Nine Months

di smarties89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** 22 ***
Capitolo 24: *** 23 ***
Capitolo 25: *** 24 ***
Capitolo 26: *** 25 ***
Capitolo 27: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Lo so, è una maledizione! ;) Sì, sono sempre io a tediarvi con le mie follie! Fatevi coraggio!!! Eheheheheh! Prima di tutto, ringrazio la mitica CHARA per la copertina...mi salvi sempre...grazie <3 Questo primo capitolo non è molto lungo, solamente un’introduzione, ma il prossimo svelerà qualcosa di più! Come sempre, vi avviso che non so bene come andrà, dato che i personaggi fanno sempre che cavolo vogliono -.-
Bene, grazie a chi leggerà e lascerà due righe! Alla prossima :)

 
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2002
 
“Che caldo in questo ospedale, cristo santo…”
 
“Spiegami perché devi sempre cagare il cazzo, Sorum…”
 
“La prossima volta ci vieni da solo a fare la visita, allora!”
 
“Eddai, ragazzi, calmatevi! Siamo pur sempre in un ospedale!”
 
“McKagan ha ragione, Matt…piantala…”
 
“Fottiti, Saul!”
 
Formavano un bel quadretto, là, in quell’ospedale, e precisamente nel reparto di cardiologia. Matt e Duff avevano accompagnato Slash a fare una visita di routine: da dopo la malattia al cuore e l’inserimento del defibrillatore, ogni due mesi doveva farsi vedere dal medico. Era passato un anno e mezzo da quel tremendo giorno e il riccio non sapeva chi ringraziare per essere ancora lì sulla terra. Era stata dura abolire ogni tipo di dipendenza, ma grazie a dio aveva sempre la sua famiglia e i suoi amici accanto. La sua cara ex-moglie, Reneè, l’aveva mandata a farsi friggere anni prima e dopo di lei non aveva più avuto nessuna relazione seria.
L’unico vizio che ormai gli rimaneva era il sesso, anche se Matt lo prendeva sempre in giro che rischiava di farsi venire un infarto se ci dava troppo dentro.
 
“Almeno la tua cardiologa è una gnocca?”
 
“No, Matt, è un uomo…e comunque, tu non stai uscendo con quella ragazza…come è che si chiama?” domandò Saul, grattandosi dubbioso la testa e scompigliando ancora di più quel cespuglio che aveva al posto dei capelli.
 
“Ace, si chiama Ace…” intervenne Duff.
 
“Devi fare sempre il saputello tu, eh, McKagan?”
 
“Vaffanculo, Slash!”
 
“Signor Hudson, si accomodi!” la voce squillante di un’infermiera interruppe il battibecco e il riccio, prendendo una cartelletta contenente tutti i precedenti esami, si alzò.
 
Slash non risparmiò una bella occhiata al fondoschiena dell’infermiera, ben fasciato dal camice bianco; si voltò verso i due amici e alzò in pollice in segno di approvazione. Matt scoppiò in una sonora risata, attirando l’attenzione dell’infermiera stessa, che lanciò a tutti e tre un’occhiata di fuoco.
Proseguirono verso lo studio e, davanti alla porta, Slash vide una ragazza, appoggiata al muro e in lacrime. La osservò per un istante, per poi essere richiamato dalla voce del medico che lo salutava.
L’uomo lo visitò e lo trovò in ottima forma; gli diede l’appuntamento per due mesi dopo, raccomandandosi come sempre riguardo al non assumere assolutamente alcool o droghe. Poteva concedersi una sigaretta al giorno, l’unico vizio che non lo avrebbe ucciso. Nonostante ciò, uscì dallo studio, sereno e sollevato.
Vide subito che la ragazza era ancora lì, questa volta però seduta su una sedia. Il suo istinto di crocerossino venne subito a galla: in realtà, era più lo spirito da play-boy, dato che aveva notato subito che era una splendida ragazza, con lunghi capelli mossi scuri con delle mèche più chiare, e occhi altrettanto scuri, nonostante fossero stati arrossati dal pianto.
 
“Si sente bene?” le domandò e lei alzò lo sguardo.
 
Non diede nessun segno di averlo riconosciuto e, anzi, si mostrò quasi infastidita davanti a quell’uomo che non faceva nemmeno finta di farsi gli affari suoi.
 
“Sì…sì, grazie…”
 
“Vuole un caffè?”
 
“Sono a posto.” Il suo tono era tranquillo ma non ammetteva repliche.
 
“Arrivederci, allora.”
 
“Arrivederci.”
 
Slash raggiunse i suoi amici in sala d’aspetto: era un po’ turbato per quell’incontro. Quella donna aveva qualcosa che non andava e lo incuriosiva non poco.
Fece presto però a dimenticare quell’incontro quando venne accolto dai suoi amici che, anche se non l’avrebbero mai ammesso, erano preoccupati per lui e la sua salute.
 
“Allora? Come è andata?”
 
“Che ti ha detto? Va tutto bene?”
 
Le loro domande si sovrapponevano e Slash non potè fare altro che sorridere davanti a quei suoi meravigliosi amici, che non l’avevano mai lasciato in quei 4 mesi in cui la sua vita era appesa a un filo.
 
“Sto bene, ragazzi, sto bene. Il medico ha detto che sono sano come un pesce!”
 
“A parte il cervello, ma per quello non c’è speranza!”
 
“Oggi, McKagan, vuoi proprio che ti mandi a fare in culo, eh?”
 
Tutti e tre risero ed uscirono da quell’ospedale claustrofobico, diretti al garage del riccio, adibito a sala prove.
I tre si erano rincontrati pochi mesi prima a un concerto di beneficenza in onore di un loro caro amico deceduto e avevano riscoperto quella chimica meravigliosa che c’era nei Guns. Da dopo il 1993 tutto si era fatto più complicato e le poche volte che suonavano c’era sempre troppa tensione.
Ma ora le cose erano cambiate, avevano tutti voltato pagina, in un modo o nell’altro, e riscoprire quello che anni prima li aveva uniti era stata una ventata d’aria fresca.
Così si trovavano quasi tutti i giorni nella villa del chitarrista e facevano jam, da cui avevano tirato fuori del buon materiale. Duff aveva pensato di ingaggiare un suo vecchio amico, un certo David, anche lui chitarrista: sarebbe andato a provare con loro proprio il giorno seguente.
Poi, va beh, mancava un cantante…ma quella era la storia della loro vita e per il momento andava bene che fosse Duff a cantare.
Iniziarono a strimpellare qualcosa, canzoni vecchie, canzoni nuove, canzoni non ancora formate…poco importava.
La cosa importante era che fossero lì, tutti e tre, nonostante i loro corpi gli avessero presentato dei conti salati per tutti i vizi che avevano avuto in quei 20 anni suonati.
Facevano musica, e quello era il loro unico scopo.

 

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Capitolo 2
*** 1 ***


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Aperta la porta di casa, Lyla lanciò la borsa in un angolo, appese la giacca all’attaccapanni e si buttò sul divano.
Le lacrime ormai non uscivano più, dato che erano praticamente finite…che poi, nemmeno fosse una novità quello che aveva scoperto quel giorno in ospedale.
Lyla soffriva di una grave malformazione cardiaca fin dalla nascita e avrebbe avuto bisogno di un trapianto prima o poi; quel poi era arrivato, alla fine, e se non trovava un cuore rischiava di morire a nemmeno 35 anni. E quella possibilità era estremamente elevata, contando che aveva un gruppo sanguigno molto raro e trovare un cuore in pochi mesi era quasi impossibile.
Nove mesi le avevano dato.
Nove mesi di vita.
Che merda.
Avrebbe voluto piangere, urlare, sbraitare…ma non sarebbe servito a nulla. Non aveva nemmeno nessuno con cui sfogarsi, dato che era praticamente sola al mondo: i suoi genitori era morti alcuni anni prima e aveva rotto ogni legame con la famiglia e gli amici. Non voleva che tutti loro si sentissero in dovere di starle vicino solo perché sapevano quale sarebbe stato il suo destino.
Aveva avuto un fidanzato alcuni anni prima: facevano progetti, di sposarsi, creare una famiglia, fare dei figli…ma quando, 5 anni prima, le avevano detto che la situazione peggiorava sempre di più e il suo tempo era contato, lo aveva lasciato, aveva cambiato città e aveva iniziato la sua vita da eremita.
Faceva la contabile e segretaria in un noto ristorante di LA, nonostante la sua laurea in lingue straniere: conosceva a menadito il francese, il tedesco e lo spagnolo; si era sempre detta che, quando i medici le avrebbero dato l’ultimatum, sarebbe andata a trascorrere gli ultimi mesi di vita nella città che preferiva al mondo: Parigi. Suo nonno paterno era di origini francesi, e per questo anche il suo cognome era francese, Simard, e si era trasferito in America in cerca di fortuna; c’era stata proprio con lui per la prima a volta a Parigi, quando aveva solo 8 anni.
E lì era iniziato il suo amore per quella città.
Ma le avevano detto che ora come ora il volo, così lungo, sarebbe stato rischioso e che avrebbe potuto effettuarlo solamente su un aereo attrezzato e costosissimo, quindi già per quel motivo aveva dovuto accantonare l’idea.
 
“Che palle!” disse frustrata, alzandosi in piedi e avviandosi verso il bagno per una doccia.
 
Aveva anche incontrato quel tizio, in ospedale…cioè, non proprio un tizio qualunque. Sapeva bene chi fosse, nonostante non fosse mai stata una gran patita di musica.
Doveva ringraziare il suo ex per sapere chi fosse, dato che era un grande amante di musica rock. Lo sguardo di quel ragazzo era gentile, anche se per i suoi gusti era un po’ troppo ficcanaso…chissà come mai si trovava anche lui lì in ospedale.
Guardò l’orologio e si rese conto che doveva sbrigarsi: alle 6 iniziava il turno al ristorante. Lì, si occupava di gestire le prenotazioni, gli eventi e si dedicava alla contabilità; non era granchè, come lavoro, ma le permetteva di mantenere alcune ore libere nel pomeriggio e nel primo mattino per le sue visite.
Asciugò i capelli e, indossata la divisa, uscì per andare a prendere la metropolitana.
Proprio lì, vide un paio di ragazze tutte agghindate che, sicuramente, andavano a qualche festa. Accidenti, come le mancava uscire con gli amici, ridere, scherzare e divertirsi con loro. E' vero, si era imposta la vita da eremita, ma quello non voleva dire che le piacesse...anzi.
E poi...odiava ammetterlo perfino a se stessa, ma...aveva bisogno di un uomo. Del calore di un uomo, del suo abbraccio, delle sue carezze. Non poteva impegnarsi e costringere qualcuno a rimanerle accanto nei suoi ultimi mesi di vita portandolo, inevitabilmente, a soffrire....ma qualcosa di poco impegnativo, forse...
Alzò le spalle, e accantò quel pensiero quando le porte della metro ormai ferma si aprirono e lei scese.

 
 
Dalla parte opposta di Los Angeles, Slash, Matt e Duff stavano aspettando l’arrivo di Dave Kushner. Il ragazzo fu puntualissimo e si mostrò subito cordiale con tutti.
 
“Ragazzi, per me è un vero onore suonare con voi.”
 
“Grazie, Dave. Ma sappi che noi siamo persone estremamente normali!”
 
“Sul fatto che sei normale, Hudson, avrei qualcosa da ridire!”
 
“Signore benedetto, Sorum, ma chiudi mai quella fogna che ti ritrovi al posto della bocca?”
 
Senza volere, Dave scoppiò a ridere sentendo quei battibecchi e sia Slash che Matt lo fissarono per un istante, per poi scoppiare a ridere a loro volta. Dave tirò un sospiro di sollievo, temendo di aver causato un qualche incidente diplomatico per la sua scarsa abilità nel rimanere serio.
Provarono alcune canzoni e si resero conto che Dave si amalgamava benissimo con il loro sound.
 
“Dave, sei uno di noi!” gli disse Matt alla fine, dandogli una forte pacca sulla spalla.
 
“Grazie ragazzi, ne sono davvero felice!”
 
“Anche noi! Che ne dite di andare a mangiare qualcosa tutti assieme per festeggiare?” propose Duff.
 
“Volentieri! Posso dirlo anche alla mia ragazza?” chiese il nuovo chitarrista.
 
“Invitiamo anche le nostre donne, va bene? Saul?” chiese Duff, sapendo che il riccio sarebbe stato l’unico single della serata.
 
“Man, per me non è un problema! Susan e Ace mi sono simpatiche, una serata in loro compagnia sarà divertente!”
 
“Grazie, amico! Allora vado, così ci prepariamo. Ci vediamo al Canter’s Deli, che ne dite? Così facciamo anche un saluto a Marc…”
 
“Buona idea, Duff…si mangia da dio lì!” aggiunse entusiasta Matt.
 
“Perfetto, ci vediamo alle 9 là!”
 
I ragazzi si salutarono, promettendosi di rivedersi al ristorante per le 9.
Slash decise di farsi una doccia e di prepararsi; sapeva che si sarebbe sentito fuori luogo, quella sera, dato che era l’unico non accoppiato. Ma sapeva che i ragazzi ci tenevano a festeggiare con le loro donne e lui non doveva fare altro che adattarsi ed essere felice per loro…oltre che un po’ invidioso. Sì, invidioso, perché, a differenza sua, i ragazzi erano riusciti a mettere la testa a posto; persino Matt, che usciva con quella Ace da sei mesi e sembrava molto preso.
Il pensiero corse involontariamente a quella donna che aveva visto in ospedale quella mattina: sembrava molto triste quindi probabilmente aveva ricevuto una brutta notizia…o riguardo a un suo caro o a se stessa.
Poverina, sapeva cosa si provava quando ci si sentiva dire certe cose riguardo alla propria salute; sperò che avesse vicino dei famigliari o un marito che le desse una mano, perché affrontare certe cose da soli è quasi impossibile.
Notando che ormai il bagno era diventato un bagno turco per quanto aveva tenuto aperta l’acqua bollente, decise di uscire e prepararsi per la serata. Optò per qualcosa di semplice: un paio di jeans, converse rosse e nere e camicia nera. Si buttò su una spalla il chiodo, prese le chiavi della macchina e, sempre con quella ragazza nei pensieri, uscì di casa.

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Capitolo 3
*** 2 ***


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“Hudson, il solito ritardatario!” disse ad alta voce Matt, vedendo l’amico riccio che parcheggiava davanti al ristorante.
 
Era uscito con sufficiente anticipo di casa, ma poi aveva vagato senza meta per le strade della città, pensando di incontrare per caso la ragazza dell’ospedale; nemmeno Los Angeles fosse un paesino di 300 abitanti. In quell’intrico di strade, persone e grattacieli era peggio che trovare un ago in un pagliaio.
 
“Ho trovato traffico.” Inventò con rapidità: la scusa del traffico era sempre valida in una metropoli come LA.
 
“Ciao Saul.” Susan salutò il riccio baciandolo sulle guance.
 
Salutò poi Ace e infine Dave gli presentò la sua ragazza, Mary.
 
“Ciao Mary, piacere di conoscerti.”
 
“Il piacere è tutto mio.” Rispose timidamente la ragazza: era una tipa acqua e sapone, di una bellezza molto semplice. E si vedeva che si sentiva fuori posto in mezzo a tutti loro; Dave se ne era accorto e non le lasciava mai la mano.
 
Slash si sentì incredibilmente invidioso di quello che legava quei due: non avevano fatto nulla per mostrarlo, ma si sentiva.
 
“Che dite, entriamo? Appena sono arrivato a casa ho chiamato per prenotare!” disse Duff.
 
“Sempre previdente, man!” scherzò Slash.
 
“Non ci fossi io, mangiavamo sul marciapiede. Guardate, il locale è pieno!” Duff entrò per primo, avviandosi verso una sorte di reception, dove venivano verificate le prenotazioni e condotti gli ospiti ai tavoli. “Buonasera, ho prenotato per 7. McKagan.”
 
“Buonasera signore. Controllo subito.” Rispose una ragazza bruna, che Duff notò essere molto carina. Doveva essere nuova, perché non l’aveva mai vista. “Prego, da questa parte.”
 
Uscì da dietro il bancone e fece strada al gruppetto.
Incurante della vicinanza della sua donna, Matt diede una gomitata nelle costole a Slash. “Guarda un po’ la cameriera…” disse sottovoce.
 
“Chi?”
 
“Quella che ci sta portando al tavolo! Guarda che chiappe!”
 
Slash puntò lo sguardo sul bel sedere sodo della donna, avvolto in un elegante e aderente pantalone blu. Alzò lo sguardo e vide la schiena della ragazza, che indossava una camicia e aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo.
 
“Accomodatevi.” Disse voltandosi verso il gruppo.
 
Slash sentì il suo povero cuore martoriato fare una capriola: era la ragazza dell’ospedale. Non ci poteva credere di essere stato così fortunato!
Lei lo notò ma fece finta di nulla, mentre tutti si accomodavano al tavolo. Il riccio indugiò, di modo da essere l’ultimo del gruppo a sedersi e poter passare accanto alla ragazza; guardò il cartellino e potè vedere che si chiamava Lyla.
Ok, notò anche il meraviglioso seno stretto nella camicia bianca, che lasciava intravedere il reggiseno anch’esso bianco.
Ma si sa, lui era un porco immane.
 
“Buonasera.” Le disse, sorridendo.
 
“Buonasera, signore. Benvenuto.”
 
Slash odiava quei convenevoli. Signore…lui non era affatto un signore e mai lo sarebbe stato; ma glielo aveva detto con un sorriso così…malizioso, che il suo amichetto là in basso si era improvvisamente risvegliato. Ok, forse in realtà il tono non era proprio malizioso e lui era solamente tanto in astinenza.
Si sedette rapidamente, per evitare di mostrare l’alzabandiera ed essere preso per il culo a vita dagli altri.
Senza dare il tempo a Slash di riprendersi, si avvicinò Marc Canter, il loro vecchio amico.
 
“Ragazzi! Che bello avervi qui! Come state?” strinse la mano a tutti gli uomini e baciò sulle guance le signore, per poi fare le presentazioni con Dave e Mary. “Allora, che vi posso portare da bere, tanto per cominciare?”
 
Ordinarono acqua e varie bibite analcoliche, dato che chi più chi meno a quel tavolo nessuno di loro poteva esagerare.
 
“Vi faccio portare tutto, mentre decidete cosa mangiare.” Concluse Marc, per poi allontanarsi.
 
Slash rimase impalato, senza aver davvero ascoltato quello che Marc aveva detto: la sua mente era completamente rivolta a Lyla e voleva sapere qualcosa di lei a tutti i costi.
 
“Ragazzi, vado un attimo in bagno.” Disse agli altri, mentre si alzava.
 
Andò in direzione di Marc e lo chiamò per fermarlo.
 
“Slash” gli disse sorridendo l’amico. “Hai bisogno di qualcosa?”
 
“No…cioè, sì…in realtà sì…”
 
“Stai bene, man? Ti vedo strano?”
 
“Senti, chi è la ragazza alla reception?” chiese infine, facendosi coraggio.
 
“Oh, Lyla? Lavora qui da alcuni mesi…voi non l’avete mai vista perché non mi venite a trovare da un pezzo, accidenti a voi!” rise Marc, per poi tornare subito serio vedendo lo sguardo smarrito di Slash, che lanciava occhiate a Lyla.  “La conosci?”
 
“L’ho incontrata in ospedale, in cardiologia…dove sono andato io. E piangeva quando sono uscito.”
 
“Sì, lei ha…dei problemi di salute. Ma non te ne posso parlare.”
 
“Puoi almeno presentarmela?”
 
“Saul…” Marc lo chiamava per nome solo quando il riccio doveva essere rimproverato…e quello era uno dei tanti casi.
 
“Mi piacerebbe conoscerla…”
 
Marc sbuffò, indeciso sul da farsi. Ma l’espressione da cucciolo smarrito che stava esibendo il suo amico gli lasciava poche chance: nessuno gli resisteva.
 
“E va bene! Va bene! Ma solamente a fine serata, d’accordo?”
 
“Oh, grazie man! Sapevo di poter contare su di te!”
 
“Sì, come no…ora torna al tavolo, ti do 3 minuti per decidere cosa ordinare!”
 
“Corro!”
 
Tornato al tavolo, Slash non disse nulla a nessuno, nonostante un sorrisone capeggiasse sul suo viso. Parlò con tutti, rise e scherzò volentieri, senza però lanciare ogni tanto qualche sguardò a Lyla e cogliendola a osservarlo a sua volta, quando magari non aveva clienti da accompagnare ai loro posti.
La cena fu ottima come sempre e il gruppo si trattenne fino a tardi, chiacchierando del più e del meno, in particolare del loro nuovo progetto.
 
“Ora vi manca solamente un cantante…” disse Ace.
 
“Già…non sarà facile…”
 
“Perché non mettete un annuncio su qualche rivista musicale? I vostri nomi attirerebbero non poco interesse…” propose Susan.
 
“Potrebbe essere un’idea…” concordò Matt. “E’ da valutare.”
 
“Sì, ma valuteremo domani. Ora è meglio andare a casa…sono distrutto!”
 
“Non hai più il fisico, McKagan!”
 
“Taci, Hudson. E pensa per te!”
 
“Oh, ci penso, non preoccuparti! Infatti mi fermerò ancora un po’ ad aspettare che Marc chiuda, così ci beviamo qualcosa insieme.”
 
“Qualcosa mi dice che Marc non è il motivo per cui ti fermi, ma lascerò correre.” Disse Duff, con il tono di chi la sapeva lunga: conosceva troppo bene il suo amico e aveva già notato che c'era qualcosa sotto.
 
Nessuno diede segno di aver capito cosa intendeva il bassista, perciò si salutarono e le tre coppie uscirono dal locale.
Slash andò a piazzarsi al bancone del bar e ordinò una coca-cola.
Dio, se era messo male. Manco una birra poteva bere. Gli sarebbe servita, dato che era molto più nervoso di quanto si volesse concedere.
Dopo mezz’ora, si svuotò anche l’ultimo tavolo e Slash vide Marc dare le ultime indicazioni ai camerieri, per poi avvicinarsi all’amico.
 
“Spero che quella coca sia liscia…”
 
“Sì, Marc, niente whisky.”
 
“Bravo, così ti voglio. Allora, sei pronto per conoscere Lyla?”

 

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Capitolo 4
*** 3 ***


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“Allora, sei pronto per conoscere Lyla?”

 

“Certo!” Slash mostrò una sicurezza che in realtà non stava provando.

 

Marc, che lo conosceva meglio delle sue tasche, non gli disse nulla, limitandosi a sorridere. “Sta finendo di chiudere i conti della serata. Vado a dirle di venire qui quando ha terminato.”

 

Slash annuì e si voltò leggermente, osservando Marc che andava a parlare con Lyla. Le disse qualcosa nell’orecchio e lei guardò in direzione del chitarrista che, facendo un salto sullo sgabello, si voltò di scatto facendo finta di essere concentratissimo a osservare un cubetto di ghiaccio nel suo bicchiere.

Cioè, da quando lui si cagava così addosso al pensiero di conoscere una donna? Doveva rilassarsi e mostrarsi sicuro di sé, come sempre faceva quando doveva conquistare una preda.

 

Lyla, intanto, terminava il suo lavoro lanciando di sfuggita occhiate al chitarrista. Non era stupida, sapeva che l’aveva puntata fin dal primo momento. E nemmeno le dispiacevano troppo, quelle attenzioni.

Tanti uomini avevano già provato a bussare alla sua porta…magari ci era uscita fuori a cena una sera, ma poi spariva, non li richiamava, non rispondeva ai loro messaggi. Non voleva che loro si innamorassero di lei…di una che aveva i giorni contati.

Però le mancava da morire il contatto con un essere umano, con una persona che le trasmettesse un po’ di calore, di passione, di voglia di vivere.

Slash sembrava la persona più adatta per quel ruolo: di certo non aveva voglia di impegnarsi, di certo lei sarebbe stata un passatempo come quasi tutte le donne della sua vita. Ed era quello che lei cercava. Un rapporto a breve termine, senza impegno né altro. Nessuno avrebbe sofferto quando lei…sì, doveva imparare a dirselo: quando lei sarebbe morta.

Chiuse con un colpo i libri contabili, si sciolse i capelli e si sistemò la camicetta, sbottonando ancora un bottone. Prese la borsa e si avviò verso il bancone, dove Marc, il suo capo, stava coi gomiti appoggiati a chiacchierare con il chitarrista, che stava spiegando qualcosa con entusiasmo.

 

“Tu non hai idea di come è stato Marc! Era dei tempi di Appetite che non suonavo con tanto entusiasm…oh, ciao…” Slash si interruppe di colpo, vedendo la mora che si sedeva sullo sgabello accanto a lui.

 

“Ciao Slash.” Gli disse sorridendo. “Io sono Lyla, tanto piacere.”

 

“Piacere mio, Lyla. Posso offrirti da bere?”

 

“Sì, grazie…Marc, mi daresti una birra chiara?”

 

“Certo, Lyla.” L’uomo si voltò per prendere un bicchiere e versare la birra. “Tutto a posto, comunque?” le chiese, riferendosi al lavoro che aveva fatto quella sera.

 

“Tutto perfetto, sì.” Lo tranquillizzò, per poi ringraziare quando le poggiò la birra davanti.

 

“Alla tua salute.” Le disse Slash avvicinando il bicchiere al suo per brindare.

 

Lyla ridacchiò, pensando che la sua, di salute, non meritava proprio nessun brindisi.
Ma non disse nulla e toccò il bicchiere dell’uomo accanto sé, che aveva scelto ormai come sua preda: sì, i ruoli si stavano invertendo, per una volta. 
Ma Questo Slash non lo sapeva ancora: come sempre, credeva di avere il coltello dalla parte del manico.

Rimasero in silenzio alcuni istanti, senza sapere bene cosa dire. Fu proprio Lyla poi a prendere l’iniziativa.

 

“Allora…Slash…” calcò bene sul suo nome, o meglio sul suo soprannome, e lo disse in maniera così sexy che di nuovo il riccio si sentì accendere come una miccia. Cazzo, doveva farsi una scopata se era diventato così sensibile! “Pare che il destino abbia deciso di farci incontrare di nuovo.”

 

“A quanto pare…io avevo il solito controllo dopo la miopatia.” Disse con nonchalance, sperando che lei gli rivelasse per quale motivo fosse là quella mattina e soprattutto perché fosse così sconvolta.

 

“Capisco. Ti dico subito che non sono una di quelle fan che si strappano i capelli e lanciano i reggiseni alle rockstar.”

 

Slash scoppiò a ridere per la schiettezza della donna, e rispose: “Lo immaginavo. Si vede. E poi dubito che Marc assumerebbe una persona del genere.”

 

Lyla si limitò ad alzare le spalle e a bere un sorso della sua birra.

 

“Inoltre…” continuò il riccio “Se fossi davvero così, il reggiseno me lo avresti già lanciato stamattina.”

 

“Concordo con te. Dunque, Slash…” cazzo, doveva smetterla di pronunciare il suo nome così o l’avrebbe sbattuta su quel bancone. “Che programmi hai per la serata?”

 

“Oh, beh…nessuno, direi…”

 

“Ti va di accompagnarmi a casa?”

 

“O..ora?” perché la bocca gli era diventata secca? Ok, era ormai quasi un anno che non andava con una donna né tantomeno che si lanciava in un approccio. Ma quella donna era così…esplicita…che lo stava confondendo.

 

“Ovviamente, ora.” Disse ancora, scolando d’un fiato il dito di birra rimasto e alzandosi in piedi. “Andiamo?”

 

“Certo!” disse il riccio, alzandosi di scatto e prendendo la giacca in mano. Posò una banconota sul bancone e uscì veloce per raggiungere Lyla.

 

“Andiamo a piedi, ti va? Ho voglia di camminare.”

 

“Va bene.”

 

Il percorso, seppur piuttosto lungo, lo fecero in silenzio: Slash si domandava se lo avrebbe fatto salire in casa sua, e Lyla si stava infondendo coraggio per farlo.

Lei non era mai stata così, era una reazione a…a quello che le sarebbe successo da lì a 9 mesi. Era sola con un cane, ma prima di andarsene voleva ancora provare almeno qualche volta il calore che dava un uomo. E, da quel poco che lo conosceva, quell’uomo di calore ne aveva da vendere; così, una volta giunti sotto casa sua, senza dire una parola, lo spinse contro la parete e lo baciò.

Il riccio non rimase nemmeno troppo perplesso davanti a quell’atteggiamento: Lyla non gli aveva fatto intendere niente di più e niente di meno, del resto.

Così, non perse l’occasione e strinse quella strana donna a sé, assaporandola e scoprendo che era estremamente buona, molto più di quanto pensasse.

Lyla si staccò da lui e, prendendolo per mano, lo condusse in casa sua. Fecero in tempo a chiudere la porta, prima di saltarsi di nuovo addosso e ritrovarsi, ormai nudi, appoggiati al tavolo della cucina.

In un attimo, Slash fu dentro di lei e, bella pugnalata all’autostima, fece anche presto a venire.

Si accasciarono sul pavimento e si sdraiarono per riprendere fiato.

 

“Scusami…” disse Slash. “Era da un pezzo che non andavo con una donna.”

 

“Poco male…potremmo sempre ripetere, no? Nonostante tutto, mi è piaciuto.”

 

“Oh…anche a me. Prossima volta andrà meglio, giuro.”

 

“Non ne dubito. Però potremmo vederci ancora a una condizione…”

 

“Ovvero?”

 

“Promettimi che non ti innamorerai di me.”

 

Slash fece una risatina. “Baby, è davvero difficile che uno come me si innamori.”

 

“Perfetto. Sei la persona che stavo cercando.”

 



Buonsalve :) Allora, vi chiedo scusa per la tremenda impaginazione del capitolo, ma sono da un altro pc ed è tutto sballato -.- Dunque, che dire invece riguardo al capitolo...forse può sembrare tutto estremamente affrettato e un po' campato per aria, ma fidatevi che c'è molto di più dietro e che ci sono ancora tante cose non svelate e in sospeso. Ok, ho già parlato troppo :P
Grazie a tutti coloro che leggeranno e lasceranno due righe!
Un bacione ;)

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Capitolo 5
*** 4 ***


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Lyla mandò via Slash poco dopo. Dopo il loro insolito discorso, infatti, Lyla si era rivestita, aveva preso una lattina di aranciata e se l’era scolata, senza nemmeno offrirne al chitarrista. Lui la imitò, alzandosi e infilandosi i pantaloni con la coda tra le gambe: non aveva forse mai scopato da sobrio, completamente sobrio…da mesi, oltretutto.

E non pensava di venire cacciato così di malo modo da Lyla; in ogni caso gli piaceva, il sesso con lei, seppur breve, era stato bello ed aveva intenzione di rivederla.

Tanto non c’era pericolo che si innamorasse. Non era il tipo.

 

“Ci vediamo stasera?” le chiese mentre lei gli apriva gentilmente la porta per invitarlo ad andarsene.

 

“Non lo so, Slash. Vediamo, ok? Grazie per la bella serata.”

 

“Ciao!” fece in tempo a dire il riccio, prima che si richiudesse la porta alle spalle.

 

Lyla sii appoggiò con la schiena alla porta, sospirando: cazzo, non credeva fosse così faticoso fare la donna sfruttatrice e disinteressata.

Andò in cucina e prese la manciata di pastiglie per il cuore che ogni sera doveva ingurgitare. Non che migliorassero la situazione, anzi…permettevano solo al cuore di funzionare più o meno regolarmente fino a quando non fosse collassato del tutto. Fece per andare in camera a dormire, quando vide su una sedia la camicia di Slash…si era messo la giacca senza camicia. Che stordito.

La prese in mano e, maledicendosi per quello che stava facendo, la portò al viso per odorarla: il suo profumo si sentiva distintamente e le piaceva, molto.

Il sesso era stato rapido, lei non era nemmeno venuta…ma il calore che cercava lo aveva sentito, eccome se lo aveva sentito. Ed era come una droga, perché ne avrebbe voluto subito dell’altro…avrebbe fatto un po’ la preziosa, ma la sera successiva avrebbe ripetuto l’esperienza con il chitarrista, ne era sicura.

Un sorriso le spuntò involontariamente sul viso e, più leggera del solito, andò a dormire.

 

La mattina seguente, Lyla aprì gli occhi alle 10; alle 11 doveva andare al lavoro, perciò doveva darsi una mossa. Sarebbe stato imbarazzante, però, presentarsi dal suo capo, nonché migliore amico di Slash.

Ma non aveva molta scelta, perciò fece una doccia, legò i capelli in una coda di cavallo e indossò la sua divisa: i soliti pantaloni blu eleganti e la camicia bianca. Infilò le scarpe col tacco e, presa la borsa, uscì nell’aria fresca del mattino. Salì sulla metro e le venne da ridere pensando a come il giorno precedente stesse elaborando il suo piano da ‘femme fatale’: voleva un uomo da sfruttare per il suo piacere, e lo aveva trovato. E pure un bell’uomo, non uno sfigato: una rockstar, una bomba di sesso, seppur la sera prima non fosse stato chissà cosa…era certa che la prossima volta l’avrebbe fatta impazzire.

Stava ancora sghignazzando tra sé quando entrò al Canter’s Deli.

 

“Sei di buon umore, questa mattina.” Le disse Marc, a mo’ di saluto.

 

Lyla arrossì violentemente, capendo che non era uno stupido e che sapeva, o almeno sospettava, cosa fosse successo tra i due.

 

“Buongiorno, Marc.” Disse lei in tutta risposta, facendo la finta tonta e posizionandosi dietro il bancone all’ingresso dove era solita stare.

 

“Lyla…” Marc le si posizionò di fronte, appoggiando i gomiti al bancone. “Non ti conosco bene, non ho idea di cosa ti passi per la testa né altro…di te so solo…ecco…quello che riguarda la tua salute. Slash non è esattamente uno stinco di santo e non so quanto ti possa fare bene vederti con uno come lui.”

 

“Nulla potrebbe farmi stare peggio di come sto, Marc, di quello non ti devi preoccupare.” Fu il turno dell’uomo di arrossire, perché quello che aveva detto era un po’ un paradosso. “Lo sai che sono praticamente una morta che cammina, perché dovrei preoccuparmi di soffrire o che altro?”

 

“Conosco bene Saul e sa essere molto…persuasivo…”

 

“Io voglio solo trascorrere i miei ultimi mesi di vita serenamente…”

 

“Lo capisco, davvero. Perché, però, non usciamo una sera, magari, io, mia moglie, Slash e te? Può essere un modo per fare amicizia, per divertirci. Inoltre sono sicura che saresti molto simpatica a mia moglie, e magari ti potrebbe dare una mano se hai bisogno.”

 

“Ti ringrazio, Marc. Davvero, per tutto. Ti ringrazio per avermi dato questo lavoro, nonostante tu sappia che resterò qui…poco tempo. Ti ringrazio per avermi fatto conoscere Slash e per avermi proposto di uscire tutti insieme. Ma no. Non posso e non voglio chiedere aiuto a nessuno.”

 

“Come preferisci.” Concluse Marc, nemmeno troppo stupito: aveva già capito che tipo fosse Lyla. “Ma se hai bisogno di qualsiasi cosa, sai che a noi ti puoi rivolgere.”

 

Lyla gli fece un sorriso per ringraziarlo: Marc era una brava persona e, anche se non la conosceva, era certa lo fosse anche sua moglie. Le sarebbe piaciuto uscire con loro, ma…non doveva permettersi di legare con nessuno. Non lo faceva da anni, di certo non poteva farlo ora che le rimanevano 9 mesi di vita.

Tutti questi pensieri scomparirono, grazie a dio, quando iniziarono ad arrivare i clienti del locale. Quel giorno, come quasi ogni altro, c’era tutto pieno, e il tempo passò piuttosto velocemente.

Stava facendo i conti quando le si parò di fronte una figura a lei ben nota.

 

“Ciao bimba, finito di lavorare?”

 

“Primo, non chiamarmi bimba. Ho un nome e ti prego di usarlo. Secondo, no, non ho finito. Perciò se ti va di aspettarmi al bancone, mezz’ora sono da te.”

 

Basito dalla gelida risposta di Lyla, Slash le obbedì e si andò a sedere al bancone; ordinò un caffè nero ed amaro per ringalluzzirsi un po’ e fece un cenno a Marc, che stava sparecchiando dall’altra parte della sala.

 

“Mi sembrava strano che non passassi.”

 

“La smetteresti, per piacere? Mi ha già freddato Lyla con la sua solita gentilezza, non ti ci mettere anche tu.”

 

“Deduco che ieri sera sia andata bene.”

 

“In teoria sì…sono andato da lei, quindi. Peccato che sono durato 30 secondi e ho fatto ridere i polli.”

 

Marc cercò di trattenere una risata sapendo quanto quell’argomento fosse delicato per il chitarrista: la sua virilità non si doveva toccare. “Beh, era da un anno ormai che non stavi con una donna. Sono certo che ti rifarai.”

 

“Sono qui apposta. Non so se lei vorrà ancora vedermi, ma di certo non posso lasciarla con un simile ricordo di me.”

 

Stavolta Marc non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere, beccandosi un’occhiata di fuoco dal chitarrista.

Rimasero a chiacchierare ancora un po’, finchè non fece la sua comparsa Lyla.

 

“Eccomi!” disse allegramente. “Andiamo, Slash?”

 

“Certo! Ciao, Marc.”

 

“Ciao ragazzi, divertitevi!” li provocò Marc, ricevendo un bel dito medio dal riccio.

 

Una volta fuori, Lyla si rivolse a Slash e gli disse: “Ho bisogno di una doccia, prima di tutto. Dentro quel ristorante oggi si moriva di caldo.”

 

“Ti va di venire da me? Puoi farti una doccia, e se vuoi anche un bagno in piscina…”

 

“L’idea mi attira…anche se non ho il costume.”

 

“Potrei avere qualcosa io…e comunque, ti durerebbe davvero poco addosso.” La provocò il riccio, avvicinandosi a lei e cingendole la vita con un braccio.

 

Ma Lyla si scostò bruscamente da lui. “Che fai?”

 

“Nulla, stai calma. Ho parcheggiato laggiù.” Disse indicando un parcheggio lì vicino. “Vieni con me o non vuoi nemmeno che ti vedano salire sulla mia macchina?”

 

In tutta risposta, Lyla alzò gli occhi al cielo e si incamminò nella direzione che lui le aveva indicato.

 

“E comunque…” gli disse a un certo punto, fermandosi in mezzo al marciapiede e guardandolo negli occhi. “Ieri sera hai scordato la camicia a casa mia. Da quando indossi la giacca senza nulla sotto?”

 

“Pensa che una volta indossavo i pantaloni, senza nulla sotto…” ghignò il riccio, gelandola forse per la prima volta.

 

Lyla alzò nuovamente gli occhi al cielo, per poi dargli la schiena e concedersi un sorriso.
 

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Capitolo 6
*** 5 ***


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Salve a tutti!!! Vi posto il nuovo capitolo, nonostante la moria di recensioni in quello precedente...spero non sia perchè la storia fa pietà...in tal caso ditemelo così mi evito una figuraccia :P
Buona lettura!!!!

 

La premonizione di Slash riguardo al costume non fu del tutto esatta. Arrivati alla villa del chitarrista, infatti, Lyla decise di togliersi i vestiti e di tuffarsi, completamente nuda, nella piscina.

Slash sorrise vedendo quanto fosse incredibile quella donna e, imitandola, si buttò a sua volta in acqua come mamma lo aveva fatto. In un attimo le fu addosso e questa volta la fece impazzire proprio come Lyla aveva sperato.

Una volta fuori, si sistemarono su due sdraio a bordo piscina e Slash si accese una sigaretta.

 

“Non me ne offri una?” gli domandò la mora, allungando una mano verso di lui.

 

“Non sapevo fumassi.”

 

“Solo dopo del buon sesso soddisfacente.” Lo provocò, prendendo la Marlboro e l’accendino che Slash le porgeva. “Grazie.”

 

“Grazie a te per il complimento.”

 

“Quale complimento?”

 

“Per aver detto che sono un buon amatore.”

 

“Non ho mai detto quello. Sesso soddisfacente non è sinonimo di buon amatore.”

 

“Se lo dici tu…” Slash lasciò in sospeso la questione, capendo che tanto con Lyla non l’avrebbe avuta vinta nemmeno morto. “Raccontami qualcosa di te, comunque…”

 

“Non pensavo che lo scopare insieme implicasse farsi le confidenze.”

 

“Potresti smetterla di trattarmi come una pezza da piedi, per favore? Cercavo solo di essere gentile, di trovare degli argomenti di conversazione, ma se preferisci stare muta tutto il pomeriggio, fai pure!!!”

 

Lyla non gli rispose, voltando solamente il capo dall’altra parte: Slash aveva ragione, si stava comportando da stronza. Approfittatrice e stronza. Ok, non dovevano diventare una coppia di fidanzatini innamorati, ma almeno parlare del più o del meno glielo poteva concedere. Di certo non gli avrebbe confidato il suo segreto.

 

“Allora, mi chiamo Lyla Simard, ho 34 anni e sono nata a Boston. Sono laureata in lingue straniere, sono single e non è molto che vivo qui a Los Angeles.”

 

“Simard? Non è un cognome inglese…”

 

“No, è francese. Mio nonno paterno era francese ed è emigrato in America da ragazzo.”

 

“Ci ho suonato con i Guns N’ Roses in Francia.”

 

“A Parigi?”

 

“Sì, a Parigi.”

 

“L’avevi visitata?”

 

“Bambola, ero talmente fatto e ubriaco a quei tempi che il mio ultimo pensiero era quello di visitare le città dove suonavo.”

 

“Non sai cosa ti sei perso…”

 

“E’ una bella città?”

 

“Bella? Beh, bella è davvero riduttivo…” Slash osservò Lyla e vide che gli occhi le brillavano al pensiero di Parigi: era la prima volta che vedeva una traccia di…umanità in lei. “Tu non hai idea della sensazione che si prova la prima volta che vedi la Tour Eiffel. Io avevo 8 anni la prima volta che ci sono stata con mio nonno; ero sull’autobus e a un certo mi sono voltata per guardare fuori dal finestrino e…e lì c’era…dio, c’era la torre. Immensa, incredibile, indescrivibile. In quel momento mi sono innamorata di quella città.”

 

“E’ da tanto che non ci vai più?”

 

“Purtroppo sì, perché…”

 

“Perché?”

 

“Per motivi personali.”

 

“Capisco.” Slash non chiese altro, capendo che tanto non avrebbe cavato un ragno dal buco nemmeno quella volta.

 

“E di te cosa mi dici? Non hai nulla in ballo dal punto di vista musicale?”

 

“Beh, in realtà sì…qualcosa in ballo c’è.” Slash si interruppe sentendo suonare il citofono. “Chi diavolo è? Scusa, vado ad aprire.”

 

Il riccio si infilò un paio di pantaloncini e si avviò alla porta. La aprì e si trovò davanti i suoi compagni: Duff, Matt e Dave.

 

“Ti sei dimenticato delle prove!” lo accusò Matt senza attendere alcuna spiegazione.

 

“No che non mi sono dimenticato!” rispose Slash arrancando. Sì che si era dimenticato: si era fatto travolgere da quella furia che si era rivelata Lyla e aveva chiuso il mondo fuori. “Ok, mi sono dimenticato…”

 

“Con chi stavi scopando?” intervenne subito Duff, azzeccando come sempre il problema.

 

“Cazzo, McKagan, ma che hai? Un radar?”

 

“Saul, ti conosco da abbastanza tempo per capire quando hai appena fatto sesso.”

 

Matt scoppiò a ridere. “Ragazzi, sembrate due finocchi!” Ma tacque subito vedendo lo sguardo assassino dei suoi due amici.

 

“Ok, ragazzi, andate in garage. Io ora parlo con lei.”

 

“Non mandarla via, dille di venire a sentirci.” Gli consigliò gentilmente Dave.

 

“Ora vedo, man…è una tipa un po’…particolare. Comunque grazie.”

 

Dopo che i ragazzi furono spariti, Slash uscì di nuovo in giardino per raggiungere Lyla. “Scusami, ho dimenticato che dovevano venire gli altri a provare oggi pomeriggio.”

 

“Proprio vero che parli del diavolo e spuntano le corna, eh? Tolgo subito le tende, comunque…”

 

“No! Non devi…per forza. Ti va di venire a sentirci un pochino?”

 

Lyla guardò l’orologio che portava al polso: erano le 4 passate e le mancava poco più di un’ora prima di dover tornare al lavoro. Di certo non aveva il tempo di tornare a casa e nemmeno aveva voglia di vagare qua e là senza una meta; inoltre, Slash si era dimostrato piuttosto gentile con lei e le dispiaceva dirgli di no. Alla fine avrebbe solo ascoltato un po’ di buona musica.

 

“D’accordo. Dammi il tempo di rivestirmi.”

 

“Fantastico! Ti aspetto in cucina, così prendo qualcosa da bere.”

 

 

 

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Capitolo 7
*** 6 ***


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Lyla si infilò i pantaloni e la camicetta: non era il massimo della comodità, ma purtroppo non aveva altro. Decise almeno di non mettere quei maledetti tacchi che doveva indossare tutti i giorni, e quindi, a piedi nudi, raggiunse Slash in cucina.

 

“Pronta?” le chiese, nascosto dietro una montagna di lattine di bibite rigorosamente analcoliche.

 

Lyla ridacchiò, vedendolo così in difficoltà. “Ehi, ti do una mano.” Prese alcune lattine e, involontariamente, gli sorrise.

 

“Grazie.” Rispose Slash, sorridendo a sua volta. Avrebbe voluto dirle tante cose: che il suo sorriso era bellissimo, che avrebbe desiderato vederlo di più sul suo viso, che la rendeva ancora più meravigliosa di quanto non fosse di solito…ma si morse la lingua sapendo che non avrebbe reagito bene a quei complimenti.

 

La guidò in garage, dove gli altri avevano già imbracciato gli strumenti ed erano in posizione.

 

“Ragazzi, vi presento Lyla.” Annunciò Slash, mentre la donna alzava la mano in segno di saluto e mormorava un timido ‘ciao’ generale.

 

La prima persona che il riccio guardò fu il suo amico di una vita: Duff. Il bassista aveva sbarrato leggermente gli occhi quando aveva riconosciuto Lyla e aveva rivolto subito uno sguardo interrogativo a Slash.

Dopo alcuni istanti di imbarazzante silenzio, Lyla disse: “Posso sedermi qui sul divano?”

 

“Oh! Certo, scusami. Beviti pure qualcosa, se hai sete!” le disse Saul, prima di correre a rifugiarsi dietro la sua chitarra e i suoi occhiali da sole, che aveva una voglia matta di indossare da almeno un paio d’ore. Precisamente da quando aveva incontrato Lyla quel giorno.

 

I ragazzi iniziarono così a suonare: dato che ancora non avevano un cantante, fu Duff a cantare e il loro repertorio comprendeva canzoni dei Guns ‘N Roses e di tanti altri gruppi più o meno famosi.

Lyla non era mai stata una fanatica o grande esperta di musica, però quei 4 erano bravi e il modo in cui suonarono le piacque davvero moltissimo.

In meno di mezz’ora, quel garage era diventato un forno e uno dopo l’altro i musicisti si spogliarono, rimanendo a petto nudo; Lyla non disdegnò lo spettacolo che aveva di fronte, in particolare quello di Duff, il cui fisico scolpito la incantò subito.

Poi osservò Slash, i capelli legati in una coda morbida, gli Aviator calati sugli occhi e il petto solcato da goccioline di sudore…la sua attenzione cadde in particolare su una di queste che, particolarmente dispettosa, gli partì dalla base del collo per poi andare a perdersi nei jeans.

Scosse il capo, maledicendosi: lei non poteva permettersi quei pensieri! Non doveva, o la sua risolutezza nel rimanere così gelida nei confronti del riccio ne avrebbe risentito.

Il vaso però traboccò quando Slash si voltò verso di lei alla fine di una canzone e, alzatosi gli occhiali da sole sulla testa, le fece un occhiolino.

Merda, scopavano solo da due maledettissimi giorni e già erano arrivati a quel punto!

Ok, forse non era paragonabile a una dichiarazione d’amore o qualcosa del genere, ma temeva che di quel passo ci sarebbero arrivati in fretta.

Si alzò di scatto dal divano ed uscì velocemente dal garage, sentendo solo la voce di Slash chiederle dove stava andando.

Passò in salotto e si rimise le scarpe, cercando la borsa, che non ricordava dove accidenti aveva lanciato; ma non fu abbastanza svelta, perché Slash apparve.

 

“Lyla, che c’è?”

 

“Devo…devo andare al lavoro.”

 

“Potevi almeno salutare…”

 

“Lo so, scusa, è che…che…”

 

“Lyla, ascolta…” Slash si piazzò davanti alla porta, perché voleva che almeno quella volta gli desse la possibilità di parlare. “Io non so quale sia il tuo segreto, perché, sì, devi averne uno per forza o non ti comporteresti così…non so quale sia, e non importa se non me lo vuoi dire. Avrai i tuoi buoni motivi. Ma non c’è nulla di male a vederci e stare insieme ogni tanto, come hai detto tu senza alcun impegno…tu mi piaci e anche se non mi darai la possibilità di conoscerti un po’ di più, vorrei continuare a vederti. Sei una donna con le palle, che sa cosa vuole e questo tuo alone di mistero mi attira incredibilmente.”

 

“Slash, io…”

 

“Non è il caso che dici nulla. Io stasera sarò ad aspettarti fuori dal Canter’s Deli. Se ti va, passiamo la serata insieme, altrimenti nessun problema. D’accordo?”

 

Lyla sentì gli occhi riempirsi prepotentemente di lacrime: merda, non doveva diventare così complicata, quella situazione. Slash si stava dimostrando una persona decisamente migliore di quello che aveva pensato…lo aveva sottovalutato, doveva ammetterlo.

E forse, al contrario, aveva sopravvalutato se stessa, credendosi capace di non provare dei sentimenti per un tizio con cui faceva solo sesso; era una donna, dannazione, non…un uomo. Come si diceva, le donne fanno l’amore, gli uomini fanno solo sesso.

Ma non voleva privarsi di quel vizio che il profumo e il sesso di Slash erano diventati in appena due giorni e decise che, se si fosse impegnata un po’ di più,  avrebbe potuto tenere tutto sotto controllo: nessuna implicazione sentimentale…solo dell’ottimo sesso.

Per l’occasione, sarebbe diventata…un maschio.

 

“A stasera, allora.” Gli disse infine, dandogli un bacio a stampo e scomparendo fuori dalla porta, e lasciando, per l’ennesima volta in due giorni, un riccio a dir poco sconcertato.

 

Sospirando, Slash tornò in garage, pronto a sorbirsi i suoi tre amici fargli l’interrogatorio. In effetti, appena entrò, la prima domanda non si fece attendere più dei trenta secondi di iniziale imbarazzo.

 

“E’ la tipa del Canter’s, vero?”

 

“Sì, Matt…”

 

“Come l’hai conosciuta?” il batterista era curioso come una scimmietta.

 

“L’ho conosciuta l’altra sera, dopo la cena…ma in realtà l’avevo già vista quella mattina che mi avete accompagnato in ospedale.”

 

“Mi sembra una tipa strana…” azzardò Duff.

 

Slash alzò le spalle, dubbioso su cosa dire; la sua unica risposta fu quella di imbracciare nuovamente la sua chitarra e iniziare a suonare, ringraziando il cielo del fatto che nessuno fece altre domande e lo seguirono subito in una canzone.

 

Fu solo verso sera che i ragazzi decisero di smettere; Matt e Dave andarono via poco dopo, mentre Duff finse di riordinare varie cose così da poter rimanere da solo con Slash. Lui non lo avrebbe ammesso manco sotto tortura, ma sapeva che aveva voglia di parlare.

 

“Saul…ti va di parlare un po’?”

 

“Di cosa?”

 

“Lo sai di cosa…”

 

“Michael, se sei qui per farmi la predica, davvero, non è necessario.”

 

“C’è qualcosa di strano tra te e quella donna, e io voglio capire che cos’è…”

 

“Non c’è nulla di strano…il problema è che non c’è proprio…nulla. Lei è una tipa strana: gelida, non esterna mai le sue emozioni. Persino quando facciamo sesso, seppur sia un’ottima amante, lei non si sbilancia mai più di tanto, capito…non si lascia andare con facilità. Mi ha chiaramente detto che non vuole implicazioni sentimentali, che tra me e lei può andare avanti se io non perdo la testa per lei. Al che, comunque, l’ho tranquillizzata dicendole che io non perdo mai la testa.”

 

“Le ultime parole famose…”

 

“Eh? Che diavolo dici?! Ma figurati! Comunque, è una tipa strana, davvero, e non so come approcciarmi con lei perché…”

 

“Perché?” lo incalzò Duff vedendolo indugiare.

 

“Perché per la prima volta nella mia vita mi trovo nella posizione sbagliata! Cioè, è lei che sta gestendo la situazione, capito, è lei che mi sta…usando per i suoi scopi. Per la prima volta non sono io a farlo con una donna…e questa cosa mi confonde.”

 

“Beh, è la punizione divina per tutte le donne che ti sei scopato in questi anni e che hai trattato a pesci in faccia!”

 

“Non fa ridere, McKagan…”

 

“Infatti non doveva far ridere, è la pura verità. Capita prima o poi nella vita di trovarsi dall’altra parte, no? A me è successo con Susan: lei mi ha fatto capitolare e so che se lei se ne andasse sarei perso…non mi era mai accaduto, mentre invece era di sicuro accaduto a Mandy o qualche altra mia ex. Capita a tutti, Saul, di innamorarsi…”

 

“Ma io non voglio innamorarmi…e anche volendo, con Lyla non posso proprio farlo.”

 

“Sono cose che non si possono impedire. Ascolta, fai così: per il momento proseguite senza troppo impegno…del resto vi vedete da appena due giorni. E poi quel che sarà, sarà. Va bene?”

 

“Che saggio del cazzo che sei, McKagan!” scherzò Saul, dando una pacca sulla spalla al suo amico.

 

“Lo sono sempre stato e sempre lo sarò!”   

 

“A parte gli scherzi…grazie, man…davvero.”

 

“Sono qui apposta, Saul.”

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Capitolo 8
*** 7 ***


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Slash mantenne la sua promessa: quella sera alle 11 in punto era davanti al Canter’s Deli. Sapeva che in settimana Lyla staccava più o meno a quell’ora e perciò la aspettò lì fuori.

L’attesa, in realtà, fu più lunga del previsto, tanto che temette che Lyla avesse staccato in anticipo e che se ne fosse già andata; sarebbe entrato a vedere, ma già immaginava l’espressione severa del suo amico Marc che l’aveva messo in guardia ma che lui, come suo solito, non aveva ascoltato.

Avesse dato retta a Marc qualche volta in più in passato forse tante cose sarebbero andate in modo diverso…ma ora non aveva voglia di piangere sul latte versato.

E per fortuna non ne ebbe neanche il tempo, dato che un istante dopo Lyla uscì dal ristorante; era bella come al solito e lui si perse un attimo a osservarla.

Splendida era splendida, c’era poco da dire…peccato che fosse così strana, così misteriosa.

Quando lo riconobbe lo salutò con la mano, sciogliendosi in un bel sorriso, forse il più bello che aveva visto in quei pochi giorni…e contando che lei sorrideva davvero poco, quello valeva doppio.

 

“Ciao Slash!” gli disse allegramente e baciandolo su una guancia.

 

“Buonasera bellezza. Come è andata al lavoro?”

 

“Stancante…abbiamo avuto più gente del solito questa sera. Non ho fatto in tempo nemmeno a mangiare qualcosa.”

 

“Hai fame? Possiamo andare a prenderci qualcosa…”

 

“Ma no…non importa…”

 

“Lyla, davvero, se hai fame andiamo…”

 

“Ok, in realtà sto morendo!”

 

Slash scoppiò a ridere e le fece segno di salire in auto. Si mise alla guida senza dire nulla, troppo spaventato dal fatto che un minimo apostrofo sbagliato avrebbe rotto quella strana serenità che stava regnando in quel momento. Era la prima volta che parlavano tra di loro senza che lei lo insultasse o desse di matto…in quel momento sembravano quasi…una coppia.

 

“Dove mi stai portando?” domandò Lyla interrompendo i suoi pensieri che, quella sera, stavano correndo davvero troppo per i suoi gusti.

 

“Ti piacciono gli hamburger?”

 

“Certo! Sono americana!”

 

Slash rise di nuovo. “Ti porto in un posto dove fanno hamburger buonissimi e che puoi decidere tu dall’inizio alla fine.”

 

“Ok, ma accelera che ho fame!”

 

Il riccio obbedì, cercando comunque di non superare troppo i limiti di velocità, e in una mezz’oretta raggiunsero il posto. Era piuttosto affollato, data la sua fama per gli ottimi hamburger, e i due attirarono non pochi sguardi.

Erano zone in cui il riccio bazzicava spesso, quindi la gente ormai era abituata a incontrarlo; ma vederlo con una donna era molto raro.

 

“Ciao Saul!” lo salutò calorosamente un uomo di mezza età dietro il bancone.

 

“Johnny! Mi fai il solito?”

 

“Certo, man. E per la signorina?”

 

Lyla ordinò senza indugio un mega cheeseburger con bacon, uova, insalata e un mucchio di altre schifezze che resero quel panino una vera e propria bomba.

 

“Ma mangi sempre così?” le domandò Slash vedendola addentare quell’hamburger come se non mangiasse da due giorni.

 

“Così come?” chiese Lyla, parlando poco finemente con la bocca piena.

 

“Così…tanto! Dove mette tutto quello che mangi?”

 

“Ho un buon metabolismo!”

 

“Dì la verità…vai in palestra tutti i giorni!”

 

Lyla scoppiò a ridere: non aveva idea di che assurdità avesse detto. “Resterei secca se andassi in palestra tutti i giorni!”

 

“Troppo faticoso?” Povero Slash, non aveva idea di quello che stava dicendo.

 

“Diciamo che…non ho una grande resistenza.”

 

“Problemi di salute?” azzardò Slash ricordando quello che Marc gli aveva raccontato riguardo a Lyla. Ma si pentì subito di quelle parole perché la donna gli rivolse uno sguardo assassino.

 

“Cosa ne sai tu della mia salute?”

 

“Nu..nulla! La mia era solamente un’ipotesi.”

 

“E se ti dicessi che l’hai azzeccata, riccio? Cosa faresti?” lo provocò, senza perdere l’espressione seria e dura che le si era incollata sul viso da quando avevano iniziato quel discorso.

 

Slash riflettè per alcuni istanti sulla risposta da darle. “Beh, aspetterei che tu mi dicessi qualcosa di più al riguardo.”

 

“Scordatelo.” Gli rispose, distogliendo lo sguardo dal suo viso e tornando ad addentare il panino.

 

Rassegnato, Slash lasciò cadere la questione, continuando a mangiare a sua volta.

 

“Mhm, era una bomba questo hamburger!” esclamò soddisfatta Lyla dopo alcuni minuti, pulendosi le mani nel tovagliolo.

 

Il riccio, che era seduto accanto a lei, la guardò, notando subito un baffetto di ketchup sopra le labbra.

“Avvicinati un attimo.” Le disse a voce bassa.

La donna obbedì e rimase di sale quando sentì Slash leccarle via qualcosa da sopra la bocca, per poi spostarsi qualche millimetro più in giù e baciarla lievemente a stampo.

Lyla lo osservò allontanarsi un pochino, per guardarla bene negli occhi e lei si sentì male davanti a quei due occhi così neri, profondi, che racchiudevano un passato, un presente e un futuro da rockstar, ma soprattutto da uomo…un uomo semplice, che amava le cose semplici e che viveva per la sua musica.

Non resistette e inclinò a sua volta il capo per baciarlo ancora, per continuare a sentire quel contatto che, seppur breve, l’aveva eccitata come una ragazzina.

Incuranti di essere in un luogo pubblico e affollato, i due si baciarono profondamente e a lungo: le loro lingue si intrecciavano e si avvolgevano e la temperatura stava aumentando notevolmente per entrambi.

Slash non ne poteva più, sentiva che se avessero continuato l’avrebbe presa lì, in quel preciso istante…e fanculo se lo denunciavano per atti osceni in luogo pubblico. Manco fosse la prima volta, comunque.

 

“Piccola, se andiamo avanti così giuro che ti sbatto sul tavolino del locale.”

 

Lyla ridacchiò, le guance rosse come le sue labbra martoriate. “E allora paga e andiamocene in un posto più appartato.”

 

Come un lampo, Slash andò alla cassa, dove il suo amico Johnny gli fece lo scontrino, unito a un sorriso decisamente malizioso ed eloquente e a un bell’occhiolino di incoraggiamento.

Senza parlare, i due raggiunsero la macchina a grandi passi e, una volta sopra, sempre in silenzio, Slash mise in moto.

 

“Quanto manca a casa tua?” chiese dopo un po’ Lyla.

 

“Un quarto d’ora e ci siamo.”

 

“Fermati.”

 

“Come?”

 

“Fermati ho detto!”

 

Il primo pensiero di Slash fu quello che Lyla non si sentisse bene e quindi accostò in una piazzola.

In un secondo, la donna gli fu addosso, baciandolo con foga e portando le mani alle spalle per sfilargli il chiodo. Preso alla sprovvista, Slash si ritrovò a borbottare un ‘che fai’ poco convinto mentre Lyla, senza mezzi termini, gli tirava già la cerniera dei jeans e iniziava ad accarezzarlo.

 

“Piccola, siamo in mezzo a una strada…” tentò ancora Slash, che ormai stava perdendo lucidità grazie alle mani di Lyla.

 

Lei lo fece tacere, per poi calarsi i pantaloni e le mutandine con gesti degni di una contorsionista. Si sedette su di lui, baciandolo di nuovo per sedare i loro sospiri.

Fu solo una sveltina, ma non per questo meno piacevole. Anzi, entrambi si ritrovarono stremati sui sedili, ad ansimare e a tentare di rivestirsi e di sistemare i capelli che, nella foga, erano andato ovunque tranne che al loro posto.

 

“Sei una tipa strana, Lyla Simard…” le disse a un certo punto Slash, una volta ripreso fiato. “Ma mi piaci da morire anche per questo.”

 

Lei lo guardò con una nota di rimprovero negli occhi. “Ricordi quello che ti ho detto?”

 

“Che non devo innamorarmi di te, lo so. Ma ti puoi tranquillizzare, non corro questo rischio.”

 

“Meno male. Che dici di andarcene a casa, ora?”

 

“Mia o tua?”

 

“Mia. Ho bisogno di una doccia.”

 

“Ottima idea, anche io!!” concluse Slash con la sua migliore faccia da schiaffi.

 

Strappò una risata a Lyla, che comunque non disse nulla e iniziò a pregustarsi il piacere che il chitarrista quella notte le avrebbe dato.

 

 
 

Buonsalve! Capitolo ‘rosso’ per la gioia di molte, probabilmente. Sarà uno dei pochi, vi avviso ;) Nel prossimo capitolo avremo un salto temporale di un paio di mesi!

Grazie a tutti, un bacione!

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Capitolo 9
*** 8 ***


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Quando quella mattina Lyla aprì gli occhi, la prima cosa che fece fu lanciare uno sguardo al calendario che teneva, da vera masochista, accanto al letto.

Sette mesi.

Sette mesi mancavano nel suo conto alla rovescia.

Ne erano quindi passati due da quando aveva ricevuto la fatidica notizia e, nonostante le visite di controllo settimanale, nulla era cambiato: il cuore non si era trovato e l’ottimismo iniziale del medico scemava ogni giorno di più. A lei ovviamente non lo aveva detto in maniera esplicita, ma Lyla conosceva ormai le espressioni dei medici, dato che ne visitava da tutta la vita. L’unica nota positiva era che non c’era stato peggioramento, le aveva detto, facendola quasi scoppiare a ridere per l’assurdità di quella frase: come poteva andare peggio di così?

Si alzò, decisa a farsi una doccia per scacciare via i brutti pensieri e anche quel maledetto profumo di Slash che le era rimasto addosso dalla sera precedente: lui era stato da lei, infatti. Avevano ordinato cinese e iniziato a guardare un film, che ovviamente non avevano finito dato che si ero saltati addosso come due adolescenti in preda agli ormoni.

Le cose tra loro andavano…bene, se così si poteva definire. Continuavano a vedersi quasi tutti i giorni, o a casa sua o in quella di Slash, l’aveva invitata a sentire altre prove di quel gruppo che tentava di formarsi ma che non riusciva a trovare un cantante, ed una sera avevano persino mangiato al Canter’s con Marc e sua moglie.

Ovviamente non era stata una cosa programmata: l’avevano incastrata. Ma, una volta finita la cena, Lyla aveva sottolineato per bene al suo amante che non sarebbe stata quella cena a renderli una coppia vera e propria.

Slash, dall’alto della sua convinzione sul non innamorarsi, l’aveva tranquillizzata.

Quando chiuse l’acqua per uscire dalla doccia, i brutti pensieri erano stati sostituiti da quello di quanto fosse entusiasmante il sesso con il chitarrista: era ogni volta una novità e, a causa della foga, una sera le era persino venuta la tachicardia e una mezza crisi respiratoria. La spacciò per asma e, con le sue pillole grosse come proiettili, si riprese senza che fosse necessaria una bella gita al pronto soccorso.

Slash se l’era bevuta, o aveva fatto finta di farlo, e non erano più tornati nel discorso.

Lyla si stava preparando il caffè quando sentì il cellulare emettere un suono. Proprio vero che quando parli del diavolo spuntano le corna: Slash le aveva appena mandato un sms. ‘Ciao bimba. Ti va di fare colazione insieme? Ci vediamo tra mezz’ora allo Starbucks sulla trentaquattresima.’

Lyla alzò gli occhi al cielo leggendo quello stupido soprannome, anche se ormai ci aveva fatto l’abitudine: aveva un nome, perché non era in grado di usarlo?!

‘Ok, a dopo. E comunque ho un nome!’

Decise di non smentirsi mai lanciandogli una bella frecciatina e, spenta la caffettiera, mise la giacca ed uscì di casa verso la fermata della metropolitana.

C’era tantissima gente quella mattina: in effetti era ora di punta e lei non era abituata ad uscire di casa così presto. Quel maledetto chitarrista le stava anche facendo cambiare abitudini…male, davvero molto male.

Arrivò un po’ in anticipo alla caffetteria, ma lui era già lì e, suo malgrado, si ritrovò a sorridere come una sciocca.

 

“Buongiorno, bellissima.” Le disse Slash, calcando sul nomignolo.

 

“Buongiorno, rockstar.”

 

“A me piace che mi si chiami rockstar!”

 

“Sei un montato, lo sai?” gli disse, aprendo la porta del locale.

 

Slash le rispose con una linguaccia, mentre si accomodavano a un tavolino e si nascondevano dietro al menù.

Ordinarono la colazione e ripresero a chiacchierare del più e del meno.

Slash aveva preso qualcosa come due muffin, una ciambella e un cupcake, ma lo stomaco era sigillato: non aveva chiesto a Lyla di fare colazione così, senza un motivo.

La sera precedente, dopo essersene andato da casa della donna, aveva trovato un messaggio in segreteria: era Izzy Stradlin, il suo vecchio collega, che lo invitava alla sua festa dei quarant’anni. Si era stupito non poco sentendo quell’invito: l’amico era sempre stato molto riservato e non immaginava che organizzasse una festa di compleanno in grande stile.

Nel messaggio aveva specificato che sarebbe stata una festa riservata, nella sua casa a Lafayette, senza giornalisti o gente fuori dal loro giro; in ogni caso, si cagava addosso. E per un motivo ben preciso: Axl Rose.

Sospettava che ci sarebbe stato anche lui a questa festa di compleanno e ciò gli metteva non poca agitazione; avrebbe dovuto rifiutare, ma…aveva subito mandato un sms a Izzy confermandogli la presenza sua e della sua accompagnatrice.

Ed era proprio per quello che aveva accettato: Lyla.

Le voleva chiedere se lo avrebbe accompagnato a questa festa perché era certo che, anche ci fosse stato Axl, sarebbe stato più semplice con lei al suo fianco.

Peccato che aveva realizzato solamente dopo che Lyla non era il tipo da quelle feste, né tanto meno che voleva ufficializzare la loro relazione. Contando che relazione, poi, era davvero una parola grossa.

Senza aver ascoltato una sola parola di quello che la donna gli stava dicendo, deglutì rumorosamente e lanciò la bomba.

 

“Lyla, ti ho chiesto di vederci stamattina per un motivo preciso.”

 

L’aveva interrotta, ma nemmeno se ne era accorto. E lei decise di non farglielo notare, vedendo il suo viso così teso e preoccupato.

 

“E’ successo qualcosa?”

 

“No…cioè sì. Ieri sera, quando sono arrivato a casa, ho trovato un messaggio in segreteria del mio amico Izzy Stradlin. Ricordi, il mio chitarrista nei Guns ‘N Roses.”

 

Lyla annuì: dato che lei non era mai stata molto patita o esperta di musica, Slash le aveva fatto un corso accelerato. Partendo dalla sua vecchia band, ovviamente.

 

“Mi ha invitato alla sua festa di compleanno, questo sabato. Io ho accettato senza riflettere sul fatto che ci sarà anche Axl…” non era propriamente vero, ma non poteva certo confessare che aveva dato per scontata la sua presenza. “E, siccome avrò bisogno di supporto morale e psicologico, ti volevo chiedere se ti andava di accompagnarmi.”

 

Lyla sbarrò gli occhi leggermente, senza dire nulla. Quella proprio non se l’aspettava: la loro non era una vera relazione, e se lo erano sempre detti.

 

“Slash, non so se è il caso…”

 

“Non lo sto facendo per…ufficializzare qualcosa. Ti presenterei come un’amica e non ti sfiorerei con un dito per tutta la sera. Però da solo non ce la posso fare e ho bisogno di qualcuno che mi stia vicino.”

 

Lyla sospirò e si passò le mani sul viso. “Non posso.”

 

“Ma perché? Ti ho detto che non è un’uscita di coppia. Saremmo solo due amici.”

 

“E pensi che i presenti se la berrebbero? Pensi che la stampa non pubblicherebbe subito fotografie su tutte le riviste?”

 

“Non ci sarà la stampa. Izzy non è il tipo. Ha detto che sarà una cosa molto semplice, con qualche amico del nostro giro e basta.”

 

“Oh, dio! Perché hai pensato a me? Non hai qualche altra amica o amante che non vede l’ora di finire su giornaletti di gossip?”

 

“Ti ho già detto che nessuno finirà su nessun giornale di gossip. E comunque no…amiche non ne ho, a parte le mogli dei miei amici. E amanti…al momento ho solo te.”

 

“Tu non eri contro la monogamia?”

 

“Sì, ma…” avrebbe voluto dirle che lei gli bastava, che il sesso con lei era talmente incredibile che non sentiva il bisogno di altre donne, che lei era talmente incredibile da non aver bisogno di altro. Ma mandò giù tutto, ancora, perché altrimenti non l’avrebbe mai accompagnato alla festa…e magari nemmeno più voluto vedere. “Col gruppo a mezzo e la ricerca di un cantante, un’amante mi basta e mi avanza.”

 

Si stampò sul viso un sorriso da grand’uomo che parve funzionare, dato che Lyla rilassò le spalle, irrigiditesi improvvisamente a quel ‘sì, ma’.

Sospirò e lo guardò negli occhi, quei due occhi neri che l’avevano convinta in troppe occasioni a fare cose che non la convincevano. Ma non gli disse di sì, quella volta. Doveva pensarci bene.

 

“Senti, devo rifletterci, ok? Dammi un po’ di tempo.”

 

“Quello che vuoi. Grazie…”

 

“Non ringraziarmi, non ti ho ancora detto di sì.”

 

“Grazie per averlo almeno preso in considerazione.”

 

“Devo andare al lavoro.” Disse Lyla dopo qualche istante di silenzio. “Ci vediamo domani, ok?”

 

“Stasera no?”

 

“No, stasera no.” Tagliò corto lei, posando una banconota sul tavolino e andandosene senza nemmeno salutarlo.

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Capitolo 10
*** 9 ***


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Marc le stava dicendo qualcosa, ma la mente di Lyla aveva deciso di ammutinarsi quel giorno.

 

“Ti senti bene?” le domandò a un certo punto l’uomo, vedendola così distratta.

 

“Sì, Marc…scusami tanto, è che…ho un po’ di pensieri.”

 

“Hai qualche novità? E’ successo qualcosa riguardo…” si interruppe, temendo di dire qualcosa di sbagliato, o almeno nel modo sbagliato.

 

Lyla sorrise davanti al suo tatto e alla sua gentilezza: Marc era davvero una persona d’oro e capiva perché Slash lo avesse scelto come migliore amico e confidente.

“No. Riguardo a quello nessuna novità…però…”

 

Cazzo, quanta voglia che aveva di confidarsi con qualcuno e di chiedere consiglio.

Ma Marc non era di certo la persona più adatta: prima cosa era il suo datore di lavoro e seconda era amico di Slash.

Come faceva a dirgli che quello che la turbava era la richiesta del chitarrista di accompagnarlo al compleanno di Izzy Stradlin???

 

“Riguarda Saul, vero?”

 

E perché cazzo riusciva a leggere nel pensiero a tutti?

Lyla non ne aveva idea, fatto sta che si ritrovò ad annuire.

 

“Senti, aspettiamo che se ne vadano tutti e poi facciamo due chiacchiere davanti a un buon pranzo. Il cibo aiuta sempre!” le disse come se fosse la cosa più naturale di tutte.

 

Fortunatamente un’ora dopo il locale era vuoto e Marc andò a chiamare Lyla e la invitò a sedere a un tavolo davanti a un piatto fumante dall’ottimo aspetto.

 

“Dai, sputa il rospo.” Le disse portandosi alla bocca una forchettata.

 

“Ecco, Marc…io non so se tu sei la persona migliore a cui chiedere consiglio.”

 

“Sarò muto, non dirò nulla a Slash. Voglio dare una mano a entrambi e se per farvi stare meglio dovrò fare un po’ di doppio gioco…pazienza!” scherzò l’uomo ridendo.

 

Lyla però non ci trovava nulla da ridere. Era una situazione spinosa e lei ci si stava buttando a capofitto.

 

“Slash mi ha chiesto di accompagnarlo al quarantesimo compleanno di Izzy Stradlin.”

 

“Oh! Volevo proprio chiamarlo a questo proposito…dato che siamo invitati anche io e mia moglie.”

 

“Non mi ha detto nulla al riguardo.”

 

“Non ci avrà nemmeno pensato. Comunque, tu ci vuoi andare?”

 

“Non lo so. Mi sembra qualcosa di così…serio e ufficiale. Lui mi ha assicurato che non ci saranno giornalisti e che mi presenterà solo come un’amica. Ma io sono preoccupata.”

 

“Ti ha detto perché ti ha invitata?”

 

“Per Axl Rose. Ha detto che da solo si farebbe prendere dal panico.”

 

“Lo sospettavo…”

 

“Però se ci siete voi, allora…”

 

“Non credo che per lui possa fare la differenza, dato che io non ho mai avuto nessun problema con Axl e ci sentiamo regolarmente. Slash questo lo sa e rispetta la mia scelta. Però alla festa io gli dovrei parlare come a qualsiasi altro invitato. A Slash serve qualcuno che non abbia alcun legame con Axl.”

 

“Tu cosa mi consigli?”

 

“Allora, Lyla…Slash è uno molto cauto da questo punto di vista. Non ama i giornali, i gossip, le fotografie…e se ti dice che sarà una festa informale è vero. Tu forse non lo diresti, ma è una delle persone più timide che io conosca.”

 

Lyla annuì: lo sapeva, se ne era accorta…si era accorta di tante cose che andavano al di là della sua corazza da rock star. Ma non lo avrebbe mai detto ad alta voce: sarebbe stato troppo…reale.

“Quindi dice che dovrei accompagnarlo davvero come amica?”

 

“Credo proprio di sì. Poi hai conosciuto mia moglie, quindi in caso potresti passare anche un po’ di tempo con lei.”

 

La mora sbuffò. “Va bene. Va bene, verrò.”

 

“Credimi, salverai Slash dal pericolo di ingurgitare ingenti quantità d’alcool dannose per la sua salute.”

 

“Sarei una crocerossina, quindi…” scherzò Lyla.

 

“Esattamente!” rise Marc, sorridendole gentilmente. “Stai tranquilla, Lyla. Se lo accompagni non significa che domani vi dovete sposare.”

 

“Marc, io non voglio farlo soffrire. Slash è una brava persona e se si lega troppo a me finirà per entrare a far parte del mio dramma. Io fra sei mesi non ci sarò più e non voglio saperlo in lacrime per me…come non voglio stare male io al pensiero di quello che sarebbe potuto essere se io non fossi malata.” Lyla stava dicendo cose che non voleva dire, per di più a quello che era quasi un estraneo…ma la diga si era rotta e non sarebbe più riuscita a fermarla. “Io voglio morire da sola. Non voglio che la gente si disperi e conti le ore che mi restano. Quello lo sto già facendo io, ed è sufficiente. Secondo te perché ho lasciato Boston e tutto quelli che mi vogliono bene? Perché non voglio essere compatita, non voglio gente che provi pietà per me, guardandomi con quegli occhi…tu non hai idea dello sguardo che ha la gente che sa che stai per morire. Tu sei stata la prima persona che mi ha trattata come se fossi…normale; e probabilmente è per questo che ti sto dicendo tutte queste cose…dio…”

 

Lyla si prese la testa fra le mani: non aveva toccato cibo e lo stomaco era non solo chiuso, ma arrotolato su se stesso.

Marc le toccò lievemente un braccio e le disse:

 

“Tu sei normale, Lyla. E io non provo pietà per te per due motivi: il primo è che non voglio perdere la speranza che tu possa trovare un cuore. E la seconda è che ti ammiro incredibilmente: sei la persona più forte che abbia mai conosciuto e credimi se ti dico che poche persone saprebbero reagire così a tutto questo.”

 

“Fossi tanto forte non sarei qui a inciuccarti di parole patetiche!”

 

“Tutti hanno i loro momenti di sconforto, no?”

 

Lyla sorrise, più rilassata: quell’uomo era incredibile. Invidiava sua moglie che aveva avuto la fortuna di trovare un uomo così.

 

“Va bene, dai, verrò alla festa!”

 

“Così ti voglio, ragazza! E ora vai da Slash a dargli la buona notizia!”

 

“Mi limiterò a fargli una telefonata…ora non esageriamo!” Lyla gli fece l’occhiolino e si alzò in piedi per andare via. “Grazie Marc, davvero. Sei un amico.”

 

“Di nulla, Lyla. A stasera.”

 

La mora lo salutò ed uscì, felice di respirare l’aria fresca dopo mezz’ora in cui praticamente era stata in apnea.

Decise di andare a casa a piedi e intanto di chiamare Slash per dargli la notizia.

 

“Pronto?” rispose il riccio dopo un po’.

 

“Lasciami parlare e non mi fare domande. Ho deciso di accompagnarti alla festa. Non lo sto facendo per te, lo sto facendo per me che non sono mai andata a una festa di qualche personaggio famoso e spero di conoscere un mucchio di uomini sexy e interessanti. Non mi dovrai tenere per mano, baciare, sussurrare cose sconce nell’orecchio. Tra me e te ci dovrà sempre essere almeno mezzo metro di distanza, come tra due amici veri e propri. Non mi accompagnerai a comprare il vestito per la serata, non mi manderai parrucchieri e truccatori, né mi verrai a prendere in limousine; verrò in taxi fino a Lafayette, se necessario.” Lyla aveva detto tutto d’un fiato, ma aveva sentito le risatine di sottofondo del riccio. “E, no, non azzardarti a ridere. Ci vediamo stasera. Ciao.”

 

Lyla mise giù senza dargli tempo di dire nulla: non avrebbe sopportato sentire la sua splendida voce che la ringraziava.

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Capitolo 11
*** 10 ***


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Nei giorni precedenti la festa, Lyla preferì mantenere le distanze da Slash; non sapeva nemmeno lei in realtà il perché, ma voleva rimanere da sola. Così, erano rimasti d’accordo che Slash sarebbe passata a prenderla all’alba di quel sabato mattina per recarsi all’aeroporto, dove li attendeva il volo per Lafayette.

Era tarda sera quando, il giorno precedente la festa, Lyla tornò a casa dal lavoro; doveva darsi una mossa e andare a letto il prima possibile, o il giorno dopo avrebbe avuto delle occhiaie da manuale.

E di certo non voleva presentarsi in quello stato alla festa.

Il tubino rosso che aveva scelto di indossare era perfettamente stirato, con le scarpe e la borsetta argentati pronti lì accanto.

Era tesa, incredibilmente, e forse sommata alla stanchezza del lavoro, non si sentiva per nulla bene. Il cuore batteva troppo veloce e le mancava un po’ l’aria.

Si sedette così sul divano, prese una pastiglia per la tachicardia e fece dei respiri profondi; ci mancava solo che la festa e il riccio gli peggiorassero la salute! Ok che peggio di così non poteva andare, però…

Mancavano circa sette mesi e in sette mesi ne possono accadere tante, di cose.

Decise di accendere la televisione, per non pensare al fatto che magari avrebbero potuto trovare un cuore per salvarla, e, dopo aver fatto un po’ di zapping, si fermò su un programma spazzatura che non faceva ridere nessuno.

 

Quello che le parve un minuto dopo, fece un salto sul divano, spalancando gli occhi; guardò l’orologio e si accorse che erano le 4 del mattino. Si era addormentata e risvegliata di soprassalto dopo un paio d’ore.

Si alzò dal divano, decisa di andare a mettersi a letto e cercare di rimediare per quanto possibile alle occhiaie che di sicuro, a quel punto, le sarebbero apparse il giorno successivo…anzi, il giorno stesso.

Ma appena si mise in piedi si rese conto che qualcosa non andava: la testa girava e le membra erano spossate. Faticava a respirare e, posandosi due dita sul polso, si accorse che il cuore batteva davvero troppo piano.

In quel momento, riuscì solamente a pensare al suo telecomandino, quello che il suo cardiologo le aveva dato e che doveva utilizzare in quelle situazioni: quando stava troppo male anche solo per arrivare al telefono; l’avviso sarebbe arrivato direttamente al reparto di cardiologia dell’ospedale e un’ambulanza sarebbe partita per casa sua.

Doveva solo arrivare alla porta ed aprirla…

Sbandando contro il muro e i mobili, Lyla arrivò alla porta. Fece appena in tempo ad abbassare la maniglia e a socchiuderla. Poi, divenne tutto buio.

 

 

Slash era troppo nervoso per dormire: non vedeva Lyla da un paio di giorni e aveva una brutta sensazione. Avrebbe voluto telefonarle, ma erano le 5 del mattino e non voleva toglierle quell’ora di sonno che le poteva rimanere.

Avevano il volo alle 9 del mattino per Lafayette ed erano rimasti d’accordo che Slash sarebbe passato a prenderla alle 7.

C’erano poi anche altre cose che occupavano la sua mente: la prima era l’incontro con Axl, che non vedeva da anni e che avrebbe preferito non continuare a vedere.

E poi il nuovo gruppo: non c’era ancora un nome, come non c’era ancora un cantante, del resto.

Stavano facendo la corte a Scott Weiland, cantante dei Stone Temple Pilots, da circa un mese, ma lui aveva detto chiaramente che non aveva intenzione di mollare la sua band. Ma poi, pochi giorni fa, avevano scoperto che gli STP si erano sciolti e che quindi Scott era…libero.

Non avevano esitato e gli avevano mandato un demo di una canzone che avevano buttato giù: lui doveva provare a inserire un testo e già da lì avrebbero avuto un’idea se poteva funzionare o no.

Glielo avrebbe riportato lunedì.

Non si sentiva così eccitato da parecchio tempo: l’ultima volta era stato il primo tour con gli Snakepit, che era stato semplice musica e divertimento…niente soldi o spettacoli da circo come accadeva con i Guns ‘N Roses.

Se con Scott fosse andata bene, avrebbe avuto un’altra chance.

Decise di farsi una doccia e di iniziare a prepararsi: preparò un borsone con un cambio e gli abiti per la serata, dato che avrebbero dormito in un piccolo hotel di Lafayette che Izzy aveva prenotato per gli ospiti che venivano da lontano.

Alle 6.30 in punto uscì di casa, diretto da Lyla. Chissà cosa avrebbe indossato quella sera: era bella in tuta, figuriamoci in abito da sera.

L’amichetto dei piani bassi si risvegliò improvvisamente, soprattutto a causa dei tre giorni di astinenza: dopo due mesi che lo faceva almeno due volte al giorno, tre giorni sembravano un secolo.

Posteggiò davanti al portone del palazzo di Lyla, senza citofonare, dato che era sicuro lo stesso aspettando dalla finestra. Quando, dopo 10 minuti, vide che non arrivava, prese il cellulare e provò a chiamarla: spento.

Provò sul telefono di casa, ma nessuno rispose.

Nervoso, Slash guardò l’ora e vide che era già in ritardo di venti minuti. Marc, Duff e le loro mogli gli stavano aspettando all’aeroporto.

Provò ad attaccarsi al citofono, ma di nuovo nessuno gli rispose.

Prese così di nuovo il cellulare e provò a chiamare Marc.

 

“Slash, ma dove sei, maledizione! E’ tardi!”

 

“Sto aspettando Lyla. Non mi risponde né al telefono né al citofono. Ieri sera è venuta al lavoro?”

 

“Certo! E ci siamo detti che ci saremmo visti stamattina.”

 

“Stava bene?”

 

“Sì, come sempre.”

 

“Marc, che abbia cambiato idea?” il chitarrista sentì l’amico indugiare un istante. “Marc? Che c’è?”

 

“Beh, ieri sera, quando le ho detto che ci saremmo visti oggi, lei ha detto di sì, se non cambiava idea nella notte. Ma lo ha detto ridendo,Saul,  quindi di sicuro scherzava.”

 

Slash chiuse gli occhi, lo stomaco stretto in una morsa dolorosa. “A quanto pare non scherzava, Marc. Voi iniziate a fare il check-in, io mezz’ora sono lì.”

 

Il riccio chiuse la comunicazione, sentendo solo Marc borbottare un ‘ok’ sconsolato e intimidito. Si mise al volante, incazzato, addolorato, nemmeno lui sapeva bene cosa.

E’ vero, Lyla era stata inquieta e sfuggente in quei giorni, ma mai avrebbe pensato che potesse tirargli un pacco così clamoroso.

Mai e poi mai se lo sarebbe aspettato: era sempre stata una tipa brusca, è vero, ma comunque corretta…una che non le manda a dire ma sincera e onesta.

E invece era andata così…

Pigiò sull’acceleratore, unico modo per sfogarsi in quel momento e, in meno del previsto arrivò all’aeroporto.

Trovò poco dopo i suoi amici, in coda per il check-in che stava impiegando più tempo del previsto.

Slash vide sulla loro faccia l’imbarazzo e forse la pietà per quello che era accaduto...dio, quanto odiava quello sguardo.

 

“Non è morto nessuno, ok? Non fate quelle facce.” Sbottò il riccio, senza ricevere risposta.

 

Si mise in fila con loro e non aprì bocca fino a Lafayette.

 

 

 

Salve a tutti! Mi scuso per il ritardo, ma lunedì ho un esame e sono nella m***a più totale ç____ç Quindi, se il capitolo non è un granchè abbiate pazienza e capitemi ;) Dalla prossima settimana andrà meglio!

Grazie a chi leggerà e lascerà due righe!

Un bacione :D

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Capitolo 12
*** 11 ***


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Fortunatamente, Axl non c'era alla festa di Izzy; il rosso era in qualche posto di là dal mondo a fare non si sa bene che cosa.

Slash ringraziò ogni santo del cielo per il fatto che non ci fosse dato che, dopo la batosta di Lyla, la presenza del suo ex cantante sarebbe stata davvero difficile da sopportare.

Lyla.

Ancora non poteva credere che gli avesse sparato un simile gesto e davvero non sapeva cosa pensare; sia Duff che Marc avevano provato a parlargli, a dirgli di non prendersela e frasi fatte di quel tipo. Ma lui continuava a essere incazzato nero.

E se ne accorsero tutti, perfino uno che si faceva i fatti suoi come Izzy Stradlin: non aveva mai visto Saul così immusonito e silenzioso e, appena uscì per fumarsi una sigaretta in terrazza, lo seguì.

 

“Saul...”

 

“Jeff...vuoi?” gli domandò porgendogli una sigaretta, che il moro accettò con un sorriso.

 

“Che succede?” gli domandò così, senza tanti sotterfugi, dopo un po' di silenzio.

 

Nonostante tutto, Slash sorrise: erano passati 15 anni, ma Izzy non era cambiato di una virgola. Ti capiva con uno sguardo e, con la flemma che tanto lo caratterizzava, cercava di aiutarti in tutti i modi. Non si sentivano da un po', ma era sempre un amico su cui contare.

 

“Riguarda la persona con cui dovevi venire?”

 

Il riccio non ci pensò su due volte e in un attimo gli raccontò tutto: di come aveva conosciuto Lyla, del rapporto strano che si era instaurato tra loro, e del bidone immane che gli aveva tirato quella mattina.

 

“E se le fosse accaduto qualcosa?” ipotizzò il moro, razionale come sempre.

 

“No, ha cambiato idea. Ha mostrato qualche indecisione con Marc ieri sera, e stamattina abbiamo avuto la conferma.”

 

“Immagino tu sia arrabbiato, e hai ragione...però aspetta a trarre conclusioni affrettate. Magari qualcosa l'ha davvero trattenuta.”

 

“Jeff, dai...guardiamo in faccia la realtà.”

 

“Non possiamo perchè non sappiamo cosa è accaduto. Concedile almeno il beneficio del dubbio.”

 

“Non posso...”

 

“Ma perchè? Cosa avrai mai da perdere?”

 

“Mi sto innamorando di lei, Jeff!!! Nonostante mi abbia ripetuto decine di volte di non farlo, lo sto facendo! E non so perchè, è qualcosa che sta andando fuori dal mio controllo. Più mi impongo di non provare nulla per lei, più succede il contrario. E io non voglio soffrire. Lei non vuole una storia seria quindi di sicurò troncherà quando vedrà che non ho rispettato i patti...”

"I patti...non è un lavoro, Saul..."


"Lo so, ma è la cosa più complicata che mi sia mai capitata. Dopo il matrimonio con Reneè, ovviamente..."

 

Izzy sospirò e fece una mezza risata. “Punizione divina per tutte le donne che hai fatto soffrire!”

 

“Com'è che tu e McKagan siete fighette uguali?” Izzy lo osservò con uno sguardo interrogativo. “Me lo ha già detto anche lui.”

 

“Visto? Siamo già in due a pensarla allo stesso modo!”

 

Slash sbuffò, passandosi le mani nei ricci incolti. “Adesso che poteva andare tutto bene con la nuova band, ci voleva una donna a rovinare tutto!”

 

Izzy lo guardò sorridendo e gli mise una mano sulla spalla. “Le donne non rovinano tutto...al massimo possono complicarlo.”

 

“Te l'ho detto che sei come McKagan, due saggi del cazzo! E ora rientriamo, o penseranno che siamo diventati finocchi!!!”

 

 

Il lunedì successivo alla festa, per Slash, Duff, Matt e Dave arrivò una splendida notizia: Scott aveva accettato di unirsi alla band e nel pomeriggio si sarebbe recato a casa del riccio con il demo su cui aveva inciso.

Provarono per tutto il pomeriggio e la sera, senza mai aver voglia di smettere: si trovavano benissimo insieme, la chimica c'era e la passione pure.

Erano perfetti.

 

“Ci manca solamente un nome, ragazzi!” disse Matt mentre facevano una pausa.

 

“Revolver?” azzardò Slash.

 

“Velvet Revolver?” ipotizzò ancora Scott.

 

“Velvet...Revolver...” Slash si grattò il mento pensieroso. “Sì, mi piace!” concluse, per poi accogliere i consensi degli altri.

 

Era fatta. La band era pronta. Ora c'era da farsi conoscere.

Decisero che avrebbero organizzato per la settimana successiva uno show-case, invitando varie case discografiche e sperando di trovarne qualcuna che avesse voglia di investire su di loro.
 

Era quasi mezzanotte quando i musicisti lasciarono la casa di Slash; il riccio si sentiva euforico per come era andata la giornata. Non aveva voglia di andare a dormire, avrebbe voluto uscire...ma gli altri erano appena andati a casa dalle loro donne e lui era solo come un cane.

Per tutto il giorno aveva avuto la mente occupata, ma adesso, lì, in quella grande villa vuota, il pensiero di Lyla gli era tornato prepotentemente in testa.

Chissà dov'era. Chissà con chi.

In effetti non aveva valutato l'opzione che avesse trovato un altro uomo...un altro amante. Magari meno coinvolto di lui e che quindi le dava più tranquillità.

Aveva voglia di chiamarla, di chiederle perchè si era comportata in quel modo terribile, senza nemmeno avere il coraggio di chiamarlo o mandargli semplicemente un sms.

Sbuffò e optò alla fine per andare a farsi una doccia e poi infilarsi a letto...un vero ottantenne!
Magari avrebbe potuto vedere un bel film dell'orrore, dato che li amava così tanto...chissà, forse ne avrebbe fatto uno lui, un giorno...magari sarebbe riuscito a creare la sua casa di produzione cinematografica. Slasher Films, l'avrebbe chiamata.

Si era messo la sua t-shirt di Pepè la puzzola, che ormai fungeva da pigiama dato che aveva visto giorni migliori e gli stringeva anche un po' sulla pancia; era pronto per mettersi a letto, quando qualcuno suonò il campanello.

Guardò l'orologio e vide che era quasi l'una...chi diavolo era? Uno dei ragazzi che aveva dimenticato qualcosa?

Andò in salotto e sbucò sul terrazzo, da dove poteva vedere i suoi visitatori davanti al portone d'ingresso.

 

“Chi è?” domandò ad alta voce.

 

Una figura scura si tirò giù un cappuccio; Slash li avrebbe riconosciuti ovunque quegli occhi, così luccicanti e meravigliosi anche nel buio della notte. Lo stomaco gli si strinse in una morsa e il suo povero cuore martoriato perse un battito al suono della sua voce:

 

“Ciao Saul, sono Lyla.”

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Capitolo 13
*** 12 ***


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Quella sera, Lyla era andata a lavorare. Fortunatamente, il lunedì il ristorante era chiuso a pranzo e quindi si fece dimettere nel pomeriggio, nonostante la riluttanza del suo cardiologo.

Ma lei aveva voluto andarsene e il medico alla fine aveva acconsentito, aggiungendo un nuovo medicinale più forte alle già numerose pillole che ogni sera doveva ingurgitare.

Era un po’ tesa, durante il quotidiano viaggio in metropolitana: avrebbe dovuto spiegare a Marc cosa era accaduto sabato, il motivo perché non era andata alla festa. Sicuramente il suo capo era arrabbiato…e non osava pensare quanto lo fosse Slash.

Entrò nel ristorante e vide già un gran movimento nella sala e in cucina; Marc stava parlando con alcuni camerieri e, appena la donna entrò, si voltò a guardarla.

 

“Sei in ritardo.” Le disse senza nemmeno salutarla: Marc non le aveva mai parlato così e capì che la situazione era forse peggiore del previsto.

 

“Scusa.” Mormorò, andandosi a mettere subito al suo posto e dando un’occhiata di sfuggita all’orologio che teneva sul bancone. Mancavano due minuti alle 6, e lei doveva attaccare alle 6 esatte. Sospirò, rendendosi conto che il motivo del rimprovero non era di certo il suo presunto ritardo.

 

“I clienti del tavolo 9 hanno posticipato di mezz’ora.” Marc si era materializzato davanti a lei e Lyla prese subito un appunto a quelle parole, senza aprire bocca. “A fine serata vorrei parlarti un attimo se ti puoi fermare.”

 

“Certo, Marc.”

 

L’uomo la guardò, come se volesse aggiungere qualcosa, ma poi tornò a rintanarsi in cucina.

La serata passò lentamente e Lyla rimase tutto il tempo con un peso sullo stomaco, al pensiero della conversazione con Marc.

Finalmente alle 11.30 l’ultimo tavolo se ne andò e Lyla, finiti i conteggi, andò al bancone del bar dove Marc stava mettendo a posto tazze e bicchieri.

 

“Oh, Lyla…ti spiace se mentre parliamo metto in ordine qui?”

 

“Continua pure, Marc. Vuoi una mano?”

 

“No. Voglio invece sapere che fine hai fatto sabato.”

 

Lyla rimase basita dal tono gelido dell’uomo: non si sarebbe mai aspettata una tale reazione da un tipo come lui. Però era anche vero che Slash era suo amico e che avesse tutte le ragioni del mondo per volerlo difendere.

 

“Marc, non è come pensi…”

 

“E allora com’è?”

 

Non avrebbe voluto dirgli la verità, sperava di riuscire a inventare una scusa più o meno credibile, ma con Marc si ritrovava a essere sempre più debole di quanto volesse.

 

“Sono stata male, Marc…” lo vide bloccarsi un istante e voltarsi a guardarla. “Venerdì sera mi sono sentita male e mi hanno ricoverata. Mi hanno dimesso questo pomeriggio.”

 

“Perché non hai fatto una telefonata? O un sms…Slash era disperato.”

 

“Il telefonino è rimasto a casa e…non ho potuto muovermi per due giorni.”

 

“Dici sul serio?”

 

Lyla non gli rispose: si limitò a prendere dalla borsa la cartellina dove teneva tutti i suoi esami. “Guarda tu stesso se non mi credi.”

 

Marc prese la cartellina in mano, per poi appoggiarla di nuovo sul bancone. “Non è necessario, ti credo. Non sei una persona…scorretta.”

 

“A parte il fatto che racconto un mucchio di balle a Slash?”

 

“A parte il fatto che racconti un mucchio di balle al mio migliore amico…”

 

“Non dirgli nulla, ti prego.”

 

“Lyla…mi stai chiedendo davvero troppo. Lui era davvero a pezzi, sai.”

 

“Era proprio a questi punti che non volevo arrivare…” Lyla si passò le mani sul viso. “Merda…che casino.”

 

“Sì, è un casino. E per risolverlo non puoi fare altro che dirgli la verità.”

 

“Non posso dirgli che sono malata…”

 

“Glielo devi, a questi punti. E se non lo fai tu, lo farò io…”

 

“No!” Lyla si alzò di scatto dalla sgabello. “Marc, non puoi farlo.”

 

“E allora fallo tu.” L’uomo si voltò per tornare alle sue faccende. “Ci vediamo domani, Lyla.”

 

La mora lo salutò ed uscì dal locale. Faceva piuttosto freddo e si strinse nella giacca leggera: avrebbe dovuto metterne una più spessa il giorno successivo, o si sarebbe buscata una bella influenza. Ci mancava solo quella!

Decise di fare a piedi la strada per tornare a casa, ma, senza nemmeno accorgersene, salì su un autobus…autobus che l’avrebbe portata a casa di lui.

Non aveva la più pallida idea di quello che stava facendo: non sarebbe dovuta andare da lui a dargli spiegazioni, come lui non si sarebbe dovuto disperare per la sua assenza alla festa.

Merda. Le cose le stavano sfuggendo di mano.

 

Scese alla fermata più vicina alla casa del chitarrista e, impedendosi di pensare ad altri scenari apocalittici, suonò il citofono.

Comparve sul terrazzo, in boxer e maglietta e spalancò gli occhi quando la riconobbe.

 

“Ciao Saul, sono Lyla.”

 

Il riccio indugiò, improvvisamente con la bocca asciutta e la mente vuota…

Cosa diavolo faceva lei lì? Perché era tornata? Cosa voleva da lui?

 

“Cosa…cosa ci fai qui?”

 

“Vorrei parlarti. Vorrei…spiegarti.”

 

Slash sbarrò lievemente gli occhi a quelle parole e, ripresosi, sentì una forte rabbia montargli dentro per il suo orgoglio di uomo fatto a pezzi. “Non c’è nulla da spiegare.”

 

“Invece sì. Non pretendo che mi perdoni, ma fammi almeno spiegare!”

 

“Ma che cazzo mi vuoi spiegare, eh?” Saul stava urlando, senza nemmeno rendersi conto del fatto che era mezzo nudo, sul balcone, in piena notte. “Hai cambiato idea, non sei voluta venire e non hai nemmeno avuto le palle per dirmelo. Chiuso lì.”

 

“Mi dispiace…”

 

“Ti dispiace? Mi hai fatto fare una figura di merda davanti ai miei amici più cari!”

 

“Te l’ho detto, mi dispiace…e vorrei spiegarti che è successo.”

 

“Te lo ripeto per l’ultima volta, Lyla: non c’è niente da spiegare. E ora, se non hai nulla in contrario, vorrei andare a dormire. Buonanotte.”

 

Slash rientrò e chiuse le finestre del terrazzo.

Lyla cercò di mandare giù il groppo che le stava chiudendo la gola e, lentamente, ritornò alla fermata dell’autobus dove pochi istanti prima era scesa.

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Capitolo 14
*** 13 ***


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Nei giorni a venire, Lyla passò le sue ore lavorative a tenere d’occhio la porta del ristorante, nella speranza che fosse Slash ad aprirla.

Ma niente. Il chitarrista era sparito e la donna non si osava a chiedere informazioni a Marc dopo quello che si erano detti giorni prima.

Un giovedì pomeriggio, giorno in cui il ristorante era chiuso, Lyla decise di nuovo di presentarsi a casa sua e di convincerlo perlomeno ad ascoltarla. Lei voleva solamente scusarsi, punto.

Il fatto che le mancava da morire, le mancavano i suoi baci, le sue mani, le sue carezze, la sua voce…era un dettaglio che lei stessa non era pronta ad ammettere.

Arrivata davanti a casa sua, sentì delle voci concitate provenire dal giardino.

 

“Speriamo vengano in tanti stasera!” disse una voce.

 

“Io ho l’ansia da prestazione! È da un pezzo che non suono in pubblico.” Aggiunse una seconda.

 

“Scott tu sei nervoso?” domandò un’altra voce, che Lyla riconobbe come quella di Slash.

 

“Sono sempre nervoso quando canto con una nuova band.”

 

Lyla capì che i ragazzi avevano finalmente Scott nella band. Sapeva quanto si erano impegnati e mobilitati per averlo con loro ed era davvero felice che ce l’avessero fatta.

 

“Sentite, iniziamo a caricare gli strumenti. Andiamo al Green pub adesso, ceniamo, e poi facciamo le prove del suono. Che dite?” disse infine una voce che Lyla riconobbe come quella di Duff.

 

“Buona idea, man!” concluse Slash.

 

Lyla, sentendo quelle parole, si allontanò dal giardino per non farsi vedere e si nascose dietro un furgoncino che era parcheggiato nel vialetto. Rimase lì, a osservare i musicisti che caricavano su un pick-up i loro strumenti.

Green Pub, avevano detto…le sembrava di esserci stata con il riccio, un po’ di tempo prima, dove lui era stato invitato per partecipare a una jam con alcuni musicisti.

Tornò sulla strada principale e fermò il primo taxi cha passava di ì; si sarebbe fatta portare a casa per cambiarsi e poi sarebbe andata al pub: non poteva perdersi la prima esibizione dei…cavolo, non aveva idea di come si chiamasse la band!

Chiese al taxi di aspettarla lì, anche se era certa che le sarebbe costato una fortuna. Ma non sapeva con precisione a che ora i ragazzi suonassero e non voleva perdere nemmeno una canzone.

Indossò un paio di jeans aderenti chiari, una canotta di pizzo nera, giacca di pelle nera e tacchi vertiginosi neri; lasciò i capelli sciolti e si truccò pesantemente.

In mezz’ora ebbe finito, e ritornò in strada dove il taxista non mancò di lanciarle una occhiata ammirata: era davvero uno schianto quella donna.

In venti minuti furono al pub e Lyla vide il pick-up parcheggiato lì davanti e ovviamente vuoto. Entrò e vide i cinque musicisti sul palco a montare tutto; era bellissimo vederli perché, nonostante fossero tutti artisti affermati, quella sera avevano ricominciato da zero in tutto, dal trasportarsi gli strumenti sul luogo del concerto e a montarseli, fino al misero pubblico, che avrebbe ricordato a chiunque gli esordi dei Guns ‘N Roses nelle bettole più bettole del Sunset Boulevard.

Lyla non aveva vissuto tutto ciò, ma in quei mesi Slash glielo aveva raccontato così bene, che aveva quasi avuto l’impressione di esserci stata anche lei insieme a loro.

Si sedette a un lato del bancone un po’ nascosto, dato che non voleva essere vista da Slash. Ordinò una birra e passò la mezz’ora successiva a mangiucchiare patatine nervosamente, pensando come bloccare Slash a fine spettacolo.

Il locale era pieno quando, alle 8 in punto, si sentì la voce di Scott presentare la band: i Velvet Revolver.

Il loro spettacolo durò un’ora e mezza ed alternarono pezzi inediti a cover di vari artisti; erano davvero bravi e la gente sembrava entusiasta…anche quei personaggi estremamente seri ed eleganti che Lyla immaginava essere rappresentanti delle case discografiche.

A un certo punto durante il concerto, Lyla si era avvicinata al palco: non poteva perdersi uno Slash con la camicia sbottonata, gli occhiali da sole e il sudore che gli solcava il petto muscoloso. Era la cosa più eccitante che avesse mai visto.

Quando Slash la notò tra il pubblico, Lyla lo vide spalancare gli occhi per lo stupore, per poi tornare a concentrarsi sulla sua chitarra; ma da lì al termine non fece altro che lanciarle frequenti occhiate, come se temesse che potesse andare via.

A fine concerto, la mora decise di uscire e di aspettare il riccio accanto al pick-up. Sperava che non ci mettesse troppo perché faceva un freddo fottuto e il posto non era nemmeno uno dei più raccomandabili, per una donna sola.

Per fortuna i musicisti apparvero dopo nemmeno mezz’ora; Lyla vide Slash scrollare il capo quando la vide lì, e si limitò a farle cenno di aspettare alcuni minuti.

Vide il riccio dire qualcosa agli altri che, dopo averle rivolto un breve saluto, salirono sul pick-up e andarono via.

 

“Cos’è, mi segui?” le domandò Slash, accendendosi una sigaretta.

 

“Voglio parlarti.”

 

“Di cosa?”

 

“Del perché non sono venuta alla festa.”

 

Il chitarrista scoppiò in una risata priva di allegria. “Io invece non ho voglia di ascoltarti. Lo spettacolo è andato bene e numerose case discografiche ci hanno detto che ci ricontatteranno con una proposta. Dammi un solo motivo del perché dovrei volere ascoltare le tue scuse patetiche e rovinarmi l’umore.”

 

“Ti prometto che ti dirò la verità. Mi devi solo dare il tempo per spiegarti tutto dall’inizio.”

 

“Sentimi bene, Lyla. È la prima fottutissima volta nella mia fottutissima vita che suono da sobrio e tu non hai idea di quello che ho provato. Ho un’adrenalina in corpo che potrei spaccare il mondo e avessi dieci anni in meno a quest’ora starei partecipando a un’orgia coi fiocchi con delle tipe stragnocche. Quindi capiscimi se ti dico che non ho voglia di ascoltarti, ora.”

 

“Possiamo fare dell’altro, se vuoi.”

 

“Come? No, guarda…con te proprio no.”

 

Lyla si avvicinò al chitarrista, che stava poggiato al muro, e lo guardò maliziosamente.

“Cos’è, ti sei sfogato con qualcun’altra?”

 

Si appoggiò al corpo di Slash e lo sentì fremere leggermente quando il suo seno e il suo corpo sinuoso lo sfiorarono. Voltò il capo per non guardarla negli occhi e cedere a quelle avances a cui stava tentando faticosamente di resistere.

 

“Lyla, no…”

 

“Credo che il sesso sia il modo migliore per appianare i litigi.” Disse con voce bassa e seducente, muovendo leggermente il suo bacino su quello del chitarrista.

 

Slash emise un grugnito esasperato e, presa Lyla per mano, la condusse sulla strada per prendere un taxi. Senza dire nulla, il riccio diede l’indirizzo di casa sua e la mora sentì il cuore accelerare per il desiderio e l’aspettativa.

Dio, quanto gli era mancato…

Il viaggio lo fecero in silenzio e, una volta a destinazione, Slash la prese per mano e la condusse in casa dove, in meno di un secondo, si ritrovarono sdraiati mezzi nudi sul tappeto dell’ingresso: non erano riusciti ad andare oltre.

Fu per entrambi il sesso riparatore migliore della loro vita, anche se nessuno dei due avrebbe mai avuto il coraggio di dirlo.

Era di nuovo calato il silenzio tra loro e fu solo alla fine di una meravigliosa sigaretta post-orgasmo che Lyla prese coraggio.

 

“Slash dobbiamo parlare della festa…”

 

“Lyla, senti, lasciamo stare.”

 

“No, davvero. È da troppo che mi porto dentro questo segreto.”

 

“Segreto? Quale segreto?”

 

“Sulla mia salute.”

 

“Non ti seguo, Lyla.”

 

“Sono malata, Slash. Mi restano sette mesi di vita.”

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Capitolo 15
*** 14 ***


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“Sono malata, Slash. Mi restano sette mesi di vita.”
 
La reazione del riccio non fu esattamente quella che Lyla si aspettava: dopo alcuni istanti di silenzio, in cui poteva sentire le rotelle del suo cervello girare vorticosamente, Slash scoppiò a ridere.
“Certo che di tutte le palle che ti potevano venire in mente, hai escogitato la più assurda!”
 
“Non ti sto mentendo.”
 
“Lyla, senti, non peggioriamo la situazione, eh…”
 
“Te lo giuro, Saul…” era la prima volta che lo chiamava con il suo nome di battesimo e ciò lo stupì non poco. Lyla aveva sempre voluto che il loro rapporto rimanesse superficiale a non andasse oltre a del sano sesso, ma chiamandolo così lei era andata al di là…forse involontariamente, o forse no.
 
L’unica cosa che riuscì a pensare il riccio era che il suo nome, quello vero, quello che nascondeva da quando era adolescente, suonava tremendamente giusto pronunciato da lei.
Non riuscì a dire nulla, cercando di elaborare quello che Lyla gli aveva detto; la osservò, notando come il suo sguardo fosse incredibilmente serio e in lei non notasse alcun segno di ilarità o di presa in giro. Che fosse vero? Certo, si sarebbero spiegate tante cose. Ma come faceva lei ad aver tenuto quel segreto per quasi tre mesi, nonostante si vedessero ogni giorno e condividessero la cosa più intima che poteva esistere?
Ok, detto da uno come lui, che per anni aveva scopato a destra e a manca senza degnarsi minimamente dei sentimenti altrui, non era proprio credibile. Ma ormai aveva 36 anni e non faceva più certe cose…forse.
 
“Senti, Lyla, sono un po’ confuso…”
 
“Lo so, ma se non mi credi io sono disposta a portarti a vedere la montagna di esami che ho fatto.”
 
“Ok…ok, mettiamo che ti credo. Però raccontami tutto dall’inizio.”
 
Lyla prese un grosso respiro: il momento che aveva cercato di evitare in tutti i modi era arrivato, lo stava vivendo…come stava vivendo con quell’uomo molto di più di quanto si fosse prefissata appena 3 mesi prima.
 
“E’ una storia lunga…”
 
“Ho tutto il tempo del mondo.”
 
“Io no…” Slash si irrigidì, rendendosi conto delle parole poco consone che aveva utilizzato. “Perciò sarò il più veloce possibile.”
 
Lo guardò, in attesa di un suo consenso, e Slash annuì, osservandola con intensità.
 
“Soffro di una grave malformazione cardiaca fin dalla nascita. Mi hanno sempre detto che avrei avuto bisogno di un trapianto, ma ancora non si sapeva bene quando. Cinque anni fa mi hanno detto che la situazione stava precipitando e che serviva un cuore il prima possibile…ma ho un gruppo sanguigno raro ed è difficile, se non impossibile, trovarne uno compatibile. E mi hanno dato 9 mesi di vita…questo più di due mesi fa, quindi fatti i conti.”
 
“E che cosa hai avuto sabato?” Saul parlava a voce bassa, terrorizzato di quello che Lyla gli stava dicendo e che gli faceva realizzare quanto in realtà si fosse affezionato a lei e temesse di perderla…anche se mai avrebbe pensato di perderla…così.
 
“A causa di questa malformazione il cuore può avere dei collassi, il battito può rallentare o aumentare tantissimo. Prendo tantissime medicine ma a volte non bastano.”
 
Lyla si fermò per guardare il riccio, che stava a testa china, a guardarsi le punte dei piedi e non diceva nulla.
 
“Saul…”
 
“Perché non me lo hai detto subito?”
 
“Io sono scappata da Boston proprio per la mia malattia. Ho lasciato il mio ragazzo e i miei amici perché ho sempre odiato quello sguardo di pietà della gente che sa che stai per morire. Non lo avrei sopportato. Come non avrei sopportato che loro mi guardassero mentre me ne andavo. E lo stesso con te…avevo bisogno di qualcuno che mi stesse vicino, ma solo quando stavo bene. Ho incontrato te, mi sei piaciuto subito e mi sei sembrato uno che non si pone grossi problemi ad avere una relazione di solo sesso. E quindi, egoisticamente e solo per mio piacere, ho scelto te.”
 
“Non è mai stato solo sesso tra noi, e lo sai…”
 
“Forse all’inizio sì, ma poi…” Lyla interruppe la frase a metà, troppo spaventata per continuare.
 
“Poi è subentrato qualcos’altro. E tu mi hai messo nella situazione che hai cercato tanto di evitare.”
 
Lyla scoppiò a piangere a quella parole. Era da tanto che non piangeva, ma non resistette oltre. Slash le si avvicinò e la abbracciò stretta: sapeva cosa si provava, anche a lui avevano detto che gli restavano dalle sei settimane ai sei mesi di vita, ma gli avevano anche detto che c’era comunque una possibilità di recupero. Lyla, invece…trovare il cuore in 6 mesi era praticamente impossibile.
Ma perché cazzo lui doveva sempre finire in casini simili?
Lui non era forte abbastanza…lui non era mai stato forte.
Sentì la mora allontanarsi da lui, asciugarsi le guance con le mani e dire:
 
“Non ho giustificazioni per il mio comportamento. L’unica cosa che posso fare è uscire dalla tua vita.”
 
“Dopo tutto quello che mi hai detto?”
 
“Non volevo pensassi che ti avevo dato buca come se fossi l’ultimo stronzo sulla faccia della terra. Ci tenevo davvero a venire a quella festa. Il vestito era pronto, lo avevo scelto con cura…il fatto che tu lo avessi chiesto a me mi lusingava molto più di quanto volessi ammettere.” Lyla fece una pausa, preparandosi a quello che avrebbe detto ora. “Volevo solo darti una spiegazione e dirti perché sono stata sempre così stronza con te. Ma ora devo uscire dalla tua vita, non posso costringerti a starmi vicino fino a quando…”
 
Non riuscì a terminare la frase e si alzò di scatto dal divano, prendendo la giacca e la borsa.
Slash la seguì, e, mentre lei apriva la porta, la afferrò per un braccio.

“Non andartene…”

Lyla gli accarezzò il viso e sentì di nuovo gli occhi riempirsi di lacrime.
 
“Devo. Dimenticami, Saul. Addio.”
 
E se ne andò, lasciando un riccio sconvolto e impalato sulla soglia della porta.

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Capitolo 16
*** 15 ***


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Erano passati due giorni dal confronto che Lyla e Slash avevano avuto e il riccio si era completamente chiuso in se stesso. Aveva annullato tutte le prove con i Velvet Revolver e non era nemmeno andato a una riunione con una casa discografica.
Non riusciva proprio ad accettare quello che Lyla gli aveva detto, nè a farsene una ragione; si era documentato, un po’ su internet, un po’ su delle enciclopedie mediche che, nemmeno lui sapeva come, aveva in casa e che non erano mai state nemmeno sfogliate. E poi aveva telefonato a un lontano cugino che viveva ancora in Inghilterra e che era medico; quest’ultimo gli aveva confermato quello che Lyla aveva detto e Slash, il quale pensava e sperava che la mora avesse calcato un po’ la mano, era caduto nella disperazione più nera.
Fu durante il terzo giorno di isolamento che qualcuno suonò alla sua porta…non un qualcuno a caso, ma Michael McKagan. Il bassista sembrava avere il radar per le disgrazie che accadevano al suo amico e aveva la grande dote di materializzarsi accanto a lui quando ne aveva più bisogno.
Era un fottutissimo angelo custode, pensava Saul osservando il biondo che entrava in casa sua, ma non era mai stato così felice e grato di averlo lì.
 
“Parla, Hudson, perché mi sono rotto il cazzo di tutti questi sotterfugi!”
 
“Come è andata con la casa discografica?”
 
“Cambi discorso?”
 
“No, semplicemente ti chiedo come è andata dato che interessa anche a me!”
 
“Non mi pare te ne freghi molto!”
 
“Porca puttana, Michael, se sei venuto qui solo per sputare sentenze te ne puoi anche andare!!!”
 
“Ci hanno offerto un contratto interessante.” Posò sul divano una cartellina piena di fogli. “Leggi tutto. Abbiamo detto che ne avremmo parlato con te, che ti eri dovuto assentare per motivi personali…ma lunedì prossimo dobbiamo dargli una risposta.”
 
“Stasera leggo tutto e lunedì prossimo ci sarò.”
 
“Ottimo.” Il biondo si accomodò sul divano, accanto alla cartellina che aveva appena posato. “E ora sputa il rospo.”
 
Il riccio lo imitò, sedendosi a sua volta, e si passò le mani tra i capelli. “Riguarda Lyla.”
 
“La cosa non mi stupisce affatto…”
 
“Vai piano, che ti stupirai eccome, fidati.”
 
“Vediamo…”
 
“Lyla è malata. Le restano pochi mesi di vita.” Slash vide l’amico sbarrare gli occhi. “Te l’avevo detto che ti saresti stupito!”
 
“E che cos’ha?”
 
“Una malformazione al cuore. Gliela hanno diagnosticata da bambina; si sperava di poter evitare il trapianto, ma ora è diventato necessario. Le restano sette mesi se non ne trovano uno.”
 
“Sì, ma cazzo! È giovane…come fanno a non trovarne uno?”
 
“Ha un gruppo sanguigno raro…”
 
“Cazzo…”
 
“Ed è davvero difficile, se non quasi impossibile, trovarne uno compatibile. Non l’hanno trovato negli ultimi anni, figuriamoci in sette mesi!”
 
“Ha una assicurazione valida?”
 
“Non ne ho idea, non glielo ho chiesto.”
 
“Capisco…magari potreste informarvi un po’. Coi soldi si ottiene tutto!”
 
“Non esagerare, Michael. Non stiamo parlando di una macchina nuova! E comunque in ogni caso non ne avremmo la possibilità.”
 
“Perché?”
 
“Se ne è andata e mi ha detto di dimenticarla.”
 
“Cosa???? Cioè, una ti sgancia una bomba simile e poi sparisce?”
 
“Lei voleva solamente spiegarmi perché non è venuta alla festa di Izzy. La notte prima si è sentita male ed è stata ricoverata…per quello non ha potuto nemmeno avvisarmi. Avesse potuto non mi avrebbe confidato nulla.”
 
“Beh, una volta che la vedevi in fin di vita forse avrebbe dovuto spiegarti…!”
 
“Ma non me ne avrebbe dato la possibilità! Secondo te, perché lei fin da subito è partita con l’idea di avere una relazione non impegnativa e senza implicazioni sentimentali?”
 
Gli occhi del biondo si illuminarono e per la prima volta in dieci minuti iniziò a capirci qualcosa. Accidenti, iniziava a sentirsi un inetto!
“Per questo si comportava in modo così strano!”
 
“Esattamente…lei è scappata da Boston, dagli amici e dal fidanzato con cui si doveva sposare per…”
 
“Morire da sola…” concluse Duff per lui, vedendo come l’amico fosse in difficoltà a dire quelle parole così pesanti e difficili.
 
Slash si scosse leggermente, dato che un brivido gli aveva attraversato la schiena a quelle parole. “Non vuole gli sguardi di pietà della gente che sa che sta per morire. E anche con me non voleva implicazioni sentimentali perché non voleva che mi sentissi in dovere di starle vicino.”
 
“Ho capito…beh, è da ammirare per questo. Non tutti saremmo capaci di aspettare la morte soli come cani…e ciò mostra anche una sua grande sensibilità: non vuole fare soffrire gli altri. E per questo ti ha detto di dimenticarla.”
 
“Sì, ma io ormai ci sono troppo dentro, Michael. Sono tre giorni che faccio ricerche su questa malattia e su come trovare un cuore nuovo. Senza risultati ovviamente…” Slash sbuffò sonoramente. “Non so che cazzo devo fare Michael!”
 
Il biondo guardò il suo amico e si sentì tremendamente impotente. “Hai detto che ormai, in ogni caso, ci sei troppo dentro, vero?”
 
“Sì! Anche non la vedessi più in ogni caso non farei altro che pensare a lei, se sta bene, se è ancora…” il riccio si interruppe di nuovo: erano troppo difficili quelle parole da pronunciare a voce alta. Diventavano così…vere.
 
“E allora vai da lei, a casa, al ristorante, dove la trovi. Tampinala e falle vedere che tu non ti dai per vinto, che nemmeno lei deve farlo…e che in due le cose sono sempre più semplici che da soli.”
 
Il chitarrista, dopo alcuni istanti di silenzio, si mise a ridere, stupendo non poco Duff. “Che hai da ridere?”
 
“Mi piacerebbe dirti che sei il solito saggio del cazzo…”
 
“Fallo!” scherzò a sua volta il biondo.
 
“No, non posso.”
 
“E perché mai?!”
 
“Perché è vero…sei saggio e trovi sempre le parole più giuste da dirmi.”
 
“Dovere, man, dovere.”
 
I due si alzarono in piedi e si abbracciarono: da secoli non lo facevano e valeva davvero di più di mille parole.
 
“E ora andiamo a salvare una donzella in difficoltà!” concluse Duff, prima che sia lui che l’amico prendessero le giacche e uscissero di casa.

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Capitolo 17
*** 16 ***


 
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Duff accompagnò Slash in auto al Canter's, dove da poco doveva essere iniziato il primo turno della cena, essendo le 7.15. Il riccio indugiò un attimo nel scendere dall'auto, troppo impaurito da un nuovo confronto con Lyla. Ancora non aveva capito bene il motivo, ma quella donna riusciva sempre a lasciarlo a bocca aperta, con la lingua arrotolata e incapace di spiccicare parola. Ed era una cosa che non accadeva sovente...aveva sempre avuto la risposta pronta.

Ma Lyla era...Lyla. E davvero, forse per la prima volta nella sua vita, poteva dire di avere incontrato una donna diversa. In tutto e per tutto.

Duff stava quasi pensando di mandarlo fuori a calci, ma finalmente si decise e, dopo aver detto al biondo che il giorno seguente lo avrebbe chiamato, entrò nel ristorante.

Il campanellino della porta che annunciava l'arrivo dei clienti attirò l'attenzione di Lyla, appostata dietro il bancone all'ingresso.

La vide sospirare e lanciare un'occhiata di sfuggita alla sala, forse in cerca di Marc, o forse semplicemente in cerca di aiuto.

 

“Saul...” perchè diavolo aveva preso a chiamarlo per nome? Lo faceva sentire così fragile. “Cosa ci fai qui?”

 

“Voglio mangiare.” se ne uscì il riccio, nonostante lo stomaco fosse talmente chiuso che fin il profumo di cibo del ristorante gli dava la nausea. Ma, doveva ammetterlo, non aveva trovato una scusa migliore in quella frazione di secondo a sua disposizione.

Certo che Michael, che era sempre tanto saggio, avrebbe potuto suggerirgli qualcosa...

Si riscosse dai suoi pensieri, quando Lyla gli sventolò una mano davanti agli occhi. “Ti ho detto che puoi accomodarti al tavolo 7.”

 

“Ce-certo! Vado!”

 

Slash si avvicinò al tavolo dove vi era una bella targhetta con il numero sette e prese subito in mano il menù, più che altro per nascondersi dallo sguardo indagatore della mora. E poi...dove cazzo era Marc?

Quando gli si avvicinò un cameriere, che il riccio non aveva mai visto e che sbiancò quando lo riconobbe, chiese dell'amico.

 

“Glielo chiamo subito, signore.” rispose il ragazzo, forse anche un po' felice di non avere la responsabilità di quel cliente così...famoso.

 

“Saul, vecchio mio!” Marc uscì dalla cucina e lo abbracciò stretto. “Che ci fai qui?”

 

“Non avevo voglia di prepararmi la cena.” Certo che quella sera tirava fuori una scusa più patetica dell'altra!

 

“Farò finta di crederci! Senti se aspetti dieci minuti do due dritte ai cuochi e vengo a mangiare con te, che dici?”

 

“Volentieri, amico! Mi fa piacere!”

 

“Tu intanto scegli! E ordina a Joseph!”

 

Il giovane cameriere di poco prima si riavvicinò al chitarrista, senza nemmeno cercare di celare il suo disappunto.

Slash ordinò dell'acqua e le sue due pietanze preferite del menù e attese. Ogni tanto lanciava qualche sguardo a Lyla, che dal canto suo si comportava come se nulla fosse, accogliendo i clienti, rispondendo al telefono, scrivendo freneticamente su un taccuino o al computer.

Era perfetta: più la guardava e più si rendeva conto di quanto fosse bella, forte, intelligente. Perchè doveva essere così complicato? Perchè dovevano essere così sfortunati? Ok, si sentiva un fottuto egoista perchè tra i due di certo la più sfortunata era lei...ma non poteva sentirsi lui stesso diversamente, sapendo che avrebbero potuto costruire qualcosa se lei non fosse stata malata.

 

“Eccomi, scusa l'attesa!” Marc arrivò al tavolo con i piatti che Slash aveva ordinato e uno per lui. “Come stai, man? E' un po' che non ci vediamo.”

 

“Sono successe...un po' di cose.”

 

“Con i Velvet Revolver?”

 

“Anche, ma non è questo che mi ha trattenuto.”

 

“Oh...è successo qualcosa?”

 

“Ho avuto un confronto con Lyla.”

 

“Ah sì? E riguardo a cosa?”

 

“Riguardo al motivo per cui non è venuta alla festa di Izzy. Perchè mi ha dato buca.”

 

Marc si mosse rumorosamente sulla sedia. Sapeva che quel discorso tra lui e Slash sarebbe uscito, e non poteva negare che lo aveva atteso con un po' di ansia. Il riccio si sarebbe incazzato per il fatto che lui gli avesse tenuta nascosta la malattia di Lyla...sapeva anche che non aveva tutti i torti a prendersela, contando che erano amici da sempre. Ma...nemmeno lui sapeva bene perchè aveva mantenuto il segreto. Certo, quella di Lyla era una situazione molto delicata però...era stato tentato di dirglielo quando lo aveva visto a pezzi la sera della festa, ma alla fine aveva lasciato perdere.

Era lei che doveva dirgli una cosa delicata come quella.

In ogni caso, lui ci era finito in mezzo e quella situazione non gli piaceva per niente.

 

“Che c'è, Marc?” Slash aveva notato che l'amico si era incupito e si muoveva a disagio sulla sedia.

 

“Nulla...nulla. Dicevi?”

 

“Dicevo che Lyla mi ha spiegato perchè non è venuta alla festa. Tu lo sapevi che è malata?”

 

Ecco...se poi gli poneva la domanda in modo così diretto era fottuto. Non era mai stato bravo a mentire, specialmente a Saul.

Impiegò alcuni istanti, ma poi lo vide spalancare gli occhi: aveva capito.

 

“Tu lo sapevi?”

 

“Saul, io...”

 

“Tu lo sapevi e non mi hai detto niente?”

 

“Mi aveva chiesto di non dirtelo...scusami...”

 

“Sono il tuo migliore amico, porca troia, ci conosciamo da quando siamo bambini. Come hai potuto non dirmelo!”

 

“Scusami, davvero mi dispiace.”

 

“Non ci credo...oddio, non posso crederci...” Slash si passò le mani tra i capelli: era disperato, piano piano veniva fuori che tutti, persino il suo migliore amico di sempre, gli aveva raccontato della gran cazzate per mesi.

 

Il riccio si alzò in piedi. Prese il portafoglio dalla tasca del chiodo, posò una banconota da 50 dollari sul tavolo e si mise la giacca.

 

“Saul, dove vai...”

 

“Ci vediamo, Marc.”

 

A passo lesto, Slash uscì dal locale, senza degnare Lyla di uno sguardo.

La donna li aveva tenuti d'occhio e aveva capito cosa era accaduto. Corse da Marc, che era ancora seduto al tavolo con la testa tra le mani.

 

“Marc! Tutto bene?”

 

“Più o meno. Saul si è incazzato.”

 

“Mi dispiace, è colpa mia...”

 

“No, Lyla...non è colpa tua.”

 

“Invece sì. Potrei andare a parlargli, se mi lasci andare...”

 

“Davvero lo faresti?”

 

“Te lo devo.”

 

“Vai allora.”

 

Lyla gli sorrise, corse dietro il bancone, prese la borsa e si avviò rapida alla porta.

 

“Dimenticavo...c'è scritto tutto sul registro per le ordinazioni.”

 

“Vai!” le urlò ridendo Marc.

 

Lyla non se lo fece ripetere e corse fuori. Non sapeva bene dove andare, in realtà... se avesse avuto la macchina? Se avesse preso un taxi? Ma a un certo punto si voltò e lo vide 50 metri più avanti che entrava in un pub.

Lo raggiunse e, a sua volta, entrò.

Notò che si era seduto al bancone e che aveva ordinato una birra. Un istante prima che il cameriere gliela posasse davanti disse:

 

“Lo stesso per me, per favore.”

 

Il riccio fece un salto a sentire quella voce e la guardò.

 

“Cosa ci fai qui?”

 

“Sono venuta a parlarti di Marc.”

 

“Non è necessario.”

 

“Non voglio che litighiate per me.”

 

“Non mi hai che complicato la vita, Lyla.”

 

“Lo so...e mi dispiace.”

 

“A me no...”

 

“Saul, ti prego...non ripetiamoci.”

 

“Ti vorrei dimenticare...ma non ci riesco.”

 

Lyla lo guardò. Nemmeno lui ci riusciva. Era entrato nella sua testa, nel suo cuore e nella sua anima. Era impossibile non pensare a lui. Le sue mani, i suoi capelli, la sua voce.

Decise di mandare al diavolo tutti i suoi principi e di essere egoista almeno per una volta nella sua breve vita.

 

“E allora non lo fare.”

 

 

 

Buonsalve a voi!!! Mi scuso per il ritardo ma purtroppo l'università non mi da tregua! Comunque l'aggiornamento settimanale non mancherà mai, non preoccupatevi :P E chiedo scusa anche per l'orribile impaginazione, ma cambiando computer viene fuori così :/

Bene, grazie a tutti coloro che leggeranno e recensiranno!

Alla prossima :):):)

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Capitolo 18
*** 17 ***


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Il giorno dopo, Lyla era a pezzi. Non aveva chiuso occhio al pensiero di quello che aveva fatto: costringere Slash a starle vicino.

Il senso di colpa era grande e non sapeva come affrontarlo. La sera prima, dopo che erano andati via da quel pub, lui l'aveva riaccompagnata a casa e, contro ogni aspettativa, non le aveva nemmeno domandato di salire. Cosa decisamente non da lui.

Che si fosse già pentito? Non era da biasimare...

Però non lo reputava così stronzo ed era convinta che se le aveva detto che le sarebbe stato vicino, allora sarebbe andata così.

Si guardò allo specchio, disperata per le occhiaie violacee che le erano sorte sotto gli occhi, e iniziò subito a truccarsi, se voleva arrivare in tempo al lavoro.

Peccato che quel giorno la fortuna non fosse dalla sua, dato che suonò poco dopo il telefono.

 

“Merda!” imprecò ad alta voce, correndo in cucina con un occhio chiuso per non far sbavare l'eye-liner.

 

“Pronto?”

 

Buongiorno piccola!”

 

“Saul! Ciao!” tirò un sospiro di sollievo nel sentirlo: non aveva cambiato idea. “Come stai?”

 

Tutto bene! Ho importanti novità!”

 

“Ovvero?”

 

Ovvero stanotte ho fatto un po' di ricerca e ho trovato il numero di telefono dei due più noti cardiologi degli Stati Uniti.”

 

“No! Saul!”

 

Stai buona, non ho finito! Questa mattina li ho contattati e ho prenotato due visite, da uno fra una settimana e dall'altro fra dieci giorni. Ho anche già prenotato i voli.”

 

Lyla era sbalordita: aveva fatto tutto ciò per lei. Peccato che non si potesse permettere manco un quinto della parcella di uno solo dei due medici.

“Saul, ti ringrazio infinitamente ma...non posso permettermelo.”

 

Smettila di dire stronzate, pagherò tutto io!”

 

“Cosa? No, non posso accettare.”

 

Senti, Lyla, io soldi ne ho. Fin troppi, davvero, non so che cosa farmene. E voglio usarli per un buon motivo: ovvero portarti dai migliori specialisti che ci sono sulla piazza. Tu non devi pensare a nulla, solo a chiedere a Marc un permesso.”

 

“Io...io non so cosa dire...” non aveva davvero parole...nessuno aveva mai fatto qualcosa di simile per lei. “La mia assicurazione non copre queste visite...ho una assicurazione base perchè non mi sono mai potuta permettere altro.”

 

Lyla, stai tranquilla, ok?”

 

La donna non rispose, limitandosi a fare un respiro profondo per cercare di metabolizzare quello che le aveva appena detto Slash.

 

“Ti va di venire qui e andiamo al Canter's insieme?”

 

Speravo me lo chiedessi!”

 

“Perchè?”

 

Perchè sono già qui sotto!”

 

La mora corse alla finestra e si affacciò subito: lo vide, laggiù in strada che sventolava la mano per salutarla. Si limitò a sorridere e a correre alla porta per aprirgli.

Quando le porte dell'ascensore si aprirono, si rese conto che non era mai stata così felice di vederlo.

 

“Ehi, piccola, mi stai soffocando!” le disse il riccio, dato che gli si era gettata al collo.

 

“Scusami è che...io...io sono davvero senza parole.”

 

Entrarono e si chiusero la porta alle spalle.

 

“Lyla, non devi dire nulla. L'ho fatto volentieri, sul serio. Non me lo perdonerei se non fossi certo di averle provate tutte.”

 

“Io...io non ho scelto te per i soldi.”

 

“Ma lo so bene, sciocca. Lo so bene.” la abbracciò stretta e si unirono in un bacio mozzafiato, che ben presto degenerò.

 

Si ritrovarono nudi sul divano, a fare l'amore come due ragazzini. Si sentivano uniti come non vai, e il cuore esplodere di gioia.

Una volta terminato, Lyla corse in bagno a prepararsi dato che era in un ritardo fottuto.

 

“Sicura che sia un bene che venga anche io al ristorante?” domandò il chitarrista a un certo punto.

 

“Perchè mai non dovrebbe esserlo?”

 

“Ieri sera ho litigato con Marc.”

 

“Credo sia un'ottima occasione per fare pace!”

 

“Mi dispiace essermi incazzato con lui.”

 

“Sono certa che capirà. Marc è un amico meraviglioso.”

 

“Lo so bene! Già pronta?” le chiese poi, vedendola uscire dal bagno.

 

Lyla annuì: si era vestita e truccata alla velocità della luce.

Andò in salotto e, preso Slash per mano, si avviò alla porta, per poi bloccarsi proprio sulla soglia.

 

“Hai dimenticato qualcosa?” le chiese.

 

“No...è che...tu mi hai dato una nuova speranza, sai? E soprattutto un motivo per non smettere di lottare.”

 

“E quale sarebbe?”

 

“Sei tu. E la vita meravigliosa che io e te potremmo passare insieme.”

 

Saul le sorrise e le asciugò una lacrima che era sfuggita ai suoi occhi.

 

“Ti salverò, Lyla. Fosse l'ultima cosa che faccio.”

 

 

 

Ciao a tutti!!! Il capitolo è un po' breve, ma credo sia sufficientemente intenso! :) Bene, ringrazio tutti come sempre e alla prossima!!!!

Smack!!!!

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Capitolo 19
*** 18 ***


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Perdonate il ritardo!!! L’università non mi da tregua!!! D:
Grazie mille a chi avrà ancora voglia di leggere e lasciare due righe!
E, se non aggiornerò prima, Buon Natale a tutti voi :D:D
Smack

 
 
Lyla chiuse gli occhi e respirò profondamente: non aveva mai amato granchè volare e le poche volte che lo aveva fatto era stato per andare nel posto che più amava al mondo, ovvero Parigi.
Ma ormai non volava più da due anni circa e la sensazione di essere schiacciata contro il sedile quando l’aereo inizia ad accelerare, le mise non poca ansia.
Era tesa come una corda di violino e Slash se ne era accorto. E come poteva essere il contrario? Lyla non parlava da quasi 4 giorni, da quando lui aveva preso appuntamento dai due migliori cardiologi degli Stati Uniti: il primo a Dallas, in Texas, e il secondo ad Atlanta, in Georgia.
Slash non aveva idea del perché si fosse chiusa in se stessa a quel modo ma, dalle poche parole che era riuscito a strapparle in quei giorni, non poteva che essere un misto di ansia e dispiacere. Lyla, infatti, non aveva fatto altro che ripetergli quanto fosse mortificata che lui spendesse tutti quei soldi per lei, soldi che mai avrebbe potuto restituirgli, dato che non aveva proprio il tempo materiale per risparmiarne così tanti.
Il chitarrista le aveva detto in tutti i modi e in tutte le lingue che non gli importava nulla dei soldi, che voleva solo tentare di salvarla, ma la donna si sentiva comunque terribilmente dispiaciuta e si era quasi pentita di avergli chiesto di starle vicino.
Non perché lui lo stesse facendo male, anzi…ma perché lo aveva costretto ad affrontare una situazione più grande di lui. Forse più grande di chiunque.
Passò il viaggio a sfogliare distrattamente una rivista, sotto l’occhio attento di Slash, che non si perdeva un suo movimento per cercare di capire cosa le passasse per la testa in quel momento.
Una volta atterrati, trovarono subito un dipendente dell’albergo lussuoso che il riccio aveva prenotato che li stava aspettando nella zona ‘arrivi’ e che sarebbe stato a loro completa disposizione per tutto il loro soggiorno.
 
“Benvenuto, signor Hudson. Signora Hudson. Mi chiamo James e sarò a vostra completa disposizione.” Il giovane si rivolse a Lyla in quel modo e ciò la stupì non poco, al contrario di Slash che, invece, sembrava non averlo nemmeno notato. Stava soltanto presentando la sua guardia del corpo, Junior, al tizio dell’hotel.
Lyla sentì improvvisamente un caldo fottuto, nonostante l’aria condizionata dell’aeroporto fosse sparata al massimo, e sentiva le forze abbandonarla.
 
“Saul…” lo chiamò, poggiandogli una mano sull’avanbraccio. “Non mi sento bene.”
 
Il riccio la guardò e notò che era estremamente pallida. La fece subito sedere su delle sedie che si trovavano vicino a loro e ordinò a quel James di andare a chiedere aiuto nell’infermeria dell’aeroporto.
Junior le sventolava una rivista davanti al viso per farle aria e Slash le parlava in continuazione per farla restare cosciente.
 
“Lyla! Lyla come va il cuore?” le domandava, ma la donna non rispondeva. Si sentiva così stanca che avrebbe voluto solamente coricarsi e dormire…dormire per mesi. “Lyla parlami, cazzo! Oh, dottore!”
 
“Buongiorno, signor Hudson. Sono solo un infermiere, trasportiamo la signora Hudson nello studio medico dalla dottoressa Kim. La faccia sedere qui sulla carrozzina.”
 
Sollevandola di peso, Junior e Saul la misero sulla sedia a rotelle e, rapidamente, arrivarono nello studio medico.
Qui le fecero subito un elettrocardiogramma, dopo che Slash aveva mostrato alla dottoressa, una tizia dai tratti orientali, la cartella clinica di Lyla.
Dopo averla visitata accuratamente, la dottoressa Kim constatò che non era stato il cuore a provocarle il mancamento, ma solamente un calo di pressione.
 
“Certo, con questo non voglio dire che il cuore sia esente…il problema che ha la rende molto più debole rispetto alle altre persone, ma comunque per il problema che sua moglie ha sembra stare fin troppo bene. Siete qui a Dallas per vedere il dottor Corman?”
 
“Sì, esatto.”
 
“Spero vi sappia aiutare…”
 
A Slash non era piaciuto il modo in cui aveva detto quell’ultima frase, ma decise di non approfondire l’argomento: tanto fra due giorni lo avrebbe scoperto da sé.
Lyla, intanto, grazie a una medicina che la dottoressa le aveva dato, si era ripresa e, dopo averla costretta a risedersi sulla sedia a rotelle, si diressero all’auto che li aspettava all’uscita dell’aeroporto.
In macchina, Lyla poggiò la testa sulla spalla del suo uomo e gli cinse la vita con le braccia.
 
“Come ti senti, signora Hudson?” disse, calcando la voce sulle ultime due parole.
 
“Non mi dispiace come suona, sai?” gli disse sorridendo e guardandolo. “Potrei anche abituarmici.”
 
“Wow, non smetti mai di stupirmi, Lyla Simard…anzi, scusa, Lyla Hudson.”
 
La donna rise, dandogli un lieve pugno sul braccio e chiudendo gli occhi per godersi il dondolio dell’auto e il calore del suo corpo.
Arrivati in hotel, James li condusse nella loro stanza, che si trovava all’ultimo piano, solitamente riservato a personaggi di un certo spessore; era formato infatti da un suite enorme e lussuosissima e da due stanze più piccole e semplici dove solitamente si sistemavano le guardie del corpo o eventuali accompagnatori.
 
“Certo che non hai badato a spese...” lo rimproverò Lyla.
 
“Volevo assicurarti un viaggio comodo e confortevole.”
 
“A che ora abbiamo l’appuntamento dopodomani?”
 
“Alle undici del mattino…”
 
Lyla annuì pensierosa.
 
“Sei agitata?” le domandò Slash, osservandola mentre tirava fuori degli abiti più comodi dalla valigia.
 
“No…tanto so già cosa mi dirà.”
 
“Lyla…”
 
“Saul, uno può avere tutti i soldi del mondo, ma tanto se sei malato lo sei sia da ricco che da povero.”
 
“Coi soldi puoi comprare tante cose.”
 
“Non la salute.”
 
“Lyla, guardiamo in faccia la realtà. Chi ha denaro è privilegiato, in tutto.”
 
“Possiamo avere quanto denaro vogliamo, ma se non si trova un cuore compatibile, non si trova!”
 
“Magari esistono delle liste privilegiate…ci sono tanti tipi di assicurazioni mediche!”
 
“Dio, Saul, smettila!!! Sono venuta qui perché avevi già prenotato e organizzato tutto quanto…solo per quello! Ho visto decine di medici nella mia vita e mi hanno detto quasi tutti le stesse cose. Accidenti, smettila! Perché non mi lasci stare? Lasciami morire in santa pace, maledizione!”
 
Slash la guardò senza dire nulla: ormai la conosceva abbastanza da comprendere quando pensava davvero quello che diceva. In quel momento non era così: era stanca, frustrata, preoccupata…disperata. E come non esserlo? Lo era lui, figuriamoci lei.
“Dormi un po’, ora, sarai a pezzi.”
 
E uscì dalla stanza da letto chiudendosi la porta alle spalle e andando nel salotto della suite, dove accese la televisione e si perse in quei colori e in quelle immagine senza comunque vederle davvero.

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Capitolo 20
*** 19 ***


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Sono imperdonabile!! Scusate l'assenza ma tra le vacanze e un calo di ispirazione...bene, spero che qualcuno abbia ancora voglia di leggere e lasciare due righe! Buona lettura :)



Lyla sfogliava distrattamente una rivista, come se fosse dalla parrucchiera e non da
un medico.
 
“Come fai a essere così tranquilla?” le domandò Slash, che al contrario non faceva altro che camminare avanti e indietro per la sala d’aspetto. Non ci sarebbe stato da stupirsi se si fossero formati i solchi nel pavimento.
 
“Semplice, so già cosa ci dirà.”
 
Dopo l’ultimo litigio, i due si erano parlati a monosillabi. Slash aveva lasciato perdere, non ci aveva nemmeno provato a parlarle…tanto era inutile. Lyla aveva i nervi a fior di pelle e si infiammava per niente, cosa avrebbe potuto dirle? Anche lui era agitato, certo…temeva da morire di sentir dire quelle fatidiche parole dal dottor Corman: “Non c’è nulla da fare.”
Invece Lyla era passata a una sorta di pacata rassegnazione, e vedere Slash sempre così ottimista la mandava ai matti.
 
“Siediti, Saul. Non serve a nulla fare avanti e indietro.”
 
Il riccio obbedì e le strinse lievemente la mano che Lyla aveva appena alzato per spostarsi i capelli dal viso. “Ti amo…”
 
La mora lo guardò e le rispose sorridendogli. Avrebbe detto qualcosa, se in quel momento un dottore distinto, un uomo abbastanza giovane e con i capelli che sembravano leccati da una mucca, non li avesse chiamati. “Signorina Lyla Simard.”
 
“Sì, sono io.” Rispose la mora alzandosi in piedi, seguita a ruota dal chitarrista.
 
Il medico e Lyla si strinsero la mano e quando giunse il momento di Slash, il medico spalancò lievemente gli occhi. “Beh…non posso negare di essere un grande fan dei Guns ‘N Roses. I miei complimenti, Slash.”
 
“Grazie dottore!” rispose il riccio entusiasta. Gli sembrò un tipo alla mano e una persona con cui si poteva parlare.
 
Convinzione che cadde, però, nel giro di pochi minuti. Il medico si rivelò un tipo spocchioso, che si credeva superiore a tutto o tutti: forse pensava che tutti quegli attestati appesi al muro potessero renderlo migliore di loro due, una cameriera e un chitarrista.
 
“Signori, mi domando il perché della vostra visita.” Chiese a un certo punto, restituendo la cartella clinica, che aveva letto in trenta secondi, a Lyla.
 
“Beh…abbiamo saputo che lei è uno dei migliori del settore. E volevamo un altro parere.” Intervenne Slash, cercando di mantenere i nervi saldi.
 
“Oh, beh, sì…lo sono. Uno dei migliori, intendo.” Il riccio strinse i pugni: aveva una voglia indescrivibile di spaccargli quel naso a patata che si ritrovava! “Però non vi posso aiutare. Il caso della signorina Simard è senza speranza.”
 
“Mi scusi dottore, ma io avrei fatto centinaia di chilometri per sentirmi dire simili banalità?”
 
“Signor Hudson, mi dispiace dirglielo…ma sì. Il vostro è stato un viaggio a vuoto. Ma se insiste posso visitare la signorina Simard.”
 
“Noi stavamo pensando a fare una qualche assicurazione più costosa e specifica per queste situazioni…” intervenne Lyla per la prima volta: non aveva detto una parola da quando erano entrati, troppo scioccata dall’atteggiamento orribile del dottore.
Anche lei era consapevole del fatto che probabilmente c’era ben poco da fare, ma cazzo! Un medico non si poteva comportare così!
 
“Oh, sì, ce ne sono di assicurazioni per questi casi…ma mi creda, non avrebbe il tempo materiale per essere inserita in liste di attesa privilegiate.” Disse ancora il dottor Corman.
 
“Credo che i medici potrebbero aiutare i pazienti a entrare in queste liste.” Domandò ancora Lyla.
 
“Oh, sì, alcuni medici sì.”
 
“Lei no?” lo provocò ancora la mora.
 
“Senta, signorina. Si calmi che questo suo agitarsi non fa bene al suo cuore. Io non posso fare niente, va bene? Mi dispiace, ma il vostro viaggio è stato inutile.”
 
Slash si alzò in piedi, disgustato dalla freddezza e dalla poca voglia di fare di quella sottospecie di medico. “Credevo che i medici si facessero in quattro per salvare i pazienti.”
 
“Teoricamente sì, ma a me non piace andare contro al destino.”
 
“Lei è spregevole! Andiamo Saul!” Lyla si fiondò verso la porta, seguita a ruota dal suo uomo.
 
Si avvicinarono al bancone della segretaria per pagare la parcella, ancora più esagerata di quanto fosse già di suo contando il servizio che avevano ricevuto.
 
“Serena, mi mandi il prossimo paziente.” Disse il medico alla segretaria, chiudendosi poi la porta alle spalle.
 
Con un diavolo per capello, i due uscirono dal grattacielo dove si trovava la studio di quel tizio.
 
“Come fa un tipo del genere a fare il medico?” domandò Slash, grattandosi perplesso i ricci ribelli. Aveva un’espressione così dolce in quel momento, che Lyla, nonostante la rabbia, non potè mantenere un sorriso.
 
“Lascia perdere, Saul. Andrà meglio con l’altro medico.”
 
“Wow, non ti avevo ancora vista così positiva.”
 
“Non voglio darla vinta a quello stronzo!”
 
“Brava, così ti voglio! Senti, ma…tu non hai fame?”
 
“Da morire!”
 
“Ottimo! Anche perché ho cercato anche qualche buon ristorante della città.”
 
“Buona idea! Andiamo!”
 
Risalirono sull’auto che li aveva portati lì, diretti al ristorante.
Il giorno dopo presero il volo per Atlanta, dove il pomeriggio ancora successivo avrebbero avuto la visita con l’altro medico, il dottor Davert.
 
“Ho letto su internet che è francese…” disse Saul, mentre erano in aereo.
 
“Come me!” esclamò allegramente Lyla.
 
“Già. Devi portarmi a Parigi comunque…potremmo organizzare una vacanza.”
 
“Io non ci posso andare. Il viaggio è troppo lungo, servirebbe un mezzo attrezzato e estremamente costoso.” Spiegò la mora. “E no, ti proibisco di pagarmelo.” Aggiunse, vedendo che il riccio stava per aggiungere qualcosa.
 
Si misero entrambi a ridere e Slash la abbracciò.
 
“Meno male che ci sei.” Disse Lyla dopo alcuni istanti di silenzio. “Non ce l’avrei mai fatta da sola.”

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Capitolo 21
*** 20 ***


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Lyla sbiancò sentendo quello che il medico, il dottor Davert, le stava dicendo.
 
“Sono liste d’attesa poco conosciute e hanno costi assicurativi tremendamente elevati. Ovviamente le zone di ricerca sono circoscritte ma le possibilità sono maggiori rispetto alle liste di attesa...normali, diciamo.”
 
“Hai visto, piccola? Te l’avevo detto!” esclamò Saul.
 
I due erano ad Atlanta. Erano partiti da Dallas, avevano fatto un altro volo, un altro check-in in hotel e altri giorni di tensione prima della visita.
Il dottor Davert era subito risultato simpatico ad entrambi, un uomo di mezza età, affabile e alla mano…altro che quello precedente, che nemmeno poteva essere definito medico: era un insulto a persone meravigliose come il dottore che avevano di fronte.
 
“So che eticamente parlando non è una cosa giusta. Appena hanno stilato queste liste privilegiate io non ho dormito per giorni. Per fortuna, con la commissione responsabile siamo giunti al compromesso che queste liste privilegiate sarebbero state accessibili solo fino ai 45 anni di età.” L’uomo fece una risata priva di allegria. “Sapete, riservandolo a gente giovane, e che quindi aveva molte più possibilità di affrontare una simile operazione, ci siamo puliti la coscienza. Il denaro può comprare quasi tutto.”
 
“Forse non sarà moralmente corretto, ma io voglio questa assicurazione!” esclamò il chitarrista.
 
Lyla non disse nulla, troppo scioccata per ricordarsi come spiccicare parola. Ora sì che c’era davvero una chance. Non avesse trovato Saul a quest’ora chissà dove sarebbe stata: lui l’aveva aiutata economicamente, va bene, ma soprattutto moralmente. Aveva creduto di farcela ad aspettare la morte da sola, ma, cazzo…era molto più complicato di quanto avesse pensato.
Rimasero ad Atlanta più giorni del previsto per portare a termine tutte le pratiche relative alla nuova assicurazione. Il dottor Davert li accompagnò per velocizzare le pratiche, dato che Lyla aveva davvero i giorni contati, e assicurarono loro che in una settimana tutto sarebbe stato a posto e le ricerche per il cuore compatibile sarebbero partite immediatamente.
Tornati a LA, cercarono di mantenere una vita più normale possibile, nonostante entrambi non perdessero mai di vista i loro cellulari in attesa della bella notizia: l’arrivo di un cuore per Lyla.
Ma la chiamata non arrivava e le settimane passavano.
Slash si era buttato a capofitto nelle registrazioni con i Velvet Revolver e riusciva a tenersi impegnato; Lyla si era trasferita a casa del riccio e continuava a lavorare da Marc, seppur solamente per il pranzo. L’ora fatidica si avvicinava inesorabilmente e lei iniziava a sentire sulle spalle quel peso…psicologico, ma soprattutto fisico.
Si stancava per niente, non riusciva a fare due rampe di scale senza poi doversi fermare in preda alla tachicardia: stava iniziando ad accusare quei sintomi che i medici le avevano predetto e che, con grande stupore di tutti, si erano manifestati molto tardi per una persona nel suo stato.
Una sera, dopo aver preparato una rapida cena a Slash, si era messa sul divano con una coperta e un the caldo, stanca come se avesse spaccato pietre sotto il sole per dodici ore.
 
“Piccola, vuoi che andiamo in ospedale?”
 
“No, Saul, non è  necessario.”
 
“Ma è normale che tu stia così male?”
 
“Sai, contando che mi restano all’incirca due mesi di vita, credo di stare fin troppo bene!” rispose la mora con sarcasmo.
 
Il riccio annuì, sentendosi più impotente che mai. “Posso fare qualcosa per te?”
 
Lyla sembrò riflettere per alcuni istanti, per poi illuminarsi. “Suona per me.”
 
“Come?”
 
“Hai capito bene, prendi la chitarra, siediti qui e suona…per me.”
 
Perplesso, Slash andò a prendere l’acustica e si accomodò sul divano accanto a Lyla, che tentò di tirarsi a sedere per non perdersi lo spettacolo meraviglioso che erano le sue mani su quelle sei corde.
Il riccio iniziò a suonare: Sweet Child O’ Mine…forse la cosa più banale che poteva scegliere, ma anche la più adatta. Sapeva che era per lei…chissà quante erano state le sweet child della sua vita…ma in quel momento toccava a lei e, nonostante tutto, non si era mai sentita così felice.
Osservando le sue dita veloci, si chiese come aveva potuto vivere 34 anni senza sentire la sua musica. Nemmeno sapeva chi fosse, quando lo aveva incontrato, né chi fossero i Guns ‘N Roses, e tantomeno gli Snakepit.
Quante cose che si era persa, e quanto poco tempo aveva per recuperare tutto.
Calde lacrime iniziarono a scorrere sulle sue guance quando, legandola perfettamente con la precedente canzone, Slash passò a suonare November Rain. Era la sua canzone preferita dei Guns ‘N Roses, nonostante Slash forse ne prediligesse tante altre…ma a lei dava un senso di pace difficile da descrivere.
Lo osservò ammaliata fino alla fine della canzone e, appena staccò le dita dalle corde, la guardò e le sorrise.
Non si erano detti una parola, ma sapevano quanto quel momento era stato speciale per entrambi; nessuno di loro due era bravo con le parole, tantomeno ad esprimere sentimenti o a dire ciò che provavano…ma in quei pochi mesi potevano dire di aver imparato a conoscersi come forse nessuno dei due, in tanti anni, aveva conosciuto il precedente partner.
Slash si sdraiò accanto a lei e la strinse a sé, in silenzio.
Fu solo dopo un tempo indefinibile che parlò:
 
“Lyla…sai bene che io sono sempre stato ottimista e convinto della tua guarigione. Ma vederti così debole ultimamente mi ha fatto piombare con i piedi per terra e valutare davvero il fatto che potrei perderti.” Si bloccò per guardarla in viso, per capire se avesse solo voglia di insultarlo per il fatto che le stesse sbattendo la verità in faccia. Ma era una donna matura e intelligente e il suo viso era rilassato e attento alle parole del chitarrista. “Io ho paura che il tempo ci stia sfuggendo dalle mani e, anche se tu opporrai mille resistenze, vorrei ancora fare una cosa…per te e con te.”
 
“Saul, hai già fatto a sufficienza…”
 
“Ti prego…non me lo perdonerei se non lo facessi.”
 
“Non mi dirai di cosa si tratta, vero?”
 
“Quello te lo scordi!” le rispose sornione.
 
“Lo sospettavo!” aggiunse Lyla, facendogli una linguaccia. “Va bene, rockstar, sono nelle tue mani!”
 
“Prometti di non arrabbiarti?”
 
“Giuro!”
 
“Croce sul cuore?”
 
Lyla scoppiò a ridere. “Saul, non abbiamo più 10 anni!”
 
“Croce sul cuore?” chiese imperterrita.
 
La mora ridacchiò, alzando gli occhi al cielo esasperata. “Giuro, croce sul cuore!”
 
“Perfetto!” esclamò eccitato come un bambino. “Allora preparati, perché domani pomeriggio entrerò in azione!”



 
 
Buonsalve a voi! Sono sempre in straritardo, lo so, ma con l’università è continuamente un delirio! Vi ho lasciato questo capitolo a metà, come mio solito, per creare un po’ di suspance :P
Non so bene quando arriverà il prossimo, ma siate ottimisti :D
Grazie a chi ancora avrà voglia di leggere e lasciare due righe <3

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Capitolo 22
*** 21 ***


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Lyla si sentiva come se dei rapitori la stessero portando via. Era bendata, cosa che accadeva sovente ai rapiti per non mostrare la strada per il loro covo, aveva le caviglie legate a quella poltrona, effettivamente molto comoda, aveva un ago nel braccio…
Insomma, si fosse trovata in un momento più sereno e spensierato della sua vita, probabilmente la sua immaginazione sarebbe volata a qualche scenario apocalittico dove lei poi, tramutatasi in una incredibile eroina con il mantello, si sarebbe alzata in volo e con la forza del pensiero avrebbe sbattuto in galera quei quattro stronzi.
In realtà, tutte quelle cose erano motivate da un qualcosa di molto più tranquillo e normale: Slash l’aveva bendata quella mattina per non farle capire dove stessero andando, cosa che comunque lei aveva intuito appena l’aereo era decollato…difficile non riconoscerne il rumore e il movimento.
Quando poi aveva sentito delle mani gentile accompagnarla su una poltrona simile a quella di un dentista, aveva capito tutto: Slash la stava portando a Parigi.
Avrebbe voluto ucciderlo, dirgli a squarciagola che doveva smettere di buttare via denaro per lei per pagare visite costosissime e jet privati attrezzati per una mezza morta ambulante come lei; ma se gli avesse detto che aveva capito tutto appena gli avevano fatto salire la scaletta dell’aereo, Saul ci sarebbe rimasto incredibilmente male e avrebbe trascorso le dieci ore di volo a domandarsi cosa aveva sbagliato in tutto quel processo da detective privato.
Era la cosa più gentile che qualcuno avesse mai fatto per lei…ok, in realtà nell’ultimo mese le cose gentili che Slash aveva fatto non si potevano più contare sulle dita delle mani. Per questo non voleva deluderlo…già lo avrebbe deluso a sufficienza andandosene, non riuscendo a sopravvivere per passare quel che rimaneva della loro vita insieme. Non era propriamente colpa sua, va bene, ma lei si sentiva così in colpa…avrebbe voluto uccidere qualcuno per la rabbia che provava. Aveva passato tutta la vita a chiedersi perché, perché proprio a lei era accaduto, e a due mesi dallo scadere del termine quella domanda la ossessionava.
L’unica cosa che la consolava era lui, quell’uomo meraviglioso che era entrato per caso nella sua vita e che ora amava con tutta se stessa…lui era il motivo di quella rabbia, il fatto che avessero il tempo contato.
Fece un profondo respiro che allarmò il riccio il quale, con poca grazia e parecchio rumore che fece ridere Lyla, si alzò e fece una corsetta verso di lei.
 
“Piccola…tutto ok?”
 
“Saul, stai sereno…era solo un sospiro.”
 
“Perché sospiri? Ti manca il fiato?”
 
Lyla alzò gli occhi al cielo, ma per fortuna nessuno poteva vederlo con quella benda: certe volte Saul era davvero iperprotettivo. “In realtà, ho solo una voglia matta di scoprire dove mi stai portando!”
 
Non lo poteva vedere, ma sapeva che Slash, in quel momento, stava sorridendo come un bambino davanti ai suoi regali di Natale e le si strinse il cuore al pensiero che qualcuno la adorasse in quel modo così spassionato.
 
“Manca poco, due ore e mezza, tre…”
 
“E poi che faremo?”
 
“Vedrai, non svelo nulla. Ora riposa ancora un po’, così una volta arrivati sarai in piena forma!”
 
Lyla seguì il suo consiglio e si assopì. Fu risvegliata dal movimento di alcune persone che, si rese conto, la stavano spostando su quella che, intuì pochi istanti dopo, era una sedia a rotelle. La condussero giù dall’aereo e poi Saul la fece alzare.
 
“Posso togliere la benda?” domandò la donna.
 
“Assolutamente no! Ora saliamo in auto, al momento opportuno te la toglierò io!”
 
Lyla obbedì e salì su una macchina che partì subito.
Il viaggio non durò molto, e Lyla lo passò con la testa appoggiata alla spalla del chitarrista e le loro mani intrecciate.
A un certo punto, sentì Slash tirarsi su e dire all’autista: “Si fermi, per favore.”
Slash scese dall’auto e andò dall’altro lato per fare scendere Lyla.
“Vieni, piccola.” Le disse dolcemente.
La fece voltare e lentamente le sfilò la benda: lo spettacolo che la donna si trovò davanti le spezzò il fiato.
Stava osservando Parigi da una zona rialzata, che le permetteva di avere un’ottima visuale dei palazzi più belli. E in mezzo c’era il monumento che da sempre l’aveva affascinata più di tutti: la Tour Eiffel.
Sembrava ancora più imponente, quel giorno, davanti ai suoi occhi incantati. Sapeva cosa avrebbe visto, ma l’emozione era stata incredibile.
 
“Sai, è la prima volta che vedo la Tour Eiffel. Quando ho suonato qui nel ’92 con i Guns ‘N Roses ero troppo fatto per poter fare il turista.” Ridacchiò il riccio. “E ne sono felice, comunque…altrimenti non sarebbe stato altrettanto emozionante…vederla per la prima volta con te.”
 
Lyla aveva la schiena appoggiata sul suo petto; le braccia del chitarrista le cingevano i fianchi e, ironicamente dato che le restavano due mesi di vita, la facevano sentire bene come mai le era accaduto.
 
“Sembriamo una di quelle coppie smielate dei film.” Aggiunse poi, forse spaventato dalle sue stesse parole.
 
“E non ti piace?”
 
“In effetti, non avrei mai pensato mi potesse piacere così tanto!”
 
Lyla rise e si voltò verso di lui per baciarlo.
 
“Grazie…non dovevi fare tutto questo per me.”
 
“Non dovevo, ma volevo. E preparati perché una settimana è lunga, sai!”
 
“Staremo qui…una settimana???”
 
“Abbiamo una stanza d’albergo attrezzata e tre infermieri che ti terranno costantemente sotto controllo!”
 
A Lyla quasi cadde la mandibola da quanto era stupita. “Io…io non…non so cosa dire.”
 
“Non devi dire niente infatti! Dai, sali in macchina così ce ne andiamo in albergo a cambiarci!”
 
E, dopo avergli dato un ultimo bacio appassionato, Lyla obbedì.

Come sempre, Slash non aveva badato a spese e aveva riservato un intero piano del Four Season di Parigi per poter avere delle stanze anche per gli infermieri e le guardie del corpo. Loro, ovviamente, risiedevano nella suite.

"Tu sei completamente matto!!!" gli disse Lyla, sdraiandosi sul comodo letto a baldacchino.

"E' da quando ho 10 anni che me lo dicono, sai!"

"Non dovrebbe essere motivo di vanto, sai!" scherzò ancora la mora, ritrovandosi Slash in un secondo su di lei come una fiera sulla sua preda.

"Pensi che..." le disse sottovoce mordicchiandole il lobo di un orecchio. "Potrebbe essere rischioso?"

"Fare cosa?" lo provocò la mora, utilizzando lo stesso tono di voce basso e suadente.

In tutta risposta, il riccio mosse i fianchi sul basso ventre di Lyla, che sentì chiaramente quanto già fosse eccitato.

"Ora capisco...ma io credo che, se non esageriamo, si potrebbe anche fare..." ridacchiò Lyla, vedendo gli occhi di Slash illuminarsi e fiondarsi affamato sulle sue labbra.
 

 


Holaaaaaa! Sono viva, sì…ogni tanto ricompaio! Il capitolo è breve, lo so, ma questo è uscito D: Bene, vi avviso che non mancano molti capitoli alla fine di questa storia, direi 3, massimo 4. Grazie a chi ancora avrà voglia di leggere e recensire!
Smack :D

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Capitolo 23
*** 22 ***


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Lyla capì che c’era qualcosa di strano appena aprì gli occhi, quella mattina: nessun arto di Slash era abbarbicato a lei, segno che lui non era a letto.
Allungo una mano e sentì che le lenzuola erano fredde e che quindi lui era già in piedi da un pezzo; fece per tirarsi su e vide sul suo comodino un bigliettino del riccio: ‘Oggi sarai da sola, ma avrai le cure e le attenzioni di una principessa. Ci vediamo stasera. Je t’aime.’
Fece una risatina, vedendo come si fosse calato benissimo nella parte del galantuomo francese…ma poi la sua vena apocalittica e pessimista tornarono subito a galla, dicendole che sarebbe successo qualcosa…qualcosa di non poco conto.
Si alzò lentamente, ingollando per prima cosa le sue pillole per il cuore; nel salotto della suite c’era la sua infermiera e un cameriere, che stava allestendo un tavolo con qualsiasi ben di dio sopra.
 
“Buongiorno, signorina Simard.” Dissero all’unisono.
 
“Lyla. Chiamatemi Lyla.” Bofonchiò sedendosi al tavolo. “Che succede?”
 
“Il signor Hudson ci ha dato delle precise indicazioni. Dopo la colazione e la visita medica di routine, avrà a sua disposizione una massaggiatrice, un’estetista, una parrucchiera e una sarta. Alle 19 verrà a prenderla la limousine.”
 
“Limousine? E per andare dove?”
 
“Questo non mi è stato detto signorina Simard.”
 
“Mi chiamo Lyla, maledizione…” si limitò a pensare, dato che non voleva essere maleducata con quel poveretto che stava solo facendo il suo lavoro.
 
Il sospetto che stesse per succedere qualcosa stava diventando una certezza e non era per nulla tranquilla. Cosa che notò subito l’infermiera, facendole il solito elettrocardiogramma mattutino…persino una macchina personale, si era procurato quel maledetto chitarrista!
Fortunatamente, il massaggio fu molto rilassante e si assopì anche un poco sotto le esperte mani della massaggiatrice. Ma tornò l’ansia quando comparvero un’estetista, una parrucchiera e una sarta.
 
“Buongiorno, signorina Lyla! Mi chiamo Madeleine e sono la sua sarta personale. Ora le farò provare un abito e mentre poi si dedicherà a trucco e parrucco, farò i ritocchi necessari all’abito.”
 
La sarta tirò fuori da una grande scatola uno splendido abito blu stile impero.
 
“Oh mio dio!” esclamò la mora.
 
“Le piace?”
 
“Certo…certo che mi piace.”
 
I presenti, che ormai erano certezze, erano sempre più…certi. E ciò non era un bene.
Madeleine glielo fece indossare, notando subito come le fosse abbondante nella ripresa sotto il seno, decorata da delle sottili perline argento.
Lyla si sentì demoralizzata vedendo quanto fosse dimagrita nelle ultime settimane: il giorno fatidico era sempre più vicino e il cuore continuava a non trovarsi.
Aveva fatto sprecare solamente dei gran soldi a Slash, che comunque per lei continuava a non badare a spese.
Non prestò la minima attenzione a tutto quello che la sarta blaterava e si fece togliere l’abito e piazzare su una sedia per il parrucco come se fosse stata una bambola di pezza.
Aveva avuto un pensiero, riguardo a quella giornata e alla serata…e non poteva essere. Slash non poteva farlo.
Rimase un automa per le tre ore e mezza in cui la resero bella come non si vedeva da tempo: ormai il velo di fondotinta che si dava quotidianamente non bastava più a coprire le occhiaie e i segni di stanchezza che aveva sul viso sin da quando si alzava la mattina. Le guance erano diventate scavate, aveva perso chili pur cercando di mangiare il più possibile e il seno, a sua volta, aveva perso quasi una taglia.
Stava diventando un mostro: sarebbe dovuta essere preparata, ma proprio in quel momento, quando esitò a riconoscersi nello specchio, si rese conto che a certe cose non si può mai essere preparati.
Le dissero che era tardi, che la limousine era già sotto che la aspettava e Lyla, dopo aver preso la borsetta argentata, salì in ascensore.
Era sola: per la prima volta da quando era arrivata a Parigi era sola. Né camerieri, infermieri o semplicemente Saul.
Sola.
In un secondo, bloccò l’ascensore, tra il quinto e il quarto piano; si sedette a terra, senza preoccuparsi di sgualcire l’abito e pensò a quello che Slash stava per fare.
O almeno, che lei sospettava stesse per fare.
Cosa gli avrebbe detto?
Era ferma da pochi minuti, quando una voce riecheggiò nella cabina dell’ascensore.
 
“Signorina Simard, sta bene?” domandò qualcuno.
 
“Mi chiamo Lyla, cazzo!” pensò, prima di rispondere.

“Sì! Sì sto bene!” disse sbloccando l’ascensore: probabilmente avesse indugiato ancora un po’ avrebbero chiamato l’esercito.
 
Nella hall non guardò nessuno, dato che non aveva alcuna voglia né di dare spiegazioni, né di sentire altri blaterare.
Non riusciva a non pensare che a quello che stava per accadere.
Come aveva sospettato, la limousine la portò alla Tour Eiffel, dove la invitarono a salire sull’ascensore che portava al ristorante.
Era vuoto, quella sera. C’era solamente un tavolino, accanto alla terrazza da cui si vedeva tutta la città. Il primo istinto fu quello di correre verso le grate, per guardare il meraviglioso panorama che si stagliava di fronte a lei.
Ma poi vide Slash, sbucare da dietro un angolo, con le mani incrociate dietro la schiena.
 
“Sei bellissima…” le disse.
 
“il vestito era abbondante…sono dimagrita troppo.”
 
“Sei splendida comunque.” Le disse baciandola a fior di labbra.
 
“Che succede, Saul?”
 
“Volevo farti una sorpresa…sai, volevo fosse una serata speciale.”
 
Lyla non rispose, vedendo piano piano realizzarsi quello che più di tutto aveva temuto.
Slash portò le mani in avanti, mostrando una scatolina di raso blu come il suo abito; il chitarrista si inginocchiò e con un sorriso emozionato ma felice, le fece la domanda che Lyla non avrebbe mai voluto sentirsi dire:
 
“Lyla, amore mio, vuoi sposarmi?”

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Capitolo 24
*** 23 ***


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“Lyla, amore mio, vuoi sposarmi?”
 
La mora chiuse un istante gli occhi: lo sapeva…lo aveva capito da quella mattina che quel maledetto chitarrista aveva qualcosa in mente. Aveva sperato per tutto il giorno che non fosse quello che le aveva appena domandato.
Il riccio, dal canto suo, aveva imparato a conoscere Lyla molto, forse fin troppo, bene e l’aveva capito dall’espressione sul suo viso sin da subito che quella serata non sarebbe andata bene.
A quanto pareva, entrambi avevano il dono della preveggenza…o forse erano semplicemente diventati così uniti che davvero le parole non servivano più.
Entrambi, infatti, in quel momento, sapevano di essere sul filo del rasoio: se Lyla avesse risposto di sì? Beh, allora avrebbero potuto sposarsi quella sera stessa: nella cucina del ristorante c’era un pastore che li aspettava, perché Slash era dell’idea che non si dovesse perdere un istante, dato che ormai ne avevano così pochi a loro disposizione.
E se Lyla avesse risposto di no? Quello poteva diventare un problema. Slash era davvero orgoglioso per poter accettare un due di picche così clamoroso, e Lyla…di certo se ne sarebbe andata per non farlo soffrire troppo. Ma lui, oltre orgoglioso, era anche sensibile oltre ogni dire…e avrebbe sofferto comunque
Insomma, era una situazione di merda.
 
“Perché?” gli domandò dopo che le rotelle nelle loro teste smisero di girare forsennatamente. “Perché lo fai?”
 
“Perché ti amo. E perché voglio…” Slash si bloccò: stava per dire la cosa peggiore di tutte.
 
“Perché vuoi passare il resto della tua vita con me?” Lyla concluse la frase, utilizzando un tono così sarcastico che Slash sentì il cuore sprofondargli nel petto. “Maledizione, Saul! Perché devi fare così!”
 
“Lyla, io ti amo.”
 
“Anche io ti amo. Ma vuoi sposare una morta che cammina? Vuoi restare vedovo dopo tre settimane di matrimonio? Non posso condannarti a una cosa del genere.”
 
“Ma io voglio farlo!”
 
“No! Non ti permetterò di rovinarti la vita e non ti condannerò a rimanere legato a me per sempre.”
 
“Ma accadrà comunque…anche non ci sposassimo, come potrei dimenticarti?”
 
“Colpa mia! Colpa mia che mi sono fatta trascinare dalla bella intesa sessuale che si era creata tra noi. Colpa mia che ti ho permesso di spendere quantità allucinanti di soldi…per cosa? Per un po’ di flebile speranza che, diciamocelo sinceramente, non c’è mai stata davvero! E’ bello illudersi, pensare che possiamo sposarci, avere tanti bambini, una bella casa e un cane…ma apriamo gli occhi, Saul! Non accadrà mai niente di tutto questo! Mai!”
 
Lyla smise di parlare, o meglio di urlare, e fece un profondo respiro prima di spostare lo sguardo su Slash: fino a quel momento, infatti, lo aveva tenuto incollato al meraviglioso panorama parigino che si stagliava davanti a loro, davanti a quelle due anime tormentate e sfortunate che non potevano nemmeno giurarsi amore eterno nel luogo più romantico del pianeta.
Ma Slash aveva tenuto gli occhi fissi sul pavimento della Tour Eiffel e non aveva mai avuto il coraggio di guardare Lyla in viso, quel viso in cui vedeva ogni giorno i segni della malattia, sempre di più, sempre più scavato e scuro.
 
“E’ finita, Saul. Torniamo a LA e non vediamoci più…sei libero, ora.” Concluse di nuovo, con lo stesso tono sarcastico e tagliente di prima.
 
“Va bene…forse hai ragione.” Davvero lo aveva detto? Sì, anche se avrebbe voluto dire tutt’altro. Ma tanto conosceva Lyla e sapeva che non sarebbe mai tornata sui suoi passi: non ci tornava per le piccolezze, figuriamoci per una proposta di matrimonio.
 
La mora non aggiunse altro, limitandosi a voltarsi e ad andare verso l’ascensore che l’avrebbe riportata a terra.
Le ore successive furono un susseguirsi poco chiaro di eventi, che Lyla aveva vissuto come se fosse in un sogno.
Era salita sulla limousine, che l’aveva riportata in hotel, dove due cameriere erano già disponibile per aiutarla a fare le valigie; era arrivato anche un uomo della reception, il quale le aveva comunicato che la limousine l’avrebbe riportata all’aeroporto dove il jet, quello attrezzato per i suoi problemi di salute, la stava aspettando.
Alla domanda di Lyla se ci sarebbe stato anche Slash, l’uomo rispose: “No. Il signor Hudson tornerà a Los Angeles con un volo di linea.”
 
Soltanto quando il giorno dopo era atterrata a LA e un taxi l’aveva accompagnata al suo appartamento, dove aveva trovato le sue cose che Slash le aveva già fatto recapitare dalla sua villa, si era resa conto di essere da sola. Davvero, quella volta. Dopo mesi di simbiosi con il chitarrista, lui non c’era più.
Avrebbe voluto sentirsi sollevata, per averlo liberato della zavorra che era la sua condizione di salute, ma non ci riusciva. Sapeva che lui avrebbe dovuto continuare a pagare la costosissima assicurazione medica, che sarebbe durata fino alla sua morte e non si poteva annullare…e poi sapeva che le sarebbe mancato come l’aria.
Sperava con tutto il cuore che Slash avrebbe saputo andare avanti, dimenticarla, trovare una donna che lo amava e che avrebbe potuto dargli una vita serena, una vita vera.
Non disfò nemmeno i numerosi bagagli, ma si buttò nel letto privo di lenzuola, coprendosi con un plaid impolverato dopo i mesi di assenza da quella casa.
Era distrutta: se fosse morta quella sera, da sola, non le sarebbe importato.

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Capitolo 25
*** 24 ***


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“Slash, porca puttana, ce la fai a tenere il ritmo?” Matt lanciò a terra le bacchette, troppo frustrato da quella ennesima interruzione.
 
Il riccio sbuffò, si tolse la chitarra, e la poggiò sul divano: la delicatezza con cui fece quel gesto era totalmente opposto alla rabbia che il suo viso e il suo corpo teso lasciavano trapelare. Però la sua bambina doveva avere il rispetto che meritava.
Uscì da quel forno che era la sua sala prove e si sedette a bordo piscina a fumare una sigaretta.
Da dopo i problemi di salute se ne concedeva due al giorno, una dopo colazione e una dopo cena, ma in quei giorni fumava di nuovo come una ciminiera. Sapeva che le sigarette non avrebbero sedato il dolore che sentiva dentro, per quello solo l’eroina ci sarebbe riuscita…anche se per poche ore. Ma non poteva ricaderci, non ora che forse lei…
Scoppiò a ridere all’improvviso, una risata priva di allegria, una risata forzata, amara che gelò il sangue nelle vene di Duff.
 
“Man…” Slash non l’aveva sentito arrivare, ma non provò il minimo stupore quando il bassista gli si sedette accanto. Lui c’era, sempre.
 
“Sai a cosa pensavo? Al fatto che non posso ricadere nell’eroina perché lei potrebbe avere bisogno di me!” Fece un’altra breve risata. “Che coglione.”
 
Michael sospirò: Slash gli aveva raccontato tutto quello che era accaduto a Parigi, Una volta tornata a LA, era andato subito a casa del suo amico e si era sfogato, parlando per ore e maledicendosi di quanto fosse stato incosciente a chiedere a Lyla di sposarlo. Duff non aveva potuto smentire questa ultima cosa, ma nemmeno aveva avuto il coraggio di aprire bocca: semplicemente aveva messo una chitarra in mano al suo amico e avevano suonato tutta la notte.
 
“Saul, perché non provi a chiamarla?” nemmeno lui era certo fosse la cosa giusta, ma era convinto del fatto che il riccio non poteva rischiare di vivere con il rimpianto di non aver salutato Lyla un’ultima volta.
 
“Per sentirmi dire che sono un cretino? Che ho fatto una stronzata chiedendole di sposarmi? No, grazie…queste cose le so già da me. E poi non la sento da una settimana, per quel che ne so potrebbe già…” non ebbe la forza di concludere la frase, ma non era di certo necessario: Duff aveva capito più che bene.
 
“Mi hai sempre considerato un saggio del cazzo…ma se ti dicessi che questa volta non so davvero dove sbattere la testa?”
 
“Se non lo sai tu, Michael, pensa come posso saperlo io!”
 
“Senti, cerca di non pensarci ora…rientriamo e buttiamo giù quei demo che la casa discografica ci ha chiesto, altrimenti rischiamo di mandare all’aria i Velvet Revolver ancora prima della loro nascita!”
 
Slash annuì e si alzò, imitato dal biondo, e rientrarono nella sala prove per mettersi al lavoro.


 
Erano le due di notte e il riccio se ne stava svaccato sul letto a mangiare patatine, guardando tv spazzatura. Si sentiva un ciccione ottantenne: dopo una giornata intera a suonare e incidere demo, si sentiva a pezzi; inoltre non voleva pensare e i telefilm demenziali sembravano un buon diversivo.
A un certo punto il suo cellulare iniziò a suonare: lo aveva sul comodino e fece un salto per la sorpresa di sentire quell’aggeggio infernale squillare alle 2 di notte.
Il numero sul display non lo conosceva e subito pensò a uno scherzo di qualche cretino; poggiò quindi il cellulare sul letto che, poco dopo, smise di suonare.
Era appena tornato a concentrarsi sul telefilm che il telefono riprese a tormentare i suoi poveri timpani: era lo stesso numero di prima e, a questi punti, era davvero difficile che fosse uno scherzo.
 
“Pronto?”
 
“Parlo con il signor Hudson?”
 
“Sì, chi è?”
 
“Sono il dottor Davert. Sua moglie è con lei?”
 
Slash sentì lo stomaco stringersi a quelle parole. “No, perché?”
 
“Abbiamo provato a chiamarla più volte sul cellulare, ma non ha mai risposto.”
 
“Mi dispiace, non so proprio cosa farci.”
 
“Abbiamo trovato un cuore compatibile, signor Hudson!”
 
“N..non credo di aver capito.”
 
“C’è un cuore compatibile in arrivo dalla Russia! La signorina Simard deve essere portata subito al Saint Joseph. Sono in arrivo anche io a Los Angeles.”
 
“Oh mio dio!” Slash si alzò di colpo dal letto, andando a prendere dei jeans buttati su una sedia lì accanto. “Vado…vado subito a cercarla. Ahio!” nella foga, aveva preso una botta al piede contro lo spigolo del comodino.
 
“Si sente bene, signor Hudson?”
 
“Sì! Sì, tutto bene…merda…No, scusi non dicevo a lei! Vado subito a cercare Lyla e ci vediamo al Saint Joseph!”
 
“Faccia presto, signor Hudson.”
 
Slash non rispose e chiuse la conversazione. Si buttò la giacca addosso e uscì di corsa di casa, cercando in tasca le chiavi della macchina.
Casa di Lyla non era molto lontana, e le strade deserte delle due di notte gli permisero di arrivare in meno di mezz’ora.
Fortunatamente, il portone era aperto e fece le scale a due a due per raggiungere l’appartamento della donna. Maledisse i tanti anni di fumo e cazzate che lo portarono ad avere il fiato corto dopo due rampe e il defibrillatore che, probabilmente, sarebbe esploso da un momento all’altro.
 
“Lyla!” Slash la chiamò a gran voce, bussando con forza alla porta dell’appartamento. “Lyla!!!” si attaccò anche al campanello, continuando con i pugni e le urla.
 
Ovviamente, tutto quel rumore non passò inosservato e una vecchietta che viveva nell’altro appartamento sul pianerottolo di Lyla fece capolino. Sbirciava appena, probabilmente impaurita da quel capellone che sembrava uscito da un cartone animato.
 
“Signora!” le disse Slash appena si accorse di lei. “Signora, sa dov’è Lyla? La prego, è urgente.”
 
“Oggi non è uscita di casa. Mi suona sempre quando esce per chiedermi se ho bisogno di qualcosa dal supermercato.” La signora parlava così piano che Slash dovette avvicinarsi per capire.
 
“Potrebbe stare male. Ha la chiave di casa sua?”
 
“Sì, però non credo che…”
 
“Signora, la prego, è davvero urgente!”
 
La vecchietta doveva aver visto la disperazione negli occhi di quell’uomo così strano, perché, dopo aver chiuso pochi istanti la porta ed essersi allontanata, uscì di nuovo con una chiave.
 
“Grazie signora. Grazie davvero.”
 
Slash aprì la porta dell’appartamento e proprio lì, in mezzo al piccolo corridoio che portava al soggiorno, vide la cosa peggiore che potesse aspettarsi: Lyla riversa a terra, priva di sensi.

 
 



Sono resuscitataaaaaaaaaaaaaaaa!!! Scusatemi davvero, ma l’università non mi lascia un attimo libero ultimamente, uffffffff!! Comunque, vi avviso che ci sarà ancora un capitolo e poi l’epilogo, finalmente, di questa epopea ;)
Grazie a chi ancora avrà voglia di leggere e recensire, un bacione!!!!

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Capitolo 26
*** 25 ***


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Lo so, mi odiate e avete più che ragione!!! E' un periodo estremamente incasinato e il tempo libero è sempre troppo poco...però, ecco a voi il penultimo capitolo, un parto plurigemellare, ve l'assicuro :P Spero vi piaccia e che qualcuno continui a leggere questa epopea :) Grazie a chi lascerà un commentino...vi avviso che il prossimo capitolo sarà l'epilogo! Buona lettura :D


“Oh Cristo Santo, Lyla!”
 
Slash si chinò a terra accanto alla donna. Vedeva sempre nei film i dottori o altri salvatori occasionali che cercavano il battito sul collo o sul polso delle vittime; ricordava di averci provato anche su se stesso ogni tanto, soprattutto dopo i problemi al cuore: se si sentiva strano doveva controllare che il suo battito non fosse troppo lento o troppo veloce. Insomma, ormai era piuttosto allenato.
Con una terribile angoscia che quasi gli impediva di respirare, avvicinò l’indice e il medio della mano destra al collo bianco e morbido di Lyla.
C’era! Il battito c’era! Lieve, ma c’era! 
Si ritrovò a ringraziare varie divinità del cielo, dell’Olimpo o chi per loro.
 
“E’ viva?” Slash fece un salto nonostante la vecchietta avesse parlato col solito tono di voce basso.
 
Si era completamente dimenticato di lei. “Sì, c'è battito.”
 
“Vado a chiamare un ambulanza.” aggiunse la donnina, scomparendo nel suo appartamento con una velocità che non pensava fosse possibile per un fuscello come lei.
 
Senza avere la minima idea di cosa fare, Slash andò in camera da letto di Lyla e prese un cuscino e una coperta.
Le mise il cuscino dietro il capo e la avvolse nella coperta, stringendola per un istante a sé: quanto le era mancata in quei pochi giorni…e trovarla così gli spezzava il cuore. Non poteva permetterle di andarsene senza averla nemmeno salutata. Non poteva, non poteva non avere la possibilità di sentire la sua voce ancora una volta.
La vicina di casa interruppe la sua disperazione, dicendogli sottovoce che l’ambulanza stava arrivando.
Slash si ricordò all’improvviso del dottor Davert e, preso il telefonino, lo chiamò immediatamente. Gli spiegò rapidamente la situazione e l’uomo gli assicurò che sull’ambulanza ci sarebbe stato anche lui.
I minuti di attesa sembrarono un’eternità e quando finalmente sentirono le sirene, la vecchietta era già di sotto pronta ad aprire il portone.
Slash avvolse Lyla tra le sue braccia e le sussurrò: “E’ arrivato il dottore, amore. Quello francese. Hanno trovato il cuore, sai? Andrà tutto bene, amore…andrà tutto bene.”
Arrivarono 3 infermieri con la barella e il dottor Davert e, con il terrore di non poterla più abbracciare, Slash lasciò la donna nelle mani dei medici.
 
“Stia tranquillo, Signor Hudson. Faremo tutto il possibile. Ce la fa a guidare sino in ospedale?”
 
Il riccio annuì e, dopo avergli dato una pacca su una spalla, il dottore corse via.
 
“Ragazzo, hai bisogno di qualcosa?” gli domandò dopo alcuni istanti la vecchietta.
 
Di nuovo, si era dimenticato di lei. “Cosa devo fare?”
 
“Riesci a guidare fino in ospedale? Vuoi che ti chiami qualcuno?”
 
“Duff…devo chiamare Duff.”
 
“Come?” la vecchietta era rimasta perplessa a sentire quel nome strano.
 
Slahs sorrise vedendo un punto interrogativo sul volto della donnina e le si avvicinò: “Grazie di cuore per tutto, signora. Senza di lei non ce l’avrei fatta.”
 
“Di nulla caro. Fammi avere notizie di Lyla, d’accordo?” e dopo avergli dato due baci sulle guance tornò a casa sua.
 
Il chitarrista, ripresosi dallo stato di trance in cui era caduto, uscì dall’appartamento di Lyla e, scendendo di corsa le scale, chiamò Duff.
 
“Man?”
 
“Saul, cazzo, sono le 3 del mattino.”
 
“Hanno trovato il cuore, Michael!”
 
“Cosa? Dici davvero?” ora Duff era completamente sveglio.
 
“Sto andando in ospedale. Ho trovato Lyla svenuta a terra e ora sto andando al St. Joseph. La opereranno subito.”
 
“Arrivo subito!”
 
“Man, non è il cas…” ma non aveva ancora finito la frase che Duff aveva già chiuso la comunicazione.
 
Salì in auto e iniziò a guidare verso l’ospedale. Fortuna volle che, a quell’ora, le strade erano deserte e, superando di poco i limiti di velocità, arrivò in fretta all’ospedale.
Duff era già là.
 
“Non dovevi, man…”
 
“Sta arrivando anche Marc.” Si limitò a rispondere Duff. “Entriamo, dai.”
 
Grazie a dio che c’era il biondo, con lui: varcata la soglia dell’ospedale, l’odore di disinfettante gli invase le narici e lo mandò nel pallone. Cosa avrebbe fatto, ora? Avrebbe aspettato la fine dell’operazione? E se Lyla era già morta? E se non superava l’operazione?
 
“Duff…”
 
Slash si stava sentendo male: a un certo punto vide tutto nero e sentì le forze abbandonarlo.
 
“Saul! Un medico qui!”
 
Un infermiere si avvicinò ai due e lo portarono di peso su una barella che si trovava lì nel corridoio; gli alzarono le gambe in alto e piano piano lo videro riprendere colore.
 
“Sono proprio una checca…” disse a Duff a bassa voce.
 
“In effetti sì…ma non lo dirò agli altri, stai tranquillo!” cercò di scherzare il bassista.
 
“Hai saputo dov’è Lyla?”
 
“Sì, è già sotto i ferri. Sarà un’operazione lunga, quindi non possiamo fare altro che aspettare.”
 
E così, iniziarono le loro 8 lunghe ore d’attesa…le più lunghe che entrambi avevano mai passato, dato che quando erano loro sotto i ferri, il tempo scorreva lentamente per altri. E tra questi altri c’era stato anche Marc Canter, che era arrivato lì in ospedale e si preparava a vivere coi suoi amici quell’odissea.
Fu un susseguirsi di caffè, sigarette, lunghe camminate in quei corridoio da farci i solchi…fino a che a mezzogiorno il dottor Davert, che aveva un aspetto stremato, uscì dalla sala operatoria.
 
“Dottore!” Slash gli era corso incontro. “Mi dia buone notizie, per favore.”
 
Il dottore, nonostante la stanchezza e il dovere di non sbilanciarsi troppo, si concesse un breve sorriso, vedendo gli occhi così colmi di speranza di quel capellone che amava così tanto quella povera ragazza.
 
“L’operazione è andata bene. Ora però dobbiamo vedere cosa accade quando si sveglia e se il suo corpo non rigetta il cuore. Dobbiamo solo aspettare. Vada a casa a riposare, Signor Hudson.”
 
“No, voglio essere qui quando si sveglierà.”
 
“Ma la chiamiamo noi quando si sveglia.”
 
“No, quando si sveglia non voglio perdere un secondo.” Concluse Slash sedendosi su una sedia.
 
Il dottore annuì e si allontanò.
 
“Duff, Marc, voi potete andare a casa, ovviamente.”
 
“E ti pare che ti lasciamo solo? Aspettiamo qui con te.” disse Marc.
 
“Grazie ragazzi. Cosa vi faccio passare…”
 
“Ma smettila, Saul! Volete un caffè?” chiese Duff.
 
“No, ora no. E se Lyla non ce la fa?” aggiunse disperato il riccio.
 
“Ce la farà, Lyla è forte.” disse Marc.
 
“Marc ha ragione. Lyla ce la farà.”
 
Slash si passò le mani sul viso, stremato.
Non doveva essere pessimista.
Doveva solamente aspettare…ancora.


 

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Capitolo 27
*** Epilogo ***


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“Signor Hudson…Signor Hudson!”
 
Slash aprì gli occhi di colpo, sentendosi scuotere. Cristo santo, che male al collo…addormentarsi coricato sulle maledette sedie dell’ospedale era stata una pessima idea. Ma era così stanco e voleva solo riposare un po’ gli occhi…sì, alla faccia del riposare un po’ gli occhi! Aveva dormito per quasi due ore.
Poco prima di cadere in quel sonno tormentato, aveva costretto Marc e Duff a tornare a casa: era già metà pomeriggio e loro avevano qualcuno a casa che gli aspettava. Ora erano le sette di sera e gli sembrava di avere dormito trenta secondi.
 
“Signor Hudson, la signorina Lyla si è svegliata.”
 
“Posso vederla?” domandò il riccio alzandosi di scatto in piedi.
 
“Sì, anche se solo per qualche minuto. Inoltre devo farle indossare un camice e una mascherina.”
 
Il riccio annuì, con un po’ d’angoscia all’idea di come avrebbe potuto trovare Lyla. Sapeva che doveva aspettarsi di tutto e che nonostante l’operazione era troppo presto per cantare vittoria.
L’infermiera lo imbardò di tutto punto e lo accompagnò davanti alla porta della stanza.
 
“Dieci minuti, Signor Hudson.”
 
“Va bene. Grazie.”
 
Le porte si aprirono e lui entrò. L’aria era pesante per il troppo disinfettante e entrava poca luce dalla piccola finestra. Lyla era sdraiata sul lettino ed attaccata a una miriade di fili; il suono del suo battito regolare era l’unico rumore che sentiva in quella stanza così isolata per ridurre al minimo il rischio di infezioni.
Si avvicinò con una lentezza esasperante.
 
“Saul, sei tu?” Lyla fece quella domanda a voce così bassa, che per un istante Slash fu incerto su cosa potesse avere detto.
 
“Lyla…” rispose semplicemente, ormai ai piedi del letto.
 
La vide aprire le palpebre lentamente, come se ciascuna di esse pesasse centinai di chili e squadrarlo con i suoi meravigliosi occhi così stranamente luminosi tenendo conto della condizione in cui si trovava.
 
“Pensavo di essere morta quando ho aperto gli occhi. E’ tutto così bianco, qui…”
 
“Come ti senti?”
 
“Come se un treno mi avesse investita…e fosse di nuovo tornato indietro per assicurarsi di aver concluso l’opera!” fece un lieve sorriso con le poche forze che aveva.
 
“L’operazione è andata bene.”
 
“Lo so. L’infermiera me l’ha detto. Però non è ancora detto che…”
 
“Ssh, ora non devi pensare a nulla. Solo a essere forte e superare questo momento. Andrà tutto bene.”
 
“Ho rischiato di morire senza nemmeno salutarti…”
 
“Sai, non te lo avrei mai perdonato.” disse Slash, per poi farle l’occhiolino scherzosamente.
 
“Nemmeno io me lo sarei perdonato…beh, sempre che nell’aldilà si possa sentire un qualcosa di simile a un senso di colpa.”
 
“Non ti devi preoccupare nemmeno di quello, dato che sei qui con me.”
 
“In caso qualcosa andasse storto…grazie, Saul. Per quello che hai fatto per la mia salute, per tutto l’amore che mi hai dato. E scusami per essere stata così stronza…”
 
“Smettila, Lyla! Ti ho detto che devi stare tranquilla e non pensare a nulla se non a stare bene.”
 
“Ok, hai ragione…Pensavo anche a un’altra cosa però…” ma non fece in tempo a finire la frase che entrò il dottor Davert.
 
“Signor Hudson, devo chiederle di uscire così che possa visitare la paziente. Poi potrà rientrare cinque minuti ancora.”
 
“Va bene, dottore. A dopo, amore mio.” Disse il chitarrista, dando una lieve carezza alla mano di Lyla e uscendo.
 
Una volta fuori, si appoggiò al muro: non aveva respirato per minuti, là dentro. Aveva il terrore di vederla stare male, di vederla avere una crisi di qualche genere davanti ai suoi occhi. Fece dei respiri profondi, aspettando che il medico terminasse la visita e gli potesse dare buone notizie.
Ci vollero venti minuti, e finalmente l’uomo uscì, parandosi immediatamente di fronte a lui.
Il dottor Davert iniziò a parlare, dicendogli e spiegandogli tante cose: alcune non erano molto chiare, altre un po’ di più, e altre lo erano estremamente…forse troppo, perché Slash chiese se aveva capito bene o era la sua immaginazione a giocargli brutti scherzi. Le condizioni di Lyla erano estremamente buone e c’erano ottime possibilità che tutto andasse nel migliore dei modi.
Avrebbe voluto urlare, saltare, abbracciare tutte le persone che c’erano lì intorno, ma si limitò a tirarsi su la mascherina e ad entrare nella stanza appena il medico gli diede il permesso.
Lyla era lì, con il viso leggermente voltato verso di lui e un sorriso sulle labbra.
 
“Meno male che sei rientrato…non sono riuscita a chiederti una cosa.” Gli disse sempre con lo stesso tono lieve.
 
“Che cosa?”
 
“Ricordi a Parigi? Mi facesti una proposta…è ancora valida?”
 
Slash sentì la terra mancargli sotto i piedi per l’emozione e si inginocchiò ai piedi del letto.
 
“Certo che è ancora valida!”
 
“Bene, allora…”
 
“Allora cosa?”
 
“Allora voglio diventare tua moglie, Saul Hudson. Sempre se riuscirò mai ad alzarmi da questo letto!”

"Oh, non dire sciocchezze! Ti amo e non vedo l'ora di sposarti..."
 
Slash avrebbe voluto baciarla, abbracciara, stringerla, ma si limitò a prenderle la mano e avvicinarsela al viso, per quanto poteva con tutte le protezioni.
Ma non importava, era sufficiente.
Contava solo che erano lì, insieme…e questo bastava.





Lo so!!!! E' incredibile, ma anche questa storia è finita! Questo epilogo ve l'ho fatto sudare, ma ho un po' di casini, i soliti e anche alcuni nuovi -.- Quindi potete immaginare che meraviglia!
Dunque, spero che questa storia vi sia piaciuta...ovviamente ringrazio tutti coloro che hanno messa la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate e tutte le fedelissime che hanno recensito ogni singolo capitolo! Grazie grazie grazie :D
Ora non so bene cosa ne sarà di me in questo fandom: ogni tanto mi dico che non scriverò più nulla, ma poi mi vengono mille idee in testa e mi ritrovo a buttare giù bozze su bozze! Quindi, non ho bene le idee chiare...magari potreste trovare una mia nuova storia domani o fra due mesi...chi lo sa :)
Per ora, ringrazio ancora tutti quanti di cuore!!!
A presto :)

 

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