Omicidio allo Studio 21

di syontai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo strano giallo della libreria del giallo ***
Capitolo 2: *** Primo sopralluogo e primi sospettati ***
Capitolo 3: *** L’interrogatorio a Francesca: qualcosa non quadra ***
Capitolo 4: *** Fondi di caffè e Dipinti misteriosi ***
Capitolo 5: *** Perché Natalia non ha parlato? ***
Capitolo 6: *** Le preghiere di Angie: Pablo innamorato? ***
Capitolo 7: *** Pedinamento pericoloso ***
Capitolo 8: *** Coinvolgimenti d'amore ***
Capitolo 9: *** Piccoli tasselli trovano il loro posto ***
Capitolo 10: *** Macabro gioco ***
Capitolo 11: *** La triste sorte dei ricattati e dei ricattatori ***
Capitolo 12: *** Dubbi e riflessioni ***
Capitolo 13: *** Angie e Maria: una sola persona, un solo passato ***
Capitolo 14: *** Poker d'assi ***
Capitolo 15: *** Epilogo: un finale inaspettato ***



Capitolo 1
*** Lo strano giallo della libreria del giallo ***


Capitolo 1
Lo strano giallo della libreria del giallo

La sveglia suonò senza tregua, costringendo il povero Leon ad alzarsi di malavoglia. Ventidue anni, capelli di un colore castano chiaro corti con un simpatico ciuffetto, e due meravigliosi occhi verdi. Quegli occhi verdi erano ciò che lo rendevano più fiero di tutto: infatti erano una caratteristica fisica ereditata dal padre, il tenente Jorge Vargas, caduto in guerra in nome dell’esercito inglese durante la Prima Guerra Mondiale. La madre era morta quando era ancora molto piccolo, e quindi venne mandato in un orfanotrofio. Uscito da lì studiò per entrare nella polizia di Scotland Yard e proprio quel giorno sarebbe stato assegnato come assistente a un investigatore della polizia. Leon era emozionatissimo: chissà quale caso avrebbe dovuto affrontare. Di certo lì a Londra ci sarebbero stati furti o omicidi…ogni giorno sulla cronaca nera vi erano tantissime notizie del genere. Non appena ci ripensava si emozionava: quale sarebbe stato il suo primo caso? Uscì di casa ancora con quel pensiero e gli occhi che brillavano. Si avviò allegramente comprando un giornale da un ragazzino che li vendeva per strada, lanciandogli una moneta d’argento…anche lui a quell’età aveva dovuto fare quel lavoro per mettere da parte qualche soldo. Fortunatamente aveva trovato quel piccolo appartamento in affitto che si sarebbe pagato con parte del suo stipendio. Prese la corriera per poi scendere proprio di fronte alla centrale di Scotland Yard, edificio che sarebbe stato di un colore rosso acceso, se non fosse stato per l’enorme strato di fuliggine nera che lo ricopriva, come d’altronde era normale, a causa della numerosa quantità di fumo prodotta dalle ciminiere delle fabbriche londinesi. Il ragazzo entrò molto tranquillamente, salutando cordialmente i suoi futuri colleghi di lavoro. “Allora tu sei il nuovo?” chiese uno degli agenti di polizia, fermandolo. Indossava un lungo completo di un blu scuro con un elmetto rigido dello stesso colore con sopra lo stemma argentato di Scotland Yard. “Si” annuì entusiasta il ragazzo guardandolo con ammirazione e mostrando il tesserino che certificava la sua identità: forse un giorno anche lui avrebbe indossato quella divisa e sarebbe stato importante…forse sarebbe diventato anche un investigatore. Sognare ad occhi aperti era bello ma si rendeva anche conto che ci sarebbe voluto tanto duro lavoro per raggiungere quelle cariche e lui era ancora agli inizi, al gradino più basso, quello di assistente e apprendista.  Lo squadrò un po’ soffermandosi sul suo cappotto marrone un po’ malridotto, poi lo condusse in uno degli studi. “Il tuo capo dovrebbe stare per arrivare” concluse in modo freddo e distaccato l’uomo per lasciarlo nella stanza. Leon si aggirò in cerca di indizi per capire con chi avrebbe avuto a che fare; di una cosa era sicuro: si trattava di una persona veramente disordinata. Gli scaffali fissati al muro erano pieni di libri polverosi; provò a prenderne uno ma una nuvola di polvere gli fece chiudere gli occhi e starnutire.  Sulla scrivania erano sparsi fogli di ogni tipo, documenti vari e foto. Prese in mano una delle foto in bianco e nero e la guardò attentamente; ritraeva un uomo e un ragazzo: il primo indossava una divisa di polizia, mentre l’altro aveva in mano una lente d’ingrandimento e la guardava con estremo interesse. “Sei il mio assistente?” disse un uomo misterioso vestito in modo molto trasandato all’entrata. “Si, ecco…Mi presento, sono Vargas, Leon Vargas” disse il ragazzo stringendogli la mano con forza. “Piacere, Pablo Galindo, professione investigatore e bla, bla, bla…” disse l’uomo sedendosi sulla sedia e mettendo i piedi sulla scrivania; quel movimento fece volare qualche foglio qua e là, ma non sembrò preoccuparsene. “Ho un compito per te” disse infine, tirando fuori la pipa per accenderla con un gesto lento. Leon si raddrizzò e assunse una posa pomposa: di già una missione? Non era ancora arrivato e gli veniva affidato il primo incarico. “Ai suoi ordini!” esclamò il ragazzo, facendo tradire con la voce una forte emozione. “Devi andare a questo indirizzo che ti indicherò, e ritirare un pacchetto” spiegò Pablo. Prese un foglio di quelli sparsi e con la penna scrisse qualcosa per poi porgerglielo. “Bene, tornerò in pochissimo tempo” disse Leon. Chissà che avrebbe dovuto ritirare…Forse una nuova arma, forse dei documenti di massima importanza. Fece una corsa per uscire fuori e si ritrovò per una delle affollate strade londinesi. Studiò per qualche minuto l’indirizzo: non doveva essere poi così distante. Quando si ritrovò di fronte a una piccola libreria molto modesta, pensò di aver sbagliato. Si avvicinò perplesso e notò la scritta: ‘Libreria del giallo’. Spinse la porta di vetro un po’ polverosa e un campanello avvertì del suo ingresso. Dietro un bancone un signore anziano stava sonnecchiando. Leon si avvicinò: “Scusi, signore…”. Niente, non si svegliava. Diede una botta al campanello sul tavolino e il proprietario si svegliò di colpo. “Si, questa è la libreria del giallo, signor…” borbottò ancora un po’ assonnato. “Vargas. Vengo da parte del signor Galindo” spiegò il giovane. “Certo, capisco…è qui per ritirare l’ordinazione, immagino” disse il vecchio per andarsi a infilare tra librerie polverose e uscire con un piccolo libretto in mano. Tutto qui? Uno stupido libro? Era questo l’incarico assegnatoli? Leon non potè nascondere la sua delusione, ma poi di colpo la sua attenzione fu attratta da una ragazza seduta all’unico tavolino di lettura del locale insieme a un’amica. “Vedo che ha già notato la signorina Violetta Castillo” disse sorridendo il proprietario, notando la faccia incantata del giovane. Notato era dire davvero poco…era letteralmente rapito da quella ragazza: capelli castani e occhi color nocciola, viso dolcissimo e sguardo incantevole. “Non credo sia alla sua portata” ridacchiò il signore. “Io non stavo pensando a niente del genere” mentì Leon. “Certo, come no…è la figlia del famoso industriale German Castillo, e frequenta una famosa Accademia delle Belle Arti. E’ anche un’appassionata di gialli, viene qui quasi tutti i giorni con la sua amica Francesca” disse il proprietario, indicando l’amica, una ragazza graziosa mora e dagli occhi scuri, con un sorriso molto contagioso. “Ha finito di fare acquisti?” aggiunse poi, facendolo riscuotere dal trance in cui era caduto. “No, volevo vedere qualcosa per me…” disse Leon, aggirandosi per gli scaffali. Era a qualche metro dalle due che leggevano con aria assorta, finché Violetta non interruppe il silenzio: “Che sciocco!”. “Che è successo?” chiese l’amica, posando l’indice sulla pagina che stava leggendo e richiudendo il libro. “Siamo alle solite…l’assassino ha lasciato un particolare importante per la risoluzione del caso. Gli assassini dei libri sono così ingenui, si lasciano prendere dalle manie di grandezza e pensano di poter commettere un’infinità di errori, tanto nessuno li scoprirà mai!” esclamò con una punta di ironia la ragazza. “E’ normale, Violetta, sono esseri umani, commettono errori” rispose Francesca, scoppiando in una risata. Violetta la zittì stizzita: “Normale un piffero, non bisogna essere particolarmente svegli per organizzare il crimine perfetto, lo potrei fare anch’io” esclamò con gli occhi che le brillavano appassionati. “Prendi un uomo odiato da più persone…basta ucciderlo con una bella dose di veleno e il dubbio si insinuerebbe. Tanti sospettati, nessuna prova lasciata. Il gioco è fatto, non è difficile come sembra” continuò sbuffando per poi sfogliare velocemente le pagine. “Non è così semplice non lasciare prove…” sussurrò Leon tra sé e sé. “Non sono d’accordo, signore” lo interruppe la voce squillante di Violetta. “Scusi?” chiese Leon, voltandosi e fissandola attentamente. “Lei dice che è impossibile non lasciare indizi, ma io non la penso come lei” continuò la ragazza con un sorrisetto. “Ha un udito notevole” borbottò Leon. “Io se fossi un’assassina non lascerei nulla al caso, ma ogni traccia lasciata sarebbe costruita in modo tale da allontanare i sospetti da me” esclamò Violetta chiudendo il libro di botto e alzandosi. “Lei un’assassina? Mi scusi ma non ce la vedo proprio!” ribatté Leon, scoppiando a ridere. Lei lo guardò freddamente con un’aria di superiorità, e quando parlò sembrava una ragazza diversa, non dolce e spensierata come avrebbe detto a prima vista: “Lei pensa che io non potrei uccidere? Guardi in faccia alla realtà, chiunque può diventare un assassino. E’ tremendamente semplice premere un grilletto, puntando la pistola contro un proprio simile, basta pensare che lo sia davvero”. Leon si avvicinò un po’ di più, attratto da quella personalità magnetica. Si era perso in quello sguardo così determinato che nascondeva al suo interno la dolcezza che all’inizio l’aveva tanto colpito. Senza accorgersene i due erano a qualche centimetro di distanza, e si stavano studiando, anzi sarebbe meglio dire che si stavano sfidando in un certo senso. “Violetta, dovremmo andare adesso. Tuo padre ti vuole a casa prima dell’ora di pranzo. Poi nel pomeriggio dobbiamo andare allo Studio” disse Francesca, tirando l’amica leggermente per il braccio. “Hai ragione, amica mia. E’ stato un piacere, signor…?” chiese Violetta. “Vargas. Ma può chiamarmi Leon” disse il ragazzo, prendendo la sua mano e deponendogli sopra un bacio. “Un vero cavaliere, signor Vargas. Non è inglese, suppongo” continuò Violetta, incuriosita da quel personaggio così particolare e attraente. Quando sfiorò la sua mano per baciarla sentì un brivido lungo tutto il corpo. Leon sorrise: “Suppone male, signorina…?”. “Castillo, e il mio nome è Violetta; come può notare dal cognome mio padre è di origini sudamericane” rispose Violetta. Si era incantata a osservare il suo sorriso, e quegli occhi verdi così intensi, che sembravano leggere i suoi pensieri; quel ragazzo la metteva estremamente a disagio. E lei non era abituata, aveva avuto sempre la risposta pronta per tutto e con tutti. Invece quando le aveva chiesto il nome per un momento aveva tentennato, e aveva dovuto addirittura raccogliere le idee. “Beh, io sono inglese, signorina Castillo, ma mio padre era messicano. E può anche darmi del tu” rispose Leon. “Non do del tu a persone che non conosco, signor Vargas” rispose Violetta, avvicinandosi divertita. I due erano di nuovo inevitabilmente a due centimetri di distanza senza staccarsi gli occhi di dosso, ma Francesca riprese in mano la situazione e trascinò via Violetta, facendole notare l’enorme ritardo. “Violetta…” disse Leon sospirando; chissà se l’avrebbe mai rivista. Tornò in fretta dal suo capo, entrò di corsa nel suo studio e gli sbatté il libro sulla scrivania. “Sei stato veloce” constatò Pablo ancora con la pipa in mano. Prese il libro e lo sfogliò pigramente. “Bene, è tutto?” chiese il ragazzo, un po’ stranito. Tutto qui? Voleva solo uno stupido libro? Se lo sarebbe potuto anche prendere da solo…però pensandoci in quel modo aveva avuto la possibilità di conoscere quella splendida ragazza dal carattere particolare… “Si, per oggi può bastare, ci vediamo domani” borbottò Pablo, facendo uscire una nuvoletta di fumo dalla pipa, preso dalla lettura di quel giallo. Leon uscì a dir poco furibondo: come poteva quel tipo così pigro e disordinato essere un investigatore? Doveva essere uno scherzo, non c’erano altre spiegazioni. “Lei è stato messo con Pablo Galindo?” chiese un ragazzo non appena fu per strada. Doveva essere un assistente come lui. “Sfortunatamente si” rispose Leon sbuffando. “Sfortunatamente?! E’ uno dei migliori in circolazione!” esclamò il suo coetaneo con gli occhi che brillavano. Leon a quelle parole rimase sorpreso…addirittura uno dei più grandi investigatori? Non riusciva a crederci, eppure… Forse l’aveva giudicato troppo in fretta, magari vedendolo in azione, chissà…

Il giorno dopo Leon si svegliò come al solito molto a fatica, si trascinò in cucina dopo essersi vestito e si preparò un caffè. “Speriamo solo che oggi sia un po’ più interessante di ieri” borbottò Leon con un grosso sbadiglio. Scese la scale per uscire dal palazzo, pensando già a qualcosa da fare: aveva intenzione di organizzare un archivio dove riporre tutte le documentazioni dei casi passati e di quelli di cui si sarebbero occupati. Con quei pensieri giunse nuovamente allo studio di Scotland Yard. “Si, arriviamo subito” disse Pablo al telefono, facendosi subito serio. Il giorno prima era rilassato, invece adesso sembrava tesissimo. Non appena attaccò guardò Leon per una frazione di secondo per poi alzarsi, prendere il soprabito buttato su una poltroncina della stanza. “Andiamo” disse seccamente all’apprendista. “Che è successo?” chiese Leon confuso. “Non era quello che volevi? Azione? Beh, abbiamo il nostro primo caso” sussurrò Pablo. “Davvero? E di che si tratta?” chiese il ragazzo emozionato. “Di omicidio…” spiegò Pablo. “Gregorio Garcia, direttore del rispettabile Studio 21, è stato assassinato a sangue freddo con un colpo di pistola” disse l’investigatore. Era il momento…il momento del suo primo caso. L’aveva atteso così tanto, eppure adesso aveva paura. “Hai paura?” chiese Pablo, leggendogli negli occhi. “Un po’” rispose con sincerità il ragazzo. “Bene, è quella che muove il mondo, ragazzo mio” rispose Pablo con un sorriso, entrando nella sua auto e invitandolo a salire.

ANGOLO AUTORE: tzan-tzan-tzan sono qui con una nuova fanfiction, un vero e proprio giallo...che ve ne pare? Ovviamente come potrete capire il Leonetta c'è ma...ma lo vedremo. Mi piace molto questa Violetta più intrigante e misteriosa, con un bel caratterino xD E Leon...che dire, rimane sempre un cucciolo :3 Comunque questa ff andrà un pò a rilento visto che curo già due long e i gialli devono essere curati bene, visto che ogni dettaglio è importante. Quindi dovrete pazientare un pò...ma che ve ne pare della storia? Fatemi sapere, devo dire che a me piace...e il personaggio di Pablo? E' interessante *-* Comunque per chi non lo sapesse la frase di Violetta: 'E’ tremendamente semplice premere un grilletto, puntando la pistola contro un proprio simile, basta pensare che lo sia davvero' è tratta dal film Poirot sul Nilo (un capolavoro del giallo a mio parere...leggete il libro o vedete il film con David Suchet lo consiglio vivamente :D), modificata da me e ovviamente in un contesto molto diverso. Buona lettura a tutti e ditemi se secondo voi la pena che la continui ;) 

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Capitolo 2
*** Primo sopralluogo e primi sospettati ***


Capitolo 2
Primo sopralluogo e primi sospettati

La macchina si fermò di fronte ad un edificio di un colore grigio cupo. “Siamo arrivati” fece cenno l’investigatore Galindo, scendendo e dirigendosi verso l’entrata. Leon fece una corsa per stargli dietro tanto si muoveva velocemente. I due arrivarono all’entrata dove si trovavano due colleghi di lavoro. “Possiamo passare, siamo Pablo Galindo e quello è il mio assistente” esclamò Pablo, mostrando un distintivo che teneva in tasca. Si ritrovarono in un corridoio freddo e poco illuminato. Di fronte a una porta un altro agente di Scotland Yard stava sorvegliando l’ingresso. “E’ qui?” chiese Leon, trepidante. Pablo annuì, facendo segno alla guardia di scostarsi. Una stanza dai colori cupi si presentò a loro. Era molto semplice e non troppo grande, con una pianta di forma quadrata. Non appena entrati sulla sinistra era appeso un grande ritratto di quello che doveva essere il preside della scuola, Gregorio Garcia, un uomo sulla quarantina con pochi capelli castani e un ghigno malefico. Di fronte a loro una libreria con numerosi scaffali pieni di enormi volumi era rimasta intatta. Al centro vi era una scrivania con alcune scartoffie e effetti personali, tra cui una foto in bianco e nero del preside da giovane che sorrideva insieme a una bambina. E sarebbe sembrato tutto normale se solo seduto sulla sedia dietro la scrivania non vi fosse un cadavere, il cadavere di Gregorio Garcia. Pablo non perse tempo e cominciò a ispezionare la stanza in silenzio. Il corpo, che non era stato mosso prima dell’arrivo dell’investigatore, sembrava ancora intento a fare quello che stava facendo prima di essere ucciso. Teneva in mano una penna e stava scrivendo una sorta di lettera su un foglio bianco; “Signor Galindo!” lo chiamò Leon, dopo essersi avvicinato. “Legga…” disse piano, indicando il foglio sulla scrivania: ‘She is come from Italy for me and…’  ma non era riuscito ad andare avanti, era stato ucciso prima di poter dare informazioni su questa misteriosa donna venuta dall’Italia per lui. Una macchia di sangue era caduta sulla lettera. “Potrebbe essere un indizio, no?” chiese il ragazzo esultante. Il suo primo indizio. Sicuramente doveva avere una qualche importanza, e l’aveva trovato proprio lui! “Certo, potrebbe, come potrebbe non esserlo” disse pacatamente l’investigatore. Leon si sentì smontato in cinque minuti e sbuffò leggermente cercando di non farsi sentire. Pablo si avvicinò al corpo e diede un’occhiata: “Un colpo dritto al cranio”. Il medico di Scotland Yard si avvicinò e annuì: “Esattamente, un colpo preciso e diretto. Per altri dettagli deve aspettare le analisi”. Pablo si avvicinò ancora di più con una bustina di plastica, prese una piccola pinza ed estrasse un sottile filamento nero dal foro provocato dallo sparo. “Interessante…” borbottò Pablo. “Guardi qui” disse Leon, aprendo l’armadio vicino alla libreria: dentro vi erano numerosi foulard di vari colori e cappotti tutti grigi. “Aveva il guardaroba nello studio!” disse il ragazzo con una risata. “Ma quel filamento, potrebbe essere un capello?” chiese poi alla vista dell’indizio trovato dal suo capo. “Certo, un capello…” rispose Galindo senza prestargli troppa attenzione e studiando gli indumenti del preside. “Chi ha ritrovato il corpo?” chiese poi ad un agente entrato per controllare come stessero procedendo le indagini. “Un certo Diego Hatter, uno studente dell’Accademia, detta anche Studio 21” rispose prontamente alla domanda il collega. “L’omicidio dovrebbe essere avvenuto ieri nel pomeriggio, prima dell’inizio delle lezioni, direi quasi con sicurezza tra le 14 e le 16” spiegò il medico, riprendendo tutto i suoi strumenti e riponendoli a posto. “Possibile che nessuno abbia ritrovato il corpo, prima di stamattina?” si intromise Leon, spazientito. “Ne abbiamo parlato con gli insegnanti. Solitamente Gregorio non si faceva vedere da nessuno, entrava nel suo studio e rimaneva fino a sera, era lui che chiudeva la struttura” disse l’agente, guardando dall’alto in basso quel giovane irascibile. “L’anno scolastico è cominciato proprio ieri se non sbaglio” sussurrò l’investigatore, facendo un giro di ricognizione per la stanza e notando la finestra che si affacciava sul giardino nel retro dello Studio. “Già; due nuove insegnanti sono state assunte: l’insegnante di ballo, di nome Jackie Golder, e l’insegnante di canto, Angie Frently. Se vuole le faccio avere un elenco di tutti gli studenti del nuovo anno, con sottolineati quelli iscritti quest’anno” disse l’agente. “Bene, perfetto, grazie mille” disse Pablo, continuando a dare un’occhiata in giro. La sua attenzione fu catturata da una tazzina blu in porcellana con dei resti di caffè. Prese la tazzina con i guanti e la mise dentro una delle bustine in plastica, poi girandosi fece per andarsene. “Tutto qui?” chiese deluso Leon. Solo quella misera manciata di indizi non avrebbe portato da nessuna parte. “Al contrario, signor Vargas, questo è solo l’inizio” rispose Pablo con fare misterioso.
“Da dove cominciamo con gli interrogatori?” chiese Leon in macchina. “Ho preso una lista di tutti quelli che sono stati visti tra le 14 e le 16 in quella scuola. Sono studenti che alle 16 avrebbero avuto lezione. E poi dobbiamo rivolgere domande anche a tutti gli insegnanti” rispose l’investigatore di Scotland Yard, già assorto nei suoi pensieri. “Bene questa è la villa degli Hatter, interroghiamo prima di tutto chi ha ritrovato il cadavere” disse Pablo, mentre Leon prese in fretta e furia una penna e tirò fuori il taccuino. I due arrivarono all’ingresso, con un Leon che guardava a bocca aperta in giro: quello era il quartiere ricco della città. Quando suonarono il campanello all’ingresso aprì una cameriera con una cuffia bianca all’antica intorno ai capelli corti e scuri. “Cercate?” disse la donna con i suoi occhietti vispi e ravvicinati. “Diego Hatter, se è possibile, signorina” parlò Pablo, togliendosi il cappello e facendo un mezzo inchino. La domestica fece un sorrisetto al termine ‘signorina’ e li fece accomodare nel salone. Leon notò che la sala d’ingresso era grande quanto il suo appartamento, e la cosa lo mise molto a disagio. Tutt’intorno vi erano quadri con antenati in pose importanti. Dopo aver attraversato questo luogo un po’ oscuro vennero fatti accomodare in un salottino dove invece la luce entrava con prepotenza dalle ampie vetrate. Si sedettero su un divanetto di un rosso acceso, vicino al caminetto utilizzato per l’inverno. Dopo qualche minuto la cameriera rientrò per annunciare l’arrivo del signorino Diego, il quale entrò svogliatamente e si lasciò cadere su una poltroncina dello stesso colore rosso del divanetto. In mano aveva una statuetta di bronzo che ritraeva probabilmente un qualche suo parente, e ci stava giocherellando assumendo un’espressione annoiata. Ecco quello che Leon avrebbe definito ragazzo viziato; lo poteva sentire a pelle, e non era quell’abito elegante a dargliene l’impressione, non era nemmeno quello sguardo di superiorità che assumeva nei loro confronti, neanche il suo modo di toccarsi i capelli, sicuro del suo fascino. No, niente di tutto questo. Semplicemente era il suo atteggiamento di chi aveva passato una mattinata nella noia più totale, nonostante vi fosse stato un omicidio. Sembrava che la cosa non lo avesse turbato nemmeno un po’. Diego fece uno sbadiglio e poi cominciò a parlare: “Spero che il motivo per cui siate qua sia importante, ho una giornata molto piena”. Anche la sua voce era insopportabile; quella era proprio un’antipatia a pelle, e anche reciproca a quanto pareva perché lo guardò con disgusto e odio. “Faccio parte della polizia di Scotland Yard, e sono qui per rivolgerle alcune domande; è lei che ha ritrovato il corpo di Gregorio Garcia, giusto?” cominciò a parlare il signor Galindo, mentre Leon non si perdeva neppure una parola e la appuntava in fretta. “Il preside odiato da tutti, certo” assentì Diego, prendendo una sigaretta e accendendola con un accendino d’argento, dopo aver posato la statuetta su un tavolino in legno di ciliegio lì vicino. “In che senso, scusi?” chiese Pablo, incuriosito da quell’affermazione. “Andiamo, mi vuole far credere che non sapeva nulla di Gregorio? Era un notevole ficcanaso e ricattatore, non mi stupisce che prima o poi qualcuno avesse deciso di farlo fuori” spiegò il ragazzo, facendo una lunga tirata. Una voluta di fumo si disperse per la stanza, attraendo per un po’ lo sguardo del giovane che la vide lentamente scomparire. “E lei come fa a saperlo?” chiese Leon d’impulso. L’investigatore lo zittì con un’occhiataccia e poi riprese: “E lei come fa a saperlo?”. A Leon scappò un sorrisetto complice e continuò a scrivere. “Conoscenze. Frequentando il mio ambiente, sa non si può dire che siamo eccessivamente puliti, ma allo stesso tempo non vogliamo rimetterci la reputazione, capisce cosa intendo” spiegò meglio il ragazzo. “Torni a parlarci di quando ha trovato il cadavere” lo interruppe Pablo, non volendo sapere oltre. “Una mia compagna di classe mi ha detto che Gregorio mi stava cercando, io sono andato nel suo Studio, erano circa le 15 e 40, stavano per iniziare le lezioni, infatti mi sono molto sorpreso di quella chiamata. Comunque ho bussato e sono entrato, e ho trovato il corpo” continuò Diego. “Bene, ci sa dire il nome di chi l’avrebbe avvertita che Gregorio la stava cercando?” chiese l’investigatore. Momento di silenzio. “Natalia Herdier” disse infine il ragazzo molto tranquillamente. “Grazie mille per ora può bastare” disse Pablo, alzandosi di colpo. Leon si alzò anche lui di botto e rivolse un saluto freddo al loro primo sospettato. “E’ lui il colpevole” esclamò Leon, non appena furono usciti dalla casa. “E in che modo sei arrivato a queste conclusioni?” chiese l’uomo divertito. “Mi ascolti…Gregorio aveva scoperto qualcosa di poco pulito sul conto di Diego, lui è entrato nel suo studio e l’ha ucciso” spiegò Leon molto sbrigativamente. “Un po’ semplicistica come soluzione…non crede?” disse Pablo ridendo. Leon sbuffò rassegnato, poi recuperò il contegno: “Dove andiamo ora?”. “Vorrei andare a parlare con la signorina Natalia, per confermare le parole di Diego” spiegò brevemente prima di entrare in macchina, ma poi rimase fermo incantato. “Che le prende?” chiese l’assistente, che era già salito in macchina. “Niente…stavo pensando che la pistola, ossia l’arma del delitto, non è stata ritrovata e questo già di per sé è strano. Ma c’è un’altra cosa che non capisco: come mai nessuno ha sentito lo sparo?” rifletté attentamente l’investigatore. “Forse le pareti sono spesse, per questo…” azzardò Leon. “Forse ha ragione, chissà…c’è qualcosa che non mi convince in questo delitto, è come se mancasse un frammento importante” disse Pablo, prima di mettere in moto e dirigersi all’appartamento degli Herdier.
“Siamo arrivati” lo avvisò Pablo, accostandosi e parcheggiando. Una palazzina antica molto grande dal classico colore grigiastro si stagliava di fronte a loro in tutta la sua imponenza. “Bene, andiamo…” parlò Galindo, entrando e preparandosi mentalmente a fare migliaia di scalini. “Odio le vecchie palazzine” borbottò Leon con il fiatone. “Lasciamo…stare” disse Pablo, anche lui con il respiro corto. Finalmente arrivarono di fronte a una porta di legno con la scritta Herdier in bronzo. I due bussarono con una certa esitazione: aprì la porta una ragazza bionda dall’aria furba e lo sguardo cattivo. Una di quelle tipiche persone che vogliono il mondo ai loro piedi, non gli importa come e quando. “Salve, cosa posso fare per lei?” chiese la ragazza, fissando Leon con un certo interesse. “E’ lei Natalia Herdier?” chiese Pablo, riprendendosi da tutte le scale fatte. “No, ma sono la sua migliore amica, Ludmilla Ironly. Con chi ho il piacere di parlare?” disse Ludmilla riferendosi a Pablo, ma continuando a posare gli occhi sul suo apprendista. “Salve siamo di Scotland Yard, dovremmo parlare con la signorina Natalia” spiegò brevemente Pablo. “Capisco, prego entrate” disse lei come se fosse la padrona di casa. L’appartamento degli Herdier era molto semplice stile inglese ma si notava comunque un tocco elegante, ad esempio nella scelta dei tappeti di un colore rosa con ricami fini. Ludmilla li fece attendere, mentre andò a chiamare Natalia in camera sua. Leon diede un’occhiata alla teca di cristallo dove era conservata una collezione di francobolli piuttosto rari. Pablo invece prese uno dei sigari sul tavolino in vetro al centro della sala e se lo passò tra le mani. “Eccomi” disse la giovane Natalia, una ragazza mora dai capelli ricci e ribelli. Teneva sempre lo sguardo basso e cercava costantemente segni di approvazione dall’amica, anche solo per salutare. I due si sedettero su due poltroncine blu elettriche molto soffici, talmente tanto che Leon per un momento si sentì sprofondare. “Allora la volevamo interrogare riguardo ciò che potesse sapere sull’omicidio di Gregorio Garcia…quel giorno le è parso di vedere qualcosa di strano?” chiese Pablo interessato. “In effetti…” disse Natalia, per poi guardare il volto dell’amica che anche se impassibile sembrava le stesse dicendo qualcosa. “No, non ho visto nulla di particolare” aggiunse poi con un po’ di agitazione. “E’ stata con me tutto il giorno” si intromise Ludmilla con un sorrisetto. “Sapete chi portava di solito il caffè a Gregorio?” chiese improvvisamente Pablo, come se fosse stato riscosso da un sogno. “Beto ovviamente, lo sappiamo tutti” si intromise Ludmilla. “Un’ultima domanda. E’ vero che lei ha detto al signor Diego Hatter che il preside l’ha cercato?” chiese infine l’investigatore. Nata diede un’occhiata fugace a Ludmilla: “No, non l’ho nemmeno incontrato Diego. Sa siamo compagni di scuola e andiamo entrambi all’ultimo anno ma non alcun tipo di confidenza”. “Grazie mille per la cortesia, ora io e il mio assistente ce ne andiamo” disse Pablo, alzandosi. “Non vuole rimanere per un tè?” chiese Ludmilla con uno sguardo famelico, puntando il giovane dagli occhi verdi. “No, andiamo di fretta” disse Galindo salutando in fretta e andandosene.
“Hai fatto già colpo” disse Pablo non appena furono usciti. “Per favore quella ragazza è così…superba” disse Leon, avendo fatto una pausa per cercare l’aggettivo adatto. La sua mente tornò a quella ragazza incontrata in biblioteca l’altro giorno, Violetta Castillo. Le sarebbe piaciuto rivederla. Ripensò a quegli occhi pieni di determinazione e dolci allo stesso tempo, alle sue parole appassionate, alla sua personalità così misteriosa e affascinante. "E' chiaro che uno dei due ci sta mentendo" disse Pablo tranquillamente. "Diego sicuramente" rispose Leon. "Ti fai accecare un po' facilmente dall'antipatia, ragazzo mio. In più mi è parso che Natalia non ci abbia detto proprio tutto" continuò l'investigatore pensieroso. “Tra gli iscritti di quest’anno ho trovato una ragazza italiana” esclamò, dopo aver ridato un’occhiata all’elenco che gli era stato consegnato. Leon si riscosse come se gli avessero fatto una doccia gelida. Perfetto, adesso avevano degli indizi più concreti. Fino ad ora gli era sembrato di aver fatto una passeggiata inutile. “E’ stata una giornata molto interessante fino ad ora!” esclamò Pablo soddisfatto. Ecco appunto. Come faceva a smentire sempre ciò che pensava? Era davvero incredibile. “Io non ho visto nulla degno di nota…solo chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere” si lasciò scappare. “Gli interrogatori sono la cosa più importante, signor Vargas. E’ grazie a questi che è possibile capire la psicologia di ogni persona coinvolta e grazie ad ogni frammento che ti concedono si può arrivare alla soluzione del caso. Ognuno di loro possiede un pezzo di verità, ma il più delle volta non ne è consapevole, sta a noi capirlo” spiegò Pablo. I due si fermarono davanti a una graziosa villetta. Pablo accelerò il passo fino a bussare alla porticina che conduceva a un piccolo giardino antistante la villa. Una signora sulla quarantina dall’accento straniero, italiano probabilmente, rispose: “Cercate qualcuno?”. “Si, stiamo cercando Francesca Artico. Mi presento sono Pablo Galindo, investigatore di Scotland Yard” disse l’uomo presentandosi e mostrando il distintivo. I due entrarono nel giardino e videro Francesca in compagnia di un’altra ragazza. Leon rimase a bocca spalancata, perché di fronte come se fosse un angelo, con un semplice vestito bianco lungo, cinto alla vita da una fascia rosa, e una sorta di corona di margherite sul capo con un sorriso limpido e innocente, c’era proprio Violetta. Violetta Castillo, la ragazza a cui aveva pensato da quando l’aveva incontrata in quella polverosa biblioteca. 

NOTA AUTORE: rieccomi con il secondo capitolo di questo giallo intricato...e siamo solo all'inizio dei personaggi coinvolti in questo delitto...Che ve ne pare di Natalia e Ludmilla? Sicuramente Nata sta nascondendo qualcosa e Ludmilla le impedisce di parlare. Perchè? Sarà qualcosa di importante che riguarda l'omicidio? Inoltre qui qualcuno già inizia a mentire: Diego o Nata? Ho amato parecchi momenti di questo capitolo, primo tra tutti quello in cui Leon dice: "E lei come fa a saperlo?", Pablo lo zittisce e fa la stessa domanda xD Comunque i due sembrano avere diversi punti di vista...pochi indizi per ora e tanti dubbi: che fine ha fatto l'arma del delitto? Come mai non si è sentito lo sparo? Perchè Pablo è così interessato alla tazzina di caffé? E quelle misteriose parole che Gregorio stava scrivendo prima di morire? Il mistero si infittisce, e alla fine Leon incontra nuovamente la ragazza per cui si è preso una bella cotta, la misteriosa Violetta, amica di Francesca. Sarà implicata anche lei nel delitto? Cominciate a congetturare nelle vostre recensioni, voglio proprio sapere che ne pensate, nel prossimo capitolo vedremo altri personaggi coinvolti *-* Bien, credo di aver detto tutto...che le investigazioni abbiano inizio!!! Buona lettura a tutti e munitevi di lente d'ingrandimento xD

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Capitolo 3
*** L’interrogatorio a Francesca: qualcosa non quadra ***


Capitolo 3
L’interrogatorio a Francesca: qualcosa non quadra

Leon rimase a guardare Violetta esterrefatto, e allo stesso tempo felice. Il destino aveva deciso di farli incontrare nuovamente, anche se le circostanze non erano di quelle più favorevoli. “A cosa dobbiamo la vostra visita?” chiese Francesca, alzandosi dal prato su cui si era beatamente stesa per rilassarsi insieme all’amica. “Siamo di Scotland Yard e siamo qui per farle alcune domande” intervenne subito Pablo mentre il suo assistente era ancora sulla Luna o qualche altro pianeta alieno, che lui era sicuro fosse abitato solo da quella ragazza con la corona di margherite. Francesca sembrò turbata, e cominciò a torturarsi le mani mentre teneva lo sguardo basso. Violetta le prese la mano e la guardò con decisione: “Potete accomodarvi, chiediamo che ci venga servito il tè qui fuori”. I quattro si accomodarono ad un tavolino bianco sotto un ciliegio. “Bene, intanto direi di cominciare, signorina Artico. Ci può raccontare dove si trovava tra le due e le quattro?” chiese Pablo. “Io…” balbettò l’italiana per poi dare un’occhiata all’amica che le stringeva la mano. “Io sono stata allo Studio nella sala strumenti per provare una canzone” rispose la ragazza timidamente. Leon si era incantato di nuovo a guardare la signorina Castillo e a contemplare il suo viso dolce. Di tanto in tanto Violetta gli rivolgeva un’occhiata fugace accompagnata quasi sempre da un sorrisetto. Pablo si accorse della cosa e diede un colpo di tosse e una botta alla gamba del suo assistente, che si riscosse di colpo e cominciò a scrivere sul taccuino. “Era da sola?” chiese l’investigatore. “No, era con me” si intromise Violetta di colpo. Violetta e Pablo si stavano sfidando con lo sguardo…lei non avrebbe mai permesso che quel tipo cercasse di incastrare la sua amica. Non sapeva contro chi stava giocando al piccolo investigatore. “Direi che non c’è nulla da aggiungere allora” esclamò l’uomo alzandosi e lasciando spiazzata la sua avversaria. “Le dispiace, signorina Artico, se usufruisco del bagno, gentilmente?” aggiunse poi con un sorriso. Francesca annuì e lo accompagnò dentro casa. Erano rimasti solo Leon e Violetta nel giardino. “Quindi…conosce Francesca” esclamò Leon nel tentativo di intavolare una conversazione. Violetta si alzò lentamente e sfiorò il tronco dell’albero, fissandolo interessata. “Si, signor…” disse lei temporeggiando per fargli capire che non ricordava il nome dell’interlocutore. “Signor Vargas. Leon Vargas. Ci siamo incontrati ieri nella libreria del giallo. Mi sta dicendo che non si ricorda già di me?” chiese il giovane. Si alzò anche lui per raggiungerla. “Forse no, forse si. Io ricordo solo i nomi delle persone che mi colpiscono, che risultano interessanti ai miei occhi” spiegò Violetta, poggiando la schiena sulla corteccia ruvida e fissando quegli occhi verdi che la scrutavano. “Quindi io non sarei interessante?” sussurrò Leon avvicinandosi e poggiando il braccio destro sul tronco dell’albero. “Non saprei, forse non lo è abbastanza” rispose lei con un sorriso mentre lui si avvicinava sempre di più, facendole venire i brividi. Leon la osservò da vicino e dovette resistere di molto alla tentazione di baciarla lì, in quel giardino, in quel preciso istante. “Ecco fatto” disse Pablo uscendo e rovinando tutto il momento. Leon si allontanò con un balzo, colto di sorpresa, mentre la ragazza lo guardava divertita. I due salutarono (Leon tenne lo sguardo basso per tutto il tempo) e poi uscirono dalla villetta. “Quella Francesca Artico non me la racconta tanto giusta” spiegò Pablo con uno sguardo strano. “In che senso?” chiese Leon interessato. “Nel senso che mentre tu ci stavi provando con l’amica, io mi stavo occupando del caso e ho notato due particolari interessanti sulla famiglia di Francesca, semplicemente osservando delle foto sul comodino all’ingresso” spiegò Pablo. Il suo assistente divenne paonazzo: che figuraccia che aveva fatto con il suo capo! “Quali sono questi indizi, allora?” chiese Leon ancora più curioso. “Innanzitutto, il padre lavora nella polizia. Infine in una foto c’erano lei, la madre e il padre, e un ragazzo. Penso che Francesca si sia accorta della cosa, perché quando ci sono ripassato la foto non c’era più” spiegò Pablo. I due rimasero in silenzio a meditare: chi era quel misterioso giovane della foto? E perché Francesca non voleva che ne venissero a conoscenza? “Si sta facendo tardi, domani proseguiamo con le indagini…” concluse l’investigatore, accompagnando il suo assistente a casa per poi rincasare anch’egli.
Leon si aggirava nei pressi dello Studio 21; era notte e la sua ombra si fondeva con l’oscurità circostante. Vide una figura di schiena con in mano una pistola. “Sei in arresto per omicidio” urlò in modo deciso. Il misterioso assassino cominciò a correre lungo il giardino che circondava lo Studio 21. Leon fece uno scatto e si lanciò al suo inseguimento. Il cuore batteva all’impazzata per lo sforzo e la tensione. La figura gli puntò la pistola mentre cercava di allontanarsi, ma non sparò. Il giovane riuscì infine a raggiungerlo, per poi buttarlo a terra e intrappolarlo. Indossava un cappuccio nero che non gli permetteva di riconoscere il volto. Gli strappò subito il cappuccio e impallidì, perché tremante di fronte a lui con il fiato corto, Violetta lo stava supplicando con lo sguardo. Leon notò che aveva la guancia sporca di sangue. Non poteva essere…si portò le mani alla testa, allontanandosi da lei a tentoni. La ragazza lo guardò con freddezza: “Addio, signor Vargas”. Puntò la pistola contro di lui, già poteva sentire il freddo proiettile sfondargli il cranio…
“No!” urlò Leon, aprendo di scatto gli occhi con la fronte imperlata dal sudore. Era nel suo letto, protetto da una coperta grigia. Si alzò per andare in bagno; quando si guardò allo specchio gli parve di essere un cadavere per quanto era pallido. Si diede una sciacquata al viso e ritornò in camera per rimettersi a letto. Aveva paura. Si ricordò le parole di Pablo: è la paura che muove il mondo. Ma perché questa considerazione non lo faceva sentire meglio?
“Oggi interroghiamo gli insegnanti” spiegò Pablo al suo assistente con delle occhiaie incredibili. “Dormito male?” aggiunse poi con tono sarcastico. “Come l’ha capito?” rispose ironicamente Leon facendo un grosso sbadiglio. “Chiamalo intuito dell’investigatore. Ah, ti devo fare un discorso. So che ti piace quella ragazza, ma…come te lo posso dire?” disse Pablo. Cercava di trovare le parole giuste, ma non ci riusciva. “Non bisogna mischiare questioni di cuore col lavoro, soprattutto se si fa questo lavoro. Ti assicuro che la cosa mi è chiarissima” lo interruppe il giovane. “Bene Don Giovanni, vedo che ci siamo capiti” disse Pablo con una risata e dopo avergli dato una scompigliata ai capelli. I due arrivarono a un appartamento piccolo ma grazioso dove li stava attendendo la signorina Jackie, insegnante di danza allo Studio 21. Dopo i soliti convenevoli si misero tutti in salotto. “Quindi alla scuola siete solo lei, Angie e Robert gli insegnanti? E lei e Angie siete venute solo quest'anno?” chiese Pablo guardando la giovane donna con i capelli raccolti in un grazioso chignon. Aveva degli occhi castani davvero penetranti e li guardava con sincera curiosità. “Esatto, è proprio così. Se lo sa non capisco perché me lo viene a chiedere” rispose seccamente. “Volevamo solo sapere…alle 16 ci sarebbe dovuta essere la sua lezione. Alcuni studenti sono stati assenti?” chiese poi all’improvviso. “Ora che mi ci fa pensare, si. Mancavano… Maxi, un ragazzo col cappellino molto portato per il ballo, e Camilla, una mia apprendista da poco uscita dallo Studio 21; poi mancava Federico Rossi, un ragazzo italiano venuto qui quest’anno; Federico però non si è visto per tutto il giorno, e infine mancava anche…non mi viene il nome…” disse Jackie cercando di ricordare. “Francesca Artico?” azzardò Leon mentre si appuntava tutti i nomi. “No…ecco, mi è venuto. Violetta Castillo” aggiunse la donna soddisfatta. A Leon cadde la penna di mano…no, non ci voleva credere. Perché Violetta era mancata alla lezione, se fino a poco fa era stata con Francesca allo Studio 21? “Grazie mille…come ben sa l’omicidio è avvenuto tra le 14 e le 16 prima della sua lezione. Lei dov’è stata in questo lasso di tempo?” chiese Pablo. “Sono stata in aula professori, Angie e Robert, che noi chiamiamo Beto, glielo potranno confermare” spiegò lei con calma. “Un’altra domanda se me lo concede… Chi ha portato quel giorno il caffè al signor Gregorio?” chiese l’investigatore con una strana luce negli occhi. Leon ebbe l’impressione che dalla risposta dipendeva molto per la risoluzione del caso. “Gliel’ho portato io” spiegò l’insegnante. “Perfetto, era proprio ciò che volevo sapere. Mi permette un’ultima domanda? Conosceva Angie prima che arrivasse all’Accademia?” continuò l’uomo. “No, non la conoscevo” rispose velocemente Jackie. Sembrava un duello di domande e risposte, una vera e propria sfida tra titani. Pablo diede un’occhiata alla parete poi sorrise: “E’ lei quella?”. Stava indicando una foto in bianco e nero appesa sulla parete dove una ragazza era in procinto di eseguire un balletto. “Si, sono io” rispose lei con gli occhi che lentamente le diventavano lucidi. “Bene, ho finito, la ringrazio per la gentilezza…anzi prima mi può dire un’ultima cosa? Per caso ha visto Francesca fuori dall’aula strumenti?” chiese alzandosi in piedi. “Certo…si è affacciata in aula professori per chiedere uno spartito a Beto, e poi Angie l’ha mandata da Gregorio per avere dei documenti importanti” disse Jackie. “Che ore erano? Prima o dopo che lei ha portato il caffè?” la interruppe subito. “Penso le 15 e 45 circa, si, il caffè l’avevo già portato a Gregorio” spiegò Jackie. “Grazie mille, è stata gentilissima” disse l’investigatore soddisfatto.
“Si può sapere come mai le interessa così tanto questa tazzina di caffè?” chiese Leon quando furono fuori. “I risultati delle analisi chimiche dovrebbero arrivare a breve…” sussurrò l’investigatore, preso dalle sue considerazioni personali. “Adesso andiamo da Angie” propose Leon. “No, prima vorrei scambiare due parole con Robert” sentenziò Pablo.
L’appartamento di Beto rispecchiava pienamente il suo proprietario. Non appena entrato se Leon avesse dovuto esprimere con una sola parola quella casa avrebbe detto con sicurezza ‘confusione’. Non c’era niente, ma proprio niente, al suo posto, tutto sembrava essere lasciato in balia delle forze caotiche che regolavano quella casa. Il professore si presentò con due guanti da forno (a quanto pareva stava preparando un soufflé), e non appena li ricevette inciampò in alcuni spartiti che giacevano per terra abbandonati. “Perdonate, arrivo tra un secondo” disse Beto, per poi tornare in cucina. Il piccolo salotto che li accoglieva era occupato per lo più da orologi di tutti i tipi. Numerosi orologi a cucù erano appesi alle pareti, ed un enorme pendolo con i suoi ticchettii faceva saltare i nervi ai due poveri malcapitati. “Eccomi, perdonate, ma sono solo e la cena non si prepara certo da sè!” esclamò l’insegnante togliendosi i guanti e lanciandoli sul tavolino al centro della stanza in mezzo a qualche rivista. “Non si preoccupi, siamo qui solo per farle alcune domande… Prima di tutto vorremmo sapere chi è venuto tra le 14 e le 16 in aula professori e se possibilmente ci può informare di tutti i suoi movimenti” spiegò Pablo. “Bella domanda la sua… Sa, ho una memoria davvero corta, anzi cortissima. Comunque dopo pranzo ho pensato che la giornata fosse perfetta, merito forse di quella meravigliosa brioche ripiena di crema” cominciò a dire Beto, con gli occhi sognanti che ripensavano alla crema, mentre Leon lanciò uno sguardo perplesso al suo capo. “Poi…sono stato tutto il giorno chiuso dentro la sala professori per sistemare alcune cose. Jackie si è offerta di portare il caffè a Gregorio e io ho accettato, anche se le ho dato alcune raccomandazioni. Gregorio è una persona pignola, ha la sua tazzina, la sua temperatura ottimale per il caffè, la sua quantità di zucchero. Le ho preso la tazzina di Gregorio e le ho dato le istruzioni necessarie. Poi mentre Jackie preparava il caffè è entrata Nata che si è fermata a fissare Angie, mi pare, e poi ha cominciato a balbettare qualcosa riguardo alcuni compiti che avrebbe dovuto fare prima delle vacanze. Ha fissato terrorizzata le due insegnanti ed è uscita, forse non se le aspettava lì” cominciò Beto. “E questo quando è successo?” chiese Pablo scattando in piedi. “Non ne ho idea…forse alle 15 e 20, massimo 15 e 30. Comunque sono entrati altri studenti:Ludmilla, un ragazza bionda che frequenta lo Studio 21, che stava cercando Nata e Francesca, che era venuta per non mi ricordo quale motivo. Ah, si doveva chiedere uno spartito a me, perché Jackie le aveva dato da fare un lavoro durante la mattinata su una musica che avevo. E in quel momento Jackie ha chiesto ad Angie di prendere dei documenti nello studio di Gregorio, la quale ha detto che non sarebbe potuta andare a causa di alcuni compiti da svolgere. Angie ha delegato a Francesca che si è diretta nell’ufficio di Gregorio” mormorò Beto. “E l’avete vista entrare?” chiese Pablo. “Come avremmo potuto, scusi?” ribatté l’insegnante sistemando i suoi occhialetti, mentre si passava la mano sulla chioma ribelle scurissima. “La ringrazio, se avremo bisogno di altro le faremo sapere” disse Pablo. Non appena furono usciti, si guardò intorno soddisfatto: “Ora non resta che aspettare il risultato delle analisi. Parliamo con Angie e abbiamo concluso per oggi. Ci rimangono gli ultimi tre sospettati da interrogare: Maxi, Camilla e quel Federico”. I due si diressero in fretta all’appartamento dell’ultima insegnante. Bussarono alla porta e venne ad aprirgli una donna bellissima: capelli dorati e ondulati, occhi di un verde-azzurro che ispiravano innocenza e un sorriso dolce e semplice. Questa volta fu Pablo a rimanere colpito da quella visione, ma poi si riprese per quanto gli fosse possibile: “Salve sono l’ispettore Pablo Galindo, e sono qui per farle alcune domande riguardo l’omicidio di Gregorio Garcia”. La donna si rabbuiò subito e li fece accomodare nel salotto, una stanza arredata con gusto senza alcun eccesso. Ogni mobile, ogni colore sembrava essere messo lì per un motivo, e il tutto dava un’idea di equilibrio. Angie indossava un vestito molto estivo con motivi floreali con tonalità che partivano dal blu e sfumavano nel violetto. “Le volevamo innanzitutto chiedere dei suoi spostamenti tra le 14 e le 16 il giorno dell’omicidio” iniziò Pablo. Fin qui confermò tutto ciò che avevano detto i suoi colleghi: era stata tutto il tempo nell’aula insegnanti. “Però devo dire che ho visto qualcosa di strano…” sussurrò Angie chinando leggermente il capo, come se stesse pensando se fosse giusto dirlo oppure no. “La prego ci dica” disse Pablo posando teneramente la sua mano sul suo braccio per spingerla a parlare. “Dalla finestra dello Studio mi è parso di vedere qualcuno, uno dei miei studenti, non mi viene il nome, allontanarsi dalla scuola” spiegò la donna. “Ci sa fare una sorta di identikit?” si intromise Leon. “Si, credo di poterlo fare. Il nome non lo ricordo, sa sono arrivata quest’anno alla scuola, ma so che mi ha incuriosito il fatto che porta sempre un cappellino, una cosa un po’ strana non trovate?” disse Angie con gli occhi velati di tristezza. Già…strano. Quel Maxi non l’avevano ancora interrogato, ma sembrava nascondere qualcosa, come tutti d’altronde. “Grazie mille, le sue informazioni ci sono state preziosissime” disse Pablo. Si alzò, le baciò la mano con fare galante e uscì seguito da Leon. “Le sue informazioni ci sono state preziosissime” gli fece il verso sottovoce mentre tratteneva a stento le risate. Il suo capo si girò per guardarlo male, e subito lo zittì. “Non aveva detto lei che non ci devono essere questioni di cuore durante le indagini?” ghignò Leon soddisfatto. “Che faccia tosta!” esclamò Pablo, cercando di nascondere il viso rosso per l’imbarazzo e entrando in macchina. Non appena arrivarono alla centrale gli venne incontro uno degli agenti, sembrava piuttosto preoccupato. “Signore, abbiamo pessime notizie. Abbiamo contattato gli altri sospettati per l’omicidio, pregandoli di non lasciare la città” cominciò a spiegare il collega. “E quindi?” chiese tranquillamente Galindo, passandosi una mano sulla barba. “E quindi…il signor Maxi Slicely è scomparso”. 

NOTA AUTORE: Eccomi con un nuovo capitolo del giallo...adesso non avete scuse! Gli indizi cominciano lentamente a prendere forma, è il momento di cominciare a formarsi un'idea proprio come il nostro investigatore Galindo. A parte la scena Leonetta (*-*), devo dire che sono abbastanza soddisfatto di questo capitolo. Perdonate il ritardo, ma mi sono dovuto concentrare sulle dinamiche e sugli indizi per non sparare cavolate e cercare di rendere tutto il più chiaro possibile. Francesca ha molte cose da nascondere...e Maxi è scomparso! Avrà a che fare con l'omicidio del preside Garcia? Non lo sappiamo, non ancora almeno. Spero che questo giallo stia continuando a prendervi. Dai, cominciate a fare ipotesi, voglio sentire la vostra! Questa tazzina di caffé per Galindo riveste un ruolo importante... sarà davvero così? In tal caso Jackie risulta molto sospetta...beh, penso di aver detto tutto, alla prossima ;)

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Capitolo 4
*** Fondi di caffè e Dipinti misteriosi ***


Capitolo 4
Fondi di caffè e Dipinti misteriosi

“Scomparso?” chiese sorpreso Leon, non riuscendo a credere a quelle parole. La posizione del ragazzo si sarebbe aggravata non appena ritrovato. Pablo si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi. Doveva riflettere: l’interrogatorio ai tre insegnanti gli aveva dato parecchi indizi, ma c’era ancora qualcosa di poco chiaro. La prima cosa da fare forse era ispezionare l’appartamento di Gregorio per saperne qualcosa di più. “A cosa sta pensando?” chiese l’assistente, avendo notato il suo viso concentrato. “Ho tre domande nella mia mente che devono trovare risposta. Perché non si è sentito lo sparo? Che ruolo riveste la tazzina di caffè nel delitto? E l’ultima, ma non meno importante: chi è il personaggio della foto che ho visto in casa di Francesca?” esclamò Pablo. “Solo queste tre domande? Davvero? Io ne avrei altre centomila” specificò Leon. “Queste sono le questioni che mi preme di più risolvere” rispose seccamente l’uomo. “Parliamo con Camilla Torres? Potrebbe aver visto Maxi, visto che era assente anche lei alla lezione di Jackie” propose il ragazzo. Sarebbero dovuti tornare a scuola, e lui ne avrebbe approfittato per dare un’occhiata al giardino sul retro della scuola per trovare indizi. Non appena arrivarono, Galindo si diresse nell’aula di danza per interrogare la giovane. “La raggiungo dopo…vorrei prima verificare alcune cosa se me lo permette” spiegò l’assistente. Una volta ottenuto il consenso del capo, fece il giro della scuola e cominciò a perlustrare la zona. Niente…si avvicinò alla finestra dell’ufficio di Gregorio. Tutto normale, o almeno così gli pareva. Cercò di scavalcare la finestra, e ce la fece tranquillamente; chiunque avrebbe potuto farlo, non ci voleva alcuna abilità particolare. Dopo averla scavalcata nuovamente, ebbe occasione di sentire una parte di una conversazione: “Non ce la faccio più!”. Quella voce gli era familiare: si trattava di Natalia, ma con chi stava parlando? Si mise dietro un cespuglio continuando ad ascoltare; “Natalia, non essere sciocca, dobbiamo giocarci bene questa carta”. Anche quella voce gli era nota: era l’amica bionda di Natalia, Ludmilla. “Ma, se poi…” cominciò a dire la mora, bloccandosi di colpo. Un fruscio colpì la loro attenzione; “Qualcuno ci sta spiando?” chiese Natalia spaventata. “Silenzio! Andiamocene da qui” sibilò l’altra con un tono serio. Leon uscì dal suo nascondiglio non appena fu sicuro che si fossero allontanate: qualcun altro oltre lui aveva seguito quella conversazione.
“Allora, signorina Torres è sicura delle sue parole? Non ha avuto occasione di vedere il signorino Maxi?” chiese Pablo, guardando negli occhi la ragazza. Camilla era una bellissima ragazza con il fisico da ballerina, capelli castani con alcuni riflessi color rame, occhi vispi scurissimi e un sorriso vivace. “Certamente no” rispose la giovane con un certo nervosismo. “E mi sa dire come mai il giorno del delitto lei non era presente alla lezione di Jackie?” la interrogò nuovamente. “Io…non mi sentivo molto bene, quindi me ne sono andata via prima” disse Camilla. “Signorina Torres, siamo di fronte a un delitto, e non è il momento di indugiare. Se sa qualcosa me lo deve dire…” la incoraggiò l’investigatore. Un minuto di silenzio calò nella stanza; Camilla sembrava incerta sul da farsi, voleva parlare, ma era come se qualcosa la frenasse proprio all’ultimo: “Non ho nulla da aggiungere…e ora se me lo permette dovrei andare”. Pablo annuì e la guardò allontanarsi; sicuramente gli nascondeva qualcosa, ma non aveva avuto la forza di parlare. Aveva solo paura che quando si fosse decisa sarebbe stato troppo tardi.
Leon si sedette rassegnato su una panchina con aria afflitta: non aveva trovato nulla di nulla e per questo era alquanto depresso, quando qualcuno si sedette accanto a lui. “Signorina Castillo” esclamò il giovane, illuminandosi di colpo alla sua vista. Violetta gli sorrise guardandolo negli occhi: “La vedo un po’ abbattuto”. “Non ho trovato alcun indizio per quest’indagine” spiegò deluso, ma poi aggiunse: “Però vederti mi ha reso davvero felice”. La ragazza, che prima si era irrigidita di colpo al sentire la parola 'indizio', arrossì piano. Le aveva dato del tu, e in quell’atmosfera così particolare il cuore cominciò a batterle forte. Con la mano sfiorò la sua mentre continuava a fissarlo, a perdersi in quegli occhi verdi. A quel punto Leon non seppe resistere e si avvicinò sempre di più, chiudendo lentamente gli occhi. Violetta fece lo stesso quasi inconsciamente finché le loro labbra non si sfiorarono per poi andare a combaciare perfettamente. Il giovane le prese la mano e la accarezzò delicatamente, mentre continuava a baciarla con sempre più passione. Violetta dischiuse le labbra per approfondire ulteriormente quel bacio. Posò la mano destra sulla sua spalla, mentre la sinistra era ancora stretta in quella di Leon. Si separarono lentamente, come se volessero assaporare ogni momento di quello che era successo, come se stessero facendo una gran fatica per allontanarsi. Leon sentì di non riuscire nemmeno a respirare tanto era emozionato: “Io...non riesco a crederci”. Frase banalissima, al limite del demenziale, ma in quel momento non era in grado di dire nient’altro. Violetta lo guardò ancora rossissima e prendendogli il viso tra le mani lo baciò nuovamente. Sentiva il bisogno di sentire il calore di quelle labbra, tutto gli dava un senso di protezione che desiderava profondamente. Quando si separò però nei suoi occhi stavolta si poté leggere unicamente tristezza: “E’ stato un errore, uno sbaglio. Non ci possiamo più vedere”. Si alzò velocemente, ma Leon altrettanto rapidamente scattò in piedi e le afferrò il braccio: non poteva lasciarla andare così, non senza una spiegazione. Si avvicinò nuovamente fino a poggiare la fronte sulla sua, guardandola innamorato. Violetta si liberò dalla presa e mise le mani avanti per allontanarlo, finendo col poggiarle sul suo petto. Era in grado di sentire il battito accelerato del suo cuore, e si sentì in colpa per aver fatto innamorare quel ragazzo. Un amore che non avrebbe mai potuto ricambiare, non in quel momento della sua vita. Leon la guardava come se davanti a sé avesse un oggetto prezioso da custodire con tutte le sue forze, desiderava proteggerla da tutto e da tutti, e non si sapeva spiegare nemmeno lui il perché. “Violetta!”. Una voce interruppe quel contatto visivo e quella stretta che univa i loro corpi. “Arrivo subito, Francesca” esclamò la ragazza, allontanandosi piano. Si voltò di scatto e cominciò a correre in direzione dell’amica. Non poteva voltarsi, non voleva leggere la delusione nei suoi occhi.
“Qui abbiamo finito” esclamò Galindo avvicinandosi al suo assistente, buttato sulla panchina con uno sguardo perso nel vuoto e il morale a terra. Sembrava quasi che un treno l’avesse messo sotto. “Ma a quanto pare, qui le cose non vanno bene. E’ successo qualcosa?” chiese premurosamente. “Niente, niente, sono solo un po’ stanco…” sussurrò Leon, mettendosi in piedi. Non voleva pensarci: aveva delle responsabilità in quel caso e non poteva mandare la sua carriera per una cotta che sicuramente col tempo sarebbe passata. Ritornarono in fretta nell’ufficio del signor Galindo per sapere se fossero arrivati i risultati dell’analisi della tazzina di caffè. Ancora niente di nuovo. I due aspettarono in silenzio nello studio; Pablo si era messo seduto con i piedi sulla scrivania, mentre Leon faceva avanti e indietro lavorando al suo archivio. D’un tratto il giovane si fermò e prese un foglio per sedersi di fronte al suo mentore: “Ricapitolando…Diego trova il corpo di Gregorio, Maxi scompare, Jackie porta il caffè al direttore, ma poi non entra più nel suo studio. Dopo nella sala professori arrivano Nata, Ludmilla e infine Francesca, alla quale viene richiesto di andare da Gregorio. Quindi, facendo i conti entrano nell'ufficio del direttore solo Jackie, Francesca e Diego. Però ho notato che è possibile entrare anche dalla finestra che da sul giardino sul retro senza essere notati, quindi risultano sospetti tutti quelli che erano allo Studio… primo tra tutti Maxi che è scomparso all’improvviso. Potrebbe essere anche stato ucciso perché ha visto qualcosa” riepilogò scrupolosamente l’assistente. “Esatto, ma i tre professori sono esclusi, visto che sono stati tutto il tempo in aula professori. Inoltre dobbiamo capire perché Maxi e Camilla non si sono presentati alla lezione di Jackie, come anche la signorina Castillo che eppure è stata tutto il giorno alla scuola” aggiunse Pablo pensieroso. “E dobbiamo perquisire l’appartamento di Gregorio, penso lo faremo domani mattina, per fortuna abbiamo messo qualcuno a sorvegliarlo, per evitare intrusioni” concluse poi con un sospiro. “Il passato di tutti questi individui allo Studio…Non capisco, nessuno sembra aver avuto a che fare con Gregorio” disse Leon confuso. “Già così pare, ma ho chiesto ad alcuni agenti di svolgere delle indagini in un luogo in particolare” disse Pablo. “In Italia, vero? Quella lettera che Gregorio aveva scritto, parlava di qualcuno, di una donna che veniva dall’Italia” ipotizzò il giovane. “Esatto. Gregorio è di nazionalità italiana ed è venuto a Londra da giovane. Ho scoperto che Jackie, Angie, Francesca e Federico vengono dall’Italia” disse Pablo. “Angie non le sembra un po’ sospetta? Insomma, perché non è voluta andare nello studio di Gregorio? Forse sapeva già che era morto e non voleva trovarsi nel luogo del delitto?” chiese l’assistente, portandosi una matita alla tempia e grattandosi piano. “Tutto ancora da scoprire, ma è solo questione di tempo, anche perché se quello che penso è vero…” esclamò l’investigatore, preso dalle sue riflessioni. Qualcuno bussò alla porta. “Avanti” disse l’uomo con una punta di emozione nella voce. Entrò uno degli agenti in divisa con una busta giallognola in mano. Gliela porse in tono confidenziale ed uscì, seguito con lo sguardo da Leon. “Qui dentro c’è la possibilità di fare grandi progressi nella risoluzione del caso…” sussurrò Pablo. “Che aspetta? La apra!” esclamò Leon agitato. L’investigatore si alzò in piedi, camminando nervosamente: “Deve essere come dico io! Insomma altrimenti nulla avrebbe senso…e poi…si, deve essere per forza così”. Staccò il sigillo con forza, lasciandolo cadere per terra, ed estrasse alcuni fogli con i risultati. Li lesse attentamente…saliva, caffè e… “Allora?” chiese il giovane, non riuscendo più a trattenersi. Pablo teneva gli occhi fissi sul foglio e quando li rialzò sembrava distrutto: “Semplice caffè. Non c’è niente di strano in quella tazzina. Siamo a un vicolo cieco. L’assassino si è burlato di me, mi ha fatto credere possibile qualcosa che non lo era. Dobbiamo ricominciare daccapo, andiamo subito a interrogare Federico Bianchi per conoscere i motivi della sua assenza quel giorno allo Studio”. Era affranto: come poteva aver preso una cantonata di quel genere? Ora doveva ricominciare da capo, considerando altre eventualità; ma in quel modo l’omicidio era assurdo! Non si sapeva spiegare come fosse possibile. Arrivarono in una piccola villetta accogliente, dove li accolse una giovane donna, probabilmente la domestica. “La prego di attendere qualche minuto, il signorino Bianchi arriverà tra poco” disse la donna dagli occhi azzurri e profondi. I due aspettarono un po’ in quella sala di attesa, mirando i pavimenti il parquet ben curato e lucente, e dei quadri pregiati di artisti per lo più sconosciuti. “Questo è davvero molto bello” disse Leon, indicandone uno che colpì la sua attenzione. “Quella è la Maddalena del Caravaggio” esclamò qualcuno alle loro spalle scendendo le scale. Il giovane Federico Bianchi si avvicinò a loro con un sorriso. Era pallido in viso, ma conservava il fascino che lo contraddistingueva: capelli di un colore castano scuro, occhi scurissimi anch'essi e un'elegeanza nel modo di camminare e parlare invidiabile; indossava una vestaglia di un color rosso porpora. “Mi piace quel quadro, l’espressione della Maddalena così sofferente, ma allo stesso tempo piena d’amore, come è chiaro nel modo in cui tiene unite le mani…non sembra anche a voi la perfezione? Ovviamente questa ne è solo una copia” spiegò il giovane italiano, mettendosi in mezzo a loro due. Osservava il quadro meravigliato, e in effetti Leon non poté dargli torto. La donna nel dipinto era seduta con lo sguardo chino mentre al lato sinistro si vedevano alcuni gioielli e collane buttate per terra come se non valessero nulla. Aveva ragione il giovane Bianchi: quel volto, quegli occhi trasmettevano emozioni contrastanti. Pace e sofferenza; amore e dolore. Tutto in una sola persona, in un solo sguardo. “Ma non credo siate venuti qui per parlare di arte, o sbaglio?” esclamò ad un certo punto l’italiano, muovendosi verso una piccola porticina in legno, al lato sinistro della scalinata. I tre entrarono in uno studio poco usato con numerose mensole e libroni enormi. “Mio padre è un medico e un ricercatore molto rinomato, siamo venuti qui per i suoi studi. Tutta robaccia a mio parere, preferisco di gran lunga l’emozione che può dare una singola nota creata con cura da un musicista che accorda il pianoforte. Voi uomini di scienza e di logica…chi vi capisce è bravo!” esclamò sedendosi su una poltroncina di velluto blu. Diede qualche colpo di tosse, e Pablo gli chiese premurosamente se non stesse poco bene. “Ormai è qualche giorno che sono malato, febbre batterica come dice mio padre. Io la chiamo semplicemente influenza, ma alcuni miei amici mi sono venuti a trovare e mi hanno raccontato tutto quello che è successo. Come posso esservi utile?” disse il giovane. “In realtà volevamo sapere appunto come mai non fosse venuto alla scuola quel giorno, ma a quanto pare c’è una spiegazione plausibile” esclamò l’investigatore Galindo con un sorriso rassicurante. “Beh, allora possiamo anche andare” si azzardò a intervenire Leon. “Già che ci siamo però qualche domandina gliela farei…riguardo il primo giorno allo Studio…quando sono stati presentati i nuovi insegnanti, intendo. Questo è il primo anno che frequenta lo Studio, vero?” lo interrogò Pablo. “Esatto. Impressioni del primo giorno, quindi…beh, Gregorio si è mostrato molto severo e rigido, ma era anche stranamente nervoso. E pallido, sembrava avesse visto un fantasma; aveva guardato in mezzo a noi nuovi arrivati e per poco non sveniva, poi aveva rivolto lo sguardo anche agli insegnanti e gli è preso un altro colpo! Non mi chieda il perché, non ne ho proprio idea!” rispose cortesemente l’italiano, tirando un altro colpo di tosse. Leon si alzò e cominciò a osservare alcune teche nella stanza tra cui quella in cui erano riposte con cura siringhe di ogni grandezza. Non appena furono usciti Pablo guardò con attenzione la casa. “Qualcosa ti preoccupa?” chiese Leon notando il suo stato d’animo. “Niente, solo che quel ragazzo…è strano” osservò semplicemente. “Bene, sbattiamolo in cella per la sua stranezza allora” esclamò ridendo l’assistente. “Hai visto come guardava il dipinto? Era così preso…” gli fece notare. “Anche a me ha affascinato molto, ma che c’entra?” chiese curioso. “Non lo so…ma nasconde qualcosa anche lui, come tutti d’altronde, maledizione! Ogni volta che interroghiamo qualcuno, quello dopo ci porta su una pista completamente diversa” esclamò Pablo rientrando in macchina.
Il giorno dopo era quasi ora di pranzo. Leon stava continuando a lavorare al suo archivio, mentre Pablo rifletteva. Quella mattina non aveva spiccicato parola, fino a quando la porta del suo studio non venne spalancata con forza. “Signore c’è stato un altro omicidio. La vittima è stata ritrovata nei pressi del giardino della scuola” dissero due agenti. Leon rabbrividì: lo sapeva! Quel povero ragazzo, Maxi, doveva essere stato ucciso. “Di chi si tratta?” chiese Pablo con un tono freddo e professionale, che però nascondeva una fortissima ansia. L’agente fece un profondo respiro: “Si tratta di Natalia Herdier. E’ stata strangolata” 

Ecco il dipinto a casa del giovane Bianchi (bellissimo *-*):



NOTA AUTORE: eccoci a un nuovo capitolo di questo entusiasmante (?), ok questo me lo dovete dire voi xD, giallo. Devo dire sono soddisfatto del lavoro fatto in questo capitolo (e capita raramente): c'è azione, suspense, mistero e romanticismo (non parliamone della parte, Leonetta, sto ancora sclerando). Bene, sempre più indizi, ma anche tanta confusione. E la tazzina a quanto pare non era poi così fondamentale, il povero Galindo ha preso una bella cantonata. fgfgfgfgfgfgf Non li commento, lascio a voi questo compito *fa finta di non aver scritto la scena leonetta* e niente...che ve ne pare? Mi è piaciuta molto la scena in casa Bianchi...tra parentesi devo dare i crediti a DULCEVOZ per il cognome di Federico; ho utilizzato questo che lei ha usato in una sua storia perché trovavo calzasse a pennello, ma se l'autrice non è d'accordo posso sempre cambiarlo ;) In tutto ciò non altro da aggiungere. Anche la povera Nata ha fatto una brutta fine...come mai? Bene, formulate le vostre ipotesi, perchè il giallo continua....Un nuovo omicidio, nuove prove e personaggi misteriosi...cosa succederà nel prossimo capitolo?? Lo scopriremo più in là ;) Buona lettura a tutti :D

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Capitolo 5
*** Perché Natalia non ha parlato? ***


Capitolo 5
Perché Natalia non ha parlato?

Francesca era buttata sul letto. Non riusciva a pensare a nulla, era distrutta. Il suo viso era pallido ed erano un po’ di giorni che non aveva appetito, ma d’altronde visto tutto quello che stava succedendo era più che normale. Erano ancora le sei di mattina, eppure era sveglia. Non riusciva a dormire in quei giorni. Si alzò senza far rumore e si vestì come se si preparasse per andare a scuola. Si sedette ai piedi del letto, con lo sguardo fisso nel vuoto. La sua amica Violetta le aveva detto come comportarsi, doveva rimanere in silenzio, ma quel peso così opprimente la stava distruggendo. Si avvicinò al cassetto e tirò fuori una cintura nera per tenere ferma la gonna. Prese le chiavi di casa, lo zaino per la scuola e uscì di casa sempre senza fare rumore. Il chiarore dell’alba illuminava debolmente la via su cui si affacciava la villa degli Artico. Respirò a pieni polmoni quell’aria fredda, e improvvisamente le immagini di un giovane ragazzo comparvero nella sua testa. Freddo, acqua, dolore… Si mise le mani sul viso e cominciò a piangere, apparentemente senza un vero motivo. Era terribile convivere con quei ricordi, ma aveva promesso a se stessa che non avrebbe dimenticato, e che non avrebbe perdonato. La giustizia aveva cominciato a lavorare, e sentiva che tutto ormai era finito. Avvertiva la pace del riscatto, e si beò di quella vendetta che finalmente si era compiuta.
Leon rimase scioccato alla vista del corpo della giovane spagnola, rinvenuta nei pressi del giardino. Aveva il viso bianco come il latte e gli occhi ancora spalancati per lo stupore. Vicino al luogo del delitto era stata ritrovata una cintura nera, gettata in un cespuglio; probabilmente si trattava dell’arma con cui l’assassino aveva strangolato la ragazza. Non poteva credere che esistessero persone tanto crudeli da uccidere una studentessa innocente. Nella tasca della gonna della vittima avevano ritrovato un biglietto con su scritto: ‘Vediamoci alle 7 di mattina, prima che la scuola apra. Dobbiamo parlare, Ludmilla’. “Di questo biglietto non deve venirne a conoscenza nessuno” esclamò Pablo serio. “Sapevo che nascondeva qualcosa riguardo il delitto di Gregorio, ma non pensavo che anche l’assassino l’avrebbe scoperto” aggiunse poi pensieroso. Il corpo venne depositato su un lettino e venne portato via coperto da un telo bianco. “Forse l’assassino ha sentito quella conversazione…” pensò a voce alta il giovane Vargas. “Quale conversazione?” chiese curioso il capo. Leon si era scordato di riferire ciò che aveva sentito il giorno prima. “La signorina Natalia ha detto di non poter sopportare più la situazione, ma Ludmilla, la sua amica, gli ha detto di non essere sciocca e di continuare in quel modo, perché si dovevano giocare bene le loro carte. Natalia non mi sembrava molto convinta della cosa. Poi hanno sentito un rumore come di un ramo spezzato e hanno smesso di parlarne, sembravano preoccupate. Forse l’assassino ha sentito tutto” spiegò l’assistente senza smettere di rimuginarci sopra. “Leon! Ma ti rendi conto che mi hai nascosto qualcosa di fondamentale importanza? Se tu mi avessi riferito prima di quella conversazione, forse avremmo potuto salvarla in tempo. Si può sapere che ti è preso?” lo aggredì Pablo infuriato. Leon abbassò lo sguardo afflitto: aveva ragione. Si era completamente dimenticato di dire tutto a Pablo, a causa del bacio che si era scambiato con Violetta. Era stato un inetto. “Io…” balbettò cercando una qualche scusa. Non aveva giustificazioni, era stato solo uno sciocco. “Niente scuse, Leon. Spero che ti ricorderai bene di Natalia, la ragazza che hai condannato a morte” ribatté con freddezza, allontanandosi a passo svelto. Leon si sedette per terra con le mani sul volto: voleva piangere per come si era comportato, e per aver contribuito alla morte della giovane Natalia.
Pablo camminò nervosamente: forse aveva reagito in modo esagerato. Era ancora un principiante in quel campo, è pur sempre umano commettere errori; ma suo padre gli aveva insegnato fin da piccolo a non sbagliare, a valutare attentamente ogni singolo indizio, a cercare di evitare inutili morti. E questa era stata una morte veramente inutile. Lui avrebbe potuto proteggerla, avrebbe potuto affidarle una scorta perché non le succedesse niente di male. Da quello che aveva capito, Ludmilla sapeva bene cosa avesse visto Natalia di così importante. Non riusciva a evitare una domanda nella sua testa: perché Natalia non aveva parlato? Perché si era tenuta quel segreto fino alla tomba? Forse aveva cercato di ricattare l’assassino? No, non le sembrava il tipo. Quando l’aveva interrogata la prima volta aveva visto una ragazza insicura, non la vedeva capace di attuare un piano così rischioso. Avrebbe ricominciato con gli interrogatori, ma prima aveva intenzione di perquisire l’appartamento di Gregorio per saperne qualcosa di più.
Pablo infilò le chiavi nella toppa arrugginita di una porta massiccia di legno. Entrò in un vecchio appartamento dall’aria triste e squallida. Era il momento di cominciare a dare un’occhiata. Ispezionò da cima a fondo ogni angolo della casa, ma nulla. Trovò solo alcune lettere indirizzate al padre che dovevano essere spedite; non contenevano nulla di interessante eppure c’era qualcosa che non gli quadrava. Ne prese una e la mise in tasca, promettendo a se stesso che nel suo studio gli avrebbe ridato un’occhiata. Nel salotto trovò un piccolo tavolino in legno ben rifinito e poltrone eleganti. Gregorio doveva avere un bel patrimonio da parte per permettersi mobili di quel genere, ma allora non si sapeva spiegare come mai vivesse in quel posto tanto angusto. Sulla parete del corridoio all’ingresso vi era un quadro di quello che doveva essere un suo parente, viste le somiglianze fisiche. Alcuni tratti erano in tutto e per tutti uguali a quelli di Gregorio, come ad esempio il mento pronunciato, il taglio degli occhi. Gli occhi scurissimi erano anch’essa una caratteristica di famiglia, eppure c’era qualcosa di strano. Scacciò via quel pensiero e uscì, richiudendo tutto per bene. Mentre scendeva le scale lentamente vide venirgli incontro Leon, ancora abbattuto, ma non per nulla arreso. “Come mi hai trovato?” chiese Pablo ancora arrabbiato. Sapeva di dover perdonare quel ragazzo, in fondo era ancora alle prima armi, ma qualcosa continuava a frenarlo:
‘Pablo correva felice; finalmente ce l'aveva fatta. Stringeva il libro nelle mani, quel libro che tanto aveva penato per trovare. Entrò dentro casa e si buttò sulla prima sedia trovata per cominciare a leggere; per essere un bambino di dieci anni era molto amante della lettura. Soprattutto amava i gialli; li divorava in meno di una settimana, e si divertiva a ricreare in casa la scena del delitto con tutti gli indizi, poi tirava fuori la sua lente d’ingrandimento, che il padre gli aveva regalato, cominciava a far finta di essere l’investigatore in questione e provava a risolvere il giallo. Quel giorno già dalle prime pagine si era fatto un’idea dell’assassino. Puntava tutto sulla risoluzione del caso, senza contare che avrebbe potuto commettere errori. In quel preciso istante rincasò il padre con aria stanca, ma soddisfatta. Un altro caso difficile per Scotland Yard era stato risolto. Era un lavoro faticoso quello dell’investigatore, ma qualcuno doveva pura farlo, qualcuno di capace e dal giusto intuito. “Cosa sta leggendo il nostro ometto oggi?” chiese l’uomo scompigliando i neri capelli del figlio con fare affettuoso. “Indovina?” chiese la madre con tono ironico affacciandosi. Ogni giorno per lei era una scommessa, e dire che ormai ci aveva fatto l’abitudine era una bugia. Sapeva benissimo che i rischi del mestiere erano moltissimi e che un giorno avrebbe potuto non vederlo varcare quella soglia. Le prima notti di matrimonio non riusciva a dormire a causa degli incubi che gli provocavano quelle paure; adesso per fortuna era riuscita a convivere con quell'angoscia. “Un giallo!” esclamò soddisfatto il ragazzino, con gli occhi che gli brillavano emozionati. “E il colpevole è…” disse il padre, subito interrotto dal piccolo Pablo: “Sicuramente il marito della ricca ereditiera”. “E se sbagliassi?” chiese curioso. “In tal caso non ci sarebbe nulla di male, basta ricominciare le indagini da capo, no?” ribatté dubbioso Pablo. “No, non funziona così. Non puoi prendere nulla alla leggera, perché sbagliare in questo mestiere significa rischiare anche la morte di innocenti in alcuni casi. Capisci cosa intendo?” spiegò il padre con dolcezza e serietà allo stesso tempo’
“Ti ho seguito, grazie ad alcune indicazioni di agenti alla stazione di Scotland Yard” rispose Leon, evitando il suo sguardo. In fondo gli faceva pena quel ragazzo, era ancora così inesperto, ma si vedeva quanto fosse desideroso di apprendere i segreti del mestiere. “Io…mi devo scusare, non volevo omettere quell’indizio così importante, è stata tutta colpa mia, e se vuoi allontanarmi dal caso, hai tutte le ragioni del mondo” continuò mentre sentiva le mani tremargli per la delusione per il suo comportamento. Era stato uno sciocco. E tutto perché si era lasciato confondere da uno stupido bacio; ma stavolta non sarebbe più capitato, non avrebbe più commesso errori. “Una persona a cui tengo molto mi diceva che sbagliare in questo mestiere significa in alcuni casi rischiare la morte di innocenti” esordì l’investigatore severo. “Hai ragione, dovrei cercarmi un altro lavoro, solo che…amo quello che fate voi. Proteggete le persone, risolvete i crimini ristabilendo la giustizia. E il mondo ha bisogno di giustizia! Ma non sono la persona adatta, forse” sentenziò Leon a voce bassa. “Non mi hai fatto finire. Non sempre si può agire nel modo giusto e non condivido appieno nemmeno ciò che mi ha detto questa persona così importante per me. In alcuni casi gli errori sono necessari. Servono a farci capire come migliorarci. Io ho sbagliato. Ho sbagliato a riversare su di te le frustrazioni che ho per questo caso che non riesco a comprendere” concluse sciogliendosi in un sorriso paterno. Leon sorrise di rimando, ma poi di nuovo si rabbuiò: “Non riesco a togliermi dalla testa quelle immagini, la faccia sconvolta di Natalia, e mi sento in colpa. Vorrei aver preso il suo posto”. Pablo si avvicinò comprensivo e gli mise una mano sulla spalla: “Mai desiderare di morire, ragazzo. La vita è l’unico bene completamente nostro. O almeno così dovrebbe essere”. Leon rimase in attesa: non gli aveva detto se lo volesse ancora come suo assistente. Pablo gli mise una mano tra i capelli, arruffandoglieli come un tempo il padre faceva con lui. “Beh, che dire, allora che stiamo aspettando? Ci sono degli interrogatori in attesa! E, mi raccomando, non scordare di appuntare nemmeno una parola” gli disse facendogli un occhiolino, e indicando la macchina parcheggiata lì vicino. L’assistente quasi cacciò un urlo di gioia. Era felice di poter continuare a fare quel lavoro così affascinante.
“Da chi stiamo andando?” chiese Leon in macchina. “Dalla principale indiziata per questo omicidio” spiegò Pablo. “Ludmilla, quindi?” chiese il giovane elettrizzato. L’investigatore annuì. “Pensi che abbia a che fare anche con l’omicidio di Gregorio?” chiese Leon dubbioso. “Non saprei, ma mi sto ponendo un’altra domanda. Siamo sicuri che Natalia è stata uccisa per il motivo che pensiamo noi? E siamo sicuri che l’assassinio di Gregorio Garcia sia strettamente collegato a quello di Natalia?” chiese Pablo. Il silenzio calò all’interno della vettura. “Non vedo altre connessioni, sinceramente. Ed è troppo strano che i due omicidi siano accaduti con così poca distanza per puro caso” spiegò Leon espressione accigliata. “Ed oltre Ludmilla di chi sospetti?” chiese dopo un po’. “Oh, ho alcune folli idee, ma momentaneamente sarebbe meglio che le tenga per me. E tu? Non ti ho chiesto cosa ne pensi” gli rispose l’uomo alla guida. Il giovane si sentì importante in quel momento, e cominciò a riflettere per cercare di fare buona figura: “C’è Francesca Artico che sembra nascondere qualcosa, come tutti d’altronde. Mi inquieta un po’ con i suoi modi di fare, sembra costantemente scioccata per ogni cosa”. “Già una persona fragile che si ritrova in mezzo a un omicidio. Ma sarebbe in grado di commetterne uno? Non lo sappiamo. Io però sospetto più di quella Violetta Castillo” gli fece notare con uno sguardo pensieroso rivolto alla strada. Leon deglutì e sentì il cuore battere fortissimo solo al sentire pronunciare quel nome. Violetta possibile assassina? No, non avrebbe mai preso in considerazione un’eventualità del genere. Era così dolce, bella…si, bellissima. E quel bacio era stato qualcosa di fantastico, il più bello della sua vita. Poi si ricordò del loro primo incontro in libreria e rabbrividì: quella volta era stata così fredda, determinata e aveva parlato con una certa leggerezza di un argomento abbastanza delicato. “Tu…credi davvero che possa aver ucciso Gregorio e Natalia?” chiese, cercando di nascondere il turbinio di emozioni che gli aveva scatenato involontariamente. “Ancora non credo un bel niente, io mi affido ai fatti, alla psicologia dei personaggi e alla dinamiche che li spingono a comportarsi in un dato modo. La mia era solo una riflessione” precisò Pablo, fermandosi davanti a una bella villetta di un colore rosso acceso, un po’ smorzato dalla fuliggine nera che si depositava lungo le pareti. Nemmeno lei poteva scampare alla maledizione delle ciminiere di Londra. “Siamo arrivati” concluse, spengendo il motore, e uscendo dalla macchina. I due si incamminarono lungo un sentiero realizzato con delle pietre di un bianco splendente, mentre intorno il giardino mostrava un’impressionante quantità di begonie di numerosi colori, e una grande varietà di ciclamini. Ogni singolo fiore sembrava essere disposto in un modo preciso in modo da formare un vero e proprio ordine naturale. Pablo non si lasciò incantare da quella meraviglia a differenza del giovane Vargas, che era rimasto letteralmente a bocca aperta. Salirono dei gradini bianchi anch’essi come se fossero di marmo e arrivarono di fronte a una porta in legno di ciliegio. “Non mi sembra gli manchino i soldi…” si lasciò scappare Leon, ripensando alla sua modesta dimora. “Già” confermò l’altro, suonando il campanello in ottone a destra dell’entrata. Venne ad aprire un’anziana domestica; qualche ciocca grigia fuoriusciva dalla cuffietta bianca, e aveva le mani bagnate, probabilmente stava lavando degli abiti. Non appena li vide gli rivolse un sorriso cordiale, poi si asciugò le mani con un straccio che si era accomodata sulla spalla sinistra. “State cercando i signori Ironly?” chiese con la sua voce gracchiante. “Veramente, volevamo parlare con la signorina Ludmilla, se non creiamo disturbo” disse Pablo con galanteria. La donna prima sembrava perplessa, ma di fronte a quei modi tanto educati nei suoi confronti non poté che annuire. Leon rimase di sasso: incredibile come riuscisse sempre ad ottenere ciò di cui aveva bisogno. “Forse avrò bisogno del tuo aiuto” gli sussurrò l’investigatore all’orecchio senza aggiungere altro. I due entrarono seguendo l’anziana domestica. Un corridoio molto sobrio si estendeva di fronte a loro. Le pareti erano in legno, mogano per la precisione. Vi erano alcune incisioni floreali che però non si estendevano per tutta la superficie rischiando così di rendere l’intero ambiente pacchiano. Delle porte chiuse in legno davano su quel corridoio, ma loro continuarono ad avanzare fino a raggiungerne l’estremità. “Prego, io vado a chiamare la signorina Ironly” esclamò la donna con un sorriso sdentato, lasciandoli in una stanzina molto modesta, non fosse per la presenza di tre busti in marmo alquanto eccessivi, che stonavano con tutto il resto. “Gente modesta” sussurrò Leon, schernendo con lo sguardo il busto del signor Ironly posto alla sinistra non appena entrati. “Non mi sembrano i tipi che vogliono passare inosservati, di questo te ne do atto” lo appoggiò con un sorriso Pablo, girovagando per lo studio ed osservando l’enorme biblioteca con libri pregiati protetti da una teca di vetro. “Sogno di una notte di mezza estate, una delle prime edizioni, immagino” esclamò l’investigatore sorpreso per poi aggiungere: “Avere per il solo gusto di ostentare, l’avevo intuito dall’atteggiamento della signorina Ludmilla”. Pablo si staccò dalla libreria sulla parete destra e si sedette su una delle poltroncine rivestite con del velluto rosa, sparse in modo disordinato per la stanza. “Deve essere la sala per le visite” ipotizzò Leon, guardando la collezione di pietre preziose sulla sinistra della stanza. L’anziana domestica ritornò un po’ timorosa e preoccupata; dietro di lei non c’era nessuno. “Che è successo?” chiese Pablo allarmato. “La signorina Ironly mi ha chiesto di riferire che non vuole vedere nessuno”. I due rimasero in silenzio: che sapesse già della morte di Natalia?





NOTA AUTORE: rieccomi con un nuovo capitolo di questo giallo! Non ci sono molti indizi o interrogatori, diciamo che è incentrato più che altro su Pablo e sul suo rapporto con Leon, rapporto che sta diventando molto simile a quello di padre-figlio come potrete notare. Quanto sono belli quei due *-* Vabbè passiamo oltre...Natalia è stata uccisa, e i sospetti ricadono su Ludmilla, la quale agisce in modo sospetto, non volendo parlare con Leon e Pablo. Che stia nascondendo qualcosa? Gli indizi in questo capitolo sono pochi, ma serve più che altro per darvi un po' modo di raccogliere le idee e farvi un'idea complessiva del caso. Pablo rimane sorpreso nell'osservare il quadro del parente di Gregorio, e rimane perlesso nell'osservare la corrispondenza di Gregorio, dove ci sono alcune lettere che avrebbe dovuto indirizzare al padre. Come mai? Lo scopriremo più in là, intanto cominciate a sospettare...e i dubbi su Violetta rimangono nella mente di Pablo. E il nostro povero Leon...si è preso una bella strigliata (anche un po' giustamente...anche se pablo ha esagerato). Ebbene vi lascio con tante domande, ma soprattutto una deve colpira la vostra attenzione: perchè Natalia non ha parlato? Bene, buona lettura a tutti e buona caccia all'assassino :D :D

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Capitolo 6
*** Le preghiere di Angie: Pablo innamorato? ***


Capitolo 6
Le preghiere di Angie: Pablo innamorato?

“Come non vuole vedere nessuno?” ripeté Leon esterrefatto. Si lasciò cadere sulla poltroncina da cui si era alzato di scatto. “Riferisca alla signorina Ironly che io me ne sto giusto andando; ero venuto solo per accompagnare il mio assistente Vargas, che aveva mostrato il suo interesse nel farle visita. Riferisca pure” disse piano Pablo, facendo una sorta di reverenza e uscendo dalla stanza. Leon lo seguì lungo il corridoio per chiedergli spiegazioni. Erano quasi all’uscita, quando Leon si parò di fronte a lui determinato: “Si può sapere che ti prende? Mi lasci solo con…Ludmilla!”. Quel nome l’aveva detto con un certo timore, come se avesse paura che i muri potessero ascoltarlo. “Con me non parlerebbe mai, invece magari con le tue doti da dongiovanni riusciresti a carpire qualche informazione interessante. C’è bisogno che ti spieghi proprio tutto nel dettaglio, eh?” esclamò l’investigatore con un sorrisetto. “Ma…io non penso che questi metodi siano, come dire, professionali” ribatté il giovane imbarazzato. “Si vede che sei nuovo nel mestiere. Comunque non devi fare nulla di eccezionale: sorridi educatamente e mostrati interessato a ciò che ha da dirti” continuò mettendogli una mano sulla spalla con fare paterno. “Mi trovi più tardi alla chiesa qui vicino” concluse, aprendo la porta e uscendo fischiettando. Non appena la porta si fu richiusa, Leon si sentì solo e abbandonato. Con passo poco convinto ritornò nel piccolo studio, aspettando che la ragazza scendesse. “Non sapevo di aver fatto già breccia nel suo cuore” esclamò una voce, facendolo voltare di scatto. Ludmilla era elegantissima con il suo vestito rosa confetto, e al collo aveva alcune collane, anch’esse di un rosa pallido. La prima impressione di Leon fu confermata: era una ragazza a cui piaceva ostentare le sue ricchezze. “In effetti sono venuto a parlarle prima che arrivi la polizia, perché so quanto la situazione sia delicata e…” cominciò a dire, ma si bloccò intimorito dal sorriso malizioso della giovane Ironly che si faceva sempre più vicino. Pericolosamente vicino. Fece cadere volontariamente la penna che teneva in mano per poi chinarsi e raccoglierla, così da sfuggire per un po’ alle sue grinfie, giusto il tempo per elaborare una strategia. Ma quando si rialzò, la vide ancora più vicina. Arretrò leggermente, fino a inciampare sul piede della poltroncina, cadendo seduto su di essa. “Cosa deve dirmi, signor Vargas?” chiese lei, voltandosi e dirigendosi verso la porta, per poi chiuderla con un’espressione preoccupata. La fredda e cinica Ludmilla era venuta fuori già alla parola ‘polizia’. “Se è per qualcosa che vi ha detto Natalia…io non so nulla in proposito, e fossi in voi non mi fiderei eccessivamente delle sue parole. E’ una ragazza molto suggestionabile” proferì con un tono di superiorità inequivocabile. “Natalia è morta. Strangolata, per la precisione” disse con cautela poggiando il braccio sulla sua gamba con un'espressione interessata per ciò che aveva affermato. Era il momento di ruotare le parti: ora avrebbe condotto lui il gioco.
Pablo entrò, avvolto dal silenzio di quel luogo sacro e di preghiera. Non era mai stato credente, anzi era un tipo molto scettico. Lo era stato fin da piccolo; credere in un Dio…nel suo lavoro gli sembrava difficile da accettare l’esistenza di un essere infinitamente buono. Aveva avuto l’occasione di vedere corpi privi di vita di innocenti e si era chiesto troppo spesso perché quella giustizia divina tanto glorificata non avesse accolto sotto le sue ali protettive delle vittime senza colpa, se non quella di essere stata nel momento giusto nel posto sbagliato. Gli occhi spalancati per lo stupore di Natalia si erano impressi nella sua mente, lasciandogli un vago senso di inquietudine. Era abituato a visioni del genere, ma ancora non era in grado di accettare o vagamente comprendere lo stroncamento di una giovane vita. Si sedette in una delle panche di legno, osservando il crocifisso di fronte a lui. Sentì lo scricchiolio del legno di una panca vicino a lui. Qualcuno doveva essersi alzato, dopo aver terminato le sue preghiere. Si voltò verso la fonte di quel rumore e vide Angie, l’insegnante di canto. Era una donna bellissima, anche se un perenne velo di tristezza traspariva dal suo sguardo sfuggente. Indossava un completo scuro con una borsetta nera in mano, dove aveva appena rimesso una foto. Pablo si alzò, stregato da quella visione. Quella donna lo incuriosiva particolarmente. Angie sembrava non averlo notato, ed era diretta verso l’uscita. Non poteva lasciarla andare così, aveva l’occasione di scambiare due chiacchiere con una sospettata. Uscì dalla chiesa, passando dal buio tetro al grigiore pomeridiano tipico di Londra. “Signorina Angie” esclamò a gran voce, facendola fermare. Quando la donna si voltò un educato sorriso si dipinse sul suo volto. “Lei è l’investigatore Galindo” constatò con molta semplicità avvicinandosi all’uomo. Pablo annuì e prese la sua mano destra, avvolta in un guanto grigio vellutato, per deporgli un bacio.“Ho saputo della morte di Natalia…una vera tragedia” continuò con apparente freddezza. Ma il tono tremante lasciava tradire la sua emotività, e questo Pablo lo notò con facilità. “Immagino che lei non possa dirci qualcosa per aiutarci” disse l’investigatore, pronto a studiare la sua reazione. Angie sgranò gli occhi: “Non crederà mica che potrei uccidere un mio studente?”. “Quindi mi sta dicendo che potrebbe benissimo uccidere un uomo, un uomo come Gregorio Garcia” la mise alle strette. “Lei vuole leggere tra le righe ciò che le fa comodo, ma posso benissimo facilitarle il compito. Si, non avrei nessun problema a premere il grilletto e a uccidere un uomo. Ma sa una cosa? Non lo conoscevo nemmeno, Gregorio; perché avrei dovuto sparargli?” rispose prontamente con un sorrisetto soddisfatto. “Sa proprio come far tacere le persone, eh?” ridacchiò l’investigatore, infilando le mani nelle tasche del suo soprabito grigio. “Noi esseri umani siamo tutti uguali, signor Galindo. E io ho imparato a difendermi” esclamò con uno sguardo intenso. Quegli occhi verdi con alcuni riflessi scuri gli facevano venire i brividi. “Come mai era venuta qui? Si deve far perdonare qualcosa?” chiese, rivolgendo lo sguardo verso l’imponente edificio bianco. Si mise a fissare il campanile in attesa di una risposta, che non tardò ad arrivare: “Io non credo nel perdono incondizionato. E’ da sciocchi credere una cosa del genere; la convinzione che tutto debba essere giustificato in qualche modo è solo ignoranza a mio parere”. Pablo rivolse di nuovo la sua attenzione alla donna che si trovava di fronte. Stava tremando e aveva gli occhi lucidi. “Io…ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese premurosamente, tendendole una mano all'altezza delle spalle. Angie afferrò la mano e si fiondò tra le sue braccia, scoppiando a piangere. Dopo qualche minuto si staccò imbarazzata, con le lacrime che ancora le rigavano il viso. Pablo era rimasto scioccato per quell'abbraccio così improvviso e inaspettato. “Mi scusi, sono davvero imbarazzata, mi sono lasciata prendere dal discorso e…” tentò di giustificarsi, mentre rovistava nella borsetta nera per poi tirare fuori un fazzoletto bianco di lino. “Ho visto molti assassini pentirsi amaramente dei propri delitti” disse con un velo di compassione. Angie sorrise amaramente, anche se le sue parole gli gelarono le ossa: “Certe persone meritano di marcire nell’inferno, signor Galindo”. Si voltò fino a dargli le spalle, cominciando poi a camminare con un portamento fiero. “La saluto, è stato un piacere” disse mentre si allontanava. Pablo rimase a guardarla sorpreso e perplesso: la cattiveria con cui aveva detto quell’ultima frase ancora gli era rimasta impressa nel cuore. E sentiva che il passato di quella donna doveva essere stato tutt’altro che allegro. Voleva saperne di più.
Ludmilla si mise seduta: sembrava quasi contenta e sollevata di quella notizia. “Ah…bene. Voglio dire, sono affranta ovviamente per questa tragedia” disse lei, fingendosi profondamente sconvolta. ‘Ottima attrice’ pensò il giovane, continuando a fissarla. “Non starete sospettando di me, vero?” chiese allarmata. “Noi sospettiamo di tutti” sentenziò con un sorriso beffardo. Ludmilla si irrigidì e gli occhi si ridussero a due fessure. Aveva una bella faccia tosta a presentarsi a casa a sua e a insinuare che potesse essere stata lei a uccidere Natalia. “Se non le dispiace, ora vorrei rimanere da sola” disse a voce bassa. Leon si alzò con una faccia trionfante, le baciò la mano velocemente e aggiunse con il fine di provocarla: “Fossi in lei, starei attenta alle sue prossime mosse. E se sa qualcosa le conviene dirlo”. Ludmilla si voltò dall’altra parte con il naso all’insù e gli occhi chiusi, come una bambina viziata, per fargli capire che le sue parole non le avrebbe nemmeno prese in considerazione. Leon rise apertamente, e si allontanò lungo il corridoio. Mentre raggiungeva l’uscita poteva quasi avvertire l’odio che in quel momento la ragazza sicuramente gli stava riversando addosso. Probabilmente non era mai stata trattata in quel modo, e la cosa doveva averle dato parecchio fastidio. Quando uscì, si diresse alla chiesa soddisfatto per incontrare il suo capo.
Non appena ebbe sentito la porta sbattere, Ludmilla avvisò la domestica che si sarebbe ritirata nella sua camera, e salì in fretta gli scalini che portavano al piano di sopra. Come osava quel plebeo mettersi contro di lei e deriderla? Non si era mai sentita tanto umiliata. Entrò nella sua stanza sbattendo violentemente la porta e si sedette sul letto con la sua solita compostezza. Rifletteva sul da farsi: certo non si aspettava che Natalia sarebbe stata uccisa in quel modo così brutale. Si alzò per sedersi su una sedia nella stanza, prese un foglio bianco e cominciò a scrivere, appoggiandosi sul tavolinetto in legno di ciliegio della fine dell’800.  Lo ripiegò con cura, aprì un cassetto ed estrasse una busta gialla. Se pensava che avrebbe potuto liberarsi anche di lei, commetteva un grande errore. Alzò la cornetta e digitò un numero. “Pronto. So che hai ucciso la povera Natalia” disse al telefono. Silenzio: probabilmente stava parlando il suo interlocutore. “Non mi interessano le tue spiegazioni, io non sono come lei, non sono un’ingenua. Prova a muovere un passo falso e faccio arrivare alla polizia qualcosa che non ti piacerà, una bella testimonianza di ciò che ho visto. E non penso ti farà piacere” spiegò con freddezza. Ancora silenzio. “Smettila di cercare di imbonirmi. Sai benissimo cosa voglio, sto solo aspettando” concluse appoggiando la cornetta. Tirò un respiro profondo, poi si alzò e si diresse dalla domestica con la busta. La trovò in cucina intenta a preparare la cena. “Dorothy” disse seccamente senza tante parole. La donna si voltò verso di lei con un sorriso. Aveva visto crescere Ludmilla e le era sempre stata accanto per soddisfare ogni suo capriccio. Era un po’ egoista, non poteva negarlo, ma in fondo aveva anche una natura buona. “Questa è una lettera che dovrai spedire a Scotland Yard se le cose non dovessero andare come il previsto” affermò lei, porgendole con un gesto rapido quell'importante lettera. “In che senso?” chiese semplicemente, riponendo l’oggetto nella tasca della sua gonna grigia e piena di rammendi. “Lo capirai da te” concluse, girando i tacchi e andandosene da quel luogo, non adatto alla sua classe.
Leon trovò il capo seduto su una panchina in pietra fuori dalla chiesa, in una profonda riflessione. Si sedette vicino a lui e cominciò a parlare: “Niente di nuovo. O meglio adesso sappiamo con certezza che Ludmilla nasconde qualcosa, ma non me ne ha voluto parlare”. “Qualcosa mi dice che non hai agito esattamente nel modo che ti ho suggerito io” esclamò con un sorrisetto. “Non la sopportavo più. Ho dovuto forzare un po’ la mano, ma non ho ottenuto nessuna informazione degna di nota” si giustificò imbarazzato. “Non importa. Non mi aspettavo davvero che riuscissi a farti dire cosa nascondeva. Domani andremo allo Studio e continueremo le indagini” concluse Pablo, alzandosi e stiracchiandosi. “D’accordo. Ma come mai sei rimasto tutto il tempo qui con quell’espressione pensierosa?” chiese curioso. “Caro Leon, non impareremo mai abbastanza. Potremo forse risolvere tutti i crimini di questo mondo, ma c’è una cosa che non riusciremo mai a comprendere: la mentalità femminile” spiegò serio l’investigatore. Il giovane scoppiò a ridere: “Non si sarà forse innamorato?” chiese con le lacrime agli occhi. Pablo fece un’ espressione sconvolta. “Non scherziamo! Io sono innamorato unicamente della verità. E questo caso fa di tutto per non farla emergere in tutto il suo splendore” gli fece notare, tornando ad essere assorto.
Il giorno dopo Leon si presentò allo Studio, ma Pablo non era ancora arrivato. Vide Violetta parlottare con Diego all’ingresso. Sembrava che stessero litigando: lei aveva un’espressione mortificata, mentre il ragazzo sembrava arrabbiato. “Non hai fatto come ti ho detto?” chiese. “Non potevo, e poi hai detto che non era necessario” esclamò in tutta risposta posando una mano sulla sua spalla come per cercare di ammansirlo. Leon sentì una profonda gelosia per quel gesto. Accelerò il passo per interrompere la conversazione; “Sta arrivando uno degli sbirri, io vado” disse Diego a bassa voce, allontanandosi di colpo. “Tutto bene?” chiese con il sorriso mentre con lo sguardo seguiva Diego. “Leon, che ci fa lei qui?” chiese preoccupata. “Mi dispiace, non volevo importunarti, e comunque mi farebbe piacere se mi dessi del tu, altrimenti mi metti a disagio” rispose imbarazzato, portandosi una mano ai capelli. Violetta seguì quel gesto come ipnotizzata, e arrossì. “D’accordo, allora che ci fai qui?” richiese. “Sono qui sempre per le indagini. Non so se hai saputo della morte di Natalia” continuò cercando con lo sguardo la sua mano, e fissandola come se fosse un tesoro irraggiungibile. Avrebbe voluto tanto stringerla, voleva sentire la delicatezza di quel contatto, che aveva potuto sperimentare durante il loro primo bacio, ma il pensiero di essere stato respinto lo bloccò. “Ho saputo, una vera tragedia” esclamò la ragazza. La sua espressione solare si rabbuiò di colpo. A Leon si strinse il cuore, e prese la sua decisione. Non ce la faceva a starle lontano, prese la mano della ragazza e la portò al suo petto, continuando a guardarla dritto negli occhi. “E’ questo l’effetto che mi fai ogni volta che ti vedo, e non so ancora spiegarmi come ci riesci” disse dolcemente. Violetta abbassò lo sguardo, e chiuse gli occhi, sentendo il battito accelerato del cuore del ragazzo emettere delle vibrazioni che le attraversarono il braccio, fino a impadronirsi del suo corpo. Era un’armonia perfetta, qualcosa che le dava l’impressione di essere veramente libera, e il suo cuore accelerò di conseguenza, come se avesse ricevuto uno stimolo per pompare con più forza il sangue. Quando riaprì gli occhi e incrociò lo sguardo innamorato di Leon, si sentì impotente; ma ancora una volta la sua parte razionale vinse, e la costrinse ad allontanarsi di colpo. “Io…non posso” sussurrò lei, concentrando la sua attenzione sugli alberi del giardino della scuola. “Ti sono davvero così indifferente?” chiese Leon abbattuto. “No!” rispose con un po’ troppa enfasi, vergognandosi subito dopo di aver ceduto troppo in fretta ai suoi sentimenti. A quella risposta il giovane si avvicinò; poteva sentire il suo profumo farsi sempre più forte, le prese nuovamente la mano e la baciò, guardandola negli occhi. Poi lasciò la presa, e le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, facendo scendere la mano sulla sua guancia. Le faceva venire i brividi quel contatto, che non riusciva, o forse non voleva, a evitare. Non c’era nessuno nei paraggi, era ancora presto. Leon si sporse verso di lei, chiudendo lentamente gli occhi. “Se non vuoi questo bacio, puoi ancora allontanarmi” sussurrò, mentre le loro labbra si stavano sfiorando. Violetta rimase in silenzio, e azzerò le distanze. Quel bacio così dolce e caldo le fece perdere la testa, e si lasciò andare in modo sempre più appassionato. Leon fece scivolare la mano destra dietro, sulla schiena, portando i loro corpi ancora più vicini. Violetta con gli occhi socchiusi, osservò il volto del ragazzo che, adesso ne era certa, le aveva rapito il cuore. Schiuse le labbra, e lasciò che Leon approfondisse quel bacio, che le stava divorando anche l’anima. Non riusciva ancora a comprendere come un semplice e apparentemente innocuo gesto potesse nascondere al suo interno un’infinita gamma di emozioni. Il giovane fece per separarsi, ma Violetta portò le mani al suo viso per non permetterglielo; non voleva, perché una volta separati, sapeva che tutto sarebbe tornato come prima. Il giovane sorrise di fronte a quel tentativo di non farlo allontanare: sentiva che tra loro due c’era qualcosa di più di una semplice attrazione. Non ne poteva essere sicuro, ma avrebbe scommesso tutto sul fatto che si trattasse di amore. La ragazza gli morse affettuosamente il labbro inferiore, come se ancora non si volesse arrendere al fatto che quel bacio fosse ormai arrivato al termine. Quando si furono separati, entrambi riaprirono gli occhi, e si guardarono profondamente. Leon era al settimo cielo, si sentiva il ragazzo più fortunato del mondo. Aveva ancora la mano destra sulla sua schiena, e gli piaceva pensare che con quel segno di possesso l’avesse resa definitivamente sua. Violetta invece aveva uno sguardo triste, sembrava essersi pentita di ciò che aveva fatto. Riusciva sempre a perdere la ragione davanti a lui e non poteva accettarlo. “Io…” sussurrò Leon, ma lei lo interruppe allontanandosi e liberandosi dalla sua presa. “Non possiamo” disse lei fermamente, ma i suoi occhi sembravano volerlo implorare di baciarla di nuovo. “E’ perché sono solo un assistente” sentenziò lui deluso; certo, lei era di famiglia benestante, mentre lui…non aveva nulla, a parte la passione per il suo lavoro. Violetta non riusciva a parlare, ma poi respirò profondamente e si calmò. Non ce la faceva a vederlo così. “No, Leon, non è per questo. Ti farei solo soffrire, e non lo voglio, perché ci tengo troppo a te. Non potresti capire…” disse lei guardandolo speranzosa. “Puoi provare a spiegarmi” disse arrabbiato. “Siamo troppo diversi, tu non potresti mai amarmi. Ci sono cose…che ho fatto. E le rifarei altre cento volte, ma sono sbagliate. Un giorno potresti vedermi per chi sono realmente e tutto il tuo affetto per me svanirebbe. Per il tuo bene, stammi lontano” concluse, voltandosi verso l’entrata per rientrare nella scuola. Il ragazzo la guardò andare via e si voltò anche lui, mentre la tristezza e la rabbia si impadronì del suo volto. “A volte le persone ci possono stupire, Violetta. Credi che non ti potrei amare, ma io sento di amarti già. Rispetterò la tua decisione, ma sappi che così mi stai ferendo, e spero che un giorno capirai che è sbagliato reprimere ciò che si prova” esclamò, mentre dal suo tono era possibile leggere il dolore e la delusione che stava provando. Avanzò lentamente verso la macchina appena arrivata, dove Pablo lo stava attendendo. 










NOTA AUTORE: Rieccomi con un nuovo capitolo di questo giallo che in questo capitolo troppo giallo non è xD O meglio lo è sempre, ma ancora niente indizi, mentre dal prossimo si torna ad indagare con il nostro Galindo! Ludmilla sa troppe cose, ma non vuole fare la fine di Natalia e scrive una lettera, che a quanto pare potrebbe rivelarsi pericolosa per il nostro assassino...Leon nel frattempo l'ha davvero umiliata, arrivando a farle capire che sospetta di lei! E poi passiamo a una delle due scene che ho amato. A parte la riflessione religiosa (che non è mia assolutamente, ma che mi sembrava molto azzeccata per il personaggio pragmatico di questo Pablo), la nostra Angie ha qualcosa che non va. Soffre per qualcosa, e se ne esce con la frase finale, che fa rabbrividire il nostro Galindo. Sono dolcissimi in questo capitolo quei due *-* Angie in un momento di debolezza lo abbraccia e scoppia a piangere. Che cosa angustia la povera Angie? Passiamo al finale...doveva esserci nel prossimo capitolo questa scena, ma ci ho ripensato perché nel prossimo capitolo ci devono essere altre cose...Ma quanto possono essere dolci????!!! Penso sia una delle mie scene preferite in assoluto di tutte le storie. L'ho trovata dolce e tenera, e soprattutto romanticissima, ma non sdolcinata. Cioè...Leon che prima porta la mano al suo petto per fargli sentire che il cuore gli sta battendo fortissimo, e poi lei che si ritrare; ma il giovane Vargas non si tira indietro e la bacia, dicendo prima quella frase così djubjucbuecwuekb Giuro, muoio, ma muoio davvero di brutto ("Se non vuoi questo bacio, puoi ancora allontanarmi" bdkjcweucyvwrkvw). Violetta si lascia andare (brava ragazza), mi piace un sacco come ho descritto la scena (ma forse non è granché...sarete voi a dirmelo xD) sia per le emozioni di Leon che per quelle di Violetta, che si sente estremamente combattuta per motivi a noi ignoti. Ah, facendo un salto indietro: cosa nascondono Diego e Violetta? E ora torniamo a noi...sono bellissimi, e Leon povero viene rifiutato nuovamente, anche se almeno stavolta sa il perché...Violetta ha paura che una volta rivelato ciò che ha fatto, Leon smetterebbe di amarla...Potrebbe riferirsi a qualcosa che ha a che fare con l'omicidio? Ditemi che ve ne pare del capitolo (ho già detto che sono innamorato della scena finale? Ok, forse si, ma lo ridico xD), buona lettura e alla prossima (dal prossimo capitolo ritorniamo con qualche interrogatorio e indizio, e...non vi dirò di più)

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Capitolo 7
*** Pedinamento pericoloso ***


Capitolo 7
Pedinamento pericoloso

“Andiamo?” chiese nervosamente Leon, avvicinandosi alla macchina del capo. “Che ti prende?” ribatté Pablo con uno sguardo perplesso. Era evidente che al suo assistente era successo qualcosa, e forse aveva intuito anche quale persona riguardasse. Violetta Castillo. Quella ragazza era furba, fin troppo furba. Nascondeva molte cose, ma non sarebbe riuscita a farla franca a lungo. “Niente, davvero” rispose Leon, alzando il tono di voce. Era furioso e abbattuto allo stesso tempo. Non poteva credere a come lo aveva trattato; solo perché era ricca, questo non le dava il diritto di giocare con i suoi sentimenti, i sentimenti di un giovane apprendista di Scotland Yard.  “Oggi condurremo qualche interrogatorio per la morte di Natalia. Ci hanno dato l’opportunità di utilizzare la sala professori” spiegò Pablo con aria stanca. Non aveva dormito tutta la notte per pensare; la domanda che continuava ad attanagliarlo sul perché Natalia non avesse parlato lo stava logorando. Ma adesso c’era altro che non comprendeva: come mai Ludmilla non voleva parlare di ciò che sapeva?
I due si diressero nel corridoio, e si affacciarono nell’aula di danza nel pieno della lezione per chiamare Jackie e farle qualche domanda. Non appena si affacciarono, Violetta, che stava provando una coreografia singola sotto lo sguardo attento dell’insegnante, alla vista di Leon poggiò male un piede cadendo clamorosamente. I compagni scoppiarono a ridere, come anche Jackie, mentre Francesca accorse in suo aiuto, aiutandola a rialzarsi. Fu a quel punto che Pablo notò un particolare, qualcosa che gli fece cambiare idea sull’ordine con cui avrebbe voluto iniziare gli interrogatori. “Vorremmo parlare con Francesca Artico, se ce lo concede” esclamò con un mezzo inchino. Leon lo guardò sorpreso, ma rimase in silenzio: non dovevano chiamare prima Jackie? L’insegnante annuì, dando il permesso alla sua studentessa. L’italiana si irrigidì di colpo, poi abbozzò un sorriso nervoso e seguì i due nell’aula professori sotto lo sguardo attento e preoccupato di Violetta.
“Che rapporti aveva con Natalia?” esordì l’investigatore, sedendosi sulla sedia dietro la scrivania, con affianco Leon in piedi che prendeva appunti. “Natalia?” chiese con voce tremante Francesca come per essere sicura della domanda, o forse per prendere tempo e pensare alla risposta. Pablo annuì, tirando fuori un sigaro. “Le spiace?” chiese premurosamente. “No, non si preoccupi” disse l’italiana, cominciando a torcersi le mani. Seguì con lo sguardo ogni piccolo gesto con cui il suo interlocutore stava accendendo il sigaro, non perdendosi nemmeno un dettaglio. Aveva paura…paura che l’avessero scoperta. “Eravamo buone amiche, ma non così tanto da confidarci segreti e cose del genere” rispose Francesca. Pablo annuì soddisfatto, poi cominciò ad armeggiare nelle sue tasche alla ricerca di qualcosa con la mano libera. Piccole volute di fumo si alzavano fino a raggiungere il soffitto, infrangendosi al minimo contatto e disperdendosi nell’ambiente circostante. “Eccola!” esclamò soddisfatto l’investigatore, estraendo una cintura nera da donna. Francesca la osservò e cercò di nascondere il terrore che l’attanagliava. Non poteva essere eppure… “E’ un modello come quelle che indosso io” disse Francesca, temendo il peggio. Cosa voleva dire? Perché le aveva mostrato quell’oggetto? “Esatto, ne porta una anche adesso se non sbaglio” le fece notare Pablo, dando un’altra tirata con il sigaro. La ragazza annuì e deglutì. “Con questa è stata strangolata Natalia” aggiunse dopo un po’ con assoluta calma. Silenzio. Leon aveva smesso di scrivere e fissava esterrefatto la cintura che indossava in quel momento la sospettata: erano identiche. Guardò Pablo e notò la sua tranquillità; ma a che gioco stava giocando? “Immagino ci sarà una spiegazione, e immagino che non sia sua…” sussurrò Pablo. Francesca implorava pietà con lo sguardo, non reggeva più quella pressione, si sentiva accusata, senza possibilità di fuga. “Io…”.
“Lasciatela stare, non vedete che è scossa?!” li interruppe una voce all’entrata della stanza. Violetta aveva aperto la porta con furia, facendo puntare su di sé l’attenzione dei presenti. Rimase ancora un po’ sulla soglia, sostenendo lo sguardo pacato di Pablo, poi si avvicinò all’amica poggiandole una mano sulla spalla, per sostenerla. “Leon, ti prego, portala fuori, devo finire l’interrogatorio” esclamò pacificamente l’uomo con un sorriso soddisfatto. Era tutto sempre più chiaro ai suoi occhi…le dinamiche, i moventi, la psicologia dei coinvolti in quel caso così assurdo. Il ragazzo annuì titubante, prese Violetta per un braccio, mentre i loro sguardi si incrociarono. Leon abbassò subito il suo, per non dover ricordare ciò che era successo quella mattina. La ragazza non oppose resistenza per qualche minuto, ma poi, quando furono fuori dall’aula, cercò di rientrare dentro. “Non puoi entrare!” esclamò Leon, senza mollare la presa. “Lasciami stare” ribatté freddamente Violetta, a pochi centimetri da lui. “Devi smetterla di fare la ragazzina viziata!” urlò lui nel corridoio deserto, in preda alla rabbia e al rancore. L’idea che non lo amasse quanto lui gli faceva male, troppo male. Non pensava davvero quelle parole, ma gli erano uscite in modo incontrollabile. Violetta sgranò gli occhi; il suono di uno schiaffo risuonò nell’aria. “Non dirlo mai più…” sussurrò Violetta con la mano ancora a mezz’aria. Aveva gli occhi lucidi, era sicuro che di lì a poco sarebbe scoppiata a piangere. Leon si tastò piano la guancia rossa dolorante. La ragazza si lasciò cadere lungo la parete con le mani che le corpivano il viso e cominciò a piangere. “Scusa, io non volevo…non lo penso davvero” disse il giovane, sedendosi accanto a lei e prendendole la mano timoroso. “Ho perso mia madre a cinque anni. Si è suicidata, soffriva di una brutta forma di depressione, e mio padre non è stato in grado di fare nulla per aiutarla. Non l’ho mai detto a nessuno. Per tutti è morta in seguito a una malattia, sarebbe come infangare la sua memoria se la verità venisse a galla” disse d’un tratto Violetta con voce calma. Il suo sguardo era oscurato da un velo di tristezza. Leon rimase colpito per quelle parole, e per il fatto che si fosse confidata con lui, proprio lui, nessun altro. Senza pensarci due volte fece passare il braccio intorno alla sue spalle e la strinse forte a sé in un abbraccio. “Mi dispiace, sono uno sciocco, uno stupido inetto, incapace di tenere a freno la lingua. Non lo penso davvero, solo che io…” borbottò il ragazzo più a se stesso che a lei. Violetta, si strinse ancora più forte e poggiò la testa al suo petto: “Non è colpa tua. E poi adesso sei qui, mi stai abbracciando, e mi sento protetta per la prima volta da quando non c’è più”. Non riusciva a credere a quello che le era uscito dalla bocca. Si scostò, arrossendo vistosamente, mentre  Leon la guardava incantato. “Io…devo andare a lezione” disse, alzandosi di scatto, sempre più rossa. In quel preciso istante uscirono anche Pablo e Francesca, che a quanto pare avevano concluso con le domande. Violetta si precipitò ad abbracciare l’amica: “E’ andato tutto bene?”. “Natalia è stata strangolata con una cintura identica a quelle che indosso io tutti i giorni” disse con voce tremante l’italiana. Violetta si staccò dall’abbraccio, guardando freddamente l'investigatore: “Non le sembra un po’ poco per accusare una persona di omicidio?”. Pablo annuì sorridendo: “E infatti non sto accusando nessuno, signorina Castillo. E ora, dovrei fare qualche domanda anche a lei, se non le dispiace”. La ragazza si irrigidì e seguì l’investigatore dentro. Leon si alzò e fece per entrare, ma il capo gli fece un cenno per dirgli di rimanere lì. Come mai non lo voleva? Forse lo riteneva già troppo emotivamente coinvolto per seguire il caso. Arrabbiato come non mai decise di fare un giro per lo Studio per sbollire la frustrazione. All’uscita incrociò Diego, che si era acceso una sigaretta con molta noncuranza del fatto che ci fossero le lezioni da seguire. “Ah, signor Vargas” borbottò annoiato, avvicinandosi all’assistente. “Le vorrei fare qualche domanda” disse Leon, andando dritto al punto. “E con quale autorità?” chiese divertito il giovane, sistemandosi la giacca elegante. Fece finta di ignorare le sue parole. “Di cosa stava parlando stamattina presto con la signorina Castillo?” lo interrogò. “Non penso che le mie questioni private la riguardino, signore” rispose, sottolineando l’ultima parola così da lasciare intendere un misto di derisione e ironia. Leon si avvicinò, questa volta minaccioso. “Le consiglio di dirmelo. Ai miei occhi rimane sempre il sospettato per eccellenza di questo delitto” lo intimò a bassa voce, digrignando i denti. Diego scoppiò a ridere, gettò la sigaretta per terra e la calpestò con il piede per spegnerla. “Il ruolo del duro non le si addice, per quanto possa essere apprezzabile l’impegno che ci mette” concluse, voltandosi e tornando dentro l’edificio.
Dopo aver interrogato Violetta, che non ebbe nulla di interessante da dire, fu il turno di Camilla Torres, la giovane ballerina, apprendista di Jackie. “Mi è stato confermato che lei la mattina si deve presentare prima alla scuola per sistemare alcune attrezzature della palestra e ideare nuove coreografie da mostrare all’insegnante di danza, Jackie” cominciò a dire Pablo, sempre con il suo solito tono pacato. “E’ vero, infatti anche quel giorno mi sono presentata presto allo Studio” confermò la ragazza con sicurezza. “E ha visto Natalia?” chiese l’investigatore con enfasi. “Si…l’ho incontrata, povera ragazza. Era visibilmente tesa, mi ha detto che doveva incontrare un’amica, una sua compagna di classe. Le ho chiesto se potessi esserle utile in qualche modo, anche perché aveva cominciato a tremare. Mi rispose che sperava solo che quella storia avesse fine al più presto. Non so però a cosa si riferisse. Mentre entravo ho notato che si era diretta al giardino dietro la scuola” concluse Camilla. Pablo annuì segnandosi il tutto sul taccuino che il suo assistente aveva lasciato lì. L’aveva visto fin troppo in confidenza con quella Violetta, e non voleva che fosse troppo partecipe al caso in vista di ciò. “Se non ha altro da chiedermi, io dovrei andare…” disse Camilla, facendo per alzarsi. “Ma certo! E scusi per il disturbo” la saluto Pablo, accompagnandola alla porta. In quel preciso istante vide passare Angie che parlava con Ludmilla. “Non capisco davvero come sia stato possibile…” disse l’insegnante perplessa di fronte alla rimostranze della studentessa. “Non succederà più” concluse, allontanandosi ed emettendo un lungo sospiro. “Signorina Angie!” la richiamò l’investigatore, facendola voltare. La donna si sciolse in un dolce sorriso, che fece rimanere Pablo di sasso. La penna gli cadde di mano, mentre le mani cominciarono a sudare. ‘No, Pablo, no! Non pensare a quello a cui stai pensando, non farlo! Il caso, maledizione, il caso!’ pensò l’investigatore, cercando di farsi forza per non cedere di fronte a tutta quella bellezza. “Signor Galindo” esclamò lei, avvicinandosi. “Immagino sia qui per il caso” aggiunse poco dopo, giocando con le punte dei suoi capelli di un biondo scuro. Pablo era troppo preso ad osservare quel gesto e a rimanerne incantato per formulare una risposta. “Immagino sia qui per il caso” ripeté a voce più alta, facendolo riscuotere. L’uomo raccolse in fretta la penna e mise il taccuino davanti al suo viso, per non doversi di nuovo incantare: insomma lui ci teneva ad essere professionale. “Si, infatti sono qui per il caso” rispose, facendo finta di leggere qualcosa di importante tra le pagine bianche. “Immagino anche che mi dovrà interrogare” disse piano l’insegnante, riponendo alcuni fogli in una cartellina di cartone azzurra. “Lei…no! Anzi, si! Beh, si, devo interrogare tutti” ribatté continuando a tenere lo sguardo sul taccuino. “Prego, entri…” sussurrò scostandosi per farla entrare e rischiando di inciampare, andando a sbattere contro lo stipite della porta. Si passò una mano sulla fronte, che scoprì essere umida per il sudore, mentre Angie lo guardava con un misto di divertito e premuroso. “Sta bene, signor Galindo? La vedo pallido” . "Si, certo. Sto benissimo" rispose in fretta Galindo. ‘Forse ho la febbre. Certo, sarebbe plausibile, razionalmente plausibile’ pensò Pablo, seguendo la donna all’interno dello Studio.
Leon si aggirava per la scuola, poiché Pablo non aveva voluto che partecipasse agli altri interrogatori. Lo trovava profondamente ingiusto. Lui non era troppo coinvolto emotivamente, magari poteva essere leggermente interessato a quella ragazza, Violetta. Leggermente interessato? D’accordo, parecchio interessato. Forse un pochino troppo. Si diede dello stupido per tutte quelle scuse che stava cercando di accampare per convincere se stesso: era innamorato. E non era una semplice cotta, era un sentimento profondo che lo faceva stare bene, ma allo stesso tempo gli faceva male. In parte sentiva di essere ricambiato, ma tutti quei rifiuti dimostravano il contrario. E non gli interessavano le parole di Violetta: se lei l’avesse davvero amato, avrebbe corso il rischio e non avrebbe lasciato che le sue paure le impedissero di provare ad essere felice al suo fianco. Si appostò dietro un albero non appena vide Diego impegnato in una conversazione proprio con Violetta. Le lezioni dovevano essere finite da un po’, perché la ragazza sembrava rilassata. “Allora ci penso io, lo vado a prendere ora” esclamò Diego, guardandosi intorno per essere sicuro di non essere sentito. “Si, perché io non posso farlo” disse Violetta con lo sguardo basso e l’aria colpevole. “Non importa, ma ricorda che mi devi un favore. Io sto aiutando te, ma tu mi devi qualcosa in cambio” concluse il ragazzo con un’aria seria. I due si separarono, e Leon decise di seguire il ragazzo. Il suo primo pedinamento. Era sempre più sicuro che il colpevole del delitto fosse Diego, e seguirlo era l’unico modo per incastrarlo; sperava vivamente che Violetta non fosse coinvolta, ma averla vista confabulare con Diego non giocava certo a suo favore.
“Si sieda pure…Di cosa stava parlando con Ludmilla?” chiese curioso Pablo, mentre la penna gli sfuggì di nuovo, cadendo a terra. “Le stavo spiegando che gli spartiti con alcuni esercizi che mi aveva consegnato sono misteriosamente scomparsi” spiegò Angie dubbiosa. “In che senso?” la interrogò Pablo. “Sono letteralmente spariti dal mio armadietto che si trova in questa stanza” spiegò Angie.
Leon seguì Diego lungo alcune strade che non conosceva bene. Si stavano allontanando dal centro della città. Il ragazzo prese una corriera che stava passando e lui salì, tenendolo d’occhio per sapere dove scendesse.
“Quindi lei non teneva il suo armadietto chiuso a chiave?” chiese l’investigatore, appuntandosi tutto sul taccuino. “No…ma è importante tutto questo per il caso?” domandò la donna perplessa. “Temo di si” rispose Pablo con aria assorta.
Diego scese in una zona periferica, in quelli che si potrebbero definire i bassifondi della città. Leon continuò a stargli dietro lungo le vie strette e buie, dei veri e propri vicoli, che davano un senso di soffocamento.
“Pensa che qualcuno possa averli rubati? Che possa essere stato l’assassino? Ma non ha alcun senso!” esclamò esterrefatta Angie. Pablo annuì piano: “Così si spiegherebbe già quello strano fenomeno. Mi sembrava tutto troppo semplice, troppo ovvio”. “Non la capisco!” disse la donna, rinunciando a comprendere la mente contorta del suo interlocutore. “Ma lo sa che quando riflette e assume quell’espressione ha un non so che di buffo e attraente allo stesso tempo?” aggiunse poco dopo, accompagnando il tutto con una risata dolce. Pablo arrossì all’istante, cominciando a trafficare con il primo oggetto che gli capitasse a tiro. Fece un respiro profondo continuando a concentrare la sua attenzione su quello strano soprammobile di vetro a forma di coccinella sul tavolo.
Diego svoltava in continuazione: destra, sinistra, destra. Leon gli andava dietro con circospezione per evitare di essere scoperto. Improvvisamente lo perse di vista. Digrignò i denti: come aveva fatto a lasciarselo scappare? Proseguì lungo la strada che aveva preso, finendo sotto un ponte trasandato con uno strano odore di muffa. Doveva pensare a come comportarsi.Forse era meglio tornare allo Studio, così ne avrebbe parlato con il suo capo. D'un tratto sentì la presenza di qualcuno: dei passi si stavano muovendo dietro di lui.
“Ho paura che qualcun altro possa correre pericoli” sussurrò Pablo.
Cercò di voltarsi in tempo, per sorprendere il suo inseguitore, ma non fu abbastanza rapido. Una botta in testa, e Leon cadde sulla fredda strada.
“E potremmo dover avere a che fare con un altro omicidio…” disse piano l’investigatore, avvertendo improvvisamente una scossa di brividi.
L'unica cosa che vide il giovane assistente in quel momento fu buio. Buio e oscurità. 
 










NOTA AUTORE: eccomi con un nuovo capitolo. Allora si...forse non è un granchè (ma sarete voi a dirmelo), ma è comunque essenziale per il proseguimento della storia. Come vi avevo promesso nuovi indizi sono venuti a galla...E tanto mistero! Ma andiamo con calma, che questo giallo è sempre più intricato (e lo è anche per la mia povera testa, che ad ogni capitolo deve fare mente locale xD). Allora Francesca sembra essere la principale sospettata dell'omocidio di Nata. O almeno così sembra. Non sappiamo cosa pensa il nostro Galindo, almeno per ora...Violetta si intromette durante l'interrogatorio e viene portata fuori da Leon: oddio quanto sono belli! Ho amato la loro scena lungo il corridoio deserto *-* ankcgqiueogf *muore* Ma Violetta continua a non volersi lasciare andare (per ora...), vediamo quanto durerà la sua resistenza (che di fronte a Leon non può essere così forte xD). Nel frattempo Camilla ci fa capire che Nata aspettava Ludmilla (ma questo lo potevamo intuire anche dal biglietto...), piuttosto anche lei è sospetta: da sola nello Studio di mattina, senza testimoni, potrebbe benissimo aver ucciso lei Natalia. Pablo, che tanto critica il nsotro Leon, si sta prendendo una bella cotta per Angie, ma questo non gli impedisce di riflettere lucidamente sul caso. La scomparsa degli spartiti per Pablo è un altro tassello che risolve una questione in sospeso (capite quale?). Una questione che ci porta a sospettare già di qualcuno...e su, aiutatemi, non mi fate dire tutto! xD Leon sente di nuovo Diego e Violetta confabulare, e decide di pedinare Diego, ma lo perde di vista e viene aggredito da un personaggio misterioso (chi sarà?). Tanti colpi di scena in questo giallo...e tanti indizi. Se vi state perdendo affidatevi alle mani sapienti di Pablo che ben presto (penso) ricapitolerà la situazione! O comunque rileggetevi anche i precedenti capitoli, che forse un'idea potreste cominciare a farvela (o forse no xD Questo caso è davvero complicato O.O). Buona lettura a tutti, e fatemi sapere che ve ne pare :D Il giallo continua! 

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Capitolo 8
*** Coinvolgimenti d'amore ***


Capitolo 8
Coinvolgimenti d’amore

“Leon! Leon!”. Una voce lo stava chiamando strappandolo dal buio. Riaprì lentamente gli occhi: tutto era sfocato. Distingueva solo una sagoma rosa con intorno una massa castana indistinta. “V-Violetta?” balbettò incerto, cercando di rialzarsi. Una fitta di dolore alla testa glielo impedì e il giovane fece una smorfia. “Non alzarti,  rimani steso” disse Violetta, portando delicatamente il capo del ragazzo sulle sue ginocchia piegate. “Sono in Paradiso?” chiese lui all’improvviso, socchiudendo gli occhi. Violetta rise: una risata cristallina e dolce, che gli riempì il cuore di gioia. Gli stava accarezzando i capelli lentamente con cura. Sentendo quelle dita massaggiargli delicatamente le tempie Leon si sentì in pace con il resto del mondo. Non c’erano omicidi, non c’erano sospettati, c’erano solo loro due e l'amore che riusciva a percepire nell'aria. “Non sei ancora in Paradiso. E poi cosa te lo avrebbe fatto pensare?” chiese Violetta con un sorriso. Leon la guardò dritto negli occhi. “Forse perché c’eri tu non appena ho aperto gli occhi”. “Mi stai dicendo che sono un angelo?” lo interrogò divertita e nervosa allo stesso tempo. Il ragazzo scosse la testa: “No, non sei un semplice angelo. Tu sei il mio angelo”. Violetta lo guardava titubante, mordendosi il labbro inferiore. “Ahi, sono davvero ridotto male” esclamò lui, portandosi una mano sulla fronte. Violetta smise di accarezzargli i capelli e continuò a fissarlo, piena di timore e desiderio allo stesso tempo. Stavolta Leon trovò la forza per alzare il busto e i loro visi si incrociarono. “Leon, io stavo pensando…” balbettò lei rossissima. “Stavi pensando…” ripeté lui, senza badare troppo alle parole, troppo preso a perdersi nei suoi occhi. “Stavo pensando che noi…ecco, noi…”. Leon posò un dito sulle sue labbra, facendola avvampare ancora di più. Posò la mano sinistra sulla fredda pietra, e fece scivolare la destra lungo la guancia per poi accarezzarla dolcemente. Violetta rabbrividì a quel contatto e chiuse gli occhi. Leon sorrise divertito: sembrava che questa volta tutto sarebbe andato per il verso giusto. Aveva capito che anche lei non poteva fare a meno di desiderare un nuovo bacio tra di loro. “Prometti che stavolta non scapperai via?” chiese in un sussurro sempre più vicino, fissando le sua labbra avidamente, e desiderando con tutto se stesso azzerare velocemente le distanze. “Te lo prometto, Leon” rispose lei, sorridendo con gli occhi chiusi e con un tono di voce trepidante. Leon la guardò un’ultima volta, imprimendo nella sua mente la bellezza del suo viso e di quel momento magico e intimo, prima di chiudere gli occhi e baciarla dolcemente. Violetta sentì una scossa scuoterla completamente. Stava sbagliando? Si. L’avrebbe fatto soffrire? Si. Ma quella distanza stava danneggiando entrambi, e non faceva altro che provocargli continue ferite. Leon Vargas. A dispetto da quanto aveva detto, non aveva nemmeno per un secondo dimenticato il suo nome, da quello strano incontro nella libreria.
Prese il viso di Leon tra le mani, e continuò a muovere le labbra sulle sue, che lentamente si schiusero, permettendole di approfondire quel bacio che le stava suscitando sempre di più il desiderio di stargli accanto e potersi sentire protetta. Il desiderio di poterlo baciare fino alla fine dei suoi giorni, di poter dormire con lui, di potersi rifugiare tra le sue braccia forti quando qualcosa o qualcuno la minacciasse. Sentì il fiato cominciare a mancare, ma non volle ancora staccarsi, anzi si lasciò sempre più trasportare da quella passione travolgente. La lingua di Leon sfiorò la sua: era così calda e avvolgente da farla impazzire. Leon riscese con il busto e lei seguì ogni suo movimento, fino a quando non si trovò anche lei per terra al suo fianco, continuando a baciarlo. Si separarono e lei appoggiò la fronte su quella del ragazzo, sorridendo. “Come puoi vedere, non sono scappata”. “Peccato, ci stavo prendendo gusto a rincorrerti” esclamò Leon scoppiando a ridere. Violetta lo baciò ancora, dando vita a un nuovo momento passionale. “Violetta…” ansimò quasi, mentre la ragazza aveva appoggiato la bocca sulla sua guancia destra, lasciandogli tanti piccoli baci leggeri, mentre con la mano sinistra gli accarezzava il viso dolcemente. “Si, Leon?” chiese con voce tremante, separandosi e guardandolo con le guance rossissime. Non si era mai spinta a quel punto con nessun ragazzo in vita sua, ma Leon non era un ragazzo qualsiasi. “Siamo in mezzo a una strada, in una zona di Londra non esattamente priva di pericoli o quantomeno raccomandabile. Forse dovremmo andarcene da qui” esclamò lui, prendendole la mano. Violetta annuì e i due si alzarono. Non smettevano di guardarsi negli occhi e di sorridersi. Ogni tanto Leon non resisteva e la baciava velocemente, mentre camminavano. Mentre le stringeva la mano, si sentiva completo. Mentre la abbracciava, sentiva i brividi lungo la schiena. Mentre la baciava, i brividi attraversano tutto il corpo, arrivando al cuore e stimolandolo a battere più forte. Mentre la guardava negli occhi il resto del mondo non esisteva. Quella ragazza che le stava accanto era la perfezione, e si sentiva fortunato anche solo al pensiero di poter sfiorare le sue labbra rosee. Violetta camminava con lo sguardo basso imbarazzata. Era così contenta ed emozionata per quello che era successo. Fino a qualche secondo fa le sembrava ancora un sogno, un bellissimo sogno. Si ricordò di ciò che aveva fatto Leon quella mattina e decise di ricambiare. Prese la mano del ragazzo e la portò al suo petto, all’altezza del cuore. Leon chiuse gli occhi e assaporò appieno il battito del cuore della ragazza, che andava a dei ritmi folli. “Che cosa significa? Hai paura?” chiese un po’ preoccupato. Violetta scosse la testa, e si avvicinò al suo orecchio: “Sono solo innamorata, Leon. Innamorata di te”. Leon si commosse a quelle parole, quindi la abbracciò forte. “Finché sarai con me, ti prometto che non ti succederà nulla di male. Ti proteggerò sempre”. “Lo so, Leon. So che lo farai” sussurrò lei felice, lasciandosi cullare dal suo profumo e dalle sue braccia intorno alla vita. Era protetta. E Leon era il suo eroe.
Il giorno dopo Pablo era nel suo studio, riflettendo attentamente. C’era qualcosa che non quadrava. Non sapeva perché, ma era fuori pista; quando il suo assistente sarebbe arrivato, avrebbe fatto un rapido resoconto del caso per averne una visione completa. “Scusa per il ritardo!” esclamò Leon con il fiatone. Si era svegliato tardissimo perché non aveva sentito il suono della sveglia. Ancora era emozionato per ciò che era successo il giorno prima. Più tardi aveva intenzione di fare una sorpresa a Violetta allo Studio, ma non poteva dirlo a Pablo: sicuramente non avrebbe approvato questa sua relazione, con una sospettata di omicidio per di più. Ma a lui non interessava: sentiva che lei non era un’assassina, e quello che provava era troppo forte per essere ignorato. “E’ il momento di fare una breve riepilogo” esclamò l’investigatore, facendolo riprendere da quei pensieri. “Sull’omicidio di Gregorio?” chiese Leon, sedendosi sulla sedia di fronte alla scrivania. Dall’altra parte Pablo annuiva pensieroso. L’assistente prese il suo taccuino e cominciò a fare un resoconto dettagliato.
“Allora…Roberto, detto Beto, Angie e Jackie sono rimasti nella sala professori dalle 14 alle 16 e a quanto pare non sono mai usciti di lì. Alle 15 e 20 circa Jackie si offre di portare il caffè a Gregorio, e in quel preciso istante entra Natalia, la quale rimane sconvolta ad osservare qualche dettaglio che a noi manca. Secondo Beto, ha guardato Angie, ma non sembra essere molto certo di questo. Alle 15 e 45 entra invece Francesca che chiede degli spartiti che la mattina Jackie le aveva commissionato. Su richiesta di Jackie va nell’ufficio di Gregorio. E proprio per questo risulta la prima sospettata. Inoltre lei e Violetta avevano detto di non essersi mosse dalla sala degli strumenti, quindi ci hanno mentito”.
“Diego va intorno alle 16 nell’ufficio di Gregorio. E qui abbiamo un’altra incongruenza. Il signor Hatter afferma che Natalia gli ha detto che il preside lo cercava, ma la ragazza l’ha contraddetto. Angie vede Maxi fuggire dalla scuola, e il ragazzo in questione ancora risulta scomparso. Questi sono gli eventi chiave di quest’omicidio. Passiamo agli indizi più importanti. Sulla scena del delitto abbiamo trovato una lettera iniziata in cui si parlava di una donna venuta dall’Italia. Abbiamo supposto si potesse trattare di Francesca, ma ancora non ne siamo sicuri. Poi abbiamo rinvenuto anche dei filamenti neri sulla nuca dove c’era il foro e la tazzina di caffè, che non è risultata rilevante per il caso. Per quanto riguarda i sospettati, manca da sapere che cosa nasconde la signorina Artico per la questione della foto scomparsa”. “E la foto a casa di Jackie. Dobbiamo aggiungere anche quella. Ha una sua importanza che non abbiamo considerato” lo corresse Pablo. “Gli indizi sono finiti, credo. Passiamo al caso di Natalia. Strangolata con una cintura nera, la stessa che porta Francesca Artico tutti i giorni. Camilla rientra tra le sospettate poiché si presenta a scuola tutte le mattine. Dobbiamo considerare anche il biglietto da parte di Ludmilla ritrovato vicino il corpo”. “E gli spartiti scomparsi di Ludmilla, compiti assegnati da Angie. Anche quelli sono importanti” disse l’investigatore. “Beh, direi che abbiamo finito” concluse Leon con un sospiro, richiudendo il taccuino. “Alla lezione di Jackie sono mancati Federico, Camilla, Maxi e Violetta. L’assenza di quest’ultima è la più sospetta, visto che è stata a scuola fino alle 16 circa con Francesca”. Leon sentiva un groppo in gola a quelle parole. No, non ci credeva, non poteva essere stata lei l’assassina. “Vorrei farti notare una cosa sull’omicidio di Gregorio” disse Galindo, interrompendo i suoi pensieri. “Non ti sembrano strane le dinamiche?” . Leon alzò un sopracciglio. “In che senso? Non capisco”. L’uomo si alzò e sembrò piuttosto spazientito. “Ma non è ovvio? Vieni con me!”. I due si diressero all’automobile e dopo qualche minuto si trovarono allo Studio, precisamente nello studio di Gregorio. “Adesso esci dalla finestra e prova a rientrare” gli ordinò Pablo sedendosi dove era stato ritrovato il corpo del preside. Leon fece come gli era stato detto: uscì in fretta e provò a rientrare il più silenziosamente possibile, ma inevitabilmente dovette fare un piccolo saltello per poggiare i piedi sul pavimento, creando un lieve tonfo. “Vedi?!” esclamò l’investigatore alzandosi tranquillamente. “E’ impossibile entrare qui dentro senza che nessuno se ne accorga. Per scavalcare è inevitabile creare rumore. E quello che io mi chiedo è: perché Gregorio è rimasto tranquillamente seduto sulla sedia come se nulla fosse accaduto?”. “Potrebbe essersi addormentato” ipotizzò il giovane dopo averci pensato un po’ su. “Ma allora il nostro assassino sarebbe stato fortunato e molto, molto imprudente” lo riprese l’uomo. “E quindi?” chiese Leon, sempre più confuso. “Quindi nulla…ci sono troppe stranezze in questo delitto” sussurrò Pablo. Senza aggiungere nulla uscì dallo Studio per dirigersi nella sala professori. “Beto, giusto lei cercavo!”. Il professore, che stava mangiando un croissant ripieno di crema, saltò dalla sedia con un’espressione sconvolta. “Signor Galindo, ma lei mi fa prendere un colpo!” sbottò Beto con la mano che ancora tremava. “Ha ragione, mi scusi” lo rassicurò l’investigatore, senza però avere intenzione di indugiare a lungo. Leon lo raggiunse ancora stranito: che il suo capo fosse uscito completamente di testa? Non capiva proprio che gli fosse preso. “Mi saprebbe dire in che posizioni esatte eravate quando è entrata la signorina Natalia il giorno dell'omicidio?” chiese l’uomo sempre più nervoso. Beto scosse la testa. “Mi spiace, non le ricordo proprio…”. “Ma le ricordo io!” disse una voce all’ingresso della stanza. Angie fece il suo ingresso con stile, portando con sé un delicato profumo di lavanda. Senza aggiungere nulla con un sorriso prese la mano di Pablo, portandolo alla macchinetta del caffè. L’uomo la guardava incantato senza fare caso allo sguardo divertito di Leon, che cercò di soffocare una risata. “Jackie era qui. E io ero poco dietro di lei” sussurrò lei, guardandolo dritto negli occhi con un po’ di malizia. Pablo sentì la mano formicolare, e si sottrasse subito alla presa. Osservò il profilo della donna, soffermandosi sulle sue labbra morbide e sullo sguardo penetrante. Si rese conto di stare cominciando a sudare. Che ci era venuto a fare in quella stanza? Ah, si, per confermare alcune ipotesi che avevano cominciato a frullargli in testa. “E…Beto?” balbettò con incertezza. Angie indicò la libreria all’altro lato della stanza. “Beto stava lì a mettere in ordine alcuni libri di musica che aveva preso in prestito”. “B-bene, grazie, adesso vado” esclamò Pablo, fuggendo via nuovamente.
“Non mi sembra che la signorina Angie le sia indifferente” scherzò il giovane dagli occhi verdi rincorrendolo. Pablo gonfiò il petto orgoglioso. “Per favore! Risparmiami queste scempiaggini! Ora torno allo studio…vieni con me?”. “No, io rimango un altro pochino” rispose Leon apparentemente con noncuranza. “Ci vediamo domani allora” lo salutò Pablo dandogli una pacca sulla spalla. L’assistente aspettò che la macchina del suo capo si fosse allontanata, poi fece uno scatto dal fioraio dall’altra parte della strada. Era felicemente innamorato.
“Meno male che le lezioni sono finite” sbuffò Francesca, stanca morta. Violetta annuì con aria assente, fino a quando non vide all’entrata Leon che la aspettava sotto l’albero vicino al giardino della scuola. “Ci sentiamo domani, allora?” disse felice, rispondendo al sorriso del suo fidanzato. Fidanzato. Che strana parola. Non aveva mai avuto un vero fidanzato fino ad ora. L’italiana seguì lo sguardo dell’amica e capì tutto. Sembrava turbata dalla presenza di Leon. “Non starai sbagliando? Lo conosci appena? E se volesse solo che tu spifferassi tutto?”. “Non è così. Lui prova qualcosa per me, e anch’io. E’ la prima volta che mi sento così innamorata” affermò con sicurezza la ragazza, salutando con un cenno della mano il suo corteggiatore. “D’accordo, ma sta attenta. Ci vediamo domani” la salutò Francesca incerta, prendendo la strada verso casa. Violetta corse verso Leon e gli saltò al collo con entusiasmo. “Ehi, calma, non è passato nemmeno un giorno da quando ci siamo salutati” disse Leon ridendo, lasciandole un dolce bacio sulle labbra. Violetta gli accarezzò la guancia, e lo baciò in modo ancora più appassionato. Si separò con un sorriso entusiasta. “A me è sembrato molto di più”. “Anche a me, Violetta. E ogni secondo che passa sono sempre più innamorato di te” esclamò il giovane, avvicinandosi per ricongiungere le labbra. Stavolta però Violetta si scostò: “Cosa nascondi dietro la schiena?”. Leon sorrise e tirò fuori una rosa bianca. Le rose rosse non gli erano mai piaciute, le riteneva banali. Invece la rose bianche…con il loro profumo e il loro aspetto candido lo avevano sempre attratto. Violetta lo guardò in silenzio senza parole, suscitando l’agitazione di Leon. “Scusa, io…forse non ti piacciono. Solo che…mi dispiace, se vuoi la tengo io”. Violetta non disse nulla, prese la rosa in mano e lo baciò con dolcezza. Leon sorrise contento, mentre continuava a baciarla più intensamente. Fece passare il braccio destro lungo la sua vita, stringendola a sé e portando i loro petti a toccarsi. “E’ un pensiero bellissimo” disse lei, una volta che si furono separati. Leon si sedette per terra con la schiena appoggiata al tronco dell’albero, seguito da Violetta che si appoggiò al suo fianco con la testa sul suo petto. Leon passò il braccio intorno alle spalle della ragazza, e rimasero in silenzio a godersi quel momento intimo e speciale. Dopo un’oretta in cui erano rimasti così, scambiandosi di tanto in tanto qualche bacio o carezza, Violetta si alzò in piedi spaventata. “Mio padre mi starà cercando!”. “Vuoi che ti accompagni?” chiese il giovane alzandosi in piedi e prendendole la mano con delicatezza. “Non ti preoccupare, ancora non è buio” lo rassicurò. I due si abbracciarono, manifestando la loro intenzione di voler rimanere così, di non volersi separare. “Ci vediamo domani?” chiese Leon, con una punta di imbarazzo. Solo dopo si rese conto di essere risultato troppo insistente con quella domanda. “Ma forse non vuoi…Pensi che stia andando troppo di fretta?” aggiunse subito, abbassando lo sguardo. Violetta si avvicinò, gli alzò il viso con un dito e si fiondò sulle sue labbra, affondando le mani nei suoi capelli. “A domani” gli sussurrò all’orecchio con una risata, per poi andare via di corsa salutandolo con la mano. Leon rimase lì imbambolato, come se avesse colpito un palo con la testa testa, con un sorriso ebete stampato sul volto.
Violetta rientrò in casa, e dopo aver dato spiegazioni del suo ritardo al padre si chiuse in camera e si stese sul letto. Ripensò ai bellissimi momenti passati con Leon e sorrise, lasciandosi scappare anche qualche risata di gioia. Prese un cuscino e lo stritolò tra le braccia, continuando a sognare e aspettando con ansia che arrivasse il giorno dopo per poterlo rivedere. Il telefono squillò all’improvviso. “Vado io, papà!” esclamò lei, scendendo le scale di corsa. “Pronto?”. Dall’altra parte della cornetta c’era Francesca, in preda alla più completa disperazione. “Non riesco a capire…che cosa intendi dire?”. “L’ha scoperto! L’ha scoperto!” esclamò l’italiana sull’orlo delle lacrime. “Non muoverti di lì, resta calma. Non fare nulla. Domani penseremo a come agire” la rassicurò Violetta seria, chiudendo poi la chiamata. Fece un respiro profondo: nemmeno era iniziato che il suo idillio era già finito.
Pablo era rimasto in ufficio, continuando a studiare documenti e a rivedere le dichiarazioni dei sospettati. Improvvisamente qualcuno bussò alla porta. “Avanti” disse Pablo concentrato. Un agente giovane e sbarbato con un po’ di timore entrò nella stanza debolmente illuminata e lasciò un dossier con scritto ‘Per Galindo’; fece il saluto e poi uscì di corsa. “Novellini” borbottò l’uomo, cominciando ad osservare quel fascicolo con ansia e interesse. “Ecco la vita di Gregorio Garcia prima di venire a Londra”. Lo prese e cominciò a sfogliarlo. “Ha trascorso tutta la sua infanzia e giovinezza in Italia…Interessante” sussurrò, girando un’altra pagina. Un’altra pagina ancora, e ancora. “La famiglia…”. Lesse in piccolo i nomi del padre e della madre, il nome ‘Gregorio Garcia’, e poi eccolo comparire: ‘sorella’. Gregorio aveva una sorella? La data di nascita indicava che era molto più piccola rispetto al fratello. Non capiva, tutta quella questione non quadrava. A meno che…
“Che la sorella di Garcia sia qui a Londra? Che sia proprio allo Studio 21?” si chiese Pablo, richiudendo il fascicolo. La caccia ai fantasmi del passato di Gregorio era appena iniziata. 















NOTA AUTORE: Allora rieccomi con un nuovo capitolo (terribile/inguardabile), ma comunque mi sentivo in colpa a non pubblicarlo, quindi eccomi qui. La mia unica nota di gioia è che le scene Leonetta mi fanno sclerare come pochi. Violetta si è arresa al forte sentimento che prova per Leon e i due hanno deciso di intraprendere una relazione, all'oscuro di Pablo, che secondo Leon non approverebbe (e ha pure ragione...ma sono ragazzi, lasciamoli stare *O*). La scena iniziale...io la amo! Non per come l'ho scritta (magari amassi qualcosa che scrivo LOL), ma per come si svolgono le cose, e per i dialoghi (ma...sono dolcissimi *O*). Poooi, Pabl oci fa un rapido resoconto del caso, e va bene (per chi si era perso un pochino), ma ovviamente abbiamo solo ripercorso le tappe fondamentali...per saperne di più vi dovrete rileggere i capitoli scorsi ;) Il nostro investigatore di fiducia mette in rilevo alcune questioni importanti, come ad esempio quella del rumore che l'assassino avrebbe dovuto fare entrando nella stanza. E dopo un'altra dolciosissima scena Leonetta (e le loro scene non finiscono qua...anche se in questa ff non combineranno niente, insomma siamo nel Novecento e questi si conoscono da poco, diamogli un po' di decenza -so che Ary_6400 sta soffrendo xD-), che però finisce in modo angosciante, visto che non sappiamo cosa nascondono Fran e Violetta, Pablo ci lascia con un grandissimo interrogatorio, riportando alla luce un fantasma della vita di Gregorio. La sorella...un personaggio misterioso che potrebbe benissimo aggirarsi sotto falso nome...curiosi, eh? Ebbene, questa misteriosa figura farà parte dei sospettati, oppure no? Rivestirà un ruolo importante? Tanti interrogatori ancora...Questo capitolo, anche se incentrato sui Leonetta (*O*), ci rivela nuovi indizi e nuove domande...siamo pronti a continuare per il giallo? Per chi sta provando a risolvere il caso: questa capitolo vi potrebbe interessare alquanto...per chi si sta arrendendo (è normale...in un sacco di gialli anche io mi arrendo LOL), affidiamoci alle mani sapienti di Galindo e godiamoci la scene Leonetta :D Credo di aver detto tutto, alla prossima :D

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Capitolo 9
*** Piccoli tasselli trovano il loro posto ***


Capitolo 9
Piccoli tasselli trovano il loro posto

Leon quella mattina era davvero di buon umore. Come avrebbe potuto non esserlo? Era felice, anzi felice non avrebbe potuto nemmeno minimamente sfiorare il suo reale stato d’animo. Entrò nel grigio edificio di Scotland Yard salutando tutti allegramente. Ovviamente quello che ricevette in tutta risposta furono degli sguardi freddi e seri, ma non gli importava. “Permesso?” chiese allegramente bussando alla porta dell’ufficio del suo capo. “Entra pure, Leon” rispose una voce familiare dall’interno della stanza. Senza indugiare un secondo, Leon aprì la porta e si ritrovò Pablo con un’espressione assorta e un pacco di fogli sulla scrivania. Sembrava che li stesse esaminando uno ad uno. Leon si avvicinò sorridente e si sedette dall’altra parte della scrivania. “Allora di cosa ci occupiamo oggi?” chiese curioso. “Di questi” esclamò l’uomo, passandogli una serie di quelle che dovevano essere lettere. “Wow, interessante” si lasciò scappare il giovane affranto. Odiava il lavoro da scrivania, lo trovava noioso e poco produttivo. Erano molto più utili i sopralluoghi e gli interrogatori, la ricerca di indizi. Prese la prima lettera e iniziò a leggere:
‘dear maria, how are you? do you like the college? if you hate me, please forgive me. I have done this only for your happiness…’
La lettera continuava, ma parlava solo del più e del meno, come ad esempio il tempo, le condizioni di salute e altre cose del genere. Diresse subito lo sguardo verso la fine e notò la firma di Gregorio Garcia, con una data che risaliva a circa dieci anni fa. “E quindi?” chiese Leon, continuando a non capirci niente. “Innanzitutto la lettera è stata rispedita al mittente. Questo indica che a quanto pare Maria non aveva intenzione di avere alcun contatto con suo fratello” cominciò a spiegare, alzando lo sguardo da un foglio tutto ingiallito. “Fratello? Mi sta dicendo che Gregorio aveva una sorella?” esclamò sbigottito l’assistente. Pablo lo fissò seriamente.“Ebbene si. Aveva una sorella, Maria Garcia, che è stata mandata in un collegio europeo dopo la morte della madre”. “Ma c’è altro che mi incuriosisce…” aggiunse subito dopo. “Cosa?” chiese Leon, non riuscendo a stare dietro ai ragionamenti dell'investigatore. “Lo stile, osserva lo stile. Certo, se fosse così, tutto risulterebbe chiaro, e spiegherebbe tante cose” sussurrò l’investigatore. “La prego, mi può spiegare? Non ci sto capendo nulla”. “Eppure è chiarissimo, proprio davanti a te. Ti porrò la domanda in un altro modo: non ti sembra strano che un assassino veda un indizio che potrebbe incriminarlo e lo lasci consapevolmente lì? Ricordi l’inizio della lettera che stava scrivendo Gregorio? L’assassino ha sparato proprio con la pistola appoggiata alla nuca, come poteva essere evidente dai segni di bruciatura. Quindi dovrebbe aver visto la lettera di sfuggita, no? E allora io mi chiedo: perché semplicemente non l’ha fatta sparire dalla circolazione, ma ci ha lasciato con il dubbio?” disse Pablo, alzandosi di scatto in piedi e cominciando a fare avanti e indietro per la stanza. “Quindi sta dicendo che l’assassino non viene dall’Italia e che abbiamo sbagliato tutto?” chiese Leon, mettendosi una mano sulla fronte. Una perdita di tempo! La loro indagine finora era stata solo una perdita di tempo. “Dovremmo escludere Francesca. Inoltre anche Jackie viene dall’Italia da ciò che avevamo scoperto. E poi c’è Federico…ma lui l’avevamo comunque lasciato fuori visto che è un ragazzo” pensò ad alta voce il giovane enumerando le persone sulle punte delle dita. “Io non ho detto nemmeno questo” lo riprese subito l’investigatore con cipiglio severo.  “Ci rinuncio!” sbottò il giovane, appoggiando la testa sulla scrivania ed emettendo un lamento gutturale.
Per tutto il giorno Pablo continuò a passargli altre lettere, sottolineando come tutto avesse senso, in fondo. ‘dear jacob…’, ‘today i have to do something…’. Tutta robaccia inutile che non aveva nulla a che fare con l’omicidio. Eppure ogni minuto che passava Pablo era sempre più entusiasta, e faceva un’espressione eloquente, come se fosse tutto chiaro.
Leon e Violetta si erano visti nel pomeriggio, poiché Pablo gli aveva dato il resto della giornata libera. “Allora, come vanno le indagini?” chiese lei, tenendo stretta la sua mano. Leon la guardò e sorrise: era carina ad interessarsi al suo lavoro. “Bene. O almeno credo. Io non ci sto capendo nulla, ma l’investigatore Galindo sembra sempre più convinto di essere vicino alla risoluzione. Il colpevole verrà scoperto a breve!” esclamò tutto convinto. Violetta si irrigidì leggermente a quelle parole. “E…l’arma del delitto? E' stata ritrovata?” chiese lei ancora noncurante. Il ragazzo si fermò e la fissò curiosamente. “Stai parlando della cintura con cui è stata strangolata Nata?”. “No, intendevo la pistola con cui è stato ucciso Gregorio…” sussurrò debolmente. “Aspetta, come sai che la pistola non è stata ritrovata? Violetta, sai qualcosa che non mi vuoi dire?” la interrogò ripetutamente, mettendo le mani sulle sue spalle, e scuotendola leggermente. Gli occhi della ragazza si fecero cupi. Si scostò leggermente, e sembrava incredibilmente pallida. “La mia era una domanda come un’altra, Leon. Ora se mi vuoi scusare, devo tornare a casa, si sta facendo tardi. A domani” lo salutò freddamente, dandogli un leggero bacio sulla guancia e scappando via. Leon rimase fermo, guardando il vuoto. Il dubbio si stava insinuando in lui. Aveva paura che Violetta gli stesse nascondendo qualcosa sul delitto. Mise la mani in tasca e cominciò a camminare per tornare a casa. Qualcosa non andava…
Federico si mise a guardare il quadro della Maddalena incantato. Non sentì nemmeno il suono del campanello che annunciava visite. Il domestico andò ad aprire al posto suo, e una Violetta piuttosto agitata fece il suo ingresso. “Violetta…” sussurrò l’italiano, voltando di scatto lo sguardo. Fece un cenno per far allontanare il domestico e si avvicinò alla ragazza, palesemente sconvolta. “Il signor Artico…l’ha scoperto” disse lei semplicemente. Federico annuì pensieroso. “Sapevamo che prima o poi sarebbe successo”. “Si, ma…adesso finiremo nei guai” continuò scioccata dalla reazione pacifica dell’amico. “Allora non rimane che dire tutta la verità”. Violetta scosse la testa. “Non possiamo. Insomma…non ci sono altre alternative?” chiese timorosa. “Direi di no, Violetta. Abbiamo tirato la corda troppo a lungo, non ci resta che raccontare la verità, anche perché sai benissimo che la pistola del delitto potrebbe essere la stessa, e allora Francesca finirebbe nei guai” la convinse con lo sguardo. “Non dirlo! La povera Francesca…dobbiamo proteggerla”. Federico annuì e l’abbracciò. “Non permetteremo che le succeda qualcosa di male. Dobbiamo parlare, Violetta, e affrontare le conseguenze”.
Il giorno dopo il sonno del giovane Vargas fu rotto dallo squillare incessante del telefono. Allungò la mano sul comodino e afferrò la cornetta. “Pronto?” chiese Leon con la voce impastata dal sonno. “Pronto, Leon! E’ successa una cosa incredibile”. Era Pablo. Possibile che il suo capo lo dovesse svegliare alle sei di mattina? “Di cosa si tratta? Spero almeno che sia una cosa importante” mugugnò lui, concludendo con un grosso sbadiglio. “Certo! Stanotte qualcuno si è intrufolato nell’appartamento del defunto Garcia” spiegò Galindo con una breve risata. Leon saltò dal letto agitatissimo. “Ma è terribile! Deve trattarsi dell’assassino, sicuramente. Che cosa ha rubato? Qualcosa di importante, vero?” chiese a raffica. “Calmati, non è stato trafugato nulla, e credo di sapere bene il perché” disse, accompagnando queste parole con un’altra risata. “Continuo a non capirci nulla, e mi sta anche venendo il mal di testa” si lamentò Leon, ricordandosi subito dopo di stare parlando con il suo capo, e riacquistando un po’ di decoro. “Volevo dire…mi precipito da lei all’appartamento”. “Non ce n’è bisogno, io sono allo Studio, per fare alcune indagini” esclamò l’altra voce al telefono. “Perfetto, allora vengo subito” concluse Leon riattaccando e precipitandosi in bagno per prepararsi.
Pablo camminava allegramente, come se quello fosse il giorno del suo compleanno, con un sorriso a trentadue denti. Stava andando tutto esattamente come aveva previsto. Vide la signorina Ironly guardare la superficie degli armadietti con lo sguardo vitreo. Sembrava non aver passato una buona nottata. Si avvicinò silenziosamente e si appostò dietro di lei. “Buongiorno signorina”. Ludmilla fece un balzo spaventata e si voltò tutta tremante. Non l’aveva mai vista così. Aveva gli occhi gonfi e rossi. Forse aveva pianto. Sperò che si trattasse del dolore provato per la morte di Natalia. “Cosa ci fa così presto a scuola?”. “Sono…sono venuta a fare alcune prove per la lezione di danza” rispose dopo averci pensato un po’ su. “Signorina Ironly, è il momento per noi due di giocare a carte scoperte. So che lei mi sta nascondendo qualcosa di importante sul delitto di Gregorio Garcia” esclamò calmo. Doveva approfittare di quel momento di fragilità della ragazza per convincerla a parlare. Era per il suo bene, per salvarla dall’enorme pericolo che stava correndo. Al sentire quelle parole, però, Ludmilla riacquistò il suo contegno e il suo atteggiamento di superiorità. “La posta in gioco non è abbastanza alta. Almeno non per il gioco che sto facendo io” rispose con un sorrisetto glaciale. Lei aveva un obiettivo, qualcosa per cui avrebbe lottato fino alla fine. “Sa perché siamo qui, in questa scuola? Per diventare degli artisti, qualcuno che un giorno potrà esibirsi nei teatri. Noi aspiriamo al successo. Io aspiro a diventare qualcuno di importante. Lei non farebbe di tutto per realizzare questo scopo? Io si”. Si voltò, pensando di aver vinto, ma ciò che disse Galindo, quelle parole, le rimasero impresse come una lama fredda puntata alla gola. “Per questa volta passo la mano. Ma si ricordi, signorina Ironly, a differenza di quanto lei possa credere, questo non è un gioco. Una volta finite le poste, è finita anche la sua vita”. ‘Una volta finite le poste, è finita anche la sua vita’. La sua vita. Aveva paura che avesse ragione, anche se non lo voleva ammettere nemmeno con se stessa.
Pablo la vide allontanarsi con uno sguardo preoccupato. Quella ragazza stava scherzando con il fuoco e non lo sapeva. Decise di andare a prendersi un caffè al bar di fronte, ma in quel preciso istante incrociò la giovane Angie, il cui volto era quasi completamente coperto dalla mole di libri e scartoffie che stava portando. “Signorina Angie!” bisbigliò Pablo, assestandosi un po’ i capelli e cercando di far risultare il tono della voce il più attraente possibile. Non sembrò averlo sentito. Si vergognò subito di questo suo comportamento così poco professionale. ‘Ha bisogno di una mano con i libri, o le cadrà tutto’ tuonò la sua vocina interiore. Ma sono in servizio, pensò Pablo. ‘Ma non puoi fare il maleducato! Sei un gentiluomo, Galindo’. No, o meglio si. Insomma non poteva davvero far finta di non averla vista e lasciarla in quello stato. “Buongiorno, signorina!” esclamò Pablo, avvicinandosi e prendendo coraggio. “Buongiorno, signor Galindo! Sarebbe così gentile da darmi una mano? Le offro un caffè qui allo Studio, se mi aiuta” propose la donna con un tono piuttosto affannato. “Non posso dire di no a un caffè! E alla sua piacevole compagnia” disse galante. Prese tutta la montagna cartacea, caricandosela sulle sue braccia. Tremò un momento di fronte a tutto quel peso, ma si lasciò guidare da Angie, cercando di non darlo a vedere. Quando furono all’interno della sala insegnanti, la donna indicò a Pablo un angolo del tavolo libero su cui poter appoggiare tutto, poi si avvicinò e preparò il caffè con una piccola macchinetta. Sembrava pensierosa. “Qualcosa non va?” chiese Pablo, osservando la sua espressione accigliata. Angie fece un gesto della mano, sventolandola in aria come per scacciare quelle preoccupazioni, e dandogli segno che andava tutto bene. “Le ho mentito” disse infine con aria stanca. Pablo la guardò, diventando d’un tratto serio. Il sorriso un po’ spensierato lasciò il posto al suo tipico aspetto riflessivo e attento. “Non è vero che io e Jackie non abbiamo mai lasciato la stanza” continuò dopo un po’ di silenzio. “Penso che Beto non se ne sia ricordato. Comunque io e Jackie ci siamo allontanate un momento per andare in bagno. Mi scusi per questa mia dimenticanza, mi è venuto in mente solo ora”. L’investigatore si sedette su una delle sedie libere, cominciando a massaggiarsi le tempie. “Quando vi siete allontanate? E siete passate di fronte all’ufficio di Gregorio?” chiese lentamente. Dalla risposta sarebbe dipeso molto. “Intorno alle 15:40, prima che arrivasse la signorina Artico. Jackie mi ha detto che doveva andare in bagno, e io mi sono offerta per accompagnarla. In realtà mi è sembrata un po’ infastidita dalla cosa, ma poi ha accettato. Si, siamo passate di fronte all’ufficio di Gregorio, ma non ho sentito nessun rumore particolare, credo. A Jackie è caduto uno spartito e insieme ci siamo piegate a raccoglierlo. Tutto qui” spiegò l’insegnante, preoccupata. Aveva nascosto un dettaglio importante? Non lo sapeva, ma d’altronde non le interessava. Era contenta che Gregorio fosse morto. Contenta era dire poco.
Pablo rifletté un altro po’. Era arrivato il momento per fare una rivelazione cruciale. “Lo sapeva che la madre di Violetta si era suicidata?”. Questo piccolo dettaglio l’aveva scoperto studiando tutti i profili dei sospettati. Una faccenda che era stata insabbiata, ma che lui aveva riportato a galla. La reazione di Angie non lo sorprese: impallidì di colpo, e la tazza di caffè fumante che aveva preparato cadde per terra, frantumandosi. “Povera piccola…” sussurrò appena, con lo sguardo perso nel vuoto. “Guardi cosa ho combinato” disse con un tono flebile, cominciando a raccogliere i frammenti di coccio, ferendosi a un dito. “Ahi!” esclamò rialzandosi terrorizzata. “Volevo solo farle sapere questo. Buona giornata” disse Pablo freddo. Lentamente tutto stava acquisendo una sua logica. La partita era iniziata di nuovo, ma questa volta sarebbe stato lui a conservare le redini del gioco.
“Violetta!”. Leon la stava inseguendo per il corridoio, guardandosi intorno per essere sicuro che il suo capo non lo vedesse. Per fortuna l’aveva visto entrare nella sala dei professori e ancora non era uscito di lì. Era ancora presto, circa le sette, e i corridoi bui e tetri erano semivuoti. La ragazza sembrava non volerlo ascoltare, correva portando le mani alle orecchie per non dover sentire il suo nome chiamato ripetutamente. Finalmente la intrappolò in un vicolo cieco. “Violetta” la chiamò nuovamente, afferrandole il braccio. “Si può sapere perché oggi mi eviti?” chiese guardandola negli occhi. Violetta evitava il suo sguardo, ma lui la scosse leggermente, costringendola a manifestare il suo dolore e la sua paura. Non rispose alla sua domanda. “Ti faccio paura? Ho sbagliato in qualche cosa? Pensi che stia andando troppo velocemente nella nostra relazione?” chiese visibilmente preoccupato. Violetta continuò a non rispondere, ma arrossì, sentendosi sempre più vicina a Leon. Il braccio le fece leggermente male, ma non lo diede a vedere. Anzi, non le importava minimamente. “Se pensi che sia stato troppo intraprendente, mi devi scusare. Ma io…io provo qualcosa di forte per te, qualcosa che non ho mai provato prima. Stare con te è come…sognare. E ogni volta non mi sembra vero. L’unica differenza è che quando mi sveglio tu sei ancora con me, ed è una sensazione meravigliosa. Lo so che non dovrei. Insomma, chi sono io per dirti una cosa del genere? Sono solo un apprendista, un povero orfano che non è minimamente al tuo livello. Però te lo devo dire, perché voglio essere sincero con te” disse tutto d’un fiato, mollando la presa. “Io ti amo”. Quella tre piccole parole rimbombarono nel corridoio vuoto e si persero nell’aria. La ragazza lo stava guardando sconvolta. Si portò lentamente una mano alla bocca, e cominciò a piangere.
Lacrime di gioia si mescolarono a quelle di dolore, con l’intenzione di sopraffarle. Il cuore cominciò a batterle forte. Le aveva detto di amarla. Cosa doveva fare? Aveva paura, non si era mai trovata in una situazione del genere. Si, aveva avuto ragazzi che la corteggiavano, ma lei non aveva mai dato peso a loro. Erano tutti uguali. Invece Leon…ai suoi occhi era il ragazzo perfetto. Era lui che riusciva a farla sorridere, con lui si era confidata, con lui sentiva di trovare una pace tanto desiderata. Lei amava Leon. Pian piano quella consapevolezza si fece largo nel suo cuore, ma le parole non le uscivano. Le tratteneva per paura delle conseguenze. Di lì in poi la sua scelta sarebbe stata definitiva. La sua esitazione fece preoccupare Leon. Forse pensava che non provasse lo stesso. “Capisco…allora il tuo è solo un affetto sincero?” chiese forzando un sorriso. “Perché anche in questo caso, potremmo comunque frequentarci e magari in futuro…”.
Non ebbe la possibilità di continuare che avvertì le labbra di Violetta posarsi dolcemente sulle sue, mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso angelico che tanto lo faceva impazzire. Chiuse gli occhi, e la strinse a sé, circondandole la vita con le sue braccia, mentre le braccia esili della ragazza si posarono sulle sue spalle. Le sensazione che provava quando la baciava non era descrivibile. La pace. Si, forse era ciò che si avvicinava di più. Violetta era sua, nessuno gliel’avrebbe portata via, lui l’avrebbe impedito. L’avrebbe protetta, e non perché fosse costretto o qualcosa del genere. Lui voleva proteggerla. Non poteva permettere che qualcuno rovinasse il suo sorriso, non voleva vederla piangere mai più di tristezza, ma solo di gioia. Violetta si separò dopo lungo tempo con un sorriso timido, lasciandolo ancora beato per quel gesto meraviglioso e allo stesso tempo confuso. “Anch’io credo di amarti” sussurrò debolmente, per poi abbracciarlo forte. Leon sorrise e rafforzò la stretta. Lei lo amava, il resto non gli importava. Il suo mondo adesso era perfetto, nulla avrebbe potuto scalfirlo. Con lei accanto avrebbe potuto fare tutto, anche l’impossibile. Si separò quel tanto per guardarla negli occhi e le sorrise, per poi darle un bacio sulla guancia.
Pablo si fermò nel corridoio e guardò i due ragazzi. Non si erano accorti della sua presenza. Leon, caro Leon, stai sbagliando, pensò Pablo. In fondo però ancora non era sicuro di quello che sarebbe successo, quindi chissà... Un agente lo venne a disturbare in quelle riflessioni. “Signore, ci sono due persone che le vorrebbero parlare nel suo ufficio”. “Di chi si tratta?” chiese Pablo alzando un sopracciglio. “Uno di loro è Maxi Slicely, il ragazzo scomparso, mentre l’altro è…Maria. Dice di essere venuta a reclamare l’eredità di Gregorio Garcia, afferma di esserne la sorella”. 









NOTA AUTORE: Rileggendo il capitolo, per una delle rare volte mi sento soddisfatto (in parte). La notiziona è che sono tornato dalla vacanze, e che mi hanno rubato il portafogli...e io mi chiedo dov'era Galindo in quel momento *se la prende con un personaggio di una ff* No, vabbè, lo perdono perchè era impegnato in questo caso intricato. Comunque, no, non sto scherzando, sono davvero senza una lira perché mi hanno rubato il portafogli *sospira* Vabbè, parliamo di qualcosa di bello (?): il capitolo, ovviamente ù.ù (??). Allora rapido riassunto: Pablo continua a capirci sempre di più, noi/Leon sempre di meno. Che bello xD Nel frattempo Ludmilla sta comprendendo il rischio che sta correndo, ma vuole andare fino a fondo. E la reazione di Angie sulla verità della morte della madre di Violetta? Non vi lascia un po' perplessi? A me si. Ma come mai questa reazione per una donna che non conosceva nemmeno. Invece per Pablo è tutto chiaro. Beato lui xD Tra parentesi il conflitto interiore di Pablo mi ha fatto morire: certo, Pablo, vuoi solo essere gentile, ceeeeeeeerto, ci crediamo tutti (LOL). Sono sicuro che Dulcevoz avrà guardato in modo complice l'ispettore Galindo in quel momento :D E poi...la scena finale. Che ci posso fare se li amo troppo? Cosa ci posso fare? Nonostante si siano conosciuti da poco, Leon dice di amarla (<3), anche se poco prima avevano litigato (?). Tra parentesi: cosa nascondo Fede e Violetta? Tornando ai miei amati...sono dolcissimi, il caso è chiuso. Rimane da capire perchè Violetta ha paura di stare con Leon, e perché Pablo non sembra approvare...Ma il finale? Inaspettato, vero? Maxi è tornato, e ci deve spiegare un bel po' di cose, e si presenta la misteriosa Maria...nel prossimo capitolo ne sapremo certamente di più, ma già in questo vi ho dato parecchi indizi, quindi mi raccomando lavorateci su insieme al nostro Galindo. Grazie a tutti voi che leggete e recensite, e grazie a Dulcevoz, che mi chiede sempre del proseguimento della storia, facendomi annegare in un mare di dolciosità (?). E niente, grazie a tutti, e buona lettura (e buone indagini)! Alla prossima :D

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Capitolo 10
*** Macabro gioco ***


Capitolo 10
Macabro gioco

Pablo entrò nel suo ufficio con aria stanca. Troppi pensieri si affollavano nella sua testa, facendogli quasi perdere il contatto con la realtà. Non appena fu dentro il suo studio, Pablo notò la presenza di tre persone, una delle quali conosceva bene. Un ragazzo dai capelli ricci e scuri e l’aria spaventata stringeva la mano di Camilla con forza, che era al suo fianco e gli sussurrava di stare tranquillo.  Dall’altra parte della stanza invece una ragazza non molto alta dai capelli castani e lo sguardo sicuro, batteva il piede nervosamente. Sembrava non avesse voglia di perdere tempo. “Eccomi qui, perdonate il ritardo” si scusò l’investigatore, prendendo posto sulla sedia dietro la scrivania. La giovane donna si fece avanti con un sorriso tiratissimo. “Io sono Maria Garcia, la sorella di Gregorio, e sono qui per parlare della sua eredità”. Pablo annuì quindi spostò lo sguardo sul ragazzo che stava tremando come una foglia. “I-io sono Maxi…Maxi Slicely” disse quest’ultimo abbassando lo sguardo a terra. “Bene, devo parlare con entrambi, Maxi vorrebbe…” cominciò a parlare, ma venne subito interrotto. “No, signor…”. “Galindo” aggiunse poi, dopo aver letto il nome sul distintivo appoggiato sulla scrivania. “Io ho degli impegni improrogabili quindi vorrei essere la prima. Chiudiamo subito questa faccenda” esclamò Maria, mettendosi di fronte a lei. “Come preferisce…signorino Maxi, può aspettarmi fuori dallo studio?” chiese gentilmente al ragazzo, che annuì sbiancando non appena si sentì chiamato.
“Quindi lei è Maria Garcia?” chiese l’uomo studiando i lineamenti della persona seduta di fronte a lui. “Così pare” esclamò lei fredda mostrando un documento di riconoscimento. “Non appena ho saputo dell’omicidio di mio fratello mi sono precipitata con apprensione, e…beh, parlandoci chiaro, volevo sapere se Gregorio avesse fatto testamento, o qualcosa del genere”. “Dritta al punto, eh?” rise divertito Pablo, cercando di allentare la tensione. C’era qualcosa che non quadrava in Maria. Era molto giovane, più di quello che pensasse. “Non è stato lasciato nulla, nessun testamento, quindi immagino che i beni vadano divisi tra i parenti” spiegò tornando serio, e sfogliando alcuni fogli. “Allora il problema è risolto, sono la sua unica parente rimasta in vita. Mio padre è morto quasi subito dopo la mia nascita, gettando mia madre in un terribile stato di depressione. Lei è morta all’età di cinque anni, per assunzione di un’eccessiva dose di farmaci” snocciolò la giovane, come se avesse imparato tutto a memoria. “Alcuni dicono che si sia suicidata volontariamente con gli anti-depressivi” si intromise Pablo. “La prego, ispettore. Sono solo storie, mia madre soffriva di depressione, questo è innegabile, ma non ha mai tentato il suicidio” lo rimproverò rigidamente la giovane donna. “Questo è quello che dice lei…” mormorò volutamente Pablo. Maria arrossì fino alla punta delle orecchie, risentita come non mai. Si rialzò di scatto e si diresse verso la porta. “Mi farò risentire per l’eredità” disse lentamente prima di uscire dalla stanza. “Interessante, molto interessante…” mormorò Pablo, fissando il dossier della famiglia di Gregorio.
“Ho fatto il più in fretta possibile” esclamò Leon irrompendo nello studio del suo capo con il fiatone. Sulla sedia di fronte alla scrivania notò un giovane dai capelli ricci che si stava torturando le mani con il viso pallido, mentre al suo fianco, in piedi, con una mano sulla sua spalla, Camilla Torres cercava di infondergli coraggio. “Bene, signorino Slicely, finalmente si è presentato. La sua scomparsa l’ha messa in una situazione piuttosto compromettente, spero ci sia un motivo che l’abbia spinto ad un gesto tanto estremo altrimenti potrebbe avere numerosi problemi” disse diretto Pablo, facendo cenno al suo assistente di mettersi al suo fianco. Leon obbedì e tirò fuori in fretta il taccuino per poi segnare dettagliatamente ogni singola parola. “Prima di tutto…dove si è nascosto per non farsi trovare?” chiese. Camilla rispose al posto dell’interrogato. “Era a casa mia”. “E come mai?”. “Noi…Maxi aveva paura che la verità venisse a galla. Avrebbe rovinato la mia carriera e la sua reputazione. Non potevamo rischiare”. “Adesso penso tocchi al signorino Slicely spiegarci cosa è successo il giorno dell’omicidio” la riprese Pablo, tornando a fissare il giovane seduto di fronte a lui. Maxi emise un sospiro profondo, quindi rassicurato da Camilla, cominciò a parlare. “Erano le 14 quando sono stato chiamato nell’ufficio di Gregorio. Lui…sapeva tutto. Jackie ci aveva visti il primo giorno in atteggiamenti intimi mentre noi eravamo da soli nel parco dietro la scuola ed aveva raccontato l’accaduto al preside. Deve sapere che tutti quelli che frequentano questa scuola sono di famiglia ricca, o comunque benestante. Gregorio mi ha minacciato di diffondere la voce su me e Camilla, rovinando la sua carriera e la mia reputazione. Non avevo scelta e ho ceduto al suo ricatto. Chiedeva del denaro, parecchio a dir la verità, ma non potevo negarglielo. Quella stessa mattina ho deciso di andare a casa mia, aspettando Camilla per consultarmi con lei. Quando è arrivata era sconvolta. Parlava di omicidio: Gregorio era morto. Subito sono stato colto dal panico. E se qualcuno avesse scoperto del ricatto? Subito avrebbero pensato a me. Camilla, sebbene contraria, si è offerta di nascondermi nella sua casa, e io ho accettato”. Pablo sembrò riflettere un secondo, poi aprì uno scaffale della sua scrivania. “E infatti il suo nome nella lista di Gregorio mi ha subito insospettito, insieme ad altri due nomi. Gregorio aveva un vero e proprio archivio dove teneva le informazioni su colore che ricattava. L’ho trovato nel suo appartamento, ed è molto interessante. Solo non capisco come mai non l’abbia nascosto meglio, se era così importante. Ma d’altronde Gregorio sembrava la tipica persona fin troppo sicura di sé”. Maxi annuì. “Abbiamo quasi terminato” spiegò Pablo rassicurandolo. “Un’ultima cosa: uscendo dallo Studio quella mattina ha notato qualcosa di strano? O qualcuno?”. Maxi sembrò pensarci un secondo prima di rispondere. “Si, ora che mi ci fa pensare si. Un tipo con un’impermeabile scuro che si aggirava nei pressi del giardino e si stava dirigendo dietro la scuola. Solo che non ci avevo fatto molto caso, perché con quel tempo grigio che prometteva pioggia, l’ho trovato abbastanza normale”. “L’ha visto in faccia?”. “No, sfortunatamente no, perché?”. “Perché io penso lei abbia appena fatto un’identikit dell’assassino” spiegò Pablo. Maxi boccheggiò, e il silenzio calò nello studio. “Con lei ho finito, può andare” disse infine con tono stanco. Non appena la porta si fu richiusa e rimasero soli, Leon emise un lungo sospiro. “Siamo di nuovo punto e accapo” sbuffò confuso, grattandosi il capo con la penna con cui prendeva appunti. “No, invece abbiamo fatto numerosi passi avanti. Innanzitutto abbiamo un mistero in meno da svelare, non trovi?” esclamò Pablo guardando la lista dei soggetti ai ricatti di Gregorio. “Quali erano gli altri due nomi, per curiosità?” chiese Leon, drizzandosi d’un tratto al ricordare le parole dell’interrogatorio”. Pablo lo guardò e sorrise tristemente. “Uno è Diego Hatter, con cui devo scambiare due parole”. “E l’ultimo?”. “L’ultimo mi fa temere il peggio. Si chiama Luca”. “Luca?” chiese Leon senza capire. “Luca…Luca Artico” disse infine richiudendo il fascicolo e massaggiandosi le tempie: aveva paura per quello che sarebbe successo. Francesca Artico gli aveva nascosto una questione tanto delicata e lui non sapeva come agire. Per la prima volta in vita sua, non sapeva cosa fosse meglio fare.
“Federico, ho paura” disse Violetta, seduta su una delle poltroncine del salotto. “Non possiamo fare altrimenti, e non mi importa niente se ci andremo di mezzo tutti, dobbiamo parlare” esclamò l’italiano con sicurezza. Prese la cornetta e digitò un numero. “Signor Galindo? Salve sono Federico, Federico Bianchi. Si, le devo parlare. Può passare lei da me?”. Ci fu il silenzio mentre Federico aspettava la risposta, annuendo tra sé e sé. Riattaccò lentamente, come se stesse cercando di assimilare le parole che gli erano state dette. “Allora?” chiese Violetta, preoccupata. “Verranno tra un’ora” esclamò senza battere ciglio. “Ci sarà…ci sarà anche Leon?”. “L’assistente di Galindo? Penso di si, perché?”. Violetta non rispose e rimase in silenzio: una volta saputo una parte di quello che gli aveva nascosto cosa avrebbe pensato di lei? Era il momento di scoprirlo.
Pablo suonò il campanello di casa Bianchi, e gli aprì la porta un signore sulla quarantina, dai capelli castani e gli occhi scuri. Era tutto spettinato, ma indossava un completo elegante. “Lei è il signor  Bianchi?” chiese incuriosito Pablo. L’uomo annuì facendoli entrare. “Ho saputo da suo figlio che lavora in una struttura di ricerca medica”. “Si, è una mia grande passione…studio il comportamento e lo sviluppo dei batteri” esclamò attraversando il corridoio che conduceva allo studio dove li stava attendendo Federico. “Senta a proposito delle sue ricerche, sarei molto interessato ad alcuni testi…potrebbe prestarmene qualcuno?” chiese l’investigatore con una punta di imbarazzo. Il medico annuì con entusiasmo e cominciò a lanciarsi in una lunga digressione sulle colture che stavano sperimentando. Leon con lo sguardo perso nel vuoto, completamente disinteressato al discorso, pensava invece a Violetta, e alle sue strane reazioni in quegli ultimi giorni. La sua espressione pensierosa divenne di puro stupore, non appena, aperta la porta, vide Violetta seduta su una poltroncina mentre Federico in piedi le teneva la mano. Concentrò il suo sguardo sulle due mani intrecciate e un’ondata di gelosia lo avvolse. Violetta alzò lo sguardo per vedere chi fosse ad essere entrato, e lo riabbassò subito impaurita. “Bene, volevate parlarci di qualcosa?” chiese Pablo, come se si aspettasse già la presenza di Violetta. Federico si schiarì la voce con un colpo di tosse. “Ecco…si tratta di un evento che abbiamo ritenuto sempre di poca importanza, ma dopo quello che è successo…e poi Francesca ci ha dato la conferma che stavamo aspettando. Insomma all’inizio eravamo tutti d’accordo a tacere, ma poi…” cominciò a spiegare l’italiano cercando di alleggerire la tensione, ottenendo invece l’effetto contrario. Pablo lo guardò intensamente, e si mise seduto. “Vi ascolto”. “Tutto è iniziato una settimana prima dell’inizio della scuola. Eravamo alcuni amici e ci eravamo visti a casa di Francesca, quando è uscito fuori il discorso…”
‘Violetta era seduta vicino a Francesca, mentre Diego, Maxi, Federico stavano facendo una partita a poker. Francesca e Federico si erano conosciuti al pre-corso per l’accoglienza dei nuovi iscritti, mentre Francesca aveva conosciuto Violetta poiché i genitori erano soci in affari e molto amici tra di loro. “Io ho un poker!” esclamò d’un tratto Bianchi mostrando i suoi quattro otto. Maxi posò le carte affranto, e Diego quasi le lanciò in aria per la rabbia. “Un’altra partita?” chiese sorridendo mentre prendeva le poste vinte. “Basta, dopo un po’ questo gioco è noioso. Avete sentito invece di quell’omicidio nella periferia di Londra. L’assassino è stato catturato facilmente” disse Diego accendendosi una sigaretta annoiato. “E’ stato un omicidio efferato. Spaccargli la testa in quel modo…” intervenne Maxi inorridendo. “Quando invece basterebbe un colpo di pistola. Ma d’altronde la cosa più bella di un assassino è il fatto che sia assetato di sangue, che goda quasi a osservare la propria vittima inerme. Farla morire lentamente, guardandola negli occhi…cosa c’è di meglio” ribatté il conte Hatter, facendo una lunga tirata. Una nuvoletta di fumo si alzò mentre quell’affermazione face sprofondare tutti in un timoroso silenzio. “Ora che ci penso…tuo padre non fa parte della polizia?” chiese in seguito con uno sguardo pensieroso. “Si, è proprio così” mormorò Francesca. “Allora deve avere una pistola di riserva in questa cosa. Di solito ne danno sempre due ai poliziotti” continuò Diego, mentre un lampo di eccitazione attraversava i suoi occhi. “Si, la tiene in quel comodino, perché?” chiese l’italiana, indicando un comodino vicino al pianoforte nel salone. Il giovane non rispose, ma si alzò e cominciò a rovistare un po’ fino a quando non tirò fuori una pistola. Tutti lo guardarono rabbrividendo. “Che ci vuoi fare?” chiese Violetta, osservando l’arma incantata. Federico anche osservava la scena con estremo interesse, mentre Maxi tremava come una foglia. “Porre fine alla tua vita!” esclamò puntandole la pistola addosso. Violetta lo guardò senza scomporsi minimamente e un sorrisetto di sfida apparve sul suo volto. Francesca accanto a lei era pallida come un lenzuolo, mentre Federico e Maxi erano scattati in piedi per la tensione. “Cosa stai aspettando, Diego? Io mi sto annoiando…” mormorò Violetta, fingendo uno sbadiglio. Il rumore del grilletto premuto rimbombò nel silenzio. Francesca si mise ad urlare, mentre Federico si era scaraventato su Diego, facendolo cadere per terra. “Ehi, ehi, calma, era senza cartucce! Le ho tolte prima di tirare fuori l’arma” rise Diego, divincolandosi dalla presa del giovane Bianchi. Maxi gli strappò l’arma dalle mani, mentre Francesca era quasi in lacrime. “Non è affatto divertente…” lo rimproverò mentre rimetteva l’arma al suo posto. “Non importa, lo sapevo che non mi avrebbe ucciso. Sei un furfante, Diego, ma non saresti mai capace di uccidere qualcuno” esclamò Violetta, con un sorriso. In un attimo tornò seria, e con voce glaciale aggiunse: “Io invece potrei premere quel grilletto senza alcun problema”. Diego la guardò sconvolto, poi scoppiò a ridere, sicuro che si trattasse di uno scherzo.’
“Sciocchi ragazzi che non siete altro!” esclamò Pablo furioso, scattando in piedi. “Che aspettavate a dirmi un dettaglio tanto importante?”. Leon non l’aveva mai visto così fuori di sé, ma lo capiva. Era la stessa sensazione che provava nei confronti di Violetta. Come aveva potuto nascondergli tutto? Strinse il pugno cercando di contenere la rabbia, e fissò una delle teche nella sala per distrarsi. “La capiamo, signor Galindo, ma cerchi di capire. Noi non abbiamo subito collegato questo fatto all’omicidio di Gregorio. E’ stato quando Francesca ci ha detto di non aver trovato la pistola del padre, che ci siamo preoccupati”. “Come mai non se ne è accorta prima?”. “Il padre non usa mai quella pistola, la tiene nel cassetto, Francesca l’ha aperto dopo l’omicidio di Gregorio e ha capito tutto, ma ha aspettato a dircelo. Il padre non usa mai quella pistola, ma uno di questi giorni se ne è accorto, aprendo il cassetto del comodino per la solita manutenzione mensile, e non trovandola. Francesca era disperata” spiegò Federico, abbassando il tone di voce, impaurito per la reazione di Galindo. L’investigatore cominciò a camminare avanti e indietro, cercando di pensare alla sequenza degli avvenimenti. “Non quadra…io pensavo…ma allora ho sbagliato! Ho clamorosamente sbagliato! Di nuovo! Ogni volta qualcuno mi rivela un nuovo particolare che mi porta fuori strada. Così non riuscirò a cavare un ragno dal buco”. I due giovani rimasero fermi a fissarlo, mentre Leon, ormai al limite, si inventò una scusa per lasciare la stanza. Percorse lo stretto corridoio, non riuscendo a trovare un modo per sfogare la sua rabbia. Era profondamente deluso…Violetta sapeva che quello era il suo primo caso, e invece di aiutarlo gli nascondeva la verità. Chiuse la porta di scatto e si ritrovò in poco tempo lungo il marciapiede.
Si sedette su una panchina, dopo aver camminato per un po’. Quando sentì qualcuno tirargli la manica della maglia, decise di far finta di nulla. “Leon…” sussurrò lei con voce tremante. Si voltò e la vide: aveva gli occhi lucidi e un’espressione distrutta. “Perché non mi hai detto nulla?” chiese semplicemente, guardandola in modo freddo. A Violetta quello sguardo faceva più male di mille parole, ma prese un respiro profondo e cominciò a parlare. “Non volevo nascondertelo, ma…Era per il bene di Francesca, per non procurarle problemi. Io…la volevo proteggere”. “Non ti credo”. “Devi credermi! Ho bisogno di te, Leon, non mi lasciare sola” lo implorò prendendogli la mano e guardandolo supplicante. Era confuso: fidarsi o non fidarsi? Qualcosa gli diceva che non poteva avercela con lei, non ce la faceva proprio. Ma prima che potesse rispondere qualcosa, lei si avvicinò con un sorriso timido, prendendogli il viso tra le mani e facendo congiungere le loro labbra. Leon che era rimasto rigido, si sciolse a quel gesto, e cominciò a rispondere con sempre più passione al bacio, mentre la sentiva sorridere sulle sue labbra. Non poteva avercela con lei, in fondo voleva solo proteggere un’amica, anche se aveva sbagliato. Quando si furono separati, Violetta si fiondò tra le sue braccia chiudendo gli occhi, e assaporando quel momento di tranquillità tra di loro. Leon gli accarezzò il capo, felice. “Non ti lascerei mai da sola…Mai” le disse in tono rassicurante. Violetta annuì piano mentre dentro si sentiva combattuta. Lei amava Leon. E questo non andava bene, era un imprevisto non considerato. Quello che era nato come un folle piano per ottenere informazioni su come procedeva il caso era diventata una questione più seria del previsto. “Ti amo tanto, Leon” sussurrò quasi in lacrime. “Anch’io ti amo” le rispose con uno dei suoi dolci sorrisi. E rimasero così, abbracciati, a godersi il tramonto che stava ponendo fine a quella giornata dai mille risvolti e dai continui colpi di scena.
Camilla sbuffò: quel compito che la aveva affidato Jackie era improponibile. Si avviò negli spogliatoi e la sua attenzione cadde sull’armadio accostato alla parete, dove si conservavano gli strumenti ginnici. Quasi non aveva fatto caso a quella piccola macchia rossa per terra. Si avvicinò ancora di più e con la mano che quasi le tremava aprì l’armadio. Un urlo le uscì fuori dalla gola, mentre il corpo senza vita di Ludmilla giaceva al suo interno, infilato a forza. I suoi occhi erano vitrei, fissavano il vuoto, nella sua mano era stretta una banconota da cinquecento dollari. Una banconota insanguinata stretta in pugno. L’avidità di Ludmilla le era costata la vita.
 




NOTA AUTORE: Ciao a tutti! Questo capitolo non mi dispiace affatto (strano, detto da me, ma ok xD). Allora, da dove cominciamo a commentare? Da dove, mi chiedo io. Capitolo densissimo di avvenimenti (Dulcevoz, perdonami per l'assenza di Angie, ma come ti ho già detto, lei è un personaggio importante, che rifarà il suo ingresso nel prossimo capitolo ;D). Allora, Maxi era caduto nei ricatti di Gregorio, insieme a Diego e a un tale Luce Artico (chi aveva supposto che il fratello di Francesca era importante, ci ha preso!). Di questi ultimi due non sappiamo ancora molto, mentre Maria ha fatto una strana impressione al nostro investigatore, tutt'altro che positiva, direi. Ed ecco uno dei segreti che nascondono i nostri ragazzi...la questione della pistola! Che ancora non è stata ritrovata tra l'altro. In tutto ciò Pablo si arrabbia con tutti i presenti che gli nascondono qualcosa. E infine...colpo di scena...anche Ludmilla ci ha rimesso le penne! Ebbene, si, Ludmilla è morta, uccisa poi-vedremo-come. Spero che il giallo continui a piacervi (questo capitolo lascia molta tensione addosso, secondo me :S). Ah, e ultimo dettaglio non da trascurare...i pensieri di Violetta. Ci dice infatti che si è avvicinata a Leon per un motivo preciso e non per reale interesse all'inizio...sconvolti, vero? Ebbene all'inizio lei non era affatto innamorata anche se io autore e lei stessa vi ha fatto credere di si. Più spietata e calcolatrice di quanto pensassimo, allora. Vabbè, io vi lascio alla lettura, e spero che questo capitolo vi abbia appassionato (ripeto, a me piace, è pieno di eventi importanti...). E niente...qui stanno cercando di fare uscire pazzo il povero Pablo! xD Ma non preoccupatevi, il nostro investigatore preferito, non si arrende affatto, e anzi, è pieno di ipotesi. E voi, siete un Pablo pieno di ipotesi, o un Leon che non ci sta capendo un tubo (povero il mio Leon *lo abbraccia*)? Fatemi sapere, mi raccomando e buona lettura! Alla prossima ;D

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Capitolo 11
*** La triste sorte dei ricattati e dei ricattatori ***


Capitolo 11
La triste sorte dei ricattati e dei ricattatori

La vettura di fermò di fronte all’ingresso della scuola, e Pablo ne uscì in fretta dirigendosi all’interno dell’edificio. Lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva. Non avrebbe dovuto lasciare che quella ragazzina giocasse col fuoco. Era stato così…ingenuo. Si avvicinò all’armadio degli attrezzi ginnici, osservando il corpo in una posizione innaturale, gettato lì. La morte di una diva, osservò Pablo, chiudendole gli occhi sbarrati. “Cosa sappiamo delle dinamiche? Chi ha ritrovato il corpo?” chiese a un collega occupato a far sloggiare la folla di curiosi. “E’ stata pugnalata al petto con quello” spiegò indicando il manico nero che fuoriusciva dal corpo di Ludmilla. “La signorina Camilla l'ha trovata per pura casualità, era venuta a prendere alcuni attrezzi per degli esercizi. Inoltre hanno trovato una banconota da cinquecento dollari stretta nella sua mano” continuò, passando all’investigatore una bustina di plastica con dentro una banconota con alcuni schizzi di sangue. “Interessante…” mormorò Pablo, studiando attentamente la banconota. “L’indagine la potete continuare voi, adesso devo andare” disse infine allontanandosi dalla scena del delitto. “Ma signore, questo delitto potrebbe riguardare l’omicidio di Gregorio Garcia” gli fece notare il collega. Pablo si girò e sorrise. “Ovviamente è così, non lo metto in dubbio. Ma perché rimanere, quando tutto quello di cui avevo bisogno è racchiuso qui?”. Gli mostrò la bustina di plastica e la fece sventolare con aria soddisfatta. Quindi si allontanò lungo il corridoio, facendosi strada tra la folla di curiosi, seguito con lo sguardo dall’agente, ancora basito ed estremamente confuso.
Fuori dalla scuola vide Leon che stava cercando di consolare Violetta in lacrime. Scosse leggermente la testa e si avvicinò ai due. “Non devi piangere, cerca di essere forte” provò a dire Leon con voce tremante. In realtà anche lui stava soffrendo, e non poco. Per quanto non gli fosse simpatica quella ragazza, non poteva non provare dolore di fronte alla notizia della sua morte. Angie si avvicinò ai due con gli occhi rossi. Anche lei doveva aver pianto parecchio. “Dovete cercare di stare tranquilli, vedrete che troveremo presto l’assassino” disse Pablo pacato. Un secondo dopo si trovò a dover consolare Angie, che gli si era buttata tra le braccia singhiozzando disperata. “Era una mia studentessa, era una mia studentessa!” continuò a strillare stringendo i pugni e stritolando il povero investigatore. “Già…era mia compagna alle lezioni” disse Violetta, asciugandosi le lacrime e rivolgendo un sorriso tirato a Leon per fargli capire che stava bene. Ci fu un secondo di silenzio. Come se solo in quel momento Angie si fosse resa conto che Violetta era lì, vicino a lei, si separò dall’abbraccio e guardò negli occhi la giovane ragazza. “Ti capisco, ti capisco meglio di chiunque altro” mormorò la donna, per poi abbracciare Violetta con fare protettivo, quasi materno. Pablo, che stava osservando tutta la scena, sorrise: era tutto proprio come pensava. “Leon, dobbiamo andare” disse d’un tratto, facendo riscuotere Leon da quel momento così doloroso. Il giovane annuì, e poi si avvicinò a Violetta per salutarla. Tese la mano arrossendo: non voleva che Pablo capisse tutto. Violetta non sapeva se stringerla o no, guardandolo in modo interrogativo. “Arrivederci, signorina Castillo” la salutò in modo chiaro e distinto. “Passi una buona giornata, signor Vargas” replicò la ragazza confusa, stringendo la mano tesa. Pablo sbuffò irritato. “Oh, ma andiamo, sono nato qualche anno prima di voi. Salutatevi come volete, io mi giro dall’altra parte e farò finta di non aver visto” disse voltandosi di scatto, mentre Angie lo guardava ridendo. “Signor Galindo, se lo lasci dire, lei è davvero buffo!” esclamò la donna, portandosi una mano alla bocca, per soffocare le risate. Leon e Violetta si sorrisero, quindi la ragazza si avvicinò timidamente, lasciandogli un dolce e rapido bacio sulle labbra. “Torna presto, e non mi fare stare in ansia” sussurrò sorridendo. “Non ti preoccupare, vado solo a caccia di un pazzo assassino che ha già fatto fuori tre persone” ironizzò lui amaramente. Violetta lo guardò con gli occhi lucidi, pronta a ricominciare a piangere. “Scusa, scusa, non volevo!” si corresse subito abbracciandola forte, per trasmettergli tutto il suo amore. “E lei, Pablo, non ha una bella a cui fare un saluto strappalacrime?” chiese Angie divertita, mettendosi di fronte a Pablo. “No, sono un tipo solitario” si pavoneggiò l’uomo gonfiando il petto. “Peccato…” mormorò lei, abbassando lo sguardo. “Ma la sa una cosa? A me piacciono tantissimo i tipi solitari” aggiunse subito dopo con fare malizioso. Pablo deglutì leggermente. “D-Davvero? Interessante”. Angie si avvicinò sorridendo. “Se me lo permette, visto che non ha la fidanzata, vorrei assumerne il ruolo per questa volta”. “Torni sano e salvo, Pablo” sussurrò, accarezzandogli la guancia sinistra e deponendo un lento bacio sull’altra. Pablo si separò incespicando con le gambe e per poco non rischiò di inciampare. Leon lo guardava con aria di scherno e allo stesso tempo trionfante. “Andiamo…” borbottò Pablo muovendosi verso la macchina, mentre il giovane assistente lo seguiva soffocando di tanto in tanto una risata. Angie li osservò allontanarsi passando il braccio intorno alla spalla di Violetta, la quale le rivolse un sorrisetto complice. “Non vi sarete innamorata del signor Galindo”. “Io?! Non sono discorsi che ti riguardano. Non sei un po’ troppo piccola per sapere cosa sia l’amore?” osservò l’insegnante scherzosamente. “Io…non ne sarei così sicura” ribatté l’altra mentre la sua espressione si rabbuiava di colpo. Lanciò di sfuggita un’ultima occhiata a Leon, prima di voltarsi dall’altra parte ed andare a raggiungere i suoi compagni. Leon nel frattempo stava dietro al suo capo, ed entrò in macchina sospirando. “Lei…” cominciò a dire, ma venne subito interrotto. “Non dire una parola, non una sola parola!”. “Ma…”. “Ho detto nessuna parola”. “Veramente…”. “Shut up!”. “D’accordo”. Pablo mise in moto la macchina, e il suo assistente osservò fuori dal finestrino l’esterno dell’edificio. “Nessun coinvolgimento d’amore, Leon” gli fece il verso il giovane fingendo una tossetta. “Che avevo detto?” replicò subito Pablo scattando sull’attenti. “Ok, va bene, nessuna parola, uomo solitario” scherzò il ragazzo, beccandosi un’occhiata di rimprovero.
La casa di cura al suo interno era grigia e spenta. Rifletteva proprio le aspettative che Leon si era fatto non appena si era trovato di fronte all’ingresso tetro e cupo. Lunghi corridoi poco illuminati presentavano porte bianche a destra e a sinistra da cui provenivano i lamenti degli anziani. Ma la domanda da porsi era: perché erano andati in una casa di cura in aperta campagna, sconosciuta dal mondo? Pablo camminava con lo sguardo basso, riflettendo attentamente. “Stiamo cercando qualcuno?” chiese Leon, curioso più che mai. “No, siamo venuti per una visita di cortesia per la mia cara nonnina” disse l’uomo seccato da quella domanda così banale. “Ah…e non poteva venirci da solo a trovare la cara nonnina?” chiese il giovane. “Ma è ovvio che siamo venuti a cercare qualcuno per il caso Garcia!” ribatté l’altro, facendo tacere all’istante il suo assistente. Una donna dal camice bianco, che non doveva avere più di una quarantina di anni, si fece avanti verso di loro con un vassoio di legno con alcuni piatti sporchi. “Salve, questo non è orario di visite, per prendere appuntamento dovete rivolgervi alla segreteria e…”, ma Pablo tirò subito fuori il distintivo, facendolo scintillare di fronte al viso stupefatto della donna. “Abbiamo già parlato con la sua collega. Sono qui per vedere l’ospite speciale” disse con tono freddo e impassibile. La donna annuì, li fece attendere qualche minuto, quindi tornò senza vassoio. Li condusse fino alla fine del corridoio mostrando una porta bianca come tutte le altre. “Non riceviamo spesso visite per lui…viene solo la sorella” spiegò la donna. Aprì lentamente la porta facendo una leggera pressione sulla maniglia metallica. Una stanza soleggiata completamente bianca con delle tende grigiastre si mostrò ai loro occhi. Addossato alla parete sulla sinistra c’era un letto singolo dalle lenzuola candide e su di esso, leggendo pigramente una rivista fece la sua apparizione un bel giovane dalla pelle non troppo chiara e dai capelli del colore dell’ebano. “Luca Artico, ci sono visite per te” disse la donna con un caldo sorriso. Il giovane distolse per un secondo lo sguardo dalla rivista, rivolgendolo verso l’ingresso della stanza. Le pupille scurissime si agitavano di qua e di là in continuazione, lasciando intravedere la sua agitazione, e il suo volto si fece lentamente preoccupato. Si grattò con una mano la barba poco folta e si alzò dal letto facendo cenno alla donna di lasciarsi soli. “Allora, cosa avrei combinato, chiuso in questa specie di galera?” chiese con un sorrisetto, osservando il distintivo. “Lei nulla, almeno credo…sono qui per sentire la sua storia” rispose Pablo estremamente serio. Luca scoppiò a ridere. “La mia storia! Lei è buffo. Davvero buffo, e mi piacciono i tipi buffi. Ma cosa le fa credere che io voglia parlarne?”. “Forse perché sua sorella, Francesca Artico, è sospettata dell’omicidio di Gregorio Garcia” replicò l’uomo. Il sorriso beffardo sul volto del giovane si spense all’istante. “Quello schifoso verme! Anche da morto deve creare problemi” digrignò con gli occhi ridotti a due fessure. “Ha cambiato idea?” domandò Pablo, questa volta sorridendo con aria di sfida. “D’accordo, se può servire alla mia sorellina, allora vi dirò tutto. Forse avete già sentito parlare di me” cominciò Luca, prendendo una mela rossa su un piatto poggiato sul comodino verde acqua vicino al letto. La morse con gusto, quindi riprese. “Due anni fa sono entrato in politica a fianco dei laburisti”. Pablo annuì. “Lo sapevo di aver sentito già da qualche parte quel cognome. Infatti sono andato a cercare su tutti i vecchi giornali, e ho trovato un articolo che parlava proprio di lei”. “E’ stato il periodo più bello e più brutto della mia vita. Ero entrato nella segreteria del partito come un giovane pieno di speranze e ideali, ne sono uscito come un corrotto. La sera mi guardavo allo specchio chiedendomi se fosse giusto lasciarsi invischiare in affari poco puliti solo per fare carriera all’interno del partito. Un giorno sono stato scoperto, dalla persona sbagliata però. Gregorio ha scoperto alcuni miei segreti non proprio innocui. Ha cominciato a ricattarmi senza pietà. Mi sentivo stretto continuamente alla gola, è stata un’esperienza terribile.
“Da quel momento è iniziato il mio incubo senza fine. Locali notturni, alcool: erano tutto ciò che mi permettevano di dimenticare. Continuavo a tornare a casa completamente ubriaco alle tre di notte se non più tardi, e Francesca rimaneva sveglia fino a tardi per prendersi cura di me. Alcune volte, però…”. Una lacrima scese lungo il volto del giovane. “Io non volevo!” strillò prendendosi il viso tra le mani. “Hai alzato le mani su tua sorella?” chiese sconvolto Leon. Luca abbassò lo sguardo in segno di assenso e di vergogna. “Le prime volte non lo sapevo. Non ricordavo quello che facevo la sera prima. Un giorno vidi un livido viola lungo il braccio; Francesca mentì dicendo che si era fatta male con alcune faccende domestiche, ma era ovvio che mentisse. Alla fine la costrinsi a dirmi la verità. Volevo morire: avevo fatto del male alla persona che amavo di più. Il rimorso non mi abbandona neppure adesso che sono passati due stramaledetti anni”. “E per quanto riguarda il ricatto?” chiese Pablo, facendosi pensieroso, ma comunque presente alla questione. “Tutti in famiglia ne erano a conoscenza, anche la povera Francesca, che passava notti insonni a causa degli incubi. Lei tiene a me più d qualsiasi cosa, e anche se sono un mostro mi vuole bene. Le devo molto, mi ha aiutato nei momenti di peggiore difficoltà. Dopo un po’ le richieste di Gregorio si fecero più pressanti, quindi decidemmo in comune accordo che per un certo periodo sarei scomparso dalla vista e sarei stato lontano dall’opinione pubblica. E quindi eccomi qui” concluse alzando le spalle. “Quindi lei non sapeva nulla sull’omicidio di Gregorio?” domandò Pablo mentre Leon appuntava tutto. Luca scosse la testa. “No. Immagino che non me l’abbiano voluto far sapere per non farmi allarmare, non ne ho idea”. “Ebbene, anche i segreti degli Artico sono venuti fuori…” mormorò l’investigatore. “Non penserete che l’abbia ucciso io Gregorio?” chiese interdetto l’uomo, scattando in piedi nuovamente. “No, lei no…ma ho paura per sua sorella. Perché quest’anno si è iscritta allo Studio?”. “Non lo so, mi ha detto che voleva tanto frequentare la stessa scuola di Violetta…mi sembrava una cosa da ragazze. Sa, mi viene a trovare quasi tutti i finesettimana con la sua amica, l’unica che sa del nostro piccolo segreto”. Leon rimase sconvolto: ecco perché Violetta era tanto premurosa e protettiva nei confronti dell’italiana! Sapeva benissimo che aveva dovuto passare quella povera ragazza. Si sentì uno sciocco ad essersela presa con lei per averle nascosto la verità. Invece di cercare di capirla, aveva saputo solo pensare al caso, e alla sua importanza. Si sarebbe scusato il prima possibile. “Bene, qui abbiamo finito. Andiamo, Leon” disse Pablo, risvegliando il giovane dai suoi pensieri. “E lei, Luca…” disse voltandosi un’ultima volta prima di uscire. L’uomo alzando lo sguardo mostrando quegli occhi pieni di dolore. “Penso che sua sorella l’abbia già perdonata per quello che è successo due anni fa. La ama molto” lo rassicurò con un sorriso. Luca abbozzò un sorriso amareggiato, prima di stendersi sul letto e chiudere gli occhi, pregando in cuor suo che Francesca non avesse fatto ciò che pensava.
Maria camminava per le strade della città, stringendo in mano una busta di cartone con dentro i documenti dell’eredità. Finalmente tutta quella questione legale era finita, non vedeva l’ora di poter tornare alla vita di sempre. Tutto quello che era successo se lo sarebbe lasciata alle spalle. Cominciò a fischiettare allegramente. Vide una vettura di un colore azzurro chiaro, quindi si avvicinò per entrare. “Fatto?” chiese il misterioso conducente. “Si, finalmente possiamo finirla qui con questa storia. E’ tutto finito” osservò la donna sospirando. “Bene, ce l’abbiamo fatta. Devo dire, non ci credevo neppure per un po’, ma dovevamo rischiare. Adesso devi sparire dalla circolazione”. “Allora sparirò”. Il suo interlocutore annuì piano, mettendo in moto la vettura. “Quel Galindo non mi sembra molto sveglio” disse la donna all’improvviso. “Non facciamoci ingannare, dobbiamo portare avanti il piano fino alla fine”. “Fino alla fine…” ripeté più a se stesso che a Maria.
La macchina di Pablo questa volta si fermò di fronte alla conosciuta villa Hatter. “Non è sconveniente presentarsi a quest’ora?” chiese Leon indicando l’orologio: erano le sette passate. “Noi non siamo qui per una visita di cortesia, ci presentiamo a qualunque ora” replicò bruscamente l’uomo. Leon aveva notato che ultimamente Pablo era nervoso: forse il fatto che non avesse risolto ancora il caso lo mandava in tilt. L’investigatore suonò il campanello più volte e ad aprirgli fu lo stesso Diego, che si fece improvvisamente serio. “Desiderate qualcosa?” chiese indifferente. “Andiamo, signor Hatter, è tutto quello che ha da dirmi?” chiese in tono aggressivo Pablo, entrando come una furia, seguito da un timoroso Leon. “Non capisco”. “Ah, lei non capisce?!” scoppiò a ridere l’uomo ironicamente. “Io speravo che dopo l’omicidio di Ludmilla Ferro lei venisse di sua spontanea volontà a costituirsi…la smetta di fare i giochetti”. Rovistò per qualche secondo all’interno del suo soprabito e tirò fuori alcuni fogli scritti fittamente, provvisti di foto in bianco e nero. Diego sbiancò di colpo, ma rimase imperturbabile. “Cercava forse queste carte quando si è introdotto nell’appartamento del signor Garcia?” chiese sventolandogli davanti agli occhi quei fogli. Diego strinse la presa alla maniglia di casa, osservando l’uomo con odio. Prima che i due potessero fare qualcosa, il ragazzo mollò un pugno all’investigatore e tentò la fuga. Leon fu più veloce e lo afferrò da dietro facendolo cadere e poi bloccandolo. “Ti prego, posso ricambiare il pugno?” chiese Leon, implorando con lo sguardo il suo capo. Pablo, che copriva con una mano il naso da cui sgorgava il sangue, fece un cenno di dissenso, quindi Leon abbassò il braccio alzato pronto a sferrare una bella raffica. “Uffa, e io che ci speravo!” esclamò il giovane deluso. “E comunque a te…” disse rivolgendosi al ragazzo steso sotto di lui, a cui erano stati impediti i movimenti. “Non osare più sfiorare il mio capo neppure con un dito” ringhiò con uno sguardo aggressivo. “Bene, bene…la vera natura del nostro caro Hatter si è rivelata” mormorò soddisfatto Pablo, mostrandogli la foto di una donna vestita in modo molto semplice e dal sorriso solare. “Ci vuole raccontare di Clara?” chiese dolcemente, piegandosi verso di lui. Il suo sguardo mostrava pietà e compassione, e questo confuse il giovane Hatter. Che sappia già tutto?, pensò Diego deglutendo lentamente. “Le spiegherò tutto” si arrese all’improvviso con gli occhi lucidi, mentre Leon si rialzava per lasciarlo tornare in piedi. “E’ una storia molto triste, non so se la vuole davvero conoscere” aggiunse subito dopo, tirando fuori una sigaretta dalla tasca e prendendo un accendino dal tavolino vicino all’ingresso. “Ormai le conosco quasi tutte le storie tristi. Ah, mi deve anche spiegare come mai ha aggredito il mio assistente quando lui l’ha seguita”. Diego fece un sorrisetto. “A lei non sfugge proprio nulla, eh? Bene le racconterò una storia. Le racconterò la triste sorte che tocca ad un ricattato” concluse, facendoli accomodare nello studio con un gesto formale.  









NOTA AUTORE: allora, eccomi con un nuovo capitolo del giallo, che tutti voi (ahahaha, Dulcevoz, ammettilo, non ci dormi la notte a pensare a chi è l'assassino xD) stavate aspettando (forse...). Prima di tutto, si, non è scritto benissimo, e non saprei dirvi il perché. Comunque, penso lo ricontrollerò perchè...boh. Però volevo caricarlo perché...boh xD Vabbè, sono molto esaustivo oggi, meglio che parlo del capitolo. Allora, Ludmilla è morta, ma Pablo sembra quasi fregarsene. Che abbia già capito tutto (mostro, Pablo O.O)? Di certo qui gli unici che non capiscono sono Leon e io (no, vabbè, io so xD). Allora una scena Leonetta insieme a una scena Pangie, Dulcevoz non morire (non so perché, ma in questa nota mi sto rivolgendo a te in particolare xD). E niente, in quella scena c'è anche un dettaglio importante che non vi posso dire, ma ringraziate che vi ho detto che c'è (giochi di parole mode on xD). Per chi come la nostra Allegra, sta perdendo le speranze, non demordete, e in caso, godetevi comunque la lettura xD La triste storia di Luca Artico è venuta a galla, spiegando molte cose. Ma allo stesso tempo adesso dovremo fare i conti con il passato di Diego. Chi è Clara? Cosa avrà nascosto? Perchè ha assalito il nostro povero Leon? (questo non lo dovevi fare, Diego -.-") E basta domande xD Ma vi devo anche farvi notare un'altra cosa: Maria parla con un tipo sospetto...di chi si tratterà? E' qualcuno che conosciamo? Troppo domande e troppe poche risposte xD E poi...Dulcevoz, libera la tua ira contro Diego che ha osato sferrare un pugno a Pablo xD Però hai visto Leon come lo ha vendicato, e poi ha detto che non deve toccare il suo capo. Awwww :3 Vabbè, ho detto tutto, alla prossima, e biona indagini a tutti! :D

 

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Capitolo 12
*** Dubbi e riflessioni ***


Capitolo 12
Dubbi e riflessioni

Il solito salottino dove tutto era cominciato. Dove per la prima volta Leon si era avvicinato alle indagini, agli interrogatori, al mondo dei detective insomma. Era strano entrarci adesso, in un momento così delicato. Diego aveva un’aria stanca, forse in fondo non vedeva l’ora di liberarsi di quel peso. Li fece sedere, poi prese un bicchiere di cristallo e lo porse ai due ospiti. “No, grazie” mormorò Pablo, con una sacca del ghiaccio, che si era fatto dare dalla domestica, in piena faccia per alleviare il dolore. Anche Leon fece un cenno di diniego con la mano. Diego aggrottò le sopracciglia e fece una risatina. “La prego, signor Vargas, non mi vorrà far credere che ogni tanto non si è fatto una bevutina” esclamò, versandosi un po’ di liquido ambrato da una bottiglia panciuta, posata sulla mensola sopra il camino. “Non in servizio” replicò freddamente l’altro, irrigidendosi di colpo. “Sciocchezze” concluse Diego buttando giù in un sorso tutto il contenuto del bicchiere. “Se ha bisogno di una buona dose di alcol per raccontarci di questa Clara, deve essere una cosa seria” si intromise l’investigatore, lamentandosi debolmente per il dolore della ferita. Il conte Hatter scoppiò a ridere. Una risata inespressiva, sprezzante che faceva congelare le ossa. “La prego, sono giovane, ma non stupido. E’ ovvio che lei sa già tutto se è in possesso di quel fascicolo”. “Può darsi, ma ci terrei a conoscere la storia da lei” continuò l’uomo. Il giovane si sedette sulla solita poltroncina e appoggiò i gomiti sui braccioli, mentre con le mani incrociate, appoggiate sotto il mento, sosteneva il peso della testa. “Beh, non che ci sia molto da raccontare in verità. Come ben sa, non frequento posti cosiddetti raccomandabili. Qualche locale notturno, qualche bisca clandestina, qualche bordello…” elencò con noncuranza. Leon rimase scioccato. “Depravato” si lasciò scappare con una faccia disgustata. “Il solito perbenismo londinese. Tutti uguali. Ho i soldi, ho voglia di divertirmi, e sono giovane, ho tutta la vita davanti. Non ci vedo nulla di male”. Pablo scosse la testa, e fermò con il braccio Leon che già stava per scattare in piedi adirato. “Ma non è questo il punto, giusto?”. “Signor Galindo, continua a sorprendermi, ma come ho già detto, lei conosce tutta la storia, non vedo perché dovrei continuare”. “Lei continui comunque”. “Era una tipica serata in cui avevo perso un bel po’ di sterline alla bisca. Mi sono fermato in uno dei soliti posti in cui mi fermo a dormire la notte, con una compagnia femminile. Quella notte mi è capitata una ragazza molto giovane, più di me. Mi ha fatto molto tenerezza”. Si interruppe per un secondo. Il suo sguardo sprezzante si era fatto stranamente sofferente. “Abbiamo passato la notte insieme. Dopo il tempo stabilito la pregai di rimanere con me, e lei ha accettato. Inizialmente era titubante, ma nei suoi occhi leggevo l’arrendevolezza di una ragazza che ormai sentiva di non avere più una speranza. Da allora tutte le notti tornavo in quel posto e passavo la notte con lei. Non ci crederà, ma mi sono innamorato di quella ragazza. Il suo nome era Clara”. Pablo annuì comprensivo. “Ma bando ai sentimentalismi. Tra noi c’era davvero affinità, lei aveva qualcosa che nessun’altra ragazza aveva potuto offrirmi. Poi la situazione è sfuggita di mano. E’ rimasta incinta. La padrona del bordello le aveva ordinato ovviamente di abortire, ma io non…potevo. Mi sentivo una bestia. Era una ragazza, nonostante la condizione in cui si trovasse, cattolica e chiederle di abortire sarebbe stato come chiederle di sentirsi condannata, di perdere l’unica cosa in cui riponesse ancora fiducia, la fede cristiana”. Rimase per un secondo in silenzio. “Gliel’ho impedito. E’ nato da qualche giorno, si chiama Albert, mi somiglia molto”. Un sorriso paterno si dipinse sul suo volto. “Comunque, la ragazza venne cacciata dal bordello non appena lei ebbe rifiutato di abortire, e quindi ho deciso di prendermene cura io. Ma…sono stato scoperto. Qualche parola di troppo della padrona con dei clienti sbagliati, qualche pedinamento. Alla fine Gregorio ha scoperto tutto e ha cominciato a ricattarmi. Rivelando tutto questo avrebbe distrutto la mia reputazione, e lei sa meglio di me che di questi tempi la reputazione è tutto” raccontò Diego. “Fine della lieta storia”. Leon si sentiva tremendo: se l’era presa con quel ragazzo, giudicandolo senza sapere il suo passato, senza sapere che stava mantenendo una famiglia, mettendo a rischio la sua immagine. Aveva sbagliato, ma sembrava stesse cercando di porre rimedio ai suoi errori. “Io la sposerei, mi creda, Galindo, lo farei, ma non posso. E’ inutile dire che la società è cambiata, non è così. Se diventasse mia moglie, il suo passato verrebbe allo scoperto, e sarebbe oggetto di insulti meschini. Non voglio che le succeda qualcosa del genere, non voglio che si debba vergognare di qualcosa di cui non ha colpa”. Sembrava infervorato: i suoi occhi trasmettevano una passione mai vista, quasi inquietante. Quello sguardo fece destare la mente di Leon: quel ragazzo era il perfetto assassino. Aveva il movente, aveva la mente fredda e l’occasione. Era tutto contro di lui. “Allora, aspetto che mi impiccherete a breve” scoppiò a ridere il giovane Hatter, intuendo la sua situazione. “Ma penso che presto avrete molte sorprese” aggiunse malignamente. Pablo era rimasto in silenzio per tutto il racconto, senza muovere un muscolo. Si alzò e tese la mano. “Arrivederci, signor Hatter, ci rivedremo” esclamò sorridendo. Dalla tasca del giubbotto estrasse una piccola lente d’ingrandimento. “Vorrei che consegnasse questo a suo figlio. Un giorno potrà giocare al piccolo detective”. Leon si stupì di vedere il volto commosso di Pablo, e rimase ancora più scioccato nello scorgere una lacrima uscire dagli occhi glaciali di Diego, solcandogli la guancia. “La ringrazio. La ringrazio di tutto”.
“Signor Galindo, non la facevo così emotivo” sussurrò Leon, con un groppo in gola. Anche lui era rimasto molto toccato da quel racconto, ma non voleva perdere d’occhio il caso. “Il caso si fa molto più chiaro adesso, giusto?” continuò trotterellandogli dietro. “Tu credi, Leon?”. “Beh, si, per quanto mi dispiaccia, è chiaro che Diego è l’assassino” spiegò come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Ne sei proprio certo, eh? Non è che invece vuoi credere che un’altra persona non lo sia?” chiese serio l’uomo. “Non capisco…”. “Andiamo, non fingere con me, ragazzo! Tu vuoi essere solo sicuro che Violetta non sia l’assassina. Hai paura di aver sbagliato a fidarti di lei”. Leon strinse i pugni: non era vero. O forse si. Si sentiva in difficoltà, non sapeva che rispondere, non sapeva che dire. Rimase in silenzio, mentre Pablo non gli rivolse più parola, troppo preso dalle sue riflessioni personali.
L'investigatore camminava silenziosamente: aveva salutato Leon e aveva deciso di farsi due passi da solo. Forse era stato troppo severo con quel giovane. Forse. No, aveva fatto bene ad aprirgli gli occhi, a fargli venire dei dubbi. Vide in lontananza l’insegnante di danza dello Studio, Jackie. Ottimo, aveva bisogno di avere alcune conferme su delle ipotesi che gli balenavano in testa in modo disordinato. “Signorina Jackie” esclamò, costringendo la donna a voltarsi. L’insegnante sorrise gentilmente, e si avvicinò all’investigatore. “Mi sono dimenticato di chiederle alcune cose del giorno del delitto del signor Garcia”. “Ancora?” chiese leggermente sorpresa. “Si, la prego di perdonarmi per il disturbo. Ho saputo che si è allontanata dalla sala insegnanti con Angie per andare in bagno. Giusto?”. Jackie si portò una mano alla fronte. “Giusto! Me l’ero dimenticato” esclamò la donna dispiaciuta. “Ecco, volevo sapere…siete tornate insieme in aula insegnanti?”. “No, Angie è rimasta un po’ di più, e mi ha detto di andare avanti senza di lei. Devo dire che ci ha messo parecchio…”. “La ringrazio” sospirò l’uomo, dubbioso. “C’è altro che mi deve chiedere?”. “No, non credo. Anzi si! E’ una questione delicata, però”. “Avanti, mi dica” disse la donna sospirando. “Lei ha avuto un incidente durante la sua carriera da ballerina?” chiese a bruciapelo l’uomo. “Si” rispose con fermezza la donna, con le mani che tremavano. Freddo, paura, dolore o rabbia? Quale di questi era la causa che la faceva tremare in quel modo? Non capiva, ma doveva andare fino in fondo. “Dove si esibiva?”. “Al Teatro dell’Opera di Roma” esclamò lei mentre gli occhi si fecero lentamente lucidi. “Pensa sia divertente? Pensa sia divertente?” comincio a chiedere scoppiando a piangere in modo isterico. “Non capisco…”. “Certo che non capisce, nessuno può capire”. “Se non sbaglio, per un periodo Gregorio è stato a capo del teatro. Sbaglio?”. “Non sbaglia. Quell’uomo viscido e insignificante era a capo del teatro”. “Non avete una buona considerazione di lui” constatò Pablo, mentre i singhiozzi della donna si fecero più insistenti. “No che non ce l’ho…”. “Pensa che possa averla riconosciuta. Intendo dire: si ricordava di lei?”. “No, signor Galindo. Il boia non si ricorda delle persone che decapita, in quanto c’è un cappuccio nero che gli copre il volto” sentenziò freddamente. “Sono parole dure le sue”. “Sono le uniche che merita quel maledetto. Io marcirò all’inferno, signor Galindo, ma sono sicuro che lì lo troverò a soffrire pene infinitamente più grandi delle mie”. “Sa qualcosa che non mi vuole dire, forse?”. Jackie non aggiunse nessuna parola e si fiondò tra le braccia del povero investigatore, che non sapeva come comportarsi per confortarla. “La…la prego, non deve piangere in questo modo, vedrà che si risolverà tutto, andrà tutto bene” disse, accarezzandole goffamente il capo. In lontananza vide Angie che li guardava con disprezzo. “Ehm…mi scusi” disse staccandosi dall’abbraccio per correre incontro alla donna dai capelli dorati che stava fuggendo via. “Signorina Angie! Signorina Angie!” la chiamò ripetutamente. Finalmente la donna decise di fermarsi e voltarsi, con un sorriso tirato. “Signor Galindo!” esclamò con entusiasmo. “Signorina Angie, non è come le sembra…” provò a spiegare l’uomo, ma l’insegnante lo fermò, non lasciandolo continuare. “Non si preoccupi, non sono affari miei. Le sue questioni personali non verranno fuori”. “Ma quali questioni personali?!” quasi strillò l’investigatore per la sorpresa. “Dico solo che non è molto professionale da parte sua” esclamò Angie risentita. “No, guardi che…non è come sembra…ma aspetti. Lei è gelosa!”. “Gelosa io?! La prego, signor Galindo, non penserà mica di essere l’unico uomo affascinante, intelligente, pieno di risorse, gentile…” cominciò a parlare paonazza. “Volevo dire, non penserà mica di essere l’unico uomo in questa città?!”. “Io…ma lei è di una gelosia unica!” strillò Pablo, alzando il tono della voce. “Io non sono gelosa! E non lo dica più, altrimenti le tiro uno schiaffo!” concluse la donna, andandosene a passo svelto. “E’ gelosa…” sussurrò Pablo a bassa voce. “L’ho sentita!” strillò la donna dall’altra parte della strada. “Complimenti per l’udito, allora!” ribatté risentito l’altro, andando dalla parte opposta.
Il campanello dell’abitazione di Leon suonò ripetutamente. Il giovane aprì la porta scocciato, con lo spazzolino da denti ancora in bocca. Non appena aprì la porta rischiò di ingoiare tutto il dentifricio: era Violetta. “V-Violetta, che ci fai qui a quest’ora? Come fai a sapere dove abito?”. La ragazza abbassò lo sguardo imbarazzato. Leon solo allora si rese conto di essere con solo un paio di boxeur e una canottiera bianca. Ma che figura! Cercò di mostrarsi indifferente, mentre dentro stava morendo di vergogna. “Io…sono andata a Scotland Yard e sono riuscita ad ottenere l’indirizzo. Posso?” chiese rimanendo ancora sulla soglia di casa. Il giovane fece cenno di si con la testa, togliendosi lo spazzolino da bocca e guardando in che condizioni era la casa. Pietosa, era un disastro. Abitando da solo e stando sempre fuori per lavoro non aveva molto tempo per le faccende domestiche. Violetta entrò lentamente osservando ogni singolo dettaglio dell’appartamento. Era piccolo ma carino. Sulla destra c’era una stanza da letto con un letto matrimoniale, e una poltroncina su cui era gettata una montagna di panni sporchi. Sulla sinistra invece c’era un piccola cucina modesta con un tavolino, mentre dritto davanti a sé c’era il bagno. “Hai un letto matrimoniale” si lasciò scappare lei imbarazzata. “Sei…sposato?” chiese all’improvviso. Leon scoppiò a ridere. Ma più che una risata dolce era una risata isterica dettata dalla vergogna. “No, cosa credi! E’ che l’appartamento apparteneva ad una coppia sposata, e…Poi se fosse sposato non starei con te. Non sono quel tipo di persona” disse seriamente. “Scusa per la domanda inopportuna” ribatté lei ancora più rossa, accarezzandogli piano la guancia. Leon sorrise rilassato, quindi la strinse forte in un abbraccio. “Che ci fai qui?” le sussurrò in un orecchio. “Volevo stare con te. E…mi chiedevo se potevo passare la notte qui” mormorò flebilmente. “Cosa?! Ma è presto per…”. “Ma io non intendevo quello!” si affrettò ad aggiungere la ragazza vistosamente imbarazzata. “Non me la sento di stare con papà. A lui ho detto che avrei passato la notte da Francesca, ma mi chiedevo se…ecco, insomma…a me piacerebbe dormire con te” disse infine con molte pause per prendere coraggio. Leon sorrise, quindi le prese il viso tra le mani e la baciò dolcemente. “Ho paura, Leon. Sento di stare al sicuro solo con te” sussurrò con gli occhi chiusi e un timido sorriso. Leon si sentì inerme a quelle parole. Quella ragazza era troppo per lui; non la meritava, ne era assolutamente certo. Non meritava di sentirsi così importante. Ma cosa ci poteva fare se era completamente innamorato di lei? Le prese la mano e la condusse nella camera da letto, quindi si stese e le fece cenno di mettersi al suo fianco. Violetta eseguì l’invito e si stese vicino a lui, rigida come se fosse fatta di marmo. “Ehi, non essere così tesa, non ti faccio nulla” le sussurrò abbracciandola dolcemente. Il calore corporeo del ragazzo la investì come un’onda, dandogli dei piccoli brividi. I loro visi erano vicinissimi, le braccia di Leon le cingevano la vita e i loro corpi erano quasi completamente a contatto. “Ti vorrei sposare adesso” disse lui dandole un bacio sulla guancia. “Non mi conosci nemmeno” ribatté la ragazza tristemente, abbassando lo sguardo. “Ma è come se ti conoscessi da sempre”. “Questo è quello che credi te” sussurrò debolmente, mentre Leon lentamente si avvicinava costringendola ad alzare lo sguardo. “Ti da fastidio se ti do un bacio?” le chiese chiudendo gli occhi. “Ti stavo per chiedere io di farlo” ammise Violetta sfiorando lentamente le labbra del giovane. In poco tempo i due cominciarono a baciarsi, prima lentamente, poi con sempre più passione. Stavano entrambi ansimando per la mancanza d’aria e per la foga messa in quel bacio, ma non gli interessava. Non c’era nessuno che li avrebbe potuti giudicare. Non c’era Pablo a dirgli che stava sbagliando. Era stanco di essere considerato come un giovane facilmente vulnerabile. Lui amava Violetta, e sentiva che la ragazza provava lo stesso. Si separarono lentamente, mentre Leon leccava lentamente le labbra della ragazza, per sentirne un’ultima volta il sapore. “Hai il sapore più dolce del mondo” constatò con un sorriso. Violetta scoppiò a ridere e gli diede un bacio rapido, prima di accoccolarsi a lui stretta tra le sue braccia. Posò una mano sulla sua guancia, accarezzandola con gesti lenti finché non lo vide chiudere gli occhi e addormentarsi. Non appena sentì il suo respiro farsi più regolare e costante, accostò la testa al suo petto, e si addormentò con un sorriso mesto. Quanto sarebbe potuto durare ancora tutto questo? Poco, troppo poco.
La mattina un odore di caffè svegliò Violetta. Tastò al suo fianco sul letto, ma non trovò il corpo di Leon, quindi aprì gli occhi. Poteva scorgere Leon alle prese con la macchinetta del caffè. Volendo fargli una sorpresa, in punta di piedi sgattaiolò per tutto il corridoio, quindi quando fu alle sue spalle lo abbracciò da dietro con affetto. Leon chiuse gli occhi felice quando sentì la mani fragili di Violetta stringergli il petto. “Sei sveglia. Spero di non averti svegliato io”. Violetta scosse la testa. “No. E' stata la tua assenza a farmi svegliare”. “Sembriamo marito e moglie alle prime armi” scherzò il ragazzo, prendendo due tazzine dalla mensola in alto. Il telefono squillò insistentemente rompendo quel quadretto perfetto. “Chi diavolo è a quest’ora” imprecò Leon, dirigendosi a passo svelto in camera e suscitando l’ilarità di Violetta. “Pronto? Ah, signor Galindo. Capisco…non si trova più Maria? Lei pensa di sapere dove sia? Mi dia l’indirizzo, la raggiungo lì. Ma…ne è sicuro? D’accordo, a presto allora”. Attaccò la cornetta, grattandosi la testa. “Devi andare?” chiese Violetta preoccupata. “Si, ma è strano”. “Strano cosa?”. “E’ strano il luogo dell’appuntamento”. “Dove vi dovete vedere?”. “Ecco…”.
“Ecco, arrivo subito” esclamò una voce familiare. Angie aprì la porta e si ritrovò davanti Pablo con il suo assistente. “Che ci fate qui?”. L’uomo saltò i convenevoli e si intrufolò in casa fino a quando non trovò seduta su una poltrona Maria Garcia, che scattò in piedi allarmata non appena li vide. “Maria è a casa di Angie?!” esclamò sorpreso Leon. “Come mai?”. “Questa è una bellissima domanda, Leon. Una domanda a cui qualcuno dovrebbe dare una risposta”. Si voltò lentamente verso Angie che li guardava esterrefatta. “Non è vero, Angie Saramego? O forse dovrei chiamarla Maria Garcia?”. 






NOTA AUTORE: prima di parlare del capitolo...sono un'idiota. Ok, non sono uno che sta attento ai dettagli, ma un errore così grossolano non pensavo di farlo. Nei capitoli precedenti penso di aver scritto che Ludmilla stringeva in mano una banconota da 500 dollari. Peccato che non siamo in America, ma in Inghilterra, quindi i dollari non ci sono, bensì le sterline. Quindi niente, poi lo vado a correggere. Chiedo veramente perdono, sono di una rara stupidità O.o Comunque ora parliamo del capitolo. O meglio, stavolta io non dico nulla, non commento nessuna scena, faccio solo brevi constatazioni. la storia molto triste di Diego viene fuori, e con essa anche il passato di Jackie sembra non essere stato molto roseo. Ma come mai sembra avercela tanto con Gregorio? Forse leggendo bene potreste capirlo. Poi...vabbè Angie gelosa è fortissima, e questa scena Leonetta ce l'ho in mente da una vita, quindi l'ho messa. E poi andiamo alla parte seria. EBBENE SI. Angie in realtà è Maria, la sorella di Gregorio. Nel prossimo capitolo capiremo come l'ha capito Pablo (in realtà è andato ad intuito, come speravo faceste voi, ma mi sa che nessuno di voi lo immaginava, vero?). Io speravo che vi illuminasse la scena di Maria in cui Pablo pensa che la donna stia recitando una parte. Ed è proprio così, perché non è lei la vera Maria, bensì Angie! Sconvolti, vero? Bene, non voglio lasciarvi ancora sconvolti, e niente...al prossimo capitolo! :D

 

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Capitolo 13
*** Angie e Maria: una sola persona, un solo passato ***


Capitolo 13
Angie e Maria: una sola persona, un solo passato

“Cosa?!” esclamò Leon esterrefatto. Angie non disse una parola, ma osservò Pablo con un sorrisetto di sfida. “Lo sapevo che ci sarebbe arrivato” sussurrò. “Lara, puoi andare” disse infine, rivolgendosi alla ragazza dai capelli castani. “Vi chiedo solo una cortesia. Vorrei parlare solo con il commissario Galindo”. Tutti nella stanza annuirono, tranne Leon, che guardò dritto negli occhi il suo capo per ricevere ordini. “Leon, esci” pronunciò in modo secco Pablo. Seguì con lo sguardo il suo assistente uscire dalla stanza insieme alla falsa Maria, quindi nella stanza rimasero solo loro. Nessuno dei due parlò, ma si aggirarono per la stanza scrutandosi, aspettando la mossa dell’altro. “Lei è un genio, Pablo, ma io mi chiedo…come l’ha capito?” disse infine fermandosi davanti all’uomo, e incrociando il suo sguardo. L’uomo le rivolse un sorrisetto e cominciò a parlare. “Il dubbio che la sorella di Gregorio fosse tra i sospettati mi è venuto quando mi sono ricordato delle parole di Federico. Quando il primo giorno ha visto tra i nuovi insegnanti, Gregorio era sconvolto. Adesso, sicuramente si trattava di qualcuno che conosceva molto bene e gli unici possibili indiziati erano proprio lei e Jackie. A questo punto ho semplicemente rischiato. Non ho cancellato affatto la conversazione che abbiamo avuto quel pomeriggio in Chiesa, ma la conferma l’ho avuta con un dettaglio apparentemente insignificante. Quando ho letto sul fascicolo che la madre di Gregorio si era suicidata, mi sono ricordato che lo stesso era accaduto a Violetta. Quindi ho ricorso alla cosiddetta prova psicologica. Se è vero che la madre di Gregorio è morta tanto tempo fa, allora Maria doveva essere una bambina e quindi doveva aver subito un trauma. Le ho raccontato la storia del suicidio della madre della ragazza, volontariamente per metterla alla prova. La sua reazione mi ha fatto capire di avere fatto una supposizione giusta. E quando ha rivisto Violetta per la prima volta dopo quel racconto, l’ha abbracciato in modo protettivo. Si chiama empatia: la persona in questione riconoscendo in qualcun altro lo stesso dolore provato tende ad essere protettiva nei suoi confronti”. “Non ho creduto a una sola parola di quella falsa Maria, si vedeva che si trattava di una recita. Ma io mi chiedo perché” concluse l’uomo. Angie sembrava improvvisamente infastidita di essere stata messa nel sacco in quel modo, quindi rispose in modo scorbutico. “Andiamo, signor Galindo, mi vuole far credere che non ci è arrivato?”. “Ho qualche supposizione, certo…” mormorò l’uomo divertito. Angie si sciolse in un sorriso mesto. “Mi dica”. “Lei l’ha fatto per prendere l’eredità di Gregorio, senza doversi mettere allo scoperto. Ha scambiato le foto sul suo documento, per rendere tutto più credibile. Voleva avere lo Studio”. “Non pensa che me lo meritassi? Dopo tutto quello che è sofferto, il minimo che potesse fare quel bastardo era lasciarmi quella scuola” sentenziò la donna con voce fredda. “Non capisco, perché lo odia tanto? E’ pur sempre suo fratello” provò a dire Pablo, sfiorandole la mano, ma Angie si allontanò a quelle parole. Alzò lo sguardo e mostrò tutto il suo dolore.
‘Maria salì le scale della casa. Era tutta felice: aveva passato la mattina a raccogliere margherite ed era riuscita molto a fatica a confezionarci una coroncina da regalare alla madre. In quel momento vide il fratello richiudere la porta del bagno con lo sguardo basso. “Stupida donna” sibilò per poi incrociare lo sguardo della sorellina. “Dov’è la mamma?” chiese con una faccia solare. Gregorio non rispose ma si chinò su di lei accarezzandole il capo. “Da oggi ce la caveremo da soli”. I suoi occhi erano duri e  pieni di risentimento.’
Angie sospirò lentamente. Non voleva ricordare, non voleva. Ma Pablo era lì con quello sguardo penetrante che la costringeva a farlo. E non poté non sentirsi inerme di fronte all’uomo. Eppure era una donna forte che aveva costruito da sola il proprio futuro. “E poi, cosa successe?” chiese Pablo, accarezzandole il braccio. Angie non ce la fece e le prime lacrime fuoriuscirono prepotentemente.
‘Maria si guardava attorno in quel freddo corridoio della loro casa. Perché il fratello non voleva che entrasse nel bagno? Cos’era successo alla sua mammina? “Gregorio, cosa è successo?” chiese con voce tremante. Stava temendo il peggio. “Niente. La mamma sta dormendo” rispose in modo secco il fratello, accarezzandole il capo, cercando di rassicurarla. No, non ci credeva. Sgusciò di lato, e prima che potesse essere fermata, aprì la porta.’
“No!” urlò la donna, come se stesse rivivendo quel terribile momento. Si lasciò cadere a terra con il viso tra le mani piangendo. “Io…è tutta colpa sua!”. Pablo non capiva: cosa stava succedendo?.
‘Maria si fermò in mezzo alla stanza, osservando il volto candido della madre fuoriuscire dalla vasca. Si avvicinò tremando, e scosse il braccio della donna, appoggiato lungo il bordo. “Mamma” sussurrò piano, accarezzandole la mano. “Mamma, svegliati” provò di nuovo, ma non ottenne nessuna risposta. E mai l’avrebbe ottenuta. Gregorio si avvicinò da dietro e cercò di portarla via. “Cose la hai fatto?! Mamma!” urlò. L’ultima visione che ebbe fu quella del volto pallido della madre con gli occhi chiusi. Poi la porta del bagno fu richiusa con violenza.’
“E’ stata tutta colpa sua…” ripeté la donna. “Sua madre è morta a causa di una dose eccessiva di antidepressivi, soprattutto quelli a base di morfina” cercò di convincerla Pablo. “Nessuno vuole capire! Nessuno! La dico io come si sono svolte le cose”. “Dopo la morte di nostro padre, Gregorio all’età di venti anni è diventato il nostro capo famiglia. Nostra madre era entrata in depressione, e mio fratello non contribuiva certo a farla sentire meglio, escludendola completamente da qualsiasi decisione. Gregorio è sempre stato un dittatore, in tutto. La depressione di nostra madre in quel clima poté solo peggiorare, ed ecco perché è arrivata al suicidio”. “Cosa sta cercando di dirmi?”. “Le dico solo la verità. Indirettamente Gregorio si è macchiato di uno degli omicidi più efferati. Come potrei amare e rispettare un mostro del genere?”. Pablo le porse la mano per aiutarla a rialzarsi. Angie si asciugò qualche lacrima, quindi l’afferrò. “Sono fuggita da quel posto, appena ho potuto. Mi sono fatta iscrivere a un collegio europeo, e sono andata via dall’Italia. Tutte le lettere che mi mandava le rispedivo al mittente, tranne una delle ultime che mi informava che era diventato preside dello Studio. Non c’era nessuna miglior occasione per poterlo rincontrare e rovinargli il suo momento di gloria con una piccola riunione familiare” ghignò al pensiero. “Ed è così che nasce la giovane Angie, insegnante di canto” concluse Pablo comprensivo. “Volevo solo fargli capire che io non avevo dimenticato, doveva continuare a vivere con quei rimorsi. Quando ho saputo che è morto, mi sono rivolta a Lara per mettere in piedi la sceneggiata, ma questo lei già lo sa”. Angie si avvicinò al viso di Pablo. “Cosa intende fare, ora?” chiese accarezzandogli la guancia. L’uomo la guardava confuso. Non aveva idea di cosa fosse meglio fare. Quella donna aveva sofferto fin troppo, chi era lui per chiedergli di seguirla in commissariato? Era un poliziotto, non un mastino. “D’accordo, allora…io vado” mormorò Pablo. Prima che potesse fare un solo passo, Angie velocemente poggiò le labbra sulle sue, dando vita a un bacio. Gli prese il viso tra le mani, mentre l’uomo chiuse gli occhi confuso, ma allo stesso tempo felice. Non aveva mai avuto una donna, o meglio una donna l’aveva avuta, ma non era andata nel migliore dei modi.
‘Una donna teneva nervosamente d’occhio l’orologio del municipio, fino a quando non vide corrergli incontro un giovane con il fiatone. “Sei arrivato” esclamò battendo il piede in segno di disapprovazione. “Hai visto che ore sono?”. “Scusa, scusa davvero, ma il mio capo mi ha fatto rimanere in ufficio più del previsto per lavorare a un’indagine” si giustificò Pablo alzando le spalle, e sistemandosi il soprabito marrone. “Pablo, hai ritardato di tre ore. E’ dalle quattro che ti aspetto” esclamò la donna rigidamente, voltandosi di spalle e assumendo un atteggiamento offeso. “E non è la prima volta che succede. E’ sempre così con te. Non te ne rendi conto che riesci a rovinare tutto? Io ti voglio bene, ma non ce la faccio”. “Che…che stai dicendo con questo?” balbettò il giovane con lo sguardo perso. “Non vorrai che…?". Non riusciva a terminare la frase. “Tu hai fatto una scelta, hai scelto il lavoro. Ma hai perso me, non possiamo andare avanti così”. La donna non si voltò neppure per un istante, Pablo riuscì a distinguere solo una lacrima scenderle lungo il viso. Tese la mano come per afferrarla, come per poterle dire che non era vero, che per loro c’era ancora una possibilità, ma poi la riabbassò. Aveva ragione, non c’erano altre possibilità. Carriera o lei. E inconsciamente già da tempo aveva preso la sua decisione. La vide allontanarsi a passo lento. Forse sperava che lui la inseguisse, la pregasse di non abbandonarlo, di non chiudere così il loro rapporto. Ma le sue parole morirono in gola, così come la luce del tramonto moriva inghiottita dalla notte. L’ombra della donna che si allontanava si allungò fino a fondersi con l’oscurità. Un’ombra che non avrebbe mai dimenticato tanto facilmente’
Angie si separò lentamente, riaprendo gli occhi. “Signor Galindo, mi scusi, io…non so cosa mi sia preso”. “N-non si preoccupi, anche a me capita di baciare persone senza alcun motivo” cominciò a inventare l’uomo, arretrando. “Forse è meglio che io vada”. Si diresse verso la porta, ma raggiunta la maniglia si voltò. “E comunque non avevo intenzione di dire nulla sul suo conto, fino alla risoluzione del caso” esclamò tutto d’un tratto. Angie lo guardò con profonda gratitudine. “Lo so. So che non l’avrebbe fatto. Non so se qualcuno gliel’ha mai detto, ma è un uomo molto buono”. “Per essere un poliziotto, intendo” aggiunse dopo con un sorriso. Pablo rise a quelle parole, e salutò educatamente prima di uscire dall’appartamento. Un sospiro si liberò, trattenuto dalla tensione che si era creata in quella stanza. Quella donna era magnetica, e si chiese se per una volta non fosse il suo turno di essere felice. Ma c’era un dettaglio non insignificante che lo allontanava da quel sogno: la possibilità che lei fosse l’assassina. Una possibilità non da escludere, anzi…molto, molto probabile.
“Scusami ancora per averti lasciato all’improvviso da sola nel mio appartamento” disse Leon, stringendo la mano di Violetta. “Non importa, e poi ho potuto ficcanasare in giro” scherzò lei, poggiando la testa sulla sua spalla. “Hai trovato qualcosa di compromettente?” chiese lui, divertito, fermandosi di colpo. “No…a parte un disordine incredibile”. “Mi devi scusare, ecco…io non volevo, solo che…” cercò di scusarsi lui, abbassando lo sguardo imbarazzato. “Non ti preoccupare, solo che forse avresti bisogno…di una moglie” disse lei con sguardo vago, mentre le guance lentamente si tingevano di rosso. Leon la guardò di sottecchi e sorrise. Quindi si mise di fronte a lei, e tenendo fissi i suoi occhi verdi sulle sue labbra, le accarezzò piano la guancia, avvertendone il calore. “Era una proposta, forse?”. La ragazza si ritrasse con un’espressione sconvolta. “Ma cosa dici?! Non ci conosciamo bene, e non ti ho nemmeno presentato a mio padre!” esclamò. Ma il colore ancora più acceso delle sue guance diceva tutto il contrario. Leon scoppiò a ridere. “Stavo scherzando” disse, avvicinandosi di più. “Per ora” sussurrò prima di baciarla. Violetta portò le braccia intorno al suo collo, rispondendo al bacio con passione e amore. Dopo essersi separati, Leon la guardò seriamente. “Perché non mi hai detto nulla sulla faccenda di Luca Artico?”. Violetta impallidì di colpo, poi respirò a fondo e si affrettò a rispondere. “Francesca per me è come una sorella. E’ l’unica persona che mi è stata vicino dopo il suicidio di mia madre. Quando mi ha confidato il suo segreto, mi sono sentita in dovere di non raccontarlo a nessuno. Mi dispiace per avertelo nascosto” disse lei con le lacrime agli occhi. “Ehi, ehi, tranquilla” cercò di rassicurarla Leon, baciandola dolcemente. “Va tutto bene” le sussurrò a pochi centimetri dalle sue labbra. Non capiva, non poteva capire. Violetta sospirò al pensiero di come tutto fosse destinato a finire così in fretta. Era stato davvero bello, ma non poteva più andare avanti in quel modo. “E’ successo qualcosa?” chiese lui stranito, vedendo la sua espressione cupa. “No, nulla, ma devo andare, non vorrei che mio padre si preoccupasse”. “Vuoi che ti accompagni?” chiese in modo galante. “No, grazie, ora devo scappare” rispose lei, correndo via. Una lacrima scese mentre si allontanava rapidamente. Stava soffrendo troppo, davvero troppo, ma si era promessa una cosa: se le cose fossero andate in un certo modo, avrebbe agito di conseguenza.
Pablo finalmente trovò l’ospedale dove lavorava e faceva ricerca il padre di Federico. Sentiva il bisogno di scambiare due chiacchiere con quell’uomo, e quale migliore occasione del pretesto del libro che si era fatto prestare? Con aria attenta entrò nell’edificio, il cui candore esterno era stato coperto dalla fuliggine londinese. “Il signor Bianchi?” chiese davanti a una segretaria che sembrava uscita da un manicomio. Aveva un tic nervoso all’occhio destro, le mani tremavano mentre scriveva e rispondeva parlando alla velocità della luce. Questo posto deve portare alla follia, constatò tra sé e sé l’investigatore. “Adesso il dottor Bianchi sta facendo alcune importanti analisi, ma la preghiamo di attendere” disse, scattando in piedi e muovendosi velocemente per i corridoi. Apriva di tanto in tanto qualche porta alla ricerca del diretto interessato, fino a quando non cominciò a parlottare con qualcuno a metà del corridoio. “Signore!” strillò ad alta voce facendo voltare tutti i pazienti in sala d’attesa. “Il dottor Bianchi la può ricevere nel suo ufficio tra cinque minuti” esclamò nervosamente, indicandogli una porta bianca.
Dentro quello studio era tutto perfettamente normale: una stanza quadrata non troppo grande con una spaziosa scrivania. La porta si aprì ed entrò un Leon tutto trafelato. “Ho chiesto al commissariato e mi hanno detto di cercarla qui…come mai non mi ha detto nulla?” esclamò risentito il giovane. “Volevo solo restituire un libro” disse l’uomo mostrando un libro dalla copertina verde muschio. “Ah, io pensavo stesse indagando…” ribatté Leon deluso. Finalmente fece la sua apparizione il signor Bianchi, che si mise seduto dopo aver rivolto un breve saluto ai due visitatori. “Allora, cosa volete?” chiese con fare sbrigativo. “Ero venuto a restituirle il libro, e a farle un paio di domande” cominciò Pablo facendo scivolare il libro dall’altra parte della scrivania. “Riguardo suo figlio…volevo sapere solamente di che malattia si è trattata, quella avuta il giorno dell’omicidio di Gregorio” disse semplicemente Pablo, mettendosi seduto su una sedia girevole. “Un’influenza batterica, perché? Probabilmente si causa di streptococchi…batteri fastidiosi, ma non letali, ci mettono quarantotto ore prima di agire e…”, ma l’uomo lo fermò. “Si, lo so, ho letto il suo bellissimo libro. Ma lei quando l'ha visitato?". "La mattina prima di andare a lavoro. Allora sembrava una semplice influenza di poco conto, ma quando sono tornato la sera tardi ho notato un peggioramento pauroso!" esclamò il medico, abbastanza sconvolto. "Mh…c’è un altro aspetto che mi incuriosisce. Nel corpo di Gregorio sono stati ritrovati resti di acido barbiturico, utilizzato spesso nelle anestesie” parò l’uomo tranquillamente. “Beh, non ci vedo nulla di strano. Quell’acido si trova anche nei calmanti. E può darsi che il signor Garcia ne facesse uso, no?” chiese accigliato. “Certo, ma…niente, la prego di scusarmi per queste domande così sciocche. Le sto solo rubando tempo” si scusò Pablo, scattando in piedi con aria mortificata e tendendo la mano. Il signor Bianchi si alzò e la strinse dubbioso. “Non si deve preoccupare”. Pablo stava per andarsene, ma poi si voltò per un’ultima domanda. “Cosa faceva la madre di Federico?”. “Era una ballerina” rispose prontamente l’uomo, infastidito da quell’improvvisa domanda. “E dove lavorava?”. “Al Teatro dell’Opera di Roma. Ha avuto la parte in seguito all’infortunio di un’altra ballerina” spiegò il signor Bianchi. Pablo sgranò gli occhi e rapidamente tornò a riflettere. In quel momento qualcun altro entrò nello studio.
“Mi scusi” mormorò Violetta entrando senza permesso. “Mi hanno in detto in commissariato che avrei potuto trovarvi qui” si limitò a dire. “Ormai il commissariato è la mia personale segreteria!” sbottò Pablo ironico. “Violetta, che ci fai qui? Lo sai che a lavoro non possiamo…vederci” la riprese severo Leon, imbarazzato per la situazione. Violetta non lo degnò di uno sguardo e non rispose, ma avanzò per la stanza fino a raggiungere la scrivania. Poggiò la borsa e armeggiò per un po’ al suo interno, quindi ne estrasse una nera pistola lucente, che appoggiò lentamente. Il silenzio calò nella sala. La ragazza si voltò verso Pablo con un’espressione seria e determinata. “Eccomi, signor Galindo. Stavate cercando l’assassino, e l’avete trovato. Perché sono io ad aver ucciso Gregorio Garcia”. 







NOTA AUTORE: altro finale con colpo di scena! Ebbene dopo la triste storia di Maria/Angie e il flashback di Pablo che ci fa capire una delle sue scelte di vita, abbiamo questo VERO colpo di scena. Violetta ammette di aver ucciso Gregorio Garcia. In questa nota autore non voglio commentare il capitolo (anche perché vado di fretta), dico solo che il prossimo capitolo sarà il penultimo, quindi direi che è il caso che cominciate a farvi qualche ipotesi sostanziosa, che nelle recensioni del capitolo 14 voglio sentire le vostre ipotesi finali ;D (visto che nel 15 sapremo chi è l'assassino :D). Bene, credo di avere detto tutto, alla prossima :D (fatemi sapere che ve ne pare di questo capitolo...lo so, la parte finale è scritta da cavolo, ma perdonatemi xD). Buona lettura a tutti! 

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Capitolo 14
*** Poker d'assi ***


Capitolo 14
Poker d’assi

Leon la guardava con lo sguardo vuoto. Sembrava che le parole pronunciate dalla ragazza si fossero impresse nella sua mente, e non intendessero lasciargli un attimo di tregua. Voleva implorarle di spiegare a tutti che non era vero, ma quella pistola diceva tutto, non aveva bisogno di spiegazioni. Pablo la fissò seriamente. “E’ sicura di quello che sta dicendo, signorina Castillo?”. Violetta annuì, attenta a non incrociare lo sguardo del giovane assistente. “Leon, vuoi rimanere da solo con lei?” chiese Pablo, comprensivo. “No, io…non posso, lei è colpevole” disse senza alcun emozione Leon, uscendo di corsa dalla stanza. Anche il padre di Federico uscì per lasciare soli l’investigatore e Violetta. “Siamo alla resa dei conti, eh?” esclamò l’uomo, chiudendo lentamente la porta da cui era uscito il dottore. “C’è poco di cui discutere, le ho già confessato quello che voleva sapere. Adesso attendo di essere impiccata, marcendo in una cella. Sarà contento” ribatté la ragazza. “Non le credo” disse semplicemente Pablo. “La smetta di prendermi in giro. Io ho la pistola, ho ucciso io Gregorio!” sbottò arrabbiata. “E per quanto riguarda Nata e Ludmilla. Le ha uccise lei?”. “Non vedo perché dovrei averlo fatto. Ho ucciso Gregorio e basta. Gli ho sparato alla testa” sibilò lei, incrociando le braccia. “D’accordo, allora deve venire con me, signorina Castillo” si arrese Pablo, invitandola ad uscire. Non appena furono fuori, Leon rimase in disparte, vedendoli allontanarsi. Era troppo doloroso, non riusciva a crederci. Lei non era l’assassina, non poteva esserlo. E se fosse rimasta vicino a lui solo per usarlo? Quell’eventualità lo stava logorando. Era la prima ragazza di cui si fosse realmente innamorato e non voleva accettare che si fosse trattata di una messa in scena da parte di Violetta. Allo stesso tempo non sapeva cos’altro pensare. Doveva parlarci, ma non quel giorno.
C’era qualcosa che non gli quadrava, qualcosa di strano in quel caso, ma finalmente stava cominciando a mettere tutto al suo posto. Violetta era stata messa in una cella di detenzione in attesa del processo. Se fosse stata ritenuta colpevole, allora sarebbe stata impiccata. Pablo si aggirava intorno allo Studio e incrociò con lo sguardo Maxi, che sembrava terribilmente nervoso. “Signorino Ponte” lo salutò cortesemente, facendolo impallidire ancora di più. “Signor Galindo” rispose impassibile il ragazzo, cominciando a torturarsi le mani. “Non la vedo molto in forma” constatò semplicemente. “Con tutti questi omicidi ad opera di un pazzo, non vedo perché dovrei stare tranquillo”. “Come fa lei a dire che si tratta di un pazzo?” lo incalzò l’uomo, incuriosito. “Beh, la persona avvolta nel soprabito si muoveva in modo strano. Sembrava traballare. Non deve essere una persona equilibrata mentalmente” rispose il ragazzo con assoluta evidenza. “E ovviamente questo dettaglio non ha pensato di dirmelo” esclamò sorridendo. “Mi scusi, signor Galindo…non pensavo fosse importante” si difese Maxi, alzando le mani in aria in modo ironico. Pablo sorrise. “Incredibile come ciascuno di voi è riuscito a nascondere qualcosa e a distorcere gli eventi. Ma sappiate una cosa: non siete riusciti nell’intento di confondermi. Perché manca poco e l’assassino salterà fuori”. “Lei dice?” chiese Maxi, guardandolo intensamente. “Io ne sono sicuro, signorino Ponte”.
Pablo entrò nella sala degli insegnanti e trovò Beto intento a mettere a posto i suoi spartiti, perennemente in disordine. Passò il dito sulla mensola dove erano posate le tazzine da caffè, osservandole una ad una, fino a quando non trovò quella che cercava. Una tazzina uguale alle altre tranne che per una piccola ‘g’ blu all’interno del manico di ceramica. “Interessante…” mormorò, avvicinandosi all’insegnante che ancora non si era accorto della sua presenza. “Signor Beto!” lo salutò allegramente, facendolo quasi saltare in aria. “Ah, è lei, signor Calenda”. “Galindo” lo corresse l’uomo, alquanto scocciato. “Giusto, giusto, era quello che volevo dire in effetti” si scusò Beto, tendendo la mano per salutarlo, mentre nell’altra teneva stretta numerosi fogli sparpagliati. “Molto belle quella tazzine di porcellana…sono 16, mi pare. Più quella ritrovata sulla scena del crimine, fanno 17” gli fece notare tranquillamente. L’insegnante non capì il perché di quel discorso, ma annuì. Poi cominciò a riflettere. “Ma lo sa che è una cosa strana?” disse all’improvviso. Pablo si avvicinò con un sorrisetto compiaciuto. Era riuscito a tirare fuori da quell’uomo ciò che voleva. “Davvero?” chiese, fingendosi sorpreso. “Si, perché ricordo esattamente che le tazzine erano 17 proprio come dice lei, ma allo stesso tempo ricordo che durante il pre-corso una delle tazzine era misteriosamente scomparsa. Io avevo portato il caffè a Gregorio quel giorno, e quando ero tornato per riprendere la tazzina sulla scrivania, quella era scomparsa. Veramente strano!” spiegò Beto. “Volevo chiederle anche un’altra cosa: la signorina Jackie ha dei contatti oltre che lavorare in questa scuola?” chiese a bruciapelo. La domanda fu molto inaspettata e Beto dovette pensarci un secondo. “Certo! La signorina Jackie ha contatti con i più famosi teatri di Londra. E’ comunque una ballerina riconosciuta a livello nazionale, anche se dopo quel famoso incidente…” cominciò a dire l’uomo, ma si fermò. “Continui” lo prego Pablo. Beto fece un profondo respiro e continuò. “Lo sappiamo solo noi insegnanti. Jackie era una ballerina famosa, riconosciuta in tutto il mondo. Ma un giorno durante le prove ebbe un tragico incidente con delle travi non collegate bene, a quanto pare. Alcuni dicono si tratti di un incidente, altri di sabotaggio. Bah, è tutto molto confuso, fatto sta che la povera Jackie non si è più potuta esibire in un teatro a causa della lesione permanente”. “Proprio come pensavo, grazie Beto, lei mi ha chiarito molti dubbi” esclamò soddisfatto Pablo, uscendo dalla stanza e lasciando un Beto piuttosto confuso e perplesso.
Federico si stava preparando per la lezione di ballo, e non vedeva l’ora che quella giornata finisse. Quando incontrò Pablo per il corridoio della scuola non ne fu affatto sorpreso: ormai quell’uomo era ovunque. “Salve, signor Galindo” esclamò il giovane, dirigendosi nell’aula di ballo. “Signor Bianchi! Giusto lei cercavo”. Federico sospirò: quell’uomo non aveva un attimo di pace. “Mi dica” disse infine. “So che sua madre è stata una ballerina in Italia”. Federico si irrigidì e i suoi occhi si fecero incandescenti. “E lei come lo sa?” chiese direttamente. “Ho parlato con suo padre” rispose l’uomo, per nulla intimorito. Federico respirò profondamente e fece un sorriso forzato. “Bene, allora non credo di dover aggiungere nulla, no?”. “Invece ho una sola cosa da chiederle…prima di lavorare come ballerina cosa faceva sua madre?”. “Nulla. Mio padre mi diceva che era un brutto periodo per loro. Lui non riusciva a trovare impiego, e lo stesso valeva per mia madre. Per un puro colpo di fortuna, alla fine mia madre ha trovato impiego a un teatro”. “Ne ero certo” mormorò Pablo. “Scusi?” chiese il ragazzo, incuriosito. “Niente, stavo pensando. Come è morta sua madre?”. “Una malattia…è successo quando avevo cinque anni” mormorò il ragazzo abbassando lo sguardo. I suoi occhi erano lucidi e le sue labbra tremavano. “Mi scusi, signorino Bianchi, non volevo riportarle alla mente ricordi dolorosi” si giustificò l’investigatore, posando una mano sulla spalla del giovane. “Non si preoccupi. Tanto il ricordo non mi abbandonerà mai, finché vivrò” lo rassicurò con un sorriso mesto.
Il giorno dopo avrebbe portato nuove speranze a tutti gli abitanti di Londra, a tutti tranne a uno. Violetta si rigirava su quel letto freddo come il marmo, non riuscendo a prendere sonno. Pensava a Leon. Sapeva che quel peso non l’avrebbe abbandonata fino alla morte e per questo sperava che l’esecuzione arrivasse il prima possibile. Si sfiorò il collo con la mano, immaginando la dura corda avvolta intorno con forza. Deglutì mentre i primi raggi dell’alba si infiltravano in quella stanza spoglia. In fondo se l’era meritato. Prese una penna e un foglio appoggiati su un comodino vicino al letto e tentò di scrivere qualcosa. La mano tremava incessantemente.
‘Caro Leon,’
Si fermò subito e cominciò a riflettere. Cosa poteva dirgli?
‘Questa lettera ti arriverà quando ormai non ci sarò più.’
Un po’ tragico per essere l’inizio di una lettera, ma voleva essere realistica.
‘Ti prego di credermi quando dico che sei la persona che più ho amato in tutta la mia vita’
Il rumore di passi dall’altra parte della cella la riscosse da quel torpore fisico che stava avvertendo. “C’è qualcuno che vuole parlare con te” disse la guardia, infilando la chiave nella serratura e girandola velocemente. “Io…non voglio vedere nessuno” sussurrò la ragazza, sedendosi sul letto e stringendo le ginocchia al petto. “Beh, allora lo caccerai di persona” disse la guardia scostandosi e lasciando intravedere la figura di un giovane. Non poteva essere venuto a trovarla. Voleva farla soffrire fino alla fine? Leon entrò a passi lenti nella stanza e si sedette ai piedi del letto, mentre la guardia richiudeva la cella. “Perché sei venuto?” chiese, guardandolo dritto negli occhi. Lo sguardo di Leon era inespressivo, così come il suo volto; i suoi occhi erano spenti, e i segni delle occhiaie erano lievi ma evidenti: doveva aver passato una notte insonne. “Sono qui per parlarti. Tu…devi spiegarmi…” mormorò il giovane, fissando incessantemente il pavimento. “Non devo aggiungere nulla, Leon. Non capisco come mai sei venuto” esclamò lei freddamente. Leon strinse i pugni e si decise a fissarla nuovamente negli occhi. “Non pensi di dovermi almeno questo? Non pensi di dovermi uno straccio di spiegazione?” sbottò lui, al colmo della pazienza. Violetta respirò a fondo e cercò di trovare dentro di sé la forza per guardarlo con disprezzo sembrando convincente. Doveva esserci riuscita, perché vide Leon mostrare tutto il dolore provocato. “Cosa vuoi che ti dica? Di’ la verità, tu vuoi sapere solo se ti ho usato per sapere a che punto erano le indagini”. Prese una breve pausa. “Beh, la risposta è semplice: si, Leon, io ti ho usato. E non me ne pento affatto. Non sai le risate che mi sono fatta nel vederti così innamorato. Ci sei cascato in pieno, poliziotto da quattro soldi” sibilò Violetta, girandosi dall’altra parte per nascondere le lacrime. Sentì un singhiozzo soffocato provenire da dietro e intuì che Leon stava piangendo. “D’accordo, volevo solo…saperlo. Addio, Violetta. E per quanto possa valere, io ti ho amato davvero” disse Leon, senza più riuscire a trattenere le lacrime. “Vattene” disse Violetta, contando i secondi affinché riuscisse a superare quella separazione così sofferta. Quando sentì la guarda riaprire la porta della cella, e fu sicura di essere rimasta sola, cominciò a lasciarsi andare in un pianto silenzioso. Prese il foglio che aveva cominciato a scrivere e lo stracciò, lasciando cadere i pezzetti di carta sul pavimento. No, non ne valeva la pena. Si stese sul letto, cercando di dormire: voleva solo poter non pensare, poter dimenticare tutto quello, poter convincersi che si trattasse di un incubo.
Leon rientrò a casa e si lasciò cadere sul letto. Era stanco, come se avesse percorso chilometri e chilometri a piedi con dei pesi di piombo addosso. Era stata tutta una menzogna, e lui era stato così stupido da scambiare il suo evidente interesse per il caso per amore. Chiuse lentamente gli occhi, sperando di non sognarla: almeno nei sogni voleva essere felice.
 ‘“Signor Galindo!” lo chiamò Leon, dopo essersi avvicinato. “Legga…” disse piano, indicando il foglio sulla scrivania: ‘She is come from Italy for me and…’  ma non era riuscito ad andare avanti, era stato ucciso prima di poter dare informazioni su questa misteriosa donna venuta dall’Italia per lui. Una macchia di sangue era caduta sulla lettera.’
‘‘dear maria, how are you? do you like the college? if you hate me, please forgive me. I have done this only for your happiness…’
La lettera continuava, ma parlava solo del più e del meno, come ad esempio il tempo, le condizioni di salute e altre cose del genere. Diresse subito lo sguardo verso la fine e notò la firma di Gregorio Garcia, con una data che risaliva a circa dieci anni fa.
Leon si svegliò all’improvviso con il volto sudato. Era uno sciocco, un completo sciocco. Corse al telefono e digitò il numero di Pablo. Aveva capito qualcosa, qualcosa di essenziale. E se non si era sbagliato, allora aveva capito anche l’identità del misterioso assassino.
Pablo si era svegliato molto presto quel giorno ed era già in ufficio, pronto a sistemare alcune carte. Improvvisamente qualcuno bussò, destandolo dai suoi pensieri, e da quel po’ di sonno che sentiva addosso. Un’anziana signora vestita di nero con un’aria umile ma distinta si fece avanti timidamente. “E’ lei il signor Galindo?” gracchiò l’anziana signora. “Si, sono io” esclamò l’uomo con un sorriso, alzandosi in piedi e baciandole la mano sinistra, avvolta in un guanto nero un po’ logoro. “Sono qui per conto della signorina Ferro” esclamò la donna con voce tremante. “Ma…la signorina Ferro…ecco…” provò a spiegare Pablo, non riuscendo a capire. “Lo so, signore, so della sua morte. Lavoro a villa Ferro. L’ho vista crescere fin da piccola…” disse la donna, cominciando a singhiozzare al ricordo della sua padroncina. “Comunque, come mai lei è qui?” disse Pablo andando dritto al sodo. L’anziana si guardò intorno in modo circospetto, quindi rovistò nelle tasche della gonna sgualcita a tirò fuori una busta giallognola. “Me l’ha data la mia padrona prima di morire e mi ha detto di consegnarla a lei. Io non ci avevo nemmeno pensato, me lo sono ricordata in seguito. Le chiedo perdono, ma sa, il dolore provato, e…”. Pablo la zittì con un gesto della mano ed aprì la busta, leggendo rapidamente il suo contenuto. Un sorriso trionfante si mostrò sul suo volto stanco. “Ecco, con questa siamo a cavallo!”. Il rumore di un telefono lo fece ridestare dalle sue ipotesi. Era Leon. “Si, Leon…pronto. Ci sei arrivato? Hai ragione, sei un genio!” esclamò l’investigatore alzandosi dalla sedia in preda a un’eccitazione crescente. “Si, riuniamo tutti. Il caso è risolto” concluse, riattaccando il telefono. “Signora, sappia che con questa lettera ci ha fornito l’unica prova in nostro possesso per incastrare l’assassino” disse poi, rivolgendosi all’anziana donna, molto confusa per l’accaduto. L’uomo sorrise trionfante, e poi osservò nuovamente il foglio. “Bene…adesso a noi due. Comincia la commedia, e questa volta il lieto fine lo imporrò io” esclamò, convinto ed esaltato.
“Voi sapete che ci facciamo qui?” chiese Maxi nella sala del teatro. Camilla che gli stringeva forte la mano era confusa quanto lui. Erano le dieci di mattina, e a quell’ora nel teatro non si svolgevano le lezioni consuete. “Pft. Sarà qualche stramba idea di quel Galindo” sbottò Diego, rigirandosi tra le mani un sigaro. In quel preciso momento entrarono nella stanza gli insegnanti: Angie, Beto e Jackie. “Non capisco il motivo di questa pagliacciata” se ne uscì Angie all’improvviso. “Penso che al signor Galindo piacciano le cose in grande” esclamò Leon, entrando nella stanza, con un sorrisetto. Subito dietro di loro arrivarono anche Francesca e Federico. “Allora, cosa sta succedendo?” chiese l’italiana, nervosa e pallida in viso. “Niente, non preoccuparti” la rassicurò Federico, premuroso. “Si può sapere che scherzo è questo?” chiese il giovane, guardandosi intorno. “Sono io ad aver organizzato questa piccola riunione” esclamò Pablo con tono solenne all’ingresso del teatro. Dietro di lui due guardie portavano Violetta e la facevano sedere su una delle sedie del teatro. Leon cercò di evitare il suo sguardo, ricordando le parole che gli aveva rivolto quella mattina stessa. “Andiamo, signor Galindo. Non è necessario, l’assassino è già saltato fuori” ribatté Diego, indicando con lo sguardo la ragazza, che si stava mostrando fredda e determinata. “Infatti, non capisco proprio. A quanto pare il nostro stimato Galindo non si accontenta nemmeno quando l’assassino confessa i propri crimini” scherzò Violetta con una risata glaciale che risuonò nella sala. Tutti presero posto e Pablo si preparò a parlare. “Questo caso si è mostrato fin da subito complesso. Nonché premeditato, nonostante alcuni fatti potessero far pensare il contrario. Un omicidio in piena regola, uno dei più spietati, aggiungerei, viste le dinamiche”. “Un colpo di pistola” lo corresse Violetta, ormai esasperata. “Un semplice colpo di pistola” ripeté. Pablo mosse il dito in segno di diniego. “Non un semplice colpo di pistola. Ma prima di analizzare i fatti e individuare il colpevole, vi propongo un gioco” disse, sorridendo e tirando fuori quattro carte: i quattro assi dei quattro semi. “Bene, conoscete il detto italiano ‘come quando fuori piove’ per indicare la supremazia di un seme su un altro a parità di valore?”. “La prego, non siamo qui per fare dei giochi stupidi!” sbottò Diego, innervosito. Pablo lo ignorò e continuò a parlare. “Bene, in questo caso è successa una cosa simile. Una catena di eventualità che è stata indotta a proprio rischio e pericolo” continuò, mostrando le quattro carte. “Cuori commette l’omicidio, Quadri si trova sulla scena del delitto, Fiori trova Quadri, e Picche trova Fiori. Ed eccoci alla domanda cruciale: chi è l’asso di Cuori?”. Pablo si aggirava in mezzo ai presenti, mostrando quella carta con estrema soddisfazione. “Che mitomane!” scherzò Leon, anche lui preso comunque dalla tensione del momento. “Bene, ora consegnerò la carta al nostro assassino. E torneremo al nostro punto di interesse: chi ha ucciso Gregorio Garcia?”. I presenti lo videro dirigersi verso una persona in particolare, e tendere la carta in modo naturale. Il silenzio cadde nella sala. 









NOTA AUTORE: Eccomi qui. Il prossimo sarà l'ultimo capitolo, e io nel finale ho avuto seriamente i brividi. Un finale così è veramente da infarto per me. Fossi in voi pretenderei l'ultimo capitolo domani (ma, ok, non fatelo, perché non ce la farei xD), ma...penso di riuscire a caricarlo per il fine settimana (spero). Detto ciò, questo capitolo IO non lo posso commentare, VOI dovete commentarlo (se volete xD) per farmi sapere le vostre ipotesi finali, perché nel prossimo capitolo Galindo ci restituirà alla luce dei fatti xD E niente...dedico questo capitolo ad ARSID, visto che ho scoperto che oggi è il suo compleanno (AUGURIIIII :D). Alla prossima e buona lettura ;D 

 

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Capitolo 15
*** Epilogo: un finale inaspettato ***


Capitolo 15
Epilogo: un finale inaspettato

Francesca fissava quell’asso di cuori che Pablo le stava porgendo gentilmente con aria di sfida. Scuoteva lentamente la testa, non riuscendo a crederci. “No!” strillò Violetta, scattando in piedi. “No, cosa?” chiese Pablo. “Perché continua a proteggerla? Perché continua a prendersi delle colpe che non ha commesso?” la incalzò l’uomo, mostrandosi adirato. “Io…sono io ad aver ucciso Gregorio, lasciatela in pace” lo implorò con sguardo supplicante. “Ah, si, è lei?” esclamò Pablo, con un sorriso furbo. “E allora mi spieghi…come ha fatto ad attutire il colpo della sparo? Come ha fatto a non farsi sentire da Gregorio quando è entrata nell’ufficio?” chiese velocemente l’uomo, mettendo la giovane alle strette. Violetta continuò a fissare Pablo con disprezzo, mentre Francesca era scoppiata in un pianto disperato. “Non è stata lei!” strillò con vigore, facendo allertare tutti. Fece per dirigersi da Francesca a consolarla, ma le guardie la fermarono ad un gesto di Pablo. “E’ stato interessante questo caso…” mormorò, giocherellando con le quattro carte. “Molto interessante” disse, poggiando la carta dell’asso di fiori sulle gambe di Violetta che lo guardava inorridita. “So benissimo che l’assassina non è Francesca. Questo è quello che lei, signorina Castillo, ha creduto. Povera ragazza, si è sentita il mondo crollare entrando nell’ufficio di Gregorio e vedendo la sua amica con una pistola in mano” disse Pablo, osservando gli occhi lucidi di Violetta. “E’ stata molto fredda. Non molti avrebbero agito con tanta sicurezza e correndo così tanti pericoli. Ammiro il suo coraggio e la sua lealtà” la rassicurò con un sorriso triste. “Mi scusi…ma quindi né Francesca né Violetta hanno assassinato Gregorio?” chiese Camilla, evidentemente confusa. “Esattamente” le rispose sbrigativamente, consegnando l’asso di quadri a Francesca. “Mi dispiace di averla fatta preoccupare…so che non è stata lei l’assassina, ma avevo bisogno che Violetta si scoprisse più di quanto aveva già fatto per dimostrare la veridicità delle mie ipotesi”. Francesca singhiozzò un po’ e poi sorrise osservando la sua carta. “L’asso di picche, signor Hatter” continuò Pablo, dando a Diego la carta con l’asso di picche. “Lei ha visto Violetta fuggire via dallo Studio, mentre cercava di far sparire la pistola e ha sospettato subito di lei, giusto?”. Il giovane annuì, e stropicciò la carta con soddisfazione. “Ed eccoci alla conclusione dei giochi. Adesso consegnerò la carta. Anzi vorrei chiedere al diretto interessato di venire a ritirarla” disse Pablo, dirigendosi al centro della stanza sotto lo sguardo attento di tutti, ma di una persona in particolare. “Signorino Bianchi, sarebbe così cortese da venire a prendere la sua carta?” chiese con sguardo furbo, porgendo da lontano l’ultima carta rimasta al giovane italiano, Federico Bianchi.
“Interessante, signor Galindo. Divertente, ma estremamente interessante” esclamò il giovane, scoppiando a ridere. “Non sto affatto scherzando, temo” disse l’uomo. “Perché qui non solo Angie ha il sangue dei Garcia scorrere nelle sue vene…”. “La smetta” lo interruppe con calma glaciale Federico. “Io non ho niente in comune con quell’uomo” aggiunse subito dopo. “Ma sentiamo, non vedo l’ora di ascoltare la sua assurda storiella. Sarà uno spasso”. Pablo lo gratificò ironicamente con lo sguardo e cominciò a parlare. “Questa è la storia di una vendetta, organizzata da anni. Una vendetta nata dal più turpe degli atti”. “Dobbiamo tornare in
dietro nel tempo, quando Gregorio era proprietario di uno dei teatri più famosi italiani. Jackie anche lavorava in quel teatro se non sbaglio, fino al fatale incidente. In realtà quello che non tutti sanno è che Gregorio ha provocato l’incidente per far subentrare al posto di Jackie una giovane ballerina piena di talento, Paola Bianchi, moglie di un giovane medico in erba. Ma, come ormai dovrebbe essere chiaro, Gregorio non fa favori gratis, bensì pretende sempre un prezzo in cambio. Ha ascoltato le suppliche della giovane donna in cerca di un lavoro per mantenere lei e il marito, ma ha voluto qualcosa in cambio, non del denaro. Infatti è stato lei, Federico, a dirmi che la vostra famiglia non versava in buone acque, anzi…”. “Vuole dire che…?” chiese Angie. “Esatto. Una sola notte. Una notte che però avrebbe costato la dignità di una giovane donna e che le avrebbe donato qualcosa, o meglio qualcuno, che le avrebbe sempre ricordato il suo peccato. Ed ecco che nasce Federico Bianchi, figlio di Paola Bianchi e Gregorio Garcia”. “Continui” lo intimò l’italiano, con un sorrisetto. “Rintracciare l’altra vittima dell’azione di Gregorio, non deve essere stato difficile, così come non lo deve essere stato convincerla ad agire insieme a lei”. Lo sguardo di tutti tranne Federico si posò su Jackie, che fissava Pablo terrorizzata. “Una coppia diabolica che escogita un piano geniale, in grado di coprire entrambi e di procurargli un alibi” spiegò Pablo. “Mi scusi, signor Galindo, ma Federico aveva la febbre quel giorno. E non se l’è certo inventata…come avrebbe fatto ad uccidere Gregorio?” chiese Maxi, evidentemente confuso. L’uomo sorrise. “Molto semplice. Tutti noi conosciamo la pratica dei vaccini. E soprattutto conosciamo gli streptococchi, che sono batteri molto pericolosi, che impiegano quarantotto ore circa a intaccare il sistema immunitari e a far sentire i suoi effetti. Il nostro Federico si è iniettato il giorno prima una buona dose di questa batteri, probabilmente trafugati dal laboratorio del padre. Non deve essere stato complicato mostrare interesse per il lavoro del proprio padre e seguirlo per poi rubare di nascosto una coltura. Ma c’è un piccolo problema. Le quarantotto ore sono indicative, la febbre potrebbe scoppiare prima come dopo questo tempo”. “E veniamo all’uomo barcollante. La mattina Federico finge di avere una lieve febbre. Ci sono migliaia di metodi per far finta di avere la febbre, non mi metto ad elencarli. Fatto sta che il padre, andando di fretta a lavoro, non presta molto attenzione alla cosa. Federico, una volta solo a casa, si alza e all’ora di pranzo prepara il delitto. Tira fuori la pistola rubata a casa di Francesca, la fantomatica tazzina scomparsa e…”. “Mi scusi, ma adesso che c’entra la tazzina?” lo interruppe Angie, che si era persa quel particolare. “La famosa tazzina! Devo dire che l’assassino è stato molto bravo a prendermi in giro in questo modo. Mi ha fatto girare come un cane che si mordeva la coda. Ma per risolvere questo mistero dobbiamo prima di tutto ricostruire bene i fatti nella giusta maniera. Nel corpo di Gregorio sono stati ritrovati resti di acido barbiturico, utilizzato nei calmanti. Con una massiccia dose quindi si può indurre a una sorta di paralisi e ottenebramento dei sensi. E questo spiega il motivo per cui non ha praticamente sentito l’assassino scavalcare la finestra”. “Ma questo calmante non è stato trovato nella tazzina rinvenuta sul luogo del delitto” esclamò Leon, dando voce ai dubbi di molti. “Esatto! E’ per questo che ho escluso quella che invece era la pista più semplice. Ma se vi dicessi che la tazzina ritrovata non era quella che Jackie aveva portato a Gregorio?”. “Un semplice scambio. E mi chiedo come possa essere stato tanto stupido da non arrivarci. Jackie porta la tazzina di caffè con una massiccia dose di calmante, che ci impiega circa 20 minuti ad agire. Si fanno le 15 e 40, e Jackie accompagna Angie in bagno. Fa cadere di proposito il materiale di fronte all’ufficio di Gregorio per essere sicura che nessuno interrompa il suo complice mentre esegue l’omicidio, quindi continua il suo percorso in bagno tranquillamente. Nel frattempo però Nata che era entrata nella sala degli insegnanti alle 15 e 20 osserva Angie versare qualcosa nella tazzina, e, non appena venuta a sapere dell’omicidio, sospetta subito dell’insegnante. Ma adesso lasciamo stare la storia di Nata e torniamo al nostro omicidio”. “Già. Come ha capito dello scambio di tazzina?” chiese Beto, alquanto confuso. Jackie nel frattempo rimase impassibile, rivolgendo di tanto in tanto qualche sguardo a Federico. “Lei mi ha detto che durante il pre-corso una tazzina era scomparsa, quindi avremmo dovuto avere 16 tazzine, e invece erano 17. La misteriosa tazzina doveva essere ricomparsa da qualche parte. Prima di tutto però mi deve spiegare come mai quel giorno non aveva dato a Gregorio la tazzina con la g”. “Come l’ha capito?” chiese Beto perplesso. “Gregorio aveva la sua tazzina, come ci ha detto lei. Ma il giorno in cui la tazzina era stata rubata, si trattava di una tazzina semplice”. “Beh, il caffè era per me, ma Gregorio me l’aveva rubato da sotto il naso. Era molto nervoso quel giorno” spiegò Beto. “Esatto! Ed è stata una fortuna che sia andata così. La tazzina rubata quindi è una delle 16 tazzine senza la ‘g’ blu. Ma il giorno dell’omicidio lei ha dato a Jackie la tazzina da portare a Gregorio. Quale gli ha dato?” chiese a Beto. “Quella con la ‘g’” mormorò in risposta, avendo finalmente compreso. “E allora come mai l’ho trovata sulla mensola, bella pulita e non tra gli oggetti da me requisiti sulla scena del delitto? Semplice, la tazzina era stata scambiata” concluse l’uomo con una scrollata di spalle. “Ma adesso andiamo alla parte che più ci preme. La lettera misteriosa lasciata da Gregorio prima di morire. Un colpo di genio, davvero teatrale. Una lettera che in effetti Gregorio aveva iniziato a scrivere. Ma c’è un piccolo dettaglio che ha rovinato l’assassino. La calligrafia è assolutamente quella di Gregorio non ci sono dubbi. Ma io e Leon abbiamo letto la corrispondenza di Gregorio, e Gregorio era solito cominciare le missive con la minuscola. E allora perché qui comincia con la maiuscola? Semplice. La ‘S’ è stata aggiunta dall’assassino, senza sapere di questa particolarità di Gregorio. Un errore forse fatale. Il suo intento era chiaro, Federico: allontanare i sospetti da lei e indirizzare il mio interesse su Jackie, Francesca e Angie. Ma se vi dicessi signori che in realtà la lettera recitava così?”. Pablo prese il foglio di carta e ne strappò un pezzo levando così la S: ‘he is come from Italy for me and…’. “Ma certo: non lei, lui!” esclamò Angie, scioccata. Leon annuì piano: se ne era reso conto anche lui di quel particolare, e l’aveva condotto a sospettare di Federico. “Ed eccoci alla resa dei conti. Con un semplice foulard nero, usato come silenziatore, ha sparato a Gregorio, e quindi se ne è andato in tutta tranquillità”. “Non capisco. Perché non avvelenarlo con la tazzina? Esistono molti veleni insapori e inodori…” chiese Violetta, parlando per la prima volta. Sentì lo sguardo di Leon puntato su di lei, ma cercò di ignorarlo. “Una vendetta deve essere compiuta in grande stile. Probabilmente Federico voleva poterlo guardare negli occhi, mentre il povero Gregorio era incapace di reagire, quindi ha potuto fare il suo lavoro. Osservando la lettera sul tavolo ha deciso di ingannarci; o almeno ci ha provato. Il filamento nero ritrovato sul foro, fa appunto pensare a un silenziatore. E ora passiamo alla questione che più ci ha dato grattacapi: l’arma del delitto”. “Per risolvere questa questione facciamo un passo indietro. Alle 15 e 45 quando ormai Jackie è sicura che il delitto è stato compiuto, d’accordo con il complice, chiede a Angie di andare a prendere qualcosa nell’ufficio del preside. Casualmente si trova in mezzo Francesca, che si dirige nell’ufficio. Quando entra si ritrova uno spettacolo agghiacciante. Prende in mano la pistola e la osserva mentre Gregorio giace senza vita nella stanza. Non sa che fare: chiamare aiuto? La paura si impadronisce della giovane. E se scoprissero del passato di suo fratello? Avrebbero potuto sospettare di lei. In quel preciso istante entra Violetta che la stava cercando. Il panico si impadronisce della giovane. Che ci fa la sua amica con una pistola in mano? Non ha tempo da perdere, e decide di agire. Caccia Francesca e scavalca dalla finestra portando con sé la pistola. Entra Diego che trova il corpo, anche se era venuto lì per la questione del ricatto. La scusa del fatto che Nata le avesse detto che Gregorio la stava cercando era davvero ridicola”. Diego scoppiò in una piccola risata. “Non sapevo davvero che inventarmi” si giustificò. “Il conte Hatter, dopo aver ritrovato il corpo, si affaccia dalla finestra e vede Violetta fuggire di corsa. E subito sospetta di lei, o meglio, è sicuro che sia lei l’assassina. E torniamo a noi” concluse con un sorriso. “Il resto della storia forse la conosciamo tutti. Maxi, mentre si allontana dallo Studio, incontra un misterioso individuo che barcolla, e pensa ad un pazzo. L’associamento risulta naturale, ma non è così. Erano gli effetti di una febbre altissima, che provoca mancamenti improvvisi. Non è così, signorino Bianchi?”. Federico scoppiò a ridere in faccia a tutti. Le espressioni inorridite dei presenti sembravano non scalfirlo affatto. “E’ tutto così divertente e assurdo, ma, prego, continui” lo pregò l’italiano. “Ma come ha capito che si trattasse di Federico e…insomma, non capisco tante cose” mormorò Beto. “Non aveva mai visto Federico in vita sua. Come avrebbe fatto a riconoscerlo?” aggiunse subito dopo. “La somiglianza con la madre doveva essere stata molto grande. E inoltre quando la madre all’epoca si era assentata dal palcoscenico perché incinta deve aver sospettato, ma non ha mai agito”. “Adesso stiamo sfociando in una marea di supposizioni” gli fece notare Maxi, con lo sguardo fisso su Federico. “Beh, la faccia sconvolta di Gregorio non poteva essere certo riferita a Francesca, visto che non l’aveva mai conosciuta in prima persona…” lo interruppe Violetta, avendo colto al volo il ragionamento di Galindo. “E continuiamo con le nostre supposizioni. Probabilmente prima di morire Paola Bianchi deve aver scritto una lettera in cui rivelava tutta la verità, una lettera che il figlio avrebbe dovuto leggere una volta maturo. Una lettera che ha sconvolto l’esistenza a un giovane artista. La sua recita è stata quasi commovente, signor Bianchi. Il suo desiderio di proteggere Francesca, di far venire la verità sulla pistola a galla…Non ha fatto altro che cercare di incastrare qualcuno in continuazione in modo da uscirne sempre vincitore, da qualsiasi interrogatorio o indizio”. “Ma adesso passiamo alla nostra Natalia, una giovane ragazza con la sola colpa di aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Natalia osserva Jackie versare qualcosa nella tazzina e subito si confida con Ludmilla. Da quello che ha sentito il mio assistente ad una loro conversazione, le due sono d’accordo nel non rivelare nulla su ciò che sanno e ne approfittano per ricattare l’assassino. Nata viene attirata con un inganno nel giardino della scuola di prima mattina e…”. Leon lo interruppe. “Mi scusi, ma sul biglietto era riconoscibile la calligrafia della signorina Ironly”. “Ottima osservazione. Ecco un dettaglio a cui nessuno ha prestato attenzione: il furto degli spartiti di Ludmilla, che erano nelle mani della signorina Angie. Sugli spartiti gli studenti scrivono le note e il testo della canzone, giusto? Il nostro assassino ha rubato quegli spartiti per ricopiare la calligrafia di Ludmilla. Niente di più semplice, quindi. E non deve essere stato difficile impossessarsene, bastava trovarsi per un secondo da soli in aula professori. E chi meglio di un professore poteva averne l’occasione, giusto, signorina Jackie?”. L’insegnante non parlò, accavallò semplicemente le gambe nervosamente. “La trovata della cintura le è venuta in mente dopo aver saputo del biglietto da Federi. co. Così nel tentativo di uscire fuori dai sospettati, ha usato quella cintura. Ma signori! Chiunque allo Studio sapeva che Francesca portava quel tipo di cintura, visto che le metteva quasi tutti i giorni, quindi non deve essere stato difficile comprarne una in un negozio e servirsene per strangolare Nata. Poi lei è stata una ballerina, immagino che abbia ancora una presa molto forte” ipotizzò Pablo. “Quindi è stata Jackie a uccidere Nata, perché ricattata da quest’ultima e da Ludmilla?” esclamò sconvolta Camilla. “Esattamente. L’omicidio di Ludmilla è stato ancora una volta commesso con un errore. Una mente fredda come quella dell’assassino di Gregorio non poteva commettere tutti quegli errori grossolani, per questo ho pensato fin da subito a un complice che invece aveva assassinato le due ragazze. La signorina Jackie propone a Ludmilla di incontrarsi per discutere del ricatto, e la ragazza ingenuamente accetta, pensando di essere al sicuro da tutto e da tutti. Una semplice coltellata e la giovane cade a terra senza vita; prende una banconota e gliela fa stringere, dopo averla nascosta nel’armadio degli attrezzi ginnici”. “La banconota. Che mossa stupida…fin da subito ho capito che era stata messa lì per mettermi fuori strada. Ma parliamoci chiaramente: perché mai Ludmilla avrebbe rischiato così tanto per del denaro? La sua famiglia è ricchissima, non ne avrebbe bisogno. Invece c’era qualcosa per cui Ludmilla avrebbe lottato fino alla morte, come è poi accaduto: il successo. E non appena ho saputo che Jackie aveva numerosi contatti con i teatri, cosa credo risaputa per tutta la scuola, ho capito che la giovane Ironly deve aver pensato di sfruttare la situazione a suo favore. Ma cedere al ricatto avrebbe significato scoprirsi eccessivamente; in effetti, io avrei cominciato subito a sospettare di lei, e quindi ha preferito metterla a tacere” finì Pablo con un sospiro. “Ma lei ha detto che Diego mi ha aggredito! Come mai? E perché la signorina Castillo mi ha soccorso?” chiese Leon, sempre più confuso. “Diego l’ha aggredita semplicemente per non far scoprire il suo piccolo segreto…in quel momento stava andando a trovare...”. Diego lo intimò di tacere con un’occhiata. “Una persona per lui molto importante” concluse semplicemente l’uomo. “E ora occupiamoci della signorina Castillo, che stringe un patto con Diego” mormorò Pablo, facendosi improvvisamente tetro in volto. “Mi dovevo avvicinare al suo assistente per saperne qualcosa di più sul caso, e in cambio lui non avrebbe detto nulla. Non voleva che il suo segreto venisse fuori” disse la ragazza, evitando lo sguardo dei presenti. “Eccoci alla conclusione del caso, quindi. Tutto torna. Un omicidio spietato nato dall’odio e dal desiderio di vendetta nei confronti del proprio padre”. “Lui non è mio padre!” urlò Federico, abbandonando tutta la sua compostezza a quelle parole. “E’ solamente un mostro, che meritava di morire nel peggiore dei modi. Ma non importa, lei non ha uno straccio di prova per incastrarci” disse, rivolgendo un’occhiata fugace alla sua complice. “E invece…la nostra previdente signorina Ironly con una lettera scritta di suo pugno ci da la possibilità di incastrare la signorina Jackie, e non penso che lei voglia morire da sola”. “Si sbaglia. Quel ragazzo merita di vivere una vita felice, ora che questa storia è finita. Io non dirò nulla” sentenziò la bionda, scuotendo la testa. “Non ti lascerò da sola” sentenziò il giovane italiano, alzandosi in piedi con calma. Si avvicinò a Pablo guardandolo con gli occhi e stranamente sorrise. “E’ stato un gioco pericoloso, non trova? Pericoloso, ma incredibilmente emozionante” disse. Pablo lo guardò, non immaginando certo una reazione del genere. “Sono un artista, gioco d’azzardo, lo sa bene” continuò Federico. “Lei ha ucciso un uomo”. “Davvero, signor Galindo? Lei pensa davvero che meritasse di essere chiamato uomo? Crede ciecamente alla moralità, per cui è sbagliato uccidere in ogni caso? Io penso che esistano persone che meritano la morte, e una di queste è Gregorio Garcia”. L’investigatore rimase in silenzio e osservò i presenti in aula: tutte quelle persone avevano dovuto soffrire in un modo o nell’altro la presenza di Gregorio, che gli aveva rovinato la vita. Chi era lui per decidere cosa fosse giusto o sbagliato? “Portateli via” mormorò Pablo, facendo segno agli agenti di prendere Federico e Jackie. Lentamente il teatro si  vuotò. Maxi e Camilla furono i primi ad uscire, scossi ma sollevati, seguiti da Beto. Angie era rimasta sconvolta. Si alzò lentamente lanciando uno sguardo a dove fino a poco prima era seduto suo nipote, ed uscì velocemente, trattenendo a stento le lacrime. Francesca era scoppiata a piangere per l’eccessiva tensione e Violetta si era seduta accanto a lei consolandola, mentre Leon aveva seguito gli agenti. Pablo sospirò, e fece un respiro profondo: quell’incubo era finito e adesso era il momento per tutti di tornare a vivere.
Era passata ormai una settimana da quando il caso Garcia era stato brillantemente risolto dall’investigatore Galindo e dal suo assistente, Leon Vargas. “Un caso interessante, vero?” chiese l’uomo a Leon, sfogliando le pagine di un giornale di qualche giorno fa, dove erano riportati alcuni particolari sul caso. “Già, interessante…” mormorò Leon, con lo sguardo perso. “Ma insomma, ragazzo mio! Non ti sta proprio bene nulla. Il caso è risolto, e la tua amata non verrà impiccata” scherzò l’uomo richiudendo il giornale con un colpo secco. “E’ facile per lei: non è stato ingannato come me. Angie era davvero interessata a lei, per quanto assurdo possa sembrare” rispose il giovane con il morale a terra. Pablo ignorò l’ultima parte riferita a lui, senza però riuscire a nascondere l’imbarazzo. “Ma lei è proprio sicuro che Violetta la ste
sse completamente ingannando?”. “L’ha ammesso lei” ribatté Leon, alzando le spalle. Il ricordo di quelle parole gli facevano ancora male. “Pft. Non c’è bisogno di essere un investigatore per capire che in realtà lei provasse qualcosa per te. Gli sguardi non mentono mai, per quanto le persone possano dire il contrario” sentenziò l’uomo, pavoneggiandosi per quell’osservazione. “Signor Galindo, sono stanco di illudermi. Vado a fare due passi, arrivederci” salutò il ragazzo, dopo un lungo sospiro.
Camminava per la città e quasi per caso capitò nuovamente di fronte alla famosa libreria dove tutto aveva avuto inizio. Si era fermato a due passi dall’edificio, quando la porta si aprì con un piccolo scampanellio. “Francesca, smettila di dire queste cose. Adesso Luca sta bene e…”. Violetta si fermò di colpo trovandosi Leon, che la fissava sorpreso. La ragazza mora vicino a lei fece un sorrisetto, e strattonò leggermente l’amica, cercando di farla riprendere da quell’attimo di imbambolamento. “Cosa ci fai qui?” chiese Violetta, improvvisamente. Leon deglutì e si avvicinò. “Io…non pensavo di trovarti qui” si giustificò il giovane, voltandosi per andarsene. “Aspetta!” strillò Francesca, abbandonando l’amica e correndogli dietro. “Cosa volete, signorina Artico?” chiese il ragazzo, perplesso. “Direi che potete smetterla di fare gli orgogliosi. Leon, lei ti ama” gli sussurrò all’orecchio. Leon arrossì di colpo, e il cuore accelerò i suoi battiti. “Sicura?” chiese. Francesca annuì. “Io la conosco meglio di chiunque altro” esclamò raggiante. Che fine aveva fatto la signorina Artico, i cui occhi erano continuamente velati dal dolore e dalla sofferenza? Era diventata un’altra persona, era cambiata. Leon fece dietro-front e con sua profonda gioia vide che Violetta stava aspettando entrambi sulla soglia, senza riuscire a capire. Si fermò a qualche passo di distanza, guardandola negli occhi, pieni di sorpresa e confusione. Un sorriso si estese sul suo volto. “Leon, perché sei tornato indietro? Cosa ti ha detto Francesca?” chiese, indicando l’amica che li guardava in lontananza c
on aria soddisfatta. “Niente che non avrei potuto capire da solo” la rassicurò, prendendole il viso tra le mani, e posando le labbra sulle sue. Violetta si abbandonò a quel bacio, cingendogli il collo con le braccia. Andò avanti così per qualche minuto: Leon si stringeva sempre di più a lei, accarezzandole la schiena. “Scusate, io devo chiudere” fece l’anziano proprietario della libreria, uscendo fuori dal locale e facendogli segno di andare da un’altra parte. “Leon, io…” disse Violetta, mentre Leon le prendeva la mano dolcemente. “Non volevo, ero costretta e...”, ma Leon le fece segno di non continuare. “Non importa il motivo per cui ti sei avvicinata a me. Io voglio sapere se tu adesso provi lo stesso che sento io” le disse, con gli occhi che brillavano della luce del tramonto. “Si, Leon, io ti amo” esclamò la giovane, poggiando la testa sulla sua spalla, e cominciando a piangere di gioia. “Bene, anche perché altrimenti adesso avrei fatto la figura dell’imbecille” sdrammatizzò con un sorriso. Violetta scoppiò a ridere e finalmente Leon ebbe la possibilità di assaporare quel suono, quella melodia, priva di preoccupazioni, di inganni, di falsità. E sentiva che in fondo non gli aveva mai mentito. “Allora, signora Vargas, dove vuole andare? Io propongo di riportarla a casa, insieme alla signorina Artico” disse con un sorrisetto. “Certo, anche se…signora Vargas?!” esclamò lei, confusa. “Oh, giusto. Ti avverto subito che domani chiederò la tua mano al signor Castillo, e…”. Violetta lo bloccò con un bacio. “Non starai correndo un po’ troppo?” scherzò la ragazza, canzonandolo con la voce. “Beh, sono un tipo che non vuole perdere tempo” si pavoneggiò Leon, gonfiando il petto. “Allora io aspetto l’anello” esclamò la giovane, cominciando a correre, guardandosi indietro di tanto in tanto. Leon la inseguì di corsa e la afferrò da dietro, facendola girare. “Non scherzare. L’anello arriverà prima di quanto immagini” le disse, lasciandole un bacio sul collo, e ispirando il suo profumo. Era sua, finalmente sua. E non c’erano omicidi, non c’erano sospetti, né dubbi. Solo fiducia, tutto ciò di cui avevano bisogno.
Angie stava osservando i suoi bagagli, mentre tra le mani stringeva un biglietto. Era una delle prime compagnie aeree londinesi ed aveva un po’ paura: non aveva mai preso l’aereo in vita sua. Sospirò e diede un’occhiata all’aeroporto dalle pareti bianche e candide. Il vociare delle persone intorno a lei, le dava un po’ fastidio, ma decise di non farci caso. Finalmente avrebbe avuto l’occasione di dimenticare, di allontanare il dolore. Prese una cartolina dalla borsa con raffigurata la Torre Eiffel. Tirò fuori una penna e scrisse qualcosa, sorridendo: in fondo ci sperava. Era o non era un investigatore? Forse l’avrebbe trovata, l’avrebbe rincorsa fino all’aeroporto. No, quelle erano cose che succedevano solo nei film, e lei non sarebbe tornata sui suoi passi. “Certo, poteva almeno avvertirmi della sua partenza. Ho dovuto chiedere alla segretaria dello Studio 21 il perché della sua assenza” esclamò una voce alle sue spalle. Angie si voltò con una risata. “Perché farlo? Lei è benissimo in grado di rintracciarmi ovunque. E poi, così è più divertente”. Pablo avanzò lentamente, con un mazzo di fiori. “Questi sono per lei” disse, porgendole il dono. “La ringrazio, signor Galindo. Visto? Quando vuole, può essere rom
antico” scherzò la donna, ispirando il profumo delle viole. “Cambierebbe qualcosa se le chiedessi di non partire?” la interrogò l’uomo, con il suo solito atteggiamento serio. “No, non servirebbe a nulla, mi dispiace. Ho scoperto di avere un nipote, che verrà impiccato tra qualche giorno per aver ucciso suo padre, nonché mio fratello. Voglio fuggire da Londra, ho bisogno di respirare e di dimenticare” rispose Angie, abbassando lo sguardo. “Non penso di averglielo mai detto, ma è molto bella. E ha un sorriso affascinante, quasi abbagliante” la lusingò l’uomo, avvicinandosi e prendendole la mani. “L’avessi incontrata prima di tutto questo…” mormorò Angie, puntando i suoi occhi di un verde acceso nei suoi. “Ma insomma…chi lo sa cosa ci riserverà il futuro. Il destino conosce numerose vie” disse Pablo. Voleva smorzare quell’atmosfera e non poteva sopportare il luccichio degli occhi della donna, che preannunciava l’arrivo delle prime lacrime. “Io penso che invece al destino vada data una mano" gli sussurrò all’orecchio aggrappandosi con le mani al suo soprabito e ritirandole subito. Lo guardò per un po’ negli occhi, quindi lo baciò velocemente. Pablo rimase sconvolto da quel gesto così inaspettato. Non poteva crederci: stava forse per perdere la donna della sua vita, e non riusciva a concepirlo, ad accettarlo. “Adieu” lo salutò Angie con un sorrisetto furbo, allontanandosi per l’imbarco, appena annunciato. Che sciocco! Avrebbe dovuto seguirla, invece non riusciva a muovere neppure un piede. E poi non sarebbe servito a nulla. Era una donna forte e determinata, indipendente, e di certo non aveva bisogno di lui. Alzò le spalle e le riabbassò come atto di rinuncia, quindi si voltò per andarsene.
Mentre era sul marciapiede, rovistò nelle tasche per fumarsi un bel sigaro, e trovò una cartolina con raffigurata la Torre Eiffel. Doveva avergliela data Angie durante il bacio. La voltò con  la mano e ne osservò il retro. Quella calligrafia era indubbiamente di Angie, quei caratteri così piccoli e eleganti non potevano che essere suoi. “Che donna di classe!” pensò ad alta voce, ridacchiando. C’era scritto: ‘Signor Galindo, che ne dice di un bel gioco? Io le do una data e vediamo se lei capisce a cosa mi r
iferisco. Non mi deluda, mi raccomando. Per uno che ha risolto un caso così complesso deve essere per forza uno scherzo. 13/10/1936’
“Ma andiamo, questa donna è diabolica” strillò Pablo in mezzo alla strada. Torre Eiffel, 13/10/1936…esattamente tra un mese. “Penso che tra un mese mi prenderò una bella vacanza. Ho proprio voglia di visitare Parigi” disse tra sé e sé, scuotendo la testa con un sorriso. Sventolò la cartolina in aria. “E deve ancora venire chi riuscirà ad incastrare il migliore investigatore di Londra. A parte forse una sola persona: Maria Garcia, o meglio, Angie Saramego” concluse entrando nella sua vettura. 







P.S: Una menzione speciale a Dulcevoz e Gatto 17. Allora Pablo mi ha mandato a dirvi che vi vorrebbe come suo assistente...ha apprezzato tantissimo le vostre ipotesi e il vostro interesse per il caso (parlandone anche su twitter xD). E niente...dovete solo dargli la vostra disponibilità xD :P

NOTA AUTORE (morto): no, allora, questo capitolo è bello/brutto. Bello perchè alcune scene sono bellissime, brutto perchè secondo me non vi ho fatto capire un tubo (e voi mi dovrete dire: ma non è vero, io ho capito tutto, sei stato illuminante, che giallo affascinante. Mi raccomando, con convinzione xD). Allora, io il giallo, come vedete l'ho finito, ho un'altra storia in corso a cui sto lavorando sempre su questo fandom (una sorta di fantasy-medievale-crossover con Alice nel Paese delle Meraviglie), ma penso che comincerò a pubblicare più in là (non vi so dire bene quando), comunque la storia è figa e io già l'adoro, ma dettagli. Parlando di altro: chi ci si era avvicinato? *silenzio* Ok, spero che comunque il giallo vi sia piaciuto. Ci sono delle scene per me da brividi, ad esempio quella iniziale, ma lascio a voi il giudizio xD Oh, devo ringraziare un sacco di gente (i miei primi ringraziamenti per una storia finita *piange*). Si, vediamo di fare una cosa precisa. Ringrazio per aver recensito con assiduità (ma basta anche aver recensito una volta per rendermi felice xD). Ringrazio davvero tantissimo chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguire, chi ha recensito e in particolare:
  • kilua175 (il mio fratello non di sangue xD), Allegra_ (colei-che-non-capiva...ahahahah, scherzo :P), cucciolina1210 (l'investigatrice misteriosa), Ary_6400 (la mia sorella di EFP ù.ù), DulceVoz (a te  menzione straordinaria LOL), fra_piano for ever (lei sapeva, ma non voleva rivelarci le sue ipotesi), _Littles_(la prima sospettata dell'omicidio :D), Pocha96 (la detective che osservava tutto), Gatto17 (anche per te menzione speciale), Arsid (amo troppo le tue recensioni xD), e Cucciolapuffosa (colei-che-aveva-ipotesi-oltre-ogni-immaginazione)










 

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