Desperate Call - A Tale that you don't Want to Remember

di ShunLi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Incontro ***
Capitolo 2: *** Ode a Duccio ***
Capitolo 3: *** LE MIROIR D'AMOUR ***
Capitolo 4: *** Secondo Natura ***
Capitolo 5: *** Gelo Caldo ***
Capitolo 6: *** Scale (Note di Tensione) ***
Capitolo 7: *** A te che detieni la chiave del mio Cuore ***
Capitolo 8: *** Scale (Note Marmoree) ***
Capitolo 9: *** Primo Incontro 2 - Tilt your head toward the Light ***
Capitolo 10: *** Cosa è rimasto di noi ***
Capitolo 11: *** Secondo Natura - Sex is always good with You ***
Capitolo 12: *** Mani ***
Capitolo 13: *** Rosamaria ***
Capitolo 14: *** Ti racconto una Storia ***



Capitolo 1
*** Primo Incontro ***


"Ti vidi passare tra quelle stradine, quelle dove le mura bianche si tingevano del rosso dei fiori, e pareva si imporporassero d’imbarazzo nel vedere la tua bellezza, che non era come le altre, non era acerba o incontrastata, ma ispirava poeti, sollevava dubbi, decantava un periodo che forse gli abitanti di quel luogo ancora non riuscivano ad accettare o forse non volevano vedere. Qualunque sia stato il motivo del perchè tornai tra quelle stradine, era per vedere se avresti reagito alla mia costante presenza. Il primo giorno nemmeno un tuo sguardo mi penetrò il petto. Allora ero famoso per deliziare tutte le giovincelle del paese, e la mia persona era stata dichiarata come "il farabutto, l’innominabile, colui che lasciava incinta chiunque e scappava" insomma, non una degna parola usciva dalle bocche delle zitellone più acide, ma ormai, cosa potevo farci? Ma alla tua persona potevo, sentivo nel profondo che ero rinato. Un altro spirito aveva preso posto dello scapestrato che ero in precedenza e non facevo altro che lavorare sodo, vestirmi bene e rimirarti. Forse le voci di paese erano arrivate anche al tuo udito sopraffino, ma eri imperturbabile come l’inverno gelido e severo come in Generale. Rimasi deluso, quasi ferito, quindi, al tuo passar spedito. Il giorno dopo ancora nulla e nulla ancora, e nulla ancora sino alla settimana dopo. Eri spazientito. Il tuo sopracciglio si inarcava leggermente, quando fosti abbastanza arrabiato da avvicinarti e chiedermi cosa volesse un diavolo come me da una persona per bene come te.

Il tuo Amore, risposi solo. Il tuo Amore e nient’altro, quale cosa divina sarebbe averti tra le braccia, stringerti le mani e sussurrare il tuo nome per giorni interi, senza preoccuparsi del mondo, di chi mi ha sparlato e di chi ci potrebbero deridere? E sia chiaro, che se mai mi sarà daro questo diritto, io ti onorerò sempre, dissi. Tu ridesti un pochetto e non ci credevi, e non so per quanti giorni ho dovuto ripetere quella frase, quasi come se dovessi crederci, come un mantra, ma io ci credevo già più fermamente di te e tu ti innamorasti di quel mantra, eri adorabile quando le tue spalle si abbandonavano e i tuoi occhi si chiudevano a quella promessa. E se fosse possibile ritornare su quelle stradine, a quel tempo, a quell’amore innocente che si posava su di noi, te lo ripeterei ancora. Ma i fiori si sono seccati. Il nostro amore si è seccato, e non so se un giorno potremo essere come prima. Ma io spero. Ho piantato fiori simili nel nostro giardino intorno alla Villa. Un giorno forse, le mura della nostra casa si imporporerà d’imbarazzo, come la prima volta che ti vidi.”

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Capitolo 2
*** Ode a Duccio ***


“E’ magnifica Ilario. Cosa stai suonando?”

Le mani del Pariah si muovevano in modo sinuoso, una danza quasi impossibile da fermare. Nella villa pareva che il tempo si fosse fermato. Le poche macchine che passavano poco lontano producevano poco rumore e l’aria calda di Firenze aveva ispirato il Pariah a sedersi al pianoforte, cosa che non faceva da molto tempo. Duccio si sedette accanto a lui, a quella sua metà che a volte amava e che a volte disprezzava con tutto se stesso. Il Pariah continuò a suonare iperterrito, la melodia da piano progredì verso un suono quasi disperato, soffocato, sembrava lui, che si esprimeva in modo quasi muto, verso qualcuno o qualcosa che ancora Duccio non riusciva a spiegarsi.

Duccio si limitò a mettere una mano sulla coscia destra del Pariah e quest’ultimo sorrise.

“Si chiama “Ode a Duccio”.”
Per poco a Duccio non si soffocò con la sua stessa saliva.
“Mi-mi stai prendendo in giro.”
“Niente affatto. La sto componendo proprio adesso. Vedrai, sarà un successo planetario!”
“A nessuno piace la musica classica.”
“Ma la mia musica a te piace.” Disse il Pariah, con un tono lascivo. Si avvicinò al suo viso, per posare un bacio sulla guancia bianca e calda di Duccio. Poi si abbassò verso il collo, provocando una piccola risata in Duccio, che risuonò nella sua gola. A Pariah piaceva quel suono.

“Quindi Ode a Duccio? E’ un titolo che potrebbe essere interpretato in molti modi. Anche nei peggiori.”
“E’ quello il mio scopo. La gente deve essere confusa -alterata, quasi infuriata. Perchè quest’Ode non ha nulla a che vedere con la celebrazione degli elementi e della sinfonia. Parla sempre e solo di te. Sei un personaggio ma allo stesso una persona, Duccio. Nemmeno io all’inizio capivo perchè agivi in tal modo, come se recitassi una grande commedia. Poi ne ho capito il retroscena. Quindi il tono si fa più dolce, profondo, io stesso mi sono immerso e ferito, affinchè potevo conquistarti. Poi ad un certo punto ti sei ribellato, ma io non mi sono arreso. Hai fatto di me un uomo più forte, più consapevole di te. Mi è piaciuto perdermi in te.”
Duccio era rimasto a bocca aperta. “Ilario…”

“Perciò continuando il mio viaggio, pian piano la tua melodia, vibrava in modo diverso. Si espandeva per accogliere me nella tua musicalità casuale, ma dolce e potente, capace di far vibrare il mondo, se necessario. Non so ancora se Ode a Duccio è troppo poco per raggruppare tutto questo…”
Duccio affondò la testa nell’incavo della spalla di Ilario, in un impeto di amore e gratitudine.

“Va benissimo, va benissimo…”
“Allora Ode a Duccio sia.”

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Capitolo 3
*** LE MIROIR D'AMOUR ***


Era un sogno.

Lo era? C’erano tante scale, una spirale infinita. Guardandola mi faceva venire le vertigini. Non potevo uscire, una barriera invisibile mi impediva di scappare. Prima avevo visto Tazim correre in giardino, inseguito da Ilario, che ridevano a crepapelle. Non li avevo mai visti così felici. Quell’evento mi confermò che quello che stavo vedendo era un sogno e per uscirne, avrei dovuto salire le scale.

Passo dopo passo, le mie gambe si muovevano ormai meccanicamente sulla rampa infinita di gradini sbiaditi. Chissà perchè le scale, mi chiesi. Erano fin troppo presenti nella mia vita. Inconsciamente le odiavo, ma Ilario ci sarebbe rimasto male, forse ferito, se glielo avessi detto. E più salivo, più mi rendevo conto che io e Ilario, non ci saremmo mai raggiunti completamente. Io non volevo scendere e lui non voleva salire. Stendevamo le braccia, ma senza mai toccarci. Era questa la differenza tra me e lui. Io su un piedistallo immaginario, accecato dalla mia boriosità e lui… Lui era lui. Probabilmente non c’era nulla di storto in Ilario. Ma il fatto che non lo esternasse mi mandava in collera. Lui, sempre dedito a dimostrami il suo amore attraverso lettere e promesse, oggetti che a nessuno della nostra epoca sarebbe venuto in mente, una villa sontuosa, una vita fatta solo di Noi e di coloro che ci avrebbero considerati non un qualcosa, ma un tuttuno…

Mi fermai. Faceva freddo. Mi voltai verso i muri, dove vi erano appesi quadri strappati, consunti, visi che non riconoscevo. Le didascalie erano scritte anche in modo strano, e non vi apprestai più della dovuta attenzione. Sentivo ancora Tazim ridere, forse più su vi era qualche finestra aperta. Avevo bisogno di vederlo e abbracciarlo. L’affetto che provavo per lui era l’estensione di quello che provavo per il Pariah, ma invece di tormentato amore, ero riuscito a farlo diventare tenerezza, cosa che, non avevo mai fatto con nessuno. Pareva che solo Tazim mi dasse quel tassello che serviva a completare la mia misera vita.

La mia misera vita. E adesso la mia vita cos’era?

Mi guardai le mani. Tremavano. Il mio cuore tamburellava impazzito nel petto. Avrei anche pianto, ma qualcuno lo stava già facendo, sentì piccoli singulti provenire dalla cima della scala. E non era Tazim, che continuava a giocare iperterrito, senza fermarsi. Continuai la scalinata e il pianerottolo, per fortuna, mi si presentò a me. C’era una pozza d’acqua, poco profonda, nera, sudicia. Al centro c’era un ragazzino che con l’avambraccio destro si copriva gli occhi e con l’altra mano si stringeva la veste bianca che lo copriva malamente. Non mi faceva pena, ma una sofferenza mai provata prima mi strinse le budella. Mi tolsi la giacca e raggiunsi il bambino, coprendolo alla meno peggio.
"Hey, su, non piangere. Stai bene, perchè sei qui?"
Il piccolo mi guardò sorpreso, ma non senza smettere di singhiozzare. I suoi occhi erano grandi e velati di una tristezza infinita.
"Nessuno.mi.ama!" Dichiarò con voce rotta. Volevo stringerlo a me con tutte le mie forze.
"Come ti chiami?" Chiesi, accarezzando il suo viso.
"Ilario…" Il cuore smise di battere, ora. "Ilario?" Ripetei, toccando adesso il suo viso con entrambi le mani. Buon Dio, non poteva essere l’Ilario che conoscevo.
"Perchè sei qui?"
"Mi ci hanno relegato." "Chi è stato?"
Ilario si mise di nuovo a piangere. Stranamente sapevo la risposta, ma non voleva dirla. Se quel sogno mi avrebbe fatto riavere (o avere, non lo sapevo ancora) la serenità che bramavo con Ilario, allora dovevo farglielo dire.
"Chi è stato Ilario, a me lo puoi dire." Il ragazzino ferito, sporco e sudicio come quella pozza d’acqua, era deciso a non darmi risposta. Con la testa fece cenno di no, ma le sue mani mi stringevano la camicia con ardore.
"Ti prego Ilario, lo so che lo puoi dire. Non ho paura. Non so per quale motivo sia qui o la ragione per cui ti sei presentato in questa forma, ma non ho paura di ciò che dirai. Ascoltami, ascoltami bene… Lo so che io non sono quella perfetta metà che desideravi di avere, ma se questo potrà farti stare meglio, preferirei essere al tuo posto, un milione di volte, come punizione, un castigo che merito di avere, perchè probabilmente non sono degno di te e questo mi distrugge. Lo so che sono stato io a rinchiuderi qui. Lo so Ilario e desidero amarti. Senti le voci lì fuori? C’è anche Tazim che sta giocando con te. Lui ti ama! E nessun altro come Tazim sa amare, perchè è genuino come nessun altro…"
"E tu?" Ora Ilario stringeva le mani al petto, speranzoso. Forse un tantino felice. Lo abbracciai.
Altre parole non servivano. Tutto sparì. Mi risvegliai sul prato, con accanto Ilario. Tazim giocava poco lontano e le sue risate riechieggiavano tra gli alberi.
"Dormito bene?" Mi domandò Ilario, tracciando una linea immaginaria sul mio collo.
"Ho dormito? E quanto?"
"Per tre quarti d’ora, credo. Tazim non voleva altro che dipingerti la faccia con i suoi colori!"
"Non è vero!" Urlò Tazim, continuando a ridere sotto i baffi. Osservando i due, mi resi conto che il sogno era stato reale, perlomeno a metà. Ma dov’erano quelle scale?
"Ilario, nei paraggi c’è forse un castello?"
"Ad ovest c’è una vecchia torre abbandonata. Vuoi andare a vederla?"
"Si, te ne prego."

Ci recammo tutti e tre, verso la cima delle scale. Le stesse scale sbiadite, i quadri ormai logorati, ma dopo le scale, non vi era più nulla. Il pianerottolo che aveva sognato, non esisteva. Al suo posto vi era un enorme voragine.
"Peccato, appena entrati la torre sembrava in ottime condizioni." disse Tazim, stringendo la mia mano. "E’ pericolo restare qui, ormai, aggiunse il Pariah, andiamo." E ci avviammo di nuovo giù. E stavolta con Ilario che mi stava accanto, più vicino che mai.

Forse la mia era stata solo una futile illusione, ma stavolta io e Ilario avevamo stabilito un contatto più profondo. E iniziato a percorrere la scala che ci separava. Forse ci avremmo messo una vita. Ma non importava.

Non importava.

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Capitolo 4
*** Secondo Natura ***


"Allora… Ti stai godendo la vista?" Disse il Pariah, quasi nudo, immerso nell’acqua tiepida sino alle ginocchia, senza pensare che stava mostrando tutte le sue cicatrici. Non lo faceva perchè era motivo di orgoglio o mostra di se stessi, ma con quel ragazzo si sentiva a suo agio. Cosa che per Duccio non era la medesima cosa. Ilario aveva cercato in tutti i modi di avvicinarsi a lui, ma quando aveva tentato la via più facile e seduttiva, aveva sfoderato tutte le sue carte pur di averlo. Il sol pensiero lo fece sorridere. Quel suo sorriso aveva fatto asciugare la gola a Duccio. Quest’ultimo non capiva perchè aveva trovato Ilario dentro la vasca e soprattutto, nudo, con tutt’altre intenzioni che non fossero legate ad una doccia. In verità, Duccio non gradiva le sue attenzioni. Prima o poi lo avrebbero accusato di sodomia. Ilario continuò a muoversi nella vasca, che sciabordava della poca acqua al suo interno. La mano di quell’uomo era scivolata dentro i suoi calzoni senza tanti complimenti e Duccio deglutì, mai, mai un uomo si era azzardato a fare davanti a lui tutto quello che Ilario stava ora facendo a se stesso. A Duccio piacevano le donne, perchè Ilario insisteva?
"Perchè non vieni qui?"
"No…"
"Ma io ti desidero, Duccio De Luca."
"E io no, stupido testone."
"Il tuo cazzo dice il contrario." Disse Ilario, indicando l’erezione nei pantaloni del ragazzo. Duccio si mise dietro una tenda, poco lontana dalla vasca.
"Sei un deviato! Non è quello che sembra!"
Ilario rise, stringendosi la sua stessa erezione. Si piegò in avanti, respirando a fondo e chiamando il nome di Duccio. “Non negare i tuoi bisogni. Lo so che mi vuoi.”
Duccio sospirò. “Io ho solo bisogno di un collega giù al porto, non di una concubina da aggiungere al mio harem.”
"E se fossi la tua concubina, cosa mi faresti mh?" L’idea di essere la schiava personale di Duccio,  stuzzicava il Pariah. Si sdraiò, poggiando la base del collo al bordo della vasca. Si liberò degli stivali e dei calzoni. Le mutande erano diventate trasparenti per via della troppa acqua che le aveva bagnate. Con la mano destra continuò a pompare velocemente, ansimava senza vergogna. Duccio sentì dentro di sè qualcosa che non sapeva spiegarsi.
"Vestirei di soli veli e mi faresti cavalcare ogni notte il tuo meraviglioso membro? Oppure preferisci che mi lavori il tuo cazzo con la lingua d’argento che possiedo?"
"Ilario basta…" Quando Ilario azzardò a mettersi due dita nell’apertura, alzando il bacino e puntellandosi con i piedi, Duccio entrò dentro la vasca. Esattamente vestito com'era, Duccio allontanò la mano di Ilario dalla sua apertura e infilò lui stesso delle sue dita. Il basco gli copriva il viso impassibile ed eccitato, forse? Ma ad Ilario non gli importava. Portò le sue gambe dietro la schiena del ragazzo, mentre quest’ultimo si slacciava i calzoni e allentava un pò la casacca. Si abbassò verso Ilario per trovare una posizione confortevole e l’uomo con la maschera gli tolse il basco. Il suo viso era bellissimo mentre era concentrato. Alzò lo sguardo, solo per un attimo, incrociando i suoi occhi con quelli di Ilario. Si accorse che erano infuocati di piacere. Ilario quindi emise il gemito che stava a lungo trattenendo e Duccio iniziò a penetrare Ilario. Un pò alla volta, spingendo e rientrando con calma, per poi aumentare di velocità. Ilario cominciò a chiamare più spesso il nome di Duccio, con una nota di supplica e di tanto sospirato piacere."

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Capitolo 5
*** Gelo Caldo ***


"Eri seduto lì, con la faccia che affondava nella sciarpa, e ti accontentavi di congelarti il sedere su quella panchina, pur di aspettarmi. Feci qualche passo verso la tua direzione, infilando le mani in tasca e tentando di fermare i brividi che mi facevano tremare la mascella.
Il freddo di quel giorno era veramente crudele. Non si vedeva nulla, tranne la luce offuscata dei lampioni. Il mare in lontananza sembrava una bestia intenta a mangiarsi la sabbia, mentre gli abitanti della città erano placidamente accocolati davanti al camino a bere cioccolata calda. Riuscivo a sentirne l’odore e dopo una giornata rinchiuso nel mio cubicolo musicale, non vedevo l’ora di riscaldarmi un pò. E la sola presenza di Duccio, vedendolo seduto alla panchina, mi aveva riempito la testa di altri pensieri. E mi facevano sentire più caldo.
"Ciao." Salutai.
Duccio mi guardò in viso, senza muovere più di tanto la testa. Lo adoravo quando nascondeva il naso dentro la sua sciarpa in pile.
"Ma non ti stai ghiacciando il sedere sopra quella panchina?"
"Mh." Rispondi vagamente, tremando un pò. Si alza, prendendo le sue cose e rigirandosi tra le mani le chiavi della motocicletta. Aspettandolo, guardo il cielo, coperto da una patina grigia orribilmente satura, come un espugnabile roccaforte.

"Vogliamo andare?" Mi inviti, facendomi ritornare al tuo viso, pallido ma concentrato. Mi porgi la mano guantata, che sa di calore e promesse che forse manterrai. E voglio credere che sia così, perchè vedo sul tuo sedere delle strisce scure. Ghiaccio sciolto. E’ da una giornata che aspetti, lo so, ma tu non lo vuoi ammettere. Così ti prendo la mano e mi scoppia nel petto un sentimento che non avevo mai sentito prima d’ora. Qualora l’avessi mai potuto esternare, di sicuro l’avrei fatto davanti a quella cioccolata calda tanto desiderata.

"Ti va una cioccolata al bar? Conosco un locale dove fanno una cioccolata grandiosa." Sembra che tu mi legga nel pensiero.
Annuisco con la testa. Poi mi sporgo verso te per ottenere un bacio. Le tue labbra sono calde, caldissime.
"Portiamone un pò anche a casa."
"Va bene golosone."

Ci infiliamo i caschi e ci avviamo verso quel calore un pò speciale, che non è solo dato dalla bevanda calda, ma anche dai nostri corpi caldi, dal nostro amore.

Dal nostro reciproco silenzio, dettato da questo gelido inverno.”

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Capitolo 6
*** Scale (Note di Tensione) ***


"Era un pomeriggio soleggiato e la Villa esplodeva di un caldo color arancione che anche gli Dei invidiavano con forza. Ilario Lombardi aveva dato fondo a tutti ai suoi fiorini pur di avere ciò che lui e Duccio da tempo desideravano e per avere insieme, la vita che avrebbero dovuto vivere per sempre. Ma per sempre non era un aggettivo contemplato da Duccio. Spesso fuggiva dalla villa, portava con sè qualche puttana della Rosa in Fiore, che come di consueto, lasciava un ricordino come una mutandina, una calza raffinata, una ciocca di capelli. A volte Ilario non ci faceva caso, ma la gelosia lo rodeva dentro. Per tutto quello che stavano passando, stare insieme sotto lo stesso tetto non era abbastanza. Erano arrivati a sposarsi, ma nemmeno quello li faceva stare insieme sul serio. Lo scambio delle chiavi, la canzone nel pieno pomeriggio nel bel mezzo della piazza… Ilario poteva esserne stufo, ormai. Ma trovava sempre qualcosa, una nuova promessa, una nuova ancora a quella relazione tanto dolce quanto amara. Così, per quel pomeriggio Ilario aveva deciso che avrebbero fatto qualcosa di straordinario. Ma un rumore gli fece dimenticare tutto il resto... Sembrava che qualcuno avesse sbattuto la testa sul ferro della balaustra. Di sopra sapeva che c’era Duccio, ma pensava stesse dormendo. Si incamminò per alcuni scalini e chiamò il suo nome.

"Duccio?"
"Ilario per favore, vieni su!"

Era la prima volta che sentiva la sua voce così disperata. Stava ansimando e forse stava male. Il rumore che Ilario aveva sentito dalla cima delle scale non era certo buono. Così prima avanzò ad un ritmo lento, poi la preoccupazione prese il sopravvento e corse su per gli scalini. Ilario si maledì tra sè e sè, per quella inutile e superficiale scala lunga chissà quanti metri. Aveva voluto una villa sfarzosa? E quello era il risultato, una scarpinata che divideva Ilario e Duccio da inutili scalini marmorei. Sembrava non finissero mai.

"ILARIO!"
Duccio ansimava più forte, ora che Ilario era quasi in cima. Non sapeva perchè, ma all’improvviso gli erano venute le vertigini, vedendo quel baratro nella tromba delle scale. Quindi si era aggrappato alla balaustra, cercando di ignorare quel malessere e scendere con piena tranquillità, lui era un fottuto mercante che aveva navigato in lungo e in largo, e ora si faceva prendere in contropiede da tre rampe di scale? “Ma non scherziamo…” Si era detto, scendendo per dieci scalini. Poi il vuoto. Il suo corpo si rifiutava di stare dritto e in equilibrio, le gambe erano molli e… Maledizione, dov’era Ilario? Sentiva che senza di lui non ce la poteva fare.. Un ultimo barlume di consapevolezza gli disse che, se sarebbe morto su quelle scale, almeno lo avrebbe visto per l’ultima volta.

"Mio dio Duccio… Cosa ti è preso?"
"Aiutami almeno a sbottonarmi la casacca… Non, non riesco a respirare!"
Ilario, senza farselo ripetere due volte, gliela sbottonò così forte, che alcuni bottoni saltarono via.
"Era la mia casacca migliore…"
"Nonostante sei senza fiato, ne hai ancora per lamentarti, eh?"
Duccio abbozzò ad una risata, guardò giù e di nuovo quel senso di vuoto lo fece sentire perso. Come se stesse navigando in acque che cercavano a tutti i costi di cacciare l’intruso. Dalla balaustra si aggrappò alla spalla di Ilario, stringendola forte. Poggiò la testa al suo petto e riprese il controllo del respiro.

"Vuoi che ti porti in stanza da letto?"
"No, restiamo ancora così per un attimo, ti prego…"

Ilario non sapeva spiegarsi cosa fosse successo e quando si accinse a baciare Duccio tutto gli fu più chiaro. Potevano passare mesi, anni. Il mondo poteva essere invaso da tempeste e mari burrascosi. Centinaia di scalini potevano interrompere i loro passi, ma mai, mai potevano essere divisi.”

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Capitolo 7
*** A te che detieni la chiave del mio Cuore ***


Tu ripeti costantemente che hai la chiave del mio cuore. Di fronte a questi pezzi arruginiti mi viene da ridere, adesso. Come si fa a dire una cosa simile?

"Non credere alle sue parole." Mi bisbiglia una cortigiana nell’orecchio. "Quel pazzo direbbe qualsiasi cosa pur di tenerti incatenato a sè."
"Si dia il caso che quel "pazzo" come lo definisci tu, ha trovato molte più chiavi, più di quante tu sostieni di possedere."

La cortigiana diventa rossa in viso. “Quel-quella è solo una scusa per…”
"Per tenerti incatenati gli uomini soli, ricchi e disperati che non vedono mai l’ombra di una vagina."
A questo punto la cortigiana, offesa, se ne va, lasciandomi solo a chiedermi se mai Ilario abbia mai detto con convinzione di questo puerile fatto.

Non so dove ho lasciato la mia chiave. Forse l’ho buttata in mare, sperando che qualche sirena l’avrebbe raccolta e custodita per sè. Oppure me l’avrebbe riportata con tanta di quella grazia che sarei morto. Non dico che una cosa simile non esista, in fondo chi sono io per dire il contrario? Le sirene sono per me un punto debole: evidentemente per Ilario il suo punto debole sono i legami.

"Duccio?" Mi chiama una voce che conosco e che mi fa tremare le gambe, appena la sento. E’ Ilario, vestito di tutto punto.
"Sei arrivato."
"Allora hai deciso?"
"Non trovi che sia poco elegante per te, indossare una collana come chiave?" Domando, alzando un sopracciglio. Lui si scosta la maglia di lino.
"La terrò qui, vicino al petto."
Rido, leggermente sorpreso. Non sapevo avrebbe detto così.
"Allora va bene."

Su due chiavi praticamente identiche, facciamo forgiare dal fabbro delle parole lungo il cannello.

"A Duccio che detiene la chiave del mio cuore."
"A Pariah che detiene la chiave del mio cuore."

A lavoro finito le osservo. E’… Mi fa sentire un pò ridicolo. Una romanticheria che, nemmeno nell’era moderna dovrebbero mai fare, se qualcuno decidesse mai di farlo.
Ma pur di vedere quei suoi occhi favolosi brillare ad ogni novità che ci possa far appartenere non solo fisicamente, ma anche materialmente, farei qualsiasi cosa.

Anche portare una chiave poggiata al petto nudo ancora incandescente.

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Capitolo 8
*** Scale (Note Marmoree) ***


Potevano essere grida o echi della memoria, ma ricordava bene cosa accadde dopo che quelle scale erano state installate. Duccio ricordò con gioia e con dolore quegli avvenimenti.

"Ilario mi hai sentito? Dove sei?"

Duccio scese le scale velocemente, senza guardare i suoi passi. I tacchi dei suoi stivali riecheggiarono per quel stupendo e ortodosso pezzo della loro villa che Ilario aveva deciso di far installare, non senza aver chiesto a Duccio il suo permesso. Per il ragazzo era troppo sfarzosa, nonostante fosse semplice e bianca, quasi come a prendersi beffa di qualcosa che Duccio non sapeva spiegarsi. Ilario invece aveva detto che l’essenza della loro villa era lì, concentrata in quella scala. Duccio aveva guardato il Pariah con un pò di stupore ma, come sempre, aveva acconsentito a quella sua pazzia e si era ritrovato sdraiato sui gradini. Non che gli fosse piaciuto, ma il mal di schiena gli era rimasto.

"Sono qui!"

La voce di Ilario sembrava un eco lontano, e Duccio ebbe la strana sensazione che invece di parlare dal fondo della cucina, Ilario fosse nelle profondità di qualche pozzo dimenticato. Una leggera fitta al petto lo fece sentire ansioso, ma tutto scomparve quando vide la sua schiena, le sue spalle larghe. Sospirò.

I sospiri che a volte non avrebbe voluto far sentire erano appunto quelli di sollievo. Sollievo nel vederlo a casa, sollievo nel vederlo pavoneggiarsi in nuovi abiti comprati chissà dove, o sollievo quando lo corteggiava per riconquistarlo di nuovo e un altra volta e un altra volta ancora.

"Ilario cosa fai?"
"Cucino."
"Tu non cucini mai." Ribattè Duccio sorpreso. Vide la tavola imbandita con il loro servizio migliore. Porcellane finissime con bordi d’oro e d’argento. Bicchieri in cristallo. Due piatti, una candela.
"Oggi è un occasione davvero speciale." Disse Ilario, armeggiando con un cucchiaio di legno. Posò lo stesso e si avvicinò a Duccio, aderendo il suo corpo a quello del ragazzo.
"Qu-quale sarebbe?"
"Mh, bella domanda, come posso spiegarti? Oggi è il primo giorno di una lunga serie di baci che ti ho donato con tutto il mio cuore. Oggi è il primo giorno di quando ti ho promesso me stesso fino alla morte. Oggi è il primo giorno di quel futuro insieme che abbiamo deciso di affrontare. Oggi è il primo giorno di tutti gli altri mille giorni passati insieme, amore mio."

"Ilario, potevi dire semplicemente che è il nostro anniversario."
"Ma non sarebbe stato lo stesso."
"Sei il solito stupido!" Duccio cercò di liberarsi dalla sua presa, ma Ilario era decisamente restio a lasciarlo andare.
"Credo che si brucerà tutto se continui a tenermi così avvinghiato."
"Non accadrà. Ho tutto sottocontrollo."
"Vedremo quando sarà tutto pronto." Duccio indicò una pentola, da cui usciva del fumo nero.

"CRISTO!" Gridò il Pariah correndo ai fornelli e Duccio cominciò a ridere come un pazzo, divertito da quall’aspetto di Ilario che non aveva mai visto. E che adesso ne ricordava solo pochi tratti.

Quella casa stava diventanto una gabbia in cui non desiderava più stare. Se era vero il detto che la casa è dove il cuore vi appartiene, il suo non era più lì. Si sistemò il basco in testa. Toccò la balaustra, facendo scivolare le dita sullo smalto bianco, consumato, come l’amore per Ilario, ma sempre presente, come un tintinnio poco convincente, l’eco che non vuole assolutamente sparire.

"Credevo che non ti piacesse stare qui."
Duccio alzò la testa e vide Ilario alla fine della scalinata. Duccio strinse la balaustra con la mano. Non pensava di rivederlo. Ilario non sembrava stare bene. Barba di qualche giorno, vestiti dismessi, il sonno quasi inesistente. Doveva ritenersi soddisfatto. Era una punizione meritevole. Si era divertito con un Auditore, con uno sporco Auditore. L’aveva tradito perchè Ilario non aveva tenuto a bada la sua lussuria. Duccio non era solo ferito nel profondo, poteva dirsi anche disgustato. Ma quel che sentiva adesso era inspiegabile. Rabbia, rimorso, frustrazione, tristezza, rifiuto…

"Infatti sto per andare."
"Bene."
"Bene."

Ma Duccio non si mosse. Ilario non si mosse.

"Come sta Tazim?" Domandò Ilario.
"Tazim sta bene. Cresce ed è in ottima salute." Rispose Duccio, senza alcuna inclinazione negativa nella voce. Nonostante l’astio che il piccolo nutriva per Ilario, gli voleva bene. Insomma, erano pur sempre una famiglia no?

Duccio si voltò per risalire la scala, ma Ilario era già al suo fianco. Quella morsa in cui lo bloccava ogni volta adesso era più stretta che mai.
"Ilario…"
"Solo per quest’ultima volta."

E gli concesse quell’ultimo abbraccio.

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Capitolo 9
*** Primo Incontro 2 - Tilt your head toward the Light ***


La prima volta che ti ho incontrato? E' tutto molto confuso. Ricordo le luci, il freddo, qualche risata di ragazza  in lontananza, che riecheggiava in qualche putrido angolo di Firenze. Quella notte era lussuriosa e piena di tentazioni, di promesse non vere e che in ogni caso, non sarebbero state mantenute. Mentre camminavo a passo lento osservavo le finestre color panna dei palazzi signorili che si stagliavano orgogliosi verso il cielo, e che in qualche modo, accompagnavano la mia notte solitaria... All'interno delle case, vedevo delle ombre muoversi al ritmo di una danza che non conoscevo. Era quel tipo di danza che tu hai dentro sin dalla nascita, Ilario. Mi hai insegnato un sacco di cose, in tutti questi anni. Non rimpiango niente della nostra vita insieme. Ti ho odiato, ti ho amato, hai fatto così tante cose per me - cose che un uomo non fa per una semplice donna. In quel momento, mentre vedevo quelle ombre in movimenti gioiosi e felici, pensai che forse, per un uomo come me che non aveva radici, non c'era possibilità che potessi anch'io vivere in modo spensierato e altezzoso. Avevo dato tutto al mare e il mare non mi aveva dato niente in cambio. Solo miraggi, notti insonne, onde agitate. Il mio spirito era agitato. E lo fu ancor di più quando alla fine della strada vidi un alta figura con una strana maschera, un soprabito affascinante e un fluido movimento del tuo corpo. Avevi catturato tutta la mia attenzione, sembravi essere su un palcoscenico che solo tu immaginavi e ti muovevi con eleganza, parsimonia, con celata sensualità. E il tempo si ferma. Il mare si placa. Niente in Firenze è più interessante, adesso.
Hai avuto il potere di farmi smettere di respirare.
"Buonasera." Saluti, in tono di voce assolutamente gentile, muovendo il tuo cappello con le dita. Mi passi vicino, ignaro del mio turbamento interiore, non riesco nemmeno a risponderti. Ingoio la vergogna di quell'attimo e parto spedito verso la mia piccola casa, a pensare, ponderare, a chiedermi quale creatura mi fosse apparsa davanti.
Mi sentivo vinto. Se il mare mi aveva tolto tutto, tu mi avevi dato nuove domande, nuovi dilemmi, nuove incertezze.
La notte dopo ritornai con passo decido sui miei stessi passi, su quella stessa strada di Firenze in cui adesso aleggiava un aria diversa, nonostante ci fossero le stesse luci, lo stesso freddo... Riuscivo a sentire persino le stesse voci di ragazza ridere in lontananza. Le finestre dei palazzi però non avevano in cornice ombre che si tuffavano leggiadre in danze sconosciute. Forse anche il tempo nelle case era mutato? Perchè sembrava tutto una coincidenza? Una celebrazione ad un incontro a cui nemmeno io sarei riuscito a scampare per il resto dei miei giorni?
Le domande sembravano banali quando ti trovai poggiato ad un lampione. Il cappotto era diverso, la maschera imperturbabile, come il tuo sguardo, tormentato, agitato, di un colore mai visto in natura.
"Buonasera." Lo stesso movimento, la voce molto più interessante, e forse anche interessata della sera prima. Cosa l'aveva portato a farsi trovare?
"Buonasera." Stavolta il coraggio, non mi mancava. "Chi sei?"
Il tuo sorriso dolce, diceva tutto. Sembravi caduto dal cielo, e che le tue ali fossero nascoste sotto il tuo cappotto di filo d'argento e pelliccia. Mi poggiai all'altro lato del lampione, sentendo il tuo respiro, la tua consapevolezza che avevi fatto colpo, e con tutta la calma di questo mondo, cominciasti a raccontare. La tua voce, sinfonia cara dei miei umili ricordi, si mischiano a qualcosa di raro che non riuscirò mai a condividere con altri. E se quella sera riuscisti ad aprirti a me non era perchè avevi scelta, ma perchè sentivi che volevi farlo.

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Capitolo 10
*** Cosa è rimasto di noi ***


Era una cappella bellissima, uno scorcio di un mondo totalmente diverso da quello che conoscevano: Duccio si chiese quante volte l'acqua e il tempo avevano scavato con così tanta profondità e con così tanta accuratezza. Nessun essere umano poteva essere capace di una magia simile. Ilario passeggiava in tutti gli antri e in tutti gli angoli, facendo riecheggiare il suono dei tacchi degli stivali nel piccolo spazio, caldo e confortevole.
Ilario tornò indietro da Duccio. "Vieni con me, voglio mostrarti il pezzo più bello."
Duccio seguì con entusiasmo il Pariah. Lo condusse vicino ad un altare, con motivi arabeschi che serpeggiavano lungo i muri e da cui filtrava abbastanza luce da illuminare entrambi i lati delle colonne. Lo spazio dietro di loro sembrava potesse ospitare una ventina di persone.

"Ti piace?"
"E' molto affascinante..."
"Perchè non ci sposiamo qui?" Disse Ilario, con tono allegro. Duccio lo guardò spiazzato.
"Stai dicendo sul serio?!"
"Perchè no? La navata potrà ospitare tutti i nostri migliori amici e tutte le nostre conoscenze. Sarà bellissimo!" Era totalmente convinto e sembrava irremovibile. Dirgli di no l'avrebbe ferito nel profondo. Duccio sorrise all'idea. Quel futuro così chiaro e solare era innegabile.
Ma non usarono mai quel piccolo altare per pronunciare le loro promesse. La brezza che aleggiava in quel luogo non aveva la stessa allegria provata la prima volta. Duccio ogni tanto ritornava in quel piccolo angolo di paradiso, del loro paradiso personale, ricordando quella promessa che si era sigillata e preservata in qualche modo nelle mura, nei motivi arabeschi, nelle colonne alte e solenni.
Forse sarebbero potuti ritornare, quando tutto sarebbe stato più semplice.

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Capitolo 11
*** Secondo Natura - Sex is always good with You ***



"Ilario, non penso che questa posizione sia ideale..."
"Perchè amore mio?"
"Io... AH!"
Duccio sibilò tanto quanto il suo amante continuava a stringere e a far scorrere su e giù la mano sulla sua erezione. Tutto in quel momento sembrava rinchiuso in una bolla di velluto, passionale e calda. E nonostante il freddo di Novembre, Ilario voleva che Duccio fosse abbastanza caldo e coccolato.
"Duccio..."
"Ilario, aspetta un attimo!"
Il Pariah alzò semnza preamboli una gamba al giovane e la posò sulla sua spalla "Non posso aspettare ancora a lungo..." Duccio vide la lussuria negli occhi di Ilario, anche se aveva la maschera indosso.
"Dio mio Ilario, sei diventato piuttosto testardo in quest'ultimo periodo."
"Lo so, ma non posso negarlo. Non ti posso avere quando voglio. Non voglio perderti. Non voglio più perdere nessuno d'ora in poi..." La voce di Ilario divenne debole alle sue stesse parole e Duccio spinse il suo bacino in direzzione della mano di Ilario, che nel frattempo aveva allentato la presa.
A volte il suo amore era puramente egoistico, ma come poteva biasimarlo? Si lasciò trascinare nella più bella delle unioni, che solo Ilario gli poteva far vivere.

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Capitolo 12
*** Mani ***


Quando passeggiavano Duccio aveva l'abitudine di portare le mani in tasca. Sarebbe cascato anche il mondo ma mai, mai gli sarebbe passato per la mente che, adesso che Pariah era al centro di tutte le sue attenzioni, voleva essere tenuto per mano. A Firenze fino ad una certa ora le signorine per bene nascondevano le mani nei loro candidi guanti e poi, passato un certo orario, le mani erano libere dai loro prigionieri con le dita, carezzando i visi dei loro cari, scostandosi la veste sul seno che stava stretta, ammiccando a gesti che durante il giorno non si sarebbero visti...
Insomma le mani erano importanti, ma Duccio non era certa una donnetta e riteneva le sue mani il suo strumento più virile. Sporcarsi le mani era per lui cosa da nulla. Pariah invece se non gesticolava a dovere non si sentiva bene, lui si esprimeva come un doveroso italiano che si rispetti. Le mani sue erano belle, affusolate, non delicate come quelle di una donna, ma quasi. Duccio allora, colto da un pò di sentimentalismo, tirò fuori dalla tasca la sua mano sinistra. Pariah passeggiava ammirando le luci e le sottane colorate, finchè le sue dita non sfiorarono quelle del compagno. Non si allarmò, ne accennò ad un espressione di sorpresa: voleva vedere fin dove Duccio si sarebbe spinto. Difatti Duccio tentò più volte di intrecciare le sue dita a quelle di Ilario, al punto che prese la sua mano con forza. Ilario sentì il suo calore diffondersi come una fiamma. Da quella stretta poi si adattò, cercando la posizione adatta a passeggiare mano nella mano.
Pariah non poteva essere più soddisfatto. Duccio tossì un paio di volte, come a sottolineare il suo imbarazzo, facendo capire ad Ilario che lo faceva solo perchè era lui e con nessun altro aveva mai fatto tali gesti. A Pariah stava bene così.

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Capitolo 13
*** Rosamaria ***


Il mare.

Il mare chiaro e cristallino era davanti a lui. Duccio assaporava l'aria salata e il paesaggio non gli sembrava nemmeno tanto nostalgico. Quel luogo era una reminiscenza di quello che aveva lasciato a Firenze, più convinto che mai che aveva bisogno di staccarsi da tutto, ma proprio tutto. Da Ilario, dalle cortigiane con la gonna alzata, da tutto ciò che erano diventate non più un piacere, ma una malsana e cattiva abitudine. Così visitare tutte le città vicino al mare gli era sembrata un ottima idea, ed era salpato.

All'ennesima tappa, Duccio era sgusciato tranquillamente e senza fretta, in tutti quei vicoli ciechi dove si poteva godere di un diverso pezzo di mare. Ogni ambientazione gli dava la sensazione che il mare fosse diverso. In ognuna vedeva riflessa l'immagine dei suoi pezzi di cuore più importanti al mondo: Tazim e Ilario. Erano presenti ovunque, anche un vecchi palazzi e finestre rotte. Possibile che non riuscisse a toglierli dalla mente, solo per un attimo? Si sedette su una panchina, la cui posizione dava un ampia vista dell'acqua che sciabordava impazientemente poco lontano. Prese dalla sua saccoccia un pezzo di pane e l'addentò, deciso che aveva bisogno di rifocillarsi prima di riprendere a camminare. Forse dopo avrebbe anche fumato. Ma qualcosa attirò la sua attenzione. In una piazzola, dove delle grandi staccionate in legno delimitavano il confine tra l'acqua e il lungomare, una ragazza vestita da una veste corta veniva aggredita da un ragazzo. Duccio si alzò lentamente e rimase a fissare la scena. La ragazza sembrava resistere all'aggressore. E sarebbe stata cosa più che normale a Firenze, perchè era un giochino scontato quello delle cortigiane resistere un pò. Ma la ragazza non sembrava essere ingioiellata di nulla che la facesse apparire come tale. Mentre elaborava questi pensieri, Duccio si era talmente avvicinato che riusciva a carpire pezzi di conversazione.

“Sta lontano da me, non voglio più vederti!”
“Rosamaria tu mi appartieni e non c'è no che tenga!”
“Solo perchè hai i soldi e tutta questa parte del Meridione fa di te un uomo che può avere tutto di diritto? Mettitelo bene in testa: io non sono un oggetto! E la tua famiglia lo saprà, eccome se lo saprà!”

L'uomo sembrò avere uno scatto d'ira e colpì la ragazza in viso, e lei si piegò rovinosamente sul cemento. Duccio agì. Corse verso i due, mirando all'uomo che sembrava essere il doppio di lui, ma non se ne accorse e i suoi pugni colpirono l'uomo. Solo dopo si rese conto che aveva conciato per le feste il meridionale e quest'ultimo, con la coda fra le gambe, si defilò, ma non senza aver ricordato a Rosamaria che l'avrebbe anche uccisa, se non fosse ritornata con lui. Duccio si guardò le mani, ancora chiuse e rosse, forse sanguinanti, e poi, come ridestandosi, guardò Rosamaria. Pelle scura, occhi come il mare, gambe affusolate, ribelli capelli corvini che si poggiavano sulle spalle, sembrava una sirena.

“Stai bene?” Domandò Duccio, porgendo la mano alla ragazza. La povera tremava, e le sue mani erano chiuse a pugno. Forse stava trattenendo le lacrime o qualche insulto. Duccio non si sarebbe sorpreso se la donna avesse cominciato a lanciare bestemmie contro l'uomo che l'aveva aggredita. Però, con grande sorpresa di Duccio, raccolse quel che rimaneva della sua dignità, sputò in terra e si lasciò aiutare. Non guardò negli occhi il suo “salvatore” e si limitò a ringraziarlo con voce insicura.

“Dovresti lasciare stare tipi come lui.” Disse Duccio, cercando di avviare uno straccio di conversazione. Lei sospirò. “Veramente questi tipi non vogliono lasciarmi in pace. Sembro essere l'unica preda per il loro ego e sfortunatamente, per la loro futura prole.”

Duccio si mise le mani in tasca, cercando un fazzoletto, per pulirsi e magari aiutare a togliere il sangue dalla mascella di lei. E la storia di Rosamaria si annunciava dolceamara, ma era curioso di sentire. “E cosa desideri, allora, se non essere presa di mira da questi bell'imbusti?” Quando riuscì a trovarlo, prima lo porse alla ragazza. I suoi occhi mare si sbarrarono a quel gesto, ma le spalle si ammorbidirono. Era evidente che aveva bisogno di un gesto non comandato. Mentre lei si tamponava leggermente, le onde del mare continuavano ad infrangersi rumorosamente sugli scogli. Il vento si era alzato leggermente e la veste di Rosamaria danzò secondo il volere del vento. “Vorrei navigare. Vorrei vedere le meraviglie del mare.” Duccio sorrise, ma allo stesso tempo rimase ammalliato, forse Rosamaria era davvero una sirena.

“E tu, straniero? I tuoi vestiti sembrano arrivino da Firenze, perchè mai hai viaggiato fin nei profondi meandri dell'Italia?” “Per vederne le sue meraviglie.” Rispose il ragazzo immediatamente. Ed era vero. Rosamaria non arrossì, ma accennò ad un sorriso malizioso e si voltò verso la burroscosa sfuriata che il mare aveva deciso di esibire. “Sei fortunato allora! Sei libero e chissà quante ne avrai viste finora, di bellezze e meraviglie tanto preziose.” Duccio scrollò le spalle “In realtà non sono libero come vorrei… Ho un compagno e un figlio che mi aspettano, su a Firenze.” Rosamaria non fece una piega sulla parola compagno. “E perchè li hai lasciati?” “Dovevo disintossicarmi.” “Da loro?” Duccio si ritrovò imbarazzato, ma tentò ugualmente di rispondere. Quella straniera sapeva fare le domande giuste e toccare i punti più sensibili senza far male… “Io… Forse un pò. Forse per niente. Ma erano parte di una brutta abitudine che mi stava consumando, come la schiuma del mare sulla spiaggia. Mi entravano nella pelle senza lasciarmi respirare, in ogni punto scoperto che ho. E più mi si imbattevano nel corpo, più la loro schiuma mi invadeva l'anima. Ma non per questo ho smesso di amarli.” “Sei davvero un uomo che si sacrifica volentieri ai loro amori. Vorrei aver conosciuto almeno una volta nella vita qualcuno che mi descrivesse con lo stesso tuo ardore, straniero.” Rosamaria si avviò verso la staccionata e si sedette, ammirando ancora il mare. Invitò Duccio a fare lo stesso. Il mare ora era calmo e il sole illuminava la spiaggia. La sabbia sembrava pitturata di un delicato color ocra. “Lo conoscerai, te lo posso assicurare.” “Non in questa terra dominata da subdole tradizioni. Se fossi uomo, prenderei il mare e mi lascerei tutto alle spalle.” A quelle parole, Duccio prese il suo basco e lo mise in testa alla ragazza. Lei subito si portò le mani alla testa, toccando il tessuto ruvido e consunto del basco. Aveva un buon odore. Di sale e qualcos'altro che non sapeva riconoscere. Duccio sorrise.

“Cosa fai?”
“Travestita da uomo non staresti male. Il basco potrebbe essere un modo per nascondere i capelli. Poi credo che il resto riuscirai a trovarlo facilmente, no? E adesso va, e rincorri il tuo tuo desiderio. Non lasciare che la marea lo faccia affondare.”

Lei sbarrò gli occhi dalla sorpresa. Guardò il mare e poi di nuovo Duccio, che si stava per avviare verso la sua fidata barca.

“Grazie..”
“E’ stato un onore, Rosamaria.”

Duccio era arrivato quasi al punto in cui aveva deciso di riposarsi, quando Rosamaria gridò “Hey! Non mi hai detto il tuo nome!”

E decise che non avrebbe fatto male a non pronunciarlo. Forse un giorno avrebbe di nuovo incontrato quella sirena, in cerca dell'uomo senza nome che le aveva donato un basco e una nuova vita.

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Capitolo 14
*** Ti racconto una Storia ***


“Ma perchè non riesci a dormire?”

Ilario aveva perso la pazienza: Duccio era ancora perso nei meandri della loro Italia. Aveva lasciato a casa Darim, pensando che la domestica che aveva assunto avrebbe fatto del suo meglio. In effetti era così: ma quella sera soppraggiunse un emergenza e la domestica era dovuta accorrere al centro di Monteriggioni. Ora nella grande Villa restavano Tazim e Ilario. Non erano in buoni rapporti. Ogni scusa era buona per litigare, per lanciarsi frecciatine e ricordarsi l’un altro che, nonostante Duccio li amasse entrambi, avrebbero potuto lottare fino alla morte.

“Non ho sonno.”
“Si che ne hai, ti stai negando preziose ore di riposo.”
“Mi manca Duccio.” Disse Tazim, sospirando. Teneva tra le braccia un pelouche che rappresentava un cavallo. Era uno dei tanti doni (e capricci) che Duccio gli aveva regalato (e accontentato).
“Non cambiare discorso… Vuoi che ti racconti una storia?”
Tazim guardò il Pariah con sorpresa.
“Tu non sai raccontare storie.”
“Ci posso provare.”

Tazim sospirò… Pariah che raccontava una storia? Era inverosimile quanto ridicolo: se doveva (o poteva) raccontare delle favole, di solito le metteva in pratica. E con Duccio lo faceva sempre.

“Ti ascolto.” A quelle parole Ilario era rimasto sorpreso, ma contento. Si sistemò meglio a fianco del ragazzino e cominciò a raccontare. Per la prima volta in vita sua Tazim rimase talmente rapito dalle vicende del Pariah, che dimenticò di odiare quell'uomo con la maschera. Al suono esotico e all'immagine di nomi mai sentiti, lande sconosciute, terre inesplorate e cieli che Tazim avrebe desiderato toccare, dopo un pò si appisolò.

“Tazim, vuoi che smetta? Hai sonno?” Chiese pacatamente il Pariah, alzandosi dal giaciglio. Ma una mano di Tazim lo trattenne al suo fianco.
“Resta.” Biascicò il giovane. Ilario per la prima volta lo accontentò. E non fu affatto dispiaciuto nel farlo.“

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