Even the stars can fall in the Arena

di nightmaresandstars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 2: *** E come al solito... Prima le signore! ***
Capitolo 3: *** Tristi certezze e dolci vendette ***
Capitolo 4: *** Cioccolato, vaniglia, e disegni lasciati in finestra. ***
Capitolo 5: *** Perché parli sottovoce? ***
Capitolo 6: *** Il significato di un gesto affettuoso ***
Capitolo 7: *** I comportamenti strani sono all'ordine del giorno ***
Capitolo 8: *** Situazioni imbarazzanti ***
Capitolo 9: *** Allenamenti particolari ***
Capitolo 10: *** Odi et amo ***
Capitolo 11: *** Per l'ultima volta ***
Capitolo 12: *** L'unica stella ***
Capitolo 13: *** Decisioni ***
Capitolo 14: *** La ragazza delle stelle ***
Capitolo 15: *** Arena ***
Capitolo 16: *** Catastrofi ***
Capitolo 17: *** Il festino e... ***
Capitolo 18: *** ...il matrimonio ***
Capitolo 19: *** L'imboscata ***
Capitolo 20: *** Vendetta ***
Capitolo 21: *** Anne Lee Waters ***



Capitolo 1
*** L'inizio della fine ***


CAPITOLO 1 – L’INIZIO DELLA FINE

«Hel! Hel! Svegliati tesoro! Gli zii stanno per arrivare!»
La voce dolce di mia madre mi sveglia. Guardo l’orologio di fianco al letto: 7:30
Mi giro dall’altra parte sbruffando, normalmente continuerei a lamentarmi, di solito la Domenica posso dormire! Ma no, questa Domenica no...
Ieri è stata uccisa la Presidentessa Coin e mio nonno è stato catturato. Sì, mio nonno, perché io sono Helene Snow, la prima ragazza della famiglia Snow a non avere il nome di un fiore, come da tradizione.
Questa mattina in tutta Panem verrà trasmesso un discorso pronunciato da Katniss Everdeen e Peeta Mellark, vincitori dei settantaquattresimi Hunger Games, ancora a capo della ribellione.
Per il “grande evento” la famiglia Snow si riunirà a casa nostra, perché a detta di mio padre ‘Noi abbiamo lo schermo più grande!’
I miei fratelli sono già in piedi, praticamente pronti. Mia sorella Scarlet di 15 anni, l’eccentrica Scarlet, che al contrario del suo nome ama il colore verde. Mia madre l’avrebbe chiamata Juliet, ma il nonno non ha permesso un altro strappo alla tradizione, così ha trovato la scusa del colore... diciamo che quella tradizione non le va molto a genio!
Scarlet ha i capelli verdi, di un bel verde acceso, e ricci, i suoi capelli sono sempre molto vistosi e ha un trucco semi-permanente, un eyeliner verde, che alla fine forma dei ghirigori molto graziosi.
Mio fratello Albert Coriolanus (anche detto Albert) ha 13 anni, è veramente un narcisista, ma ancora non ha modificato niente del suo corpo, non ha capelli di un colore particolare, non ha orecchini, né tatuaggi, o strani colori sulla pelle.
Mi alzo controvoglia ed entro nel bagno della mia stanza, guardo la mia immagine riflessa allo specchio: sembro più stanca del solito, sarà perché questa notte ho dormito poco...
Pettino i miei lunghi capelli blu scuro, faccio due treccine ai lati della testa, scansando i capelli per mostrare le orecchie a punta, la seconda e ultima cosa che ho modificato del mio corpo.
Decido all’ultimo minuto di fare una doccia di vapore senza bagnare i capelli, così li raccolgo alla bell’e meglio e entro nella doccia.
Il vapore è tiepido e mi rilassa, quando devo scegliere la profumazione il mio dito va istintivamente sul pulsante del cioccolato, il mio preferito.
Uscita dalla doccia agguanto frettolosamente uno dei miei vestiti preferiti, ovviamente blu, è tagliato in vita, la parte superiore è attillata, mentre la gonna rimane gonfia, appena sopra al ginocchio. Decido di non indossare le scarpe, tanto starò a casa, do’ una sistemata ai capelli e mi decido ad andare in salotto.
«Buongiorno»
«Oh! Ben alzata Hel! » dice mio padre, Coriolanus Jr. Snow. «Emmaline, tesoro, è pronta la colazione per la nostra Helene? »
«Credo di sì, caro. Vieni amore, andiamo a vedere cosa dicono in cucina. » mi prende sottobraccio e mi accompagna in cucina.
Dopo una ricca colazione ho preso il mio libro preferito e mi sono messa sul divano.
Tempo dieci minuti e sono arrivati gli zii. Quella pazza di mia zia si è presentata con un completo rosa e il suo nuovo taglio di capelli: molto corti e di un color rosa shocking!
Dalia Snow... fin da piccola ho pensato che avesse un nome strano...
Mio zio, Robert, è molto simpatico... quando non mi prende in giro o infierisce sulla mia incostante situazione sentimentale!
«Heleeeeene! » dice con un tono cantilenante «Dov’è il tuo adorato Johnny? » la sua faccia è particolarmente buffa, ma non mi fa ridere.
«Buongiorno zio» rispondo io facendo finta di non aver sentito. Proprio non ho voglia di parlare di queste cose. Ieri sera Johnny mi ha chiamato dicendo di aver bisogno di una “pausa”. Solo a quel punto ho capito, stava con me solo perché sono la nipote, o meglio, ero, la nipote del presidente in carica. Io lo amavo, e lui mi ha solo usato. L’unica cosa che voleva era far entrare la sua famiglia nelle grazie del Presidente.
Ho scosso il capo con forza, non volevo pensare a quel deficiente! Mi sono sdraiata su divano e ho aspettato i miei cuginetti. Tutte le volte che ci vengono a trovare, facciamo un giochino: io mi stendo sul divano e faccio finta di dormire, poi arrivano loro e io devo far finta di essermi spaventata! Tutto perché una volta è successo sul serio!
Sono due tesori! Matt e Sunflower  di 19 e 5 anni, voglio loro troppo bene!
Sono le otto e un quarto. Non so perché mamma mi abbia svegliato così presto, il discorso ci sarà alle nove e mezza... manca ancora un sacco di tempo!
Nonostante sia così presto, scegliamo lo stesso di accendere la televisione, il libro che stavo leggendo finisce sul tavolino davanti al divano, le gambe incrociate e Sunflower che tamburellava sul mio ginocchio. Da quello che capisco spizzando l’occhio ogni tanto, il risultato è alquanto deludente. Tutte le emittenti sono state chiuse, nessuno è andato a lavorare oggi.
All’improvviso mi viene un’idea! Entro di corsa nella mia stanza, apro l’armadio e prendo il materiale di “Storia dei Distretti di Panem”, una delle materie che ho scelto di studiare alle superiori.
Mio nonno non è stato molto contento di questa scelta (come per altre varie cose!), ma insomma!, la vita è la mia, scelgo io cosa studiare e cosa diventare da grande! Ma no! Lui era il “Presidente Snow”, doveva decidere lui cosa dovevano studiare i propri nipoti, e varie stupidaggini di questo tipo! Voleva farmi studiare “Storia dei Domini”, ma a me non piaceva comunque, quindi me ne sono altamente fregata!
«Suvvia, Helene! » mi ha rimproverato mia madre. «Ti sembra questo il momento di fare i compiti?! »
«Non voglio fare i compiti, mamma! Però, forse ho trovato un passatempo! »
Ho afferrato il mazzo delle carte.
«Sapete, nei Distretti c’è un gioco che va molto di moda» ho detto sfogliando le pagine. «di solito ci giocano la sera, quando tornano dal lavoro e si incontrano per bere qualcosa. »
«Helene! Non dire stupidaggini! Non ci metteremo a perder tempo con uno stupido gioco di... di... Come hai detto che si chiamano? Ah, sì! Carte! »
Mio padre sotto certi aspetti era del tutto uguale al nonno! Non lo sopporto quando fa così!
Ho fatto finta di niente, e finalmente ho trovato quello che cercavo! Il “Poker”!
«Ti ho detto che non giocheremo a carte! »
«Ah no?! E cosa hai intenzione di fare fino alle nove e mezza? »
L’ho fissato con uno sguardo di sfida, uno sguardo che di solito non avrei usato, e non ha saputo cosa rispondermi, avevo ragione, non c’era altro da fare! Helene 1, Junior 0!
Ho spiegato le regole del gioco agli adulti, e abbiamo provato. È stato molto divertente, non volevano più smettere!
E mentre il tempo passava, le partite volavano e i miei fratelli giocavano con i miei cugini è arrivato il tanto atteso orario. Eravamo talmente tanto presi dalle carte che quando la televisione si è accesa da sola (perché si, per rispondere alla vostra domanda, se c’è qualcosa che non possiamo, o meglio, non dobbiamo perdere la tv si accende da sola), siamo saltati!
Ed ecco le telecamere scorrere su un panorama che conosciamo tutti molto bene, fin troppo bene: il Palazzo del Presidente!
L’inquadratura si sposta lentamente, come nella speranza di prendere tutti i volti presenti nella folla, senza tralasciarne neanche uno. Poi ecco uscire dall’enorme vetrata Katniss Everdeen e Peeta Mellark in tutta la loro bellezza e importanza, con i loro vestiti coordinati, si erano vestiti bene anche solo per fare un discorso, anche se eravamo appena usciti da una guerra. L’arancione tramonto dei loro vestiti metteva in risalto tutti i tratti dell’uno e dell’altra. L’inquadratura è cambiata. Ora era di nuovo sulla folla che ha fatto qualcosa di sconvolgente: hanno preso le tre dita centrali della mano sinistra, le hanno portate alla bocca e poi in aria.
Sapevamo tutti cosa significava, e ci siamo accorti solo in quel momento che le persone che c’erano lì erano tutte dei senza-voce. Non so perché, ma avevo quella convinzione, forse perché l’unica reazione alla loro entrata è stata un gesto... e non un urlo come si sarebbe aspettato. Era un po’ inquietante, a dir la verità.
Katniss e Peeta si sono sporti dalla balconata e hanno aspettato qualche minuto, finché ogni mano non era tornata al suo posto. La tensione era palpabile e il silenzio agghiacciante. La calda voce di Peeta ha interrotto quella lugubre atmosfera.
Da quel momento è cambiato tutto nella mia vita.

*Angolino autrice*
Salve a tutti voi che avete avuto il coraggio di leggere questo capitolo!
E' la prima long che scrivo e spero di riuscire a ortarla avanti fino alla fine...
Beh, che dire, se vi è piaciuta lasciate una recensione, si accettano anche critiche costruttive!
Spero di riuscire a pubblicare una volta a settimana!
Alla prossima!
Lady_Periwinkle

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Capitolo 2
*** E come al solito... Prima le signore! ***


CAPITOLO 2 - E COME AL SOLITO... PRIMA LE SIGNORE!
 

Lo sguardo dei miei era shockato, il discorso era durato molto poco, non più di dieci minuti, ma aveva terrorizzato tutti.
Mia madre era scoppiata a piangere, mia zia la stava abbracciando, i bimbi avevano smesso di fare chiasso e stavano correndo da me, da una me paralizzata sul divano, mio padre era andato dritto alla dispensa, aveva preso due enormi bicchieri ed il suo amato whisky, in due avevano finito quasi mezza bottiglia, e non avevano intenzione di smettere.
Il discorso era stato chiaro, si sarebbero svolti i settantaseiesimi Hunger Games, gli ultimi, ma i giocatori questa volta saranno gli abitanti di Capitol.
Per evitare quelle che, a detta loro, sarebbero “morti inutili” l’età dei tributi sarà compresa tra i 16 e i 18 anni, ma più parenti sono, o meglio, erano influenti nella città, più volte ci sarà i nome del ragazzo...
Significa che andrò certamente nell’Arena...
Sono passata un paio di minuti e qualcuno ci ha telefonato. Ha risposto mia zia, era rimasta la più composta, non perché non le importasse niente di me, semplicemente perché preferisce esternare le sue emozioni quando è sola e soprattutto, credo, per aiutare mia madre.
«Hel, è per te... è Johnny...»
Mi sono sentita subito meglio, il mio ragazzo mi stava chiamando per sapere come stavo... almeno credo...
Deve essere per forza così! Quale altro motivo avrebbe per chiamarmi?
«Johnny...» ho detto afferrando la cornetta. «Oh mio Dio, Johnny...»
Mi sentivo così stupida. Tutto quello che riuscivo a pronunciare era il suo nome, ma non sentivo niente dall’altra parte, non un respiro, non un singhiozzo... niente, finché non c’è stato un sospiro e la voce di Johnny è arrivata al mio orecchio distruggendo ogni speranza.
«Helene... tra noi è finita!»
E poi di nuovo niente. Aveva riattaccato senza aspettare un attimo.
Un insieme di sentimenti mi ha invaso. Per prima è arrivata la delusione, e quello che consideravo un deficiente, in quel momento era diventato un grandissimo stronzo. Poi è arrivata la rabbia, e nel giro di qualche secondo avevo pensato ad un centinaio di modi per ucciderlo. E, alla fine, il dolore, quel dolore che ti lascia vuota, che improvvisamente ti fa sentire sola, che solitamente ti fa piangere tutta la notte... solo che io non ho pianto, o almeno per quello che ricordo...
Ricordo solo che mamma mi ha chiesto cos’era successo e che io le ho risposto, poi niente, credo di essere svenuta. Mi sono svegliata nel tardo pomeriggio, nel mio letto, un po’ stordita e molto affamata.
Un po’ per fortuna, un po’ per sfortuna, ricordavo perfettamente il discorso di quella mattina, così, dopo uno spuntino veloce, ignorando  gli sguardi increduli e i tentativi pietosi di consolarmi, ho tirato fuori il lato più studioso di me: ho agguantato il libro di “storia contemporanea”, un foglio e la mia penna preferita, mi sono accomodata in salotto, come per svolgere un normale compito per casa e ho iniziato a sfogliare il volume, ogni tanto appuntavo qualcosa sul foglio, principalmente erano i numeri delle pagine che mi interessavano, ma anche date e nomi.
In poco più di un’ora avevo uno schema dettagliato con le varie tecniche che avevano usato i vincitori per arrivare fino alla fine, con quelle che si adattavano al mio carattere, al mio stile di vita.
Unendo le più adatte ero riuscita ad ottenere quella che, per chi era a digiuno di queste cose come me, poteva sembrare una strategia, anche se era più un abbozzo, mi rendeva pienamente soddisfatta.
Ho riordinato le cose sul tavolo e le ho portate via, facendo molta attenzione a mettere il prezioso foglietto sulla mia scrivania, poi sono tornata nel salone, ho preso al volo il bicchiere di mio padre e ho finito il suo contenuto, mandandolo giù, senza neanche assaporarlo. Ho sentito subito una sensazione di calore scendere dalla gola allo stomaco, la testa si era leggermente svuotata e le gambe erano diventate leggere... non avevo bevuto molto dal bicchiere di mio padre, ma sicuramente, quel poco, aveva fatto effetto.
In piedi sono durata poco, già nel tentativo di prendere il bicchiere di mio zio, sono caduta. Mi hanno tirato su, e hanno tentato di riportarmi a letto, ma, mentre stavo per uscire, ho avuto un flash: non avevo ancora sentito WhiteRose, la mia migliore amica!
«Mamma! Mamma!» ho urlato. «White! Devo sentire White!»
«Tranquilla tesoro,» mi ha risposto lei con dolcezza. «Ha chiamato lei subito dopo Johnny, le ho detto che eri svenuta e che l’avresti chiamata domani mattina.»
«Ok... ok...» ho bisbigliato mentre papà e zio mi trascinavano a letto, di nuovo...

La mia notte non è stata per niente tranquilla, ho fatto svariati incubi, uno in particolare si ripeteva spesso: c’ero io, che sbucavo sulle piattaforme prima dell’inizio dei giochi, come avevo visto fare molte volte, e appena partiva il conto alla rovescia, un enorme uomo senza volto si calava su di me, uccidendomi.
Quando improvvisamente mi sono svegliata, ponendo fine a quella tortura, erano le quattro e mezza del mattino, ed io, a dir la verità, avevo molta fame.
Facendo ricorso a tutta la mia forza di volontà, mi sono alzata, sono andata in cucina e ho preso una mela, seduta all’enorme tavolo che abbiamo, mentre mangiavo, ho lasciato che pensieri ed immaginazione cavalcassero a briglia sciolta.
Avevo una voglia matta di sentire la mia migliore amica.
White...
I miei pensieri sono andati subito a lei. La nipote di Plutarch Haevensbee. All’inizio credevo volesse diventare mia amica solo perché i suoi la costringevano...
Beh, a furia di passare del tempo insieme eravamo diventate amiche sul serio, inseparabili, avevamo l’una bisogno dell’altra, o almeno, io avevo quasi perennemente bisogno di lei.
Ho preso il mio olo-telefono, quell’aggeggio è fantastico!
La proiezione della mia rubrica mi ha fatto riflettere su quanti amici reali potessi avere.
Probabilmente solo WhiteRose...
Eccola lì, nella foto che le avevo fatto, dove sfoggiava una chioma dorata piena di boccoli e un vestito semplice e rosso scuro, che le arrivava al ginocchio. Preferiva di gran lunga i pantaloni ai vestiti, ma il nonno non le permetteva di andare in giro  “come un maschio”, come diceva lui. Era bacchettone quasi quanto il mio, così si era dovuta adattare.
Si era tagliata i capelli da poco, ero con lei quando il sig. Plutarch l’ha vista, la sua faccia era fantastica, ero sconvolto, ma non aveva potuto dirle niente, sapeva benissimo che prima o poi si sarebbe ribellata, solo che sperava accadesse il più tardi possibile.
Le ho mandato un messaggio.
“Mi dispiace non averti risposto... sono disperata, anche se immagino tu possa capirmi. Sei l’unica che può farlo. Spero di non averti svegliato. Se così fosse, ti chiedo perdono, ma avevo bisogno di scriverti.”
La mela ormai era finita, giocherellavo con il torsolo nella speranza di ingannare la noia.
Pochi minuti dopo ho ricevuto la sua risposta.
“Non mi svegli affatto... dormire in questo momento non è nelle mie priorità. Stavo pensando che, se proprio dobbiamo entrare lì, spero di entrare con te...”
Le ho risposto subito.
“Io entrerò di sicuro, tu non è detto... non portarti sfiga da sola! Ti voglio bene...”
Lo sapeva, lo sapeva benissimo che le volevo bene, e io non lo ripete spesso, ma rischiavo di non rivederla mai più, dirle che le voglio bene mi sembrava il minimo.
La sua risposta è stata la cosa che mi ha spiazzato di più.
“Non raccontiamoci cazzate, sono dentro quasi quanto lo sei tu (insieme a Crane Jr.! ahahah!)
Comunque ti voglio bene anche io...”
Non mi aveva mai detto esplicitamente “ti voglio bene”, me lo aveva fatto capire, ma mai una parola, doveva essere molto preoccupata anche lei.
“Direi che possiamo anche provare a dormire qualche ora, almeno eviteremo di avere un aspetto orrendo!”
“Ahahahahah! Hai ragione, dobbiamo pur sempre fare la nostra grande apparizione!”
Era questa una delle cose che adoravo di più di lei, tentava di fare del sarcasmo anche nelle situazioni più difficili,  soprattutto se ero giù di morale, lo faceva sempre...
Mi sono rintanata in camera, per fortuna non avevo svegliato nessuno, né i miei, né gli zii, che evidentemente erano troppo sconvolti anche solo per percorrere un isolato e mezzo!
Il letto si era rinfrescato in quella mezz’ora abbondante che avevo passato in cucina. Un brivido mi ha percorso la schiena. Tra più o meno cinque ore dovevo essere davanti alla vecchia residenza del nonno. E poi? Che cosa sarebbe accaduto di lì ad un giorno? Ad una settimana? Ad un mese? Quante probabilità avevo di tornare a casa?
Ma no! Aspetta! Tornare a casa significava perdere White! No, allora non voglio tornare a casa! Non senza di lei!
Una calda lacrima è scesa lungo la mia guancia. Non sapevo più che pensare. L’unica certezza che avevo, per quanto vana potesse essere, era che se non tornava lei, non sarei tornata neanche io...
Le lacrime continuavano a scendere e sapevo, nel profondo del cuore, che non sarei riuscita a fermarle, così ho pianto. Ho pianto fino ad addormentarmi.

Le poche ore di sonno non avevano di certo migliorato il mio aspetto. Le occhiaie riflettevano quasi perfettamente il mio stato d’animo, profondo e nero. E gli altri non erano da meno.
Nella sala da pranzo, la maggior parte di loro era seduta intorno al tavolo davanti ad una tazza di latte che dava l’impressione di essere lì da almeno mezz’ora.
Ho abbozzato un sorriso, il più finto dei miei, non volevo la compassione dei miei parenti, almeno loro dovevano fare lo sforzo di non guardarmi a quel modo!
Hanno provato anche loro a sorridere. Il più bello era quello di mia sorella, e assomigliava comunque ad una smorfia.
Colazione veloce, anche perché non avevo molta fame e poi doccia.
Ero indecisa tra la doccia e la vasca, ma alla fine ho optato per la prima.
Sono rimasta in doccia per un sacco di tempo, non perché ci volesse molto per lavarmi, ma principalmente perché l’acqua che scorreva sul mio volto si mescolava alle lacrime, evitando di farmi sentire in colpa più del dovuto.

Prima di rendermene conto si era fatto tardi. Non mi interessava essere vestita bene, così ho preso il primo vestito, rigorosamente blu, dall’armadio e l’ho indossato. Venti minuti dopo ero davanti alla balconata del nonno, circondati da altri ragazzi della mia età, tutti terrorizzati. Ho cercato con lo sguardo le ragazze che di solito frequentavo. Ho incrociato il loro sguardo, ma hanno fatto finta di non conoscermi, tutte tranne White, che stava parlando con loro. Quando si è accorta di quello che era successo ha lanciato uno sguardo assassino, ha sbraitato mandandole tutte a quel paese e mi ha raggiunto.
«Ehi Hel! Non puoi capire la faccia del nonno quando mi ha visto uscire così!!» mi ha detto raggiante. Solo in quel momento mi sono accorta di com’era vestita. Una casacca rossa a mezze maniche molto graziosa e dei pantaloni neri.
«Oh mamma mia! White! Sono bellissimi!!!» le ho detto indicando i pantaloni. «Si sarà infuriato tantissimo! Me la pagherai per non avermelo fatto vedere!!» ho aggiunto ridendo.
«Benvenuti!» ha esordito una donna. «Benvenuti, benvenuti!» non sembrava affatto una donna di Capitol City, però aveva un’aria familiare, ero sicura d’averla già vista. Con i suoi capelli ricci, corti e biondi, ed il suo vestito semplice che ricordava un prato a primavera. Quando ha ricominciato a parlare ho capito chi era: Effie Trinket. Conciata in quel modo non l’avevo riconosciuta. Di solito era così allegra e colorata!
«Abbiamo diviso la città in 13 distretti, quindi ci saranno 13 estrazioni per i ragazzi e 13 per le ragazze. Ci potranno essere due vincitori se arriveranno in finale due ragazzi dello stesso distretto! Bene! Cominciamo con il Distretto 1.» ha detto avvicinandosi alla prima fila di ampolle. «E come al solito... Prima le signore!!»


*Angolino autrice*
Alloraaaaa, TA-DAAAN!
Non è passata una settimana perché avevo il capitolo pronto e non volevo aspettare...
Uffa! Non so mai che dire nel commento! Spero vi sia piaciuto!
Perdonate la banalità dell’ “olo-telefono” ma dovevano comunicare, e non sapevo come!!
Sicuramente a Capitol City hanno tecnologie più avanzate, ma non abito lì, quindi non so! :D
Una recensione fa sempre piacere, anche per sapere cosa ne pensate, mi rendo conto che sono solo due capitoli, e che è difficile farsi un’idea, però... magari...
*si rintana*
Va beh, alla prossima!
Lady_Periwinkle

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Capitolo 3
*** Tristi certezze e dolci vendette ***


CAPITOLO 3 – TRISTI CERTEZZE E DOLCI VENDETTE

«Distretto Uno... Dorothy Green e... Haybert Foss!»
Una ragazzina ricca di 16 anni dai ricci rosa e un perfetto sconosciuto del tutto ordinario.
«Distretto Due... Claelia Ions e... Robs Ain.»
Non conoscevo nessuno dei due, ma ero quasi sicura che frequentassero la mia stessa scuola.
«Distretto Tre...»
Siamo andati avanti così per una buona mezz’ora, conoscevo buona parte di quelli finiti dentro...
Ventisei persone... chissà in quanti torneremo indietro...
Nel Distretto Uno ci sono quei due, a quanto ho capito Dorothy deve essere una figlia di papà molto viziata e piena di sé, mentre non saprei proprio che dire riguardo a Haybert.
Nel Due: Claelia, che doveva essere un anno più piccola di me; e Robs... ero sicure di averlo già visto, probabilmente seguivamo una lezione insieme, però, se era così, non mi aveva mai rivolto la parola.
Nel Tre: Rhymer Yule, lei la conoscevo bene, riccia come nessun altro, amante del rosa e del leopardato, l’abbiamo dissuasa all’ultimo minuto dal farsi trapiantare le orecchie di un leopardo il mese scorso; e Marcus Wellock, che era stata una delle mie tante cotte, ma dopotutto, chi non si era presa una cotta per lui?! Alto, abbastanza muscoloso, con degli occhi azzurri da ricordare il cielo nella più bella giornata di Primavera, ed era pure gentile! Un rubacuori abituato a scaricare le ragazze, e aveva scaricato anche me.
Il Quattro aveva Volumnia Duncain, la conoscevo di vista. Lunghi capelli solo leggermente spruzzati di blu, non era molto alta, era anche lei un anno dietro a me, la vedevo spesso con uno che frequentava parecchi corsi con me, anche se non sapevo che tipo di relazione avessero... E Leonis Honeyman, lui non lo conoscevo proprio!!
Nel Cinque: Eta Edenthaw, lei faceva parte della mia cerchia, una biondina tutto pepe con un piccolo accento di bipolarità, ma era adorabile! Poi c’era Whytt Galloway, lui era nella mia classe di “Storia dei Distretti di Panem” me lo ricordavo perché un paio di volte avevamo parlato e io l’avevo trovato simpatico, in più era molto molto alto e con i capelli neri e un po’ più lunghi del solito.
Il Sei aveva Domitia Vipointe che era una di quelle streghe malefiche che se ne approfittano di tutti. Io e White eravamo entrate nelle sue grazie, ma non ne eravamo proprio entusiasta! Con i capelli viola e gli occhi color ghiaccio. Ero quasi contenta della sua entrata in Arena!
E poi Lartius Gannet, uno dei ragazzi più popolari della città, tutti sapevano chi era Lartius, anche perché era difficile non notarlo: alto una quaresima e muscoloso quasi altrettanto! Di bell’aspetto, capelli rosso fuoco e occhi neri, profondi come pozzi, probabilmente sapeva benissimo di essere molto atraente, ma rimaneva comunque molto riservato.
Nel Sette c’erano Dixie Graynlaw, una snob odiosa, abituata a prendere in giro tutto e tutti, con lunghi boccoli castani e grandi occhi marroni, amante del rosa antico e dello sbrilluccichio, se non indossava qualcosa di sfavillante non era contenta! E Fir Cronin, era un mio amico, ci conoscevamo da quando eravamo piccoli, ma ultimamente ci eravamo persi di vista. Adesso tra i capelli ricci e biondi che si ritrovava spuntava un ciuffo verde, uno dei suoi colori preferiti. Si era alzato un sacco dall’ultima volta che l’avevo visto!!
Nel Distretto Otto: Zenobia Spectral, una delle migliori amiche di Dixie, stesso vizio, stesso carattere, aveva i capelli lisci, di un verde smorto che io trovavo orrendo, mi stavano entrambe molto antipatiche, ma evitavo di darlo a vedere, specialmente in loro presenza; e Kern Redpath, oggettivamente era un bel ragazzo, ma avevo sentito dire dalle altre che era parecchio stupido, altre voci dicevano che fosse gay e che per questo indossava sempre un piccolo braccialetto rosa.
Nel Nove, poi, c’erano Katri Spottiswood, un’altra ragazza del mio gruppo, la adoravo, mi stava molto simpatica, era altissima, e io, in confronto a lei sembravo veramente una nana! I capelli rosso scuro e gli occhi verdi le stavano d’incanto; e anche Titus Crane, beh, che dire, tale padre, tale figlio, antipatico, è vero, ma con lo stesso fascino del padre, non lo si poteva negare!
Nel Dieci Fannia Hayes, con i suoi lunghi capelli mossi e praticamente arancioni, era al mio stesso anno, studiavamo matematica nella stessa classe. Era alta e magra, portava gli occhiali, ma spesso la vedevo senza, probabilmente metteva le lenti, però non capivo perché non volesse fare l’intervento per toglierli definitivamente. Sapevo che era una ragazza timida e un po’ insicura, ed effettivamente,  fino a quel momento non mi aveva mai rivolto la parola... Con lei c’era Wade Thorburn: alto, con i capelli color del grano e gli occhi blu che ricordavano il mare, aveva le spalle larghe, che, anche se non lo conoscevo, mi davano un senso di protezione.
Il Distretto Undici vantava Savera Selkirk, lei era la migliore amica di Katri, quindi era nel mio “circolo”, aveva dei lunghi capelli biondi e i suoi occhi erano color nocciola, era accompagnata da Rendwick Din con i lineamenti di un angelo e lo spirito un po’ meno.
Quando sono arrivati al Distretto Dodici, mi sono alzata prima di sentire il mio nome (avevano distribuito delle mappe della città per farci capire più o meno in che Distretto potevamo capitare), come da manuale, la voce squillante della signorina Trinket ha pronunciato il mio nome, ha fatto un attimo di pausa, come se avesse appena visto un fantasma e poi ha finito. Sono arrivata lì davanti, fissata da tutti, quasi imbarazzata.
Avevo milioni di idee su chi potesse essere il mio compagno, così quando ho sentito chiamare Jale Whishart sono rimasta stupita.
E adesso chi diamine è questo?!
Alto e magro, si avvicinava al palco con tranquillità, come se stesse facendo una passeggiata, con le spalle rilassate e le mani nelle tasche. I capelli, che probabilmente sarebbero ricaduti sulla fronte, erano tirati su, castani, leggermente più scuri degli occhi, che invece tendevano più all'ambrato-dorato che al marrone. Le braccia messe in mostra da una semplice camicia blu scuro a maniche corte che mostravano un colorito pallido, ma presentavano un accenno di muscolo. Sembrava disinteressato a ciò che gli sarebbe potuto accadere. Incurante del suo destino.
Altrettante idee avevo su chi potesse far parte del Distretto Tredici, e di tutta la gente che viveva in quella parte di città, le probabilità che fosse estratta proprio lei erano molto basse.
«WhiteRose Haevensbee»
Come non detto! Porca miseria, ma perché proprio lei?!
L'ho vista avvicinarsi tranquilla, se l'aspettava, lo so, anche se nel profondo speravamo entrambe di non sentire i nostri nomi.
Con lei hanno estratto Noah Fairbain, un tipo dalla pelle olivastra, alto poco più di lei, sembrava uscito da quella roba antica che ci avevano fatto vedere a scuola, ci hanno detto che la gente si divertiva a guardare "i film", anche se non riuscivo a capire come la gente potesse divertirsi guardando una cosa che rimaneva nel televisore.
Aveva un giacchetto di pelle e dei pantaloni attillati, i capelli castano scuri come gli occhi e una maglia bianca che metteva in risalto i suoi addominali.
Ci hanno fatto stringere la mano e ci hanno portato ognuno in una stanzetta e ci hanno detto di aspettare per le visite.
Come da copione sono entrati i miei in lacrime, ho tentato di rimanere tranquilla e di non farli preoccupare più del dovuto, ma sapevo benissimo che sarei morta molto presto.
Ho potuto trascorrere con loro solo dieci minuti. Dieci minuti in cui mi hanno ricordato tutti quanto fossi forte nella "lotta" che facevamo ogni Domenica mattina, quanto fossi testarda, e che forse sarei riuscita a vincere.
Tutte parole buttate al vento. Non avevo un minimo di forza alle braccia, forse nelle gambe ma nelle braccia proprio no. Non mi aspettavo di ricevere altre visite, la maggior parte delle mie amiche era stata estratta, e tra quelle rimanenti, quali nessuna preferiva me alle altre, così quando la porta si è aperta una seconda volta sono rimasta molto sorpresa.
Mi sono avvicinata alla porta per spalancarla, ma quando ho visto chi c'era dietro l'ho richiusa e mi ci sono appoggiata di peso.
Era Johnny.
«E dai Hel! Piccola! Fammi entrare!»
Ho ricacciato indietro le lacrime. Non le meritava e sicuramente non l'avrei accontentato.
Sono rimasta in silenzio.
«Per favore! Cos’è che vuoi sentire? Vuoi che dica che mi dispiace? Ok, mi dispiace! Vuoi che dica che mi sono comportato da stupido? Ok, hai ragione, sono stato uno stupido! Sono stato quello che ti pare, ma mi manchi! Mi sono accorto che ti amo sul serio!!»
Sì, certo, come no! Adesso ti credo!
«Ti prego...»
La sua voce si era affievolita, era quasi un sussurro, appena percettibile attraverso la porta chiusa: è stato questo che mi ha spinto ad agire.
Ho aperto la porta e l’ho fissato. Johnny si è avvicinato e ha messo una mano sulla mia spalla sinistra. Si avvicinava sempre di più, come per baciarmi, ma non gliel’ho permesso.
Quasi senza pensarci gli ho sferrato un pugno dritto in faccia con la mano destra, tanto forte che credevo d’avergli fatto male seriamente.
Ho visto l’ira crescere nei suoi occhi verde scuro ed espandersi su tutto il suo volto.
Gli ho dato un calcio sul ginocchio e ho chiuso la porta, ormai non aveva molto tempo, sapevo che sarebbero venuti presto a prenderlo, ma continuava comunque a bussare convulsamente alla porta.
E quella era la prima vittima (se così si poteva chiamarla) dei miei giochi.
Cominciamo bene!
Quando ho sentito le voci dei nuovi Pacificatori portarlo via mi sono allontanata dalla porta per sedermi sul divanetto che avevano messo a disposizione.
Questa storia non finirà bene...
Senza quasi accorgermene ero sdraiata a lottare con tutte le mie forze contro l’abbraccio di Morfeo che non aspettava altro che un semplice momento di relax per accogliermi tra le sue braccia.



*Angolino autrice*
Ehm... ehm... chiedo venia per il gran ritardo!
Mi rendo conto di quanto possa risultare noioso un capitolo del genere, ma era mooooolto necessario!
Spero vada bene, comunque, fatemi sapere!
Alla prossima,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 4
*** Cioccolato, vaniglia, e disegni lasciati in finestra. ***


CAPITOLO 4 – CIOCCOLATO, VANIGLIA E DISEGNI LASCIATI IN FINESTRA

«Oh! Andiamo! Svegliati!»
Sento in lontananza la voce di un uomo e una mano sulla spalla che mi scuote.
I pacificatori saranno anche cambiati, ma restano comunque antipatici!
«Sì, sì, mi alzo!» biascico più tra me e me che per loro.
Sento i capelli sul lato destro della testa, quello che era poggiato al bracciolo, completamente incasinati, così li muovo un po’ con la mano, con noncuranza, più per abitudine che per altro.
«Katniss Everdeen e Peeta Mellark non potranno fare da mentore a voi del 12, perché saranno gli strateghi di questa edizione, insieme ad alcuni vincitori. I vostri mentori saranno Haymitch Abernathy e Gale Hawthorne, che in realtà non è un vincitore, ma è stato mandato qui dalla signorina Everdeen.»
Annuisco con poca convinzione.
E chi diamine è questo tipo?!
In quel momento si è unito a noi anche l’altro tributo. La sua posa non era cambiata di un millimetro: le spalle rilassate e le mani nel giacchetto nero di pelle.
Un cenno del capo come saluto da parte sua e un sorrisetto come risposta da me.
Ok, non sei un tipo loquace... va bene, un pensiero in meno...
Gale Hawthorne ci ha raggiunti poco dopo insieme ad un molto infelice, ma più famoso, Haymitch.
Gale! Ecco dove l’avevo sentito!
Durante l’edizione di Katniss Everdeen dicevano che fosse suo cugino, ma io so che non è vero, perché una volta ho origliato una conversazione di mio nonno: stava aggiornando Plutarch Haevensbee sulle condizioni dei Distretti e si è lasciato sfuggire questo particolare.
L’ho sempre trovato molto affascinante, anche quando, in televisione, appariva con il broncio e sempre solo.
Alto e bellissimo. Moro, con degli occhi grigi fantastici che risaltano sulla carnagione olivastra, le sopracciglia folte, la linea del naso dritta e gli zigomi ben delineati. Sotto la camicia bianca si notano degli addominali ben scolpiti, le labbra sono carnose e stanno ridendo verso Haymitch, mostrando dei denti bianchissimi e perfetti.
Se prima potevo trovare l’altro tributo interessante adesso non lo sento neanche, e parlo letteralmente, infatti ci vuole una gomitata per farmi risvegliare da quella visione paradisiaca.
«Chiudi la bocca e raccogli la bava, Snow» mi sussurra ridacchiando.
Non mi ero neanche accorta di quanto si fosse avvicinato.
Ho chiuso la bocca arrossendo, non ero certa della presenza della bava, ma per evitare di fare una brutta figura con Gale ho passato una mano sulle labbra, per ricevere, come unico risultato delle risate ancora più ricche da parte di quel tipo!
«Ehi! Sta zitto... coso!» gli ho quasi urlato.
«Coso?!» mi ha risposto lui.
«Sì, coso...» ho abbassato lo sguardo. «Non ricordo il tuo nome...» ho aggiunto poi sussurrando.
«Jale... Jale Whishart.»
Mi ha teso la mano, mentre gliela stringevo ho fatto per dire il mio nome, ma mi ha fermato.
«Non c’è bisogno di ripetere il tuo nome, Helene Snow. Tutti sanno chi sei. Anche io, che vivo in periferia, ti conosco.»
Sono arrossita ancora di più, per quanto potesse sembrare possibile. Stavo per chiedere spiegazioni, ma sono stata interrotta dalla voce dei nostri mentori
«Ah! Bene, vedo che avete già fatto conoscenza!» ha detto Haymitch
«Se così si può dire!» ha risposto Jale allungando la mano.
I due hanno risposto alla stretta presentandosi a vicenda, poi hanno guardato me, e solo allora devono essersi resi conto di chi avevano davanti, perché su entrambi i volti si è delineata una smorfia.
Non sapevo che dire, o fare.
Non vado fiera di quello che ha fatto mio nonno, ma non è colpa mia se porto il suo cognome... non si scelgono i parenti.
Jale sembrava aver letto i miei pensieri.
«Oh! Suvvia!» l’ho sentito dire. «Cosa sono quelle facce?! Lei non ha colpa per quello che è successo, e se anche ne avesse, ora è qui, il massimo che potreste fare, è farla morire, e non mi sembra il caso!»
Gli ho rivolto uno sguardo pieno di riconoscenza, probabilmente non sapeva cosa significassero quelle parole per me, neanche se lo immaginava!
Alcuni Pacificatori hanno indicato ad Haymitch la porta dalla quale dovevamo uscire, hanno detto che la nostra macchina era arrivata e che dovevamo muoverci prima dell’arrivo di quella per il 13.
Ho sussultato appena alla fine di quella frase.
Il 13! White!
Ma una mano sulla spalla mi ha fatto sussultare di più.
«C’è qualcosa che non va?» Era Jale.
«No, lascia stare» ho risposto, anche troppo sgarbatamente.
Avrei preferito rimanere, per parlarle, o anche solo per vederla, ma non potevo, sapevo di dover andare, così non ho opposto resistenza.

Il viaggio in macchina è stato molto imbarazzante, forse la cosa più imbarazzante che io abbia fatto fino ad adesso! Haymitch si era accaparrato il posto davanti e io ero finita tra Gale e Jale. Non che mi dispiacesse, sia mai, ma rimaneva comunque imbarazzante, mettiamoci pure che ero un po’ più bassa di quei due...
Sentivo un profumo d’arancia venire da Gale e un odore di prato in Primavera venire da Jale. Ho inspirato a fondo, sentendo i loro odori contrastanti che si univano. Poi ho fatto la domanda più stupida del mondo.
«Di cosa profumo, io?»
Ci sono state delle espressioni perplesse e divertite allo stesso tempo sul loro volto.
«Che fai dol-... no, tesoro, pratica per l’intervista?»
Solo in quel momento mi sono resa conto della frase che avevo detto.
Il termine avvampare non descrive appieno quello che è successo. Una successione di colori collegati a ciò che pensavo si sono dipinti sul mio volto: prima sono diventata rossa, poi mi è venuto in mente cosa avrebbe potuto dire Jale, l’ho guardato e sono diventata viola, poi ho pensato a quello che avrebbe potuto dire Gale e guardandolo sono sbiancata, ed infine sono tornata bordeaux.
Ho iniziato a farfugliare cose senza senso, ma in quel momento tutte le mie capacità riguardanti l’eloquenza erano andate a farsi benedire.
Ho avuto appena il tempo di notare uno sguardo complice, da sopra la mia testa, tra Gale e Jale che in un muto accordo si sono avvicinati al mio collo. Sentivo il loro respiro sulla mia pelle, e dei brividi hanno scosso la mia schiena che si è irrigidita di colpo.
«Cioccolato!» hanno esclamato contemporaneamente pochi secondi dopo.
Il colore che assume la mia faccia non è neanche più descrivibile.
Scoppiano tutti a ridere, tutti tranne me, ovviamente, e l’autista che sembra completamente indifferente a ciò che sta accadendo accanto a lui.
Mi sono fatta prendere in giro in un modo perfetto!
Ma quanto sei stupida, Hel?!
«Però la vaniglia mi piace di più...» ha aggiunto Gale dopo qualche minuto.
«No, a me piace di più il cioccolato!» ha risposto Jale.

Il resto del breve viaggio al Centro d’Addestramento l’abbiamo passato in silenzio, e per fortuna! Chissà che altro avrei potuto dire!
Il 12 al dodicesimo piano di un enorme palazzo.
Solo quando siamo entrati mi sono resa pienamente conto di ciò che hanno provato i tributi ad entrare qui.
«La sfilata dei carri ci sarà domani mattina, oggi potete fare quello che volete, non avrete stilisti, dovrete arrangiarvi da soli... tutto quello che era contenuto nei vostri armadi è stato portato qui. Trovate qualcosa entro domani mattina alle 10 in punto. Le vostre camere sono laggiù. Si mangia tra un’ora e mezza. Non tardate.»
Haymitch era stato chiaro e non ammetteva repliche, così ci siamo diretti subito in camera.
La stanza era quasi accogliente, con un grande letto e una scrivania. Una finestra occupa tutta la parete e nella parete opposta c’è il “tanto atteso armadio”. Conteneva tutti i miei vestiti, e anche qualcosa in più. Il bagno era un po’ più piccolo di quello che avevo a casa, ma per il resto era molto simile.
In quel momento non avevo voglia di cercare qualcosa adatto a “rappresentare il Distretto 12”, così ho preso un blocco, una matita e mi sono seduta nella rientranza della finestra.
La mia mano ha iniziato a disegnare, inizialmente solo il mio subconscio sapeva cosa stavo facendo. Solo alla fine ho capito. Gale. Avevo fatto un disegno abbastanza affidabile del profilo di Gale, di quello che vedevo mentre eravamo in macchina.
Ho deciso che quel disegno doveva far parte di ciò che lasciavo alla mia famiglia.
Ho scritto il suo nome, la data e l’ho firmato. Sul retro ho scritto le mie ultime volontà, non che fossero molte...
In quella sottospecie di lettera chiedevo ai miei parenti di ricordarmi con gioia e di non cercare vendetta contro gli organizzatori e chi aveva fatto parte di questi giochi, perché, in fondo, li ritenevo giusti, cosa che capivo solo in quel momento. Erano il prezzo minimo da pagare per tutto quello che avevano passato loro. Ho firmato con un semplice “vi voglio bene”, ho staccato il foglio dal blocco e l’ho lasciato lì, vicino alla finestra.
A quel punto mi sono sdraiata sul letto per aspettare quella mezz’ora che mancava al pranzo. 

*Angolino Autrice*
Finalmente ce l'ho fatta!!
Non che abbia molto da dire in questo momento,
il periodo non è il massimo, ma spero di pubblicare in tempo la prossima volta.
Comunque...
Che per caso amo Gale?!
Naaaaah! E' solo impressione! :D
Alla prossima,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 5
*** Perché parli sottovoce? ***


CAPITOLO 5 - PERCHÉ PARLI SOTTOVOCE?

Tempo dieci minuti e già mi ero stufata.
Sono uscita dalla stanza con una lentezza di cui non mi credevo capace.
C’era gente che apparecchiava la tavola.
Chissà che c’è per pranzo...
Non sapevo veramente che fare, così mi sono messa sul divano, le gambe incrociate come al solito, a giocare con le punte dei miei capelli blu notte, tutti spostati sulla spalla.
Finché Gale non si è seduto vicino a me.
«Trovato qualcosa da mettere?» ha chiesto mentre mi sedevo composta.
«No, ancora no... credo che dopo pranzo mi metterò d’accordo con Jale»
«Mmh... ok.» era diventato silenzioso.
Ma che hai?! Sei imbarazzato? Uno come te?? Dovrei essere io quella in soggezione...
«Dobbiamo allenarvi noi...» ha aggiunto alzandosi. «Quindi magari dopo mettetevi d’accordo anche su queso.» Si è stiracchiato, ha messo bene la camicia, che si era un po’ stropicciata, e alla fine mi ha porto la mano. «Su, il pranzo ormai sarà pronto, non facciamoli aspettare.»

Un pranzo capitolino a tutti gli effetti. Primo, secondo e contorno in stile grande cenone in famiglia. Una bottiglia di vino era di proprietà di Haymitch, l’altra alla fine della cena non era arrivata neanche a metà.
La torta al cioccolato era deliziosa e fino a quel momento l’unico rumore che si era sentito era stato quello delle posate.
«Allora, ho cambiato idea. Trovate qualcosa da mettervi entro questa sera e vedete di decidere da chi volete essere allenati.» ha sbraitato Haymitch.
«Io voglio Haymitch! Così mi divertirò un po’!» ha risposto prontamente Jale.
L’ho fulminato!
Poi per paura di diventare rossa ho iniziato a fissare il piatto.
«O-ok... per me va bene...»
Non credo d’aver più alzato lo sguardo, finché, con la scusa del vestito non ho deciso di alzarmi e filare in camera.
Oh mamma! Oh mamma! Gale mi allenerà! Gale!!! Proprio lui!
Ho aperto l’armadio con tanta enfasi che per poco non volava via un’anta!
Due vestiti mi sono saltati subito agli occhi, e dopo un po’ sono arrivata a quattro.
Uno era corto e attillato, monospalla con la manica lunga e a pipistrello, nero, la parte sopra al seno opposta alla manica era rossa... con i colori c’eravamo, ma non mi convinceva.
Un altro era tagliato in vita, la parte superiore era bordeaux, la gonna era più ampia e leggera, e sfumava verso il rosso, aveva una scollatura a forma di “v” ampia con delle piccole maniche rosse con le rouches.
Un terzo era stile impero con le rouches verticali nella parte superiore e lungo fino a terra; molto, molto leggero.
L’ultimo l’ho trovato nell’armadio, ma non era mio, aveva uno scollo a barchetta con le meniche lunghe e attillate, con uno stile a sirena, con una scollatura enorme sulla schiena, nero... non era molto a tema e neanche mi piaceva più di tanto... ma tanto valeva provarlo!
Ho tolto il vestito che indossavo e ho messo l’accappatoio.
«Per adesso ne ho trovati quattro! Inizio a provare?» ho urlato dalla mia stanza.
C’è stato un attimo di silenzio, un leggero borbottio e poi un “va bene” biascicato da Haymitch.
Ho deciso di provarli da quello che mi piaceva di meno, così ho messo quello a sirena. Sono uscita senza scarpe e sono arrivata in salotto. Ho fatto una giravolta e mi sono fermata.
«Spero che quello non sia il più bello!» ha detto Haymitch con tono serio.
«Tranquillo!» gli ho risposto. «L’ho scelto solo per la scollatura sulla schiena! Non piace neanche a me...»
«E allora perché ce lo fai vedere?» ha chiesto.
«Perché quella scollatura merita! Eccome se merita!» ha risposto Jale al posto mio. «Girati un po’!»
«Facciamo che mi giro se me lo chiedi con gentilezza!» ho ribattuto io.
«Va bene... puoi girarti per favore?»
Mi sono voltata con fare svogliato spostando i capelli sul davanti per mostrare la schiena e li ho sentiti borbottare.
Ma chi me l’ha fatto fare?!
«No, no, non va bene. Il prossimo.» ha detto infine Haymitch.
Sono andata in camera, ho messo quello corto e attillato e poi sono tornata in sala.
«Questo?» ho detto fermandomi e aprendo un po’ le braccia.
«Sexy.» ha commentato Jale.
«Sta zitto tu!» gli ho risposto acida.
Ha fatto una boccaccia  e ha fatto finta di mettere il broncio.
«Non mi piace la manica...» ha detto Gale con sguardo triste.
Era il primo commento che faceva e non era positivo... non andava bene.
«Ok, allora vado a provare il prossimo.»
Tornando in camera mi sono chiesta perché gli piacesse. Poi ho avuto il lampo di genio...
Katniss! Gli ricordava il vestito della seconda intervista, quello che si era trasformato in vestito da ghiandaia... Stupida, dovevi pensarci prima!
Ho messo il vestito lungo stile impero e sono tornata di nuovo di là.
«Mmh, questo è carino... questo tessuto è leggero, vero?» ha chiesto Haymitch. Ho annuito. «Potrebbe ricordare una fiamma... ok, vediamo l’ultimo...»
Quello che mi piaceva di più, ovviamente lasciato per ultimo è piaciuto molto anche agli altri e hanno tutti optato per farmi usare quello, anche se ancora non ero pienamente soddisfatta.
Durante il pomeriggio ho continuato a cercare abiti, ma con scarsi risultati. Poi mi sono ricordata che in un cassetto dell’armadio avevo un set da cucito, una delle strane fisse del nonno... non sono mai stata brava nel cucire, ma tanto valeva provare! Ho preso il vestito a stile impero e ho tagliato la parte superiore, lasciando solo la gonna lunga, ho preso la parte davanti e l’ho arricciata, cucendola alla bell’e meglio, in modo da creare una gonna corta davanti e molto lunga sul dietro, l’ho arricciata un po’ anche sul dietro, per creare volume e accorciare un po’ lo strascico.
Ho rigirato il vestito che avevamo scelto in modo da cucirlo senza rovinarlo e ho provato ada attaccare la gonna e a vedere l’effetto che faceva.
Niente male Hel! Proprio niente male!
«Ne ho un altro!» ho urlato.
«Va bene! Vieni!» mi ha risposto Gale.
Erano rimasti sul divano, non so per quale strano motivo, ma erano fermi lì...
Quando mi hanno sentito arrivare si sono girati senza alzarsi.
«Allora? Che ne dite?»
«Scusami tanto, ma come ha fatto a non  vederlo nel’armadio?» ha chiesto Haymitch.
«Beh... perché non c’era!» ho risposto, ma ho dovuto aggiungere un “l’ho fatto io” perché le loro facce erano troppo strane e subito dopo sono scoppiata a ridere, erano sconvolti!
«Mi sottovalutate proprio tanto, eh? Solo perché mi chiamo Snow non significa che non sappia fare niente!»
«Comunque manca qualcosa...» ha detto Jale.
«Lo so...» ho risposto. «Ma non so che fare...»
«Dei brillantini –o come si chiamano-?»
«Ce li avrei anche, ma non so proprio come attaccarli...»
«Ci penso io... aspetta qui...»
È scappato di corsa ed è tornato dopo dieci minuti con una cosa strana in mano. Una cosa che assomigliava alle pistole delle guardie di mio nonno...
«È un laser, attacca tutto su tutto... togliti il vestito che ti faccio vedere come si fa.» ha detto estasiato.
«Ehm... ok, torno subito...»
«Torni subito?» ha chiesto alzando un sopracciglio.
«Sì, vado a cambiarmi, per- per la pistola...»
«Ah, giusto... ma è un laser, non una pistola...»
«Dettagli.» ho aggiunto prima di andarmene.
Tempo di togliere l’abito e prenderne al volo uno blu dall’armadio e sono tonata in sala, avevo in una mano, tirata sopra la testa, il vestito, nel vano tentativo di non farlo strusciare a terra e nell’altra una pesante scatolina con dentro tutte piccole pietre nere riflettenti.
Ci siamo avvicinati al tavolo e abbiamo steso il vestito, ha preso una pietra, gli ho indicato un posto dove metterla e dopo averla posizionata ha preso in mano il laser, l’ha puntato sulla pietra e gli si è avvicinato piano, rimanendo fermo per qualche secondo. Ha tolto il laser e sollevato il vestito con aria compiaciuta.
«Visto? Non si stacca! Hai capito come funziona?»
«Sì, ed è fantastico! Solo... non è che puoi aiutarmi a metterne uno?» ho chiesto quasi vergognandomi (e ovviamente arrossendo).
«Ehm... va bene...»
Ho posizionato un’altra pietra e ho preso la pistola.
Jale si è messo dietro di me e ha posato le sue mani sopra le mie accerchiandomi con le sue braccia forti e muscolose.
Ho sentito il suo respiro sopra il collo ed è partito un brivido che ha percorso tutta la schiena. Il rossore ha nuovamente invaso le mie guance e le mani hanno iniziato a sudare.
Grazie al cielo sono attaccate alla pistola!
«Posiziona la punta del laser sulla pietra.» mi ha sussurrato in un orecchio.
Ti prego! Smettila!
Ho annuito. Le mie mani hanno iniziato a tremare e Jale deve essersene accorto perché ha subito stretto maggiormente la presa.
Abbiamo attaccato qualche altra pietra insieme, i suoi commenti erano sussurrati direttamente nel mio orecchio. Ad ogni commento partiva, come da manuale, un mio brivido e tutte le volte sentivo le sue labbra incresparsi in un sorriso.
Se fossi in altre situazioni sarei in grado di resistergli? Probabilmente non dovrei neanche tentare di resistergli... se qualcun’altra fosse nelle mie condizioni forse non aspetterebbe un secondo... no, non posso. Io devo resistere, devo! Però...
«Ehi, voi due!» ha urlato Haymitch facendomi letteralmente saltare. «Non venderò di nuovo gli “sfortunati amanti”, quindi potete anche evitarvi la sceneggiata!»
«Tranquillo Haymitch! Lungi da me tutto ciò! Le stavo solo facendo vedere come attaccare le pietre!» ha risposto lui scuotendo la mano come a sminuire tutto quanto. «Puoi fare da sola adesso, vero?» mi ha chiesto dopo.
Ho annuito e lui se n’è semplicemente andato.
Ho finito il vestito e mi sono ritirata in camera.
Mancavano poche ore alla cena.

La cena è stata tranquilla e dopo cena ci siamo vestiti per farci vedere insieme da Haymitch e Gale.
Jale indossava un semplice smoking, ornato con una cravatta rossa, una rosa rossa (che ho immediatamente provveduto ad eliminare), e scarpe nere con lacci rossi.
Non eravamo male, ma...
«Avvicinatevi magari!» ci ha “rimproverato” Haymitch. «Non dovete fare gli innamorati, ma non mostrate neanche troppa indifferenza!»
Ci siamo avvicinati e Jale a messo una mano sul mio fianco.
«Ecco! Da un eccesso all’altro! Jale! Non sei un ragazzino! Contieniti!»
«Farò come viene quel giorno!» ha risposto lui.
«Va al diavolo e fa come ti pare! Voi andate a riposare, Gale, noi andiamo, dobbiamo discutere di una cosa.»
Mi sono sciolta da quella sottospecie di abbraccio e sono filata in camera.

«Snow... Snow...»
Erano passati appena venti minuti, avevo appena messo il pigiama e mi ero sdraiata, ma ovviamente, Jale doveva rompere.
Mi sono alzata controvoglia, ma continuava a sussurrare il mio cognome con un tono urgente.
«Che c’è?!» gli ho quasi urlato in faccia quando ho aperto la porta.
«Non strillare e fammi entrare!» continuava a sussurrare.
«Perché parli sottovoce?»
«Perché non dovrei essere qui...» ha aggiunto subito prima di spostarmi per entrare.

*Angolino autrice*
Ok, non credo ci sia molto da commentare, solo una cosa:
ogni riferimento a "torte al cioccolato" e a numeri è puramente casuale...
sì, sì, come no!!
Ma chi vogliamo prendere in giro? Io amo quel tipo!
Anyway, spero di avervi incuriosito con il finale,
sto già iniziando a scrivere il sesto capitolo, ma dovrete comunque aspettare la settimana prossima!
A presto!
Lady_Periwinkle

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Capitolo 6
*** Il significato di un gesto affettuoso ***


CAPITOLO 6 – IL SIGNIFICATO DI UN GESTO AFFETTUOSO

«Che cavolo significa "non dovrei essere qui"?» gli ho detto facendogli il verso.
Era ancora appoggiato alla porta, la fronte attaccata e la schiena leggermente incurvata.
Ho sentito lo scatto della serratura.
Ci ha chiusi dentro!
Si è girato ed è andato in bagno, aprendo l'acqua della doccia. Mi sono affacciata in bagno.
«Posso sapere che stai facendo?»
Si stava togliendo la camicia, e per un attimo mi sono incantata a guardare i suoi addominali scolpiti, poi ho notato un livido, appena sotto le costole e un taglio non molto profondo sul braccio.
Che diamine è successo?
«Busseranno da un momento all'altro, di che sei sotto la doccia, io vedo che posso fare con questo...» ha detto indicando il braccio.
«Va bene, ma lascia fare a me...»
Ho preso un piccolo asciugamano e l'ho bagnato un po', senza farlo grondare e ho iniziato a tamponare la ferita, per tentare di togliere il sangue in modo da vederne bene i bordi.
A quel punto ho sentito bussare.
«Helene! Helene!» era Gale.
«Sono in doccia!» ho mentito.
«Sai dov'è Jale?»
«No, io sono entrata subito in camera quando ci avete mandato via...»
«Puoi venire qui un attimo?»
«Ehm...» E adesso che mi invento?! «Un... un secondo!»
Ho fatto segno a Jale di voltarsi, mi sono spogliata, sono entrata in doccia, ho chiuso l'acqua, ho afferrato al volo un asciugamano e mi sono coperta.
Oh, per favore, fa che non entri...
Ho socchiuso la porta, pronta a richiuderla se fosse stato necessario.
Aveva un livido sulla mascella.
«Sei sicura di non averlo visto?»
«Certo.» ho risposto tentando di fare un sorriso.
«Va bene, se lo vedi, digli che dobbiamo parlare.»
«Sicuramente!» ho risposto un attimo prima di chiudere la porta.
Sono corsa in bagno come una furia.
«O mi dici cosa è successo, o ti faccio rimpiangere di essere venuto qui!»
Ha abbassato lo sguardo e ha annuito.
Mi ha raccontato che quando ci hanno cacciato, per la curiosità, ha seguito Gale e Haymitch, tenendosi ovviamente a distanza di sicurezza, abbastanza vicino da poter sentire, ma altrettanto lontano, così da poter scappare.
Gli ho chiesto di riassumere, ha sospirato e poi tutto d'un fiato ha detto che si stavano mettendo d'accordo con Katniss Everdeen e Peeta Mellark per farmi uccidere non appena sarei stata sola nell'Arena.
«Che diamine stai dicendo?!» ho chiesto indietreggiando, con una mano che teneva l'asciugamano e l'altra stesa indietro a cercare il muro.
«Io ti dico quello che ho sentito.» mi ha risposto ancora con lo sguardo basso. «Mi sono lasciato sfuggire un'imprecazione, e mi hanno scoperto, mi sono tolto la giacca e gliel'ho lanciata, tentando di rallentarli, ma non ha funzionato, Gale mi ha afferrato per un braccio e mi ha chiesto cosa avevo sentito... Gli ho risposto che non avrei mai permesso una cosa del genere...» ha aggiunto alzando lo sguardo, lo stavo fissando, incredula. Lui si è alzato, si è avvicinato a me, mettendo le mani sulle mie spalle. «Non permetterò mai una cosa del genere. Mai.»
Sentivo la sua voce, ma non riuscivo a capire cosa stesse dicendo. Avevo lo sguardo fisso nel suo, stava avvicinando il suo volto al mio. Continuava a sussurrare la parola "mai" come una litania, finché le sue labbra non hanno incontrato le mie.
Quasi tre anni di baci con quello stronzo di Johnny e neanche mezzo mi aveva fatto quell'effetto.
Ho risposto al bacio con più enfasi di quanto me ne credessi capace.
Che cosa sto facendo?!
Mi sono staccata da lui, le sue mani mi circondavano il volto e io, senza rendermene conto, avevo appoggiato le mie sul suo petto.
Solo in quel momento mi sono resa conto che più o meno all'altezza del cuore, scritto con caratteri molto piccoli, aveva un tatuaggio. Un piccolo "68th".
«Jale, io... io...» ho bisbigliato abbassando le mani. Ora le sue mani erano attaccate al muro. Mi sorrideva.
«Tranquilla, non mi aspettavo di essere ricambiato, ma volevo farlo lo stesso...»
«Mi... mi dispiace...»
«Non scusarti! Volevo provare la sensazione, ed è stato fantastico. Va a rivestirti, così, se vuoi, puoi aiutarmi a medicare il taglio...» ha detto allontanandosi.
Uscendo ho incontrato il mio sguardo allo specchio, avevo le guance rosse ed i capelli quasi arruffati.
Potevamo esserci baciati per pochi secondi, qualche minuto, o addirittura ore, non lo sapevo. Il tempo si era fermato.
Ho infilato al volo il primo vestito che ho trovato e ho legato i capelli.
Quando sono rientrata in bagno l’ho trovato sopra uno sgabello davanti allo specchio.
«Hai un tatuaggio.» gli ho detto indicando il petto.
«E tu hai le orecchie a punta! Sono tante le cose che non sappiamo l’uno dell’altra.» ha risposto lui facendo spallucce.
«Beh, sì, ma come mai “68”?»
«È l’edizione degli Hunger Games che ha vinto mia sorella. È stata uccisa poco dopo, perché non voleva stare agli ordini di Capitol City, ma la sua vittoria ci ha permesso di scappare dal 4.»
Viene dal 4! Forse è per questo che i suoi vestiti sono così fuori moda... Ma che dici?! Ti stai ascoltando?! Ti stai comportando da Capitolina insensibile, meriteresti uno schiaffo!
Ho finito di ripulire la ferita, l’ho medicata e l’ho bendata.
Gli ho detto di stendersi a terra e ho visto i suoi muscoli irrigidirsi a contatto con il pavimento freddo. Mi è scappato un sorriso.
«Ancora non conosci i miracoli di Capitol City!» ho aggiunto prendendo una crema.
«Dillo che vuoi approfittarti di me!» mi ha provocato lui.
«Mi sembrava scontato! Dai, fai il serio e rilassa i muscoli.»
Ho messo un po’ di crema e l’ho spalmata delicatamente sul livido.
«È fresca...» ha detto tenendo gli occhi chiusi.
Il suo respiro era regolare, il suo petto si alzava e abbassava sotto la mia mano.
«Ho fatto, tirati su che ti bendo, così evitiamo che ti si appiccichi la camicia.»
«Se vuoi posso restare senza!»
«Smettila e muoviti!»
Si è alzato con una smorfia e si è lasciato bendare.
Senza volerlo ho sbadigliato, Jale è scoppiato a ridere, non volevo fargli capire che ero stanca, non volevo fargli pesare quello che era successo, perché alla fine l’avevo fatto con piacere...
Stavo uscendo dalla stanza quando mi sono sentita abbracciare da dietro.
«Non preoccuparti Hel, ti proteggo io...»
Ho sorriso e mi sono rilassata, alla fine non era male trovarsi tra le sue braccia.
Mi sono sciolta da quell’abbraccio e ho iniziato a mettere in ordine la stanza, volevo anche cedergli il mio letto (dopotutto era lui quello che stava male!), ma non me l’ha permesso.
Quando sono uscita dal bagno l’ho trovato con in mano la mia lettera, aveva sistemato delle lenzuola nella rientranza della finestra.
Mi sono sentita avvampare.
Porca miseria!
«Ehm... io... Io posso spiegare!» aveva un sorriso triste.
«Tranquilla, te l’avevo detto che sapevo di non essere ricambiato...»
Mi sono avvicinata e lui ha teso il braccio per passarmi il voglio.
«Comunque... belle intenzioni,  e complimenti per il disegno, sei brava...»
«Grazie...»

Mi sono seduto sul bordo del letto, i gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani sulla faccia.
Ma che sto facendo?! Io, Gale, quello che ha tentato di salvare il Distretto 12, quello che ha amato e poi perso una delle persone più importanti della sua vita, quello che ha passato la vita a proteggere la sua famiglia, io, sono stato in grado quasi di picchiare qualcuno perché mi ha detto che stavo per fare la cosa sbagliata. Sto diventando un mostro, mi sto facendo trasformare, e non va bene!
Mi sono alzato con decisione, dovevo chiederle scusa, ormai era tardi, e probabilmente stava già dormendo, ma non mi interessava.
Ho bussato alla porta, prima piano, poi con forza crescente.
È venuta ad aprirmi con indosso una camicia da notte, scalza e con i capelli legati in una crocchia alta.
Si stava stropicciando gli occhi.
«Cosa è successo adesso?» ha chiesto
«Senti, so che lui è lì dentro, mi dispiace averti svegliata, ma devo parlarti...»
«O-ok...» ha risposto dubbiosa.
La porta era rimasta socchiusa, non si fidava di me. L’ho presa delicatamente per il polso e l’ho fatta uscire.
«So che ti ha raccontato quello che ha sentito.» le ho detto senza aspettare. Ha annuito. «Beh, non è tutto, non ti ha detto cosa è successo dopo...»
«E cos’è successo di preciso?»
«Ho detto ad Haymitch che non ero d’accordo con quello che stava facendo. Che non aveva la mia approvazione.» le ho detto afferrando una ciocca sfuggita dall’elastico e finita sul volto. Ho iniziato ad arrotolarla su un dito. La mia voce si era fatta insolitamente bassa, me ne ero appena reso conto.
«Non mi sembra la stessa storia che mi ha raccontato Jale...» mi ha risposto distogliendo lo sguardo.
«Lo vedi questo?» ho chiesto indicando il livido sulla mascella. «Questo è il modo in cui è riuscito a scappare. Mi ha dato un pugno tanto forse che sono caduto addosso ad Haymitch, e lui è finito a terra perche ha preso una storta. Non mi sono comportato bene con lui, e non è una scusa quella che sto cercando, ma la realtà è che non mi interessa niente di lui, quello che mi interessa è ciò che pensi tu.» mentre parlavo la vedevo allontanarsi, era quasi arrivata ad avere la schiena attaccata al muro.
Sto sbagliando, sto sbagliando di nuovo...
Le ho spostato la ciocca dietro l’orecchio. Le ho messo le mani sulle spalle.
Ancora non mi guardava in faccia.
L’ho attirata a me abbracciandola forte, all’inizio è rimasta rigida contro il mio corpo.
«Non permetterò mai e poi mai una cosa del genere.» le ho sussurrato in un orecchio. Solo a quel punto l’ho sentita rilassarsi e abbracciarmi a sua volta.
Ho inspirato a fondo il profumo della sua pelle e mi sono allontanato.
Le ho messo una mano sulla guancia, solo adesso mi accorgevo di quanto fosse minuta.
«A volte mi ricordi lei... e in quel momento fa male, ma poi vedo in te qualcosa che non ho mai visto in lei, e a quel punto ciò che provavo per lei impallidisce a confronto con ciò che semplicemente credo di provare per te. Buonanotte, Helene.» le ho detto prima di andarmene.
 
*Angolino autrice*
Sono riuscita a pubblicare prima del tempo! Yuppie!
Sono contenta di questo capitolo, e scriverlo mi ha emozionato molto.
Ma adesso vi faccio una domanda!
A voi la scelta, lettori e lettrici(?),
Gale o Jale??
(vi avviso, le vostre risposte non cambieranno la mia scelta
fatta già un po’ di tempo fa, ma è per curiosità! :3)
A presto,
Lady_Periwinkle
 

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Capitolo 7
*** I comportamenti strani sono all'ordine del giorno ***


CAPITOLO 7 – I COMPORTAMENTI STRANI SONO ALL’ORDINE DEL GIORNO

Quando ho aperto gli occhi i capelli mi coprivano gran parte della visuale.
Non volevo alzarmi. Non volevo iniziare la giornata, perché svegliarsi voleva dire ricordare ciò che era successo. E non volevo farlo.
Ero davanti ad una scelta, e non avevo la più pallida idea di cosa fare. Di solito la gente voleva stare con me, ma solo per la mia parentela con i Presidente. Questi due non ne avevano motivo. Uno doveva odiarmi per aver rovinato la vita al suo distretto, l’altro stava per morire... non aveva senso!!
Mi sono tirata su, ero sdraiata di fianco, quindi  ho fatto parecchio movimento, e stiracchiandomi ho notato Jale, seduto in terra, con la testa appoggiata al letto che si stava svegliando.
«Che... Perché si qui?!» ho chiesto.
«Hai... hai avuto un incubo...» ha detto sbadigliando. «Ma non volevo svegliarti, quindi ho semplicemente tentato di calmarti... in più non volevo lasciarti sola, così sono rimasto qui.»
«Ah... ehm... ok... ehm» ho iniziato a farfugliare guardando le mani che stringevano convulsamente le coperte. «Allora... io vado a prepararmi, o preferisci andare prima tu?»
«No, vai prima tu, io vado dopo...» ha risposto alzandosi.
Sono entrata in bagno. Erano le otto, avevo dormito più o meno otto ore, ma i segni sotto gli occhi mostravano il contrario, da quelli avrei detto più o meno tre ore. Dovevo aver avuto veramente un brutto incubo.
Ho fatto una doccia veloce, e ho messo un po’ di crema colorata, per tentare di mascherare, anche se solo leggermente, quelle maledette occhiaie.
Ho messo un vestito al volo, non ho neanche badato a quale, tanto stavo per finire nell’Arena, probabilmente non aveva molta importanza com’ero vestita!
Quando sono uscita Jale era già vestito.
«Non vuoi farti una doccia?» gli ho chiesto perplessa, di solito, io, faccio la doccia ogni giorno, non la faccio solo se sono troppo stanca o proprio non ho tempo...
«No, mi sono lavato ieri... quando nasci nei Distretti non hai il lusso di poter fare la doccia quando vuoi!» mi ha risposto.
«Ah...» mi sentivo stupida per averlo chiesto.
«Comunque, vuoi mangiare in camera o andare di là?»
«Preferirei andare di là, se non ti da fastidio...»
«No, no... ma esci adesso, io esco tra cinque minuti, altrimenti capiscono che siamo stati nella stessa stanza.»
Beh... in realtà Gale già lo sa, quindi credo che lo sappia anche Haymitch...
Non sapevo se dirglielo o no, ma alla fine ho deciso che l’avrei solo turbato facendolo, forse sbagliavo, ma ho fatto così.
Quando sono entrato in sala, Gale e Haymitch erano già seduti a tavola e parlottavano tra di loro. Ho sperato tutta me stessa che Gale non gli stesse raccontando di ieri sera.
Quando si sono accorti di me è calato il silenzio.
Io ho forzato un sorriso e ho detto: «Buongiorno.»
Mi hanno sorriso e risposto inclinando leggermente il capo, mi sono seduta a tavola e qualcuno mi ha portato una tazza di latte caldo. C’erano dei biscotti, delle fette biscottate e varie creme e marmellate da poter spalmare. Ero talmente intenta a scegliere cosa mangiare che mi ero a mala pena accorta degli sguardi penetranti che mi stavano scagliando quei due.
Ho alzato lo sguardo su di loro, per quanto fossi affamata tentare di capire cosa stesse accadendo era più importante.
Stavo per aprire bocca quando i loro sguardi sono diventati ostili, non ho fatto in tempo a voltarmi che una mano si è posata sulla mia testa e Jale mi ha stampato un bacio sulla fronte.
Tra gli sguardi di fuoco che si stavano scambiando quei tre e il mio stupore la temperatura sembrava essere salita ad un livello insopportabile.
Che diamine sta facendo?!
«Buongiorno.» ha detto tranquillamente come se avesse appena fatto la cosa più naturale del mondo.
Quei due hanno risposto con degli sguardi in cagnesco.
Cominciamo bene...
«Allora... avete passato una bella nottata?» ha chiesto Haymitch.
«Secondo te con queste occhiaie posso aver dormito bene?» ho risposto.
Mamma mia! Siamo acide questa mattina, eh?!
Alla mia risposta ho visto Gale ha strabuzzato gli occhi, e Haymitch ha fatto un sorriso un po’ sghembo.
Che accidenti ho detto?? Aspetta... loro sanno che lui era in stanza con me! O mamma!
«Nel senso che ho avuto gli incubi... terribili!»
«Sì... certo. Mi fiderò sulla parola.» ha risposto Haymitch, gli avevo offerto un’opportunità d’oro per fare delle battute!
Ti prego, Jale, sta zitto...
«Perché, ti serve altro?»
«No... tranquilla, me la farò bastare.»
«Bene! E adesso per favore passami la crema di nocciole, che ho fame!» ho aggiunto sorridendo.

Dopo una colazione veloce ci hanno spediti in camera. “Si stava facendo tardi” a detta loro.
Senza obbiettare –non volevo cacciarmi nei guai- sono corsa via come un razzo per evitare domande strane da Jale o Gale.
Mi sono vestita di fretta e ho raccolto i capelli con un fermaglio. Non avevo la più pallida idea di come metterli, e tirati su mi sembravano ok, in più il fermaglio era nascosto, quindi sembrava qualcosa di complicato.
Sono tornata nel salone e già mi stavano aspettando.
«Stavo per venirti a chiamare.» ha detto Gale gentilmente.
«Oh... ehm, ci vuole un po’ più di tempo per mettere uno di questi...» ho risposto indicando il vestito.
Jale si è avvicinato, come aveva detto Haymitch “vicino-ma-non-troppo” e mi ha sussurrato: «Staresti molto meglio con i capelli sciolti.»
Brivido. In certi momenti mi ritrovavo ad odiarlo.
«Non toccare il mio fermaglio.» ho risposto a denti stretti.
«Ah! Hai solo quello? Ma allora è facile, credevo avessi messo non so quante mollette... ora ci penso io.»
«No!» ho quasi urlato allontanandomi da lui.
Ma non sono stata abbastanza veloce. Il suo palmo era già aperto contro la mia schiena, proprio tra le scapole. Il suo volto era terribilmente vicino al mio, tanto vicino che credevo stesse per fare una pazzia, come baciarmi davanti a quei due. L’altra mano, con una velocità assurda, è schizzata tra i miei capelli liberandoli dal fermaglio e facendoli ricadere sulle mie spalle, e lasciandomi andare subito dopo.
Le mie labbra si sono mosse per dire “ti odio”, ma la voce non è uscita.
«Molto teatrale.» ha detto Haymitch. «Ma non ho intenzione di perdere il mio tempo guardandovi flirtare. Muovetevi.»
«Oh. Questo è il minimo. Quando cresci nel Quattro i pochi giochi che hai riguardano l’afferrare i pesci a mani nude. Vincevo sempre.» Jale stava rispondendo ad Haymitch, ma l’ultimo pezzo della frase sembrava più riferito a Gale, come se volesse dirgli “datti una mossa o ne approfitterò”.
Gli ho dato una sberla sul braccio.
«Smettila di vantarti. Non interessa a nessuno come giocavi quando eri piccolo.»

Siamo scesi al pian terreno come ci era stato detto, e abbiamo trovato la più grande varietà di vestiti mai vista prima, nessuno, ovviamente, come quelli degli anni scorsi, in cui gli stilisti davano il meglio. Non sembrava la solita Parata, sembrava quasi di essere ad una serata di Gala...
Ho iniziato a guardare in giro gli altri.
La ragazzina dell’Uno è stata la più prevedibile. Una sottospecie di tutù con la gonna di tulle rosa e il corpetto pieno di brillantini rosa e fucsia. Sembrava un confetto sotto una pioggia di brillantini.
Il vestito di Volumnia –la ragazza del Quattro- aveva una sola spallina, era composto da veli, il colore andava dal blu scuro al bianco e la parte sul seno senza la spallina aveva dei brillantini. Mentre camminava dritta verso il suo compagno di distretto il vestito si muoveva leggero intorno alle sue gambe, nascondendole e mostrandole agli occhi di chi la guardava, sembrava proprio il mare che avevo visto in un vecchio filmato.
Facevo scorrere lo sguardo sulle carri tentando di individuare quello con il “12” stampato sopra, e non vedevo vestiti che aiutassero la gente a capire di che distretto facessero parte i ragazzi, fatta eccezione per pochi...
Quello di Fannia, per esempio era in pelle, marrone, con due spalline spesse e con una scollatura quadrata, era corto –arrivava a metà della sua chilometrica coscia- e in vita portava una cinta scozzese rossa e verde... dava l’idea di qualcosa di rustico, credo, e faceva pensare al Dieci.
Il vestito di Savera, Distretto Undici, invece aveva uno scollo a cuore verde prato, una fascia in vita verdino chiaro con dei piccoli brillantini e la gonna, fatta con tutti pezzi di stoffa svolazzanti color giallo oro, sembrava aver preso direttamente il grano per farlo.
Ok, se lei era l’Undici, dopo ci siamo noi...
E infatti eccolo lì, il nostro carro.
Sono passata a debita distanza dai cavalli, perché ne sono terrorizzata, e stavo per salire, quando mi sono accorta che dopo di noi c’era White.
Appena l’ho vista ho iniziato a correre verso di lei. L’ho abbracciata così forte che per un momento ho pensato che avrei potuto farle male. Solo dopo un po’ mi sono resa conto che era praticamente impossibile, lei era molto più forte di me!
In quel vestito era uno spettacolo! Aveva un vestito con lo scollo all’americana, che metteva in risalto il suo seno non molto abbondante, ed era verde evidenziatore. La parte superiore sembrava tutt’uno con la parte inferiore, divise solo da un cerchio di metallo. Dallo stesso cerchio partiva un altro pezzo di stoffa grigio-argento, che creava un bel contrasto con quel verde acceso.
«Hel!» m’ha detto rispondendo al mio abbraccio.
«White! Sono successe troppe cose! Mi sei mancata, non voglio più passare tutto questo tempo senza di te!»
«Ma Hel! È stato solo un giorno!»
«Lo so... ma è successo veram...» ho dovuto interrompere la frase prima di finirla, perché qualcosa aveva colpito il mio braccio, qualcosa che stava già lasciando una striscia rossa.
«Tribute!» ci ha apostrofato una donna vestita di grigio con dei bei boccoli biondi. «Avrete tempo di parlare più tardi, mentre dovrete lottare per non morire! Ah, Dodici, la prossima volta che ti becco ad abbracciare qualcuno la mia frusta potrebbe arrivare sulla tua faccia!»
La mia mente aveva già macchinato una risposta acida, ma mi sono sentita afferrare per le braccia.
«La scusi tanto!» ha detto Jale. «Le assicuro che non accadrà più!» ha aggiunto sorridendo.
«Meglio per voi!» ha risposto la nuova Pacificatrice subito prima di andarsene.
«Così non ti aiuti, Hel!» mi ha sgridato Jale.
«Lo so... lo so, non c’è bisogno che me lo ricordi.»
Lo sguardo di White era più che eloquente, era il tipo di sguardo che faceva quando capiva che le stavo nascondendo qualcosa, lo sguardo che diceva: “Hel? Devi dirmi qualcosa?!
Ho liquidato il suo sguardo con un gesto della mano e un sorriso, scandendo con le labbra la parola “Dopo”, per poi allontanarmi con Jale.
«Ehi,» ha iniziato subito Jale. «chi sarebbe quella?»
«La mia migliore amica.»
«Capisco.» mentre parlava si era avvicinato ad uno dei due cavalli del nostro carro e aveva iniziato ad accarezzarlo. «Vieni qui, dai, questo cavallo è così tranquillo!»
«Io... ehm... no. Non ho intenzione di venire ad accarezzare il cavallo. Puoi anche scordartelo!»
«Ma no... non dirmelo!» aveva già iniziato a ridere. «Hai paura dei cavalli?!»
«Ehm... sì.» ho detto annuendo. «Anche se, più che avere paura, ne sono letteralmente terrorizzata.»
«Addirittura?»
«È già.» E olè! Fantastico, adesso inizierà a ridere di me,a dirmi che neanche i bambini hanno paura dei cavalli, che sono ridicola...
«Anche mia sorella ne era terrorizzata...» ha invece ammesso.
Il mio sguardo, che era intento a fissare le mie mani, è schizzato sul suo volto. Aveva l’aria un po’ triste, ma sembrava aver superato la cosa.
«Tuo nonno la obbligava a fare delle assurde passeggiate a cavallo. Tornava a casa ogni giorno più scossa. Quando ha iniziato a ribellarsi... beh, è successo quel che è successo.» ha aggiunto facendo spallucce.
«Mi... Oh mamma, Jale, mi dispiace... »
«Figurati, non è colpa tu se tuo nonno era un po’ uno squilibrato.»
Per la prima volta da quando eravamo lì, il suo sguardo si è posato sul mio. La determinazione era chiara nei suoi occhi ambrati. L’espressione seria. Poi le sue labbra si sono increspate in un lieve sorriso, non so quanto di quel sorriso fosse naturale, o per divertimento e quanto, invece, fosse per tentare di non farmi pesare quello che aveva appena detto, ma era meraviglioso.
«Su, saliamo.» ha detto allungando la mano. «Lo spettacolo sta per iniziare, non vorrai fare tardi, sei praticamente la più attesa!»
«Ahahahahahahah! Ma te sei matto!»
Ho preso la sua mano e mi sono aiutata a salire. I carri sono partiti poco dopo, ma l’atmosfera a cui eravamo abituati, quella festosa, della gente urlante sugli spalti, aveva lasciato posto a gente seria, che ci fissava con lo sguardo clinico di chi deve capire chi siamo, capire su chi puntare la propria giocata per evitare di perdere tutti i soldi.
E alla fine sono riuscita a vederli. Lì, in fondo, su quel palco che avevo sempre odiato. Con lo sguardo fiero, Katniss Everdeen e Peeta Mellark. I loro volti si sono soffermati su di me, forse anche un po’ più del dovuto, come se avessero appena capito chi fossi.
 

*Angolino autrice*
E tra gli impegni e internet che non andava,
tra momenti di panico per vari compiti e interrogazioni,
la mia mente ha creato questo capitolo,
anche se devo ammettere che
essendo un capitolo di passaggio
non mi ha entusiasmato come quello scorso.
Voi che ne pensate?
Let me know!
A presto,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 8
*** Situazioni imbarazzanti ***


CAPITOLO 8 – SITUAZIONI IMBARAZZANTI

Quando i carri hanno iniziato la loro sfilata i miei occhi cercavano con ansia il dodicesimo carro.
Eccola!
Si stava guardando intorno spaesata.
Cosa non le quadra? Cosa c’è di diverso questa volta?
Non mi piaceva guardare i Giochi, ma quelle poche volte che l’ho fatto avevo notato, parecchio disgustato, l’entusiasmo dei Capitolini durante la parata...
Ecco! Ecco cosa c’è! Siamo tutti in silenzio...
La disposizione dei carri è stata la solita, Katniss e Peeta erano affacciati al balcone, al posto di Snow, stavano guardando ogni singolo tributo, quasi con la speranza che tutto ciò che era stato fatto da Capitol potesse essere estinto con quei ragazzi. Peeta teneva una mano intorno alle spalle di Katniss, speravo quasi parlasse lui, ma a quanto pare le mie speranze non sono state ascoltate, perché il discorso è stato fatto da lei.
«Benvenuti tributi di Capitol City in questa ultima edizione degli Hunger Games!» ha iniziato. «Tutti sapete bene come funzionano i giochi, e rispetto alle vecchie regole, solo una è stata modificata: ci potranno essere due vincitori, un ragazzo e una ragazza qualsiasi. Il resto delle regole valide da quando entrerete nell’Arena sono rimaste invariate. Detto questo, che i Settantaseiesimi ed Ultimi Hunger Games abbiano inizio!»

La mattina dopo la Parata dei Carri ero quasi delusa di essere da sola.
Avevo avuto di nuovo gli incubi, ma quella notte non c’era stato nessuno a tranquillizzarmi.
Dopo essermi lavata sono andata all’armadio, ma l’ho trovato vuoto, l’unico cassetto pieno era quello dell’intimo.
Almeno quello l’hanno lasciato! Ma adesso che mi metto?!
Mi sono guardata intorno. La stanza era la stessa, ma sulla scrivanie c’era qualcosa ripiegato.
Una maglia? Una maglia e dei pantaloni?!
Ho allargato la maglia per vederla meglio.
Nera. A maniche corte. Due strisce blu partivano dalle spalle e si univano in fondo alla maglia. All’altezza del seno c’era scritto un “C12” dello stesso colore delle strisce.
La stessa sigla c’era su entrambi i lati del pantalone (anche questo nero). Il tutto fatto di un materiale resistente ma elastico. Sembravano quasi di pelle, solo che più morbidi ed elastici.
Li ho indossati, e guardandomi allo specchio ho notato che mettevano in risalto tutto ciò che volevo nascondere. In generale non ero una persona che amava mettere in mostra il suo corpo, anzi, mi metteva molto in imbarazzo.
Sono rimasta scalza per andare di là, non mi interessava vestire bene o essere particolarmente educata
Oggi sarebbero iniziati gli allenamenti, oggi sarebbe iniziato l’Inferno.
Qualcuno ha fischiato quando sono entrata in sala.
Scommetto che è stato Jale.
Ma ho comunque tentato di far finta di niente.
Non ho salutato nessuno e mi sono accontentata del latte caldo e una fetta di pane con della crema di nocciole per colazione.
«Siamo di cattivo umore? O hai passato un’altra notte in bianco?» ha detto Haymitch con l’evidente intenzione di fare allusioni alla mattina precedente.
«Lasciami in pace Haymitch, non sono dell’umore giusto!» ho risposto acida.
«Perfetto! È solo cattivo umore, cominciavo a pensare di dover prendere precauzioni serie per...»
«Basta!» gli ho praticamente urlato in faccia alzandomi. «Ti ho detto che non è successo niente tra noi!»
Detto questo mi sono alzata e sono corsa in camera.

«Devi proprio trattarla così?» ho quasi urlato quando ho sentito la porta chiudersi.
«Gale, smettila, devo per caso ricordarti di chi è nipote?» mi ha risposto Haymitch.
«Ma che c’entra? Non può farci niente se è sua nipote!» mi stavo scaldando e sapevo che non andava bene, non andava per niente bene!
«Lei ti piace!» ha detto Jale, che fino a quel momento era stato zitto a guardare, con una punta di divertimento nella voce.
«Che... che cosa... che c’entra adesso?»
«Dio, Gale! Questo è puro masochismo! Ci sei ricaduto?! Vedi di fartela passare prima di subito questa volta, o non andrà a finire bene!»
Mi ha guardato con uno sguardo pieno di rimprovero e poi se n’è andato.
Jale aveva ancora un ghigno divertito, e mi stava fissando, poi improvvisamente ha cambiato espressione e con un sorriso triste ha aggiunto: «Beh, almeno vedi di non deluderla...»
E come gli altri si è alzato e se n’è andato, ma invece di andare nella sua stanza, si è diretto verso quella di Helene.
Ha bussato e, dopo aver aspettato qualche minuto, è entrato.
Gli piace veramente... ma questo in realtà già lo sapevo, non ho proprio nessuna speranza... Haymitch ha ragione, deve passarmi!
Mi sono messo sul divano con la speranza di non pensarci –senza riuscirci, ovviamente.

Ero stesa sul letto da meno di due minuti quando qualcuno ha bussato alla porta.
Jale, ma perché devi rompere così tanto?!
«Hel, Hel, posso entrare?» lo sentivo dire da dietro la porta.
Ad una mia "non risposta" ho sentito la porta aprirsi.
Diamine
Mi sono raggomitolata ancora di più nel letto. Non volevo mi vedesse in quelle condizioni.
Stavo sperando con tutto il mio cuore che se ne andasse, ma a quanto pare non era la mia giornata fortunata.
Si é seduto sul bordo del letto e ha posato una mano sul mio braccio.
«Ehi» ha sussurrato dolcemente. «Non prendertela, é Haymitch, é fatto così, sembra uno stronzo, ma in realtà é buono...»
A sentire quelle parole mi sono girata, e nel farlo ho sbattuto la spalla contro il petto di Jale. Senza che me ne rendessi conto si era sdraiato dietro di me, la mia schiena era ad un pelo da lui.
Ho sentito il sangue salire alla faccia.
«Che fai arrossisci, Snow? Ti mette ansia questa vicinanza?»
«Io non arrossisco. E non chiamarmi Snow, lo sai che mi da fastidio.» Mi sono sistemata in modo da guardarlo in faccia. Anche da così si vedeva che era più alto di me. «Perché dici così?! Come fai a saperlo?»
«Beh... perché dopo che te ne sei andata Haymitch ha capito che tu piaci a Gale, e gli ha detto di farsela passare, perché lo farai solo soffrire... in realtà gli vuole bene!»
«Già, a lui, non a noi.» ho detto abbassando gli occhi.
«Guardami.» ha detto in un sussurro appena percettibile, avevo anche paura di aver capito male, ma ho alzato lo stesso lo sguardo.
I nostri nasi a meno di un centimetro di distanza.
«Ho quasi un déjà-vu...» ho detto piano piano sorridendo, ma non ho aspettato la sua mossa, mi sono sporta un po’ più in avanti e le nostre labbra si sono incontrate di nuovo, dopo due giorni di mute richieste.
Baciarlo era come ritrovarsi a respirare dopo un'apnea prolungata. Era quasi come rinascere.
Non so dopo quanto tempo ho aperto gli occhi. Jale era sopra di me, puntato sulle ginocchia e sui gomiti per non farmi sentire il suo peso, con le mani tra i miei capelli.
Ho pensato che non c'era niente di male, in fondo ci stavamo solo baciando.
«Sai» ha iniziato a dire tra un bacio e l’altro. «Io gli ho detto di non deluderti... ma a quanto pare non dovrà neanche provarci...»
Ho sorriso contro le sue labbra.
Ci stavamo solo baciando...
Sono solo baci, fantastici, ma baci...
Solo baciando...

Finché una sua mano non é arrivata sotto l'orlo della mia maglia.
La sua mano era fredda, mi stava venendo la pelle d'oca. E solo quando mi sono ritrovata con la pancia completamente scoperta ho capito il suo vero intento.
«Fermo... fermo...» ho detto tra un bacio e l'altro. «Fermo, che stiamo facendo?!» ho aggiunto quando sono riuscito a staccarlo da me.
«Dicesi sesso, Hel. É quello che fanno due persone che si amano per coronare il loro amore!»
«No, quello é amor... aspetta!» mi stava guardando con un sorriso furbo sul volto. «Tu... tu mi ami?» ho chiesto poi in un sussurro.
«Ovvio, ancora non l'avevi capito?» mi ha chiesto sinceramente sorpreso.
«Io... no, in realtà no... mamma quanto sono stupida!!»
«Non sei stupida, semplicemente non mi hai creduto quando te l'ho detto la prima volta...»
In quel momento era praticamente seduto sopra di me.
Devo porre fine a questa situazione imbarazzante...
Stavo per parlare quando Jale si é piegato su di me, eravamo talmente vicini che riuscivo a sentire il calore del suo corpo.
«Perché, tu non mi ami?» ha chiesto con una voce insolitamente bassa.
«Io... io... ecco, io non lo so...» balbettavo sempre quando ero in difficoltà.
Come potevo dirgli che mi piaceva, ma che non volevo innamorarmi di lui? Che avevo paura di ciò che sarebbe successo una volta entrati nell'Arena e che per questo volevo estraniarmi dal mondo?
«Ecco...» ho ripreso. «La verità é che io ho paura. Paura di innamorarmi su serio e soffrire. Insomma siamo realisti, probabilmente moriremo e io non voglio vederti morire e rimanere sola, o peggio farti soffrire con la mia morte.» la velocità della mia voce aveva assunto livelli record. Le lacrime stavano raggiungendo gli occhi. «Non ce la farei ad andare avanti, tu hai ciò che resta di una famiglia. Tutta Capitol City si aspetta di vedermi morire, i miei hanno già preso in considerazione quest'idea, ci stanno già facendo l'abitudine, la tua é stata solo sfiga! Insomma...»
A quel punto ha deciso che dovevo stare zitta, quindi mi ha baciato.
Io ho iniziato a piangere, mi sentivo ridicola, ma non riuscivo più a fermarmi.
«Non dirlo neanche per sogno, tu non morirai, okay?»
«Okay...» ho risposto.
«Io ti porterò fuori di lì, e ti darò tutto il tempo di cui hai bisogno per innamorarti di me. A quel punto potremmo vivere la vita migliore del mondo, lontano da Capitol City, lontano da tutti. Non saremo più la nipote di Snow e lo sfigato del Quattro. Capito?»
Ho annuito e poi l'ho abbracciato.
Oh Jale... mi dispiace così tanto! Io so già che morirò, ma spero con tutto il mio cuore che tu possa uscire vincitore, non ho bisogno di dirtelo... di turbarti adesso, goditi il momento...
Siamo rimasti sdraiati e abbracciati per un'altra mezz'oretta. Poi abbiamo deciso che era ora di andare e siamo usciti dalla stanza.
All'inizio del corridoio c'era Gale, in piedi, con lo sguardo più triste che avessi mai visto in faccia ad una persona. Stava prendendo coscienza di una cosa a cui io non avevo ancora pensato: non so se razionalmente, o inconsciamente, io avevo scelto Jale.
«É quasi ora di andare, siete pronti?» ha detto con un tono di voce piatto.
Abbiamo annuito entrambi, poi ci ha sorpassato dicendo che andava a chiamare Haymitch.
C'é voluto un po’ prima di riuscire a farlo uscire dalla stanza, erano solo le nove e mezzo del mattino, e già era quasi ubriaco.
Senza neanche pensarci due volte Gale ha preso la brocca dell'acqua e gliel'ha versata addosso.
Haymitch ha imprecato e lui, quasi per scusarsi ha detto che Katniss faceva così quando lo trovava a casa ubriaco.
Adesso era fresco come una rosa, bagnato come un pulcino e arrabbiato in un modo che non mi era mai capitato di vedere: sembrava sul punto di afferrare un coltello per ucciderlo.
«Dai, va a cambiarti, dobbiamo quasi scendere!» era la prima volta che gli sentivo usare quel tono con Haymitch, la prima volta che sembrava autoritario. Aveva quel fascino particolare, che non svaniva neanche quando faceva il duro, anzi, sembrava aumentare, oserei dire, quasi in maniera esponenziale!
Ero praticamente incantata, tanto che Jale ha dovuto ripetermi la sua domanda per due volte.
«Dicevo, tutto bene?»
«Eh? Oh! Sì, sì, tutto bene... perché?»
«Eri imbambolata...»
«Ah, no, no, va tutto bene!» ho detto tentando di sorridere.
Abbiamo diligentemente aspettato il ritorno di quei due e poi siamo andati tutti insieme verso l'ascensore. Il viaggio di circa cinque minuti ovviamente l'abbiamo passato in silenzio, non che mi importasse, in realtà, avevo già abbastanza pensieri nella mia testa, altre chiacchiere non mi avrebbero aiutato di certo!
A circa metà della discesa un pensiero é entrato nella mia testa con la stessa potenza di un treno ad alta velocità che si schianta contro un muro che pochi secondi prima non c'era.
White!
E a quel punto il tempo sembrava non voler più scorrere.
La sala in cui siamo entrati era quasi vuota, c'erano solo i tributi del Quattro e del Dieci.
A quel punto ho deciso che se proprio dovevo morire, tanto valeva godersi quei pochi giorni che mi rimanevano!
Le due ragazze stavano chiacchierando, mi sono avvicinata a loro.
«Ehi ciao! Io sono Helene, voi siete le ragazza del Quattro e del Dieci, vero?»
«Sì, piacere, io sono Fannia, e lei é Volumnia.» ha detto la ragazza del Dieci.
«Ehi,» le ho detto. «tu sei nella mia stessa classe di matematica!»
«Già, ha detto lei, con quell'arpia della Circensis!»
«Hel! Hel!» era Jale, stavo per rispondergli sgarbatamente, ma non me ne ha dato tempo. «Vieni, dai! O Haymitch ucciderà qualcuno!»
«Arrivo!» gli ho urlato. «Scusate, devo andare... magari ci sentiamo dopo!»
«Certo!» mi ha risposto Volumnia sorridendo.
E detto questo me ne sono andata via correndo verso Gale, stava iniziando un dei giorni più imbarazzanti della mia vita...

*Angolino autrice*
Scusate l'attesa, le solite cose:
compiti, mancanza d'ispirazione...
Ma ora voglio pareri, tanti pareri,
sporattutto su Gale e Jale!
Alla prossima,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 9
*** Allenamenti particolari ***


CAPITOLO 9 – ALLENAMENTI PARTICOLARI

«Allora... tu sei piccolina, quindi non avrai molte possibilità in un corpo a corpo, ma ci alleneremo lo stesso. Per adesso, però vorrei concentrarmi sulla caccia e il tiro con l'arco. Va bene?» ha iniziato Gale.
«Sappi che non ho la più pallida idea di quello che hai detto, ma se lo dici tu, va bene!» ho risposto.
Ha impiegato più di un’ora a spiegarmi come si costruiva una trappola per conigli, e, dopo vari tentativi, sono riuscita a riprodurre qualcosa di simile a quello che aveva fatto lui.
Poi siamo passati alla postazione del fuoco. L'unica cosa che sono riuscita a fare é stato un filo di fumo e parecchi graffi sulle mani. Abbiamo rinunciato quando un graffio sul palmo ha iniziato a sanguinare.
E con questa scusa siamo passati alla postazione delle erbe. Mi ha insegnato a riconoscere le erbe medicinali più comuni. Quando abbiamo iniziato ad usarle, nonostante sia stata attenta alla spiegazione, ne ho scambiata una buona con una velenosa. A Gale è preso un colpo!
In quel preciso istante stava guardando Jale e Haymitch che si allenavano nella lotta libera. Ero convintissima d'aver preso quella giusta, ma quando si é girato e ha visto con cosa mi stavo bendando il graffio ha urlato e mi ha dato uno schiaffo sulla mano per evitare il tutto!
Mi ha spaventato a morte, continuava a ripetere “Quella era velenosa! Stavi per ucciderti!", poi si é fermato e mi ha abbracciato.
«Non farlo mai più.» mi ha detto.
«Scusa... la prossima volta aspetterò un tuo sguardo, per capire cosa fare.»
Poi mi ha allontanato, mi ha fatto mettere seduta per terra, si é inginocchiato davanti a me e ha fasciato la mia ferita con le sue mani grandi e ruvide, spiegandomi la leggera differenza che c'era tra la pianta giusta e quella che invece avevo quasi usato io: una fogliolina di troppo tra l'inizio della foglia vera e propria e il “gambo".
Ho notato lo sguardo di Jale fisso su di noi. Io l'avevo baciato, ma non ero più sicura d'aver fatto la cosa giusta.
A quel punto é suonata la pausa pranzo.
In meno di mezzo secondo Jale m'è piombato addosso, posando una mano sul mio fianco.
Non ho badato molto al pranzo, non avevo molta fame, e con Jale vicino concentrarsi era impossibile.
Prima ha tenuto una mano attorno alle mie spalle, poi é sceso sul fianco, poi sul ginocchio vicino a lui, poi mi ha scostato i capelli da davanti agli occhi... un misto di tortura piacevole e spiacevole.
«Jale... Jale, per favore, non é che potresti smetterla?» gli ho sussurrato.
«Perché? Che male c'è? Dopotutto stiamo insieme, no?»
«Sì, cioè no... Cioè, non lo so... Te l'ho detto come la penso, non dovremmo affezionarci uno all'altra.»
«Lo so... E me ne infischio!» ha risposto subito prima di baciarmi.
Oh no! Non davanti a tutti!
«Ehi, ehi, voi! Scollatevi un attimo!» ha detto Volumnia.
Io mi sono allontanata arrossendo.
«Dobbiamo parlarti» ha aggiunto Fannia.
«Sì, arrivo. Jale, fammi passare...»
«E se non volessi?» ha detto con uno sguardo furbo dipinto sul volto.
«Se non mi fai passare subito ti picchio!»
«Con quelle mani?» ha chiesto afferrandole. «Non riusciresti a farmi neanche il solletico!»
«Smettila!» ho aggiunto scostandolo in malo modo. «Scusatelo, é solo un povero pirla!»
Mi hanno guardato sorridendo, mi sono alzata, e ci siamo allontanate, andandoci a sedere ad un tavolo appartato.
«Ti allei con noi?» ha chiesto Volumnia senza girarci intorno.
«Cosa?»
«Ti allei con noi?» ha ripetuto Fannia.
«Ma voi sapete che se vi alleate con me vi uccideranno, vero?»
«Perché pensi che se non lo facciamo riusciremo a sopravvivere? » mi ha chiesto Volumnia.
«Forse sì...» ho risposto triste. «Comunque sappiate che non sono sola... Con me ci sono sicuramente White, che é la mia migliore amica, e Jale, che ha già promesso di tirarmi fuori di qui “per vivere la nostra fantastica vita insieme”, ancora non l'ha capito che non uscirò da lì...»
C'è stato un po' di silenzio, probabilmente le avevo sconvolte con la mia consapevolezza della realtà, ma era una delle poche cose che sapevo per certo.
«Senti, mi dispiace per quello che dici, e probabilmente non possiamo farci niente, ma ti vogliamo in squadra, ci stai simpatica, e vogliamo passare i nostri ultimi giorni con gente simpatica, anche se dovesse significare avere in squadra la tua migliore amica e il pirla!» ha detto Volumnia, mi piaceva quella piccoletta (sì, era più piccola di me, sia fisicamente che d'età!): diceva le cose come le pensava, senza mentire.
«Se volete rischiare così tanto, ed avere nella vostra squadra una mina vagante, la sua migliore amica e un pirla... fate pure, a me va bene...»
«Perfetto!» mi ha risposto Fannia, sprizzante di gioia. «Vado a dirlo alla mia mentore, così potrà parlare con i vostri! Andiamo Vol! Ciao Helene!» e poi é scappata via, trascinando l'amica con lei.
Sono tornata al tavolo e ho trovato White seduta davanti a Jale.
«Ehi Hel!» ha detto quando mi ha visto. «Come sono andati i tuoi allenamenti?»
«Bene, grazie, mi sono quasi uccisa e ho praticamente distrutto le mie mani, ma bene, i tuoi?»
«Noiosi... io non mi sono distrutta niente! E tu devi ancora spiegarmi qualcosa!» ha detto alludendo a Jale.
«Ci sarà tempo per spiegare tut-...»
«Ah!» mi ha interrotto Jale. «Che volevano quelle due?»
«Ah, già! Belli miei, vi ho appena fatto guadagnare un'alleanza!»
Sono rimasti a bocca aperta. Poi White ha detto che aveva stretto amicizia con Fir, il ragazzo del Sette, che per questo avrebbe seguito gli altri allenamenti con lui e la sua mentore pazza, Johanna Mason, e che quindi si sentiva in dovere di far entrare anche lui.
«Per me non ci sono problemi, ma devi parlare con Fannia e Volumnia, guarda, sono laggiù!»
Si é alzata ed è andata da loro, tornando poco dopo per dirci che per loro andava bene.
«Abbiamo chiacchierato un altro po’, poi é suonata la campana che segnava l'inizio degli allenamenti.
Nel pomeriggio ci siamo dedicati ad attività più pratiche, per vedere se potevo approfondire qualche attività particolare.
Siamo partiti dalle cose più improbabili.
Il lancio di cose pesanti non fa per me.
L’ascia riuscivo appena a tenerla in mano, idem con la mazza.
La spada riuscivo quasi a maneggiarla, ma mi rallentava molto.
Con i pugnali andavo meglio, ma dovevo migliorare la mira.
La lancia facevo fatica ad usarla, era più alta di me, e non faceva altro che essermi d’intralcio.
Con l’arco me la cavavo bene, c’era il problema della mira, ma rispetto alle altre armi andava molto molto meglio.
L’ultima cosa che abbiamo provato alla fine del pomeriggio è stata la lotta libera.
La cosa più imbarazzante del mondo.
Ci siamo messi in posizione: le mani di uno poggiate sulle spalle dell’altra e viceversa.
«Come abbiamo già detto, tu sei piccolina, significa che devi sfruttare la forza del tuo avversario. Quando ti verranno addosso, e finirai per terra, punta un piede sulla sua pancia, e calcia. In questo modo dovresti riuscire a buttarlo via. Capito?»
Ho annuito, ma non ero molto convinta.
«Se invece ti ritrovi così, cerca di sfuggire dalla sua presa. Tenterà di buttarti a terra, tu cerca comunque di sfuggire. Proviamo?»
«Ehm... okay, proviamo...»
Pochi secondi ed ero con la schiena sul pavimento. Eravamo su dei tappetoni, quindi la botta doveva essere leggera, non per me...
«Ahi.» ho borbottato.
Avevo gli occhi chiusi, sentivo Gale che mi chiamava, non era allarmato... era divertito...
Ho alzato un sopracciglio tenendo gli occhi ancora chiusi.
È scoppiato a ridere.
«Mi stai prendendo in giro?» ho chiesto quasi arrabbiata.
«No, ma hai un’espressione bellissima!» ha risposto continuando a ridere.
Ho aperto gli occhi lentamente. Mi teneva le mani bloccate all’altezza della testa, e si poggiava sulle ginocchia, che i trovavano ai lati dei miei fianchi.
Le nostre facce erano a meno di venti centimetri.
I muscoli delle braccia erano tesi.
È così dannatamente sexy!
«Ehm... ma dobbiamo rimanere così per sempre?» ho chiesto un po’ in imbarazzo. «Non che mi dispiaccia, eh... cioè, sì, no... mi stai confondendo!» ho aggiunto alla fine.
«Stai facendo tutto da sola... e se io invece mi avvicinassi ancora?» ha chiesto piegando le braccia.
«Gale, ci stanno guardando tutti...» ho risposto. «Jale darà di matto...» ho sussurrato poi, più a me stessa che a lui.
«Se proprio non vuoi, liberati dalla presa!»
«Odio quando fai così, ma devo salvare le apparenze!»
Tentavo di liberarmi, mi dimenavo, ma più mi muovevo, più la sua presa diventava ferrea.
«Smettila!» ho bisbigliato.
«Di fare cosa? Di allenarti? E se ti capitasse un corpo a corpo contro quello dell’Undici? E se finissi così nell’Arena?»
«Nessuno qui è forte come te. Nessuno ha il tuo fisico. Non capiterà.»
«Non puoi saperlo!»
Ho riprovato a dimenarmi e ho sentito la sua presa allentarsi. Sicuramente lo stava facendo apposta!
Ho dato una botta al gomito destro che si è piegato verso l’esterno, sbilanciandolo. Quasi contemporaneamente ho fatto pressione sulla spalla sinistra, nella speranza di ribaltarlo.
Non ci sono riuscita, ma l’ho spostato abbastanza da permettermi di sgusciare via dalla sua presa.
Ci stavano guardando tutti.
Ci siamo alzati e abbiamo iniziato a girare in tondo.
Gale ha fatto un paio di finte, nel tentativo di spaventarmi, senza però riuscirci: avevo due fratelli e due cugini più piccoli, sapevo riconoscere una finta.
Poi si è scagliato contro di me. Ho provato ad usare quella tecnica che mi aveva spiegato all’inizio, ma non ho dato abbastanza slancio, quindi ci siamo ritrovati proprio come stavamo cinque minuti prima, con l’unica differenza che, questa volta, ho reagito subito.
Gli ho dato una botta con il gomito destro, sollevando la stessa spalla. L’ho colpito sulla mascella e avevo paura d’avergli fatto male, ma è spuntato un sorriso sul suo volto.
Il divertimento era appena cominciato.
La mia gamba destra era ancora piegata, puntata sulla sua pancia, ho fatto forza e ho sollevato l’altra gamba. Con un gesto fluido ho abbassato la gamba destra, con la mano ho afferrato la sua spalla destra, tirandolo giù.
Sono riuscita ad invertire le posizioni.
«Atterrato!» ho detto con aria trionfante.
«Non ci giurerei.» mi ha risposto poco prima di buttarmi a terra e tornare sopra di me.
Mi bloccava le gambe con le sue ginocchia.
«Hel.» ha sussurrato. «Ho aspettato, ho visto come andavano le cose, ma non posso più aspettare. Non ce la faccio. Devo provarlo... almeno una volta.» ha aggiunto subito prima di baciarmi.
 
*Angolino autrice*
Allora, per prima cosa vorrei ringraziare chiunque abbia continuato a leggere la storia,
nonostante la mia discontinuità, alcuni continuano a leggere.
Vi ringrazio con tutto il cuore,
significa molto per me!
Questo capitolo è un pochiiiiiino più corto degli altri,
ma mi volete bene lo stesso, vero?!
VERO?!
Anyway, vorrei chiedervi di esprimere un parere sulla storia,
e soprattutto su chi dei due preferite con Helene!

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Capitolo 10
*** Odi et amo ***


CAPITOLO 10 – ODI ET AMO

Nello stesso momento in cui ho posato le mie labbra sulle sue ho pensato di star per ricevere uno schiaffo... e invece no.
Lentamente le sue mani si sono poggiate sul mio volto, e il bacio è diventato più passionale di ciò che avevo previsto.
Ho sentito qualcosa afferrarmi per la camicia e tirarmi su. Separarmi da lei, da quella ragazza che, a quanto pare, mi voleva almeno quanto la volevo io. Nel momento in cui ho realizzato che era stato Jale a tirarmi su, mi è arrivato un pugno in faccia, che mi ha dato l’impressione di farmi schizzare gli occhi fuori dalle orbite.
Non volevo far iniziare una rissa, ma lui mi ha colpito di nuovo, sbraitando qualcosa come “stai lontano dalla mia ragazza”, e allora non ho potuto non reagire.
Con la coda dell’occhio ho visto quell’amica di Helene allontanarla da noi. Probabilmente non stavo facendo una buona impressione agli altri mentori, ma non mi interessava.
La rissa è durata poco, sono arrivate quasi subito le guardie, capirai, poi!, quella è tutta gente del Tredici, da loro una rissa si punisce con minimo un anno di galera!
Mi hanno trascinato da Katniss.
Ahi, ahi! Se mi portano da Catnip ho combinato veramente un bel guaio...
«Ma sei scemo?!» mi ha urlato in faccia appena sono entrato.
«Buongiorno anche a te, Catnip.»
«Non chiamarmi Catnip. Sono arrabbiata con te, e non mi farai cambiare idea così.»
«Lungi da me Signorina Everdeen, o meglio, Signora Mellark.» stavo diventando insopportabile, me ne rendevo conto.
«Signorina. Non siamo ancora sposati.»
«Mi inviterai?» ho chiesto con una punta di sarcasmo.
«Non cambiare discorso. Non ti sei comportato bene. Siamo qui per discutere di questo.»

«Jale! Jale! Aspetta... Jale!» continuavo a gridare per tentare di fermarlo. Gli correvo dietro, ma per quanto mi sforzassi, rimanevo indietro.
«Jale! Per favore...» avevo assunto un tono supplichevole, ormai.
«Per fare cosa?!» è sbottato voltandosi. «Per sentirmi dire che non è stata colpa tua? Per sentire che non volevi baciarlo? Andiamo Hel! Non sono stupido! Ho visto che hai risposto al bacio!» era molto arrabbiato... o forse deluso. «Non sono così stupido...»
«No... io non... non volevo...»
«No, allora volevi dire che ti dispiace, vero?! Che non è stata colpa tua se ti ha baciato? Che non hai deciso niente? Beh, ha fatto la tua scelta rispondendo al bacio, hai scelto lui e non me! Alla faccia del “nessuno-deve-affezionarsi-a-me”! ti ringrazio molto per avermi mentito in questi giorni.»
Era già arrivato agli ascensori, si è girato, e senza guardarmi ha premuto un tasto, probabilmente il 12 e ha lasciato che le porte si chiudessero, lasciandomi lì, sola, a piangere inginocchiata per terra.
 
«Allora, che è successo?!» ha detto scocciata.
«Ci stavamo allenando nella lotta, ad un certo punto pensava d’avermi battuto, io ho ribaltato le posizioni, e l’ho baciata, pensavo mi avrebbe respinto, ma non l’ha fatto, quell’idiota di Jale non c’ha visto più e ha attaccato briga. Tutto qui.»
«Tutto qui?» ha chiesto con una faccia esterrefatta. «Spero tu stia scherzando! Hai baciato un tributo e ne hai picchiato un altro!»
«E allora? Ho baciato una ragazza. Cosa ti aspettavi? Che sarei rimasto solo per sempre perché tu mi hai rifiutato?! E la rissa è stata solo una conseguenza di quello che è successo!»
«No, Gale, mi aspettavo solamente un comportamento più maturo da parte tua. E non ti ho rifiutato. Sai cosa è successo, sai che sono stata costretta, e sai perfettamente che se Peeta non fosse entrato nella mia vita, se non fosse successo tutto quello che è successo in questo anni, avrei scelto te!»
«Non mentirmi Katniss.» sapevo perfettamente di essere entrato in particolari fin troppo privati, sapevo perfettamente di essere duro, e forse anche un po’ ingiusto nei suoi confronti. «Non avresti scelto me. Soprattutto, non dopo quello che è successo a Prim. Anche se sai benissimo che non sapevo quando avrebbero lanciato quella dannata bomba!»
«Ti sbagli.» il cambiamento delle emozioni in quella stanza, in quel momento, era terrificante. Ora era triste. Non dovevo tirar fuori Prim. «So benissimo che ciò che è successo non è colpa tua, ma quando è successo ero troppo arrabbiata per ammetterlo, e mi ha fatto comodo pensare che fosse colpa tua per superare la cosa.»
«Mi fa molto piacere sapere questo... pensavo mi odiassi, e invece mi hai solo usato. Grazie per avermi reso partecipe.»
«Ti prego, smettila...» si era alzata e mi aveva messo una mano sulla spalla. Mi sentivo in imbarazzo a rimanere seduto, così mi sono alzato anche io. Ero più alto di lei, e in quel momento, mi sembrava ancora più piccola dall’ultima volta che l’avevo vista, sapevo che quello non era il posto per lei, non era adatta a fare il Presidente.
Il suo posto è nei boschi. Nei boschi con Peeta e i loro figli. Già, Peeta, è lui la sua anima gemella, ormai ne sono sicuro, il suo posto è assolutamente con lui. E anche se so che lei non vuole figli, ne avranno sicuramente. Solo lui può consolarla veramente, può farlo solamente lui, perché solo lui sa quello che ha visto e che ha provato in quelle due Arene. E anche se all’inizio sarà dura, io supererò la cosa in un modo o nell’altro, anche se, alla fine di tutto ciò, probabilmente me ne dovrò andare. Per sempre, o quasi.
E poi è successo, subito dopo aver constatato e praticamente accettato tutto ciò, è accaduto l’impensabile.
Mi ha baciato. Un bacio passionale, più di quello che io diedi a lei prima della sua partenza per la seconda Arena.
Una cosa che mi ha parecchio sconvolto.
«Che cosa stai facendo?!» le ho detto allontanandola.
«Dovevo vedere che effetto mi faceva... dovevo capire se provavo ancora qualcosa per te...»
«E...?» ho chiesto, sembrava quasi avessi assunto un tono speranzoso, in fondo era stato bello, credo...
«E non lo so, anche se probabilmente ho sbagliato a baciarti, dopotutto, come hai detto tu, io sto con Peeta, e tu devi rifarti una vita. Scusami.» ha detto abbassando lo sguardo. «Ah, probabilmente adesso ti sembrerà importante» ha aggiunto allontanandosi. «ma non affezionarti più di tanto, non voglio vederti soffrire ancora.»
Si è seduta, e a quel punto ho capito che me ne dovevo andare.
Mi sono voltato e ho chiuso la porta senza guardarmi indietro.


Quando due mani si sono posate sulle mie spalle, il mio cuore ha perso un battito.
Non avevo la più pallida idea di quanto tempo fosse passato, o da quanto stessi piangendo.
White mi ha aiutato ad alzarmi e mi ha abbracciato.
«Tranquilla... andrà tutto bene.» continuava a sussurrare nel tentativo di calmarmi.
«Mi... mi dispiace... non averti... raccontato tutto...» sono riuscita a dire tra un singhiozzo e l’altro.
«Non preoccuparti, non abbiamo avuto tempo per parlare...»
«Io non volevo, White, giuro che non volevo combinare questo casino! Io non ci sto capendo più niente! Voglio solo che finisca tutto!»
«No, tu non lo vuoi! Si sistemerà tutto e alla fine usciremo da quella dannata Arena!»
«No, White, non uscirò da lì! Mi uccideranno il prima possibile, fidati...»
«Non dirlo, non voglio sentirlo, perché se non lo sento, non è vero, e non voglio che sia vero! Ora va su, stenditi e dormi, mangia qualcosa questa sera e, se puoi, non uscire dalla stanza. Ci vediamo domani, stupida.» mi ha salutato sorridendo.
«Va bene, idiota.» ho risposto accennando un sorriso, o qualcosa di simile...
Mi sono diretta verso l’ascensore che prima aveva ospitato Jale e ho premuto quel dannato “12” che pi avrebbe portato al dannato attico dove stavamo.
Speravo di non incontrare nessuno, ma ovviamente Haymitch era piantonato davanti alle porte dell’ascensore.
«Ce ne hai messo di tempo per tornare di sopra, che hai fatto in tutto questo tempo? Ti sei persa e qualcuno per sbaglio ti ha baciata?» ha iniziato sarcastico. «Aah! No, tu hai pianto! Fammi indovinare, sei talmente indecisa su chi far soffrire di più che hai avuto una crisi isterica?!»
Ero ferma poco fuori dall’ascensore, le porte erano ancora aperte, non abbastanza vicina da poterci rientrare al volo, ma troppo lontana da Haymitch per potergli tirare una sberla, così mi sono semplicemente lanciata addosso a lui, nel tentativo di fargli almeno un po’ di male.
Neanche gli sono arrivata vicino che le sue mani hanno afferrato i miei polsi.
«Sono di Capitol City! Non sono un mostro.» ho detto con rabbia.
Mi ha attirato a sé, in modo da dover solo sussurrare per farmi capire cosa stava dicendo.
«È qui che ti sbagli. Voi siete tutti mostri. Siete cresciuti guardando gli Hunger Games come se fossero dei semplici giochi, mentre noi che eravamo costretti a guardarli, vedevamo amici e parenti morire!»
«Io li ho sempre odiati.» ho detto tentando invano di liberarmi.
«Certo, dicono tutti così.» ha risposto prima di spintonarmi via.
A quel punto sono corsa via in camera, per fare come mi aveva detto White.


Ho dovuto aspettare un po’ prima di poter riprendere l’ascensore, erano tutti occupati, e il primo che si è liberato è dovuto scendere proprio dal dodicesimo piano.
Sono salito facendo tutto il viaggio con la coscienza che avrei trovato Haymitch all’uscita.
«Che voleva Katniss?» ho sentito chiedere prima che le porte si aprissero del tutto.
Per un attimo ho considerato l’idea di dirgli tutta la verità, bacio compreso, ma ho cambiato quasi subito idea, pensando alle conseguenze.
«Mi ha fatto una lavata di capo, dicendo che non avrei dovuto attaccare briga con un tributo.» ho risposto, cosa che poi, alla fine, non era neanche una bugia.
«E del bacio?»
«Ha detto che avrei potuto evitarlo.»
«Okay. Va a vedere se c’è qualcosa per quell’occhio nero.» ha detto. «Ah, non credo si cenerà insieme questa sera... o quelle a venire!» ha aggiunto subito prima di scolarsi quel che restava del suo bicchiere e buttarsi sul divano.
Non ci voleva molto per capire che non ci sarebbero più state cene di gruppo.
Sono andato in camera, non avevo voglia di fare niente, così mi sono messo sul letto, e ho semplicemente iniziato a pensare a quello che aveva detto Catnip poco prima.
‘Non voglio vederti soffrire ancora’. Gale, è inutile che continui a pensarci, la ucciderà anche se non sei d’accordo. Ed è inutile dire che non soffrirai. Però riuscirai a convincerla a non farlo... no, non ce la farai mai... e a quel punto, forse, sarai tu a non riuscire a guardarla in faccia.


Inutile dire che a starmene in camera mi stavo già rompendo. Avevo dormito un paio d’ore e avevo ordinato qualcosa da mangiare in stanza... non che avessi molta fame, ma mi rendevo conto di dover mettere qualcosa nello stomaco.
Mezzo piatto e niente di più.
Ho bisogno d’aria.
Un senso d’oppressione aveva iniziato a stringermi. Aria. Cercavo aria con tutta me stessa. Ogni singola cellula del mio corpo necessitava di aria.
Sono uscita di soppiatto dalla mia stanza e mi sono diretta nel salone, fino a quel momento regnava il silenzio.
Aria. Mi serve aria.
Le tende che nascondevano il finestrone che dava sulla città si muovevano lentamente, una brezza leggera riempiva la stanza. Qualcuno era sul balcone.
Oh no...
Non mi sentivo in grado di poter affrontare qualcuno. Nessuno di quei tre mi avrebbe voluto parlare in quel momento.
Mi gira la testa.
«C’è nessuno?» ho sussurrato incerta.
Non mi ha risposto nessuno, ma mentre i miei occhi si ambientavano alla poca luce notturna, si è delineata la figura di un ragazzo. Troppo giovane per essere Haymitch, troppo piccolo per essere Gale.
Jale.
Mi sono messa vicina a lui. Aveva un bicchiere vuoto in mano e fissava il panorama, il profilo dei palazzi ancora illuminati nonostante l’ora.
«Ehi.» ho iniziato. «Senti, seriamente, mi dispiace. Non volevo combinare questo casino, non volevo combinare niente a dir la verità, ma è vero, lui mi ha baciato, e io ho risposto al bacio, questo non posso negarlo.»
Non ero mai stata brava a chiedere scusa, perché mai nella vita avevo avuto il coraggio di rischiare e fare qualcosa di cui sapevo già che me ne sarei pentita.
«Ti prego, di qualcosa...» il tono supplichevole della mia voce mi imbarazzava quasi, ma non potevo farci molto, mi stavano salendo le lacrime, e quando mi veniva da piangere il tono della mia voce cambiava automaticamente. «Non devi perdonarmi, non so neanche se voglio essere perdonata, perché non so cosa provo, o cosa voglio da ciò che rimane della mia vita, e in realtà ho anche paura di scoprirlo. Ma ti prego, di qualcosa...»
Ha sospirato. Era già qualcosa.
La mia testa, non smette di girare. Odio quando fa così.
«Odi et amo. » ha iniziato, voltandosi verso di me. «Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.»
«Co-cosa?» ho chiesto confusa. Non sapevo che lingua fosse, quindi non avevo capito molto.
«È una vecchia poesia che, per tradizione, nella mia famiglia i nonni insegnano ai nipoti quando compiono dieci anni.» mi ha detto. «Significa “Ti odio e ti amo. Perché faccio ciò, forse ti chiedi. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento.”»
È stata l’ultima cosa che ho sentito, mentre la mia visuale si oscurava e la gravità mi schiacciava a terra.
 

 *Angolino autrice*
Okaaaay, chiedo tanto perdono a tutti!
È stato un mese T R E M E N D O!
Un paio di compiti, il campo scuola,
sono stata rifiutata dal ragazzo che mi piace,
varie interrogazioni e un ungherese fighissimo a casa mia per una settimana!
È divertente il fatto che,
nonostante il capitolo sia stato scritto prima di molti fatti,
io ed Helene proviamo gli stessi sentimenti.
Anyway! Questo è il capitolo.
Sì, “Odi et amo” alla fine del capitolo è lì per un motivo preciso.
Dicesi “Deformazione professionale”
e questo è il motivo per cui il liceo, in parte (una parte molto grande), fa male!
Let me know what you think about that!
Lady_Periwinkle

 

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Capitolo 11
*** Per l'ultima volta ***


CAPITOLO 11 – PER L’ULTIMA VOLTA
 
Le urla che mi hanno svegliato si fondevano talmente tanto con l’incubo che stavo facendo, che c’ho messo un po’ prima di capire che c’era realmente qualcuno che bussava con foga fuori dalla mia porta.
«Gale! Gale!» era Jale. «Gale, per favore, muoviti Gale!» sembrava spaventato.
Mi sono alzato senza fretta e ho aperto la porta.
In mezzo secondo l’aria nei polmoni non m’è bastata più.
Helene era pallida, bianca come un lenzuolo, il contorno delle sue labbra non si distingueva più. Era in braccio a Jale, che stava andando nel panico sempre più ogni minuto che passava. Aveva preso la porta a calci fino a svegliarmi.
«Portiamola a letto.» ho detto cercando di sembrare il più autoritario possibile.
L’abbiamo messa a letto, sotto le coperte, ma non avevo la più pallida idea di cosa fare, così ho pensato a quella volta in cui la mia sorellina era svenuta e mamma l’aveva stesa e le aveva alzato le gambe.
«Dobbiamo alzarle le gambe.» ho detto all’improvviso, prima di accorgermi di una macchia di sangue sulla manica di Jale.
«Ha sbattuto la testa?» ho chiesto.
«Che cosa?» sembrava stordito, così gli ho afferrato la manica.
«Ha sbattuto la testa?!» ho quasi urlato questa volta.
«Oh mio Dio! Sì... non mi ero accorto del sangue...»
«Vai a chiamare un medico, corri, scendi al primo piano e chiama un cazzo di medico!» mi stavo innervosendo, dovevo mantenere la calma.
Jale c’ha messo cinque minuti per tornare con qualcuno, giusto il tempo materiale che serviva per scendere, trovare qualcuno e risalire.


È quando anche aprire gli occhi diventa faticoso che capisci che qualcosa è andato storto.
È quando scopri che non riesci neanche a parlare che capisci che è successo qualcosa di molto grave.
Una mano ha afferrato la mia. Forse non si era accorto, chiunque avesse afferrato la mia mano, che mi ero svegliata. 
«Dai, Hel!» era Jale. «Svegliati diamine... dammi un segno, qualsiasi cosa!»
Ho provato a muovere la mano, ma con scarsi risultati... ho mosso solo il pollice.
«Da... quanto... tifi... per me?» ho sussurrato.
«Helene! Grazie al cielo, ti sei svegliata!»
La gola bruciava, la testa era un casino, dovevo riordinare le idee, ma avevo paura di non riuscirci, a causa del mal di testa che avevo, ma soprattutto di non riuscire a dire tutto quello che volevo.
Lentamente riesco ad aprire gli occhi. Sono nella mia stanza, Jale è accanto al mio letto, come quella mattina in cui mi disse che avevo avuto gli incubi.
Tento di guardarlo in faccia, ma muoversi per il momento era troppo. Ho leggermente accennato una smorfia, così si è sporto.
«Ehi...» ha detto dolce. «Tutto okay?»
Ho accennato un sì, di cui non ero molto convinta neanche io.
Appena i miei occhi hanno rimesso a fuoco quello che c’era davanti a me, ho visto lo zigomo nero di Jale.
Gli sfioro il livido, vorrei parlare, ma ancora non ero sicura di poterci riuscire, e come per dare il colpo di grazia, le lacrime stavano ricominciando a salire.
«Questo... a causa mia...» riesco a dire con molta fatica, vedo che vorrebbe rispondermi, ma gli faccio cenno di no con la testa, non avevo finito.
«Non dovresti essere qui, nessuno di voi due dovrebbe essere qui.» la mia voce stava lentamente riacquistando il suo solito timbro, ma la gola continuava a bruciare leggermente. «Voi dovreste odiarmi, non aiutarmi!»
Si è leggermente allontanato, stava sorridendo.
«Odi et amo, ricordi?» mi ha risposto lui. «È l’unica cosa che ci unisce, l’unica cosa che ci permette di capire i comportamenti dell’altro...»
«La poesia è l’ultima cosa che ricordo... che cosa è successo dopo?»
«Oh, beh, tu eri a terra, e hai iniziato a perdere colore, il mio bicchiere ha fatto un volo di dodici piani, sfracellandosi al suolo, poi ti ho preso in braccio e ti ho portato da Gale, perché sapevo che portarti da Haymitch sarebbe stato inutile... comunque dovresti riposare, almeno un pochino... le tue labbra stanno ritornando bianche, quindi, dormi... io resterò qui.» ha detto infine con un tono che non ammetteva repliche.


Sentire le loro voci e sapere che Jale non mi avrebbe chiamato per dirmi che si era svegliata, mi ha fatto molto male.
Più passa il tempo, più lo ritengo insopportabile sotto questo punto di vista.
Hanno finito di parlare e dopo poco ho fatto finta di stiracchiarmi, come se mi fossi appena svegliato.
Jale si è a malapena accorto che avevo aperto gli occhi, aveva un’espressione mista tra il preoccupato e il felice
«Allora? Ci sono novità?» ho chiesto piano, come per non far rumore. Helene aveva un respiro regolare, probabilmente si era già riaddormentata.
«Si è svegliata poco fa, mi dispiace non averti svegliato, ma, veramente, è stata sveglia due minuti, poi le sue labbra stavano riperdendo colore, quindi l’ho fatta mettere a riposare di nuovo, si è riaddormentata subito.»
«Okay, grazie... senti, se vuoi andarti a riposare, vai pure, resto io qui... dopotutto, tu dovrai allenarti, non io...» nello stesso momento in cui ho parlato mi sono reso conto che lo stavo cacciando, non è stata una cosa intenzionale, ma il mio tono esprimeva tutto il fastidio che, in quel momento, lui stava suscitando in me.
«Sì, grazie, credo che andrò a schiacciare un pisolino di qualche ora, giusto per non passare la notte in bianco. Tu vedi di non riaddormentarti.» mi ha risposto ironico. Dopotutto non potevo lamentarmi, ci stavamo lanciando frecciatine come due adolescenti idioti... beh, lui era adolescente... e anche idiota, ma io no.
È uscito dalla stanza tranquillamente, e io ho spostato la mia sedia vicino al letto, mi sentivo uno stupido per non essere intervenuto durante la loro conversazione, li avevo lasciati fare, ma alla fine era così che mi sarei dovuto comportare d’ora in poi, quindi, era meglio iniziare subito e farci l’abitudine!
Ricorda quello che ha detto Katniss, anche se non sei d’accordo, alla fine sarà lei a dover fare i conti con le sue decisioni.
Mancavano poche ore all’alba, non si è mossa più di tanto, e ha dormito abbastanza tranquilla, quindi tutto sommato, non ero teso.
Quando ho sentito che Haymitch si stava alzando –facile intuirlo, tutte le mattine si alzava strillando perché non trova l’alcol che ha finito la sera prima.– sono uscito dalla stanza per andare in cucina e fare finta di mangiare. 
«Ti sei svegliato presto?» mi ha subito chiesto.
«Sì... non riuscivo a dormire, sai, quest’occhio non mi dava pace!»
«Mmh... ho bisogno di mangiare... e bere.»
«Dovresti smetterla di bere di prima mattina, non ti fa bene.»
«Ma sta zitto e lasciami in pace!»
«Come vuoi.»
Ho fatto finta di niente il più possibile, e quando Jale è uscito dalla sua stanza è bastato un attimo per fargli capire che doveva stare zitto è non menzionare Helene.
«Buongiorno.» ha mugugnato.
«Ma tu guarda che bella coppietta! Un occhio e uno zigomo nero! Un amore!»
«Già, molto divertente.» ho cercato di sdrammatizzare.
«Vedete di non combinarne altre. A proposito, ma Helene?»
Ahi... devo inventarmi qualcosa...
«Beh... ancora non si è svegliata, se proprio non si sveglia tra un’oretta, comincerò a bussare alla porta.»
«Oh, la bella addormentata non ha messo la sveglia, si farà desiderare... vedi di non approfittarne!»
«Ah! Figurati, non mi interessa quella!»
È più difficile dirlo piuttosto che pensarlo... 
«Meglio così! Dai, Jale, andiamo!»
Li ho guardati prendere l’ascensore e sono tornato in camera di Helene.
Stavo pensando a cosa fare, o cosa dire, dopo averla svegliata, ma non mi veniva in mente niente, se non che si stava trasformando in Katniss, che mi avrebbe fatto soffrire, e che non potevo fare altro che continuare a preoccuparmi e ad amarla.
Quando ho visto che stava iniziando a svegliarsi mi sono seduto vicino al letto.
È l’ultima occasione che ho per starle accanto, poi, qualsiasi cosa dovrà finire.


La seconda volta che ho aperto gli occhi, accanto a me c’era Gale. Di bene in meglio, speravo con tutto il cuore di non dover rifare lo stesso discorso di prima, così ho cercato un approccio diverso.
«Perché sei qui?» ho subito chiesto.
«Non ricominciare per favore, ho già sentito, il discorso di prima, ma non lo condivido, quindi non ripeterlo. Piuttosto, tu come stai?»
«Un po’ meglio, ma ho mal di testa, ho per caso sbattuto da qualche parte?»
«Sì, idiota che non sei altro.» voleva fare il serio, ma vedevo che non ci riusciva appieno. «Sei svenuta e hai sbattuto la testa, stava uscendo un sacco di sangue, hai macchiato la manica di Jale, e durante la notte abbiamo dovuto cambiare bende e cuscino per ben due volte, ma i medici non hanno saputo dire bene perché sei svenuta, non c’era nessuna causa fisica.»
«È perché non ho mangiato abbastanza.»
«Come scusa?!»
«Sì, White mi aveva detto di mangiare qualcosa, ma io ho mangiato pochissimo e ho bevuto un bicchiere d’acqua quando sono tornata in stanza... io non sono abituata ad un allenamento di questo tipo, sì, è vero, ho fatto sport quando ero un po’ più piccola, ma sono un paio d’anni che non faccio niente...»
«Va beh, vestiti, devi fare colazione.»
«O-okay...»
È uscito dalla stanza, e io mi sono ritrovata a fissare il soffitto, aspettando qualche reale motivo per tirarmi su e vestirmi.
Alla fine un po’ per la disperazione, un po’ per non so neanche cosa, ho raccolto le mie forze e mi sono messa a sedere, solo a quel punto ho capito cosa c’era che non andava, avevo le gambe che formicolavano, come addormentate.
Ho tentato di alzarmi, ma sono subito ricaduta sul letto, sullo schienale della sedia c’erano dei vestiti, ho allungato la mano, ma lo schienale era ancora troppo lontano, arrivavo, però, abbastanza vicino alla sedia, abbastanza vicino per riuscire ad avvicinarla.  
«Tutto okay, lì giù?» ho sentito urlare dall’altra stanza.
«S-sì, diciamo di sì... però non ti affacciare, mi sto cambiando...»
«Ancora? Quanto ci stai mettendo?»
«C’è stato un problemino...» ho risposto alla fine, ho sentito che stava per chiedermi cosa, ma ormai avevo finito di vestirmi, avevo rimesso la divisa degli allenamenti, l’unica cosa rimasta in questa stanza, gli unici vestiti, oltre al mio pigiama.
«Puoi... puoi venire un attimo?»
«Sì, arrivo... aspetta un secondo» ha risposto avvicinandosi. «Che c’è?» ha chiesto sulla porta.
«Io... io non sento le mie gambe... non riesco a stare in piedi...» ho detto quasi vergognandomi.
In meno di mezzo secondo me lo sono ritrovato vicino al letto, in altrettanto tempo mi aveva messo un braccio dietro al collo e un altro sotto le ginocchia. Mi aveva preso in braccio.
«Ti porto sul divano, farai colazione e faremo strategia.»
«Okay... grazie.»
Mi ha portato sul divano, è andato in salone e poco dopo era tornato con un vassoio, una tazza di latte e delle fette biscottate con la crema di nocciole, la stessa colazione cha avevo fatto i giorni precedenti.
«Grazie... tu non mangi?»
«Già fatto...»
«Sicuro? Non vuoi niente?»
«Senti, quella è la tua colazione, io ho già mangiato, quindi non rompere, oserei dire che devi anche darti una mossa, perché si sta facendo tardi.» aveva cambiato tono, non era più dolce. «Ah... e non farci l’abitudine, questa sarà l’ultima volta in cui sarò gentile con te.»

*Angolino autrice*
Okaaay, pipol(?)
nuovo capitolo!!!
Sì, lo so che vi faccio sempre aspettare,
ma siate clementi, è il periodo scolastico più difficile!
Anyway, hope you like it!
Lady_Periwinkle

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Capitolo 12
*** L'unica stella ***


CAPITOLO 12 – L’UNICA STELLA
 
Tentare di ricordare le tecniche di sopravvivenza con Gale accanto era quasi inutile, e i suoi tentativi di spronarmi erano del tutto controproducenti.
Durante la mattinata abbiamo iniziato con le cose di base, tipo “non accendere il fuoco in piena notte, significa che ti uccidono”.
Quando dopo un’ora di spiegazione ci siamo accorti che non ricordavo niente, Gale ha preso un foglio, una penna, e armato di grande pazienza, ha ricominciato dall’inizio.
Dopo un paio d’ore avevo una lista di cose che potevo e non potevo fare, ad esempio, non potevo assolutamente correre verso la cornucopia, ma potevo afferrare il primo zainetto che trovavo, dovevo allontanarmi il più possibile dalla cornucopia, adattarmi all’Arena e trovare un posto sicuro per passare la notte.

Quando è stata l’ora di pranzo Gale ha deciso di dover cucinare.
«Ma possiamo ordinare, no? Non è meglio?» ho chiesto.
«No, ho già fatto portare delle cose, ho voglia di una zuppa...»
«Okay...»
Ha passato mezz’ora in cucina, l’odore era fantastico, lui era fantastico, con quei capelli, le maniche dalla camicia risvoltate che mettevano in mostra le braccia, e quel sorriso stampato in faccia.
«È pronto!» ha quasi urlato.
Non sapevo in che condizioni erano le mie gambe, sicuramente meglio di questa mattina, così ho provato ad alzarmi, nello stesso momento in cui lui sbucava nella sala.
«Aspetta, vengo a prenderti...» ha detto avvicinandosi.
«No, voglio provare da sola...»
Per fortuna è rimasto vicino a me, tempo di fare due passi, che la gamba ha ceduto. Sono atterrata direttamente tra le sue braccia. In realtà non mi dispiaceva più di tanto, ma la cosa cominciava a diventare imbarazzante, insomma, io, a peso morto, con la faccia sul suo petto. Il profumo della zuppa era penetrato nei vestiti, era delizioso.
Hel, non puoi continuare così... devi fare una scelta.
Mi sono tirata su, riemergendo dalla scia di pensieri che mi stava invadendo.
«Posso darti una mano adesso?» Perché è gentile con me? Aveva detto che non lo sarebbe più stato... «Non farti strane idee.» ha aggiunto vedendo la mia faccia sorpresa e incuriosita. «Voglio sbrigarmi, ho fame, quindi deciditi: o ti porto io, o vieni strisciando.»
I suoi cambiamenti d’umore mi facevano girare la testa, stava diventando imprevedibile, non lo sopportavo.
«Allora?!» mi ha chiesto scocciato.
«S-sì... potresti darmi una mano?»
Non mi ha fatto neanche finire la frase che già ero in braccio a lui, mi ha portato a tavola, mi ha messo seduta e si è accomodato davanti a me.
«Buon appetito.» ha detto, la tavola era apparecchiata in modo semplice ma carino.
«Buon appetito...» ho risposto quasi sussurrando.
La zuppa era calda e buonissima, ma il pranzo in sé è stato gelido e quasi disgustoso...

Finito il pranzo siamo tornati sul divano e abbiamo continuato con qualche tecnica di caccia e con cose tipo “come si trova il pranzo”. Alla fine del pomeriggio, sembravo un’enciclopedia ambulante, e avevo la teoria che, in teoria, mi serviva per cucinare. 
«Ti dispiace aiutarmi? Voglio provare a camminare da sola, ma credo che potrei ancora cadere...»
«Va bene...»
Mi sono alzata, la mano appoggiata al suo avambraccio, era teso, lo sentivo, ma non mi importava più di tanto... se aveva deciso di essere freddo con me, ne avrei approfittato.
Ha deciso di non guardarmi più, di non parlarmi se non per lo stretto necessario? Bene, se ne pentirà!
Ed ecco che mentre provavo a camminare si è spalancato l’ascensore.
La prima persona che ho visto è stata Jale, che inizialmente aveva un sorrisone enorme, e poi si è rattristato vedendo me praticamente agguantata a Gale.
È arrivato di corsa, mi ha messo un braccio attorno alla vita e sorridendo a Gale mi ha allontanata da lui.
«A cosa devo tutto questo entusiasmo?» ho mormorato.
«Sono solo felice di vederti...» ha risposto stampandomi un bacio sulla guancia. «Noi andiamo in camera di Hel, credo che mangeremo lì! A domani» ha poi aggiunto con il solo intento di informare gli altri, me compresa.
«Non ne approfittare.» lo ha ammonito Haymitch poco prima di vederci sparire.


«Com’è andato l’allenamento?» ho chiesto ad Haymitch nel tentativo di allontanare le attenzioni da me.
«Bene... il ragazzo dopotutto è forte, e se la cava con la lancia.» ha risposto, semplicemente.
«Bene...»
Si stava creando un silenzio imbarazzante, ero quasi tentato di andarmene in stanza e tornare per cena.
«A te com’è andata?» ha chiesto proprio mentre mi ero quasi convinto che non volesse più farne parola...
«Bene, credo. Abbiamo fatto un po’ di strategia...»
«Solo quello?»
«Sì, quello, e una zuppa, se proprio ti interessa... comunque, abbiamo risolto, non c’è, né ci sarà in futuro, qualcosa tra noi.»
«Sono contento di sentire queste parole, Gale»
Dire quelle parole e sentire quella risposta mi provocava più dolore di quanto pensassi, come un insieme si aghi che si conficcavano contemporaneamente nel cuore.
«Vado in camera... torno per l’ora di cena.» gli ho detto poi, avevo bisogno di stare da solo, e me ne sono andato.


Non conoscevo le intenzioni di Jale, e anche se un po’ mi spaventavano, ho deciso di fidarmi di lui.
Mi ha fatto sedere sul letto e si è seduto con la poltrona davanti a me, un sorriso enorme stampato in faccia.
«Che hai fatto oggi?» ha chiesto.
«Mah... niente di che... un po’ di strategia...» ho risposto. «Aah! Ho lasciato gli appunti sul divano!» ho aggiunto poi.
«Oh, non preoccuparti... li prenderemo domani!» ha detto entusiasta. «È un po’ presto per cenare... che vuoi fare?»
C’era un tono leggermente malizioso nella sua voce, ma ho deciso di non darci molto peso...
«Non lo so...»
I suoi occhi si sono accesi speranzosi.
«Potresti raccontarmi quello che hai fatto tu...»
«Ehm... i soliti allenamenti, niente di speciale, Haymitch dice che sono portato ad usare la lancia e che quindi dovrei cercare di prendere una di quelle nell’Arena...» ha risposto leggermente rattristato, ma comunque compiaciuto. «Mmh... vediamo... che altro ho fatto?» ha detto avvicinandosi.
I nostri volti a pochi centimetri, il suo sguardo passava dai miei occhi alle mie labbra. Senza rendermene conto avevo inconsciamente deciso che non l’avrei fermato. Sovrappensiero mi sono morsa il labbro inferiore.
«Oh, no...» ha mormorato lui con una voce bassa. «Adesso mi è venuta voglia di baciarti...»
«E chi ti vieta di farlo?» ho risposto maliziosa.
Ovviamente non se l’è lasciato ripetere due volte. Mi ha attirato a sé, la mia stabilità era ancora molto compromessa, così gli sono letteralmente caduta sulle ginocchia.
Ho sentito le sue labbra incurvarsi in un sorriso mentre continuava a baciarmi.
Le sue mani, che avevano percorso il profilo delle mie gambe, lentamente si stavano infilando sotto la mia maglia.
«Aspetta, aspetta...» ho sussurrato... sapevo dove saremmo arrivati, e in quel momento non me la sentivo... «Ho fame...» ho mentito, sorridendo come per scusarmi.
«Va beeeeene! Ci penso io, cosa vuoi?»
«Scegli tu, va bene tutto!»
Ha scelto della carne deliziosa e del gelato al cioccolato per dessert, non era molto, ma bastava a coprire la mia bugia.
Abbiamo mangiato quasi in silenzio, la voglia di tornare a baciarlo era tanta, ma sapevo che sarebbe sfociato tutto i qualcosa che, in fondo, non volevo...
«Ehi, non essere così pensierosa...» ha detto quasi leggendomi nel pensiero. «Non dobbiamo fare niente se non vuoi!»
«Sei... sei sicuro?»
«Certo! Quello che vuoi tu è quello che voglio io, senza nessun problema o limitazione!»
«Grazie...» ho quasi sussurrato.
Mi ha posato un casto bacio sulle labbra e mi ha abbracciato. Ciò che restava del gelato è rimasto sulla sedia dove prima ci stavamo baciando. Ci siamo stesi, siamo rimasti abbracciati, faccia a faccia, abbiamo chiacchierato del più e del meno. I piedi intrecciati, eravamo vicinissimi, ci siamo scambiati qualche carezza dolce e qualche altro bacio, finché non ci siamo addormentati.


Il risveglio che ho avuto quella mattina è stato dei più dolci del mondo.
Quando ho aperto gli occhi eravamo nella stessa posizione di quando mi ero addormentata, e Jale mi stava scostando delle ciocche da davanti al viso, sussurrando parole in un dialetto stretto, del quale ho capito solo “capelli” e “casa”.
«Buongiorno.» ha detto poco prima di baciarmi.
«Perché hai smesso?» ho chiesto subito.
«Smesso cosa?»
«Di parlare in quel modo... mi piaceva...» ho detto sbadigliando. Avevo ancora gli occhi chiusi, e l’ho sentito sorridere... probabilmente avevo fatto una faccia buffa.
«È il dialetto del Distretto Quattro. Veramente ti piaceva?»
«Certo... cosa stavi dicendo?»
«Dicevo che i tuoi capelli sono dello stesso colore del mare quando guardavo mio padre salpare di poco prima che sorgesse il sole, quando ancora non ci sono i raggi ad illuminare, ma non sembra un mostro nero. Mi ricordi casa.»
«Oh mamma, ma è la cosa più bella che qualcuno mi abbia mai detto.» ho risposto ad un passo dalle lacrime.
Gli ho dato un bacio, intenso e dolce, di quelli che mi piacevano tanto, dei quali non riuscivi a capire quanto tempo fosse passato dall’inizio, se erano secondi, minuto oppure ore.
«Grazie...» ho poi aggiunto sorridendo.
Le sue labbra si sono increspate in un sorriso dolce, era bellissimo!
Come hai potuto anche solo pensare di resistergli? Guardalo! È dolcissimo...
«Vuoi provare ad alzarti?» ha chiesto interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Mi sento le gambe un po’ indolenzite... forse dovrei sgranchirle un po’ prima di alzarmi...» ho detto imbarazzata.
«Ci penso io!» sorrideva, sorrideva come non mai, così l’ho lasciato fare.
Si è messo di lato al letto, sul fondo e mi ha aiutato a muovere le gambe. All’inizio non l’ha presa molto sul serio: ha iniziato a farmi il solletico!
«Ahahahahahah!! No, ti prego!! Ahahahah! Il solletico no!!» non ce la facevo più, e lui si era praticamente accasciato a terra dal gran ridere!
«Okay, okay.» ha detto tra una risata e l’altra. «La smetto!»
Era imbarazzante... io non sopportavo il solletico, attaccavo a ridere fino a rimanere senza fiato, ero ridicola!
Dopo cinque minuti sono riuscita ad alzarmi, e sono rimasta in piedi!
Gli sono saltata al collo.
«Grazie! Grazie mille!» ero entusiasta.
«Quanto entusiasmo!» ha detto rispondendo all’abbraccio. «Dai, andiamo a fare colazione! Facciamogli vedere che riesci a camminare di nuovo!»


Quella mattina mi ero alzato preso, il minimo dopo una nottata tremenda! Avevo avuto decine e decine di incubi, di cui ricordavo solo il risveglio: di soprassalto e senza fiato.
Avevo provato ad addormentarmi di nuovo, ma avevo perso quasi subito le speranze, quando dopo dieci minuti l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era l’espressione buffa che aveva avuto Helene il giorno prima, quando le avevo detto che avrei cucinato io!
Gale, fai uno sforzo! Avevi deciso di non pensare a lei... sai benissimo come andrà a finire, puoi almeno evitare di soffrire più del dovuto??
Alla fine mi ero alzato, più per disperazione che per altro.
Ero sovrappensiero quando sono arrivati.
«Buongiorno» hanno detto all’unisono.
Mi sono girato per guardarli, per fingere indifferenza alla loro felicità e non far trasparire il dolore.
Quando però ho visto Helene che camminava senza l’aiuto di nessuno, mi sono alzato, talmente tanto velocemente da temere un giramento.
«Ehi! Chiudi la bocca!» ha detto sorridendo. Sinceramente non mi ero neanche accorto di averla spalancata.
«Helene» ho poco più che sussurrato. «Stai camminando!»
«Che scoperta!» ha risposto Jale, acido.
«Zitto. Non sto parlando con te.» gli ho detto.
Ho fatto un passo avanti, allungando piano una mano, come per sfiorarle un braccio...
No!
Mi sono ritirato subito indietro. Non dovevo.
«Beh, sono contento per te.» ho risposto atono.
Il guizzo di un’espressione è volato sul suo volto, avrei quasi scommesso fosse stata confusione. Non che avesse molta importanza, Jale l’ha subito riportata a quella che probabilmente era la realtà.
La loro realtà... non la tua.
È stato guardandoli quella mattina che ho capito una cosa parecchio importante.
Lui la guarda come se fosse l’unica stella del cielo, e a te questo secca, perché vorresti poterla guardare così, ma non puoi. Vorresti poter essere quello che al mattino si sveglia al suo fianco, ma non puoi. Non puoi, perché la ami troppo, e rendere pubblico questo sentimento la rattristerebbe. Renderti felice significherebbe oscurare la tua unica stella.


 
*Angolino autrice*
Chiederò infinitamente venia per il tempo sprecato!
Anywaaaay... cambiato font!
Si, perché a me piace cambiare! (LOL)
Sto leggendo “Le origini: La principessa” e mi rendo conto che sono stati fatti dei riferimenti.
Dovete comprendermi. Sto morendo a causa dei feels.
Quel libro mi ucciderà...
A presto,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 13
*** Decisioni ***


CAPITOLO 13 – DECISIONI
 
Vedere Gale, contento per me, perché sapevo che in fondo era contento per me, mi faceva sentire, in un certo senso, strana. Non riuscivo a definire bene cosa provavo. Forse era felicità, ma non proprio. Forse era gioia, perché alla fine non mi odiava... nessuna delle cose che mi venivano in mente riuscivano a definirlo completamente.
Gli allenamenti di quel giorno sono stati senz’altro utili.
La tensione che si avvertiva era molta, Jale non faceva altro che mandare occhiatacce a Gale e lui di rimando all’inizio non faceva altro che darmi delle semplici indicazioni, quando poi ha capito che mi stavo spazientendo, ha cambiato atteggiamento, a quel punto ha iniziato a dare fastidio a Jale. Non si dava pace, passava da un eccesso all’altro,da niente a troppo, stavamo tirando con l’arco, e mi si è messo vicino, molto vicino, e mi sussurrava nell’orecchio cosa dovevo fare.
«Smettila!» gli ho detto a denti stretti.
«Perché?» ha chiesto. «Sto facendo qualcosa di male? Dopotutto sono il tuo mentore e il tuo allenatore. Accontentati.»
«Non è per quello.» ho risposto. «Ci stanno ricominciando a guardare tutti, e sai bene com’è finita l’ultima volta.»
«Beh, pensala sotto questo punto di vista: avrai qualcosa di interessante da raccontare all’intervista.»
«Puoi anche scordartelo. Non parlerò mai di te nell’intervista.»
«Allora,» ha detto con quella voce che avrebbe fatto impazzire chiunque. «dovrò procurarti qualche aneddoto divertente.»
Le sue braccia ricoprivano le mie, le sue mani, con una stretta salda, istruivano le mie sui movimenti da compiere per avere un bel tiro. Ho alzato lo sguardo, per controllare: ci stava fissando solo Jale. Era furioso.
Ho scosso in maniera quasi impercettibile la testa, lo pregavo di rimanere in silenzio, di non muoversi, di evitare il putiferio. Fortunatamente mi ha ascoltato, ha abbassato lo sguardo e ha ricominciato ad allenarsi.
Abbiamo scoccato la freccia. Bersaglio centrato in pieno.
«Okay, prova da sola adesso.»
Aveva quel sorrisetto soddisfatto e, insieme, di sfida.
Pensa che non sia capace a centrare il bersaglio da sola.
Gli ho sorriso di rimando, sfidandolo.
Mi sono posizionata e ho fatto mente locale, riportando alla mente quei movimenti che avevo fatto con lui poco prima.
Ho scoccato, pregando con tutta me stessa di arrivare almeno ad avere un risultato decente.
Centro.
Mi sono girata a guardarlo, sorridendo e incrociando le braccia.
«Complimenti,» ha risposto freddo. «continua a tirare ancora per un po’, vado in bagno.»
Ehi, va beh che non te lo aspettavi, ma almeno un po’ di gioia potresti mostrarla!
Ho scosso la testa e mi sono rimessa in posa. Ho fatto un altro paio di tiri, tutti con risultati decenti, per fortuna!
Quando è tornato aveva con se due spade.
«Devo preparati ad ogni evenienza.» ha detto avvicinandosi. «Come vedi molti si stanno allenando con la spada, è molto probabile un corpo a corpo.»
Ho annuito. Con la spada non me la cavavo benissimo, ci sono volute più di un’ora perché riuscissi a tenergli testa per più di cinque minuti, e più o meno due ore e mezza perché riuscissi a disarmarlo. Alla fine ero esausta, sudata e mi facevano male i muscoli. Ero a pezzi.
Fortunatamente dopo poco meno di venti minuti ci sarebbe stato il pranzo, quindi ci siamo fermati per riposarci e guardare gli altri allenarsi.
«Il ragazzo del Tredici, e le ragazze del Due e del Tredici sono molto bravi, dovrai stare molto attenta con loro...»
«La ragazza del Tredici è la mia migliore amica, siamo alleate.»
«Mmh...» non era molto convinto. «Mentre il ragazzo del Due e le ragazze del Tre, Sette e Otto non sono molto forti. Per quanto riguarda gli altri sono più o meno sul tuo livello, l’unica differenza è che tu hai un allenatore bravissimo e fantastico, mentre loro no.»
«Come fai a dirlo?» ho chiesto facendo finta di non aver sentito l’ultima frase.
«Che sono fantastico e bravissimo?» ha chiesto come se quella fosse la parte più importante del breve discorso che aveva concluso poco prima.
«No, idiota. Quel giudizio che hai dato sugli altri, come fai ad esserne così sicuro?»
«Quando passi vent’anni della tua vita a guardare gli Hunger Games, ti viene naturale pensare in un certo modo, cominciare a pensare a ci si salverà, o a chi sicuramente morirà nei primi momenti... e cominci a chiederti quali sarebbero le tue reali possibilità, o quelle dei tuoi amici, vicini, compagni di classe...»
«Ma anche io guardo gli Hunger Games da quando sono nata, all’inizio li consideravo una festa, perché il nonno ce la faceva vivere così, quando ho capito cos’erano in realtà, ho smesso di esserne così felice e ho cominciato ad odiarli.»
«Ma tu li guardavi così, tanto per fare, io vedevo la mia gente morire...»
«Okay, cambiamo discorso.» ha aggiunto dopo un po’ di silenzio. «Ho fame.»
«Ahahahahah! Ho fame anche io!» ho risposto sorridendo. «Mi hai sfinito oggi, mi fanno male le gambe!»
«Questa sera prima di cena fatti un bagno congelato, e spera che passi!»
«Va bene...»
Il pranzo e l’allenamento pomeridiano sono andati alla grande, molto meno faticosi di quello mattutino, anche se verso le ultime ore si avvertiva un clima crescente di agitazione: l’indomani ci sarebbero stati i test, con gli annessi risultati e l’intervista. Una giornata piena.
Tornata in camera ho fatto quel bagno che mi aveva consigliato Gale, ho mangiato un boccone al volo e sono andata a letto presto, ignorando le lamentele di Jale che voleva passare un po’ di tempo con me.


La prima volta che ho aperto gli occhi erano le sei del mattino. Non mi ero mai svegliata a quell’ora, così sono rimasta a letto per un po’, a tentare di rilassarmi, a pensare a qualche possibile argomento per l’intervista.
Alla fine ho deciso che mi sarei limitata a rispondere alle domande, senza prendere iniziative particolari, e poi mi sono alzata.
Le sei e mezza... è presto oggi...
Sono andata in cucina ancora in pigiama, e scalza. Non c’erano neanche i senza-voce, quindi ho preso una fetta di torta al cioccolato che stava sul tavolo e me ne sono andata sul balcone. C’era un tavolino con un paio di sedie, erano belle larghe, quindi sono riuscita a mettermi seduta con le gambe incrociate, a gustarmi la fetta di torta e il panorama della città che si stava svegliando. In tutto questo tempo non l’avevo mai vista così, sembrava quasi tranquilla, la poca gente che c’era per strada camminava con calma, piano e in silenzio, la maggior parte delle luci dei grattacieli erano spente e si sentivano pochi rumori. Era così rilassante, un vero peccato che fosse così per poco tempo. Ho chiuso gli occhi.
«Mattiniera?» ha chiesto una voce. Gale.
«Tu no?» ho risposto aprendo gli occhi.
«Oh, è tardi per me...» ha detto sedendosi dall’altro lato del tavolino. «Il mio turno in miniera cominciava alle cinque.»
«Non ce l’avrei mai fatta ad alzarmi così presto...»
«Come vanno le gambe?»
Grazie al Cielo! Finalmente una conversazione normale!
«Bene, grazie, il bagno ha aiutato molto!»
«Sono felice per te... hai scelto di cosa parlare nell’intervista?»
«No... in realtà ho deciso che risponderò semplicemente alle domande che mi faranno. Non mi piace né mettermi in mostra, né parlare di me.»
«Speriamo non facciano domande troppo personali, allora!» era sarcastico.
«Oh, in quel caso non risponderò!»
La città stava cominciando a riprendere il suo solito aspetto, i rumori si stavano intensificando.
«Quanto rumore! Io vado dentro,» ha detto alzandosi e allungando una mano verso di me. «vieni?»
In risposta ho semplicemente preso la sua mano. Mi ha tirato su in piedi, e insieme siamo andati in cucina.
«Senti, so che è successo di tutto tra di noi e ci conosciamo da pochissimo,» ho iniziato a dire.
«...ma non affezionarti a me, perché tanto mi uccideranno?» ha finito lui. «Beh, in realtà è tardi ormai, ma se ti fa piacere pensare che non mi sono affezionato a te, okay. Se proprio vuoi, possiamo avere un semplice rapporto mentore-tributo.»
«No, non è questo quello che voglio.» ho risposto. «Mi piace quando parliamo da amici, mi aiuta a non pensare a ciò che sta per accadere... se per te non è un problema possiamo continuare così...»
«Sì, va bene... se ti fa stare meglio, saremo amici!»
E uno è sistemato... mi dispiace dirlo, ma devo fare in modo che soffrano il meno possibile, prima e dopo.


Appena Jale si è svegliato l’ho preso da parte. Siamo entrati nella mia camera, non gli ho dato neanche modo di fare colazione.
«Ehi, non riesco più a capire questi tuoi cambi d’umore! Dammi appena il tempo di fare colazione!» ha iniziato.
«Zitto, idiota. Senti, già quello che sto per fare mi rimane difficile, quindi vedi di non interrompermi, okay?!» ha annuito. «Io... io c’ho pensato molto, e... e ho capito che... che sì, voglio stare con te... insomma, sì, se per te va bene...»
Mi ha abbracciato con talmente tanto slancio che per un attimo ho avuto paura di cadere!
«Sì, sì, sì che lo voglio!» ha iniziato a dire. «Sono così contento!» ha aggiunto poi prima di baciarmi.
Vederlo felice, anche se solo per poco, rendeva felice anche me, e questo, per il momento, bastava!
«Però, per favore, non parlarne nell’intervista... okay?» ho detto.
«Come preferisci...»
«Voglio lasciare la “sorpresa” per l’arena!»
«Perfetto!» mi ha risposto. «Quindi immagino di non dover dire niente neanche a Gale e Haymitch, vero?»
«Esatto.»
«E come la metti con Gale?»
«Siamo amici, gli ho chiesto questo favore, e mi ha assecondato...»
«Mmh... bene! Andiamo allora!!»
Quella mattina ci sarebbero state le valutazioni degli strateghi. Mi metteva molta ansia.
Ho accompagnato Jale il cucina, dove si è seduto a fare colazione.
«Non mangi?» ha chiesto Haymitch, indicando il cibo sul tavolo.
«No, grazie, ho fatto colazione prima...» ho risposto prima di alzarmi. «Vado a prepararmi.»
Sono tornata in camera per togliermi il pigiama e mettere la divisa.


Quando siamo scesi giù, al posto della classica sala, abbiamo trovato una serie di panche. Le magie di Capitol City non mi sorprendevano più di tanto, ma quel cambiamento era davvero incredibile!
«Tu sai cosa ci aspetta?» ho chiesto a Gale.
Mancavano un paio di coppie ancora, compresa quella di White.
«Veramente non ne ho la più pallida idea.» mi ha risposto. «Comunque, quasi sicuramente, andrà bene! Sei migliorata tanto, e tirare con l’arco ti viene bene, quindi abbi fiducia in te stessa, mentre sei lì dentro!»
Ho annuito, non ero molto convinta, ma se lo diceva lui, dovevo fidarmi. Ce l’avrei fatta, ad ogni costo.
Quando sono arrivati anche gli altri, hanno iniziato. Prima le ragazze, poi i ragazzi per ogni distretto. Ho provato a chiacchierare con qualcuno, ma eravamo tutti molto nervosi, quindi abbiamo passato la maggior parte del tempo in silenzio.
Le persone sparivano come mosche, anche stavano dentro una ventina di minuti, chi più chi meno, ma nessuno tornava indietro. Questo metteva ansia.
«Ho paura.» ho sussurrato a Jale. «Perché nessuno torna indietro?»
«Sta tranquilla, dobbiamo ancora entrare in Arena, non possono farti niente adesso...» mi ha risposto con una voce molto tranquillizzante. Eravamo rimasti in quattro, io, Jale, White e Noah, il ragazzo estratto per il Distretto Tredici, avevano fatto allontanare i mentori poco prima di iniziare: era la prima volta che accadeva qualcosa di importante, e noi eravamo completamente soli.
«Snow Helene.» ha annunciato una voce metallica. «Distretto Dodici.»
Ho dato un bacio veloce a Jale e mi sono voltata verso la grande porta che si era aperta.
«In bocca al lupo, Snow!» l’ho sentito gridare prima di ritrovarmi nel buio più totale.
Si è accesa una luce sopra la mia testa.
«Scegli la tua arma.» ha continuato la voce metallica.
Senza esitare ho preso l’arco. A quel punto si sono accese tutte le luci e ho potuto vedere di cosa si trattava.
Un percorso ad ostacoli?! Ma che roba è??
«Comincia il tuo percorso. Possa la fortuna essere sempre a tuo favore.»
Senza farmelo ripetere mi sono gettata verso l’entrata, la prima freccia già incoccata. Ho seguito il percorso alla bell’e meglio. Schivavo e saltavo il più agilmente possibile gli ostacoli, stavo spingendo i muscoli al massimo.
Un nemico. Due nemici. Scoccavo frecce con una precisione che non credevo di avere: più mi facevo strada, più la speranza cresceva. Vedevo l’uscita, quando, in un momento di distrazione, uno dei nemici mi ha colpito alle spalle.
 

*Angolino autrice*
Okay, so che dico sempre le stesse cose,
ma scusate per la lunga assenza.
Che dire, spero di essere un po’ più costante da adesso in poi,
perché finalmente sto in vacanza!
Datemi qualche parere, che fa sempre piacere...
Detto questo, pace e amore!
Alla prossima,
Lady_Periwinkle


PS: inizialmente l’idea era quella di creare dei personaggi ispirati a gente reale, ma è troppo complicato, e io sono pigra, ergo, ho cambiato idea!
 

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Capitolo 14
*** La ragazza delle stelle ***


CAPITOLO 14 – LA RAGAZZA DELLE STELLE
 
Odiavo svenire, ma il colpo che avevo ricevuto era stato veramente troppo forte, anche se il fatto che anche Jale fosse svenuto, un po’, mi rincuorava.
Ci hanno dato il resto della mattinata libera: nel pomeriggio i voti, in serata l’intervista.
Dopo pranzo ci siamo seduti sul divano, io tra Gale e Jale, ad aspettare i voti degli strateghi, quando Haymitch ha ritirato fuori il discorso.
«Allora? Che avete fatto?» ha chiesto. «In cosa consisteva la prova quest’anno?»
«Perché?» ha domandato Gale. «Non sono sempre le stesse?»
«Sì, il tipo di prova era sempre stato lo stesso, ma quest’anno ho sentito dire che avrebbero programmato qualcosa di nuovo.» ha risposto Haymitch.
«Percorso ad ostacoli.» ha detto Jale, rispondendo alla domanda iniziale. «Ci hanno fatto scegliere un’arma e ci hanno fatto entrare in questo percorso come dei topi da studiare.»
Era freddo.
«Quanto in là sei arrivato?» ho chiesto esitante.
«Vedevo l’uscita, la vedevo chiaramente. Avevo appena tolto di mezzo il primo manichino, quando il secondo mi ha colto alla sprovvista, colpendomi con la spada, di piatto, sugli stinchi.»
«Io ero appena entrata nel rettilineo, l’uscita mi ha distratto e sono stata colpita tra le spalle.» ho aggiunto.
«Che arma avevate scelto?» ha detto Gale.
«L’arco»
«La lancia» abbiamo risposto contemporaneamente.
Non c’è stato modo di parlare oltre, perché alla televisione è comparsa Effie Trinket che ha iniziato ad esporre i voti degli strateghi.
Le previsioni di Gale si erano avverate.
Distretto Uno: Dorothy Green, 6; Haybert Foss, 7.
Distretto Due: Claelia Ions, 8; Robs Ain, 4.
Distretto Tre: Rhymer Yule, 4; Marcus Wellook, 6.
Distretto Quattro: Volumnia Duncain, 7; Leonis Honeyman, 5.
Distretto Cinque: Eta Edenthaw, 7; Whytt Galloway, 6.
Distretto Sei: Domitia Vipointe, 6; Lartius Gannet, 7.
Distretto Sette: Dixie Greynlaw, 4; Fir Cronin, 7.
Distretto Otto: Zenobia Spectral, 4; Kern Redpath, 5.
Distretto Nove: Katri Spottiswood, 7; Titus Crane, 6.
Distretto Dieci: Fannia Hayes, 8; Wade Thorburn, 7.
Distretto Undici: Savera Selkirk, 6; Rendwick Din, 6.
«Distretto Dodici: Helene Snow,» ha annunciato. Eravamo tutti molto tesi. «Otto.»
Grazie!
Ero senza parole, ma rimaneva ancora Jale.
«Jale Whishart, nove.»
«Oh mamma!!» l’ho abbracciato con forza, ero così contenta per lui!!
Ha ricevuto il voto più alto! WhiteRose e Noah hanno ricevuto entrambi un otto.
Le persone a cui volevo bene avevano ricevuto dei voti abbastanza alti, e questo mi ha risollevato il morale, per certi versi potevo stare un po’ più tranquilla: un voto alto significava maggiore possibilità di vivere.
Sono andata in camera, e per un po’ Jale è stato con me, eravamo molto soddisfatti per i nostri voti, io in particolare per quello di Jale, adesso ero quasi convinta del fatto che lui sarebbe uscito da là!
Le interviste sarebbero cominciate alle sei, quindi, conoscendo i miei tempi, alle quattro e mezzo l’ho cacciato via.
«Su, su, alzati che devo prepararmi!» eravamo sdraiati sul letto.
«Di già??» ha chiesto con un tono lamentoso.
«Sì! Di già! E sbrigati, altrimenti mi si fa tardi, devo lavarmi, truccarmi e vestirmi!»
«Daaai!» stava facendo gli occhioni dolci. «Ma ci vogliono dieci minuti!»
Peccato che gli occhioni non funzionino con me!
Mi sono alzata e ho tentato di tirarlo su di peso: utile quanto tentare di fare la doccia con l’acqua chiusa.
Mi ha attirato a sé.
«Se proprio ci tieni...» Però... che occhioni!
Mi ha baciata e si è alzato. Arrivato sulla porta si è voltato a guardarmi.
«Sicurissima?» ha chiesto. «Dopotutto devo fare la doccia anche io...» ha aggiunto guardandosi le unghie, come se fosse la frase da dire più naturale al mondo.
«Pervertito.» gli ho detto lanciandogli un cuscino e prendendolo in pieno.
Mi ha fatto la linguaccia e poi è uscito.
Mi sono buttata sotto la doccia scegliendo la profumazione al cioccolato, mi sono rilassata come non mi capitava da un paio di giorni!
Ho aperto l’armadio con la speranza di trovare qualcosa di diverso dalla divisa da poter mettere. Con grande gioia ho trovato tutti i miei vestiti da sera.
Ho scelto quello che mi piaceva di più, il mio preferito. Era lungo fino a terra, stile impero, anche se le decorazioni che lo ricoprivano lo lasciavano solo intuire, aveva una scollatura a cuore ed era senza bretelle. Avevo deciso che sarei rimasta scalza, anche se così facendo rischiavo di sporcarlo tutto. Ho messo un filo di trucco e ho legato i capelli con uno chignon, finendo di prepararmi poco prima di sentire qualcuno che bussava alla porta.
Sono andata ad aprire, trovando Jale in smoking con una rosa blu in mano. È rimasto a guardarmi a bocca aperta.
«Sembri una stella nel cielo, la più brillante.» ha detto.
«Uh, ehm... grazie... anche tu stai benissimo...»
Ho preso la rosa e l’ho posata sulla scrivania.
«È stato un pensiero bellissimo, grazie mille.»
Ci siamo diretti mano nella mano in salotto, e poi con Gale e Haymitch abbiamo preso l’ascensore fino ad arrivare al piano terra, poi ci siamo diretti agli studi televisivi.
«Mi odieranno.» ho detto sottovoce a Jale.
«Ma no, tranquilla...» mi ha risposto.
«Oh, sì invece...»
«E va bene, se anche dovessero odiarti, tu voltati a guardare l’entrata, ci sarò io lì a sorriderti, sempre e comunque.»
«Grazie... sei veramente gentile...»
Ci hanno messi tutti in fila, prima le ragazze e poi i ragazzi di ogni distretto. Io ho passato tutto il tempo a guardare Jale negli occhi. Non avevo voglia di osservare gli altri, sapevo benissimo cosa avrei trovato, paura, terrore, finta sicurezza smascherata dal tremolio delle mani. Eravamo tutti nella stessa situazione, tutti sulla stessa barca.
Un pacificatore si è avvicinato a me, a messo una mano sulla mia spalla, e mi ha informato che tra meno di un minuto sarebbe stato il mio turno.
Jale mi ha seguito il più possibile, poi è rimasto sulla porta, dove il pubblico non lo poteva vedere.
«... e adesso, Helene Snow, Distretto Dodici.» era Effie Trinket a presentare, di nuovo.
Appena ho messo piede sul palco la sala mi ha accolto con uno scroscio di “buu”, è stato molto umiliante.
Ho provato a far finta di niente, ma quando sono arrivata vicino ad Effie, e lei mi ha fatto accomodare, non ho resistito, mi sono dovuta girare. E lui era lì, proprio come aveva promesso, mi stava sorridendo, proprio come aveva promesso. I suoi occhi mi fissavano intensamente: ero la sua stella.
Mi sono voltata a guardare il pubblico, sorridente, al momento non avevo bisogno d’altro se non del suo sorriso, e ce l’avevo, stampato nella mia mente.
«Buonasera.» ho detto guardando Effie.
«Buonasera a te, Helene Snow.» mi ha risposto accennando un sorriso, cosa che sospettavo avrebbe fatto solo lei. «Bene, cominciamo. Da qualche hanno a questa parte, il Distretto Dodici è stato uno dei più attesi nel momento dell’intervista, cos’hai da offrirci tu questa sera?»
«Beh, che dire, le ultime due interviste del Distretto che sto rappresentando sono state piene di colpi di scena, non sono sicura di riuscire ad arrivare a quel livello, quindi, cosa volete sapere?»
«Sei così disponibile a rispondere a tutte le nostre domande?»
«Sto per finire nell’Arena! Cosa può accadermi di peggio? Magari però se faccio una grande figuraccia riesco a guadagnarmi un po’ della vostra simpatia!»
Non ero solita fare dell’autoironia, quindi mi risultava molto difficile farlo in quelle circostanze.
Dalla platea è arrivato un molto chiaro “non ci giurerei”.
Bene, molto bene...
«Mmh, se posso farti qualsiasi domanda, gradirei fare un po’ di gossip... parlaci del tuo ragazzo.»
«Non ho un ragazzo. Quell’idiota mi ha lasciata poco dopo l’annuncio fatto dalla signorina Everdeen e dal signor Mellark.»
«La tua più grande passione?»
«Le stelle. Le adoro veramente! Mi piace molto cercare di portarle sempre con me, quando ho comprato questo vestito, infatti, l’ho fatto perché mi ricordava un cielo stellato.»
«Qualcosa che odi con tutto il tuo cuore.»
Sembrava una macchinetta. Come se fosse obbligata a fare quelle domande, chissà se le aveva fatte anche agli altri, non avevo ascoltato.
«Odio essere trattata in modo infantile.»
«Ho come l’impressione che non ti piaccia parlare molto di te, conosco  gente che avrebbe potuto parlare per ore per rispondere a queste domande...»
«Hai ragione, in effetti mi vergogno un po’...»
«Non hai motivo di vergognarti! Ci siamo solo io e te... e tutta Panem!»
La folla è scoppiata in una risata assurda, a quando pare la adorano quanto i Capitolini adoravano Caesar!
«Va bene, Ragazza delle Stelle, il tuo tempo è scaduto, sarà per la prossima volta. Saluta la gente che ti sta guardando e va a riposare.»
Mi sono alzata, ho fatto un semplice inchino e alzando leggermente il vestito mi sono allontanata. Dal maxischermo ho visto Effie fare una faccia strana e indicare i miei piedi, a quanto pare non le era piaciuta più di tanto la mia idea.
«Bene, adesso è il turno di Jale Whishart.»
L’ho visto avvicinarsi ad Effie, e accomodarsi dove poco prima c’ero io. Ha accennato un buonasera, e poi tutto sorridente si è messo a fissare il pubblico.
«Tu le hai le scarpe, vero?»
Ha annuito.
«Bene, bene... tu sei timido come la tua compagna di Distretto?» ha chiesto subito Effie.
«Assolutamente no! Ahahahaha non me ne frega niente di quello che pensate!»
«Oh! Credo di adorarti! Voi non lo adorate?»
Il pubblico era esaltato. A quanto pare le persone schiette fanno più successo!
«Va bene, uno come te farà strage di ragazze...» ha iniziato. «Come si è ben capito adoro spettegolare, e secondo me, la prima cosa da fare è mettere in chiaro le questioni di cuore... dicci, c’è qualcuno che occupa un posto speciale nel tuo cuore?»
«Beh, in realtà ci sono due persone...» ha detto abbassando gli occhi. «Una è mia sorella, la vincitrice dei Sessantottesimi Hunger Games, lei è morta poco dopo...»
«Oh, che peccato...» sembrava veramente triste per lui.
«L’altra persona, invece, è viva... lei, per me è la più splendente delle stelle, la più bella di tutte, ed entrambi sappiamo che, qualsiasi cosa accadrà, saremo sempre l’uno nel cuore dell’altra.»
«Wow... sembra veramente importante, e possiamo sapere il suo nome?»
«No... le ho promesso di non dirlo.»
«Neanche un indizio?» continuava a scuotere la testa. «L’iniziale del nome? Quella puoi darcela, no?»
«Fammi pensare... sì, credo di poterla dire tranquillamente... il suo nome inizia con l’H»
«Ooh...» ha detto con uno sguardo confuso, poi ha avuto come l’illuminazione, si è avvicinata a lui e in un sussurro appena percettibile, grazie al microfono, ha aggiunto: «Tranquillo ragazzo. Il tuo segreto sarà al sicuro con me.» poi si è allontanata.
«Bene Jale, anche il tuo tempo è terminato! Dobbiamo salutarci! Spero che tu possa tornare a casa!»
«Anche io.» ha risposto poco prima di alzarsi e venire verso di me.
Le domande che ha rivolto a White e a Noah sono state più o meno le stesse, solo che con qualche variante, per esempio a White ha chiesto qualcosa sul nonno, mentre con Noah è rimasta più sul vago, tentando di capire qualcosa sulla sua famiglia, purtroppo però il ragazzo è molto silenzioso, e ha risposto a ben poche domande.
Solo alla fine dell’intervista di White mi sono accorta che aveva in mano dei cartoncini che alla fine di ogni intervista lanciava all’indietro sorridendo.
Era proprio matta, e anche se non si vedeva, si intuiva che prima era stata una Capitolina.

Quando siamo tornati sul nostro piano ormai era tardi, abbiamo mangiato un boccone e poi siamo andati tutti a letto. Domani sarebbe stato il “grande giorno” e dovevamo riposare.
«Posso stare a dormire da te?» ha chiesto Jale. «Probabilmente questa sarà l’ultima notte tranquilla che passeremo, e voglio passarla bene!»
«Certo che puoi venire...» gli ho risposto posando un bacio sulla sua guancia.
Siamo entrati nella mia stanza e ci siamo sdraiati sul letto, la mia schiena appoggiata sul suo petto.
«Per un attimo ho pensato che avresti detto tutto...» ho detto.
«Non l’avrei mai fatto... te l’avevo promesso...» mi ha risposto abbracciandomi e allacciando le sue dita alle mie.
«Lo so, ma... ho avuto paura, più di ciò che sarebbe potuto succederti che per altro...»
«Non mi interessa ciò che accade a me, l’importante è che tu stia bene...»
«Anch’io voglio che tu stia bene...»
Abbiamo passato la serata a chiacchierare, io credo d’essere stata la prima ad addormentarsi, mentre Jale mi faceva un po’ di coccole e canticchiava una ninnananna del suo Distretto.

*Angolino autrice*
Gioisci popolo! Ho aggiornato in tempo!
So che Gale è stato messo un po’ in secondo piano con questi capitoli,
ma ritornerà successivamente.
Dal prossimo capitolo entreranno in Arena,
voglio sentire il rumore dei vostri cuori infranti
MUAHAHAHAHAH
No, okay, ma vi avviso, sarà drastica come cosa.
Spero continuerete a leggermi.
A presto,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 15
*** Arena ***


CAPITOLO 15 – ARENA
 
«Ehi... ehi...» all’inizio pensavo fosse solo la mia immaginazione, solo dopo ho realizzato che, in realtà, era Jale.
Mi sono svegliata nella stessa posizione in cui mi ero addormentata. Ho fatto un grugnito e mi sono messa a pancia sotto con la faccia rivolta verso Jale, i capelli mi coprivano tutta la visuale.
Signore! Devo avere dei capelli orrendi!
Jale li ha tirati indietro e ha posato un bacio sulla mia fronte.
«Dai... mi dispiace dirlo, ma dobbiamo proprio andare.»
«Ma io non voglio...» mi sono lamentata.
«Non sai quanto ho pregato perché questo giorno non arrivasse mai, vorrei poter fermare il tempo e vivere così per sempre...»
«Anche io...»
Ci siamo alzati controvoglia.
«Un giorno mi spiegherai perché hai due cuscini sul letto, e dormi occupandone un angolo solo!» ha aggiunto Jale poco prima di uscire dalla stanza per andare a prepararsi.
Dopo cinque minuti eravamo a tavola. L’atmosfera era tesa e fredda, solo Haymitch rideva. Sembrava particolarmente contento.
Finito la colazione ci siamo alzati, io mi sono legata i capelli in una coda e ci siamo diretti all’ascensore.
Io e Jale ci siamo scambiati uno sguardo, non abbiamo avuto bisogno di parlare per capirci: darai tu il segnale?
Jale ha leggermente annuito.
Perfetto. Avevamo un accordo.


Inutile dire che odierò per sempre questo giorno, forse anche più del giorno in cui mi portarono via Madge, o di quello in cui le mie bombe si abbatterono sulla piccola Prim.
Il tragitto, un percorso di una decina di minuti in macchina e un paio di minuti a piedi, in silenzio metteva molta ansia, e il fatto di dover entrare nella stanza con Helene per darle qualche ultimo consiglio, non aiutava per niente. Avevo l’impressione di stare per andare nel panico. Come potevo permettere a qualcuno di portarmi via un’altra persona che amavo?
Siamo entrati in questa saletta opprimente. Non che mi aspettassi gran che, ma c’erano solamente un divanetto a due posti e un tavolinetto di dubbio gusto all’interno di quello che sembrava un grande, ma vecchio, stanzino per le scope.
Ci siamo accomodati.
«Okay, quindi, ora dovrei darti qualche consiglio, giusto? Io... io non sono bravo in queste cose.» i miei occhi stavano diventando lucidi, ma dovevo continuare, quindi ho rimandato indietro le lacrime, e, posando le mani sulle sue spalle, ho continuato. «Ho bisogno di dirti, di confessarti tutto: tu... tu non sarai mai, e dico mai, solo un’amica per me. Farò di tutto per aiutarti, tutto ciò che è in mio potere per tirarti fuori di lì!» l’ho attirata a me e l’ho abbracciata. «Fa attenzione...» ho aggiunto poi in un sussurro.
Una voce metallica ci ha avvisato che mancava solo un minuto all’entrata dei tributi nel tubo, e pregava tutti i mentori presenti di inserire il localizzatore nell’avambraccio sinistro di ogni tributo. La voce era stata molto chiara, o i mentori, o i pacificatori avrebbero fatto irruzione per farlo al posto loro.
Mi sono staccato a malincuore, ho preso l’unico oggetto presente su quel tavolino, la siringa che conteneva il localizzatore, e ho fatto come mi era stato insegnato. Helene ha fatto una piccola smorfia di dolore, della durata di un secondo, ma non ha aperto bocca per lamentarsi.
La voce metallica ci ha interrotto di nuovo. Ora pregava i tributi di entrare nel tubo.
L’ho vista abbassare lo sguardo, abbandonata al suo destino, ed entrare nel tubo, le cui porte si sono chiuse quasi immediatamente.
Ha poggiato le mani sul vetro, una sfumatura di tristezza nel suo sguardo.
«Scusami.» ho detto, ma il suo tubo stava già salendo: non mi aveva sentito.


La prima cosa che ho provato quando il tubo mi ha portato all’aperto è stato un grande senso di smarrimento. Era tutto molto aperto, e assolato, e ovunque mi voltassi, vedevo cose. Eravamo disposti in cerchio, attorno ad una Cornucopia argentata.
«Benvenuti, tributi.» ha iniziato una voce. «Diamo inizio a questa Settantaseiesima edizione dei giochi...»
Mi sono guardata in giro in cerca di indizi. Sembrava esserci una divisione abbastanza regolare.
Devono averci diviso come hanno sempre fatto: due tributi per ogni spicchio.
Mi sono voltata per controllare cosa ci fosse dietro di me.
Con grande stupore ho visto il mare, hai miei piedi la terra si mescolava con la sabbia e una dunetta, coperta dall’erba incolta, nascondeva appena una misera casetta da pescatore.
«...sta per iniziare il conto alla rovescia...» continuava la voce.
Quest’anno non ci è stata augurata una buona fortuna, o se è stato fatto, io non l’ho sentito, probabilmente speravano che morissimo tutti il prima possibile per liberarsi di noi.
Per quello che potevo vedere per più della metà, l’Arena finiva con il mare. Un’enorme distesa d’acqua che sembrava infinita. Dove non c’era il mare, a delimitare il confine c’era il bosco, fitto, sembrava quasi impenetrabile.
«Sessanta, cinquantanove...»
Un tempo il nonno mi aveva spiegato a grandi linee come funzionavano le Arene: c’era un enorme campo di forza a forma di cupola che ci ricopriva completamente, non c’era via di scampo a meno che non lo decidessero gli strateghi.
«...cinquantacinque, cinquantaquattro...»
Continuavo a guardarmi in giro alla ricerca frenetica di un qualche segno che potesse dirmi dove incontrare Jale.
Avevo appena incontrato il suo sguardo, quando ho avuto l’intuizione: Panem.
L’Arena rappresentava una versione in scala di Panem, avevano messo due tributi in ogni Distretto, io ero nel Quattro.
«...quarantatre, quarantadue...»
Avevamo concordato un segnale con Jale per tentare di comunicare il quel preciso istante. Ho ripreso il contatto visivo.
Pochi gesti: ho indicato il pavimento, mi sono toccata i capelli e poi le dita della mano sinistra.
Questa è casa tua.
«...trentasette, trentasei...»
La comprensione è balenata nel suo volto. Non avevo bisogno di gesti per capire cosa mi dicevano i suoi occhi.
Dove ci incontriamo?
Ho inclinato leggermente la testa verso sinistra e ho sfregato la mano destra sul palmo aperto della sinistra.
Verso sinistra, a metà strada.
Ha voltato leggermente lo sguardo e ha appena accennato un “sì”.
«...ventidue, ventuno...»
Il conto alla rovescia mi ha richiamato alla realtà. Avevo bisogno di un’arma, non potevo addentrarmi nei boschi senza niente.
Davanti a me, non molto lontano, c’erano un arco e una faretra, certo, non erano di quelli di Capitol City, ma non mi importava, bastava avere qualcosa con cui difendermi.
«...diciotto, diciassette...»
Non molto lontano da quelli c’era anche uno zainetto, era nella direzione opposta alla mia, ma tanto valeva provare...
«...quattordici, tredici...»
Ormai era tutto deciso, non mi restava altro da fare che sperare nella buona sorte, e in Gale, per avere qualche sponsor.
Non riuscivo a vedere White, probabilmente era dalla parte diametralmente opposta a me.
Ho cominciato a contare mentalmente.
Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno.
Il suono squillante che dichiarava l’inizio dei giochi, ha shoccato parecchie persone. Anche quelli che sembravano i più preparati sono stati fermi per qualche secondo. Sono stata tra i primi a scendere dalla piattaforma.
Ho iniziato una corsa forsennata verso quell’arco e quello zaino. Forse vedendo la scarsa quantità di persone che correvano verso la Cornucopia, mi sarei dovuta spingere un po’ più giù, prendere un arco migliore, o uno zaino più grande, anche se così facendo violavo apertamente le direttive di Gale: non avvicinarti tropo alla Cornucopia.
Sono schizzata via il più velocemente possibile: dovevo attraversare quello che sembrava il Distretto Due e arrivare al confine tra il Tre e il Sette. Ci saremmo dovuti incontrare all’inizio del bosco, dove eravamo al sicuro dalla “zona Cornucopia” ma abbastanza avanti da poter vedere dei pericoli incombenti.


Ero furioso. Doveva essere per forza così crudele? Perché usare una miniatura di Panem come Arena? Non poteva usare una montagna, un paesaggio al lago o uno innevato?
«Katniss!» ho tuonato entrando nella sala degli strateghi. «Stai scherzando, vero?»
«Oh, buongiorno!» mi ha risposto lei facendo finta di niente.
Peeta mi mandava sguardi in cagnesco. Ho dato un’occhiata alla stanza: una parete era ricoperta di monitor che riprendevano quasi tutti i punti dell’Arena, al centro c’era una riproduzione dell’Arena con dei puntini che si muovevano in quasi tutte le direzioni, la maggior parte erano radunati vicino alla Cornucopia, anche se stavano cominciando a disperdersi. Tutti i mentori erano presenti nella stanza, mancavo solo io.
«Il giacimento? L’Osso? Veramente Katniss?» ho ripreso.
«Nel profondo sapevo che avresti reagito così, anche se speravo di no con tutto il cuore... infatti eri l’unico a non saperlo, gli altri erano tutti d’accordo.»
«Oh, fantastico, mi stai dicendo che non sono il benvenuto?»
«Gale... sai che non è vero...» Annie Cresta era intervenuta per tentare di calmarmi, una mano sulla pancia che cominciava a notarsi e l’altra sulla mia spalla.
«Se devi fare così, perché non la uccidi e basta? Almeno me ne potrò andare!» ho continuato, mi dispiaceva ignorarla, ma dovevo concludere la questione. «Perché non fai arrivare quei dannati ibridi, o che so io?»
«Il segnale.» ha risposto secca, si era voltata di nuovo a guardare i monitor.
«Cosa?» ero confuso.
«Il segnale! Quel segnale che ha fatto al ragazzo del Dodici. Hanno comunicato per tutto il conto alla rovescia. Voglio vedere che cosa ha in mente.»
«Ah. Bene.»
«Che fai, rimani con noi?» ha chiesto guardandomi negli occhi, sembrava quasi che volesse scusarsi per come mi aveva trattato.
«No. Questo posto mi fa ribrezzo. Non capisco come fai a stare qui dentro.» ho detto girandomi per andarmene. «Ci vediamo.» ho aggiunto prima di chiudere la porta.
Ero infastidito. Non avrebbe dovuto trattarmi in quel modo. Escludermi da tutto. Ero comunque il suo migliore amico...
Non volevo guardare gli Hunger Games, non lo facevo da quando Katniss ha partecipato la prima volta, li guardavo solo se obbligato, ma qui a Capitol non avevo nessun bosco in cui nascondermi, in più c’era Helene e volente o nolente ero il suo mentore, dovevo aiutarla, gliel’avevo promesso, così ho acceso la tv, appena in tempo per vedere un coltello che le
sfiorava lo zaino.


Ero ancora del tutto in territorio scoperto, quando ho visto un coltello volare nella mia direzione. Ho accelerato, per quanto possibile, mentre con tutta me stessa pregavo che non mi centrasse. Mi ha sfiorato lo zaino di neanche un centimetro. Alla base della grande montagna che mi sovrastava c’era un piccolo boschetto, chi aveva tirato quel coltello aveva iniziato un inseguimento forsennato e tentava di raggiungermi: avevo bisogno di un riparo.
Mi sono addentrata ancora, dove i raggi del sole venivano filtrati dai rami e la terra lasciava il posto alla roccia. Probabilmente quel giorno la fortuna era a mio favore. Poco più avanti in una zona d’ombra la roccia sporgeva su una piccola buca. Sentivo i passi del mio inseguitore, ma ancora non riuscivo a vederlo.
Con un salto sono entrata in quella minuscola caverna e ho spostato leggermente un pezzo di tronco cavo lì davanti, per tentare una protezione migliore.
L’arco era teso, la freccia incoccata, la mente pronta, avrei dovuto scoccarla se qualcuno che non fosse stato mio alleato si fosse sporto.
Fa che vada via, fa che vada via!
Il rumore dei passi si è fatto sempre più vicino. Il mio cuore batteva all’impazzata, dovevo cominciare i miei giochi da assassina? Ero sicura che non mi avrebbe aiutato.
«Heeeleeene! Vieni fuori!» conoscevo quella voce. Era Dixie, e stava per scoprirmi. «So che sei qui da qualche parte. Esci fuori e risparmiami la fatica di cercarti.» era così odiosa, si credeva superiore a tutti, soprattutto a me.
Ero in conflitto con me stessa, avrei potuto benissimo uscire fuori e farla finita sul momento, o rimanere lì e aspettare la fine senza reagire. Mentre ero ancora indecisa sul da farsi, l’ho vista scendere nella piana vicino alla piccola caverna. A quel punto il mio corpo ha agito da solo: ho calciato via il tronco, facendola cadere, mi sono alzata e ho puntato la freccia verso la sua gamba, non volevo ucciderla, ma dovevo almeno tentare di rallentarla.
«Vedi, Dixie» ho detto con estrema lentezza, scandendo tutte le parole. « sai che sei più agile e silenziosa quando ti muovi con i tacchi? Fatteli spedire dagli sponsor! Mi raccomando, però, di un bel rosa antico, altrimenti non vanno bene!» ho aggiunto con una vocina ridicola.
Si stava liberando la mano che era rimasta incastrata sotto al tronco, così ho scoccato la freccia, mandandola dritta nella sua coscia.
Ho iniziato a correre più velocemente che potevo, sentivo un gran dolore alle gambe, ma non potevo permettermi di riposare, sono stata raggiunta da una fitta al fianco: quella stronza aveva lanciato il coltello con la mano libera e mi aveva preso di striscio. Il sangue stava cominciando a colare dal taglio, che in realtà non era molto profondo. Ho raccolto il coltello al volo, che era atterrato poco più avanti, e mi sono allontanata prima che quella trovasse il modo di far apparire un altro coltello dal nulla per piantarmelo in testa.
È stato mentre ero nel cuore del boschetto, dove c’era poca luce che ho sentito i primi due spari di cannone. Mi si è gelato il sangue. Il primo pensiero è stato per White e Jale, speravo non fossero né loro né uno dei nostri alleati, avevamo bisogno di tutti. Nessuno escluso.
Avevo il bisogno fisico e mentale di controllare che stessero tutti bene. Il fianco bruciava quasi più delle gambe, doloranti per la grande quantità di acido lattico.
Il cannone ha suonato per una terza volta, ma io ero troppo preoccupata per gli altri per pensare che più gente moriva in quel momento, meno ne avrei dovuta uccidere io dopo.
La montagna era ormai alle mie spalle, sapevo di essere quasi arrivata al confine tra il Distretto Due e il Tre perché il boschetto si stava diradando, man mano che andavo avanti c’era sempre più luce, la roccia stava lasciando spazio al prato.
La zona del Distretto Tre era composta da una serie di edifici bassi e larghi, in pieno stato di rovina, abbandonati da tanto, sapevo che il Tre era il Distretto che si occupava della tecnologia, era grazie ai suoi abitanti se potevo avere il mio olo-telefono, quindi ho immaginato che quella potesse essere una specie di fabbrica, in effetti non sapevo neanche come chiamarla, visto che a Capitol non se ne vedono dal vivo.
Al secondo piano dell’edificio centrale si vedeva una luce che funzionava ad intermittenza, metteva i brividi.
Ho visto Eta Edenthaw entrare nel terzo edificio cercando di non essere vista, ho trovato opportuno non ostacolarla, era mia amica, è vero, ma non sapevi mai quale lato della sua bipolarità era attivo in quel momento, e sapevo che nel caso in cui fosse stato quello cattivo, non l’avrei fatta franca.
Mentre attraversavo quella porzione di Arena, mi sono accorta che il Sole aveva passato lo zenit, probabilmente avevo corso più di quanto pensassi. Ho approfittato degli edifici per evitare di entrare di nuovo nella foresta, che mi avrebbe fatto allungare il percorso, in quel modo mi sentivo anche un po’ più sicura, con l’arco in mano e la schiena al muro avevo meno territorio da controllare.
Solo verso la fine del penultimo edificio, quando il cannone ha suonato per la quarta volta, mi sono accorta che mancava un bel pezzo fino al confine con il Distretto Sette, ben visibile grazie agli enormi alberi presenti, così ho pensato di ributtarmi nella foresta, e di non pensare al tempo che avrei perso.
Dopo meno di due ore ero al confine, e lui era già lì, che si guardava in giro preoccupato, seminascosto da un albero.
«Grazie al Cielo...» ho sussurrato subito prima di corrergli in contro.
 
*Angolino autrice*
Credo che questo sia il capitolo più lungo che io abbia mai scritto.
Mi dispiace avervi fatto aspettare una settimana di troppo,
ma sono stata veramente molto impegnata...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto,
come avevo promesso ho fatto tornare Gale,
che sarà più presente, per darci notizie da Capitol.
Se avete qualche consiglio da darmi, o qualcosa da dirmi,
recensite, che fa sempre piacere!
Detto questo, alla prossima,
Lady_Periwinkle.

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Capitolo 16
*** Catastrofi ***


CAPITOLO 16 – CATASTROFI
 
La prima cosa che ha fatto quando gli sono saltata addosso è stato un sussulto, poi probabilmente si è reso conto di chi gli aveva gettato le braccia al collo, quindi mi ha stretto forte a lui. Forse anche con troppo impeto, le sue mani si sono posate sui miei fianchi, ma hanno stretto troppo sulla mia ferita.
«Ahi... ahi... fa piano...» ho detto.
«Oh, scusa.» ha mormorato, lasciandomi andare. «Che diamine ti sei fatta?!» ha aggiunto guardando la mia ferita.
Gli ho mostrato il coltello.
«Quella stronza di Dixie ha una buona mira, dopotutto!»
«Ma chi? Quella del Sette?»
«Sì, quella... le ho piantato una freccia nella coscia, in realtà un po’ mi dispiace averlo fatto, ma dovevo scappare!»
«Perché dovrebbe dispiacerti?»
Mentre parlava ho sentito un rumore venire da dietro le sue spalle.
«Senti, ti racconterò tutto, ma ti dispiace metterci in un posto un po’ più riparato? C’è stato un rumore...»
«Certo... sì, sì, allontaniamoci.»
Ci siamo inoltrati nella foresta del Distretto Sette, dove i tronchi degli alberi erano tanto grandi che, abbracciandoli, non saremmo riusciti a toccarci le mani. Abbiamo trovato un tronco cavo, che sembrava formare una specie di piccola stanza con gli alberi che gli stavano intorno, abbiamo deciso che era abbastanza riparato da poterci fermare a riposare. Io ero stanchissima, le mie gambe avevano bisogno di un po’ di riposo, e la mia ferita aveva bisogno di essere medicata.
Abbiamo deciso di posare gli zaini (anche Jale ne aveva uno) nel tronco cavo, e rimanere lì a riposare per un po’. Ci siamo appoggiati ad un tronco con le gambe stese, finché non è passato il fiatone che entrambi avevamo.
Jale si è ripreso più in fretta di me, si è alzato ed è andato a controllare il contenuto degli zaini: in uno c’erano dei fiammiferi, della carne secca ed una coperta, nell’altro un po’ d’acqua, una fune ed un coltellino. In più avevamo il coltello di Dixie, il mio arco e le mie frecce, e la lancia di Jale. Non eravamo messi proprio malaccio.
Jale si è offerto di controllarmi la ferita, così ho alzato la maglietta, quel tanto che bastava per fargliela controllare, ha appurato che il taglio non era molto profondo, c’ha versato sopra dell’acqua, ignorando le mie proteste, non volevo che la sprecasse per così poco, ma ha insistito talmente tanto, dicendo che si sarebbe potuta infettare, che non c’è stato modo di dissuaderlo.
Da quel poco di cielo che riuscivamo a vedere abbiamo notato che il tramonto era vicino, e noi avevamo bisogno di capire da che parte tramontasse il sole per poterci, in seguito, orientare, oltre a questo, l’appuntamento con gli altri era poco dopo il tramonto.
Ci siamo portati verso la fine del bosco, il sole tramontava proprio alle nostre spalle, quindi, approssimativamente, il Distretto Sette era l’Ovest, la coda della cornucopia puntava a Nord-Ovest tra quello che doveva essere il Distretto Uno e il Nove. Da dove eravamo riuscivo a vedere il Nord, il Distretto Undici (accanto al Nove) e il Sud, il Dieci (che si trovava vicino al Quattro). Non riuscivo a vedere cosa c’era a Est, ma se ricordavo un po’ di geografia, doveva esserci più o meno il Dodici, o il Tredici.
Abbiamo aspettato con le armi pronte a scattare. Dopo una mezz’oretta, quando del sole rimanevano soltanto pochi raggi, abbiamo visto le prime teste, comparire titubanti. Uno sguardo veloce per controllare se ci fosse qualcun altro, e poi mi sono lanciata verso le piattaforme. Ho visto delle sagome corrermi in contro. L’arco ben stretto in mano, con la freccia già incoccata. Fannia e Volumnia si sono fatte riconoscere dicendo la frase che avevamo concordato.
«Non sono una psicopatica.» ha esordito Fannia.
«Neanche io sono una psicopatica.» ha aggiunto Volumnia.
«Già, io invece sono proprio matta.» ho risposto loro, mi hanno sorriso e sono corse verso Jale.
Speravo con tutta me stessa di vedere il volto di White venire verso di me e ripetermi quella frase, che adesso mi sembrava così stupida, perché mai avremmo avuto bisogno di una frase per riconoscerci? Dopotutto eravamo nell’Arena, se avessero voluto uccidermi avrebbero potuto farlo, ma come alleate si sarebbero comunque fermate davanti a me, no?
Dopo cinque minuti di atroce e agonizzante attesa ho visto altre due figure venire da molto più lontano. White e Fir mi hanno ripetuto quella frase idiota e poi siamo andati insieme dagli altri, abbiamo presentato Fir a Volumnia e Fannia e abbiamo aspettato pazienti i nomi dei morti.
Ho spiegato loro come era strutturata a grandi linee l’Arena, con i Distretti e i punti cardinali, poi abbiamo fatto il resoconto delle cose che avevamo: oltre alle armi personali avevamo a disposizione tre porzioni di carne secca, quattro di frutta e due di acqua. Due coltellini, quattro coperte, una fune e tre scatole di fiammiferi.
«Ci sono stati quattro spari, vero?» ho chiesto.
«Sì...» mi ha risposto Fir, addentando il pezzo di carne che gli spettava dalla divisione.
«Ah!» ha iniziato Jale. «Poi non hai più finito quel discorso, perché ti dispiaceva di aver tirato quella freccia a Dixie?»
«Hai tirato una freccia a Dixie?!» ha chiesto White sconvolta.
«Sì.» ho risposto. «Beh, perché credo che non sia il massimo iniziare l’Arena come un’assassina, insomma, di certo non mi aiuterebbe!»
«E secondo te a lei è dispiaciuto tirarti un coltello?» ha continuato Jale.
«Ti ha tirato un coltello?» ha chiesto incredula Fannia.
«Jale, perché non stai zitto una volta ogni tanto? Te l’avrei raccontato dopo, non mi ero dimenticata! Comunque, sì, Fannia...» ho risposto alzando la maglia per far vedere la ferita.
«Ehi Fannia, non erano piante mediche quelle che avevamo raccolto prima?» ha chiesto Volumnia.
«Già! Hai ragione, me ne ero completamente dimenticata! Tieni, usale per far guarire più in fretta il taglio.» ha detto passandomi le stesse piante che avevo visto in allenamento, quelle con cui Gale mi aveva fasciato la mano.
Le ho messe sul taglio, il sangue che aveva appena cominciato a seccarsi ha fatto quasi da colla, tenendole ferme al posto anche grazie all’aiuto della maglia aderente che avevo infilato nei pantaloni.
«Grazie...» le ho detto.
Ho spostato lo sguardo altrove e ho notato del fumo che saliva dalla fattoria diroccata nel Dieci.
«Chi è quell’idiota che accende il fuoco nel bel mezzo della notte?!» ho chiesto più a me stessa che agli altri.
«Un’idiota che ha freddo?» ha ironicamente ipotizzato Fir.
«Non mi sconvolgerebbe sentire di nuovo il cannone.» ho aggiunto dopo un attimo di risate.
Dopo di che c’è stato il silenzio, non era imbarazzante, ognuno era perso nei propri pensieri, io personalmente ero appoggiata alla spalla di Jale, a guardare le stelle, alla ricerca di una qualche costellazione familiare, qualcosa che potesse ricordarmi casa.
«Guarda, quella è la Costellazione di Orione.» gli ho sussurrato, mentre era intento a giocare con una ciocca di capelli che aveva preso dalla mia coda. «La vedi? Quella è la sua cintura, quelle tre stelle, è da li che riesci a riconoscerla...»
Gli stavo indicando le stelle con il dito, disegnando in aria il contorno di Orione, quando è si è sentito un “bip” acuto ed è comparso nel cielo il simbolo della Nuova Panem.
Morto numero uno: Distretto Due, Robs Ain.
Morto numero due: Distretto Tre, Rhymer Yule.
Morto numero tre: Distretto Sette, Dixie Graynlaw.
Morto numero quattro: Distretto Otto, Zenobia Spectral.
Velocemente come era venuto se n’è andato, lasciandoci però in un’oscurità sconvolgente, solo la luce della luna ci rischiarava un po’.
«Fantastico!» ho detto. «Doveva proprio morire per colpa di una mia freccia, quella... quella...»
«Su, su, sta tranquilla...» a cercato di tranquillizzarmi White.
Senza accorgermene mi ero alzata in piedi.
«Sì, sì, sto calma, ma andiamo al rifugio, non voglio avere problemi questa notte.»
Io e Jale li abbiamo guidati verso la nostra “stanzetta” nel cuore del bosco. Una volta lì ci siamo organizzati con i turni di guardia. Io e White ci siamo proposte per fare il primo. Jale stava già facendo storie perche voleva fare a guardia con me.
«Jale, non rompere.» gli ho detto severa. «White non mi mangia. La farai con Fir, subito dopo di noi, se a lui sta bene.»
Fir ha annuito, e così a Fannia e Volumnia era rimasto l’ultimo turno, eravamo tutti d’accordo.
Ho dato un bacio a Jale e subito dopo sono uscita del circolo di alberi con White, io con l’arco e lei con la spada.
«Allora?» ha chiesto guardandomi di sottecchi. «Tu e Jale?»
«Ah! Hai ragione, non ne avevamo più parlato...» ho risposto arrossendo vergognosamente, per fortuna non poteva vedermi, eravamo abbastanza vicine da vedere le ombre scure dei corpi dei nostri alleati, e potrei giurare di riconoscere il corpo di Jale, messo nella stessa posizione in cui si era addormentato nella mia stanza.
«Beh... non è che ci sia tanto da dire...» le ho spiegato velocemente, ma con molti particolari tutto quello che era successo da quando eravamo stati estratti.
«E tu questo lo chiami poco?!» ha chiesto alla fine. «Diamine! Lo avete quasi fatto per ben due volte!»
«Non dire così! Sai che non gliel’avrei mai permesso!»
«Va beh, ma è come se avessi avuto tutta la tua vita sentimentale ristretta in... in quanto? Una settimana? Beh, complimenti!»
«Mi dispiace solo illuderlo così tanto... mi dispiacerà morire...»
«Tu non morirai...»
«Dai, lo so ce vogliono uccidermi, e lo faranno il prima possibile, e poi non avrebbe senso tornare indietro senza di voi, quindi tanto vale morire prima, così non dovrò vedervi andare via...»
«Perché invece pensi che qui ci sia qualcuno che spera qualcosa di diverso?»
«No, ma...»
«Niente ma... basta parlare della morte, quando arriverà, sarà troppo tardi per rendersene conto, quindi che senso ha preoccuparcene?»
Abbiamo passato il resto della guardia a parlare del più e del meno. Alla fine abbiamo dato il cambio a Jale e Fir e ci siamo addormentate immediatamente.

Erano già passati due giorni senza neanche un morto, e probabilmente a Capitol si stavano spazientendo, perché all’ora di pranzo del terzo giorno, mentre Fir e Volumnia erano di ritorno dalla caccia giornaliera con quello che sembrava un coniglio e un paio di bacche è accaduta la disgrazia.
In quei giorni che avevamo passato a stretto contatto avevamo fatto amicizia, e continuavamo ad allenarci insieme. Nessuno si sentiva più a disagio a trovarsi da solo con qualcuno che non era il suo compagno e i turni di guardia erano ormai misti.
Un improvviso terremoto a scosso l’Arena facendoci cadere a terra, Fannia che stava accendendo il fuoco su un masso largo che avevamo trovato lì vicino ha sbattuto il ginocchio, mentre gli altri si sono dovuti appoggiare agli alberi, scorticandosi mani e braccia.
È durato veramente per molto tempo, era raro avere dei terremoti a Capitol, perché avevano reso quella zona perfettamente antisismica per evitare danneggiamenti gravi alla città. Nessuno di noi era abituato al senso di terrore e smarrimento che ci ha preso in quel momento.
Gli alberi continuavano ad ondeggiare pericolosamente, e il rumore del mare che si infrangeva creando delle onde gigantesche arrivava quasi fino a noi, parte della montagna a franato, e in quel momento abbiamo sentito due colpi di cannone.
Cessato il terremoto due hovercraft sono scesi dal cielo per prendere un corpo che si trovava sulla montagna, e il corpo che aveva provocato il secondo sparo nel Distretto Dodici, dove forse era crollato qualcosa...
Ci siamo rilassati parecchio quando abbiamo visto che nonostante la botta stavamo tutti bene, ma abbiamo dovuto aspettare la sera per sapere chi se n’era andato, e fare due conti per sapere con chi avevamo ancora a che fare.
Io e Volumnia siamo andate al limitare della foresta per vedere i volti.
Morto numero cinque: Distretto Quattro, Leonis Honeyman.
Morto numero sei: Distretto Otto, Kern Redpath.
Non conoscevo nessuno dei due, ma Leonis era il compagno di distretto di Volumnia.
«Ehi, lo conoscevi?» ho chiesto il più gentilmente possibile.
«No... però, meglio così, non so se sarei comunque riuscita ad ucciderlo, era stato veramente gentile con me...»
Siamo tornate di corsa al rifugio.
«Se fanno così, significa che non sono contenti... questo è il quarto giorno, e siamo ancora in venti, di solito muore quasi la metà dei tributi solo il primo giorno, e questa volta ne sono morti solo sei... organizzeranno qualcosa di veramente brutto... me lo sento...» ho detto.
Jale si è avvicinato, e mi ha preso le mani.
«Beh, allora cerchiamo di godercela, no?»
«Come faccio a “godermela” mentre sono qui dentro?» ho sussurrato.
Mi ha preso il volto tra le mani e ha fatto toccare le nostre fronti.
«E io non ti basto?» ha chiesto con un sincero sorriso.
Alla fine aveva ragione, se proprio dovevo lasciarci le penne, perché non tentare di essere felice almeno finché ero viva?
Ho annuito leggermente, rossa in volto per la consapevolezza che ci stavano guardando tutti, prima di baciarlo.
 
*Angolino autrice*
E bene, eccoci qua!
Siamo già a quattro giorni nell’Arena,
e tutto deve ancora succedere!
Spero di non essere stata troppo noiosa,
ce la sto mettendo tutta per rendere la fan fiction emozionante,
vi prego, con tutto il cuore, di scrivermi se così non fosse...
Grazie di aver letto,
a presto,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 17
*** Il festino e... ***


CAPITOLO 17 – IL FESTINO E...
 
Erano passati altri due giorni dalle catastrofi, il cibo cominciava a scarseggiare, ma dopotutto nessuno di noi era morto, quindi andava tutto bene, poi però durante il mio turno di guardia insieme a Fir, abbiamo sentito il “bip” acuto che precedeva l’elenco dei morti, questa volta, però, dopo l’inno della Nuova Panem, una voce metallica ha dato un annuncio.
«Tributi, le quattro alleanze che si sono create sono... come dire... troppo numerose, e, anche se ancora non lo sapete, tutti avete bisogno di qualcosa. Gli strateghi si sentono particolarmente buoni, e vogliono offrirvi ciò di cui avete bisogno. Domani all’alba, davanti alla Cornucopia, dovranno presentarsi due tributi per ogni alleanza per sbloccare il premio.»
«Vado io!» ho detto appena la voce ha smesso di parlare.
«Vengo con te!» ha detto subito dopo Jale.
«No, troppo pericoloso, se vado io non puoi venire anche tu. Dovrà venire qualcuno solo per aiutarmi a sbloccare il premio, dopodiché tornerà indietro con ciò che ci hanno mandato e poi vedremo cosa accadrà...»
La risposta che ho ricevuto mi ha spiazzato, la risata di Jale è stata senza allegria, triste e disperata.
«Puoi anche scordartelo.»
«Beh, se vieni con me non mi lascerai mai lì da sola, quindi di certo non verrai tu con me, e nemmeno White.» ho risposto guardando la mia migliore amica, sapendo che stava per proporsi.
«Ti ho già detto che non andrai, a costo di legarti all’albero con quella dannata fune.»
«Non fare così, o mi costringerai a scappare.»
«E scappa pure! Ti serve un’altra persona per prendere quello che vuoi, da sola non puoi farlo!»
Ho fatto un verso nervoso, mi dava fastidio questo suo modo di fare. Avevo voglia di picchiarlo, di dargli una sberla tanto forte da fargli smuovere il cervello e fargli capire cosa stava realmente accadendo, che non stavamo facendo una vacanza, ma che stavamo per morire, e di certo non avevo voglia di morire dopo di lui.
«Senti» ha iniziato Volumnia indicandomi. «Tu, smettila di fare la prima donna, non abbiamo bisogno di questo al momento. E tu» ha continuato indicando Jale. «Sì, sì, tu la ami con tutto il tuoi cuore, e devo dirti che sta simpatica anche a me, ma la pelle è la sua, e se ha tutti questi complessi, lasciala fare!»
«Tu non sei nessuno per dirmi cosa fare!» si stava alterando, lo capivo dalla sottile linea che si era formata tra le sopracciglia.
«Va bene, va bene, questa sta diventando una conversazione privata, restiamo nel campo del non personale, per favore, io e Jale discuteremo dopo dei nostri difetti... se a voi sta bene.» ho detto io prima che lui potesse continuare e inveire contro Vol. Ho visto dei segni di assenso, quindi ho pensato di poter continuare. «Abbiamo bisogno di una strategia. Dato che la mia idea non è stata accolta come speravo, forse possiamo fare così: io e qualcuno, che non sia Jale, andiamo davanti alla cornucopia e sblocchiamo il premio, gli altri rimangono al limitare della foresta, così, se dovessimo avere bisogno d’aiuto, possono venire ad aiutarci, per voi va bene?»
«Perché non posso venire con te?» ha chiesto subito Jale.
«Cioè, di tutto il piano, tu mi chiedi questo?»
«Sì, voglio sapere questo.»
«Perché in caso di pericolo non te ne andresti, ho bisogno di sapere che in caso di pericolo chi viene con me sarebbe disposto a scappare, quindi tu non puoi venire.»
«Posso venire io, se vuoi...» ha timidamente detto Fir.
«Certo, non ho problemi! Basta che non si lui!» ho aggiunto sorridendo, indicando Jale che aveva messo il broncio.
Sapevo di potermi fidare di Fir, completamente, e questo bastava.

Appena ho sentito del Festino, mi sono precipitato nella sala degli strateghi. Quel giorno Katniss era sola.
«Hai già deciso cosa mandare?» ho chiesto subito.
«No, gli altri mentori stanno preparando personalmente lo zaino, Haymitch non ti ha detto niente? Gli avevo detto di avvisarti...» parlava mostrandomi la schiena, come se non gli interessasse la mia presenza.
«No, non ne sapevo niente...»
«Okay, puoi decidere tu cosa mandare ad Helene, ma ci sono delle limitazioni, non puoi mandare nessuna arma, né niente che riveli la posizione delle altre alleanze, tutto ciò che sceglierai di mandare verrà controllato.»
«Bene, grazie mille per avermelo detto...»
«Devi consegnare prima di mezzanotte.» ha detto. «Io gli manderei un po’ di cibo anche per Jale...» ha aggiunto quasi sussurrando.
«Perché? Jale ha Haymitch...» ho risposto irritato.
«Già, ma non si sa mai, magari senti che dice lui...» ha detto finalmente girandosi a guardarmi e sorridendo.
«Okay, grazie ancora, avrai tutto quello che ti serve al più presto.» ho aggiunto prima di andarmene.
Sono corso al nostro piano, cosa avrei potuto mandarle oltre al cibo? Un biglietto? Sì, okay, ma cosa potevo scriverci?
Dovevo pensare molto bene a cosa fare.
«Allora, cosa le manderai? Un fiore, o una lettera d’amore?» ha chiesto Haymitch appena sono uscito dall’ascensore.
«Um, non saprei, devo scegliere... tu manderai preservativi o liquore bianco?»
«Ah! Buona idea il liquore! Non c’avevo pensato...»
«Seriamente, hanno bisogno di cibo... credo dovremmo mandare quello...»
«È ovvio che manderemo del cibo, anche se l’idea del liquore non è male, così forse se li facciamo ubriacare combineranno qualcosa di serio!»
Ho fatto un sorrisetto in risposta e mi sono avviato in camera. Le avrei comunque scritto qualcosa.
Dopo mezz’ora ero pronto, e con Haymitch ci siamo avviati verso la sala degli strateghi dove ci stavano aspettando già tutti gli altri mentori.
«Questo è tutto.» ho detto allungando la lista con la mia lettera.
Mi ha sorriso prima di passare la lista ad un pacificatore e di mettere la lettera in un sacco.

Poco prima dell’alba eravamo tutti in piedi, pronti per partire. Siamo arrivati alla cornucopia giusto in tempo per vedere il sole che si alzava, infrangendo i suoi raggi sulla cornucopia argentata. Da dove eravamo appostati non riuscivamo a vedere bene ciò che ci avevano riservato, così io e Fir ci siamo avvicinati all’entrata della cornucopia.
Sopra una roccia rettangolare erano stati posizionati quattro sacchi, sotto ognuno di essi c’era la lista dei nomi degli appartenenti a quel gruppo. Noi eravamo sotto al numero due.
Ancora non c’era nessuno, così abbiamo pensato di andare di corsa a prendere ciò che era nostro per tornare subito indietro.
Eravamo già usciti dalla foresta, quando abbiamo visto tre persone andare verso il sacco con il numero tre.
Nel momento in cui hanno messo piede vicino al “tavolo” un’enorme bestia di fuoco è balzata da dietro la roccia azzannando l’unica ragazza del gruppo, Domitia, la ragazza del Sei. Le sue urla erano strazianti. Ha continuato ad urlare finché non si è sentito lo sparo del cannone, a quel punto si è estinta da sola, come se gli fosse caduta sopra un’enorme quantità d’acqua, lasciando un rivoletto di fumo e un corpo distrutto dalle fiamme.
I suoi compagni, Haybert e Rendwick (rispettivamente dell’Uno e dell’Undici), erano increduli, e come dargli torto, la loro alleata era stata appena uccisa da una bestia allucinante, insomma, sarei stata sconvolta anche io...
Purtroppo però, non hanno avuto modo di riprendersi come si deve, infatti, mentre ancora si guardavano esterrefatti, è arrivata Eta, con una spada che in mano a lei, che era molto magra, sembrava enorme, sinceramente non capivo come facesse a tenerla in mano senza cadere!
Io e Fir ci eravamo messi a correre, volevamo solo prendere il nostro zaino e filarcela in santa pace!
Ovviamente non è stato possibile farlo. Appena ci ha visto, Eta deve aver pensato che eravamo delle prede migliori per la sua popolarità a Capitol, così si è voltata e si è diretta contro Fir.
Fir brandiva un’ascia dall’aria minacciosa, ha cominciato a rotearla verso Eta, che si è trovata spiazzata da questo cambio improvviso che era avvenuto in Fir, sembrava così indifeso, anche con quell’arma in mano. Sicuramente non si aspettava una risposta del genere.
La battaglia era cominciata, era quasi un tutti contro tutti. Io mi stavo battendo contro Marcus, quello del Tre, in un corpo a corpo, lui era molto forte, e mi teneva schiacciata a terra. Stava per prendere un pugnale, quando sono riuscita a ribaltarlo facendogli male ad una gamba. Ho iniziato a correre verso lo zaino, mentre la gente si dava battaglia accanto a me. Haybert, il fifone rimasto di quella piccola alleanza stava, pregando Dorothy e Claelia (dell’Un e del Due) di non ucciderlo, promettendo di diventare il loro schiavo personale, Eta e Fir continuavano a combattere, Volumnia stava combattendo contro Noah (del Tredici), Fannia stava duellando contro Rendwick, mentre Jale era contro Wade (del Dieci).
Poi, improvvisamente, più veloce della luce, Savera era spuntata da dietro la roccia, per prendere lo zaino del suo gruppo, quello con l’uno scritto sopra, per poi sparire, lasciando Marcus, che faceva parte della sua alleanza, nel bel mezzo della battaglia, senza neanche pensare di aiutarlo.
Eta si è accorta che non stavo più combattendo contro nessuno, così, senza pietà ha strillato a Marcus di fermarmi.
Lo zaino era lì, a pochi centimetri dalla mia mano tesa, se fossi riuscita a prenderlo saremo potuti scappare... ma, ovviamente la fortuna non era mai a mio favore: mi sono sentita afferrare per i capelli, che, per comodità, quella mattina avevo raccolto in una coda alta. Marcus mi ha strattonato, sbattendomi a terra e trascinandomi lontano dalla roccia, mentre afferrava lo zaino con il quattro e lo lanciava a Eta.
L’urto con il terreno mi ha tolto il respiro, e per un attimo ha annerito la mia vista, lentamente mi sono accorta che Marcus mi stava di nuovo sopra, un coltello in mano, pronto a tagliarmi la testa... e poi, così, di punto in bianco si è accasciato, diventando un peso morto e sporcandomi di sangue. Il cannone ha sparato una seconda volta quella mattina.
A distanza di pochi secondi, mentre Jale mi liberava dal peso del cadavere, il cannone ha sparato per una terza volta, mi sono voltata per vedere chi era morto, sperando che i miei amici fossero tutti vivi. Fannia aveva uccido Rendwick, e adesso stava tremando, con ancora in mano la spada insanguinata.
Eta ha cacciato un urlo disperato e ha ordinato ai suoi la ritirata. Noi abbiamo approfittato dell’occasione per scappare e tornare tra gli alberi.
Siamo tornati indietro nel nostro rifugio.
«Dammi la tua spada.» ho urlato a White appena siamo rientrati.
«Che devi farci?» mi ha chiesto esitante.
«Tu dammela e basta!»
Ho afferrato al volo la sua spada, ho sciolto i capelli. Avevo la spada nella mano destra e i capelli nella sinistra, con un movimento rapido ho tagliato i capelli all’altezza della spalla.
«Col cavolo che mi riafferrano per i capelli!» ho detto lasciando andare i resti della mia coda, e poi abbiamo controllato i danni.
Fir aveva un brutto taglio sul braccio destro, io avevo un gigantesco livido sulla schiena, e Fannia tremava ancora, ma gli altri stavano abbastanza bene, in più Volumnia era riuscita a prendere il sacco con il numero tre, così abbiamo deciso di controllare il contenuto del nostro bottino.
Nello zaino del terzo gruppo abbiamo trovato della frutta secca e dei fiammiferi, mentre nel nostro abbiamo trovato una porzione di acqua e di carne a testa, una pomata che aiutava le ferite a guarire più velocemente («Sono stati previdenti!» ha detto divertito Fir.) e una lettera per ciascuno di noi.
Su quelle degli altri c’erano scritti i nomi, mentre sulla mia c’era una stellina, e su quella di Jale era indirizzata a “la testa calda”.
La mia l’aveva scritta Gale.
Ehi Helene. State andando benissimo, se continuerete a comportarvi in questo modo ci sono buone possibilità di arrivare in finale, anche se in quel caso dovresti uccidere i tuoi compagni, non so proprio come potresti fare. È passata mezz’ora da quando ho cominciato a scrivere e tutto quello che ho prodotto è questo, ma alla fine, è tutto quello che c’è da dire! Nella speranza che la mia piccola stella dai capelli blu, stia bene e riesca ad uscire da quell’inferno. Gale.
Probabilmente ero diventata rossa, perché mi stavano guardando tutti.
«Allora? Le vostre che dicono?» ho chiesto.
Hanno risposto tutti la stessa cosa: «Dicono che andiamo bene...»
Tutti, tranne Jale. Lui stava seduto accanto a me, con un ghigno che non prometteva niente di buono.

Quella sera io, Haymitch, Effie e Annie avevamo una cena con Katniss e Peeta. La cosa non mi entusiasmava tanto, insomma, Katniss e Peeta stavano insieme, e pensavo seriamente che tra Haymitch e Effie ci fosse qualcosa, essere quello che non aveva l’accompagnatrice, mi infastidiva.
Nonostante le mie preoccupazioni, però, la cena non è andata malissimo, è stata tranquilla, e nessuno ha fatto commenti sul fatto che fossi solo.
«Sai, un po’ la ragazza mi ricorda me, mentre ero nell’Arena.» mi ha detto Katniss mentre eravamo in cucina a prendere qualcosa da portare in terrazzo.
«Sì... ora che me lo fai notare, è vero... Katniss e Peeta, Helene e Jale... solo che voi eravate leggermente più preparati...» le ho detto.
«Beh, forse io, ma Peeta no...»
«Sì, forse hai ragione, che ne dici se cambiamo discorso?» le ho infine chiesto mentre tornavamo dagli altri.
Eravamo sul terrazzo, tutti con un bicchiere in mano, quando Petta ha dato un annuncio.
«Per favore, devo fare un annuncio.» ha detto alzandosi in piedi. «Io e Katniss abbiamo deciso di sposarci, nel Dodici, quando tutto questo sarà finito, dopo aver contribuito a parte della ricostruzione.»
Annie era entusiasta.
«Gale, Haymitch» ha cominciato Katniss. «Volete essere i miei testimoni?»
«Effie, Annie, volete essere le mie testimoni?» ha aggiunto Peeta.
Effie e Annie hanno cominciato a piangere, Haymitch ha alzato il bicchiere per brindare.
«Ma certo, dolcezza!»
«Catnip, era ovvio!» ho risposto io con un sorriso, alla fine ero contento che avesse trovato la felicità.

Durante il pomeriggio Jale si era allontanato per cacciare insieme a White, tornando solo pochi minuti prima del tramonto, più raggiante che mai, e con un coniglio in mano.
Ci ha radunati tutti attorno alla roccia che avevamo messo al centro del nostro rifugio, con la scusa di dover fare un annuncio importante. Si è seduto tra me e White con qualcosa in mano.
«Nella mia lettera non c’era scritto niente di tutto quello che c’era nelle vostre.» ha cominciato. «Nella mia c’era scritto: “Ero indeciso, non sapevo se mandarti dei preservativi, o del buon liquore bianco. Ancora adesso sto pensando a cosa ti sarebbe stato più utile. Comunque ho fatto come mi avevi chiesto, nella speranza di non farti assomigliare troppo a Peeta, fa quel che devi. Haymitch.”» ha fatto una pausa, poi si è alzato, guardandomi. «Questa era una collana di mia madre. Appena ti ho conosciuta me l’hai fatta venire in mente, e quando l’ho trovata nella mia stanza, ho capito che sarebbe diventata tua...» mi stava mostrando una piccola catenina con un ciondolo a forma di stella. «Quindi...» ha continuato mettendosi in ginocchio. «Helene credo che il cognome Snow sia veramente brutto, vuoi cambiarlo in Whishart e diventare mia moglie?»


 
*Angolino autrice*
Et voilà!
Ho deciso di pubblicare il prima possibile,
quindi eccomi qua.
Vi piace la proposta?
Spero di non diventare banale nei prossimi capitoli,
ne mancano più o meno quattro, ma accadrà di tutto!
Alla prossima,
Lady_Periwinkle.

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Capitolo 18
*** ...il matrimonio ***


CAPITOLO 18 - ... IL MATROMONIO
 
«A-adesso?» ho chiesto scioccata.
«E quando altrimenti?» ha cominciato alzandosi. «Tu sei convinta di non poter uscire da qua, e io sinceramente ho paura di quando ci saremo solo noi, insomma, non voglio uccidere nessuno di loro, quindi probabilmente morirò anche io...»
«Aspetta, aspetta.» l’ho interrotto io. «Tu vuoi veramente sposarmi adesso?? Nel bel mezzo dell’Arena?»
«S-sì...» stava cominciando a perdere l’entusiasmo che lo animava.
«Okay... sì! Sposiamoci!» gli ho infine risposto sorridendo.
In fondo lo amo, quindi... perché no?
«Bene, allora White, faremo come avevamo deciso, okay?» ha detto girandosi verso la mia migliore amica.
«Perfetto!» ha iniziato lei. «Ragazze, dovrete darmi una mano, domani ci sarà un matrimonio da celebrare, dobbiamo prendere delle cose... Fir, posso parlarti un attimo?»
«Certo, dimmi pure...»
«Non qui, vieni.» ha detto infine alzandosi per allontanarsi da noi. «Se volete venire anche voi ragazze, vi spiego quello che faremo...»
Così, di punto in bianco, ci siamo ritrovati soli. Jale stava mettendo da parte il coniglio, dicendo che quello sarebbe stato il nostro banchetto di nozze.
«Aspetta... ma io non sono pronta!» ho detto improvvisamente. «Insomma, vestito, trucco, cerimonia... come pensi di fare?» ho aggiunto poi rispondendo al suo sguardo interrogativo.
«Sta tranquilla... ho pensato a tutto... se ne stanno occupando gli altri.» mi ha risposto avvicinandosi. «Magari non sarà il bellissimo abito che avresti voluto, e magari non ci sarà la tua famiglia, ma ci sono io... io sarò la tua nuova famiglia da domani, e per sempre. E non mi interessa come sei vestita, o come sei truccata, tu sarai sempre la più bella, sarai sempre la mia stella!»
Solo a quel punto, mi ha messo la collanina al collo. Io come risposta ho fatto ciò che l’istinto mi ha detto di fare: l’ho baciato. Un bacio dolce e intenso al tempo stesso.
Lo amo veramente così tanto?
I miei pensieri vagavano a briglia sciolte. Gale è comparso solo per una frazione di secondo, il tempo di rendermene conto e cacciarlo via. Stavo per sposarmi, e pensieri del genere su altri uomini non andavano più bene!
«Ehi, voi! Va bene che vi abbiamo lasciato un po’ di privacy, ma potete aspettare fino a domani per fare certe cose!» la voce di Volumnia mi ha riportato alla realtà.
Tempo di rendermi conto che ero sdraiata per terra, con Jale sopra e una sua mano pericolosamente infilata sotto l’orlo della maglietta, che l’avevo spinto via, tra le risate degli altri e lo sguardo di Jale che diceva “ma come, pensavo andasse bene, per te!”.
«Ehm... sì, direi che possiamo mangiare...» ho detto.
La faccia di Jale era la cosa più divertente che avessi mai visto: un misto di sconvolto, incredulo e divertito. Non ce l’ho fatta a trattenermi, quindi sono scoppiata a ridere, e le poche volte che accadeva, continuavo a ridere per parecchi minuti.
Abbiamo cenato con una porzione di carne. Il primo turno era quello di Fir e Volumnia, io avevo il terzo con Fannia, quindi sono andata subito a dormire, accoccolata contro Jale.

Quando mi sono svegliata la mattina dopo per fare la guardia, fremevo d’eccitazione. Ho dato di nuovo il bacio della buona notte a Jale e l’ho rispedito a dormire, sapendo benissimo che io non sarei riuscita.
Insomma, non era né una cosa ufficiale, né una cosa preparata a dovere, ma significava veramente tanto per me, per noi.
I preparativi ci hanno occupato per tutto il tempo e, anche se, il mio compito era semplicemente quello di fare la guardia in modo che non ci scoprissero, è stata la cosa più difficile del mondo, con Jale che tentava in tutti i modi di distrarmi.
Ci hanno richiamato indietro quando ormai il sole stava per tramontare, non avevamo pranzato, sapendo che per cena ci sarebbe stato un succulento coniglio.
Ci hanno separati, io e le ragazze siamo andare nel rifugio, Fir e Jale da un’altra parte.
Le ragazze avevano preparato per me una coroncina di fiori e un bouquet, hanno usato delle fragole per truccarmi le labbra e hanno cominciato a pizzicami le guance per darmi un po’ di colore. Ho usato la lama di un coltello da lancio per vedere cosa avevano fatto, ed effettivamente non stavo malissimo. Hanno sistemato la coroncina sulla mia testa, i piccoli fiorellini bianchi, presenti anche nel bouquet, stavano bene con i capelli, e alla fine possiamo dire che anche la tuta, che aveva le strisce blu, era intonata al resto.
White mi ha preso sotto braccio: mi avrebbe accompagnato lei all’altare, con Volumnia e Fannia che facevano da damigelle.
Quando mi hanno portato in uno spiazzo lì vicino, ho visto che Fir aveva uno strano cappello fatto di foglie, mentre Jale aveva una coroncina simile alla mia, una specie di versione maschile della mia.
«Bene, bene!» ha cominciato Fir. «Abbiamo qui una bellissima sposa, e un fantastico sposo! Io sarò il vostro celebrante, non abbiamo fogli legali da firmare, in realtà non credo neanche che sia legale questa unione, ma a noi non interessa! Celebrerò anche alla cerimonia del fuoco che si svolgerà questa sera. Intanto, se White vuole portarci gli anelli...»
White si è avvicinata portando due anellini fatti con quella che mi è sembrata la parte sfilacciata della corda.
«Li hai fatti tu?» ho sussurrato a Jale.
«Ovvio che sì... chi altri sennò?» mi ha risposto sorridente.
«Vuoi tu, Helene Snow, prendere Jale Whishart come tuo marito, per il resto dei tuoi giorni, per quanto possano essere orrendi, dentro e fuori questa maledetta Arena?» ha ripreso Fir.
«Sì, lo voglio!» ho risposto emozionata.
«E vuoi tu, Jale Whishart, prendere Helene Snow come tua moglie, per amarla e proteggerla per sempre, dentro e fuori questa orrenda Arena?»
«Lo voglio! Lo voglio! Lo voglio!» ha risposto lui.
«Bene, per i poteri conferitimi da me stesso e da tutti voi qui presenti, vi dichiaro marito e moglie! Puoi baciare la sposa.»
Ci siamo baciati con intensità. Poi Fir ci ha fermati.
«Sì, sì, bravissimi, bellissimi. Ora incidete le vostre iniziali su questo tronco.» ha aggiunto porgendoci un coltello.
Jale ha inciso una “H” e io una “J”, dopodiché è partito un piccolo applauso.
«Su, su, andiamo a preparare quel bel coniglio!» ha aggiunto poi.
In effetti eravamo tutti parecchio affamati, però...
«Ragazzi, aspettate, non... non penso sia saggio accendere un fuoco... dopotutto è la prima cosa che Gale mi ha detto di non fare... non possiamo spostare la festa a domani a pranzo e mangiare della carne normale adesso?»
«Dai, Hel... non rovinare tutto, vedrai che non ci troverà nessuno!»
Si vedeva lontano un miglio: era troppo emozionato e felice per quello che era successo, non riusciva a pensare ad altro.
Anche io sono felice, però... però non accenderei comunque un fuoco...

Più giorni passavano, più odiavo quest’edizione.
Ogni singola parola, pronunciata quella sera, era come una pugnalata al cuore. Forse era parte del mio destino, rimanere solo. Forse era solo l’universo che mi diceva di smetterla di provarci: prima o poi arriverà qualcuno destinato a restare sempre con te, ma non è lei.
Il pensiero mi tormentava. Possibile che fossi stato così cieco? Così stupido da non capire che erano fatti l’uno per l’altra?
Certo che se ci fossi stato tu, sarebbe stato meglio...
Nonostante questo, però, il pensiero che quel gesto le poteva aver portato almeno un po’ di gioia, mi faceva stare meglio.
Era tutto così complicato...
Stavano tornando al rifugio quando la loro conversazione ha attirato la mia attenzione.
«... andiamo a preparare quel bel coniglio!» stava dicendo, il ragazzo del Sette con cui si erano alleati.
Aspetta! Preparare un coniglio? Non vorranno mica accendere un fuoco...
«... non penso sia saggio accendere un fuoco... dopotutto è la prima cosa che Gale mi ha detto di non fare... »
Ah, per fortuna... almeno si ricorda ciò che le ho detto...
«... non rovinare tutto, vedrai che non ci troverà nessuno!» le ha risposto quell’idiota di Jale.
«Fantastico!» ho detto imprecando sotto voce. «Mai una volta che mi danno ragione, eh?»
«Che è successo?» ha chiesto Haymitch dal balcone.
«Stanno per accendere un fuoco.» ho risposto passandomi una mano sul volto.
«Perché diamine lo sanno facendo?» se la stava ridendo di gusto.
«Festeggiano.»
«Che ca...» è corso sul divano sempre ridendo di gusto. «No! Ti prego, dimmi di no!» non riusciva quasi a parlare dal gran ridere. «Si sono... sposati?!»
«Sì.» ho mugugnato.
A quel punto si è reso conto della mia faccia: probabilmente dovevo avere una pessima espressione.
«Oh... oh no... no, no, no... mi rifiuto.» ha detto cambiando tono e accasciandosi vicino a me. «Avevi detto che t’era passata, Gale!»
«Io... io...» ho cominciato.
«No, aspetta, prima che tu dica qualcosa. Non t’è mai passata, vero?» ho annuito. «Ma quanto sei stupido! Sai benissimo che non uscirà da lì! Te l’ho già detto!»
«No... tu non capisci.»
«Non parlare di cose che non conosci, per favore. Comunque. Ormai hanno fatto, e non c’è niente che tu possa fare per cambiare. Mettiti l’anima in pace.»
«Lo so. Lo so. Non c’è bisogno che me lo ripeti. E adesso, se permetti, vado a dormire. Mi sento particolarmente stanco.»
Detto questo, sono andato in camera mia, piangendo.

Ero veramente contraria a questa cosa. Sembrava non capissero il grande pericolo che potevamo correre, in più nessun di noi era in ottima forma, avevamo ancora dei problemi dal festino, soprattutto Fir che aveva ancora dolore al braccio.
Abbiamo acceso il fuoco, e ripulito il coniglio. Sapevamo farlo solo io, Jale e Fannia, perché i nostri mentori ci avevano dato qualche dritta. Non sono ancora convinta d’aver fatto un buon lavoro quel giorno.
Insomma, alla fine tra le chiacchiere e altro non ci siamo neanche resi conto che il sole era calato da un pezzo, me ne sono resa conto solo, quando, alzando la testa, ho visto le stelle così vivide e accese sopra di noi.
«Santo Cielo! È tardissimo!» ho esclamato.
«Tesoro, capisco che tu voglia consumare le nozze, ma non c’è bisogno d’avere fretta!» mi ha detto Jale sorridendo. Gli ho dato uno schiaffo.
«Idiota. Non era per quello. Se è tardi sarà più facile per gli altri trovarci, dato che abbiamo un fuoco acceso e stiamo bellamente banchettando alla faccia di chi ci ha infilato qui dentro!»
«Helene, dai.» aveva cambiato tono. «Non mi sembra il caso di fare così... abbiamo le armi a portata di mano, e per una sera finalmente siamo al calduccio, ce la caveremo!»
«Già, ma siamo tutti doloranti, e Fir è in quelle condizioni, non siamo molto in forma!»
L’atmosfera da festa si era spenta, sapevo di essere stata io la causa, ma non mi dispiaceva più di tanto: lo facevo in primis per loro.
Pensavo alle cose peggiori che ci sarebbero potute succedere, e, in tanto, pregavo con tutta me stessa che non accadessero.
Stavamo spegnendo il fuoco, e decidendo i turni di guardia, quella sera avevamo lasciato a me e Jale l’ultimo turno, dicevano che avevamo altro da fare durante la notte che pensare a fare la guardia, quindi come regalo potevamo avere la mattina: avevamo notato che era il turno più tranquillo.
Ci stavamo già preparando, Fannia e Fir stavano per andare a dormire, Volumnia e White si stavano appostando, io e Jale ci stavamo allontanando, quando dal cielo è piombata giù Eta.
Era inquietante, più magra che mai, sporca di sangue ormai secco, e con lo sguardo più assassino che le avessi mai visto.
«Sera Helene. Mi dispiace disturbarti in questa notte così speciale.» ha cominciato. «Ma temo proprio di doverti uccidere.» ha concluso brandendo un coltello.


 
*Angolino autrice*
Ehm... sì, okay.
Questo è il nuovo capitolo...
So che potrebbe sembrare futile celebrare un matrimonio adesso,
ma alla fine, non sogniamo un po’ tutti il nostro matrimonio?
E sposarsi con qualcuno che si ama può alleviare i brutti pensieri, anche solo per poco...
E quindi eccoci qui!
Spero di non essere stata banale,
o di non avervi annoiato.
A presto,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 19
*** L'imboscata ***


CAPITOLO 19 – L’IMBOSCATA
 
Come tutte le volte, qualcuno prima o poi mi spiegherà perché, c’ho messo un po’ a riprendermi, Eta si era portata tutti quelli che avevo stretto alleanza con lei, incluso quel verme di Haybert, che pur di non morire si era unito al nemico.
La squadra nemica avanzava minacciosa. In pochi secondi i ragazzi che stavano seduti dietro di noi hanno preso le armi, allungando un arco per me e una lancia per Jale.
«Eta, ma che ti ho fatto?! Perché non puoi darmi pace??» ho chiesto impaziente.
«Non te ne fossi accorta, Helene,» ha detto con un tono da saputella. «Siamo dentro l’Arena, se non ti uccido io lo farà qualcun altro»
Era stressante, e per niente gratificante, insomma, credevo fosse mia amica, mentre invece non lo era mai stata.
«Grazie per averci delucidato sulla questione, Eta!» ha detto White in mia difesa.
«Lascia... lascia stare White...» le ho detto abbassando lo sguardo.
In quel momento di distrazione, Claelia ha dato fuoco ad un albero lì vicino con una scatola di fiammiferi, dando inizio ad un incendio.
Eravamo esterrefatti, voleva ucciderci tutti?
Certo che sì, idiota.
I nemici si sono lanciati contro di noi.
Sembrava avessero stabilito in precedenza chi doveva combattere contro chi, perché ognuno è andato contro una persona precisa, senza esitare un attimo.
Eta ovviamente stava combattendo contro di me. Lei aveva una lunga spada, io solo un arco e delle frecce, di certo così non avevo possibilità.
Alla mia destra stavano combattendo schiena contro schiena Fir e Jale, rispettivamente contro Dorothy e Noah, più dietro in modo più o meno sparso c’erano White contro Haybert, Fannia contro Whytt e Volumnia contro Claelia.
Davanti a me vedevo l’incendio divampare. Un intero albero era in fiamme, c’era un sacco di fumo, ma ancora si riusciva a respirare.
Tentavo di controllare cosa stesse accadendo agli altri, ma Eta si stava avvicinando pericolosamente, io indietreggiavo, ma mi rendevo conto che camminare senza vedere dove si stava andando, in una foresta piena di radici e cose simili non era proprio il massimo.
Neanche a farlo apposta, mi stavo abbassando per prendere un bastone, per... difendermi. Ma ammettiamolo, sarebbe stata una difesa inutile.
«Helenee!» ho sentito urlare da un lato.
Era stato Fir, per avvisarmi che Eta aveva deciso di porre fine a quella pagliacciata.
Ho afferrato un po’ di terra vicino alle radici dell’albero e gliel’ho lanciata in faccia. Poi ho sentito lo sparo del cannone.
In preda al panico mi sono alzata, tra le urla di Eta che aveva gli occhi in fiamme.
Ho iniziato ad elencare mentalmente tutti i miei compagni.
Jale, c’è.
White è lì
Fannia sta bene...
Fir...

«O mio Dio, Fir!!!» ho strillato, con le mani davanti alla bocca in preda all’orrore.
«Noooo!!» ha imprecato Jale.
C’è stato un attimo di perfetta staticità. L’incredulità dipinta nei volti di tutti. La spada di Dorothy ancora conficcata dentro al corpo di Fir, ormai inerme in una pozza di sangue.
A quel punto ho avuto una specie di illuminazione.
«Scappate!» ho ordinato.
Si sono tutti risvegliati, e si sono più o meno dispersi. Fannia e Volumnia da una parte, Jale e White dall’altra, e io nel mezzo.
Mi sono allontanata un po’, tentando di rimanere parallela a Jale e White.
Ad un certo punto riuscivo quasi ad intravederli tra gli alberi, ed è stato allora che Dorothy è sbucata da un albero alla mia destra. Fortunatamente non mi ha visto, era diretta all’inseguimento di Jale e White, ma a quel punto io ero disperata, non le avrei mai permesso di fare niente di male a quelli che mi erano cari, per questo ho incoccato una freccia, e ho ripreso a correre dietro a lei.
Vedevo White arrancare dietro Jale, e vedevo Jale che tentava di trascinarla, io avevo il fiatone, ma riuscivo ancora a correre, e il fatto che lei sesse facendo fatica mi risultava strano, era più atletica di me... doveva esserle successo qualcosa mentre combatteva.
Si sono dovuti fermare perché White stava visibilmente zoppicando. Ho visto Dorothy sistemarsi in posizione, sarebbe scattata verso di loro, uscendo da un cespuglio.
«Dorothy!» ho detto.
Lei si è voltata con uno sguardo di sfida, ancora in posizione.
Non credeva potessi fare qualcosa come scoccare la freccia che avevo già preparato. Allora l’ho fatto.
Ho lasciato andare la corda, sperando andasse a segno.
Ho tenuto gli occhi chiusi, avevo paura di quello che sarebbe successo se non l’avessi uccisa, poi il cannone ha sparato.
Ho provato quasi un senso di sollievo, lei era morta e io viva, non ne andavo fiera, ma era meglio rispetto al contrario...
Subito dopo c’è stato un rumore di passi. La prima persona che ho visto uscire da dove veniva Dorothy è stato Noah.
Non c’ho pensato due volte, ho scagliato una freccia alla sua gamba, almeno così non si sarebbe potuto muovere...
«È qui! È qui!» ha iniziato a dire.
«Arriviamo!» gi ha risposto qualcuno.
Poi è successo l’impensabile. Credevo che ormai fosse finita, loro probabilmente erano altre quattro persone, io ero sola.
E invece di dare l’ordine di finirmi o di uccidermi lei stessa, Eta ha cacciato un urlo, un urlo disperato, di dolore.
«La mia Dorothy! Tu hai ucciso la mia amata Dorothy!» farfugliava in lacrime. «Pagherai! Pagherai per questo! Andiamo via! VIA!» ha aggiunto poi ai suoi, andandosene senza neanche pensare a Noah.
Mi sono allontanata lasciando lì Noah. Jale e White erano ancora lì, con volti che prima erano estremamente preoccupati, e che quando mi hanno visto, si sono veramente rilassati.
«Pensavo fossi morta.» ha sussurrato Jale abbracciandomi.
«No, sono viva... e ho anche un prigioniero!» ho risposto entusiasta.
Siamo tornati indietro per prendere Noah.
Poi la situazione è degenerata. L’incendio, di cui ovviamente mi ero completamente dimenticata, stava avanzando verso di noi, e quando ce ne siamo accorti si faceva già fatica a respirare.
«Alzati!» ha detto White a Noah. «Noah! Alzati! Muoviti!»
«Io...» ha tossito. «Io non ce la faccio!»
Jale si è avvicinato e gli ha messo un braccio intorno per poterlo tirare su, eravamo troppo lontani dalla Cornucopia, nel bel mezzo del bosco, non potevamo stare lì dentro per molto ancora.
«Da che parte andiamo?» ha chiesto Noah.
Gli sguardi di White e Jale si sono posati su di me.
È iniziato il panico.
«Io... io no lo so... ho perso il senso dell’orientamento!» ho alzato gli occhi. «Non... non riesco a vedere le stelle... siamo troppo dentro!»
Le lacrime stavano salendo. Avevo paura, lo ammetto. Ero terrorizzata.
Per tutto il tempo, ero rassegnata all’idea di dover morire, mentre adesso, il panico mi stava assalendo, non volevo lasciarli, non volevo andarmene adesso.
Abbiamo iniziato a correre, senza una meta precisa. Una corsa frenetica, contro il tempo, contro le fiamme.
Sembrava non avessimo più una via d’uscita.
I muscoli facevano male per la corsa, i polmoni bruciavano per il fumo, l’aria era incandescente per il fuoco, ma quando pensavamo fosse tutto finito, si è aperto un varco tra gli alberi, abbiamo visto la luna in un piccolo pezzo di cielo. Stavamo andando nella direzione giusta.
Quel sollievo che ho provato è stato ciò che mi ha spinto a correre avanti, a spingere al massimo le mie gambe, a non fermarmi.
Alla fine, quando siamo usciti dal bosco, nello spiazzo della Cornucopia, non ho più resistito, e mi sono accasciata a terra, sull’erba fresca, a cercare di tornare a respirare normalmente.
Quando i miei polmoni hanno smesso di essere in fiamme, mi sono messa a sedere e ho ammirato quello che un semplice fiammifero aveva provocato: un incendio che si estendeva per gran parte dei Distretti Sette e Tre. Era estremamente inquietante, ma almeno adesso sapevo dove eravamo, e potevo essere più tranquilla!
Stavo ancora riprendendo fiato quando ho visto che Jale si stava avvicinando. Si è messo seduto vicino a me e insieme abbiamo guardato un enorme hovercraft scendere dal cielo e scaricare una massa d’acqua sull’incendio, che si è spento provocando una vampata di fumo.
«Hel... tutto okay?» ha chiesto Jale.
«Tu... tu devia ancora... dirmi una cosa...» ho risposto ancora con il fiatone.
«Che cosa?!» sembrava allarmato.
«Tranquillo... ma dovevi dirmi il nome di tua sorella... me l’avevi promesso...»
Si è rilassato, sorridendo.
«Stupida. Ti sembra questo il momento?! Potevi richiedermelo con calma...» ha abbassato lo sguardo. «Anne Lee.» ha aggiunto sussurrando.
«È un nome bellissimo...» ho risposto cercando il suo sguardo.
«Sì, piccioncini, bando alle ciance, che dobbiamo fare con questo tipo?» ha chiesto all’improvviso White. Mi ero dimenticata della loro presenza.
La mia freccia non era più nella sua gamba, ma doveva aver perso molto sangue, perché era pallido e aveva una grande chiazza rosso scuro sul pantalone.
«Allora» ha iniziato Jale, ora il suo tono era più pratico. «Dobbiamo trovare un posto dove andare, ma soprattutto dovremmo trovare le altre...»
«Facciamo così, troviamo un posto, sicuro, ci accampiamo, e poi io e White torniamo qui per vedere se ci trovano, come abbiamo fatto la prima sera.» ho proposto io.
«Per me va bene... ma dove potremmo andare?» ha chiesto White.
Ho fatto mente locale per un po’... al rifugio, sul terreno avevo disegnato una mappa, ho pensato, e ripensato, cercando di focalizzare un posto dove saremmo potuti andare...
«Ci sarebbe una stazione diroccata nella parte dell’Arena del Distretto Sei...» ho detto dopo un po’.
«È sicuro secondo te?» ho chiesto Jale.
«Beh, non possiamo più nasconderci nella foresta, a questo punto credo sia il posto più vicino...»
«Se credi possa andare bene, allora per me va bene.»
«Okay... andiamo?» ho chiesto a White, che ha annuito senza esitare.
Ci siamo incamminati, arrivare in quella stazione, con White e Noah che zoppicavano non è stato facile. Abbiamo impiegato il doppio di quanto ci avremmo messo normalmente. È stato stressante.
Quando siamo arrivati, però, ci siamo resi conto che White non poteva tornare indietro con me, né poteva restare indietro con Noah. Ci siamo dovuti arrangiare, e rimanere lì. Ero preoccupata per Fannia e Volumnia, ma non potevamo veramente pensare di tornare indietro.
«La guardia la facciamo io e Jale, tu va a riposarti.» ho detto a White.
«No, tranquilla, mi fa troppo male la caviglia, non riuscirei comunque a dormire... fammi fare almeno il primo turno, se poi ho sonno, vi sveglio.»
«Sei sicura?»
«Certo, tranquilla...»
«Okay...»
Io e Jale ci siamo allontanati, anche di parecchio, tanto che non sentivo più la voce di White, che forse per disperazione, tentava di attaccare bottone con quel tipo.
Abbiamo trovato un posto tranquillo, e ci siamo seduti, accoccolati.
«Ma tu lo sai che notte è questa?» ha chiesto. Lui era appoggiato alla parete e mi stava abbracciando da dietro, mentre mi accarezzava le braccia.
«In che senso?» non riuscivo a capire...
«Che cosa abbiamo fatto oggi?»
Mi sono messa a pensare...
«Ci... ci siamo sposati?»
«E quindi questa è?»
Mi sono voltata a guardarlo.
«La nostra... prima notte di nozze?»
«Già...» ha risposto baciandomi. «E lo sai generalmente che succede, durante le prime notti di nozze?»
Continuava a baciarmi, è stato in quel momento che il mio cervello ha smesso di funzionare.

Ero scioccato. Non potevano scegliere momento migliore, e anzi, nonostante questo, c’è stata una cosa che mi ha sconvolto ancora di più: di prima mattina, mentre ancora dormivano, un paracadute argentato è caduto nel giardinetto lì vicino.
«Haymitch?» ho chiesto preoccupato. «Haymitch, che cos’è quel paracadute?»
«La mentore del Cinque mi ha chiesto di mandargli un biglietto, dice che Eta vuole parlargli...» mi ha risposto.
«Ma sei matto?!»
«Perché? Che sarà mai?»
«Ha tentato di ucciderli. Ha appena appiccato un incendio! Proprio non te ne frega niente, vero?!»
«Mmh...» sembrava ci stesse seriamente pensando. «Già, direi che non me ne proprio niente.» e se ne è andato via ridendo.
Dovevo andare a parlare con Katniss.
Sono sceso di corsa, l’ascensore sembrava non voler scendere, era lento, e io non avevo tempo da perdere.
Sono arrivato davanti alla porta. Ho inspirato profondamente.
«Katniss!» ho urlato aprendo la porta. «Devi chiudere l’Arena. Adesso! O ci sarà una tragedia!»


 
*Angolino Autrice*
Salve ragazzi(?)
So che vi ho fatto penare, ma proprio non riuscivo a scrivere.
Ormai manca poco... solo due capitoli,
e la cosa mi spaventa...
Spero di riuscire a scrivere per pubblicare la prossima settimana.
A presto,
Lady_Periwinkle

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Capitolo 20
*** Vendetta ***


CAPITOLO 20 – VENDETTA
 
«Che cosa?!» ha chiesto spaesata, alzandosi dalla poltrona dietro la scrivania. Era da poco passata l’alba, sinceramente mi stupiva trovarla lì.
Aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi, doveva aver passato la notte in bianco.
«Catnip, ti prego, te lo chiedo per favore, fa finire questo massacro adesso... chiudi quella maledetta Arena.»
«Stai scherzando, spero!»
«No, aspetta. Haymitch ha combinato un casino! Quella pazza del Cinque li ucciderà tutti! Farà una strage!»
«Gale, non so se t’è sfuggito, ma lo scopo è quello!»
«Come puoi tu, dire certe cose?! Perché non riesci a capire?»
«Senti, deve rimanerne due, ce ne sono ancora quindici, non posso fare come mi pare e chiudere tutto! So che ti sei affezionato...»
«No, no, tu non capisci.» l’ho interrotta. «Sto rivivendo le stesse sensazioni che provavo mentre tu eri dentro, la prima volta è stato straziante, la seconda non te lo dico, ma adesso, non ce la faccio a rivivere tutto... e se nel mio cuore sapevo che tu saresti riuscita a venirne fuori, adesso sono sicuro che loro non ce la faranno. Non posso sopportarlo!»
«Gale...» finalmente sembrava capire. «Posso parlarne con Peeta... non ti assicuro niente, ma se proprio vuoi, ne discuteremo questa sera...»
«Ma accadrà questa sera...»
«Tu... tu non sai cosa vuol dire stare lì dentro...» non ma saputo cosa stava per dirmi.
«Già» l’ho interrotta. «e tu non sai cosa vuol dire stare qui fuori.» ho detto andandomene, ero infuriato, non avrebbe mai potuto capire.

Quando mi sono svegliata Jale non era sdraiato vicino a me. Mi sono vestita e sono andata di là.
«Giorno.» ho detto a Noah. White stava dormendo, accovacciata contro la parete. «Come mai non mi avete chiamato?» ho chiesto alludendo al fatto che White non avrebbe dovuto addormentarsi senza chiedere il cambio di qualcuno.
«Ah, perché appena si è addormentata, circa due ore fa, all’alba, il tuo “amico” è venuto qui e si è messo a fare la guardia... è uscito poco fa per andare alla Cornucopia.» mi ha risposto.
«Oh, no! Non doveva andare da solo! Adesso lo raggiungo.»
«Ha detto anche che avresti fatto così, e mi ha pregato di dirti di rimanere qui per andare a caccia nel bosco qui dietro.»
«Sicuro?» ho chiesto dubbiosa.
«Sicurissimo.» ha risposto sorridendo.
«Va bene... vado a procurarci qualcosa da mangiare.» ho annunciato afferrando l’arco.
Sono stata via più o meno tre ore, ho dovuto cercare a lungo per trovare qualcosa di commestibile, il sottobosco era pieno di erbacce e bacche velenose, alla fine ho deciso che sarebbe stato più producente appostarsi da qualche parte e aspettare, per qualcosa di più grande di una lumaca, che per inciso, non avrei mai e poi mai potuto mangiare.
Alla fine sono riuscita a prendere uno scoiattolo. Non era tra i più in carne che avessi mai visto, ma dovevamo accontentarci, a mali estremi, estremi rimedi.
Quando sono rientrata dal retro della stazione, seguendo dei vecchi binari, ho cominciato a sentire delle voci. Ho incoccato una freccia, me ne rimanevano solo tre, e due erano già sporche di sangue.
Ho cominciato a muovermi attaccata al muro, tentando di essere più silenziosa possibile.
Ero pronta ad attaccare.
Ho svoltato l’angolo, tenendo l’arco teso...
Quando poi mi sono resa conto che erano Fannia e Volumnia che stavano raccontando quello che era successo loro, mi sono rilassata, lasciando cadere l’arco e correndo da loro per abbracciarle.
«O mamma! State bene! Ero così in pensiero per voi!» ho detto tenendole strette.
«Ahahahahah! Tranquilla, stiamo bene, siamo state brave! Ci siamo nascoste per bene, e poi abbiamo pensato di venire alla Cornucopia, e lì abbiamo incontrato Jale...»
«Già, che ne dici, chi le è andate a riprendere non meriterebbe un premio?» ha detto Jale rubandomi dal loro abbraccio.
«No.» ho risposto seria, allontanandomi. «Perché quello che le ha trovate non mi ha voluto avvisare. Ed è andato da solo, lasciandomi andare a caccia da sola.»
«Che hai trovato di buono da mangiare?» a chiesto Noah.
«Uno scoiattolo.»
«L’hai mandata a cacciare?!» ha chiesto Jale. «Ti avevo detto che sarei andato io dopo!»
«Ah, scusa.» ha risposto con un ghigno. «Avevo capito male.»
La faccia di Jale era una  maschera di rabbia.
«Jale, lascia perdere. Non puoi fare tutto tu. Ho ingannato il tempo e ho trovato da mangiare. Meglio di così non potevamo chiedere.»
«Ma poteva succederti qualcosa.»
«Già, ma non è successo. Sto bene. E poi sarebbe potuto succedere qualcosa anche a te. Quindi smettila e aiutami con questo scoiattolo.»
Siamo usciti fuori dalla stazione. E abbiamo acceso il fuoco con la poca legna che abbiamo trovato lì fuori.
«Senti... ehm...» ha cominciato Jale, aveva già capito dove voleva andare a parare, quindi dono arrossita. «Per quanto riguarda ieri sera...»
«O mio Dio... dovevo aspettarmela... è così imbarazzante...»
Si è avvicinato a me, mi ha alzato il mento.
«È stato perfetto.» ha detto prima di baciarmi.
«Va beh, pensiamo allo scoiattolo adesso...» ho detto rossa come un peperone.
«Ahahahahahah! Okay, pensiamo al scoiattolo, altrimenti non mangiamo più!»
Abbiamo finito di preparare il scoiattolo, l’abbiamo cotto per bene e siamo tornati indietro, nella stazione.
«Finalmente! Ce l’avete fatta!» ha detto Noah. «Stavo morendo di fame.»
«La prossima volta la freccia te la ficco nella testa.» ho risposto seria.
Abbiamo pranzato lasciando un po’ dello scoiattolo per la cena.
Ci siamo organizzati per i turni di guardia durante il pomeriggio. Eravamo tutti molto tesi. Preoccupati per ciò che avrebbero potuto organizzare da Capitol per farci uscire da lì.
Purtroppo però non abbiamo avuto modo di riposarci, infatti chi non doveva fare la guardia, doveva andare a caccia per vedere se si trovava qualcosa di più sostanzioso degli avanzi di scoiattolo. Tutti, tranne Noah e White che stavano lavorando con dei bastoni per usarli come stampelle e riuscire a camminare. Stavano facendo progressi, ma la caviglia di White era gonfia, e anche con quelle stampelle improvvisate faceva molta fatica. Di Noah non mi interessava molto, l’abbiamo portato con noi solo per non farlo morire nell’incendio.
Alla fine tra una cosa e l’altra si è fatta quasi l’ora di cena.
«Vado a cercare della legna.» ha detto Jale.
«Vengo con te...» ho proposto.
«No, tranquilla.» mi ha risposto sorridendo. «Torno tra una mezz’oretta! Non preoccuparti!»
«Okay... ci vediamo dopo.» l’ho salutato, prima di baciarlo.

Non ci posso credere. Sta veramente andando da quella pazzoide?!
Ero in ansia per tutto ciò che sarebbe potuto accadere, e sentivo il bisogno di parlarne con qualcuno, così mi sono diretto verso l’ufficio di Katniss.
Ero lì vicino, quando mi sono accorto che la porta era aperta.
«...glielo devo!» stava dicendo lei.
«Lo so che è tuo amico, ma non possiamo fare certe cose, ne dovremmo parlare con gli altri.» le ha risposto qualcuno, credo fosse Peeta.
«No, non capisci... li ho osservati, e lui ha ragione. Sono come noi! Ci assomigliano veramente tanto... solo ora capisco...»
«Se proprio non riesci a sopportarlo, possiamo fare in modo di aiutarli, ma non possiamo chiudere in questo momento, lo capisci?»
«Sì, sì, lo capisco... va bene.. facciamo in modo di fargli arrivare un indizio allora...»
Subito dopo aver detto questo ha fatto per alzarsi, non ho saputo cosa gli avrebbero spedito, ma mi sentivo già più tranquillo. Sono dovuto scappare, ma almeno sapevo che avrebbero fatto qualcosa!
Sono corso di sopra, l’unica cosa che potevo fare adesso era aspettare e vedere cosa avrebbero fatto.

Erano passate già due ore, non si erano sentite voci o suoni strani vicino a noi, ma ormai cominciavo a preoccuparmi.
«Fannia...» le ho sussurrato all’orecchio. «Non è che potresti accompagnarmi, magari a fare un giro qui vicino per vedere se si è cacciato in qualche guaio?»
«Certo!» ha risposto lei. «Ragazzi, noi andiamo a vedere se Jale è qui vicino da qualche parte... magari cominciate a pulire l’altro scoiattolo.»
Siamo uscite della stazione e abbiamo fatto un giretto lì intorno. Purtroppo però le poche impronte che avevamo seguito vicino al rifugio si erano disperse quasi subito, così ci siamo rassegnate e siamo tornate indietro.
«Niente, ragazzi... qui vicino non c’è...» abbiamo annunciato appena siamo rientrate.
«Hel...» ha iniziato White, che solo in quel momento, mi sono accorta aveva in mano un paracadute argentato. «Hel, senti... si è fatto buio, forse dovremmo cominciare a mangiare gli avanzi dello scoiattolo che sono già cotti...»
«White... che hai in mano?» ho chiesto.
«Non c’è bisogno di allarmarsi...» ha provato a nascondere il pacchetto.
«White, è da Capitol?»
«Te lo do solo se ti calmi. L’ho letto solo io, gli altri non sanno cosa c’è scritto. Quindi adesso ti metti seduta qui, e lo leggi con calma. Ho un sospetto, la firma è sospetta.»
«Okay, okay.» ho detto assecondandola. «Fammi vedere.»
L’ho preso e l’ho aperto. C’era un biglietto con poche parole.
Non sono uno psicopatico. PM
«PM...» ho iniziato. «Diamine, è quel PM?» ho aggiunto guardando White negli occhi.
«Io... io credo di sì.»
«Chi è PM?» ha chiesto Volumnia.
«Quante persone famose conoscete che come iniziali hanno PM?» ho chiesto, aggiungendo poi la risposta ai loro volti confusi. «Peeta Mellark.»
«Aspetta, aspetta, che dice il biglietto?» ha chiesto Fannia.
«Letteralmente: “Non sono uno psicopatico. PM”»
«Forse so cosa significa...» ha detto White.
«Forse lo so anche io.» in quel momento stava entrando in atto la nostra magica sintonia, quella che ci prendeva in classe, ai vecchi (non tanto vecchi) tempi, quando dovevamo comunicare e ci capivamo al volo.
«La Cornucopia...» ho sussurrato io.
«Già...» ha risposto lei, sempre sussurrando. «Potrebbe essere un problema, lo sai?»
«Sì che lo so, ma non posso mica lasciarlo lì da solo...»
«Certo, certo... ma perché mai dovrebbe essere andato alla Cornucopia?»
«Perché è un idiota allucinante!»
«Questo lo sapevamo...»
«Deve essere stata una trappola, e lui non se l’è sentita di dirmelo... mossa molto stupida dopo quello che è successo...»
«Che è successo?» ha chiesto curiosa, facendomi arrossire. «Perché arrossisci?»
«Beh... sai, ieri notte...» ho iniziato imbarazzata.
«Ma no! Che cosa dici?!»
«Va beh, concentriamoci sulle cose importanti.»
«Quello è importante!»
«Okay, allora sulle cose che dobbiamo risolvere prima!»
«Ragazze, scusate...» ha detto all’improvviso Fannia. «Se magari ci dite qualcosa...»
Ero così presa dal discorso con White che mi ero dimenticata degli altri.
«Sì, okay, scusate.» ho ripreso. «Pensiamo che Jale sia andato alla Cornucopia per chissà quale motivo, e che sia in pericolo perché il messaggio è firmato da Peeta Mellark.»
«Oh, è un bel guaio!» ha detto Volumnia.
In tutto questo, Noah, che non si era mai espresso, ha trovato opportuno parlare in quel momento.
«Senti, non mi interessa quello che è successo tra te e quel tipo, ma se è successo quello che credo, col cazzo che ci vengo alla Cornucopia!»
«Tu sai quello che è successo?!» ho chiesto alterata, perché non poteva dirlo subito?
«Non per certo. Ma diciamo che ho delle teorie.»
«Parla.»
«Eta. Tu hai ucciso Dorothy, e diciamo che voi due non siete gli unici “innamorati” dell’Arena...»
«Okay... e allora? Non mi interessa con chi sta Eta...»
«Idiota! Tu hai ucciso Dorothy! Ed Eta è pazza! Fai due più due.»
«O mamma! Devo andare a riprenderlo!»
«Non te lo consiglio... lo ucciderà sicuramente, se non vuoi fare una brutta fine, io rimarrei qui.»
«Bene, rimani pure qui! Io non resto! Vado a riprenderlo!»
«Aspetta! Vengo con te!» ha detto White, alzandosi con le stampelle.
«Veniamo anche noi!» hanno aggiunto Fannia e Volumnia subito poco.
Ci siamo incamminate, a tratti correvamo, ma spesso dovevamo fermarci a causa della caviglia di White.
Avevo il terrore di sentire lo sparo del cannone, mentre camminavamo. Il mio cuore andava al galoppo, e i miei piedi facevano fatica a non andare a tempo.
Poi siamo arrivati alla fine del piccolo boschetto che divideva la stazione dalla Cornucopia, e l’abbiamo visto.
Era legato, mani e piedi, appoggiato con la schiena alla Cornucopia.
Il mio cuore ha saltato un battito.
Il suo volto era livido, il respiro pesante, il volto dolorante.
Eta lo stava prendendo a calci contro il torace. È scivolato a terra.
Mi stavo per lanciare contro di loro, quando Fannia e Volumnia mi hanno afferrato.
«Hel...» ha iniziato White. «Lo ucciderà di sicuro se vai adesso! Dobbiamo aspettare il momento giusto, tieni pronto... Hel, Hel, dov’è l’arco?»
«Che... cosa?! L’arco?» ero confusa, non riuscivo a capire, tutto ciò che la mia mente riusciva a produrre era l’immagine di Jale lì a terra. «Oh no.» poi ho realizzato. «L’ho... l’ho dimenticato! O mio Dio!»
Stavo per scoppiare a piangere, quando Volumnia mi ha fatto cenno di stare zitta. Eta stava parlando.
«Finalmente abbiamo modo di parlare!» rideva, rideva di gusto. «Certo, potrei anche slegarti adesso, non potresti fare molto, ma la prudenza non è mai abbastanza!» la sua espressione stava cambiando. «Beh... parlando seriamente. Sai perché sei qui?» si era accovacciata alla sua altezza. «Sei qui perché devo ucciderti, per che è così che va la vita, sai come funziona, è una lunga discesa verso il basso. Ma non è questo il motivo per cui ti parlo adesso. Voglio far sapere a tutti che nessuno può mettersi contro di me! La tua ragazza l’ha fatto, e io gliela farò pagare!» si era rialzata in piedi. «E QUESTO È NIENTE, STRONZI!» ha aggiunto ridendo. «Lei ha ucciso la mia Dorothy, capisci che significa? Deve provare quello che ho provato io. Capire il mio dolore. E mi dispiace per questo! Io odio uccidere le persone!» ora stava piangendo. «Lo odio! Lo odio con tutto il mio cuore! Ma mi hanno costretto, come hanno costretto te! E io non ce la faccio più! Ho anche provato a farla finita, ma... ma non è possibile! Non ci permettono... di farla finita!» ora singhiozzava. «E... e ho pensato... che l’unico modo... per sentire un po’ di pace... sarebbe stato fare questa cosa... per l’ultima volta...»
L’ho vista prendere un pugnale. Lo sguardo di Jale era quasi sereno, ha tratto un sospiro.
«Eta! No!» ho urlato io del bosco.
Ma poi il cannone ha sparato.
 
*Angolino autrice*
“Cuz it’s a long way down”
Scusatemi.
Lady_Periwinkle.

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Capitolo 21
*** Anne Lee Waters ***


CAPITOLO 21 – ANNE LEE WATERS
 
Il panico mi ha assalito.
Eta si era girata a guardarci, spaesata, come se non si fosse resa conto di quello che aveva fatto. Avevo lo sguardo fisso su Jale, una macchia rossa si stava allargando all’altezza dello stomaco.
Fannia e Volumnia, che fino a poco prima mi stavano tenendo stretta per evitare che corressi da lui, avevano allentato la presa.
«Hel...» ho iniziato White, ma non ho avuto modo di sentire altro, mi sono accasciata a terra, senza riuscire a pensare ad altro che non fosse Jale, steso, senza vita.

Tutto ciò che è successo dopo è confuso.
Ricordo delle luci, una voce, e le mani di White che mi aiutavano a camminare.
Ricordo una gran confusione, ricordo di essere stata pulita, sistemata e rivestita.
Ricordo vagamente una cerimonia, in cui mi veniva chiesto di sorridere.
Il primo ricordo chiaro che ho è stato l’abbraccio forte della mamma la prima volta che sono rientrata a casa.
Poi è iniziato il panico.
L’uscita dall’Arena è stata quasi peggiore dell’entrata.
Tutto intorno a me sembrava aver perso importanza. La gioia dei miei parenti giungeva ovattata alle mie orecchie. Non avevo voglia di fare niente, se non dormire. Ero stanca, stanca di tutto.
Non so perché abbiano deciso così all’improvviso di tirarci fuori, sicuramente, al momento avrei preferito perdere la vita, che continuarla senza di lui.
Le prime settimane sono state tremende. Non mi alzavo mai da letto. Non mangiavo. Non parlavo. Sentivo un gran via vai di gente che voleva vedermi, e puntuale sentivo la mamma cacciarli via. Di notte mi svegliavo urlando in preda agli incubi, con le mani tra i capelli, e la mamma e Scarlet arrivavano di corsa per consolarmi. Spesso Scarlet rimaneva da me, per tentare di calmarmi e farmi dormire. Ho pianto. Ho pianto tanto.
Poi, non so come, né perché, qualcosa è scattato in me, e, lentamente, ho ricominciato a mangiare, ho iniziato ad alzarmi per leggere, quando l’ho fatto la prima volta lo stupore sui volti dei miei familiari era a livelli allucinanti, sembravano aver visto un fantasma.
Purtroppo però, ogni cosa mi ricordava di lui. Ad iniziare dai capelli. Non volevo più avere il mare in testa, volevo vederlo di persona, ma non sopportavo più di vederlo tutte le volte che mi specchiavo, per questo ho fatto l’operazione inversa a quella fatta anni prima: i miei capelli erano tornati al loro colore naturale, erano di nuovo castano chiari.

Con il passare dei giorni stavo meglio. Io e White abbiamo ricominciato a passare del tempo insieme, e ho scoperto che aiutava molto, parlare con qualcuno che sapeva cosa avevi passato.
È stato quando le cose cominciavano lentamente ad aggiustarsi che il fato ha deciso di sorprendermi.
Ero incinta. Non potevo crederci. All’inizio ero preoccupata, spaventata, e poi sono diventata felice, gioiosa, piena di vita.
La prima a saperlo è stata White. Non sapevo che altro fare, mamma è sempre stata una persona aperta, ma sarebbe stato comunque un grande shock... potevo dirglielo? Non sapevo neanche dove sarei potuta andare, sarei potuta rimanere a casa? Alla fine, pensandoci bene, era solo questo che mi metteva paura.
Poi un giorno, chiacchierando con White, ci è venuta un’idea pazza: di restare a Capitol City non ne avevamo né voglia, né intenzione, stavamo male entrambe in quella non-normalità che una volta era stata anche la nostra, e allora, perché non andare via? In più, il mio segreto non sarebbe potuto rimanere segreto ancora per molto, prima o poi se ne sarebbero accorti.
Abbiamo organizzato tutto con calma, i soldi non ci erano mai mancati e con la vincita ricevuta per gli Hunger Games (che era stata equamente divisa in quattordici) stavamo ancora meglio.
Da poco avevamo ripreso ad uscire, andavamo al parco, facevamo delle passeggiate all’aria aperta, tutto pur di fuggire dall’ipocrisia dei nostri concittadini.
Una di quelle volte abbiamo comprato dei biglietti di sola andata per il treno che si dirigeva in periferia, poi saremmo dovute andare a piedi, avevamo scelto il Quattro come destinazione, avevo fatto una ricerca e scoperto che il borgo dove una volta abitava Jale si trovava sulla costa. Stava diventando tutto così reale.
Abbiamo preparato dei borsoni e White è venuta da me con la scusa di rimanere a dormire. Alla fine, però, non ho resistito. Quella sera, prima di scappare sono andata dalla mia mamma, forse non l’avrebbe accettato, o forse, sarebbe addirittura stata contenta per me, perché ricercavo la felicità e la inseguivo con tutta me stessa.
«Mami...» ho iniziato. «Devo dirti una cosa importante...»
«Te ne stai andando, vero? Sapevo che sarebbe successo, prima o poi...»
«Co-come facevi a saperlo?»
«Una mamma queste cose le sa... le intuisce...» ha detto accarezzandomi la guancia.
«Sì... io e White stiamo andando via... lei ha lasciato un biglietto ai suoi... lo scopriranno domani mattina...»
«Io non ne so niente, vero?»
«Già, in teoria dovevi scoprirlo domani mattina anche tu...» ho iniziato. «Comunque non è questo che dovevo dirti... ce ne andiamo principalmente perché non ce la facciamo più a stare qui, e poi perché... beh... io sono incinta... la sera in cui ci siamo... sposati» stavo continuando con la testa bassa. «ecco... noi...»
Mi ha abbracciato forte.
«Tesoro, sai che vorrei starti vicina, ma se è questo quello che vuoi, fai pure, sai benissimo che le porte di casa resteranno aperte per sempre.»
«Ti manderò delle lettere, delle foto... forse un giorno, vi farò venire nella mia casa al mare, oppure porterò mio figlio a vedere la casa dei suoi nonni!» le stavo sorridendo, nonostante le lacrime stessero iniziando a solcare entrambi i nostri volti.
«Non preoccuparti, staremo bene...» l’ho rassicurata. «Salutami papi, e Scarlet, e Albert! Dobbiamo andare...»
E così ho salutato la mia famiglia e la casa dove ero cresciuta, per andare in contro all’ignoto.
Avevamo in programma poco più due settimane di cammino, avevamo dei rifornimenti, ma tentavamo il più possibile di adattarci con ciò che trovavamo in natura, cacciando soprattutto di sera. Dovevamo attraversare un pezzo della periferia del territorio di Capitol City, parte del distretto Dieci e poi saremmo arrivate nel Quattro.
Una volta lì, avremo cercato una piccola casetta sulla spiaggia, la mia pancia era appena accennata.

Sono passati ormai quattro anni qua quando io e White ce ne siamo andate da Capitol City. Qui siamo conosciute come le “due sorelle che vengono da lontano”, Helene e WhiteRose Waters, ci sembrava un cognome appropriato per il Distretto in cui saremo andate a vivere. La casa dove ormai abitiamo solo io e Anne Lee, la mia bambina, è proprio in riva al mare, White abita poco distante da me, con il suo nuovo compagno.
Ci è voluto un po’ ad abituarsi al clima, al sole cocente, al cibo, alla gente. All’inizio ci hanno guardato con diffidenza, non si fidavano molto di due ragazze così poco abbronzate, e quando hanno scoperto la mia gravidanza la situazione non è migliorata, ci è voluto molto anche per loro, per abituarsi a noi.
Anne Lee è nata dopo poco più di cinque mesi dal nostro arrivo, e se non fosse stato per l’anziana del villaggio e per i medici, probabilmente non sarebbe neanche qui, sarò loro grata per sempre, lei è la mia ragione di vita.
È stato allora che tutto è cambiato, che si sono resi conto che eravamo solo due ragazze scappate da una realtà difficile, non ci hanno chiesto del nostro passato, ma scommetto che in fondo, qualcuno sappia la realtà, semplicemente non vuole ammetterlo.
Le nostre vite procedevano al meglio, anche se gli incubi continuavano a fare capolino nei nostri sogni.
Sognavo spesso di lui.
Una notte, Anne Lee aveva da poco compiuto tre anni e aveva iniziato a chiedere del perché lei non avesse un papà, uno dei miei incubi è venuto a farmi visita, mi sono svegliata gridando il suo nome, e l’ho svegliata, all’inizio si è spaventata, non ha pianto, ma quando si è accorta che, invece, io stavo piangendo, è salita sul mio letto, e mi ha abbracciato.
«Mamma, chi è Jale?» ha chiesto con la sua vocina dolce.
A fatica ho ricacciato indietro le lacrime.
«Jale era il tuo papà, solo che adesso non c’è più, e la mamma lo sogna, e diventa tanto triste quando succede...» le ho risposto.
«Ma mamma! Non devi essere triste! Quando sei triste puoi venire da me! Prometto di darti un abbraccio grande così!» ha detto mimando l’ampiezza con le braccia.
«Grazie tesoro.» le ho risposto stampandole un bacio sulla guancia. «Torniamo a dormire, adesso...»
«Aspetta, mamma!» mi ha fermato. «Mi racconti qualcosa di papà?» ha aggiunto sussurrando.
«Okay.» le ho risposto mettendomi seduta sul letto. «Cosa vuoi sapere?»
Gli occhi hanno iniziato a brillarle, aveva suoi stessi occhi, quegli occhi che tendevano all’ambrato-dorato.
«Com’era fatto?»
«Era bello, era tanto bello. Era alto, con le braccia muscolose, aveva i tuoi stessi occhi, e i suoi capelli erano un po’ più scuri dei tuoi, li portava corti... mi voleva tanto bene, mi ha difeso da gente che voleva farmi del male come fanno i principi delle favole, anzi, anche di più, finché quelle persone cattive non l’hanno preso, l’hanno ucciso, e mamma si è ritrovata da sola con zia White.» era molto interessata, mi guardava attenta.
«Quando mi ha chiesto di sposarlo, mi ha regalato questa.» le ho detto mostrando la collana a forma di stellina che non toglievo mai. «È per questo che mamma si è fatta quel tatuaggio, quello dietro al collo, ci sono dodici stelline, che rappresentano i dodici amici che mamma ha perso, ma la stella più grande, quella è la stella di papà! Così mamma può portarlo sempre con se, nel cuore, nel pensiero e sulla pelle.»
Era entusiasta.
«Ora andiamo a dormire, però, domani mamma ti finirà di raccontare di papà, e ti racconterò anche dei tuoi nonni, e ti farò vedere le loro foto! Ti va di rimanere a dormire nel lettone con me?» le ho chiesto alla fine.
Ha annuito accoccolandosi accanto a me.
È una bambina forte.
Successivamente le ho raccontato della nostra storia d’amore, le ho raccontato dei miei genitori, le ho fatto vedere delle foto, e le ho chiesto se avesse voluto abbracciarli, quando mi ha risposto di sì, in una delle tante lettere che mandavo a mia madre ho scritto che sarebbero potuti venire, così finalmente li ho potuti riabbracciare.
Anne Lee all’inizio è stata molto timida, ma non è durata molto, le piace fare amicizia con gente nuova.
La mia famiglia, alla fine, era fiera di me, e questo basta.

Conducevamo una vita tranquilla, i risparmi della nostra vita precedente bastavano a non farci sgobbare.
Un giorno, però, tornando dal lavoro, avevo lasciato Anne Lee, con White, che per quel giorno non lavorava, ho trovato la porta di casa aperta. Mi sono preoccupata, che motivo aveva di essere aperta?
«White! Annie! Sono tornata! Tutto bene?» ho chiesto.
«Hel... puoi, puoi venire?» ha chiesto White, la sua voce veniva dalla camera da pranzo.
«Subito.» ho risposto precipitandomi lì.
Quando sono arrivata, mi sono trovata davanti la persona meno aspettata di questo mondo.
Gale.
«Che... che cosa ci fai qui?»
Sembrava nervoso.
«Helene.» ha detto incredulo, si è avvicinato e mi ha abbracciato.
Sono rimasta bloccata. Non sapevo come reagire.
«Perché non hai risposto alle mie lettere?» ha chiesto.
«Io... io... non lo so.» ho detto correndo via di casa. Dopo tutto quello che era successo, dopo quel periodo di tranquillità, vedere Gale, è stato come sentire il passato afferrarmi per il collo e trascinarmi indietro.
Sono corsa via, sono andata nell’unico posto che aveva il potere di tranquillizzarmi in quel periodo: la spiaggia.
Volevo stare sola, con me stessa e i miei pensieri.
«Io... scusami... non volevo turbarti, volevo solo raccontarti ciò che è successo realmente...»
«Fai pure.» gli ho risposto rimanendo con la testa ben piantata tra le mie ginocchia.
Si è seduto accanto a me.
Ha riportato alla memoria ciò che era successo in quei giorni. Ha detto che poco prima dell'imboscata, era passato da Katniss per chiedergli di chiudere, e origliando una conversazione che lei aveva avuto con Peeta si era rassicurato, perché aveva le sue stesse intenzioni. Mi ha detto che poi, quando si é reso conto che non avrebbero chiuso prima che la questione tra noi fosse risolta é andato nel panico, sapeva come sarebbe andata a finire...
Quando é successo quello che é successo ha detto di essere sceso come una furia, con l’intenzione di riversare la sua rabbia su di lei, ma entrando nello studio l’ha trovata in lacrime, mentre Peeta Mellark dava l’annuncio della fine dei Giochi.
«... io... io ho provato a cercarti, sono anche venuto a casa tua, ma i tuoi mi hanno cacciato, così ho iniziato a scriverti delle lettere, ma tu non hai mai risposto...»
Delle calde lacrime hanno iniziato a scendere.
«Puoi... ti prego, dimmi qualcosa...»
Ho tirato su la faccia.
«Cosa dovrei dirti? Sono passati quattro anni e ancora ho gli incubi per quello che è successo! Mia figlia si sveglia, quando la notte urlo in preda al panico, e ha solo quattro anni!»
Stavo finendo di parlare, quando mi ha abbracciata.
«Sta calma... se mi vorrai, io starò con te...»
Mi sono calmata, ormai era tardo pomeriggio, e io non avevo mangiato niente, quindi abbiamo deciso di tornare a casa.
«Annie!» ho detto entrando. «Annie! Vieni da mamma!»
«Mamma!» ha iniziato saltandomi in braccio. Mi ha dato un bacio sulla guancia. «Chi è questo signore, mamma?» ha aggiunto poi sussurrando.
«Ahahahahah! Questo signore è un amico di mamma. White, grazie per aver tenuto Annie.»
«Ah, figurati, è stato un piacere, vero Annie?»
«Sì, sì!» ha risposto con la sua vocina.
Ci siamo messi seduti al tavolo, ed io ho preparato qualcosa da mangiare e da bere.
«Anne Lee, fai la brava, e presentati.» le ho detto.
Lei, con la più grande serietà, ha allungato la mano.
«Ciao, io sono Anne Lee Waters.»
«Ciao, Anne Lee Waters.» ha risposto Gale, assecondandola, e stringendole la mano. «Io sono Gale Hawthorne, e sono un amico della tua mamma.»
«Bravissima, tesoro.» le ho detto dandole un bacio sulla guancia.
Abbiamo mangiato, e poi ho proposto una passeggiata sulla spiaggia, io e Anne Lee adoravamo fare le passeggiate in riva al mare.
Annie adorava camminare sul bagnasciuga, raccogliere le conchiglie e bagnarsi i piedini.
Camminavamo già da un po’, quando ha incontrato degli amichetti.
«Mamma possiamo fermarci a giocare?» ha chiesto con un sorrisone.
«Certo, io e Gale rimaniamo qui a guardarti.»
Ci siamo seduti, mancava poco al tramonto, il cielo si stava già tingendo di rosso.
«Alla fine...» ho cominciato avvicinandomi a lui. «Mi sei mancato...»


 
*Angolino autrice*
E quindi siamo arrivati alla fine!
Ringrazio tutti quelli che sono arrivati fin qui,
che mi hanno letto fino infondo.
Spero di non avervi deluso con il finale.
Ho intenzione di pubblicare altro,
forse non sugli Hunger Games,
ma spero continuerete a leggermi.
Grazie ancora,
Lady_Periwinkle.

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