** #Like Smoke ***
Capitolo 6: *** #Tears Dry (on their own) ***
Capitolo 7: *** #A song for you ***
Capitolo 8: *** #Love is a losing game (with you) ***
Capitolo 9: *** #The girl from his dreams ***
Capitolo 10: *** #Between the Cheats ***
Capitolo 11: *** #Will you still love me tomorrow ***
Capitolo 12: *** #A. Will you still love me tomorrow? ***
Capitolo 13: *** #Stronger than me ***
Capitolo 14: *** #Hidden Treasures ***
Capitolo 15: *** #He can only hold her ***
Capitolo 16: *** #Help yourself ***
Capitolo 17: *** #October Song ***
Capitolo 18: *** #Just friends ***
Capitolo 19: *** #In my bed ***
Capitolo 20: *** #What is about men ***
Capitolo 21: *** #Valerie ***
Capitolo 22: *** #Addicted ***
Capitolo 23: *** #Me and Mr Jones ***
Capitolo 24: *** #You sent me flying ***
Capitolo 25: *** #Some unholy war ***
Capitolo 26: *** #Moody's mood for love ***
Capitolo 27: *** #I heard love is blind ***
Capitolo 28: *** #There is no (greater) lover ***



Capitolo 1
*** #Know you now - Prologo ***


Comunicazioni di servizio.
Le tre parti del capitolo hanno titoli diversi poiché dovevano essere capitoli a sé stanti, ma ho ritenuto opportuno un migliore ampliamento della situazione rispetto alle spoglie magre del primo. Dato che è una storia, non fateci troppo caso.
 
 
Ringraziamenti
Sentiti ringraziamenti alla signorina Winehouse per ispirarmi nei miei viaggi musicali. [Tutti i titoli vengono dai suoi singoli e consiglio vivamente l’ascolto durante la lettura, per chiunque avrà la pazienza di leggere]
 
I miei pensieri vanno tutti alle mie due migliori amiche. L&A. Ma non metteranno mai piede in questo fandom. Non fateci caso neanche qui, anche l’aria che respiro è dedicata a loro.
 
Altri ringraziamenti vanno a coloro che avranno la pazienza\volontà\fegato di leggere.
 
A coloro che amano provare qualcosa di diverso.
 
Ai dubbi eterni.

 






#00. Best friends, right?

 
Si sentì sciogliere quando quelle iridi traslucide lo abbracciarono col loro senso di compatimento mischiato alla loro solita e allegra condotta. Lui ricambiò con lo stesso trasporto di quando non si vede un amico da tanto tempo e sentì rivoli inumidire caldamente i suoi occhi, abbacinati dal bagliore che solo i suoi occhi sapevano trasmettere.
Desideravano da tempo farsi coraggio e ritrovarsi al punto di partenza, ma, come potete immaginare, di coraggio ce n’era stato ben poco.
E ora erano a godersi la loro amicizia come non avevano mai fatto in vita loro, discorrendo del più e del meno, allettando l’interesse dell’altro, mentre Zack si concedeva tirate pletoriche sulla sua nuova vita all’insegna della quotidianità, nonostante avesse ancora quell’aria da scavezzacollo che gli aveva portato più sorrisi che guai; una normalità che  faceva trapelare anche le cose non dette.
“E, dimmi, tu come te la passi, biondo?”
“Ho intenzione di sistemarmi presto. Come voleva la mamma”
Zack esibì uno sguardo della serie me l’hai fatta e pensò che forse si era perso troppe cose in questi periodi transizionali di distanza. Sorrise a questo pensiero e un’altra riflessione da non biasimare imperversò come un baleno sul fatto che Cloud era cambiato, aveva salde prospettive ora, quindi non gli avrebbe rubato di nuovo la ragazza da sotto il naso.
Ora aveva la certezza che potevano, finalmente, tornare a dirsi tutto. E niente più gravava sui loro silenzi densi.

 

 
 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
#01. Our day will come.

 
E, dal nulla, Aerith si trovò a fantasticare sul suo giorno fatidico, immaginando di incespicare goffi voli verso l’altare ornato dei suoi fiori preferiti, una sobrietà elegante, i sorrisi degli amici più cari di cui ritrovava finalmente l’affetto, avrebbe voluto vedere anche le lacrime gioiose e calde che rigavano il trucco leggero sul viso della madre – la donna che la crebbe, non la vera madre; non perché non ci fosse affetto, ma perché non c’erano state le opportunità – poi i capelli corvini di Tifa e di Zack che contrastavano il suo candore e poi magari un abbozzo di congratulazioni da parte di Cloud, stravaccato in posa strategica e di grande effetto contro una colonna della chiesa, anch’essa ornata di fiori; poi immaginava Yuffie, estroversa come al solito e povera di parole, preferiva di gran lunga esternare la sua gioia e questo ad Aerith piaceva molto; in più non poteva fare a meno di ridere se lei stessa, per eccesso di zelo, avrebbe fatto trovare una fetta di torta dinanzi a un incredulo Tseng, ma che poi avrebbe trangugiato tutta Reno.
Poi, all’imbrunire del crepuscolo, il ricevimento: Tutto molto sobrio e familiare, quasi rustico in un certo senso, ma tutto pieno di fiori. Candidi, rosei, pallidi, cerulei, profumati, alcuni appassiti, altri nel pieno delle loro vigorie, quel che contava davvero è che fosse tutto pieno di fiori; anche il più piccolo meandro alle pendici del menefreghismo. Petali violetti anche sul tavolo del rinfresco. L’avrebbero definito il matrimonio più floreale del secolo, per poi andare in prescrizione e in overdose di antibiotici per quante reazioni allergiche al polline. Allora il termine giusto sarà: Il matrimonio più allergenico e allucinogeno del secolo. Poi il polline sarebbe andato a fecondare i fiori, per dar vita ad altri fiori. E allora, lo chiameranno: Il matrimonio più primaverile del secolo.
Bello come un fiore. Fecondo come la primavera. Ecco come sarebbe stato il suo matrimonio.
Il modo con cui stava facendo piazza pulita di tutte le riviste nuziali di Midgar denotava un patologico desiderio di sentirsi speciale, ma in un modo diverso, senza essere braccata da alcuna pressione: Tifa e Yuffie la prendevano per una squinternata, vegliandola con uno spirito quasi materno,  mentre le affusolate dita scivolavano lascive tra le pagine rinsecchite e quel pensiero stava prendendo lentamente forma.
Sorrideva con un’allegria dettata dall’indecisione sconquassante tra tutti quegli abiti; un candore che faceva girare la testa e ogni tanto bagnava le labbra con la lingua imperlata d’umidità, pensando ad alta voce alla silhouette dell’abito perfetto, al corpetto ad intarsio, rinnovando nuovamente l’allegria.
Aerith Gainsborough, presto, sarebbe andata all’altare. Se lo promise, o meglio gliel’aveva promesso. Sarebbe stata la sposa più bella del mondo, con quegli occhi brillanti che avrebbero esaltato un colore così tenue come il bianco, al suo fianco solo gioia. Nessuna barricata poteva ferrare la certezza.
E lo sposo?

 
 
 

 
 
 
 
#02. Halftime.

 
“Hai promesso di accompagnarmi all’altare”
Aerith gonfiò pletoricamente le guance, irrorate di cipria rosa, in modo quasi artificioso, il che avvizziva tutta la sua adorabile spontaneità, ma Cloud trovava questo lato infantile di lei così sfacciatamente umano e imperfetto e gli piaceva anche questa Aerith un po’ più alla sua portata.
Ma a quell’attacco diretto, Cloud rispose con un impassibile ghigno ai lati della bocca, che si alzavano fino a formare uno sberleffo che rasentava un’implicita scaltrezza, nella solita posa da catalogo smaliziato; le mani in tasca e i capelli pettinati coi petardi.
Si lasciò sfuggire anche un riso sommesso, a mo’ di provocazione.
E le sopracciglia di Aerith non poterono fare a meno di piegarsi pericolosamente all’ingiù come due falci spioventi, formando un’imperfetta ruga d’espressione.
“Guarda che conosco i tuoi punti deboli, Strife”
Gli occhi di Cloud, artificiosamente luminosi, la sfidarono come a dirle vieni avanti, ti sto aspettando e ad Aerith bastava solo sfoderare le sue manovre da abile provocatrice. Non a caso, era cresciuta secondo un preciso stile di persuasione.
“Strife, ultima occasione. Mi accompagni o no?”
“Non m’interessa”
Sentì il crepitio del suolo ciottoloso crocchiare sotto le suole di Aerith, la treccia morbida impegnata in un’ipnotica danza come quella di un pendolo; Cloud che ancora non cedeva alle provocazioni che non avevano fini se non quelli di persuaderlo da quell’assurda ostinazione.
Tanto lei sapeva che alla fine avrebbe ceduto.
“Mi sto avvicinando, eh …”
Si muoveva come un gatto felpato, sinuoso e morbido, in perfetta sintonia con la sensualità che trapelava tra i due, ma Cloud non cedeva, anzi era consapevolmente sorridente e stupito della prevedibilità di lei. Almeno fino a quando non gli respirò in volto e un groppo ostruì le vie respiratorie e quant’altro; tanti squilibri a effetto domino che si susseguivano disordinatamente, ipnotizzati dal moto sistematico e pendolare della treccia, il bagliore confuso degli occhi smeraldini che non gli lasciarono nemmeno il tempo di realizzare che le sue labbra efebiche e rosee stavano per schiudersi a pochi passi dalle sue.
“OK, va bene, va bene, ci sto!”
A quel punto, si  ritrovò con il collo cinto dalle braccia di Aerith, in una situazione claustrofobica e dolcemente agognata, allietata dai gridolini allegri e ampollosi  e lui che non poté fare a meno di schiudere un effimero sorriso, dolce e soffocato dalle moine di lei; moine amichevoli, però, che non sfociavano in nessuna passione passata, ora che avevano racimolato abbastanza tempo da essere amici. Anche se lei rimaneva ancora l’unica a riuscire a infrangere la catafratta di Cloud.
Sciolsero l’abbraccio e lei iniziò a danzare e piroettare su sé stessa come se fosse tra le nuvole, mentre Cloud socchiuse di nuovo lo sguardo, come ad accondiscendere i desideri della sua bambina.
Cloud Strife, sei un deficiente.
“Anche se con quelle gambe potresti farmi da damigella. Non trovi, signorina Cloud?” soggiunse Aerith, dando un taglio a quella danza e guardandolo sardonicamente nella solita posizione da autostoppista.
Cloud si limitò a laconiche parole, che sortirono ugualmente il loro effetto, soffiando via quell’immagine aberrante di un vivace vestitino viola ai piedi dei bassifondi:
“Non m’interessa” rispose.











 Synthesis
 
Sarò di poche parole, vorrei solo rendervi partecipi alle mie riflessioni, magari per eventuali dubbi leggete pure qui, se non volete litigare con le schede – o con voi stessi – per consultare prima il dizionario Zenichelli o la storia qui presente:
#Best Friends, right?: Sono partita un po’ prevenuta con l’amicizia tra Cloud e Zack, il picco della superficialità se proprio vogliamo essere nudi e crudi. Ancora ora, non sono pienamente soddisfatta di non averla approfondita oltre, ma spero ci saranno altre occasioni. La parte della madre l’ho presa da un flashback del videogioco e la ricordo quasi a pennello, perché mi ha fatto pensare a una possibile allusione a Tifa, magari. Parto col dire che gli eventi che si sono preceduti a questo capitolo – e alla storia in generale – non rispecchiano minimamente quello che la Square ci ha imboccato per tutti questi anni. E’ un prologo tutto mio, che vorrei tanto scrivere un giorno. Comunque penso che l’idea di base sia di prassi per le storie a questo sfondo.
 
#Our day will come: Qualunque ragazza pianifica il giorno del proprio matrimonio o almeno una di loro ha un’esigenza impellente che deve essere rispettata a dovere, cascasse il mondo. Ebbene Aerith è come la primavera e tale deve essere il suo matrimonio. L’idea di base mi è giunta da un mio desiderio di avere le mie due migliori amiche con me, in preda ai fanatismi da primadonna, mentre sfoglio riviste rinsecchite da sposa e loro mi giudicano ‘senza speranza’ come al solito. Questa è la parte del capitolo più carica emotivamente, almeno per me. Ho aggiunto un piccolo siparietto comico di Reno che si strafoga la torta e Tseng che è … Mmm… Impassibilmente furioso.
 
#Halftime: Piccolo stralcio Clerith, ma non la classica accezione Clerith intesa come un amore quasi platonico, che verte a scavare nelle profondità emotive l’uno dell’altro… Questa  è la mia Clerith. Quella fatta di piccole rese, di un’intesa machiavellica e una concezione enigmatica del loro vero rapporto. La carne e il sesso sono deboli e purtroppo anche Cloud ha le sue pecche, ma credetemi… Aerith aveva solo fini prolifici, non personali. La mia Aerith è eccentrica, forse un po’ sopra le righe, magari rispecchia la vera entità del personaggio, fatto sta che è emotivamente fragile come nel videogioco, anche se non lo da a vedere. L’intermezzo comico della signorina Cloud mi è piaciuto assai scriverlo. Non so, ma me lo immagino Cloud percorrere la navata in vestito viola e tacchi a spillo. Il viola è il colore delle violette – maddai – i fiori della fedeltà. E verranno messe a dura prova le lealtà qui dentro.
 
Alla prossima, miei cari.
S.
 














 

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Capitolo 2
*** #Wake up alone ***


#03. Wake up alone.
 
Quella notte, mentre dormiva accanto a lui, Tifa ebbe come l’impressione che qualcosa si fosse rotto.
E, infatti, la mattina successiva i cocci erano metaforicamente sparsi sul pavimento, pronti ad abbracciare in un puntiglioso languore i piedi nudi di lei, che si alzò lentamente per non svegliare gli altri in casa: Il loro letto era unito e ben rifatto. Tifa era stata veloce.
Serpeggiò magistralmente tra i rimasugli acuminati, come se si fosse perfettamente resa conto che erano lì, nella totale staticità della camera in cui era rimasta solo lei, dato che ipotizzava già che Cloud era andato a fare la ronda di consegne.
Era una giornata coperta da una coltre nembosa, su scala di grigi, ma non perdeva animo per così poco Tifa Lockheart, assolutamente no, anzi stimava il grigiore perché in questo modo aveva più tempo per crogiolarsi nei suoi pensieri più reconditi e non aveva un diversivo fastidioso come quello del bagliore accecante del sole, un pugno nell’occhio in mezzo a tanto blu, pensava. E quel venticello che abbracciava il suo corpo languido e ben formato si sposava perfettamente a quel risveglio solitario.
Aveva la testa protesa verso il viottolo e ogni tanto i capelli le sbuffavano in faccia, ma ai suoi occhi ambrati non importava dover scorgere le aspettative; lo sapeva, era ovvio, se Cloud non c’era, neanche la sua moto era lì. Non sapeva neanche perché aveva guardato fuori, in effetti. Forse la quotidianità stava prendendo i colori della monotonia.
Un singulto attizzato dal sapore umido e penetrante del venticello sembrò svegliare un presagio funesto.
Di nuovo quel rumore che sentì stanotte. Ma nessuno si era svegliato.
Era come un infrasuono. Così fragile che solo lei si è accorto della sua presenza, come ora riusciva distintamente a sentire il sapore vetrato e puntiglioso dei cocci sotto la carne.
E fu allora che realizzò che Cloud se n’era andato, ma non solo per il giro di consegne e neanche per sempre; giusto il tempo per smaltire lo smacco che gli aveva dato Zack durante quell’incontro quando gli disse che stava per sposare Aerith e Tifa era a conoscenza della sua reazione.
“Tornerà …” si disse, con voce straniata, diversa da quella di Tifa Lockheart, quasi un flusso di coscienza.
Sarebbe tornato perché Cloud non è fatto per patti a lungo termine con sé stesso, giusto per dargli il tempo di calmarsi. E Tifa avrebbe pazientato, come una moglie aspetta il marito dal fronte. Perché è così che andava:
Cloud perde i pezzi e Tifa raccoglie i cocci.
 
 
 
 
 





Synthesis
 
#Wake up alone: Un drastico pugno nell’occhio, se pensiamo allo scenario del matrimonio, però mi serviva un’esca per far uscire il lato ‘angst’ di Cloud, che ci propongono in modo assai plateale in Advent Children. Ho comunque deciso di concentrarmi – non sul punto di vista emotivo, piuttosto dare un’idea della situazione – su Tifa o sull’immagine che la dipingono come l’eterna Penelope pronta ad aspettare che Cloud si decida a mettere il calzino nella lavatrice – per gentile concessione di Manila (leggete la sua DISavventure quotidiane se non volete restare a bocca asciutta :D) – e quant’altro. I cocci ‘metaforici’ non sono intesi come i pezzi del cuore di Cloud – spezzatosi non appena ha appurato la notizia delle nozze – ma sono la sintesi di tutti i ricordi e le esperienze, le emozioni che ha instillato dentro sé dal suo rapporto con Aerith. E naturalmente spetta a Tifa raccogliere i cocci…
Dell’ultima frase penso che ne farò un aforisma.
 
Grazie a tutti i lettori.
E a coloro che avranno la pazienza di recensire.
E grazie a Manila. La mia prima ‘amica’ in questo fandom.
 
S <3
 

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Capitolo 3
*** #Back to black ***


#04. Back to black.
 
Avrebbe dovuto aspettarselo, lei che diceva sempre di non cedere alle provocazioni che ti offre quella partizione della vita fatta solo di dolori e scelte mirate a demolirti e consumarti piano piano, come lo zucchero che affonda nel nero amaro del caffè.
E si chiedeva anche perché l’avesse fatto.
Aerith non era da biasimare: Molti l’avrebbero additata come l’uccello del malaugurio, o il seme della discordia, una poco di buono e lei sarebbe rimasta impassibile perché non sapeva il motivo di tante ingiurie. Impassibile come lo era ora, perché Cloud non aveva mai avuto il tempo di palesarle i suoi sentimenti, che ormai erano scemati del tutto. Ma si chiedeva perché fosse successo tutto così in fretta, a pochi passi da quel tête-à-tête che le aveva lasciato l’amaro in bocca.
Zack la trovò seduta sul bordo del letto con la schiena ricurva, come se si fosse addossata metaforicamente un peccato di cui si sentiva implicitamente colpevole, e l’efebico barlume dei primi cenni dell’alba filtravano tra gli interspazi, creando un suggestivo gioco di chiaroscuri sulla sua figura, sul suo viso tempestato di lacrime silenziose.
“Hai saputo anche tu che è scappato?” esordì Zack con voce neutrale, ma che nascondeva una naturale apprensione
Un singulto coprì la risposta di Aerith, che si passò una mano in viso, addossandosi in modo ancor più penetrante quel macigno opprimente e inconsciamente più terso ai suoi occhi.
Zack la strinse per la vita, cingendola dolcemente, rendendosi partecipe nella cattiva come nella buona sorte; sussurrandole parole carezzate dal levarsi del sole tenue, che racchiudevano consolazioni forzate e trattenute, per non scompigliare oltre la fragilità di Aerith in quel momento.
“Amore, non fare così. Era oppresso e magari voleva solo un po’ di tempo per sé stesso, lontano dal mondo …”
E lui che non era mai stato un mago con le parole, preferiva dissimulare la realtà dei fatti con un po’ di frasi costruite, elaborate così, a bruciapelo. Aerith trattenne i singulti e si limitò a sorridergli, come a dirgli probabilmente hai ragione tu. Ma aveva capito tutto.
Rimasero abbracciati per tutto il tempo che ritennero necessario, fino a quando una dormiveglia placida non li rosolò per bene, annebbiando tutto ciò che era chiaro fino ad ora; continuarono a sussurrarsi filastrocche per sdrammatizzare il risveglio che stava prendendo i colori di una mattinata grigiastra, e si prepararono a un progressivo ritorno al nero degli incubi mattutini.
Frotte di grotteschi e loschi spiragli picasseschi, strade battute sul ciglio della disperazione, cieli in terra e viceversa, nuvole come sentieri e sentieri come una grande crepa di quella che era ora la volta celeste, surrealistici voli in fondi amari al sapore di caffè, e il rumore di una moto, che sopperiva il lupo che era diventato.
Aerith si svegliò di soprassalto, inebriata dal calore di Zack, tanto che si alzò malvolentieri da quella caldana premurosa che, però, non riusciva a sopprimere quel rumore di moto, così pateticamente familiare. Maledette tutto, a partire dallo spigolo del comodino a quel crepitio così assordante e irritante del materasso, mentre il peso del suo corpo era sempre più gobbo, con quel macigno pronto a storpiarle ogni traccia. Scrisse un biglietto e chiuse piano la porta, per non svegliare Zack, che sembrava un eterno bambino con gli occhi socchiusi.
Stava andando da Tifa, che l’accolse col suo solito sorriso di cortesia, ma le leggeva in faccia i segni della frustrazione. Aerith la strinse in un abbraccio comprensivo.
“L’hai saputo, vedo.” rise Tifa “Quel Zack non sa tenere la bocca chiusa più di cinque secondi!” pensò sogghignando
E lì, gli occhi di Aerith si imperlarono della resa del suo corpo, completamente crocifissa da quel peso mastodontico che la sua purezza non riusciva a sopportare, perché non riusciva a tener testa alla corruzione. “Questo è successo perché è innamorato di me”
Tifa sciolse l’abbraccio, indurendo i tratti come fossero stati pestati nello stuccò, una neutralità che spiazzò Aerith con efferato tempismo. Questo perché doveva smentire tutto, prima che aprisse lei stessa gli occhi per capire che era troppo tardi, maledicendosi per un egoismo infondato dato che Cloud aveva scelto lei, Tifa, e non l’altra che per troppo tempo era rimasta tra loro. A Cloud serviva solo smaltire questo tempo e Tifa doveva farglielo capire.
“Ti sbagli, Aerith. Lui era innamorato di te”

 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Back to black: Ritorno al nero, parallelamente a ciò che rappresenta la nudità e la crudità di uno dei capitoli più picasseschi della storia, una sorta di scoperta surrealista che pone davanti l’annosa domanda: Che fare ora?
L’ossimoro è evidente. Accostare Aerith al nero non è nelle accezioni tradizionali, può sembrare pletorico e forzato, però questo colore è un ottimo snellente e come tale serve a ‘snellire’ per certi termini alcuni stati confusionari che aveva intuito già da un po’.
Nel ‘mio’ prologo, il ‘mio’ background, non c’è mai stata una confessione palese o è stato mai presente un punto di svolta per mettere in chiaro le carte così com’erano disposte, sempre fedeli all’incuranza, perciò Aerith tecnicamente non era a conoscenza dei sentimenti di Cloud nei suoi confronti quindi i suoi dubbi sono più che giustificati, anche se lei non riesce a darsi una ragione di tale distacco dalla realtà tranquilla che pronosticava la notizia delle sue future nozze. Diciamo solo che la ‘fuga’ di Cloud è stato un chiarente assioma e lei doveva solo giocare d’intuito. E ha capito tutto.
 
La scena con Zack è di prassi. Né carne né pesce. Per via della mia inesperienza nella narrazione di scene Zerith – così come è nota la coppia – però un buon autore deve sapersi calare nel suo camaleontismo e timonare come meglio crede. Non ho saputo fare di meglio.
 
Più carico emotivamente – seppur carico di reazioni contrastanti – è la scena con Tifa. Dando il motore alla scena, con climax crescente, mi sono sentita come un cameraman onnisciente che cerca di concretizzare le parole con descrizioni brevi, ma efficaci, che potessero immedesimare il lettore nel loro abbraccio e che in un certo modo ‘traspirasse’ attraverso il monitor. Ma anche se non avessi raggiunto l’obiettivo, sarei felice lo stesso, dato che questa storia mi appaga molto. Nei prossimi capitoli approfondirò meglio l’amicizia tra queste due donne che, in un modo o nell’altro, è stata sempre sottovalutata e smentirò la copertura che le vede coinvolte nel mirabile – e mirabolante – intrigo tristemente noto come il Triangolo di Final Fantasy VII. Il primo di tanti altri intrighi che caratterizzano minuziosamente le ship dell’intero fandom …
 
Per quando riguarda i sentimenti di Cloud per Aerith, questi rimangono avvolti nella più fitta delle confusioni, perché è così che voglio. D’ora in poi parleremo solo di una reticente attrattiva che non si spinge oltre il platonico.
O forse sì. Non so.
 
 

Ringrazio di puro cuore Manila, che mi è vicina ogni giorno di più.  Ne approfitto per tranquillizzarla, perché la Cloti non si farà attendere. Ma naturalmente riserviamo un salutino speciale anche alla coppia più bella del mondo. 
 
E ringrazio anche Shining Leviathan per la sua abilità di comprendere la vera essenza delle persone.
 
 
S.
 

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Capitolo 4
*** #Rehab ***


#05. Rehab
 
Non sentiva niente dietro di sé, non vedeva nulla, aveva i sensi bloccati dalle frustate continue del vento selvaggio, della landa infinita che si stagliava davanti a lui, ritratto perfetto della devastazione, e si sarebbe fermato solo quando ne sarebbe stato totalmente coinvolto.
Un ritorno alle origini, in quello stato brado che lo faceva sentire come un embrione che dimorava in un ventre desolato, traboccante di morte certa, azzannando vorace quella placenta che lo teneva in quarantena; un parto veloce e indolore.
“Non do sconti a nessuno. Questa terra è mia. Posso viverla, almeno questa. Il mondo va proprio a puttane, ma io vado ad adrenalina, alla faccia sua”
Questi, forse, erano i plausibili pensieri che filtravano nella mente di Cloud, scavandosi crepe sempre più penetranti, nella speranza di trovare un barlume, ma si rinnovavano nel dimenticatoio a ogni nuova frustata di vento; in realtà lui non pensava a niente e forse era meglio così.
Pensava solo al fuoco che bruciava le ruote sull’asfalto, un combustibile che digeriva a overdose fino a inebriarsi completamente di quell’odore di polvere da sparo misto ad adrenalina. Il vero odore della libertà. Sì, lo eccitava a morte. E l’overdose di adrenalina sbloccò finalmente i sensi, accendendosi vivida e stupefacente, allucinogena, inebriante e agognata.
Tanti odori si accavallarono, così come tanti collage confusi di visi conosciuti a tutti, tipo c’era Tifa che lo salutava come ogni giorno, i sorrisi sciocchi di Zack e anche Aerith, più leggera del solito. Leggera nel senso di svestita, però. E poi ricompariva Tifa, naturalmente bella, i capelli ondeggianti come la coda di un delfino. Ed Aerith, sempre con più pelle al sole. Ora lui e Zack quando erano ancora Soldiers. Poi di nuovo Aerith, la schiena nuda, sul punto di sciogliere anche il fiocco dai capelli.
“Quel bastardo lo sta facendo ancora …” pensava, ingranando pericolosamente la marcia per la via dell’autodistruzione.
E ora, cosa c’era? Un bacio. Sì, il primo che diede a Tifa e che ha sempre conservato come un ricordo di dolcezza, ma che l’adrenalina rabbiosa reprimeva a ogni scorrere infinito della landa. E si accavallò anche una Aerith di nudo soffuso, così come l’aveva sempre immaginata – o almeno, come la immaginava un tempo -  e Zack accanto a lei, che non smetteva di farla sua. Desiderava fare lo stesso anche con Tifa. Ora sì, ora che stava per perdere completamente il controllo e lo stupefacente stava per alimentare la sua miccia con un combustibile bello forte. Smettila di baciarla, pensava. Smettila, cazzo!. E poi, in preda a sentimenti contrastanti, Tifa che si dissolveva sempre di più, voltava le spalle e lui non poteva perdonarselo. Ecco, il bivio fatidico. Aerith già presa da un altro uomo e l’amata Tifa, che se ne andava. Doveva girare o avrebbe imboccato la morte. Qualunque direzione.
“Non ti lascerò controllare di nuovo la mia mente”
Attrito che bruciava, gomma che impennò selvaggiamente e ruggì al sole battente e gli occhiali caddero, e il bagliore Mako luccicava come un diamante al sole. Non era ancora finita.
Aerith, ormai completamente nuda, era irraggiungibile. La sinuosa silhouette si perdeva tra i bagliori sfocati dell’overdose, ma gli parve quasi di assaporare la sua carne docile. E poi il debole oscillare della coda di Tifa, le gambe sode e andanti e il viso che non osava incontrare il suo. E poi, a quel pensiero, si infiltrò perfino Sephiroth. Il suo sguardo, ricolmo di tronfia vittoria, assaporava tutta la furia crescente di Cloud, che ingranò la marcia per farla finita una volta per tutte.
“Sto arrivando” pensava “Sto arrivando, bastardo! Smettila di giocare … Non sono un giocattolo, cazzo! E neanche loro lo sono! Ridammele tutte e due!”
E gli parve perfino di sentire un sardonico e freddo “Sei troppo ingordo, Cloud”
La goccia che fece traboccare il vaso. La marcia che fece consumare l’overdose. L’ululo finale del lupo, bruciato dall’attrito radente. Il combustibile fece scoppiare la miccia. Atomici sapori, sempre più eccitanti.
Poi, l’orgasmo finì.

 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Rehab: Riabilitazione. La fuga è stata una redenzione efficace, naturalmente nei termini consoni a Cloud Strife, felpato, portato a innescare squilibri in tempi decisamente stretti.
L’ho vista come una parafrasi dell’esistenza stessa, come un ritorno alle origini per l’appunto fino al parto indolore; la sofferenza esistenziale fino all’ultimo orgasmo che accompagna lo spirare incosciente.
Il climax è decisamente crescente, proprio come un’overdose di adrenalina. E’ stato fortemente voluto perché Cloud cerca di ‘farsi’ di adrenalina per reprimere quei dubbi che si materializzano proprio come sotto effetto di uno stupefacente, ponendosi paranoie inutili, tipo quando pensa di ‘sentire’ una strana voce, tremendamente familiare …
Per questo capitolo mi sono ispirata interamente alla mia musa, che mi ha aiutato a concepire questa storia a cui sono intrinsecamente legata, perché posso finalmente dire la ‘mia’ in un certo senso, su questo speculativo rapporto tra Cloud – Aerith – Tifa – Zack che rimarrà per sempre un mistero della fede, per tutte le allettanti interpretazioni che ci sono state fornite in questi anni. E tra meno di un mese sarà l’anniversario della sua morte, quindi quale modo migliore di omaggiarla esplicitamente se non con il titolo di una delle sue canzoni d’eccellenza – o per lo meno conosciute – ovvero la signorina Winehouse.
Non ringrazierò mai abbastanza L per avermi indorata ad approfondire la conoscenza della musica di Amy Winehouse.
Il capitolo della svolta arriva, finalmente.
 
 
 
Shining Leviathan, ancora una volta le tue sinopsi mi hanno lasciata a bocca asciutta. Degna di tutti gli elogi possibili.
 
Manila, ma chérie, sei l’esempio più fulgido di comprensione di una moralità contorta come la mia. Mentore e complementare. Buona fortuna per gli esami imminenti.
 
 
Grazie immenso ai lettori.
 
S.

 

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Capitolo 5
*** #Like Smoke ***


#06. Like smoke.
 
Incosciente.
Spire flebotomiche di pulviscolo mattiniero volteggiavano in una danza complessa, filtranti tra gli interspazi delle veneziane, che qualcuno aveva chiuso per rendere più familiare la convalescenza. Si intrecciavano come i corpi di due amanti, baciati dal desiderio pungente, persi in un turbine di loro inventiva, una coreografia vorticosa che faceva pulsare la testa a Cloud. La polvere era effimera come una boccata di sigaretta, che si assapora giusto il tempo in cui la si respira. La respirò. E starnutì.
Incosciente di nuovo.
I suoi occhi pattugliarono la stanza in cui si era risvegliato tante volte negli ultimi anni e non riusciva fare a meno di immaginare quella porta statica spalancata da una Tifa adorabilmente arcigna, nel fervido tepore di un cliché visto e rivisto che quasi represse, per non tradire il suo anticonformismo, che era divenuto ormai parte integrante della sua immagine e dei suoi stessi istinti basilari. Sentì l’impulso di strapparsi dal corpo quelle flebo immaginarie, per capire cosa diamine era successo dopo quell’overdose di adrenalina stupefacente che gli aveva fatto perdere letteralmente il senno, anche se in realtà l’aveva perso già da tempo. In pratica, però, voleva solo annacquare beatamente nella cognizione degli eventi a cui era tanto affezionato: Cloud Strife è diverso senza razionalità e quell’alternativa non gli piaceva granché. 
Visto lo stato in cui era, però, preferì sguazzare un altro po’ nel mondo dei sogni sbiaditi, che ormai non gli facevano più effetto. Solo un’enigmatica indifferenza lo avvolse nel placido tepore delle coperte.
Quando si svegliò, circa una quindicina di minuti dopo, riconobbe – dapprima confusamente, poi sempre più nitidamente – la silhouette formosa dei fianchi di Tifa, accanto al suo letto, un’insolita e morbida cascata di capelli neri che le ricadevano docilmente sul viso a ciuffi ribelli, tutta intenta a trafficare con una brocca e un vaso ben rifornito di vivaci fiori gialli, ma entrambi erano sul punto di appassire da un momento all’altro. Cloud era un fascio di nervi, l’animo colpevole di un bambino che aveva esagerato più del dovuto, lo sguardo vacuo e ancora un po’ stordito, tanto che le uniche parole che riuscì a proferire furono:
“Cosa stai facendo?” disse, con un tono che, a suo pensiero, lo faceva risultare ancora più stupido di quanto non lo fosse stato
Tifa sussultò, facendo cadere qualche goccia d’acqua fresca sul pavimento, e sembrò che tutto intorno a lei fosse avvolto da un alone confuso, tranne quel vaso di fiori. Lei, d’altro canto, si aspettava che Cloud fosse ancora dormiente per miracolo, date le condizioni in cui erano state ritrovate le macerie della sua moto, massacrante non solo a vedersi. Si voltò di scatto, sul suo volto i patimenti rossastri di una latente mortificazione che voleva nascondere a sé stessa.
“Tu cosa pensavi di fare, piuttosto. Volevi ucciderti? Perché? Pensavo ormai che fosse tutta acqua sotto i ponti. Mi sbagliavo? Certo, perché sono stata una stupida a credere di poterti dare una chance …”
“Una passeggiata. Ecco cosa volevo fare”
“No, un suicidio premeditato. Ecco cos’era.” diceva, gesticolando concitatamente e cercando un diversivo nei fiori, carezzandoli e rinvigorendoli con sbuffi gentili delle mani, solo per non incontrare quello sguardo indifferente e impassibile che tanto odiava in situazioni come queste. Questo perché non voleva rivivere nel celeste tranquillo dei suoi occhi lo stato penoso in cui l’aveva trovato – grazie al cielo il bar era di strada – o meglio l’avevano trovato lei ed Aerith.
“Ti sbagli. La mia era una semplice passeggiata in moto. Poi lui l’ha fatto di nuovo e ho perso il controllo”
Ecco, lo sapeva, iniziava a vaneggiare. Ma lei si limitò a sfoggiare il cipiglio materno con cui si rimprovera un figlio per cui daresti la vita. E trafficava ancora con i fiori, l’unico spiraglio certo a cui si appigliava in quella stanza, insieme a Tifa.
“Senti, non mi importa dei tuoi amici immaginari. Puoi sballarti quanto vuoi, ma …” Tifa esordì un tono più dolce e davvero materno, stringendogli la mano come se non volesse lasciarla più “Non pensare come se non ci fosse mai una seconda scelta. Promesso?”
Cloud la strinse a sua volta, ma non solo la mano, bensì tutto il peso del suo corpo, addossandoselo come una promessa tacita, che non sarebbe svanita quando la danza pletorica dei lembi di pulviscolo avrebbe concluso con l’ultima gittata, quello era un giuramento che si concluse con il suo sommesso e flebotomico “Promesso”
Sciolsero a malavoglia il loro abbraccio reciproco, cercandosi solo in un’ultima e tenera stretta di mano, incrociate come quelle di due amanti la notte prima di lasciarsi.
“Ora rimettiti”
E vide i capelli di lei ondeggiare come in quelle immagini confuse, ma stavolta aveva la certezza che sarebbe rimasta con lui per sempre. Tanto per cambiare.
“Solo un momento”
“Dimmi, Cloud”
“Dove li hai presi questi fiori?”
“Oh … Li ha mandati Aerith”
 

 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Like smoke: Personalmente uno dei miei capitoli preferiti, in fatto di stesura, poiché la critica la lascio al giudizio onnisciente dei posteri. Che sia in coerenza o no con il personaggio in sé, la redenzione di Cloud è l’inizio del cammino verso una vera e propria disintossicazione, che si traduce in un risvolto definitivo e una considerazione più limpida dei suoi sentimenti verso sé stesso e verso Tifa.
Qui Tifa è mostrata, forse, come la fiaccola devota che ha scaldato Cloud durante la sua letargia soporifera, quasi come una Lucia manzoniana o l’Esmeralda disneyana, fatto sta che ciò è stato dettato da un sincero affetto nei suoi confronti, sebbene la sua avventatezza. L’ho mostrata nei canoni di come io stessa avrei reagito, senza sbilanciarmi troppo verso i suddetti modelli – Lucia ed Esmeralda – perché Tifa Lockheart rimane sempre e solo Tifa Lockheart. Uno dei personaggi meglio caratterizzati nell’intero gioco, per quanto l’aspetto pomposo – e non mi riferisco al vestiario – possa ingannare. Una tenacia che non lascia scampo a niente, né debole né forte, semplicemente donna.  Per questo riscuote una preferenza sentita rispetto ad Aerith magari – almeno per come mi è parso notare in alcuni fandom, non tanto nei canoni d’amministrazione di EFP – e credo che ciò sia riconducibile al fatto che Tifa è più vicina alle persone, nel senso che è un personaggio molto umano e molti dei suoi atteggiamenti sono condivisi dalla maggioranza evidente; Aerith, invece, è più sfuggevole ed eterea e riesce più difficile identificarsi in lei, pur rimanendo un personaggio in perfetta coerenza di quelli che sono i miei gusti.
Fatto sta che Aerith richiede una sinopsi più approfondita, perché non è solo l’eterea fioraia che ci imboccano in tutti i capitoli della saga e non, ma è una donna come tante altre, proprio come Tifa… Solo vista da una prospettiva diversa. Si è capito che l’adoro, vero?
 
 
L’ultima parte del capitolo l’ho volutamente scritta in corsivo per simboleggiare la sfuggevolezza con cui Aerith riesce sempre a far breccia tra loro, quasi una parafrasi degli eventi del gioco, dato che la fioraia viene ricordata assai spesso; ma è anche una presenza fugace per saldare le convinzioni di Cloud sul fatto che si sente pronto a cambiare pagina, proprio come ha fatto Aerith. Eppure non riesce a staccare gli occhi da quei fiori eterei e delicati …
 
Posso solo assicurarvi di una cosa. Non rivedrete mai più il Cloud del quarto capitolo.
Almeno lo spero ;)
 
 
 
Ringraziamenti sentiti a Lylaforlovers che ha trovato tempo per rifilarmi poche ed efficaci parole. Spero apprezzi anche questo capitolo – o che almeno si sia fatta un’idea della storia in sé.
 
E anche a Shining Leviathan e le sue sinopsi, che mi fanno sempre piacere.
 
S <3
 

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Capitolo 6
*** #Tears Dry (on their own) ***


#07. Tears dry (on their own).
 
Aerith seppe della completa guarigione di Cloud, senza alcun minuto d’esitazione. Non l’aveva detto, ma Aerith aveva vegliato silenziosamente su Cloud tutte le sere e i giorni in cui aveva dormito placidamente, concedendosi solo l’auspicata voglia di scompigliargli i capelli biondi, quella volta in cui si era presentata a casa di Tifa per portare i fiori. Sembrava un cherubino caduto da un brusco volo dal paradiso.
Invece Tifa aveva condiviso con sé stessa uno struggente pianto liberatorio, meditando seriamente di cacciare in malo modo tutti coloro che si avvicinavano a quel letto dormiente. Per lui non era un cherubino, come lo contemplavano gli occhi di Aerith, ma un’anima redenta che non ha ancora trovato il suo posto nel mondo, che vagava continuamente nel purgatorio, senza il minimo senso della misura che lo aveva portato all’incoscienza più volte.
“Neanche fosse il suo capezzale …” pensava, mentre sciacquava le tazzine del tè che offriva immancabilmente ogni qual volta che venivano a trovarlo. Aerith si era addirittura offerta di aiutarla, ma era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Non l’avrebbe mai ammesso, tranne a quei rivoli caldi che rigavano il suo viso, il guanciale, durante quelle notti insonni che si susseguirono come incubi.
Aerith era stata silenziosamente vicina ad entrambi nelle sue visite costanti, ma brevi; era stata come una fiaccola fulgida di speranza che, come pensava paranoicamente Tifa, era stata anche l’ancora che aveva condotto Cloud alla salvezza, con le sue preghiere intense, intrise di una devozione quasi devastante; mentre Tifa era sullo sfondo, inerme, insieme al suo spirito d’osservazione, con la situazione che le stava sfuggendo di mano un’altra volta.  In quei giorni, rimunerativi dubbi  la braccavano con i loro fantasmi sconsiderati che la consigliavano, in maniera molto spassionata, di abbandonarsi al dolore, a quello più tetro e folle, che non avrebbe lasciato scampo ad alcuna parola, cosicché dopo le sue inibizioni sarebbero state libere. Tutto questo, nonostante le avesse ripetuto più e più volte che era lei l’unica.
E la mattina seguente non poteva fare a meno di cambiare le lenzuola, madide di lacrime che si riversavano a frotte la notte prima.
Quando Cloud  guarì, Aerith fu la prima a saperlo, dopo Tifa ovviamente. L’aveva chiamata nel cuore del pomeriggio, bisticciando ore e ore con la tastiera del telefono e torturando assiduamente i boccoli turgidi del filo della cornetta, rimuginando sulle parole giuste da usare. Un trillo forense. Poi si sentì invadere dai borbottii confusi di casa Fair, in cui si distinse solo la dolcezza composta della voce di Aerith.
“Tifa?”
“Sì, sono io …” esordì con voce oscillante e dandosi dell’emerita cretina “Indovina un po’, Cloud si è svegliato e …”
Non poté finire la frase che un urlo scoppiettante di gioia le rimbombò per tutto il padiglione auricolare, stordendola al punto che respinse la cornetta con un gesto di ribrezzo, il bel viso contrito in una smorfia che le tagliava trasversalmente le labbra. Aerith era al settimo cielo e lo poteva sentire, letteralmente.
“Tifa, non potevi darmi una notizia più bella! E dimmi, ha preso una brutta botta? Devo rimandare il matrimonio ancora di qualche giorno?”
“Cosa? Scusa, ripeti … Hai rimandato il matrimonio?” esclamò, sull’orlo di un esaurimento
“Certo. Non posso sposarmi sapendo che Cloud non può accompagnarmi all’altare …”
Furba, pensava Tifa. Quello era un semplice pretesto in modo che Aerith gustasse la resa sul viso di Cloud una volta che lei avrebbe giurato amore eterno al suo migliore amico.
Tifa represse subito questo pensiero perché, ora che era l’unica donna di Cloud, non aveva più motivo di mandare a monte i sentimenti d’amicizia con lei, la persona che le era stata più vicina, che l’aveva confortata e protetta .
“Ma non dovevi, Ae …”
“Certo che dovevo. Altrimenti non saresti venuta nemmeno tu. E cos’è una sposa senza la sua testimone?”
Già, testimone dell’amore tra lei e Zack. Un amore sacrificale, non come quello tra lei e Cloud.
E le venne in mente Zack, così, d’impulso … Anche perché si intromise nella telefonata con un entrata alla Fair, studiata in modo da renderla suggestiva ed efficace, anche se aveva la voce impiastrata di sonno.
“Tra poco non ci sarà neanche più la sposa se interrompe il mio pisolino di bellezza” sentì dire da una voce sardonica e irriverente, d’una spanna al di sopra di quella di Aerith, ma senza cadenze irritanti, adorabilmente spontanea e vera
“Questi uomini stanno diventando dei bradipi lardosi! Come se la caveranno nella stagione della caccia?”
Sentì accavallarsi la risata concitata di Aerith e le repliche sardoniche di Zack, che agguantò la cornetta e Tifa lo immaginò assumere quel cipiglio tanto irriverente di un comico alle prime armi. Rischiò di sbellicarsi, anche in merito alla sua reazione che, ci avrebbe scommesso la testa, sarebbe stata alla pari del suo sarcasmo brillante.
“Guarda che le donne amano un po’ di carne qua e là. Braciole di maiale arrostite al sole, cosciotto di tacchino che rosola deliziosamente sulla spiaggia, prosciutto corposo … Mmm … Ed ecco che nella stagione della caccia, la preda diventa cacciatore. Se vuoi ti concedo un assaggio speciale” ansimò Zack, mimando una voce pletoricamente eccitata e lasciva, che sembrò scivolare lungo la schiena di Tifa fino a farla rabbrividire. E ancora la risata di Aerith.
“Sono vegetariana, quindi passo”
E si distinse un’altra risata, più acuta e meno concitata, che si intrecciò in perfetta armonia con quella di Aerith, sugellando una complicità innata.
“Bella lingua, Lockheart. E, dimmi, come sta il biondo?”
“Bene, grazie per l’interessamento”
“E’ sempre il mio migliore amico. Oh, e al ricevimento,  faremo servire portate vegetariane esclusivamente per te. E non osare allungare la mano sulla carne”
“Non ci sarà alcun rischio. Oh, un’ultima cosa, mister Porcellino …”
“Mi dica, Cardo con le tette …”
Tifa elargì una smorfia che verteva esclusivamente sul suo palese scetticismo dinanzi all’abilità di Zack di tirare dal nulla i soprannomi, per poi sorridere mentre gli diceva:
“Dì ad Aerith che a Cloud sono piaciuti molto i fiori”
“Ricevuto, boss. Ma cambiamo i soprannomi, sono troppo strani”
Rise di nuovo, stavolta più consapevole che quella notte, finalmente, non avrebbe pianto.
“Perché? Mister Porcellino è assai evocativo!”

 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Tears dry (on their own): Tralasciando la grottesca parte finale – metto in chiaro che i soprannomi non li vedrete mai più, dato che io stessa li trovo alquanto inquietanti – questo capitolo mi ha gratificato scriverlo, anche perché è nato da un mix di Tears Dry di Amy Winehouse ed Aerith’s Theme. Quindi è un’aria di mezzo carattere con sprazzi di umorismo da commedia nera.
 
Ebbene, so che siete disorientati per il fatto che ho messo Tifa su uno stallo diametralmente opposto rispetto al precedente capitolo: Qui il perno focale della ‘fiaccola’ viene letteralmente sgraffignato da Aerith, che prega e lo contempla come un cherubino, mentre Tifa si limita solo a un ruolo marginale. Non so dire se è stato intenzionale o meno, mi sono fatta trascinare dagli eventi, ma ciò potrebbe parafrasare ciò che inconsciamente Tifa ‘pensa’ di sé quando c’è la sua amica nei paraggi. Si abbandona agli istinti, per poi reprimerli.  Ed è un eufemismo dire quanto sia drammaticamente vera.
 
Su Aerith non mi espongo, ho ancora tanti altri capitoli. Lascio a voi l’onniscienza.
 
Zack anche in questo capitolo ha ricoperto un ruolo che, per quanto alternativo, ha consacrato la sua efficace sfuggevolezza. Proprio come nel videogioco, dove non ha un ruolo di spessore, ma il suo impatto si sente forte e chiaro e ha rivendicato per sé quella parte che gli serve per dire la sua. E le sue velleità creative non sono da meno.
 
Qui mi espongo su alcune mie ‘teorie’ sul rapporto tra Zack e Tifa, delineato un po’ dai fanwriter e da quella minoranza Clorith che li ha visti come possibili ‘rimpiazzi’ reciproci. Diciamoci la verità, non è che nel videogame potessimo ricavare chissà quali scabrosità, tranne forse quella piccola scena di Nibelheim, ma che rimane comunque magro rispetto all’evoluzione emotiva che entrambi hanno con personaggi che possono essere Cloud, Aerith o lo stesso Sephiroth – e qua mi parte One Winged Angel *^* -  ad esempio. Io li teorizzo come complici e ritengo che hanno un’intesa e un’affinità uniche nel loro genere. Approfondendo il loro rapporto, secondo me potremmo trovare ampie sfumature emozionali, che verterebbero soprattutto su un qualcosa a metà tra il fluff e il grottesco. Il loro rapporto è fluffesco.
Per i fini canonici, questa ‘coppia’ è pressoché inutile, ma mettendola su questo piano è un modello esemplare per ricavarne tutte le congetture possibili e immaginifiche. Non per forza attinenti al canone abituale di coppia. Li vedo eternamente alleati in una conquista segreta dei cuori di Cloud ed Aerith, come in quel film con Julia Roberts, Il matrimonio del mio migliore amico con la trama stravolta, però.  In fin dei conti però ce li vedo molto bene insieme e amo scrivere sul loro rapporto fluffesco. Non a caso i miei capitoli preferiti sono su di loro e non su Cloud e Aerith come Manila avrà intuito.
Zack e Tifa sono il mio ultimo fetish.
 
Ad ogni modo sono aperta a tutte le supposizioni che volete su Tifa e Zack.
 
Ringrazio Lylaforlovers e la sua inossidabile franchezza.
 
Naturalmente ShiningLeviathan e lei già sa perché.
 
E Manila perché vada come vada è sempre presente. E spero che al tuo fidanzato sia piaciuta One Winged Angel ;)
 
S <3
 

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Capitolo 7
*** #A song for you ***


#08. A song for you.
 
Sfogliare i ricordi è come sfogliare un album di fotografie: Racimoli i progressi che si sono succeduti da lì a questa parte e ti sembra di essere più matura di un giorno e riesci ad affrontare a testa alta quei momenti che ti sembravano devastanti, angoscianti, più neri del caffè, o irrimediabilmente ingombranti; così riesci a tenere bene a mente sia i ricordi belli sia quelli brutti, ammonizione perfetta ai prossimi gesti avventati. Ma, arrossendo timidamente, Tifa non riusciva a ricordare il loro primo bacio.
Lo confidò in buona fede quella sera in cui si erano ritrovati a sfogliare i rispettivi ricordi, lui che dava l’impressione di essere intollerante a quei sentimentalismi, ma probabilmente l’ascoltava per farla felice. Lei si nascose il viso tra le mani d’un rosso imbarazzo.
Cloud recepiva lembi distratti dei suoi vaniloqui, metabolizzandoli alla meglio, come poteva il suo spirito di concentrazione che si perdeva tra i lineamenti deliranti del suo bel viso, dei suoi bei occhi che quasi le uscivano dal viso, delle sue labbra che voleva affondassero nelle sue, con attacchi dirompenti e in preda alle più brade passioni, come dettava la natura umana, vera e selvaggia. Questi pensieri attaccarono tutto ciò che aveva pensato di essere finora.
“Tu lo ricordi?” disse Tifa a un certo punto, distogliendolo dai suoi deliri con tempismo dirompente, sorridendogli teneramente, quasi a dare una certezza che quella sera sarebbero stati solo loro due, in compagnia dei loro discorsi venefici per il sonno. E Cloud si liberò delle inibizioni, provando a essere quello che non era o che credeva di non essere.
“No” mentì laconicamente “Ma neanche Zack ed Aerith ricorderanno il loro. Come io non ricordo il primo che diedi ad Aerith”
 “Meno male, altrimenti ti avrei steso con un pugno”
E sapeva che ne sarebbe stata più che capace, maledetto Zangan.
Ma lui era stato spudoratamente bugiardo, se lo ricordava perfettamente il bacio che diede ad Aerith. Ma d’altro canto non era da biasimare: Intendeva prendere la direzione definitiva, senza più lasciarsi plagiare da quelle confusioni perché la croce era diventata troppo gravosa e il corpo non poteva più sopportarla. Che poi, quello non fu neanche un bacio da innamorati, forse solo un distratto sugello di ciò che non sarebbe mai accaduto, dato che Cloud non gli aveva mai detto ciò che provava per lei e non aveva intenzione di farlo.
“Però c’è una cosa che invidio loro” esordì a un certo punto Tifa, rimestando cogitabonda i pensieri che non facevano altro che riaffiorare inaspettatamente dopo spezzoni di silenzio denso. “Loro hanno il ricordo di qualcosa di più intenso, capisci? Non è chiesto, spiegabile, effimero come un bacio. E’ inculcato nel loro intimo, per sempre. E vorrei essere invasa da quest’intensità, gustare la resa dei ricordi e tenerlo sempre con me. Lo vorrei davvero”
Cloud si pentì amaramente di quell’implicito passo falso, e iniziò ad accusare i sintomi di una caldana febbrile che rischiò di compromettere l’integrità di uomo dinanzi a Tifa, nel fiore di una sconcertante fragilità che non gli aveva mai mostrato. E di questo era colpito e tentato al tempo stesso. Non erano la donna e il bambino. Lui era un uomo e come tale aveva le sue esigenze. Solo che lo nascondeva bene. Ma non riusciva a spiegarsi perché, dinanzi a una dichiarazione così disarmante ed esplicita, fosse così – e senza mezzi termini – bloccato dal pensiero di Aerith e Zack, che già avevano colmato questa necessità e ora potevano procedere senza doversi dire nulla, e credeva che cedendo alla fragilità tanto agognata e alle provocazioni sedate da sé stesso, potesse aizzare una sorta di competitività latente, una specie di ripicca.
“E, dimmi, quanto saresti disposta ad aspettare?”
E, senza darsi il tempo di reagire, vide annebbiare ogni razionalità alla vista della cascata corvina che si sciolse al tempo di un fruscio, il codino lasciato a poltrire sul pavimento e Tifa offerta come vittima sacrificale della sua piccola ripicca, i respiri che iniziavano a unirsi reciprocamente.
“Neanche un attimo” ansimò, lasciandosi oscillare dai movimenti rotatori delle mani di Cloud tra i suoi capelli, che già cominciava a fluttuare nel terso mondo della passione, stornellata come una canzone sconosciuta e scritta appositamente per quel momento, quando quel mondo era allo stadio embrionale,  nella speranza di evolversi.
I primi momenti furono difficili. La colpa che attentava continuamente alla sua integrità, alla vista della maglietta bianca che scivolava lenta, languida fin sotto il corpo, le brache slacciate con efficace maestria e la mano di Tifa che lo guidava lento in una spira mortale, e ciò che vi era iniziava a evolversi fino ad assumere forme che rendevano quella passione pronta ad accendersi malsana, quasi grottesca, ma in un modo che lo faceva eccitare da morire.
Era piacevole avere il peso del corpo di Tifa addosso, un po’ perché si era stufato del contatto visivo, un po’ perché quella caldana era un vero e proprio toccasana, sebbene il caldo rovente serpeggiasse anche fuori da quelle mura, dove si stava consumando il pasto serale, anche a casa Fair e che non avevano nulla a che fare con quel parallelismo grottesco.
“Non hai dubbi?” chiese a un certo punto, mentre la magia intercorreva tesa in una trama di cui presto si sarebbe conosciuto il finale. Cloud non voleva coinvolgerla nella vendetta che aveva costruito nel più falso dei castelli in aria.
Bastò quell’intreccio a serpentina delle loro labbra per sempre e tutto – dubbi e vendetta inclusi – svanì senza lasciare traccia. Tranne quello della loro passione fatidica.
Era la fine di Maggio ed Aerith si sarebbe sposata tra un mese.

 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#A song for you: Cielo, dovevo essere sotto l’effetto dell’Ecstasy o qualche altra sostanza di stupefacente effetto, che mi hanno fatto perdere la cognizione della realtà. Pur non essendo drammaticamente esplicito, scrivere una scena con una carica sessuale di tale portata per me – secondo le mie limitazioni, è ovvio. Non sono una feticista delle lemon, purtroppo. – mi ha lasciato l’amaro in bocca e appena ho finito la stesura del capitolo, ricordo che mi sono lasciata andare a un lungo e profondo sospiro.
E’ ben nota la mia “neutrale preferenza” per la Clerith, però non mi astengo dallo scrivere una scena condita di ottima passione Cloti, più che lecita e naturale.
In molti – incluso il mio mentore sotto forma di peluche Moguri, che chiameremo Teo – mi hanno consigliato di revisionarla e renderla meno ‘scarna’, doviziosa di particolari futili che a mio parere avrebbero offuscato la verve misteriosa che consente al lettore di farsi un’idea propria; difatti, non l’ho riletta più di due volte e sinceramente sono apposto così (un contrattempo del genere l’ho incontrato nel capitolo 12).
 
Qui viene l’annosa domanda: “Ma questa è scema? Ci inculca i suo pensieri Clerith per un casino di capitoli e se ne esce con ‘sta cosa Cloti? Insomma, autrice, qual’ è il tuo vero pensiero?”
Ebbene, ho semplicemente dato la mia personale visione di come sarebbero potute andare le cose se gli eventi avessero preso una piega diversa; ma i rapporti interpersonali sarebbero stati sempre d’eguale intensità a quelli mostrati nel videogioco. Qui non mi sono limitata a offrire spunti su Tifa, ad esempio, quali “Mamma o fidanzata?’ o             quant’altro. E’ solo il risultato dello scorrere naturale degli eventi. Cloud in sé non sarai mai deciso, ma almeno sta provando a costruire qualcosa.
Con Aerith non ce lo vedo sposato e con pargoli a seguito; quello con Aerith è un rapporto più tormentato ed è questo che mi affascina. Non intendo smentire ciò che ho detto finora.
La miccia di Aerith è ben evidente dall’allusione al suo matrimonio alla fine del capitolo, volutamente alla fine.
Penso, però, che dopo questo capitolo Cloud abbia più chiare le idee sulla presa da posizione da prendere. Il monito gli è servito come avvertimento. Tifa, comunque, non può ancora dire con certezza che sia suo.
Siamo in una fase di transizione sospesa.
 
 
Ringraziamenti sentiti a Lylaforlovers , che vada come vada, sarà il mio sincero appiglio.
 
 
A Manila , che mi è sempre vicina, anche nei miei momenti di crisi ideologica e nel sostenere la causa ‘Denzel\Marlene’ col mio stesso entusiasmo.
 
 
E a alister_ , perché non ho mai trovato una persona che condividesse appieno i miei ideali Clerith. Poi se è l’autrice di una delle tue storie preferite del fandom, si può dire che ho toccato il cielo con un dito.
 
 
Un giorno di questi, devo tassativamente dedicare una Synthesis a Denzel e Marlene. Sono in lizza per diventare i prossimi Cloud\Aerith, ma in un modo meno drammatico e più fraterno.
 
 
S.
 

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Capitolo 8
*** #Love is a losing game (with you) ***


 #09. Love is a losing game.
 
Non capiva perché, ma sentiva il bisogno impellente di mettere un punto di conferma ai suoi sentimenti, finalmente.
Di buon’ora, ancora inebriandosi di quella caldana che aveva assunto i rigorosi toni della cognizione mattutina, si diresse al negozio di fiori più vicino, alla ricerca di una screziatura che diventasse il loro simbolo, il loro vessillo, un connubio irriverente di profumi e steli che scivolavano lascivamente tra le loro mani.
Il trillo di un campanello lo accolse all’entrata, subito dopo una porta vetrata, dalla quale aveva già riconosciuto la silhouette morbida e vorticosa di una treccia oscillante, indaffarata e madida di apprensione sfaccendata. Uno stuolo di prevedibili disagi lo attaccò.
“Un attimo solo …” sentì bofonchiare in modo concitato dal retro del bancone affollato di ogni arnese immaginabile, che denotava un’anima essenzialmente devota al lavoro e alla creatività spassionata. Cloud rimase nella solita posizione da autostoppista, con tanto di occhiali che coprivano strategicamente il bagliore Mako, ma anche una sciocca trovata perché aveva degli occhi talmente belli.
Un’ accozzaglia di trilli argentini, fruscii di scatoloni e le imprecazioni così sfacciatamente imperfette, che trapelavano un’umanità latente allietarono quel silenzio saturo di screzi e dissensi, che invase completamente Cloud. Si rialzò tronfia di vittoria, probabilmente perché il gioco a nascondino era finito come voleva lei, e riusciva a intravedere i lembi del solito vestito rosa che portava a mo’ di tenuta da lavoro. Disse qualche cosa distrattamente e poi si voltò, attentata dalla sorpresa, poiché tirò fuori un singulto che fece rabbrividire perfino Cloud, enfatizzando il tutto con una pletorica mano sul cuore come nelle più abusate scene di comicità commerciale.
“’Giorno” proferì lui, senza battere alcun ciglio, nemmeno nella voce e nella postura che ormai ne aveva fatto il marchio di fabbrica. Aerith, dal canto suo, sorrise, accantonando – per sommo sollievo di Cloud – quella teatralità studiata che le sciupava tutta la meravigliosa spontaneità che sgorgava da quei vividi occhi verdi
“Potevi anche dirmi che eri tu, almeno non mi sarei fatta trovare in questo stato” scherzò lei, smentendo tutta l’ampollosità dei suoi gesti,  passandosi una mano sudata tra i ciuffi appassiti e tastando il nastro che stringeva la treccia. Glielo aveva regalato lui e lo indossava sempre, perché quello di Zack lo sfoggiava solo nelle occasioni speciali.
“Sei carina anche così. Il sudore ti illumina ancor di più gli occhi”
Aerith si lasciò sfuggire una risata sommessa, come a dire non cambierai mai Strife, ma che doveva comunque continuare così. “Salvato in extremis”
Anche Cloud sorrise spontaneamente, scrutando con fare tedioso gli scaffali affollati di fiori, tutti color seppia da dietro le lenti scure, ma riservava, sempre furtivamente, uno sguardo al viso di Aerith, nella speranza di trovarvi un aiuto implicito. “Penso che darò un’occhiata in giro”
“Fai pure. Ma …” e prese ad avvicinarsi con passo felpato, il solito sorriso stampato in volto “Togliti gli occhiali. Altrimenti i fiori non potranno essere gelosi di te, con gli occhi che ti ritrovi”
E, con mano sapiente, fece scivolare gli occhiali da sole dal viso, scoprendo la singolare luce che emanavano i suoi occhi, un bagliore timido che non rendeva per niente l’idea del disagio piacevole a cui era sottoposto in quel momento Cloud. Poi fece scivolare un’asticciola lungo il petto, ancorandola alla canottiera, che ancora risentiva dei rimasugli della notte precedente,  e fermando gli occhiali all’altezza del petto, per poi annunciare soddisfatta “Ecco fatto! E ora vedrai anche meglio”
Sentì un groppo annodargli la gola e le parole che morivano a ogni soffiata della sua voce sul suo collo, pulsazioni dirompenti vibravano senza freni e sentì inibire ogni cognizione o contraddizione che gli si presentavano: Cloud era visibilmente a disagio, ma ciò non scalfì minimamente Aerith, che si sedette placidamente dietro il bancone a sorseggiare una tazza fumante di tè. Si chiedeva perché fosse così estremamente a suo agio nel farlo impazzire. Era l’unico capace di togliergli le certezze da bocca e non poteva sopportarlo, senza un chiarimento terso e lindo.
“Prenderò questi …” disse invece, indicando un vaso di rigogliosi gigli, puri come lo era lei una volta, e che non sarebbero mai stati scalfiti dalla corruzione, ma curati dall’amore che solo Tifa sapeva dare
“Oh, certo, benvenuti al funerale!” fu l’intervento sardonico di Aerith, che adagiò la tazzina su un piattino strategicamente posizionato. “Per Tifa non sono il massimo, fidati”
L’intuizione di Aerith non lasciava nulla a desiderare; Cloud doveva capirlo da solo che prima o poi si sarebbe accorta che non era venuto lì per una semplice visita di cortesia o per puro scherzo di una mattina rigogliosa.
A quel punto lei si avvicinò e con occhio pratico iniziò a scrutare gli scaffali, ognuno emanante un profumo diverso e sempre più inebriante, con un dito al centro del mento e le sopracciglia arcuate verso il basso, come falci spioventi.
“I fiori d’arancio. Simboleggiano la castità …”
“Che se ne va” si lasciò sfuggire Cloud, ricevendo uno sguardo più che eloquente da lei, che non sfociava per niente nello scontato, anzi sfoggiava un certo che di compiacente
“Tu non me la conti giusta, Strife. Prendi queste violette blu e vattene prima di profanare ancora il mio negozio con la tua non – verginità” scherzò, iniziando a comporre con le sue propensioni da fantasista un bel mazzo, sinceramente curato, con quegli steli che spuntavano qua e là suggestivamente, come mani carezzanti, e quel bel profumo di buono e quei petali iridescenti, screziati di cianotica euforia.
“Senti da che pulpito” soffiò lui, sorridendo
Gli porse il mazzo finito, adagiandolo dolcemente tra le mani, e con una certa agitazione gli rivolse uno sguardo d’intesa.
“Prenditene cura”
Cloud ricominciò a masticare le parole tra mandibola e mascella e gli unici suoni sensati che uscirono dalla sua bocca furono degli insignificanti borbottii d’assenso, un po’ anche perché Aerith era divenuta più machiavellica che mai ed era sempre più difficile codificare ciò che realmente pensasse. Si lasciarono con la solita lacuna ricolma di parole silenziose.
Si limitò a sfogliare le tasche come per prendere i guil che le doveva, ma lei gli strinse la mano come per fargli cenno di fermarsi.
“Consideralo un regalo per le future nozze. Non a caso, le violette blu vogliono dire fedeltà
Cloud sorrise e uscì dal negozio, imboccando subito la via di casa, più simile a una bomboniera ambulante per quanto i fiori erano infiocchettati.
Fedeltà.
E non poteva fare a meno di chiedersi perché quella parola, se uscita dalla sua bocca, risultava così ermeticamente provocatoria. Come se le labbra, d’un rosa accattivante, si fossero dischiuse per baciare il verbo di Giuda.
E si chiedeva anche da quando Cappuccetto Rosso fosse diventata più furba del lupo.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Love is a losing game: Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo. Trovo superbo associarli a loro, Cloud ed Aerith intendo, sarà anche perché nei rispettivi render c’è sempre un emblematico spunto che mi porta naturalmente a pensare allo scenario del bosco, lui in un silenzioso agguato e lei che procede a falcate quasi lascive, portando con sé il cestino e la mantellina. Ma in questo caso sarebbe Cappuccetto Rosso a farla sotto il naso al lupo, che si perde nella contemplazione assennata di ciò che considera più allettante di un buon pasto, magari.
E’ un capitolo prettamente neutrale; c’è tensione, ma niente che riesca a farli andare oltre la loro coscienza, più o meno come ho delineato il loro rapporto finora e come di conseguenza io penso che sia. Aerith può essere santificata in tanti modi, ma è l’emblema di una donna che non lascia scampo a nessuna inibizione, senza eccedere però in quelli che possono sembrare i canoni dell’indecenza. E’ matematico, il suo sguardo seduce e per quanto Cloud si fregi a ragioniere delle emozioni, subisce in pieno la sua influenza.
Questo è quello che mi alletta di più e ho cercato di definirlo il più intrinsecamente possibile.
 
Cozza quasi l’emblema delle violette, il fiore della fedeltà, quando deduciamo che Cloud ha avuto una silenziosa erezione quando la bella fioraia, per eccesso di zelo, gli ha tolto gli occhiali in un istante riccamente superfluo e trepidante di dettagli che sfuggono forse all’occhio del lettore; ogni singolo movimento nasconde in sé quel particolare che serve per capire tutto. Il problema sarebbe poi cercare di decifrare il tutto.
Si è trattato di una specie di battesimo del fuoco, per constatare se Cloud è effettivamente  pronto a voltare pagina in maniera definitiva; diciamo che è un implicito successo avvolto in un punto di domanda. Dipende da come lo intenderete voi.
 
Descrivere Aerith in questo capitolo è stata la mia croce e la mia delizia.
E’ ben nota la mia devozione verso la bella fioraia, ma molti potrebbero fraintendere le sue gesta, perché si dimostra ermeticamente machiavellica, quasi manipolatrice, anche nella scelta del fiore che potrebbe risultare come spunto per l’ennesima polemica.
Io l’ho vista come una donna come tutte le altre. A partire dalla sua implicita ricerca di complimenti, la sua grottesca teatralità che spegne per sempre la sua sfuggevolezza, la sua dedizione, lo sguardo seducente fino a terminare in un augurio del tutto sincero a Cloud perché ormai ha capito tutto.
Dico ciò perché – ripeto – alcuni potrebbero fraintendere.
 
Fanatismi bigotti da Mad Matter … O per rimanere in tema finalfantasista, da Dancing Mad ;)
E la mia danza si spegne su una pira crematoria.
 
 
Ringraziamenti sentiti a Shining Leviathan, che non smetterà mai di allettarmi con i suoi punti di vista illuminanti.
 
Ad alister_ che non fraintenderà mai l’idea della mia Aerith. Perché la vediamo nello stesso modo e spero possa tornare presto a deliziare il fandom con il suo innato talento.
 
E anche a colei che riempie le mie giornate con quotidiani stralci di disavventure irriverenti, chi altri può essere se non Manila, che mi sta indirizzando verso la saggia via tracciata da Kame e Yamapi.
 
 
Dolcezze e delizie, il prossimo capitolo è il tanto riverito preferito quindi se siete allergici all’accoppiata comica Zack\Tifa … Lasciate ogni speranza, oh voi che entrate.
Per contro, non ve ne pentirete.
 
Alla prossima, che spero sia molto presto dato che non vedo l’ora di esporre le mie prossime Synthesis, inclusa quella di Denzel e Marlene che speravo da tanto di trattare.
 
 
S.
 

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Capitolo 9
*** #The girl from his dreams ***


Lasciate ogni speranza, o voi che entrate.
Alto contenuto di atarassia se siete intolleranti alla Zati.
Se è il caso opposto, siete venuti nel posto giusto.
Il titolo originale era The girl from Ipanema, ma ho dovuto adattarmi.

 
#10. The girl from his dreams.
 
Aveva preso l’abitudine di fare sogni strani, picasseschi, sul ciglio del gotico che finivano poi per sfociare nel grottesco. Gli capitava ogni volta che lui ed Aerith facevano l’amore.
A detta di  Cloud erano i postumi di frequenti e rimunerative riflessioni sul matrimonio imminente, anche se a parlarne, lui era stato alquanto recalcitrante – per non dire riluttante – perché ogni volta che lei tirava fuori l’argomento, tra un respiro e un altro, tra un lenzuolo e un altro, i suoi piedi erano presi dal moto incontrollabile di un’ improvvisazione di una strana danza.
La sera del suo addio al celibato aveva richiesto la tassativa presenza di Cloud. L’ultimo revival per rievocare i tempi beati in cui scarrozzavano le pollastrelle in moto, guardavano le spire artificiose vorticare in cielo da una panoramica molto ambita, quasi come un ombelico del mondo, una vista speciale di cui non potevano fare a meno. Poi l’avrebbe trascinato in uno dei peggiori bar del circolo, divertendosi a inventare storie sui cavalli del deserto e sul fatto che da qualche parte doveva esserci, in qualche oasi lasciata alle cure di Dio, il tesoro segreto di uno sceicco senza alcuna intestazione legale.
Ci pensava e ripensava, fino a quando la sua mente non prese il colore di quelle pareti di un vivace candore azzurro, che lo assaliva come un’onda anomala, facendogli assaggiare un pezzo di paradiso, confacente al nome che brillava come una luce in mezzo al nero trapuntato di stelle, piccoli occhi malfattori dinanzi all’alone splendente dell’insegna che faceva invidia alla luce. Settimo cielo. Niente calzava così perfettamente alle sue rustiche esigenze.
Contrariamente alle aspettative, Zack non aveva sviluppato metodi d’adattamento che compiacevano un ambiente ricolmo di brusii scandalosi, ronzii che racchiudevano un frastuono represso, affanni e transenne che si abbattevano dopo il secondo giro; quindi fu felice di notare che l’unica fonte di allegria era il crepitio dettato da un motivetto mentale che arrivò a Zack come uno sbuffo celestiale.
I loro occhi, così discrepanti e che perseguivano una lunga distanza, si incrociarono come per la prima volta ed entrambi si sentirono travolgere da un tepore nuovo che, come un onda anomala, fece crollare le loro certezze.
“Caspita, non sapevo che la ragazza di Cloud lavorasse qui” buttò lì Zack, senza sapere neanche cosa gli fosse passato per la testa, ovviamente
Tifa rise sommessamente.
“Zack, ci conosciamo da anni. Penso che siamo abbastanza in confidenza da poterci chiamare per nome”
“Suppongo che tu abbia ragione”
Risero in silenzio.
Un fastello di interrogativi saturò quel silenzio disceso con tempismo impeccabile e Zack si chiese se il soffuso tepore di cui era impregnato quel posto, simile a uno spicchio di Paradiso dimenticato perfino da Dio, non fosse uscito da uno dei suoi sogni loschi e foschi, catapultandolo in una situazione surrealista che si stava consumando con un tale trasporto che Tifa non si accorse neanche che il ragazzo la stava studiando in silenzio, come se fosse attorniata da una qualche sovrannaturale aurea, quando stava tirando fuori le arnesi per ottimizzare i tempi.
“Cosa fai?” le chiese a un certo punto Zack, senza la minima convinzione degli eventi
“Dovrei essere io a chiedertelo. Sei entrato tu nel mio bar. Cerchi Cloud? Mi spiace deluderti, ma non è qui”
Tipico. Cloud non era mai dove si supponeva che fosse.
“Non so. La notte mi ha portato qui”
Tifa lanciò un lungo fischio andante. “L’effetto prematrimoniale ti giova, sai?”
Gli occhi di Zack erano sottovuoto, come la risata che soffiò fuori giusto per ottimizzare anche lui i tempi, mentre lei si destreggiava nell’apertura di un barattolo.
“Trascorri così il tempo quando non hai rogna in giro?”
“O faccio questo o prendo a pugni qualche belloccio. La più allettante è sicuramente quest’ultima, ma non posso fare questa carognata al futuro marito della mia migliore amica”
“Giusta osservazione. Comunque, non dovresti essere con Aerith?”
“E tu non dovresti essere con Cloud?”
“Ti ho già detto che non so dove si trova”
“E io non so dove sia Aerith”
“A dir poco inquietante” sentenziò Zack, alla fine
Ci fu un secondo scambio di sguardi, anche se stavolta erano più simili a un festival della smorfia, dei tipi più efferati e articolati, che sarebbero state condivise solo in quel momento di innata complicità.
“Bell’addio al celibato …” soffiò Zack, con tono autocommiserante, portando le braccia dietro la testa, come un soppalco
“Da sfigato, in effetti” asserì Tifa, mandando giù una cospicua cucchiaiata di gelato
“Non direi. Sono in un posto fuori dal mondo, con una figa da paura e … Scusa, forse non dovrei parlare così della ragazza del mio migliore amico”
“Sono pur sempre una donna Fair. I complimenti fanno sempre bene, solo cerca di moderare i termini”
“Sì, boss”
Il sogno andava a farsi sempre più profondo e illeso, efferato com’era nel suo surrealismo, che lo rendeva così tangibile.
Tifa mandò giù un freddo boccone che si rivelò a dir poco illuminista.
“E se Cloud fosse con Aerith?” annunciò, con una punta di scetticismo nella voce a cui Zack rispose con un’incurvatura delle labbra a dir poco atipica del suo essere, stranamente tranquilla.
Risero entrambi, come se fosse una grottesca ironia univoca delle loro menti venuta alla luce con tanta spontaneità e naturalezza.
“Tu sei con me. Un giudizio alla pari. E poi mi fido di loro”
“Non so”
“Sei troppo insicura del tuo cuore, Lockheart. Sciogliti un po’ o ci penserò io” disse, col sorriso sornione di chi la sa lunga
“Sto iniziando a riconsiderare l’opzione di menarti”
“Pensavo fosse una precisazione”
“Se lo fosse stata, ti saresti già ritrovato stecchito”
“Me l’hai fatta” soffiò Zack, inscenando un inchino saturo di teatralità spontanea, cosa che fece ridere nuovamente Tifa
“Non ho mai riso così tanto con un uomo, credimi”
“Già Cloud non è il massimo dell’intrattenimento, se sai cosa intendo”
“Ma fa faville in …”
Tifa non terminò la frase che un eloquente rossore fece tutto per lei. Zack sfoderò nuovamente quella smorfia ambigua che, in qualche modo, sortì l’effetto di aumentare ancora di più il disagio della bella giovane.
“OK, perfetto. Allora lascia che ti dia un consiglio …” Zack agguantò il barattolo dalle grinfie di Tifa e lo ripose su uno dei tavoli, a debita distanza “Invece di stare a impolverarti qui dentro, stasera esci con me. Sei il mio addio al celibato.”
Le parole di Zack abbacinarono il senno di Tifa, trasferendo quella sensazione di surrealistica realtà ai suoi occhi che ora vedevano confusamente le ombre.
“Ma sei … Insomma… Cloud e tu non siete …”
Zack rise, di rimando agli infondati tentennamenti della bella giovane, deliziandosi della sua beata purezza di spirito.
“Andiamo, Lockheart, non sono il lupo cattivo. Poi si tratta di un giro sulla mia moto super pompata, mangiamo, anzi, mangerò un gelato al sale marino e tu roderai dentro, poi coronerò la serata sbattendoti violentemente davanti al mio caro amico Strife. Che ne pensi?”
Sul candore levigato del viso di Tifa si elargì un sorriso composto.
“Sono partita prevenuta con te, Fair, ma tu hai sconvolto i miei pronostici”
“Cioè?”
“Ho seriamente voglia di menarti”
“Oh, andiamo, fa tutto parte del marchio!” cantilenò Zack, porgendole gentilmente il suo casco, invitandola a gustare il rischio con lui. Come due amici alle prese con la pubertà.
Tifa saltò giù dal bancone, glielo rubò dalle mani con sgarbata malizia e chiuse lesta il bar un’ora prima che se ne accorgessero gli altri. Ma sarebbe stato ugualmente troppo tardi perché Tifa era a godersi le spire notturne che si perdevano all’orizzonte, in un ululato represso.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#The girl from his dreams: Il trafiletto introduttivo è un ‘diversivo’ per distogliervi dal fluffesco esito dei primi righi, che mi hanno costretto a una costernata revisione delle mie priorità dato che non dovevo assolutamente introdurre qualsiasi allusione del privato dei personaggi, ma non ho potuto fare a meno di soddisfare le mie impellenti esigenze di copione.
Ebbene siamo giunti alla pubblicazione del capitolo che ho tanto riverito e agognato, dato che l’ho sempre riletto con piacere, col sorriso in bocca e conscia che di loro due non ne avrò mai abbastanza. Sono un partito preso – con Cloud che può stare tranquillamente con entrambe XD – quindi penso che non potrei mai scrivere una storia su Tifa e Zack perché mi sembrerebbe incoerente verso tutto ciò che è il canon del gioco. A meno che non usi la mia spiccata diplomazia …
Ebbene la situazione del capitolo non è diversa dalla classica concezione dell’addio al celibato, con tutti i pronostici, gli annessi e i connessi e diciamo che alcune scene sono tratte da un collettivismo abusivo; anche se è uno stralcio comico, piacevole, che si distacca nettamente dall’ apologia confusionaria dei precedenti capitoli.
Questo è l’effetto che sortisce scrivere su Tifa e Zack: una gratificazione senza precedenti, quindi lo consiglio a tutti, tranne a Shining Leviathan che ne ha già piene le tasche ;)
L’esito è pressappoco flufflesco: Tifa che diventa l’addio al celibato di Zack. Sembrerebbe una contraddizione retorica o una semplice ripicca per tutto quello che Cloud ed Aerith gli fanno passare, quando in realtà consiste semplicemente in una serata qualunque, senza supposizioni né rese perché con loro non esistono mezzi termini.
 
E’ questo il motivo per cui amo scrivere su Zack e Tifa.
 
Cloud e Tifa, Cloud ed Aerith e perfino Zack ed Aerith possono gratificarmi quanto vogliono, ma scrivere su di loro è una stoica impresa:
Cloud e Tifa a causa di un particolare movente che mi spinge a rappresentarli sempre in un contesto lemon e appena cerco di attingere un qualche momento di tenerezza, c’è sempre una rotella fuori posto.
 
Zack ed Aerith sono blandi a mio parere, quindi non riesco a essere la solita picassesca fantasista. Forse sono blandi ai miei occhi perché non fanno altro che inculcare a noi povere menti quanto siano perfettamente complementari e quindi nauseano. Come quando mangi in continuazione gli hamburger … Prima o poi stanca.
 
Cloud ed Aerith sono la croce e la delizia. Delizia perché, ormai, avete capito che parteggio per loro – in maggioranza – ma sono anche una croce perché il rapporto che vedo io tra di loro può far insorgere tutti coloro che amano e odiano Aerith: questo è causato dal difficile impatto che ha la personalità effettiva della fioraia con quella che ha in Crisis Core e che quindi spinge tutti a vederla come una Mary Sue bigotta. Invece come la vedo io è solo enigmatica, seducente e misteriosa; però per come la trasformo nei miei ampollosi scritti può passare per un’ipocrita e riesco a non dormire la notte.
 
Con Tifa e Zack non ho di questi problemi. Non sono blandi, stoici o stereotipati. Con loro posso sbizzarrirmi come Dio comanda. E spero che questa flufflesca spontaneità – naturalmente implicita quanto basta – traspari durante la lettura.
 
E per la cronaca, è inserito un piccolo tributo a Kingdom Hearts, altra saga che ha forgiato e sta continuando a impreziosire la mia cultura videoludica. Inoltre, per puro caso o meno, oggi è in vendita il penultimo episodio della saga: Dream Drop Distance, che andrò a comprare a tempo debito, pregando il cielo che Kingdom Hearts III esca anche per l’Xbox 360, altrimenti avrò sprecato dieci anni di devozione sfrenata.
 
Prima di passare alla Bonus Track che riguarda la coppia più bella del mondo, passo ai ringraziamenti così non siete forzati a leggerla ;)
 
Sentiti ringraziamenti a Lylaforlovers che con la sua franchezza riesce sempre a strapparmi un sorriso e mi chiedo come sia vedere Aerith dalla sua prospettiva spassionata.
 
Grazie a Shining Leviathan che pazientemente riesce a estrapolare concetti di cui neanche io sono a conoscenza. Conosce meglio lei la storia che io, quindi se avete dubbi chiedete a lei ;)
 
Grazie a alister_ e la sua critica costruttiva che mi lascia senza parole. E spero vivamente che torni a scrivere nel fandom, così guadagnerà l’antico splendore.
 
E naturalmente grazie a colei che rende il culto della coppia più bella del mondo possibile, ovviamente Manila perché senza di lei non ci sarebbero le (dis)avventure che tanto ci fanno impazzire.
 
E’ giunta l’ora, finalmente. Ecco voglio rendervi partecipi della mia tensione, chiedendovi gentilmente di chiudere gli occhi per quindici secondi e poi proseguire …
 
 
#Bonus Track;  Denzel e Marlene: Generalmente si tende ad associare Denzel e Marlene rispettivamente come il figlioletto acquisito di Cloud e la tenera bimba adottiva di Barret e insieme hanno reso possibile una nuova prospettiva di amor pedofilo.
Per principio non sono pedofila nella classica accezione del termine, però ho un debole per i siparietti dell’infanzia che mostrano i protagonisti già alle prese con la prima cotta, i primi approcci verso l’altro sesso, dissimulati forse dall’efficace rapporto fraterno che lega i bambini.
Difatti vedo Denzel e Marlene, almeno in età fanciullesca, come semplici fratelli legati da un affetto complice che fa presagire un futuro roseo di aspettative verso quest’implicita futura coppia. Da adulti, invece, faranno sudare sette camicie a papà Barret e a mamma Cloud che tenteranno in tutti i modi di ostacolarli poiché li vedono ancora come semplici marmocchi; non mi stupirei se di punto in bianco, Cloud smettesse di dare la caccia ai SHM (Silver Haired Men) per pedinarli in tutta Gold Saucer. Barret userebbe metodi meno ortodossi perché ricordiamoci che ha pur sempre una mitragliatrice impiantata nel braccio.
Ma andiamo con ordine:
Denzel è introdotto in Advent Children e la prima inquadratura lo mostra accalorato nel letto, affetto dal Geostigma con Marlene che veglia premurosamente al suo fianco. Succede in quasi tutte le inquadrature che li riguarda che vi sia un allusione implicita o meno a loro; Denzel, per esempio, durante la battaglia con Bahamut SIN – resa alla meglio con la grafica superba del film – le prime parole che osano proferire le sue labbra: “Vado a cercare Marlene” e una delle loro ultime inquadrature li mostra intenti a tenersi teneramente per mano. That’s amore.
Della serie ‘Vedere il male dove non c’è’.
 
La mia testa, invece, ha concepito tutta un’evoluzione che si traduce perfettamente negli scritti di Manila, la co – sostenitrice di questa coppia, che ho chiamato col calzante nome di Darlene o Angeli di Midgar. In definitiva da grandi diverranno due precursori del movimento Vado, vedo e prendo che consiste in una precoce dichiarazione con tanto di prima notte improvvisata e quant’altro, a meno che il mentore di Denzel non diventi Cloud e allora possiamo dire che la verginità di Marlene è ben riposta nel cassetto.
Se, per contro, uno dei mentori dovesse essere Cid o Barret … Si ritroverà con un corredo linguistico da far invidia a un esecratore o a un marinaio, giusto per rimanere in tema. Penso che Barret lo farà rigare dritto, perché dopotutto è della sua bambina che si sta parlando.
 
Tifa sarà l’esempio di Marlene non ci sono dubbi; anche se non riesco a vedere evolvere il suo fisico asciutto in un prorompente gioco di curve e sinuosità; il massimo che le concedo sono dei fianchi spigolosi. Poi con quel fiocco – per dirla tutta – mi ricorda fin troppo Aerith. E Denzel è la versione meno pompata di Cloud.
 
Ecco perché ce li vedo bene, allora. Sono l’implicito rifacimento di Cloud ed Aerith: visto che agli originali è andata male, perché non rifarsi con i fac – simili? Bravo Nomura, son fiera di te.
 
Inoltre stanotte sono stati protagonisti di un sogno alquanto grottesco, dove una Tifa gravida della prole Strife si compiaceva di vederli così legati, mentre Cloud bestemmiava sul fatto che fossero troppo piccoli per pensare a certe cose e quant’altro. La scena preferita del mio sogno è stata quando Marlene gli ha legato un fiocco rosa al braccio sinistro – come quello di Cloud – dicendogli: “Tutti in famiglia ne teniamo uno in ricordo di lei. Tu fai parte della nostra famiglia ed è giusto che tu ne abbia uno”
 
Insomma, questo è quanto.
 
Se volete aderire alla fazione Angeli di Midgar e mandare a quel paese tutte le supposizioni su Cloti, Clerith, Zati, Zerith e chi più ne ha più ne metta incollate questo messaggio in ogni commento per il resto dei vostri giorni: Fanculo Nomura, io sono Darlene!
 
No – profit, naturalmente ;)
 
Si ringrazia ancora una volta Manila per l’implicita collaborazione e ricordate che Darlene è il futuro.
 
 
S.
 

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Capitolo 10
*** #Between the Cheats ***


#11. Between the Cheats.

 

Stessa sera. Stessi destini, ma intrecci sbagliati.

Quella sera, avevano deciso di fare tutto alla rinfusa purché si ritrovassero in quell’accozzaglia recessiva di eventi che li avevano portati alla deriva, fino a lasciarli a bagnomaria, in ammollo con i rispettivi peccati, parafrasi attendibile di ciò che era in sé la vita, quella vera, che valeva la pena di essere vissuta seppur con tale rancore.

Intercorreva una confusa linea di confine fra l’equilibrio e "l’oltre" che potevano essere parafrasati in giusto e sbagliato, ma non sarebbe stato così efficace, anzi avrebbe dato l’idea di clandestinità che certo non calzava con quello che li aveva portati fin laggiù.

Tifa e Zack ridevano e passeggiavano, raccontandosi delle rispettive quotidianità, rivelando eventi inaspettati di quella che era la vita fuori dalla coppia, implicando anche uno sbocco su quelli che erano veramente Aerith e Cloud: Per esempio Aerith non era brava ai fornelli e Cloud a stento sapeva dov’era una lavatrice. La gente non li prendeva per una coppia, piuttosto per una coppia di amici che si divertono da sempre.

Aerith non avrebbe incontrato Cloud quella sera e viceversa, ma i loro fili si sarebbero comunque intrecciati nei rispettivi pensieri. Il castello di carta che aveva preso il posto provvisorio delle sue certezze crollò quando uno spiffero d’aria le soffiò lascivamente sul collo, facendo sussultare Aerith che si carezzò istintivamente il punto in cui le parve di aver sentito il respiro di Cloud. Lui, dal canto suo, si ripromise di non pestarle i piedi quando l’avrebbe accompagnata all’altare e si sentì in colpa quando si ricordò – troppo tardi – che quella era l’ultima sera di Aerith da Gainsborough.

Anche Tifa apparve come un fugace fantasma nei pensieri di Cloud. Un’ effimera presenza che diventò imponente al solo pensiero che lei si stesse spaccando la schiena con trinconi da strapazzo, mentre lui pensava alla donna del suo migliore amico. Lei, invece, era tutta presa dallo spettacolo pirotecnico del cielo; le venne in mente una canzone dell’infanzia che, curiosamente, sapeva anche Zack e si misero a cantarla con gioia stonata. Parlava di un asino che perse la sua stella per colpa dei fuochi d’artificio e si fece donare delle ali da una buona fata per recuperarla; poi lo raccontò ai suoi amici della fattoria, che non gli crederono e poi la voce scettica si diffuse ben presto anche tra gli umani, che iniziarono a deriderlo ripetutamente, facendolo oggetto costante dei loro scherni crudeli.

"Da questa canzone viene l’espressione c’è un asino che vola che gli scettici usano come alibi dalla realtà" le disse Zack, alla fine della canzone "Odio essere adulto, perché è un mondo senza fantasia e se ce l’hai ti prendono per pazzo"

"E’ più reale la fantasia della realtà, fidati" asserì Tifa, intenerita dalla prospettiva con cui Zack prendeva la sua condizione di eterno bambino

"Forse hai ragione"

E ripresero a passeggiare.

Proprio come passeggiavano le menti di Aerith e Cloud fino a incontrarsi a metà strada, come in un pomeriggio casuale, salutandosi e parlandosi del più e del meno. Poi incontravano le menti di Zack e Tifa e prendevano strade di versi opposti, a seconda di come girava la ruota. Aerith aveva passato la sua ultima sera da Gainsborough a pronosticare un futuro idilliaco, allietato dai fiori e da futuri bambini di cui Cloud sarebbe stato il padrino e Tifa la madrina, che avrebbero conservato la tradizione Cetra come un sangue oneroso, ma che al contempo li avrebbe resi speciali come lei, in un modo che non transigeva sulle sofferenze. Era visibilmente turbata, però, da quello spiffero che le aveva rimandato alla mente Cloud e, solo dopo, si accorse che poteva essere stato solo un caso. Il fatalismo di Aerith aveva preso di nuovo il sopravvento.

Cloud, intanto, era andato a dormire, ripassando mentalmente tutti i passi da eseguire per non sfoggiare il suo strabismo di fronte a un ruolo di tale peso, come la sua noncuranza per la coordinazione.

Tifa si infilò silenziosa nel letto, dopo che lui aveva preso da tempo la via per i sogni e contemplando felice la sua espressione da cherubino imbronciato, con in bocca ancora il gusto del gelato al sale marino che Zack le aveva concesso di comprare, alla fine.

Zack tornò che Aerith era appena tornata dalla passeggiata, anche se non si erano incrociati lungo la via del ritorno, per qualche strano tempismo. Lei sorrise, con i segni dell’agitazione roventi sul suo viso liscio.

"Non dovresti vedermi prima del matrimonio, lo sai?"

"Questo non significa che devo dormire sul divano, eh!"

Rise, per poi notare con la coda dell’occhio la finestra aperta, cosa che le annodò i nervi alla gola.

"Allora … Com’è andata la serata tra uomini?" tergiversò, pur di ottimizzare i tempi, mentre lei impediva ad altri spifferi d’aria di mandarle quei messaggi non detti.

Zack apparve confuso.

"In realtà" esordì, buttandosi a capofitto sul letto, facendolo schioccare "Il biondo non si è presentato. Bell’amico e pensare che vuoi pure che ti accompagni all’altare"

"Già … Ma avrà avuto i suoi buoni motivi, magari voleva stare un po’ solo con Tifa, ecco perché non è venuta …"

"Ah, perché, Cloud non è venuto da te? Pensavo che se non era venuto da me, fosse passato da te"

"E perché mai avrebbe dovuto farlo?"

Gli occhi di Zack erano nuovamente sottovuoto anche se i suoi pensieri pesavano come due bilancieri al posto del cuore. Confuso e prevenuto. Come sempre del resto.

"No, niente, lascia stare"

Si cambiarono in silenzio, ognuno in stanze diverse per domare il pudore che intercorreva tra le due piazze, sugellate solo da un bacio rapido prima di sprofondare nel sogno. E, complici di Morfeo, si addormentarono con la certezza che una sensazione del genere non avrebbe più gravato tra di loro, perché ora la promessa aveva preso il posto del pentimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

Synthesis

#Between the cheats:

E' preferibile che vi informi subito che, come se Nomura non facesse già abbastanza, ho completamente stravolto i castelli in aria e rotto gli specchi rampicanti impedendo agli eretici e ai miscredenti di valicarli; come se avessi smantellato un'armata impossibile. Per farla breve, questo capitolo è un'accozzaglia di stupefacenti che si rifanno ai cliché più blandi, ma che messi insieme creano un effetto bigotto, grottesco, senza definizione.

Non si capiscono le reali intenzioni di Aerith e Cloud nei rispettivi pensieri o se Zack si aspettasse per davvero uno scambio casuale - ma non troppo - delle coppie proprio il giorno del solstizio del matrimonio; non si capisce se sia più piccato o colpevole, nonostante lui e Tifa non abbiano mai oltrepassato il confine delle basse sfere.

Io, da autrice, non riesco a farmi un'idea chiara delle loro plausibili intenzioni. Dovete sapere che la vostra autrice soffre di una patologia assai rara, diagnosticata in tenera età e che i medici non perdono occasione di studiare ... No, non è una precoce crescita del seno - a soli dieci anni mi doleva portare quegli strumenti di tortura perchè il grembiule non nascondeva più le mie forme, ma questa è un'altra storia - bensì un disturbo noto come: L'atarassia del Cappellaio Matto.

Ma cos'è questo male? Analizziamo nello specifico.

Questo mal di vivere consiste in una sorta di stato vegetativo o trance quando la vostra autrice si trova davanti a una tastiera dislessica o meno, a una penna a livello inchiostro basso - medio - altissimo, calamaio, penna d'oca e quant'altro; gli esiti sono ancor più stupefacente quando al cocktail cartaceo si aggiunge la musica preferita dell'autrice, quella che tanto alimenta l'ispirazione fugace la prognosi è funesta. Gli effetti collaterali sono molteplici, alcuni anche controproducenti: ciò è dovuto al fatto che, se l'autrice si trova nell'Atarassia del Cappellaio Matto, ha solo il suo atarassico mondo fatto di penna e carta - o monitor e tastiera - attorno a sé, quindi può scoppiare una bomba batteriologica e lei continuerebbe a buttar giù tranquillamente i suoi scritti; lasciando scivolare le parole anche lascivamente sulla lingua, solo per carezzare il sapore cartaceo sulla sua carne.

Quindi ciò basta a giustificare la pazzia convenzionale del capitolo.

Premetto solo una cosa, prima di lasciare a voi il giudizio: scrivere del 'respiro di Cloud' è stato un toccasana per la mia anima Clerith.

Chiedo anticipatamente scusa a Lylaforlovers.

 

Bando ai cenci, ringraziamenti sentiti a:

Shining Leviathan

, nuova persecutrice Darlene, di cui apprezzo l'anima Fack - coppia assai evocativa, devo dire - e la costanza che ha nel leggere.

A Lylaforlovers perchè gli opposti si attraggono. E anche i complementari. Quindi è un piglio sincero a cui affidarmi.

E alla mia socia incondizionata, che rende possibile i miei sogni Darlene e che prende il nome di Manila. Con lei condivido le gioie e i dolori di avere un amore in comune - il bel centauro biondo - e il fatto di essere connazionale e campana. E anche perchè ne sa sempre una in più del diavolo ;)

 

Alla prossima (e incrociate le dita per me, dato che ho due contest imminenti),

S. 

 

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Capitolo 11
*** #Will you still love me tomorrow ***


Storia ad alto contenuto di cameratismo anonimo – o anomalo?
Probabile OOC (Orribile Obbrobrio Casuale).
Può causare stati alterati, ma la strada per l’eretismo è ancora lunga.
E sì… Questo è il capitolo del matrimonio. O quasi.

 

 
#12. Will you still love me tomorrow?
 
La mattina del solstizio, tutto ciò che circondava l’apprensione prematrimoniale era avvolto da una coltre soffusa di tensione nevrotica che alienava i pensieri più reconditi nella più patetica delle autocommiserazioni.
Cloud era un fascio di nervi e per sgranchire il nervosismo improvvisò una passeggiata circolare, col solito metodismo cogitabondo, e che ebbe esiti tutt’altro che prolifici, dato che piccole distrazioni – quali l’interno delle tasche con lembi sparpagliati che avevano bisogno di essere lisciati, il fiore all’occhiello e i capelli che battevano le leggi di gravità – lo distoglievano dalla sua razionalità emotiva, genuflessa ai suoi pensieri e dinanzi al tendone dove in quel momento Aerith si stava cambiando, vestendosi delle sue più magre convinzioni, anche se non era ancora arrivata una conferma.
Si guardò in giro con circospezione, appurando che tutti erano troppo presi dalla loro alienazione forzata per accorgersi che lui si accingeva a passeggiare, tenendo il braccio alzato in un gesto dettato dall’eloquenza, il volto inaspettatamente impettito, procedeva con un’andatura dalla lentezza disarmante, elargendo una rigida prova generale di quello che doveva essere il suo ruolo da secondo piano; in contemporanea, c’era una parte di lui persuasa dalla spontaneità degli eventi, ovvero tentava di non farsi trascinare da fasci snervanti di paranoie infondate e cercare di non alterare il corso nudo e crudo della realtà: Se avrebbero voluto un capitombolo leggendario, che avrebbe scavato una crepa fin troppo profonda nel concetto di perfezione per Aerith, lui non si sarebbe scoraggiato, anzi, avrebbe assunto la solita posizione paraplegica, alzato lo share e lei avrebbe riso, a prescindere da tutto. E Zack avrebbe aggiunto il suo modico contributo, facendo di quell’incidente la sua gag d’eccezione per le storie da raccontare ai suoi nipoti, quando stesso lui avrebbe incespicato nel bastone.
Rinnovato da un nuovo senso di soddisfazione per la tirata immane di prove generali, si specchiò nel sole, quel bagliore diamantifero che incanalava le sue ansie e le sue certezze, che si portavano sempre più vicine alla realizzazione di un qualcosa di più grande e profondo della confusione, di cui riusciva a proferire solo poche parole dettate da subitanee fitte reumatiche che gli attraversavano l’intero congegno digestivo. 
Tifa era dentro con lei, nel ruolo di una sorella maggiore che tante volte le aveva fatto da carapace davanti a Cloud e che ora aveva riesumato, lontana da occhi indiscreti, anche se a lui avrebbe fatto piacere vederla indaffarata e scorgere l’inquietudine sul suo volto imperlato di sudore, e che diveniva immediatamente una smorfia comica e semplicemente adorabile. Gli avrebbe fatto anche un po’ strano, dato che Cloud aveva imparato a conoscere – a vivere, a consumare e ad abituarsi – alla Tifa donna.
Altri cinque minuti a passeggiare con le capacità emozionali di un automa.
Si librò in aria, poi, il grido sconsiderato di una Yuffie scodinzolante, che reclamava la sua impazienza come una mozione che doveva essere assolutamente accolta. Lei e Tifa uscirono dal tendone, guardandosi con reciproco disappunto.
“Se continui così, quella si sposa a Natale! Oppure sarà già crepata prima di dire lo voglio!”
Pur ingiuriata dai toni forti di Yuffie, Tifa mantenne la calma composta di quello che copre effettivamente il ruolo dell’adulto.
“E’ nervosa, vuoi capirlo? Con il tuo atteggiamento rischi di aggiungere carne al fuoco! Questo è il suo giorno, non quello del buffet gratis!”
“Ma io ho fame! E ci sono i brontolii a fare da testimoni!” disse, con una punta di schietto sarcasmo “Poi sai perché Aerith è in questo stato” aggiunse, costringendo Tifa a tornare sulla difensiva
Tifa assunse un’aria redenta, la testa colpevolizzata che prima guardò verso il basso e poi, all’unisono con lo sguardo più retto e risoluto di Yuffie, si voltò verso Cloud, che aveva fatto da testimone silenzioso per tutta la durata del dibattito. Assunse un’espressione di finta sorpresa, per quanto i precetti morali potessero permettergli di assumere un contegno che non andasse oltre la sufficienza.
Quegli sguardi fecero, tuttavia, scattare qualcosa di losco ed eloquente che si susseguivano con lo stesso trasporto di un lento naviglio cullato dal moto misto del vento e delle onde; socchiuse lo sguardo in quella che doveva essere un tono cogitabondo, per poi dirigersi verso il tendone con la stessa colpevolezza che si era addossata sulla nuca di Tifa, che gli rivolse un sorriso comprensivo e intriso di una forzata condiscendenza.
E qui ci fu il passaggio del testimone e tutto il peso si riversò silenziosamente sul silenzio denso dei suoi passi, genuflesso, in posizione supina mentre guardava quel riflesso di bambina alla sua prima comunione, vestita dello stesso candore e nuda delle sue colpe, che la stringevano fino alla vita, impedendole di respirare e innestando un immediato senso di protezione di cui Cloud non poteva proprio fare a meno. Sentì il fruscio della tenda che si chiudeva, e il brusio morire, mentre un silenzio gravava tra di loro, che ancora non si erano guardati negli occhi e già si aspettavano cosa dirsi.
“Perché fai così?”
Fu Cloud a rompere il ghiaccio, inaspettato slancio di spirito dettato dal contesto tormentato.
Aerith smise di scrutarsi allo specchio e decise di riflettersi – in tutto il suo innaturale splendore, che aveva sempre messo un po’ di soggezione in Cloud – nel suo di specchio, affrontando a testa alta il plagiante bagliore celestino che irrorava, implicitamente e non. Teneva un lembo del vestito all’altezza del girovita, le spalle alte e la postura ritta da un contegno gravoso, a metà strada tra un atteggiamento di autodifesa o un meccanismo nervoso.
Gli fece segno di sedersi su una delle sedie arrangiate alla meglio, ma lui fece un cenno negativo.
“Rispondi prima a me. Come mi trovi oggi?”
“Stai bene”
Cloud non serbava altro che parole d’indifferenza di fronte al suo disarmante splendore, perché aveva imparato a non farsi coinvolgere, sebbene altri pensieri discordanti sapessero quello che in realtà pensava di lei.
Aerith scosse energicamente la testa, di suo punto.
“Non va bene, Strife. Non ci siamo per niente”
Fu tentato dal recondito pensiero di dirle di smetterla subito, prima di stravolgere il tutto con anomalo tempismo, ma lo represse, pensando alle conseguenze e limitandosi ad alzare le spalle.
“Ecco perché faccio così. Sono arrabbiata. Con te, per giunta” protestò lei, facendo le guance sottovuoto
“Aerith …” fece, con voce innaturalmente rude, con cui non aveva mai avuto il fegato di rivolgersi
Di punto in bianco, Aerith cadde in una spontanea catalessi, lasciando il vestito e tutte le inibizioni in singhiozzi liberatori che smentivano tutto il significato diretto delle sue parole di poco fa, rivelando più di quanto non intendesse. Cloud rimase a guardarla lì, nel bel mezzo del suo matrimonio, a piangere lacrime versate su un passato rinnegato più volte e che non avevano mai avuto il tempo di affrontare.
“Ho paura” confessò “Che stato pietoso. Scusami … Ma non riesco a fermarmi …”
E, intanto, lei singhiozzava, inerme dinanzi a lui, in abito scuro, in netto contrasto col suo candore che ora aveva toni più pallidi e caldi.
Piangeva in silenzio. E nessuno che rompesse quel pianto.
Strife, imbecille, che la prende per le spalle con la stessa innaturalezza che l’aveva spinta al pianto poco fa, sembra avere intenzione di strattonarla per farle riprendere il contatto con la realtà, che lei non era lì per lui, ma per Zack, ma non vi riuscì.
Cloud, invece di farsi prendere dal nervosismo, cercò di biasciare a mezza voce qualcosa, perché il suo pianto divenne spasmodico e luccichii iridescenti brillavano all’angolo della pupilla, seminascosta dalle sue esili dita, in preda a convulse esitazioni che tanto toccarono il cuore di Cloud, come mai avevano fatto ed Aerith mostrò finalmente la gravosa gracilità simile a un dardo di cristallo impiantato nella schiena, che la linciava, la ingoffava e la rendeva così tremendamente simile a tutte le altre donne il giorno del loro matrimonio e lui, mosso a tenerezza, allentò la presa delle spalle e la lasciò incanalare i suoi sfoghi fuori da lei e da loro.
“Non sei mai stata più bella come ora” confessò Cloud, la solita risolutezza in petto e nella compostezza che riaccesero in Aerith un flebile sorriso “Zack è fortunato”
“Sono fortunata io ad avere un … Un …” 
Già, cos’era Cloud per lei?
“Una persona meravigliosa come te al mio fianco. Grazie”
“Dovere”
Si intrecciarono nel solito abbraccio confuso, frutto dell’improvvisazione di Aerith, che sembrava una creatura così efebica ed eterea che Cloud non la strinse come avrebbe voluto, per paura di ridurre in cenere le sue spalle esili, beandosi solo del profilo nitido e indenne del collo perfetto, mentre lei si sentì ermeticamente accalorata, come in un fortilizio, nel toccare in modo così ravvicinato quelle spalle salde e impettite. E si ridomandavano cosa fossero l’uno per l’altro.
“Posso … Posso confessarti una cosa?”
Cloud sorrise.
“Dimmi pure”
Sentirono un’aura di cedevole alleanza abbracciarli candidamente in un’intesa soffusa che avvertivano solo loro e che avrebbero avvertito solo loro, per sempre, come a sugellare il rapporto speciale che avrebbero sempre conservato nel posto più recondito dei loro sentimenti per coloro che avevano scelto e mai sarebbe stato messo in dubbio. Non era amore, solo un’implicita intesa che si riversò nuovamente su di loro, a ondate continue. Aerith e Cloud si specchiarono l’uno nell’altra, per sempre.
“Ho paura di andare all’altare e che il nome di Zack diventi il tuo” confessò, come se spirasse l’ultimo fil di vita restante a quel patibolo che aveva gravato su di loro per due anni, in quella tenda, che era un confessionario arrangiato e ospitale.
Questo perché, nell’immenso amore che Aerith provava per Zack, ci sarebbe stato quel piccolo rimorso che le avrebbe ricordato per sempre Cloud.

 
 

 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Will you still love me tomorrow: Cielo, questo capitolo trasuda empatia da tutti i pori: ora probabilmente una voce contestatrice, che ha qualcosa da dire solo nei momenti che lei considera opportuni, starà sbraitando con tono perentorio un ma anche no.
Lo confesso, tendo a essere abbastanza diffidente alle emozioni e ciò mi succede più volte, quando so che la gente vuole sentirsi sciogliere il cuore come una noce di burro su una fetta di pane tostato, ma il mio messaggio è abbastanza eloquente: con Ulisse che impazza, volete davvero un altro po’ di calura? Ragazze mie, resistete un altro paio di capitoli, dato che questo e il prossimo sono quelli che mi hanno entusiasmato di meno, nello scriverli.
Non è un pretesto per ostentare la mia poca disposizione a fare pubblicità, solo cerco di essere franca con me stessa. Pur essendo un bell’attimo di cameratismo Clerith, è il contesto che per principio non mi piace: ma insomma, si scambiano i voti di confessioni scabrose che hanno sempre rintanato nelle loro più fervide proibizioni carnali?  In parole povere, sì.
Che queste confessioni siano implicite o meno, ma penso riuscirete a schiarirvi le idee nel prossimo capitolo – ecco che la voce contestatrice di prima impazza con il suo secondo ma anche no quotidiano – o almeno penso troverete pane per i vostri denti.
 
Comunque anticipo – o meglio giustifico – che questo non è uno scialbo pretesto per abbindolarvi verso una falsa concezione che ho di Cloud ed Aerith. Ho tratto ispirazione da una faccenda curiosa, tutta in famiglia; non sto qui a dissipare dettagli su dettagli, perciò non andrò per le lunghe: qualche giorno prima del suo matrimonio, mia zia ricorda di aver sognato – parlato in sogno secondo le testuali parole – una fiamma del passato con cui non aveva mai avuto l’occasione di chiarirsi a dovere.
Ebbene, quindi considero quest’attimo di cameratismo l’ennesimo tentativo – di Aerith stavolta – di mettere un punto di conferma, anche se la conferma vera e propria è assai lontana. Comunque sono assai inutili ai fini della trama, questo e il prossimo capitolo.
 
Faranno da transizione al vero punto di contatto tra il tripudio e la rivolta.
 
Un ultimo appunto giusto per la cronaca: c’è una ricompensa di un fantastiliardo di guil per la battuta d’arresto della signorina Manila , che mi sta inculcando la Cloti con metodi assai efficaci. Ricordiamo che ho una neutrale preferenza per la Clerith, ma così mi sta portando via anche l’ultimo briciolo di lucidità, maledizione.
 
 
Ringraziamenti vivissimi a:
 
Alla mia cara Lylaforlovers, che sa sempre illuminarmi col suo piglio caldo e sincero. E anche perché sovvenziona anche i miei desideri di rendere questa storia un po’ più lemon anche se così andrei contro i miei principi da fervente puritana (non stravedo per le lemon). E la ringrazio per avermi indirizzato alla Sephiroth\Tifa e alla Sephiroth\Lucrecia.
 
E – naturalmente – anche alla mia adorata Giuly, che rivedo dopo tanto tempo per la gioia sconsiderata di Vocetta e Zia Elly. A lei va un pensiero speciale perché è stata una delle prime persone che mi ha spronato a continuare la scrittura dopo un periodo buio e anche perché riesce a intravedere la bellezza e la complessità di un personaggio splendido come Aerith; per farla breve, abbiamo molte cose in comune. Ora mi manca solo indirizzarti alla Darlene e puoi ritenerti una persona completa nello spirito e nell’anima.
 
 
Alla prossima,
S.
 

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Capitolo 12
*** #A. Will you still love me tomorrow? ***


Obiettivamente, è un filler.
Effettivamente è il diretto seguito del capitolo precedente, se non un punto di svolta.
Potreste anche vederlo come una versione alternativa.
Orribile Obbrobrio Casuale (ergo Abbastanza OOC).

 
#12.A.  Will you still love me tomorrow?
 
Il brusio all’esterno si era affievolito perché tutti stavano entrando nella vecchia chiesa del settore 5 che ormai tutti conoscevano a perfezione, gli sguardi tronfi e il cuore in gola per suggellare il duello fatidico con la tensione. Tifa, appena entrata, si era subito messa al fianco di Zack, prendendo il posto vuoto e impolverato di Cloud, in bilico sulla follia.
Il coltello aveva sfaldato metaforicamente anche l’attrito iniziale tra di loro – intriso anche di pensieri meschini da parte di entrambi – che si era trasformato in un rincuorante festival della liberazione, nonostante le reazioni tardassero a manifestarsi.
Aerith da quando aveva scoperto i sentimenti del passato si era ripromessa di tirarli fuori con la solita discrezione, ma nulla ha potuto con l’atmosfera inebriante del contesto e ha lasciato che i suoi segreti non dimorassero più in silenzi bui, ma cavalcassero allo stato brado in una landa serena che non le avrebbe lasciato rimorsi.  Il motivo che aveva spinto quella confessione spassionata era tutto riconducibile al fatto che voleva affrontare per l’ultima volta il passato, prima di voltare pagina e spingersi oltre le sue possibilità.
Dal suo pulpito contemplativo, un ascetico Cloud stava con la testa fra le nuvole e gli occhi tra le stelle, ma non dava la benché minima esitazione o stupore dinanzi a quella rivelazione, però la distanza tra di loro aumentò bruscamente con un intervento diretto di lui, che sciolse l’abbraccio e ogni suo slancio di compassione, assumendo toni abissali e profondi. Quasi agnostico.
Aerith fece morire gli ansimi dell’agitazione tra i battiti sconquassanti del suo cuore, che suonavano come un tamburello, con lo sguardo di chi si prepara a reggere il peso delle conseguenze, che si sarebbe ripercosso negli anni a venire e chissà se Cloud sarebbe stato ancora il padrino dei suoi figli.
“Non mi interessa” disse Cloud, a un certo punto, lottando con tutto sé stesso, in bilico tra i suoi istinti basilari.
I toni tra i due cambiarono radicalmente: Ora soffiava un andante cupo che si equilibrava tra irrimediabili silenzi, ognuno nella propria fazione, che meditava parole a mo’ di una giustificazione che non avrebbe risolto nulla. Non erano più Cloud ed Aerith, ma due persone distanti, ognuna con la propria concezione della vita: Cloud aveva preferito una felicità difficile, che sarebbe arrivata solo quando ci avrebbe fatto davvero l’abitudine perché non era nei suoi patti rinnegare il passato, anche se lo avrebbe voluto tanto; Aerith voleva vivere felice con un appiglio sicuro, ma prima voleva affrontare questi fantasmi perché non sopportava di dormire con tutti quegli occhi del passato puntati addosso, senza alcuna ammissione di verità.
Aerith, di rimando a quell’agnostica dimostrazione, levò sul viso un sorriso ascetico.
“Dovevo immaginarlo”
Cloud calò il volto per non incrociare il suo, contemplando tediosamente la punta delle scarpe laccate.
“Dico solo che è troppo tardi per rinnegare la tua scelta. Tutto qui.”
“Non rinnego la mia scelta. Voglio solo la verità”
I passi circolari di Aerith erano un confuso fulcro di distanza, che prima pendeva verso un agognato ravvicinamento, mentre ora la lontananza aumentava. Aveva un’abilità speciale nel farlo uscire fuori di testa.
“Il tempo stringe. Non ti sembra che sia ora di mettere le carte in tavola?” soffiò Cloud, con la solita ascetica compostezza
“Forse hai ragione”
Si stagliò un altro silenzio di pochi attimi, però interminabile in termini sostanziali.
“Ebbene?” esordì Cloud “Non c’è altro? Qualche indizio più succoso?”
“Detesti i rebus, quindi è meglio se la facciamo finita qui. Sei strano forte, Strife … Non pensavo cambiassi idea così facilmente…”
“Ti riferisci al fatto che pochi minuti fa ti stavo asciugando le lacrime e ora siamo a discorrere senza alcun profitto? Allora sì”
Cloud non aveva mai detto tante parole in una volta sola, lo stava facendo in modo così liberale e spassionato da sembrare quasi sociopatico, questo perché Aerith era sempre stata un complesso groviglio di enigmi che non era mai riuscito a decifrare e, ora, a un passo dalla fine fatidica, quanto tutto sembrava andare tutto bene, ecco che all’esame finale tutta la felicità che stava acquistando, si era persa quando lui aveva messo piede in quel tendone, ad asciugarle le lacrime e fare da presbitero alle sue confessioni, alle sue condizioni.
“Strife, prima che io diventi parte di un amore che ho giurato a me stessa, dimmi perché non sei mai stato del tutto sincero. La tua viltà mi fa quasi tenerezza, a essere sincera”
L’attrito si frantumò e ora avevano racimolato abbastanza fegato da guardarsi negli occhi e affrontare le cose non dette, che trapelavano come un fiume in piena, travolgendoli come mai prima d’ora perché ora sì che si poteva mettere il punto finale. Cloud compì il primo atto di coraggio della sua vita, perché in parte glielo doveva e anche perché non ci sarebbero stati ripensamenti ora che la scelta era fatta. E poi, che profitto aveva mentire se ormai lei aveva scoperto tutto?
“Hai ragione”
Aerith non si stupì della condiscendenza di Cloud, ma al tempo stesso sapeva che con la sua spontaneità rude stava riuscendo a scalfire la sua rigida compostezza e a tirar fuori la verità che tanto avrebbe reso liberi e felici entrambi. Addolcì lo sguardo, ma non troppo.
“Lo so”
Ci erano dentro, non potevano lasciare le cose così. Era giusto affrontarle, tanto non sarebbero mai tornati indietro.
“Posso farti una domanda, prima di andare?”
Aerith sorrise, proprio come aveva fatto Cloud con lei, prima.
“Certo”
Cloud sapeva che era un bell’azzardo, senza contare la felicità certa su cui era impiantato il loro futuro, ma cosa aveva da perdere per un tentativo se non aveva da aspettarsi rosee previsioni. Ma la fiaccola era fulgida dentro di lui e il suo corpo era un fascio di nervi ugualmente.
“Avresti mai lasciato tutto per noi?”
Gli occhi smeraldini di Aerith si impregnarono di un luccichio spontaneo che faceva risaltare ancora di più il candore del suo viso e rimase sinceramente spiazzata.
“No” rispose, semplicemente
Cloud socchiuse nuovamente lo sguardo, questa volta sfoderando uno dei suoi rari – contati sulla punta delle dita – sorrisi sghembi, intrisi di una rassegnazione latente e laconica, che si sarebbe fatta sentire solo quella notte. Tensione densa.
“Potresti almeno chiedermi scusa per avermi illuso”
Si gettò tra di loro il peso della resa, un onere che non avrebbero voluto provare mai più.
“Qua sbagli, Strife, ci siamo illusi a vicenda, non ti pare?”
Socchiuse gli occhi e fece un cenno d’assenso, senza abbozzare altro, cedendo nuovamente alla resa, sferzando il definitivo colpo di grazia. Il tempo era agli sgoccioli, le somme erano state tirate e avevano abbastanza materiale per trarre le loro conclusioni; Aerith neanche si oppose quando prese trafelato la via del ritorno a casa, augurandole un unico, sgrammaticato, ascetico “Sii felice” che non aveva bisogno di reazione perché già lo sapevano che sarebbe andata così. Lei quasi si pentì di aver rovinato tutto, cedendo alle proprie prospettive di felicità che risuonavano come un egoistico eco tra di loro.
Fece finta di sorridere, quando passò davanti a Yuffie, giusto il tempo da dare a Cloud per sfuggire all’indifferenza del vicinato; l’altra, però, aveva uno sguardo che parlava da sé con i suoi espressivi, vispi occhi appena più aperti del solito, tanto che le ciglia rasentavano la fronte.
“Perché Cloud è andato via così? Che è successo? Un momento … Gli è partita una Materia? Ti deve accompagnare all’altare o no?!”
Neanche ascoltò il soliloquio di Yuffie e neanche tentò di cercarlo con lo sguardo, ora desiderava porre fine all’ascetica confusione che la sconquassava come mai prima d’ora. Mai avrebbe immaginato di versare lacrime sul candore, il giorno del suo matrimonio. E se le lacrime stessero davvero scendendo dal suo viso, avrebbero intriso di righe nere il candore del suo abito e a lei non sarebbe importato.
Yuffie ancora andava fuori di sé perché Aerith non aveva alcun accompagnatore.
“Tranquilla, Yuffie. Penso che andrò all’altare da sola

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
# A . Will you still love me tomorrow: Più che empatia, questi capitoli che si sono succeduti senza riserbo nel corso di queste settimane di calura efferata, sembrano palesare quanto effettivamente sia radicato un senso di disappunto nei confronti della coerenza; sono qui per ovviare l’incalzante confusione, senza giustificare nessuno come ho cercato – invano – di fare tempo addietro.
Non sono i capitoli della gratificazione, ma erano necessari e così anche gli eventi, che dovevano prendere una piega furiosa, grottesca, del tutto assurda.  Questi sono i capitoli della rivoluzione.
 
Sono finiti i tempi delle confusioni pubescenti, ora è giunto il momento di prendere i toni angustianti della vita vera, quella per cui si vive ogni giorno, a discapito delle aspettative che ti danno per spacciato. E quale giorno migliore se non pubblicarlo il diciannove Agosto, redditizio giorno di festa per ogni finalfantasiano che si rispetti poiché è stato inaugurato come il giorno di nascita di un mito rivoluzionario, ovvero il caro centauro biondo Cloud Strife a cui dedicherò una bonus track della Synthesis più avanti.
 
Ebbene, in questo capitolo ci troviamo dinanzi a un bivio.
Cloud parte in quarta, dopo l’efferata rivelazione di Aerith che doveva servire da incentivo a palesare i sentimenti che – effettivamente – prova, tirando il freno a mano troppo presto. Allora il capitolo si succede in una successione psicotica, disperata di tentativi nascosti di incentivarlo ancora di più, un passo avanti per sfaldare quella cortina di ferro che sembra essersi insidiata, come una serpe.
Come ha fatto notare la signorina Manila, ora sono rinchiusi nella loro nicchia, ma le ascendenze si fanno sentire forte e chiaro; Cloud ha gli occhi che bruciano dopo quello sguardo inquisitore che ha scambiato con Tifa poco prima di rinchiudersi – spera – un’ultima volta con Aerith. Dovendo riempire un buco di venti capitoli mancanti, è inutile dire che questo heart – to – heart non sarà l’ultimo.
 
La reticenza della loro nicchia è davvero efficace, sembrano davvero Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo; solo che uno di loro è una talpa in incognito ed è facile intuire che è Aerith. E’ alla disperata ricerca di un punto di conferma che usa mezzi a lei illeciti, quali questo machiavellismo – che non intendo con l’accezione tradizionale – che la spinge al di fuori dei suoi limiti; portandola a rivelazioni a fior di pelle e, perché no, anche qualche menzogna. Non avrebbe lasciato tutto per loro, perché sapeva che sarebbero finiti così.
Con Zack non ha mai avuto certezze, anzi non sapeva neanche che sarebbero finiti all’altare e dinanzi a questa rivelazione degli eventi o meglio “sorpresa” o “confusione” non ha saputo tirarsi indietro. Lei non era a conoscenza dei reali sentimenti di Cloud, non lo è mai stata, perché vede gli altri come libri da sfogliare, ma lo fa svogliatamente senza soffermarsi troppo sulle parole, però lascia che gli altri la vedano per come è. Nel mio personale prologo a Cheats, è stato lo stesso Zack a presentare Cloud a Aerith e con l’evolversi delle stagioni e delle concezioni della vita, lui ha iniziato a provare cose che rasentavano l’ossessione; lei non riusciva a sentire i turbamenti che si stavano manifestando.
Cheats è effettivamente ambientata due anni dopo questo background, che mi impegnerò a formulare meglio nelle prossime edizioni … Se sapessi come infilare i collegamenti ipertestuali, ora sarebbe partita la pubblicità di una saponetta.
 
Durante il matrimonio c’è anche un secondo heart – to – heart, quello di Zack e Tifa, dai toni completamente diversi.
E’ il fantomatico capitolo tredici, genesi solo della mia testa, dato che non è stato effettivamente scritto. Infatti slitteremo al capitolo quattordici.
 
 
Ringraziamenti vivissimi a:
 
Giuly e Zia Elly – dovevo dirlo perché Vocetta mi ha obbligato – perché è un pregio ricevere opinioni fantasiste da qualcuno che condivide i tuoi punti di vista. Un minuto di raccoglimento per Seymour, dato che la stessa Vocetta ha finanziato il suo trapasso. Ad Auron ci pensa la Zia.
 
E a Manila, che mi tiene compagnia in ogni attimo delle mattine nuvolose dove il cielo mi guarda minaccioso. E che sa sempre come dilettarmi con le sue disavventure.
 
 
 
#Bonus Track. Cloud Strife: Cloud Strife nasce il 19 Agosto a Nibelheim dalle penne e gli scarabocchi di Tetsuya Nomura, che ancora non sapeva che stava per creare il sex – symbol delle generazioni dei videogiocatori o meglio videogiocatrici arrapate.
Ha un’attiva vita sentimentale, un corredo genetico da defibrillazione e tutt’oggi etichettano Sephiroth come unico suo degno rivale; anche se le tastiere delle autrici ignorano quest’ultimo particolare e iniziano a pronosticare su una rivalità ancora più sanguinaria con Zack Fair, specialmente per quanto riguarda le sue signore; altre filoyaoiste speculano su focose infatuazioni del nostro virile Cloud con Sephiroth, Reno e qualche volta lo stesso Zack.
 
Da omuncolo geometrico è divenuto, a distanza di qualche anno e grazie alle prodezze grafiche del 3D, un gran bel figliolo come Nomura comanda, rispettando tutti i canoni convenzionali: capello sparato, occhi celestini, lineamenti fanciulleschi – anche se alcuni si ostinano a definirli femminei – ed essenza leopardiana. La personificazione delle fantasie sessuali.
Nell’innocenza dei miei sei anni, età in cui esordii con Final Fantasy VII sebbene senza successo, credevo che fosse un qualche sosia di Goku Super Saiyan, ma papà mi riprese subito dicendo che lui era Sergio – a quei tempi si poteva ancora decidere i nomi dei personaggi, ahimè – come lui l’aveva astutamente chiamato; nel corso della pubertà, a dodici anni circa, ripresi il gioco con la patch in italiano, sebbene avessi una discreta conoscenza dell’inglese e non appena arrivai alla parte in cui dover scegliere il nome, lasciai quello di default e quindi Cloud. Me la presi con papà e con me stessa per aver campato su false illusioni.
Impiegai una vita per terminare il gioco e giorno dopo giorno, Cloud era come un compagno di giochi per me e papà, che mi seguiva nella formazione della mia cultura videoludica.
Poco tempo dopo, la nota dolente: il trasloco. Confidai tutte le notti nell’attesa di ricominciare una nuova partita con Cloud, quindi immaginate la mia frustrazione quando scoprii che mamma aveva scambiato gli innocenti dischetti degli scatoloni per pestilenze da debellare: Cloud con Final Fantasy VII – ahimè, anche il caro VIII non era sopravvissuto alla carneficina – sparirono in una discarica morente, dove trascorsero gli ultimi giorni. Mi rifeci con Kingdom Hearts, con Cloud in una grafica succulenta e che rendeva giustizia alla sua effettiva bellezza.
A quattordici anni suonati, Cloud si manifestò dinanzi a me nelle sue effettive spoglie e fu allora che iniziarono le epistassi: tutto grazie ad Advent Children.
 
Cloud ha una personalità complessata, che si manifesta nelle sue scelte e che ho elaborato in Cheats dopo tanti anni di maturazione e crescita simbiotica. Ha avuto un’evoluzione latente, giustificata dal fatto che ne ha passate davvero tante. In Advent Children, non cerca solo di farsi perdonare da Aerith, ma vuole redimersi definitivamente da tutti i suoi peccati, dai suoi pesi, dai lutti incarnati nella Buster Sword e in Fenrir.
 
Non mi sbilancio sulle sue scelte d’amore, ma sarò breve. Nomura ci tiene col fiato sospeso da più di dieci anni ormai, quindi ci ho rinunciato del tutto, arrivando a una mia conclusione:
 
Tifa può essere una madre e una moglie per lui.
Aerith è semplicemente come io credo che sia: l’unica che ha saputo finalmente capirlo.
 
Se parliamo nei termini attinenti all’amore:
 
Tifa è il suo grande amore.
Aerith è l’amore della sua vita.
 
 
Alla prossima,
 
S.
 

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Capitolo 13
*** #Stronger than me ***


#14. Stronger than me
 

 

Se n’era accorto quando l’aveva vista ricevere passiva tutti i baci dei suoi amici – inclusi quelli di Marlene – o anche quando lei e Tifa si erano scambiate quell’occhiata compassionevole all’uscita della chiesa, doveva sospettare anche perché Cloud aveva preferito darsi al completo ascetismo piuttosto che assistere allo scambio dei voti, lui che è il suo migliore amico; la certezza era nata quando l’aveva vista percorrere la navata da sola con il suo candore soffuso da eterea bambolina. Ma ciò poco importava, la sua Aerith era giù di tono e qualcosa doveva essere accaduto.
Aveva già provato ad approcciarsi subito fuori dalla chiesa – quel breve momento in cui erano solo loro due – ma lei aveva sfoggiato un sorriso, frutto di uno sforzo a dir poco erculeo dato che non era difficile leggere le emozioni di Aerith, e gli aveva detto che andava tutto bene, che quello era il giorno più felice della sua vita e quant’altro. Aerith odiava essere di peso.
Ma dal canto suo, lui pensava: “Abbiamo detto in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, ogni problema l’avremmo affrontato insieme … Bella partenza”
Decise di non biasimarla e fare buon viso a cattivo gioco per una sostanziosa parte del ricevimento, sobrio come lo voleva lei. Ma mentre lei ignorava l’accaduto, lui cercava di documentarsi il più possibile, chiedendo più volte a Tifa dove fosse Cloud e lei irrimediabilmente rispondeva che non ne aveva idea e alzava stoicamente gli occhi al cielo per trovare una fulgida speranza nelle nuvole eteree d’un bianco sereno, che lasciavano comunque un’ombra di tensione sospesa.
Il sole, nel tardo pomeriggio, aveva tracciato una linea d’un arancio rosato proprio davanti al prato battuto, creando un suggestivo gioco di chiaroscuri, facendola diventare ancora più bella, mentre un’ombra dai lineamenti soffusi e delicati, si stagliava sull’erba come un pugno nell’occhio, pareva una macchia nel verde. Si avvicinò docilmente a lei, affiancandola nella sua silenziosa contemplazione, facendola sussultare, anche se poi si beò amabilmente di una risata candida e spontanea e dal nulla, vide lo stelo sottile e fino di un palloncino bianco, che Marlene aveva dato a lui giusto cinque minuti fa. Zack le porse quel piccolo pegno, sperando in un’altra risata, di quelle che non aveva mai sentito e che ti lasciano una sensazione di serenità subito dopo averle ascoltate e che rendono il mondo, anche solo per quell’istante, un posto ancora più bello; Aerith si limitò a un soffio sommesso e strinse forte il filo, come se non volesse lasciarlo andare più via.
“E’ tutto il giorno che sei cupa. Ho pensato che ti avrebbe fatto stare bene”
Si guardarono e notò con sommo piacere che il rosato del tramonto enfatizzava alla meglio i suoi occhi smeraldini, facendola apparire ancora più bella di quanto non lo fosse già.
Si lasciò andare a un mesto “Grazie” prima di affondare la testa – libera dal velo e da ogni impiccio, per fortuna – nell’incavo nitido del suo collo e inebriarsi del suo esaltante profumo di buono, quasi lo stesso che si respira durante l’infanzia felice.
La spensieratezza aveva il profumo di Zack.
“Ricorda che dobbiamo parlarci di tutto. E’ un vincolo ora.” sorrise lui “Quindi dimmi cos’è che non va”
Aerith, con ancora il palloncino tra le mani, non alzò la testa da lì, per prima cosa perché le piaceva essere cullata dalla spensieratezza, e poi perché non se la sentiva di affrontarlo direttamente.
“Nulla. Sono solo un po’ turbata dalla chiacchierata che ho avuto con Cloud”
Chiuse gli occhi perché si aspettava un rimprovero che non venne mai e la serenità infusa da un risolino di Zack, che la costrinse ad alzare lo sguardo, placò tutti i suoi timori presenti, ma al tempo stesso si chiedeva perché i suoi sentimenti fossero così volubili al cospetto di una verità tanto auspicata.
Zack Fair, uno dei tanti misteri della fede …
“Strife è burbero, ma non rancoroso. Un paio di giorni e si sistemerà tutto, vedrai”
Lui era più forte di lei, all’esterno. Zack sorrideva, ma non riusciva a capire perché Cloud le facesse questo effetto di radente frustrazione che l’aveva sempre portata a nuovi interrogativi, sempre più scabrosi e invidiava la curiosità di lei nello scoprire sempre più particolari di lui. Del resto, lui ed Aerith non avevano ancora condiviso tutto, a differenza di Cloud e Tifa.
Una tale insicurezza dietro tale voglia di viverla. E poi l’insicuro era Cloud. No, ora stava cominciando a esserlo lui, accidenti.
Aerith prese a baciarlo più e più volte, sperando di assaporare quell’innata tenerezza che le dava il suo profumo e il palloncino era ancora saldo tra le sue mani, legato al dito come una fede.
“Ora, però, basta col broncio. Non si addice al tuo incarnato”
“Guarda che non era un broncio. Ero solo turbata, tutto qui”
“Perché non ci avevi mai discusso?”
Perché non avevano mai veramente imparato a conoscere l’un l’altro, Cloud ed Aerith, ma erano irrimediabilmente vicini qualunque cosa facessero. Solo ora Zack iniziava a notarlo.
“Probabile” ammise Aerith, il palloncino traslucido dei colori del tramonto stretto tra le mani
“Scrivi una lettera”
“A Cloud?”
Aerith lo guardò con l’espressione perplessa di chi dice “Mi prendi per una stupida?”
“Non direttamente. Guarda caso ho carta e penna qui con me e sfogarti in una bella lettera minatoria al nostro caro Strife potrebbe essere la soluzione giusta. Però, visto che i posteri dovranno sapere quanto il nostro Cloud è cattivo, invece di bruciarla in un falò di testimoni perduti, l’attaccherai al palloncino e questo volerà. Così gli angeli avranno qualcosa da leggere, poverini stanno sempre con la testa tra le nuvole ad aggiustare le tubature del Paradiso”
Aerith rise a quell’ultima considerazione e gli stampò un ultimo, dolce, fugace bacio dal sapore effimero di resa.
“Farò in un attimo” gli sussurrò, implicita implicazione di voler restare sola con sé stessa. Lui alzò le mani al cielo e si allontanò.
Quando si avvicinò al tavolo del rinfresco, venne accolto da un elettrizzante brusio che ristorò tutti i suoi sensi, e inebriato, quasi stordito, intravide confusamente una raggiante Tifa andare incontro a una testa chiodata, ben piazzata alle pendici del menefreghismo. La vide poi allontanarsi, in cadenza del ruggito o, meglio, di un ululato possente.
Laddove prima c’era la confusione, ora c’era la risoluzione.
Cloud non gliel’avrebbe portata via, perché quella che era in moto con lui non era Aerith. Era così sollevato che non c’era tempo per il risentimento.
E di nuovo si sentiva forte. Finalmente.
Poi il volo leggiadro di un palloncino si librò tra le nuvole a serpentina, pur coperto dall’ululato possente del rombo.
 
 
 
 
Si erano fermati fuori dal mondo, lontano dal cuore, lontano dagli occhi e lui aveva intenzione di godersela fino in fondo. Erano complici silenziosi, perché speravano in una resa reciproca che tardava ad arrivare, come il sonno per lui.
Odiava stare sveglio la notte.
Così afferrò quel segno della sorte, portato dal vento inesorabile, lo aprì e respirò a fondo l’odore dell’inchiostro marcato nella carta come un tatuaggio. E vi lesse quelle parole.
Cloud sospirò.
Aerith era lontana.
Tifa era con lui.
Zack era con lei.
Sospirò di nuovo e si addormentò.
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Stronger than me: Ammetto che questo cameratismo possa apparire forzato in termini di scambi di emotività, però la platealità scenica è sempre efficace; infatti questo, nonostante sia il mio primo e spero ultimo esperimento Zerith, mi ha soddisfatta non poco. Spero che sia l’ultimo perché, per certi versi, quella forzatura che frena la scorrevolezza della lettura è dovuta in parte a un mio deficit nello scrivere di coppie che non mi entusiasmano granché, ma quando si è sulla strada per il rodaggio il cammino non è mai liscio come l’olio, quindi considero queste “sfide” come verifiche da superare proprio come a scuola. Che poi riesca è un altro discorso.
Ebbene, come anticipato, siamo slittati al capitolo quattordici e il motivo è dato dall’assenza del fantomatico capitolo tredici, presente solo nella mia testa e non concretamente. Ecco la platealità scenica di cui vi parlavo prima.
Passiamo al secondo punto: Zack e Aerith hanno il loro primo heart to heart nel vero senso del termine; si dimostrano fin da subito indifferenti alle conseguenze delle loro parole, però hanno bisogno di una sicurezza rispettiva che dimostri effettivamente che niente inciderà sul loro rapporto; per esempio Zack nota fin da subito che qualcosa non va in Aerith, l’aveva già intuito quando si è presentata da sola all’altare – con grande disappunto di Tifa, per giunta (sempre il fantomatico capitolo 13) – e quando si è accantonata come una gattina infreddolita alle pendici della solitudine, perciò si avvicina a passo felpato a lei con un diversivo che possa aprirle le porte del cuore e delle parole. Un po’ come le fusa di un gatto, che quando vuole il cibo diventano insistenti e incalzanti.
La proposta della lettera legata al palloncino è un aneddoto che ho sentito in televisione, mentre scrivevo il capitolo: in televisione stavano trasmettendo un documentario sulle tradizioni di una qualche nazione che ora non ho presente; in pratica gli abitanti, quando vogliono parlare con qualcuno di caro che se ne è andato prematuramente, scrivono una lettera su fogli colorati e la legano a un palloncino che vola fino in cielo e se cade vuol dire che non l’hanno ricevuta, invece se va oltre le nuvole vuol dire che la stanno leggendo. Pittoresco direi.
 
Penso che abbiate intuito se la lettera è giunta a destinazione o meno.
 
Le frasi in corsivo rappresentano i pensieri onniscienti di Cloud.
I tre puntini sospensivi, il fulcro di parole d’inchiostro che bruciano abrasive come sabbia sotto ai piedi.
 
 
Ringraziamenti a:
 
La carissima Lylaforlovers che mi incentiva sempre ed è una lettrice accorta e soprattutto schietta. Non penso mi cimenterò mai in una campagna anti – Aerith, però il mondo è bello perché è vario.
 
E naturalmente grazie a Giuly, che mi segue da tempo immemore, quando la mia stilistica era ancora acerba e un po’ tendente al ridicolo. Le sue parole sono sempre state un incentivo risoluto per me.
 
 
Alla prossima, col capitolo 15. Riprendiamo la cronologia.
 
S.
 

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Capitolo 14
*** #Hidden Treasures ***


#15. Hidden Treasures
 
Ignorava la natura dei rapporti umani fino a quel giorno in cui aveva deciso di interrogarsi sul perché avesse cercato di ricucire qualcosa logoro già da tempo e  sul perché la volubilità umana non lasciava neanche la possibilità di approfondire un’astrazione così effimera e intensa come l’amicizia, l’amore, l’affetto e quant’altro.
Aerith e Zack erano tornati da due settimane da un viaggio liberatorio fuori dai confini, per cercare una stabilità laddove soffiava ancora la tormenta e le occasioni per riabbracciare gli amici e inebriarsi dei loro abbracci, del loro affetto affabile e curioso, non erano mancate; però erano due settimane esatte che Zack ed Aerith non vedevano Cloud. Il loro Cloud.
Tifa, per contro, si era presa la libertà di andare un paio di volte al negozio dell’amica per l’acquisto di qualche fiore ornamentale per ristorare un po’ l’aria satura di condiscendenza della casa e in una di quelle volte aveva perfino visto Zack, ridente come al solito, dedito alla devota contemplazione dell’ormai moglie, che si affaccendava con la preparazione dei mazzetti e anche Tifa guardava ammirata la sua lesta abilità, il suo estro creativo dettato da una coltre emozionale più forte.
Aveva smesso di andarci quando Cloud aveva scoperto la natura di quei fiori che tanto abbellivano la casa e lo avevano reso un po’ meno sostenuto, dopo quel giorno dettato da un estro selvaggio di ascetismo dalla sua solita razionalità.
“Che bel profumo. Dove li hai presi?” aveva esordito, una mattina, a colazione. Il profumo dei manicaretti dolci di Tifa si univa perfettamente a quello effimero dei fiori, ma stranamente erano questi ultimi a prevalere, inebriare quindi l’aria.
“Te li ha dati Marlene?” aveva continuato, nel vedere che lei continuava a trafficare con gli utensili da cucina, il viso ben sostenuto e rigido. Credeva che nell’insistenza avrebbe trovato quell’approccio che serviva ad aprire il suo cuore.
“Li ho comprati da Aerith. Era ora di dare una punta di vivacità alla casa.”
Cloud era un fascio di emozioni recessive, un fastello così gravoso si era accumulato in tutti i suoi respiri durante le ultime settimane che poco badò al primo impulso che vibrò tra quel covone, rimanendo sempre sui toni del vago, esprimendosi a gorgoglii come un menomato e ascoltando a malapena le arringhe di Tifa, elaborate all’impronta come giustificazione; anche se non c’era niente da giustificare: Aveva solo visto la sua migliore amica, tutto qui. Cloud le sorrise e le dimostrò tutta la sua comprensione, ma non si fece vedere per tutto il giorno e ritornò quando Tifa si era già sprofondata nei sogni.
Il boccone aveva fatto traboccare la bile che Cloud aveva immagazzinato dopo tutti quegli estri emozionali, più di quanto non avesse dato a vedere e Tifa se ne accorse quando lo vide accingersi a evitare ossessivamente ogni contatto con i fiori, come se quel profumo inebriante gli facesse ribrezzo, e quei colori così belli e vigorosi lo stessero guardando con gli occhi della morte, come se fossero una disgustosa e fantomatica undicesima piaga. Smise di prendersene cura, in modo che anche lei iniziasse a provare ribrezzo per i fiori, rendendo il tutto molto meno ostile per Cloud e per la loro intima serenità.
Erano passati all’incirca sei o sette giorni, non lo sapeva; il tempo ultimamente era scandito lento, dai continui piccoli aggiornamenti della vita quotidiana e avevano anche ripreso a fare l’amore. Di questo se ne compiacevano entrambi. Tifa aveva deciso di mettere via i fiori fino a quando l’attrito tra Cloud e i loro due amici non si fosse definitivamente placato.
Ma scoprì una cosa molto singolare, mentre metteva via i gambi sfioriti e privi d’ogni colore e svuotava l’acqua dai piccoli vasi: uno dei fiori, piccolo, fragile, efebico come i suoi colori, era un fortunato superstite, prevalendo in tutta la sua intensa piccolezza.
Ebbe quasi un tuffo al cuore e il suo stupore morì con lo scrosciare dell’acqua nel lavandino.
Lo prese tra le mani, come se fosse un piccolo neonato e lo guardò come se fosse il suo più prezioso tesoro, rinvenuto dalle macerie dopo tanto tempo, pronto ad aprirle nuovi spiragli per una vita futura; ebbe quasi l’impressione che quel fiore presagisse la fecondità, quel bambino che un giorno lei e Cloud avrebbero avuto e che desideravano inconsciamente.
Perciò non lo mise via, come tutti gli altri, che avevano ricevuto le sue stesse cure. Solo quel fiore, evidentemente, aveva saputo cogliere davvero l’amore che trapelava dalle mani di Tifa e perciò prevaleva, seppur sul ciglio delle ultime vigorie.
Aveva un colorito violetto all’inizio, quasi pervinca, ora era contornato da piccoli ed efebici bordi quasi bianchi.
La senilità di un fiore, che sarebbe durata per sempre.
Si separò da quel piccolo cimelio solo il tempo di scegliere tra i suoi giornalini dei ricordi quello a lei più caro. Ce n’era uno con un sacco di foto di lei da piccola, con suo padre e la montagna dove dimorava lo spirito di sua madre o anche altre con Marlene, Barret, Cloud e alcune anche con Aerith. Oppure era prezioso anche quell’altro, ancora vuoto, con poche fotografie ad abbellirlo, giusto un paio anche dal matrimonio di Aerith e – la sua preferita – quella con Cloud, Denzel e Marlene in un quadretto che sapeva già di futura famiglia.
Quel fiore avrebbe fatto parte del futuro, senza alcuni risvolti, o inibizioni. Perciò lo adagiò dolcemente al centro tra due pagine, come se non volesse essere artefice della morte di qualche petalo fragile, o presagire anche un futuro morente, quindi con altrettanta dolcezza lo richiuse e lo rimise al suo posto, giusto uno scaffale sopra gli altri, l’albo d’onore, proprio in bella vista.
Avrebbe trattato così il suo futuro: con l’accuratezza con la quale si custodisce un fiore, un tesoro.
E chissà quanti altri tesori erano nascosti nell’armadio.

 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Hidden Treasures: Tesori nascosti, analogia eloquente con gli istinti basilari dei nostri quattro destini, ognuno celante il proprio scheletro prezioso deposto in uno scrigno lontano da tutti; nessuno immagina il tesoro che nasconde l’altro e certe volte questa curiosità porta a un patologico bisogno di certezze. Alla fine ti ritrovi in un bivio, come quello in cui si trova Tifa; quel fiore superstite è il suo futuro e non sa se trovargli una dimora nella paralitica assistenza di tutti gli istanti – e le persone – che ci sono sempre state oppure nella fugace interpretazione di un azzardo incerto. Alla fine la sua scelta è palese.
Cloud ha un’interpretazione diversa di quel fiore profano e qui l’annosa questione delle distorsioni della realtà. In questo capitolo è racchiusa la verità intrinseca di Cheats: i punti di vista.
 
I punti di vista sono inganni della nostra suggestione; esercitano la loro influenza con una tale forza motrice che a volte porta all’estremismo, eppure sono mobili. Basta uno stimolo per stravolgere completamente il punto di vista; questo perché esistono centinaia di sfumature di sentimenti, amori, sapori e colori e le visioni vanno saggiate un po’ sotto tutti i punti di vista. Per esempio, mi sono cimentata in un momento di cameratismo tra Zack e Aerith secondo un punto di vista a cui non avevo mai osato avvicinarmi prima; e che dire di un capitolo ancora precedente, quello che sugellava l’intimità tra Cloud e Tifa? Ultimamente sto sperimentando una nuova prospettiva che verte su Denzel e Marlene…
Insomma i punti di vista giocano un ruolo chiave nella rappresentazione  e nell’intuizione degli eventi.
Ne sono molteplici.
A volte anche ingannevoli.
 
Questa è un’onniscienza vista attraverso gli occhi di Tifa, un personaggio vittima e carnefice di se stessa.
Condivide questi pronostici sul suo futuro con lei, da sola, senza rivalse o rancori; potendo contare solo sulle fotografie, sul suo futuro e sui tesori nascosti nell’armadio; o meglio scheletri mascherati da tesori. E’ difficile creare delle controversie sul suo modo di porsi verso la cognizione degli eventi che scorrono inesorabili; è donna nel suo cercare di essere carne e spirito, senza essere plagiata dalla suggestione che rischia di renderla ossessiva, non si fa condizionare. I suoi sentimenti non sono mai posti su piano esponenziale, quindi è difficile capire cosa pensa – questo particolare è messo in evidenza in un capitolo in particolare – ma non riesci a biasimarla.
 
Manila e io l’abbiamo messa in questi termini, giusto per usare neologismi volgari:
 
Tifa sembra cattiva, ma è fessa.
 
Non mi espongo su altro.
 
 
Ebbene, le acque sono calme in questo capitolo.
 
E per ovviare il mio entusiasmo di aver trovato un convertitore di immagini, vi posto questa foto che è una delle mie preferite. Racchiude l’essenza dei tre precedenti capitoli, che sono stati come un fulmine a ciel sereno, un incentivo per l’insonnia, un’arma a doppio taglio, lame venefiche:









 
 
 
 
Detto ciò, ringraziamenti vivissimi a Manila poiché sa sempre come prendere la mia storia per il verso giusto e non sbaglia mai un colpo. Penso che il colpo le verrà dal sedicesimo in poi.
 
Alla prossima,
S.
 

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Capitolo 15
*** #He can only hold her ***


#16. He can only hold her…
 
Se ne accorse nel momento in cui la guardò con quegli occhi e nutrì la necessità impellente di nasconderla dagli altri e farla sua, finalmente.
Aveva notato la stabilità della loro relazione ultimamente e Tifa era diventata inaspettatamente ancora più materna di quanto non lo fosse già. Quella mattina, agli inizi di Agosto, dopo quasi due mesi dal matrimonio, scese per fare colazione come al solito e sentì provenire dalla cucina un tramestio squillante di felicità radiante; aprì piano la porta, per non turbare l’equilibrata allegria e vide la coda di delfino della sua amata, oscillare al ritmo delle risate sue e di Marlene, a cui stava aggiustando il fiocco rosa tra i capelli.
Marlene era diventata in poco tempo la piccola di casa e Tifa, nell’immaginario collettivo di tutti, era già una madre bella e pronta e gli sembrava un po’ scontato vedersi circondato da una nidiata che non fossero i piccoli orfani che, da un po’, accudivano amorevolmente.
Cloud era soddisfatto e appagato dal loro piccolo nucleo familiare e lo considerava un abile diversivo dai suoi morbi emozionali che lo rendevano simile a un sociopatico.
Però, sentiva che il tempo era scoccato nel giusto epicentro, allettando il punto d’intersezione tra l’armonia e la bramosia.
Avrebbe potuto semplicemente prenderla, farla sua e raggiungere l’apoteosi della carne, finalmente. Proprio come sentiva di fare.
“Beh?” esordì Barret Wallace con la voce inabissata di due toni, un gravoso baritono che servì a distogliere un cogitabondo Cloud da quelle cozzanti riflessioni sul senso dell’amore e della vita ciclica.
Cloud rispose semplicemente con un mugugno interrogativo.
“Oh, Cristo! Ma allora sei proprio orbo, ragazzo mio!”
Cloud contrì ancora di più lo sguardo brillante d’azzurro, avvertendo una singolare sensazione di disagio alla bocca dello stomaco, che represse infilandosi di filato le mani in tasca.
“Che intendi dire?”
“Quella ragazza è pazza di te, amico”
Ma va.
“Cosa aspetti a darci dentro?”
Barret Wallace, l’uomo dalle mille misure; quando tirava fuori quella inopportuna, erano casini per Cloud e la sua povera stabilità emotiva, più sottile del filo delle Parche. Cloud elargì un riso sommesso, una certa sfrontatezza e sagacia nell’evitare l’inevitabile.
“La privacy mia e di Tifa non penso siano affari tuoi, Wallace”
“Vero, ma …” Barret gli passò davanti, un sorriso sornione di chi la sa lunga “Cogli l’attimo finché sarà ancora disposta ad andare dietro ai tuoi sbalzi da ragazzina mestruata”
Un bofonchio uscì spregiudicato dalle labbra di Cloud, piccato dopo aver ricevuto una sonora pacca sulla spalla.
“E poi ti dirò … Fare il padre è una gran bella gratificazione” sorrise, ancora “Solo una dritta, eh!”
Cloud fece un cenno della testa. “Grazie per la dritta”
Oh Gesù, Cloud Strife nelle vesti di padre era una prospettiva che nemmeno si sognava sua madre, durante i suoi quotidiani paternali sul fatto che dovesse trovare una ragazza in età da marito, farla sua e sistemarsi. Pensò e ripensò più volte, quella sera, nel momento cruciale dell’apoteosi della carne, quando tutti i piaceri convergevano negli occhi di chi, in quel momento, respirava la tua stessa aria, satura di un piacere che pochi realizzano e molti sognano.
Fu lei ad accorgersene, per prima, quando colse nei suoi occhi quella venatura particolare che nascondeva i suoi pensieri. Si fermarono consensualmente, seppur il turbamento del piacere ancora sostava tra di loro, che respiravano quell’aria speciale. Si guardarono, senza parlare, e Tifa prese a poggiare la sua testa sulla spalla forte e al contempo fragile di lui, che tirò un lungo respiro, abbandonandosi a una resa senza bisogno di ragione.
Poi avvertì le labbra di Tifa salire pericolosamente lungo il suo collo, soffiando sbuffi caldi che si mischiarono perfettamente all’aria linda e speciale che si era andata a creare, per poi sentirle affondare teneramente sulle sue guance più e più volte, senza cedere e neanche opporre resistenza.
Sentì sussurrarle anche un efebico “Ti amo” a cui rispose con un altrettanto timido, insicuro, cacciato a forza “Anch’io”
Smise di baciarlo e si appoggiò nuovamente alla sua spalla e lui, di rimando, la cinse dolcemente, al punto che poteva sentire i battiti prorompenti del cuore che tamburellavano contro il torace ben piazzato.
“Perché sei così agitato?”
“Si nota così tanto?”
“Più che altro si sente”
Se avesse avuto una consistenza emotiva assai più passionale, avrebbe sicuramente iniziato a parlare a vanvera, senz’arte né parte, figuriamoci con capo e coda; forse come Zack e chissà se Aerith gli faceva questo effetto. Invece Cloud sopportava passivamente quelle manifestazioni assai eloquenti della sua fantomatica eccitazione emotiva.
“Pensavo …”
“Quando si fa l’amore non si pensa. Si agisce e basta.”
“Non quando ciò implica una maturazione viscerale. Insomma, ti è mai capitato di pensare che nel nostro amore, potrebbe essere nascosto qualcosa di più grande che aspetta solo il momento giusto di venire fuori”
“Penso di aver afferrato – una certa parte – quello che intendi. La seconda parte non mi è chiara”
Avrebbe tanto voluto dirle che Barret gli aveva messo i piedi in testa e le scene con lei e Marlene erano una certezza, più che una probabilità, che nascondevano anche un suo desiderio intrinseco di maternità.
“Saresti pronta a compiere passi più grandi?”
A quel punto i loro occhi si incrociarono, fino a creare una grande magia che fece pensare che non ci fosse cosa più bella al mondo di quando parlavano, subito dopo aver sfogato le loro esigenze carnali, avvenne tutto così naturalmente che a Tifa non furono sufficienti altre parole per capire a fondo la contorta complessità di Cloud, assai più umano di quanto non dava a vedere.
Si scambiarono un secondo bacio, intenso, al sapore di un amore reciproco che non volevano dimenticare e che erano decisi a condividerne il peso, per quanto intriso di pericoli.
E sì, volevano addossarsi responsabilità più grandi. Doveva solo prenderla.
“Sono disposta. Solo se tu sarai con me”
“Lo prometto”
 
Era appena l’inizio di Agosto e quella stessa sera, per una fatalità o non della sorte, Aerith scoprì di essere incinta.

 

 
 
 
 
 
Synthesis
 
 
#He can only hold her: Forse ho dimenticato di specificare che questo capitolo è ambientato giusto un anno dopo gli eventi del quindici e forse questa postilla è sparpagliata in parole chiave che ho disseminato come trappole vaganti. O forse no.
Nonostante questo capitolo venga dalla canzone He can only hold her, ennesima fatica della Winehouse che ha scritto la colonna sonora di Cheats, metà di questo è nato anche grazie all’intervento e agli stimoli soul  di Tears Dry, una delle mie canzoni preferite di quest’artista tanto decantata da me e che tre giorni fa avrebbe compiuto ventinove anni.
Ebbene, siamo ufficialmente entrati nella fase calda di Cheats, il clou del climax altalenante che ha intarsiato e inebriato i quindici capitoli precedenti.
In questo capitolo tocca far fronte a un cambiamento repentino delle priorità: Aerith e Zack sono assenti dalle loro vite da un anno e sembra che il rapporto tra Tifa e Cloud ne stia traendo un gran giovamento, che si consuma in istanti felici di quotidianità fino a che non sentono il bisogno di realizzare tutte le loro certezze.
Forse è prematuro o forse no; fatto sta che Tifa e Cloud ne hanno passate tante insieme e traggono continue risorse dal reciproco sostegno morale che li ha portati fino a questo punto. Il carattere esponenziale sta tutto nei dialoghi, sebbene frammezzati dai miei soliti sperperi di parole che rubano sbadigli, lobotomie e quant’altro.
Ma non potevo dimenticare tutto e tutti. Lei c’è. Sempre.
Complice anche il mio neutrale favoritismo.
Comunque, mi sono messa alla prova.
 
 
Ringraziamenti sentiti a Manila, ovviamente. E’ lei che mi sostiene nel mio percorso irto di ostacoli e individui che prosperano ai cigli delle strade o anche solo nei cantoni del web.
 
 
 
 
Alla prossima,
S.
 

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Capitolo 16
*** #Help yourself ***


#17. Help yourself.
 

 
Vani tentativi si susseguirono da quella notte. Tifa vomitò un paio di volte negli ultimi giorni di Agosto e tutti pensarono che fosse la volta buona, e rimasero quasi scottati quando scoprirono che era una semplice intossicazione.
Cloud stava ricominciando a ricadere nella spirale antidolorifica che usava per lesionare se stesso quando si sentiva un completo fallimento e ciò gettò anche Tifa nello sconforto.
Ma entrambi non lo davano a vedere troppo e troppo spesso, e non demordevano, tanto che anche il sesso era diventato una quotidianità imparziale che tutti non ci facevano più caso.
Nulla si sapeva, invece, della gravidanza di Aerith.
Cloud si era dato all’ascetismo anche in quel caso, decidendo di non toccare più l’argomento e pregò gli altri di fare lo stesso, smentendo una certa apprensione nei confronti di quel nascituro che, secondo constatazioni ufficiali, era il suo figlioccio.
D’altronde Zack era ancora il suo amico fraterno e il favore sarebbe stato ricambiato molto presto, si sperava.
Cloud gli augurò, quindi, ogni bene, desideri auspicati ardentemente, seppur repressi da sadici silenzi che lo rendevano ancora più colpevole di quanto non lo fosse già.
E intanto riprovavano e riprovavano, ma nessuna manna dal cielo sembrava arrivare.
Passarono dunque altri due mesi e si era ormai rasentato il traguardo autunnale, dato che l’aria soffiava fresca e frizzante su di loro e sulle spoglie di quel letto, sfatto da due giorni.
Il ticchettio di un piccolo orologio scandiva i minuti che scorrevano placidi e implacabili, proprio come se fossero secolari intermezzi d’attesa prima del grande momento.
Cloud stava seduto sul letto con la schiena ricurva, le mani giunte che coprivano buona parte del volto e che soffocavano i suoi respiri caldi, gli occhi socchiusi come in preghiera. Tifa non era in casa, perché era uscita con Yuffie, ed era proprio quello il punto cardine di tanta apprensione, la domenica mattina. Non ebbe neanche il fegato di sfogarsi in una corsa liberatoria con la sua moto, già resuscitata da un po’.
Ticchettava. Ticchettava. Pensava e si crogiolava in nuove riflessioni sulla sua vita, dandosi nuove colpe e forzature di ciò che non aveva mai fatto.
Si chiedeva anche se quel figlioccio avrebbe riallacciato i loro rapporti e un nuovo figlio ponderato l’apoteosi della perfezione, una serenità cercata per tanto tempo, anche se ci sarebbe sempre stato un rimorso nel cuore.
Tifa era in buone mani e ciò non lo preoccupava più di tanto: aveva vomitato piuttosto spesso, era emotivamente fragile ed ipersensibile; tutti sintomi che proclamavano la realizzazione di un sogno costruito su un castello di carta, che attendeva il salvataggio o la letale folata di vento.
L’ansia scorreva a frotte.
Si era ripromesso di non chiamarla, anche se le aveva già lasciato due o tre messaggi nella segreteria e lei aveva fatto altrettanto. Per ottimizzare i tempi, decise di riascoltarli, tanto li avrebbe cancellati comunque un giorno, perché non amava il contatto con tale fragilità di spirito.
Sono uscita presto stamattina, sai perché sono stata poco bene. C’è Yuffie con me. Non te l’ho detto prima per non farti preoccupare e poi dormivi come un angelo e non ho voluto svegliarti. Ci vediamo per il pranzo. Ti amo.
Fuori uno. Ora il secondo, in toni ancora più trafelati, che lasciavano trasparire un’ulteriore apprensione del momento.
Dimenticavo, per colazione ti ho preparato qualcosa e l’ho messa sul fornello. Riscaldala se ti viene fame.
A questo quasi rise, perché sapeva che Tifa sarebbe stata una madre a dir poco apprensiva, nelle sue piccole moine.
Ora il terzo. Il trillo transitorio più lungo del solito.
Ho parlato anche con Barret, prima, al telefono che ha esperienza su queste cose, anche se Marlene non è sua figlia. Ho chiesto consiglio anche a Cid, che si è documentato spesso nelle ultime settimane e dice che ci sono buone probabilità che questa è la volta buona. Non te lo dico per indurre false speranze, perché, credimi, farà più male a me.
Ma loro non avevano la stessa fortuna di Aerith e Zack, immaginava. Quindi di false speranze neanche il sogno gliele aveva indotte, figuriamoci un monito così blando. Vagliò che forse non dovrebbe essere così impaziente, perché c’è sempre un tempo per tutto e magari erano quelle implicite forzature ad alterare il corso naturale degli eventi, quindi a snaturare la vita in sé.
Quanti interrogativi, quando era chiaro che solo l’amore non bastava a mettere fine a un ciclo di sofferenze da cui non c’è scampo.
In tarda mattinata, quando Tifa non era ancora rientrata, decise di ottimizzare i tempi con uno slancio masochista di esporsi alla luce del sole, della brezza naturale di quel giovane autunno, scandito da note melanconiche della solita solfa: Solo il rombo della sua prepotente moto, che moriva come un ronzio in mezzo a tanta desolazione.
In pochi istanti si ritrovò a vagare per la città fantasma, indaffarata nei suoi interni, perché in giro scorrazzavano pochi automezzi e, forse, era meglio così perché una pletorica abbondanza di concorrenza nuoceva gravemente anche nelle giornate serene. Non che quella non lo fosse, ma troppe tempestive emozioni lasciavano posto ad altre, proprio come il sole che prima brillava in cielo senza nessuno che potesse sopraffarlo; dopo si nascondeva tra le nuvole, vinto dalla sua pigrizia.
La moto non rombava più ed era un tutt’uno con l’equilibrata sinfonia urbana che troneggiava in città, dove si distinguevano solo i tramestii dei pendolari e gli sbuffi delle linee ferroviarie; i pochi negozi aperti stavano chiudendo per la pausa pranzo ed inconsciamente si trovò a pensare a quello di Aerith. Si immaginò di trovarla a lavoro, con il ventre più pasciuto delle altre volte, che creava una specie di vacuolo da sotto la stoffa traspirante dei soliti abiti color pastello e con un certo alone materno che l’avrebbe resa ancora più radiosa, ne era sicuro.
Il negozio, però, aveva chiuso prima del solito, ma Cloud non ci fece troppo caso, anzi non la biasimava neanche.
Il giro di ricognizione finì con una circonvoluzione della rotonda della piazza e poi, finalmente, si decise a tornare a casa, nella certezza più assoluta che si sarebbe salvato in extremis, giusto il tempo di nascondere le prove di una scampagnata in città.
Durante il tragitto, avvertì degli strani spifferi di vento adagiarsi pletoricamente sul suo volto e sui suoi padiglioni, purché non lo lasciassero in pace, come se volessero metaforicamente parlargli, messaggeri di morte o di pace, sebbene l’ambasciatore non portasse mai pena.
Ma era tutto limpido davanti a lui.
Distinse perfettamente i profili delle tegole e dei cigli della casa e si ritrovò, quasi fuori tempo massimo, sul vialetto ciottoloso, sferragliando con uno stridio pletorico al punto da sollevare una coltre di pulviscolo soffocante.
Si tolse gli occhiali con un gesto manuale, ma sempre intriso di quell’appeal che lo rendeva – suo malgrado – quasi innaturale. E a quel punto realizzò che tutti i mali venivano per nuocere.
Sul viottolo di casa sua, in una postura quasi anonima e con un fare da menomato che non gli aveva lasciato neanche il tempo di fare coscienza di ciò che stavano vedendo i suoi occhi, Zack Fair bussava metodicamente il campanello, ma con un’apatia tale da farlo sembrare uno sforzo sovrannaturale, le dita rigide e flemmatiche, una morsa che strinse l’intero apparato intestinale di Cloud, facendo leva su una colica morale che infiammava tutto il suo corpo.
Era incredulo, ma a sua volta non riusciva a capacitarsi di avere davanti alla porta di casa sua, il suo migliore amico con il quale non parlava da un anno, come minimo. Neanche aveva riconosciuto, a primo impatto, la silhouette chiodata della sua capigliatura e la sua postura sempre un po’ ricurva verso il basso, forse perché quella luce che lo aveva sempre contraddistinto, ad un tratto, era sfocata in un fiume di badili.
Fece un fischio, perché la sorpresa aveva causato una paralisi del corpo e della ragione, e Zack si voltò, con una viva sorpresa che non trasparì dai suoi occhi stanchi, sciupati da un' overdose di pianti e patti sciolti. Quasi stralunato, lui gli si avvicinò, mettendosi le mani in tasca e assumendo una scialba espressione condiscendente.
“Che sei venuto a fare qui?” esordì Cloud, col solito modo che non lasciava scampo a nessuna emozione, ma che Zack ne aveva fatto il suo vezzo
“A farti le congratulazioni” disse semplicemente lui, come se la cosa più naturale del mondo fosse spinta con fatica con dei cocci sotto i piedi
“Per cosa?” soggiunse Cloud, con un tono decisamente interrogativo, a giudicare dagli occhi alti e un’inflessione flemmatica
“Ho saputo di te e di Tifa. A quando il lieto evento?”
“Non è ancora sicuro” tagliò corto lui, avendone ormai abbastanza
“Davvero? Ho incontrato Tifa pochi minuti fa, con un sorriso che le arrivava fino all’Everest. Mi ha detto che aspettate un bambino.”
E fu allora che Cloud realizzò il significato del vero senso della vita, aiutando sé stesso a concepire una nuova prospettiva che lo avrebbe cambiato per sempre. Si sentiva come se stesse attraversando una seconda pubertà o una nuova vita, di nuovo in stato embrionale, che aspettava solo di essere coltivata con nuove esperienze. Faceva impressione il contrasto tra la pletorica mestizia di Zack e la vivida luce di nuova vita negli occhi di Cloud ed entrambi ebbero l’impulso di voler tirare fuori tutto, e vomitarlo sulle macerie di un qualcosa che non si poteva cambiare. Chi in positivo, chi in pena.
“Davvero?” fu quello che riuscì a proferire, senza dare a vedere che stava tremando nella voce
Zack elargì un sorriso spento, quello che doveva essere il suo augurio di felicità, la stessa che gli era venuta a mancare.
Tutto il risentimento svanì e Cloud cancellò quel tono sostenuto che tanto gli veniva naturale.
“Sarete degli ottimi genitori”
“Grazie …” E iniziò a rimuginare sulla cosa giusta da dire, giusto per stipulare una nuova, implicita fratellanza, raschiando via la ruggine degli ultimi tempi “Scusa per …”
“Tranquillo. E non c’è bisogno che chiedi scusa anche ad Aerith, ti ha già perdonato”
“Guarda che io  …”
“Zitto testone, che so tutto”
“Immagino te l’abbia detto lei al posto mio …”
“Non c’è stato bisogno. Lei è un libro aperto in ogni caso”
Cloud rise sommessamente. “E comunque… Anche voi sarete degli ottimi genitori, me lo sento”
“Già, avremmo potuto esserlo”
E fu lì che tutto s’incrinò, come se un filo fin troppo sottile si fosse spezzato con una fanfara di morte fatidica, annunciando a tutti che una volta c’era e tutti avrebbero sentito la sua mancanza. Il filo di una serenità tanto cercata e ora si incanalava in ogni lacrima spietata che Zack distillava dai suoi occhi, ognuna delle quali era una pugnalata al petto per entrambi: Uno che non voleva sentirsi debole, l’altro che non voleva vederlo debole. Debole, con un’accezione diversa.
Cloud non ebbe il coraggio di andare oltre, ma Zack confessò tutto, vomitando quel peso che avrebbe servito ad aiutare sé stesso e, chissà, forse anche a rafforzarsi.
“Di quanto era?”
“Tre mesi. E ha abortito.”
E le parole morirono. Decise che non avrebbe detto niente. Lasciarlo crogiolare per un po’ nel suo pianto, era la scelta più saggia.
Perché niente di così intenso si era mischiato a un senso di dissipamento latente, che tanto gli aveva fatto da scorta.
Ora desiderava solo vedere Aerith.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
 
#Help yourself: Il diciassette, che numero evocativo.
Volano attese, illusioni, pianti e scotti che si offrono su un vassoio d’argento; elementi che rosolano nella propria crisalide al punto da ritrovarsi incanalati in un unico, precario punto d’equilibrio. E naturalmente s’indebolirà sempre di più, trafugato dallo stesso dolore che diverrà per Zack fonte di sostentamento indispensabile.
Cheats, in questo punto cruciale, dispensa un’immagine distorta di una realtà che attraversa i binari dei mondi, delle vite, senza fermarsi però a ogni stazione e quindi bruciando le tappe. Le reazioni non tarderanno ad arrivare, complicando i fili rossi e arrivando al punto di dare l’impressione di rottura.
In questo lasso temporale, insomma, Cheats è una proiezione distorta di se stesso.
 
L’ansietà inquieta che imperversa nei primi righi serve a far capire che la felicità è solo un piatto marginale, sebbene sia il più gustoso: un po’ come il dessert. Quando in realtà potrebbero trovarla nei ricordi e in ogni momento felice che hanno attraversato; perché i sospetti sono in agguato con i loro occhi maldicenti e li rendono ancora una volta vittime e carnefici.
Tutti quanti, nessuno escluso.
 
E’ un processo evolutivo questo capitolo: l’ansia che ti strugge al punto da spingerti quasi oltre il tuo limite (l’inquieta mattinata di Cloud, Tifa e i loro messaggi), la sconfessione da ogni peccato (il giro sulla Fenrir, ennesimo teatro dei riscontri abituali) e la resa dei conti (il dialogo tra Cloud e Zack e relative conseguenze).
E c’è sempre questa dinamica nascosta tra le vittime e i carnefici, che li portano a biasimarsi e comprendersi reciprocamente.
 
Avrei voluto scrivere di un’ipotetica visita di Tifa con Yuffie e la stessa Aerith, ma capirete che – per ovvie esigenze – non mi è stato possibile.
 
Ora il fulcro emozionale è tutto nelle mani del prossimo capitolo. Uno dei miei preferiti per dirla tutta.
 
 
Ringraziamenti sentiti a Lylaforlovers, pulpito che nasconde in sé un punto di vista – forse – non così diverso dal mio. Riesco a smentirmi, a sconfessarmi e a riconoscermi nelle sue parole.
 
A Giuly che mi è sempre vicina, sia col pensiero che con le parole. E non dovrebbe stupirsi se è oggetto di tripudi amorosi.
 
E un grande urrà per il trionfale ritorno di Shining Leviathan, con un nuovo avatar e una nuova voglia di sorprenderci. A lei va tutta la mia ammirazione, anche per il modo congeniale con cui riesce a vedere Cheats da quel punto di vista che condividiamo apertamente.
 
A Manila non valgono tutti i ringraziamenti del mondo. Da umile lettrice al suo cospetto, non posso far altro che attingere nuovi pulpiti che rendono la concezione di Cheats ancor più piacente ai miei occhi.
 
 
Riuscite davvero a sentire i personaggi?
Nudi e dimessi nelle loro vulnerabilità?
Ops.
Credo proprio di sì.
 
 
Alla prossima,
S.
 

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Capitolo 17
*** #October Song ***


#18. October Song.
 

 
Non poteva dire di sentirsi in colpa solo perché aveva ottenuto quello che voleva, a discapito delle aspettative che davano un prospetto di felicità imminente anche per colei che ora aveva perso tutto.
Si era anche data coraggio per andare a trovarla, ma Aerith non voleva vedere nessuno.
A detta di Zack, però, non voleva che nessuno la vedesse in quello stato.
“E tu potresti aiutarla, Cristo! Invece di stare in giro a scorrazzare senza meta”
Il rancore di Zack, testimoniato anche da quello sguardo socchiuso, era incanalato tutto nel pugno al tavolo che diede Cloud per lui, una certa sera, in preda a un eccesso di zelo o un raptus di follia amalgamati a un suo desiderio di aprirgli gli occhi. Tifa non sapeva se stava agendo per il bene di Zack o per il suo, ma sapeva perfettamente che i ponti erano ormai tagliati e ora dovevano solo aspettare che cadessero, demoliti dal loro stesso rimorso, proprio come dei cordoni ombelicali.
Tifa poteva leggerlo negli occhi di entrambi, perché quella patina lucida di mestizia scongiurata copriva perfettamente quei bagliori azzurri simili a lapislazzuli, adagiandosi stupidamente come se fosse una pellicola trasparente. Succedeva ogni volta che Zack aveva bisogno di sfogarsi e ciò accadeva quando metteva piede nel loro nuovo nido coniugale e non riusciva a far fluire fuori più del dovuto, quindi Tifa doveva cedere a lasciarlo rimanere addirittura per cena ed esortarlo ad andare a casa a grandi linee.
Solo la notte riusciva a stare serena, carezzandosi con moti circolari il ventre per placare le spinte fetali che stavano prendendo una forma sempre più realistica davanti a sé. E riusciva ad addormentare la stanza, solo cantando la sua filastrocca della notte, salutando con un filo di voce anche l’ultimo attimo che le restava prima di ricominciare daccapo.
Odiava alzare la voce. E acconsentiva a tutto con una perizia che stava per consumarsi nella quotidianità.
A Cloud, invece, non importava più di tanto il sedentarismo di Zack, perché per una volta voleva essere egoisticamente felice per il suo bambino, che tanto aveva auspicato, pianto, scongiurato e ora che il perfetto equilibrio stava per essere realizzato, una serpe in seno. Fu solo quella sera – in cui scavò perfino una conca nel legno, quanto era poderoso il suo pugno – in cui si lasciò condizionare dagli eventi. Il vero problema stava nel fatto che Tifa non era dello stesso avviso, e di conseguenza si limitava a stare a scaldarsi in cucina, a far da mangiare, inebriandosi solo di un sottile sbuffo di vapore e dei borbottii petulanti delle pentole.
Insieme riuscivano solo a compatire silenziosamente Aerith, perché suo marito non era con lei, quando avrebbe dovuto.
Si erano ritrovati a discutere di questa faccenda , una sera di Ottobre. A grandi linee, si era trattato di un dialogo a cielo aperto e con i cuori tesi.
“Non ti capisco” soggiunse lei, a un certo punto.
Cloud avvalorò la tesi che la verità del cuore era lontana perfino vicino agli occhi. Zack stava rinunciando alle sue responsabilità e Cloud poté trovare perfino altruismo nel suo apparente cinismo.
“Il mio migliore amico preferisce allontanarsi dalla moglie trafitta nel petto per non dover  camminare sui cocci della loro famiglia perfetta. Semplice, no?”
“Con questo vorresti dirmi che non lo vuoi tra i piedi in casa.”
“Non è questo che vuoi anche tu?”
“Anche se fosse, dobbiamo stare vicino ad entrambi. So che Aerith non vuole vedere nessuno e non ha tutti i torti. Non hai pensato che anche Zack vuole rispettare questo suo periodo di transizione e sta cercando un diversivo per non dover far soffrire la moglie, versando le lacrime davanti ai suoi occhi. Non hai pensato a questo, eh?”
Le lacrime erano sull’orlo delle ciglia di entrambi. Se avessero avvicinato i loro visi, sarebbero riusciti certamente a vederle.
“No. Io ho cercato solamente di pensare a noi, perché mi sembrava la cosa più giusta. Sei tu quella che una volta ha detto Un ricordo o noi?
“Aerith e Zack non sono ricordi. Sono più tangibili che mai e mi stupisco come abbia fatto a nascere dentro di me una creatura che è frutto dell’amore. Forse il mio amore vale per due, non ti pare?”
Spiazzato quanto mai da parole, erette su significati profondi delle loro distanze scabrose, decise di assumere il solito, ascetico, modo di fare che si traduceva in gorgoglii sommessi, elaborati da contrazioni radenti tra mandibola e mascella che scandivano a toni di una rabbia lenta e irascibile il loro silenzio improvviso.
Insinuazioni e continue dissimulazioni su quella che doveva essere la loro felicità non avevano fatto altro che allontanarlo da quella che era la reale concezione degli eventi.
Si erano presi un bambino, per darne uno a loro. Non chiedevano riconoscenza, solo comprensione: una cosa che Cloud non poteva dare, in vista della nenia di Ottobre che cullava tutte le sue felicità più recondite.
Ma c’era ancora una colpa da scontare, e pensò che fosse la volta buona per redimere entrambi.
Annunciò frettoloso “Vado a fare due passi”.
Fu così lesto e bofonchiante, che non diede neanche il tempo di dare a Tifa la coscienza di obiettare contro la piega che stava prendendo il tutto, da una settimana a quella parte. Perché se solo entrambi fossero meno egoisti, forse la paranoia non riuscirebbe a glissarli entrambi sempre a un passo dalla serenità.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#October Song: Col tempismo ci siamo, dato che Ottobre è effettivamente alle porte; un po’ meno con i tempi dato che non ho risposto a tutte le recensioni mancanti, quindi spero possiate avere comprensione per questo ignobile essere col vademecum di un gatto.
Ovviamente, non vengo mai meno ai miei (im)pegni quindi soddisferò a breve le lacune ;)
 
Bene, i trafiletti introduttivi lasciamoli tutti alla tragicomica situazione d’insieme. Senza mezzi termini, questo capitolo è stato straziante nel leggerlo, poiché traspariva tutto il latente egoismo che io associo a una felicità del tutto lecita per il proprio bambino. Queste sono le situazioni in cui ti senti partizionata in due fette coincise e riesci a trovare rimedio solo affogando i dolori nella felicità e le gioie nel dolore. Come quanto ti nasce un figlio e il giorno stesso avviene una morte improvvisa.
Una riproduzione efferata di una realtà in cui tutti i miei cari hanno dovuto fare i conti. Una riproduzione fedele del punto di vista di Tifa.
 
In questo capitolo vengono rimarginate vecchie lacune che scontavano pegni scottanti, facendo riemergere vecchie discordanze tra Cloud e Tifa.
C’è un parallelismo che batte e scandisce il tempo della narrazione e questo concerne proprio le attitudini a esternare le reazioni al dolore; un parallelismo tra Cloud e Tifa.
Lei è angosciata, frustrata, relegata nei cantoni del suo piccolo universo domestico, trovando sollievo solo nella notte e beandosi di pensieri egoistici; si mostra molto propensa ad aiutare Zack e viziarlo diciamo. Si avvicina al suo punto di vista.
Lui non ha benché minima di come comportarsi; sembra che gli eventi abbiano sortito l’effetto contrario. E’ egoista fino al midollo, ma nessuno riesce a capire la sua frustrazione, complice un’ingratitudine della sorte che si è accanita su Aerith. Forse, però, soppesa troppo gli eventi e giunge al punto di far cedere se stesso alle emotività che tentava maldestramente di nascondere:
 
“E tu potresti aiutarla, Cristo! Invece di stare in giro a scorrazzare senza meta”
 
 
Queste parole e il pugno sono il suo ultimo sfogo.
Poi si congeda e va a fare due passi. Con la Fenrir, naturalmente.
 
 
Il prossimo capitolo è quello della controversia definitiva, che consacra la definitiva tensione che intercorre tra le dinamiche. Il filo non è mai stato così sottile.
 
 
Ringrazio sentitamente:
 
Lylaforlovers, oltreoceano e con una valigia piena d’ispirazione. A lei va un pensiero specialissimo, poiché si è premurata di farmi sapere la sua onnisciente parola anche da Seattle con furore. Spero ti stia divertendo cara ;)
 
 
Giuly a cui risponderò presto. E la intimo ad aggiornare anche noi con la sua sapiente stilistica d’effetto che allieterà un po’ il mio ciclo metodico da gatto pigro.
 
Shining Leviathan a cui va un doppio ringraziamento, poiché non solo mi diletta con i suoi spunti e i suoi punti di vista mai abbietti, ma ha anche reperito dalle spoglie il suo personale capolavoro che tanto fomenta il mio animo Fack, come se non fosse così evocativo già di suo.
 
 
 
E infine ringrazio Manila, mia mentore spassionata che mi riserva sempre un piglio della sua incontestabile saggezza e considerazione. Le sue dis-avventure stanno davvero rasentando i lidi del mio piacere e della mia quotidianità. Spero che Cheats non sia da meno.
 
 
Alla prossima col capitolo che consacrerà anche il ritorno di Aerith.
Detto così suona come una mercificazione pubblicitaria…
 
 
S.
 

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Capitolo 18
*** #Just friends ***


#19. Just friends.
 

 
E le lancette andavano piano.
Scorrevano, rifluivano come un lento fiume, per poi ritornare al punto di partenza.
Era un cencio picassesco il suo malumore, anzi il suo senso di colpa, che la cullava in nuovi deliri coerenti, facendole credere che fossero uno scampo eloquente alle sofferenze verso sé stessa e agli altri.
E le lancette scoccarono piano.
Zack non era lì, perché usciva la mattina presto per occuparsi del negozio. Lo sapeva, aveva così tanta premura per lei che non si faceva mai vedere a casa, tranne quello squarcio della notte, in cui sei ancora brillo di lucidità e ti accorgi che la notte ha i colori del crepuscolo, più chiari del nero, quindi siamo agli albori di un nuovo giorno. La sofferenza, comunque, la portò a pensare a molte cose, come svegliarsi ogni giorno incurante di ciò che stava accadendo nel mondo, perché forse c’erano e ci sono ora, in quel preciso scoccare di lancette, giovani donne nella sua stessa condizione di perdizione e altre che erano sull’orlo di accendere un cero di fulgore, realizzare una speranza.
E si rese di conto di non aver mai apprezzato la vita, più di quanto non avesse mai fatto. E prese di nuovo a sentirsi in colpa.
E le lancette ripresero piano.
Provò un moto di gratitudine verso Zack, vedendo nel cielo delle quattro i suoi occhi, un chiarore mesto, ma volitivo, in cui sostava solo una parte del nocciolo della questione. Zack era sicuramente andato a trovare ristoro da Tifa e Cloud come al solito. Aerith lo sapeva o forse no. Fatto sta che, anche se non lo sapeva ora, Aerith non era stupida e di lì a poco avrebbe avuto una nuova concezione di sé; non più come peso, piuttosto come un amore relegato.
Ciò che la faceva stare bene in quel momento era solo il momento d’interludio tra gli albori e la dormiveglia, perché sentiva di non poter pensare a niente.
Il problema era che dormire proprio non le riusciva.
Quindi i pensieri, di diversa natura, spessore e quant’altro, attanagliavano quegli indeterminati spazi di tempo che popolavano la sua quotidianità, che stava prendendo i colori di una procrastinazione irridente.
Però, per contro, sentiva di non doversi sentire amareggiata nei confronti di Tifa, ma di dover festeggiare con lei, di farle sapere che c’era accanto a lei per crescerlo, perché Tifa si meritava quel bambino tanto quanto lei, in quei fulgidi istanti che, come stava appurando ora sulla sua pelle, erano stati tanto meravigliosi quanto effimeri. Si rese conto di quanto la vita fosse effimera e iniziò a dubitare del valore stesso che questa dovesse avere. E Zack fremeva a questo pensiero, confidando in un’irrazionalità che lo portava ai pensieri peggiori, e quindi preferiva non affrontarla di petto la situazione.
Nuovi e nuovi stimoli la rigeneravano ciclicamente fino a renderla completamente euforica, come in un orgasmo di congetture che orbitavano nella follia, rendendola priva di interessi e di ogni articolo della ragione, perché nei punti focali della giornata potevano accadere due eventi singolari: o si sentiva pienamente appagata dai suoi stimoli fino a farne un vero e proprio vacuolo di paranoie oppure si crogiolava in uno spazio senza tempo, completamente incolore e insapore, perché la repressione non aveva alcuno scopo.
In un punto indeterminato della giornata – per lei – proprio in cadenza del crepuscolo – per lui – si sentì talmente stimolata che prese a sferruzzare alla meno peggio, con della stoffa reperita da vecchi scatolami di latta, un paio di calzini, probabilmente per un futuro pargolo, forse il suo oppure no. Non si perdeva d’animo e la speranza cresceva a ogni intreccio sapiente, filo su filo, groviglio sciolto e ricomposto, perché quello poteva essere solo un caso. Aveva rinvenuto del filo rosa, pronostico irriverente ed eloquente, e di questo sorrise e continuava con più fervore di prima.
Ma c’era una cosa che ancora non aveva detto a nessuno e sarebbe passato per un segreto della tomba se solo la porta non avesse sbraitato con talmente furore da farla sobbalzare, cadere il filo e le sue speranze come se fossero precariamente fissate a una campana di vetro, che finì in terra insieme a quel piccolo fagotto informe di colore rosa pallido.
I suoi occhi verdi si specchiarono nella loro vivida morte in quelli del lupo cattivo. E Cappuccetto Rosso si stupì quando scoprì che gli occhi dei lupi cattivi emettono bagliori a intermittenza, come se fossero fatti di luce cerulea. Entrambi, Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo, avevano una grande tensione che intercorreva tra di loro, satura di attesa, perché nessuno pareva voler cedere alle aspettative prefissate; così Aerith raccolse la massa informe dal pavimento – tranne le sue speranze – e riprese a sferruzzare, sotto gli occhi di un lupo agnostico e impassibile, proprio come l’aveva lasciato l’ultima volta.
“Che sorpresa vederti” esordì lei, lo sguardo socchiuso e continuando imperterrita a lavorare il suo fagottino “Come va la vita? Ho saputo del bambino, e volevo farti le congratulazioni quando avrei … Comunque meglio tardi che mai.             Sono certa che sarà una bambina, quindi mi sono presa la libertà di fare un piccolo regalino a Tifa”
E, con i suoi tronfi occhi verdi, gli mostrò l’ammasso di lana rosa che aveva solo la vaga forma dei calzini che aveva intenzione di fare, ma aveva così tanta voglia di vivere e orgogliosa compiacenza che a Cloud fu difficile non sorriderle di conseguenza, sentendosi coinvolto emotivamente anche lui, in quelle rare volte in cui preferiva addossarsi i pesi degli altri e farli suoi.
“Ovviamente non è finito …” continuò lei, con estro quasi materno “Però appena lo sarà, chiederò a Zack di portarvelo a casa. Ho saputo che passa molto tempo con voi, sai? E’ felice quando è con voi. Vorrei esserci anch’io … Un giorno di questi verrò, promesso. Però non presto, finora le giornate mi sembrano tutte uguali … Ho l’aria in gola. Ho qualche morbo, sicuro, o forse ho bisogno di parlare con qualcuno. So che forse non mi stai neanche ascoltando e hai qualcosa di meglio da fare, ma ho apprezzato molto la tua visita. Sei un vera persona, Cloud. Sei proprio come ho detto quel giorno, una persona meravigliosa. Sai perché non ho detto amico? Perché non so proprio cosa sei per me. Più di un amico, meno di un marito … Ma non sei neanche alla stregua di un fratello. Ho cose forti per te, Cloud, ma niente che mi permetta di andare oltre la mia coscienza…”
Ogni tanto, i fruscii del tessuto e dei ferri sottili scandivano il tempo come se fossero lancette di un orologio biologico, che non lasciava alcuno scampo alla cognizione di una situazione dalla quale tentavano inesorabilmente di sfuggire, ma si ritrovavano ancora più invischiati nei meandri più reconditi e angusti. Non c’era voce fuori campo, al di fuori del devastante soliloquio di Aerith che non accennava a privarsi di quella vena nostalgica che, da un po’, stava marcando il loro rapporto.
“Perché non parli, Strife? Hai timore? Hai pietà? Mi trovi pazza? Mi trovi cambiata? Scusami, ma questo è l’effetto che fa perdere una cosa che volevi con tutto il tuo cuore. Ero sicura che sarebbe stato un maschio e sai perché lo so? Non so risponderti. Ma c’è una cosa che mi allieta … Ora potrò sentire anche un’altra voce. Sarà la più bella, dolce, inebriante di tutte le altre … E il Pianeta non sarà più un’accozzaglia recessiva di pianti vani, che attendono solo di essere scongiurati. Io sono fortunata Cloud, perché posso sentire la voce di mio figlio. Avrei voluto chiamarlo come te, anche se Zack avrebbe preferito dargli il nome del suo maestro. Non lo biasimo, per lui è stato come un padre. Angeal non è un nome tanto male, ma preferisco di gran lunga Cloud. Mi piace molto come suona, mi fa sentire sempre protetta dal cielo, mi avrebbe fatto sentire al sicuro anche quando la speranza sarebbe venuta meno, e anche perché mi avrebbe ricordato te. E visto che siamo in vena di confessioni, ti dirò che un piccolo impulso di me, flebile come il battito di un cuore e altrettanto prezioso, avrebbe voluto che …”
E le parole morirono, in una vorticosa spira di contraddizioni che si susseguivano a frotte, senza il minimo bisogno di fermarle, perché li trascinavano via in modo troppo veloce e indolore per poter rendersene veramente conto. Aerith non terminò mai la frase. Però i loro sguardi si incrociarono, proprio nell’epicentro cruciale di un qualcosa che attendevano che avvenisse da un po’.
Cloud l’aveva ascoltata in silenzio per tutto questo tempo, senza la minima esitazione, pronto ad addossarsi qualunque conseguenza. Spirarono all’unisono, prima di crogiolarsi in una moltitudine densa di corpi che sfrecciavano via col vento, e di loro due che si facevano beffa di come li aveva ridotti il tempo.
Cloud, genuflesso e con le mani che coprivano il bagliore celestino dei suoi occhi, poggiò la testa sulle gambe nude di Aerith, che prese ad accarezzare dolcemente la chioma folta e decisa, lo sguardo e i pensieri socchiusi all’avvenire, beandosi senza un briciolo di colpa del calore che scorreva tra i loro due corpi, nel punto di contatto. Poi Cloud prese a piangere.

 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Just friends: Solo amici è la prerogativa giusta per invogliare già quel punto di contatto che corre teso attraverso il devastante soliloquio di Aerith fino a manifestarsi in tutto il suo solerte fulgore nel finale distorto, che ha devastato anche me.
Non sono solita ad accettare sentimentalismi verso i miei scritti, preferisco di gran lunga l’oggettività, ma questo – e il capitolo successivo – sono emozionalmente i miei preferiti. Sarà perché ho trattato di Cloud ed Aerith in una tematica che mi sta molto a cuore, intrecciandoli e avviluppandoli nella calura di quei fili caldi che filano le Parche, che fila lei, che fila il destino.
 
Ho creato una sorta di campo d’esistenza senza le concezioni aristoteliche delle azioni, del tempo e dello spazio… Tutto avviene, sì, nello stesso tempo anche se ciò causa una sorta di accozzaglia recessiva che confonde il gomitolo e lo rende irriverente.
Cloud ascolta Aerith.
Aerith parla, senza sapere di venire ascoltata. Si perde in un soliloquio che fa da padrone per tutto il capitolo, con frasi scomposte e con tasselli mancanti che spero possiate ricomporre, dato che sono un’autrice sbadata. Sembra che stia articolando i suoi primi verbi.
Cloud non parla affatto. E forse è meglio così.
Spero che la storia possa compensare le mie poche parole…
 
Ringraziamenti vivissimi a:
 
Manila, che controbilancia gli eventi e riesce sempre a destare nuovi, forse nascosti, significati che perfino io ignoravo. A guisa di una vera sorella maggiore, è sempre pronta ad ascoltare i miei nuovi raptus di follia che sono in agguato nell’attesa di trovarmi dimessa e vulnerabile.
 
Alla prossima, con il numero 20…
Può anche iniziare il conto alla rovescia per la fine dell’inizio e l’inizio della fine.
 
 
S.
 

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Capitolo 19
*** #In my bed ***


#20. In my bed
 

 
Erano rimasti tutto il tempo a pensare silenziosamente di loro.
A iniziare da quando si incrociarono casualmente per la prima volta e credettero che fosse la solita faccia nuova della sorte, quando non sapevano che sarebbero diventati parte integrante l’uno dell’altra, al punto da sentir pungere sulla loro stessa carne il dolore che penetrava sempre più a fondo, quando erano lontani. Ma questa, naturalmente, è un’altra storia.
Erano a bagnomaria in una coltre di pensieri densi e freschi, che si rinnovavano a ogni carezza di cui si privavano solo quando i loro occhi non erano troppo impegnati a scrutarsi inevitabilmente; Cloud era sempre più stupito del fatto che Aerith fosse l’unica a sostenere fermamente il suo sguardo celestino e venne assalito da un’irriverente bramosia di scoprirla ancora più a fondo, niente che andasse oltre il semplice contatto con il suo corpo efebico, che gli sembrava ancora più irreale ora che lo stringeva solertemente – non con amore, perché quello che c’era tra i due andava perfino oltre quello – impregnati entrambi del desiderio dei sensi, che diveniva sempre più soffuso e inebriante.
Quei pensieri si stavano consumando in un letto sfatto e logoro degli scotti da pagare; e Cloud era inesorabilmente intrappolato dalla perizia consumata con la quale Aerith gli carezzava la punta dei capelli folti, che tra le sue mani assumevano una consistenza immateriale, quasi soffice, come il tocco di Mida, che finiva per scendere lungo il profilo levigato – fin troppo femmineo, a detta di Barret – del suo viso e si fermavano solo lungo il nitido del collo. Cloud era fin troppo accalorato da quelle movenze sistematiche che, lasciate a lei, assumevano i toni smorzati di quella che era una latente bramosia.
Lei, d’altro canto, era assalita da interminabili fremiti di piacere, ogni qual volta che quei borbottii masticati e sgrammaticati iniziavano ad avere voce in capitolo, facendolo sembrare quasi un menomato, anche se su di lei quel fascino timido sortiva un certo effetto.
Continuarono così per tutta la sera, continuando a raccontarsi cose che si erano detti chissà quante volte e, come al solito, sortivano le stesse reazioni; ogni tanto le dita di Aerith venivano colte da una sorta di impulso che le costringeva a tastare le guance di Cloud, prima irrorate di sfogo liberatorio, giusto per sentire se altre lacrime fossero sul punto di scendere e rigargli quel viso fin troppo controllato. Questo perché Cloud non aveva mai pianto, figuriamoci davanti a lei.
“Ora sono io a essere in uno stato pietoso”
Aerith scosse vivamente la testa, levandosi di qualche spanna per arrivare allo stesso livello del cuscino contro il quale era sprimacciata l’impronta del suo corpo, smettendo con quel moto sistematico e ripetitivo e affondando la punta gelida del suo naso contro la sua guancia. E fu inevitabile che anche le sue labbra sfiorassero quei confini mai oltrepassati.
“Cosa fai?” chiese Cloud, a un certo punto, giusto il tempo di ritornare nei ranghi e assaporare in modo più diretto quell’istante fulgido di tensione
“Voglio farti sentire meglio”
Cloud sospirò.
“Così ci metterai solo nei casini”
“Non andrei mai oltre le mie possibilità”
Aerith l’aveva detto con tale fervore, che Cloud si stupì, ma non abbastanza da ricredersi.
“Avanti, Aerith, so che non sei un’ingenua” disse, quasi incalzandola a giocare a carte scoperte, ora che erano più vicini che mai, finalmente
“So stare nei miei limiti”
“Non quando si tratta di noi”
Noi cosa, Strife? Cosa intendi per noi quando parli di me e te?”
“La stessa cosa che intendi tu”
Aerith impiantò il suo sguardo smeraldino ancora più profondamente e penetrantemente nel suo, testimonianza evidente che riusciva a sostenere qualunque provocazione, purché si arrivasse a una conclusione che avrebbe determinato la pendenza dell’ago della bilancia, ora che il fulcro era stato spossato e l’equilibrio rotto quando Cloud si era presentato sulla soglia della porta.
“Se ci intendessimo allo stesso modo saremmo già finiti a letto insieme, non ti pare?”
Un nodo alla gola fece morire le parole che Cloud aveva studiato, premeditato, collaudato da tanto tempo – perché anche lui sapeva che un giorno avrebbe dovuto affrontare la situazione – e rimasero ancora rimunerativi nel loro silenzio e statici nei loro sguardi. In questo caso Aerith era stata più brava di lui, perché aveva avuto il fegato di schiaffeggiargli la verità in faccia, spudorata nei suoi pensieri come, d’altronde, lo era sempre stata, seppur discretamente. Quella davanti a lui era la vera essenza di Aerith.
Una sensualità premeditata, che non riusciva a sfociare oltre il semplice gusto di nasconderla e usarla come arma segreta. Era una delle sue tante prerogative.
Si intesero a vicenda, quando venne fuori la fatidica sentenza, che venne tradotta in una semplice frase, ma che racchiudeva in sé il conflitto tra dovere e piacere, esitazione e impulso, giusto e sbagliato. Il lupo cattivo che seduceva Cappuccetto Rosso. O era il contrario. O era reciproco.
Lo faresti?
Non erano emotivamente pronti, però, c’era un filo conduttore che li portava alla deriva, illudendoli della convinzione che potessero oltrepassare i confini.
“Tu lo faresti, Strife?”
E fu quasi come se tutto ciò che Cloud è o aveva sempre creduto di essere cadesse, insieme alle sue convinzioni, come se fossero costruiti su castelli di carta e in aria.
“La tua stessa risposta, Aerith”
“Te ne importa delle conseguenze?”
“Di pesi ne ho sopportati tanti” soffiò Cloud, palesando finalmente le sue reali intenzioni. Si librò un gemito, soffocato nella claustrofobia della stanza, e presero a intrecciare le loro mani, mentre il peso diventava sempre più vorticoso e fragile; Cloud respirava letteralmente sul collo di Aerith e ciò non poteva che farle un certo piacere intenso.
“E tu … Sei pronta a lasciarti tutto alle spalle?”
E, d’un tratto, il peso del corpo di Aerith venne sopraffatto da quello di Cloud e si ritrovarono a indugiare in un’attesa tensione che non terminava mai, ma che si traduceva in auspicati gemiti, piaceri ininterrotti, e contatti labili, che non andavano mai oltre, le mani ancora impiantate l’una nell’altra. Cloud sovrastava Aerith, ma lei non si diede per vinta e si alzò subito, levandosi contro il suo torace ancora vestito, e che ora non era più una zona di un vicolo cieco, ma un confine che poteva varcare e lei che ancora non ci credeva. Non avevano ancora superato la loro labile zona tra permissione e proibizione, e preferivano contornarsi del calore che si trasmettevano attraverso i loro corpi, ma con i visi pericolosamente vicini, gli sguardi socchiusi e che non volevano assolutamente cedere, anche se tutto ormai sembrava inevitabile.
E lei gemette. Un misto di piacere e colpa, che condivise in modo più aperto e spontaneo con lui, solo quando si rese conto che stavano per andare contro le loro prerogative, contro loro stessi per giunta, perché si erano ripromessi più e più volte, come si trattasse di un mantra inviolabile, di non procedere mai oltre la debolezza della carne, al tatto così inebriante e intensa.
Non ci potevano fare niente, eppure erano lì, adesso, di fronte a una realtà che stava scomoda ad entrambi e, in tutta sincerità, non avevano il tempo né la voglia di addossarsi un altro carico condiviso.
Fu a quel gemito che Cloud smise di addossarle il calore inebriante del suo corpo, più intenso nei punti di contatto, quindi si sedette nuovamente, le mani e la fronte madide di sudore e il respiro che si affievoliva progressivamente, come dopo un’intensa overdose d’adrenalina, giusto il momento che percorreva la fine del piacere e del sogno – per non dire incoscienza. Aerith lo imitò, mettendosi a sedere proprio dinanzi a lui, le spalle esili ed erette, che si ergevano in una sorta di eterea postura che si addiceva a lei in modo impeccabile, giusto a dissimulare quella sensazione che scalpitava come un feto.
Ci fu un intenso scambio di sguardi e parole non dette, che proseguivano lente e inesorabili, efebiche nel punto d’intesa.
Poi accadde un qualcosa d’inaspettato, come una fulgida magia che si accese sui loro volti, più esposto su quello di Aerith, in effetti, dato che Cloud si limitava ai soliti, laconici pigli che traboccavano latenti – solo latenti – emozioni. Il color verde dei suoi occhi era più vivido che mai, ora che quell’euforia nascosta si era intrufolata tra di loro, medicina estremista per curarli da quel piacere che – purtroppo o non – avvertivano solo quando erano reciprocamente vicini, nel timore di oltrepassare i punti di confine. L’apoteosi si raggiunse quando lei strinse la sua mano e iniziò a piroettare su sé stessa come una bimba in un campo di fiori, i suoi preferiti.
“Abbiamo resistito” esordì Cloud, con tono sufficientemente labile
“Siamo guariti!” convenne Aerith, con estro vivace, che avrebbe stampato un sorriso anche a un misantropo ostinato come il qui presente, e in effetti quel tono felice sortì il suo effetto.
“Hai ragione. Siamo guariti”
Erano guariti da quel male di vivere, che li costringeva alla quarantena, ogni qual volta che erano talmente vicini da sentire i respiri reciproci, questo perché non erano mai stati sicuri di ciò che ognuno era veramente per l’altro.
L’estremismo li aveva portati alla deriva, fino a costringerli a sperimentare su sé stessi, un’ultima volta, la tensione magica che solo loro sapevano creare. Si crogiolavano nell’esistenziale convinzione che tutto fosse finito.
Erano guariti, finalmente.
In un letto. Nel suo letto. O meglio nel loro.
Quello in cui lei e Zack avevano concepito sogni, speranze e un amore morto, ma pronto a rinascere e ora era testimone della sua completa guarigione.
Lo spirito e la carne potevano riposare in pace.
Ma allora perché stringevano ancora le dita vorticosamente come due amanti?
 

 
 
 
 
 
Synthesis
 
#In my bed: Ci ho riflettuto molto attentamente…
E mi sono accorta di non avere niente da dire.
 
Perché sciupare tante parole come se fossero fatte davvero di carta?
Sarebbe come spiegazzarle.
 
 
 
Ringrazio vivamente,
 
Shining Leviathan, per il semplice fatto di esistere.
 
E Manila che mi accompagna nel cammino di venerazione Darlene, nella speranza che una manna dal cielo accolga le nostre suppliche. Spero che il tuo partito preso non ti induca a un olocausto delle mie molteplici ispirazioni, dopo la lettura del capitolo…
 
 
 
E sì… Cloud ed Aerith sono peccatori.
 
Grazie al cielo!
 
 
A bientot,
S.
 

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Capitolo 20
*** #What is about men ***


#21. What is about men
 

 
Come al solito, era a scaldarsi in cucina.
Non perché ne sentisse il bisogno, però l’impellente mistura di aromi che incalzava ogni suo sesto senso erano un’alternativa piuttosto allettante al crogiolarsi miseramente in una spirale senza fine di dubbi e supposizioni, che poi si scoprivano infondate.
Decise di non biasimarlo più di tanto, perché conosceva a memoria ogni parte di lui e purtroppo – o forse no – non avrebbe mai perso quel piglio fugace, che il suo volto elargiva ogni qual volta che c’era Aerith nei paraggi, o un qualcosa che richiamasse a lei, perché per Cloud qualunque cosa poteva essere tutto o niente.
Tifa, di per sé, non era mai stata una donna rancorosa e riusciva a percepire anche un minimo di gratitudine nella sua uscita plateale e trafelata, perché ora aveva più tempo per sé stessa, e poteva bearsi profondamente degli scalpiccii allo stato embrionale, che le pareva solo di sentire in modo tanto tangibile quanto concreto, perché era al primo stadio e l’embrione non era ancora cresciuto abbastanza da poter far sentire la sua presenza. Chissà, forse aveva la stessa patologica timidezza che accomunava ambedue i suoi genitori, o forse era un caso recessivo. Ancora non lo sapeva, ma adorava fantasticare.
Una cosa che non potranno mai capire le donne sugli uomini è, forse, l’incapacità di manifestarsi apertamente alle loro emotività, un atteggiamento comune quasi a tutti. Tipo Barret era sempre un fascio di nervi, nella rigida compostezza di chi si sente sempre in dovere di dare un senso di sicurezza. Si chiedeva se anche Denzel sarebbe diventato così, ma i bambini non si pongono mai molti problemi, sono indiscreti, in pace con i loro pensieri, fin troppo estraniati e avrebbe voluto che rimanessero tutti così.
Peccato non ricordi di quando anche lei e Cloud ponevano fine alle loro inibizioni con un sorriso o anche un piccolo segreto che li rendesse reciprocamente partecipi.
Sì, era la complicità la moneta corrente dell’universo dei bambini. Peccato che con gli anni perda valore.
“Mi raccomando non dirlo a Tifa, altrimenti mi uccide …” sentì dire, sul ciglio del corridoio deserto, da Denzel a Marlene, in fitto tono di complice cospirazione.
“Va bene, sarà il nostro segreto” rispose la bambina di conseguenza
“Grazie” soffiò Denzel, scoccando un bacio sommesso sulla guancia della complice, suggellando quello era l’ennesimo di tanti altri tesori nascosti nei meandri di quelli che un giorno sarebbero stati ricordati come marachelle infantili.
Tifa neanche volle sapere quale birichinata aveva combinato Denzel, perché si sentì pervadere da una piacevole sensazione nostalgica, che avvolse i suoi occhi con una patina lucida. Si augurò che quei due non perdessero mai la loro complicità, anche quando l’affetto avrebbe sostituito il profitto. Perché la burocrazia dei bambini era diversa e per certi versi più bella; per esempio, a Marlene non importava essere punita o venir meno a tutti gli insegnamenti imboccati da Tifa da quando era in fasce, perché Denzel l’aveva coinvolta non appena gli aveva confessato della marachella e lei si era sentita in dovere di non tradire la loro complicità, quell’affetto comune a tutti gli esseri speciali, per quanto violasse il suo codice morale.
Quelli erano i segreti più belli che si potessero condividere.
Le piccole rese non mancavano mai, naturalmente, ma finivano per affrontare le conseguenze insieme, i bambini.
Tifa sorrise e si promise di affrontare con Cloud, qualunque conseguenza sarebbe accaduta, perché c’era un amore in ballo, non dell’accezione emotiva, ma era tangibile, lo portava dentro sé come il peso di un qualcosa di fragile che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all’altro. Chissà se lui avrebbe fatto di conseguenza.
Si alzò e prese a trafficare con alcune stoviglie lasciate a poltrire nel lavello, in un bitume da stralciare, come quello delle foglie autunnali. L’acqua prese a scrosciare e Tifa si sentì premere forte contro la vescica, con uno stimolo imprescindibile, che però non le destava alcun bisogno di correre al gabinetto, perciò restò a fissare il vuoto, attanagliata dai pensieri più recessivi e grotteschi, scanditi solo da moto lineare del fruscio dell’acqua, che andava forte e fragoroso. Una quiete chiassosa, che fu squarciata da un sogghigno di Zack, la cui figura liscia e ben piazzata attirò subito l’attenzione di lei, che si portò una ciocca ribelle dietro l’orecchio, pinzandola per bene. L’acqua continuava a scrosciare e sgorgare dalla bocca di metallo.
“Sprechi così le riserve idriche mondiali? Credevo fossi un’ecologista” esordì, col solito impeto di chi la sa lunga e Tifa convenne con un sorriso socchiuso.
“Ti hanno aperto i bambini?” cambiò discorso lei, dando un taglio al fruscio tonante dell’acqua e innestando un cicaleccio assordante di pentolami vari, così senza guardarlo
“Diciamo che ho preso in prestito le chiavi di Cloud e mi sono fatto fare un doppione dal ferramenta” fu la sua confessione, tanto genuina che Tifa non poté fare  a meno di riservargli un sorriso ben più ampio del precedente.
Zack stava seduto e la scrutava con crescente attenzione, senza però trovarvi difetto.
“Allora, dov’è il biondo?”
Essenza di dejà – vu.
“Ronda di consegne. Mi ha mandato un messaggio”
“O forse sta scopando con Aerith. Se non sbaglio ieri non è tornato a casa e neanch’io sono andato a dormire lì” soffiò, con una tale imperturbabilità da turbare profondamente Tifa, che smise di trafficare con i pentolami gracchianti, lasciandoli ammollo nell’acqua. Gettò sul lavandino un tovagliolo, con impeto incredibile, che tagliò sottile l’aria.
“Lo dici come se fosse la cosa più naturale del mondo”
“Scopare è la cosa più naturale del mondo” affermò, sornione, come da un pulpito ciceronesco del tipo il sesso è l’ingranaggio che fa muovere il mondo
“Maschilista. Vedi le donne solo come macchine del sesso” rise con tono sottile, mettendosi dinanzi a lui, scaricando il peso nelle mani appoggiate allo schienale della sedia
“Voi, sadiche creature, non siete da meno. Guarda Lucrecia come ha ridotto quel povero Valentine …”
“Touché”
Erano queste le piccole rese di cui parlava, perché per giungere a un accordo si deve scendere a compromessi e solo con Zack riusciva a permettersi queste piccole pecche d’umorismo indipendente e gratuito. Forse perché avevano ancora da dirsi tutto.
“Zack …” esordì lei, a un certo punto, uscendo da una catalessi che venne spontanea ad entrambi
“Dimmi”
“Volevo chiedertelo da un po’, ma non c’è stata mai l’occasione …” O forse troppe occasioni “Come sta Aerith?”
Zack racimolò ogni stimolo pacato incanalato nel suo corpo, pur di non mostrarsi turbato dinanzi a una domanda che rientrava nelle aspettative, ma che lo rese insperabilmente inquieto, perché non aveva mai affrontato di petto la situazione. Il suo volto s’imbrunì e i suoi vividi occhi non trasparivano più quella voglia di vivere, che invece, continuava a brillare di speranza in quelli di Aerith. Questo era dovuto a una mancanza di tatto verso sé stesso, perché prendeva le cose troppo alla leggera, trovandosi poi – dinanzi a situazioni di tanta carica emotiva – con un fascio di nervi a fior di pelle.
Tifa non diede segno di essersene accorta e iniziò a cercare un diversivo per scampare da quell’impiccio. Stava per dire qualcosa, ma Zack la precedette con un sorriso.
“Sta meglio. Ora mangia di più e riesce a scandire il tempo. Mi ha detto una cosa ultimamente. Si sentiva guarita da qualcosa … E io non ho idea di cosa possa essere. Magari l’ha detto perché si sentiva torturata dal senso di colpa, come me del resto, o forse era qualcos’altro … Non so, ho le idee confuse.”
Tifa elargì un premuroso sorriso.
“Probabilmente è come hai detto tu. Magari ha finalmente ingerito il colpo ed è andata avanti. Questo non può far altro che giovare alla vostra relazione”
Zack prese a meditare con prudenza, rammaricandosi di averla lasciata convivere con un peso che non lasciava scampo, tradendo un certo egoistico bisogno di allontanarsi da una realtà che in quel momento gli stava scomoda. Era suo ardente desiderio riprendersi ciò che la viltà aveva tentato di soffiargli via, seppur implicitamente, dato che Aerith – nei laconici momenti che trascorrevano insieme nella plateale solitudine – non pareva avergli biasimato nulla e continuavano a tirare avanti con i pochi sprazzi che offrivano quelle giornate senza dimensione temporale, imbambolate in un eterno fastello di nembi densi e tormentati da silenzi che sconquassavano la carne, fino a renderla completamente volubile agli sbalzi dettati dalla monotonia. Sarebbero stati definitivamente pronti a riprovarci, fortificati dalla rinnovata guarigione emotiva, che celava moventi ben più reconditi, ma non era motivo di cruccio o sospetto. Per entrambi.
Rivolse un sorriso grato a Tifa, che si lusingò enormemente, a giudicare dal vivido colorito che avevano acquisito i suoi occhi, al solo battito di ciglia che intercorreva in un’istante di cui nemmeno loro si erano accorti.
“Una sera di queste dobbiamo organizzare una lauda cena per quattro” esordì lei, tornando di punto in bianco a trafficare i suoi pensieri in stoviglie di latta
“Se cucini tu, ritienimi invitato”
“Credi che lascerei sprecare i nostri preziosi viveri a un ex – soldier che non conosce la differenza tra volere e potere?” affermò sorniona, rivolgendogli perfino uno sguardo da cui traspariva tutta la sua eloquente chiarezza
Poi fu Zack a elargire un sorriso furbescamente studiato per passare inosservato, come parte integrante del suo cipiglio, che pareva celare una certa fiducia repressa.
“Con la differenza che io posso e voglio …” sorrise “Poi è uno spreco rovinare tanto bene materiale
Tifa colse l’allusione al volo, senza perdere la sua compostezza sobria.
“Mi prendi in giro?”
“Assolutamente no. Anzi ti do ragione su tutto. Cloud non saprebbe mai dove mettere le mani”
“E immagino che tu lo sappia, vero Fair?”
Il sorriso di Zack si allargò scandalosamente, fino ad assumere la forma indefinita di un ghigno soddisfacente, che potesse abbracciare qualunque pensiero che vertesse verso le vere – o false – intenzioni che proseguivano in folti e furbi giri di parole tra loro.
“Altroché. Se vuoi ti do una dimostrazione”
Si guardarono un ultimo istante negli occhi, giusto per realizzare quale piega grottesca stava prendendo quella semplice riflessione di gusto su un argomento che potevano facilmente toccare a cielo aperto; l’intesa che intercorreva tra loro fece sì che non ne facessero un tentativo blando d’adescamento, anzi finirono per ridere come due compagni che si sbellicano dinanzi alla loro vita sventurata, senza aggiungere alcuna pretesa.
“Sono allergica agli imbecilli, quindi passo”
La Lockheart era uno spasso.
Zack alzò le mani, come in una battuta d’arresto, abbassando un po’ lo sguardo per reprimere quei pruriti alla soglia delle labbra che si traducevano in divertiti singulti convulsi, gli occhi anche loro traslucidi di lacrime gioiose e il volto soffiato dal calore.
“Come non detto”
E poi prese di nuovo a meditare su sé stesso. Zack Fair, quel mistero che non avrebbe mai smesso d’infittirsi dinanzi ai suoi occhi, tanto che era sempre più volubile, il che instillava in lei una disperata voglia di rettificare quelle che erano le sue priorità, quelle di entrambi, poiché sentiva la necessità di farle sue.
Instillarono nuovamente i loro sguardi nell’altro, questa volta profondamente scavati negli spessori emotivi l’uno dell’altro, che li fece sentire spaesati per certi versi e incantati da quell’allettante magia soffusa.
Intanto Cloud era rientrato in casa.
Il suo tono ascetico li abbracciò come un fendente di velluto, che tagliò la magia con la sua imperturbabile presenza. Ebbe come la sensazione che stessero parlando di qualcosa, poco tempo fa.
Infatti Zack rise di gusto e Tifa fece di conseguenza.
A pomeriggio inoltrato, senza essere pressato dall’indulgente discrezione di Tifa, Zack si sentì in dovere di passare a salutare l’amico di sempre, anche se troppo preso da riflessioni che lo portavano via da una concezione che sembrava troppo vicina all’immaginario. Puntellato contro lo stipite della porta, gli rivolse uno dei suoi sorrisi di marca, efficacemente studiati su un equilibrio geniale tra impertinenza e compiacenza; e la cosa non stupiva Cloud più di tanto, quindi si limitò a una fugace occhiata e una bozza di sorriso, o meglio di sogghigno.
“Hai finito di provarci con la mia ragazza?” esordì Cloud, senza dischiudere gli occhi dalle sue riflessioni assorte, sul ciglio del letto. Zack mosse la testa all’indietro, con un cenno. Da che pulpito, gli venne da dire.
“Tu, piuttosto, non mi hai detto dove sei stato”
Il bagliore celestino di Cloud era riflesso in piccoli interspazi di pulviscolo che intercorrevano tra il punto di contatto del cielo vizioso con l’aranciato terso che rifletteva sul vetro dell’unica finestra che illuminava la stessa, quell’intersezione che era il punto di concepimento di tanti piccoli corpi efebici e di quant’altro, come se fossero le concretizzazioni di pensieri assorti dopo lunghe riflessioni.
“OK, come non detto …” Sembrava, anzi era poco convinto, ma decise di non indagare oltre. Era fin troppo sfinito. “Ci si vede, biondo!”
Si salutarono con uno sguardo poco forzato, che riassumeva tutta l’innata complicità di rivedersi ancora lì, senza rese, a condividere ogni piccola inerzia della giornata. Zack fece per andarsene, ma solo dopo altri istanti d’indeterminata lunghezza, sparì definitivamente, inghiottito dalla penombra della scalinata, proprio quando un fagotto di lana rosa, dalla consistenza informe, di fattura estremamente familiare atterrò sulle ginocchia di Cloud, corredato da una frase melanconica.
“Questo lo manda Aerith”
E Zack soffocò un sorriso che non arrivò mai alle orecchie di Cloud.

 
 
 
 
Synthesis
 
#What is about men: Piccoli appunti introduttivi, giusto per ovviare la mia incapacità di essere coerente con me stessa e con gli altri: Denzel e Marlene sono la mia croce e la mia delizia; Cloud è un’ipocrita, ma con cognizione di causa perché non ha tutti i torti; Zack riesce a boicottare Tifa senza che lui stesso se ne renda conto; Tifa, a propria volta, non riesce a biasimare Cloud non perché provi un sentimento vicino alla comprensione, ma perché sente che prima o poi si ritroverà nella sua stessa situazione; Aerith è sempre lì: è nella testa e negli occhi malinconici di Zack, nei tormenti di Tifa ed è sempre vicina a Cloud, come se lui fosse sposato al suo spettro.
 
Come si suol dire: un po’ per uno non fa male a nessuno.
E se Cloud ed Aerith hanno avuto quell’attimo di intimo cameratismo, era giusto concedere la rivincita a Zack e Tifa, la cui tensione sessuale supera ampiamente ogni flusso transonico o qualsivoglia limitazione fisica o dinamica. Si crea una sorta di campo magnetico tra i due, in contrasto con la bolla che racchiude Cloud ed Aerith.
E’ imprescindibile che accada una cosa del genere, insomma: è quasi una ripicca, una rivalsa o anche una conseguenza diretta del principio azione – reazione. Lontanamente dalle aspettative, Tifa e Zack si concedono nudi e dimessi agli eventi, senza cercare di forzarli – a differenza delle rispettive antitesi – e cercare un compromesso. Il loro feeling è del tutto dettato dalle emozioni, una vicinanza che li porta su piani pericolosi, che li mantiene in equilibrio su un filo di piombo. Una sintonia che è venuta meno, se così possiamo dire, in precedenza perché il tempo è infame: solo ora Tifa e Zack si stanno scoprendo amici, confidenti e complici… E, credetemi, sono gli unici capaci di portarsi su un livello intimo.
Nella mia infima concezione dell’attrazione – o della relazione – Fack, li avevo portati dinanzi a questa intimità così agognata – da me, come da alcuni che condividono i miei pensieri – anche se poi si sono tirati indietro … La frase giusta sarebbe “io li ho tirati indietro altrimenti avrei fatto passare Zack per la puttana di Tifa e Tifa per il sex toy di Zack” ma è complice anche una certa ascendenza nomuriana che non ha voluto approfondire il loro rapporto in Crisis Core… Anche se una certa sintonia l’avevo notata, eccome.
 
Tifa e Zack sono complementari, eppure non combaciano perfettamente. Motivazioni? Si deduce dall’ultima parte del capitolo, in cui vi è il primo vero confronto diretto tra Cloud e Zack.
Confronto verbale, s’intende.
 
 
Ringraziamenti vivissimi alla mia carissima Shiny, che riesce sempre a divertirmi con le sue supposizioni così vicine alla mia linea di pensiero. Non per altro, è la migliore in campo Fack e non ho ancora trovato nessuno che sappia gestire le tempeste emozionali tra i due bruni come lei.
 
E a Manila, la mia mentore, che si arma di una santissima pazienza… Ormai conosce meglio lei Cheats che io stessa…
Accetta passivamente anche la mia propensione Clerith. Che santa donna!
 
 
A bientot,
S.
 

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Capitolo 21
*** #Valerie ***


#22. Valerie
 

 
 
Il ventre cresceva, come l’amore che iniziava a inculcarsi in un modo sempre più connaturato, tradendo una certa vena emozionale che cercava di reprimere per non mostrarsi coinvolta al punto di sembrare vulnerabile. Le giornate aveva lo stesso, ma sereno meccanismo: Cloud portava i soldi a casa – racimolando un gruzzolo che diveniva sempre più cospicuo – e si vedevano in tardo pomeriggio; Tifa, invece, stava in casa a perfezionare ciò che aveva fatto per tutta la vita.
Una quotidianità che andava comoda a entrambi, perché non potevano ancora barricare al sicuro le aspettative. Era una sorta di sabbatico battesimo del fuoco, che faceva da preludio felice.
Anche Aerith e Zack avevano ripreso a stare  più tempo insieme e, da una settimana circa, lei aveva ripreso le sue mansioni al negozio, mostrandosi sempre disponibile e fedele al suo estro creativo, per nulla disagiata dalla discrezione forzata dei clienti. Comunque era ancora sotto la minuziosa supervisione del diligente marito, che la seguiva con perizia consumata nei suoi pomeriggi passati a discorrere del più e del meno, in una miserabile condizione che faceva pietà. Avevano ripreso anche a fare l’amore, con somma felicità reciproca, anche se Zack lo considerava un tentativo di infangare una speranza morta e riesumarne una dalle ceneri con la moralità di chi non si aspetta nulla al di fuori dei propri limiti, ma vedeva ciò quasi come una forzatura.
L’oppressione stava prendendo il posto della loro rinnovata serenità. E ciò lo spingeva ad addentrarsi oltre confini sempre più impenetrabili all’occhio di coscienza, perché nessuno avrebbe voluto ritrovarsi così metaforicamente alla deriva. Metaforicamente perché Zack era il mattacchione di sempre e riservava sorrisi e carezze a chiunque, mentre al suo interno si consumava il calvario della frustrazione.
Faceva pietà anche lui.
Ma Cloud e Tifa non lo sapevano. Erano fin troppo presi da un’euforia troppo grande per poterla finalmente condividere a cielo aperto, perché rubando tempo alle cose, avrebbero finito per ritorcersi contro, proprio come era successo altre volte.
Cloud le aveva detto quella notte, a letto, che sentiva che era una bambina e nel dirlo le aveva mostrato le calze confezionate da Aerith e a quel punto un caldo cenno d’assenso di Tifa, il bel viso rigato da triste gioia, gli fece sentire l’amore del mondo, quello che potevano condividere in tanti, perfino con la loro famiglia. Marlene era entusiasta all’idea di avere il ruolo predominante di zia e la notizia fu accolta con gioia anche da Denzel, che si unì ai cori festosi di Yuffie, mentre quelli di un mesto Barret ripetevano con diverse cadenze di non crearsi troppi castelli in aria, essendo lo scetticismo parte della sua natura. Ma la certezza arrivò e allora furono fiumane di gioiose righe di lacrime, che inondarono ben presto tutta la casa con coinvolgente suggestione; Vincent, invece, non lasciò trasparire altro che una compostezza felice, mentre Cid era continuamente assillato dai moniti di Shera. Comunque, non fu difficile portare questa felicità nelle casse della casa. Infatti la felicità raddoppiava assai gli introiti e finanziava i proventi per un corredo degno dei più rosei sogni di Tifa. Le dispiaceva solo non poter esaminare con perizia quasi maniacale le vetrine con l’amica di sempre, sentendosi in qualche modo in colpa anche per non esserle stata sufficientemente vicino.
Ad ogni modo i rapporti con Aerith e Zack poggiavano su terreno stabile e le due si erano sentite spesso nelle ultime settimane.
“Posso solo immaginare come ti sia cresciuto il pancione …” commentava Aerith estasiata e Tifa, conquistata da quella premura quasi materna, non poteva fare a meno che ostentare un riso sommesso e sincero, mentre carezzava il ventre con movimenti circolari, il tutto sotto la scrupolosa analisi di Cloud, che si compiaceva con un sorriso a sguardo chiuso.
“Non esageriamo, sono solo al quinto mese … Non sono ancora arrivata a scoppiare nei miei jeans o ad essere scambiata per un beluga arenato sul marciapiede…”
A quel punto Aerith sospirò pletoricamente, e dalla cornetta sembrò una pesante interferenza.
“Jeans? Ma sai che blocchi le vie vescicali di quella povera bimba? Non ti lamentare se poi avrà dei problemi d’incontinenza”
“Aerith, ti senti bene?”
“Ovvio che sì. Quella che sta male sei tu, cara mia, che non hai ancora fatto fuori tutti i negozi prémaman della città!”
Tifa rise e Cloud intuì subito che si era trattata di una delle sue postille a bruciapelo che, in un modo o nell’altro, suscitavano sempre qualche reazione felice – o, come nel suo sventurato caso solo una grande confusione alla bocca dello stomaco, una sorta di forza centrifuga.
La conversazione andò avanti su quei toni per il quarto d’ora che succedette, senza troppe esitazioni perché Cloud lo ottimizzava con pensieri efficaci, mirati a metabolizzare alla meglio quelle risa che su susseguivano felici come non mai. E lui era rigorosamente relegato in fondo alla stanza.
Riattaccarono all’unisono, non prima di essersi lasciate con la solenne promessa di riunirsi per una cena in quattro con toni prettamente intimi, voltati a far salire l’intesa delle coppie e ritrovarla anche reciprocamente. Non l’avrebbero mantenuta, pensò Cloud, mantenendosi pressoché imparziale anche nel suo agnosticismo.
Ultimamente era divenuto molto più reattivo – non solo agli stimoli che lo istigavano durante le notti con Tifa – alle intuizioni che gli soffiava da sotto il naso da tutta una vita, e riuscì a percepire quasi subito che nella conversazione era fuoriuscito un argomento dai toni sferzanti, che avevano lasciato sul bel viso levigato di Tifa una traccia di sopore. Intuì anche che si era seduta dinanzi a lui apposta per ostentarlo ed essere notata. Cloud sorrise.
“Sei passata per la lavatrice mentre venivi qui?” esordì caustico, mantenendo sempre una certa compostezza anche se sorridendo
“Spiritoso.” replicò prontamente, con sarcasmo spassionato “Stavo pensando a ciò che mi ha detto Aerith …”
“E cioè?”
“Più che altro sono dei consigli per il paparino, così ha detto …”
Cloud rise sommessamente.
“E di che genere?”
“Uno in separata sede e penso si tratti di un affare grosso. L’altro invece riguarda il nome della bambina. Dice che devi essere più solerte nei preparativi, per non stancare l’affaccendata moglie, che deve patire tutte le fatiche”
“Fino a prova contraria, il 50% del lavoro l’ho fatto io …”
Tifa lo guardò contrariata, ma senza perdere quel piglio spensierato, instillato involontariamente da Aerith, in un certo senso. Perché, forse, era quello che veramente voleva.
“Sarà, però devo dirti che non mi sono mai ritrovata a pensare al nome da dare alla bambina …”
Fu allora che gli occhi di Cloud si illuminarono d’intenso, auspicato nelle insonnie più recondite di chiunque avesse avuto mai il coraggio di guardarlo negli occhi, retti solo dal fascino celestino da li abbagliava, perché la sua indole non aveva mai conferito a quella beltà una verve compiacente che invece aveva una persona affabile come Zack Fair; i suoi occhi non denotavano una personalità forte, ma quiescente.
E non poteva fare a meno di chiedersi, ogni notte spensierata come quella, se avessero in serbo per lui un destino a parte.
Tifa, nel frattempo, iniziò a trafficare con i calzini confezionati da Aerith, che erano poggiati saggiamente sul comodino proprio accanto a lei, infondendo un nuovo moto di reazioni contrastanti che si facevano man mano sempre più nitide. Sembrava che le sue labbra si muovessero a ritmo di una filastrocca melanconica, che masticava tra mandibola e mascella come un mantra di cui non ricordava le parole.
Solo dopo un’accurata analisi del suo labiale, di dolce seduzione, si accorse che stava congetturando a voce bassa plausibili nomi di bambina. Cloud l’ascoltava, disincantato come un bambino distratto dalla dormiveglia proprio mentre la madre annuncia il risveglio.
“Valerie …”
E stavolta furono gli occhi di Tifa a illuminarsi d’immenso, come se quel nome si sposasse perfettamente alle sue aspettative, attendendo forse anche una qualche iniziativa da parte di Cloud.
Valerie era un nome semplice da portare, dolce nel suo modico suono che si perdeva con un prolungato flebile, che sapeva di un qualche consumato francesismo.
Non aveva alcuna simbologia, perché Valerie non dava conto a nessuno. Cloud poteva capire la sua euforia se si fosse trattato del nome della sua compianta madre, o della moglie di Barret magari, della madre di Marlene o di Marlene stessa, della sua migliore amica magari, per omaggiarla dopo quella turbolenza che non è venuta per nuocere fortunatamente. Non riusciva a spiegarsi l’emozione fulgida negli occhi di Tifa a ogni pronuncia melodiosa del nome Valerie, che stava diventando un mantra.
Valerie era obiettivamente un nome grazioso. Cloud pensò che si sposasse più col cognome Lockheart che con Strife.
Sapeva vagamente di un sentore già avvertito sulla sua pelle.
“Valerie …” ripeté lui, con concitato trasporto, quasi da disillusione irrompente
Tifa gli sorrise.
“Valerie Strife … Incisivo al punto giusto”
E i bagliori dei loro occhi s’incrociarono per quel minimo istante d’intesa, che si era fatta attendere fin troppo, pensavano reciprocamente; credevano che fosse stato il trasporto del momento a ricongiungerli in una landa che si stagliava straniera davanti a loro, e consideravano quello il primo passo per addentrarsi finalmente insieme verso il secondo stadio, per trasformare la loro relazione di nicchia, fin troppo embrionale, proprio come lei.
Ma come lei sarebbe pian piano cresciuta e avrebbe collezionato talmente tante esperienze di vita da non pentirsi di aver atteso così a lungo. Anche se per lei si trattava solo di quattro mesi.
“Valerie …” rifece Tifa, con la solita cadenza da filastrocca disincantata “Mi piace come suona …”
“E’ molto dolce” convenne Cloud, smettendo di guardarla. Ma Tifa era troppo presa dalla sua creatura per potersene accorgere.
“Già… Ti piace sul serio come nome?”
“Sì” masticò Cloud, con sufficienza “Poi vedremo, penso”
Quella sufficienza cortese che si rivolge quando non si hanno mezze misure per la felicità: non l’aveva mai vista così smagliante, nella sua esaltazione massima, e non aveva la benché minima intenzione di scalfire quel quadro meraviglioso che si prospettava davanti.
Cloud, però, non aveva mai avuto dubbi sul nome da dare alla bambina.
Però appurò che sarebbe risultato inopportuno … Oggetto di fraintendimenti per così dire.
Sì, Valerie Strife li avrebbe fatti felici.
 

Quella, però, sarebbe potuta essere la seconda occasione per Aerith di chiamarsi Strife.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Valerie: A conti fatti, i dinamismi non scemano neanche con gli stantuffi, i pistoni e le forze centrifughe specie quando c’è un pargolo di mezzo e un matrimonio arenato su spiagge ostili. Aerith e Zack si stanno rimettendo in piedi su un equilibrio precario, costruendo la loro personale ampolla affettiva sulle macerie dei precedenti crolli emotivi; Cloud e Tifa sono in pieno fermento e così i loro amici, a partire dal burbero Barret fino a Shera, Marlene è entusiasta del suo ruolo di zia e Denzel non vede l’ora di assolvere i compiti da fratello maggiore.
Contemporaneamente, Tifa e Aerith mantengono un rapporto strettamente telefonico e fungono da reciproci intermediari verso i rispettivi consorti: di certo, Aerith e Cloud non hanno avuto occasione – o fegato – per intavolare una conversazione abbastanza articolata da reggere il confronto con il cameratismo di Tifa e Zack, per esempio; naturalmente le iniziative di Aerith, di solito pulpito così estroso, sono state fiacche, in proporzione ai suoi tentativi insomma.
Ma quel pensiero latente è comunque partecipe.
Diciamoci la verità: Cloud voleva – e vuole ancora – chiamare la piccola Aerith.
Essenzialmente risulterebbe tutto più ipocrita di quanto non sia già, quindi ho accantonato l’idea; sarebbe più plausibile se Aerith fosse morta e loro si impegnassero a mantenere vivo il suo ricordo, commemorandola così e dato che non è il caso specifico di Cheats ho pescato dalle canzoni della mia musa ispiratrice – la signorina Winehouse, che tanto decanto e onoro – quella che si confaceva di più al contesto; quale se non Valerie, che è stato quasi un sospiro profetico, un bisbiglio della sorte, essendo l’unica canzone dell’intera discografia a portare un nome proprio.
Obiettivamente Valerie Strife non mi dispiace per niente, anche se penso che Valerie Lockheart abbia tutt’altra musicalità e, nonostante sia meno incisivo, risveglia i sensi, come la frescura del gelato al limone nel giorno del solstizio d’estate.
Naturalmente quel “Quella, però, sarebbe potuta essere la seconda occasione per Aerith di chiamarsi Strife” che tanto ha fatto storcere il naso a voi lettori, è un’allusiva precisazione dei miei reconditi desideri e a un pensiero che Aerith covava nei due anni precedenti agli eventi di Cheats, quella famosa prefazione che spero tanto di scrivere.
 
Spero che Valerie Strife possa farvi felice.
 
 
Ringraziamenti vivissimi a:
 
Shining Leviathan, santissima ragazza che si è guadagnata un posto d’onore nella mia personale bacheca trionfale: sto rileggendo tutta d’un fiato la splendida Accidentally in love, disponibile in circoscrizioni limitate al sito EFP, riscoprendo un amore incondizionato per la sua prosa eccellente.
 
E, naturalmente, Manila che ispira, ascolta e trasuda fantasia da tutti i pori.
Cid si inchina solennemente al suo estro.
 
 
Alla prossima.
 
A bientot,
S.
 

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Capitolo 22
*** #Addicted ***


#23. Addicted
 

 
Che pensasse a lei era un concetto relativo, questo perché riconosceva quella morbosa apprensione nei suoi confronti come un plausibile flusso di ironica abitudine che aveva solo bisogno di tempo per essere soffiata via; anche se poteva anche essere un semplice presagio che si traduceva nel suo spiccato sesto senso quando si trattava di lei, ovviamente.
Pensava a lei all’insaputa di Tifa, perché neanche quando dormiva la sua mente transigeva anche solo un sorriso, un’ombra soffusa di lei. E finiva per trasformarsi in un sonno irrequieto e desiderava che fossero gli albori di un nuovo giorno, sulla moto che inghiottiva i suoi pensieri più densi fino a ridurli in cenere fine.
I segni di una frustrata apprensione, però, gli si leggevano in faccia e purtroppo le emotività facevano breccia nel sesto senso della Lockheart, che si fece coraggio per affrontare un nuovo, inevitabile callo, da debellare in poco tempo perché la sua felicità era agli sgoccioli del quinto mese.
Erano a letto.
“A cosa pensi?” gli chiese a bruciapelo, senza che i loro sguardi si incrociassero
Lo vide chiaramente trafficare nervosamente con i lembi delle lenzuola, dando credito per una volta al linguaggio del corpo. Ogni terminazione del suo corpo traspariva un latente disagio.
“Cattivi presagi” confessò lui senza difficoltà
Tifa era certa che anche i suoi presagi erano esatti.
“Zack non viene a trovarci da un po’… Quindi penso che il peggio è passato. E la sua vita matrimoniale può solo giovarne”
Il viso brillante di luce celestina di Cloud s’imbrunì di un nero profondo, senza lasciare spazio per far trasparire le sue reali emozioni – o intenzioni? – ma fatto sta che quel presagio sovrastava tutti i suoi istinti, quindi non poteva sbagliarsi.
“Se ci pensi, però, si sarebbero infiltrati qui per quella cena che programmate da settimane”
Tifa lo guardò, spontaneamente.
“Magari hanno bisogno del loro tempo … Quale modo migliore che rimettere insieme un matrimonio che con un po’ di privacy”
“Quindi stai dicendo che ci stanno riprovando?”
Lei alzò le spalle, senza smettere di scrutare quel profilo rovinato dall’irriverente resistenza che intercorreva entro qualunque terminazione nervosa del suo sguardo bruno.
“Zack me l’avrebbe detto … E’ come se si fosse volatilizzato nel nulla …” continuò Cloud, ancora più assorto
“L’ultima volta che ho sentito Zack è stata una settimana fa, durante la telefonata con Aerith…”
“C’è stata solo quella telefonata con lei?”
“Beh, no. Ma mi è parsa piuttosto tranquilla …” lo disse con un composto scetticismo che venne subito a galla dopo un singulto spontaneo, ma che represse subito e dissimulò con un tossicchiare piuttosto costruito.
Cloud, per natura, non era incline a far valere le proprie insinuazioni, così si infilò ancora più in fondo nella caldana piacevole della trapunta, adagiò la testa sul cuscino e il bagliore celestino non illuminava più Tifa al punto di distrarla.
“Se lo dici tu” bofonchiò, non appena ebbe assaporato l’ultimo istante di lucidità, che si consumò del tutto nella confusione dei sogni.
La mattina, a colazione, non ne parlarono di fronte ai bambini e la giornata proseguì sostenuta nella tensione di rivangare l’argomento, quindi lo gettarono nel dimenticatoio. Ma l’accanimento era forte e di lì a poco sarebbe tornato a farsi sentire. Quindi era come se l’avessero solo appoggiato nel dimenticatoio e questo non si fosse mosso di una virgola, tanto da non venirne risucchiato.
Le conferme arrivarono sul ciglio della tarda serata, quando erano finiti anche gli ultimi convenevoli del dopo – cena e non restava altro che sparecchiare le stoviglie rimaste; Tifa si alzò, ma Cloud la intimò con un cenno di restare dov’era per non metterla sotto sforzo. Lei dal canto suo si limitò solo a sorridere alla timida imperizia di Cloud o meglio alla sua inetta inimicizia con l’economia domestica, e a impartire indicazioni per evitare un rocambolesco frastuono di vetri rotti.
Poi un trillo inconfondibile.
Tifa si voltò subito di scatto in direzione della modica porta e Cloud fu più lesto di lei nell’andare ad aprire, con la sua falcata marziale. Aprì con la solita titubanza e subito avvertirono entrambi una folata di deserto arido che si insidiava sempre più radicalmente nei loro giustificati sospetti.
Cloud era una maschera pestata nello stucco, ma le sue terminazioni  palpitavano sangue nervoso, era come se fosse in bilico tra due reazioni contrastanti dinanzi alla sciupata bozza di sorriso di Zack, come un dejà – vu ricorrente; Tifa, per contro, era scioccata e i suoi occhi alternavano le due figure stagliate l’una di fronte all’altra con strabilianti convulsioni della testa.
E dovette riconoscere che il sesto senso di Cloud non sbagliava mai, ma solo poi se ne sarebbe resa conto.
“Amico …”
E gli batté una pacca fin troppo convinta ed ebbra sulla spalla. A quel punto lo sguardo di Cloud verteva più sul disgustato che su una comprensività attesa fervidamente da Zack, forse.
“Cosa hai fatto?”
“Cosa ho fatto … Fammici pensare … Allora, l’ultima cosa che ricordo è che ho distrutto un serbatoio, no anzi, l’ho rubato perché la moto non mi andava… Poi ho incontrato un paio di tizi che mi hanno invitato in un pub e …”
“Dov’è Aerith?”
Cloud non si esponeva oltre. Tifa, per contro, era ritta ad osservare la gretta scena, tesa per certi versi e non aveva tutti i torti.
Zack manteneva un sorriso triste e sciupato, dissimulato solo dell’inebriante brezza che aleggiava nei suoi sensi.
“Ma sai che non la vedo da settimane?”
A quel punto Cloud iniziò a mostrare i segni di debellamento della sua costrizione, stringendo in due solidali pugni le mani.
“Cosa dici?”
“Quello che dico, amico … Non la vedo da settimane. Me ne sono andato …”
“Fai sul serio?”
“Cloud non fare così, ti prego …” s’interpose Tifa, la voce rotta da tremolii impellenti
Cloud afferrò la collottola, senza neanche pensare che era troppo sfiancato da una situazione recalcitrante per reagire; era un peso senza sostanza e francamente se ne infischiava, proprio come Zack che era venuto a cercare la giusta punizione forse. A quel punto Tifa si materializzò tra loro, stringendo le spalle di Cloud, sul punto di piangere nel notare quando fossero terribilmente in tensione e irose. S’incrociarono e solo allora denotò una forza di spirito brillare nei suoi occhi, ma non come avrebbe voluto perché tutto era fin troppo sbagliato.
“Ti prego …” lo incalzò nuovamente, con voce insicura, fervida di quella colpa di cui si sentiva responsabile, anche perché non se n’era mai fermamente resa conto.
Sembrò ammansire Cloud, perché mise giù un Zack praticamente inerme, senza alcuna curanza del suo eccesso di zelo o di considerazione perché poche volte si era esposto così tanto.
“Parliamone con calma, avanti …”
Tifa arrancò un’indole da mediatore, giusto per fissare una relativa tregua che sarebbe durata almeno fino al termine della serata, o della situazione.
Cloud era impassibile come sempre, Zack ansimava, carezzandosi istintivamente il collo e respirare quella consumata tensione che si era interposta tra di loro e che sarebbe sempre rimasta, a discapito di qualunque cosa.
“Io non ci parlo con lui”
Un tonfo che non avrebbero dimenticato, che andava al di sopra della soglie dei dolori che in quel momento intercorrevano sulle gote da bambino di Zack, ancora fresche della sonora manata che si traduceva come lo sfogo represso della frustrazione di Cloud, che decise di mettere in chiaro la situazione una volta per tutte. Si liberò perfino dalla stretta di una Tifa in preda alle più recessive sensazioni, che non poté far altro che accasciarsi e sorreggere il viso intriso di sangue di Zack, ma non limitò a Cloud una fuga liscia come l’olio.
“Dove caspita vai?”
La scena era grottesca: Cloud sulla soglia della porta, gli occhiali e la maniglia già inforcati e lei, ansimante e scossa che reggeva il peso della sconfitta dormiente, probabilmente svenuta.
“Una notte al fresco mi calmerà”
Un ultimo tonfo deciso seguì alla resa di una situazione che le era stata comoda per troppo tempo e le gocce iniziavano a riempire pericolosamente il vaso di Pandora all’orlo.
Ma Cloud era veramente al fresco.
Non in gattabuia, ma da solo – o forse no – con le redini delle sue inibizioni in mano e finalmente poteva condurre lui la danza, chissà per quanto ancora.
Si presentò nuovamente alla porta di quella casa che aveva i colori spenti di una linfa che aveva smesso di pulsare da tempo, senza i baci di un sole fulgido, ma come al solito ritrovava in quegli occhi che gli vennero ad aprire quella piccola, sospirata, effimera vena d’ottimismo che li screziava al punto da renderli ancora più belli e tristi di quanto non fossero già.
“Credevo fosse… Ma non importa, entra …” esordì lei, concitata e cortese. E Cloud era nel suo solito passo marziale.
La casa era conservata in uno stato in cui vigeva la massima vigilanza riguardo alla compostezza, irradiata da profumi sgargianti e da fiori appassiti, in una versione più demenziale del quadro grottesco che era dipinto sulla soglia della sua porta, giusto qualche istante fa.
Cloud non aveva proferito parola, ma un fardello incredibile gli pesava sullo stomaco e in gola.
Non ebbe bisogno di prendere l’iniziativa perché odiava farlo e questo lei lo sapeva, perciò si gettò letteralmente tra le sue braccia, sfogando e sfigurando ciò che veramente credeva di essere, liberando come uno sbarramento scrosciante le sconfitte incanalate come indigestioni di bile e di profezie nefaste. Lo strinse, come se credesse che fosse solo una distorsione degli eventi, e lui non poté far altro che sentirsi coinvolto e farsi coinvolgere in sé, in una spira di sensazioni represse, ma che poteva mostrare anche solo per una sera perché lei stessa ne era consapevole allo stesso tempo.
“Che imbecille.”
“Non so cosa dire … Per lo meno sta bene o no?”
Cloud la strinse di più.
“Non direi. L’ho praticamente steso”
Aerith prese a singhiozzare senza farsene una colpa, inumidendo il suo petto con quella caldana salata a cui tanto era devoto, e non lasciava che nessuno accarezzasse le sue verginali lacrime fino a che non fossero state corrose dalla corruzione stessa, consumate nella perizia di un istante carico di un’intesa che andava oltre il platonico.
Lei gli prese il viso tra le mani, contemplandolo al punto di non trovarvi più alcun punto di svolta, per quante volte lo aveva rimirato da vicino e quante occasioni c’erano state per scalfire una partita persa in partenza. E per una volta non avevano l’impulso di sentirsi colpevoli.
La lasciava fare perché non era mai stato così bene.
Però lei scorgeva in entrambi l’unico appiglio a cui non avrebbero mai dovuto aggrapparsi, perché se l’avessero fatto sarebbero crollati immancabilmente in uno spiraglio di istinti risvegliati, voraci come un baratro nell’Inferno e quindi sarebbe stata tutta fatica sprecata. Lo abbracciò di nuovo, per poi esortarlo a tornare da Tifa, mentre asciugava le ultime lacrime calde e liberatorie, contemplando la presenza onnipotente di quella bimba non ancora nata che tanto alimentava quel pianto.
“Non esiste. Rimarrò qui fino a quando l’ultimo briciolo di me non si assicurerà che tu stia bene.”
E sul volto di Aerith nacque quello che potremmo definire una grottesca accozzaglia di facce: non si riusciva a capire se la smorfia sghemba, che tagliava trasversalmente le labbra denotasse condiscendenza o intimidazione; non era chiara neanche l’inclinazione della testa, era come se lo stesse pudicamente ammonendo, ma contemporaneamente lo stesse studiando con crescente curiosità; i suoi occhi erano screziati di un punto luce e Cloud si chiedeva se fosse sopraffazione o gratitudine. Un mistero tutto da pregustare.
Ebbe un meritato sintomo quando gli disse, con tono di chi si è rassegnato già da tempo:
“Inutile insistere con te, Strife, presumo”
Annuì, ancora incerto di quali fossero le sensazioni che Aerith sentiva.
Aerith Gainsborough cosa provi in questo momento? Sei triste perché hai ciò che desideri davanti a te e non puoi toccarlo? O sei felice perché non ti sentirai mai privata di un affetto, represso appena Zack oltrepassa quella porta?
Tediose domande che lasciavano vaghe risposte e che in quel momento non avevano alcuna importanza.
E ricominciò tutto dall'inizio, in una spirale di sensazioni disperatissime, con i capelli che giacevano inermi sul guanciale e un mistero nei suoi occhi vividi, che poteva solo carezzare; un sorriso che sapeva di una scaltrezza studiata, come se ogni terminazione del suo corpo esile volesse invogliarlo ad addentrarsi in confini mai scoperti, quando in realtà rideva solo della sua posizione da autostoppista incallito contro la parete.
“Sei fin troppo protettivo con me, Strife”

 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Addicted: Mi sono arresa alle evidenza già da tempo, ecco perché non riuscivo a essere prolissa come al solito.
Ad ogni modo, questo di Cloud ed Aerith è un morbo che si arrampica sugli specchi e lascia un alone inconfutabile, che rende il tutto così soffuso e confuso.
Capisce subito che qualcosa non va, che sia una mera concessione degli eventi che gli consentono di usufruire del dono specialissimo della paranoia o una tattica spiacevole che sto giostrando da dietro le quinte; in un modo o nell’altro, Cloud riesce a sentire Aerith e la sua anima che piange, lo si deduce anche dal videogioco quando lei gli va in sogno.
Tifa è costretta a piegarsi alle vigorie emotive che nascono non appena Cloud realizza la totale – e fraintesa – noncuranza di Zack (questa ve la spiegherò più avanti); è come se fosse una martire dell’amore e della sottomissione, ma non si stancherà mai di raccogliere i cocci… Indifferentemente da chi ha il cuore più fragile.
 
Questo capitolo è il perno emotivo che sorregge l’intera opera, da qui in poi tutte le azioni sono sottomesse a uno specialissimo arbitrio, che vi sarà più evidente nel corso della lettura di queste battute clou che seguiranno. Se crolla questo, crolla l’intero Cheats.
Questo capitolo è in assoluto il più ipocrita, falso, autocommiserante e traditore, nonché sintesi perfetta del titolo Cheats che significa inganni o, come li chiamo io, giochi di spessore.
Addicted sta per assuefatto; gli inganni ammorbano ogni organo che respira e inghiottisce ogni perdizione, fino a rendere schiavo – assuefatto – la vittima o il carnefice che sta dietro la sbarra, dietro il coltello o una facciata bigotta.
Se non capite questo, non capite Cheats.
 
 
Ringraziamenti vivissimi a:
 
Shining Leviathan, inconfutabile perno di saggezza e onniscienza, che non fa altro che alimentare le mie suggestive fantasie sui tornaconti targati Fack. Tesoro, sappi che si divertiranno molto nel prossimo capitolo.
 
Ad _alister, mia fedele compagna di OTP e Clerith feelings. Conosco il tuo rapporto complicato con le long, quindi non posso far altro che ringraziarti ed esternare a parole – seppur con eufemismi che mi costano caro – la mia gratitudine.
 
E, naturalmente, a Manila, interessante e spigliato punto di sfogo delle mie maldicenze nei confronti di quella (buona) donna di Lucrecia e quant’altro. Se non altro, tra le tante Cloti, è tra le poche a vedere di buon occhio – anche se lo fa solo per me – la mia tanto amata Clerith.
Che le disavventure siano con te.
 
 
Alla prossima,
S.
 

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Capitolo 23
*** #Me and Mr Jones ***


#24. Me and Mr Jones
 

 
"Sembriamo due animali in quarantena"
"Io sono sexy per lo meno ..."
E Zack ricevette un sincero buffetto dalla sua pasciuta amica, che si era improvvisata crocerossina del sorriso dopo che il doloroso ‘risveglio’ del suo migliore amico lo aveva spedito per una manciata di minuti nello spazio profondo, di cui non ricorda il benché minimo sentore. Sta di fatto che la settimana appena trascorsa si era consumata in un rollio di realtà che nemmeno il suo ultimo briciolo di onniscienza sa se sono realmente accadute o meno, quanto era in balia di sollievi effimeri e felicità cieche.
Non biasimava Cloud per quello che gli aveva fatto, anzi gli era grato perché ora più che mai era redento verso le conseguenze che avrebbero costellato il calvario. A questo pensiero il suo volto s’imbrunì e Tifa, seduta accanto a lui su quel divano arrangiato a letto, mise giù quell’espressione di sostenuta offensiva.
“Ehi, stai tranquillo. Aerith non è una persona rancorosa”
Zack le sorrise, grato per tutto ciò che stava dimostrando. Non avevano mai coltivato una sana amicizia, tutto ciò a causa dell’irregolare altalena di ostacoli che ogni volta gli avevano impedito di approfondire una conoscenza degna di essere chiamata tale. Andava così da quasi due anni e Zack era abituato a rivolgersi a lei con forzata spontaneità, vedendola solo come l’immagine arrangiata di eterna fidanzata del suo migliore amico - avevano alti e bassi come tutti - e devota fino al midollo.
La ringraziò, tornando a trangugiare il cibo riscaldato che faceva da rifornimento insieme alla caldana di una coperta smunta, che si infilava docilmente tra le forme prosperose e pasciute di Tifa, e un film con il signor Jones.
Un carisma da vendere e l’irriverenza verso le donne rendevano pan per focaccia a una personalità forte come quella di Zack. Il signor Jones, per anni, era stato un sogno proibito e poi un reale incubo, cullato solo nelle note di una famosa ballata che era stata gratificata come la migliore colonna sonora di un film indipendente come quello, risultando un inaspettato successo commerciale.
La signora Jones, invece, era una donna d’altri tempi a cui nessuno poteva aspirare e che il signor Jones immaginava come sua degna compagna, per non dire complice, perché entrambi erano ingarbugliati nei desideri della vita. La signora Jones non si dava mai per vinta e per questo cantava e sorrideva sempre, anche quando non c’era nulla da fare.
Canticchiarono insieme il motivo andante corredato a un testo altrettanto elementare, recitando quasi, senza sapere di essere proiettati in uno scenario che attendeva solo loro due per essere completo. Ogni tanto Zack smorzava drasticamente le smorfie dettate dal canto, per ovviare che il colpo inferto da Cloud era ancora fresco e non aveva sortito ancora in pieno il suo effetto; Tifa, allora, smetteva anche lei di battere pletoricamente a tempo le mani e deformare con piglio lieto quel viso che non aveva mai visto la deturpazione. E allora ridevano a singulti convulsi.
Il film riprese e i pensieri scemavano. Una forza motrice li spingeva ad addentrarsi in confini che non avevano mai osato valicare, che si traducevano in sguardi fugaci che imploravano un desiderio latente, che veniva represso quando si sorridevano laconici; non era dettato da una bramosia invadente, questo no, però Zack necessitava di una terapia intensiva, di una calura ospitale, dal piglio quasi materno e solo Tifa, dal suo pulpito di madre, avrebbe potuto allietare un po’ i suoi sogni che si susseguivano come quelli di un bambino appena nato, che non può fare altro se non sognare.
“Cloud non tornerà stanotte … ” soffiò lei, che non aspettava neanche un cenno di conferma da parte di Zack, che si stupì nel constatare che sorrideva tranquillamente, come se non stesse succedendo nulla alla bocca delle sensazioni che non riusciva a esternare. Lui, che di allusioni ne aveva fatte tante, a cuor leggero.
“Certe volte rimpiango di non avere un cucciolo” rise, abbassando lo sguardo.
“Allora sarò io il tuo cucciolo stanotte” annunciò, foderandosi sempre più nella profondità calda della trapunta. Tifa gli sorrise grata, senza neanche abbandonarsi a un buffetto per l’irriverente capacità di Zack di mettere tutto a fuoco. “Tranquilla non ti toccherò. E’ terreno di Cloud… E poi il sesso con le donne gravide è scomodo”
Tifa rise, stavolta abbandonandosi al buffetto sulla guancia che forse Zack ha istigato giusto per il gusto di provarlo, perché i buffetti di lei erano intrisi di una materna comprensione, di un affetto speciale che la vita ha dato opportunità di conoscere.
“Tanto meglio. Anche il sesso con i porcellini non è dei migliori” fu la risposta pronta di Tifa, che sosteneva l’umorismo di Zack con altrettanto trasporto
“Dici questo perché invidi la nostra pelle così elegantemente setolosa”
“Le setole sul sedere, però, non sono così eleganti”
“Io le porto con classe”
“Sì, ma il sesso è ugualmente fuori discussione” ribadì nuovamente, lasciandosi andare a una convulsa gesticolazione delle mani
“Perché, ci speravi?”
Intanto Mister e Miss Jones scarrozzavano felici lungo la via del non ritorno, perché la vita è un biglietto di sola andata.
Rinnovati da una nuova coltre di pensieri, da cui trafugavano linfa nuova, scroccavano qualche pezzo del film di tanto in tanto giusto per tenersi compagnia in quella grottesca combutta di silenzi che non facevano altro che alimentare i sospetti su Cloud e su di loro; Zack carezzava ogni tanto il ventre pasciuto dell’amica, lasciandosi andare a pianificazioni di spettacoli di marionette e scherzando sul fatto che Aerith aveva un futuro come sarta di burattini, mentre Tifa trangugiava quella goduria latente, col volto imbrunito da quel pensiero fugace, ma prepotente che avrebbe voluto Cloud al suo fianco, a pianificare sussurri mentre le carezzava il ventre, come tante altre sere in effetti.
Poi, quando il cuore della notte stava per spiccare il volo, si poteva vedere la cespugliosa chioma color pece di Zack, simile a un arbusto di rovi intricati, che copriva le spalle nude di Tifa; il peso della testa e dei suoi sogni tutti su di lei e il volto di un bambino appena nato che non smette di fare sogni placidi. Stanca anche lei delle consapevolezze che pesavano sui suoi occhi, posò l’ennesimo sguardo mite su quello chiuso di Zack, perdendosi come aveva fatto finora, guardandolo come una madre fiera e soffermandosi furtivamente sulla gota arrossata e sulle labbra esangui, per niente turgide, ma che non sembravano compromettere la bellezza fanciullesca del volto dormiente. Allora si infilò ancor più in profondità della calura e lo abbracciò, cingendolo col braccio e stringendolo come per trovare sollievo in quella fredda notte in cui i sogni andavano a dormire con le proibizioni, con annesse inibizioni. E si addormentarono abbracciati, insieme alle voci Mister e Miss Jones che morivano al calare di un nuovo tepore.
Anche Cloud ed Aerith dormivano, ma non vicini come loro, anzi restavano lontani, abbracciandosi in sogni che sospiravano a conti fatti.

Eppure le loro mani si stringevano ancora vorticosamente come due amanti.

 
 
 
 
 
 
 
Synthesis
 
#Me and Mr Jones: E’ una delle canzoni che preferisco di Amy e solo l’immagine di un uomo – un Mr Jones a cui tutte possiamo aspirare – che prende a pugni l’egoismo degli altri con sagacia e beltà ha saputo fare da sfondo perfetto a questo cameratismo che ha un che di forzato, lo ammetto. Però è di Zack e Tifa di cui stiamo parlando, che hanno uno spessore talmente incisivo da poter dare spontaneità a un topos che è stato rielaborato in tutte le possibili salse. Questa è una salsa un po’ agrodolce, intrisa di auspici e di nuove aspettative che prendono il sopravvento sui sensi di colpa e sugli standby.
Questo capitolo lo paragonerei a una porta che si scardina; come se queste aspettative avessero sbloccato il passaggio che impediva un’evoluzione dei pensieri che erano intrappolati nelle rispettive bolle.
 
Tifa e Zack sono i personaggi più spontanei a mio parere, sebbene alcune loro sfumature possono trarre in inganno o essere fraintese; sono spontanei nel senso che sono loro che delineano le parole che mi limito solo a riportare, solo loro che gestiscono me e queste mani che sanno muoversi con velocità sufficiente per impedire che i pensieri vadano persi in un turbine di sabbia e vento.
Tifa, trovatasi dinanzi all’ennesima frantumazione – ancora una volta causata dall’egoismo di Cloud, un egoismo che giustifico questa volta – e messa con le spalle al muro, si ritrova a raccogliere i cocci: quelli di Zack, pronto a redimersi. Cloud, stavolta, ha saputo svegliarlo da un sogno che credeva eterno, dimostrandosi un ottimo mediatore tra l’incoscienza e la volontà di Zack, liberandolo da un limbo in cui era inesorabilmente intrappolato.
Tifa e Zack si scoprono confidenti, meditando anche sui buchi di trama che ha quel loro rinnovato rapporto: lui l’ha sempre vista come la fidanzata secolare del suo migliore amico e lei faceva altrettanto; solo poche chiacchiere argute, un sorriso e poi tornava tutto come prima. Nella concezione iniziale di Cheats, quel maledetto prologo che rappresenta sostanzialmente un buco di trama imperdonabile, quando Zack vede per la prima volta Tifa tira fuori un lungo fischio e le confessa di essere più interessato alle sue tette che alle sue chiacchiere; Tifa rotea gli occhi e controbatte: “Peccato tu non abbia le tette, allora. Saresti stato decisamente interessante anche tu”. Zack, allora, prende a trattare quell’arguzia con i guanti bianchi, rivelandosi poi un sempliciotto sentimentalista, ma niente di più. A parte quel pomeriggio trascorso insieme, Tifa e Zack non avranno – almeno fino all’inizio di Cheats – altre occasioni per approfondire il loro rapporto.
Dopo quel brainstorming sul fatto che i maiali e le donne gravide sono oggetti del sesso poco convenienti, Tifa e Zack si addormentano abbracciati, con le voci di Mr e Mrs Jones che se ne vanno, proprio alla fine del film. Ricordo di aver preso ispirazione da una scena simile che avvenne in estate: mio cugino e la fidanzata si addormentarono sul divano della casa al mare, mentre alla televisione stavano dando L’uomo bicentenario con quel geniale Robin Williams. Erano divertenti, perché lui russava e la saliva della bocca di lei aveva lasciato un alone bluastro sulla sua camicia.
 
Approfondiremo sulla notte di Cloud ed Aerith nel prossimo capitolo.
 
 
Ringraziamenti a:
 
Aeris aka Hilda,che mi ha allietato il cuore dai molti tormenti che hanno costellato la stesura di Cheats, riuscendo a essere esaustiva e rassicurante. Ancora grazie.
 
E a Manila che sorregge i miei sforzi sovrumani. Tesoro, per quando riguarda le disavventure, mi farò perdonare presto, lo prometto.
 
Grazie anche a voi, lettori del silenzio.
 
 
A bientot,
S.
 

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Capitolo 24
*** #You sent me flying ***


#25. You sent me flying
 

 

Si sarebbero svegliati presto, in momenti diversi, concepiti in una nuova locazione che non conosceva né tempo né spazio, ma solo la coscienza che un errore del genere non sarebbe accaduto mai più.
Gli occhi di Cloud abbracciarono una mesta stanza dai toni freddi di una lealtà consumata, che filava con perizia tra gli interspazi tersi della finestra, dei pulviscoli e di ogni parola uscita illesa dalla notte appena trascorsa, era attanagliato da sensazioni ben diverse da quelle che avvertiva ogni qual volta che si svegliava nella casa coniugale dove ogni mattina aleggiava una nuova, esorbitante sensazione di pulito; poi si sentì sciogliere quando le sue iridi indugiarono nell’abbraccio caldo e soffuso che i capelli di Aerith creavano sul guanciale candido, mentre sulla piazza destra del letto giaceva quasi morto il palmo ancora aperto della mano, in attesa di un nuovo ipotetico calore d’amante. Cloud guardò poi il suo palmo e notò che non aveva il guanto e non solo faceva fatica a mettere insieme i pezzi, ma i formicolii che intercorrevano quegli istanti sembravano mandargli un messaggio di protesta, allettati da quelle dita virginali, aperte e vuote come la sua mente.
Non si era pentito del monito che aveva stampato sul viso di Zack, piuttosto pensava a Tifa, tacita testimone degli eventi di cui, tuttavia, se n’era fatta una ragione in un certo senso quindi avrebbe giustificato ogni suo minimo ed ipotetico passo falso: lei sa perfettamente che Aerith è come un filo che se va tirato troppo, innesca una miccia assassina che Cloud e Tifa identificano con un morboso attaccamento a un qualcosa di fin troppo speciale.
Forse quando sarebbe nata la bambina, le cose sarebbero cambiate.
Decise di crearsi un diversivo e prendere a intrecciare dei fogli di carta reperiti sul comodino, vicino a un blocchetto aperto, che conservava la calligrafia mista di Zack a quella tonda, quasi elementare di Aerith. Non sbirciò, non ne aveva voglia. Preferiva buttarsi a capofitto in una stasi senza stimoli, pur di non sentire le ragioni che lo avevano portato alla deriva così presto.
Nella casa si respirava già un’aria gelida ancor prima del solstizio. E gli venne in mente il Natale imminente, l’ultimo che avrebbe passato come individuo solo dato che dal prossimo anno ci sarebbe stata un’altra vita a compensare i vuoti che si sarebbero succeduti. Aerith pareva non pensarci e continuava a dormire senza intoppi e Cloud si limitava a guardarla, perché gli piaceva e anche perché sentiva l’impellente necessità di farla sentire apprezzata – meglio ancora amata – dato che – essendo Aerith come un fiore – senza amore sarebbe appassita.
Aerith si svegliò sul tardi, come se niente fosse, aspettandosi di brancolare in una solitudine fredda e allietata solo da una luce che stava pian piano assumendo toni soffusi. Si stupì quando trovò Cloud dove l’aveva lasciato la sera prima, mentre vegliava con la stessa devozione con cui intrecciava i fogli di carta, che aveva abbandonato a loro stessi.
“Hai fatto colazione?”
“Sì” mentì lui “Come stai?”
“Meglio …” sussurrò, con la voce madida di un peso che la rendeva assai più gravosa del solito. Non ci fu bisogno di dire che quello era il solito pretesto di Aerith per sdebitarsi delle premure che le venivano concesse.
Si alzò piano e si sedette sul bordo del letto, dinanzi alla poltroncina di lui, che buttava i fogli di carta sui cigli del pavimento, finendo per urtare anche il blocchetto dalla scrittura tonda ed elementare. Sorrideva, anche se voleva piangere di gratitudine.
“Oggi voglio andare a trovare Tifa. Voglio vedere come sta, se il suo ventre è cresciuto, carezzarlo e sussurrare tante cose belle alla bambina. Le ho fatto anche un disegno a cui ha contribuito anche Zack, anche se non abbiamo potuto finirlo insieme …” a quel punto alzò le spalle e riprese a raccontare, sorridendo. Lui ascoltava con apparente sufficienza. “E ho provato anche a farle dei guanti. Nascerà in estate, lo so, però il prossimo Natale magari potrà indossarli. Sono diventata abbastanza brava col punto croce”
A quel punto lui la baciò sulla fronte, complice di una bellezza che non avrebbe mai avuto fine, così leggera che lo faceva volare. Poi si sedette sulle ginocchia proprio nel punto che faceva da guado tra il letto e la poltrona.
“Sei brava a farmi sentire in colpa”
Lei scosse la testa.
“Avevo solo bisogno di parlare”
Stavolta la strinse, portandola vicino a lui e si ritrovarono a volare sulle ginocchia, spostando il peso del mondo nel punto dove doveva stare. Perché erano guariti e potevano fare tutto ciò che volevano.
“Lo so” 
E il sussurro si perse in un pianto che liberò tutta la lancinante frustrazione di un calvario che sembrava non avere fine, nella ricerca disperata di trafugare la felicità che aveva sempre avuto, in quella casa e con Zack. Singhiozzava in un modo che a Cloud parve irrimediabilmente straziante, come uno stridore asmatico che gli premeva il capo fino a tramutarsi in un dolore sordo, e sfociare nell’ennesima burella in cui rimaneva incastrato. Cloud pensava a Tifa in quei singhiozzi e il volo terminò bruscamente. Per una volta, però, lui non era nei pensieri di Tifa.
Se ne accorse quando non capiva cosa fosse quella motrice che lo spingeva a stringere sempre più Aerith, fino a non farla respirare pur sapendo di dover consegnare quel tripudio a una croce eterna. Non ne fu sollevato, ma non ne poteva fare a meno.
“Piangi pure … Ne hai bisogno” erano le sue parole, che ripeteva ogni tanto come un mantra per calmarla forse “Mi dispiace per tutto quello che hai passato, ma più di questo non posso fare niente”
E lei allora lo stringeva di più.
“Tu hai fatto più di chiunque altro” ripeteva tra i singhiozzi “Ma se continui così finirò per amarti più di quanto non voglia”
A quel punto sentivano una morsa comune che li stringeva fino a far soffocare ogni loro patetica intenzione, come a fare da monito, anche se sapevano già ciò che volevano. Erano guariti, potevano fare ciò che volevano. Anche restare abbracciati per ore, ma non lo fecero per provare a loro stessi di essere veramente liberi da quella schiavitù che li rendeva dipendenti l’uno dell’altro.
Si sciolsero e Aerith asciugò le ultime lacrime, abbozzando dei sorrisi che finivano per sfociare in risatine nevrotiche. Era così tremendamente imperfetta e spontanea che Cloud sorrise a sua volta.
“Sono pronta ad andare”
Si alzarono e notò che Cloud era ancora scosso dallo scetticismo.
“Tranquillo, ho affrontato situazioni peggiori. Posso capire quello che Zack ha passato perché lo sto passando anch’io, solo che lui è più bravo a mostrarlo”
“Quindi il mio pugno non è servito a niente, deduco”
Lei sorrise.
“Ogni tanto un avvertimento ci vuole”
Risero alla realtà univoca e al destino infimo perché, alla faccia loro, si erano riscattati di tutto e di tutti, che li davano per vinti dalla schiavitù morbosa.
“Ti giuro che non capisco …” esordì timoroso “Ci provo, ma non ti capisco. Penso che non riuscirò mai”
“Questo perché sei un paladino della giustizia e sei intollerante a queste cose”  disse lei “Ma ricorda che io sono cresciuta nei bassifondi e la giustizia non esiste”
“Non è questione di giustizia o meno … E’ solo che non capisco”
“Beh, intanto esci fuori che mi devo cambiare, maniaco”
Cloud annuì con una certa condiscendenza, trovandosi estremamente a disagio, ma Aerith rimediò con un sommesso “Scherzavo, dai. Aspettami fuori e ti avverto che la moto la voglio bella veloce”
Appena fu fuori dalla soglia, mandò un sorriso al cielo del brumaio, cosciente che tutto sarebbe tornato come prima, mentre respirava l’essenza familiare di una melodia che gli ricordava tanto le mattine piacevolmente vivaci del tepore domestico, specie di domenica quando i bambini non avevano scuola e i sorrisi erano più frementi.
Aerith, in cambio, avrebbe saggiato una nuova felicità che si sarebbe tradotta in sorrisi sfuggenti, chiacchiere da madre a madre e nuovi fiori e nuovi profumi da dare alla sua vita. Stavolta ci sarebbe riuscita, a qualunque costo o menzogna.
Detto ciò, salirono in moto e si diressero verso le rispettive prospettive di linfa nuova, che scorreva in loro come overdose pura, in preda agli ottimismi più inattesi.
Corsero a perdifiato fino ad arrivare alla soglia della casa, dormiente nel tepore scalpitante di una frenesia tacita, che la perdeva nel sonno. Cloud ed Aerith si scambiarono un ultimo sguardo di reciproco sostegno, pronti a lasciarsi andare a ogni patto con la vita. Ora che erano guariti, potevano farlo.
Entrarono piano e sorrisero teneramente quando videro i corpi adiacenti di Zack e Tifa, assonnati e assennati nei loro più profondi sogni. Ma presto avrebbero scoperto che la realtà avrebbe preso il sapore della fantasia.
E si svegliarono come dal più amaro dei sogni, specchiandosi nei rispettivi sbagli, come se avessero bisogno di giustificarsi. Il tutto mentre andavano a stringersi per scusarsi con le colpe. Zack piangeva. Aerith piangeva di nuovo. Tifa singhiozzava senza riuscire a fermarsi. Cloud era fermo in un volo a cielo aperto.
Era tornato tutto come prima.

 
 
 
 
 
 
#You sent me flying: Niente scabrosi dettagli, altrimenti rischiavo di propinare una versione casalinga delle cinquanta sfumature di rating rosso che vanno da carminio al borgogna. Il tutto va a discrezione dell’autrice e di quanto la sua fantasia sia impetuosa.
Comunque vengono alla luce alcuni aspetti che anche loro si vedono costretti ad ammettere, tra cui l’evoluzione della loro malattia che diviene amore ai loro occhi.
 
Credo che la frase che più accosterei ad Aerith in questo particolare momento di Cheats sia “I was fine before you walk into my life” tratta da una canzone di Pink – U + Ur Hand – che si traduce con “Stavo bene prima che tu entrassi nella mia vita”, anche se io la cambierei con “Stavo bene prima che voi entraste nella mia vita”.
Zack è pentito, lo abbiamo visto tutti, eppure ciò non toglie che abbia causato molte sofferenze, anche giovanili chissà, ad Aerith.
Cloud è il movente che fa nascere una contraddizione petrarchesca:  è un ideale proibito e come tale dovrebbe marcire nei meandri più reconditi dello spirito carnale, ma Aerith sa che la parte più serena della sua anima, una volta lasciato andare via, verrà inghiottita dalle tenebre.
 
Cloud penso sia stato una fiaccola per Aerith, giusto per ricambiare il favore.
 
Comunque non credo ci sia molto da dire. E’ tutto districato dai quei giochi di mani che si sciolgono e finiscono per intrecciare un nodo che, con l’avanzare dei capitoli, si stringe sempre di più per poi morire di asfissia.
 
Ringraziamenti a:
 
Aeris aka Hilda, con la quale mi fa molto piacere confrontarmi. Non capita tutti i giorni trovare un piglio così competente e così simile al mio in fatto di gusti e predilezioni.
 
Shining Leviathan, naturalizzata Shiny, che offre sempre sostanziosi spunti per appagare i miei diletti.
 
E a Manila che, vada come vada, è sempre lì per me.
 
A bientot,
S.
 

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Capitolo 25
*** #Some unholy war ***


#26. Some unholy war
 

 
La Vigilia soffiava fredda sul collo, con sbuffi che lasciavano l’amaro nel cuore; niente che il focolare domestico non potesse scaldare, mentre la mente trafugava pensieri che si perdevano in balocchi, cappe e ceppi scoppiettanti.
E Tifa ricordava ancora quella mattina, assaporando sul suo volto un sorriso amaro: non avrebbe mai dimenticato il volto madido di lacrime di Zack, che stringeva Aerith come se non fosse mai accaduto prima, come si assapora il primo calore primaverile, effimero e intenso. Ci pensava e rimuginava spesso, finendo per perdere la cognizione di un tempo in cui non si aspettava mai di ritrovare Cloud, che preparava la stanza della bambina con trasporto fremente.
Aerith e Zack erano venuti a fare visita più volte, insieme come i petali di un fiore, che si separano solo quando l’altro è costretto a lasciare il calore affettivo e quindi cadono insieme, per paura di perdersi tra le spire del vento.
E quelle stesse spire portavano consiglio e turbamenti.
Lo aveva letto sul volto di Aerith a pomeriggio inoltrato, quando l’imbrunirsi del crepuscolo lasciava ombre sul suo volto, ma non sulle sue coscienze che apparivano chiare e limpide; se n’era accorta anche perché stava sciacquando quel piatto meccanicamente da dieci minuti di orologio e non l’aveva ascoltata quando Tifa l’ha pregata di mettere le stoviglie appena lavate nella credenza per lasciar posto a quelle per la cena.
“Sì, direi che il piatto è abbastanza pulito …” sentenziò Tifa, sfaldando il silenzio e la complicità che era venuta a mancare da poche settimane a quella parte.
Aerith annuì con surreale inerzia, gli occhi apatici e le mani che continuavano a strofinare la superficie traslucida del piatto senza tregua.
“Un altro po’ e ci potrai pattinare là sopra …”
E tagliò la patina sempre più in profondità.
“Hai ragione, scusami” fece lei, con forzata vivacità, portando la mano tremante alla credenza, andando in confusione non appena il suo grido si perse in un tonfo cristallino, di tanti steli puntigliosi che si perdevano disordinati, come i fumi dopo l’esplosione di una miccia, come la fusione, un passaggio graduale che si ripeteva in più passaggi così veloci da mandarti in preda al panico.
Allora Aerith gettò lo strofinaccio, si scusò più volte con Tifa senza guardarla negli occhi, anche se lei aveva intuito una concitazione che deperiva la vitalità color smeraldo; lo poteva individuare nello scorrere convulsivo dei cocci tra le dita, come se stesse carezzando dei battiti di cuore, ed ebbe la sensazione che volesse assaggiare la carne e il sangue, senza sapere di cosa fosse fatto il dolore. Le venne da implorarle di non fare niente, ma lei continuava a racimolare il tutto per metterlo in chiaro e in sesto. E recitava preghiere senza senso, soffiava rantoli pesanti, che gravavano tra loro come guadi insormontabili, tristi presagi allo stato brado. Aerith in posizione embrionale, le ginocchia che sfioravano il mento, senza vita seppur attraversate da frementi formicolii, era un feto morto come quello che dimorava nel suo ventre buio.
Continuava a scusarsi.
“Scusa, scusa, scusa …” diceva, come se fosse un mantra “Sono un disastro …”
Aveva la voce madida di pesi e rotta.
Le dita che intrecciavano lascivamente il sangue e la carne, comportandosi come automi, senza intendere o volere.
Allora Tifa gettò lo strofinaccio in terra, si mise anche lei sulle ginocchia e raccattò i frammenti dalle sue mani con perizia, sorridendo mesta in modo da non stonare con la precaria emotività di Aerith, che aveva gli occhi intrisi di stupore.
“Perdonami ancora. Sono una stupida, so solo fare disastri” diceva ancora, per poi abbassare di nuovo lo sguardo per non mostrare i segni del deperimento.
“Aerith …”  mise i frammenti frastagliati in un involtino di carta, per poi lasciarli sul tavolo e stringere le mani dell’amica, ancora attraversati dai formicolii e tremendamente fragili come le ali di una farfalla “Tranquilla non è successo niente”
Senza darsi il tempo di sorriderle, singulti nuovi di pesi presero il sopravvento costringendola a dare libero arbitrio a tutte le sventure rimosse e accumulate durante gli ultimi mesi di trapasso insieme a Zack, che avevano abortito le loro insicurezze, lasciando che nuove si insinuassero come serpi in seno.
Tifa l’ascoltava piangere: piangeva, ma non lacrimava, proprio come se stesse prendendo sempre più coscienza della serpe che mordeva i seni e il ventre sempre più in profondità; aveva gli occhi iniettati di mestizia eterna. E non la biasimava.
“Aerith … Si tratta di nuovo di Zack?”
“Non si tratta di Zack, tranquilla. Penso che abbia imparato la lezione …” diceva, mentre le parole si insinuavano a fatica tra i singulti e la schiena, il volto prostrato a una realtà convessa “Ci abbiamo riprovato, capisci … Riprovato …”
Quel che aveva davanti agli occhi era una scena angustiante, per usare un eufemismo. Tifa non poteva credere che stesse andando tutto bene, perché la serpe di guerre profane ne aveva innestate tante e quindi vagavano come in un vespaio. Le strinse le mani e la intimò a sedersi su una sedia, accanto a lei; neanche il peso del ventre pasciuto poteva bilanciare quello che gravava su Aerith in quel momento e le venne anche a lei da lacrimare quando fu l’amica ad aiutarla per rialzarsi da terra, gli occhi più belli che mai e le forze che si immolavano allo struggente strazio che faceva da corrente portante. Si sedettero, complici della stessa realtà convessa a cui era stava Aerith a immolarsi, ma anche consapevoli che i dolori non possono stare a lungo celati.
Tifa la lasciò piangere senza poter dire o fare nulla, perché era meglio così e infatti l’angustiante ritmo andante del pianto aveva lasciato il posto ad ansimanti singulti che somigliavano a convulsioni involontarie, come se non si desse scrupolo nel fermarle, ma leggeva sul suo volto la personificazione di un calvario frustrato.
Si presero nuovamente le mani, o meglio fu Aerith a farlo, ora che i singulti si erano affievoliti e il volto era rigato ai due lati da due linee salate, che incavavano le gote.
“Non posso vederti così” esordì Tifa, con perentorio tono di una madre che capisce già qual è il dolore della figlia “Non posso accettare che io sia felice e tu no”
E ancora una volta aveva peccato di altruismo.
“La colpa non è tua, Tifa … Tu meriti di essere felice, non devi neanche pensare ciò che hai detto” replicò animatamente Aerith  “Sono io che ho qualcosa che non va, altrimenti adesso sarei già a pensare alla stanza da fargli … Ma non lo farò mai perché non posso”
La coscienza si perse tra le spire flebotomiche di nuovi singulti che furono illuminanti per portare Tifa su un piano di molto superiore alle sue cognizioni d’esperienza, perché non riusciva a comprendere a fondo lo strazio che doveva provare la sua amica, perché aveva un ventre buio, in cui avevano paura di dimorare. Piansero insieme per il tempo che seguì, una straziata dall’ingiustizia e l’altra dalla consapevolezza; purganti che si erano incontrate a metà strada finalmente, dopo aver vissuto tante angherie equivalenti e senza neanche comprendersi, sorridersi o compatirsi.
Il gioco era condotto da quella flebile spira di altruismo che spinse Tifa a un’azione che l’avrebbe costretta a immolarsi ripetutamente sugli altari della vergogna e avrebbe condannato tutti in quella storia, pur sapendo che ciò avrebbe portato una felicità redenta di cui avevano davvero bisogno. L’unica soluzione era tenere celato questo segreto alle indiscrezioni.
Perciò la invitò a guardarla e Aerith notò il sorriso indulgente di tolleranza sul suo volto; un luccichio balenava negli occhi di Tifa che nessuno aveva mai notato, tranne Cloud nei tempi in cui aveva preso coscienza di loro.
“Aerith, ti meriti la felicità. Voglio dartela”
“Tifa non dire così, non è vero, non è una tua responsabilità …”
“So che solo lui può renderti davvero felice. Le ferite si sono rimarginate solo perché c’è sempre stato lui accanto a te quando ce n’era bisogno e io lo capisco. Il mio non è un atto di compassione, perché stasera farò felice tre persone” sorrise, senza bisogno di rese incondizionate. Sorrise perfino allo stupore che deformava il viso di Aerith in una maschera di stucco.
“Non potrei mai farti una cosa del genere. Io sono guarita, lo giuro”
“Proprio per questo. E’ il mio regalo di Natale per te”  aggiunse “Solo che dopo me lo ridarai indietro”
“Tifa …”
“Deve essere in piazza, vicino al negozio. Aveva delle commissioni da fare. E se sei fortunata, lo troverai ancora lì. Avanti vai.”
Aerith, senza che il rancore portasse consiglio, si calò sul suo viso e le scoccò un bacio in piena gota, per poi stringerla dolcemente per le spalle, irrorandola un po’ con la calura delle sue lacrime felici. E si diresse piano alla porta, con una certa reticenza nella compostezza e sul volto, che lasciò andare solo quando fu punta dei refoli gelidi della bora natalizia, che la spingevano a dar sfogo a tutte le gioie inattese, i rantoli repressi e il gusto di una felicità amara che sapeva di un nuovo sorriso.
La città si stagliava ritta e imponente dinanzi ai suoi occhi, specchio soffuso di quelle luci intime che si intrecciavano in spire esorbitanti, creando dei giochi illusori. La neve, intanto, iniziava ad adagiarsi lascivamente sulla carne e sulla terra battuta; cadendo a piccoli fiocchi, che non intralciavano in nessun modo la sua felicità forsennata.
Correva più forte che poteva, voleva svuotare i refoli d’aria nel suo corpo, all’altezza di un cuore che traduceva la sua felicità in battiti rapidi e gravosi, bussando al petto come se avesse impazienza di uscire e farsi sentire; saliva in gola e poi tornava giù, più carico di prima.
I suoi occhi gridavano il suo nome, senza che gli altri le dessero credito, perché non era lì dov’era ora.
Allora andò controcorrente alla fiumana di passanti che si riversava sui marciapiedi come un torrente in piena, nuotando a pieni polmoni e aprendosi goffi varchi oltre gli spiragli di luci soffuse; la testa non aveva rancori e tantomeno il cuore. Per una volta si trovavano d’accordo.
E intanto continuava a chiamare il suo nome a perdifiato, ma non con la bocca, a gridare erano i battiti del cuore che trafugavano anche loro spiragli per farsi sentire.
Era arrivata in piazzetta; la neve aveva preso a cedere altre lacrime di fiocchi, che arrossarono il suo viso e le fermarono il cuore, che monopolizzava la mente. Aveva fame e solo il gelo della neve sapeva saziarla, anche misto a dei baci di felicità.
Si guardò intorno, per scorgere la felicità. E intanto sentiva che stava pensando a lei.
“Deve essere qui …”
Lo sentiva forte e chiaro e voleva gridarlo. “Ti sto cercando. Voglio incontrarti”
“Anch’io”
Incespicò timorosa, facendosi spazio in modo da creare dei diversivi, perché non sapeva dove cercare, cosa fare per monopolizzare la coscienza, cosa fare per saziarsi ora che la neve non bastava più.
Fu solo quando si arresero alla guerra stanca, che riuscirono finalmente a vedersi nudi e crudi, a incontrare i veri loro. Aerith era seduta sul ciglio della fontana in piazza, guardando le misteriose figure andare avanti e indietro senza meta; Cloud invece era stato guidato dal filo di un aquilone sospeso che l’aveva portato a riconoscere la mestizia in quegli occhi chiari, che erano così perché le emozioni ne avevano prosciugato il colore del mistero, a differenza di quelli di Tifa.
Un refolo si alzò per tracciare una distanza che colmarono a passi piccoli e fugaci, trafugando ogni straziante attesa.
Cloud aveva un soprabito scuro, Aerith aveva la mantella rossa e il suo fiocco tra i capelli. Lei aveva anche gli occhi e il viso arrossati.
“So tutto” esordì lui, senza guardarla “Non so se si possa fare”
Aerith sorrise lieta, la punta del naso fredda e le gote di un rosso vivido da far sembrare quasi che si vergognasse.
“Non mi importa. Quel che mi ha detto Tifa mi ha fatto felice. Questo è quello che conta”
“Mi fa piacere” fece lui, senza nasconderle un sorriso di buon auspicio “Buon Natale, Aerith”
“Buon Natale, Cloud”
La neve cadde anche sui loro sospirati silenzi, finendo per cedere il monopolio dei sensi a una nuova, rinnovata coscienza che si insinuò velocemente senza bisogno di guardarsi indietro per sconfiggersi di nuovo. E Cloud lo capì quando prese Aerith per la vita e la portò tanto vicina da poterla respirare, costringendola a poggiare la bocca sulla sua, respirandosi in uno scambio di baci repressi che venivano finalmente alla luce morente di ogni nuovo spiraglio, che si insinuava sempre più sottile, quanta foga c’era, e pian piano il tutto divenne un sublime intreccio di sapori salati, neve e grandine insieme, il calore di un corpo asciutto e i postumi della malattia e della guarigione.
Le mani erano gli amanti, le dita si abbracciavano e poi si scioglievano, perché Aerith si fece coraggio e cinse il collo nudo di Cloud, con lo stesso trasporto in cui i loro baci e i loro corpi si abbandonarono l’uno all’altro, nella piazza della città, in cui si stava consumando tutto troppo in fretta.
Era come baciare la felicità, la stessa storia di sempre, solo che sarebbero dovuti tornare indietro per capire a pieno che non sarebbero mai stati schiavi della malattia, ma solo complici di un sistema che loro identificavano in quel gesto tanto atteso e che non si sarebbe mai più ripetuto.
Cloud la baciava, arrossiva e piangeva e si rendeva conto che la guerra era più inutile adesso che prima.
Aerith continuava, assaporando fugaci respiri e trovandovi sempre più conforto e se avesse aperto gli occhi avrebbe visto la felicità pendere dalle ciglia.
 

 
 
 
Synthesis
 
#Some unholy war: Partiamo da una tematica che mi sta molto a cuore ed è trattata con i guanti bianchi, un po’ logori e sudici di totale inesperienza formale a dire il vero, sebbene abbia ripercussioni che possono apparire forzate e bigotte, considerando anche il fatto che abitiamo in un paese in cui si scodella l’ipocrisia come fosse cibo per gli affamati quali siamo.
Il bello è che non siamo affamati di pane…
C’è una stolta inedia in giro che ci impedisce di guardare in avanti, se prima non saziamo la nostra fame. Non è una fame di stomaco, ma di bocca, orecchie, occhi, naso, giustizia, anima…
E io sto divagando.
 
Ad ogni modo, quest’apparenza bigotta è intrisa di un realismo che si rifà a delle memorie che conservo gelosamente nei cassetti della mia impudenza, anche perché non dovrei fingere cinismo per spiegare la Clerith revenge che, dopo un po’, torna a farsi sentire nei suoi toni più vividi.
Sappiate solo che questa Aerith paranoica, accusatrice di se stessa e – quasi – bramosa di dolore, lesionista è solo una rielaborazione ampollosa di una donna che soffriva di un altro tipo di inedia, stavolta si sentiva anche nello stomaco; è una sorta di Rosemary Woodhouse in chiave moderna.
 
Il capitolo può dirsi una sorta di mescolanza malriuscita di Rosemary’s Baby e Mistletoe (non la canzone).
 
Tifa si dimostra il perno della situazione, colei che prende le redini in mano e sopporta le conseguenze che sortiscono dal suo gesto inatteso. Sembra quasi che consegni ad Aerith le chiavi per il cuore di Cloud o, meglio, per attraversare quel sentiero a cui era arrivata così tante volte, ma si era sempre trovata in un vicolo cieco. E’ una samaritana di Natale, anche se così sugella una sorta di compromesso libertino: se ha lasciato che il bacio si consumasse senza carneficine e scazzottate varie, non si sentirà in colpa se i fragili ormoni della gravidanza la portano tra le braccia di un certo ripiego bruno.
Scherzi a parte, credo si sia tutelata, in un certo senso: dopo quella serata passata a parlare e cantare di Mr Jones, credo che qualcosa sia scattato in lei. Non dico che voglia esplorare i confini più intimi, quanto piuttosto proteggersi dai sensi di colpa: in questo momento, è nella fase più vulnerabile.
 
Cloud ed Aerith sono guariti.
L’esitazione iniziale è solo un pretesto per capire quanto sono vicini: sono disposti a scendere a patti con le parole, ma con i fatti devono essere meno indulgenti.
Già una volta si sono tentati e ne sono usciti illesi.
 
A proposito, per la scena del bacio mi sono ispirata a una bellissima fanart che ho trovato in rete, ma che non riesco a trovare… Magari la posto nel prossimo capitolo perché è davvero molto bella.
E’ una perla anche per coloro che non supportano Cloud ed Aerith, perché è un capolavoro di grafica, colore e disegno.
 
Ringraziamenti vivissimi a Manila, che assaporerà la sua personale portata Darlene molto presto. Intanto ricambio il favore di quel bellissimo frammento Clerith con questo gesto simbolico, questo bacio che ti farà torcere le budella, inizialmente… Perché so quanto sei permissiva su questi accoppiamenti orgiastici!
 
S.
 

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Capitolo 26
*** #Moody's mood for love ***


#27. Moody’s mood for love

 

Solitaria, notava che sull’asfalto battuto del viottolo che percorreva il cortile si stava sciogliendo un manto bianco sporco, reduce di una nevicata plausibile. Aveva il viso arrossato e gli occhi iniettati di sollievo, che pendevano in bilico tra la coscienza archiviata e aloni di fiato caldo sul vetro della finestra, che veniva subito rigato dall’indice turgido, per poi rimarginarsi con altri refoli e questo con costanza recidiva fino a che non provò sollievo appoggiando la testa di peso alla superficie tersa, che lasciava intravedere la notte che si stagliava solitaria dinanzi a sé, mentre dalla città in sottofondo poteva sentir risuonare il tramestio e le luci soffuse che potevano venir spenti con un bacio, quando voleva in bocca solo sapore di menta fresca mista a neve sporca.
Tifa Lockheart era un tutt’uno con i suoi spiragli: sempre in attesa e in quel momento era trepidante nell’assaporare il prezzo della gratitudine per aver peccato così d’altruismo; eppure la stasi sembrava non terminare tant’è che decise di compensare il tutto con l’impellente freddo che trapelava dalla notte e dalla finestra, carezzandosi il ventre pasciuto e ripetendosi “Ci saremo solo noi per lui …”
La notte avrebbe portato a risvolti inattesi, anche se sentiva di non aver bisogno di lui in quel momento perché doveva far ordine alle sue priorità, consolandosi della consapevolezza che tra pochi mesi non avrebbe avuto più dubbi del centro intorno a cui avrebbe gravitato la sua vita. E la chiamava per nome, cantando una canzone familiare che parlava di una donna arrivata alla follia solo ed esclusivamente per amore, facendolo passare per un sentimento nocivo, ma che quando lo si prova può portare solo gioia gravitazionale.
“Una pazza che è pazza per amore”
Una voce sfaldò il canto, rompendolo come un bacio spegneva le luci di una città in subbuglio. Si voltò di scatto, perché questa volta non se l’aspettava davvero. Zack aveva la stessa posizione da autostoppista allampanato, tutto studiato, tranne che nel suo sguardo sincero.
“Yo!” disse, spostando il peso dallo stipite della porta e muovendosi docilmente verso la sedia occupata dai suoi piedi per prendervi posto “Pensavo che si stesse svolgendo un sontuoso banchetto qui …”
Tifa mise i piedi fasciati da un paio di vivaci calzini a tema natalizio sulle ginocchia dell’amico “Spiacente, tutto esaurito. In compenso c’è un bel buffet di avanzi nel frigo”
“Ho già mangiato, grazie. Sono solo venuto a vedere come stavi”
“Queste visite stanno diventando un tantino insistenti, non trovi?”
“No, io sono come il vento, gioia … Mi alzo quando meno te lo aspetti e travolgo tutto con le mie folate, non lasciandoti neanche il tempo di respirare perché sai che sarebbe inutile andare contro di me. Questa è la mia carta vincente”
Tifa fischiò.
“Quanto tempo ci hai messo per tirar fuori questa perla?”
“Credimi, non basterebbe neanche una vita”
Si lasciarono cullare dalla caldana che si specchiò nei loro volti fissanti la notte che si stagliava impenitente, senza dar segni di vita, mentre il manto sporco si confondeva con l’asfalto; Zack ogni tanto le accarezzava e le pizzicava i piedi, cantando una canzone dai ritmi infantili del tipo Questo porcellino andava a letto con la sua bella e premeva l’alluce per poi procedere progressivamente con l’indice Questo porcellino dormiva fino a tardi e il medio Questo porcellino era un eroe e terminava con un sommesso Questo porcellino va a consolare la sua amica gravida, il tutto sotto gli occhi e le risa sincere di Tifa, che rischiavano di svegliare tutta la casa per quanto erano intense e rintronanti. Soffriva il solletico meno di quanto soffrisse l’insofferenza.
“Questo porcellino è uno stupido …” esordì a un certo punto, portandosi istintivamente una mano al ventre perché le solleticava troppo.
“Questo porcellino è arrapante …”
“Questo porcellino è… Un porcellino e basta. Sei un porcellino e basta”
“Così mi elogi”
Lei fischiò di nuovo.
“L’aria natalizia ti giova, sai?”
“Più che altro mi giova il fatto che sto raggiugendo la data di scadenza”
“Per me rimani sempre un porcellino aitante”
Zack le sorrise, senza replicare con il solito trasporto perché amava quella complicità. E Tifa capì, sorridendo a sua volta.
E poi i toni si fecero familiari.
“Dov’è il biondo?” chiese come se fosse di prassi, pur conoscendo già il tutto, avendolo letto negli occhi scuri di Tifa che, essendo così bui, riuscivano ad assorbire tutto e celarlo sotto spoglie recondite.
“In giro”  soffiò lei, sorridendo serafica “E Aerith?”
“In giro”
“Staranno scopando!” rise lei, prendendosi beffa di lui con leggerezza.
“Lo spero. Il sesso è il motore che muove il mondo” fece lui “Anche se vorrei essere io ad aiutare Aerith a muovere il mondo”
“Io e Cloud direi che abbiamo già fatto abbastanza” cercò di sdrammatizzare lei, carezzandosi in modo convulso il ventre pasciuto, su cui indugiarono gli occhi sinceri di Zack e che parvero illuminarsi, ma senza straziarsi. Allora lui scoccò un fugace bacio al ventre, facendola sussultare.
“Valerie ha scalciato”
A quel punto Zack contrì il volto in una smorfia sghemba, ma al contempo era partecipe alla gioia immensa di Tifa, che era riuscita a dimenticare i dissapori che aveva con sé stessa.
“Il biondo ha approvato?”
“Cosa?”
Valerie Strife. Strano forte” fece lui “Com’è strana questa situazione …”
“Spiegati”
Voleva solo sentirselo dire, perché nulla era meglio come una strigliata soffiata in faccia come un refolo crudele.
“Voglio dire. Lui e lei. Tu e io. Uno scambio equo, sì, però fino a prova contraria Aerith è mia moglie e tu sei in attesa del bambino di Cloud. E tu hai approvato… Insomma, ti stai gettando la zappa sui piedi e stai mandando a monte anche i miei piani matrimoniali”
Tifa, però, sorrideva placida, come se niente potesse turbarla; sembrava addirittura divertita dalle concitazioni di Zack che di solito prendeva tutto così a cuor leggero.
“Mi spiace dirtelo, ma Aerith aveva bisogno di una felicità che non puoi dargli tu, per ora. Sei stato stupido, lo ammetto, però lei ti ama e questo è fuori discussione. Mi ha confessato che non può avere bambini …” a quel punto Zack strinse forte un lembo sporgente dei pantaloni troppo larghi “E io ho voluto contribuire a far partire la sua felicità da zero. Sono guariti e lo so, quindi ho deciso di concedergli un atto che avrebbero conservato in gran segreto, ma con una restrizione e un vincolo fondamentali: non dovranno mai guardarsi indietro e far finta che sia stata un’occasione per finire di scrivere un capitolo lasciato incompleto. La consapevolezza dell’amore di Aerith per te e il fatto che Cloud e io saremo una famiglia tra poco mi sono stati complici e un’ottima compagnia”
“Ecco perché eri a canticchiare una canzone su un amore scadente” fece lui, per mettere in prova il suo scetticismo che, finalmente, veniva  a galla senza rese alle sue leggerezze che tirava fuori quando era Tifa quella a non crederci. Era stato un buon maestro e lei aveva ricambiato il favore, mostrandosi fiera nel suo altruismo, che però aveva macchiato per sempre la felicità con un bacio scarlatto.
“E’ la prima che mi era venuta in mente”
“E non la canzone dell’asino che vola? O quella di Mister e Miss Jones? Stai messa proprio male”
“Meglio non covare rammarico”
“E vorresti portarti questo peso sulla coscienza?”
“Forse”
“Io no”
“E perché?”
“Perché sai che non sono buono”
Risero nuovamente, perdendosi per la prima volta in uno sguardo fugace e silenzioso, lasciando trapelare molti sentori di varia natura; per esempio Tifa ebbe l’impressione di sentire il respiro caldo di Zack sul suo viso e lui, di rimando, le carezzava in modo così lascivamente docile il profilo delle gambe un po’ di turgide di come le ricordava, ma sempre bellissime.
“Senti …” esordì poi lui, abbassando lo sguardo in silenzio.
“Mh?”
“Credi che potremmo ammalarci anche noi, dico, della stessa cosa di cui soffrivano Cloud ed Aerith?”
Tifa alzò le spalle.
“Non lo so, sinceramente” asserì lei “Hai forse sintomi strani?”
“Potrebbe essere un sintomo il fatto che sei incinta e ho voglia di scoparti?”
Senza scomporsi minimamente, alzò di nuovo le spalle, mentre alla bocca del ventre vi fu un altro calcio che innescò un subbuglio inatteso e impalpabile; era brava ad assorbire tutto nei suoi occhi scuri.
“Può darsi”
“Oppure può essere un sintomo il fatto che quando ti accarezzi il ventre sei arrapante ai miei occhi”
“Zack!”
“Vedi? Mi sono eccitato, guarda …”
“Sei disgustoso!”
“Ci avevi sperato, eh?”
E gli diede uno di quei buffetti che lui adorava di nascosto e si persero in nuove risate senza pudore, complici nella fedeltà reciproca e negli altri, mentre il manto sporco sembrava coprirli senza raffreddarli perché si scaldavano a vicenda nei loro sguardi.
“Posso dirti io una cosa ora?”
“Certo, Tifa. Qualunque cosa” disse, facendo un gesto marziale.
“Credo che ci stiamo già ammalando”
A quel punto Zack emise un profondo sospiro, tirato fuori da un meandro recondito, fino a spostarlo sulla punta della lingua e infine fuori in una smorfia tonda.
“Come al solito hai ragione tu”
“I sintomi sono evidenti”
“E noi troppo ciechi per vederli e troppo assorti dagli altri per sentirli”
“Siamo patologicamente recidivi …” soffiò lei, terminando i giri di parole e tornando a guardarlo come se non ci fosse altra scelta alla complicità.
“Allora penso che dovremmo guarire anche noi, come hanno fatto loro”
Senza preavviso allora, Zack si protese verso il suo corpo e il suo viso con una lentezza disarmante, che lasciò il tempo a lei di fare spazio nella sua mente per rendersi effettivamente conto di ciò che stava accadendo e lasciò fare agli eventi, offrendogli il volto d’avorio e alzando il collo come se volesse immolarsi su un altare come pasto sacrificale, pur di assaporare la medicina per la patologia che avevano diagnosticato. E sapeva che le sarebbe piaciuta. Lo capiva dal fatto che adorava il modo in cui il respiro di Zack calò sul suo viso, aprendosi all’unisono col suo e lasciando che i tripudi soffocassero l’uno con l’altro, mentre nel silenzio si librò uno schiocco preceduto da due gemiti univoci. Lo trovava adorabile.
Fu tutto semplice e maccheronico, per certi versi. E terminarono senza sorridersi, anzi sentirono che qualcosa di gravoso stava per discendere su di loro, senza bisogno che stipulassero nuove rese per palesarlo. Tentarono di abbozzare qualcosa, ma il disagio bloccava le vie.
“Meglio che vada” disse frettolosamente lui, chinandosi nuovamente per baciarle la gota, finendo per urtarle di nuovo le labbra, attraversate da un gemito fremente “A proposito, baci bene”
E fece per andarsene con un sorriso incorniciato da un volto attraversato da un colorito arrossato, di certo non dovuto ai gelidi refoli di vento.
Tifa rimase per alcuni istanti col respiro sospeso, inumidendo la bocca con la punta gelida della lingua nella speranza di cacciar via quell’indelebile traccia di medicina amara, che scendeva veloce e puntigliosa di sintomi analitici che spuntavano come funghi.
“Anche tu baci bene”

 

 

 

 

 

 

Synthesis

 

#Moody’s mood for love: E’ tanto che questa storia non cammina, eppure sente già male ai piedi perché si sta avviando sul viale del tramonto. Di tutti i capitoli preferiti che ho scritto, questo è stato senza dubbio il più appagante; spero che quei piccoli tremiti che ho sentito io una volta che l’ebbi finito arrivino anche a voi, temerari lettori che mi avete seguito fin qui.

La riscossa Fack è partita in sordina perché ho dedicato a loro pochi capitoli, quindi spero di poterla continuare anche dopo Cheats, con le urla che merita perché Tifa e Zack, insieme, sanno trasmettermi euforie e sensazioni che credevo perse; anche Cloud ed Aerith – e Cloud e Tifa, a loro modo – sanno farlo, ma con toni diversi.

 

Non so se l’atteggiamento di Tifa possa essere circoscritto alla sfera dell’ingenuità e dell’auto-commiserazione o a un latente egoismo. Mi spiego meglio: conscia dell’amore ormai cementato di Cloud per lei e il bambino che porta in grembo – e similmente, quello ritrovato di Aerith per Zack – ha deciso di diventare una combattente e smettere di raccogliere i cocci, ha deciso di ripristinare tutto quello che è accaduto, sanando i capitoli lasciati incompleti perché Cloud, ingravidandola, ha scelto lei e non l’altra.

Zack, però, è timoroso che questa concessione di Tifa possa far ammalare Cloud ed Aerith.

E, ancora una volta, si consolano a vicenda, ritrovandosi in una spirale di paranoie, attese e desideri che non troveranno mai realizzazione. Propendo più per questo rapporto amici nella cattiva sorte che per l’ammalarsi inesorabilmente della patologia dell’amore, anche perché sarebbe circoscritto solo alla carnalità e solo dopo tanto, tanto tempo di travagli e maturazioni diventerà un amore degno del suo nome.

Il fatto è che sono vittime di un amore che lascia incompleti e in quel bacio hanno cercato di trovare la metà che avevano perso e a lungo cercato.

Si sono ammalati sì, ma non allo stesso modo di Cloud ed Aerith: sono malati d’amore e pensano di non essere curati abbastanza, perciò cadono nello sconforto e diventano dei pazzi che sono pazzi d’amore. In poco tempo, Zack è diventato la roccia di Tifa perché riesce a capirla, prova il suo stesso dolore e sente i suoi respiri, i battiti del suo cuore e delle sue incertezze.

 

 

Prometto di riprendere la lettura di una storia che mi sta molto a cuore, forse anche troppo e di recensirla con costanza, tempo e ispirazione permettendo. Manila, la tua sorellina sta per tornare!

 

 

S.

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Capitolo 27
*** #I heard love is blind ***


#28. I heard love is blind

 

Amy, everything is between the cheats.

 

L’estate giunse tardiva quell’anno, quindi dopo il solstizio insisterono ancora per un po’ alcuni recidivi soffi di frescura, non intaccando però la crescita di boccioli precoci, che faticavano ad aprirsi al mondo e alla luce per paura di essere frustati a morte dai rimasugli di un inverno lungo e stanco e di una primavera povera di soffioni; però, ora che i tempi fatidici erano maturi, Tifa poteva sorridere ai giochi di colori dei fiori così inebrianti, che si premuravano di portarle allegria frattanto che Cloud era fuori per le consegne. Con suo sommo piacere, era diventato più servizievole dopo che era entrata nel terzo trimestre, premurandosi che i suoi impegni non fossero mai forzati, facendole trovare fiori di giorno e candele accese quando il buio della brezza estiva la rendeva volubile ai suoi stessi sforzi. E sembrava annegare a bagnomaria in una placenta impregnata di tutte le sue felicità inattese che a loro volta divenivano aspettative che contornavano lo scenario roseo che pronosticavano i fatti.

Anche gli altri della famiglia le erano stati vicini; Zack le aveva addirittura fatto trovare un completo intimo per quando sarebbe tornata alle origini e Barret ci aveva scherzato su dicendo: “Pensa proprio a tutto questo Fair!” 

Tifa allora aveva riposto il biglietto e il pacchetto nel cassetto più nascosto, addirittura più recondito di quello in cui teneva i suoi sogni; aveva sorriso e si era addormentata con lo stesso sguardo di quando era con Cloud senza rese o nessuno che toccasse quell’istante fuori da tutte le lecite garanzie, eppure nei sogni impazzava il rombo di una moto misto al gusto del gelato al sale marino e a un profumo.

Zack profumava di talco.

Anche Aerith glielo diceva, ma sentirlo era un’altra cosa.

E sentì ruzzolare anche il più minimo spiraglio di lucida e fedele concezione di come potevano essere le future risa, sentì affastellarsi su un tappeto di foglie morte, poi su una coltre di neve, il mare di pensieri le arrivava fin sopra il naso e infine respirò il pulviscolo irritante che si traduceva in un profumo di polline di un prato curioso, su un cielo disturbato dal volo di uno stormo di uccelli neri, forse corvi o gazze non lo sapeva; erano dello stesso colore corvino dei loro capelli, del respiro di Cloud quando si stringeva su sé stesso, circondando il petto e cercando di circuire anche quello di Tifa; era anche il nero della notte nonostante tutti insistevano nel dire che fosse d’un cianotico blu. Che strani punti di vista quelli dei suoi sogni, che rotolavano su sé stessi come a costituire un rompicapo, un gioco a incastri dove non sapeva dove mettere mano.

Poi affogava nella mansueta e tranquilla placenta dei sensi, sebbene stesse andando a fondo e forse alla deriva.

E il profumo di talco prendeva il posto di quello inebriante e sincero di Cloud, con il suo stesso sguardo chiuso e sorridente, sperando che anche lui stesse sognando cose belle, magari di loro. Forse i suoi sogni non erano così complessi come i suoi, pensava; perché lei sapeva nascondersi bene alle aspettative.

Un pomeriggio, di quelli belli, che trasudavano armonia da ogni raggio sconsiderato che filtrava dalla finestra e dai suoi occhi tersi, Aerith si era presentata a sorpresa a casa quando non c’era nessuno, neanche i bambini. Aveva con sé il mazzo di fiori quotidiano, che non mancava mai in casa. Le raccontò più volte del sogno e di come le apparisse tutto così confuso.

“E’ comprensibile” era riuscita solo a dire, mentre ravvivava con sbuffi gentili delle mani i petali dei fiori sbiaditi, infondendo una nuova ondata d’amore. Poi li tolse via dal vaso accantonato sul bordo della finestra e in una procedura rapida e solerte, li mise sul tavolo, cambiò l’acqua sporca e vi mise quelli nuovi, mentre nell’aria assaporava un nuovo grido di purezza.

Intanto Tifa aveva rimuginato per più istanti ripetuti sulla risposta di Aerith e per più volte si era ritrovata a bivi plausibili, poi volgeva uno sguardo implorante alle sue gesta intrise di così devota premura, come se quell’abilità le fosse nata nel petto e man mano nel tempo si fosse protratta fino alle mani così esili e gentili, che carezzavano i petali e i fiori, come se gli parlassero. Gemette. L’amica smise subito di premurarsi dei fiori freschi e il verde dei suoi occhi timorosi sembrarono ammaliare la fitta, che smise.

“Tutto bene?” chiese, senza preoccuparsi dei fiori, quelli lasciati a poltrire sul tavolo, senza cibo o acqua.

“Sì …” sospirò profondamente, alzandosi con la schiena eretta sul letto, un cuscino a far da sostegno “Contrazioni. Sono normali”

“Ormai manca davvero poco”

“Già”

Si sorrisero, mentre Tifa riprese nuovamente a rimuginare sopra concetti abusati fino alla noia e Aerith tagliò il gambo dei fiori ormai sciupati del loro colore e della loro freschezza, avvolgendoli poi un involtino di cellophane e mettendolo in una borsa, simile a una prigionia buia, in modo da dargli una degna sepoltura forse. Avrebbero visto la morte nel buio.

Frattanto la placenta si muoveva paradossalmente alla placidità di quel pomeriggio perfetto, senza ustioni oppure odori che facessero presagire nulla di sbagliato o buono.

Le due amiche si sorrisero, contemplando la compagnia reciproca, fatta di risate e confessioni, ma certe volte anche di silenzi benefici, sfaldati solo da piccoli e laconici gesti: Aerith si sedette su una poltrona vicino al letto, la stessa che Tifa usava quando Cloud era costretto a letto con la febbre, e le carezzò con maestria congenita il ventre pasciuto, tracciato dalle lenzuola leggere che sembravano sbuffare, che si perdevano in piccoli lembi circolari e si sorrisero. Un moto di mestizia, però, imbruniva i loro occhi, seppur in modo diverso: gli occhi chiari di Aerith erano in simbiosi col suo desiderio di poter cullare anche lei una vita dentro di sé; quelli scuri di Tifa assorbivano il mondo e tutti i suoi dolori, rintanandoli nello spazio a cui erano destinati. Vi fu un altro gemito.

“Scusa …” a parlare fu la voce di Aerith, incrinata dalla tristezza, che ritirò bruscamente la mano.

Tifa elargì un sorriso, forzato solo dalla fitta alla placidità della placenta, che stava iniziando ad agitarsi, come le onde di un mare sempre più birichino.

“Ricorda che manca poco. Sono al nono mese e sono contrazioni, te l’ho già detto”

“Sì, hai ragione” sorrise “Tra poco vado a prepararti un bel tè caldo e vedrai come starai bene”

“Grazie”

“Per te questo e altro”

Si strinsero la mano, condividendo ciò che attendevano da tanto: Tifa non l’aveva mai detto a voce alta, ma in quei momenti in cui la confidenza diventava un impellente bisogno fisico aveva bisogno di un’amica al suo fianco, una che avrebbe potuto condividere con lei le sue confidenze di madre. E chi altri se non Aerith, che si era sempre premurata di farle trovare una bella tazza di tè caldo per alleviare i dolori del terzo trimestre, la sua fervida compagnia fatta di allusioni e speculazioni varie o anche nuovi lavori a maglia, ricavati da vecchie scatole gremite di fili; il suo ultimo regalo sono stati dei guanti di lana rosa, così piccoli da sembrare quelli di una bambola, dall’amore talmente fragile di un pensiero che non andava sciupato.

“Le piacciono le tue carezze, lo sai?” sorrise Tifa a un certo punto, notando il timoroso formicolio che attraversava le dita di Aerith, tentate fortemente di dischiudersi nell’ennesima carezza confidenziale.

La placenta iniziava a cigolare sotto i piedi e sotto le culle, creando un improvviso senso di vuoto. C’era quasi, ma non voleva dirlo.

“Davvero?”

“Puoi fidarti. Quando l’accarezzo io come minimo scalcia, invece quando sei tu a coccolarla si calma e diventa placida, come se cadesse nel più beato dei sogni”

“Meglio non rallentare i tempi. Altrimenti continuerai con questi sogni che tanto ti turbano. Te lo leggo negli occhi”

Tifa calò lo sguardo con i segni della frustrazione prostrati fino a incavarle dei brutti segni dell’insonnia; ma le fitte continuavano, lei le soffocava stringendo la bocca, mordendosi le guance e le labbra.

“Tu dici che è comprensibile”

“Infatti lo è. Anzi, secondo me è buon auspicio”

Diceva così perché Tifa non l’aveva detto, ma aveva tralasciato la parte in cui odori e calori estranei a quelli che di solito sentiva quando dormiva la notte accanto all’altro cuscino si sovrapponevano, diventando parte integrante del sogno e poi il sogno stesso: si stava ammalando anche lei, ma era più brava a reprimerlo.

“Dici?”

“Sì. Calori e odori familiari vogliono dire soltanto una cosa …” lei sorrise “Che la piccola non vede l’ora di nascere e ti sta mandando dei segnali in sogno perché è l’unico modo per comunicare con te”

“Non so. Penso che mi sto ammalando” disse tutto d’un fiato, non tralasciando e svelando nulla.

Aerith elargì un accorto sorriso, le mise una mano sulla fronte, come se dovesse tastarle la calura e poi si portò l’altra alla sua, come per confrontare le febbri.

“Di febbre non ne hai” sentenziò.

Tifa, allora, strinse dei lembi di lenzuolo come se dovessero alleviare le sue frustrazioni; calò il capo, prostrato dalle troppe colpe e consapevolezze.

“Tu non hai capito …”

“Certo che sì, invece. Riesco a distinguere una malata vera da una immaginaria” 

C’era passata anche lei.

Tifa non alzava lo sguardo e non dava segni di compatimento verso sé stessa; sapeva solo colpevolizzarsi, ora che certi pensieri erano sotto il monopolio della sorte.

“Ma ho tutti i sintomi”

“Ti stai facendo condizionare dagli eventi. Lascia che i sogni siano solo una parte di quello che vuoi e quello che temi. La piccola vuole portarti consiglio attraverso i sogni, per testare la tua reazione e a giudicare dal tuo rifiuto di accettare la tua sanità, posso dirti che quello del sogno non è effettivamente quello che vuoi”

Tifa si specchiò nello sguardo accorto di lei che, senza esitazioni, aveva capito tutto quello che le era passato per la notte e per la testa, assorbendolo nei suoi occhi scuri. Che il pensiero di Zack anche nei sogni fosse solo un catalizzatore per portarla più vicina ai suoi veri desideri; che anche solo peccare con la mente la turbasse in modo da renderla così incapace di prendere tutto a cuor leggero, che quello per Cloud fosse un amore che andava al di sopra delle semplici scappatelle della sua mente?

Aerith le stava dicendo di sì.

Non era malata, lo sapeva nel cuore; aveva solo bisogno di certezze che per molto tempo erano mancate anche a Aerith e a Cloud durante la malattia; lei e Zack non erano mai stati morbosamente malati, ma solo sfiorati e hanno puntualmente respinto la malattia che si sarebbe insinuata tra loro e avrebbe compromesso tutto e non ci sarebbe stata quest’armonia che sentiva trapelare da ogni parte del corpo, perfino nelle vibrazioni violente della placenta.

Gemette ancora un po’.

Stava per affogare, non voleva ammetterlo, ma il calore era vicino e sentì l’impellente voglia di cacciare via quel pensiero e quella sensazione maligni più di ciò che le avrebbe fatto, perché non voleva farle del male.

I gemiti divennero rantoli e Aerith si spaventò, pur rincuorata dai sorrisi di Tifa; che divennero insopportabili a un certo punto da forzare. Allora lei si alzò, diretta al telefono per chiamare il medico. Ma i rantoli si placarono.

“Vado a farti il tè?”

“Sì, grazie …” disse, senza alcuno flusso di coscienza, solo per dare aria alla bocca e restare sola coi suoi pensieri senza bisogno di oppressioni.

Aerith corse al piano di sotto, senza immaginare che il sogno stava prendendo vita davanti a lei, al suo letto, si sentiva come in convalescenza dopo un periodo di purificazione da tossine picassesche, che le destavano i più strani pensieri.

Tifa, tra gemiti che divenivano rantoli e placente che si rompevano a suon di luci calde e oppressive, vide passare davanti tutte le sensazioni che davano per scontati i suoi sentimenti, fino a sfociare nella recidività.

E continuò così per un paio di minuti, nel frattempo che Aerith stava a vegliare il bollitore.

Sentì aprirle i sensi e le narici un insano aroma di talco fresco misto a quello del cuscino accanto a cui dormiva tutte le notti, una mistura a dir poco letale che invogliò i rantoli a continuare sempre più impellenti.

Sapeva che non voleva farle questo, ma era necessario perché non ce la facevano più entrambe. Era meglio finirla subito.

Passarono altri minuti, anzi istanti, con questo pensiero tra le mani e tra i rantoli che si evolvevano in modo sempre più spasmodico, come quelli di un automa; perdeva pian piano la lucidità dei sensi e la capacità di prendere coscienza degli odori e dei ricordi che si affastellavano l’uno sull’altro.

Non annegava in un ventre buio, ma in uno luminoso, pieno di forti sollecitazioni che aspettavano solo di essere palesate. C’era vita e lei la sentiva, forte e chiaro.

L’ultima cosa di cui era veramente certa sfociava nel colore azzurrino di un paio di occhi celestiali, letteralmente.

Adesso era completamente annegata nel mare di pensieri, dolori e placenta che scivolava addosso ed era carne stanca, alleviata dalla luce. Doveva farle male, perché glielo chiedeva, implorava con le lacrime agli occhi. E a malincuore l’accontentò.

I rantoli presero a divenire urla. Grida incontrollate che sfociavano in rantoli, poi in gemiti; una sorta di processione spasmodica che si ripeteva ciclicamente, in tempi e distanze sempre più ristretti; avveniva tutto velocemente.

Aerith era risalita, col vassoio in mano e non appena vide il suo viso impregnato di sudore e gli occhi scuri provati dalla fatica dell’insonnia e del dolore, non esitò a gettare le indecisioni per aria, letteralmente, e l’ultimo filo di coscienza si perse in un tonfo di ceramica e di rombi improvvisi.

“E’ lui …” riuscì a dire, prima di annegare insieme a lei; perdendo ogni coscienza e prova dei fatti.

Però lo chiamava, strillava senza dire nomi, sperando che capisse. Aerith era sconvolta, ma senza dare segni di cedimento, la portò di peso con sé mentre lei parlava senza fiato.

E lei continuava a chiamarlo, anzi entrambe lo volevano, lo imploravano, volevano sentirlo. Anche se non era forte, lo pretendevano.

"Tifa arrivo!"

Furono queste le ultime parole che sentì, prima di sprofondare sconfitta in una morsa di languidi dolori e spire vorticanti.

“Non può farcela da sola. Non puoi farcela da sola”

Aerith gli sorrise, sostenendo il peso del corpo di Tifa, che prima gridava, poi rantolava e poi gemeva.

“Sì che possiamo …”  gli passò davanti “Noi mamme siamo tenaci”

“Vado a chiamare gli altri”

“Ci vediamo all’ospedale di Edge

 

 

 

 

 

Synthesis

 

Il ritardo non è intenzionale, più o meno: qualche settimana fa, avevo intenzione di pubblicare il capitolo, ma vagliando il fatto che l’anniversario di morte della musa ispiratrice di Cheats, la signorina Amy Winehouse, era imminente ho deciso di propendere per l’opzione di pubblicarlo oggi, ventitré Luglio. Non c’è una canzone in particolare da dedicarle: con la sua voce, ha messo su questa storia che si sta avviando alla conclusione in modo sempre più rapido.

Penso che il capitolo parli da sé: le suggestioni del parto imminente si fanno sentire e il clima in casa Strife sembra essere meno saturo di tensione di quanto lo sia stato nei precedenti ventisei (il ventisettesimo è stato già pubblicato, come storia a se stante e si intitola Take the box. E’ assai marginale ai fini della trama, poiché è uno scorcio sul Natale visto dagli occhi precoci di Denzel e Marlene).

Ricorrenti sono dei sogni in cui tutto sembra prendere gli odori, i calori, i colori e le sembianze di Zack e del suo profumo che richiama quello del talco, quello che si usa per i bambini. La scelta è casuale: solo dopo, mi sono resa conto di questa coincidenza.

Tifa ha paura di “starsi ammalando” di quella malattia che rende tutti inevitabilmente ciechi e schiavi delle proprie illusioni, che ha come medicina la malattia stessa: per questo scelgono di non curarsi.

Ai timori di Tifa si accompagnano i rantoli del parto imminente e delle premure di Aerith che, in questo clima di trepidante tensione, la salva due volte.

Alla porta incontrano entrambe Cloud e, per una volta, è lui a trovarsi all’estremità.

Non è uno dei miei capitoli preferiti, ma è abbastanza importante.

 

Ringraziamenti vivissimi a:

 

Aeris aka Hilda, che mi sostiene e mi allieta il cuore.

 

alister_ che, per slancio suicida, si è rimessa in pari e mi ha fatto due dei regali di compleanno più belli che abbia mai ricevuto.

 

Manila che, bene o male, è sempre lì. Lei mi ha fatto regalo della sua presenza costante e di quel bellissimo capitolo del matrimonio che attendevo con trepidazione. Presto sarà Shera a fare un regalo a Cid, presumo.

 

E anche a L, la prima a credere in me, che mi ha fatto regalo – per non dire “sacrificato” - del CD Lioness Hidden Treasures della mia musa ispiratrice, privandosene per farmi assaggiare questo piccolo capolavoro musicale.

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Capitolo 28
*** #There is no (greater) lover ***


#29. (There is) No greater lover
 
 
Senza preavviso si era ritrovato a osservare impotente un susseguirsi di reazioni che instillate a piccole reazioni, sempre più insistenti, divenivano sempre più insostenibili, costringendolo a lasciare pavidamente il campo.
Era appena tornato a casa quando vide Aerith sulla soglia di casa, reggere a fatica il peso delle doglie di Tifa, addossandosi una responsabilità ben più grande di lei e a differenza di come avrebbe fatto lui, ha accettato di buon grado la consapevolezza e ha camminato a testa dritta, prendendo per mano le responsabilità di altri, senza guardarsi indietro, forse per riscattarsi delle colpe passate e trovare finalmente sollievo ai suoi sonni; o forse perché Aerith non era mai chi diceva di essere, non era una miscredente, non si lasciava condizionare da certezze inossidabili, per lei tutto era fuorché un dovere da prendere sottogamba.
Ricorda appena il moto di sensazioni che si sono innescate non appena aveva messo piede in ospedale, reggendo il peso dei cuori di altri, che si affastellavano come in un vespaio troppo stretto; però Cloud è cosciente solo di due momenti: quello in cui aveva visto Aerith sorridergli mentre portava il peso degli altri e l’altro in cui aveva stretto la mano ad entrambe, nell’epicentro del tripudio. E non era stato lui a sorreggerle, ma loro avevano fatto da sostegno a lui, così impacciato e goffo.
Era riconoscente a tutto e a tutti, forte era la gratitudine che pulsava dal petto e saliva fino in gola, prosciugandola del tutto; non aveva sete, ma desiderava saziarsi e sapeva che solo gli occhi di Tifa avrebbero potuto farlo, se solo lei non stesse recuperando le forze in un sonno senza spirali, la fronte impregnata di una placida fatica, gli occhi che dormivano, ma era provata lo sapeva, c’erano segni tangibili, anche se i pensieri e il respiro si erano assestati, a differenza della chioma che si espandeva a macchia d’olio sul guanciale: lui non l’aveva lasciata un attimo, perché aspettava di assaporare il momento fatidico in cui avrebbe sugellato definitivamente quel respiro che intercorreva testo tra loro e andava a farsi sempre più ansimante, per quanto grande era la sua bramosia di sentire la sensazione di appartenerle in un modo che non conosceva rese, limiti o scampi.
Era pervaso da un tonificante egoismo, che lo assaliva quando gli altri entravano per piangerle di gioia, carezzandole o addirittura stringendole come se non sapessero quanto fossero terribilmente fragili, tutte e due;  Zack si era addirittura premurato di restare per la notte, ma fu subito ammonito da Aerith quando lei lesse in uno sguardo celestino, alle pendici dell’emarginazione, una screziatura di disappunto latente.
“Invece devono stare da soli, Zack. Devono godersi questo momento per sempre, senza di noi” aveva sorriso lei, prima di congedarsi con due fugaci baci sulle gote arrossate di Tifa e uno sguardo intriso di lacrimante dolcezza al fagotto che dormiva avvolta in un panno chiaro. Allora Zack prese di buon grado la resa e assunse un piglio decisamente condiscendente e Cloud sapeva quanto gli costava; anche lui saluto Tifa con un bacio e sembrò dirle qualcosa di divertente perché rise forte, seppur provata dalla dolce fatica.
Poi si sentì sciogliere quando entrambi lo abbracciarono con le loro iridi chiare, pronte a dirgli tutto ciò di cui avevano fatto a meno in questi anni, parole d’affetto che mai come prima d’ora erano risuonate così franche e sincere.
Quando se ne andarono, riuscì a stare da solo con Tifa; ma l’aria tra loro era satura di aspettative che non potevano realizzarsi ora, quindi un assaggio effimero fu sufficiente per far calare su di loro una coltre serena di tepore che abbracciò lei quasi subito, mentre Cloud si crogiolò nella cogitabonda estasi di una primavera che propinava grandi cambiamenti, di una notte che avrebbe lasciato la bocca asciutta, mentre sotto i suoi occhi avvenivano piccole rese; tipo quando la stessa sera i bambini insisterono per dormire con lui, che acconsentì e gli cedette il posto nella piccola brandina arrangiata a letto.
E quel pomeriggio Cloud stava rimuginando ancora su Tifa che si era addormentata col sorriso, su Denzel e Marlene che dormivano vicini e senza abbracciarsi, su di lui che speculava e faceva palline di pensieri che accantonava presto o almeno fino a quando il tepore non prendeva anche lui. Tifa si era appena svegliata e lo guardava assestarsi continuamente la collottola della maglietta, divertita dal fatto che provasse a masticare parole più forti di lui, lasciando la stanza in un tonificante silenzio ora che Barret si era premurato di portare a casa i bambini per il pranzo; sarebbero tornati tutti nel pomeriggio e a breve avrebbero portato anche la piccola per l’allattamento.
Tifa pensò che Cloud era un po’ come i bambini: non aveva orari per riposare le emozioni che lo turbavano intrinsecamente.
E sorrideva, mentre la calura del sole timido saliva fin sopra la camicetta che Aerith le aveva portato come cambio, la mattina, quando Cloud era definitivamente affondato nell’estasi serena di tepore.
Questa tensione sospesa si sfaldò non appena una signora col camice delle infermiere dell’ospedale di Edge fece stridere sul pavimento intriso di cera una sorta di barella arrangiata a culla, dove riposava la piccola ancora avvolta nel panno di lino. Tifa la prese in braccio, sorridendo alla donna e poi a Cloud, che si voltò per nascondere il goffo sorriso che avrebbe dovuto ricambiare. Ma non ne fece un pretesto per angustiarsi, dato che Tifa sapeva leggerlo anche oltre i suoi semplici sbalzi. La donna li lasciò soli, con tutti i sensi all’erta.
Era distinto perfino il respiro della piccola, che prendeva gioia al sapore vago di latte, di cui si nutriva e cercava di tastare, raccogliendo l’amore che era maturato in nove semplici tappe e facendone suo cibo, nutrimento essenziale, pur essendo ancora allo stato brado della vita vera e propria. Cloud sentendo il suo respiro che si librava come una farfalla in volo, pensò che non ci fosse suono più bello, forse alla pari di quello dei bambini quando giocavano o si rincorrevano. Fece suo quel respiro e rispose quando sentì la chiamata dei suoi occhi piccoli e un po’ chiusi, somiglianti alle persiane.
Tifa stringeva ancora la piccola, sazia e rotonda, eppure fragile perché riusciva a coprire due palmi di mani aperte; aveva pochi capelli che somigliavano a filamenti preziosi ogni qual volta che il sole si avvicinava per vederla. Allora i loro tre sguardi sembrarono incrociarsi per far trapelare di tutto e Cloud si fece coraggio e raccattò tutti i moventi che avevano fatto da matrice d’attesa di quell’istante in cui tutto sarebbe divenuto così inebriante e lieto, chissà per quanto ancora.
Si fermò in piedi accanto al letto intriso dello stesso odore di cera e di sanità, conscio che ogni considerazione di lui l’aveva abbandonato, costringendolo a una perpetua esitazione rigida; mentre i suoi occhi affondavano sul viso piccolo e beato della bimba, la sua piccola dagli eterni occhi chiusi, forse dello stesso celestino malinconico o forse screziati di scarlatto, voleva tanto scoprirlo. Aveva voglia di affondare le labbra e ogni parte di sé in quelle gote simili a piccole pesche, soffici e inebrianti, una bramosia che non aveva mai provato, lontana dalla solita e vogliosa carnalità che concepiva nella donna che amava, eterna fautrice di un eclettico capolavoro, frutto di una collaborazione affiatata e del tutto voluta, reciproca.
“Penso che ti somigli” esordì lui, senza scomporre l’attimo o lasciandosi andare oltre la placida estasi; il respiro rigido, che si affollava al petto scoppiettante
“Allora somiglia anche a te” fece Tifa, cullandola e affondando ogni tanto il naso nelle sue gote, assaporando la maternità. Forse consapevole che avrebbe dovuto separarsi da lei, seppur per poco e ciò le dava una grande nostalgia.
“Denzel la trova molto carina” sorrise stavolta lui “Dice che la proteggerà, come io faccio con voi. E che somiglia molto anche a Marlene. Forse dice così, perché sono le sue sorelle”
“Ma Marlene non è sua sorella”
Gli occhi di Cloud erano rigidi, come impregnati in uno stucco spregevole.
“Lui la considera come tale”
“Chissà per quanto tempo ancora. Con la nascita della bambina, ho capito che stanno crescendo e forse troppo in fretta. I bambini non restano mai più bambini. Quando Marlene sarà cresciuta e maturata abbastanza, Denzel non la vedrà con gli stessi occhi di un fratello … Si è visto già dalla sera di Natale”
L’ultima frase quasi la sussurrò, tanto che non fu certa se Cloud l’avesse sentita o meno.
“E con questo vorresti dire che …”
“Calmo Strife, non dicevo sul serio” sorrise lei, facendosi tacita beffa di lui e delle sue manie “E gli altri che hanno detto della bambina?”
“Barret non è entrato. Altrimenti avrebbe pianto, così mi ha detto Yuffie. Perfino Vincent mi ha sorriso e ha detto che è bellissima, anche da dietro una teca di vetro”
Si avvicinò di più, prendendo per mano la realtà e mettendo una mano sulla spalla esile di Tifa, coperta dai capelli che ricadevano smunti sul viso a ciuffi ribelli, in netto contrasto col suo pallore; Cloud pensò che non era mai stata così bella.
“Shera invece sta assillando Cid perché vuole anche lei la nostra fortuna; io le ho detto che abbiamo tanto amore per poterlo condividere con tutti. Le ho promesso che può venire a trovare la piccola quando vuole”
“Non abbiamo molte stanze in casa …”
“Non corriamo alcun rischio, tranquillo”
Si sorrisero e poi si baciarono, sotto gli occhi chiusi della piccola, che continuava a colmare il silenzio con i suoi respiri; sembrava stare bene nel calore materno e desiderava che quella nuova placenta in cui dormiva ora non si rompesse mai e non la facesse mai soffrire.
Cloud scoccò un piccolo bacio anche alla testa della bimba, che muoveva le piccole mani simili a moncherini per tastare quella felicità inattesa.
“Vuoi tenerla un po’? Stamattina Zack l’ha presa in braccio per un po’ e aveva le lacrime agli occhi. Aerith sistemava i fiori nel vaso e piegava i vestiti sporchi. Poi l’ha presa e si è messa a parlarle, a raccontarle favole e filastrocche e ha sorriso quando ha visto che tu stavi dormendo”
“Peccato che non abbiamo abbastanza fortuna da condividere con gli altri …”  fece lui, esitando con le mani pronte ad accogliere quel fagotto perfetto, un peso che avrebbe alleviato tutte le sue fatiche. Tifa asserì con un sospiro lieve e gliela porse tra le braccia.
“Mantienile la testa, senza farle male. Sorreggila, non avrà paura di cadere, si fida di te”
Rinfrancato di tutte le felicità e le risa che si susseguivano in una spirale idealista e senza rese, assaporò solo con lei un segreto che avrebbe custodito gelosamente fino a quando non sarebbe divenuta lei stessa troppo grande per starle ancora al passo e quindi l’avrebbe guardata camminare sempre più lontano; ma avrebbero sempre condiviso questi attimi di spire flebotomiche, indimenticabili proprio come il pulviscolo che aleggiava tra le tende stantie e tra i petali dei fiori nuovi. Era addirittura più bella e fragile di loro.
Poi incrociò lo sguardo di Tifa, quando il primo contatto gli riaprì coscienze che sperava aver dovuto per sempre evitare, anche se ciò era impossibile.
“Posso già chiamarla per nome, vero?” fece lui, mordendo il timore sferzante e stringendosi nella morsa dei pensieri di lucidità involontaria
“Non so, dipende da te” sorrise lei, come se sapesse già come prendere la situazione.
E lui capì.
“Allora non ti dispiace”
Scosse il capo ed elargì un sorriso che lasciava carta bianca.
“No. Che nome hai scelto?”
“Beh … Dopo che avevi partorito la bambina, forse non te lo ricordi, ma ti sei addormentata e avevano bisogno di qualcuno che registrasse la piccola e quindi visto che sono il padre... So che avevamo concordato per Valerie, ma in compenso è il suo secondo nome. L’ho chiamata Airelle. Airelle Valerie.”
“Airelle?”
Tifa lo aveva detto a voce sommessa, in modo che risultasse un patto tacito con sé stessa, non allo stesso modo placido con cui le sue labbra proferivano Valerie, a lettere velari e coincise; stavolta lo disse come un piccolo impulso, come se la serratura del cuore fosse scoccata, come se fosse ingiustamente perfetto.
Cloud continuava a rispondere con voce sommessa, pur continuando a scrutare il volto piccolo e addormentato della bimba, che sognava di felicità per quanto le sue rotondità erano placide.
“Volevo chiamarla Aerith” confessò con le parole in mano, che pesavano tanto quanto valevano “E’ stata lei ad aiutarti a partorire, sarebbe stato un modo per … Diciamo, essere riconoscente e alleviarla un po’ dalle sofferenze della sua condizione. Però poi ho pensato che non suonava bene per noi e ho optato per un nome che comunque lo ricordasse. Ci ho ragionato molto, anche perché Aerith è importante nella nostra vita e insieme ne abbiamo passate tante. Spero non ti dispiaccia”
“Affatto” sorrise lei.
Le spire della felicità li facevano scivolare in un tepore ancora più bello, profondo, che per gli altri era un insulso rifacimento degli altri proprietari abusivi della felicità che si rinnovavano a cuor leggero; per loro non era affatto questo, il loro amore avrebbe compensato tutto.
“Anzi Airelle è molto più bello”
Cloud elargì un altro sorriso, ordinario, solo perché lasciava anche questo carta bianca ad emozioni che si affastellavano confuse. Le diceva il suo nome a voce bassa, continuando a incespicare goffe moine, trasportato dai suoi stessi moti di quando la cullava, che si depositavano sui lidi intoccati di una serenità finalmente raggiunta. Insieme a Tifa.
E gli vennero in mente gli aromi della fanciullezza, che ti lasciano rimasugli inconcludenti anche raggiunto un traguardo come quello.
Era una felicità iniziata nei giorni senza pena e finita nel pulviscolo stantio di una stanza al di fuori dei confini degli altri, bianca come il candore che aveva il volto della sua bambina.
“Da adesso ci saremo solo noi”
Cloud scosse la testa.
“Forse ci siete state da sempre” disse alla piccola nel caldo involto di candore pastello, mentre la guardava andare via dietro la teca di vetro dove avrebbero visto tutti quanto era bella dell’amore che non andava sciupato “Solo che non lo sapevo”







Synthesis
 
Ahimè, stavolta dovremmo fare a meno di una Synthesis dettagliata, ma mi farò perdonare.
Cheats è agli sgoccioli e non posso far rimanere tutto in sospeso.
 
Ringraziamenti vivissimi a Aeris aka Hilda, il cui sostegno diventa sempre più saldo ogni giorno di più e impedisce alle mie certezze di crollare.
 
E a Manila che, nel bene e nel male, è sempre lì. E si sta anche approcciando alla Neve Fulminante… Cara, questa coppia di piacerà, forse non quanto il Cloti (sì, dovete sapere che Manila è la più estimata autrice del Cloti del circondario. Non ci credete? Controllate le sue storie).
 
E grazie a tutti voi, lettori silenziosi.
 
S.
 

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