Do not fall in love.

di Stay away_00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO. ***
Capitolo 2: *** Il gioco abbia inizio. ***
Capitolo 3: *** It's ok. ***



Capitolo 1
*** PROLOGO. ***


PROLOGO.

 C’erano diversi tipi di dolore da affrontare quel giorno;
Per Stefan Salvatore era il cuore spezzato, forse troppo in fretta, troppo velocemente. Una scelta presa da lui, quella di farsi del male, soltanto per assecondare le scelte della persona che amava.
Per Stefan era il dolore che procurava la consapevolezza che era stata colpa sua.
Mentre, per suo fratello, era diverso. Si parlava di un dolore più complicato da capire, e da descrivere. Era il dolore di chi non avrebbe più rivisto un sorriso che lo rendeva felice, il dolore di chi capisce di aver sprecato tutte le sue chance.
Il dolore di chi, contemporanemente alla donna che più desiderava aveva perso anche un fratello. Ma infondo, a quello era preparato già da moltissimo tempo. E al contrario di Stefan, Damon non piangeva, Damon non si arrabbiava. Damon agiva.
Damon si sfogava e a quel punto uccideva, ormai era assetato di sangue e di vendetta. Una vedetta che sapeva non avrebbe mai reclamato.
Per gli abitanti di Mystic Falls, Caroline, Bonnie, Jeremy… era semplicemente morta un’amica, o una sorella. Ed era ancora un altro tipo di dolore, un dolore che ti toglieva il fiato e ti spezzava in due.
Per Niklaus, invece, era semplicemente solitudine e amarezza.

 Esatto, Elena Gilbert era morta.

  L’ibrido si trovava nella cripta di casa Lockwood, appena rientrato nel suo corpo appena carbonizzato, già stava tornando al suo solito aspetto. Aveva saputo da Bonnie Bennett, la strega, che Elena era morta e che quindi non poteva più usufruire del suo sangue. Per sua fortuna aveva ancora le sacche di sangue che aveva prelevato ad Elena e i dodici ibridi che aveva creato in precedenza. Ma non poté fare a meno di sentirsi spaesato ed avere una specie di voragine nel petto.
Era terminato tutto, ancora prima di iniziare, tutto era stato mandato allo sbaraglio, tutto aveva avuto una fina, ma non era quella che lui desiderava. Non poteva sopportare di essere nuovamente solo.
Sua sorella Rebekah era andata via, così Kol ed Elijah – stufato dei loro soliti battibecchi. –
Ormai si trovava in quella città con un pugno di mosche, con solo una  tomba e una donna che non lo amava.
Si, sarebbe andato via.
Quella stessa notte le sue valige erano in viaggio per New Orleans, la sua vita si stava spostando in una nuova città già vissuta. Una nuova città che un tempo era sua, e che pensava di riprendersi.
Si, gli sarebbe piaciuto.
Ma mai quanto gli piaceva Mystic Falls, mai quanto quella cittadinella che un tempo era la sua casa e che infondo lo era ancora.
Non avrebbe mai dimenticato le notti passate con Tatia nel bosco, oppure quelle a combattere con la spada con Elijah, ma ormai era tutto perso, indistinguibile con quegli edifici e i cambiamenti che il posto aveva ricevuto.
Camminando si ritrovò nel cimitero, proprio di fronte alla tomba della doppleganger.
Quella donna aveva avuto un enorme forza di volontà e la debolezza che contrastingueva la sua famiglia. L’amore.
Come Tatia si era innamorata di lui e suo fratello, Katherine dei Salvatore, anche lei aveva fatto lo stesso errore e quello l’aveva portata alla morte.
Sospirò rumorosamente, stette in silenzio per qualche istante e infine le sue labbra si schiusero in un ghigno.
Aveva avuto un idea.
Prese il suo cellulare e compose un numero.

 New York. Era una bella città, ma non per una strega che passava la maggior parte del tempo a studiare il suo Grimorio, non per una strega che aveva paura di se stessa e di quello che poteva fare.
Hèloise era una donna appena ventenne, strega di Klaus da quando aveva appena otto anni. Non aveva mai capito l’interesse che l’ibrido aveva nei suoi confronti, ma c’era e l’avevano indotta più volte a compiere scelte che non le piacevano. Lei lo rispettava e lo temeva. A malincuore agli ordini dell’originale non ci si poteva sottrarre.
Era ancora persa nella sua lettura quando sentì squillare il cellulare.
Uno squillo.
Il numero sul display indicava: “Klaus.”
Due squilli.
Attese un quinto prima di rispondere e ascoltò quello che aveva da dirle l’uomo.
-Mystic Falls? Sarò li domani. –
Mormorò prima di chiudere la telefonata e lanciare il telefono dall’altra parte del letto, come se fosse un serpente velenoso.


ANGOLO AUTRICE

 Salve :D Spero che l’inizio vi piaccia e che non siate troppo scossi dalla morte di Elena. ù.ù
Mi sono tenuta sul vago sulle idee di Klaus, che scoprirete nel prossimo capitolo e… nulla. Recensite e fatemi sapere cosa ne pensate, così da capire se continuarla o meno.*^*

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Capitolo 2
*** Il gioco abbia inizio. ***


 CAPITOLO 1.

 Niklaus si ritrovò a giocherellare con un piccolo nastrino di seta rossa, che aveva sottratto alla sua ultima vittima, appena poche ore prima.
Quel pomeriggio si era svegliato con l’intenzione di andare a teatro. Era un po’ che non ci andava e pensava che una bella opera gli avrebbe fatto bene, magari distrarlo dai innumerevoli inconvenienti che stavano avvenendo a Mystic Falls.
Per quello si era vestito di tutto punto e aveva deciso che avrebbe passato una bella serata, all’insegna del divertimento, come faceva un tempo con suo fratello Elijah o con Rebekah. Odiava doversi svagare da solo, quindi alle volte preferiva non farlo, e soggiogare qualcuno per tenergli compagnia gli sapeva di patetico e quindi non si azzardava neanche. Alla fine le sue giornate trascorrevano all’insegna della solitudine e della bella vita, come se quella potesse rimpiazzare il vuoto che avevano lasciato le numerevoli perdite subite.
Ma quella sera c’era qualcosa di diverso, la solitudine non gli pesava come al solito e una sensazione di pace si era impadronita di lui una volta uscito dal teatro.
A quel punto aveva visto una donna, ovvero, la donna che aveva visto sul palco quella sera, quella che interpretava una bella giovane cresciuta agli inizi del seicento nell’alta borghesia.
Decise di avvicinarsi a lei, magari usarla come cena, aggiungere a quella sensazione di pace qualcosa di meglio, aggiungere a quella sensazione di pace qualcosa di vitale e significativo.
E forse quel nastrino era il simbolo che si era lasciato condizionare troppo, non si era sentito come sperava, anzi, il sangue aveva scacciato la pace, e qualsiasi altra cosa.
Si rigirò il nastrino tra le dita ancora per qualche minuto, poi lo posò sul tavolino di fronte a lui. Pensò di gettare anche quello nel suo “discreto” baule, ci aveva rimuginato un po’ quando lo aveva visto tenere legati in una complicata acconciatura i capelli della donna, ma poi aveva optato per tenerselo. Magari gli sarebbe servito per qualcosa di teatrale, quella notte, o quella successiva, non gli importava quando, ma era sicuro che lo avrebbe usato. Anche solo per simbolizzare che la sua non era pace, ne vita. La sua era un esistenza priva di alcun sentimento, segnata dal rosso. Il colore di quel nastro.

 Una ragazza, alla fermata dell’autobus, si guardava intorno affascinata. Come se vedesse tutto quello per la prima volta.
Aveva girovagato molto a causa di Klaus, che le chiedeva di raggiungerlo nei posti più impensabili, alle volte molto lontano dalla reale abitazione dell’ibrido. Tendeva a fidarsi poco e quello lo sapevano tutti, ma Hèloise non era mai stata in un posto tanto anonimo e semplice. Mystic Falls sembrava piacergli.
Si sistemò lo zainetto che conteneva i pochi indumenti che possedeva sulla spalla sinistra e lanciò un’altra occhiata al luogo, poi annuii decisa, promettendo a se stessa che quello era l’ultimo favore che avrebbe fatto al vampiro e salì sul mezzo di trasporto.
Si rigirò una ciocca di capelli castani tra le dita e gonfiò le guance, per poi sbuffare rumorosamente, una volta che si trovò al centro della città. A quel punto non sapeva dove andare, dato che l’uomo non le aveva dato nessun indirizzo.
Alle volte amava giocare con lei, o metterla alla prova… oppure spaventarla.
C’erano alcune volte, sin da quando era bambina che sfoderava i canini, minacciandola di morderla, sapendo che era la cosa che spaventava più la ragazza, oppure decideva di non dirle indirizzi o nomi di persone, così che avrebbe potuto mettere alla prova i suoi poteri.
In quei momenti lo odiava terribilmente.

 Riuscì a trovare l’abitazione soltanto due ore dopo, ormai era quasi ora di pranzo e debitava che Niklaus fosse a casa, ma tanto valeva provare, quindi suonò il campanello.
Le venne ad aprire una ragazza, sulla ventina con lunghi capelli biondi e lineamenti dolci. Indossava una magliettina gialla con sotto una gonna nera aderente, che le arrivava fino al ginocchio, in più, per completare il tutto indossava un paio di tacchi a spillo che dovevano essere scomodissimi.
Sicuramente era una delle cameriere di Klaus.

Scortò la ragazza fino ad un salottino, dove le disse di aspettare il vampiro.
A quel punto Hèloise cominciò a guardarsi intorno e fu subito attratta dalla libreria che si trovava in un angolo, si catapultò a prendere qualche libro e a leggerne i titoli.
Alcuni non ne aveva mai sentiti, mentre altri erano classici: I Promessi sposi, L’iliade, Amleto…
-Puoi portarne via qualcuno, se ti piacciono. –
Disse una voce alle spalle della donna, una voce che le fece correre un brivido di paura lungo la schiena, paura che non avrebbe mai dato a vedere.
Ormai era abituata a quel suono di voce, a quell’accento e  al senso di oppressione che provava ogni volta che la sentiva, ma non riusciva ad abituarsi alla paura, era sempre una spiacevole sorpresa per lei. Non le piaceva.
Scosse il capo e ripose nuovamente il libro al suo posto, poi andò a sedersi sul divano e accavallò le gambe, rivolgendo un sorrisetto gelido, che non lasciava traspirare nessuna emozione se non il disappunto di trovarsi li in quel momento.
-Cosa ti serve, Klaus? –
Chiese senza mezzi termini, odiava girare intorno alle cose. Odiava che lui avesse in mano la sua vita e che potesse decidere cosa fare.
Ucciderla, farla vivere… trasformarla.
Le labbra dell’ibrido si incresparono in un sorriso sornione e si avvicinò al tavolo, dove si trovava una bottiglia di bourbon. Se ne versò un bicchiere e lo portò lentamente alle labbra, ne bevve un sorso e poi sospirò soddisfatto, prima di cominciare a parlare.
-Mia madre, qualche tempo fa, fece un incantesimo su me e i miei fratelli per far si che ridiventassimo tutti umani. Era una strega potente e tu le assomigli molto, sei stata la prima a cui ho pensato per quest’incarico, penso possa riuscirci.
Insomma, il punto è: Devi trovare questa vampira, Katerina Petrova. Ora si fa chiamare Katherine Pierce e farla tornare umana. Nulla di più semplice.-
Disse gongolando, come se le avesse chiesto di fare una cosa stupida e semplice come allacciarsi un paio di scarpe.
A quel punto la ragazza si tirò indietro, quasi di scatto, mentre con il capo faceva cenno di no.
Non avrebbe fatto una cosa del genere. Era un incantesimo davvero antico e complicato, nemmeno una strega del suo calibro ci sarebbe riuscita e con tutta franchezza, aveva paura.
-Non lo farò. –
Rispose fermamente, anche se all’inizio la voce era stata un po’ tremolante, aveva raggiunto soltanto un po’ di decisione a fine frase.
A quel punto il viso di Klaus si rabbuiò, soltanto per qualche secondo, prima di bere un secondo sorso dal bicchiere, infine la sua espressione mutò, diventando sadica.
-Conosco molti modi per convincerti, amore. -

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Capitolo 3
*** It's ok. ***


CAPITOLO 2.

 -Conosco molti modi per convincerti, amore. –
Furono quelle le parole pronunciate dall’ibrido, con aria sadica e un sorriso quasi compiaciuto sul suo volto.
Ma quell’espressione così calma e tranquilla si andò trasformando in una intimidatoria, mentre con un gesto che poteva definirsi – addirittura – delicato, rompeva il bicchiere, ricavandone una scheggia grande quasi quanto il palmo della sua mano, la strinse nel pugno e sentii il sangue colargli sul pavimento, sino a quando non avvicinò la ferita alle labbra della ragazza, facendola sfiorare con essere.
Quando involontariamente gli occhi della ragazza si sgranarono lui si concesse di nuovo quell’aria compiaciuta, infine, mise il restante del sangue che colava dalla ferita in un bicchiere di cristallo, posato su quello stesso tavolino, poi lo porse a Hèloise e le diede una scheggia nella mano destra, mentre l’altra reggeva il bicchiere.
-Pugnalati con quella scheggia, cercando di non colpire punti vitali, poi bevi un piccolo sorso del mio sangue e continua così fino a quando non hai terminato fino all’ultima goccia. –
Era uno dei suoi giochetti preferiti, quelli, anche se lo aveva un po’ modificato in onore della strega. Lo aveva imparato da Stefan, nei ruggenti anni ’20, quando tutto poteva definirsi di gran lunga molto più semplice. Quando sua sorella si fidava ancora di lui e quando c’era davvero qualcosa per cui lottare, non semplicemente qualche ibrido, ma la sua famiglia, sua sorella. Ma era finito tutto in un battito di ciglia, era finito come un bel sogno cominciato durante una brutta giornata, come la pioggia estiva, tutto quello era semplicemente stato spiacevole e sorprendente.
Ricordava con dolorosa chiarezza il modo in cui Rebekah aveva pronunciato quelle parole.

 -Scegli, lui o me. –
Disse Niklaus in tono serio, sicuro di quale sarebbe stata la scelta di sua sorella, sicuro che il mondo della donna girava intorno al suo, come era sicuro che per lei lui avrebbe dato la vita.
Loro non si sarebbero mai abbandonati. Sua sorella glielo aveva promesso: Sempre e per sempre.
Non l’avrebbe mai dimenticato.
E per tanto tempo quelle parole erano state l’appiglio a cui si era aggrappato per non cedere all’oscurità e ai suoi demoni, l’appiglio per sentirsi bene, solo una volta
-Addio, Nik. –
Addio, Nik. Addio, Nik.
Lo aveva ferito tante altre volte in passato, per colpa dei suoi soliti capricci passeggeri. Quella volta era sicuro di aver mandato via Stefan, come aveva fatto con Alexander tempo addietro e tanti altri pretendenti, ma quella era soltanto la seconda volta che lei era disposta ad abbandonarlo e si sentì disorientato.
Arrabbiato.
Il sentimento dominante che lo aveva schiacciato in tutti quei secoli, era la rabbia ad avere sempre il controllo di tutto.
Rabbia e solo rabbia.

 -Klaus… -
A distrarlo dai suoi pensieri fu la voce della ragazza, che si stava preparando a colpirsi. L’uomo non si fece il minimo scrupolo e si lasciò andare contro la spalliera del divano, accavallando le gambe e prendendo un terzo bicchiere, per versarsi dell’altro bourbon.
Adorava quelle scene, le trovava deliziose. Anche se di solito odiava far del male a delle streghe, se non era davvero necessario. Rivedeva in loro sua madre e per quanto cercasse di non lasciarsi andare ai sentimenti, lo faceva, lo faceva fin troppo spesso.
-Sei una delle poche streghe che conosco che è tanto stupida da non assumere verbena. –
Disse in tono divertito, mentre inclinava il capo di lato e la osservava incuriosito. Sospirando in modo quasi teatrale al primo urlo di dolore della donna.
-Mi… mi hai… insegnato… a non farlo… -
Rispose quasi a fatica mentre estraeva la scheggia insanguinata dal suo corpo.
La strega doveva ammettere di avere paura, solo uno stolto non l’avrebbe avuta in quel momento e lei di certo era coraggiosa, ma non stupida e Klaus… con il tempo le aveva impartito varie lezioni, ma quelle fisiche erano sempre le più spiacevoli; la costringeva a farsi del male da sola, la portava quasi alla morte, la minacciava e c’erano alcune minacce che erano realmente efficaci. E la cosa che più disgustava la ragazza, era lo sguardo che scorgeva negli occhi di ghiaccio dell’uomo. Uno sguardo sereno e tranquillo, come se fare del male fosse la sua medicina quotidiana e lui ne avesse assolutamente bisogno, come se quello servisse a distrarlo e a calmarlo.
Ma Niklaus sapeva che quel metodo era efficace soltanto per alcuni secondi, ma che poi tutto il dolore che custodiva nel suo animo e nella sua mente tornava a galla, come il più brutto degli avvenimenti e la più significativa delle perdite.
Quando la donna terminò quello che gli aveva detto di fare lui le si avvicinò e le scostò lentamente i capelli dal collo, avvicinando le labbra alla giugulare e sentendo il sangue pulsare dentro quell’attraente vena, come il più dolce dei richiami, si leccò le labbra e le schiuse, mostrando di poco i canini.
-No! –
Urlò Hèloise poco prima che lui la mordesse, scuotendo il capo e cominciando a piangere. O almeno le sembrava di piangere, ma forse quelle lacrime erano presenti soltanto nella sua testa, non c’era niente di reale in quel mondo.
Soltanto tutto frutto della sua mente malata, come diceva sua madre. Ma sua madre si sbagliava.
-Va bene, va bene, lo farò. –

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