Drizzt Do'Urden

di Shandris
(/viewuser.php?uid=43808)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Il prigioniero ***
Capitolo 3: *** Drizzt ***
Capitolo 4: *** L'alba ***
Capitolo 5: *** All'accampamento ***
Capitolo 6: *** Il mercante ***
Capitolo 7: *** Il risveglio ***
Capitolo 8: *** Un bagno caldo ***
Capitolo 9: *** Una vecchia conoscenza ***
Capitolo 10: *** L’incontro con re Joshua ***
Capitolo 11: *** --- Interludio --- ***
Capitolo 12: *** Imboscata ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Questa storia si svolge in una sorta di "universo parallelo".
Alexander, che è in sostanza il protagonista delle vicende, è a capo di una spedizione esplorativa proveniente dalla nostra Terra.
Alexander è al comando di una cinquantina di soldati specializzati, e vive assieme a loro in un accampamento altamente tecnologico nel regno di Lordaeron, a pochi chilometri di distanza dalla capitale.
Il campo base è attrezzato con le più moderne tecnologie fra cui pannelli solari per la produzione di energia, una sala operatoria, armi moderne ecc. Queste tecnologie però non possono uscire dal campo, se non in casi di estrema necessità, questo per non "contaminare" il mondo da esplorare.

Ad Alexander è stato impiantato un dispositivo cerebrale che gli permette di percepire e "leggere" i campi elettromagnetici prodotti dagli altri esseri viventi. Non si tratta di vera e propria telepatia, diciamo piuttosto che può percepire gli stati d'animo e i pensieri ma solo a grandi linee. Essendo una tecnologia completamente nuova, nemmeno Alexander è pienamente consapevole delle sue potenzialità (...)

Per il resto si tratta di una storia fantasy con ambientazione forgotten realms.
Le vicende sono incentrate più che su gesta eroiche, sui grandi fatti umani come l'amicizia, l'amore, l'accettazione, l'onestà.

Spero vi piaccia!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il prigioniero ***


1

Alexander camminava pensieroso nel fitto bosco  quando all’improvviso avvertì una vibrazione particolare nel suo campo psichico. Cercò di individuarne il punto d’origine tentando di definire la direzione di provenienza del segnale che riceveva. Cominciò a coglierne i contorni sfumati.. era una vibrazione che aveva un che di vagamente doloroso, ma probabilmente la fonte era lontana perché non riusciva a mettere a fuoco il segnale.

Alexander si fermò, chiuse lentamente gli occhi e si concentrò a fondo. Nord-ovest. Si incamminò in quella direzione tentando di stabilire un contatto telepatico con la mente sofferente.

D’un tratto il segnale divenne sorprendentemente nitido: si, era dolore ciò che quella vibrazione trasmetteva. Dolore frammisto ad una rassegnata disperazione.

La furia cominciò a montare in lui, mentre accelerava il passo. Dopo poco il sottobosco si infittì e lo costrinse a rallentare per farsi largo fra i rampicanti che ostruivano la via.

 

Ed ecco che finalmente intravide nella penombra, in una radura a qualche decina di metri di distanza, un carro di legno costruito a mo’ di gabbia che conteneva una figura curva.

Alexander si fermò ai confini della radura e, facendosi scudo con i rovi del sottobosco, scostò una manciata di foglie per esaminare la situazione restando inosservato. Non appena si rese conto di quello che stava vedendo, un brivido irrazionale gli scese per la schiena: un elfo scuro, un drow dalla pelle nera e dai lunghi e folti capelli bianchi, sedeva curvo nella gabbia angusta, con le mani legate dietro la schiena ad uno dei pali di legno. Le gambe giacevano semidistese sul pavimento; la testa era china in avanti sul petto, i capelli gli coprivano il viso nascondendolo.

Alexander non aveva bisogno di vederne i lineamenti somatici per dedurne la sofferenza: i tratti mentali lo indicavano già in modo sufficientemente eloquente. Era una sofferenza stratificata, dovuta principalmente a patimenti fisici, fame, sete, percosse.. ma in profondità c’era qualcos’altro.. qualcosa di terribilmente inquietante: un intimo tormento dovuto a... disillusione? Frustrazione? Alexander non riusciva a capirlo, ma decise che non era quello il momento di indagare. L’elfo stava evidentemente male e aveva bisogno di aiuto, e lui non aveva altra scelta che intervenire.

 

Per qualche secondo tentennò, soffermandosi a riflettere sulle implicazioni che avrebbe potuto comportare l’avvicinarsi a un drow. Una serie di leggende, racconti, proverbi, ammonimenti gli attraversarono la mente come un lampo. Li soppesò per qualche istante, ma ben presto li scacciò come avrebbe potuto scacciare una mosca.

 

Una volta controllato, sia visivamente sia psionicamente, che il campo fosse libero, Alexander uscì allo scoperto e si diresse verso la gabbia.

L’elfo scuro alzò lievemente il capo, la sua attenzione richiamata dal rumore prodotto dagli stivali di Alexander sul terreno. Sollevò stancamente le palpebre, rivelando due  penetranti (e tristi) occhi viola. Il  respiro si fece leggermente più affannato man mano che l’elfo riprendeva del tutto conoscenza.

Quando si trovava a pochi passi dalla gabbia, Alexander si fermò per un istante e fissò lo sguardo su quello del prigioniero. Le iridi viola avevano assunto un atteggiamento di sfida e ostentavano rabbiosa diffidenza, ma Alexander si sentì allo stesso tempo investire da una potente ondata mentale che trasmetteva angoscia, dolore, tormento e… e... sete? Sete.

 

Diventando improvvisamente consapevole dell’ambiente circostante, Alexander si rese conto che la radura era abbastanza ampia da restare assolata per buona parte della giornata.

Il calore di una giornata di fine estate, il tettuccio metallico della prigione e chissà quanti giorni di sevizia… Al diavolo tutti i maledetti aguzzini di questo dannato mondo, pensò furente, mentre scuotendo la testa amareggiato, sfilava la tracolla della borraccia.

Sul viso del drow si dipinse un’espressione incredula che per un breve istante riuscì persino a nascondere la malinconia dei suoi lineamenti.

Mentre svitava l’apertura della borraccia, Alexander si avvicinò alla gabbia. Infilò il braccio fra le sbarre e versò acqua fresca nella bocca arsa e assetata dell’elfo, che rovesciò il capo all’indietro e per diversi secondi continuò ininterrottamente a deglutire avidamente, fino a che la borraccia fu completamente vuota. Si leccò le labbra per recuperare anche le ultime gocce, poi, quando Alexander ritrasse finalmente il braccio, l’elfo lo guardò con un’espressione enigmatica che avrebbe potuto essere un misto di stupore e profonda gratitudine, ancora velate però da una sottile cortina di diffidenza.

 

Alexander decise che era il momento di provare a stabilire un contatto.

“Parli la mia lingua?”, chiese incerto. Non sapeva nulla degli appartenenti a questa razza, se non quello che narravano le leggende. E le leggende erano unanimi nell’attribuire alla razza dei drow un’indole sanguinaria e violenta, malvagia e perversa, incompatibile con qualsiasi razza di superficie.

Ma quanto poteva essere attendibile una leggenda?

 

L’elfo annuì lievemente, ora la sua espressione tradiva un accenno di curiosità.

 

“Hai fame?” chiese Alexander

Anche questa volta la risposta fu un unico, lento cenno.

Alexander si sfilò il pesante zaino da ricognizione dalle spalle e lo appoggiò a terra con un tonfo sordo. Frugando fra le tasche afferrò un contenitore rigido da cui estrasse qualche fetta di carne salata e dei pezzi di formaggio stagionato. Da un altro contenitore recuperò alcuni frutti secchi.

Con questa manciata di viveri si accostò nuovamente alle sbarre, per nutrire il drow prigioniero boccone dopo boccone.

 

Ad un tratto i suoi sensi psionici lo misero all’erta. Qualcuno si muoveva entro i confini del suo campo di percezione telepatica. L’aguzzino, senza ombra di dubbio.

Alexander infilò senza troppi complimenti gli ultimi bocconi nella bocca dell’elfo, afferrò lo zaino, e si avviò  a grandi passi verso il limitare della radura. Una volta raggiunto il fogliame più fitto, Alexander posò nuovamente a terra la sacca e si mise ad osservare la scena.

 

L’aguzzino era un uomo basso e tarchiato, dall’aspetto non troppo onesto. Vesti ricercate, anelli preziosi.. conduceva per la briglia un cavallo dalla bardatura semplice ma elegante, e si avvicinava alla gabbia lentamente e con un fare soddisfatto e supponente..

Alexander si convinse che aveva tutta l’aria di essere un mercante. Avrebbe indagato, ma non ora. Si era fatto tardi ed era ora di rientrare all’accampamento. Sarebbe tornato l’indomani, con altro cibo e altra acqua..

 

Mentre si allontanava silenziosamente, domandandosi come si sarebbe comportato se il mercante lo avesse scovato accanto al suo carro, le sue viscere si contrassero con un tenue sussulto, e Alexander si sorprese a provare un’intensa fitta di pietà e compassione per il drow. E anche un vivo senso di colpa per averlo abbandonato alla sua sorte...

Ma doveva andare, i suoi doveri lo chiamavano.

Sarebbe tornato all’alba..

Sarebbe tornato.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Drizzt ***


1

Drizzt seguì con lo sguardo l’uomo che si allontanava, mentre il suo cervello pensava furiosamente e disperatamente. Chi era quell’uomo? Perché lo aveva aiutato? Perché gli aveva rivolto la parola? Da quando viveva in superficie nessuno gli aveva mai rivolto parole che non fossero insulti o minacce, umani, elfi o nani che essi fossero.

Da quando si era avventurato al di fuori di Buio Profondo era riuscito a ispirare solo paura e sospetto. Suo malgrado seminava terrore nelle popolazioni pacifiche e riscuoteva tutt’al più timorosa deferenza fra i razziatori e le razze “malvagie”.

 

Cercava accettazione e raccoglieva odio. E questo lo riempiva di dolore e frustrazione. La reputazione della sua razza lo precorreva, il suo aspetto era la sua maledizione.

Che avesse rinnegato tutti gli aspetti sanguinari del popolo da cui proveniva, nessuno lo sapeva. Nessuno era minimamente desideroso di scoprire le sue vere intenzioni.

Drizzt voleva solamente avere una possibilità. Una soltanto, di dimostrare il suo valore e la sua bontà d’animo per distruggere l’infondata ombra di malvagità che lo avviluppava e precedeva. Ma l’occasione non si era mai presentata.

 

Dopo mesi di vita in superficie le sue speranze si erano affievolite, ed erano crollate del tutto dopo che, in seguito ad un agguato, era stato aggredito e fatto prigioniero dal mercante e dai suoi loschi collaboratori: era accaduto poco più di due settimane prima, mentre cercava un riparo per la notte. Fu sorpreso dai quattro uomini armati guidati dal mercante.

Lo avevano immobilizzato da lontano, con una freccia intinta in un veleno blando. Lo picchiarono a sangue per prevenire ogni reazione. Lo seviziarono con braci ardenti, acidi e bastoni. Giocarono con lui sadicamente e con crudeltà, senza alcuna considerazione né rispetto per la sua vita, esattamente come un bambino avrebbe potuto fare con una lucertola.

Infine lo legarono e lasciarono per giorni senza cibo ne acqua per fiaccarlo nel corpo e nell’anima, e scongiurare così ogni eventualità di ribellione.

Quando decisero che il drow aveva avuto ciò che gli spettava, lo buttarono nella gabbia procurata dal mercante, riscossero il loro compenso e si dileguarono. L’uomo era convinto che il suo prigioniero, debitamente incatenato, sarebbe stato un ottimo “pezzo da esposizione” con cui qualche ricco nobile avrebbe potuto stupire i suoi ospiti.

 

Nelle due settimane seguenti Drizzt era rimasto recluso nell’angusta prigione; erano state due settimane di privazioni e stenti che, sommate all’incognita del suo futuro, lo avevano logorato nel profondo..

 

Ma ora questo episodio aveva riacceso una scintilla nel suo cuore.

Quella speranza era in quel momento il suo unico appiglio, e l’unica ragione che potesse dargli la forza di  sopportare il suo tormento. Aveva un disperato bisogno di credere all’idea che esistesse qualcuno che potesse dargli anche solo un briciolo di fiducia.

Accarezzò quell’idea e infine vi si aggrappò completamente…

 

Un colpo di bastone ben assestato colpì l’elfo fra le reni e lo riportò bruscamente alla realtà.

“Sveglia drow!” gridò la voce ostile e sadica del mercante. “Ti ho portato qualcosa da mangiare, lurida carogna” disse l’uomo con una punta di crudele allegria, mentre gettava un brandello di carne rancida sul pavimento della gabbia. Poi gli slegò le mani e si allontanò con noncuranza

.

Fra lui e il mercante si era instaurato un “non-rapporto” fatto di ostile freddezza. Drizzt lo ignorava per quanto possibile, mentre l’uomo in genere si limitava a stuzzicarlo con il bastone nei suoi attacchi di sadismo.

 

Con il piede Drizzt spinse la carne cruda e visibilmente avariata fuori dalle sbarre, e si rannicchiò in un angolo. Il mercante gli aveva già voltato alle spalle e si era allontanato per contare gli incassi della giornata e preparare poi un giaciglio per la notte.

Drizzt si massaggiò i polsi lividi e contrasse i muscoli intorpiditi nel vano tentativo di trovare una posizione meno dolorante. Non appena sentì che il respiro del mercante si era fatto marcato e regolare, capì che doveva essersi addormentato; riuscì finalmente a rilassarsi un poco e tornò a pensare a ciò che era accaduto soltanto poche ore prima. Rivisse la scena dentro di se decine di volte, traendo speranza  e conforto dall’immagine del volto di quello straniero.

 

L’elfo scivolò lentamente in un sonno tormentato. Sognò se stesso nudo, mentre un uomo alto e muscoloso dal volto irriconoscibile rideva di lui e lo sferzava meschinamente con una frusta.

 

La mattina i primi raggi di sole penetrarono fra le sbarre e Drizzt si risvegliò immerso in un bagno di sudore e con il respiro affannoso. Deglutì e il pensiero corse subito agli avvenimenti del giorno precedente. Era accaduto veramente o era stato solo un sogno? L’acqua, il cibo, l’uomo con la frusta… tutto si mischiava in un turbinio di pensieri e alle prime luci del mattino gli eventi della sera prima gli parvero per un attimo evanescenti e irreali..

 

D’un tratto Drizzt avvertì un tocco mentale familiare.. Da quando si trovava in superficie aveva perso quasi totalmente le sue abilità psioniche attive, ma era ancora perfettamente in grado di percepire una mente che si muoveva nel suo campo d’azione.

 

Era proprio lui! L’uomo della sera prima. Non riusciva ancora a vederlo, ma non aveva dubbi sulla sua identità.

 

Il cuore dell’elfo sussultò violentemente di un qualcosa che assomigliava molto alla gioia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** L'alba ***


1

Il mercante si svegliò stiracchiandosi sonoramente. Fece colazione con della frutta e una pagnotta che teneva avvolta in un tovagliolo. Lanciò qualche torsolo di mela nella gabbia dell’elfo, poi si apprestò a ricomporre il giaciglio. Dopo pochi minuti, senza una parola, legò nuovamente le mani dell’elfo ad uno dei pali di legno, montò a cavallo e partì alla volta del villaggio.

 

Alexander, che aveva osservato attentamente la scena, attese per sicurezza ancora qualche minuto, poi uscì allo scoperto. Come la sera prima posò lo zaino a terra ed frugò alla ricerca della borraccia e del cibo. Mentre Alexander rovistava, Drizzt parlò con voce limpida e malinconica: “Ho sperato con tutto il cuore che tornassi”.

Alexander si alzò in piedi con le provviste in mano e si avvicinò al carro soppesando i suoi pensieri.

“Nessuno merita di morire di stenti” disse infine con tono neutrale.

Decise di non slegare le mani drow. Non ancora. Voleva studiarlo e capire cosa doveva aspettarsi da lui. Sicuramente l’elfo scuro sperava di usarlo come mezzo per liberarsi dalla sua prigionia, ma sondando la sua mente Alexander si rese conto che non era quello l’unico movente. Una vibrazione nascosta parlava di bisogno di accettazione ed empatia.. oltre al mero istinto di sopravvivenza, il drow era mosso anche da sentimenti molto più profondi e onorevoli. Alexander si fece più attento, nella speranza di carpire dettagli più precisi.

 

Gli diede da bere e da mangiare come aveva fatto la sera prima, ma questa volta senza interruzioni di sorta. Dopo diversi bocconi e sorsate l’elfo diede segni di sazietà e Alexander ripose gli avanzi nella sacca.

“Ti ringrazio infinitamente” disse infine il drow.  Anch’egli tentava di scandagliare le intenzioni dell’uomo. La sua presenza rappresentava per Drizzt un sollievo sia per il corpo che per la mente, ma una parte della sua coscienza lo metteva in guardia. In effetti perché l’uomo avrebbe dovuto aiutarlo? Per pura pietà? Una qualità rara a questo mondo..

O c’erano piuttosto altri interessi in gioco di cui lui era all’oscuro? Forse quest’uomo era solamente un brigante in cerca di un valido alleato.. oppure poteva essere un altro mercante di schiavi, interessato a lui soltanto quale merce di scambio.

D’un tratto gli tornò in mente il sogno di quella notte… un uomo dal volto imperscrutabile che lo derideva e lo torturava..

Drizzt chiuse gli occhi e strinse i denti, mentre un’ondata di sconforto minacciò di travolgerlo.

No! No… non poteva essere! Questo era l’unico appiglio che aveva per evitare di cadere nella disperazione più nera.

Non poteva essere..

 

“Come ti chiami?”

La voce dell’uomo risuonò mite in quella tiepida mattinata estiva, strappando il drow al vortice dei suoi pensieri.

 

“Drizzt” rispose l’elfo. “Drizzt Do’Urden”, aggiunse, mentre si sforzava di ricordare l’ultima volta in cui aveva pronunciato di fronte a qualcuno il suo nome completo.

“Va bene Drizzt, io sono Alexander. Vorresti raccontarmi brevemente cosa ci fa un drow in superficie?” chiese l’uomo gesticolando in maniera interrogativa.

“Credevo che la tua razza vivesse al buio in quelle vostre città sotterranee. Sei stato catturato durante un’incursione?” . Alexander vide l’elfo scuro inorridire, mentre socchiudeva gli occhi a mo’ di fessura e scuoteva la testa lentamente in segno di diniego. Si disse che forse aveva parlato con troppa arroganza e probabilmente aveva dato una dose eccessiva di supponenza alla sua voce.

“Scusa, mi dispiace”, ritrattò, “quello che voglio dire è che la tua situazione è decisamente insolita.. diciamo pure anomala e..” dopo una breve esitazione decise che era venuto il momento di scoprire le carte, “se voglio tirarti fuori da lì devo prima sapere fino a che punto posso fidarmi di te”.

 

Le pupille dell’elfo si dilatarono mentre Alexander pronunciava l’ultima frase.

“Non ho modo di provarti di essere degno della tua fiducia”, rispose Drizzt sentendosi improvvisamente a disagio, “ma se vuoi posso raccontarti la mia storia”.

 

“Ti ascolto”, rispose Alexander soddisfatto, mentre si sedeva sull’erba con le gambe incrociate.

 

Drizzt fece un respiro profondo e cominciò.

Parlò a lungo, raccontando la sua storia con tono neutrale. Parlò ad Alexander di Menzoberranzan, del concetto distorto di famiglia per i drow, delle motivazioni che lo avevano spinto all’esilio volontario e delle sue disavventure in superficie. Terminò con la narrazione della sua recente cattura e degli ultimi giorni di crudele prigionia.

Alexander fu colpito soprattutto dalla totale mancanza di autocommiserazione nel tono dell’elfo. Era come se stesse parlando di qualcun altro…

 

Quando l’elfo terminò il suo racconto, Alexander rimase in silenzio per diversi minuti, riflettendo su ciò che aveva appena sentito. Infine si alzò, e con fare pensieroso si caricò distrattamente lo zaino sulle spalle.

 

“Te ne vai”, disse il drow con tono disilluso. Non era una domanda.

“Tornerò”, lo tranquillizzò Alexander guardandolo fisso negli occhi.

“Non ti lascerò qui a marcire. Su questo ci puoi contare”.

 

Alexander se ne tornò all’accampamento, accompagnato dallo stesso subdolo senso di colpa che aveva provato il giorno precedente.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** All'accampamento ***


1

Alexander aveva bisogno di restare solo e riflettere. Aveva bisogno di calcolare i danni potenziali che avrebbe potuto causare un suo errore di valutazione…

 

Arrivato all’accampamento lo attraversò, recandosi alla tenda adibita a mensa. I suoi cinquanta soldati stavano terminando il pranzo, e lo salutarono amichevolmente al suo arrivo. Rispose debolmente ai saluti, si procurò della zuppa calda e si sedette da solo ad un tavolo vuoto, dove cominciò soprappensiero a rimestare la minestra, senza molto appetito.

 

Non aveva paura del drow: era debole e affranto; era disarmato, e i poteri psionici di cui era dotato non potevano competere con i suoi.

Non era per la sua stessa vita che temeva, ma per quella degli abitanti del villaggio e degli ignari viandanti. Se quella del drow fosse stata soltanto una messinscena ben architettata, liberandolo Alexander avrebbe messo in pericolo molte persone innocenti.

D’altra parte era pressoché certo della buona fede dell’elfo scuro. Se anche non fossero bastate le parole del racconto di Drizzt a convincerlo, le sue onde psichiche erano comunque inconfondibilmente sincere.

Ma anche così come poteva prevedere le reazioni della gente comune? Se gli abitanti del borgo, spaventati, avessero deciso di aggredirlo, come avrebbe reagito il drow? Minacciato e messo alle strette avrebbe potuto diventare realmente pericoloso. Alexander si sentiva ed era responsabile per il destino del borgo e non poteva ignorare le potenzialità delle sue azioni, per quanto buone fossero le intenzioni.

 

Emise un sonoro sospiro che era un misto fra un gemito di frustrazione e uno sbuffo di spossatezza.

D’un tratto una mano forte gli cinse una spalla, mentre una voce bonaria lo salutava. Era Mark, il responsabile dell’ala medica, e la figura più vicina ad un amico che Alexander avesse all’interno del campo.

“Dove sei stato discolaccio? Guarda che qui siamo tutti in pensiero quando non ci sei! Prometti di fare il bravo d’ora in poi”, lo prese in giro Mark.

“Si mammina” rispose Alexander sorridendo, ma la sua espressione tornò presto ad assumere dei toni pensierosi.

Mark si accorse dell’inquietudine del suo comandante e amico, e decise di occupare il posto vuoto di fronte a lui, eliminando ogni traccia di umorismo dal suo viso. “C’è qualcosa che ti turba, non è vero?”, gli chiese sinceramente preoccupato.

 

Alexander sollevò per un istante lo sguardo dal piatto per osservare l’amico, poi tornò a concentrarsi sui fagioli che galleggiavano nella minestra. “C’è una persona  che ha un disperato bisogno del mio aiuto”, disse con uno sguardo vacuo e lontano, “e ho intenzione  di aiutarla, perché probabilmente è questione di vita o di morte, ma… ho paura delle conseguenze collaterali del mio gesto”.

“Se si tratta di vita o di morte non mi pare che tu abbia scelta, non trovi?”, sottolineò Mark.

“Già”, commentò Alexander rivolto più che altro a se stesso.

“Se c’è la possibilità che il tuo gesto abbia risvolti negativi, devi mettere in conto eventuali provvedimenti correttivi.”

“Mi pare sensato”, rispose Alexander, “Non ci sono mezze misure. O con lui o contro di lui”.

Mark, che ignorava totalmente i dettagli della faccenda, si limitò ad annuire.

 

La sera stessa Alexander sellò il suo cavallo, controllò rapidamente l’attrezzatura standard, montò e partì alla volta della radura.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il mercante ***


1

Alexander si avvicinò alla radura cercando di farsi notare nel modo più naturale possibile: fece camminare il cavallo sul ciottolato, di modo che gli zoccoli producessero eco nella vallata, diede violenti colpi di tosse con cadenza regolare, infine si mise a fischiettare un motivetto allegro. Ad un certo punto si accorse che il mercante doveva averlo udito, perché la sua aura mentale cominciò ad indicare circospezione.

 

Si recò verso il centro della radura passando per il sentiero che proveniva dal villaggio, e non appena il mercante entrò nel suo campo visivo, Alexander si profuse in saluti:

“Oh buongiorno mercante, anzi buonasera vista l’ora tarda. Sono felice di incontrarvi, mi hanno detto che vi avrei trovato qui”, Alexander smontò, e avvicinandosi al mercante gli allungò la mano in segno di saluto. L’altro osservò la mano con un’aria stranita, ma gliela strinse.

“Lasciate che vi spieghi: il mio nome è Alexander Righter, sono un nobile della città; un amico mi ha parlato di voi e mi ha rivelato che avete merce interessante”, Alexander contorse la bocca in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso di ironica intesa, mentre col capo indicava la gabbia alle spalle del mercante. “Sapete, nella mia residenza ho molti quadri e oggetti d’arte, ma niente riesce più a stupire i miei ospiti. Sono alla ricerca di una mercanzia particolare, e voi amico mio avete veramente un pezzo unico”.

Il mercante annuì sorridente: “Non mi sono sbagliato allora quando ho deciso di assoldare mercenari per catturare creature esotiche come questa”. Si fermò un istante, poi proseguì con aria compiaciuta “Amico mio, questa è merce unica e purtroppo per voi c’è già un acquirente: il signor Robert James Moore, lo conoscete?”

“James? Quel vecchio farabutto?”, improvvisò Alexander “Non potete farmi questo, diventerò il suo zimbello se gli venderete il drow”, disse tentando invano di suscitare compassione nell’altro.

“Mi dispiace amico mio, sul serio”, rispose l’uomo senza la minima traccia di dispiacere “ma il signor Moore mi ha offerto cinquanta monete d’oro e io sono un mercante di tutto rispetto”.

“Ve ne offro settanta”, replicò Alexander senza alcuna esitazione.

“Ora cominciate a parlare la mia lingua”, il viso del commerciante si trasformò in una maschera di ingordigia, “ma per meno di cento non se ne fa nulla. Gli affari sono affari.”

“Cento monete d’oro e mi lasciate anche la gabbia”, ribatté Alexander, il cui viso non tradiva ora alcuna emozione.

Il mercante ci pensò su qualche istante e poi sorrise: “Affare fatto”.

 

L’elfo scuro era legato alla gabbia rivolto verso sud e non poteva assistere direttamente alle trattative, ma aveva ascoltato tutto con attenzione, e per tutto quel tempo era rimasto in silenzio e con i muscoli e le orecchie tese in attesa di un segno, un indizio che potesse scagionare Alexander dal sospetto di essere un falso traditore.

Ma ora, mentre i due si stringevano la mano, la mente di Drizzt vacillò, poi perse l’appiglio e si apprestò a scivolare nel baratro della disperazione.

L’elfo si accorse soltanto di non riuscire più a pensare, e mentre la sua lucidità si offuscava cominciò a tremare violentemente nonostante la temperatura. Il suo respiro si fece corto e frenetico, il suo stomaco vuoto era in subbuglio e in preda alla nausea. Sentiva i timpani pulsare, la gola seccarsi, silenziose lacrime di rabbia si mischiarono a gocce di sudore freddo, poi, all’improvviso, l’oscurità lo avvolse.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il risveglio ***


1

Era ormai mattina, quando l’elfo cominciò a riprendere conoscenza, mentre i primi raggi tiepidi lo riscaldavano. Per prima cosa divenne cosciente del leggero movimento sussultorio del pavimento su cui giaceva, le mani ancora immobilizzate dietro la schiena. Tentò stancamente di riorganizzare i pensieri, e improvvisamente la realtà gli ripiombò addosso investendolo come un macigno.

Si trovava ancora all’interno della gabbia, che però ora si stava muovendo. Con uno sforzo penoso riaprì gli occhi e di fronte a sé vide il posteriore del cavallo che lo stava trainando. Accanto al cavallo camminava Alexander, l’uomo che lo aveva ingannato e acquistato dal mercante di schiavi come se fosse stato una bestia o peggio ancora, un suppellettile. Il cuore sobbalzò in una fitta di rabbia, ma suo malgrado non riuscì a provare odio. L’odio lo avrebbe forse protetto dalla pazzia che lo attendeva in agguato; l’odio avrebbe permesso a Drizzt di salvarsi, di scaricare le frustrazioni su un soggetto diverso da se, ma per un qualche recondito motivo una parte di lui gli impediva di odiare…

 

Il carro si dirigeva verso una rupe a strapiombo sul Liquentia, il fiume che attraversava il regno di Lordaeron e che in quel tratto era ancora tumultuoso.

La mente del drow ormai spossata non era in grado di formulare delle ipotesi sulle vicende degli ultimi giorni. Drizzt sapeva che ormai non aveva più nulla da perdere, e decise di rivolgere la parola al suo “nuovo padrone”.

Tentando di conferire un tono neutrale alla sua voce, Drizzt parlò stancamente: “E così la tua era tutta una messinscena…”

Non appena udì le parole dell’elfo, Alexander si voltò  e si accostò alla gabbia con un sorriso, continuando a camminarvi accanto. “Ti sei ripreso”, disse con un tono di sincero sollievo, incurante dell’affermazione dell’altro.

Le parole di Alexander risuonarono di una genuinità tale da spiazzare l’elfo, il quale non fu più in grado di controllare l’emotività nella sua voce: “Perché mi hai comprato se hai intenzione di farmi precipitare da quella rupe?”, disse quasi in un grido.

Alexander fece fermare il cavallo a pochi metri dal precipizio, in un punto in cui si poteva udire il ruggito del fiume che si infrangeva contro la roccia. L’uomo rimase in silenzio per qualche istante mentre liberava il cavallo dal giogo che lo legava al carro. Poi si avvicinò alla gabbia e liberò le mani di Drizzt, tagliando le corde di netto con un coltello.

“Non è te che ho comprato”, gli disse guardandolo fisso negli occhi, “bensì la tua libertà”.

Alexander si recò verso il retro della gabbia, aprendone il vistoso lucchetto che bloccava la porticina di accesso. La porticina si spalancò cigolando, e Alexander osservò Drizzt, scostandosi in attesa.

“Esci, sei libero”, lo incitò.

Drizzt era confuso e totalmente incredulo, ma non se lo fece ripetere due volte e si spinse con le mani, scivolando fino all’uscita. Ebbe appena il tempo di poggiare i piedi per terra e raddrizzare la schiena, quando le sue gambe indolenzite cedettero e Drizzt cadde in avanti di peso. Le ultime settimane di prigionia lo avevano logorato, e i muscoli, che non erano preparati a sostenere il suo peso, lo tradirono.

Ma Alexander fu pronto a lanciarsi in avanti e con il suo corpo fece da scudo all’elfo, sostenendolo e impedendogli di cadere. Lo depose delicatamente a terra, la schiena contro una roccia. Poi si alzò, senza dire una parla si recò verso la gabbia, e dopo aver levato i freni la spinse in direzione del dirupo.

La gabbia raggiunse il bordo dello sperone di roccia, vacillò brevemente in bilico e infine cadde nel vuoto facendo un volo di diversi metri. Alexander la osservò con soddisfazione infrangersi sulle rocce sottostanti e rimbalzare nella corrente impetuosa, che ne trascinò via i resti in men che non si dica.

 

Mentre era ancora rivolto verso il fiume, riuscì a percepire la confusione che continuava a regnare nella testa dell’elfo. Decise di dargli tempo, e con le mani sui fianchi rimase in piedi per diversi minuti a fissare i flutti che sembravano rincorrersi come in preda alla frenesia.

 

Quando infine si voltò, vide che Drizzt, con espressione meditabonda, si stava massaggiando le gambe e i polsi per stimolare la circolazione.

 

Non appena fu in grado di reggersi in piedi, l’elfo si avvicinò ad Alexander, che lo attendeva pazientemente a qualche metro di distanza.

“Sono veramente libero?”, gli chiese.

“Sei libero”, assicurò Alexander

Per qualche secondo il drow tacque, poi alzò lo sguardo fissando l’uomo con i suoi profondi occhi lavanda. “Allora ti sono debitore, abbil, amico mio”.

L’uomo scosse il capo in segno di diniego “Tutto quello che ti chiedo è la possibilità di conoscerti meglio”.

“E’ il minimo che posso fare per te”.

Drizzt fece un passo verso di lui poi, lentamente, sollevò la mano e la tese in avanti nella forma di saluto che aveva osservato così spesso fra gli umani.

Alexander protese la mano a sua volta gliela strinse con decisione, dopodiché il suo volto contratto dalla tensione accumulata fino a quel momento si sciolse in un sorriso liberatorio.

 

Drizzt sorrise di rimando, e per la prima volta da quando si trovava in superficie si sentì veramente vivo. Finalmente riusciva a parlare con qualcuno guardandolo diritto negli occhi. Finalmente poteva parlare ad un'altra persona da pari. La scintilla di speranza aveva attecchito, e si era trasformata in una fiammella di ottimismo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Un bagno caldo ***


1

I due stavano camminando lentamente, uno di fianco all’altro lungo la sponda del fiume. Il cavallo di Alexander li seguiva docilmente a qualche metro di distanza. Il fragore della corrente e lo scalpiccio degli zoccoli riempivano l’aria.

“Hai bisogno di un bel bagno Drizzt, lo sai?”, disse Alexander d’un tratto con voce allegra, più che altro per rompere il silenzio imbarazzato che si era creato.

“Lo so”, rispose mesto l’elfo.

Era vero. Drizzt aveva smesso di farci caso, poiché durante la sua prigionia era troppo occupato a cercare di sopravvivere per badare a questi inconvenienti. Ma ora che Alexander gliel’aveva fatto notare si era reso conto di quanto i suoi capelli fossero unti e sporchi, di come il sudore rendesse la sua pelle umida e appiccicosa, per non parlare delle croste di sangue rappreso che gli costellavano la schiena. Era stanco, ferito, affamato… ma nonostante questo, paradossalmente, ora era proprio un bagno ciò desiderava di più.

“Vieni con me. Ti porto nel posto in cui vivo. Lì potrai farti un bagno caldo e mangiare qualcosa. Dovrei avere anche degli abiti puliti della tua taglia”

Gli occhi di Drizzt per un breve istante brillarono di gratitudine, ma poi l’elfo rispose “Non posso accettare. Hai già speso per me una somma che probabilmente non potrò mai restituirti. Non posso accettare altri favori..” concluse con un velo di rimorso.

Alexander sorrise fra se e se. “Non era una domanda. Ti ci sto già portando”, disse indicando le palizzate che delimitavano l’accampamento, che spuntavano dal fogliame della foresta qualche decina di metri alla loro sinistra.

Drizzt si fermò. “Quello è il posto in cui vivi?”, chiese l’elfo che aveva scorto le vedette di guardia sul muro di cinta, e le osservava con inquietudine mentre facevano il giro di ronda.

Alexander guardò nella stessa direzione, e indovinando i pensieri dell’altro disse: “Non ti saranno ostili, né tenteranno di farti del male, te lo garantisco”.

“Come puoi esserne certo?”, domandò Drizzt con una punta di perplessità.

“Perché quei soldati sono ai miei comandi”, rispose Alexander con semplicità e naturalezza.

Rifletté un istante, poi decise che era ora di chiarire la sua posizione nei confronti dell’elfo una volta per tutte. Si voltò lateralmente per poterlo guardare negli occhi, gli mise una mano sulla spalla e gli parlò con tutta la franchezza di cui era capace: “Ascoltami bene Drizzt, so quali leggende circolano sulla tua razza, so come reagisce la gente anche solo al sentir nominare la parola drow. Ma io, per quanto strano ti possa sembrare, mi fido di te”, sottolineò quest’ultima affermazione stringendo la presa sulla spalla di Drizzt, “Non so esattamente cosa mi spinga a farlo, ma è così. E per quanto possa valere, ti do la mia parola che anche tu puoi fidarti di me”.

Senza aspettare una sua reazione, voltò le spalle al drow per nascondere l’imbarazzo che lo aveva colto alla sprovvista proprio mentre terminava la frase. Non gli capitava spesso di mettere a nudo i suoi pensieri più intimi. E non gli capitava spesso di sentirsi imbarazzato. Si irritò con se stesso per questa debolezza.

Drizzt non disse nulla, ma fu grato che Alexander si fosse voltato. Sebbene la sua espressione fosse rimasta impassibile, gli occhi dell’elfo si erano fatti lucidi. Voleva replicare, ma nulla di quello che gli veniva in mente pareva adatto, così si limitò a raggiungere ad Alexander e disse semplicemente “Ti seguo”.

 

Alexander fece strada dirigendosi verso il portone d’ingresso. Le guardie di vedetta lo avevano riconosciuto e senza attendere un suo cenno fecero aprire i battenti. Alexander si fermò sulla soglia e fece cenno a Drizzt di raggiungerlo. Varcarono l’ingresso insieme e la prima cosa di cui Drizzt fu consapevole furono gli occhi dei soldati. Con sollievo constatò che non si trattava di sguardi ostili, ma soltanto di fugaci occhiate curiose. Attirava inevitabilmente l’attenzione di tutte le persone che incrociavano, ma gli sguardi, dopo essersi soffermati brevemente su di lui, scivolavano su Alexander, si trasformavano in un cenno di saluto e slittavano nuovamente via. Drizzt gradatamente si rilassò; era evidente che quegli uomini si fidavano ciecamente del loro comandante. All’improvviso un uomo si parò loro davanti con irruenza. “Come non detto”, pensò Drizzt suo malgrado.

 

Era Mark, l’ufficiale medico.

“Stai scherzando spero!”, disse con tono sarcastico ad Alexander, indicando con un cenno Drizzt.

“Che vorresti dire?”, rispose Alexander tranquillo, ma con una nota di irritazione nella voce.

“Non hai mai detto che l’avresti portato qui! E soprattutto non hai mai detto che si trattava di un drow”, Mark lanciò un’occhiata di sbieco verso l’elfo.

“Non l’ho mai detto, e allora? C’è qualche problema?”

I toni erano ancora bassi, ma la tensione stava crescendo a vista d’occhio. Drizzt deglutì a disagio, ma non si azzardò ad intromettersi.

“Certo che c’è un problema!”, rispose Mark con aria di sfida, “Come puoi fidarti di lui? Lo sai cosa si dice..”

“Lo so benissimo cosa si dice dei drow”, lo interruppe Alexander a denti stretti. Lo afferrò per l’avambraccio e lo trascinò via, lontano da Drizzt. Poi inspirò profondamente. Con una mano si sfregò il viso mentre cercava di calmarsi e di trovare le parole adatte.

“Senti Mark”, disse con tutta la tranquillità che riuscì a raggranellare, “non ho scelta. Ha bisogno di supporto morale e materiale. Ha bisogno di vestiti, cure e cibo. Non puoi pretendere che lo abbandoni a se stesso.”

“Ma è un ..”

“Un drow, lo so. Proprio per questo non posso lasciarlo girare per Lordaeron da solo. Di lui mi fido Mark, completamente. E’ della gente che non mi fido. Potrebbero metterlo alle strette e una volta con le spalle al muro, allora si che diventerebbe pericoloso”.

I due restarono a fissarsi per diversi istanti senza che nessuno trovasse qualcosa da aggiungere. Alexander non riusciva a capire se l’amico era più orientato ad andarsene infuriato o a scusarsi con lui..

Alla fine fu Mark a prendere la parola. In tono casuale disse: “Beh è logico.. lo dice anche la proprietà transitiva: se io mi fido di te e tu ti fidi di lui, allora anche io mi devo fidare di lui”.

Alexander non riuscì a impedire ad una sincera risata di salirgli su per la gola. Per l’ennesima volta fu stupito da come l’amico e collega era in grado di sdrammatizzare ogni situazione, infilando una battuta calzante quando meno ce lo si aspettava.

“Mi dispiace Alex, non avevo intenzione di essere così aggressivo”, aggiunse mentre il suo comandante stava ancora sorridendo. “Dovremmo dargli una chance. Probabilmente hai ragione tu. Come al solito” concluse sorridendo a sua volta.

Alexander dapprima annuì, poi tornò serio e disse: “ Ha delle brutte ferite su tutto il corpo, dovresti dargli un’occhiata”.

“D’accordo”, rispose l’altro, “fallo lavare e poi portamelo. Io intanto preparo l’attrezzatura”.

Si salutarono dandosi amichevolmente un pugno sulla spalla l’uno dell’altro, poi si separarono.

Alexander tornò da Drizzt munito di un sorriso rassicurante. “Tutto a posto”, lo tranquillizzò.

“Ne sei certo?”

“Si, davvero. Vieni, ti porto ai bagni”.

 

All’accampamento non avevano vasche da bagno, bensì solo filari di docce comuni, che in quel momento erano completamente vuote. Alexander spiegò il loro funzionamento a Drizzt, gli diede del sapone ed una salvietta per asciugarsi, poi uscì per andare a recuperare dei vestiti. Quelli che l’elfo indossava erano luridi e consunti.. se non si fossero sciolti durante il lavaggio sarebbero comunque stati inutilizzabili.

Quando Alexander uscì, Drizzt si infilò sotto l’acqua calda e ne assaporò i benefici ristoratori; lentamente il vapore salì fino ad avvolgerlo e lui chiuse gli occhi, lasciando che il getto massaggiasse con dolcezza i suoi muscoli stanchi. Sentì letteralmente lo sporco scivolare via, e gli parve quasi che con esso stessero svanendo anche tutta la malinconia e la frustrazione, come se l’acqua potesse lavar via ogni sua pena. Assaporò questa meravigliosa sensazione per lunghi istanti, poi cominciò a lavarsi sul serio, strofinando con foga, come se assieme alla polvere volesse eliminare anche tutte le umiliazioni e le delusioni che aveva dovuto subire da quando aveva lasciato Buio Profondo…

 

Quando Drizzt finalmente uscì dalle docce, asciutto e pulito, Alexander lo condusse nell’ala medica. “Ora daremo un’occhiata alle tue ferite. Alcune sono sicuramente da disinfettare, e … beh non tocca a me dire cosa c’è da fare. Ora lo vedremo”, disse con un sorriso rassicurante.

Mark li stava già aspettando all’interno del reparto.

“Spogliati e siediti qui”, disse Mark indicando il lettino ambulatoriale.

Drizzt esitò perché non era mai stato visitato da un dottore e per lui era insolito spogliarsi di fronte ad altri uomini.. ma alla fine fece come gli era stato detto.

Notò l’espressione di Mark rabbuiarsi, mentre gli girava attorno con sguardo inquisitore. La schiena muscolosa di Drizzt era costellata dalle ferite provocate dalle frustate. Per la maggior parte si erano cicatrizzate, ma alcune di esse si erano infettate ed erano degenerate in un’infiammazione purulenta.

“Non va bene Drizzt. Non va bene per niente”, sussurrò Mark cupo. “Ti fa male se tocco qui?”, chiese sfiorandogli la schiena con un dito rivestito da un guanto in lattice.

Non appena ebbe toccato la pelle arrossata, Drizzt si ritrasse con un lamento.

Alexander, che si era messo in disparte per non essere d’intralcio, spostò il peso del corpo da un piede all’altro, a disagio. “Cosa si può fare?”, domandò.

“Beh di ossa rotte non ce ne sono, e gli organi interni non dovrebbero essere danneggiati, altrimenti… beh altrimenti ce ne accorgeremmo. E le ecchimosi non sono un problema, quelle si riassorbiranno da sole nel giro di qualche settimana. Ma questi ascessi purulenti non mi piacciono per nulla…”, disse Mark accigliandosi sempre più.

“Devo asportare il tessuto infetto e apporre la medicazione sulla carne viva”, spiegò, “Mi dispiace ragazzo, ma è necessario. Si comincia subito”.

Drizzt si limitò ad annuire, consapevole che quel trattamento era per il suo bene.

 

“Alex, puoi uscire se vuoi. Non ti piacerà quello che vedrai”, disse Mark.

“Non badare a me”, replicò Alexander con un sorriso sornione, “non ti darò fastidio”.

Mark si strinse nelle spalle, dopodiché invitò l’elfo a distendersi prono sul lettino.

“Ti farò male Drizzt. Cerca di resistere.”

Drizzt annuì nuovamente e chiuse gli occhi, stringendo le sponde del lettino fra le dita.

Mark si mise al lavoro, e dopo aver passato il disinfettante sugli strumenti, cominciò ad operare sulle ferite, tagliandole per permettere la fuoriuscita del pus.

Drizzt avvertì un dolore lancinante risalire come un fulmine lungo la sua spina dorsale. Digrignò i denti e affondò le dita nel lettino.

Con un altro strumento Mark cominciò delicatamente a scavare nella ferita, per essere certo di rimuovere fino all’ultimo residuo di materia infetta.

Drizzt non riuscì più a trattenersi e cominciò ad essere irrequieto e a gemere, mentre le sue dita affondavano sempre di più nella gomma del letto. “So che fa male”, disse Mark con una traccia di compassione nella voce, “ma devi cercare di stare fermo”. L’elfo non diede segno di averlo udito, anzi le sue mani si staccarono dal materassino e cominciarono a scivolare giù, lungo le gambe metalliche della branda, agitate, come alla ricerca di aiuto.

Alexander si avvicinò portandosi di fronte alla testa del letto, e gliele afferrò entrambe. Subito Drizzt le strinse compulsivamente. Si calmò quasi immediatamente, e riuscì a convogliare tutto il dolore nella spasmodica stretta delle mani di Alexander.

Dopo quello che a Drizzt sembrò un interminabile lasso di tempo, Mark dichiarò di aver finito la medicazione, e lo fece mettere a sedere per poter bendare le ferite ora pulite.

“Per una settimana cambieremo le bende ogni giorno”, gli disse. “Vieni qui ogni sera al tramonto. Non dimenticartene, è importante”.

Drizzt che era ancora vagamente stordito dal dolore, ringraziò e uscì con grande sollievo dall’ala medica, scortato da Alexander.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Una vecchia conoscenza ***


1

Erano passati diversi giorni dalla liberazione di Drizzt, e Alexander era ormai arrivato a fidarsi di lui senza riserve. Gli aveva lasciato carta bianca all’interno dell’accampamento e l’elfo cercava di rendersi utile come poteva, dando una mano quando ne aveva l’occasione. Tutti gli uomini del campo lo accettavano ormai come una presenza consolidata, e qualcuno lo aveva persino preso in simpatia, e si fermava a fare due chiacchiere con lui se ve n’era l’opportunità.

Tuttavia Alexander si rendeva conto che non avrebbe potuto nasconderlo lì dentro per sempre.. Si avvicinava il momento della verità: sapeva che prima o poi l’avrebbe dovuto condurre con sé al villaggio, per saggiare la reazione della gente comune.

 

Un mattino decise che quel momento era arrivato, e lo comunicò all’elfo.

Drizzt non parve sorpreso. Sorrise con sobrietà e annuendo disse: “Sono pronto”.

 

Uscirono insieme a piedi dall’accampamento, e per molti minuti fra loro regnò il silenzio, ciascuno assorto nei propri pensieri.

Alexander aveva dato disposizioni di preparare una squadra di pronto intervento da impiegare in caso di emergenza. Era sempre connesso per via psionica con l’accampamento, e se ci fossero state difficoltà avrebbe potuto allertare immediatamente i suoi uomini per richiedere soccorso.

Non parlò a Drizzt di queste precauzioni. Percepiva l’inquietudine dell’elfo e non voleva contribuire ad aumentare la sua ansia prospettando l’eventualità che qualcosa andasse storto.

“Andrà tutto bene, vedrai”, disse sperando di essere convincente.

 

Giunsero alle porte del paese a metà  mattinata. A quell’ora il villaggio era in pieno fermento: i mercanti vendevano i loro prodotti in piazza, le massaie acquistavano cibarie per il pranzo e la strada maestra era un unico viavai di contadini che si muovevano da e per le aree rurali.

Drizzt non sarebbe di certo passato inosservato. Ma quella di fare un “debutto ufficiale” era una strategia meditata. Non potevano di certo addentrarsi nel villaggio al crepuscolo e rischiare di suscitare impressioni sbagliate. Sebbene Alexander fosse largamente conosciuto e rispettato quale consigliere di re Joshua* non era veramente il caso di correre rischi inutili.

 

Non appena ebbero varcato la soglia del villaggio il tempo si fermò: tutti smisero di colpo di fare ciò che stavano facendo per puntare gli occhi su Drizzt.

Alexander fu investito dalla potenza dalle onde mentali emanate dai presenti. Percepì il terrore ramificarsi a macchia fra la folla, come ghiaccio in una pozzanghera. Era un terrore cieco, che impediva loro di pensare.

Se inizialmente Alexander aveva sperato di poter semplicemente attraversare il villaggio e confidare che gli abitanti prima o poi avrebbero fatto l’abitudine a questo nuovo concittadino, ora era evidente che questo stratagemma non avrebbe funzionato. Bisognava agire in fretta, prima che quel sentimento passivo si trasformasse in furia omicida.

Alexander, parlando con la voce più autoritaria che riuscì a produrre, si rivolse alla gente: “State tranquilli, è tutto sotto controllo”. Quelle parole ebbero l’effetto di risvegliare le coscienze stordite dalla paura. Una voce uscì dall’anonimato e gridò con stridore “E’ un drow!”. Seguirono vari mormorii per lo più incomprensibili, ma la parola drow volò come una freccia di bocca in bocca.

Alexander alzò la mano per richiamare l’attenzione su di sé e chiedere silenzio. “Si, si tratta di un drow, i vostri occhi non vi ingannano”, disse quando il brusio cessò.

“Ma non dovete preoccuparvi”, si affrettò ad aggiungere, “Drizzt ha un cuore nobile e non ha intenzioni malvagie. Garantisco io per lui”, disse infine cingendo con un braccio le spalle dell’elfo per sottolineare le sue parole.

Alexander si aspettava numerose obiezioni, ma nessuno proferì parola. Così, lentamente, i due si mossero attraversando la piazza, mentre la gente si scostava in assoluto silenzio per lasciarli passare. Alexander si diresse verso il castello, dove aveva intenzione di presentare Drizzt a Joshua, suo amico e re, per ufficializzare l’esordio in società dell’elfo.

 

All’improvviso una figura massiccia si avvicinò a loro a grandi passi, scostando in malo modo chiunque gli si parasse davanti. Si trattava di un uomo di mezza età, il corpo tozzo e muscoloso, il volto arcigno coperto da diverse cicatrici. La figura raggiunse il varco che si era creato attorno ai due. Per una frazione di secondo il suo volto fu attraversato da un’espressione di attonita incredulità, ma ben presto i suoi lineamenti si contorsero in un’esternazione di odio.

“TU!”, tuonò l’uomo rivolto a Drizzt. Gli occhi erano colmi di rabbia e brillavano di una luce malvagia.

 

“Roddy McGristle”, mormorò l’elfo fra sé e sé in un misto di nausea e irritazione, mentre i suoi muscoli affusolati si irrigidirono spontaneamente.

Alexander non perse tempo a fare domande, e con risolutezza si spostò in avanti, ponendosi fra l’uomo e l’elfo per interrompere la linea visiva.

“Levati dai piedi se non vuoi andarci di mezzo anche tu!”, intimò l’uomo ad Alexander, mentre la sua mano correva all’impugnatura dell’ascia.

“Non ingaggerai un combattimento nel bel mezzo del villaggio”, rispose Alexander imperturbabile.

“E chi me lo impedirà? Tu forse?”, lo derise Roddy con la sua voce rauca. “Non ho intenzione di farti del male, levati di mezzo e non ti succederà nulla”.

“Non hai capito. Gli attaccabrighe non sono i benvenuti qui. Qual è il tuo problema?”, domandò Alexander allargando le braccia. Sperava di poter risolvere la questione senza ricorrere alla violenza, ma Roddy aveva la miccia corta e la sua pazienza si era già esaurita.

L’uomo scattò in avanti con un ringhio sordo e i pugni serrati, e si avventò su Alexander.

Ma Alexander fu svelto: scartò di lato mentre il pugno di Roddy affondava nell’aria. Afferrò il suo braccio a mezz’aria e glielo rovesciò all’indietro, bloccandoglielo dietro la schiena, mentre con il braccio sinistro gli cinse la gola in una salda stretta, immobilizzando l’uomo completamente.

Roddy diede qualche strattone, ma ogni tentativo di liberarsi fu vano. I suoi occhi ruotarono fulminei nelle orbite, mandando lampi di odio.

“Maledetto folle, stai dalla parte del drow!”, disse l’uomo digrignando i denti.

“E’ mio amico, si! E allora? C’è qualche problema?”, replicò Alexander, rafforzando ulteriormente la stretta.

“HA! Amico!”, lo schernì, “Devi essere proprio pazzo per considerare amico un drow! Morirai accoltellato nel sonno, esattamente come quei contadini che il drow ha assassinato poco tempo fa”.

Queste parole crearono confusione nella mente di Alexander: sapeva che Drizzt non era un assassino, ma quest’uomo era convinto di ciò che diceva, e le sue onde mentali lo indicavano chiaramente. Quell’attimo di esitazione gli fece perdere la concentrazione, e Roddy ne approfittò per divincolarsi dalla presa.

“Lo vedi?”, disse Roddy con un sorriso subdolo, ora fissando Alexander negli occhi. “Non ti fidi completamente di lui. E fai bene. E’ un dannato assassino!”.

“Non ho ucciso i Thistledown”, intervenne finalmente Drizzt, avanzando per poter fronteggiare il cacciatore di taglie. Le sue parole erano indirizzate a Roddy, ma erano rivolte più che altro ad Alexander. L’elfo temeva che questo incontro avrebbe potuto scalfire la fiducia che Alexander aveva in lui. Fortunatamente si sbagliava.

 

Nel frattempo un manipolo di guardie, allertate dal subbuglio creatosi, si erano radunate nella piazza del mercato, disponendosi a semicerchio in attesa di ordini.

Le guardie di Lordaeron dipendevano dal loro capitano, che a sua volta rispondeva direttamente al re, ma per un emendamento speciale, anche Alexander aveva il diritto di impartire loro ordini, e se fosse stato necessario, non avrebbe esitato a fruire di tale diritto.

 

Roddy lanciò occhiate fugaci alle sue spalle e poco a poco la spacconeria scomparve dal suo volto, per lasciare spazio ad un’espressione di furore represso.

“Vattene”, intimò Alexander con fermezza, “e non farti rivedere”.

Il cipiglio di Roddy si rabbuiò ulteriormente, mentre l’uomo indietreggiava lentamente. “Non finisce qui!”, disse con tono cupo e minaccioso, puntando un dito tozzo verso Alexander. Dopodiché si volto, allontanandosi  a grandi passi verso le porte della città.

 

Alexander scosse la testa, amareggiato per l’accaduto. “Andiamo”, disse in tono neutrale ma velato di stanchezza, “abbiamo un appuntamento con re Joshua”.

Drizzt lo seguì con condiscendenza. Sapeva cosa gli passava per la testa. Si stava chiedendo quale fosse il significato di quell’episodio. Si stava chiedendo chi fossero i Thistledown e cosa fosse accaduto loro. Drizzt tentò di impostare mentalmente un discorso da fare ad Alexander a questo riguardo, non appena fossero rimasti soli.

 

La folla li osservò in religioso silenzio fino a che sparirono dalla loro vista, ma nessuno li seguì. Poco a poco, lentamente, tutti tornarono alle loro attività quotidiane, naturalmente discutendo nel contempo appassionatamente della vicenda a cui avevano appena assistito. Questo argomento di conversazione non si sarebbe esaurito prima di parecchie settimane..

 

 

 

 

* NdA. Questo di re Joshua è un capitolo cronologicamente antecedente all’avvento di Drizzt, ma lo scriverò in un secondo momento.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** L’incontro con re Joshua ***


Procedevano a passo spedito in direzione del castello. L’ultimo tratto di strada si inerpicava ripidamente su per la collina e i due furono costretti a rallentare l’andatura. Ora che si erano allontanati dal centro del villaggio erano praticamente soli, e Drizzt decise che era il momento adatto per affrontare il tema “Roddy” con Alexander. Non poteva permettersi di esordire di fronte al re con questo peso sullo stomaco.

 

Si fermò e contemporaneamente posò una mano sulla spalla di Alexander, tirandola a sé per farlo voltare e poterlo guardare negli occhi.

“Senti, non so cosa abbia visto il cacciatore di taglie”, esordì l’elfo a bruciapelo, “ma quella famiglia non è morta per mano mia, e…”.

Alexander prontamente alzò una mano per interromperlo. “Quando avrai qualcosa da confessarmi”, gli disse, “lo farai. Ma sono certo che non è questo il caso.”

 

“Come puoi fidarti così ciecamente di me?”, replicò Drizzt di getto, come con risentimento, quasi contrariato dalla reazione disinvolta e fiduciosa di Alexander.

“La cosa ti disturba?”, domandò Alexander in tono vagamente divertito.

“No, certo che no..”, rispose l’elfo con leggero imbarazzo, “però devi ammettere che non è normale. Cosa ti spinge a farlo?”

“Normale?”, sbottò Alexander con sufficienza, “La normalità non esiste. E’ soltanto un concetto astratto creato per rassicurare le masse. Se proprio devo, posso accordarti il fatto che si tratta di una condizione inconsueta. Ma ho le mie ragioni per agire in questo modo.”

“Mettiamola così, diciamo che ho una sorta di sesto senso”, aggiunse sorridendo in maniera enigmatica. Un giorno avrebbe parlato a Drizzt del suo impianto cerebrale e della capacità artificiale di percepire gli stati d’animo dei suoi interlocutori. Un giorno gliel’avrebbe spiegato, ma non ora.

L’elfo scosse il capo, vagamente perplesso.

 

Si diressero infine verso la roccaforte, giungendo di fronte al massiccio portone in legno e bronzo. Le guardie all’ingresso strabuzzarono gli occhi quando videro la strana coppia avvicinarsi. Due di esse si diressero rapidamente verso il cortile interno, sparendo dalla vista. Erano sicuramente andate ad allertare il comandante Walros, si disse Alexander. Ruotò gli occhi nelle orbite ben immaginando il subbuglio che ne sarebbe seguito.

La sua previsione si avverò fin troppo presto. Walros si precipitò fuori dal portone, seguito da un capannello di guardie palesemente intimorite dalla presenza di Drizzt.

 

“Spero che tu abbia una spiegazione convincente per questa esotica trovata”,  disse Walros pungente indicando l’elfo con un cenno delle arcate sopraccigliari.

 

L’antipatia fra il comandante delle guardie e Alexander non era un segreto, ma entrambi erano pienamente consapevoli dell’importanza dei rispettivi ruoli e cercavano per quanto possibile di non pestarsi i piedi a vicenda.

 

“Ho bisogno di vedere re Joshua”, ribatté Alexander secco.

“Ottimo”, rispose l’altro con malcelato sarcasmo, “vai pure. Sai bene che puoi fargli visita ogni volta che vuoi. Il drow ti aspetterà buono buono qui, sotto il tiro dei miei soldati.”

“Il drow verrà con me”, disse Alexander facendo appello a tutta la sua calma.

“Non se ne parla. E’ già molto che le vedette non l’abbiano abbattuto. Il responsabile della sicurezza reale sono io, e non permetterò che questa… creatura si introduca nel castello!”.

Un angolo della bocca di Drizzt si torse impercettibilmente verso il basso, ma l’elfo non proferì parola. Era stato apostrofato con appellativi ben peggiori.

 

Alexander si avvicinò al comandante fino quasi a sfiorargli il petto con il suo, gli afferrò un avambraccio tirandolo leggermente a sé e gli parlò a voce bassa, tale da non farsi udire dalle guardie. Quando ebbe terminato si ritrasse leggermente, ma tenne lo sguardo fisso in quello di Walros. Quest’ultimo socchiuse leggermente gli occhi, ma non disse nulla. Invece, fece qualche passo indietro e con un cenno ordinò alle guardie di lasciar passare i due venuti, che prontamente attraversarono il varco creatosi.

 

L’incontro con il re fu un evento straordinariamente sobrio e pacato. Dopo un inevitabile stupore iniziale, Joshua accolse Drizzt con benevolenza. Anche l’elfo fu inizialmente stupito dalla semplicità e frugalità del giovane sovrano: non indossava abiti regali, non era circondato da lusso né servi, non esigeva particolari formalità di corte o elaborate formule di saluto (aveva accolto Alexander con una stretta di mano e un abbraccio!). Di certo non era così che se lo era immaginato, ma era felice che le cose stessero in questo modo.

 

I tre uomini passeggiarono per ore nel perimetro del castello, conversando piacevolmente dei temi più disparati.

 

Dopo una cena leggera Alexander e Drizzt ritornarono all’accampamento, soddisfatti e appagati dalla piega che aveva preso la giornata.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** --- Interludio --- ***


Stava passeggiando solitario nel bosco. Era rilassato e sereno. Da quando Drizzt aveva rotto il ghiaccio con la popolazione locale e aveva cominciato ad integrarsi, anche lui si sentiva più tranquillo. Da qualche settimana gli permetteva di lasciare l’accampamento da solo, con l’unico obbligo di rientrare per la notte.

Alexander assaporò i tiepidi raggi caldi del sole crepuscolare che penetravano tra le fronde degli alberi. Camminava senza una meta precisa, voleva semplicemente stare solo con se stesso, lasciar vagare i suoi pensieri e ascoltare il fruscio della natura.

 

D’un tratto percepì più che sentirlo un grido soffocato, seguito da rumori di lotta.

Alexander si affrettò in direzione dei rumori che parevano giungere da un punto poco lontano nei pressi dell’argine del fiume. Una volta uscito dal limitare della foresta,  nella tenue luce della sera, spiccò ai suoi occhi il bagliore di un falò, all’ombra del quale due figure si contorcevano e dimenavano. La prima era esile e gracile, non era un umano, assomigliava di più ad un elfo.. L’altra  invece era decisamente un uomo: un uomo robusto e forte che presto prese il sopravvento sull’altro. Non ci mise molto a riconoscerlo: era Roddy McGristle.

Alexander si sentì avvampare di collera.

 

Roddy aveva ormai bloccato l’elfo a terra immobilizzandolo sotto il suo peso. Una luce folle brillava negli occhi del cacciatore; mentre il grosso petto si alzava e si abbassava affannosamente per via dello sforzo, sul viso sporco di terra e sangue si dipinse un’espressione di crudele esultanza.

Le sue mani scesero verso il collo dell’elfo e chiusero la gola sottile in una morsa d’acciaio.

L’elfo si dimenava disperatamente nel vano tentativo di divincolarsi da quella stretta mortale.

 

Ma era finita, sapeva che era così. Era chiaro che non aveva alcuna possibilità di sfuggire dalla presa del cacciatore, eppure una parte irrazionale di sé gli impediva di cedere.. doveva continuare a combattere, doveva spingerlo via, doveva…

Nonostante i suoi sforzi non riuscì a liberarsi… Roddy strinse ulteriormente la morsa attorno alla sua gola.

Annaspò alla ricerca di aria, mentre la bocca si apriva e si richiudeva convulsamente.

In quelle che all’elfo parvero ore intere, una lunga serie di immagini balzò alla sua mente: rivisse la sua infanzia, vide sua madre che lo accudiva, sua sorella, vide gli abitanti del suo villaggio natio, vide sé stesso in viaggio con dei guardaboschi… poi la vista si oscurò e non vide più nulla.

La carnagione dell’elfo si fece bluastra e le forze pian piano lo abbandonarono. Mentre la sua lucidità sfumava, sentì la vita che lentamente scivolava via…

 

Ma un potente calcio ben assestato colse di sorpresa Roddy, facendolo ruzzolare di lato. Mentre ancora cercava di capire cosa fosse accaduto, un altro calcio lo colpì nello stomaco, costringendolo a raggomitolarsi in una posizione difensiva.

“Lurido bastardo”, gridò Alexander accecato dall’ira, mentre con il pesante stivale sferrava un terzo colpo.

Allungò il braccio a pugno chiuso, puntandolo verso il basso. Dal mezzo guanto che indossava sulla mano destra scaturì un fiotto di luce rossa. Si trattava di un laser ad alta frequenza che colpì Roddy alla testa. Alexander si concentrò: il fascio di luce divenne più intenso e prese a vibrare. Prontamente l’uomo perse i sensi, i suoi muscoli contratti si rilassarono senza preavviso e la testa cadde sull’erba con un tonfo sordo.

Alexander sputò con sdegno sul corpo disteso, poi si voltò, recandosi dall’elfo per accertarsi che stesse bene.

 

L’elfo era ancora disteso a terra, immobile ma vivo. Alex si inginocchiò al suo fianco. Constatò che aveva ripreso a respirare autonomamente, così prese a massaggiargli il collo livido e dargli dei colpetti sulle guance per farlo rinvenire.

“Ehi, svegliati”, gli disse, “il peggio è passato”.

L’elfo lentamente riaprì gli occhi ed il suo sguardo corse subito alla figura massiccia accasciata al suolo a pochi passi da loro.

“Non si riprenderà tanto presto, credimi.”, disse Alexander rassicurante, “Ma faremo meglio ad andarcene. Non vorrei essere nei dintorni quando tornerà in sé.”.

L’elfo non disse nulla, ma i suoi grandi occhi verdi luccicarono eloquentemente di gratitudine.

 

“Qual è il tuo nome, elfo?”, chiese Alexander quando furono abbastanza lontani, al sicuro nel folto del sottobosco.

“Mi chiamo Linuviel*, e a dire il vero sono elfo soltanto per metà”, rispose l’altro con una punta di amarezza nella voce.

“Hai rischiato molto aiutandomi poco fa. Ti ringrazio davvero”.

“Non preoccuparti, è stato un piacere”, rispose Alex sincero.

Un sorriso malinconico comparve sulla bocca del mezz’elfo.

 

Mentre procedevano Alexander lanciò di tanto in tanto delle occhiate furtive alla creatura che camminava accanto a lui: il corpo smunto del mezz’elfo era scosso da tremiti, si stringeva le braccia convulsamente e camminava mesto nella penombra.

Era sicuramente molto provato dall’accaduto, ma c’era anche dell’altro… Tentò di scandagliare la sua mente per cercare di afferrare qualche sfumatura importante, ma ciò che percepì fu solamente un grande caos. Percepì un groviglio di emozioni e pensieri ingarbugliati che facevano soltanto presagire la complessità di quella persona. L’unica cosa che gli fu chiara, fu che Linuviel aveva un animo molto sensibile. Un animo che portava i segni indelebili di una lunga e duratura sofferenza, e Alexander ne ebbe compassione.

Non riuscì a leggere nulla di più dettagliato; avrebbe dovuto scoprire ulteriori informazioni nella maniera tradizionale.

 

“Cos’è accaduto poco fa giù al fiume?”, domandò con garbo.

“Mi stavo preparando a passare la notte lì. Sono stato colto alla sprovvista..”

“Già, ma perché il cacciatore ti ha attaccato? Perché ti voleva uccidere?”, insistette Alexander.

Il mezz’elfo esitò..

“Perché… ho aiutato la sua preda a fuggire”, disse infine laconico.

“La sua preda? Spiegati meglio”, chiese Alexander socchiudendo gli occhi in un barlume di sospetto.

Linuviel sospirò. “Mi hai salvato la vita, non ho motivo di mentirti. La sua preda era un drow fuggitivo.”

“So che sembra pazzesco”, si affrettò ad aggiungere, “ma quell’elfo non è affatto malvagio come si potrebbe pensare e…”

Linuviel si interruppe, rendendosi conto che l’uomo era rimasto indietro di diversi passi, con un’espressione stralunata sul volto. “Che c’è?”, domandò allarmato.

D’un tratto Alexander si sciolse in una genuina risata.

“Vieni con me amico mio, immagino che ti farà piacere conoscere quel drow di persona!”.

 

 

 

 

 

* Per il personaggio di Linuviel mi sono ispirata, seppur molto vagamente, a Kellindil, il ranger elfo che ha aiutato Drizzt ed è poi stato ucciso da Roddy McGristle in “L'esilio di Drizzt”. Non ho mai digerito questa morte!! Attenzione: Linuviel è un personaggio psicologicamente molto interessante. Gli dedicherò una storia a parte dopo i capitoli incentrati prettamente su Drizzt. J

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Imboscata ***


Alexander si destò di soprassalto. Delle gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte mentre cercava di capire cosa stesse succedendo.

Gli pareva di aver sognato un urlo. Un urlo penoso e straziante che aveva preso a rimbombargli nel cervello fino a svegliarlo. Per un attimo fu tentato di rimettersi a dormire, ma qualcosa gli diceva che non si trattava di un sogno. Cercò nella sua mente la fonte di quella percezione e istintivamente la associò a Drizzt. C’era qualcosa di sbagliato… di terribilmente sbagliato!

L’uomo balzò giù dal letto recandosi a grandi falcate verso la tenda del drow: il letto era vuoto!

Senza neppure pensare a ciò che stava facendo, si vestì in fretta e furia, sellò un cavallo e si precipitò fuori dall’accampamento, nel fitto del bosco, lasciandosi guidare solamente dall’istinto.

 

Dopo alcuni minuti al galoppo le sue percezioni si fecero più nitide: il drow doveva essere vicino. Spronò ulteriormente il cavallo ma ormai si trovava nel folto del sottobosco e l’andatura dell’animale rallentava progressivamente ad ogni passo, riducendosi infine ad un blando trotto. Alexander distingueva ormai chiaramente l’aura mentale dell’elfo, ne coglieva il dolore e l’agonia.

Che diavolo sta succedendo?

Avvertiva il pericolo tutto attorno a se, ma non riusciva ad individuarlo. Si trattenne dal gridare il nome del drow.

 

D’un tratto, senza alcun preavviso, una spessa corda si sollevò dal terreno tendendosi a mezz’aria. Il cavallo riuscì ad abbassare il collo muscoloso e a procedere illeso, ma Alexander non ebbe il tempo di reagire e venne disarcionato cadendo a terra sulla schiena con un tonfo sordo.

La prima cosa di cui fu cosciente fu l’aria, che per il contraccolpo gli uscì violentemente dai polmoni lasciandolo senza fiato. Immediatamente due figure umanoidi gli furono addosso e lo colpirono brutalmente alla testa. L’uomo sentì un rivolo di sangue caldo solcargli le tempie, poi perse conoscenza.

 

Quando ritornò in sé, Alexander si ritrovò inginocchiato a terra con le mani legate sopra la testa, la corda appesa ad un grosso ramo. Una crosta di sangue rappreso gli offuscava la vista da un occhio. Sentiva la testa scoppiargli dal dolore e dovette mettercela tutta per ritrovare la lucidità.

Era ancora notte e l’uomo si sforzò di distinguere qualcosa alla debole luce della luna. Con orrore si rese conto che proprio di fronte a lui, a qualche metro di distanza, Drizzt era legato come una bestia e appeso ad un ramo esattamente come lui. Era svenuto e la testa ciondolava, ondeggiando con la brezza notturna.

No…

Alexander si guardò attorno con circospezione e ai margini del suo campo visivo vide tre figure accovacciate accanto a un fuoco. Le sentì confabulare fra di loro ma non riuscì a distinguere le parole. Nonostante il dolore alla testa tentò di estendere la sua percezione psichica, ma una fitta lo fece gemere e lo costrinse a desistere. Il suo gemito tuttavia richiamò l’attenzione della banda: i tre si voltarono. Due erano mezz’orchi mercenari, mentre la terza figura era niente poco di meno che Roddy McGristle!

“Ben risvegliata bella addormentata”, lo schernì il cacciatore. “Te l’avevo detto che te l’avrei fatta pagare”. Alexander strinse i denti. Quel tono inquietantemente pacato lo fece rabbrividire.

“A te e a questo bastardo!”, l’uomo si voltò di scatto, afferrò per le spalle l’elfo ancora svenuto e lo colpì con una ginocchiata nel torace. Il drow tornò improvvisamente in se, tossendo incontrollatamente e sputando sangue.

“Lascialo stare maledetto!”, urlò Alexander con quanto fiato aveva in gola.

Roddy emise una roca risata malvagia che crebbe lentamente d’intensità. “Sì, avanti, implorami! Implora pure pietà per te e il tuo amichetto. Tanto non ne avrai!”. Un’altra risata sguaiata… Il cacciatore gioiva di quel senso di potere. Si compiaceva del ruolo di aguzzino.

 

Alexander pensò immediatamente di dare l’allarme ai suoi all’accampamento, ma rinunciò: non era nelle condizioni di poter inviare psionicamente un messaggio preciso, non aveva abbastanza lucidità per descrivere telepaticamente le loro condizioni e richiedere un intervento stealth. Qualcuno sarebbe arrivato, certo. Ma i malviventi se ne sarebbero accorti e avrebbero avuto tutto il tempo di ammazzare lui e Drizzt e di fuggire indisturbati. No, dovevano cavarsela da soli…

 

D’un tratto il cacciatore impartì degli ordini ad uno dei mercenari e questo sogghignò sadicamente. Dopo essersi portato alle spalle dell’elfo cominciò a frustarlo con una catena. Una volta, due volte, dieci, quindici frustate. Il viso di Drizzt era una maschera di dolore, ma dalla sua gola non fuoriuscì un suono.

Alexander tentò di distogliere lo sguardo ma scoprì di non poterlo fare.

Devo fare qualcosa, e alla svelta!

L’uomo tentò di ruotare i polsi nella stretta delle corde per saggiarne la resistenza. Niente da fare.

Dannazione!

Forse avrebbe potuto mettere fuori combattimento almeno i due mercenari con il laser del mezzo guanto. Gli sarebbe costato un bel po’ di energia psichica, ma doveva tentare. Se solo fosse riuscito a inclinare il polso un po’ di più per dargli l’angolazione giusta. Solo un altro po’… solo un’altra…penosa… torsione del braccio…

Ma il secondo mezz’orco se ne accorse e con un grugnito lo colpì al costato con l’elsa della spada.

Un dolore lancinante lo pervase. L’uomo rimase senza fiato e gemette rumorosamente nel tentativo di prendere aria. I muscoli dell’addome non volevano obbedirgli e dovette lottare per non venir meno.

 

Il cacciatore osservò compiaciuto la scena, poi quando fu certo che l’uomo lo potesse vedere, afferrò Drizzt per i capelli e lo strattonò all’indietro, costringendo quest’ultimo a sollevare la testa. “Guardalo bene”, disse ad Alexander con un sorriso spietato, “Guarda questo bastardo e dimmi se vale la pena morire per lui!”.

 

Alexander non disse nulla. Non c’era nulla da dire. Non si poteva ragionare con un essere talmente crudele. Sentì lo sconforto assalirlo…

NO! Non può finire così! No!

Digrignò i denti. Estese i suoi tentacoli mentali al mercenario che aveva accanto. Il dolore lo pervase ma ormai non gli importava. Nulla aveva più importanza se non la mera sopravvivenza.

Avvertì la mente relativamente ottusa del mezz’orco ritrarsi al suo tocco. I tentacoli la avvolsero e la strinsero. Il mezz’orco cadde in ginocchio e si afferrò la testa fra le mani urlando. “Che diavolo succede? Che diavolo mi sta succedendo?? E’ nella mia testa! E dentro la mia testa!!”, gridò. Alexander strinse ulteriormente la presa e il mezz’orco si accasciò al suolo senza più un suono.

“Questa è stregoneria!”, gridò il secondo mercenario, ma non fece in tempo ad allontanarsi perché l’attenzione di Alexander si rivolse su di lui. Il mezz’orco fece presto la fine del suo compagno.

 

Roddy socchiuse gli occhi, tentando di capire ciò che stava accadendo. Tentando di capire se aveva a che fare con uno stregone o se si trattava di un trucco.

 

Alexander ansimava. Era pervaso da fitte lancinanti e si sentiva la testa scoppiare. Ma non poteva fermarsi.

Roddy brandì la sua ascia e si lanciò contro di lui, ma si fermò attonito dopo pochi passi. Avvertì le propaggini della mente dell’altro uomo farsi strada dentro la sua. “Che diavoleria è mai questa?”, sussurrò mentre cominciavano le prime fitte. Alexander attanagliò le spire e strinse. Vide il cacciatore accasciarsi al suolo e lo sentì gemere. Pensò a tutto ciò che avevano dovuto subire sia lui che Drizzt. Soprattutto Drizzt. Tutte le umiliazioni, il dolore, le percosse…

Nessuna pietà!

Strinse ancora. Lo vide contorcersi a terra come un verme e provò una sorta di sadica soddisfazione. Sentiva le forze venirgli meno e la sua stretta si indebolì. Le sue energie erano agli sgoccioli e non era certo di poter avere la meglio sul cacciatore e al contempo sopravvivere. Ogni ferita inflitta alla mente di McGristle lo spingeva sempre più vicino al punto di non ritorno. Ma non gli importava, quella persona spregevole doveva morire, non importava che il prezzo da pagare fosse la sua stessa vita…

Ma mentre infuriava questa silenziosa lotta, Alexander posò gli occhi in quelli tristi di Drizzt. Oltre al dolore e alla spossatezza, l’uomo fu sorpreso di leggervi anche una tacita supplica. Con quello sguardo il drow lo stava implorando di smetterla, di spezzare quel cerchio di morte e vendetta. E Alexander capì: l’amico aveva ragione. Non si poteva lavare il sangue con altro sangue. La morte non cancellava la morte… come aveva fatto a lasciarsi trasportare fino a quel punto dall’ira?

Lentamente, spossato, l’uomo si ritirò dalla mente del cacciatore. Quest’ultimo giacque immobile su un letto di foglie e terriccio. Inerte ma vivo.

Alexander racimolò le forze. Con il briciolo di lucidità rimastagli, realizzò che doveva usare le sue ultime energie per liberarsi. Faticosamente ruotò il polso dolente stretto fra le corde. Con quell’angolazione non sarebbe mai stato in grado di usare il laser del mezzo guanto per liberare se stesso, ma con un po’ di fortuna sarebbe riuscito a bruciacchiare le corde di Drizzt. Così fu: dopo vari tentativi la corda che teneva appeso il drow cominciò a sfilacciarsi, ed infine cedette sotto il suo peso.

Il drow ci mise poco a liberare se stesso e l’amico, ma Alexander non se ne rese conto poiché era piombato in un profondissimo stato di incoscienza.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=217297