Livin' the dream, baby.

di Gracedanger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** you're like a dream, a dream come true. ***
Capitolo 2: *** Sarà il destino. ***
Capitolo 3: *** Abbastanza vicini, ma troppo lontani. ***
Capitolo 4: *** Ci credi?! ***
Capitolo 5: *** Hai aperto il mio cuore, Nick. ***
Capitolo 6: *** A night to remember. ***
Capitolo 7: *** After all this time? Always. ***
Capitolo 8: *** The secret. ***
Capitolo 9: *** Provaci, Giulia. ***
Capitolo 10: *** Make it right! ***
Capitolo 11: *** Mistakes ***
Capitolo 12: *** Come here. ***
Capitolo 13: *** Una camicia a pois più grande di tre misure. ***
Capitolo 14: *** Is this the end? ***
Capitolo 15: *** Last promises. ***
Capitolo 16: *** Would you fight dragons with me? ***
Capitolo 17: *** Best friends. ***



Capitolo 1
*** you're like a dream, a dream come true. ***


Questa storia potrà sembrare alquanto irreale.
Ma un amore per quanto irreale possa essere, non significa che sia meno vero di tutti gli altri.


 
Perché non sei qui accanto a me?
Eppure.. eppure sento di conoscerti.
Mi fa impazzire la distanza che ci separa.
Come si fa ad amare così tanto una persona che non hai mai nemmeno sfiorato con le tue mani?
Vederti solo sugli schermi è una tortura.
Se solo riuscissi a stringere la tua mano, Joseph. Almeno una volta.
Capirei che tutte queste fantasie, alla fine, non erano infondate.
Ma per ora è tutto un sogno, no?



-Giulia, mi spieghi perché mi stai stritolando la mano? Il film è finito.
La mano che stringevo apparteneva ad una ragazza magra dai lunghi capelli biondi, era Alice, la mia migliore amica.
Scrollai le spalle e mi tolsi gli occhiali e mi strofinai gli occhi.
Uscimmo dal cinema Una pioggia leggera picchiettava sulle nostre fronti. L‘insegna con scritto “Jonas Brothers The 3D Concert Experience” brillava intermittente.
Tornammo a casa citando frasi dal film e imitando le performance dei ragazzi per strada, cadendo inevitabilmente come birilli.
Arrivata in camera mi gettai sul letto, a pancia in giù.. Volevo con tutta me stessa sognare di nuovo. Strizzai gli occhi e pensai intensamente a Joe, lo immaginai accanto a me, volevo le sue braccia sui miei fianchi.

Ad un certo punto mi sembrò davvero di sentirle.

Un momento. Le sentivo! A rovinare la magia ci pensò il mio cane che si era accovacciato accanto a me e mi spingeva sui fianchi. Ecco. Ogni tanto questi desideri impossibili torturavano la mia mente.
Sospirai. Però senza accorgermene riuscii a riaddormentarmi.

La sveglia suonò inesorabile e inesorabilmente venne scaraventata sul pavimento.
La luce del sole entrò in camera mia e Molly cominciò con i suoi numeri mattutini, come guaire fino a quando non troverà davanti a sé una scodella stracolma di croccantini.
Quasi come un orologio ecco la chiamata di alice.
Con i piedi cercai il cellulare sotto le coperte e con le dita misi in vivavoce:
-Giuliaaaaaaaaa! -urlava la sua voce gracchiante - esci da quel letto, se non sei pronta vengo lì e ti tiro per i capelli! Sbrigati!-
Probabilmente è l’unico approccio che funziona con me la mattina.
Rotolai fuori dal letto e feci partire il cd nel mio piccolo stereo quasi rotto, e “Tonight” si diffuse per tutta la casa. Andai in bagno per lavarmi i denti. E con il dentifricio e lo spazzolino in bocca, cercai di raggiungere il cellulare, ma all’improvviso mia madre mi chiamò dal piano di sotto, inciampai in qualcosa e caddi sul tappeto. La voce di Alice mi risuonò nella testa.
“Giulia, cos’era quel tonfo? Ci sei?!”
“Ci sono, ci sono, mi hai sentita cadere in diretta.. e buongiorno anche a te!”
“Poche storie, meglio per te che tu sia pronta, sono quasi arrivata a casa tua.”
Chiuse la chiamata.
Ero inciampata sui jeans. Beh, almeno li avevo trovati.
Corsi di sotto, afferrai un biscotto al volo e appena aprii la porta, trovai Alice che mi trascinò via per un braccio correndo.
Saltellammo goffe per le strade affollate di Roma.
“E’ mai possibile che una mattina mi possa svegliare, fare colazione e andare a scuola nella più assoluta tranquillità o almeno senza che mi urli nelle orecchie appena sveglia?!”
“Scusa eh, ma se fosse per te, il pullman non lo prenderemmo mai!”
“Eh.. ma passa sempre prima..non è colpa mia..”

Alice annuì e mi diede una pacca sulla spalla.
Entrammo a scuola, mi guardai intorno: non avrei rivisto quelle persone per un’intera estate.
Non ero molto socievole, diciamo che non mi piaceva essere osservata, avevo questo talento naturale di essere invisibile, anche tra le amicizie più strette, e non mi dispiaceva.
Per quanto riguardava i ragazzi, ero troppo timida per farmi avanti, mi limitavo ad osservarli e ad essere al settimo cielo se intercettavo qualche sguardo e ottenevo un paio di secondi di attenzioni spontanee.
Ripensai a Joe durante la lezione, e scrissi di quel sogno. La mia immaginazione mi salvava dalle giornate noiose e normali.
Qualcuno mi tirò una gomma sulla spalla, era Alice con la sua rinomata delicatezza, mi passò un foglio d’album, c’era un foglietto con uno schizzo di me e Joe sul palco, e io che piangevo come una fontana per l’emozione e allagavo lo stadio.
“Ah ah ah simpatica.”
Le feci una smorfia, e lei si mise a ridere.
Sotto quella vignetta c’era un ritratto a matita a Nick.
“Oh no, non è finito!”
“Chiedo perdono, padrona”

Alla fine di tutte le lezioni, come al solito io e Alice tornammo a casa insieme, dopo esserci divise mi misi le cuffie dell’iPod e ripresi ad ascoltrare “Tonight” che avevo interrotto dopo la caduta di stamattina, ma all’improvviso nel momento della canzone in cui Joe urla, un manifesto catturò la mia attenzione. E non potei fare a meno di trattenere un urlo.

"TOOOOOOOOOOOOONIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIGHTTTTTTTTTTTTTT!!!"

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Capitolo 2
*** Sarà il destino. ***


-Alice.

Mi misi ad ascoltare “Rose Garden” e sdraiata sul letto finivo il ritratto di Nick, non riuscivo a rendere gli occhi profondi. I suoi erano perfetti.
Lo stavo appendendo alla parete, quando il mio telefono squillò. Era Giulia. Risposi subito e dissi:" Dica!” e per tutta risposta sentii un urlo assordante nell’orecchio.
“Calma oh! Che è successo?”- esclamai io, lei prese un respiro e balbettò -
“ I J-jonas faranno co-co-co….ouhh....”
“corsa, colazione, conto corrente, ‘co’ cosa?!”
“Un concerto, Alice, faranno un concerto qui!”
 
Arrivò il mio turno di urlare e lo feci. Il mio gattino per lo spavento, graffiò le lenzuola e saltò giù dal letto e cominciò a correre per trovare un nascondiglio; lo rincorsi per tutta la casa e lo feci calmare, mentre prendeva fiato, Giulia iniziò a raccontare: “Sono davanti a un manifesto che dice che i Jonas Brothers faranno un concerto qui come loro ultima tappa del tour.” la domanda mi venne spontanea: “Quando?!”
“24 Luglio”
“Che?! Tra due mesi?!”
saltai di nuovo sul letto come una molla, facendo scappare via il gatto un’altra volta.
“Dove vendono i biglietti?!”
“allo stadio”
“E’ vicino. Ci vediamo lì tra cinque minuti”
le chiusi il telefono in faccia e gettai il povero gattino sul pavimento, quando avrei avuto i biglietti tra le mani mi sarei fatta perdonare da lui, intanto mi scapicollai per strada, corsi veloce, fino a rimanere senza fiato, pensavo a Nicholas, pensavo a quanto sarebbe stato bello averlo vicino, sentirlo cantare, piangere come un idiota sotto al palco, e alla fine tornare a casa e non riuscire a dormire dall’emozione.
Arrivai allo stadio con il fiatone, Giulia era già lì che mi sorrideva. Credo che anche lei abbia pensato a Joe.
Era strano e a dir poco inverosimile di come il sogno che avevamo da bambine si era realizzato, certe cose pensi rimangano per sempre solo bei sogni, invece il nostro era lì a pochi passi.
La coda durò due ore e mezza. Giulia e io avemmo il tempo di parlare.
“Non farti troppe illusioni, non è detto che li incontreremo faccia a faccia..”
“Eh, sisi certo lo so..”
“Non è vero, stai camminando sulle nuvole, si vede.”
“Beh, non posso farne a meno. Ma ti rendi conto? Verranno qui, e noi ci saremo. Non senti tremare tutto, io sono più o meno due ore e mezza che non riesco a stare ferma.”
“Tu non stai bene. Tremerò quando avrò Nicholas davanti ai miei occhi!”
 
A pochi passi dal nostro sogno due semplici parole fecero precipitare Giulia dalle nuvole.
“Tutto esaurito? No. Come?! No-non ci credo…non può essere, è impossibile, ma.. io…devo andarci al concerto…noi..”
vi evito il resto.
Furono i due mesi più deprimenti della nostra vita, poi, come da copione, il culmine arrivò la mattina del grande giorno.
 
Quella mattina alle sei e mezza mi chiamò Giulia.
“So come fare! So cosa fare! Noi ci andremo! Sisì puoi scommetterci la pelle, sorella!”
“Ma che dici, Giù? Torna a dormire, su!”
“Nononono, ma cosa, non ho dormito tutta la notte. Entreremo di straforo”
“Non ce la faremo mai.”
“E invece sì! Alice, noi andremo a quel concerto. Punto.”
 
Il buttafuori ci fece ritrovare sul marciapiede accanto all’entrata prima ancora che riuscissimo a mettere un piede tra le porte.
“Non è giusto…non è giusto…ho aspettato questo momento per otto anni e ora?! Per un paio di stupidi biglietti non potrò assistere al concerto dei miei cantanti preferiti.
Credo che rimarrò traumatizzata. Sì, dovrò andare in analisi.”
“Smettila di sparare cretinate. Ci è andata male tutto qui.”
“Già..”
Fu una delle situazioni più tristi che abbia mai vissuto.  
Dicono che ogni volta che succede un evento molto sfortunato, debba essere quasi sempre seguito da uno straordinario, in quel momento desiderai che accadesse un miracolo. "Sarà il destino" pensai, un destino infame e sadico.
Vidi Giulia piangere, credevo lo stesse già facendo ma quando una voce si diffuse in tutto lo stadio dicendo: “Signore e signori, il concerto sta per iniziare.” ecco che cominciò a zampillare come una fontana. Stava per allagare tutto lo stadio come nel mio disegno, quando successe: il miracolo.
Eravamo sedute sul marciapiede di fronte all’entrata del backstage. La porta si aprì e due figure uscirono.

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Capitolo 3
*** Abbastanza vicini, ma troppo lontani. ***


-Giulia


"Smettila, ora basta! Mi fai sempre fare figuracce!"
"E cosa vuoi Nicholas caro, tu ti blocchi e io intervengo!"
"Ma è meglio il mio silenzio, rispetto al tuo spudorato modo di provarci. Ah, quella violinista non ci guarderà più in faccia, me lo sento."
"Mi dispiace fratellino, mi scuserò con lei, dai."
"Bravo, sarà meglio, altrimenti te la vedi brutta se mentre sei un po’ brillo, mi fai fare l’ennesima figura di me.."
 
 
Quella risatina non ce l’avevo proprio fatta a trattenerla. Nick ci aveva visto. Entrambi sbiancarono. E mi sembrò di sentire da Joe, un “Eeecco! Siamo a due, per stasera.”
Io non sapevo che pensare, probabilmente stavo avendo un infarto a diciassette anni e non me ne rendevo nemmeno conto. Ero pietrificata, non riuscivo a muovermi, e in quel momento pensavo solo a come nasconderlo, quella sera la fortuna doveva essere dalla mia parte, perché vennero loro verso di noi, a passo lento e insicuro, ma due minuti dopo, avevo Joe Jonas davanti ai miei occhi e…e… era uno spettacolo. Non mi aveva deluso in nulla. Era praticamente perfetto. Come l’avevo sempre immaginato, solo…alto e in carne ed ossa.
-Vi divertite?- scherzò lui. Quel grandissimo pezzo di idiota di Joseph mi fece arrossire come un peperone. Nick gli diede una gomitata allo stomaco. Gli sorrisi. Alice era ferma, e si godeva la scena. Joe mi guardò dispiaciuto, e cercò di recuperare: “Siete qui per il concerto, vero?” Non diede a me e ad Alice il tempo di dire “Si,ma..” che si girò verso Nick con aria di sfida. Nick si guardava intorno, impaurito, ma incontrò lo sguardo di Alice e su quello si concentrò ed aspettavamo tutti una sua risposta in silenzio, quando finalmente: “Perché non entrate con noi nel backstage?” era stato Joe. Nick deglutì e poi prese un profondo respiro e disse: “Già perché non venite con noi, così potete vedermi, cioè vederci, cioè vedere lo spettacolo, cioè nello spettacolo ci siamo noi, ecco…”
Joseph si battè la mano sulla fronte.
A recuperare ci pensò il fratellino minore che allungò la mano verso Alice e senza dire nulla, la portò nel backstage.
Rimasi sola.
Capelli neri, occhi grandi e castani, braccia forti, sorriso rassicurante, labbra. Quelle labbra. Quel sorriso. Quelle braccia. Quegli occhi. Quei capelli. Lui, oh diamine, ero di fronte a lui. Joseph Adam Jonas.
Bene, e ora?
Ce l’avevo davanti e ci guardavamo da mezz’ora come due stupidi privi di parole, me le aveva tolte tutte, fino all’ultima, non riuscivo a parlare e nemmeno a stare in piedi, le gambe mi facevano giacomo giacomo.
“Come ti chiami?”
Niente.
Mi stavo per prendere a schiaffi fino a consumarmi le dita.
“Sai parlare, o sai solo ridere?”
“Piantala,scemo”
“Ohoh, allora sai dire qualcosa.”
“Certo. Ma il mio nome non te lo dico.”

il mio cervello stava elaborando la scusa più stupida di questo mondo…andiamo, elabora…

“Perché?”
 
Boom, ecco!
 
“Perché prima devi fare una cosa..”
“Cioè?”
“Andarti a scusare con la violinista come hai promesso a Nick.”
Joe mi fissò con un sorrisetto che era tutto dire, speravo non mi stesse per mandare a quel paese, ma cercavo di assumere l’espressione più seria che avevo.
“Mmmm, okay, ma poi tu mi devi dire il tuo nome.”
Io alzai le spalle e annuì con la testa. La tensione era passata del tutto, la sua aria sfacciata mi faceva perdere completamente la testa.
Mi prese la mano e mi trascinò dentro correndo.
Si precipitò per il corridoio, si girava verso di me e ridacchiava, e infine urlava: “Dobbiamo fare presto! Dobbiamo fare presto!”
Janet la violinista era nel camerino, e piangeva, teneva i capelli stretti tra le mani e singhiozzava.
Joe appena la vide impallidì, andò verso il divano dove era sdraiata, si inginocchiò e le disse: Janet, mi dispiace davvero per il modo in cui mi sono comportato, ma stavo scherzando e non immaginavo che l’avresti presa così, perciò…”
Si alzò, corse nel corridoio e due secondi dopo tornò con un vaso di fiori in mano.
“Ecco.. scusami ancora.”
Joe si girò a guardarmi e mi fece l’occhiolino, vedendolo così inginocchiato con un vaso di fiori in mano e la faccia mortificata, mi venne anche da ridere. Anche Janet sorrise, si alzò dal divano e lo abbracciò. Salutammo e uscimmo nel corridoio, pochi passi più in là Joe mi afferrò il polso e mi appoggiò delicatamente contro la parete. I nostri nasi si sfioravano, e avrei voluto strapparmi il cuore dal petto.
“Ora, mia cara Giulia..”
“Come fai a saperlo?”
Mi venne in mente un secondo dopo, prima che indicasse la piccola ma visibile collana con il nome “Giulia” che portavo.
“Allora perché l’hai fatto?”
“Per farmi perdonare per prima.”
“Non dovevi, non fa niente.”
“Beh, se proprio mi vuoi ringraziare…”
Si leccò leggermente le labbra. e poi con il dito premette su di esse.

Avrei voluto baciarlo. Davvero avrei voluto. Gli sarei saltata addosso dal primo momento. Ma non ci riuscivo, la vergogna mi batteva alla stragrande.

Optai per una via di mezzo. Gli sorrisi, e gli presi il dito e lo portai alle mie labbra, e delicatamente lo baciai. Lui rise e abbassò il dito,
 non mi guardava negli occhi, ma nell’anima.
Rimanemmo così, fermi a due minuscoli centimetri l’uno dall’altra. 

Abbastanza vicini da baciarci, abbastanza lontani da lasciarci prendere dalla paura e non rischiare.

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Capitolo 4
*** Ci credi?! ***


-Giulia.




Joe mi guardava con aria divertita. Io avrei voluto scavarmi una fossa e seppellirmi dentro per la vergogna. Ormai aveva capito che ero paralizzata, mi fece una carezza, mi prese per il naso e mi trascinò via. Arrivammo in una grande stanza, rincorrendoci come bambini. Fui troppo presa e troppo sbadata, per accorgermi che qualcuno stava venendo verso di me correndo. Boom. Non caddi,ma ci mancò poco.
“Tutto okay?!”
Mi rimisi in sesto dicendo: “Si,certo, scusa, scusami tanto!”
Davanti a me c’era Kevin, che mi mise una mano sulla spalla, gli sorrisi con tutti i denti che avevo, e mi girai, con le guance viola per la vergogna, e trovai Joe, piegato in due, che rideva. Sospirai. Un attimo dopo ebbe il secondo pugno nello stomaco. Sempre Nick. Scoppiai a ridere, e Joseph mi fulminò con lo sguardo.
Alice sbucò da dietro di lui e venne verso di me, mi tese la mano e disse:
“Sei contenta?! Ora, sto tremando.”
Le sorrisi, quasi in lacrime, quando Joe mi travolse, lui e Kevin stavano spingendo Nick verso Alice, Joe mi prese per i fianchi e mi portò in quella specie di trenino impazzito.
Ad interrompere la festa ci pensò papà Jonas.
“Su bambini, l’ora dei giochi è finita.”
“Arriviaamo, si signore!” Joe si mise sull’attenti e io gli diedi una leggera spinta e lui ricambiò.
Ad un certo punto sii girò verso di me e mi disse:
“Vieni.. tu e la tua amica potete vedere il concerto da dietro le quinte, e non incantarti troppo mentre mi guardi.”
“Sbruffone.”
Rise e mi prese la mano.
Mi fece morire quella mano grande e rassicurante che incontrava la mia gelida e imperfetta e la stringeva. Un incastro perfetto.
Mi baciò la mano e corse via.
Avrei voluto piangere e ridere allo stesso tempo, ormai non riuscivo più a controllare le emozioni.
Alice mi prese per il braccio.

“Ci credi?!” mi urlò
“Manco un po’!”
“Neanche io!”
 

Invece stava succedendo.
Salimmo un paio di scalini e arrivammo dietro le quinte, i ragazzi si stavano preparando.
Vidi Joseph che bisbigliava qualcosa all’orecchio di Nick e lui che annuiva sorridendo. Uno sguardo di intesa a Nick. Poi guardò nella mia direzione e mi fece l’occhiolino. Ma che diavolo aveva in mente?
I miei pensieri furono interrotti dalle grida delle fan.
Il concerto stava per iniziare.
 
Avevo sognato questo per sei anni.
Ogni nota di quel concerto la custodisco ancora nel mio cuore. Tutte le canzoni che avevo ascoltato per ore ed ore davanti allo schermo di un computer e un paio di cuffie, quelle che mi risollevavano dalle giornate peggiori.

Ora erano di fronte a me, e mi sentivo come avevo sempre sognato di sentirmi.

I violini cominciarono a suonare.
Fiamme.
Tamburi.
Urla.
E infine…i Jonas Brothers.

Cominciarono con “Kids of the future”. Erano passati anni dalla prima volta in cui l’avevo sentita, la conoscevo a memoria, cominciai a piangere come una fontana.
Dopo le prime tre canzoni sentivo il cuore fuggire dal petto per quanto batteva forte. Nick iniziò a parlare e creò un religioso silenzio intorno a se.


“Okay, for the next song, I need a person, a special girl…”

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Capitolo 5
*** Hai aperto il mio cuore, Nick. ***


-Alice.
 
 
Nick si passò la mano tra i ricci, sembrava stesse cercando le parole adatte, fece un profondo respiro e alzò lo sguardo verso di me. Abbozzò un sorriso imbarazzato. Poi cominciò a parlare. “Okay, for the next song, I need a person, a special girl…” Strinsi la mano di Giulia più forte che potevo mentre sprofondavo negli occhi di Nicholas.
Pendevo dalle sue labbra.

Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome. Dì il mio nome.


Continuavo questa si
lenziosa preghiera e non avevo tempo per dirmi da sola di quanto fossi sciocca e smielata.
In quei secondi che mi sembrò non finissero mai, capii che se non avesse detto il mio nome, tutto quello che stava succedendo sarebbe stato solo un sogno, la notte più bella della mia vita, e stop. Nessun seguito. Sarei stata uno dei tanti volti che aveva incontrato durante il tour.
Ma se l’avesse detto, avrei rimpianto tutte le volte che mi sono detta che lasciarsi prendere troppo dai sogni è sbagliato.
Non ce ne fu bisogno.
Si alzò e ogni passo che faceva verso di me il battito del mio cuore sovrastava la musica e le urla del concerto.
Mi prese la mano delicatamente e aspettò lì con quel sorriso che avevo sempre voluto vedere sulle sue labbra.
 
“Io?.... Sicuro?!”
“Tu, sei sempre stata tu.”
 
Nella lista delle cose che avrei voluto fare c’erano: Baciarlo, abbracciarlo, anche accarezzargli i capelli, ma piangere, piangere era l’ultima cosa che avrei voluto fare. Eppure… lacrime. Lui si avvicinò, e con il dito asciugò la lacrima che mi rigava la guancia e mi fece una carezza.
Nicholas aveva appena aperto il mio cuore.
Mi portò al piano e mi fece sedere accanto a lui. Si girò e mi fece l’occhiolino, poi cominciò a suonare.
 
“If time was still 
The sun would never, never, find us 
We could light up 
The sky, tonight 
I can see the world through your eyes 
Leave it all behind”

 
Mi vennero in mente tutte le volte che avevo ascoltato quella canzone, chiusa nella mia stanza, girando su me stessa e cantando a squarciagola, sognando di sentire quelle bellissime parole dalla sue labbra, quella canzone era tra le poche che mi commuovevano davvero.
Gli acuti della sua voce, si infilavano sotto la mia pelle e mi facevano rabbrividire.
Finita la canzone, mi diede un bacio sulla fronte e mi abbracciò. Continuavo a piangere.

 
“If it’s you and me forever, you and me right now, I’d be alright, be alright.”
 

 

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Capitolo 6
*** A night to remember. ***


“Fly with me” era appena finita.
Joe passò tutto il tempo a guardarmi, a fare qualche smorfia o qualche mossa di ballo pur di farmi ridere. Ci riuscì benissimo. Venne verso di me, urlando “Juliet, come here!” e io che scuotevo la testa imbarazzata… tanto imbarazzata. Mi si fermò davanti e rimase pochi attimi a guardarmi sorridendo, io non avevo la minima intenzione di continuare la mia vita dopo quel momento.
Avrei voluto rimanere per sempre lì: a guardare Joe sorridere.
“Vieni con me, ti porto a vivere un sogno.”
Detto così mi prese per le gambe e mi caricò sulla schiena. Io per la sorpresa mi agitavo, strizzando gli occhi e urlando: “Joe, ho le vertigini, ti prego, mettimi giù! Ti prego!”. “ Sissignora.”
Senza rendermi conto mi voltai e rimasi immobile, ero al centro del palco e sentivo milioni di occhi puntati su di me. Mi sentivo soffocare, mi venne una fitta allo stomaco e sentii tutte le parole ritornare giù in gola. Ad un certo punto, quando sapevo che sarei scoppiata a piangere per l’emozione, sentii una mano che prendeva la mia e la stringeva talmente forte da farmi immediatamente smettere di tremare.
Joe la portò sul suo petto, proprio lì, in corrispondenza del cuore.
Gli sorrisi con gli occhi pieni di lacrime.
Lui mi abbracciò, e mi baciò sulla testa, quell’abbraccio durò un paio di minuti, due meravigliosi, infiniti, minuti.
“Tonight, this song is for you.”
 
“Hello beautiful how is it going?
I hear it’s wonderful in Italia..
I’ve been missing you… it’s true.”

 
Senti il suo braccio stringermi i fianchi, mi teneva stretta davanti a se, all’improvviso, una piattaforma appena sotto i nostri piedi cominciò ad alzarsi. Lanciai un urlo, e d’istinto, gettai le braccia al suo collo. Lui scoppiò a ridere e mi strinse forte, come se fossi una bambina che andava protetta, e io mi sentivo piccola, immensamente piccola, ma più al sicuro di ogni altro posto al mondo.
Avvicinò le labbra al mio orecchio e mi sussurrò: "Dimentica la gente, dimentica le luci, il palco e il concerto, ci siamo solo io e te. E non ti lascerò andare.”
 

 
Ritornare alla realtà. Brutto. Bruttissimo.
Il concerto stava per finire, e io che avevo indescrivibili mi sentivo come in quel triste momento quando sai che il sogno è finito, e che per quanto ti possa agitare o provare a riviverlo, è finito, non puoi farci niente.
Mi avvicinai sconsolata a Joe per salutarlo, lui mi scoppiò a ridere in faccia.
“Ma che dici? Ciao?! Devi venire con me!”
“Che? Venire con te?! E dove?”
“è una sorpresa”
 
Non stavo capendo più nulla. Ma solo la sensazione che la serata non fosse ancora finita, mi piaceva da morire.
Ci portarono in un locale a ballare. Non mi sentivo a mio agio in tutta quella confusione, anche perché spesso perdevo Joe tra la folla. All’improvviso anche Alice sparì con Nick e io sentii una mano che mi stringeva i fianchi.
Ero pronta a girarmi e a dare uno schiaffo a chiunque esso sia, ma Joe bloccò la mia mano.
“Scusa, credevo..”
“Tranquilla, vieni”
Mi portò sul tetto del palazzo. La vista faceva venire i brividi, ma era uno spettacolo. Sembrava di avere Roma nelle mani.
Joe alzò in aria la bottiglia di spumante che aveva e lanciò un urlo.
Me la porse, io rifiutai.
“Non bevi?”
“Non mi va tanto.”
“Guarda che non ti punirà nessuno.”
“Sei un bastardo, Joe.”
Non volevo bere, non avrei mai voluto scordare quella serata, ma non gliela volevo dare vinta, da sobria, gli avrei fatto vedere che non aveva incontrato una svampita ragazza italiana.
Gli presi la bottiglia dalle labbra.
“Preferisci questa, o questo?”
Gli diedi un bacio. Forse il primo vero e intenso bacio che abbia mai dato.
Mi staccai da lui, dopo qualche minuto, e gli porsi la bottiglia, con aria di sfida.
Lui sorrise, prese la bottiglia e la lanciò a terra, frantumandola in mille pezzi.
 
“Mi fai impazzire, Giulia.”
 
Mi prese il viso tra le mani, iniziò a baciarmi con tanta passione da farmi dimenticare persino le vertigini.
Mise la mano sul mio ginocchio e cominciò a farla scorrere in su, accarezzandomi la coscia e pian piano alzò delicatamente il vestito. Mi baciava sul collo. Piccoli dolci baci, che quasi facevano il solletico. Gli tolsi la giacca grigia,e sbottonai la camicia blu che indossava. Primo bottone. Secondo bottone. Terzo. Quarto. Quinto. Era a torso nudo e mi stringeva sempre la mano attorno ai fianchi per farmi avvicinare. E io mi avvicinai. Sentivo le sue dita accarezzarmi tutto il corpo e le sue labbra sul petto. Nessuno dei due diceva una parola. Niente avrebbe potuto rovinare quel momento. Intimo, perfetto, sembrava che sapessimo già cosa fare e conoscessimo ogni singolo centimetro l'uno del corpo dell'altra. Continuavamo a stringerci sempre di più.

Fin a quando non diventammo una cosa sola.

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Capitolo 7
*** After all this time? Always. ***


24 luglio.


Era passato un anno esatto da quella sera.
Non lo vedevo da un anno.
I mesi passarono lenti, strazianti. E io aspettavo.
Avevo aspettato dodici mesi che Joe si facesse vivo, almeno una telefonata, un segnale di fumo. Niente. E quel niente mi aveva uccisa giorno per giorno per un anno intero.
 

 
“Sveglia!”
Per lo spavento rotolai giù dal letto, finendo con il volto di fronte ad un paio di piedi. Quelli di Alice. Mi aiutò ad alzarmi ridacchiando, ci sedemmo sul letto.
“E’ stato tutto un sogno, Ali?”
“Intendi il concerto? La discoteca? La notte con Joe?”
“Si.. quello..”
“No, non è stato un sogno.”
“Per un secondo ci ho sperato.”
“Smettila di buttarti giù, è un anno che rimugini su quella sera. E’ successo, è passata, è finita.
Mi spieghi perché hai fatto l’amore con lui se poi sapevi che sarebbe tutto finito il giorno dopo?
“E’ abbastanza difficile da spiegare…vedi io l’ho visto davanti a me, e in quel momento credo che tutti e due o almeno io, avessimo smesso di pensare al domani, io quella notte ho creduto fosse infinita. E’ stata la più incredibile della mia vita, non ho ragionato e ponderato e non ho pensato alle conseguenze, eravamo io e Joe, e mi è sembrata la cosa più naturale del mondo. E’ stato meraviglioso, Alice. E non me ne pento.”
“Va bene ti capisco, ma allora perché sei stata così male tutti questi mesi anche se sapevi che tutto sarebbe finito?”
“Sono testarda, Alice! Ho sperato in Noi fino all’ultimo attimo, fino all’ultimo secondo in cui ero tra le sue braccia. E sono stata male perché tutto quello che mi è rimasto di quella serata è un ricordo fantastico, che so che non si ripeterà mai più.
“Basta! Hai capito? Sai che giorno è?”
“Mmm, agosto?”
“Esatto! Il quindici. E allora…”
 
Emisi un gemito e mi gettai sul letto.
Alice capì e si battè la mano sulla fronte.
“No! Non il compleanno di quell’idiota! E’ ferragosto, e si esce. Stasera ti porto ad una festa.”
“Tu sei impazzita.”
“No, io sono la tua salvezza. Hai cinque minuti per uscire da questo guscio di tristezza e ansia che ti sei costruita. Andiamo a fare compere.”
Mi spinse giù dal letto.
 

 
“Sei impossibile, Giulia!”
“Dai, non mi piaceva nessuno di quei vestiti, tutto qui.”
“Okay, fermiamoci un attimo a casa mia, e poi ripartiamo, tu con me non l’hai vinta!”
“D’accordo..”
Entrammo nella casa vuota.
Alice sparì in cucina.
Ritornò un paio di minuti dopo con un sacco nero della spazzatura, me lo infilò addosso.
“Ecco, questo credo sia quello che vuoi, no?”
“Simpatica.”
“E tu sei matta, sarà stata tipo la quindicesima volta che dici di vedere Joe tra la folla, e continui a fermare sconosciuti…”
“Ti dico che era lui, stavolta! l’ho visto..erano i suoi occhi.”
“Si, certo….MA SI, CERTO!”
“Cosa c’è?”
“Ho trovato il vestito per te! Me ne aveva parlato, ehm, un amico…”
“Un amico? Che amico?”
“Ehm, è una lunga storia.. andiamo dai, il negozio è abbastanza lontano ed è già tardi.”
 
Aveva ragione, il vestito era davvero carino. Lo indossai, senza pensarci, rimuginarci troppo sopra mi avrebbe fatto cambiare idea. Era bianco, non troppo corto né troppo lungo. Arrivammo in un locale affollato. Ragazzi stavano tutti vicini e io mi sentivo mancare l’aria. All’improvviso vidi Alice sparire, teneva per mano un ragazzo, mi voltai per guardarlo bene, ma un ragazzo mi diede uno spintone e caddi all’indietro. Caddi sulle gambe di qualcuno che era seduto al divanetto dietro di me.
Era un esile ragazzo, dallo sguardo dolce e i capelli castani.
“Oh scusami tanto! Mi dispiace da morire, ma mi hanno spinto…”
“Ma, tranquilla non è nulla.”
Gli sorrisi imbarazzata, aveva una luce strana negli occhi, ma i miei pensieri furono interrotti quando ricominciò a parlare.
“Sei molto carina.”
“Oh, g-grazie. Anche tu.”
“Sei un tesoro, vieni usciamo un po’.”
“Già, sarebbe fantastico, non mi sento molto a mio agio con tutta questa gente.”
“Neanche io!”
 
Ci appoggiammo al muro appena fuori l’entrata.
“Sono Giulia.”
“Federico. Sembrava la scena di un film prima no? Tu che cadi tra le mie braccia. Deve essere una serata fortunata.”
Feci una risatina. Mi riempiva di gentili complimenti, e ogni tanto mi accarezzava la guancia con due dita.
Dopo i primi convenevoli, mi diede un bacio sulla guancia, io abbassai la testa, e arrossii, non me l’aspettavo. Mi sentivo strana, diversa.
Improvvisamente Alice uscì dal locale.
“Giulia, dov’eri finita?!”
Intuì il mio sguardo disperato, e cercò di portarmi via con una scusa. Ma federico mi fermò per un braccio e chiese ad Alice altri cinque minuti. Io annuii e Alice tornò dentro ad aspettarmi.
Solo cinque minuti, ce la potevo fare.
Mi sforzai di essere il più carina possibile, sfoderai un sorriso.
Federico era carino, era dolce e ben educato, ma non era Lui.
Cominciò ad accarezzarmi i capelli e si tuffò su di me per baciarmi. Rimasi paralizzata per la sorpresa.
Nel secondo precedente quel bacio pensai intensamente alle labbra di Joe sulle mie. Lascio immaginare la tristezza del secondo dopo mentre mi accorgevo che non erano le sue.
Si avviò con la testa bassa, un po’ mi dispiaceva, ma non ci riuscivo. Non riuscivo neanche a guardare un altro ragazzo.
Rimasi a guardarlo allontanarsi e pensavo, verso la fine della strada però un ombra scura di una persona lo fermò e insieme girarono in una stradina…
Chiamai Alice e insieme ce ne andammo. Mentre camminavamo le raccontai tutto, dei miei sentimenti per Joe che, nonostante tutto, non mi lasciavano ancora libera.
Lei annuiva, ma non commentava, neanche una parola, cercava di nascondere un paio di sorrisetti che io colsi.
 
Ma che diavolo le era successo quella sera?

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Capitolo 8
*** The secret. ***




Le notti seguenti quella serata passarono con miliardi di pensieri che tormentavano la mia mente.
Sentivo il bisogno di dormire, ma ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo Joe, allora fissavo il soffitto. Cercando di non pensare. Ma il film di quella notte sul tetto ormai si proiettava automaticamente nella mia testa.
 
 
Un paio di mattine dopo, Alice mi portò a fare colazione fuori. C’era qualcosa che doveva dirmi.
 
“Devo dirti una cosa Giulia. Non ti ho portato qui per caso, vedi, io…sto aspettando qualcuno.”
“Qualcuno, chi? Un ragazzo”
“Si, beh, non è un ragazzo qualsiasi..”
“lo conosco?”
“Certo che lo conosci.”
“Chi è Alice? Posso saperlo o dobbiamo continuare a giocare all’interrogatorio?”
“E’ Nick, Giulia.”
“Nick? Quel Nick? Ma..ma come..”
“Ci siamo sentiti tutto quest’anno, e credo stiamo insieme.”
“Credi? Che significa credi? E perché non me l’hai detto?”
“Perché non volevo, che tu stessi male, perché a te…ecco, perché a te non è successo.”
 
A quelle parole abbassai lo sguardo, Alice non ebbe il tempo di scusarsi che subito qualcuno si fermò dietro di lei. E le mise le mani sugli occhi.
“Chi sono?”
Il sorriso di Alice nel riconoscere la voce di Nick, fu immenso.
“Non ci credo, finalmente!”
Lo abbracciò e lo baciò in modo dolcissimo e completamente in lacrime.
“Te l’ho promesso, sono qui” continuava a ripeterle sottovoce lui.
Io continuavo a guardare nella direzione in cui era arrivato Nick, cercando volti conosciuti, niente. Sospirai.
“Ciao Giulia, come stai?” mi sorrise Nicholas.
“Hey, benissimo, e tu?” mi abbracciò.”
“Una meraviglia, adesso.” guardò alice e le mise il braccio attorno al collo.
 
Sapevo che si sarebbero detti tanto. Avevano un arretrato di baci e carinerie di un anno intero da smaltire, così li lasciai soli. Ero felice per loro. Per loro..già..
 
-Alice
 
Avevo le mani appoggiate su quelle di Nick, le strinsi forte, per assicurarmi che non fosse tutto un sogno.
“Scusa il ritardo.” scherzò lui, il mio sorriso s’estendeva fino alle tempie.
“l’importante è che tu sia qui.”
Mi prese la testa tra le grandi mani, e appoggiò la fronte sulla mia. Cominciai a giocare con i suoi ricci e lui che rimaneva zitto, a guardarmi divertito.
“Vorrei dirti miliardi di cose allo stesso tempo, Nick.”
“Anch’io”
“Ma non me ne viene in mente nemmeno una, in questo momento!”
“Allora se permetti, comincio io.”
“Certo, cosa c’è?”
“Ho una proposta da farti..”

 
Proposta.
Troppi strani pensieri mi vennero sentendo quella parola.
Proposta.


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Capitolo 9
*** Provaci, Giulia. ***






“No! No! No! No! No! E ancora no!”
Continuavo a girare innervosita per la casa.
“Giulia non fare la bambina!”
“Alice, ascoltami bene. Io nella stessa casa con Joe non ci sto! E non c’è niente che tu possa dirmi per farmi cambiare idea. No! No..”
“Dai, non essere stupida, che sarà mai, ci passeremo solo un paio di settimane!”
“Un paio di settimane, un paio di giorni, un mese, è la stessa cosa! Non riuscirei mai a vederlo, Alice, non ci riesco. Lui si sarà completamente dimenticato di me, di noi, ma forse non c’è mai stato nemmeno un noi…”
“Insomma, basta! D’accordo, allora fallo per me! Se non ci sei tu, io non ci posso andare..due settimane in America con i Jonas Brothers e tu ti tiri indietro? Vuoi davvero rimanere sul divano a rimuginare su una sola serata, quando ne potrai vivere altre cento anche migliori? Non lasciare che la gioventù ti passi davanti. Fai i bagagli e parti con me.”
A quelle parole mi fermai un secondo per pensare. Aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. Mi voltai verso di lei, aveva le mani sui fianchi, e aspettava una risposta. Stavo per aprire la bocca per dirle di sì, quando corse in camera mia e cominciò a svuotare tutti i cassetti, gettava tutti i miei vestiti sul letto.
“Che fai?!”
“Come? Ti preparo la valigia e neanche un grazie?! Si parte oggi pomeriggio alle cinque. Il biglietto aereo è sul tavolo della cucina.”
Dicendo così si avviò svelta verso la porta di casa mia, ma prima di chiuderla si affacciò di nuovo.
“Ah, metti qualcosa di carino, ti prego. E non fare tardi!”
Sbatté la porta dietro di se.
Rimasi lì, confusa. Alzai le spalle e cominciai a fare le valigie.

 
“Non ci posso credere..mi ha convinta!”
 

 
Arrivammo all’aeroporto di Los Angeles verso le nove del mattino dopo.
Ogni volta che mi sembrava di vedere un’ombra camminare dietro di me, sobbalzavo.
Cercai di non far vedere ad Alice e Nick che stavo tremando. Avevano passato tutto il viaggio a bisbigliarsi cose sdolcinate nelle orecchie.
“Kevin! Hey!” Nick fischiò, e il fratello maggiore si girò e corse verso di noi, stringeva la mano di sua moglie.
“Ciao ragazze, come state?” ci abbracciò entrambe forte. “Lei è Danielle, la mia dolce mogliettina.” a quel commento, la bella ragazza dai lunghi capelli neri rise e abbassò lo sguardo.
“Ciao cara, mi chiamo Alice.”
“E’ un piacere conoscerti, sono Giulia.”
“Giulia?!”
“Si, Giulia.”
Danielle guardò il marito con aria interrogativa. Sembrava aver intuito qualcosa. Kevin e Nick si capirono al volo e decisero di cambiare argomento il prima possibile.
“Beh, che ci facciamo ancora qui? Tutti in macchina, avanti!” disse Nick, battendo le mani.
L’auto sportiva di Kevin sfrecciava per le assolate strade di Los Angeles.
“Ah, dimenticavo, staremo tutti in casa di Joe.” disse il ragazzo con i ricci.
Sobbalzai. Nick lo notò e mi fece l’occhiolino, arrossii.
Osservai Kevin e Danielle che bisbigliavano qualcosa. Riuscii a cogliere solo:
“Quella Giulia? Perché non me l’hai detto?”
Mi insospettii. E le speranze che Joe non si fosse del tutto scordato di me cominciarono ad aumentare.
 
La casa era enorme, a due piani e con piscina.
Avevo le gambe che tremavano. Kevin e Nick, ci presero i bagagli e li portarono nelle stanze, Danielle ci fece fare un giro della casa, era una vera e propria tortura, quanto altro tempo avrei dovuto aspettare?
Lanciai un’occhiata disperata ad Alice, lei capii e dato che io non l’avrei mai chiesto ad alta voce, prese Nick in disparte per un paio di minuti e poi ritornò da me con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra. Mi passo accanto sussurrandomi.

“E’ qui.”

Sentii il cuore esplodermi nel petto.
Era un anno che non lo vedevo, mi chiedevo se fosse cambiato, se fosse più alto, ancora più bello, e soprattutto se mi guardasse ancora nel modo in cui aveva fatto quella sera.
Non ebbi il tempo di farmi illusioni, o film mentali perché quando comparve sulla soglia della casa io non potei fare a meno di fermarmi e sgranare gli occhi, a causa della fitta che mi prese lo stomaco.
Aveva la mia stessa espressione sbigottita, ma cercava continuamente di nasconderla.
Mio Dio, avrei voluto urlare. In quel momento, tenevo chiuse le centinaia di emozioni che provavo.
Alla fine quando ci trovammo faccia a faccia, mentre osservavamo i cambiamenti l’uno dell’altra e mentre nei suoi occhi leggevo la voglia di dire e fare migliaia di cose, l’uniche due piccole frasi che ci rivolgemmo quella mattina, in modo distaccato, furono: “Giulia, stai davvero bene.” “Grazie, anche tu.”
 
Lasciarono riposare me e Alice, e nel pomeriggio ci avrebbero portate a fare un giro in città.

Rimasi stesa a pancia in giù sul letto mentre Alice sistemava le valigie.
“Cosa vi siete detti?”
“Chi?”
“Come chi, dai, tu e Joe!”
“Niente, Alice, non abbiamo parlato.”
“Ah, ma sono sicura che lo farete. Tu vuoi parlargli giusto?”
“Giusto. Ma ho paura che tutto quello che ho da dirgli non servirà mai a niente.”
“Abbi fiducia in lui, provaci Giulia.”

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Capitolo 10
*** Make it right! ***


-Giulia


Danielle ci portò a fare spese. Mentre Alice si provava uno dei trecentocinquanta vestiti che aveva preso, provai a fare un po’ di chiarezza nella mia testa.
“Dani, ascolta, ho una cosa da chiederti.”
“Certo, dimmi cara.” disse lei sfoggiando un enorme sorriso.
“Vorrei parlarti di Joe..”
La sua espressione mutò improvvisamente, ma non riusciva a trattenere qualche sorriso malizioso.
“Si…”
“E’ passato un anno dall’ultima volta che ci siamo visti. Dato che tu sei una delle persone che gli sono state vicine in quest’anno vorrei sapere: ha mai parlato di me?”
“Beh, Giulia, non proprio..ma perché non provi a parlargli?”
Abbassai lo sguardo. Lo sapevo. In fondo lui è una rockstar. A che gli servo io?
Rabbia e sconforto cominciarono a crescere dentro di me.
Intanto Alice mi gettò un vestito sulla faccia e mi spinse verso il camerino per provarlo.
 

 
Ritornammo a casa di Joe.
Lo trovai in cucina, con un bicchiere d’acqua sul tavolo, la chitarra, e un foglio di carta stropicciata.
Alzò lo sguardo verso di me, mentre mordicchiava il tappo di una penna. Sgranò gli occhi.
Rimanemmo interdetti pochi secondi, poi scivolai rapida verso il frigorifero. Con la coda dell’occhio però controllavo cosa facesse, mi chinai per prendere del succo, e appena mi girai lo trovai dietro di me. Ci scontrammo.
Rimasi paralizzata nel trovarlo di nuovo a così poca distanza da me e non mi accorsi subito di aver fatto rovesciare del succo sul pavimento, cadere dalla testa di Joe, il cappello che portava dalla mattina prima. Un secondo dopo eravamo piegati sul pavimento per ripulire il disastro.
Alzai la testa per guardarlo e mi accorsi che si era rasato la testa, erano rimasti solo tanti cortissimi capelli.
Lo fissai con la bocca aperta per qualche secondo, poi scoppiai inevitabilmente a ridere, smorzando la tensione che c’era nella stanza.
Dopo un po’ anche Joe rise insieme a me, visibilmente sollevato per avermi fatto ridere di nuovo.
Alice e Nick entrarono abbracciati nella cucina e assistettero alla scena di due bambini piegati in due dal ridere.
Quando ci accorgemmo di essere guardati, smettemmo di ridere, e ricominciammo a pulire in silenzio, Alice e Nick si dileguarono guardandosi con complicità.
Ci alzammo con qualche risatina sommessa.
Eravamo l’uno di fronte all’altra. Entrambi stavamo per dirci qualcosa. Qualcosa che non avevamo avuto il coraggio di dirci per un anno intero.
Ero sicura che avrei cominciato io. Volevo fargli esplodere in faccia tutta la mia rabbia.
Immaginavo cosa gli avrei detto.
“Credevo mi avessi dimenticata, Joseph! Mi hai fatto sentire una grandissima idiota! Una che fa l’amore con il primo che passa! Mi hai fatto credere in qualcosa di più, che tu fossi diverso, non lo sciupa femmine che raccontano i giornali, ai quali io non ho mai prestato ascolto, perché avevo una spudorata fiducia in te, io credevo in te, Joe. Mi spieghi perché non hai mai chiamato in tutti questi mesi? Sono stata così insignificante per te? Una notte da dimenticare? Beh, mi dispiace, ma io non l’ho mai dimenticata. Ci ho pensato ogni notte, e ogni volta che entravi nella mia mente non la smettevo più di piangere. Ora sei qui, ancora a pochi centimetri da me, e… non riesco a respirare.”
E invece.
“Io vado a correre” “E io a vedere un film”
Uscimmo rapidi dalla cucina, entrambi con la testa bassa.
Appena Joe chiuse la porta dietro di se, con un sospiro sprofondai sul divano.
 
La sera arrivò lenta. Rimasi rannicchiata tra le lenzuola, sentivo l’incertezza che mi divorava.
 
Quando, ad un certo punto, qualcuno bussò alla porta.
“Giulia, posso?” disse una voce che conoscevo fin troppo bene.
Mi asciugai le lacrime con un lembo delle lenzuola, e aprii la porta.
“Che hai?” disse Alice scuotendomi le spalle.
Mi liberai dalla presa e mi gettai di nuovo sul divano.
“Avrei voluto che al posto tuo ci fosse un ragazzo alto, sexy, ed incredibilmente testardo.”
“Tu sei incredibilmente testarda, Giulia! Perché non gli hai parlato?”
“Che ne sai che non gli ho parlato?”
“Se lo avessi fatto a quest’ora non saresti in questa camera e non avresti i vestiti.”
“Già, hai ragione.”
“Io ho sempre ragione.”
“Puoi provare a consolarmi per una volta?”
“Consolarti per cosa? Per il fatto che non ci provi mai, e ti lasci passare le occasioni davanti? Perché sei così? Codarda, ecco cosa sei.”
“Finiscila, Alice.”
“No, se fossi stata coraggiosa avresti detto tutto a Joe! Gli avresti detto quanto sei stata male, avresti ottenuto le risposte che hai cercato per un anno intero, quelle risposte non sono dentro di te, tu non hai sbagliato quella notte, Giulia. Tu stai sbagliando adesso perché non vuoi riprenderti ciò che è stato tuo.”
Rimanemmo alcuni secondi a fissarci in silenzio, quando Alice mi sbatteva in faccia la verità faceva sempre male, ma se lei non ci fosse stata avrei fatto l’errore più grande della mia vita.
Decisi che gli avrei parlato quella sera stessa.
I fratelli Jonas ci portarono in un ristorante, e poi in un locale, appena entrati decisi che era quello il momento per parlare con Joe. Lo cercai, e lo trovai circondato da ragazze urlanti.
Mi allontanai, ordinai da bere, ma con la coda dell’occhio lo osservavo, la gelosia aveva preso il sopravvento. Dopo circa mezz’ora di tortura, il cascamorto mi si avvicinò, mi mise una ciocca di capelli dietro le orecchie e cominciò ad accarezzarli. Lo ignorai, cercando di nascondere i sorrisetti che ogni tanto mi scappavano. Io ero concentrata a fissare il mio drink, decisa a farlo soffrire. Ad un certo punto mi mise le mani sui fianchi, mi girai per tirargli uno schiaffo, ma mi bloccò la mano un’altra volta.
“Non ti ricorda niente, Giulia?”
“Non direi.”
“Mmh… okay, allora vieni con me.”
Gli feci un cenno disinteressato col capo.
Lui mi trascinò su per la scala di emergenza.
Mi mise le mani sugli occhi. Quando le levò mi guardai intorno. Eravamo sul tetto.
Cominciò ad avvicinarsi a me, mi sussurrò nell’orecchio.
“Non ricordi neanche di questo?”
Mi diede dei baci sul collo e mi avvolse tra le sue braccia.
Non so descrivere il piacere di provare ancora le sue labbra sulla mia pelle, ma dovetti allontanarmi.
“No, Joe, non puoi fare così.”
“Così come?” mi provò di nuovo a baciare. Lo bloccai mettendogli la mano sul petto, strinsi la sua camicia tra le dita.

“Non puoi ignorarmi per un anno intero, poi tornare e far finta che niente sia successo. Ti dimenticherai anche di stanotte? Ho mai avuto importanza per te? Mi fai del male Joe, e non posso più permettertelo. Devo andare.”

Lasciai la presa e cominciai ad avviarmi verso la scala, quando una mano mi bloccò e mi tirò rude al suo petto, Joe mi prese il volto tra le mani, prese un gran respiro e mi disse quasi urlando.
“Ascoltami bene, io ti ho pensata ogni giorno di questi tredici mesi, non riuscivo più a concentrarmi, non facevo altro che scrivere canzoni, lettere, messaggi che non ho avuto mai il coraggio di inviarti, perchè niente poteva spiegare quello che provavo, e lo ammetto, ho cercato di dimenticarti perché non credo nelle relazioni a distanza, ma tu hai qualcosa in più, tu anche se eri a più di dieci mila miglia da me, non mi lasciavi libero, sei sempre stata nella mia testa, e nessuna è mai riuscita a farmi provare questo prima. Ora sei qui, e io sono pronto, non ti lascerò andare per nessun motivo al mondo, puoi scalciare e urlare quanto vuoi, ma tu mi appartieni.”
“E’ una promessa?” gli sorrisi tra le lacrime che mi rigavano il viso.
“Si, Giulia, si!”
Mi baciò dolcemente, mentre le lacrime continuavano a rigarmi le guance. Sentivo che amare Joseph sarebbe stata la cosa migliore che avessi mai potuto fare.

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Capitolo 11
*** Mistakes ***


-Giulia 


Mi svegliai e richiusi gli occhi di scatto.
Cominciai a tastare il letto accanto a me, per controllare se lui ci fosse ancora.
Facevo scivolare la mano tra le lenzuola e non trovai nulla.

Mi sentii morire.

A un certo punto sperai persino che fosse stato tutto un sogno, e che mi sarei risvegliata a Roma, nella mia minuscola camera, a fissare un poster stropicciato dei Jonas Brothers attaccato alla porta, avrei voluto essermi immaginata tutto, e invece Joe mi aveva lasciata sola un’altra volta.
Una lacrima cercò di uscire dall’occhio ma la levai subito, mi alzai avvolta tra le lenzuola blu del suo letto.
Guardai in bagno, ma niente. Neanche un biglietto.
Sgattaiolai in camera mia. Alice era già uscita, per fortuna, non volevo farmi vedere da lei in quello stato pietoso.
Gettai con rabbia le lenzuola in un angolo della stanza, ormai in lacrime, volevo urlare, il dolore mi trivellava lo stomaco, mi piegai in due, e finii sul pavimento piangendo, notai la borsa di alice sotto il suo letto, mi ricordai del pacchetto di sigarette che teneva nascosto per le occasioni speciali, io non avevo mai fumato, e non avevo mai sentito nemmeno il bisogno di provare, ma in quel momento non riuscivo più a pensare e non ne avevo nemmeno il tempo: il cervello mi stava esplodendo.
“Devo allentare la tensione.” dissi tra me e me.
Mi gettai sotto il letto e presi un pacchetto e un accendino. Misi la sigaretta tra le labbra e cercai di accenderla ma non ci riuscivo. Le mie mani stavano tremando.
Buttai sigaretta e accendino verso il muro e scoppiai a piangere. Mi aveva ancora fatto male e con il dolore e la delusione c’era un’immensa paura di cos’altro mi sarebbe potuto succedere.
Non riuscivo a stare un minuto in più in quella stanza, quasi non respiravo.
D’impatto decisi. Dovevo andare via.
Dovevo andare il più lontano possibile da quella casa. Da Kevin, Nick e Danielle. Da Los Angeles. Dall’America. Dall’Oceano Atlantico. Da lui.
Cominciai a camminare freneticamente per la stanza mettendo tutti i vestiti a caso nella valigia, singhiozzando, corsi fuori dalla porta sul retro, Nick mi intravide ma non riuscì a fermarmi, nemmeno a chiedermi quello che stavo facendo, meglio così perché non lo sapevo neanche io, ma rimanere in quella stanza un altro secondo in più mi avrebbe uccisa.
Corsi senza prendere fiato nemmeno una volta. Tutte le mie paure mi stavano inseguendo, e io le sentivo alle mie spalle, pronte a catturarmi.
Ogni volta che mettevo un piede a terra avevo il terrore di non riuscire a fare un altro passo, credevo che la mia paura sarebbe riuscita a vincermi, che ad un certo punto mi sarei fermata e presa dal panico e mi sarei chiesta qual era il mio posto.
All’improvviso la mia stanza a Roma mi sembrò fin troppo piccola. Avrei voluto essere a casa sua, nella sua stanza, immersa nelle sue braccia, avrei voluto un rapporto normale, una persona che ti rispetta, ti sta accanto, ti fa ridere quando sei giù, o semplicemente ti sorride e migliora la tua vita.
Rallentai.
“Calma,Giulia,calma. Se continui così non arriverai mai nel posto in cui vuoi andare.”
Il posto in cui voglio andare. Ma quale diavolo è?
Rifletti. Molti dicono: “Ascolta il cuore.” Io non riuscivo a sentire il mio cuore! Era tutto sovrastato dai pianti dai singhiozzi,dalle urla, e dalla voce di Joe che girava nella mia testa, la grande promessa di Joe, che si era rivelata un’enorme, triste bugia.
“Ecco brava, continua a fidarti degli altri, idiota. C’hai provato e ti è andata male. Ma dove hai sbagliato. Cosa c’è di sbagliato in te?
Quest’ultima domanda mi martellava il cuore. Ero ferma in mezzo alla strada un centinaio di metri lontana da Casa Jonas. E non sapevo quale fosse il mio posto.
Un urlo mi fece sobbalzare.
 
“GIULIA, VAI VIA DA LI’!”


Joe!” sussurrai flebile con gli occhi spalancati, mentre stava correndo come un pazzo verso di me.
Era sempre più vicino.
 
 

-Joseph

 
Blackout. Mi sembrava d’aver avuto un blackout nel cuore.
Avevo avuto paura. Andava tutto troppo veloce. Era tutto nuovo, e troppo pericoloso.
“Non sono riuscito neanche a guardarla.”
Mi svegliai nel cuore della notte e senza voltarmi indietro mi rivestii e uscii dalla porta. Ero convinto che le avrei fatto del male, non volevo rischiare, non volevo mettermi insieme a lei e poi lasciarci con parole orribili, cose che ti rimangono in mente per troppo tempo. Se fossi riuscito a stroncare quel rapporto prima che nascesse non le avrei fatto troppo male.
Era speciale, era qualcosa di puro e innocente, non mi sentivo adatto. Giulia, anche il nome suonava angelico. Mentre uscivo cercai di non pensare, se solo l’avessi guardata dormire mi sarei innamorato di lei, e non sarei più riuscito a staccarmi.
Presi le chiavi della macchina dal piattino accanto all’ingresso, mi assicurai di non svegliare nessuno, quando una voce alle mie spalle mi fece trasalire.

“Cosa stai facendo Joe?”

Mi voltai e vidi Nick in piedi, con le braccia aperte, che mi guardava già infuriato.
“Torna a dormire, fratellino.”
“Non starai mica…”
“Ho detto torna a dormire Nicholas!”
“Allora stai scappando, eh? Perché le stai facendo questo? E’ una brava ragazza..”
“Lo so! Va bene? Lo so! E’ proprio per questo che me ne sto andando, mi sono reso conto che io posso solo ferirla.”
“Ma che ne sai.”
“Si Nick, è così. Per te è facile, no? Il ragazzo romantico, scrivi le tue belle canzoncine ed è fatta, no? Per me non è così, invece, io non so farlo il fidanzato, hai capito? Non ne sono capace, e non importa se provo qualcosa per lei, lei è diversa, e non sarà un'altra pagina vuota della mia vita, lei merita di meglio.”
“Se te ne vai ora, la perdi.”
“Non sopporterei di averla per un po’ e poi perderla. Io vado, mi dispiace.”

Sbattei la porta dietro di me e sentii spezzarmi in due.
Mi fermai sui gradini a piangere per pochi secondi, poi mi allontanai dalla mia casa.
Sentii che il mondo aveva perso un po’ del suo colore, o almeno io non riuscivo più a vederlo.
Non ero dell’umore di parlare con nessuno dopo la sfuriata con Nick. Avevo già fatto del male a una delle persone che amo di più al mondo.
Mi misi in macchina e accesi il motore, cominciai ad andare veloce, non volevo fermarmi in nessun posto, non volevo andare in albergo o chiudermi in un locale, continuavo a guidare senza meta, arrabbiato con me stesso, con quello che avevo appena fatto, per quanto cercavo di non pensarci.
Era l’alba. Cominciai a rallentare.
Il dolore che provavo si faceva sempre più intenso.
Provai a riflettere.
Ero ancora in tempo per riparare tutto. Per correre verso casa, sgattaiolare nella mia camera, infilarmi in quel letto e vederla svegliarsi e poi, inevitabilmente, innamorarmi.
Improvvisamente la mia testa si annebbiò di ricordi.
Di quell’anno patetico che avevo passato senza di lei.
Cercando di rimpiazzarla con altre donne, che per quanto belle, intelligenti e divertenti, non mi facevano sentire come faceva Giulia anche solo guardandomi.
Se non avesse funzionato, se ne avessi combinata una delle mie, se avessi commesso un singolo errore, l’avrei distrutta, e non me lo sarei mai perdonato.

Ma se andarmene, fosse stato quel singolo errore?

Fermai l’auto di scatto. Tornai indietro, con in mente solo quell’ultima frase. Ero in tempo per riparare. Dovevo fare presto. Dovevo tornare da lei. Dovevo proteggerla.
Dopo mezz’ora di guida entrai nel cancello di casa mia. Sfrecciai per il vialetto e mi catapultai in casa, aprii la porta e m’imbattei in Nick e Alice che stavano uscendo.
“Joe, non andare in camera tua.”
Non lo ascoltai.
Trovai il letto vuoto, cominciai a cercare disperatamente in tutte le stanze, Nick, mi bloccò da dietro. Cercai di liberarmi dalla presa. Ma lui non mollava.
“Ora basta Joe!”
“E’andata via..” sussurrò Alice da dietro, con il volto triste.
A quelle parole mi fermai.
Nick mi lasciò andare.
Abbassai la testa.
Il mio errore aveva già provocato le sue conseguenze.
Nick mi diede una pacca sulla spalla e io lo abbracciai, avrei voluto scusarmi per la sera prima, ma lui aveva già capito tutto, alzò le spalle e mi sorrise.
Ma nonostante tutto, avevo fatto una promessa a Giulia: non l’avrei lasciata andare.
“Devo fermarla.”
Corsi fuori prima che i due potessero ribattere.
Dopo un centinaio di metri avevo perso le speranze, stavo per tornare indietro quando la vidi in mezzo alla strada, che piangeva. Quella vista mi paralizzò. Mi odiavo per quello che le avevo fatto, e non mi sentivo autorizzato nemmeno a rivolgerle la parola.
Non ebbi il tempo per stare male, quando vidi un auto che stava sfrecciando per la strada e si stava dirigendo verso quella ragazza che era così importante per me.


Smisi di pensare. Successe tutto in un fulmineo attimo.
L’unica cosa che sapevo era che dovevo proteggerla.
Non lei, non ora.
 

“GIULIA, VAI VIA DA LI’!”

"Joe!" disse con un filo di voce, mentre ero quasi arrivato e l'auto era sempre più vicina.

In un attimo, una luce mi avvolse, e uno stridio che si faceva sempre più intenso mi stordì.
Buio.

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Capitolo 12
*** Come here. ***




“Femmina, bianca, 19 anni, investita da un auto, frattura del radio.”

“Maschio, bianco, 23 anni, investito da un auto, trauma cranico e lesioni interne.”


...
 
 
“Giulia, sei sveglia? Dai, ti prego, ti prego Giulia svegliati, per favore.”
Ero circondata da pareti completamente bianche.
Alice sedeva sul mio letto e mi stringeva la mano, appena cominciai a sbattere le palpebre la vidi saltare dalla gioia.
“Ali, basta, ti prego” dissi ancora stordita, ma scoppiando a ridere subito dopo.
Nick entrò e vidi il dolore nei suoi occhi.
Ritornai subito alla realtà.
“Dov’è?” chiesi d’impatto.
Il sorriso della mia migliore amica si spense in un istante.
“Dov’è? Dov’è?” Ripetei scandendo sempre di più.
Alice guardò Nick, cercando una risposta da darmi.
Mi alzai dal letto nonostante i due avessero provato a tenermi ferma.
“Devo andare da lui.” sussurrai con un filo di voce.
“No, sei ancora troppo debole, hai il braccio ingessato.”
Devo andare da lui!” dissi con un urlo strozzato.
Dopo un attimo di silenzio da dietro Alice e Nick mi presero per mano e cominciammo a camminare per l’ospedale, guardai Nick, lui sorrise e mi diede un bacio sulla fronte.
“Sono contento che tu stia bene.”
“Grazie Nick.” gli risposi commossa.
Arrivammo davanti alla porta di una stanza, sulla panca di fuori c’erano Kevin e Danielle che si tenevano per mano tristi, corsero verso di me, e mi abbracciarono affettuosi.
“Dove sono mamma e papà?” chiese Nick al fratello.
“Stanno parlando col dottore, Frankie è con la nonna.”
Un momento di imbarazzo, tutti mi guardavano preoccupati.
Il primo a parlarmi fu Kevin, dolcemente.
“Giulia, ti ricordi quello che è successo?”
“Non bene, l’ultima cosa che mi ricordo è stata Joe che urlava e correva verso di me.”
“Ah.”
Si fermò un attimo per trovare le parole. Pensai al peggio.
Dov’era Joe? Il mio Joe?
“C’era un’auto che sfrecciava all’impazzata dietro di te e Joe… beh, Joe si è buttato su di te ed è stato investito.

Mi mancò il fiato.

Stavo per svenire e mi fecero sedere sulla panca. Non riuscivo a respirare.

Denise e Paul arrivarono dal corridoio, erano pallidi come lenzuoli, Kevin e Nick si avvicinarono per sapere, mentre Danielle e Alice rimasero accanto a me, una che mi accarezzava i capelli e l’altra che mi stringeva la mano per farmi riprendere.
Nicholas venne verso di me. Non sapeva se dirmi di come stava Joe o no.
“Nick, Nick ti prego parlami, come sta?”
“Beh, hanno detto che non è più in pericolo di vita.”
Un microscopico sospiro di sollievo.
“Però dopo l’intervento non si è ancora svegliato, e il dottore ha detto che deve svegliarsi entro 72 ore, altrimenti…
“No. Non continuare.” dissi strozzata dai singhiozzi.
“Posso vederlo?”
“Si, ora puoi entrare.”
 
La vista di Joe immobile su quel letto mi fece tremare le gambe.
Come poteva essere lì, intubato, con gli occhi chiusi e io ancora viva?
Nick e gli altri mi lasciarono sola con lui.
Mi avvicinai al suo letto. Gli accarezzai il volto, e gli sistemai quei capelli che amavo tanto per trovare uno spazio sulla fronte da baciargli.
“Ciao” dissi con le lacrime agli occhi.
“Non sei così messo male, hai… hai una bella cera.
Scusa per la pessima battuta.”
Cercai di sorridergli.
“Perché l’hai fatto Joe? Vorrei esserci io al tuo posto in questo momento.
Ascoltami bene, devi dirmi qualcosa. Puoi prendermi in giro come fai di solito o farmi l’occhiolino, apri gli occhi, mi mancano i tuoi occhi, però devi farlo entro le prossime 72 ore, hai capito?! Hai capito Joe?”

Cominciai a piangere.
“Non sarebbe dovuto succedere Joe. Ti devo dire ancora tante cose, dobbiamo fare ancora tante cose. Noi, io e te. Non avrei dovuto andarmene, se ti avessi aspettato solo altri dieci minuti tu non saresti qui, ero pronta ad odiarti e tu ti sei gettato sotto una macchina per salvarmi, mi dispiace Joe, mi dispiace.”
Avanti Joseph, muoviti.
Muovi qualcosa, qualsiasi cosa.”

Mi accucciai accanto a lui e abbracciai il suo petto.
 
“Sempre maliziosa, eh?”
 
Credetti d’avere immaginato quella risposta.
 
“Idiota.”
 
Tanto parlavo da sola.
 
“Almeno sono bello.”
 
Sobbalzai. Era davvero la sua voce?
Alzai lo sguardo e vidi i suoi occhi mezzi aperti e un beffardo sorriso sul suo volto.
“Oh Dio, Joe.”
“Vieni qui.”
Lo strinsi forte, sentire di nuovo il suo braccio attorno ai miei fianchi fu meraviglioso.
“Credevo che non ti saresti più svegliato.”
“Ti ho fatto una promessa.”
Dopo venti minuti di sviolinate, mi ripresi e corsi a chiamare i suoi fratelli.
La cupa stanza d’ospedale si riempì di risate e pianti di gioia.
Andava tutto bene.
 

 
“Ti aiuto?”
Joe comparve nella camera e fece combaciare il suo corpo dietro il mio.
Stavo finalmente disfacendo la valigia che avevo fatto una settimana prima, il giorno dell’incidente.
Sorrisi e portai la testa all’indietro, sul suo grande petto.
“Tu non dovevi riposare?”
“Ti prego, una settimana in ospedale mi è bastata, ora voglio recuperare.”
Cominciò a baciarmi lentamente sul collo, provocando quel brivido che ormai conoscevo bene.
Salì fino all’orecchio.
“Mi sei mancata.” mi sussurrò.
“Ho il braccio ingessato.”
“Non ti ho mai fatto male, giusto?”
Mi baciò con passione e mi porto quasi sotto ipnosi sul letto, si stese sopra di me, e continuò a passare la bocca giù per il petto. Mi abbassò la spallina del reggiseno.
 “Non posso.” provai a fermarlo “noi…noi dobbiamo chiarire.”
Si bloccò e si mise ad un millimetro dal mio volto, si avvicinò abbastanza da sfiorarmi quasi le labbra.
“Shh, sei così dannatamente bella quando sei agitata.”
A quelle parole mi lasciai andare completamente, e cominciai ad accarezzargli il petto per poi togliergli la canotta che portava e gettarla sotto il letto.
Cominciò ad accarezzarmi i fianchi coperti ancora dal vestito. Cercò di alzarmelo ma gli bloccai la mano, e gli levai i pantaloni, lui era in mutande io ancora completamente vestita.
Mi fece uno sguardo perplesso.
“Volevo spogliarti prima io.” dissi con nonchalance.
“Perchè?”
“Sei così dannatamente bello quando sei in mutande.”
“Ah si, eh?”
Con un gesto fulmineo riuscì a levarmi il vestito e il reggiseno.
Rimasi a guardarlo divertita, mi scostò un paio di ciocche di capelli dal volto e rise.
“Ora siamo pari.”
 

 
Ero sommersa dalle sue lenzuola blu. Erano intrise del suo profumo. Ero in paradiso.
Il suo corpo riscaldava il mio, e anche se c’era un caldo torrido, continuavo a tremare.
Joe se ne accorse e mi strinse ancora di più a se.
Continuavo a fissare la scritta sul gesso con la sua grafia illeggibile:
 
Giulia, give me a high five!
 
Non riuscivo a smettere di ridere.
Mi voltai per vederlo in faccia e cominciai a giocare con i suoi capelli arruffati.
“Lo sai qual è la prima cosa che ho notato di te?”
“Cosa?”
“Quanto sei imbranata.”
“Carino eh!”
Mi voltai dall’altro lato, fingendo di essere offesa.
Lo sentii ridacchiare. Sparì sotto le lenzuola e iniziò a baciarmi le caviglie, per poi salire, sempre più su.
Cercai di nascondere un sorriso, e feci l’indifferente. Sbucò di fronte a me con un sorriso prepotente, mi prese il braccio e mi baciò la mano.
“Sei imbranata in un modo spietatamente eccitante, Giulia.”
“Sei un bugiardo.”
“No, oh no!”
Scoppiammo a ridere e rotolammo insieme giù dal letto.
 
Alzai lo sguardo verso la sveglia.
 
“Sono le dieci del mattino!”
“Beh, e perché quest’aria sorpresa?”
“Sei qui Joe!”
“Ah, davvero?”
“Stupido, sei rimasto.”
“E non ti lascio più.”
 
Sarebbe stato perfetto quel momento, ma all’improvviso si sentirono le urla di Nick e Alice in corridoio. Stavano litigando.

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Capitolo 13
*** Una camicia a pois più grande di tre misure. ***


“Joe torna qui! No!”

“Shhh, io vado a vedere cosa fanno!”
“No! Sono affari loro! Quando avranno smesso di litigare gli chiederemo cosa è successo.”
Quel bambino nel corpo di un neo ventiduenne non mi ascoltò nemmeno, scese dal letto e si acquattò accanto alla porta.

“Joe..”
“Shh!”
“Ehm, Joe!”
“Shhhhhh!!”
“JOSEPH!”


“Cosa c’è?!”
Troppo tardi. Aveva già aperto la porta e aveva già trovato Kevin davanti che scoppiò a ridere vedendolo completamente nudo. Joe non ebbe il tempo di accorgersene che gli lanciai i boxer in testa, li prese, sobbalzò, spinse il fratello che ormai era in lacrime, e chiuse imbarazzato la porta.
“Non ascoltarmi mai, eh?” gli dissi ridacchiando.
Si infilò i boxer, corse verso di me urlando, e mi buttò sul letto, rimase sopra di me, con tutto il suo petto che mi premeva sul torace, un dolore piacevole.
“Vogliamo star qui tutto il giorno?”
“Non c’è problema.”
Mi morse il labbro inferiore e ridendo ci alzammo.
 
“Non trovo la mia camicia!” urlai, continuando a ribaltare le lenzuola.
“Hai visto sul letto?” mormorò Joe dal bagno.
“No? Davvero? Non mi è proprio passato per la mente!”
“Non c’è di che!”
Dopo dieci minuti sentii la porta del bagno aprirsi e chiudersi.
“Giulia?”
Silenzio.
“Ahi!” mi lamentai da sotto il letto, Joe si mise sul pavimento e mi guardò mentre mi massaggiavo la testa.
“Ma perchè non ne trovo mai una normale?” disse tamburellando le dita sul parquet.
Gli diedi un calcio alla gamba.
“Dai aiutami ad uscire, non respiro.”
Mi tese la mano e sgusciai da lì sotto, appena fummo in piedi, mi prese la testa con le sue mani grandi e mi diede un leggero bacio poco più sopra della nuca, nel punto in cui avevo battuto prima.
“Hai trovato la camicia?” mi sussurrò all’orecchio.
“No, non ricordo neanche dove l’ho messa.”
“Okay, basta.”
Si allontanò da me e sparì nella cabina armadio per un paio di minuti, sentii cassetti e ante sbattere.
Ritornò con una camicia blu a pois bianchi perfettamente piegata tra le mani, me la porse.
“Che significa?” sorrisi confusa.
“Indossala.”
Appena presi la camicia dalle sue mani, si coprì di scatto gli occhi con le braccia e si girò dall’altro lato.
Risi, rimasi interdetta qualche minuto a fissare lui e la camicia, la portai vicino alle labbra e inspirai ed espirai profondamente.

Il suo profumo entrò nei miei polmoni e per quel microscopico attimo in cui essi sono pieni, in quel momento mi sentii completa.

La indossai, quasi navigandoci dentro, era più grande di almeno tre misure.
Toccai la spalla di Joe e lui si girò, fece una risatina, e mi sistemò i capelli disordinati.
“Questa è la mia camicia portafortuna, l’ho messa la prima volta che sono uscito con una ragazza, l’ho messa il giorno degli esami, e il giorno in cui ti ho incontrata.”
Me la ricordavo. La ricordavo fin troppo bene quella camicia.
La sua bocca si aprì per dire qualcos’altro ma io inavvertitamente, lo fermai.
“Hai sentito? Hanno smesso di urlare.”
Rimanemmo in silenzio, e sentimmo un paio di porte sbattere forte e il rumore di passi quasi saltellati nel corridoio, quel modo di camminare mi era familiare.
“Alice!” sussultai e mi gettai nel corridoio.

Eppure la ragazza singhiozzante, senza trucco e con le spalle ricurve che mi ritrovai davanti, non assomigliava per niente alla mia migliore amica



-

Hey you! Grazie per aver letto questo capitolo, spero scriviate recensioni nonostante sia maledettamente corto.
Comunque, la storia sta per subire un brusco risvolto, preparatevi al prossimo capitolo quindi...

TAN TAN TADANNN!

Ahahahahahahahahahahahahahahahahahahahaha
Un bacio a tutte! Bye.

 

E RICORDATEVI DI GUARDARE "FIRST TIME" SU VEVO MINIMO 50 VOLTE Al GIORNO.
Non scherzo.

Adios.

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Capitolo 14
*** Is this the end? ***


Davanti a me c’era Kevin, che mi mise una mano sulla spalla, gli sorrisi con tutti i denti che avevo, e mi girai, con le guance viola per la vergogna, e trovai Joe, piegato in due, che rideva. Sospirai. Un attimo dopo ebbe il secondo pugno nello stomaco. Sempre Nick. Scoppiai a ridere, e Joseph mi fulminò con lo sguardo.
Alice sbucò da dietro di lui e venne verso di me, mi tese la mano e disse:
“Sei contenta?! Ora, sto tremando.”
Le sorrisi, quasi in lacrime, quando Joe mi travolse, lui e Kevin stavano spingendo Nick verso Alice, Joe mi prese per i fianchi e mi portò in quella specie di trenino impazzito.


...

“Ci credi?!” mi urlò
“Manco un po’!”
“Neanche io!”




“Che diavolo significa me ne vado?” strillai, guardando Alice con gli occhi spalancati.
“Quale parte non hai capito?” rispose lei di ghiaccio, continuando a infilare i vestiti a caso nella valigia.
Detestavo quel suo tono prepotente, non premetteva niente di buono.
“Ma perché te ne vai?”
“Perché è finita!”
“Tra te e Nick?”
“No tra me e tutto questo!”
“Tutto questo cosa?”
“L’America, Nick, i Jonas Brothers, questa cosa è andata avanti fin troppo.”
“Che male c’è, mi hai convinta tu a venire qui, e abbiamo fatto bene, Alice!”
“Lo credevo anch’io, ma… ma qualcosa è cambiato.”
“Cosa?”
D’impeto, spinsi la sua valigia giù dal letto e le bloccai le braccia.
“Vuoi dirmi che cosa stai facendo?!”
In quel momento Alice cercava di evitare il mio sguardo.
“Non posso.” disse con la voce strozzata.
Quando una lacrima cominciò a scorrere sul mio volto, provai a reagire come Alice mi aveva sempre detto di fare, le presi il volto tra le mani e lo voltai verso di me, in modo che mi guardasse dritta negli occhi.
“Ora tu devi dirmi cosa è successo, perché ciò che hai detto fino ad ora sono solo cazzate.”
Per un secondo vidi negli occhi di Alice una scintilla di fragilità, era successo qualcosa, ne ero convinta più che mai, all’improvviso lei fece quello che temevo di più, non riuscì a fidarsi neanche di me.

Ogni frase diventò una coltellata alla pancia.

“QUESTA NON E’ LA REALTA’!”

Un colpo.

“E’ un sogno. Credi davvero che tu e Joe diventiate marito e moglie un giorno?”

Due colpi.

“Ma andiamo, sai com’è fatto! E per colpa sua stavi quasi per morire. Ti sta usando non lo capisci?”

Tre colpi.

“Credi che io non sappia cosa stavi facendo almeno dieci minuti fa? E’ la solita storia, e tu ci caschi sempre.”

Quattro colpi.

“Svegliati, non puoi vivere nelle tue dannate fantasie.”

Cinque colpi.

“E io non posso commettere il tuo stesso errore.”

Sei colpi.

Colpita e affondata.
Sentivo il dolore che mi pervadeva tutto il corpo e m’impediva di pensare lucidamente.
Non riuscivo a replicare. Quelle parole erano uscite dalla bocca di una ragazza che ormai non riconoscevo più.
Le sue sopracciglia da aggrottate si stesero sul mio viso in un espressione di stupore.
Per pochi secondi, Alice si rese conto di essere stata troppo dura.
Fece cadere sul pavimento i vestiti che aveva in mano, e mi mise un braccio sulla spalla.
Mentre mi diceva quelle cose che non avrei mai voluto sentire, la voce di Joe mi rimbombò nella testa.
“Vieni con me, ti porto a vivere il sogno.”
Qualche lacrima di rabbia cercò di farsi strada sulle mie guance.
Poggiai la testa sulla spalla di Alice e lei mi strinse a se mentre singhiozzavo.
“Il sogno è finito, Giulia. Torna con me. Andiamocene. E’ la cosa migliore per tutti.”
 
Il rumore della cerniera che chiudeva definitivamente la valigia mi face avvertire un profondo senso di nostalgia. Ero lì, ma per ancora per poco.
Vado.. a dirglielo.” Dissi con un filo di voce.
Alice annuì visibilmente triste.
“Ti aspetto fuori.”
La guardai interrogativa, non voleva neanche salutare Nick?
Evitò ancora il mio sguardo, prese le valigie e si avviò fuori da casa Jonas.
 
Rimasi accanto allo stipite della porta per un paio di minuti.
Ero immersa nel buio del corridoio cercando di nascondermi dalla luce che proveniva dalla camera di Joe, cercando di respirare il più silenziosamente possibile.
Riflettei.
Cosa diavolo avrei potuto dirgli?
E’ finita? Ti lascio? No, aspetta, ma noi siamo stati mai insieme? Non ti ho mai amato veramente?
Non volevo che l’ultima cosa che gli avrei detto fosse stata un’enorme e sofferta bugia.
Entrai con la testa bassa sperando che avrei trovato le parole appena lui fosse stato davanti a me.
Mi ritrovai da sola nella sua stanza vuota.
Sul letto solo un bocciolo di rosa bianca e un biglietto:

“Sono andato a fare due passi fuori con Nick. Torno più tardi. Dobbiamo parlare. Ti amo, Giulia.”
 
Portai la mano alla bocca per soffocare l’urlo e i singhiozzi che stavo per emettere.
Rimasi lì con gli occhi gonfi di lacrime.
Strinsi ancora di più la mano sulla bocca.

 
Afferrai con la mano che tremava la maniglia della sua porta per l’ultima volta.
Lanciai un ultimo inevitabile sguardo a quella stanza piena di tutto l’amore di cui avevo bisogno e che stavo abbandonando.
Il letto era completamente illuminato dalla luce del sole.
La rosa giaceva sulla sua camicia blu. E accanto al suo biglietto, ce ne era un altro, scritto con una grafia incerta, tre semplici parole.

“Mi dispiace Joe.”
 
 
 
 
 

“Il sogno è finito, Giulia.”

My space:
E' triste.
Ma dopo mezz'ora dalla pubblicazione di questo capitolo Kevin Paul Jonas II mi ha ritwittato.
E io non riesco a smettere di tremare.
E' un sogno, davvero.
Ecco il link del fattaccio.
https://twitter.com/Grelovecoldplay/status/364082103513653248
Non riesco a spiegare le mie emozioni.
Sono davvero la mia vita.

 

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Capitolo 15
*** Last promises. ***




"Ripetimelo un’altra volta, Nick."
"Ancora?"
Nick sospirò e si passò la mano sul volto, non che non fosse già agitato, ma almeno cercavo di tenergli la mente occupata, e farlo riflettere e non permettergli di deprimersi.
"E’ l’ultima volta."
Annuii come un bambino di prima elementare.
"Io e Alice eravamo sul letto e stavamo parlando del più e del meno e altre stupidaggini, poi ad un certo punto lei si gira di scatto verso di me:
“Che giorno è oggi?”
“Mmm..trentuno agosto.”
“Noi siamo arrivate qui il diciotto, vero?”
“Si, esatto, e allora?”
“E allora domani abbiamo il volo per tornare a casa, oh mio Dio, mi è completamente passato di mente!”
E’ scesa dal letto e ha cominciato a cercare i suoi pantaloni sotto il letto.
“Ma che fai?”
“Devo preparare la valigia.”
“Ma che fretta c’è puoi farlo dopo.”
“Dopo?”
“Si, dopo.”

E l’ho baciata.
“E poi potreste anche restare un altro po’ di tempo.”
“Quanto tempo?”
“Un paio di mesi magari.”
“Un paio di mesi?” ha detto distaccandosi da me.
“Si, perché no. Stiamo bene insieme magari durante questi due mesi potremmo considerare un po’ di cose.”
“Ad esempio?”
“Ad esempio accorciare le distanze tra Roma e Los Angeles.”
“Andare a vivere insieme? Noi? E dove?”
“Una casa qui non sarebbe male.”
“E il tour? La band? I mille impegni? Dovrei aspettarti a casa con la cena pronta da brava fidanzatina?”
“Certo che no, potrai studiare, fare quello che vuoi, anche seguirmi in qualche concerto.”
“Potrò fare quello che voglio?”
“Si.”
“Cosa voglio?”
“Dove vuoi arrivare?”
“Dimmi, cosa studio io Nick? Cosa voglio fare nella vita?”
“La…stilista?”
“No. Voglio studiare architettura. Vedi? Non sappiamo niente l’una dell’altro.”
“Tu sai tutto di me.”
“Certo, perché sono una tua fan, ma se tu non fossi un cantante famoso, se ci fossimo incontrati in un altro posto con due carriere diverse, aspirazioni diverse, e destini che davvero si potrebbero legare tra di loro, cambierebbe qualcosa?”
“Che hai Alice? Ti comporti in modo strano in questi giorni.”
“Non ho niente, è solo che ho riflettuto molto, su di me, su di te e ho capito che non arriveremo mai da nessuna parte.”
“Cosa? Ma che dici? Io ci tengo a te, siamo stati bene, non abbiamo mai litigato fino ad ora.”
“Questo solo perché tu dici di si a tutto quello che ti dico.”
“Certo, perché tu non accetti che ti si dica di no.”
“Non è vero.”
“Invece si, Alice.”
“Siamo arrivati a quel punto vero?”
“Quale punto?”
“Il punto in cui ci diciamo in faccia le cose prima che finisca.”
“Finisca, perché deve finire?”
“Perché non abbiamo un futuro.”

 

Nick si bloccò un secondo, forse perché non voleva piangere.
 
“Ha sospirato, si è messa in piedi e si è allontanata verso la porta, poi si è girata e mi ha guardato per un paio di secondi, aveva gli occhi lucidi.
“Sai, se tu non fossi un cantante famoso, se ci fossimo incontrati in un altro posto con due carriere diverse, aspirazioni diverse, e destini che davvero si potrebbero legare tra di loro un giorno e avere un futuro insieme, forse..”
“forse sarebbe stato meglio.” Ho finito io.
“Addio Nick.” Ha detto con la voce soffocata dalle lacrime ed è corsa fuori dalla porta.

 
Mio fratello si mise le mani sul volto e si girò dal lato opposto per non farsi vedere mentre piangeva.
Rimase qualche secondo girato in silenzio.
Non lo vedevo così da tanto e davvero non sapevo cosa dirgli.
Per fortuna c’era qualcun altro che riusciva sempre a trovare le parole giuste.
Neanche il tempo di chiamarlo e Kevin era già arrivato. Dall’incidente della mattina era sparito appena aveva sentito Nick e Alice litigare.
Arrivò da noi con tre caffè fumanti in mano e un sorriso consolatore.
“Ehi Nick.” Disse prendendolo per le spalle.
“Non piangere per lei. Lo so, fa male, ma noi siamo qui per te. Se ti ama davvero, tornerà.”
Nick lo guardò con gli occhi arrossati.
“Tornerà, capito?” disse “E se alla fine non va bene, vuol dire che non è la fine.”
Nick guardò prima me e poi Kevin e allargò le braccia.
Lo abbracciammo, scompigliandogli i ricci.
“Torniamo a casa.”
 
Mentre eravamo in macchina pensavo a Giulia.
A quello che avrei dovuto dirle.
Probabilmente era il momento meno adatto dato quello che era appena successo tra Nick e Alice, ma forse era l’unico momento che avrei avuto a disposizione. Perché come aveva detto Alice, il tempo stava per scadere e avrei fatto di tutto per tenerla ancora qui con me.
 
“Mi dispiace Joe.”
 
Non avrei mai creduto che un giorno sarei riuscito a sentire il suono del mio cuore spezzarsi.
Ero rotto. Ecco come mi avevano ridotto quelle tre parole.
Il tempo, evidentemente, era scaduto prima del previsto.
E le mura mi stavano sbattendo in faccia tutte le risate, i baci e le promesse, che riempivano quella maledetta stanza poche ore prima.
Nonostante ci provassi non riuscivo ad ascoltare quello che mi dicevano i miei fratelli, tutti i miei sensi erano bloccati. Riuscivo a stento a respirare.
Mi stesi per terra. E mi lasciai divorare dai ricordi.
 
Ero rotto.
 

 
Erano passati due giorni e ancora ero bloccato a trovare una soluzione.
Come da copione, Giulia se ne era andata proprio nel momento in cui avrei voluto parlarle e prendere delle decisioni insieme a lei.
“Come da copione…il copione… la storia… il colpo di scena!” urlai da solo.
Scesi le scale balbettando come un pazzo “Il colpo di scena!”
Nick era fermo sul divano che fissava la chitarra senza nemmeno toccarla.
Corsi verso di lui.
Mi guardò interrogativo.
“Ho trovato la soluzione!” dissi soddisfatto.
“La soluzione? Che soluzione? E a cosa?”
“Vieni Nick, ti spiego mentre andiamo all’aeroporto.” mormorai accennando un sorriso.
 

 
“Ero appena tornato da correre e avevo trovato sul tavolo della cucina la colazione ancora fumante che Giulia mi aveva preparato. Corsi a farmi la doccia e poi entrai in camera sua. Non c’era. Cercai in salotto. Niente. Ad un certo punto sentì un rumore provenire dalla veranda.
Stava scrivendo su un quaderno quasi completamente distrutto per via delle cancellature di penna.
“Buongiorno.”
Non mi sentii. Era completamente assorta e concentrata in ciò che vagava nella sua testa. Era sempre stata bella, certo, ma in quel preciso momento la trovavo davvero meravigliosa.
Fissava le ultime parole che aveva scritto, poi storceva il naso, le cancellava e ne scriveva altre cento.
Mi avvicinai silenziosamente a lei le schioccai un bacio sulla fronte.
Il suo viso si sciolse in un sorriso.
“Buongiorno, da quanto sei qui?” Mi chiese come se si fosse appena svegliata.
“Sono appena arrivato, ho visto quello che hai fatto in cucina.”
Arrossì.
“Non sono una grande cuoca, se non ti piaceranno non mi offenderò. Promesso. O quasi.”
Ridacchiammo insieme.
“Che stai scrivendo?”
Provai a piegare verso di me il quadernetto che aveva tra le mani.
“Niente, sciocchezze.” Disse tirandolo a se.
“Ti vergogni?”
“No, è che non è ancora finito.”
“E cosa ti manca?”
“La fine.”
“Beh, la fine è facile, “E vissero tutti felici e contenti” no?”
“Non sto scrivendo il remake di Biancaneve e i sette nani.”
“E allora cosa stai scrivendo?”
“Non lo so. Non è commedia, tragedia o fantascienza. Non è un giallo, o uno di quei romanzi zuccherosi alla Nicholas Sparks. E’ una storia, abbastanza contorta, che ruota attorno a un personaggio pieno di complessi.”
“Mmh, la storia della tua vita allora.” La presi in giro.
Lei rise e mi diede una leggere spinta alla spalla.
“Che ne so.” Disse sospirando.
“E ci sono anch’io lì dentro?”
“Forse.” Sussurrò.
“Allora devi assolutamente metterci un bel finale, tipo me che salvo il mondo, la bella ragazza e tutto il resto. Rockstar di giorno, Supereroe di notte!”
Mi misi a piroettare su me stesso mentre Giulia era piegata in due dalle risate.
“Potrei pensarci. Ma ho appena finito di scrivere della tragedia.”
“La tragedia?”
“Certo, in tutte le storie c’è un momento in cui tutto sembra perduto, tutto è buio, triste e senza uscita e poi arriva qualcuno e salva la situazione.”
“E scrivilo.”
“Si, ma come?”
“Con un bel colpo di scena!”
“Un colpo di scena?”
“Si, a questo punto, qualcuno deve fare una pazzia, deve correre ad aggiustare tutto, deve conquistare la bella ragazza e tutto il mondo, ma con stile.”
“Con stile, eh? E cosa potresti fare?”
“Potrei lanciarmi sulla mia motocicletta fiammante, fare una sgommata per strada e urlare ai cattivi che stanno per ucciderti: “EHI IDIOTI, QUELLA E’ LA MIA RAGAZZA!”
Si alzò ridendo dalla sedia e venne verso di me.
“Ci penserò.” Mise le braccia attorno al mio collo e si avvicinò a pochi centimetri da me.
Appoggiò il volto sulla mia spalla. E cominciammo a dondolare lenti come se stessimo ballando.
“Tu lo faresti davvero?” disse rialzando i suoi grandi occhi scuri verso di me.
“Cosa?”
 “Il colpo di scena.”
“Io farei tutto per te, Giulia. A parte la calzamaglia, quella non la indosso.”
“Andiamo hai ballato single ladies con i tacchi e non vuoi mettere neanche una calzamaglia?”
“ Beyoncé si, Superman no.”
Rise e ritornò con la testa sulla mia spalla.
Rimase a fissare il sole che sorgeva.
“Promettimi che rimarrai anche quando ti chiederò di andare via.” Mi sussurrò tremante.
Le accarezzai i capelli e la strinsi a me.
“Tu mi appartieni e non importa a quanti chilometri di distanza potrai mai essere, ti prometto che farò di tutto per riaverti nel caso dovessi perderti.”
“Tu non mi perderai mai. Ti ho aspettato troppo.”

 
Finii di raccontare quando arrivammo proprio davanti ai cancelli dell’aeroporto.
Scesi dalla macchina, ma Nick non aveva ancora spento il motore.
Mi girai guardandolo stupito.
“Beh, che fai?”
Nick non mi rispose, abbassò lo sguardo, voleva andarsene e tornarsene a casa ma non aveva la forza ne di scendere dall’auto e partire con me per riprenderci le nostre ragazze.
“Non vuoi venire?”
“Joe… non servirà a niente, almeno per me. Da un bacio a Giulia anche da parte mia.” Disse sottovoce e distaccato prese in mano il cambio e sfrecciò via.

Rimasi da solo davanti all’aeroporto.
Sto arrivando, Giulia. A costo di venire in calzamaglia, ma sto arrivando.

L'ho promesso.



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Capitolo 16
*** Would you fight dragons with me? ***





Sarebbe andato tutto bene? Doveva andare tutto bene. L’aveva detto anche Kevin.
Ero in volo e non riuscivo a smettere di pensare.
“Signorina, può portarmi delle noccioline?
Dissi mezz’ora fa.
“Quanto diavolo ci vuole? Sono solo delle stupide noccioline.”
Tutta colpa di quell’hostess, se avessi avuto le noccioline mezz’ora fa non mi sarebbe venuta questa stupida ansia da colpo di scena.
Provai a ricordare ogni informazione per riuscire a ritrovarla.
Giulia Bianchi, 18 anni, Roma, via del... 
Dio me l’aveva detto.
Riprovai.
Giulia Bianchi, 18 anni, Roma..
La sua voce mi mandava in tilt il cervello.

“Mi fai del male Joe e non posso più permettertelo.” aveva detto in lacrime quella sera sul tetto.

“Joe!” aveva detto flebile mentre la macchina era praticamente dietro di lei e la stava per investire.

“Mi dispiace Joe.” aveva scritto e se ne era andata, andata via da me.


Maledetta ansia.
Provai a pianificare un discorso da vero eroe.
“Giulia, sono venuto qui perché ti ho promesso che non me ne sarei mai andato e io..”
Perfetto. Originale. Spavaldo. Faceva schifo, veramente schifo.
Se solo l’immagine di Giulia che piange sul mio letto in ospedale la smettesse di incasinarmi i pensieri.
Giulia Bianchi, 18 anni..
“Non scenderò da quest’aereo senza le mie stupide noccioline.” Sussurrai tra me e me.
Giulia Bianchi…
“Codardo.” Disse una voce accanto a me, che in un primo momento pensai provenisse solo dalla mia testa.
Mi voltai e la signora anziana che era accanto a me mi stava fissando.
“Si, hai sentito bene, codardo.” Replicò.
“Mi scusi…perché?”
“Perché hai paura.”
“Io? Paura di che cosa? Di rimanere senza noccioline?”
“No, tu hai una spietata paura di non riuscire a riprenderti la ragazza.”
“Cosa?” sbuffai “Come fa a dirlo?”
“Dolcezza, sono due ore che non la smetti di borbottare: “Giulia…. devo tornare da lei….Giulia…”
“Mi scusi ma..”
“Perché sei così terrorizzato ragazzo?”
Sospirai.
“Perché non ho mai fatto una cosa così. Non mi sono mai lanciato su un aereo per andarmi a riprendere una ragazza.”
“Ma questa Giulia è diversa.”
“Si. Lei riesce a capire quello che penso, mi sfida, combatte con me e poi ci ride sopra e mi rende felice ogni singolo momento. E’ buona e dolce… e io a volte sento di non meritarla.”
“Lei ti ha mai detto che non la meriti?”
“No certo. Ma ora lei è andata via.”
“Perché?”
“Perché forse crede che non avremo un futuro.”
“Ragazzo, se c’è una cosa che so è che il futuro non è qualcosa di certo. Non va mai come l’hai stabilito. Però se trovi una persona che ti rende felice ogni momento, allora non devi lasciarla andare, mai, può diventare la tua unica certezza, il tuo punto di riferimento, la tua migliore amica.”
“E se lei non volesse stare con me?”
“Ancora? Ti ha mai detto niente del genere?”
“No, anzi, io sono qui perché mi ha fatto promettere che non l’avrei lasciata andare.”
“Ecco, ma non è solo per quello. Tu sai di aver bisogno di lei.”
Stavo per ribattere.
Stavo per farlo. Non avevo la minima intenzione di contraddirla, perché dentro di me sapevo benissimo che quello che aveva detto fosse la verità.
Stavo per ribattere perché era come se avessi un meccanismo di autodifesa dentro di me.
Autodifesa da tutto.
Persino da lei.
Ma quel meccanismo doveva essere fermato altrimenti l’avrei persa e con lei avrei perso me stesso.
Stavo per ribattere ma una voce dall’alto mi tappò la bocca.
“Si avvisano i gentili passeggeri che siamo in arrivo all’aeroporto di Fiumicino, Roma.”
 
Oltrepassai le porte e un vento settembrino mi investì dalla testa ai piedi. Il cielo di Roma era azzurro senza nemmeno una nuvola. Era chiaro. Avevo deciso di abbassare le difese, di far entrare qualcuno nel mio cuore, sapevo che lei avrebbe sconvolto la mia vita, ma per la prima volta lei mi aveva fatto sentire vivo.
Non sapevo da dove cominciare, non sapevo cosa dirle ma non riuscivo a smettere di pensare al suo sorriso, a tutte le volte che la facevo ridere, a tutte le volte che si addormentava tra le mie braccia, quando si rintanava nel mio petto e sentire il suo respiro tiepido mi dava una sicurezza mai provata prima.
Giulia aveva stravolto il mio modo di pensare, il mio modo di agire, aveva cambiato la mia visione del mondo e mi sentivo appartenere finalmente a un posto.
Niente avrebbe potuto fermarmi.
All’improvviso un ciclista mi tagliò la strada strappandomi una manica della camicia che indossavo, quella che Giulia mi aveva restituito.
“Fantastico.” Sembravo un cantante funky degli anni ‘60.
Il ciclista si fermò e si scusò con me continuava a ripetere “Come posso farmi perdonare?” io sospirai e lo tranquillizzai. Entrai in un negozio per comprare una nuova maglietta, mentre stavo uscendo notai un bidone dall’altro lato della strada, nonostante ci tenessi a quella camicia ormai era distrutta.
Stavo attraversando quando notai un foglietto che sporgeva nel taschino nascosto della camicia.
Lo presi e lo aprii, c’era una frase scritta con una grafia che conoscevo bene.
“Caro Joe, se stai leggendo questo significa che l’hai trovato in quella enorme camicia che mi hai dato. Ricorda che avrò sempre bisogno di te e se vorrai mai tornare, allora…Via della Libertà n. 81.”
“Lo sapevo!” urlai vittorioso.
“Davvero c’è qualcosa che posso fare per farmi perdonare?” Il ciclista di prima era  rimasto a guardare la scena.
Lo guardai.
“Veramente…”
 
 

(Giulia)

La mia camera, la mia vecchia vita e il vecchio poster dei Jonas Brothers attaccato dietro la porta che ora sembrava mi guardasse storto.
Ero seduta sul letto e fissavo il cellulare.
Aspettavo.
Aspettavo qualsiasi cosa.
Alice dopo essere atterrate a Roma mi aveva accompagnato a casa e poi aveva ripreso la sua strada, silenziosa, come se fossimo tornate dal più comune giorno di scuola.
Ma tutto era diverso anche tra noi due.
“Giulia, non hai fatto colazione?”
“No, non ho fame.”
Non avevo fame da due giorni.
“Io esco per un paio di minuti.” Disse avviandosi sconsolata giù per le scale.
Non l’ascoltai nemmeno.
Sprofondai il volto sul cuscino.
Ancora una volta, mi sentivo sola, non importava quante persone ci fossero attorno a me, quella di cui avevo bisogno non era lì. E sentivo il cuore sgretolarsi e la mente impazzire.
Un tonfo mi fece aprire gli occhi di scatto.
I figli dei vicini stavano ancora giocando a calcio davanti al nostro giardino.
Di solito i tonfi erano i rumori delle pallonate contro il portone del garage mi tenevano sveglia tutti i giorni.
Ma l’idea di restare sveglia ad annegare nelle delusioni mi buttava giù ancora di più.
Trascino il mio corpo giù dal letto.
Mi affaccio alla finestra per urlargliene quattro.
Rimango con l’urlo in gola.
Un uomo svenuto giaceva sul prato di casa mia completamente ricoperto delle foglie dell’albero nel mio cortile.
Mi precipitai giù per le scale per soccorrerlo.
Scostai le foglie dal suo viso, cominciai a intravedere i lineamenti del suo volto.
Era il volto che avevo amato tutto questo tempo.
 

(Joe)

Apro gli occhi e tutto intorno a me era offuscato e i suoni ovattati.
Pian piano riuscì a distinguere la figura di una ragazza che sedeva sul letto accanto a me.
“Buongiorno dormiglione.” Si aprì nel più dolce sorriso dell’universo.
“Ehi. Ma che è successo?”
“Beh questo dovresti dirmelo tu. Io esco e ti trovo svenuto nel mio giardino.” disse quasi con un tono di rimprovero ma era visibilmente felice, non riusciva a nasconderlo.
“Ah, ho provato ad arrampicarmi.”
“Cosa? Dove?” continuò sempre più arrabbiata.
“Sull’albero?”
“Sull’albero? Sei impazzito? Avresti potuto farti male sul serio! Non basta quello che ci è già successo..” esclamò.
 “Tu volevi il colpo di scena, no?”
“Si ma se ti spezzavi il collo non ci sarebbe stata più la storia!”
“Ah-ah! Allora ammetti che ci sono anch’io nella tua storia.”
Continuammo a battibeccare per un paio di minuti.
“Perché non mi hai chiamata?”
“Avrebbe ucciso la magia. E poi tu mi hai scritto la via di casa tua!”
“Il mio primo errore. Saresti potuto morire tu, non la magia!”
Stavo per replicare quando all’improvviso mi bloccai. Un raggio di sole le illuminava il viso, mi guardava con i suoi grandi occhi marroni e io cominciai a rendermi conto che quello che stavo facendo non era quello per cui avevo fatto nove ore di volo.
“Aspetta. Basta.” Le dissi.

“Sono venuto qui per dirti che ti amo e non facciamo che bisticciare come bambini. Lo so che ti amo sempre nei modi più strani e sbagliati ma quello che conta davvero è che io ho bisogno di te. E per questo ti seguirei in ogni parte del mondo, ma per ora, se tu vuoi, io ti offro questo: la colazione a letto tutte le mattine, potrai decidere che film guardare nei giorni di pioggia, e quindi venire a vivere con me a New York e studiare giornalismo all’università e potremo lottare con i draghi insieme, ma soprattutto ti offro il mio amore, anche se ti capisco se sceglierai di rifiutarlo.”

Giulia rimase ammutolita e dopo pochi interminabili secondi mi diede un leggero bacio sulle labbra come per dire si a tutto quello che le avevo detto e alla fine sorrise e disse:

“La prossima volta però citofoni alla porta.”

Scoppiammo a ridere e si gettò tra le mie braccia.
Le nostre vite stavano cambiando. Qualcosa di meraviglioso e spaventoso allo stesso tempo stava succedendo. Ma io avevo messo il mio cuore tra le sue mani e lei aveva fatto lo stesso con il suo.
Non sapevo se il destino ci avrebbe tenuti uniti per sempre.
Ma la strinsi forte al mio petto, il suo profumo inebriava la mia mente. Non la lasciavo più andare. Non l’avrei lasciata mai più andare.
 
To be continued.

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La seconda stagione arriverà presto.
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno seguito la mia storia.
Posterò un'ultimo piccolo capitolo domani sera.


Love you all.

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Capitolo 17
*** Best friends. ***




Okay, la storia è ufficialmente finita. Joe e Giulia hanno avuto il loro bel finale, o almeno così sembra per ora.
Tra pochissimo arriverà la seconda stagione.
Ma avrei un’ultima cosa da dire su questa prima stagione.
Questa fanfiction l’ho iniziata un po’ di tempo fa.
Per i personaggi mi sono ispirata a tre persone che mi stanno davvero a cuore.
Ma questo capitolo. Questa parentesi, la dedico a Valentina.
Se avete riconosciuto nei personaggi di Giulia o Alice la vostra migliore amica, spero vi piacerà quello che leggerete qui.
Valentina è la mia (spesso purtroppo ma a volte grazie al cielo) migliore amica, che ha il nome di Alice nella storia.
Quella che mi ha fatto vivere i momenti migliori, che vi descriverò, anche se spesso sembreranno assurdi e alcuni insignificanti.
Questo è un pensiero di Giulia, che sta per cominciare una nuova vita, in un’altra parte del mondo con Joe e ovviamente deve dire addio a quella vecchia.
La vecchia vita che condivideva soprattutto con una persona.
----------xxx---------- 






“Cosa rimarrà qui?” mi chiedo chiudendo gli ultimi scatoloni con la mia roba.
Il sole picchia sulle strade roventi.
Roma si ricorderà di me? Lascerò qualcosa a questa città?
Si. Lascerò gli anni della mia adolescenza, quelli in cui è successo di tutto, quelli in cui è cambiato tutto, quelli che sto abbandonando. Lascerò i momenti migliori vissuti con la persona migliore che avessi mai potuto incontrare.
“Non so neanche dove sia in questo momento.” Penso. “Che razza di migliore amica sono? E soprattutto, che razza di migliore amica è lei? Che non mi chiama da una settimana, dopo tutto quello che è successo.”
Ma perché non dovrebbe essere la mia migliore amica?
Troppo diverse, dicevano alcuni.
Altri pensavano che ci detestassimo l’un l’altra, per via degli insulti e i brevi battibecchi che animavano le nostre conversazioni.
E’ vero. Se ci incontrassimo oggi molto probabilmente non ci rivolgeremmo nemmeno la parola.
Io vedrei solo una ragazza biondina, molto carina e magra. Sicuramente proverei anche invidia per lei.
Solo al pensiero mi viene da ridere. Da piccola ero davvero gelosa di Alice.
Andavamo nella stessa classe alle elementari e litigavamo quasi ogni giorno, spesso non la consideravo neanche un’amica. Poi scattò qualcosa. Cominciammo a trovare qualcosa in comune andando oltre i pregiudizi che avevamo l’una nei confronti dell’altra. Da quando scoprimmo i Jonas Brothers cambiò tutto.
E’ così strano, ora che ci penso.
I Jonas ci hanno unite e ora ci fanno separare? Non poteva essere vero.
Il fatto è che Alice ha un carisma irresistibile. Anche se non è la persona più dolce e amichevole del mondo.  E’ una di quelle che rivela la sua vera bellezza nei momenti più inaspettati.
Se ci siamo mai dette “Ti voglio bene”?
Si, come ho detto prima, ce lo siamo dette nei momenti più strani e inaspettati. Magari anche non nei  modi convenzionali, se un “ti vooglio beeeene” biascicato prima di vomitare da ubriaca vale, allora si me l’ha detto anche quella volta.
Sento tutti i ricordi risalirmi su per la pelle.
Ho vissuto i momenti migliori con lei, non vorrei dimenticarmene neanche uno.               
Ho paura di dimenticare.
Non voglio che Roma si dimentichi di noi.
Non voglio che il graffito che Alice fece sulla strada di casa mia il giorno del mio compleanno svanisca, quello tutto colorato con una citazione di una canzone, “Yellow” dei Coldplay diventata da quel giorno la canzone del mio compleanno:

“Look at the stars, look how they shine for you, auguri Giulia.”

Sorrido ogni volta che ci penso. 
Non voglio che la ferita sul ginocchio di Alice si rimargini, quella che si fece cadendo su un tombino a nove anni mentre correvamo per strada e lei diceva queste esatte parole “Sai qual è il bello? Che con queste scarpe corro e non cad..” Bum. Per terra.
Non voglio che la lettera senza senso che mi ha scritto per il compleanno si consumi.
Non voglio che i nostri balli scatenati a piedi nudi sul tappeto del salotto di casa sua vengano rimossi.
Non voglio dimenticare il braccialetto dell’amicizia che mi fece quando eravamo piccole e stette alzata fino a tardi per crearmelo anche se si ruppe dopo un paio di giorni.
Non voglio dimenticare le sue battute, i versi strani che mi hanno fatta piangere dalle risate.
Non voglio dimenticare quando cantavamo a squarciagola “Please be mine” con la porta chiusa in camera mia.
Non voglio dimenticare quando a undici anni ci promettemmo che saremmo andate insieme a un concerto dei Jonas.
Non voglio dimenticare le nostre eterne conversazioni al telefono, quella in cui mi commentava urlando in diretta un film horror che stava vedendo, e quella in cui andò a sbattere contro un albero di limoni mentre stava parlando.
Non voglio dimenticare tutti i giorni in cui io perdevo il pullman e me lo vedevo passare davanti con Alice che da dentro mi salutava e rideva.
Non voglio dimenticare i suoi disperati tentativi di copiare da me durante i compiti.
Non voglio dimenticare quando a sette anni in classe mi scrisse un bigliettino che diceva: “Sanremo amiche per sempre.” e nonostante l’errore di ortografia, è uno dei ricordi più belli che ho di lei.
Non voglio dimenticare quando durante i saluti finali del nostro saggio di danza ci affacciammo dal sipario per salutare i nostri genitori, mentre si chiudeva, rimanemmo fuori, cercando la fessura per rientrare, tra le risate di tutto il pubblico e anche le nostre.
Non voglio dimenticare tutte le volte che tornavamo insieme a casa, cantando, non curanti dei passanti che ci guardavano storto.
Non voglio dimenticare le poche volte che ci siamo abbracciate, quelle vere.
Non voglio dimenticare niente di lei neanche il suo più piccolo difetto.
Roma ricordati di noi.
Ricordati della nostra amicizia. Io lo farò.

Perché lei mi sbatteva in faccia la verità che volevo e non volevo sentire, lei mi faceva stare bene e mi capiva come nessun altro.
Perché lei aveva saputo vedere oltre la mia timidezza e io oltre il suo apparente carattere freddo.
Perché lei era la mia migliore amica.
Era? Non voglio crederci.
L’ultimo scatolone è chiuso. La stanza è spoglia di ogni foto, ogni poster, ogni peluche, ogni ricordo.
Mia madre mi chiama dal piano di sotto, Joe è arrivato con l’auto a prendermi.
Devo andare a salutare tutti, ma prima c’è un’ultima cosa che devo prendere e portare con me.


“Pronto? Alice?
“Ciao Giu, dimmi.” Risponde con la più grande naturalezza, il tono di voce da normale pomeriggio dopo scuola.
“Io parto per l’America, vado a vivere con Joe.” dico tutto d’un fiato.
Silenzio, Alice non risponde.
“Prima che tu possa dire qualsiasi cosa, volevo dirti che..” aggiungo io.
Mi fermo pochi secondi, sento un groppo in gola.
“…anche io ti voglio bene.” mi risponde lei dolcemente.
Aveva già capito tutto, come sempre.
“Sei la mia persona, Alice.” Le dico commossa.
“Sei la mia persona, Giulia.”
“Allora ci sentiamo?” continua lei ridacchiando.
“Si, ci sentiamo.” Dico io scoppiando a ridere e chiudo la chiamata con le lacrime agli occhi.
 
 
Ciao Roma, grazie di tutto.
Ciao Alice, ti voglio bene.                           
Ci vediamo presto.

 

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