Drizzt Do'Urden di Shandris (/viewuser.php?uid=43808)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Il prigioniero ***
Capitolo 3: *** Drizzt ***
Capitolo 4: *** L'alba ***
Capitolo 5: *** All'accampamento ***
Capitolo 6: *** Il mercante ***
Capitolo 7: *** Il risveglio ***
Capitolo 8: *** Un bagno caldo ***
Capitolo 9: *** Una vecchia conoscenza ***
Capitolo 10: *** L’incontro con re Joshua ***
Capitolo 11: *** --- Interludio --- ***
Capitolo 12: *** Imboscata ***
Capitolo 1 *** Prefazione ***
Questa storia si svolge in una sorta di "universo parallelo". Alexander, che è in sostanza il protagonista delle vicende, è a capo di una spedizione esplorativa proveniente dalla nostra Terra. Alexander è al comando di una cinquantina di soldati specializzati, e vive assieme a loro in un accampamento altamente tecnologico nel regno di Lordaeron, a pochi chilometri di distanza dalla capitale. Il campo base è attrezzato con le più moderne tecnologie fra cui pannelli solari per la produzione di energia, una sala operatoria, armi moderne ecc. Queste tecnologie però non possono uscire dal campo, se non in casi di estrema necessità, questo per non "contaminare" il mondo da esplorare. Ad Alexander è stato impiantato un dispositivo cerebrale che gli permette di percepire e "leggere" i campi elettromagnetici prodotti dagli altri esseri viventi. Non si tratta di vera e propria telepatia, diciamo piuttosto che può percepire gli stati d'animo e i pensieri ma solo a grandi linee. Essendo una tecnologia completamente nuova, nemmeno Alexander è pienamente consapevole delle sue potenzialità (...) Per il resto si tratta di una storia fantasy con ambientazione forgotten realms. Le vicende sono incentrate più che su gesta eroiche, sui grandi fatti umani come l'amicizia, l'amore, l'accettazione, l'onestà. Spero vi piaccia! |
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Capitolo 2 *** Il prigioniero ***
1
Alexander
camminava pensieroso
nel fitto bosco quando
all’improvviso avvertì
una vibrazione particolare nel suo campo psichico. Cercò di
individuarne il
punto d’origine tentando di definire la direzione di
provenienza del segnale
che riceveva. Cominciò a coglierne i contorni sfumati.. era
una vibrazione che
aveva un che di vagamente doloroso, ma probabilmente la fonte era
lontana
perché non riusciva a mettere a fuoco il segnale.
Alexander
si fermò, chiuse
lentamente gli occhi e si concentrò a fondo. Nord-ovest. Si
incamminò in quella
direzione tentando di stabilire un contatto telepatico con la mente
sofferente.
D’un
tratto il segnale divenne
sorprendentemente nitido: si, era dolore ciò che quella
vibrazione trasmetteva.
Dolore frammisto ad una rassegnata disperazione.
La
furia cominciò a montare in
lui, mentre accelerava il passo. Dopo poco il sottobosco si
infittì e lo
costrinse a rallentare per farsi largo fra i rampicanti che ostruivano
la via.
Ed
ecco che finalmente intravide
nella penombra, in una radura a qualche decina di metri di distanza, un
carro
di legno costruito a mo’ di gabbia che conteneva una figura
curva.
Alexander
si fermò ai confini
della radura e, facendosi scudo con i rovi del sottobosco,
scostò una manciata
di foglie per esaminare la situazione restando inosservato. Non appena
si rese
conto di quello che stava vedendo, un brivido irrazionale gli scese per
la
schiena: un elfo scuro, un drow dalla pelle nera e dai lunghi e folti
capelli
bianchi, sedeva curvo nella gabbia angusta, con le mani legate dietro
la
schiena ad uno dei pali di legno. Le gambe giacevano semidistese sul
pavimento;
la testa era china in avanti sul petto, i capelli gli coprivano il viso
nascondendolo.
Alexander
non aveva bisogno di
vederne i lineamenti somatici per dedurne la sofferenza: i tratti
mentali lo
indicavano già in modo sufficientemente eloquente. Era una
sofferenza
stratificata, dovuta principalmente a patimenti fisici, fame, sete,
percosse..
ma in profondità c’era qualcos’altro..
qualcosa di terribilmente inquietante:
un intimo tormento dovuto a... disillusione? Frustrazione? Alexander
non
riusciva a capirlo, ma decise che non era quello il momento di
indagare. L’elfo
stava evidentemente male e aveva bisogno di aiuto, e lui non aveva
altra scelta
che intervenire.
Per
qualche secondo tentennò, soffermandosi
a riflettere sulle implicazioni che avrebbe potuto comportare
l’avvicinarsi a
un drow. Una serie di leggende, racconti, proverbi, ammonimenti gli
attraversarono la mente come un lampo. Li soppesò per
qualche istante, ma ben
presto li scacciò come avrebbe potuto scacciare una mosca.
Una
volta controllato, sia
visivamente sia psionicamente, che il campo fosse libero, Alexander
uscì allo
scoperto e si diresse verso la gabbia.
L’elfo
scuro alzò lievemente il
capo, la sua attenzione richiamata dal rumore prodotto dagli stivali di
Alexander
sul terreno. Sollevò stancamente le palpebre, rivelando due penetranti (e tristi) occhi
viola. Il respiro
si fece leggermente più affannato man
mano che l’elfo riprendeva del tutto conoscenza.
Quando
si trovava a pochi passi
dalla gabbia, Alexander si fermò per un istante e
fissò lo sguardo su quello
del prigioniero. Le iridi viola avevano assunto un atteggiamento di
sfida e ostentavano
rabbiosa diffidenza, ma Alexander si sentì allo stesso tempo
investire da una
potente ondata mentale che trasmetteva angoscia, dolore, tormento
e… e... sete?
Sete.
Diventando
improvvisamente
consapevole dell’ambiente circostante, Alexander si rese
conto che la radura
era abbastanza ampia da restare assolata per buona parte della
giornata.
Il
calore di una giornata di fine
estate, il tettuccio metallico della prigione e chissà
quanti giorni di
sevizia… Al diavolo tutti i maledetti aguzzini di questo
dannato mondo, pensò
furente, mentre scuotendo la testa amareggiato, sfilava la tracolla
della
borraccia.
Sul
viso del drow si dipinse
un’espressione incredula che per un breve istante
riuscì persino a nascondere
la malinconia dei suoi lineamenti.
Mentre
svitava l’apertura della
borraccia, Alexander si avvicinò alla gabbia.
Infilò il braccio fra le sbarre e
versò acqua fresca nella bocca arsa e assetata
dell’elfo, che rovesciò il capo
all’indietro e per diversi secondi continuò
ininterrottamente a deglutire
avidamente, fino a che la borraccia fu completamente vuota. Si
leccò le labbra
per recuperare anche le ultime gocce, poi, quando Alexander ritrasse
finalmente
il braccio, l’elfo lo guardò con
un’espressione enigmatica che avrebbe potuto
essere un misto di stupore e profonda gratitudine, ancora velate
però da una
sottile cortina di diffidenza.
Alexander
decise che era il
momento di provare a stabilire un contatto.
“Parli
la mia lingua?”, chiese
incerto. Non sapeva nulla degli appartenenti a questa razza, se non
quello che
narravano le leggende. E le leggende erano unanimi
nell’attribuire alla razza
dei drow un’indole sanguinaria e violenta, malvagia e
perversa, incompatibile
con qualsiasi razza di superficie.
Ma
quanto poteva essere
attendibile una leggenda?
L’elfo
annuì lievemente, ora la
sua espressione tradiva un accenno di curiosità.
“Hai
fame?” chiese Alexander
Anche
questa volta la risposta fu
un unico, lento cenno.
Alexander
si sfilò il pesante
zaino da ricognizione dalle spalle e lo appoggiò a terra con
un tonfo sordo.
Frugando fra le tasche afferrò un contenitore rigido da cui
estrasse qualche
fetta di carne salata e dei pezzi di formaggio stagionato. Da un altro
contenitore recuperò alcuni frutti secchi.
Con
questa manciata di viveri si
accostò nuovamente alle sbarre, per nutrire il drow
prigioniero boccone dopo
boccone.
Ad
un tratto i suoi sensi
psionici lo misero all’erta. Qualcuno si muoveva entro i
confini del suo campo
di percezione telepatica. L’aguzzino, senza ombra di dubbio.
Alexander
infilò senza troppi
complimenti gli ultimi bocconi nella bocca dell’elfo,
afferrò lo zaino, e si
avviò a
grandi passi verso il limitare
della radura. Una volta raggiunto il fogliame più fitto,
Alexander posò
nuovamente a terra la sacca e si mise ad osservare la scena.
L’aguzzino
era un uomo basso e
tarchiato, dall’aspetto non troppo onesto. Vesti ricercate,
anelli preziosi..
conduceva per la briglia un cavallo dalla bardatura semplice ma
elegante, e si
avvicinava alla gabbia lentamente e con un fare soddisfatto e
supponente..
Alexander
si convinse che aveva
tutta l’aria di essere un mercante. Avrebbe indagato, ma non
ora. Si era fatto
tardi ed era ora di rientrare all’accampamento. Sarebbe
tornato l’indomani, con
altro cibo e altra acqua..
Mentre
si allontanava
silenziosamente, domandandosi come si sarebbe comportato se il mercante
lo
avesse scovato accanto al suo carro, le sue viscere si contrassero con
un tenue
sussulto, e Alexander si sorprese a provare un’intensa fitta
di pietà e
compassione per il drow. E anche un vivo senso di colpa per averlo
abbandonato
alla sua sorte...
Ma
doveva andare, i suoi doveri
lo chiamavano.
Sarebbe
tornato all’alba..
Sarebbe
tornato.
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Capitolo 3 *** Drizzt ***
1
Drizzt
seguì con lo sguardo
l’uomo che si allontanava, mentre il suo cervello pensava
furiosamente e
disperatamente. Chi era quell’uomo? Perché lo
aveva aiutato? Perché gli aveva
rivolto la parola? Da quando viveva in superficie nessuno gli aveva mai
rivolto
parole che non fossero insulti o minacce, umani, elfi o nani che essi
fossero.
Da
quando si era avventurato al
di fuori di Buio Profondo era riuscito a ispirare solo paura e
sospetto. Suo
malgrado seminava terrore nelle popolazioni pacifiche e riscuoteva tutt’al più
timorosa deferenza fra i razziatori e le
razze “malvagie”.
Cercava
accettazione e
raccoglieva odio. E questo lo riempiva di dolore e frustrazione. La
reputazione
della sua razza lo precorreva, il suo aspetto era la sua maledizione.
Che
avesse rinnegato tutti gli
aspetti sanguinari del popolo da cui proveniva, nessuno lo sapeva.
Nessuno era
minimamente desideroso di scoprire le sue vere intenzioni.
Drizzt
voleva solamente avere una
possibilità. Una soltanto, di dimostrare il suo valore e la
sua bontà d’animo
per distruggere l’infondata ombra di malvagità che
lo avviluppava e precedeva. Ma
l’occasione non si era mai presentata.
Dopo
mesi di vita in superficie
le sue speranze si erano affievolite, ed erano crollate del tutto dopo
che, in
seguito ad un agguato, era stato aggredito e fatto prigioniero dal
mercante e
dai suoi loschi collaboratori: era accaduto poco più di due
settimane prima,
mentre cercava un riparo per la notte. Fu sorpreso dai quattro uomini
armati
guidati dal mercante.
Lo
avevano immobilizzato da
lontano, con una freccia intinta in un veleno blando. Lo picchiarono a
sangue
per prevenire ogni reazione. Lo seviziarono con braci ardenti, acidi e
bastoni.
Giocarono con lui sadicamente e con crudeltà, senza alcuna
considerazione né
rispetto per la sua vita, esattamente come un bambino avrebbe potuto
fare con
una lucertola.
Infine
lo legarono e lasciarono
per giorni senza cibo ne acqua per fiaccarlo nel corpo e
nell’anima, e scongiurare
così ogni eventualità di ribellione.
Quando
decisero che il drow aveva
avuto ciò che gli spettava, lo buttarono nella gabbia
procurata dal mercante,
riscossero il loro compenso e si dileguarono. L’uomo era
convinto che il suo
prigioniero, debitamente incatenato, sarebbe stato un ottimo
“pezzo da
esposizione” con cui qualche ricco nobile avrebbe potuto
stupire i suoi ospiti.
Nelle
due settimane seguenti
Drizzt era rimasto recluso nell’angusta prigione; erano state
due settimane di
privazioni e stenti che, sommate all’incognita del suo
futuro, lo avevano
logorato nel profondo..
Ma
ora questo episodio aveva
riacceso una scintilla nel suo cuore.
Quella
speranza era in quel
momento il suo unico appiglio, e l’unica ragione che potesse
dargli la forza
di sopportare il
suo tormento. Aveva un
disperato bisogno di credere all’idea che esistesse qualcuno
che potesse dargli
anche solo un briciolo di fiducia.
Accarezzò
quell’idea e infine vi
si aggrappò completamente…
Un
colpo di bastone ben assestato
colpì l’elfo fra le reni e lo riportò
bruscamente alla realtà.
“Sveglia
drow!” gridò la voce
ostile e sadica del mercante. “Ti ho portato qualcosa da
mangiare, lurida
carogna” disse l’uomo con una punta di crudele
allegria, mentre gettava un
brandello di carne rancida sul pavimento della gabbia. Poi gli
slegò le mani e
si allontanò con noncuranza
.
Fra
lui e il mercante si era
instaurato un “non-rapporto” fatto di ostile
freddezza. Drizzt lo ignorava per
quanto possibile, mentre l’uomo in genere si limitava a
stuzzicarlo con il
bastone nei suoi attacchi di sadismo.
Con
il piede Drizzt spinse la
carne cruda e visibilmente avariata fuori dalle sbarre, e si
rannicchiò in un angolo.
Il mercante gli aveva già voltato alle spalle e si era
allontanato per contare
gli incassi della giornata e preparare poi un giaciglio per la notte.
Drizzt
si massaggiò i polsi
lividi e contrasse i muscoli intorpiditi nel vano tentativo di trovare
una
posizione meno dolorante. Non appena sentì che il respiro
del mercante si era
fatto marcato e regolare, capì che doveva essersi
addormentato; riuscì finalmente
a rilassarsi un poco e tornò a pensare a ciò che
era accaduto soltanto poche
ore prima. Rivisse la scena dentro di se decine di volte, traendo
speranza e conforto
dall’immagine del volto di quello
straniero.
L’elfo
scivolò lentamente in un
sonno tormentato. Sognò se stesso nudo, mentre un uomo alto
e muscoloso dal
volto irriconoscibile rideva di lui e lo sferzava meschinamente con una
frusta.
La
mattina i primi raggi di sole
penetrarono fra le sbarre e Drizzt si risvegliò immerso in
un bagno di sudore e
con il respiro affannoso. Deglutì e il pensiero corse subito
agli avvenimenti
del giorno precedente. Era accaduto veramente o era stato solo un
sogno?
L’acqua, il cibo, l’uomo con la frusta…
tutto si mischiava in un turbinio di
pensieri e alle prime luci del mattino gli eventi della sera prima gli
parvero per
un attimo evanescenti e irreali..
D’un
tratto Drizzt avvertì un
tocco mentale familiare.. Da quando si trovava in superficie aveva
perso quasi
totalmente le sue abilità psioniche attive, ma era ancora
perfettamente in
grado di percepire una mente che si muoveva nel suo campo
d’azione.
Era
proprio lui! L’uomo della
sera prima. Non riusciva ancora a vederlo, ma non aveva dubbi sulla sua
identità.
Il
cuore dell’elfo sussultò
violentemente di un qualcosa che assomigliava molto alla gioia.
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Capitolo 4 *** L'alba ***
1
Il
mercante si svegliò
stiracchiandosi sonoramente. Fece colazione con della frutta e una
pagnotta che
teneva avvolta in un tovagliolo. Lanciò qualche torsolo di
mela nella gabbia
dell’elfo, poi si apprestò a ricomporre il
giaciglio. Dopo pochi minuti, senza
una parola, legò nuovamente le mani dell’elfo ad
uno dei pali di legno, montò a
cavallo e partì alla volta del villaggio.
Alexander,
che aveva osservato
attentamente la scena, attese per sicurezza ancora qualche minuto, poi
uscì
allo scoperto. Come la sera prima posò lo zaino a terra ed
frugò alla ricerca
della borraccia e del cibo. Mentre Alexander rovistava, Drizzt
parlò con voce limpida
e malinconica: “Ho sperato con tutto il cuore che
tornassi”.
Alexander
si alzò in piedi con le
provviste in mano e si avvicinò al carro soppesando i suoi
pensieri.
“Nessuno
merita di morire di
stenti” disse infine con tono neutrale.
Decise
di non slegare le mani
drow. Non ancora. Voleva studiarlo e capire cosa doveva aspettarsi da
lui.
Sicuramente l’elfo scuro sperava di usarlo come mezzo per
liberarsi dalla sua
prigionia, ma sondando la sua mente Alexander si rese conto che non era
quello
l’unico movente. Una vibrazione nascosta parlava di bisogno
di accettazione ed
empatia.. oltre al mero istinto di sopravvivenza, il drow era mosso
anche da
sentimenti molto più profondi e onorevoli. Alexander si fece
più attento, nella
speranza di carpire dettagli più precisi.
Gli
diede da bere e da mangiare
come aveva fatto la sera prima, ma questa volta senza interruzioni di
sorta.
Dopo diversi bocconi e sorsate l’elfo diede segni di
sazietà e Alexander ripose
gli avanzi nella sacca.
“Ti
ringrazio infinitamente”
disse infine il drow. Anch’egli
tentava
di scandagliare le intenzioni dell’uomo. La sua presenza
rappresentava per
Drizzt un sollievo sia per il corpo che per la mente, ma una parte
della sua
coscienza lo metteva in guardia. In effetti perché
l’uomo avrebbe dovuto
aiutarlo? Per pura pietà? Una qualità rara a
questo mondo..
O
c’erano piuttosto altri
interessi in gioco di cui lui era all’oscuro? Forse
quest’uomo era solamente un
brigante in cerca di un valido alleato.. oppure poteva essere un altro
mercante
di schiavi, interessato a lui soltanto quale merce di scambio.
D’un
tratto gli tornò in mente il
sogno di quella notte… un uomo dal volto imperscrutabile che
lo derideva e lo
torturava..
Drizzt
chiuse gli occhi e strinse
i denti, mentre un’ondata di sconforto minacciò di
travolgerlo.
No!
No… non poteva essere! Questo
era l’unico appiglio che aveva per evitare di cadere nella
disperazione più
nera.
Non
poteva essere..
“Come
ti chiami?”
La
voce dell’uomo risuonò mite in
quella tiepida mattinata estiva, strappando il drow al vortice dei suoi
pensieri.
“Drizzt”
rispose l’elfo. “Drizzt
Do’Urden”, aggiunse, mentre si sforzava di
ricordare l’ultima volta in cui
aveva pronunciato di fronte a qualcuno il suo nome completo.
“Va
bene Drizzt, io sono Alexander.
Vorresti raccontarmi brevemente cosa ci fa un drow in
superficie?” chiese
l’uomo gesticolando in maniera interrogativa.
“Credevo
che la tua razza vivesse
al buio in quelle vostre città sotterranee. Sei stato
catturato durante
un’incursione?” . Alexander vide l’elfo
scuro inorridire, mentre socchiudeva
gli occhi a mo’ di fessura e scuoteva la testa lentamente in
segno di diniego. Si
disse che forse aveva parlato con troppa arroganza e probabilmente
aveva dato
una dose eccessiva di supponenza alla sua voce.
“Scusa,
mi dispiace”, ritrattò,
“quello che voglio dire è che la tua situazione
è decisamente insolita..
diciamo pure anomala e..” dopo una breve esitazione decise
che era venuto il
momento di scoprire le carte, “se voglio tirarti fuori da
lì devo prima sapere
fino a che punto posso fidarmi di te”.
Le
pupille dell’elfo si
dilatarono mentre Alexander pronunciava l’ultima frase.
“Non
ho modo di provarti di
essere degno della tua fiducia”, rispose Drizzt sentendosi
improvvisamente a
disagio, “ma se vuoi posso raccontarti la mia
storia”.
“Ti
ascolto”, rispose Alexander soddisfatto,
mentre si sedeva sull’erba con le gambe incrociate.
Drizzt
fece un respiro profondo e
cominciò.
Parlò
a lungo, raccontando la sua
storia con tono neutrale. Parlò ad Alexander di
Menzoberranzan, del concetto distorto
di famiglia per i drow, delle motivazioni che lo avevano spinto
all’esilio
volontario e delle sue disavventure in superficie. Terminò
con la narrazione
della sua recente cattura e degli ultimi giorni di crudele prigionia.
Alexander
fu colpito soprattutto
dalla totale mancanza di autocommiserazione nel tono
dell’elfo. Era come se
stesse parlando di qualcun altro…
Quando
l’elfo terminò il suo
racconto, Alexander rimase in silenzio per diversi minuti, riflettendo
su ciò
che aveva appena sentito. Infine si alzò, e con fare
pensieroso si caricò
distrattamente lo zaino sulle spalle.
“Te
ne vai”, disse il drow con
tono disilluso. Non era una domanda.
“Tornerò”,
lo tranquillizzò Alexander
guardandolo fisso negli occhi.
“Non
ti lascerò qui a marcire. Su
questo ci puoi contare”.
Alexander
se ne tornò
all’accampamento, accompagnato dallo stesso subdolo senso di
colpa che aveva
provato il giorno precedente.
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Capitolo 5 *** All'accampamento ***
1
Alexander
aveva bisogno di
restare solo e riflettere. Aveva bisogno di calcolare i danni
potenziali che
avrebbe potuto causare un suo errore di valutazione…
Arrivato
all’accampamento lo
attraversò, recandosi alla tenda adibita a mensa. I suoi
cinquanta soldati
stavano terminando il pranzo, e lo salutarono amichevolmente al suo
arrivo.
Rispose debolmente ai saluti, si procurò della zuppa calda e
si sedette da solo
ad un tavolo vuoto, dove cominciò soprappensiero a rimestare
la minestra, senza
molto appetito.
Non
aveva paura del drow: era
debole e affranto; era disarmato, e i poteri psionici di cui era dotato
non
potevano competere con i suoi.
Non
era per la sua stessa vita
che temeva, ma per quella degli abitanti del villaggio e degli ignari
viandanti. Se quella del drow fosse stata soltanto una messinscena ben
architettata, liberandolo Alexander avrebbe messo in pericolo molte
persone
innocenti.
D’altra
parte era pressoché certo
della buona fede dell’elfo scuro. Se anche non fossero
bastate le parole del
racconto di Drizzt a convincerlo, le sue onde psichiche erano comunque
inconfondibilmente
sincere.
Ma
anche così come poteva
prevedere le reazioni della gente comune? Se gli abitanti del borgo,
spaventati, avessero deciso di aggredirlo, come avrebbe reagito il
drow?
Minacciato e messo alle strette avrebbe potuto diventare realmente
pericoloso. Alexander
si sentiva ed era responsabile per il destino del borgo e non poteva
ignorare
le potenzialità delle sue azioni, per quanto buone fossero
le intenzioni.
Emise
un sonoro sospiro che era
un misto fra un gemito di frustrazione e uno sbuffo di spossatezza.
D’un
tratto una mano forte gli
cinse una spalla, mentre una voce bonaria lo salutava. Era Mark, il
responsabile dell’ala medica, e la figura più
vicina ad un amico che Alexander avesse
all’interno del campo.
“Dove
sei stato discolaccio?
Guarda che qui siamo tutti in pensiero quando non ci sei! Prometti di
fare il
bravo d’ora in poi”, lo prese in giro Mark.
“Si
mammina” rispose Alexander
sorridendo, ma la sua espressione tornò presto ad assumere
dei toni pensierosi.
Mark
si accorse dell’inquietudine
del suo comandante e amico, e decise di occupare il posto vuoto di
fronte a
lui, eliminando ogni traccia di umorismo dal suo viso.
“C’è qualcosa che ti
turba, non è vero?”, gli chiese sinceramente
preoccupato.
Alexander
sollevò per un istante lo
sguardo dal piatto per osservare l’amico, poi
tornò a concentrarsi sui fagioli
che galleggiavano nella minestra. “C’è
una persona che ha
un disperato bisogno del mio aiuto”,
disse con uno sguardo vacuo e lontano, “e ho intenzione di aiutarla,
perché probabilmente è questione
di vita o di morte, ma… ho paura delle conseguenze
collaterali del mio gesto”.
“Se
si tratta di vita o di morte
non mi pare che tu abbia scelta, non trovi?”,
sottolineò Mark.
“Già”,
commentò Alexander rivolto
più che altro a se stesso.
“Se
c’è la possibilità che il tuo
gesto abbia risvolti negativi, devi mettere in conto eventuali
provvedimenti
correttivi.”
“Mi
pare sensato”, rispose Alexander,
“Non ci sono mezze misure. O con lui o contro di lui”.
Mark,
che ignorava totalmente i
dettagli della faccenda, si limitò ad annuire.
La
sera stessa Alexander sellò il suo cavallo,
controllò rapidamente
l’attrezzatura standard, montò e partì
alla volta della radura.
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Capitolo 6 *** Il mercante ***
1
Alexander
si avvicinò alla radura
cercando di farsi notare nel modo più naturale possibile:
fece camminare il
cavallo sul ciottolato, di modo che gli zoccoli producessero eco nella
vallata,
diede violenti colpi di tosse con cadenza regolare, infine si mise a
fischiettare un motivetto allegro. Ad un certo punto si accorse che il
mercante
doveva averlo udito, perché la sua aura mentale
cominciò ad indicare circospezione.
Si
recò verso il centro della
radura passando per il sentiero che proveniva dal villaggio, e non
appena il
mercante entrò nel suo campo visivo, Alexander si profuse in
saluti:
“Oh
buongiorno mercante, anzi
buonasera vista l’ora tarda. Sono felice di incontrarvi, mi
hanno detto che vi
avrei trovato qui”, Alexander smontò, e
avvicinandosi al mercante gli allungò
la mano in segno di saluto. L’altro osservò la
mano con un’aria stranita, ma
gliela strinse.
“Lasciate
che vi spieghi: il mio
nome è Alexander Righter, sono un nobile della
città; un amico mi ha parlato di
voi e mi ha rivelato che avete merce interessante”, Alexander
contorse la bocca
in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso di ironica intesa,
mentre col
capo indicava la gabbia alle spalle del mercante. “Sapete,
nella mia residenza
ho molti quadri e oggetti d’arte, ma niente riesce
più a stupire i miei ospiti.
Sono alla ricerca di una mercanzia particolare, e voi amico mio avete
veramente
un pezzo unico”.
Il
mercante annuì sorridente:
“Non mi sono sbagliato allora quando ho deciso di assoldare
mercenari per
catturare creature esotiche come questa”. Si fermò
un istante, poi proseguì con
aria compiaciuta “Amico mio, questa è merce unica
e purtroppo per voi c’è già
un acquirente: il signor Robert James Moore, lo conoscete?”
“James?
Quel vecchio farabutto?”,
improvvisò Alexander “Non potete farmi questo,
diventerò il suo zimbello se gli
venderete il drow”, disse tentando invano di suscitare
compassione nell’altro.
“Mi
dispiace amico mio, sul serio”,
rispose l’uomo senza la minima traccia di dispiacere
“ma il signor Moore mi ha
offerto cinquanta monete d’oro e io sono un mercante di tutto
rispetto”.
“Ve
ne offro settanta”, replicò
Alexander senza alcuna esitazione.
“Ora
cominciate a parlare la mia
lingua”, il viso del commerciante si trasformò in
una maschera di ingordigia,
“ma per meno di cento non se ne fa nulla. Gli affari sono
affari.”
“Cento
monete d’oro e mi lasciate
anche la gabbia”, ribatté Alexander, il cui viso
non tradiva ora alcuna
emozione.
Il
mercante ci pensò su qualche
istante e poi sorrise: “Affare fatto”.
L’elfo
scuro era legato alla
gabbia rivolto verso sud e non poteva assistere direttamente alle
trattative,
ma aveva ascoltato tutto con attenzione, e per tutto quel tempo era
rimasto in
silenzio e con i muscoli e le orecchie tese in attesa di un segno, un
indizio
che potesse scagionare Alexander dal sospetto di essere un falso
traditore.
Ma
ora, mentre i due si
stringevano la mano, la mente di Drizzt vacillò, poi perse
l’appiglio e si
apprestò a scivolare nel baratro della disperazione.
L’elfo
si accorse soltanto di non
riuscire più a pensare, e mentre la sua lucidità
si offuscava cominciò a
tremare violentemente nonostante la temperatura. Il suo respiro si fece
corto e
frenetico, il suo stomaco vuoto era in subbuglio e in preda alla
nausea. Sentiva
i timpani pulsare, la gola seccarsi, silenziose lacrime di rabbia si
mischiarono
a gocce di sudore freddo, poi, all’improvviso,
l’oscurità lo avvolse.
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Capitolo 7 *** Il risveglio ***
1
Era
ormai mattina, quando l’elfo
cominciò a riprendere conoscenza, mentre i primi raggi
tiepidi lo riscaldavano.
Per prima cosa divenne cosciente del leggero movimento sussultorio del
pavimento su cui giaceva, le mani ancora immobilizzate dietro la
schiena. Tentò
stancamente di riorganizzare i pensieri, e improvvisamente la
realtà gli
ripiombò addosso investendolo come un macigno.
Si
trovava ancora all’interno
della gabbia, che però ora si stava muovendo. Con uno sforzo
penoso riaprì gli
occhi e di fronte a sé vide il posteriore del cavallo che lo
stava trainando.
Accanto al cavallo camminava Alexander, l’uomo che lo aveva
ingannato e acquistato
dal mercante di schiavi come se fosse stato una bestia o peggio ancora,
un
suppellettile. Il cuore sobbalzò in una fitta di rabbia, ma
suo malgrado non
riuscì a provare odio. L’odio lo avrebbe forse
protetto dalla pazzia che lo
attendeva in agguato; l’odio avrebbe permesso a Drizzt di
salvarsi, di
scaricare le frustrazioni su un soggetto diverso da se, ma per un
qualche
recondito motivo una parte di lui gli impediva di odiare…
Il
carro si dirigeva verso una
rupe a strapiombo sul Liquentia, il fiume che attraversava il regno di
Lordaeron e che in quel tratto era ancora tumultuoso.
La
mente del drow ormai spossata
non era in grado di formulare delle ipotesi sulle vicende degli ultimi
giorni.
Drizzt sapeva che ormai non aveva più nulla da perdere, e
decise di rivolgere
la parola al suo “nuovo padrone”.
Tentando
di conferire un tono
neutrale alla sua voce, Drizzt parlò stancamente:
“E così la tua era tutta una
messinscena…”
Non
appena udì le parole
dell’elfo, Alexander si voltò
e si
accostò alla gabbia con un sorriso, continuando a camminarvi
accanto. “Ti sei
ripreso”, disse con un tono di sincero sollievo, incurante
dell’affermazione
dell’altro.
Le
parole di Alexander risuonarono
di una genuinità tale da spiazzare l’elfo, il
quale non fu più in grado di controllare
l’emotività nella sua voce:
“Perché mi hai comprato se hai intenzione di farmi
precipitare da quella rupe?”, disse quasi in un grido.
Alexander
fece fermare il cavallo
a pochi metri dal precipizio, in un punto in cui si poteva udire il
ruggito del
fiume che si infrangeva contro la roccia. L’uomo rimase in
silenzio per qualche
istante mentre liberava il cavallo dal giogo che lo legava al carro.
Poi si
avvicinò alla gabbia e liberò le mani di Drizzt,
tagliando le corde di netto
con un coltello.
“Non
è te che ho comprato”, gli
disse guardandolo fisso negli occhi, “bensì la tua
libertà”.
Alexander
si recò verso il retro
della gabbia, aprendone il vistoso lucchetto che bloccava la porticina
di
accesso. La porticina si spalancò cigolando, e Alexander
osservò Drizzt,
scostandosi in attesa.
“Esci,
sei libero”, lo incitò.
Drizzt
era confuso e totalmente
incredulo, ma non se lo fece ripetere due volte e si spinse con le
mani,
scivolando fino all’uscita. Ebbe appena il tempo di poggiare
i piedi per terra
e raddrizzare la schiena, quando le sue gambe indolenzite cedettero e
Drizzt
cadde in avanti di peso. Le ultime settimane di prigionia lo avevano
logorato,
e i muscoli, che non erano preparati a sostenere il suo peso, lo
tradirono.
Ma
Alexander fu pronto a lanciarsi
in avanti e con il suo corpo fece da scudo all’elfo,
sostenendolo e
impedendogli di cadere. Lo depose delicatamente a terra, la schiena
contro una
roccia. Poi si alzò, senza dire una parla si recò
verso la gabbia, e dopo aver
levato i freni la spinse in direzione del dirupo.
La
gabbia raggiunse il bordo
dello sperone di roccia, vacillò brevemente in bilico e
infine cadde nel vuoto
facendo un volo di diversi metri. Alexander la osservò con
soddisfazione
infrangersi sulle rocce sottostanti e rimbalzare nella corrente
impetuosa, che
ne trascinò via i resti in men che non si dica.
Mentre
era ancora rivolto verso
il fiume, riuscì a percepire la confusione che continuava a
regnare nella testa
dell’elfo. Decise di dargli tempo, e con le mani sui fianchi
rimase in piedi
per diversi minuti a fissare i flutti che sembravano rincorrersi come
in preda
alla frenesia.
Quando
infine si voltò, vide che Drizzt,
con espressione meditabonda, si stava massaggiando le gambe e i polsi
per
stimolare la circolazione.
Non
appena fu in grado di
reggersi in piedi, l’elfo si avvicinò ad
Alexander, che lo attendeva
pazientemente a qualche metro di distanza.
“Sono
veramente libero?”, gli
chiese.
“Sei
libero”, assicurò Alexander
Per
qualche secondo il drow
tacque, poi alzò lo sguardo fissando l’uomo con i
suoi profondi occhi lavanda. “Allora
ti sono debitore, abbil, amico mio”.
L’uomo
scosse il capo in segno di
diniego “Tutto quello che ti chiedo è la
possibilità di conoscerti meglio”.
“E’
il minimo che posso fare per
te”.
Drizzt
fece un passo verso di lui
poi, lentamente, sollevò la mano e la tese in avanti nella
forma di saluto che
aveva osservato così spesso fra gli umani.
Alexander
protese la mano a sua
volta gliela strinse con decisione, dopodiché il suo volto
contratto dalla
tensione accumulata fino a quel momento si sciolse in un sorriso
liberatorio.
Drizzt
sorrise di rimando, e per la prima volta da quando si trovava in
superficie si sentì veramente vivo. Finalmente riusciva a
parlare con qualcuno
guardandolo diritto negli occhi. Finalmente poteva parlare ad un'altra
persona
da pari. La scintilla di speranza aveva attecchito, e si era
trasformata in una
fiammella di ottimismo.
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Capitolo 8 *** Un bagno caldo ***
1
I
due stavano camminando
lentamente, uno di fianco all’altro lungo la sponda del
fiume. Il cavallo di
Alexander li seguiva docilmente a qualche metro di distanza. Il fragore
della
corrente e lo scalpiccio degli zoccoli riempivano l’aria.
“Hai
bisogno di un bel bagno
Drizzt, lo sai?”, disse Alexander d’un tratto con
voce allegra, più che altro
per rompere il silenzio imbarazzato che si era creato.
“Lo
so”, rispose mesto l’elfo.
Era
vero. Drizzt aveva smesso di
farci caso, poiché durante la sua prigionia era troppo
occupato a cercare di
sopravvivere per badare a questi inconvenienti. Ma ora che Alexander
gliel’aveva fatto notare si era reso conto di quanto i suoi
capelli fossero
unti e sporchi, di come il sudore rendesse la sua pelle umida e
appiccicosa,
per non parlare delle croste di sangue rappreso che gli costellavano la
schiena. Era stanco, ferito, affamato… ma nonostante questo,
paradossalmente,
ora era proprio un bagno ciò desiderava di più.
“Vieni
con me. Ti porto nel posto
in cui vivo. Lì potrai farti un bagno caldo e mangiare
qualcosa. Dovrei avere
anche degli abiti puliti della tua taglia”
Gli
occhi di Drizzt per un breve
istante brillarono di gratitudine, ma poi l’elfo rispose
“Non posso accettare.
Hai già speso per me una somma che probabilmente non
potrò mai restituirti. Non
posso accettare altri favori..” concluse con un velo di
rimorso.
Alexander
sorrise fra se e se.
“Non era una domanda. Ti ci sto già
portando”, disse indicando le palizzate che
delimitavano l’accampamento, che spuntavano dal fogliame
della foresta qualche
decina di metri alla loro sinistra.
Drizzt
si fermò. “Quello è il
posto in cui vivi?”, chiese l’elfo che aveva scorto
le vedette di guardia sul
muro di cinta, e le osservava con inquietudine mentre facevano il giro
di
ronda.
Alexander
guardò nella stessa
direzione, e indovinando i pensieri dell’altro disse:
“Non ti saranno ostili, né
tenteranno di farti del male, te lo garantisco”.
“Come
puoi esserne certo?”,
domandò Drizzt con una punta di perplessità.
“Perché
quei soldati sono ai miei
comandi”, rispose Alexander con semplicità e
naturalezza.
Rifletté
un istante, poi decise
che era ora di chiarire la sua posizione nei confronti
dell’elfo una volta per
tutte. Si voltò lateralmente per poterlo guardare negli
occhi, gli mise una
mano sulla spalla e gli parlò con tutta la franchezza di cui
era capace: “Ascoltami
bene Drizzt, so quali leggende circolano sulla tua razza, so come
reagisce la
gente anche solo al sentir nominare la parola drow. Ma io, per quanto
strano ti
possa sembrare, mi fido di te”, sottolineò
quest’ultima affermazione stringendo
la presa sulla spalla di Drizzt, “Non so esattamente cosa mi
spinga a farlo, ma
è così. E per quanto possa valere, ti do la mia
parola che anche tu puoi
fidarti di me”.
Senza
aspettare una sua reazione,
voltò le spalle al drow per nascondere l’imbarazzo
che lo aveva colto alla
sprovvista proprio mentre terminava la frase. Non gli capitava spesso
di
mettere a nudo i suoi pensieri più intimi. E non gli
capitava spesso di
sentirsi imbarazzato. Si irritò con se stesso per questa
debolezza.
Drizzt
non disse nulla, ma fu
grato che Alexander si fosse voltato. Sebbene la sua espressione fosse
rimasta
impassibile, gli occhi dell’elfo si erano fatti lucidi.
Voleva replicare, ma
nulla di quello che gli veniva in mente pareva adatto, così
si limitò a raggiungere
ad Alexander e disse semplicemente “Ti seguo”.
Alexander
fece strada dirigendosi
verso il portone d’ingresso. Le guardie di vedetta lo avevano
riconosciuto e
senza attendere un suo cenno fecero aprire i battenti. Alexander si
fermò sulla
soglia e fece cenno a Drizzt di raggiungerlo. Varcarono
l’ingresso insieme e la
prima cosa di cui Drizzt fu consapevole furono gli occhi dei soldati.
Con
sollievo constatò che non si trattava di sguardi ostili, ma
soltanto di fugaci
occhiate curiose. Attirava inevitabilmente l’attenzione di
tutte le persone che
incrociavano, ma gli sguardi, dopo essersi soffermati brevemente su di
lui,
scivolavano su Alexander, si trasformavano in un cenno di saluto e
slittavano
nuovamente via. Drizzt gradatamente si rilassò; era evidente
che quegli uomini
si fidavano ciecamente del loro comandante. All’improvviso un
uomo si parò loro
davanti con irruenza. “Come non detto”,
pensò Drizzt suo malgrado.
Era
Mark, l’ufficiale medico.
“Stai
scherzando spero!”, disse
con tono sarcastico ad Alexander, indicando con un cenno Drizzt.
“Che
vorresti dire?”, rispose
Alexander tranquillo, ma con una nota di irritazione nella voce.
“Non
hai mai detto che l’avresti
portato qui! E soprattutto non hai mai detto che si trattava di un
drow”, Mark
lanciò un’occhiata di sbieco verso
l’elfo.
“Non
l’ho mai detto, e allora?
C’è qualche problema?”
I
toni erano ancora bassi, ma la
tensione stava crescendo a vista d’occhio. Drizzt
deglutì a disagio, ma non si
azzardò ad intromettersi.
“Certo
che c’è un problema!”,
rispose Mark con aria di sfida, “Come puoi fidarti di lui? Lo
sai cosa si
dice..”
“Lo
so benissimo cosa si dice dei
drow”, lo interruppe Alexander a denti stretti. Lo
afferrò per l’avambraccio e
lo trascinò via, lontano da Drizzt. Poi inspirò
profondamente. Con una mano si
sfregò il viso mentre cercava di calmarsi e di trovare le
parole adatte.
“Senti
Mark”, disse con tutta la
tranquillità che riuscì a raggranellare,
“non ho scelta. Ha bisogno di supporto
morale e materiale. Ha bisogno di vestiti, cure e cibo. Non puoi
pretendere che
lo abbandoni a se stesso.”
“Ma
è un ..”
“Un
drow, lo so. Proprio per
questo non posso lasciarlo girare per Lordaeron da solo. Di lui mi fido
Mark,
completamente. E’ della gente che non mi fido. Potrebbero
metterlo alle strette
e una volta con le spalle al muro, allora si che diventerebbe
pericoloso”.
I
due restarono a fissarsi per
diversi istanti senza che nessuno trovasse qualcosa da aggiungere.
Alexander
non riusciva a capire se l’amico era più orientato
ad andarsene infuriato o a scusarsi
con lui..
Alla
fine fu Mark a prendere la
parola. In tono casuale disse: “Beh è logico.. lo
dice anche la proprietà
transitiva: se io mi fido di te e tu ti fidi di lui, allora anche io mi
devo
fidare di lui”.
Alexander
non riuscì a impedire
ad una sincera risata di salirgli su per la gola. Per
l’ennesima volta fu
stupito da come l’amico e collega era in grado di
sdrammatizzare ogni
situazione, infilando una battuta calzante quando meno ce lo si
aspettava.
“Mi
dispiace Alex, non avevo
intenzione di essere così aggressivo”, aggiunse
mentre il suo comandante stava
ancora sorridendo. “Dovremmo dargli una chance. Probabilmente
hai ragione tu.
Come al solito” concluse sorridendo a sua volta.
Alexander
dapprima annuì, poi
tornò serio e disse: “ Ha delle brutte ferite su
tutto il corpo, dovresti
dargli un’occhiata”.
“D’accordo”,
rispose l’altro,
“fallo lavare e poi portamelo. Io intanto preparo
l’attrezzatura”.
Si
salutarono dandosi
amichevolmente un pugno sulla spalla l’uno
dell’altro, poi si separarono.
Alexander
tornò da Drizzt munito
di un sorriso rassicurante. “Tutto a posto”, lo
tranquillizzò.
“Ne
sei certo?”
“Si,
davvero. Vieni, ti porto ai
bagni”.
All’accampamento
non avevano
vasche da bagno, bensì solo filari di docce comuni, che in
quel momento erano
completamente vuote. Alexander spiegò il loro funzionamento
a Drizzt, gli diede
del sapone ed una salvietta per asciugarsi, poi uscì per
andare a recuperare
dei vestiti. Quelli che l’elfo indossava erano luridi e
consunti.. se non si
fossero sciolti durante il lavaggio sarebbero comunque stati
inutilizzabili.
Quando
Alexander uscì, Drizzt si
infilò sotto l’acqua calda e ne
assaporò i benefici ristoratori; lentamente il
vapore salì fino ad avvolgerlo e lui chiuse gli occhi,
lasciando che il getto
massaggiasse con dolcezza i suoi muscoli stanchi. Sentì
letteralmente lo sporco
scivolare via, e gli parve quasi che con esso stessero svanendo anche
tutta la
malinconia e la frustrazione, come se l’acqua potesse lavar
via ogni sua pena.
Assaporò questa meravigliosa sensazione per lunghi istanti,
poi cominciò a
lavarsi sul serio, strofinando con foga, come se assieme alla polvere
volesse
eliminare anche tutte le umiliazioni e le delusioni che aveva dovuto
subire da
quando aveva lasciato Buio Profondo…
Quando
Drizzt finalmente uscì
dalle docce, asciutto e pulito, Alexander lo condusse
nell’ala medica. “Ora
daremo un’occhiata alle tue ferite. Alcune sono sicuramente
da disinfettare, e
… beh non tocca a me dire cosa c’è da
fare. Ora lo vedremo”, disse con un
sorriso rassicurante.
Mark
li stava già aspettando
all’interno del reparto.
“Spogliati
e siediti qui”, disse
Mark indicando il lettino ambulatoriale.
Drizzt
esitò perché non era mai
stato visitato da un dottore e per lui era insolito spogliarsi di
fronte ad
altri uomini.. ma alla fine fece come gli era stato detto.
Notò
l’espressione di Mark
rabbuiarsi, mentre gli girava attorno con sguardo inquisitore. La
schiena
muscolosa di Drizzt era costellata dalle ferite provocate dalle
frustate. Per
la maggior parte si erano cicatrizzate, ma alcune di esse si erano
infettate ed
erano degenerate in un’infiammazione purulenta.
“Non
va bene Drizzt. Non va bene
per niente”, sussurrò Mark cupo. “Ti fa
male se tocco qui?”, chiese sfiorandogli
la schiena con un dito rivestito da un guanto in lattice.
Non
appena ebbe toccato la pelle
arrossata, Drizzt si ritrasse con un lamento.
Alexander,
che si era messo in
disparte per non essere d’intralcio, spostò il
peso del corpo da un piede
all’altro, a disagio. “Cosa si può
fare?”, domandò.
“Beh
di ossa rotte non ce ne
sono, e gli organi interni non dovrebbero essere danneggiati,
altrimenti… beh
altrimenti ce ne accorgeremmo. E le ecchimosi non sono un problema,
quelle si
riassorbiranno da sole nel giro di qualche settimana. Ma questi ascessi
purulenti non mi piacciono per nulla…”, disse Mark
accigliandosi sempre più.
“Devo
asportare il tessuto
infetto e apporre la medicazione sulla carne viva”,
spiegò, “Mi dispiace
ragazzo, ma è necessario. Si comincia subito”.
Drizzt
si limitò ad annuire, consapevole
che quel trattamento era per il suo bene.
“Alex,
puoi uscire se vuoi. Non
ti piacerà quello che vedrai”, disse Mark.
“Non
badare a me”, replicò
Alexander con un sorriso sornione, “non ti darò
fastidio”.
Mark
si strinse nelle spalle,
dopodiché invitò l’elfo a distendersi
prono sul lettino.
“Ti
farò male Drizzt. Cerca di
resistere.”
Drizzt
annuì nuovamente e chiuse
gli occhi, stringendo le sponde del lettino fra le dita.
Mark
si mise al lavoro, e dopo
aver passato il disinfettante sugli strumenti, cominciò ad
operare sulle
ferite, tagliandole per permettere la fuoriuscita del pus.
Drizzt
avvertì un dolore
lancinante risalire come un fulmine lungo la sua spina dorsale.
Digrignò i
denti e affondò le dita nel lettino.
Con
un altro strumento Mark
cominciò delicatamente a scavare nella ferita, per essere
certo di rimuovere
fino all’ultimo residuo di materia infetta.
Drizzt
non riuscì più a
trattenersi e cominciò ad essere irrequieto e a gemere,
mentre le sue dita
affondavano sempre di più nella gomma del letto.
“So che fa male”, disse Mark
con una traccia di compassione nella voce, “ma devi cercare
di stare fermo”.
L’elfo non diede segno di averlo udito, anzi le sue mani si
staccarono dal
materassino e cominciarono a scivolare giù, lungo le gambe
metalliche della
branda, agitate, come alla ricerca di aiuto.
Alexander
si avvicinò portandosi
di fronte alla testa del letto, e gliele afferrò entrambe.
Subito Drizzt le
strinse compulsivamente. Si calmò quasi immediatamente, e
riuscì a convogliare
tutto il dolore nella spasmodica stretta delle mani di Alexander.
Dopo
quello che a Drizzt sembrò
un interminabile lasso di tempo, Mark dichiarò di aver
finito la medicazione, e
lo fece mettere a sedere per poter bendare le ferite ora pulite.
“Per
una settimana cambieremo le
bende ogni giorno”, gli disse. “Vieni qui ogni sera
al tramonto. Non
dimenticartene, è importante”.
Drizzt
che era ancora vagamente
stordito dal dolore, ringraziò e uscì con grande
sollievo dall’ala medica,
scortato da Alexander.
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Capitolo 9 *** Una vecchia conoscenza ***
1
Erano
passati diversi giorni
dalla liberazione di Drizzt, e Alexander era ormai arrivato a fidarsi
di lui senza
riserve. Gli aveva lasciato carta bianca all’interno
dell’accampamento e l’elfo
cercava di rendersi utile come poteva, dando una mano quando ne aveva
l’occasione. Tutti gli uomini del campo lo accettavano ormai
come una presenza
consolidata, e qualcuno lo aveva persino preso in simpatia, e si
fermava a fare
due chiacchiere con lui se ve n’era
l’opportunità.
Tuttavia
Alexander si rendeva
conto che non avrebbe potuto nasconderlo lì dentro per sempre.. Si
avvicinava
il momento della verità: sapeva che prima o poi
l’avrebbe dovuto condurre con
sé al villaggio, per saggiare la reazione della gente comune.
Un
mattino decise che quel momento
era arrivato, e lo comunicò all’elfo.
Drizzt
non parve sorpreso.
Sorrise con sobrietà e annuendo disse: “Sono
pronto”.
Uscirono
insieme a piedi
dall’accampamento, e per molti minuti fra loro
regnò il silenzio, ciascuno
assorto nei propri pensieri.
Alexander
aveva dato disposizioni
di preparare una squadra di pronto intervento da impiegare in caso di
emergenza. Era sempre connesso per via psionica con
l’accampamento, e se ci
fossero state difficoltà avrebbe potuto allertare
immediatamente i suoi uomini
per richiedere soccorso.
Non
parlò a Drizzt di queste
precauzioni. Percepiva l’inquietudine dell’elfo e
non voleva contribuire ad
aumentare la sua ansia prospettando l’eventualità
che qualcosa andasse storto.
“Andrà
tutto bene, vedrai”, disse
sperando di essere convincente.
Giunsero
alle porte del paese a
metà mattinata.
A quell’ora il villaggio
era in pieno fermento: i mercanti vendevano i loro prodotti in piazza,
le
massaie acquistavano cibarie per il pranzo e la strada maestra era un
unico
viavai di contadini che si muovevano da e per le aree rurali.
Drizzt
non sarebbe di certo
passato inosservato. Ma quella di fare un “debutto
ufficiale” era una strategia
meditata. Non potevano di certo addentrarsi nel villaggio al crepuscolo
e
rischiare di suscitare impressioni sbagliate. Sebbene Alexander fosse
largamente conosciuto e rispettato quale consigliere di re Joshua* non
era
veramente il caso di correre rischi inutili.
Non
appena ebbero varcato la
soglia del villaggio il tempo si fermò: tutti smisero di
colpo di fare ciò che
stavano facendo per puntare gli occhi su Drizzt.
Alexander
fu investito dalla
potenza dalle onde mentali emanate dai presenti. Percepì il
terrore ramificarsi
a macchia fra la folla, come ghiaccio in una pozzanghera. Era un
terrore cieco,
che impediva loro di pensare.
Se
inizialmente Alexander aveva
sperato di poter semplicemente attraversare il villaggio e confidare
che gli
abitanti prima o poi avrebbero fatto l’abitudine a questo
nuovo concittadino,
ora era evidente che questo stratagemma non avrebbe funzionato.
Bisognava agire
in fretta, prima che quel sentimento passivo si trasformasse in furia
omicida.
Alexander,
parlando con la voce
più autoritaria che riuscì a produrre, si rivolse
alla gente: “State
tranquilli, è tutto sotto controllo”. Quelle
parole ebbero l’effetto di
risvegliare le coscienze stordite dalla paura. Una voce uscì
dall’anonimato e
gridò con stridore “E’ un
drow!”. Seguirono vari mormorii per lo più
incomprensibili, ma la parola drow volò come una freccia di
bocca in bocca.
Alexander
alzò la mano per
richiamare l’attenzione su di sé e chiedere silenzio.
“Si, si tratta di un
drow, i vostri occhi non vi ingannano”, disse quando il
brusio cessò.
“Ma
non dovete preoccuparvi”, si
affrettò ad aggiungere, “Drizzt ha un cuore nobile
e non ha intenzioni malvagie.
Garantisco io per lui”, disse infine cingendo con un braccio
le spalle
dell’elfo per sottolineare le sue parole.
Alexander
si aspettava numerose
obiezioni, ma nessuno proferì parola. Così,
lentamente, i due si mossero attraversando
la piazza, mentre la gente si scostava in assoluto silenzio per
lasciarli
passare. Alexander si diresse verso il castello, dove aveva intenzione
di
presentare Drizzt a Joshua, suo amico e re, per ufficializzare
l’esordio in
società dell’elfo.
All’improvviso
una figura
massiccia si avvicinò a loro a grandi passi, scostando in
malo modo chiunque
gli si parasse davanti. Si trattava di un uomo di mezza età,
il corpo tozzo e
muscoloso, il volto arcigno coperto da diverse cicatrici. La figura
raggiunse
il varco che si era creato attorno ai due. Per una frazione di secondo
il suo
volto fu attraversato da un’espressione di attonita
incredulità, ma ben presto
i suoi lineamenti si contorsero in un’esternazione di odio.
“TU!”,
tuonò l’uomo rivolto a
Drizzt. Gli occhi erano colmi di rabbia e brillavano di una luce
malvagia.
“Roddy
McGristle”, mormorò l’elfo
fra sé e sé in un misto di nausea e irritazione,
mentre i suoi muscoli affusolati
si irrigidirono spontaneamente.
Alexander
non perse tempo a fare
domande, e con risolutezza si spostò in avanti, ponendosi
fra l’uomo e l’elfo
per interrompere la linea visiva.
“Levati
dai piedi se non vuoi
andarci di mezzo anche tu!”, intimò
l’uomo ad Alexander, mentre la sua mano
correva all’impugnatura dell’ascia.
“Non
ingaggerai un combattimento
nel bel mezzo del villaggio”, rispose Alexander
imperturbabile.
“E
chi me lo impedirà? Tu forse?”,
lo derise Roddy con la sua voce rauca. “Non ho intenzione di
farti del male,
levati di mezzo e non ti succederà nulla”.
“Non
hai capito. Gli
attaccabrighe non sono i benvenuti qui. Qual è il tuo
problema?”, domandò
Alexander allargando le braccia. Sperava di poter risolvere la
questione senza
ricorrere alla violenza, ma Roddy aveva la miccia corta e la sua
pazienza si
era già esaurita.
L’uomo
scattò in avanti con un
ringhio sordo e i pugni serrati, e si avventò su Alexander.
Ma
Alexander fu svelto: scartò di
lato mentre il pugno di Roddy affondava nell’aria.
Afferrò il suo braccio a
mezz’aria e glielo rovesciò
all’indietro, bloccandoglielo dietro la schiena,
mentre con il braccio sinistro gli cinse la gola in una salda stretta,
immobilizzando l’uomo completamente.
Roddy
diede qualche strattone, ma
ogni tentativo di liberarsi fu vano. I suoi occhi ruotarono fulminei
nelle
orbite, mandando lampi di odio.
“Maledetto
folle, stai dalla
parte del drow!”, disse l’uomo digrignando i denti.
“E’
mio amico, si! E allora? C’è
qualche problema?”, replicò Alexander, rafforzando
ulteriormente la stretta.
“HA!
Amico!”, lo schernì, “Devi
essere proprio pazzo per considerare amico un drow! Morirai
accoltellato nel
sonno, esattamente come quei contadini che il drow ha assassinato poco
tempo fa”.
Queste
parole crearono confusione
nella mente di Alexander: sapeva che Drizzt non era un assassino, ma
quest’uomo
era convinto di ciò che diceva, e le sue onde mentali lo
indicavano
chiaramente. Quell’attimo di esitazione gli fece perdere la
concentrazione, e
Roddy ne approfittò per divincolarsi dalla presa.
“Lo
vedi?”, disse Roddy con un
sorriso subdolo, ora fissando Alexander negli occhi. “Non ti
fidi completamente
di lui. E fai bene. E’ un dannato assassino!”.
“Non
ho ucciso i Thistledown”,
intervenne finalmente Drizzt, avanzando per poter fronteggiare il
cacciatore di
taglie. Le sue parole erano indirizzate a Roddy, ma erano rivolte
più che altro
ad Alexander. L’elfo temeva che questo incontro avrebbe
potuto scalfire la
fiducia che Alexander aveva in lui. Fortunatamente si sbagliava.
Nel
frattempo un manipolo di
guardie, allertate dal subbuglio creatosi, si erano radunate nella
piazza del
mercato, disponendosi a semicerchio in attesa di ordini.
Le
guardie di Lordaeron
dipendevano dal loro capitano, che a sua volta rispondeva direttamente
al re,
ma per un emendamento speciale, anche Alexander aveva il diritto di
impartire
loro ordini, e se fosse stato necessario, non avrebbe esitato a fruire
di tale
diritto.
Roddy
lanciò occhiate fugaci alle
sue spalle e poco a poco la spacconeria scomparve dal suo volto, per
lasciare
spazio ad un’espressione di furore represso.
“Vattene”,
intimò Alexander con
fermezza, “e non farti rivedere”.
Il
cipiglio di Roddy si rabbuiò
ulteriormente, mentre l’uomo indietreggiava lentamente.
“Non finisce qui!”,
disse con tono cupo e minaccioso, puntando un dito tozzo verso
Alexander.
Dopodiché si volto, allontanandosi
a
grandi passi verso le porte della città.
Alexander
scosse la testa,
amareggiato per l’accaduto. “Andiamo”,
disse in tono neutrale ma velato di
stanchezza, “abbiamo un appuntamento con re
Joshua”.
Drizzt
lo seguì con condiscendenza.
Sapeva cosa gli passava per la testa. Si stava chiedendo quale fosse il
significato di quell’episodio. Si stava chiedendo chi fossero
i Thistledown e
cosa fosse accaduto loro. Drizzt tentò di impostare
mentalmente un discorso da
fare ad Alexander a questo riguardo, non appena fossero rimasti soli.
La
folla li osservò in religioso
silenzio fino a che sparirono dalla loro vista, ma nessuno li
seguì. Poco a
poco, lentamente, tutti tornarono alle loro attività
quotidiane, naturalmente
discutendo nel contempo appassionatamente della vicenda a cui avevano
appena
assistito. Questo argomento di conversazione non si sarebbe esaurito
prima di
parecchie settimane..
*
NdA. Questo di re Joshua è un
capitolo cronologicamente antecedente all’avvento di Drizzt,
ma lo scriverò in
un secondo momento.
|
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Capitolo 10 *** L’incontro con re Joshua ***
Procedevano
a passo spedito in
direzione del castello. L’ultimo tratto di strada si
inerpicava ripidamente su
per la collina e i due furono costretti a rallentare
l’andatura. Ora che si
erano allontanati dal centro del villaggio erano praticamente soli, e
Drizzt
decise che era il momento adatto per affrontare il tema
“Roddy” con Alexander.
Non poteva permettersi di esordire di fronte al re con questo peso
sullo
stomaco.
Si
fermò e contemporaneamente
posò una mano sulla spalla di Alexander, tirandola a
sé per farlo voltare e
poterlo guardare negli occhi.
“Senti,
non so cosa abbia visto
il cacciatore di taglie”, esordì l’elfo
a bruciapelo, “ma quella famiglia non è
morta per mano mia, e…”.
Alexander
prontamente alzò una
mano per interromperlo. “Quando avrai qualcosa da
confessarmi”, gli disse, “lo
farai. Ma sono certo che non è questo il caso.”
“Come
puoi fidarti così
ciecamente di me?”, replicò Drizzt di getto, come
con risentimento, quasi contrariato
dalla reazione disinvolta e fiduciosa di Alexander.
“La
cosa ti disturba?”, domandò
Alexander in tono vagamente divertito.
“No,
certo che no..”, rispose
l’elfo con leggero imbarazzo, “però devi
ammettere che non è normale. Cosa ti
spinge a farlo?”
“Normale?”,
sbottò Alexander con
sufficienza, “La normalità non esiste.
E’ soltanto un concetto astratto creato
per rassicurare le masse. Se proprio devo, posso accordarti il fatto
che si
tratta di una condizione inconsueta. Ma ho le mie ragioni per agire in
questo
modo.”
“Mettiamola
così, diciamo che ho
una sorta di sesto senso”, aggiunse sorridendo in maniera
enigmatica. Un giorno
avrebbe parlato a Drizzt del suo impianto cerebrale e della
capacità
artificiale di percepire gli stati d’animo dei suoi
interlocutori. Un giorno
gliel’avrebbe spiegato, ma non ora.
L’elfo
scosse il capo, vagamente
perplesso.
Si
diressero infine verso la
roccaforte, giungendo di fronte al massiccio portone in legno e bronzo.
Le
guardie all’ingresso strabuzzarono gli occhi quando videro la
strana coppia
avvicinarsi. Due di esse si diressero rapidamente verso il cortile
interno,
sparendo dalla vista. Erano sicuramente andate ad allertare il
comandante
Walros, si disse Alexander. Ruotò gli occhi nelle orbite ben
immaginando il
subbuglio che ne sarebbe seguito.
La
sua previsione si avverò fin
troppo presto. Walros si precipitò fuori dal portone,
seguito da un capannello
di guardie palesemente intimorite dalla presenza di Drizzt.
“Spero
che tu abbia una
spiegazione convincente per questa esotica trovata”, disse Walros pungente
indicando l’elfo con un
cenno delle arcate sopraccigliari.
L’antipatia
fra il comandante
delle guardie e Alexander non era un segreto, ma entrambi erano
pienamente consapevoli
dell’importanza dei rispettivi ruoli e cercavano per quanto
possibile di non
pestarsi i piedi a vicenda.
“Ho
bisogno di vedere re Joshua”,
ribatté Alexander secco.
“Ottimo”,
rispose l’altro con
malcelato sarcasmo, “vai pure. Sai bene che puoi fargli
visita ogni volta che
vuoi. Il drow ti aspetterà buono buono qui, sotto il tiro
dei miei soldati.”
“Il
drow verrà con me”, disse
Alexander facendo appello a tutta la sua calma.
“Non
se ne parla. E’ già molto
che le vedette non l’abbiano abbattuto. Il responsabile della
sicurezza reale
sono io, e non permetterò che questa… creatura si
introduca nel castello!”.
Un
angolo della bocca di Drizzt
si torse impercettibilmente verso il basso, ma l’elfo non
proferì parola. Era
stato apostrofato con appellativi ben peggiori.
Alexander
si avvicinò al
comandante fino quasi a sfiorargli il petto con il suo, gli
afferrò un
avambraccio tirandolo leggermente a sé e gli
parlò a voce bassa, tale da non
farsi udire dalle guardie. Quando ebbe terminato si ritrasse
leggermente, ma
tenne lo sguardo fisso in quello di Walros. Quest’ultimo
socchiuse leggermente
gli occhi, ma non disse nulla. Invece, fece qualche passo indietro e
con un
cenno ordinò alle guardie di lasciar passare i due venuti,
che prontamente
attraversarono il varco creatosi.
L’incontro
con il re fu un evento
straordinariamente sobrio e pacato. Dopo un inevitabile stupore
iniziale,
Joshua accolse Drizzt con benevolenza. Anche l’elfo fu
inizialmente stupito
dalla semplicità e frugalità del giovane sovrano:
non indossava abiti regali,
non era circondato da lusso né servi, non esigeva
particolari formalità di
corte o elaborate formule di saluto (aveva accolto Alexander con una
stretta di
mano e un abbraccio!). Di certo non era così che se lo era
immaginato, ma era felice
che le cose stessero in questo modo.
I
tre uomini passeggiarono per
ore nel perimetro del castello, conversando piacevolmente dei temi
più
disparati.
Dopo
una cena leggera Alexander e
Drizzt ritornarono all’accampamento, soddisfatti e appagati
dalla piega che
aveva preso la giornata.
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Capitolo 11 *** --- Interludio --- ***
Stava
passeggiando solitario nel
bosco. Era rilassato e sereno. Da quando Drizzt aveva rotto il ghiaccio
con la
popolazione locale e aveva cominciato ad integrarsi, anche lui si
sentiva più
tranquillo. Da qualche settimana gli permetteva di lasciare
l’accampamento da
solo, con l’unico obbligo di rientrare per la notte.
Alexander
assaporò i tiepidi
raggi caldi del sole crepuscolare che penetravano tra le fronde degli
alberi.
Camminava senza una meta precisa, voleva semplicemente stare solo con
se
stesso, lasciar vagare i suoi pensieri e ascoltare il fruscio della
natura.
D’un
tratto percepì più che
sentirlo un grido soffocato, seguito da rumori di lotta.
Alexander
si affrettò in
direzione dei rumori che parevano giungere da un punto poco lontano nei
pressi
dell’argine del fiume. Una volta uscito dal limitare della
foresta, nella
tenue luce della sera, spiccò ai suoi
occhi il bagliore di un falò, all’ombra del quale
due figure si contorcevano e
dimenavano. La prima era esile e gracile, non era un umano,
assomigliava di più
ad un elfo.. L’altra invece
era
decisamente un uomo: un uomo robusto e forte che presto prese il
sopravvento
sull’altro. Non ci mise molto a riconoscerlo: era Roddy
McGristle.
Alexander
si sentì avvampare di
collera.
Roddy
aveva ormai bloccato l’elfo
a terra immobilizzandolo sotto il suo peso. Una luce folle brillava
negli occhi
del cacciatore; mentre il grosso petto si alzava e si abbassava
affannosamente
per via dello sforzo, sul viso sporco di terra e sangue si dipinse
un’espressione di crudele esultanza.
Le
sue mani scesero verso il
collo dell’elfo e chiusero la gola sottile in una morsa
d’acciaio.
L’elfo
si dimenava disperatamente
nel vano tentativo di divincolarsi da quella stretta mortale.
Ma
era finita, sapeva che era
così. Era chiaro che non aveva alcuna possibilità
di sfuggire dalla presa del
cacciatore, eppure una parte irrazionale di sé gli impediva
di cedere.. doveva
continuare a combattere, doveva spingerlo via, doveva…
Nonostante i suoi sforzi
non riuscì a liberarsi… Roddy
strinse ulteriormente la morsa attorno alla sua gola.
Annaspò
alla ricerca di aria,
mentre la bocca si apriva e si richiudeva convulsamente.
In
quelle che all’elfo parvero
ore intere, una lunga serie di immagini balzò alla sua
mente: rivisse la sua
infanzia, vide sua madre che lo accudiva, sua sorella, vide gli
abitanti del
suo villaggio natio, vide sé stesso in viaggio con dei
guardaboschi… poi la
vista si oscurò e non vide più nulla.
La
carnagione dell’elfo si fece
bluastra e le forze pian piano lo abbandonarono. Mentre la sua
lucidità
sfumava, sentì la vita che lentamente scivolava
via…
Ma
un potente calcio ben
assestato colse di sorpresa Roddy, facendolo ruzzolare di lato. Mentre
ancora
cercava di capire cosa fosse accaduto, un altro calcio lo
colpì nello stomaco,
costringendolo a raggomitolarsi in una posizione difensiva.
“Lurido
bastardo”, gridò
Alexander accecato dall’ira, mentre con il pesante stivale
sferrava un terzo
colpo.
Allungò
il braccio a pugno
chiuso, puntandolo verso il basso. Dal mezzo guanto che indossava sulla
mano
destra scaturì un fiotto di luce rossa. Si trattava di un
laser ad alta
frequenza che colpì Roddy alla testa. Alexander si
concentrò: il fascio di luce
divenne più intenso e prese a vibrare. Prontamente
l’uomo perse i sensi, i suoi
muscoli contratti si rilassarono senza preavviso e la testa cadde
sull’erba con
un tonfo sordo.
Alexander
sputò con sdegno sul
corpo disteso, poi si voltò, recandosi dall’elfo
per accertarsi che stesse
bene.
L’elfo
era ancora disteso a
terra, immobile ma vivo. Alex si inginocchiò al suo fianco.
Constatò che aveva
ripreso a respirare autonomamente, così prese a
massaggiargli il collo livido e
dargli dei colpetti sulle guance per farlo rinvenire.
“Ehi,
svegliati”, gli disse, “il
peggio è passato”.
L’elfo
lentamente riaprì gli
occhi ed il suo sguardo corse subito alla figura massiccia accasciata
al suolo
a pochi passi da loro.
“Non
si riprenderà tanto presto,
credimi.”, disse Alexander rassicurante, “Ma faremo
meglio ad andarcene. Non
vorrei essere nei dintorni quando tornerà in
sé.”.
L’elfo
non disse nulla, ma i suoi
grandi occhi verdi luccicarono eloquentemente di gratitudine.
“Qual
è il tuo nome, elfo?”,
chiese Alexander quando furono abbastanza lontani, al sicuro nel folto
del
sottobosco.
“Mi
chiamo Linuviel*, e a dire il
vero sono elfo soltanto per metà”, rispose
l’altro con una punta di amarezza
nella voce.
“Hai
rischiato molto aiutandomi
poco fa. Ti ringrazio davvero”.
“Non
preoccuparti, è stato un
piacere”, rispose Alex sincero.
Un
sorriso malinconico comparve
sulla bocca del mezz’elfo.
Mentre
procedevano Alexander
lanciò di tanto in tanto delle occhiate furtive alla
creatura che camminava accanto
a lui: il corpo smunto del mezz’elfo era scosso da tremiti,
si stringeva le
braccia convulsamente e camminava mesto nella penombra.
Era
sicuramente molto provato
dall’accaduto, ma c’era anche
dell’altro… Tentò di scandagliare la
sua mente
per cercare di afferrare qualche sfumatura importante, ma
ciò che percepì fu
solamente un grande caos. Percepì un groviglio di emozioni e
pensieri
ingarbugliati che facevano soltanto presagire la complessità
di quella persona.
L’unica cosa che gli fu chiara, fu che Linuviel aveva un
animo molto sensibile.
Un animo che portava i segni indelebili di una lunga e duratura
sofferenza, e
Alexander ne ebbe compassione.
Non
riuscì a leggere nulla di più
dettagliato; avrebbe dovuto scoprire ulteriori informazioni nella
maniera
tradizionale.
“Cos’è
accaduto poco fa giù al
fiume?”, domandò con garbo.
“Mi
stavo preparando a passare la
notte lì. Sono stato colto alla sprovvista..”
“Già,
ma perché il cacciatore ti
ha attaccato? Perché ti voleva uccidere?”,
insistette Alexander.
Il
mezz’elfo esitò..
“Perché…
ho aiutato la sua preda
a fuggire”, disse infine laconico.
“La
sua preda? Spiegati meglio”,
chiese Alexander socchiudendo gli occhi in un barlume di sospetto.
Linuviel
sospirò. “Mi hai salvato
la vita, non ho motivo di mentirti. La sua preda era un drow
fuggitivo.”
“So
che sembra pazzesco”, si
affrettò ad aggiungere, “ma quell’elfo
non è affatto malvagio come si potrebbe
pensare e…”
Linuviel
si interruppe,
rendendosi conto che l’uomo era rimasto indietro di diversi
passi, con un’espressione
stralunata sul volto. “Che
c’è?”, domandò allarmato.
D’un
tratto Alexander si sciolse
in una genuina risata.
“Vieni
con me amico mio, immagino
che ti farà piacere conoscere quel drow di
persona!”.
*
Per il personaggio di Linuviel
mi sono ispirata, seppur molto vagamente, a Kellindil, il ranger elfo
che ha
aiutato Drizzt ed è poi stato ucciso da Roddy McGristle in
“L'esilio di Drizzt”. Non ho
mai digerito questa morte!! Attenzione: Linuviel è un
personaggio
psicologicamente molto interessante. Gli dedicherò una
storia a parte dopo i
capitoli incentrati prettamente su Drizzt. J
|
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Capitolo 12 *** Imboscata ***
Alexander
si destò di
soprassalto. Delle gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte
mentre
cercava di capire cosa stesse succedendo.
Gli
pareva di aver sognato un
urlo. Un urlo penoso e straziante che aveva preso a rimbombargli nel
cervello
fino a svegliarlo. Per un attimo fu tentato di rimettersi a dormire, ma
qualcosa gli diceva che non si trattava di un sogno. Cercò
nella sua mente la
fonte di quella percezione e istintivamente la associò a
Drizzt. C’era qualcosa
di sbagliato… di terribilmente sbagliato!
L’uomo
balzò giù dal letto
recandosi a grandi falcate verso la tenda del drow: il letto era vuoto!
Senza
neppure pensare a ciò che
stava facendo, si vestì in fretta e furia, sellò
un cavallo e si precipitò
fuori dall’accampamento, nel fitto del bosco, lasciandosi
guidare solamente
dall’istinto.
Dopo
alcuni minuti al galoppo le
sue percezioni si fecero più nitide: il drow doveva essere
vicino. Spronò
ulteriormente il cavallo ma ormai si trovava nel folto del sottobosco e
l’andatura dell’animale rallentava progressivamente
ad ogni passo, riducendosi
infine ad un blando trotto. Alexander distingueva ormai chiaramente
l’aura
mentale dell’elfo, ne coglieva il dolore e
l’agonia.
Che diavolo sta succedendo?
Avvertiva
il pericolo tutto attorno
a se, ma non riusciva ad individuarlo. Si trattenne dal gridare il nome
del
drow.
D’un
tratto, senza alcun
preavviso, una spessa corda si sollevò dal terreno
tendendosi a mezz’aria. Il
cavallo riuscì ad abbassare il collo muscoloso e a procedere
illeso, ma
Alexander non ebbe il tempo di reagire e venne disarcionato cadendo a
terra
sulla schiena con un tonfo sordo.
La
prima cosa di cui fu cosciente
fu l’aria, che per il contraccolpo gli uscì
violentemente dai polmoni
lasciandolo senza fiato. Immediatamente due figure umanoidi gli furono
addosso
e lo colpirono brutalmente alla testa. L’uomo
sentì un rivolo di sangue caldo
solcargli le tempie, poi perse conoscenza.
Quando
ritornò in sé, Alexander
si ritrovò inginocchiato a terra con le mani legate sopra la
testa, la corda
appesa ad un grosso ramo. Una crosta di sangue rappreso gli offuscava
la vista
da un occhio. Sentiva la testa scoppiargli dal dolore e dovette
mettercela
tutta per ritrovare la lucidità.
Era
ancora notte e l’uomo si
sforzò di distinguere qualcosa alla debole luce della luna.
Con orrore si rese
conto che proprio di fronte a lui, a qualche metro di distanza, Drizzt
era
legato come una bestia e appeso ad un ramo esattamente come lui. Era
svenuto e
la testa ciondolava, ondeggiando con la brezza notturna.
No…
Alexander
si guardò attorno con
circospezione e ai margini del suo campo visivo vide tre figure
accovacciate
accanto a un fuoco. Le sentì confabulare fra di loro ma non
riuscì a
distinguere le parole. Nonostante il dolore alla testa tentò
di estendere la
sua percezione psichica, ma una fitta lo fece gemere e lo costrinse a
desistere. Il suo gemito tuttavia richiamò
l’attenzione della banda: i tre si
voltarono. Due erano mezz’orchi mercenari, mentre la terza
figura era niente
poco di meno che Roddy McGristle!
“Ben
risvegliata bella
addormentata”, lo schernì il cacciatore.
“Te l’avevo detto che te l’avrei fatta
pagare”. Alexander strinse i denti. Quel tono
inquietantemente pacato lo fece
rabbrividire.
“A
te e a questo bastardo!”,
l’uomo si voltò di scatto, afferrò per
le spalle l’elfo ancora svenuto e lo
colpì con una ginocchiata nel torace. Il drow
tornò improvvisamente in se,
tossendo incontrollatamente e sputando sangue.
“Lascialo
stare maledetto!”, urlò
Alexander con quanto fiato aveva in gola.
Roddy
emise una roca risata
malvagia che crebbe lentamente d’intensità.
“Sì, avanti, implorami! Implora
pure pietà per te e il tuo amichetto. Tanto non ne
avrai!”. Un’altra risata
sguaiata… Il cacciatore gioiva di quel senso di potere. Si
compiaceva del ruolo
di aguzzino.
Alexander
pensò immediatamente di
dare l’allarme ai suoi all’accampamento, ma
rinunciò: non era nelle condizioni
di poter inviare psionicamente un messaggio preciso, non aveva
abbastanza
lucidità per descrivere telepaticamente le loro condizioni e
richiedere un
intervento stealth. Qualcuno sarebbe arrivato, certo. Ma i malviventi
se ne
sarebbero accorti e avrebbero avuto tutto il tempo di ammazzare lui e
Drizzt e
di fuggire indisturbati. No, dovevano cavarsela da soli…
D’un
tratto il cacciatore impartì
degli ordini ad uno dei mercenari e questo sogghignò
sadicamente. Dopo essersi
portato alle spalle dell’elfo cominciò a frustarlo
con una catena. Una volta,
due volte, dieci, quindici frustate. Il viso di Drizzt era una maschera
di dolore,
ma dalla sua gola non fuoriuscì un suono.
Alexander
tentò di distogliere lo
sguardo ma scoprì di non poterlo fare.
Devo fare qualcosa, e alla svelta!
L’uomo
tentò di ruotare i polsi
nella stretta delle corde per saggiarne la resistenza. Niente da fare.
Dannazione!
Forse
avrebbe potuto mettere
fuori combattimento almeno i due mercenari con il laser del mezzo
guanto. Gli
sarebbe costato un bel po’ di energia psichica, ma doveva
tentare. Se solo
fosse riuscito a inclinare il polso un po’ di più
per dargli l’angolazione
giusta. Solo un altro po’… solo
un’altra…penosa… torsione del
braccio…
Ma
il secondo mezz’orco se ne
accorse e con un grugnito lo colpì al costato con
l’elsa della spada.
Un
dolore lancinante lo pervase.
L’uomo rimase senza fiato e gemette rumorosamente nel
tentativo di prendere
aria. I muscoli dell’addome non volevano obbedirgli e dovette
lottare per non
venir meno.
Il
cacciatore osservò compiaciuto
la scena, poi quando fu certo che l’uomo lo potesse vedere,
afferrò Drizzt per
i capelli e lo strattonò all’indietro,
costringendo quest’ultimo a sollevare la
testa. “Guardalo bene”, disse ad Alexander con un
sorriso spietato, “Guarda
questo bastardo e dimmi se vale la pena morire per lui!”.
Alexander
non disse nulla. Non
c’era nulla da dire. Non si poteva ragionare con un essere
talmente crudele.
Sentì lo sconforto assalirlo…
NO! Non può finire così! No!
Digrignò
i denti. Estese i suoi
tentacoli mentali al mercenario che aveva accanto. Il dolore lo pervase
ma
ormai non gli importava. Nulla aveva più importanza se non
la mera
sopravvivenza.
Avvertì
la mente relativamente
ottusa del mezz’orco ritrarsi al suo tocco. I tentacoli la
avvolsero e la
strinsero. Il mezz’orco cadde in ginocchio e si
afferrò la testa fra le mani
urlando. “Che diavolo succede? Che diavolo mi sta
succedendo?? E’ nella mia
testa! E dentro la mia testa!!”, gridò. Alexander
strinse ulteriormente la
presa e il mezz’orco si accasciò al suolo senza
più un suono.
“Questa
è stregoneria!”, gridò il
secondo mercenario, ma non fece in tempo ad allontanarsi
perché l’attenzione di
Alexander si rivolse su di lui. Il mezz’orco fece presto la
fine del suo
compagno.
Roddy
socchiuse gli occhi,
tentando di capire ciò che stava accadendo. Tentando di
capire se aveva a che
fare con uno stregone o se si trattava di un trucco.
Alexander
ansimava. Era pervaso
da fitte lancinanti e si sentiva la testa scoppiare. Ma non poteva
fermarsi.
Roddy
brandì la sua ascia e si
lanciò contro di lui, ma si fermò attonito dopo
pochi passi. Avvertì le propaggini
della mente dell’altro uomo farsi strada dentro la sua.
“Che diavoleria è mai
questa?”, sussurrò mentre cominciavano le prime
fitte. Alexander attanagliò le
spire e strinse. Vide il cacciatore accasciarsi al suolo e lo
sentì gemere.
Pensò a tutto ciò che avevano dovuto subire sia
lui che Drizzt. Soprattutto
Drizzt. Tutte le umiliazioni, il dolore, le percosse…
Nessuna pietà!
Strinse
ancora. Lo vide
contorcersi a terra come un verme e provò una sorta di
sadica soddisfazione.
Sentiva le forze venirgli meno e la sua stretta si indebolì.
Le sue energie
erano agli sgoccioli e non era certo di poter avere la meglio sul
cacciatore e
al contempo sopravvivere. Ogni ferita inflitta alla mente di McGristle
lo
spingeva sempre più vicino al punto di non ritorno. Ma non
gli importava,
quella persona spregevole doveva morire, non importava che il prezzo da
pagare
fosse la sua stessa vita…
Ma
mentre infuriava questa
silenziosa lotta, Alexander posò gli occhi in quelli tristi
di Drizzt. Oltre al
dolore e alla spossatezza, l’uomo fu sorpreso di leggervi
anche una tacita
supplica. Con quello sguardo il drow lo stava implorando di smetterla,
di
spezzare quel cerchio di morte e vendetta. E Alexander capì:
l’amico aveva
ragione. Non si poteva lavare il sangue con altro sangue. La morte non
cancellava la morte… come aveva fatto a lasciarsi
trasportare fino a quel punto
dall’ira?
Lentamente,
spossato, l’uomo si
ritirò dalla mente del cacciatore. Quest’ultimo
giacque immobile su un letto di
foglie e terriccio. Inerte ma vivo.
Alexander
racimolò le forze. Con
il briciolo di lucidità rimastagli, realizzò che
doveva usare le sue ultime
energie per liberarsi. Faticosamente ruotò il polso dolente
stretto fra le
corde. Con quell’angolazione non sarebbe mai stato in grado
di usare il laser
del mezzo guanto per liberare se stesso, ma con un po’ di
fortuna sarebbe
riuscito a bruciacchiare le corde di Drizzt. Così fu: dopo
vari tentativi la
corda che teneva appeso il drow cominciò a sfilacciarsi, ed
infine cedette
sotto il suo peso.
Il
drow ci mise poco a liberare
se stesso e l’amico, ma Alexander non se ne rese conto
poiché era piombato in
un profondissimo stato di incoscienza.
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