Desperate Call - A Tale that you don't Want to Remember di ShunLi (/viewuser.php?uid=11154)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Incontro ***
Capitolo 2: *** Ode a Duccio ***
Capitolo 3: *** LE MIROIR D'AMOUR ***
Capitolo 4: *** Secondo Natura ***
Capitolo 5: *** Gelo Caldo ***
Capitolo 6: *** Scale (Note di Tensione) ***
Capitolo 7: *** A te che detieni la chiave del mio Cuore ***
Capitolo 8: *** Scale (Note Marmoree) ***
Capitolo 9: *** Primo Incontro 2 - Tilt your head toward the Light ***
Capitolo 10: *** Cosa è rimasto di noi ***
Capitolo 11: *** Secondo Natura - Sex is always good with You ***
Capitolo 12: *** Mani ***
Capitolo 13: *** Rosamaria ***
Capitolo 14: *** Ti racconto una Storia ***
Capitolo 1 *** Primo Incontro ***
"Ti vidi passare tra
quelle stradine, quelle dove le mura bianche si tingevano del rosso dei
fiori, e pareva si imporporassero d’imbarazzo nel vedere la
tua bellezza, che non era come le altre, non era acerba o
incontrastata, ma ispirava poeti, sollevava dubbi, decantava un periodo
che forse gli abitanti di quel luogo ancora non riuscivano ad accettare
o forse non volevano vedere. Qualunque sia stato il motivo del
perchè tornai tra quelle stradine, era per vedere se avresti
reagito alla mia costante presenza. Il primo giorno nemmeno un tuo
sguardo mi penetrò il petto. Allora ero famoso per deliziare
tutte le giovincelle del paese, e la mia persona era stata dichiarata
come "il farabutto, l’innominabile, colui che lasciava
incinta chiunque e scappava" insomma, non una degna parola usciva dalle
bocche delle zitellone più acide, ma ormai, cosa potevo
farci? Ma alla tua persona potevo, sentivo nel profondo che ero rinato.
Un altro spirito aveva preso posto dello scapestrato che ero in
precedenza e non facevo altro che lavorare sodo, vestirmi bene e
rimirarti. Forse le voci di paese erano arrivate anche al tuo udito
sopraffino, ma eri imperturbabile come l’inverno gelido e
severo come in Generale. Rimasi deluso, quasi ferito, quindi, al tuo
passar spedito. Il giorno dopo ancora nulla e nulla ancora, e nulla
ancora sino alla settimana dopo. Eri spazientito. Il tuo sopracciglio
si inarcava leggermente, quando fosti abbastanza arrabiato da
avvicinarti e chiedermi cosa volesse un diavolo come me da una persona
per bene come te.
Il tuo Amore, risposi
solo. Il tuo Amore e nient’altro, quale cosa divina sarebbe
averti tra le braccia, stringerti le mani e sussurrare il tuo nome per
giorni interi, senza preoccuparsi del mondo, di chi mi ha sparlato e di
chi ci potrebbero deridere? E sia chiaro, che se mai mi sarà
daro questo diritto, io ti onorerò sempre, dissi. Tu ridesti
un pochetto e non ci credevi, e non so per quanti giorni ho dovuto
ripetere quella frase, quasi come se dovessi crederci, come un mantra,
ma io ci credevo già più fermamente di te e tu ti
innamorasti di quel mantra, eri adorabile quando le tue spalle si
abbandonavano e i tuoi occhi si chiudevano a quella promessa. E se
fosse possibile ritornare su quelle stradine, a quel tempo, a
quell’amore innocente che si posava su di noi, te lo
ripeterei ancora. Ma i fiori si sono seccati. Il nostro amore si
è seccato, e non so se un giorno potremo essere come prima.
Ma io spero. Ho piantato fiori simili nel nostro giardino intorno alla
Villa. Un giorno forse, le mura della nostra casa si
imporporerà d’imbarazzo, come la prima volta che
ti vidi.”
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Capitolo 2 *** Ode a Duccio ***
“E’
magnifica Ilario. Cosa stai suonando?”
Le mani del Pariah si muovevano in modo sinuoso, una danza quasi
impossibile da fermare. Nella villa pareva che il tempo si fosse
fermato. Le poche macchine che passavano poco lontano producevano poco
rumore e l’aria calda di Firenze aveva ispirato il Pariah a
sedersi al pianoforte, cosa che non faceva da molto tempo. Duccio si
sedette accanto a lui, a quella sua metà che a volte amava e
che a volte disprezzava con tutto se stesso. Il Pariah
continuò a suonare iperterrito, la melodia da piano
progredì verso un suono quasi disperato, soffocato, sembrava
lui, che si esprimeva in modo quasi muto, verso qualcuno o qualcosa che
ancora Duccio non riusciva a spiegarsi.
Duccio si limitò a mettere una mano sulla coscia destra del
Pariah e quest’ultimo sorrise.
“Si chiama “Ode a Duccio”.”
Per poco a Duccio non si soffocò con la sua stessa saliva.
“Mi-mi stai prendendo in giro.”
“Niente affatto. La sto componendo proprio adesso. Vedrai,
sarà un successo planetario!”
“A nessuno piace la musica classica.”
“Ma la mia musica a te piace.” Disse il Pariah, con
un tono lascivo. Si avvicinò al suo viso, per posare un
bacio sulla guancia bianca e calda di Duccio. Poi si abbassò
verso il collo, provocando una piccola risata in Duccio, che
risuonò nella sua gola. A Pariah piaceva quel suono.
“Quindi Ode a Duccio? E’ un titolo che potrebbe
essere interpretato in molti modi. Anche nei peggiori.”
“E’ quello il mio scopo. La gente deve essere
confusa -alterata, quasi infuriata. Perchè
quest’Ode non ha nulla a che vedere con la celebrazione degli
elementi e della sinfonia. Parla sempre e solo di te. Sei un
personaggio ma allo stesso una persona, Duccio. Nemmeno io
all’inizio capivo perchè agivi in tal modo, come
se recitassi una grande commedia. Poi ne ho capito il retroscena.
Quindi il tono si fa più dolce, profondo, io stesso mi sono
immerso e ferito, affinchè potevo conquistarti. Poi ad un
certo punto ti sei ribellato, ma io non mi sono arreso. Hai fatto di me
un uomo più forte, più consapevole di te. Mi
è piaciuto perdermi in te.”
Duccio era rimasto a bocca aperta.
“Ilario…”
“Perciò continuando il mio viaggio, pian piano la
tua melodia, vibrava in modo diverso. Si espandeva per accogliere me
nella tua musicalità casuale, ma dolce e potente, capace di
far vibrare il mondo, se necessario. Non so ancora se Ode a Duccio
è troppo poco per raggruppare tutto
questo…”
Duccio affondò la testa nell’incavo della spalla
di Ilario, in un impeto di amore e gratitudine.
“Va benissimo, va benissimo…”
“Allora Ode a Duccio sia.”
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Capitolo 3 *** LE MIROIR D'AMOUR ***
Era
un sogno.
Lo
era? C’erano tante scale, una spirale infinita. Guardandola
mi faceva venire le vertigini. Non potevo uscire, una barriera
invisibile mi impediva di scappare. Prima avevo visto Tazim correre in
giardino, inseguito da Ilario, che ridevano a crepapelle. Non li avevo
mai visti così felici. Quell’evento mi
confermò che quello che stavo vedendo era un sogno e per
uscirne, avrei dovuto salire le scale.
Passo
dopo passo, le mie gambe si muovevano ormai meccanicamente sulla rampa
infinita di gradini sbiaditi. Chissà perchè le
scale, mi chiesi. Erano fin troppo presenti nella mia vita.
Inconsciamente le odiavo, ma Ilario ci sarebbe rimasto male, forse
ferito, se glielo avessi detto. E più salivo, più
mi rendevo conto che io e Ilario, non ci saremmo mai raggiunti
completamente. Io non volevo scendere e lui non voleva salire.
Stendevamo le braccia, ma senza mai toccarci. Era questa la differenza
tra me e lui. Io su un piedistallo immaginario, accecato dalla mia
boriosità e lui… Lui era lui. Probabilmente non
c’era nulla di storto in Ilario. Ma il fatto che non lo
esternasse mi mandava in collera. Lui, sempre dedito a dimostrami il
suo amore attraverso lettere e promesse, oggetti che a nessuno della
nostra epoca sarebbe venuto in mente, una villa sontuosa, una vita
fatta solo di Noi e di coloro che ci avrebbero considerati non un
qualcosa, ma un tuttuno…
Mi
fermai. Faceva freddo. Mi voltai verso i muri, dove vi erano appesi
quadri strappati, consunti, visi che non riconoscevo. Le didascalie
erano scritte anche in modo strano, e non vi apprestai più
della dovuta attenzione. Sentivo ancora Tazim ridere, forse
più su vi era qualche finestra aperta. Avevo bisogno di
vederlo e abbracciarlo. L’affetto che provavo per lui era
l’estensione di quello che provavo per il Pariah, ma invece
di tormentato amore, ero riuscito a farlo diventare tenerezza, cosa
che, non avevo mai fatto con nessuno. Pareva che solo Tazim mi dasse
quel tassello che serviva a completare la mia misera vita.
La
mia misera vita. E adesso la mia vita cos’era?
Mi
guardai le mani. Tremavano. Il mio cuore tamburellava impazzito nel
petto. Avrei anche pianto, ma qualcuno lo stava già facendo,
sentì piccoli singulti provenire dalla cima della scala. E
non era Tazim, che continuava a giocare iperterrito, senza fermarsi.
Continuai la scalinata e il pianerottolo, per fortuna, mi si
presentò a me. C’era una pozza d’acqua,
poco profonda, nera, sudicia. Al centro c’era un ragazzino
che con l’avambraccio destro si copriva gli occhi e con
l’altra mano si stringeva la veste bianca che lo copriva
malamente. Non mi faceva pena, ma una sofferenza mai provata prima mi
strinse le budella. Mi tolsi la giacca e raggiunsi il bambino,
coprendolo alla meno peggio.
"Hey,
su, non piangere. Stai bene, perchè sei qui?"
Il
piccolo mi guardò sorpreso, ma non senza smettere di
singhiozzare. I suoi occhi erano grandi e velati di una tristezza
infinita.
"Nessuno.mi.ama!"
Dichiarò con voce rotta. Volevo stringerlo a me con tutte le
mie forze.
"Come
ti chiami?" Chiesi, accarezzando il suo viso.
"Ilario…"
Il cuore smise di battere, ora. "Ilario?" Ripetei, toccando adesso il
suo viso con entrambi le mani. Buon Dio, non poteva essere
l’Ilario che conoscevo.
"Perchè
sei qui?"
"Mi
ci hanno relegato." "Chi è stato?"
Ilario
si mise di nuovo a piangere. Stranamente sapevo la risposta, ma non
voleva dirla. Se quel sogno mi avrebbe fatto riavere (o avere, non lo
sapevo ancora) la serenità che bramavo con Ilario, allora
dovevo farglielo dire.
"Chi
è stato Ilario, a me lo puoi dire." Il ragazzino ferito,
sporco e sudicio come quella pozza d’acqua, era deciso a non
darmi risposta. Con la testa fece cenno di no, ma le sue mani mi
stringevano la camicia con ardore.
"Ti
prego Ilario, lo so che lo puoi dire. Non ho paura. Non so per quale
motivo sia qui o la ragione per cui ti sei presentato in questa forma,
ma non ho paura di ciò che dirai. Ascoltami, ascoltami
bene… Lo so che io non sono quella perfetta metà
che desideravi di avere, ma se questo potrà farti stare
meglio, preferirei essere al tuo posto, un milione di volte, come
punizione, un castigo che merito di avere, perchè
probabilmente non sono degno di te e questo mi distrugge. Lo so che
sono stato io a rinchiuderi qui. Lo so Ilario e desidero amarti. Senti
le voci lì fuori? C’è anche Tazim che
sta giocando con te. Lui ti ama! E nessun altro come Tazim sa amare,
perchè è genuino come nessun altro…"
"E
tu?" Ora Ilario stringeva le mani al petto, speranzoso. Forse un
tantino felice. Lo abbracciai.
Altre
parole non servivano. Tutto sparì. Mi risvegliai sul prato,
con accanto Ilario. Tazim giocava poco lontano e le sue risate
riechieggiavano tra gli alberi.
"Dormito
bene?" Mi domandò Ilario, tracciando una linea immaginaria
sul mio collo.
"Ho
dormito? E quanto?"
"Per
tre quarti d’ora, credo. Tazim non voleva altro che
dipingerti la faccia con i suoi colori!"
"Non
è vero!" Urlò Tazim, continuando a ridere sotto i
baffi. Osservando i due, mi resi conto che il sogno era stato reale,
perlomeno a metà. Ma dov’erano quelle scale?
"Ilario,
nei paraggi c’è forse un castello?"
"Ad
ovest c’è una vecchia torre abbandonata. Vuoi
andare a vederla?"
"Si,
te ne prego."
Ci
recammo tutti e tre, verso la cima delle scale. Le stesse scale
sbiadite, i quadri ormai logorati, ma dopo le scale, non vi era
più nulla. Il pianerottolo che aveva sognato, non esisteva.
Al suo posto vi era un enorme voragine.
"Peccato,
appena entrati la torre sembrava in ottime condizioni." disse Tazim,
stringendo la mia mano. "E’ pericolo restare qui, ormai,
aggiunse il Pariah, andiamo." E ci avviammo di nuovo giù. E
stavolta con Ilario che mi stava accanto, più vicino che mai.
Forse
la mia era stata solo una futile illusione, ma stavolta io e Ilario
avevamo stabilito un contatto più profondo. E iniziato a
percorrere la scala che ci separava. Forse ci avremmo messo una vita.
Ma non importava.
Non
importava.
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Capitolo 4 *** Secondo Natura ***
"Allora…
Ti stai godendo la vista?" Disse il Pariah, quasi nudo, immerso
nell’acqua tiepida sino alle ginocchia, senza pensare che
stava mostrando tutte le sue cicatrici. Non lo faceva perchè
era motivo di orgoglio o mostra di se stessi, ma con quel ragazzo si
sentiva a suo agio. Cosa che per Duccio non era la medesima cosa.
Ilario aveva cercato in tutti i modi di avvicinarsi a lui, ma quando
aveva tentato la via più facile e seduttiva, aveva sfoderato
tutte le sue carte pur di averlo. Il sol pensiero lo fece sorridere.
Quel suo sorriso aveva fatto asciugare la gola a Duccio.
Quest’ultimo non capiva perchè aveva trovato
Ilario dentro la vasca e soprattutto, nudo, con tutt’altre
intenzioni che non fossero legate ad una doccia. In verità,
Duccio non gradiva le sue attenzioni. Prima o poi lo avrebbero accusato
di sodomia. Ilario continuò a muoversi nella vasca, che
sciabordava della poca acqua al suo interno. La mano di
quell’uomo era scivolata dentro i suoi calzoni senza tanti
complimenti e Duccio deglutì, mai, mai un uomo si era
azzardato a fare davanti a lui tutto quello che Ilario stava ora
facendo a se stesso. A Duccio piacevano le donne, perchè
Ilario insisteva?
"Perchè non
vieni qui?"
"No…"
"Ma io ti desidero,
Duccio De Luca."
"E io no, stupido
testone."
"Il tuo cazzo dice il
contrario." Disse Ilario, indicando l’erezione nei pantaloni
del ragazzo. Duccio si mise dietro una tenda, poco lontana dalla vasca.
"Sei un deviato! Non
è quello che sembra!"
Ilario rise,
stringendosi la sua stessa erezione. Si piegò in avanti,
respirando a fondo e chiamando il nome di Duccio. “Non negare
i tuoi bisogni. Lo so che mi vuoi.”
Duccio
sospirò. “Io ho solo bisogno di un collega
giù al porto, non di una concubina da aggiungere al mio
harem.”
"E se fossi la tua
concubina, cosa mi faresti mh?" L’idea di essere la schiava
personale di Duccio, stuzzicava il Pariah. Si
sdraiò, poggiando la base del collo al bordo della vasca. Si
liberò degli stivali e dei calzoni. Le mutande erano
diventate trasparenti per via della troppa acqua che le aveva bagnate.
Con la mano destra continuò a pompare velocemente, ansimava
senza vergogna. Duccio sentì dentro di sè
qualcosa che non sapeva spiegarsi.
"Vestirei di soli veli e
mi faresti cavalcare ogni notte il tuo meraviglioso membro? Oppure
preferisci che mi lavori il tuo cazzo con la lingua d’argento
che possiedo?"
"Ilario
basta…" Quando Ilario azzardò a mettersi due dita
nell’apertura, alzando il bacino e puntellandosi con i piedi,
Duccio entrò dentro la vasca. Esattamente vestito com'era,
Duccio allontanò la mano di Ilario dalla sua apertura e
infilò lui stesso delle sue dita. Il basco gli copriva il
viso impassibile ed eccitato, forse? Ma ad Ilario non gli importava.
Portò le sue gambe dietro la schiena del ragazzo, mentre
quest’ultimo si slacciava i calzoni e allentava un
pò la casacca. Si abbassò verso Ilario per
trovare una posizione confortevole e l’uomo con la maschera
gli tolse il basco. Il suo viso era bellissimo mentre era concentrato.
Alzò lo sguardo, solo per un attimo, incrociando i suoi
occhi con quelli di Ilario. Si accorse che erano infuocati di piacere.
Ilario quindi emise il gemito che stava a lungo trattenendo e Duccio
iniziò a penetrare Ilario. Un pò alla volta,
spingendo e rientrando con calma, per poi aumentare di
velocità. Ilario cominciò a chiamare
più spesso il nome di Duccio, con una nota di supplica e di
tanto sospirato piacere."
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Capitolo 5 *** Gelo Caldo ***
"Eri
seduto lì, con la faccia che affondava nella sciarpa, e ti
accontentavi di congelarti il sedere su quella panchina, pur di
aspettarmi. Feci qualche passo verso la tua direzione, infilando le
mani in tasca e tentando di fermare i brividi che mi facevano tremare
la mascella.
Il freddo di quel giorno
era veramente crudele. Non si vedeva nulla, tranne la luce offuscata
dei lampioni. Il mare in lontananza sembrava una bestia intenta a
mangiarsi la sabbia, mentre gli abitanti della città erano
placidamente accocolati davanti al camino a bere cioccolata calda.
Riuscivo a sentirne l’odore e dopo una giornata rinchiuso nel
mio cubicolo musicale, non vedevo l’ora di riscaldarmi un
pò. E la sola presenza di Duccio, vedendolo seduto alla
panchina, mi aveva riempito la testa di altri pensieri. E mi facevano
sentire più caldo.
"Ciao." Salutai.
Duccio mi
guardò in viso, senza muovere più di tanto la
testa. Lo adoravo quando nascondeva il naso dentro la sua sciarpa in
pile.
"Ma non ti stai
ghiacciando il sedere sopra quella panchina?"
"Mh." Rispondi
vagamente, tremando un pò. Si alza, prendendo le sue cose e
rigirandosi tra le mani le chiavi della motocicletta. Aspettandolo,
guardo il cielo, coperto da una patina grigia orribilmente satura, come
un espugnabile roccaforte.
"Vogliamo andare?" Mi
inviti, facendomi ritornare al tuo viso, pallido ma concentrato. Mi
porgi la mano guantata, che sa di calore e promesse che forse
manterrai. E voglio credere che sia così, perchè
vedo sul tuo sedere delle strisce scure. Ghiaccio sciolto. E’
da una giornata che aspetti, lo so, ma tu non lo vuoi ammettere.
Così ti prendo la mano e mi scoppia nel petto un sentimento
che non avevo mai sentito prima d’ora. Qualora
l’avessi mai potuto esternare, di sicuro l’avrei
fatto davanti a quella cioccolata calda tanto desiderata.
"Ti va una cioccolata al
bar? Conosco un locale dove fanno una cioccolata grandiosa." Sembra che
tu mi legga nel pensiero.
Annuisco con la testa.
Poi mi sporgo verso te per ottenere un bacio. Le tue labbra sono calde,
caldissime.
"Portiamone un
pò anche a casa."
"Va bene golosone."
Ci infiliamo i caschi e
ci avviamo verso quel calore un pò speciale, che non
è solo dato dalla bevanda calda, ma anche dai nostri corpi
caldi, dal nostro amore.
Dal nostro reciproco
silenzio, dettato da questo gelido inverno.”
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Capitolo 6 *** Scale (Note di Tensione) ***
"Era
un pomeriggio soleggiato e la Villa esplodeva di un caldo color
arancione che anche gli Dei invidiavano con forza. Ilario Lombardi
aveva dato fondo a tutti ai suoi fiorini pur di avere ciò
che lui e Duccio da tempo desideravano e per avere insieme, la vita che
avrebbero dovuto vivere per sempre. Ma per sempre non era un aggettivo
contemplato da Duccio. Spesso fuggiva dalla villa, portava con
sè qualche puttana della Rosa in Fiore, che come di
consueto, lasciava un ricordino come una mutandina, una calza
raffinata, una ciocca di capelli. A volte Ilario non ci faceva caso, ma
la gelosia lo rodeva dentro. Per tutto quello che stavano passando,
stare insieme sotto lo stesso tetto non era abbastanza. Erano arrivati
a sposarsi, ma nemmeno quello li faceva stare insieme sul serio. Lo
scambio delle chiavi, la canzone nel pieno pomeriggio nel bel mezzo
della piazza… Ilario poteva esserne stufo, ormai. Ma trovava
sempre qualcosa, una nuova promessa, una nuova ancora a quella
relazione tanto dolce quanto amara. Così, per quel
pomeriggio Ilario aveva deciso che avrebbero fatto qualcosa di
straordinario. Ma un rumore gli fece dimenticare tutto il resto...
Sembrava che qualcuno avesse sbattuto la testa sul ferro della
balaustra. Di sopra sapeva che c’era Duccio, ma pensava
stesse dormendo. Si incamminò per alcuni scalini e
chiamò il suo nome.
"Duccio?"
"Ilario per favore,
vieni su!"
Era la prima volta che
sentiva la sua voce così disperata. Stava ansimando e forse
stava male. Il rumore che Ilario aveva sentito dalla cima delle scale
non era certo buono. Così prima avanzò ad un
ritmo lento, poi la preoccupazione prese il sopravvento e corse su per
gli scalini. Ilario si maledì tra sè e
sè, per quella inutile e superficiale scala lunga
chissà quanti metri. Aveva voluto una villa sfarzosa? E
quello era il risultato, una scarpinata che divideva Ilario e Duccio da
inutili scalini marmorei. Sembrava non finissero mai.
"ILARIO!"
Duccio ansimava
più forte, ora che Ilario era quasi in cima. Non sapeva
perchè, ma all’improvviso gli erano venute le
vertigini, vedendo quel baratro nella tromba delle scale. Quindi si era
aggrappato alla balaustra, cercando di ignorare quel malessere e
scendere con piena tranquillità, lui era un fottuto mercante
che aveva navigato in lungo e in largo, e ora si faceva prendere in
contropiede da tre rampe di scale? “Ma non
scherziamo…” Si era detto, scendendo per dieci
scalini. Poi il vuoto. Il suo corpo si rifiutava di stare dritto e in
equilibrio, le gambe erano molli e… Maledizione,
dov’era Ilario? Sentiva che senza di lui non ce la poteva
fare.. Un ultimo barlume di consapevolezza gli disse che, se sarebbe
morto su quelle scale, almeno lo avrebbe visto per l’ultima
volta.
"Mio dio
Duccio… Cosa ti è preso?"
"Aiutami almeno a
sbottonarmi la casacca… Non, non riesco a respirare!"
Ilario, senza farselo
ripetere due volte, gliela sbottonò così forte,
che alcuni bottoni saltarono via.
"Era la mia casacca
migliore…"
"Nonostante sei senza
fiato, ne hai ancora per lamentarti, eh?"
Duccio
abbozzò ad una risata, guardò giù e di
nuovo quel senso di vuoto lo fece sentire perso. Come se stesse
navigando in acque che cercavano a tutti i costi di cacciare
l’intruso. Dalla balaustra si aggrappò alla spalla
di Ilario, stringendola forte. Poggiò la testa al suo petto
e riprese il controllo del respiro.
"Vuoi che ti porti in
stanza da letto?"
"No, restiamo ancora
così per un attimo, ti prego…"
Ilario non sapeva
spiegarsi cosa fosse successo e quando si accinse a baciare Duccio
tutto gli fu più chiaro. Potevano passare mesi, anni. Il
mondo poteva essere invaso da tempeste e mari burrascosi. Centinaia di
scalini potevano interrompere i loro passi, ma mai, mai potevano essere
divisi.”
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Capitolo 7 *** A te che detieni la chiave del mio Cuore ***
Tu
ripeti costantemente che hai la chiave del mio cuore. Di fronte a
questi pezzi arruginiti mi viene da ridere, adesso. Come si fa a dire
una cosa simile?
"Non credere alle sue
parole." Mi bisbiglia una cortigiana nell’orecchio. "Quel
pazzo direbbe qualsiasi cosa pur di tenerti incatenato a sè."
"Si dia il caso che quel
"pazzo" come lo definisci tu, ha trovato molte più chiavi,
più di quante tu sostieni di possedere."
La cortigiana diventa
rossa in viso. “Quel-quella è solo una scusa
per…”
"Per tenerti incatenati
gli uomini soli, ricchi e disperati che non vedono mai
l’ombra di una vagina."
A questo punto la
cortigiana, offesa, se ne va, lasciandomi solo a chiedermi se mai
Ilario abbia mai detto con convinzione di questo puerile fatto.
Non so dove ho lasciato
la mia chiave. Forse l’ho buttata in mare, sperando che
qualche sirena l’avrebbe raccolta e custodita per
sè. Oppure me l’avrebbe riportata con tanta di
quella grazia che sarei morto. Non dico che una cosa simile non esista,
in fondo chi sono io per dire il contrario? Le sirene sono per me un
punto debole: evidentemente per Ilario il suo punto debole sono i
legami.
"Duccio?" Mi chiama una
voce che conosco e che mi fa tremare le gambe, appena la sento.
E’ Ilario, vestito di tutto punto.
"Sei arrivato."
"Allora hai deciso?"
"Non trovi che sia poco
elegante per te, indossare una collana come chiave?" Domando, alzando
un sopracciglio. Lui si scosta la maglia di lino.
"La terrò
qui, vicino al petto."
Rido, leggermente
sorpreso. Non sapevo avrebbe detto così.
"Allora va bene."
Su due chiavi
praticamente identiche, facciamo forgiare dal fabbro delle parole lungo
il cannello.
"A Duccio che detiene la
chiave del mio cuore."
"A Pariah che detiene la
chiave del mio cuore."
A lavoro finito le
osservo. E’… Mi fa sentire un pò
ridicolo. Una romanticheria che, nemmeno nell’era moderna
dovrebbero mai fare, se qualcuno decidesse mai di farlo.
Ma pur di vedere quei
suoi occhi favolosi brillare ad ogni novità che ci possa far
appartenere non solo fisicamente, ma anche materialmente, farei
qualsiasi cosa.
Anche portare una chiave
poggiata al petto nudo ancora incandescente.
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Capitolo 8 *** Scale (Note Marmoree) ***
Potevano
essere grida o echi della memoria, ma ricordava bene cosa accadde dopo
che quelle scale erano state installate. Duccio ricordò con
gioia e con dolore quegli avvenimenti.
"Ilario mi hai sentito?
Dove sei?"
Duccio scese le scale
velocemente, senza guardare i suoi passi. I tacchi dei suoi stivali
riecheggiarono per quel stupendo e ortodosso pezzo della loro villa che
Ilario aveva deciso di far installare, non senza aver chiesto a Duccio
il suo permesso. Per il ragazzo era troppo sfarzosa, nonostante fosse
semplice e bianca, quasi come a prendersi beffa di qualcosa che Duccio
non sapeva spiegarsi. Ilario invece aveva detto che l’essenza
della loro villa era lì, concentrata in quella scala. Duccio
aveva guardato il Pariah con un pò di stupore ma, come
sempre, aveva acconsentito a quella sua pazzia e si era ritrovato
sdraiato sui gradini. Non che gli fosse piaciuto, ma il mal di schiena
gli era rimasto.
"Sono qui!"
La voce di Ilario
sembrava un eco lontano, e Duccio ebbe la strana sensazione che invece
di parlare dal fondo della cucina, Ilario fosse nelle
profondità di qualche pozzo dimenticato. Una leggera fitta
al petto lo fece sentire ansioso, ma tutto scomparve quando vide la sua
schiena, le sue spalle larghe. Sospirò.
I sospiri che a volte
non avrebbe voluto far sentire erano appunto quelli di sollievo.
Sollievo nel vederlo a casa, sollievo nel vederlo pavoneggiarsi in
nuovi abiti comprati chissà dove, o sollievo quando lo
corteggiava per riconquistarlo di nuovo e un altra volta e un altra
volta ancora.
"Ilario cosa fai?"
"Cucino."
"Tu non cucini mai."
Ribattè Duccio sorpreso. Vide la tavola imbandita con il
loro servizio migliore. Porcellane finissime con bordi d’oro
e d’argento. Bicchieri in cristallo. Due piatti, una candela.
"Oggi è un
occasione davvero speciale." Disse Ilario, armeggiando con un cucchiaio
di legno. Posò lo stesso e si avvicinò a Duccio,
aderendo il suo corpo a quello del ragazzo.
"Qu-quale sarebbe?"
"Mh, bella domanda, come
posso spiegarti? Oggi è il primo giorno di una lunga serie
di baci che ti ho donato con tutto il mio cuore. Oggi è il
primo giorno di quando ti ho promesso me stesso fino alla morte. Oggi
è il primo giorno di quel futuro insieme che abbiamo deciso
di affrontare. Oggi è il primo giorno di tutti gli altri
mille giorni passati insieme, amore mio."
"Ilario, potevi dire
semplicemente che è il nostro anniversario."
"Ma non sarebbe stato lo
stesso."
"Sei il solito stupido!"
Duccio cercò di liberarsi dalla sua presa, ma Ilario era
decisamente restio a lasciarlo andare.
"Credo che si
brucerà tutto se continui a tenermi così
avvinghiato."
"Non accadrà.
Ho tutto sottocontrollo."
"Vedremo quando
sarà tutto pronto." Duccio indicò una pentola, da
cui usciva del fumo nero.
"CRISTO!"
Gridò il Pariah correndo ai fornelli e Duccio
cominciò a ridere come un pazzo, divertito da
quall’aspetto di Ilario che non aveva mai visto. E che adesso
ne ricordava solo pochi tratti.
Quella casa stava
diventanto una gabbia in cui non desiderava più stare. Se
era vero il detto che la casa è dove il cuore vi appartiene,
il suo non era più lì. Si sistemò il
basco in testa. Toccò la balaustra, facendo scivolare le
dita sullo smalto bianco, consumato, come l’amore per Ilario,
ma sempre presente, come un tintinnio poco convincente, l’eco
che non vuole assolutamente sparire.
"Credevo che non ti
piacesse stare qui."
Duccio alzò
la testa e vide Ilario alla fine della scalinata. Duccio strinse la
balaustra con la mano. Non pensava di rivederlo. Ilario non sembrava
stare bene. Barba di qualche giorno, vestiti dismessi, il sonno quasi
inesistente. Doveva ritenersi soddisfatto. Era una punizione
meritevole. Si era divertito con un Auditore, con uno sporco Auditore.
L’aveva tradito perchè Ilario non aveva tenuto a
bada la sua lussuria. Duccio non era solo ferito nel profondo, poteva
dirsi anche disgustato. Ma quel che sentiva adesso era inspiegabile.
Rabbia, rimorso, frustrazione, tristezza, rifiuto…
"Infatti sto per andare."
"Bene."
"Bene."
Ma Duccio non si mosse.
Ilario non si mosse.
"Come sta Tazim?"
Domandò Ilario.
"Tazim sta bene. Cresce
ed è in ottima salute." Rispose Duccio, senza alcuna
inclinazione negativa nella voce. Nonostante l’astio che il
piccolo nutriva per Ilario, gli voleva bene. Insomma, erano pur sempre
una famiglia no?
Duccio si
voltò per risalire la scala, ma Ilario era già al
suo fianco. Quella morsa in cui lo bloccava ogni volta adesso era
più stretta che mai.
"Ilario…"
"Solo per
quest’ultima volta."
E gli concesse
quell’ultimo abbraccio.
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Capitolo 9 *** Primo Incontro 2 - Tilt your head toward the Light ***
La
prima volta che ti ho incontrato? E' tutto molto confuso. Ricordo le
luci, il freddo, qualche risata di ragazza in lontananza, che
riecheggiava in qualche putrido angolo di Firenze. Quella notte era
lussuriosa e piena di tentazioni, di promesse non vere e che in ogni
caso, non sarebbero state mantenute. Mentre camminavo a passo lento
osservavo le finestre color panna dei palazzi signorili che si
stagliavano orgogliosi verso il cielo, e che in qualche modo,
accompagnavano la mia notte solitaria... All'interno delle case, vedevo
delle ombre muoversi al ritmo di una danza che non conoscevo. Era quel
tipo di danza che tu hai dentro sin dalla nascita, Ilario. Mi hai
insegnato un sacco di cose, in tutti questi anni. Non rimpiango niente
della nostra vita insieme. Ti ho odiato, ti ho amato, hai fatto
così tante cose per me - cose che un uomo non fa per una
semplice donna. In quel momento, mentre vedevo quelle ombre in
movimenti gioiosi e felici, pensai che forse, per un uomo come me che
non aveva radici, non c'era possibilità che potessi anch'io
vivere in modo spensierato e altezzoso. Avevo dato tutto al mare e il
mare non mi aveva dato niente in cambio. Solo miraggi, notti insonne,
onde agitate. Il mio spirito era agitato. E lo fu ancor di
più quando alla fine della strada vidi un alta figura con
una strana maschera, un soprabito affascinante e un fluido movimento
del tuo corpo. Avevi catturato tutta la mia attenzione, sembravi essere
su un palcoscenico che solo tu immaginavi e ti muovevi con eleganza,
parsimonia, con celata sensualità. E il tempo si ferma. Il
mare si placa. Niente in Firenze è più
interessante, adesso.
Hai avuto il potere di
farmi smettere di respirare.
"Buonasera." Saluti, in
tono di voce assolutamente gentile, muovendo il tuo cappello con le
dita. Mi passi vicino, ignaro del mio turbamento interiore, non riesco
nemmeno a risponderti. Ingoio la vergogna di quell'attimo e parto
spedito verso la mia piccola casa, a pensare, ponderare, a chiedermi
quale creatura mi fosse apparsa davanti.
Mi sentivo vinto. Se il
mare mi aveva tolto tutto, tu mi avevi dato nuove domande, nuovi
dilemmi, nuove incertezze.
La notte dopo ritornai
con passo decido sui miei stessi passi, su quella stessa strada di
Firenze in cui adesso aleggiava un aria diversa, nonostante ci fossero
le stesse luci, lo stesso freddo... Riuscivo a sentire persino le
stesse voci di ragazza ridere in lontananza. Le finestre dei palazzi
però non avevano in cornice ombre che si tuffavano leggiadre
in danze sconosciute. Forse anche il tempo nelle case era mutato?
Perchè sembrava tutto una coincidenza? Una celebrazione ad
un incontro a cui nemmeno io sarei riuscito a scampare per il resto dei
miei giorni?
Le domande sembravano
banali quando ti trovai poggiato ad un lampione. Il cappotto era
diverso, la maschera imperturbabile, come il tuo sguardo, tormentato,
agitato, di un colore mai visto in natura.
"Buonasera." Lo stesso
movimento, la voce molto più interessante, e forse anche
interessata della sera prima. Cosa l'aveva portato a farsi trovare?
"Buonasera." Stavolta il
coraggio, non mi mancava. "Chi sei?"
Il tuo sorriso dolce,
diceva tutto. Sembravi caduto dal cielo, e che le tue ali fossero
nascoste sotto il tuo cappotto di filo d'argento e pelliccia. Mi
poggiai all'altro lato del lampione, sentendo il tuo respiro, la tua
consapevolezza che avevi fatto colpo, e con tutta la calma di questo
mondo, cominciasti a raccontare. La tua voce, sinfonia cara dei miei
umili ricordi, si mischiano a qualcosa di raro che non
riuscirò mai a condividere con altri. E se quella sera
riuscisti ad aprirti a me non era perchè avevi scelta, ma
perchè sentivi che volevi farlo.
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Capitolo 10 *** Cosa è rimasto di noi ***
Era
una cappella bellissima, uno scorcio di un mondo totalmente diverso da
quello che conoscevano: Duccio si chiese quante volte l'acqua e il
tempo avevano scavato con così tanta profondità e
con così tanta accuratezza. Nessun essere umano poteva
essere capace di una magia simile. Ilario passeggiava in tutti gli
antri e in tutti gli angoli, facendo riecheggiare il suono dei tacchi
degli stivali nel piccolo spazio, caldo e confortevole.
Ilario tornò
indietro da Duccio. "Vieni con me, voglio mostrarti il pezzo
più bello."
Duccio seguì
con entusiasmo il Pariah. Lo condusse vicino ad un altare, con motivi
arabeschi che serpeggiavano lungo i muri e da cui filtrava abbastanza
luce da illuminare entrambi i lati delle colonne. Lo spazio dietro di
loro sembrava potesse ospitare una ventina di persone.
"Ti piace?"
"E' molto
affascinante..."
"Perchè non
ci sposiamo qui?" Disse Ilario, con tono allegro. Duccio lo
guardò spiazzato.
"Stai dicendo sul
serio?!"
"Perchè no?
La navata potrà ospitare tutti i nostri migliori amici e
tutte le nostre conoscenze. Sarà bellissimo!" Era totalmente
convinto e sembrava irremovibile. Dirgli di no l'avrebbe ferito nel
profondo. Duccio sorrise all'idea. Quel futuro così chiaro e
solare era innegabile.
Ma non usarono mai quel
piccolo altare per pronunciare le loro promesse. La brezza che
aleggiava in quel luogo non aveva la stessa allegria provata la prima
volta. Duccio ogni tanto ritornava in quel piccolo angolo di paradiso,
del loro paradiso personale, ricordando quella promessa che si era
sigillata e preservata in qualche modo nelle mura, nei motivi
arabeschi, nelle colonne alte e solenni.
Forse sarebbero potuti
ritornare, quando tutto sarebbe stato più semplice.
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Capitolo 11 *** Secondo Natura - Sex is always good with You ***
"Ilario, non penso che
questa posizione sia ideale..."
"Perchè amore
mio?"
"Io... AH!"
Duccio sibilò
tanto quanto il suo amante continuava a stringere e a far scorrere su e
giù la mano sulla sua erezione. Tutto in quel momento
sembrava rinchiuso in una bolla di velluto, passionale e calda. E
nonostante il freddo di Novembre, Ilario voleva che Duccio fosse
abbastanza caldo e coccolato.
"Duccio..."
"Ilario, aspetta un
attimo!"
Il Pariah
alzò semnza preamboli una gamba al giovane e la
posò sulla sua spalla "Non posso aspettare ancora a
lungo..." Duccio vide la lussuria negli occhi di Ilario, anche se aveva
la maschera indosso.
"Dio mio Ilario, sei
diventato piuttosto testardo in quest'ultimo periodo."
"Lo so, ma non posso
negarlo. Non ti posso avere quando voglio. Non voglio perderti. Non
voglio più perdere nessuno d'ora in poi..." La voce di
Ilario divenne debole alle sue stesse parole e Duccio spinse il suo
bacino in direzzione della mano di Ilario, che nel frattempo aveva
allentato la presa.
A volte il suo amore era
puramente egoistico, ma come poteva biasimarlo? Si lasciò
trascinare nella più bella delle unioni, che solo Ilario gli
poteva far vivere.
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Capitolo 12 *** Mani ***
Quando
passeggiavano Duccio aveva l'abitudine di portare le mani in tasca.
Sarebbe cascato anche il mondo ma mai, mai gli sarebbe passato per la
mente che, adesso che Pariah era al centro di tutte le sue attenzioni,
voleva essere tenuto per mano. A Firenze fino ad una certa ora le
signorine per bene nascondevano le mani nei loro candidi guanti e poi,
passato un certo orario, le mani erano libere dai loro prigionieri con
le dita, carezzando i visi dei loro cari, scostandosi la veste sul seno
che stava stretta, ammiccando a gesti che durante il giorno non si
sarebbero visti...
Insomma le mani erano
importanti, ma Duccio non era certa una donnetta e riteneva le sue mani
il suo strumento più virile. Sporcarsi le mani era per lui
cosa da nulla. Pariah invece se non gesticolava a dovere non si sentiva
bene, lui si esprimeva come un doveroso italiano che si rispetti. Le
mani sue erano belle, affusolate, non delicate come quelle di una
donna, ma quasi. Duccio allora, colto da un pò di
sentimentalismo, tirò fuori dalla tasca la sua mano
sinistra. Pariah passeggiava ammirando le luci e le sottane colorate,
finchè le sue dita non sfiorarono quelle del compagno. Non
si allarmò, ne accennò ad un espressione di
sorpresa: voleva vedere fin dove Duccio si sarebbe spinto. Difatti
Duccio tentò più volte di intrecciare le sue dita
a quelle di Ilario, al punto che prese la sua mano con forza. Ilario
sentì il suo calore diffondersi come una fiamma. Da quella
stretta poi si adattò, cercando la posizione adatta a
passeggiare mano nella mano.
Pariah non poteva essere
più soddisfatto. Duccio tossì un paio di volte,
come a sottolineare il suo imbarazzo, facendo capire ad Ilario che lo
faceva solo perchè era lui e con nessun altro aveva mai
fatto tali gesti. A Pariah stava bene così.
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Capitolo 13 *** Rosamaria ***
Il mare.
Il mare chiaro e cristallino era davanti a lui.
Duccio assaporava l'aria salata e il paesaggio non gli sembrava nemmeno
tanto nostalgico. Quel luogo era una reminiscenza di quello che aveva
lasciato a Firenze, più convinto che mai che aveva bisogno
di staccarsi da tutto, ma proprio tutto. Da Ilario, dalle cortigiane
con la gonna alzata, da tutto ciò che erano diventate non
più un piacere, ma una malsana e cattiva abitudine.
Così visitare tutte le città vicino al mare gli
era sembrata un ottima idea, ed era salpato.
All'ennesima tappa, Duccio era sgusciato
tranquillamente e senza fretta, in tutti quei vicoli ciechi dove si
poteva godere di un diverso pezzo di mare. Ogni ambientazione gli dava
la sensazione che il mare fosse diverso. In ognuna vedeva riflessa
l'immagine dei suoi pezzi di cuore più importanti al mondo:
Tazim e Ilario. Erano presenti ovunque, anche un vecchi palazzi e
finestre rotte. Possibile che non riuscisse a toglierli dalla mente,
solo per un attimo? Si sedette su una panchina, la cui posizione dava
un ampia vista dell'acqua che sciabordava impazientemente poco lontano.
Prese dalla sua saccoccia un pezzo di pane e l'addentò,
deciso che aveva bisogno di rifocillarsi prima di riprendere a
camminare. Forse dopo avrebbe anche fumato. Ma qualcosa
attirò la sua attenzione. In una piazzola, dove delle grandi
staccionate in legno delimitavano il confine tra l'acqua e il
lungomare, una ragazza vestita da una veste corta veniva aggredita da
un ragazzo. Duccio si alzò lentamente e rimase a fissare la
scena. La ragazza sembrava resistere all'aggressore. E sarebbe stata
cosa più che normale a Firenze, perchè era un
giochino scontato quello delle cortigiane resistere un pò.
Ma la ragazza non sembrava essere ingioiellata di nulla che la facesse
apparire come tale. Mentre elaborava questi pensieri, Duccio si era
talmente avvicinato che riusciva a carpire pezzi di conversazione.
“Sta lontano da me, non voglio
più vederti!”
“Rosamaria tu mi appartieni e non c'è no che
tenga!”
“Solo perchè hai i soldi e tutta questa parte del
Meridione fa di te un uomo che può avere tutto di diritto?
Mettitelo bene in testa: io non sono un oggetto! E la tua famiglia lo
saprà, eccome se lo saprà!”
L'uomo sembrò avere uno scatto d'ira e
colpì la ragazza in viso, e lei si piegò
rovinosamente sul cemento. Duccio agì. Corse verso i due,
mirando all'uomo che sembrava essere il doppio di lui, ma non se ne
accorse e i suoi pugni colpirono l'uomo. Solo dopo si rese conto che
aveva conciato per le feste il meridionale e quest'ultimo, con la coda
fra le gambe, si defilò, ma non senza aver ricordato a
Rosamaria che l'avrebbe anche uccisa, se non fosse ritornata con lui.
Duccio si guardò le mani, ancora chiuse e rosse, forse
sanguinanti, e poi, come ridestandosi, guardò Rosamaria.
Pelle scura, occhi come il mare, gambe affusolate, ribelli capelli
corvini che si poggiavano sulle spalle, sembrava una sirena.
“Stai bene?” Domandò
Duccio, porgendo la mano alla ragazza. La povera tremava, e le sue mani
erano chiuse a pugno. Forse stava trattenendo le lacrime o qualche
insulto. Duccio non si sarebbe sorpreso se la donna avesse cominciato a
lanciare bestemmie contro l'uomo che l'aveva aggredita.
Però, con grande sorpresa di Duccio, raccolse quel che
rimaneva della sua dignità, sputò in terra e si
lasciò aiutare. Non guardò negli occhi il suo
“salvatore” e si limitò a ringraziarlo
con voce insicura.
“Dovresti lasciare stare tipi come
lui.” Disse Duccio, cercando di avviare uno straccio di
conversazione. Lei sospirò. “Veramente questi tipi
non vogliono lasciarmi in pace. Sembro essere l'unica preda per il loro
ego e sfortunatamente, per la loro futura prole.”
Duccio si mise le mani in tasca, cercando un
fazzoletto, per pulirsi e magari aiutare a togliere il sangue dalla
mascella di lei. E la storia di Rosamaria si annunciava dolceamara, ma
era curioso di sentire. “E cosa desideri, allora, se non
essere presa di mira da questi bell'imbusti?” Quando
riuscì a trovarlo, prima lo porse alla ragazza. I suoi occhi
mare si sbarrarono a quel gesto, ma le spalle si ammorbidirono. Era
evidente che aveva bisogno di un gesto non comandato. Mentre lei si
tamponava leggermente, le onde del mare continuavano ad infrangersi
rumorosamente sugli scogli. Il vento si era alzato leggermente e la
veste di Rosamaria danzò secondo il volere del vento.
“Vorrei navigare. Vorrei vedere le meraviglie del
mare.” Duccio sorrise, ma allo stesso tempo rimase
ammalliato, forse Rosamaria era davvero una sirena.
“E tu, straniero? I tuoi vestiti sembrano
arrivino da Firenze, perchè mai hai viaggiato fin nei
profondi meandri dell'Italia?” “Per vederne le sue
meraviglie.” Rispose il ragazzo immediatamente. Ed era vero.
Rosamaria non arrossì, ma accennò ad un sorriso
malizioso e si voltò verso la burroscosa sfuriata che il
mare aveva deciso di esibire. “Sei fortunato allora! Sei
libero e chissà quante ne avrai viste finora, di bellezze e
meraviglie tanto preziose.” Duccio scrollò le
spalle “In realtà non sono libero come
vorrei… Ho un compagno e un figlio che mi aspettano, su a
Firenze.” Rosamaria non fece una piega sulla parola compagno.
“E perchè li hai lasciati?”
“Dovevo disintossicarmi.” “Da
loro?” Duccio si ritrovò imbarazzato, ma
tentò ugualmente di rispondere. Quella straniera sapeva fare
le domande giuste e toccare i punti più sensibili senza far
male… “Io… Forse un pò.
Forse per niente. Ma erano parte di una brutta abitudine che mi stava
consumando, come la schiuma del mare sulla spiaggia. Mi entravano nella
pelle senza lasciarmi respirare, in ogni punto scoperto che ho. E
più mi si imbattevano nel corpo, più la loro
schiuma mi invadeva l'anima. Ma non per questo ho smesso di
amarli.” “Sei davvero un uomo che si sacrifica
volentieri ai loro amori. Vorrei aver conosciuto almeno una volta nella
vita qualcuno che mi descrivesse con lo stesso tuo ardore,
straniero.” Rosamaria si avviò verso la
staccionata e si sedette, ammirando ancora il mare. Invitò
Duccio a fare lo stesso. Il mare ora era calmo e il sole illuminava la
spiaggia. La sabbia sembrava pitturata di un delicato color ocra.
“Lo conoscerai, te lo posso assicurare.”
“Non in questa terra dominata da subdole tradizioni. Se fossi
uomo, prenderei il mare e mi lascerei tutto alle spalle.” A
quelle parole, Duccio prese il suo basco e lo mise in testa alla
ragazza. Lei subito si portò le mani alla testa, toccando il
tessuto ruvido e consunto del basco. Aveva un buon odore. Di sale e
qualcos'altro che non sapeva riconoscere. Duccio sorrise.
“Cosa fai?”
“Travestita da uomo non staresti male. Il basco potrebbe
essere un modo per nascondere i capelli. Poi credo che il resto
riuscirai a trovarlo facilmente, no? E adesso va, e rincorri il tuo tuo
desiderio. Non lasciare che la marea lo faccia affondare.”
Lei sbarrò gli occhi dalla sorpresa.
Guardò il mare e poi di nuovo Duccio, che si stava per
avviare verso la sua fidata barca.
“Grazie..”
“E’ stato un onore, Rosamaria.”
Duccio era arrivato quasi al punto in cui aveva
deciso di riposarsi, quando Rosamaria gridò “Hey!
Non mi hai detto il tuo nome!”
E decise che non avrebbe fatto male a non pronunciarlo. Forse
un giorno avrebbe di nuovo incontrato quella sirena, in cerca dell'uomo
senza nome che le aveva donato un basco e una nuova vita.
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Capitolo 14 *** Ti racconto una Storia ***
“Ma perchè non riesci a
dormire?”
Ilario aveva perso la pazienza: Duccio era ancora
perso nei meandri della loro Italia. Aveva lasciato a casa Darim,
pensando che la domestica che aveva assunto avrebbe fatto del suo
meglio. In effetti era così: ma quella sera soppraggiunse un
emergenza e la domestica era dovuta accorrere al centro di
Monteriggioni. Ora nella grande Villa restavano Tazim e Ilario. Non
erano in buoni rapporti. Ogni scusa era buona per litigare, per
lanciarsi frecciatine e ricordarsi l’un altro che, nonostante
Duccio li amasse entrambi, avrebbero potuto lottare fino alla morte.
“Non ho sonno.”
“Si che ne hai, ti stai negando preziose ore di
riposo.”
“Mi manca Duccio.” Disse Tazim,
sospirando. Teneva tra le braccia un pelouche che rappresentava un
cavallo. Era uno dei tanti doni (e capricci) che Duccio gli aveva
regalato (e accontentato).
“Non cambiare discorso… Vuoi che ti
racconti una storia?”
Tazim guardò il Pariah con sorpresa.
“Tu non sai raccontare storie.”
“Ci posso provare.”
Tazim sospirò… Pariah che
raccontava una storia? Era inverosimile quanto ridicolo: se doveva (o
poteva) raccontare delle favole, di solito le metteva in pratica. E con
Duccio lo faceva sempre.
“Ti ascolto.” A quelle parole
Ilario era rimasto sorpreso, ma contento. Si sistemò meglio
a fianco del ragazzino e cominciò a raccontare. Per la prima
volta in vita sua Tazim rimase talmente rapito dalle vicende del
Pariah, che dimenticò di odiare quell'uomo con la maschera.
Al suono esotico e all'immagine di nomi mai sentiti, lande sconosciute,
terre inesplorate e cieli che Tazim avrebe desiderato toccare, dopo un
pò si appisolò.
“Tazim, vuoi che smetta? Hai
sonno?” Chiese pacatamente il Pariah, alzandosi dal
giaciglio. Ma una mano di Tazim lo trattenne al suo fianco.
“Resta.” Biascicò il giovane.
Ilario per la prima volta lo accontentò. E non fu affatto
dispiaciuto nel farlo.“
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