Lillà

di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***





CAPITOLO PRIMO




Aveva avuto una giornata piena. Pienissima, anzi, per colpa di quello scellerato di Tobe che, in uno dei suoi soliti attacchi kamikaze, aveva ben pensato di fargli passare un pomeriggio d’inferno, tenendolo occupato per ore in un continuo mordi e fuggi, dimostrando ancora una volta di essere un vigliacco senza pari. Già solo il fatto di portarsi dietro una scorta di guerrieri ninja per metterlo al tappeto la diceva lunga, dal momento che il più delle volte pareva non avere il fegato necessario per affrontarlo in un duello da uomo a uomo. Alla fine, comunque, anche Garu aveva dovuto cedere ad un aiuto esterno, sia pure in gonnella e con dei graziosi occhi a mandorla. Anche quella, a ben guardare, era routine quotidiana, ma per una volta il giovane non aveva avuto nulla da ridire, poiché sapeva che se Pucca interveniva per dargli man forte in situazioni come quella era solamente perché non voleva che si facesse male; nella più rosea delle aspettative, dal momento che ancora non erano certi che Tobe, vincendolo, avrebbe avuto il buon cuore di lasciarlo in vita. O forse sì, ma unicamente col malvagio proposito di disonorarlo e sbeffeggiarlo fino alla nausea? Sarebbe stato abbastanza infantile, eppure perfettamente calzante per quel farabutto.
   Dopo essersi concesso una lunga, calda doccia ristoratrice, pur col patema d’animo che Pucca potesse far irruzione in bagno perché guidata dai suoi immancabili, biechi propositi – che a volte erano persino peggiori e ben più temibili di quelli di Tobe –, Garu aveva avvolto le stanche membra in uno yukata marrone e si era seduto sotto al porticato della sua abitazione, ad aspettare che la sua amica finisse di lavarsi e di cambiarsi. Anche lei, dopotutto, aveva avuto una giornataccia, finendo col guadagnarci alcuni lividi e degli abiti sporchi e strappati all’altezza di gomiti e ginocchia. Vista l’ora tarda, Garu l’avrebbe senz’altro riaccompagnata a casa, glielo doveva. Sospirò con rassegnazione al pensiero che questo gli sarebbe costato diverse seccature, come avviticchiamenti e sbaciucchi vari da parte della fanciulla. Decise di non farsi prendere dall’ansia anzitempo, non ne aveva la forza, non quella sera.
   La luna piena era ben visibile in cielo e rischiarava tutto intorno, mentre una leggera brezza gli solleticava i lunghi capelli umidi e scuri, facendo oscillare lentamente alcune ciocche ai lati del suo viso. Il silenzio della notte era rotto unicamente dal canto dei grilli e il tenue bagliore di alcune lucciole, che fluttuavano nei pressi della polla d’acqua in cui nuotavano le carpe, rendeva l’atmosfera ancora più pacifica, comunicando una serenità che Garu non era mai stato capace di raggiungere neanche durante i suoi più riusciti esercizi di meditazione, nel folto della foresta di bambù che circondava la sua piccola casa di legno. Eppure, complici la spossatezza e il piacevole tepore di Mio che gli si era acciambellato in grembo a fargli le fusa, quello stato di pace interiore non lo indusse affatto alla riflessione. La sua mente, al contrario, parve svuotarsi e tutto ciò che egli fece fu guardare le meraviglie che quel paesaggio notturno aveva da offrirgli.
   Rimase per parecchi minuti in quella trance, del tutto inconsapevole di esserci entrato, e si riscosse unicamente allorquando un leggero fruscio alla sua destra annunciò la presenza di qualcun altro. Volse il viso in quella direzione e scorse un’ombra che esitò a proseguire. Dall’esilità del profilo, per il giovane non fu difficile capire che si trattava di una donna; ma fu solo nel momento in cui ella fece un altro movimento che la luce della luna ne rivelò l’identità. Uno yukata scuro di foggia maschile, del tutto simile a quello che indossava lui, copriva le forme della fanciulla e una cascata di sottili capelli neri incorniciavano un volto che quasi Garu faticò a riconoscere, abituato com’era a vederla con la chioma raccolta in due odango ai lati del capo.
   D’altro canto, anche Pucca, per la prima volta, si ritrovò incerta sul da farsi e questa nuova condizione psicologica la spiazzò. Non le era mai capitato di avere timore di avvicinarsi a lui, tutt’altro. Eppure, senza riuscire a comprenderne la ragione, le cose stavano proprio così. Se ne domandò il motivo e si sorprese nel non trovare una risposta logica. Avvertiva soltanto una strana, elettrizzante sensazione che le faceva venire la pelle d’oca, probabilmente dovuta al fatto di ritrovarsi da sola con lui a quell’ora tarda, senza che il ragazzo avesse nulla da obiettare. Anzi, era stato lui a insistere affinché si fermasse a casa sua per riposare dopo la battaglia. Avrebbe dovuto esserne felice, giusto? E allora perché le pareva che le gambe non volessero saperne di avanzare? Forse era solo stanchezza fisica, cercò di illudersi, prendendo un bel respiro. Altrimenti non avrebbe avuto senso esitare in quel modo. Adesso avrebbe ingollato un altro po’ d’aria, avrebbe sfoderato uno dei suoi larghi sorrisi e si sarebbe lanciata a peso morto su di lui, pronta ad un nuovo corpo a corpo, assai più piacevole di quello a cui erano stati costretti quel pomeriggio da Tobe e dai suoi scagnozzi. L’idea la stuzzicò al punto che, anziché riprendere il cammino con calma, saltellò allegra come al solito e si accucciò accanto al suo adorato ninja, accoccolandosi contro la sua spalla e facendogli delle fusa che avrebbero fatto invidia persino a Mio.
   Garu sospirò rassegnato, ma la lasciò fare, anche e soprattutto perché si rese conto che, in fin dei conti, la sua presenza non intaccava affatto il profondo stato di serenità in cui era entrato spiritualmente. Anzi, contribuiva inaspettatamente a farlo rilassare.
   Di colpo, però, un guizzo nell’acqua li fece sussultare. Poi, il placido gracidare di una rana accompagnò il canto dei grilli, inducendoli a ridere scioccamente per il piccolo spavento che si erano presi. Si scambiarono un sorriso e, sorprendentemente, tutto il loro mondo parve capovolgersi.
   Nessuno dei due si mosse per diversi istanti, durante i quali i loro sguardi si accarezzarono a lungo. Poi, quello di Pucca cedette ad uno sconosciuto pudore che la costrinse a chinare il viso, stupendo Garu a tal punto da fargli credere che qualcuno avesse eseguito una qualche stregoneria su di loro.
   Era senz’altro una novità per entrambi. Rimasero fermi lì, a scrutare la luna, le lucciole e le carpe che di tanto in tanto guizzavano sulla superficie dell’acqua, mentre il canto dei grilli e quello della rana faceva da sottofondo a quell’incanto. Nessuno dei due osò spezzarlo, se non quando, muovendo distrattamente le dita di una mano, Garu sfiorò quelle di Pucca, che sì irrigidirsi a quel tocco. Fu una sensazione strana, quella che lo spinse istintivamente a stringerle e poi a intrecciarle alle proprie. Con un tuffo al cuore, la fanciulla si volse a fissarlo da sotto in su con una timidezza che non sapeva di possedere. Il giovane avvertì il fiato venirgli meno quando incrociò ancora una volta i suoi occhi a mandorla, davanti ai quali danzava, nella brezza notturna, una lunga, sottile ciocca di capelli che lei non si era curata di ricacciare indietro. Garu si sorprese nel pensare che Pucca avesse degli occhi davvero belli e assai femminili. Di nuovo, una forza estranea alla propria volontà, lo indusse a muoversi nella sua direzione, scostandole delicatamente quella ciocca dal viso. Quel gesto fece rabbrividire la ragazza, che arrossì non appena le dita di lui le accarezzarono involontariamente la guancia. E fu allora che accadde ciò che nessuno dei due si sarebbe mai aspettato.
   Spinto forse dall’atmosfera del momento, Garu abbandonò ogni resistenza. Si chinò su di lei e sfiorò le sue labbra con le proprie, ritrovandosi ad assaporare quell’attimo come mai aveva fatto prima. Non avvertì alcuna resistenza dall’altra parte, solo un lieve fremito che interpretò con orgoglio virile. Osò perciò trasformare quel lieve contatto in qualcosa di più tangibile, ma comunque delicato. E gli piacque. Molto. Forse perché era assai diverso da tutti gli altri baci che si erano scambiati fino ad allora, probabilmente per il semplice fatto che questo era il primo che lui ricambiava, senza doverlo per forza subire passivamente.
   Il suo cuore ebbe un gradevole guizzo che si ripercosse fin giù nello stomaco e quasi lo fece sorridere. Ma ben presto sobbalzò per qualcosa che lo riportò bruscamente alla realtà: Pucca si scostò da lui e, dopo averlo fissato con espressione smarrita e quasi impaurita, sciolse le dita dalle sue e si alzò, affrettandosi ad allontanarsi da lì per scivolare oltre la portata del giovane che, troppo sorpreso per reagire, rimase immobile, lo sguardo perso nel vuoto che improvvisamente gli piombò attorno e addosso, schiacciandolo contro le assi di legno del pavimento. Tutto ciò che poté udire, fu il rumore ovattato dei piccoli piedi della ragazza che si perdevano nel silenzio della notte, rotto unicamente dalla melodia della natura.
   Ciò che lasciò sconvolto Garu, persino più del modo assurdamente atipico in cui entrambi si erano comportati, fu il raggiungimento di una sgradevolissima consapevolezza: adesso si rendeva conto di cosa provava Pucca tutte le volte che lui le sfuggiva, rifiutando ogni forma di affetto nei suoi riguardi. Faceva male, dannatamente male. Al punto che quasi gli mancò nuovamente il fiato, ma in maniera differente rispetto a prima, quando si era reso conto di quanto amasse quegli occhi che fin troppe volte aveva ignorato. Ogni sicurezza del giovane vacillò improvvisamente e una morsa gli attanagliò lo stomaco al pensiero che, dopotutto, quello che Pucca provava per lui poteva non essere altro che un sentimento labile e leggero, che lei si divertiva ad ostentare per gioco e che ora, spaventata dalla serietà con cui Garu aveva finalmente accettato ciò che da sempre cercava di negare, era crollato su se stesso, svanendo come una bolla di sapone. Un attimo dopo, tuttavia, il ragazzo si vergognò di quanto aveva appena supposto; non per orgoglio o arroganza, quanto perché sapeva che Pucca era sempre stata sincera e che mai, per carattere e buon cuore, avrebbe osato prendersi gioco di lui o dei sentimenti di chicchessia. Pucca lo amava, eppure era fuggita proprio quando aveva avuto la certezza di essere ricambiata.
   Garu imprecò fra sé, affondando il volto nei palmi delle mani. Dunque era innamorato di lei? Era per questo che, sotto sotto, assecondava con rassegnazione tutti i suoi capricci, senza allontanarla definitivamente da sé? O il piacere di averla attorno, di ricevere tutte quelle attenzioni, era una mera scusa per fomentare il proprio ego? Non avrebbe saputo rispondere a quelle domande, non quella notte. Anche perché l’unica sua reale preoccupazione, in quel momento, era quella di aver ferito Pucca, benché non gli fosse ancora ben chiara la ragione. Non era lei a spasimare per un suo bacio? Allora perché fuggire come se avesse avuto a che fare con un appestato?
   Per un tremendo istante, Garu ebbe l’assurdo timore di avere l’alito pesante. Scacciò quell’idea ridicola un secondo dopo, ricordando fin troppo bene tutte le volte che, incurante della fiatella mattutina, Pucca lo aveva svegliato mangiandogli le labbra dopo essersi introdotta furtivamente in casa sua allo spuntar del giorno. Quasi gli venne da ridere, se per allegria o disperazione non seppe dirlo, al pensiero che quella matta era sempre stata capace di fare follie anche peggiori di quella pur di condividere un solo attimo di contorto romanticismo insieme all’uomo che amava. Il quale, invece, la respingeva immancabilmente, ferendola nell’animo come lei aveva appena fatto con lui, senza tuttavia mai perdere il sorriso o la forza di provare ancora e ancora e ancora, sicura che prima o poi sarebbe riuscita ad attirare la sua attenzione. E in quello, invero, era sempre stata una campionessa, anche se con risultati differenti da quelli che si era prefissata. O forse no, visto quanto era appena accaduto.
   Alzando nuovamente gli occhi scuri alla luna piena, Garu si domandò se tutto quello era successo per la seconda volta a causa sua, che con quella bellissima luce era riuscita a rischiarare finalmente i suoi reali pensieri e il suo cuore, rimasti per troppo tempo ignorati. Aveva passato la vita a rincorrere ciò che egli riteneva il più alto degli ideali; ma cosa c’era di onorevole nel ferire costantemente i sentimenti di qualcuno? Sarebbe stato assai meno crudele, da parte sua, scomparire dalla vista della ragazza che sosteneva di non amare, anziché continuare a ronzarle intorno ben sapendo che prima o poi lei sarebbe tornata inesorabilmente a dargli il tormento con i suoi abbracci e i suoi baci non richiesti. Evidentemente, si ritrovò ad ammettere il giovane, niente di tutto quello era realmente una seccatura, per lui. E, forse, al contrario di quanto si erano aspettati entrambi, quella rivelazione aveva avuto il potere di intimidire, e persino spaventare, Pucca. La povera fanciulla, in effetti, doveva essere stata presa alla sprovvista da quella situazione, molto più del suo affascinante seduttore.

L’affascinante seduttore in questione, però, non sapeva che al momento anche Pucca si stava martoriando dai sensi di colpa. Anzitutto per l’essere scappata via come una codarda non appena aveva capito che il suo sogno più grande era in procinto di avverarsi. Poi, anche perché quella sua reazione era stata causata da una consapevolezza decisamente più struggente: un bacio ricambiato, desiderato anche dall’altra persona, era qualcosa di incommensurabilmente meraviglioso. Nulla a che vedere col supplizio cui sottoponeva quel poveretto di Garu ogni santo giorno. Quante volte lo aveva costretto a contatti tanto intimi? Fin troppe, e adesso i rimorsi di coscienza si erano finalmente svegliati, schiaffeggiandola con violenza: era stata terribilmente ingiusta, prepotente ed egoista. Aveva ben ragione, lui, a respingerla con decisione.
   E poi… E poi era quello, l’amore? Era davvero quello? Per la barba di Master Soo! Neanche nelle sue più rosee aspettative Pucca aveva immaginato qualcosa di tanto dolce e… e… Come poterlo definire? Non avrebbe saputo farlo in nessuna lingua esistente al mondo, di questo era assolutamente convinta mentre si aggirava frettolosamente in lungo e in largo nella propria stanza, al buio, in preda a dei sentimenti così contrastanti di gioia, di paura e di rammarico che quasi la lasciavano senza fiato.
   Arrestò di colpo il passo quando, nella follia di un momento, le venne il sospetto che quello che l’aveva baciata – di propria iniziativa! – non era affatto Garu, quanto piuttosto qualcuno che gli assomigliava come una goccia d’acqua, sebbene avesse il suo stesso, ammaliante odore, proprio quello che le faceva girare la testa tutte le volte che gli si faceva vicina, mandando completamente in tilt i suoi ormoni femminili. E se si fosse trattato di una sua copia? Alla fine Garu era parecchio pratico della tecnica del doppio, la famosa Illusione Garusiana, che per uno sventurato caso aveva già provocato fra loro diversi fraintendimenti e problemi, in passato. Ma se si fosse trattato di un clone, non sarebbe dovuto scomparire al minimo contatto fisico? Sì, se fosse stato un clone normale. Con un urlo insonoro, Pucca crollò in ginocchio sul pavimento e si strinse nelle spalle con fare angosciato. Alla mente le tornò quel dannato doppio che, dotato di parola e di modi da sciupafemmine, era stato in grado di prendersi gioco di lei, almeno fino a che non aveva rivelato la sua reale natura, finendo col fare il filo anche a Ching. Senza contare che, quella notte, c’era anche la luna piena, e lei e Garu avevano sperimentato insieme gli effetti, a tratti disastrosi, che poteva avere su di loro. A conti fatti, potevano essere molte le ipotesi che spiegavano il comportamento tanto anomalo di Garu – ammesso che fosse stato davvero lui, a baciarla. E se invece fosse stata colpa di quel dannato clone? O se fosse stata nuovamente colpa del plenilunio, che accendeva la fantasia e gli ormoni delle persone, compresi quelli di un ninja apparentemente incorruttibile? Anche quella volta, quand’era stato stregato dalla luce della luna, Garu aveva ricambiato ogni suo singolo bacio, elargendone a profusione sebbene non fossero richiesti, risultando spesso persino inopportuni, al punto che Pucca aveva desiderato avere indietro il vecchio Garu, quello che rifuggiva le sue smancerie in preda all’orrore. Ma erano stati comunque baci molto, molto diversi da questo.
   Il timore di essere stata nuovamente vittima del capriccio del destino le fece salire le lacrime agli occhi: benché fosse sempre ottimista e avesse una forza d’animo inaffondabile, in quel momento Pucca ebbe l’impressione che, se si fosse trattato ancora una volta di un’illusione d’amore, il suo cuore non avrebbe retto al dolore.
   Eppure, in fondo all’animo, avvertiva la sensazione che così non era, che quello che era appena accaduto era reale e sincero come mai lo era stato prima di allora. Era per questo, forse, che l’emozione provata era stata tanto forte da mandarla in confusione, facendole ricercare una via di fuga anziché cogliere l’attimo e approfittare di quella manna piovuta dal cielo – cosa che invece aveva sempre fatto, in passato, rimanendo puntualmente con un palmo di naso.
   Corrucciò la fronte, infastidita da tutte quelle paturnie che, a ben guardare, non avrebbero portato a null’altro che ad una notte insonne. Con uno sbuffo, si lasciò cadere all’indietro sul letto, a braccia spalancate, gli occhi fissi sul soffitto della stanza. Vero o non vero che fosse quel bacio, almeno aveva realizzato una cosa di fondamentale importanza: non erano soltanto i suoi sentimenti ad avere voce in capitolo su determinate questioni, ma anche e soprattutto quelli di Garu.
   Si girò sul fianco, afferrò la bambolina con le fattezze del suo amato e la strinse gelosamente al petto. Quasi le venne da ridere al pensiero che, se non avesse avuto tutta quella confusione in testa e nel cuore, non avrebbe esitato un solo istante a saltargli addosso e… beh, forse a pretendere ben più di un bacio, in quella fatidica notte. Il sorriso svanì di colpo dalle sue labbra e di nuovo le sue sopracciglia sottili si incresparono: Garu se l’era forse aspettato, da lei? Se sì, lei avrebbe saputo dirgli di no? Cielo, che razza di domande si poneva, quando lo aveva appena fatto?
   Con un nuovo, sonoro sbuffo, Pucca decise di averne abbastanza. Si rimise in piedi e si adoperò per andarsene una buona volta a letto, con la speranza che qualche ora di sonno l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee. E neanche Master Soo sapeva quanto ella ne avesse bisogno, al momento.












Non chiedetemi perché io mi sia impelagata in questa impresa, ma tant'è... La fanfiction è già stata scritta nella sua interezza, ho solo bisogno di rivedere a dovere il secondo capitolo (più lungo e movimentato) e poi, penso per domenica o giù di lì, posterò anche quello.
Si tratta di un fandom su cui mai mi sarei aspettata di scrivere qualcosa, invece sono già alla seconda storia su questa adorabile e divertentissima serie. Mi auguro solo che lo stile non risulti troppo contorto, perché spesso mi accade di aver tante cose da scrivere ma poca lucidità mentale per metterle in fila, l'una dietro l'altra. Spero che le azioni e, soprattutto, le riflessioni dei due protagonisti siano piuttosto lineari. In caso contrario, vi prego di darmi voce, così che io possa intervenire e rendere il tutto più semplice e comprensibile. Stessa cosa se doveste trovare degli strafalcioni grammaticali e/o sintattici.
E per il momento credo sia tutto.
Anzi no: a scanso di equivoci, conviene specificare che i due protagonisti, in questa fanfiction, hanno ovviamente alcuni anni in più rispetto alla serie animata.
A presto,
Shainareth





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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***





CAPITOLO SECONDO




Fu una sorta di duello quello che ingaggiarono i loro sguardi il mattino seguente quando, entrando nella sala del ristorante per servire i primi clienti della giornata, Pucca trovò Garu seduto ad uno dei tavoli vuoti addossati al muro del locale. Si occhieggiarono a vicenda con fare sospetto, non sapendo cosa aspettarsi l’uno dall’altra. Poi, finalmente, la cameriera fu costretta ad avvicinarsi a lui per prendere la sua ordinazione e non poté affatto ignorare il calore che aveva iniziato a salirle al viso ogni volta che muoveva un passo nella sua direzione.
   Quasi non fece in tempo ad arrivare a destinazione che Garu le mostrò il menù, indicandole la pietanza che aveva intenzione di mangiare. Era un gesto ordinario, che il giovane compiva con tempismo per evitare che lei gli si avvicinasse troppo e troppo a lungo. Questa volta, Pucca quasi gliene fu grata: tutto era tornato alla normalità, dunque? Probabilmente era meglio così, si disse, mentre prendeva indietro il menù e si dirigeva con aria accigliata e perplessa verso le cucine.
   Dal punto di vista del giovane, invece, non era tornato un bel niente alla normalità se lei non era in grado di regalargli, come ogni giorno, un bel sorriso e una dose di smancerie che fino a poche ore prima gli avrebbero fatto rivoltare lo stomaco – o almeno così avrebbe creduto, se nottetempo non avesse fatto maggior chiarezza in se stesso. Era in previsione di questo che Garu aveva deciso di ricorrere ad un espediente vecchio come il mondo, ma che a quanto pareva funzionava immancabilmente.
   Ebbe successo anche in quell’occasione, difatti, poiché non appena Pucca raggiunse uno dei suoi zii per comunicargli l’ordinazione di Garu, aprendo il menù fu sorpresa di trovarvi dentro un rametto fiorito, proprio lì dove un attimo prima non c’era nulla. Rimasta per qualche istante a bocca aperta, quando finalmente realizzò quanto era accaduto, la ragazza non riuscì a trattenersi da un’esclamazione di gioia, lanciando il menù per aria – che guarda caso colpì in pieno volto il povero Dada che si trovava a pochi metri di distanza – ed esibendo vittoriosa il dono del suo amato.
   Tutti si volsero nella sua direzione e quando focalizzarono la propria attenzione su ciò che lei teneva gelosamente fra le dita, Zio Raviolo sorrise con orgoglio. «Te l’ha davvero regalato Garu?» domandò, asciugandosi le mani sul grembiule. E quando la vide annuire vigorosamente, sprizzando felicità da tutti i pori, fu lieto di informarla che: «I fiori hanno tutti un loro significato ben preciso. Quelli cosa sono? Dei lillà, giusto?» volle accertarsi, interpellando Linguini che stava impastando qualcosa poco lontano da loro.
   Questi gettò un’occhiata al rametto e annuì. «Dovresti essere molto più che contenta, Pucca. Ho sentito dire che i lillà di quel colore simboleggiano l’innamoramento e i primi palpiti d’amore.»
   La fanciulla squittì in preda all’euforia: quindi era proprio Garu, quello che l’aveva baciata la sera prima? Stava già per fare marcia indietro, pronta a gettargli le braccia al collo quando la voce di Ho la riportò bruscamente con i piedi per terra.
   «Ehm… Non per fare il guastafeste, ma io sapevo che i lillà viola simboleggiano la rottura di un fidanzamento.»
   Fu come un pugno in pieno stomaco quello che le tolse il fiato. La delusione fu tale che Pucca neanche prese in considerazione la realtà dei fatti, e cioè che non c’era alcun fidanzamento da rompere, visto che lei e Garu non erano mai stati insieme. Forse Garu si era pentito del bacio che le aveva dato e con quel dannato fiore le stava spiegando che non voleva più saperne di lei.
   Benché cercarono di consolarla e di rassicurarla al riguardo, perché magari Ho ricordava male, Pucca tornò nella sala con le lacrime agli occhi. Ma proprio quando il suo sguardo incrociò quello speranzoso di Garu, la mortificazione e la rabbia ebbero il sopravvento e lei marciò furiosamente nella sua direzione per gettargli i fiori in faccia.
   Il povero ninja la fissò con sgomento, non riuscendo a comprendere nella maniera più assoluta il suo atteggiamento: che diamine le era successo?! La Pucca che conosceva lui avrebbe fatto i salti di gioia per un regalo del genere, mentre quella che gli stava davanti pareva cacciare fuoco e fiamme. Faceva talmente paura che Garu sudò freddo, si appiattì contro la parete alle sue spalle e deglutì sonoramente senza neanche accorgersene.
   Probabilmente fu l’ingresso nel ristorante di altri clienti a salvarlo da qualcosa di terribile. Cosa, in verità, non lo sapeva con certezza, ma preferì non indagare al riguardo.
   «Ehi, Garu…» farfugliò Dada, spuntando dalle cucine con la sua colazione, mentre Pucca andava incontro agli ultimi arrivati senza curarsi di celare il proprio malumore. Il ninja, pur non osando distogliere troppo la propria attenzione dalla ragazza per paura di subire un attacco a sorpresa, gettò un rapido sguardo al cameriere, facendogli capire che gli stava prestando comunque ascolto. «Vuoi davvero rompere con Pucca?»
   Quella domanda ebbe il potere di fargli aggrottare spaventosamente la fronte. Tanto per cominciare, a dispetto di quanto andavano sostenendo tutti quanti, lui e Pucca non stavano insieme. E se anche adesso le cose erano un tantino cambiate – okay, era cambiate un bel po’ –, la questione non doveva riguardare Dada o chicchessia, ma soltanto loro due. Perché mai nessuno si faceva gli affari propri, in quel dannato villaggio?!
   Dal suo sguardo tremendamente infastidito, il cameriere comprese che forse aveva detto qualcosa di sbagliato. «Ehm…» prese a balbettare, torturandosi le mani all’altezza del petto. «Sai… è per via dei fiori che le hai regalato», mormorò con un certo timore, quasi a giustificare la propria indiscrezione. È che a lui pareva un vero peccato che Garu e Pucca si lasciassero… Erano una così bella coppia!
   Di nuovo, gli occhi di Garu parlarono per lui: non aveva idea di ciò che stava blaterando Dada. Il quale, notando un certo smarrimento nell’espressione del suo volto, s’affrettò ad aggiungere: «Beh, a meno che tu non intendessi comunicarle quell’altro significato… Sai, quello sui sentimenti appena sbocciati…»
   Le labbra del ninja ebbero un lieve guizzo verso l’alto: davvero i fiori che aveva regalato a Pucca simboleggiavano le prime emozioni d’amore? Per un puro colpo di fortuna, quindi, aveva azzeccato quelli giusti?
   «Il fatto è che Linguini sostiene una cosa e Ho un’altra», stava continuando frattanto Dada, cercando di capirci qualcosa. Proprio come Garu. Il quale fissò il rametto di lillà con altrettanta confusione. Forse, si disse, avrebbe dovuto andare sul sicuro e regalarle una rosa rossa. La sola idea gli fece rizzare i peli sulla nuca: le rose rosse indicano passione, e se solo lui si fosse azzardato a porgerne una a Pucca, pur evitando equivoci di sorta, probabilmente quella sfacciatella avrebbe preteso di saltare a piè pari ogni tappa di quello che, il più puro Garu, sperava sarebbe stato invece un rapporto idilliaco, finendo per…
   Si costrinse a ridestarsi da quei pensieri tutt’altro che onorevoli non appena realizzò di essere arrossito vistosamente, al punto da indurre Dada a un risolino divertito. Lo fulminò con un’occhiata che indusse il ragazzo a tornarsene in cucina senza ricevere una risposta adeguata circa i fiori di lillà. Rimaneva però una questione spinosa: come far capire a Pucca che lui non intendeva nella maniera più assoluta regalarle dei fiori che simboleggiavano qualcosa? Insomma, il gesto di per sé non voleva già dire che lei era riuscita finalmente a far breccia nel suo cuore?
   Le donne erano maledettamente complicate, concluse Garu, lasciando cadere il rametto di lillà sul tavolo e afferrando le bacchette per iniziare a mangiare. Forse avrebbe davvero fatto meglio a lasciar perdere ogni cosa, tornando ad ignorare i capricci di quella sciocca femmina. Dopotutto era meglio così, aveva cose più importanti a cui pensare, come riscattare l’onore della propria famiglia.
   Fu questo che risolse di fare, spinto dal proprio orgoglio ferito e dalla propria ottusaggine.

Com’è logico supporre, Garu aveva fatto i conti senza l’oste.
   «Che le hai fatto?» domandò Abyo, non capacitandosi di come le cose fossero precipitate a tal punto. Entrambi stavano fissando allibiti uno dei cassonetti dell’immondizia poco distante dal Goh-Rong, che attualmente strabordava di foto e poster in cui il viso di Garu ricambiava il loro sguardo attonito. L’orrore più grande, comunque, fu scoprire che Pucca aveva una collezione tanto grande di suoi ritratti, catturati in chissà quale delle tante occasioni in cui lo aveva accecato con il flash della macchina fotografica. Aveva persino cucito una bambolina di stoffa che lo raffigurava alla perfezione.
   Come avrebbe potuto spiegare, Garu, che Pucca aveva deciso di odiarlo a morte proprio quando lui si era deciso a ricambiare i suoi sentimenti, con un bacio e dei fiori? Eppure già in passato erano bastati stratagemmi del genere per farla smettere di piangere e risollevarle di colpo l’umore. Perché stavolta no?
   Uno strano, fastidioso malessere gli attanagliò lo stomaco assai più di quanto era accaduto la sera precedente, quando si era reso conto di essersi comportato sempre male nei suoi confronti. Forse Pucca era una di quelle donne masochiste, che preferiva essere maltrattata dal proprio uomo, anziché ricevere effusioni d’amore? Che assurdità.
   «Beh», ricominciò Abyo, scrollando le spalle e decidendo di guardare il lato positivo della faccenda. «Per lo meno, ora potrai concentrarti meglio sui tuoi allenamenti.»
   Per gli dei, no! Come avrebbe potuto lasciar perdere ogni cosa proprio adesso che aveva realizzato di provare qualcosa per lei?! A onor del vero, forse avrebbe già dovuto accorgersene quella volta che, per un’immancabile serie di contorti fraintendimenti, si era ritrovato involontariamente a porgerle un anello di fidanzamento proprio nel momento in cui entrambi avevano indossato degli abiti nuziali. Certo quello era stato un caso, e solo a raccontarlo avrebbe lasciato perplesse e incredule parecchie persone; tuttavia, forse, soltanto lui e Pucca si erano resi conto che, sia pure per pochi istanti, le sue braccia si erano mosse nella direzione della fanciulla, come se avesse tacitamente accettato quello stato di cose del tutto imprevisto. Quando poi era tornato in sé, aveva non troppo coraggiosamente cercato – e trovato – la fuga. Tanto per cambiare.
   Senza emettere un solo suono, a parte un energico grugnito di protesta, Garu si accollò del peso di tutto quel ciarpame che lo ritraeva, bambolina compresa, e, ignorando i confusi richiami dell’amico che era incapace di seguire i suoi silenziosi ragionamenti, trasportò ogni cosa fin sotto la finestra della camera di Pucca. A quel punto, fischiò con tutto il fiato che aveva in corpo e attese che dalle persiane schiuse si affacciasse qualcuno.
   Invano, perché a far capolino fu soltanto una graziosa gattina dal pelo chiaro. Yani si accoccolò sul davanzale della finestra e miagolò verso Garu, forse chiedendogli dove fosse il suo adorato Mio. Non era ironico, il destino, che aveva già fatto innamorare, sia pure a modo loro, il suo gatto e quello di Pucca? Ad ogni modo, se Yani rimaneva indisturbata sul davanzale della finestra, poteva significare soltanto che Pucca non era in camera sua. Forse era fuori con il suo motorino, impegnata con le consegne per il ristorante. Beh, poco male: Garu non si sarebbe perso d’animo per così poco.
   «Che vuoi fare?» volle sapere Abyo, curioso come una scimmia. Non ricevette risposta, perché l’amico preferì preservare il fiato non solamente per mantener fede al voto del silenzio fatto anni prima, ma anche per raggiungere la finestra dell’amata con un solo, mirabile balzo. «Lo sai che se i suoi zii ti trovano in camera sua, ti spaccano il…»
   L’avvertimento di Abyo si perse nel vuoto quando, determinato a portare a termine il proprio lavoro, Garu prese in braccio Yani per adagiarla gentilmente sul letto e chiuse le imposte della finestra dietro di sé.
   «È un ninja morto», sentenziò il suo amico, i pugni sulle anche, gli occhi scuri puntati verso il punto in cui il giovane era scomparso.

Quando, finito il giro di consegne, tornò al ristorante sul far della sera, Pucca avvertì una fitta al petto nel constatare che l’immondizia era stata già ritirata. Si era pentita di aver gettato via tutta la roba che ritraeva Garu subito dopo aver inforcato il suo motorino rosso ed essere partita per le vie del villaggio, ma non aveva potuto fare marcia indietro per non creare problemi ai suoi zii, consegnando le ordinazioni a domicilio in ritardo. E adesso che i suoi occhi trovarono il bidone vuoto, la ragazza si sentì tale e quale a lui.
   Si mordicchiò le labbra e, stringendo i pugni, non si diede per vinta. Tornò in sella al motorino, mise nuovamente il casco e partì spedita alla volta del centro di raccolta dei rifiuti della zona, decisa a riprendersi tutto quello che le apparteneva. E, per una volta, poco importava se Dada avesse dovuto sobbarcarsi anche del suo lavoro, servendo i clienti ai tavoli.
   La delusione che ricevette quando uno degli addetti alla nettezza del villaggio le assicurò di non aver ancora ritirato nulla dal ristorante la mise ulteriormente in allarme: qualcuno aveva rubato tutti i suoi preziosi cimeli. Chi poteva essere stato tanto crudele, ben sapendo che per lei Garu era tutto e che senza di lui sarebbe morta? Chi poteva volerle fare del male in modo così subdolo?
   Alla sua mente si affacciò un solo nome e lei, sempre più determinata a riprendersi indietro il proprio tesoro, sfrecciò per le vie a tutto gas, diretta contro l’unico grattacielo di Sooga: questa volta Ring Ring aveva superato se stessa. Beh, no, in effetti era stata capace di fare di peggio, in passato, ingannandola e facendole credere, con l’aiuto di Dada che faceva sempre tutto ciò che lei gli chiedeva, che Garu si fosse innamorato di lei e che avessero intenzione di sposarsi. In ogni caso, anche se adesso la situazione non era grave come quella, Ring Ring l’avrebbe pagata cara lo stesso per questione di principio: Garu era territorio proibito per qualunque altra donna, figurarsi per lei.

Guardò la sveglia sul comodino, proprio quella su cui spiccava il suo bel faccino imbronciato, e si accigliò assumendone la medesima espressione. Ma quanto diavolo ci metteva, Pucca, a tornare a casa? Ormai fuori era buio e lui aveva perso quasi tutto il pomeriggio in camera sua, trascurando gli allenamenti e anche il povero Mio. Forse stava tardando perché c’erano state più consegne del previsto. Dopotutto, circa un quarto d’ora prima, aveva sentito il rumore del suo motorino avvicinarsi, ma poi, dopo pochi minuti di silenzio, sembrava essersi allontanato di nuovo. Perciò Garu aveva pensato che doveva essere arrivata qualche nuova ordinazione all’ultimo secondo e aveva deciso di aspettare ancora pazientemente. E se invece le fosse capitato qualcosa? Impossibile. Pucca era una tosta, tanto che neanche lui, spesso, riusciva a spuntarla contro di lei. Sapeva benissimo badare a se stessa, quindi non c’era davvero di che preoccuparsi al riguardo.
   Acciambellata sul letto accanto a lui, Yani strusciò il musino contro il suo ginocchio, riscuotendolo da quei pensieri e attirando la sua attenzione. Sentendole fare le fusa, Garu si lasciò andare ad un sorriso e prese a farle dei grattini sotto la mascella. Adorava i gatti e quel genere di effusioni erano capaci di rilassare appieno anche lui.
   D’un tratto, però, un fragoroso boato investì prepotentemente le sue povere orecchie, procurandogli quasi un infarto e facendo rizzare il pelo a Yani, che soffiò spaventata e balzò giù dal letto per rintanarsi in un angolo della stanza. Recuperando il fiato, Garu si precipitò alla finestra, la spalancò e vide una nuvola di fumo propagarsi sopra i tetti del villaggio. Cosa poteva mai essere accaduto? Cosa poteva essere esploso in quella direzione? Un lampo lo colse e un brivido gli attraversò la schiena.
   Saltò giù dal davanzale e atterrò saldamente al suolo; quindi, senza perdere un solo istante, si precipitò verso il luogo in cui, ne era certo, doveva trovarsi quella pazza della sua innamorata. Non sarebbe certo stata la prima volta, quella, in cui lei e Ring Ring radevano al suolo mezzo villaggio per una banalissima lite fra adolescenti – dove spesso, senza che lui avesse fatto nulla, suo malgrado si ritrovava persino coinvolto.
   Continuando a spostarsi per le vie del villaggio, correndo a perdifiato e rischiando di travolgere la folla in preda al panico, Garu si rese conto di non riuscire a capire bene cosa stesse accadendo. Fu perciò costretto a darsi una spinta verso l’alto per raggiungere il tetto di un’abitazione vicina e fu allora che individuò l’esatto luogo dell’esplosione. Trattenne a stento un’imprecazione quando si rese conto che il suo istinto non si era sbagliato: quelle due fanatiche si stavano accapigliando come due pazze isteriche, rotolando l’una sull’altra tutt’intorno allo spiazzo che si era creato a mo’ di arena quando gli abitanti del villaggio erano accorsi ad assistere alla zuffa, disponendosi tutt’intorno alle due aspiranti lottatrici di… Come mai poteva definirsi quell’assurda lotta che non aveva la minima regola né il minimo stile? Garu fece una smorfia, dovuta alla propria deformazione professionale. Ciò nonostante, quando si avvide che, in lontananza, stava giungendo di gran carriera Bruce con la volante della polizia, decise che era il momento di farla finita una volta per tutte.
   Facendosi coraggio, piombò nel bel mezzo della battaglia, pronto a fermare quelle due invasate prima che il padre di Abyo le sbattesse in cella. Sfortuna volle, ovviamente, che proprio in quel momento, con l’ausilio di una delle lunghe maniche del proprio abito, Ring Ring avesse afferrato uno dei detriti della sua palazzina ormai in malora e lo avesse già lanciato in aria. Inutile dire contro chi si abbatté, facendolo crollare rovinosamente al suolo e ridicolizzando la sua trionfale ed eroica entrata in scena.
   Con un urlo allarmato, Pucca accorse in aiuto dell’amato, tirandolo fuori da quella pessima figura e cercando di rimetterlo in piedi. Proprio quando vi riuscì, tuttavia, si udì un gorgheggio da soprano che quasi perforò loro i timpani. «Maledetta Pucca!» gridò Ring Ring, per nulla interessata al fatto che si sentiva avvicinarsi la sirena della polizia. «Come hai osato colpirmi così a tradimento?! Non ti ho fatto niente!»
   Sconcertato da quell’affermazione, Garu si volse a fissare l’accusata che ancora lo sosteneva per un braccio: solitamente azioni immotivate come quelle erano da attribuirsi a Ring Ring, non a Pucca. Quest’ultima, tuttavia, non era dello stesso avviso della sua eterna rivale. Si espresse con vigore in versi e in gesti che forse ad altri sarebbero sembrati incomprensibili, ma che invece Garu, abituato da sempre a comunicare con lei in quel modo a causa del mutismo della fanciulla e del proprio voto del silenzio, afferrò alla perfezione. Davanti a quella spiegazione, fu sul punto di schiaffeggiarsi il viso con rassegnazione; tuttavia dovette rimandare a tempi migliori, perché non soltanto Bruce si stava già facendo largo fra la folla con il suo fischietto, ma per di più Ring Ring stava per partire nuovamente all’attacco.
   Il ninja afferrò saldamente Pucca per la vita e balzò oltre l’altra combattente, dandosi la spinta contro le rovine della sua abitazione e scomparendo fra il nuvolone di polvere che ancora si levava sopra le loro teste. Alle loro spalle, i due ragazzi poterono udire nitidamente un nuovo, rabbioso urlo di Ring Ring che malediceva la cameriera del Goh-Rong e tutta la sua stirpe.

Fu solo quando furono distanti dal villaggio che Garu si concesse il lusso di riprendere fiato, atterrando all’uscita di una macchia di alberi non troppo lontana dal punto in cui sorgeva la sua modesta casetta di legno. Mise giù anche Pucca e, lasciandosi cadere accanto a lei, si riempì i polmoni d’aria. Tossì a causa della polvere che ormai li ricopriva da capo a piedi e sentì che anche la fanciulla era alle prese con il medesimo problema. Trasse un profondo respiro e si volse a guardarla: se ne stava accoccolata su se stessa, mortificata e in lacrime come una bambina, bianca per aver attraversato il nuvolone di detriti e con il viso pieno di graffi e i capelli spettinati che erano in parte sfuggiti all’acconciatura in cui era solita pettinarli ogni giorno. Avrebbe voluto sgridarla per il disastro appena combinato giù al villaggio, ma si rese conto che non sarebbe stato corretto, perché la colpa di quanto accaduto era stata anche sua, seppur in minima parte.
   Si limitò dunque ad afferrare una delle lunghe ciocche di capelli neri che le ricadevano attorno al capo e a tirarla gentilmente al fine di attirare la sua attenzione. Funzionò e la sola vista di quegli occhi a mandorla lucidi e gonfi di lacrime, gli fece male al cuore. Garu non era mai stato bravo a consolare le persone, ma doveva riconoscere con se stesso di essere capace di consolare alla grande Pucca. Si sporse nella sua direzione e premette le labbra contro la sua fronte, facendola sobbalzare per la meraviglia. Certo quel gesto gli era costato un bel po’ di rossore al volto, dovuto alla timidezza congenita che proprio non voleva saperne di abbandonarlo, ma per lo meno Pucca smise di piangere e questo gli fu di gran sollievo.
   Si sfregò la nuca con fare impacciato, distogliendo lo sguardo dal suo per pochi attimi prima di trovare il coraggio di spiegarle, sempre tramite quel linguaggio che soltanto loro due erano in grado di capire, che Ring Ring non c’entrava nulla con la perdita dei suoi effetti personali e che, anzi, questi ultimi non erano affatto andati smarriti: li aveva semplicemente presi lui, riportandoli in camera sua.
   Se Pucca avesse potuto esprimersi a parole, gli avrebbe posto questa semplicissima domanda: Perché? Perché Garu non voleva che lei gettasse via le sue foto, se aveva intenzione rompere ogni rapporto con lei? Il tarlo del dubbio si insinuò nella mente della ragazza: forse, allora, con quei lillà viola lui voleva comunicarle il suo amore appena nato? Oppure, com’era più logico supporre, Garu non aveva assolutamente fatto caso al tipo di fiore che le aveva donato, perché poco propenso a curarsi di questo genere di faccende. Non sarebbe stato difficile da credere. Poteva perdonarlo. A patto che lui, ovviamente, perdonasse lei. E dal momento che l’aveva appena tratta d’impaccio, sia pur momentaneamente, da una situazione tutt’altro che semplice, era ormai palese che ogni dissapore, fra loro, fosse svanito nel nulla.
   Rimaneva, tuttavia, un’altra questione in sospeso.
   Indicando se stesso e la fanciulla, ridotti in condizioni pietose a causa della fuga rocambolesca in cui si erano cimentati pochi minuti prima, Garu si alzò in piedi e le fece cenno di seguirlo. Pucca non obiettò, affiancandosi silenziosamente a lui verso quella che, la conosceva come le sue tasche, era la strada più breve che li avrebbe portati alla foresta di bambù. Era proprio lì che tutto era cominciato circa ventiquattr’ore prima e, forse, sarebbe stato lì che ogni cosa sarebbe stata chiarita.
   Certo ormai la luna non era più piena e probabilmente non ci sarebbero state più le lucciole e i grilli, ma andava bene lo stesso. Fu questo che pensarono entrambi quando, dopo una doccia rigeneratrice, si accomodarono insieme sotto al porticato per godersi la brezza della sera. E in effetti non colsero alcun bagliore sulla superficie della polla d’acqua, ma il sottofondo dei grilli c’era ancora, rompendo il silenzio del posto, così ben riparato e intimo. Garu lo amava per questo, perché poteva respirare l’aria pura del verde che lo circondava e rilassarsi grazie alla serenità che quel suo piccolo eden personale riusciva a trasmettere al suo animo.
   Mio sbadigliò pigramente, lasciandosi andare al suo caratteristico verso ovattato, lo stesso con cui dimostrava affetto al suo padroncino. Questi chinò lo sguardo su di lui e prese a grattargli il pelo scuro al di sotto del musetto, pensando che quello che stava vivendo era il miglior momento della sua vita, con Mio acciambellato in grembo e Pucca avviticchiata al suo braccio, intenta anche lei a fargli le fusa. A ben guardare, non c’era poi molto altro da chiarire, fra loro. Garu non era un campione di romanticismo e poiché né il voto del silenzio né la timidezza potevano aiutarlo granché ad esprimere a dovere quel che provava, aveva lasciato che Pucca lo capisse da sola. Non le era stato difficile, questo era certo, anche perché quando i loro occhi si erano incrociati al chiaro di luna come la sera precedente, era stato lui stesso a farle cenno di sedergli accanto. Questa volta, comunque, s’era ben guardato dal farsi guidare dall’istinto, limitandosi a crogiolarsi nel calore della sua vicinanza, senza pretendere contatti diversi da quello di un abbraccio.
   Andava bene così ad entrambi. Un passo alla volta, e forse un giorno sarebbero riusciti a vivere la loro storia d’amore come una vera coppia.












E questo è quanto. Ho aggiornato con un giorno di anticipo, ma va bene così. Spero di non essere andata troppo OOC con i personaggi, ma ho pensato che, passando gli anni, qualcosina potesse essere cambiata, magari con un Garu un po' più morbido e una Pucca un po' meno spensierata a causa degli ormoni. :°D
Mi è dispiaciuto non aver inserito Ching, ma non avevo un ruolo vero e proprio da darle e non mi andava di inserirla così, giusto per: avrei solo allungato inutilmente il brodo, senza una valida motivazione.
Ad essere onesta, non mi sembra di essere affatto portata per le storie troppo romantiche (e si vede), ma ho voluto provarci comunque. Penso che d'ora in avanti, se dovessi scrivere altre storie sul fandom, saranno tutte piuttosto idiote come la shot che ho postato ieri. Sono la mia specialità, non riesco a creare fanfiction troppo serie, anzi.
Comunque sia, nonostante tutte le imperfezioni, mi auguro che questa breve long sia piaciuta a qualcuno.
Buon fine settimana a tutti,
Shainareth





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