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di JessL_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno - Casa. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due - Party? ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre - Bella ragazza... ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno - Casa. ***


Introduzione

La storia è ambientata ai giorni d’oggi, il tutto si svolge a Forks. Tutti i nostri protagonisti sono umani, e come ogni vita umana, avvengono cambiamenti. Bella ne ha fatti tanti nei suoi diciassette anni di vita e ora vuole solo stabilità, e ricominciare.

 

Spero che la storia possa interessarvi.

JessikinaCullen, ora Jaste.



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Prologo.

 

Avete voglia di ascoltare una storia? Allora mettetevi comodi, ne ho una giusta giusta per voi.

C’era una bambina che faceva amicizia facilmente, e voi direte: “Qual è la novità?” Nessuna, tranne per il fatto che questa bambina era come una calamita per gli altri suoi coetanei. Tutto quello che diceva, era come oro colato. E crescendo le cose non cambiarono.

Conoscente di tanti, amici di pochi. In realtà di nessuno.

Questa bambina, che per comodità chiameremo... Nella, cambiava casa piuttosto spesso.

I suoi genitori si erano separati da una vita, lei a malapena riusciva a dire “mamma” e “papà” in modo corretto, quindi non ne risentì. L’unica cosa che le mancava, man mano che cresceva, era la stabilità. Un porto sicuro. Un angolo di Paradiso.

Era sempre la nuova arrivata, cambiava anche un paio di scuole l’anno, se la madre non riusciva a trovare il suo porto sicuro, momentaneo, ovviamente.

 

La vita andava avanti, la bambina cresceva, il numero delle scuole e le persone conosciute sul suo cammino aumentavano ma Nella non si è mai abbattuta, ha continuato ad andare avanti a testa alta e con il sorriso in bella vista. Perché per lei, fino all’età di dodici anni, era tutto un gioco. Si definiva quasi fortunata per aver visto così tanti posti in pochi anni e aver conosciuto tanta gente e bambini con cui poter giocare.

Quindi ora, la domanda è: che cos’è scattato nella sua testa, all’età di dodici anni?

Tutto.

È risaputo che l’adolescenza sia il periodo peggiore, e che cosa potrebbe aiutare se non la stabilità? Nulla. Infatti, Nella, era stufa. Voleva mettere radici, non ce la faceva più a farsi nuovi amici, ad affezionarsi e poi andarsene. Voleva iniziare e finire la scuola nello stesso posto. Voleva andare al ballo studentesco con un ragazzo che gli piacesse, ma non ce n’era mai stata occasione, e non perché fosse brutta, ma semplicemente perché dopo nemmeno sei mesi che frequenti quella scuola, per quanto tu possa essere conosciuta, nessuno t’invita. O almeno... non quando sanno che sarebbe un addio. Per lei i balli scolastici significavano quello. Quindi non ci andava, s’inventava qualche malanno e se ne stava tra le mura di casa. O almeno, per la casa in cui abitava al momento.

 

Spero di non avervi annoiati, perché la parte migliore inizia adesso...

Immaginatevi una Nella diciassettenne, nella sua stanza anonima – con qualche scatolone ancora pieno ma disimballato – mentre ascolta della musica sul suo letto, disegnando su un blocco. Immaginatevi la madre che entra nella sua camera, imbufalita.

<< Si può sapere perché non sei andata a scuola? >> Alzare gli occhi dal foglio era inevitabile, soprattutto se non si voleva aggravare ancora di più la situazione.

<< Che senso avrebbe avuto andarci? >> Nella osservava la madre sospirare e stropicciarsi i capelli. Sapeva benissimo che cosa significava quel gesto, eppure non si mosse, anzi, s’irrigidì.

<< Non sei mai contenta di niente! Ti faccio, per caso, mancare qualcosa? No! Hai un tetto sopra la testa... hai conosciuto un sacco di persone, visto posti favolosi, hai vissuto avventure fantastiche... eppure ti lamenti, perché?! >> Contare fino a dieci per non scoppiare sembrava una buona idea, ma la ragazza sapeva che se non voleva far scoppiare la terza guerra mondiale, non doveva stare in silenzio, avrebbe solo reso più nervosa la madre.

<< Sono stufa di questa vita. >> Mormorò, abbassando lo sguardo sul copriletto viola con i fiori. Iniziò a stropicciarsi le mani, come se quel gesto potesse calmarla. << Sono stufa di essere quella nuova, di essere l’attrazione da circo. Ho diciassette anni, e non ho mai vissuto per otto mesi nello stesso posto. >> Era certa che la madre l’avesse sentita, ed era altrettanto certa che non avrebbe ribattuto, non quando vedeva che la figlia parlava tranquillamente, senza alzare la voce o imporre qualcosa. << Sai qual è il mio nome? La ragazza con la valigia. E sai cosa ti dico? Che è ora che questa ragazza vada a conoscere suo padre. Sono stufa, stufa di tutto. >> Solo alla fine alzò gli occhi, e li sgranò quando vide che sua madre stava piangendo senza emettere un suono.

L’unica cosa che le chiese, dopo un paio di minuti in cui cercò di ricomporsi, fu:

<< Ne hai già parlato con lui? >> Già, perché imporre qualcosa a quella diciassettenne in piena crisi esistenziale... è molto meglio scendere a compromessi. Perché fare il genitore?

<< No. Ma lo chiamerò tra poco, e con i soldi che ho da parte, prenderò il primo volo verso Seattle. Ho bisogno di starti lontana, mamma. E tu hai bisogno di trovare il tuo posto nel mondo. >> Lo disse convinta, e purtroppo non abbastanza dispiaciuta. Perché era anche vero che non aveva mai vissuto col padre, ma era certa che si sarebbe trovata bene. Lo aveva visto ben poche volte nella sua vita (soprattutto quando era molto più piccola), più che altro perché era un po’ impossibile raggiungerlo, quando doveva fare lei l’adulta della situazione, ma sapeva per certo che sarebbe stato meglio del continuo ignoto che era vivere con la madre.

<< Va bene. Non te lo negherò. Ora sei abbastanza grande e sai benissimo cos’è meglio per te, ma ti prego... non chiudermi del tutto fuori dalla tua vita. >> La ragazza sorrise, e non per la vittoria, ma perché... si sentiva diversa, con fin troppo potere tra le mani. E poi, era anche lievemente divertita.

<< Non è mia intenzione chiuderti fuori. Ma tu, allora, prova a non cambiare numero di cellulare ogni due mesi, e magari potremmo sentirci. >> La madre distolse lo sguardo e annuì mentre si asciugava le lacrime.

<< Chiama tuo padre. Io... io vado a fare una doccia. >> Nella conosceva alla perfezione sua madre, e non disse nulla. Sua madre voleva versare lacrime amare sotto la doccia? Che lo facesse. Lei oramai aveva preso la sua decisione.

Quindi non tentennò quando compose il numero del padre, anzi, sorrideva mentre ascoltava i “tu” del telefono.

<< Pronto? >>

 

* * *

 

Pensate che la storia finisca qui? No. Questo era solo l’inizio.

Il mio nome è Isabella Swan. Sì, è stato bello adoperare un nome fittizio... ma ora mi trovo al Sea-Tac Airport. Seattle. Sto aspettando che mio padre si faccia vivo... o almeno che mi faccia un cenno, giusto per farmi capire che ci sia. Ribadisco, l’ho visto poche volte nella mia vita ma... dovrei riconoscerlo, no? Evidentemente no.

Sospiro e continuo a camminare guardandomi attorno, ed è allora, che lo vedo con un cartello in mano con su scritto “Isabella”. Sorrido e mi avvicino piuttosto velocemente, con tanto di trolley al seguito.

Quando Charlie mi vede, abbandona a terra il cartello e mi stringe a sé. Forte. Facendomi sentire al sicuro.

Lo percepisco annusarmi i capelli; mi allontana e mi guarda con un sorriso.

<< Benvenuta a casa, Bella. >>

 

 

Capitolo uno – Casa.

Home – Michael Bublé.

 

<< Sei sicuro che sia estate? A me pare pieno autunno! >> Esclamo non appena usciamo dall’aeroporto per raggiungere la macchina che ci porterà a casa.

Casa... mai suono mi è parso più melodioso.

Charlie ride e mi accarezza un braccio, purtroppo coperto solo da un leggero golfino.

<< Mi spiace dirtelo, Bella, ma sì... siamo in estate. Vedrai che ti abituerai. >> Sorrido continuando a seguirlo.

Razionalmente mi rendo conto che per me, questo signore dai capelli e baffi neri, sia un estraneo... ma vi è mai capitato di conoscere una persona e avere la sensazione di conoscerla da una vita? Ecco. È questa la sensazione che provo guardando mio padre; nonostante i suoi tratti somatici non mi siano famigliari, nonostante la sua voce sia completamente diversa da quella che ho sentito per tanti anni attraverso una cornetta.

Sinceramente? Lo immaginavo più alto, non so perché. Forse perché ho sempre immaginato che il fatto che io non sia una stangona, fosse a causa del cinquanta per centro del DNA di mia madre. Beh... sono tutte e due non proprio alti.

Oddio, Charlie a un metro e settanta mi pare ci arrivi... però me lo immaginavo più alto. E meno muscoloso. Non so perché me lo immaginassi rachitico, pelato, senza baffi e alto. E non voglio nemmeno sapere perché.

 

<< Anche le case sono verdi, da queste parti? >> Chiedo ammaliata, praticamente schiacciata al finestrino. Charlie cerca di trattenere una risata, e lo apprezzo.

<< No, almeno le case, per fortuna, no. Comunque siamo quasi arrivati. E sono certo che vorrai scappare. >> Lo dice con fare divertito, ma il terrore nella sua voce mi è piuttosto evidente. Lo guardo attentamente, e non lo so, probabilmente sentendosi osservato, volta il capo nella mia direzione per un attimo.

<< Non dovresti pensarlo. Voglio dire... non sono qui per il posto. Sono qui per te. >>

<< Lo so, ma hai visto così tanti bei posti... >> Scrolla le spalle e io vorrei potergli dire qualcosa per confortarlo.

<< È vero, ho visto e vissuto in un sacco di bei posti. Ma nessuno di quelli l’ho mai sentita come casa mia. >> Charlie annuisce ma non commenta, e io torno ad osservare fuori dal finestrino. E non perché non voglia guardarlo, ma perché devo dire una cosa.

<< Non ti ho ancora ringraziato per aver accettato di ospitarmi. Lo so, sono tua figlia e diciamo che da una parte sei stato obbligato a dire di sì ma... >>

<< Non dire sciocchezze! >> M’interrompe con tono serio, facendomi voltare, e non pensare più al fatto che non sono abituata a dire “grazie”.

<< È vero, sei mia figlia, ma è anche vero che avrei potuto dirti di no, se non m’interessasse di te. So così poco della tua vita, e mi dispiace. Anche perché... se non si faceva sentire tua madre, per me era impossibile contattarti. >> Annuisco sovrappensiero.

<< Cambia numero ogni due mesi, capisco cosa intendi. >> Charlie sorride mostrandomi lievemente i suoi denti e ridacchio portandomi una mano di fronte alla bocca.

<< Mi spieghi una cosa? Perché ti sei fatto crescere i baffi? >>

 

<< Mi casa es tu casa. >> Annuncia una volta chiusa la macchina. Io sono scesa non appena ha spento il motore, e tutto ciò per ammirare la villetta a due piani, molto anonima ma carina. Confortevole. Sa di casa. Sì, anche da fuori.

<< Lo spero. >> Sussurro non facendomi sentire.

Entriamo e mi fa fare un veloce giro, illustrandomi ogni zona, lasciando per ultima la mia stanza e io... io mi sento in dovere di ringraziarlo, sì, di nuovo, ma non lo faccio. E non solo perché non voglio sentirgli dire “ma figurati” o “di nulla”, ma semplicemente perché sono basita dal fatto di avere una MIA camera in questa casa... non me lo aspettavo.

<< È ancora spoglia e anonima ma... è la tua stanza. Magari prima che inizi la scuola potremmo andare a comprare qualcosa... anche solo il colore per rendere le mura più personali. >> Charlie si trova al centro della mia stanza, e non ha ancora smesso un attimo di parlare. E io? Io non ho fatto altro che osservarmi attorno.

È vero, è spoglia... praticamente c’è solo un letto – vecchio, è palese – è un armadio con sole due ante – vecchio anche quello – ma... il posto mi piace.

Con passo lento mi avvicino alla finestra, lasciando mio padre parlare di non so cosa o chi, e ammiro la villetta di fronte, la strada e il giardinetto dove c’è la macchina di Charlie.

<< Ehm... >> Mi volto velocemente, e osservo la figura di mio padre piuttosto impacciata.

<< Mi sono persa qualcosa, vero? >> Chiedo, intuendo che mi abbia fatto una domanda che non ho sentito, poiché non lo sto ascoltando da almeno cinque minuti.

<< Beh sì, ma non preoccuparti. Volevo solo sapere se eri stanca. >> Premure.

Non è che mi siano mancate nella mia vita, ma è bello che sia qualcuno oltre a mia madre a pensarci. Mi fa sentire importante. Anche se è molto probabile che Charlie lo faccia più per educazione, che per altro.

<< Non molto. Il viaggio è stato relativamente breve. >> Annuiamo entrambi e infine esclamo, convinta di farlo contento.

<< Però ho fame. >> Come immaginavo Charlie sorride.

<< Bene... allora ti porto a mangiare una pizza. >> Si avvicina alla porta, ma prima di chiuderla, permettendomi di stare da sola, aggiunge. << Spero che la gente di Forks non ti spaventi. Amano le novità... è che non ci sono abituati. >> Vorrei ridere, ma non lo faccio.

<< Non preoccuparti, sono abituata ad essere la novità. >> Charlie mi guarda per qualche scendo, abbandonando la spensieratezza di un attimo prima, e annuisce, per poi uscire.

 

Per quanto mi sembri strano, c’è ancora luce, nonostante siano le otto passate di sera.

Lo so, siamo a fine giugno, di conseguenza è normale che ci sia ancora luce ma... anche a Forks? Nonostante non faccia per niente caldo?

Ma queste povere persone hanno mai provato i trenta gradi sulla loro pelle? Con il sole che ti bacia il viso? Mi sa proprio di no. E mi spiace per loro. E per me... ma è un dettaglio.

Tutto ciò l’ho voluto io, e poi Charlie ha detto che farò in fretta ad abituarmi ai quindici gradi estivi. Lo spero, perché mi sento un po’ un alieno ad andare in giro con un golfino mentre tutti gli altri vanno tranquillamente in giro sbracciati.

<< Eccoci al Forks Diner. >> Esclama con un entusiasmo Charlie, io mi sporgo verso il parabrezza e osservo il piccolo ristorante tutto ben illuminato da cui proviene un sottofondo di musica, parole e risate. Sembra carino.

<< Lo so, non è il Four Season. >> Lo guardo con gli occhi sgranati.

<< Non sono mai stata in uno di quegli hotel. E comunque... non sembra male. >> Gli sorrido e lo vedo calmarsi, quasi come se fosse del tutto terrorizzato che io possa mettermi a fare i capricci per qualcosa che non mi piace.

<< Bene... allora... >> Scende dall’auto, e divertita faccio altrettanto per poi entrare dentro al locale con lui, mentre parliamo e ridacchiamo per qualche stupidata detta da me.

<< Ehi, tesoro! >> Una donna con i capelli lunghi e neri, pelle indiana e un sorriso contagioso, ci raggiunge – interrompendoci – e sfiora un braccio di mio padre.

È come se ci avesse fatto un agguato, ci ha concesso giusto due passi dentro il locale per poi afferrarci e spero non azzannarci.

<< Sue! Ti presento Bella. >> Sorrido cordiale e la signora – con due grandi occhi neri – mi guarda affascinata. E pensare che mi sarei immaginata una radiografia, invece lei continua imperterrita a guardarmi negli occhi. È per caso una strega e mi sta facendo qualche strana maledizione? Dio, spero di no!

<< È un piacere conoscerti... non vedevamo l’ora che arrivassi. >> Già. Sono la novità.

<< Mi fa piacere. >> Guardo mio padre e noto che è in imbarazzo. << Oh! >> Esclamo non appena comprendo la situazione. << Quindi voi... non ti ho cacciata di casa, vero? >> Sue ridacchia.

<< No, no tranquilla. Non abitiamo assieme. Ho anch’io dei figli e uno è poco più piccolo di te. >> Annuisco e non so più che cosa dire.

<< Va beh, vi lascio alla vostra cena. Ci sentiamo dopo. >> Gli accarezza il braccio e scompare dopo avermi sorriso.

Io e mio padre ci guardiamo imbarazzati, e dopo qualche secondo, Charlie, decide di smetterla e ci andiamo ad accomodare. Altre persone lo salutano ma fanno finta di non vedermi. La cosa non mi pesa, ma mi sembra strano.

Ho il presentimento che Charlie abbia detto loro di andarci piano con me.

<< La conosco da una vita. >> Esclama nascondendosi dietro il menù. Io lo guardo incuriosita e non penso al cibo. << Era sposata con un mio amico ma lui è mancato e... e ci siamo avvicinati. Sono tre anni che ci frequentiamo. >> Conclude così e io continuo a rivedere gli occhi scuri ed entusiasti di Sue mentre mi “esaminava”.

<< Beh, se sei contento... sono contenta anch’io. >> Solo allora, si decide ad abbassare il menù e sorridermi.

<< Dai, guarda che cosa vuoi mangiare. >> Mi sprona e io torno a preoccuparmi della cena.

 

<< Charlie! Strano trovarti qui. >> Alzo il viso dalla mia succulenta pizza e osservo il signore biondo, ben vestito e con gli occhi verdi che è accanto al nostro tavolo.

È il primo che si avvicina così apertamente, senza dire solo “ciao”.

<< Strano? Carlisle, ci vengo quasi tutte le sere. >> Ridono e io aggrotto la fronte, appuntandomi mentalmente di dovermi occupare dei pasti a casa.

<< Bella, ti presento il Dottor Cullen. Carlisle, lei è mia figlia. >> Mi pulisco le mani e ne stringo una delle sue.

<< In queste ultime due settimane, Charlie, non ha fatto altro che parlare di te. Quindi... è come se tutti ti conoscessimo già. >>

<< Davvero? >> Charlie si gratta la testa imbarazzato e io ridacchio, facendolo anche arrossire.

<< Papà, dove sei finito? >> Carlisle si volta, e non posso impedire al mio corpo di fare altrettanto. E non posso nemmeno impedire ai miei occhi di ammirare il bel ragazzo che ci sta affiancando. Era ovvio che il figlio di quest’uomo non potesse essere brutto.

Il ragazzo mi sorride appena, però non allontana lo sguardo dal mio.

<< Edward. >> Mi porge la mano, e automaticamente – come se fosse sprovvista di un cervello – gliela stringo e mi presento.

<< Sì... direi che è ora di andare. Ci vediamo domani, Charlie. Bella. >> Salutiamo e infine rimaniamo da soli.

<< Hai presente la casa di fronte alla nostra? È la loro. Sono i nostri vicini. Adesso che ci penso... Edward ha la tua età. >> Non faccio domande ma annuisco. E purtroppo continuo a pensare a quegli occhi verdi che sembravano avermi trapassata.

 

<< È cambiata Forks? >> Alzo gli occhi al cielo e mi accomodo meglio sullo sdraio che ho posizionato nel cortile di casa mentre parlo con mia madre. Mi rigiro tra le dita una sigaretta, indecisa se accenderla o meno. Non ho idea di che cosa pensi Charlie sul fumo.

<< Non lo so. Nel caso te ne fossi resa conto, è come se fosse la prima volta che vengo qui. >> Non l’ho detto per accusarla di qualcosa, è solamente la verità.

<< Colpo basso, Bella. Colpo basso... ma hai ragione. È ancora tutto verde e non sanno che cos’è l’estate? >> Scoppio a ridere.

<< Sì, è proprio così. Ti rendi conto che siamo a fine giugno e ho addosso un golfino mentre sono spaparanzata in cortile? È allucinante. Non sono abituata. >>

<< Vedrai che ti troverai bene. >> Sussurra dopo qualche secondo di silenzio.

<< Lo spero. Sai... è strano. Non essere qui, in una città nuova... bensì... tutti sapevano che stavo arrivando, al contrario degli altri trasferimenti che abbiamo fatto, quindi... tutti sanno chi sono, conoscono mio padre... >>

<< Hai paura di essere giudicata a causa mia? Del mio trascorso lì? >>

<< No. Non lo so. Domani andrò a trovare i nonni e spero mi riconoscano. >>

<< Oh per carità! Figlia mia, ma non ti ho inculcato un po’ di sopravvivenza in quella testolina piena di capelli? >> Scoppio a ridere e smetto solo quando vedo Edward, il ragazzo del ristorante, il figlio del dottore, uscire da casa e avvicinarsi al marciapiede che separa le nostre case. Rimane lì fermo, mi guarda e si gira – come me – una sigaretta tra le mani.

<< Bella? Bella? >>

<< Sì, mamma, scusa. >>

<< Che succede? >> Chiede incuriosita.

<< Nulla. Mamma, che cosa ne pensa Charlie del fumo? >>

<< Beh... quando eravamo giovani, ci fumavamo qualche spinello... ma tuo padre adesso è un poliziotto, quindi non so che cosa ne pensi. >> Cerco di non ridere.

<< Parlavo delle sigarette. >>

<< Ah! >> Scoppia a ridere. << Non lo so. Non abbiamo mai fumato, e tu... tu non dovresti iniziare. >> Cerca di dirlo seriamente, come se non fosse a conoscenza delle mie due o tre sigarette giornaliere.

<< Come vuoi. Devo andare. Ho bisogno di una doccia e poi di una bella dormita. >>

<< Va bene, tesoro. Ci sentiamo domani. >>

Attacco e torno ad osservare il mio vicino di casa. Si è alzato e si sta avvicinando a casa mia; m’irrigidisco e infine decido di alzarmi per andargli incontro.

<< Ciao. >>

<< Ciao. >> Rispondo, cercando di sembrare tranquilla.

<< Hai da accendere? >> Mi mostra la sigaretta e io sorrido divertita. E io che mi ero fatta chissà quali viaggi mentali.

<< Certo, tieni. >> Gli porgo l’accendino e una volta che ha finito, faccio altrettanto, decidendomi a fumare la seconda sigaretta della giornata.

<< Come mai fuori a quest’ora? Pensavo che Charlie ti avrebbe mandata subito a letto dopo aver cenato fuori. >> Non so se lo dica per prendermi in giro o perché, magari, qualche volta mio padre si è preso cura di lui quando ero piccolo e faceva in quel modo.

<< Non credo m’imporrebbe qualcosa. Non ci conosciamo così bene. >> Annuisce espirando il fumo. Mi guarda e sembra avere duemila domande per me.

<< Come mai hai deciso di passare l’estate qua? Noi del posto cerchiamo sempre un modo per evadere, e tu invece vieni a rifugiarti qui? >>

<< Rifugiare. Già, mi sto rifugiando qui. >> Soppesa le mie parole ma non ha il tempo di ribattere perché un clacson ci fa voltare.

<< Edward, sali! Siamo in ritardo, e non ho voglia di litigare con Rose a causa tua. >> La voce di una ragazza ci arriva fin troppo nitidamente, nonostante – almeno io – non riesca a vederla alla guida.

Edward alza gli occhi al cielo e mi guarda dispiaciuto. << Devo andare. >> Annuisco e lui fa un paio di passi, butta la sigaretta e infine si rivolta verso di me. << Per caso ti va di venire? >> Sembra quasi sincero ma io...

<< Sono stanca per il viaggio. Ma grazie per l’invito, magari sarà per la prossima volta. >>

Annuisce nuovamente per poi entrare in auto e andarsene.

 

Sono le cinque del mattino, e sono sveglia. Non è una cosa normale, vero?

Voglio dire... mi sono svegliata presto, ho litigato con mia madre per tutto il giorno perché cercava di dissuadermi a partire, poi mi sono fatta due ore di volo, ho “conosciuto” mio padre e Forks e ora... ora sono ancora sveglia. Nel mio nuovo letto, coperta fino al naso ma con la finestra aperta. Guardo il cielo plumbeo e ammiro le poche stelle che sono scappate dalle nuvole, almeno finché il suono delle risate non arriva fino a me.

Lentamente mi alzo e nascondendomi con la tenda, osservo Edward – ubriaco – scendere dalla macchina della stessa ragazza di prima. Si scambiano ancora qualche parola e dal rumore delle voci, capisco che l’abitacolo contiene almeno quattro persone. Barcollante torna verso casa per poi entrare. Osservando lui, non ho visto la macchina sfrecciare via.

Torno a letto e guardando il soffitto... riesco finalmente a prendere sonno.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due - Party? ***



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Capitolo due – Party?

Calvin Harris feat. Example - We'll Be Coming Back

 

 

 

<< Sono assorbenti. >> Mi volto, staccando lo sguardo dal misero scaffale dove ci sono, appunto, gli assorbenti. Accanto a me, con aria divertita, c’è una biondona boccolosa, alta e con due occhi azzurrissimi.

<< La demente ringrazia. >> Le rispondo facendola ridere.

<< Te l’ho detto perché saranno almeno un paio di minuti che li guardavi come se si trattasse di Satana in persona. >> Nonostante tutto, mi strappa un sorriso. La fronteggio meglio, incrociando le braccia al petto.

<< È che… non c’è molta scelta da queste parti. >> La bionda mi guarda come se avessi detto una cosa ovvia, cosa poi vera.

<< Benvenuta a Forks! >> Alzo gli occhi al cielo e faccio ricadere le braccia accanto ai fianchi e afferro la prima scatola di assorbenti che mi passa di fronte agli occhi.

<< Sono stufa di sentirmelo dire... non potevate... che ne so, fare uno striscione? Almeno me lo dicevate una volta sola e io non avrei dovuto sentirmelo dire finché muoio. >>

Incontro il suo sguardo e... beh ho esagerato. << Straparlo quando sono nervosa. >>

Afferro il mio acquisto dal cestino e lo sventolo. << Sono nella fase pre mestruo. >> Le spiego facendola ridacchiare.

<< Senti, Bella, quanti giorni sono che oramai sei qui? Tre, quattro? >> Annuisco, senza stupirmi del fatto che sappia il mio nome. Oramai ci sono abituata, proprio come al “caldo”. Infatti oggi sono con una semplicissima camicetta con sotto una canotta e non sto morendo di freddo. Faccio progressi.

<< So io di che cos’hai bisogno. >> Alzo un sopracciglio ma aspetto che prosegui.

<< Hai quanti? Diciassette anni? Sei in un posto nuovo... devi fare conoscenze, e dove pensi di poterle fare? Al supermaket? No. Stasera c’è una festa... e tu verrai con me. >> Ridacchio e cerco di essere educata.

<< Grazie per... l’interessamento ma perché dovrei andare a una festa con una persona che non conosco e che ha attaccato bottone nella corsia degli assorbenti? >> Lei ride nuovamente e si sposta il ciuffo da davanti agli occhi.

<< Ottima osservazione. >> Mi porge la mano. << Rosalie Hale. >> Gliela stringo e dai suoi occhi, noto sorpresa. << Tu, davvero, non sai chi io sia. >> Scrollo le spalle con un’espressione di ovvietà.

<< Rammenti? Sono arrivata quattro giorni fa. >>

<< Sì, lo so, ma pensavo ti avessero parlato di me. >> Sembra davvero stupita.

<< E chi me lo avrebbe dovuto dire? Il cassiere? >> Dico indicandolo di sfuggita. Rosalie fa una smorfia con la bocca e si sposta i capelli con fare nervoso.

<< Hai ragione. Comunque... stasera non puoi mancare. >> Si allontana di qualche passo.

<< Ci vediamo alle dieci fuori da casa tua. Tanto devo andare a prendere Edward, quindi non mi sei di nessun disturbo. E poi... non puoi mancare! >> Non mi da il tempo di dire “a” che è già in un’altra corsia, e poiché non ho affatto voglia di rincorrerla, alzo le spalle e mi dirigo alla cassa.

 

Sarà qualche minuto che osservo mio padre, seduto al tavolo della cucina, che pulisce la sua pistola. E non lo sto guardando perché sta facendo qualcosa d’interessante – anzi – è che... durante la cena non mi andava d’intraprendere il discorso, ma penso proprio di doverlo fare. Anche perché tra un’ora mi vengono a prendere – sempre se Rosalie non decide di darmi buca.

<< Papà? Chi è Rosalie Hale? >> Gli chiedo, allontanandomi dal bancone accanto al lavandino per sedermi di fronte a lui. Charlie alza lo sguardo e in faccia sembra aver scritto “davvero non lo sai?”

<< È... è la figlia del sindaco. >> Sgrano gli occhi.

<< Forks ha un sindaco? >> Scoppia a ridere.

<< Beh... sì. E Rosalie è una delle sue figlie. >> I miei occhi sono sempre più sgranati.

<< Non si è fermato a fare quella perfezione? >> Charlie sorride riabbassando gli occhi sulla sua arma. Certo, prendiamo in giro la scema del villaggio.

<< Ne ha fatti due in una botta sola. Oltre a lei c’è Jasper. Sono gemelli. >> Stringo gli occhi per non alzarli verso il soffitto.

<< Lo avevo capito quando hai detto che ne ha fatti due in una botta sola. >> Mi alzo e appoggio una mano sul tavolo, maledicendomi per la mia indecisione. << Se stasera uscissi... sarebbe un problema? È probabile che faccia tardi. >> Charlie rialza lo sguardo e scuote il capo, bloccando ogni altro movimento.

<< Non è un problema. Con chi esci? >>

<< Con Rosalie. L’ho conosciuta oggi al supermercato. >>

<< E non si è vantata di essere la figlia del sindaco? Strano. >> Aggrotto la fronte.

<< Allora? >> Sbatte le palpebre sopraffatto e si accascia sulla sedia.

<< Dovrai pur farti degli amici, e di certo non accadrà se continui a stare chiusa in casa con me. Non sono abitato a fare il padre, e noi non abbiamo parlato di regole. L’unica cosa che ti chiedo è di non farti di niente. Non accetto droghe in questa casa. >> Annuisco e con un sorriso vado a prepararmi.

 

Se mi mettessi al bordo del marciapiede mi prenderebbero per una prostituta?

Da queste parti almeno sanno che cosa sono? Scuoto il capo e rido per la mia stessa battuta e mi avvicino al bordo della strada. Mi siedo – cercando di non sporcarmi e di non rompermi l’osso del collo con i tacchi che indosso. Ok, non sono molto alti, ma sono pur sempre tacchi.

Non appena mi siedo, la porta di fronte casa mia si apre ed esce Edward.

Mi piace come si veste, non che indossi qualcosa di troppo particolare, ma vederlo con dei jeans è una camicia... è un bel vedere.

Mi nota subito e sorride scuotendo il capo. Mi affianca con poche lunghe falcate.

Mi si sede accanto e continua a scuotere la testa.

<< Non pensavo che ce l’avrebbe veramente fatta. >> Aggrotto la fronte.

Questo sarebbe il suo “ciao”?

<< Chi? A fare cosa? >> Edward ridacchia e appoggia le braccia sulle sue ginocchia.

<< Rosalie. A convincerti. >> Scrollo le spalle.

<< Non è che mi abbia dato tanta scelta... >> Ammetto rimanendo divertita.

<< Sì, conoscendola, posso immaginarlo. Comunque non passa lei a prenderci. Andiamo con la mia macchina. Spero non sia un problema, per te. >>

<< Beh... non lo so. Voglio dire... sarei dovuta comunque salire in macchina con qualcuno che non conosco... >> Edward si alza.

<< Sai, Bella... mi piaci. Hai sempre la battuta pronta. Lo apprezzo. >> Sorrido imbarazzata e accetto il suo aiuto ad alzarmi quando mi porge la mano.

Ha le mani fresche, io le ho sempre calde.

<< Pensavo ci avresti messo più tempo ad abituarti alla nostra temperatura. >> Ammette, guardandomi di sfuggita le gambe nude – poiché indosso dei pantaloncini – una volta che siamo entrambi seduti in auto.

<< Ho preferito lasciare il pigiama di flanella a casa, sai... stiamo pur sempre andando a una festa. Non mi sembrava il caso di farmi etichettare come “quella che è abituata ai trenta gradi”. >> Edward ride e si mette in strada.

 

Il pensiero che non mi ha abbandonato per tutta la sera, è stato solo uno: la ragazza con la valigia ha colpito ancora. E non in senso che si è fatta tutti i ragazzi presenti – figuriamoci se la do al primo che capita – semplicemente ho fatto “amicizia” facilmente. Mi sono integrata bene e per quanto mi spiaccia un po’ dirlo, devo ringraziare Edward. Mi ha subito fatto capire chi era meglio lasciar perdere e con chi, invece, mi sarei fatta quattro risate. E così è stato. Certo, probabilmente devo anche ringraziare gli alcolici che da queste parti girano più facilmente delle caramelle, ma di certo non mi lamento.

L’unica “pecca”, se così si può dire, è stata Rosalie... non mi ha abbandonato un attimo, nemmeno avesse paura che scappassi... ma devo ammettere che dopo tre bicchiere è diventata sopportabile.

<< Non è strano cambiare casa così spesso? >> Mi chiede Alice – la ragazza che era venuta a prendere Edward qualche giorno prima. Annuisco dopo aver bevuto un altro sorso.

<< Sì, ma dopo un po’ ti abitui, l’importante è non scordarsi l’unica regola che ho. >> Aggrotta la fronte, aspetta che io prosegua e si riempie nuovamente il bicchiere.

<< Non farsi prendere dai sentimenti. >> Mormoro senza guardarla.

<< Ma è una cosa triste. >> Sussurra appoggiandosi – o sarebbe meglio dire sdraiandosi – sul bancone della megagalattica cucina di Rosalie.

Nonostante mi trovi a Forks, devo ammettere che nessuno da queste parti sta male a soldi e le loro case – soprattutto questa – lo dimostrano pienamente.

<< Può essere. >> Le rispondo. << Ma almeno non soffro. >> Annuisce, come se potesse capirlo e infine mi sorride.

<< Beh, ora sei qui... e sono dell’idea che tu debba divertirti. Vieni, raggiungiamo Edward e Jasper. >> Quest’ultimo, ho scoperto una mezzoretta prima, che è il ragazzo di Alice. A vederli sembrano la strana coppia... voglio dire: lei bassa, lui alto, entrambi magri, lei mora, lui biondo, lui occhi azzurri, lei occhi verdi... lei fin troppo esuberante ma simpatica, lui sarcastico e un po’ timido... però devo ammettere che in realtà non stanno male insieme, anzi. E forse un po’ l’invidio. Si conoscono da una vita, oramai stanno insieme da tre anni e sono indivisibili. Sì, decisamente sono un po’ invidiosa.

 

<< Lo vedi quel ragazzo? >> Rosalie – persino più ubriaca di me – mi segna senza ritegno un ragazzone alto quanto un armadio, con i capelli neri. È di spalle, quindi non lo vedo un granché, però le annuisco e non stacco gli occhi da quel ragazzo.

<< È lui il ragazzo che sposerò. >> La guardo con gli occhi sgranati e nella mia mente mi affollano duemila domande, soprattutto dopo che noto il sorriso sulle sue labbra.

<< Nel senso che i vostri genitori vi hanno fatto firmare una sottospecie di contratto? >> Rosalie mi guarda stranita e infine scoppia a ridere, io cerco di sorridere ma in realtà sono quasi terrorizzata: funziona così a Forks? Siamo tornati al Medioevo?

<< No, sciocchina! È solo che... Emmett mi piace. E sono sicura che se lui mi guardasse anche solo per un attimo lo capirebbe. Capirebbe che siamo fatti l’uno per l’altro. >>

Ok, rettifico: ora sono terrorizzata.

<< Quanto tempo è che lo conosci? >> Il suo sorriso è destabilizzante. Sembra... scolpito.

<< Da sempre. Era il mio compagno di culla. >> Sorrido e annuisco, ma vorrei solo scappare. Torno a guardare l’armadio a doppia anta di Emmett e mi chiedo che cosa potrei fare. Non che io debba per forza fare qualcosa, ma prima o poi, Rosalie, potrebbe venire internata per questo suo... fantomatico sogno.

<< E lui non ti parla? >>

<< Non da quando mi sono cresciute le tette. >> Cerco di non ridere e ringrazio il cielo di vedere Edward che viene verso di noi, con una ragazza.

<< Edward... dovevi dirmi quella cosa, vero? >> Lui aggrotta la fronte ma poi guarda la mia accompagnatrice e si scusa con la rossa accanto a lui.

<< Sì ... vieni che te la spiego. >> Faccio un sorriso di scuse a Rosalie e mi allontano con lui. Non gli do il tempo di dire “a” che lo tiro il più lontano possibile.

<< Quella ragazza è da internare. >> Mormoro mentre ci facciamo spazio tra la gente. Edward scoppia a ridere e guarda Emmett.

<< Ti ha parlato di lui, vero? >> Annuisco frastornata.

<< Non farci caso. Si è fatta questa idea che sono anime gemelle ma Emmett... non la pensa così. La ritiene una persona superficiale, che si atteggia da diva perché il padre è il sindaco. >> Scrolla le spalle e io sbatto le palpebre ancora più confusa.

<< Cioè... lui dà del superficiale a lei, quando lui si comporta nella stessa maniera? >> Edward annuisce sorridendo, subito dopo si guarda indietro.

<< Non preoccuparti, vai. E grazie per il salvataggio. >> Mi guarda con riconoscenza e gli sorrido tranquilla per poi guardarmi attorno e riprendere a bere.

 

<< Sei tornata tardi ieri sera. >> Guardo un attimo mio padre e mi passo una mano tra i capelli che ho lasciato sciolti. Ho un mal di testa madornale, ma non posso di certo dirglielo, no? No, non mi pare il caso.

<< Ti avevo avvisato. >>

<< Sì , non è quello il punto. È che... non sono abituato. Tutto qui. >> Annuisco e non sapendo che cos’altro dirgli, mi riempio la terza tazza di caffè della mattinata.

<< Che cosa fai oggi? >> Scrollo le spalle e lo raggiungo al tavolo.

<< Non lo so. Sinceramente pensavo di poltrire o di andare in libreria. Ce n’è una in questo posto? >> Chiedo, immaginando già la risposta.

<< Stranamente sì. >> Sgrano gli occhi e lui sorride.

<< Davvero? >>

<< Scioccata, eh? >> Ridacchio annuendo. << Vuoi che ti lasci qualche soldo? >>

<< No, grazie. Uso i miei, non preoccuparti. >>

<< Sicura? Per me non è un problema darteli. >> Sorrido intenerita.

<< Grazie, ma finché avrò i miei... beh non voglio chiederti nulla. >> Annuisce e si alza.

<< Vado da Sue... è un problema per te? >>

<< Figurati. >> Lo guardo uscire da casa e non posso evitare di chiedermi se i rapporti con mio padre diventeranno più... famigliari.

 

Forse avevo sottovalutato questo posto. Ok, togliamo il “forse”. Da fuori sembrava più piccolo, meno fornito... non lo so, mi sembrava tutto tranne una libreria ma in realtà... ci si potrebbe perdere qua dentro. E io amo perdermi tra le corsie di una libreria.

C’è chi penserebbe che avendo vissuto duemila avventure in giro per l’America, io non abbia bisogno di rinchiudermi in un libro, sognare storie altrui ma... in un certo senso la storia degli altri... mi calma. E poi è bello sognare attraverso delle pagine scritte.

<< Swan, giusto? >> Alzo lo sguardo e incontro due fari azzurri.

Nella mia mente riecheggia il nome di Emmett, ma non sono certa sia lui, d’altronde alla festa non ci siamo parlati e l’ho visto solo di spalle. E che spalle!

<< Presente. >> Dico alzando a malapena la mano, nemmeno mi trovassi in classe. Il ragazzo sorride divertito e mostra due tenere fossette sulle guance.

<< Scusa, hai ragione... Isabella. >> Annuisco.

<< Tu sei? >>

<< Emmett McCarty, penso che Rosalie ti abbia parlato di me. Lo fa in continuazione. >> Aggrotta la fronte un po’ esasperato, e in parte lo capisco.

<< Mmmh... no, sinceramente non mi ha parlato di te. >> Lo guardo bene e non posso non ammettere che... beh, questo Emmett è tanta roba.

<< Strano. >> Sussurra non distogliendo lo sguardo dal mio.

<< Non volevo disturbarti ma... volevo invitarti a una festa in piscina, questa sera. A casa mia. >> Alzo un sopracciglio e lui alza le mani con fare innocente.

<< Non saremo soli, sarà una festa. >> Precisa, come se io ci avessi anche solo minimamente pensato.

<< Veramente il sopracciglio, se hai notato, si è alzato alla parola piscina. Vorresti veramente fare un party con questo freddo? >> Emmett ridacchia.

<< Questa è stata la settimana più calda dell’anno. Se fossi in te, non me la perderei. Questo è l’invito, c’è il mio numero e il mio indirizzo civico. >> Afferro il foglio che mi porge e mi mordo il labbro inferiore.

<< Quindi non ci stai provando con me... >> Non lo dico proprio delusa, ma... beh uno come lui non s’incontra mica tutti i giorni!

<< Vieni alla festa e lo scoprirai. >> Mi fa l’occhiolino ed esce dal negozio, lasciandomi esterrefatta e soprattutto con la bocca aperta.

Dannazione, Forks, non dovevi essere una sottospecie di porto sicuro e tranquillità perenne? Perché in questo posto non ci sono altro che bei ragazzi e feste?

 

 

**

Siamo arrivati alla fine anche di questo secondo capitolo, che potrebbe sembrare semplicemente di passaggio, ma non lo è. In queste pagine vediamo Bella che fa “amicizia”, soprattutto con suo padre, perché per quanto possa sembrare strano, alla fine non si conoscono e soprattutto; Bella, conosce qualche abitante di Forks e si stranisce che nonostante tutto si tratti di una cittadina piuttosto normale.

La domanda ora, è una sola: Bella, andrà a questa festa di Emmett?

JessikinaCullen ora Jaste.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre - Bella ragazza... ***


≈ Start over ≈
 
Capitolo tre – Bella ragazza…
Semisonic – Closing time
 
Fiori o tinta unita? Osservo i due modelli che ho in mano e cerco di decidermi, ma con scarso risultato, visto che in realtà non me ne piace nessuno dei due.
<< Bella? >> Mi volto e incontro gli occhi verdi di Alice, che mi guarda entusiasta e curiosa.
<< Hai saputo della festa in piscina? >> Sorrido scrollando le spalle e abbandono i due costumi sulla mensola del negozio.
<< Mi ha invitata Emmett, poco fa. >> Alice mi guarda un po’ sbigottita.
<< Emmett di Rosalie? >> Alzo un sopracciglio.
<< Ehm... sì. Anche se tecnicamente... Emmett non è proprietà di Rosalie. >>
Alice sospira chiudendo gli occhi. << Scusa se ho reagito così, è che... Rosalie diventa intrattabile quando vede un’altra ragazza con Emmett. Non che sia giustificata ma sono io, solitamente, a dovermela poi sorbire. >> Sorrido.
<< Sai, pensavo che Forks fosse un posto noioso. O almeno è così che lo descriveva mia madre. Invece... fate feste, ci sono ragazzi carini, avete una libreria enorme e delle case che sono una favola. >> Scuoto il capo, osservando il suo sorriso contagioso. << Mi avete stupita. E sappi che non è facile. >> Scoppia a ridere e mi sfiora un braccio.
<< Ci piace pensare che non abbiamo nulla in meno delle altre città. >> Annuisco.
<< Non è per farmi gli affari tuoi... >> Mi metto sull’attenti e lei si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. << Però se veramente ti piace Emmett... non farlo capire a Rosalie. Lo so che non te ne frega niente, e che più una cosa ti viene detta di non farla, poi la si vuole fare ma... non inimicartela. È solo un consiglio. >> Cerco di non ridere.
<< Alice... ho “parlato” con Emmett per due minuti, e solo della festa. Non nego che sia un bel ragazzo ma non significa niente. E poi non sono venuta qua a Forks per fare casini. >>
<< Ok. Mi fa piacere sentirtelo dire. Quindi ci vediamo stasera? >> Allude alla festa?
<< Se riesco a scegliere un costume... sì. >> Alice sorride.
<< Quello blu, là infondo... si abbina alla tua carnagione. >> Mi fa un occhiolino ed esce dal negozio, lasciandomi un po’ stordita.
 
<< Oddio! Scusami Bella! >> Mi volto verso la porta e vedo mio padre di spalle. Scoppio a ridere e mi porto i capelli indietro.
<< Papà, sono in costume, non nuda. >> Charlie sospira e si rivolta.
<< Non sono ancora abituato, scusami. >> Ridacchio e scuoto il capo.
<< Avevi bisogno di qualcosa? >>
<< Ha chiamato tua madre, ha detto che il prossimo weekend passerà di qua. Vuole stare un po’ con te. >> M’irrigidisco e il sorriso sparisce dal mio volto.
<< Qui? In città? >>
<< Ehm... veramente in questa casa. Ho pensato fosse la cosa migliore. >>
<< E dove dormirà? >> Forse sto esagerando.
Charlie si gratta la testa un po’ impanicato. << Non ci ho pensato. >>
<< E Sue? Lo sa? Glielo hai detto? Non penso sia una buona cosa che mamma rimanga in questa casa... ci sono già io che sono abbastanza disordinata. >> Charlie ridacchia e mi si avvicina, appoggiandomi le mani sulle spalle.
<< Bella, non devi preoccuparti, davvero. E Sue, no, ancora non lo sa. Ma sono certo che non farà storie. E poi tua madre mica si trasferisce qui! >> Scuote il capo, mi accarezza una guancia e infine va verso la porta. Ma all’ultimo si ferma aggrottando la fronte, guardandomi.
<< Pensi sia saggio che io sappia perché sei in costume? >> Mi mordo il labbro inferiore.
<< Effettivamente... penso tu non lo voglia sapere. >> Annuisce e torna giù.
Sorrido, pensando che avere un padre poliziotto così tanto transigente sia un bene. E sorrido ancora di più, perché ho un padre che è veramente perfetto.
 
Il suono di un clacson mi fa voltare e quando identifico la macchina, mi fermo e guardo divertita il guidatore.
<< Non ti hanno mai detto che non è saggio che una bella ragazza cammini di sera da sola? >> Sorrido. Bella ragazza...
<< Anche a Forks? >> Edward ride.
<< Soprattutto a Forks. >> Ci guardiamo per qualche attimo e infine Edward abbassa il volume del suo stereo. << Dove stai andando? >>
<< Probabilmente dove stai andando tu. >> Ammetto e lui mi guarda sorpreso.
<< Alla festa di Emmett? >> Annuisco e lui sblocca le portiere. << Allora sali in macchina. Non ti lascio andare a piedi. >>
<< Oh che carino! >> Dico in modo dolce facendolo ridere.
Mi accomodo al posto del passeggero e mi allaccio la cintura ma Edward non parte subito.
<< Ti ha invitata lui? >> Mi chiede incuriosito.
<< Perché sembrate tutti sorpresi? Sì, è stato lui ad invitarmi. E no, non ho intenzione di rubarlo a Rosalie... voglio solo passare una serata divertente. >>
<< No è che... Emmett non si smentisce mai. Quando vede una bella ragazza fa di tutto per accalappiarsela. >> Alzo un sopracciglio. Bella ragazza, di nuovo.
<< Cos’è, sei geloso? >> Edward ridacchia e inserisce la prima per poi partire.
<< No, è che mi sembra un morto di figa quando fa così. >> Rimango in silenzio per un secondo.
<< Disse colui che si è andato ad appartare con la prima ragazza che gli è capitata sotto gli occhi solo la sera prima... >> Edward incassa stringendo le labbra.
Il viaggio lo passiamo in silenzio, ma la cosa non mi pesa, anche se sono piuttosto irritata dal suo comportamento. Lui non è nessuno per poter giudicare, né tantomeno per farmi stare così. Come se poi gli importasse veramente qualcosa.
<< Non ci ho fatto niente con la ragazza di ieri sera. Oltre a non essere del posto – che in teoria era un punto a suo vantaggio – parlava decisamente troppo. L’ho lasciata perdere poco dopo che ti ho salvata da Rosalie. >> Siamo parcheggiati poco distanti dalla casa di Emmett. E non so perché Edward si sia voluto giustificare, sta di fatta che una parte di me lo ha apprezzato.
Edward si volta verso di me e sorride forzatamente.
<< Volevo solo metterti in guardia. Non ti conosco, ma non mi sembri una facile, né tantomeno una che si fa usare. >> Annuisco e infine slaccio la cintura.
<< Passa una buona serata. >> Rimane a bocca aperta, ma non mi ferma e non mi raggiunge. Non so perché io sia letteralmente scappata, ma lui non è nessuno per me. Come ha detto proprio lui stesso: non mi conosce. E non voglio che accada.
 
<< Ok... >> Mormoro per poi bere un sorso di un drink che mi ha preparato Alice poco prima. Penso sia il quarto che bevo. Grave. Prima o poi non riuscirò a trattenermi.
<< Hai presente quell’orsetto dei cartoni animati che ammira tutto il cibo in tavola e ha la bava alla bocca? >> Mi chiede, proprio Alice, incuriosendomi e soprattutto confondendomi.
<< Vagamente. >> Ammetto facendola ridacchiare.
<< Beh... più ti osservo... e più la tua bava diventa una sottospecie di lago ai tuoi piedi. >> Scoppio a ridere, finalmente capendo cosa intendesse e scuoto il capo guardandola.
<< Beh, non puoi negare che vedere tutti questi bei ragazzi in costume... praticamente nudi... non... ti faccia qualche effetto. >> Alice non mi risponde subito, più che altro perché si perde ad osservare il panorama fatto di pettorali ma poco dopo noto che si ferma su un solo ragazzo.
<< Già, non posso darti torto. >>
<< Ammirare il proprio ragazzo non è la stessa cosa. >> Le dico divertita, per poi fare un altro sorso dal mio bicchiere. Alice ridacchia e scuote il capo.
<< C’è Emmett che ti sta guardando. >> Fa un cenno con il capo, probabilmente rispondendo al suo saluto, e infine si allontana, lasciandomi lì, imbambolata, ad osservare i pettorali di Emmett che mi si avvicinano.
<< Allora, Isabella detta Bella, ti stai divertendo? >> Sorrido e appoggio il bicchiere sul tavolo che ho accanto. Osservo i suoi occhi azzurri e per un secondo mi chiedo perché io non possa provarci. Voglio dire... siamo ad una festa... Emmett è tanta roba.
E io sono brilla.
<< Beh... la musica è ok, i ragazzi sono più che appetibili e... e direi proprio di sì. >> Emmett mi sorride divertito.
<< Mi fa veramente piacere. Quindi hai visto tanti bei ragazzi? E come mai non balli con nessuno di loro? >> Che fa, provoca? Il tono che ha usato non era semplicemente curioso.
<< Ti stai proponendo? >> Emmett scoppia a ridere.
<< Dipende: mi risponderai di sì? >> Annuisco e lui, a quel punto, allunga una mano e io l’afferro facendomi portare tra tutte le altre persone.
Le sue mani si posano sui miei fianchi mentre le mie si perdono nell’aria mentre mi muovo. Non so come o perché ma poco dopo mi trovo a ridere con lui mentre facciamo dei passi veramente idioti.
Emmett è simpatico. Non è il pomposo superficiale che mi ero immaginata.
Non è solo di bell’aspetto.
<< Vieni con me... >> Lo sento a malapena, però mi faccio portare tranquilla, ancora divertita e con il ritmo della musica che rimbomba nelle orecchie.
Tiro un respiro di sollievo quando mi ritrovo fuori dalla villa, sul giardino, dove c’è la piscina. L’aria è fresca, ma dopo aver sudato e aver fatto fin troppo movimento, direi che non potevo desiderare di meglio.
L’unica cosa strana è che ci siano solo coppie...
Osservo Emmett e lo trovo spaesato mentre si gratta la testa.
<< No, non era quella la mia intenzione. >> Dice indicando una coppia che si sta controllando le tonsille in acqua. Ridacchio coprendomi la bocca e lui sorride rilassato.
<< Non preoccuparti. >> Annuisce e ci sediamo sull’erba, iniziando a parlare e a ridere, anche prendendo in giro le persone accanto a noi.
 
<< Bella, posso rubarti un attimo? >> Alzo la testa e incontro gli occhi di Alice. Guardo Emmett e infine annuisco, alzandomi.
Ci allontaniamo un po’ ma continuo a tenere d’occhio il mio nuovo amico.
<< Cosa succede? >> Le chiedo, facendole contorcere le mani.
<< Non pensare che io sia una persona succube o altro ma... >> Porto il mio sguardo su di lei e aggrotto la fronte e non posso non notare quanto la minuta Alice sia agitata.
<< Rosalie ha un diavolo per capello. >> Alzo gli occhi al cielo.
<< Mi sto solo divertendo! Non glielo sto rubando e poi... lei non è la sua ragazza! Se anche volessi fare qualcosa con lui, non dovrei di certo pensare a Rosalie. >>
<< Io lo so! >> Scrolla le spalle e scuote il capo facendomi sospirare.
Non so se sia dipeso dal mio caratteraccio o dall’alcool ma velocemente mi trovo ad afferrare Emmett che stava parlando con un ragazzo dove lo avevo lasciato e lo trascino fino a Rosalie.
Lei mi guarda con un punto interrogativo in faccia, diventa rossa e mi guarda male. Emmett continua a chiedermi che cosa voglio fare ma non rispondo a nessuno.
<< Non so che problemi abbiate voi. >> Dico rivolta ad entrambi. << Questa è una festa, io sono nuova, sto cercando di fare amicizia, di ambientarmi, e voi... voi siete un caso patologico! Soprattutto tu, Rosalie! Ora, parlate, e non mettetemi in mezzo. >> Detto questo, mi volto e nemmeno mi danno il tempo di fare due passi che mi scontro con Edward.
È ubriaco, i suoi occhi sono rossi e lucidi. Probabilmente ha anche fumato qualche canna, ma non riesco a dare un senso al suo sguardo. Non riesco per niente a capire come si senta.
<< Emmett, eh? >> Ammicca ma non sembra farlo sul serio, sembra fin troppo punto nel vivo. E la cosa mi lascia completamente spaesata.
<< Stavamo solo parlando. >> Mormoro, giustificandomi. Solo che io non gli devo nulla.
<< Già. Iniziano tutte così, per poi trovarsi nella sua stanza a fare del sesso scadente. >> Beve un sorso del drink che aveva in mano e io mi sento... una merda. Ma anche infuriata.
<< Che ne è stato del “non mi sembri una ragazza facile”? >> Edward ride.
<< No, no, infatti non lo sembri... però... Emmett! Perché lui? >> Lo guardo sbalordita.
<< Guarda, se volessi veramente darti corda, ti elencherei i perché una ragazza non potrebbe dirgli di no, ma visto che non ho nemmeno voglia di guardarti, visto che sei ubriaco perso e fuso come una campana, ti dico di andare a bere un po’ di caffè e di prendere una boccata d’aria. Lo dico per il tuo bene. >> Cerco di superarlo ma mi riacciuffa subito.
<< Non mi lasciare solo. >> Annuisco automaticamente. E solo una volta che ci ritroviamo sul balcone di una stanza al piano superiore, mi chiedo perché io abbia acconsentito a stare in sua compagnia.
Osservo Edward, seduto accanto a me su una sedia, mentre beve caffè e osserva il cielo e mi dico che l’ho fatto perché una parte di me lo voleva. Alla fine, questo ragazzo di cui non so niente... beh mi ha colpita. E non è un bene.
<< Ammettilo, >> Mi dice. << Mi stai facendo riprendere solo per portarti a casa. >> Ridacchio osservando il cielo sereno della notte.
<< No, sinceramente non è quello. Anche perché a questo punto, che tu lo voglia o no, guiderò io. >> Edward quasi si strozza con il caffè.
<< Non esiste. >> Lo fulmino con uno sguardo e lui si ritrae appena.
<< Esiste eccome. Non fiatare, bevi e stai zitto. >> Sorridendo, torna al suo caffè.
 
<< Alice, ciao! >>
<< Salve, signor Swan. Bella è in casa? >> Esco dalla cucina e mi paleso, facendo sorridere Alice. Aggrotto la fronte, confusa della sua presenza in casa mia.
<< Beh, io... vi lascio sole. >> Mio padre torna in salotto e io mi avvicino, uscendo poi con lei, e andando a sederci sulle sdraio in giardino.
<< Va tutto bene? >> Le chiedo, facendola subito annuire.
<< Sono passata per dirti che ieri, per la prima volta dopo tanti anni, Emmett e Rosalie hanno parlato. Ti assicuro che hai fatto un miracolo. >> Non so se ridere o se piangere.
<< Alice, io... non ho fatto nulla. Ieri sera, se devo essere sincera, ero quasi del tutto certa che avrei finito per baciare Emmett. Mi sono trovata bene a parlare con lui, è simpatico e di certo non si può dire che non sia bello. Però poi sei arrivata tu e qualcosa nella mia testa è scattato, non ho pensato. Sono molto... come dire, istintiva quando non sono lucida. Non l’ho fatto per... far accadere un miracolo. >> Alice mi ha ascoltata tranquilla e a fine discorso annuisce solamente.
<< Grazie per essere stata sincera. Quindi devo esserlo anch’io, perché... tu mi piaci, Bella. Mi piace stare in tua compagnia e quindi te lo devo. >> La guardo confusa e lei si guarda un attimo in giro.
<< Qualcuno, sinceramente non so chi, perché a me lo ha detto Jasper... ha visto te ed Edward appartarvi in una stanza. E non vi ha visti uscire per un po’ e ora... beh tutti pensano che siate andati a letto assieme. Non so se Edward lo sappia. >> Sgrano gli occhi.
<< Oddio! >> Mi alzo in piedi. << Ma dove viviamo? Non ho fatto niente con Edward, e potrà confermarlo anche lui. >>
<< Ti credo. Volevo solo dirti che girano delle voci. >> Annuisco ancora persa tra i miei pensieri. E i miei piedi, purtroppo, prendono a muoversi ancora prima che io me ne renda conto. E le mie orecchie, ovviamente, non sentono i richiami di Alice.
Ci metto nemmeno un minuto ad arrivare alla porta di casa del mio vicino. Continuo a bussare finché, grazie al cielo, non viene proprio lui ad aprire la porta.
<< Dicono che siamo andati a letto assieme. >> Esplodo subito, e solo ora noto che Edward sembra appena... beh sembra che si sia appena alzato dal letto con ancora i postumi della sbronza.
<< Dicono, chi? >> Scrollo le spalle.
<< Tutti, penso. Sappi che se farai circolare o ingrandire la cosa, ti stacco le palle. >> Edward sgrana gli occhi e mi osserva mentre me ne vado.
 
<< Bella? >> Alzo gli occhi dal mio piatto e osservo mio padre. Sembra... imbarazzato.
<< Dimmi, papà. >> Charlie si raschia la gola.
<< Oggi... mentre ero al supermercato, ho sentito una cosa. >> Alzo gli occhi al cielo e lui si stoppa, guardandomi stranito.
<< Hai sentito di me e di Edward o del miracolo che sembra io abbia fatto per Rosalie? >> Chiedo esasperata. Charlie sembra voler ridere.
<< Ehm... entrambe, in effetti. Lo so che non sei abituata ai paesini, e soprattutto ancora non conosci le persone del posto ma... dicono il vero? >> Mi accascio sulla sedia.
<< Di Rosalie ed Emmett, sì. Almeno così pare, in realtà non so nemmeno cos’abbiano fatto o se si siano rivolti la parola. Per quanto riguarda me e Edward, puoi stare tranquillo, non è successo niente. Stava male, e gli sono stata accanto, niente di più, niente di meno. >> Charlie annuisce e sobbalza quando suonano alla porta.
Guardandomi di sfuggita, con la fronte aggrottata, va ad aprire.
<< Charlie! >> Sgrano gli occhi. Oh no! Mia madre! Ma non doveva arrivare la prossima settimana?
 
**
E dopo mesi, eccomi nuovamente qui! Un capitolo, decisamente, troppo pieno di cose. Spero non abbiate fatto casino e che vi sia tutto chiaro.
La madre di Bella è arrivata in anticipo. Emmett è abbastanza marginale, ma non per molto, ed Edward... sta iniziando ad emergere... in più! Eh sì, in più, Alice... piano piano sta prendendo forma e soprattutto sta crescendo l’amicizia tra lei e Bella ;)
Allora... vi saluto, spero di sentirci presto. Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto.
Jess. Jaste.

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