Praedicio Saecularis Oblivionis

di suxsaku
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La profezia ***
Capitolo 2: *** Il mago e la ladra ***
Capitolo 3: *** Casualità ***
Capitolo 4: *** Fregata ***
Capitolo 5: *** Sosta obbligatoria ***
Capitolo 6: *** Ustione punitiva ***
Capitolo 7: *** Perplessità ***
Capitolo 8: *** A caccia di guai ***
Capitolo 9: *** Il gelo come salvezza ***
Capitolo 10: *** Sonni agitati ***
Capitolo 11: *** Ostilità invisibile ***
Capitolo 12: *** L'inizio delle danze ***
Capitolo 13: *** Dove porta il cammino ***
Capitolo 14: *** Inutile ***
Capitolo 15: *** Rinunce ***
Capitolo 16: *** Scocciature ***
Capitolo 17: *** Finestre sul passato ***
Capitolo 18: *** Fair ***
Capitolo 19: *** Sprechi di tempo e di energie ***



Capitolo 1
*** La profezia ***


d

 

Premessa. Questo più che il primo capitolo è un prologo; la storia vera e propria inizia nel secondo capitolo, e leggendo quanto segue non si capisce quale sia il vero tono della storia. Siccome io stessa mi rendo conto che questo incipit è un tantino noioso e per nulla accattivante,  vi suggerisco di leggere almeno il secondo capitolo per capire veramente quale sia lo “spirito” di questa storia. Dategli una possibilità; molti hanno ceduto, ma altri sono andati avanti e si sono appassionati.

Versione riveduta e recentemente corretta.

 

 

Praedicio secularis oblivionis

 

Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.

Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.

Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.

 

 

Capitolo 1: La profezia

 

Narra il libro delle leggende che i Tre Saggi si riunirono, alla ricerca di una via per fermare l’oscuro signore, stregone con manie di grandezza che aspirava ad ottenere i poteri supremi ed a regnare quale unico sovrano su Salatir, il regno ove si svolge la storia che ci apprestiamo a raccontare. Ai sommi eruditi si presentava soprattutto un dilemma: come intervenire in una vicenda che sarebbe accaduta 100 anni dopo? Non è di grand’utilità prevedere avvenimenti futuri se si è impossibilitati a modificarli. Sfortuna voleva, infatti, che i Saggi non possedessero il segreto dell’immortalità. La soluzione possibile era pertanto una sola. Cosa si fa, quando si è a conoscenza di una minaccia, non propriamente immediata, e si è appreso anche l’unico modo in cui sventarla, il qual modo è talmente astruso da farci sentire in dovere di lasciare ai posteri qualche aiutino per agevolarli nella titanica impresa di salvare il mondo? E’ naturale: si sforna una bella profezia.

E così fecero.

 

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“Nel centesimo anno da che noi, i Tre Saggi, ci siamo riuniti per la prima ed unica volta, una grave minaccia si abbatterà sul nostro mondo. Questo è, infatti, il solo motivo che poteva spingerci a prendere un provvedimento simile: sancire un patto sacro e indissolubile, con il quale speriamo di sventare ciò che altrimenti sarebbe irreparabile e inevitabile. E’ ormai chiaro che fra un secolo accadrà un evento incredibile e terrificante nel medesimo momento; non abbiamo dubbi in proposito. Altrimenti, non saremmo mai giunti sino a questo punto.

Ciò che segue è qualcosa che alimenta da sempre le fantasie popolane, che infarcisce le leggende di elementi utili alla trasmissione orale; qualcosa che da sempre affascina; qualcosa che da sempre si sogna di poter vedere, ma che al contempo si teme per quanto potrebbe rivelare.

Ciò che ci apprestiamo a stilare, è una profezia.”

 

 

L’uomo era agitato, tanto che non riusciva a forzare la porta di massiccia quercia che costituiva l’unico ostacolo alla realizzazione del suo sogno. Un sogno proibito, che lo assillava da tempo immemorabile. Da quando, decenni prima, aveva trovato, per caso, un pezzo di pergamena che aveva cambiato la sua esistenza.

La porta opponeva una resistenza tenace, ma nulla era più forte della smania di sapere che si era impadronita di lui. Anni di ricerche, di delusioni, di derisioni; anni in cui perse tutto per raggiungere quel qualcosa che ora si trovava di là da quella barriera lignea. Finalmente avrebbe soddisfatto il suo desiderio di sapere, di essere partecipe di una verità assoluta e secolare. La brama con la quale era coesistito da quando aveva trovato quel misero, sudicio, sgualcito e apparentemente inutile, pezzo di pergamena.

Da quando aveva trovato uno stralcio della profezia dei Tre Saggi.

 

 

“Tra cento anni esatti, assisteremo ad una lotta epica tra forze magiche a dir poco divine in contrasto, le une in difesa di Salatir, le altre desiderose di conquistare la medesima. La posta in gioco sarà la stabilità di questo mondo, ma solo a livelli superficiali. Infatti, colui che costituisce il fulcro e il nucleo della minaccia ambisce oltretutto ad aprire le comunicazioni con i mondi paralleli; e questo sarebbe un danno irreparabile, in quanto le realtà di ogni dimensione verrebbero fuse insieme, sconvolgendo l’equilibrio di ognuno dei mondi interessati.”

 

 

E la porta cedette. Cedette ad una vita passata alla ricerca della verità. Alla ricerca del futuro. Lasciò il passo alla sete di sapere, alla brama di verità. Entrò nella sala oscura in preda all’eccitazione. Appesa sul muro interno vi era una torcia, che accese subito con il suo acciarino.

La sollevò, i bagliori arancioni non riempivano tutta l’immensa sala circolare, scolpita direttamente nella pietra; i muri irregolari formavano un cerchio perfetto attorno ad un tavolo, nel centro. Le gambe del tavolo erano elaborate, quercia intarsiata e lavorata finemente, con figure di esseri mitologici che spuntavano dalla base. Ma sopra, in cima ad ognuna, dall’attaccatura al piano di lavoro, partiva un volto, e per tutta la gamba si delineava il corpo. Ogni gamba era in realtà una figura umana, ai cui piedi stavano le creature magiche delle basi, che reggeva sul capo l’asse.

Le due figure sul lato che guardava al fondo della stanza erano l’una una bambina, i capelli ricci e ordinati sul volto, ritta in piedi su una roccia su cui si inerpicava un enorme serpente. L’altra era composta da un ragazzo, i capelli corti e ondulati, che stringeva nella mano sinistra una cetra; tra le gambe, quale base, stava un grifone a bocca spalancata.

Sul lato del tavolo che guardava verso l’entrata, ove stava l’uomo, a sinistra si trovava intagliata una ragazza, lunghissimi e fini capelli le arrivavano sino al fondoschiena, e al collo portava una collana il cui pendaglio consisteva in una gemma splendida; sotto di lei, con le ali spiegate, c’era una fenice. La gamba destra era un ragazzo coi capelli lisci, che gli superavano le spalle, e reggeva una spada dall’elsa a spirale la cui lama recava alcuni segni runici; ai suoi piedi, stava un drago di dimensioni ridotte.

 

L’uomo era affascinato da quel capolavoro d’arte; la frenesia però lo vinse, e passò ad esaminare cosa c’era sopra il tavolo. E lì, tra alambicchi, libri, boccette d’inchiostro ed i resti di coloro che furono, vide infine quello che si aspettava di trovare; fogli qualsiasi all’apparenza, abbandonati al oro destino. Al destino dell’umanità.

La profezia.

 

 

“Egli vive già ora. Perciò ci siamo interrogati a lungo se sia riuscito a divenire immortale o se sopravviva tramite qualche magia di livello elevatissimo. Egli è uno degli stregoni più potenti che la storia abbia mai visto. Forse è il più forte.

Egli è il Re dell’Oblio.”

 

 

Sogni infranti… Non di gloria, ma di semplice conoscenza. La disperazione si era impadronita di lui: tanto tempo passato in quell’affannosa ricerca, e ora la verità gli sfuggiva di nuovo, scivolava via, sgusciava tra le dita. Sollevò i fogli che aveva finito di leggere, li rigirò, cercò se per caso il seguito fosse stato celato, ipotizzò possibili incantesimi operati per nascondere il seguito… Nulla. Non riusciva nemmeno ad arrabbiarsi; sentiva soltanto una bruciante delusione; e non solo. Percepiva una crescente angoscia, il respiro si era improvvisamente fatto affannoso e i battiti del cuore erano accelerati. Cercò di calmarsi. Stando a quanto si diceva, ormai lui non aveva più motivo, e soprattutto diritto, di intromettersi. Per lui la profezia era inutilizzabile.

Si asciugò il sudore che dalla fronte era colato sin alla punta del naso. Quando aveva cominciato a sudare? E dire che faceva abbastanza freddo. Le mani presero a tremare; cercando di tenere fermi i fogli che reggeva, l’occhio gli cadde sul legno dove prima erano poggiati i fogli: c’era un’intagliatura anche lì, nel centro del tavolo, che prima era coperta interamente dai fogli, per cui non l’aveva notata. Si terse col dorso della destra gli occhi per togliere il sudore grondante, e lo esaminò.

Il suo urlo squarciò il silenzio di quel luogo mistico.

 

 

“Sarebbe insignificante descrivere i suoi poteri, le sue mire o qualunque cosa che lo riguardi: tutto comincerà a delinearsi tra cinquanta anni, quando egli inizierà ad agire. Parlarne ora è inutile, perché la profezia sarà trovata dai prescelti quando ormai il Re sarà un pericolo ben noto; i prescelti ne entreranno in possesso solo quando saranno pronti ad affrontarlo.

E’ nostra decisione rendere la profezia inutilizzabile a chiunque non faccia parte di questo nefasto disegno. Una linea di questo disegno è colui che si occuperà della profezia sino all’avvento di chi la dovrà usare. Una linea argentata in questa matassa di segni. Il custode della profezia. Egli è un giovane uomo dai capelli ingrigiti prematuramente, un uomo che, nel cinquantesimo anno dalla stesura della medesima, otterrà un compito difficoltoso. Il guardiano argenteo.”

 

 

L’ uomo indietreggiò, terrorizzato: nell’istante in cui aveva guardato l’incisione aveva subito compreso che cosa rappresentava. Una figura avvolta in abiti scurissimi, compreso un mantello nero; occhi astiosi che racchiudevano in loro anni di sofferenze inferte. Era chiaro che si trattasse di un essere umano, ma era troppo orribile. Sicuramente era stato un umano, ma cosa fosse diventato era impossibile dirlo. Ed era lampante chi fosse. Quello era un ritratto del Re dell’Oblio. Ma era quello il prezzo dell’immortalità? Era divenuto così in cambio dell’eternità?

Cosa lo aveva spinto ad arrivare fino a quel punto? Quali erano ora i suoi poteri? Che cosa avrebbe potuto fermarlo? Che cosa poteva fermare qualcosa che era già morto?

Che cosa era il Re, se non uno scheletro?

 

 

“Egli riunirà quasi tutto il sapere, eccezion fatta per il tassello più importante. Esso sarà recuperato da chi riceverà dall’argenteo le sue scoperte; sarà rinvenuto da colui che interpreta la linea rosso rubino in questa storia.

Egli sarà assistito nel suo viaggio da altre linee, le ultime, quelle che completano il tutto.

Una traccia azzurro zaffiro; una bianco onice; e, infine, una verde smeraldo.”

 

 

Stava male. Stava davvero male. Non era frutto della suggestione e della delusione; il respiro era spezzato e un tremore diffuso lo scuoteva. Si allontanò arretrando dal tavolo; i fogli vi ricaddero sopra, lui invece cadde rovinosamente a terra. Ansimava e aveva un vago senso di nausea. Che stava succedendo? E poi quel volto, il volto del Re… Era allucinante. Ora l’impotenza lo schiacciava ancora di più. Si dannava per l’impossibilità di fare nulla che velocizzasse i tempi. Il cinquantesimo anno… Quello era il cinquantesimo anno… Tuttavia il dolore gli impediva di ragionare lucidamente. Non tentava neanche di alzarsi: se ne stava a pensare sdraiato sul pavimento di nuda pietra, una mano all’altezza del cuore. Sentiva un qualcosa di indefinibile, una tenaglia immateriale, stritolargli il cuore. E qualcos’altro, un artiglio gelido, scendeva lungo la spina dorsale. Ogni singolo centimetro del suo corpo era percorso da quel dolore indefinibile.

Poi, dietro di sè, vicino alla porta, sentì una presenza. Non percepì alcun rumore, ma era conscio che c’era un altra persona nella stanza; la luce che proveniva dall’entrata era oscurata dalla figura di qualcuno. Incapace di voltarsi a vedere di chi si trattasse, attese che fosse lui ad avanzare. E venne, si chinò su di lui, e l’uomo poté constatare che si trattava di un ragazzo; anzi, non era esatto. Avrà avuto 24-25 anni. Era più corretto considerarlo un giovane uomo. Questi gli prese il polso per controllare i battiti, mentre egli prendeva ad agonizzare. Un’ombra d’orrore passò sugli occhi del giovane, che mollò il braccio del sofferente e si precipitò al tavolo, prese le carte e le esaminò velocemente. Ebbe un moto di disappunto, gettò le carte al loro posto e tornò immediatamente dall’uomo; si chinò su di lui e controllò le condizioni in cui versava.

Il ragazzo gli passò una mano sul volto, tastando la pelle imperlata di sudore. Si soffermò lungamente sulla fronte, scarmigliandoli i capelli e osservandolo con aria inespressiva, senza neppure guardarlo negli occhi. Alla fine sospirò, facendo finalmente trapelare qualcosa di umano; afflizione e tristezza.

<< Mi dispiace, >>, disse, << ma non posso fare nulla. Hai violato i sigilli della profezia. >>

Sigilli? Quali sigilli? Non c’era nulla a proteggere la profezia. E, in effetti, questo era molto strano. Possibile che non ci fosse nulla in difesa del sacro scritto custode del segreto? La testimonianza lasciata dai leggendari Tre Saggi, ove si tramanda l’unico modo per sventare la minaccia del Re dell’Oblio; non era ammissibile che fosse lasciata in balia di chiunque. Certo, era logico: c’era sicuramente qualche antico anatema, un incantesimo apposto direttamente dai Tre. Che illuso era stato a sperare di poter godere del privilegio della verità pur non essendo uno dei pochi eletti. Ma lui, quel giovane…

<< Non c’è nulla che vuoi dirmi? >>

L’uomo lo guardò con occhi vacui.

<< Devi renderti conto che stai morendo. Non c’è nulla che vuoi che faccia per te? Non hai dei parenti da informare? Qualche ultima volontà? >>

L’uomo respirava affannosamente; sentiva qualcosa che gli scorreva nelle vene, e aveva l’impressione che si condensasse all’interno dei vasi. Il ragazzo gli teneva sollevata la testa e lo guardava, in attesa. Gli afferrò un avambraccio e lo strinse violentemente, sollevando il busto verso di lui, per fissargli meglio il viso.

<< Tu… Tu sei così giovane, eppure hai i capelli grigi… >>, disse.

<< Ti sbagli; sono neri. >>

L’uomo tentò di raddrizzarsi, lanciandogli un’occhiata indispettita. Credeva forse che nell’agonia fosse rimbecillito? La vista funzionava ancora benissimo. Ma, mettendo bene a fuoco la figura del giovane, vide la chioma passare graduatamene dal grigio al nero pece. Sgranò gli occhi, pensando di aver davvero perso la ragione, ma la consapevolezza tipica degli ultimi istanti di vita gli fece capire di cosa si trattava.

<< Il futuro? Ho visto un pezzo di futuro? >> Il ragazzo per un attimo lo guardò come se fosse pazzo, poi annuì.

<< Si sostiene che a volte, in punto di morte, possa capitare di avere delle visioni; è attestato in molti scritti antichi, come ad esempio Ettore, nell’Iliade, che profetizza la morte del suo uccisore, Achille. Hai visto me da vecchio? >>

<< No; eri tu, ma tra pochi anni. >>

<< Sei sicuro? Non che abbia importa, in ogni caso. >>

<< Ne ha, ne ha… Hai letto la profezia? >>

<< No, non ancora. >>

<< Lì non lo dice, ma in un'altra parte ho letto che sarà ricostruita da un uomo con i capelli grigi. >>

<< Che cosa significa che l’hai letto da un’altra parte? >>

<< Non è integra… Se ne occuperà un uomo con i capelli grigi. >>

<< Ma chi? E di cosa si occuperà? >>

L’uomo lo strinse a se con più foga e parlò tra ansimi a gemiti. << Ascoltami. E’ ancora presto, il Re dell’Oblio non è ancora un pericolo, ma bisogna rimetterla a posto in fretta, perché tra cinquanta anni, tra cinquanta anni esatti, egli sarà pronto. Allora dovrà essere terminata, perché comincerà la guerra, e loro dovranno sapere tutto… >> Si bloccò, preda degli spasimi. Sentiva le membra consumarsi e deperire a velocità impressionante.

<< Loro chi? >>, chiese, cercando di mettere ordine in quella marea d’informazioni incomprensibili.

<< Quelli che combatteranno contro il Re. I capelli… I capelli ti diverranno grigi prematuramente. >>

<< Cosa?  Che cos’è che devono sapere? >>

<< La via… La via da seguire. >>

<< Dove hai letto tutto ciò? >>

<< Pazienza, ormai non fa differenza, tanto lo troverai. >>

Il suo corpo si contrasse, le braccia si rattrappirono e le gambe si piegarono in angolatura innaturale. Il ragazzo comprese che ormai il processo era quasi terminato, non restavano che pochi istanti.

<< Non vuoi dirmi neppure il tuo nome? >>

<< Il mio nome? No, non conta nulla. Il tuo piuttosto. Dimmi come ti chiami. >>

<< Per quale motivo lo vuoi sapere? >>

<< Voglio morire sapendo chi si occuperà della profezia. Tu sei colui che inizierà la ricerca delle parti mancanti alla salvezza. >>

<< Che cosa intendi con “le parti della salvezza”? >>

Nonostante la sofferenza, riuscì a sorridere. << Allora non hai ascoltato ciò che ti ho detto prima. >>

Il ragazzo stava ragionando su cosa prendere per attendibile e cosa no; vi era troppa confusione, doveva innanzitutto esaminare le pergamene e successivamente…

L’uomo sobbalzò e sentì qualcosa uscirgli attraverso la pelle. Era un soffio, una lingua d’essenza vitale.

<< Il tuo nome, ragazzo >>, riuscì a biascicare tra gli spasimi.

L’altro diresse lo sguardo alle pergamene; quella rapidissima occhiata gli fece subito capire che non era completa. Mancavano dei fogli. E nello stesso istante in cui realizzò ciò, ripetè mentalmente le parole del morente. “La ricerca delle parti della salvezza”.

Strinse a sè il corpo ormai praticamente svuotato dell’uomo, cercando di dargli un ultimo conforto prima della fine, fissando la fonte a cui avrebbe attinto la risoluzione finale.

<< Skandar >>, disse infine, tornando a guardare l’uomo. << Sono Skandar da Hildesheim. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Il mago e la ladra ***


d

 

Capitolo 2: Il mago e la ladra

 

 

“E cinquanta anni dopo l’inizio della ricerca del guardiano, il destino cominciò il suo lento corso finale.” 

 

 

Nascosta in un vicoletto buio, valutava la sua attuale condizione. Si, ma nascosta da chi? Percepiva una minaccia invisibile e aveva la sgradevole sensazione di essere seguita. Sporse con cautela la testa e si guardò intorno con circospezione. Ora ne era sicura; qualcuno la stava seguendo. Bene, necessità di un piano, o almeno di una buona idea. Controllando ancora all’esterno del vicolo, vide un’ombra avvicinarsi, e nascondersi dietro un edificio. Un brivido le corse giù per la schiena.

Era molto poco umana l’ombra che aveva visto.

 

Scese con un balzo dall’albero e si mise a correre sull’erba. Se proprio doveva fuggire tanto valeva farlo con i piedi per terra. Continuavano a seguirlo, anche se trovavano le sue tracce con estrema difficoltà. Che fare per liberarsene? Doveva riconoscere che, per essere bestioni senza cervello, erano parecchio perseveranti. Insistenti, più che perseveranti. Non aveva nessuna voglia di battersi; nondimeno, era stufo di scappare. Oltretutto, voleva andare a recuperare il suo cavallo alla locanda dove l’aveva lasciato e allontanarsi da quel paesello insulso. L’unica cosa da fare era uscire alla svelta dalla foresta.

 

Si domandava con orrore quanti fossero. Era la prima volta che vedeva degli esseri simili; non la prima che vedeva creature magiche, ovvio, ma mai aveva visto qualcosa di così orribile. Raccapricciata, correva il più velocemente possibile, fuori del villaggio. La sacca con i vestiti e gli altri suoi averi la impacciava non poco; decise quindi di liberarsene. Salì con destrezza su un albero e abbandonò il tutto su un ramo verso la cima. Scese e fece il punto della situazione. Quei cosi bavosi e maleodoranti si stavano guardando intorno a non più di duecento metri; certo erano belli stupidi. Ma le clave non ispiravano particolare sicurezza. Si accorse che l’albero da cui era scesa era il primo della foresta. Brontolii alle sue spalle le fecero capire che l’avevano individuata. Doveva trovare un posto dove nascondersi. L’unica cosa da fare era entrare nella foresta.

 

Detestava correre; quelle sudice creature cominciavano a dargli sui nervi. Davvero s’illudevano di poterlo catturare? L’Oscuro avrebbe dovuto prenderlo un po’ più sul serio, o si sarebbe offeso. Forse avrebbe dovuto contestare e lamentare mancanza di serietà nella conquista del mondo. La sacca era sballottata su e giù. La catena che reggeva il fodero della spada tintinnava allegramente. Gli orchi ruggivano da qualche punto imprecisato davanti a lui e… Un attimo? Come sarebbe a dire “davanti”?

 

Va bene, lo ammetteva: ora aveva una discreta paura. Non era degno di lei, d’accordo, però forse, solo per questa volta, poteva anche essere ragionevolmente spaventata. Dopotutto si trattava di bestioni urlanti, grossi il doppio di un uomo di statura ordinaria; e c’erano abbastanza elementi per presupporre che volessero ciò che proteggeva con tutte le sue forze. Le schiere dell’Oscuro non erano composte di un considerevole numero di creature magiche? Probabilmente avrebbe dovuto sentirsi onorata di tanta attenzione da parte Sua. E con altrettanta probabilità avrebbe dovuto vergognarsi di essere letteralmente terrorizzata.

 

Adesso correva guardando indietro per accertarsi che fossero alle sue spalle. Si, ne percepiva il frastuono. Ma allora cosa c’era davanti a lui, dove si stava dirigendo? Rumore di passi concitati. Un respiro affannoso. Un cuore turbato. Fece per voltare la testa di nuovo innanzi a sé, quando sbatté contro qualcosa in movimento. Cadde a terra.

 

Le parve di aver cozzato contro qualcosa che si muoveva. Si massaggiò il capo e constatò di essere seduta a terra. A pochi passi da lei c’era un ragazzo, anch’egli a terra. Si rialzò dolorante e la guardò storto. << Che ne diresti di fare attenzione a dove corri? >>

<< Vi prego di perdonarmi >>, biascicò in scusa.

La ragazza strabuzzò gli occhi, sentendo le voci sbraitanti avvicinarsi rapidamente.

<< Messere, aiutatemi, vi prego >>, lo implorò. << Sono inseguita! Per giunta, sono armati! >>

<< Non sono in condizioni migliori delle tue >>, rispose; alzatosi, raddrizzò la tracolla e guardò alle sue spalle. Controllava se era riuscito a lasciarli indietro. << Al massimo potremmo scambiarci gli inseguitori. >>

<< Voi non capite >>, continuò, aggrappandosi  all’orlo del suo mantello. << Non sono umani! >>

<< A maggior ragione, cosa credi che possa fare? >>, ribattè acido.

Lei invocava imperterrita aiuto, arpionando con le dita il tessuto del mantello. Un urlo mostruoso proruppe alle sue spalle, rauco e asmatico, e le sembrò di essere lacerata da quella voce disumana; in preda al terrore, piegò la testa fino a sfiorare le scarpe del giovane, lasciandosi sfuggire un gemito strozzato. Il ragazzo ora guardava oltre a lei, di là degli alberi, visibilmente seccato.

<< Orchi? Perché non l’hai detto subito che si trattava di orchi? >>, chiese. Lanciava occhiate frenetiche davanti e dietro di sè, ascoltando i rumori di foglie calpestate e rami spezzati.

<< Maledizione, mi hanno raggiunto. Ora siamo circondati, sono da tutte le parti. >>

La ragazza tentò di sollevarsi sui gomiti. << Volete dire che anche voi siete inseguito da quelle creature? >>

<< Si, per mia somma disgrazia. >> Un coro di voci grufolanti si levò nuovamente.<< Non ci resta altra scelta >>, mormorò, estraendo qualcosa di verdastro dalla sacca; levò il braccio e lanciò in aria quella che si rivelò essere una specie di polvere. << Ego impero te mutare: IGNIS! >>

La polvere, ancora sollevata da terra, brillò di vaghi riflessi rossi e si disperse in tutte le direzioni, come sospinta da un vento invisibile e impercettibile.

<< Vieni >>, le intimò, alzandola di peso e obbligandola a camminare.

Oscillando e incespicando per l’agitazione, la ragazza alzò il volto e vide la foresta in fiamme; tutta la boscaglia intorno a lei stava ardendo. Ed era proprio lì che la stava strascinando il giovane.

Cos’era peggio? Finire carbonizzata o tentare d’instaurare un dialogo con dei trogloditi muniti di mazze?

<< Siete pazzo? Moriremo di certo! >>

L’altro la guardò sorridendo sprezzante. << Tu dici? Io non ne sarei così sicuro. >>

E subito dopo si tuffò in quel rogo, portandosi appresso la ragazza, che teneva per un polso, onde evitare che scappasse.

<< Che cosa fate? No! >> strillò, cercando di proteggersi il volto dal fuoco che la circondava con l’unica mano libera, serrando gli occhi. Era attanagliata dal terrore, una marea di pensieri indistinti le vorticava nella mente. Voleva fuggire, ma nonostante tutto continuava a correre, seguendo il braccio che la guidava; il fuoco le lambiva i vestiti, le bruciava i capelli, e… No, aspetta un momento. Non era vero. Non sentiva il fuoco addosso; non solo, non ne percepiva neppure il calore. Aprì gli occhi vincendo la paura, e vide che sì, effettivamente erano in mezzo all’incendio, ma le fiamme non avevano consistenza. Danzavano sotto il suo sguardo allibito, ma non causavano danni; si inerpicavano per gli alberi, serpeggiavano tra la fitta vegetazione, ma nulla bruciava realmente. Lei stessa vi passava attraverso senza che capitasse alcunché. E il ragazzo, a poca distanza, correva senza mostrare la minima paura o confusione per ciò che stava succedendo, tenendole stretto il polso; scostava i rami più bassi e si premurava che lei non inciampasse o urtasse nulla, senza tuttavia voltarsi indietro. Guardava avanti e cercava di giungere ai margini del bosco. Tutto intorno provenivano versi  cavernosi atterriti, urla sovraumane, movimenti frenetici ed esagitati; strepito di passi sgraziati in una fuga disordinata e goffa.

Sempre seguendolo come in trance, accelerò il passo e gli si affiancò, guardandolo stralunata.

<< Ch… Che sta succedendo? >>, chiese in un sussurro.

<< Non lo vedi? >>, disse lui, sempre senza degnarla di uno sguardo. << Sta andando tutto a fuoco. >>

<< Ma non è normale! >>, biascicò. << Sembra un’illusione. Pare quasi che sia una… una magia. >>

Solo allora intuì cosa stava realmente succedendo. Fissò sbalordita il compagno di fuga, tornando a procedere priva di volontà, lasciandosi completamente nelle mani di quello strano personaggio.

<< Tu… Tu sei… un mago? >>

Il ragazzo sorrise.

 

 

“Cominciando dall’incontro di coloro che diedero inizio alla fase finale.”

 

 

Non conservava che vaghi ricordi di quanto accadde dopo. Era certa di essere uscita illesa dalla foresta, sulle sue gambe, guidata dal ragazzo. Dopo era tutto confuso, immagini vaghe e indistinte. Lei che, tra le braccia del piromane, totalmente rintronata, era condotta da lui sulla soglia di una casa; la porta, sulla quale svettava un’insegna, che si apriva e una donna vi usciva. Il ragazzo che la scongiurava, la donna che scuoteva la testa, lui che s’incolleriva e le diceva qualcosa. La donna che alla fine acconsentiva e li faceva entrare; gradini saliti, un’altra porta aperta. Il ragazzo che la depositava su un letto; i capelli scostati dal volto, mani che la sistemavano; lui che parlava con la donna, la quale annuiva e usciva dalla stanza. Lui di fianco a lei, le parlava, ma lei non capiva, non sentiva; poi lo vide accostarle alla bocca una ciotola piena di un liquido incolore. La gola attraversata da un tiepido calore, un torpore che la percorreva in tutte le membra; sentiva che stava perdendo quel briciolo di coscienza che le restava. La vista che si offuscava ulteriormente; il ragazzo accanto al letto.

<< Dormi. >>

 

 

“Il mago e la ladra.”

 

 

Quando si svegliò, un vago mal di capo le cingeva la testa. Era ancora distesa in quel letto. Ovviamente; dove poteva trovarsi altrimenti? Si drizzò a sedere massaggiandosi il capo dolorante; cercava di rimettere a posto gli eventi ingarbugliati che le affollavano la mente, ma le fitte non le concedevano tregua.  Si guardò intorno; si trovava in una delle tante e tipiche locande di paese. Arredamento sobrio, senza pretese; oltre al letto c’erano un armadio, un tappeto al centro e, davanti a questo, un tavolo con alcune sedie. Tipica locanda. Accanto al letto era stata portata una sedia, quella dove probabilmente stava prima il ragazzo; ma dov’era ora? Non c’era nessuna traccia del suo passaggio; la porta era chiusa e non sentiva alcun rumore provenire oltre questa. Stinse con le mani la coperta che si stendeva sopra di lei; poteva ancora sperare nel suo aiuto? E poi, perché fidarsi di quello strano tipo? Certo, l’aveva portata in salvo da quei mostri, però… Si immaginava l’espressione di disappunto di lady Margaret se avesse saputo che pensava anche solo lontanamente di affidarsi ad uno sconosciuto di tale risma. Ma era scoraggiata, e lady Margaret non era lì.

All’improvviso si ricordò che cosa era all’origine di tutto quello che era capitato; il motivo che l’aveva spinta a lasciare la dimora della donna che l’aveva salvata dalla disperazione, che l’aveva strappata dalla sua miserevole condizione;  la ragione che l’aveva spinta ad andarsene dall’unica persona che le aveva dato fiducia. Frugò freneticamente dentro la veste, all’altezza del seno; ne estrasse un pezzo di pergamena. Sollevata di averlo trovato, lo strinse al petto e sospirò: per un attimo aveva temuto di averlo perduto. Sarebbe stato un guaio tremendo, irreparabile.

Mentre stava ancora gioendo, la porta fu aperta con un calcio e una figura entrò nella stanza.

Era lui, il piromane fasullo!

Reggeva tra le mani un vassoio rozzamente lavorato su cui vi erano due piatti contenenti qualcosa di fumante e un pagnotta di farro; tra i denti aveva un altro pezzo di pane. Chiuse con un altro calcio la porta ed avanzò fino al tavolo, ove depose il vassoio e sedette; staccò un morso alla pagnotta e prese uno dei piatti, che si rivelò contenere della minestra. Sospinse il vassoio all’altro capo del tavolo e sollevò il cucchiaio di legno, cominciando a mangiare.

La ragazza lo fissò incredula; si era convinta che l’avesse scaricata lì e se ne fosse andato. Lo fissò mentre soffiava sulla minestra per raffreddarla. Con un movimento rapido e quasi impercettibile infilò nuovamente la minuscola pergamena nel suo nascondiglio, e rimase immobile nella posizione in cui si trovava. Senza guardarla o smettere di mangiare, il ragazzo le parlò.

<< Come va la testa? >>, chiese.

Ci mise un momento a riordinare le idee e a rispondergli, ancora sbalordita.

<< Bene >>, disse finalmente. << Voglio dire, mi doleva fino ad un istante fa, ma ora non c’è la minima traccia di fitte. >>

Il ragazzo annuì soddisfatto. << Allora è tutto a posto. >>

Seguitò nella sua attività; ad un certo punto alzò lo sguardo su di lei e la guardò interrogativo. << Non mangi? >>, disse, indicando con il cucchiaio il vassoio.

Lei sbatté le palpebre, cercando di perdere l’aria stralunata che immaginava di avere.

<< S-Si. >>, rispose. Scostò le coperte e raggiunse il tavolo. Sedette dove stava il suo pasto, esattamente di fronte al ragazzo. Prese a mangiare, sbirciandolo di sottecchi: aveva capelli nerissimi che gli ricadevano oltre le spalle e un paio di penetranti occhi verdi; aveva l’impressione che questi fossero perennemente contratti in un’espressione di diffidenza, per non dire di disprezzo. Il volto era disteso e rilassato, ma era certa (sebbene non ne sapesse la ragione) che vi regnasse solitamente una totale inespressività. Sul collo si intravedeva un laccetto scuro; segno che portava una collana, ma il pendente era infilato sotto la maglia. Non avrà avuto più di venti anni. Sulla schiena gli ricadeva lo stesso mantello nero che aveva nel momento in cui si erano scontrati; la spada penzolava inerte lungo la sedia. Mandava giù un boccone dopo l’altro senza degnarla di uno sguardo. Lei si sentiva strana; non era disagio, qualcosa d’indefinibile. Curiosità? Timore?

Fatto sta che nonostante tutto non poteva sopportare quel silenzio irreale; e desiderava sapere.

<< Ch… Cosa… >>, esordì, ma non riusciva a proseguire.

<< Cosa è successo? >>, le suggerì. << Cosa ci fai qui? >>

<< No… Cioè, anche. Quello che volevo dire è… Cos’è quella roba che mi avete dato da bere prima che perdessi i sensi? >>

Il ragazzo parve divertito da quella domanda. << Giusto, anch’io vorrei sapere che cosa mi viene rifilato mentre non sono cosciente. >> Trangugiò l’ultimo cucchiaio della brodaglia e proseguì. << Un infuso di valeriana e di altre erbe. Serviva per calmarti: eri completamente allucinata, vi era il rischio che potessi essere sopraffatta dal terrore. Ed impazzire. >>

La ragazza sembrò tranquillizzarsi, si distese, perdendo la rigidità che fino allora l’aveva vinta, e parve rilassarsi leggermente.

<< Pensavi forse che ti avessi avvelenata? >>

<< Oh, no. Io… Vi prego di perdonarmi. >>, si affrettò a dire.

<< Mi dai ancora del voi? Non mi pare di essere Matusalemme. >>

<< E’ solo che… Di solito si usa così. >>

<< Non sono un aristocratico, ne’un’eminente personalità di spicco >>, disse, posando il mento su una mano e guardando fuori dalla finestra. La ragazza ne approfittò per finire velocemente il cibo che le aveva portato. Appoggiò la posata all’interno del piatto vuoto e giunse le mani in grembo. Ora non le dispiaceva più quel silenzio; non che si sentisse a proprio agio, ma la presenza di quel personaggio, per quanto bizzarro, le infondeva un senso di sicurezza. Cosa avrebbe detto Margaret in una simile situazione? Sii cauta?

Improvvisamente lui parlò. << Se per te va bene, propongo di andarcene subito da qui. >>

<< Andarcene? >>, domandò stupita.

<< Si. Gli orchi non consistono più un pericolo, ma ritengo che sia più prudente allontanarci prima che faccia buio. Ci sono remote possibilità che tornino a cercarti. >>

<< Si, hai ragione. Ma allora cosa proponi di fare? >>

<< Camminare; fino al tramonto. Ci restano circa due ore prima dell’imbrunire. Lasceremo il paese e attraverseremo gran parte della foresta; accampandoci ai confini dalla parte opposta. Sempre che tu non abbia problemi a dormire all’aperto. >>

La ragazza acconsentì silenziosamente; da tempo aveva imparato a sopportare tutte le situazioni peggiori.

<< Perfetto >>, concluse l’altro.  Si alzò, appoggiando le mani sul tavolo, e andò alla porta. La aprì e, dando le spalle alla ragazza, disse: << Hai trenta minuti di tempo a tua disposizione. Se devi procurarti qualcosa per il viaggio, lasciare dei messaggi… Ti aspetto all’entrata della locanda. >> Uscì senza aggiungere altro.

La ragazza rimase un momento seduta, ferma, cercando di fare il punto della situazione. La sola cosa che doveva fare era recuperare i suoi effetti personali che aveva abbandonato sull’albero per potersi muovere più agevolmente e fuggire gli orchi. Certo, se avesse avuto dei soldi, avrebbe potuto comprare altre cose che avrebbero potuto essere utili; sfortuna voleva che non avesse grandi finanze. Alzò lo sguardo nel punto ove era stato seduto il ragazzo, e si lasciò sfuggire un gridolino di stupore. Sul tavolo erano apparse alcune monete di bronzo.

Un sorriso le brillò sul viso. Adesso pensava di sapere cosa avrebbe detto Margaret.

Accetta l’aiuto di chi te lo offre.

 

Mezz’ora dopo erano di nuovo nel folto della foresta. Camminarono per un’ora circa senza che lui le rivolgesse la parola. Per quanto provasse soggezione per quell’individuo, non poteva sopportare di viaggiare con qualcuno e non fare conversazione.

<< Ti ringrazio per quelle monete >>, mormorò timorosa, fissandogli la schiena; la precedeva, tenendo per le briglie un cavallo dal manto marrone, carico di numerose borse e sacche. Lui teneva la tracolla che aveva già prima, e la spada era infilata nel fodero, appeso ad una catenella che era attaccata ad una cintura. Agitò la mano in un gesto noncurante, come a dire che non era nulla.

<< Per me significa molto, invece. Oltretutto ora mi stai ancora aiutando a fuggire dagli orchi… >>

<< Non penso che quelli si faranno rivedere. >>

<< Non sembrava che avessero intenzione di lasciarmi in pace. >>

<< A meno che non resuscitino, è assolutamente improbabile che tornino. >>

La ragazza si fermò. << Che vuoi dire? Qualcuno li ha uccisi? >>

Lui non le rispose, limitandosi ad intimarle si riprendere la marcia.

<< Ancora però non capisco perché ci tieni tanto ad aiutarmi. >>

Il ragazzo si arrestò. Avevano raggiunto un piccolo spiazzo, a circa cinquecento metri dalla fine del bosco. << Ci fermiamo qui >>, annunciò. Il sole era prossimo a tramontare. Legò il cavallo ad un nocciolo e sedette ai piedi di un albero lì accanto. << Domattina ripartiamo di buon ora, pertanto cerca di dormire. In quella sacca ci sono delle coperte >>, aggiunse.

Lei sistemò il suo esiguo carico vicino al cavallo e prese una coltre; tenendola penzoloni sulle braccia, valutava se rinunciare a sapere il motivo del suo interessamento o se perseverare.

Fu però il giovane a parlare. << C’è una cosa che vorrei chiederti. >>

Si voltò finalmente a guardarla. << Non è mia abitudine impicciarmi degli affari altrui, ma vorrei sapere per quale motivo eri inseguita. Capirai che non è normale avere degli orchi alle calcagna. >>

Ignorando il linguaggio scurrile che quel tipo usava, la ragazza sentì il suo segreto minacciato. << Dimentichi che anche tu eri nella stessa situazione. >>

<< E tu ti sei scordata che io sono un mago. Simili circostanze sono ordinarie per me. >>

La ragazza si chiese se non fosse stato lui ad occuparsi delle creature. Lui la guardò con aria inespressiva e proseguì. << L’esperienza mi insegna che non ci sono molti motivi che spingono gli orchi ad occuparsi degli esseri umani normali. E l’ipotesi che mi sembra più fattibile è che tu abbia qualcosa che li interessava. >>

La ragazza trattenne l’istintivo gesto di portarsi le mani al seno. Chinò la testa e fissò mestamente la coperta.

<< Capisco che non ti voglia fidare di me, in quanto sono un emerito sconosciuto, ma penso che, se non proprio riconoscenza, tu mi debba perlomeno sincerità. >>

<< Hai perfettamente ragione; il fatto è che non so nulla di te, tranne che pratichi la magia. Non so da dove vieni, perché mi aiuti… non so neppure il tuo nome. In tempi come questi è difficile fidarsi delle persone; i servi dell’Oscuro signore sono ovunque >>, spiegò afflitta.

Il ragazzo piegò il mento sul collo e chiuse gli occhi. << Dunque si tratta di questo >>, disse senza alcun’inclinazione nella voce. << Tu possiedi un pezzo della profezia. >>

Alla ragazza si mozzò il fiato come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco. Era così evidente? Non aveva quindi nessuna possibilità di poter servire i prescelti? Per quanto volesse rendersi utile scopriva per l’ennesima volta di essere assolutamente insignificante.

<< Non te la prendere; non sei tu ad essere un’incompetente. Sono io che oramai ho occhio per queste cose. >>

Lei si sentì vagamente rinfrancata. << Vuoi dire che tu… >>

<< Non sono uno sgherro dell’Oscuro. Al contrario, mi occupo della ricerca dei pezzi della profezia >>, asserì, mantenendo gli occhi chiusi e sistemandosi più comodamente contro il tronco.

<< Non immagini neppure il sollievo che provo. Alla fin fine ho trovato qualcun altro. Per caso, sei uno dei prescelti? Oh, sarebbe a dir poco meraviglioso! >>

<< Assolutamente no; sono soltanto entrato fortuitamente in possesso di una delle parti. >>

<< Lo stesso vale per me. O meglio, il mio non è stato un avvenimento fortuito. Ho trovato la pergamena nella dimora della famiglia che servivo. E poi sono fuggita, in cerca di altri che avessero le parti mancanti. >>

<< In pratica, sei una ladra. >>

La ragazza arrossì lievemente. << Lo ero anche prima. Rubavo per vivere poi, all’incirca un anno fa, una nobildonna mi ha preso alle sue dipendenze; è stato il periodo più felice della mia vita. Eppure, due mesi fa, quando nella biblioteca della signora trovai la profezia, il desiderio di partecipare alla realizzazione dell’oracolo fu così grande da spingermi ad abbandonare la felicità che avevo faticosamente trovato. >> Sospirò, preda dei ricordi.

<< E’ un po’ tardi per raccontare la storia di una vita. Rimandiamo. Sappi in ogni caso che io ne possiedo diversi pezzi; è mia intenzione riunirli tutti, indi per cui ti sarei grato se mi cedessi il tuo frammento. >>

La ragazza si sentì messa da parte: sognava di partecipare a quell’impresa grandiosa, di vedere coloro che avrebbero affrontato il Re. O, semplicemente, voleva avere uno scopo da raggiungere. Voleva dimostrare ad un mondo che l’aveva sempre ignorata che era capace di fare qualcosa di buono.

<< Mi permetto di contestare. Se tu non fai parte della divinazione, non hai diritti diversi da me riguardo all’intervenire o meno. >>

Lui sbuffò. << Ti piacerebbe così tanto far parte di qualcosa già stabilito? Saresti fiera del fatto che il tuo destino è già stato scritto? >>

<< Non capisco cosa centri. Il punto è che, a questo punto, preferisco cercare i frammenti io. >>

<< Certo. Se tutti ragionassero così, la profezia non sarà mai completata. >>

<< Spiegami allora perché dovresti essere tu ad occupartene! >>

<< Sono restio a credere che il guardiano argenteo abbia eletto te quale suo successore. >>

<< Ed io sono assolutamente certa che non abbia scelto te! >>

<< E dunque, ritieni di essere adatta per questo compito? Pensi di riuscire ad affrontare le sue legioni, composte d’orchi e troll? Credi di poter sopportare la vista delle vittime che esse mieteranno sotto i tuoi occhi? Pensi di avere la forza di mantenere salda la tua decisione e di non vacillare mai? Sei certa di essere pronta a perdere le persone a te care per raggiungere il tuo scopo? Sei pronta a perdere te stessa per la riuscita dell’impresa? >>

Astio. Rancore. Sofferenza. Rabbia. Che cosa aveva dovuto passare quel ragazzo? Chi era in realtà? Lei si sentì malissimo; pensava di essere stata presuntuosa nel bramare qualcosa che sapeva di non poter avere. Si chiedeva quali erano le motivazioni di quel giovane.

Passò un momento prima che qualcuno dicesse qualcosa. Le parole del ragazzo furono un vero sussurro, velato di una tristezza immensa.

<< Sono uno dei pochi che hanno i mezzi per farlo. >>

Fu tutto. Capì di non essere adatta per quel ruolo che tanto agognava. Sarebbe rimasta per sempre una nullità; e mai avrebbe potuto aiutare il suo mondo.

<< In ogni caso, >>, riprese l’altro, << ora non è il momento per questi discorsi. Va’ a dormire. >>

Lei rimase immobile, mortificata.

<< Mi dispiace. Io… Non so davvero nulla. Forse tu sei veramente l’unico che può farlo; sicuramente, io non lo sono. >>

<< Indubbiamente ardi dal desiderio di servire il tuo paese. >> Si avvolse meglio nel mantello e si girò su un lato. << Vedremo se potrai ripagarmi di quanto ho fatto finora per te. >>

Era una possibilità quella che le offriva? Era fiducia quella che le stava concedendo? Affondò il volto nella coperta e rimase un attimo a ringraziare Dio per l’opportunità che le era capitata.

<< Wantz. >>

La ragazza aggrottò le sopracciglia, presa alla sprovvista, non capendo.

<< Il mio nome. E’ questo che volevi sapere, no? >>, riprese, in risposta al suo sguardo interrogativo. << Mi chiamo Wantz. >>

Lei batté le palpebre, incredula.

Scosse la testa sorridendo.

<< Io sono Jillian >>, disse, sorridendo amichevole. << Ma puoi chiamarmi Jill. >>

Lui la guardò storto, storcendo la bocca; lei si sentì agghiacciare.

<< Jillian andrà benissimo >>, proferì.

La ragazza si sentì mortalmente offesa, e si voltò, altezzosa, dandogli le spalle. Mentalmente, appuntò di non degnare più quello sfrontato di un qualunque gesto d’amicizia. Si allontanò a passo spedito, stritolando la coperta per la stizza, e andò a coricarsi il più lontano possibile.

Sarebbe stato un viaggio lungo. Notevolmente lungo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Casualità ***


Capitolo 3: Casualità

Notte. In lontananza si sentiva il verso di una civetta. Adorava dormire all’aperto. Che poi, a ben pensarci, non è che dormisse granché: se ne stava prevalentemente seduto, sveglio, ad osservare le tenebre. Ed a pensare. Il silenzio, l’oscurità completa, erano ottimi compagni per le riflessioni.

< Anche se continuo a sostenere che faresti meglio a riposare. >

Si voltò verso il punto dove era giunta la voce. < Sapete che preferiscono riposare di giorno. > disse.

< Hai orari troppo smoderati, ragazzo mio. > proseguì la voce. Sembrava che provenisse dal buio, che fossero le tenebre a parlare.

< Anche voi convenite però che è un’imprudenza dormire serenamente, quando l’oscurità agevola possibili aggressioni. >

< Indubbiamente, ma a sentirti non bisognerebbe mai concedere tregua né al corpo né allo spirito. >

Percepì la presenza del suo interlocutore accanto a sé. < Non posso concedermi errori. > Lanciò un’occhiata alla figura rannicchiata che dormiva nella parte opposta della radura. < In special modo ora che non sono solo. >  Sentì la presenza sedersi accanto a lui. E la voce riprese, striata di qualcosa di ultraterreno.

< Che cosa intendi fare con lei? >

Ci pensò un attimo, prima di rispondere. < Ancora non lo so con precisione. Sicuramente prenderò il frammento che occulta. >

< Hai pensato alla possibilità che lei desideri unirsi a te nel viaggio? >

< Si, e l’idea mi ripugna a sufficienza. Sarebbe soltanto un impiccio; vedete quanti guai mi ha già causato finora. >

La voce rise; un suono lieve, sereno, che faceva pensare a qualcosa di vecchio e rassicurante.

< La verità è che non sei più abituato ad avere compagnia. Ti stai imbarbarendo. >

< Proprio perché sono un inselvatichito mi riuscirebbe difficoltosa la convivenza forzata con altri. >

< Non dimenticare il destino trascendente. Il vostro incontro potrebbe essere stato opera del fato. >

< Pertanto la sorte mi è avversa. > sospirò sconsolato.

< Conosci ciò che dice la profezia. >

< E la cosa mi ripugna. > Era certo che l’altro avesse sorriso, sebbene non l’avesse guardato.

< Non puoi continuare a dannarti per l’eternità, Wantz. Non ti permetterò di evitare i rapporti umani per sempre. >

Il ragazzo ignorò quest’ultima frase e si alzò, notando che la ragazza si muoveva nel sonno. Si avvicinò e piegò di lato la testa. < Cosa consigliate di fare, allora? >

< Lasciare che gli eventi seguano il loro corso. E poi > aggiunse < se è sopravvissuta due mesi da sola con una parte della profezia deve essere intraprendente. >

< Quale consolazione; sarà un intralcio, ma un intralcio solerte. >

Il ragazzo andò dove aveva legato il cavallo e prese una coperta. < Da quando soffri il freddo? > gli chiese la voce.

< Non è questo che dovreste chiedere. La domanda esatta è la seguente: “Perché le donne devono indossare vestiti che non solo non sono comodi, ma che oltretutto non riparano dal freddo?”; potete illuminarmi voi? >

< Ah, uno dei tanti misteri dell’universo femminile. Forse potresti spiegarle la comodità di indossare perennemente gli stessi abiti; ma probabilmente l’idea la ripugnerebbe oltremisura. >

La figura lo vide scuotere la testa e bisbigliare qualcosa che suonava molto come “vanità”. Poi depose la coperta sulla ragazza e tornò a sedere presso l’ombra parlante. C’era qualcosa di bianco che s’intravedeva vagamente sopra di lui.

< Rogne. Rimedierò soltanto rogne. > borbottò.

La presenza sorrise soddisfatta. < Piegati al volere divino, Wantz; se è scritto, dovrai sopportare anche questo fastidio. >

< Non sarebbe ora che vi ritiraste? > s’informò, deciso a troncare il colloquio.

< Come sei scortese con questo povero senile; la sera è l’unico momento relativamente sicuro per farmi uscire e mi scacci in malo modo. >

< Volevo prestarvi obbedienza e dormire, ma se proseguirete a ciarlare mi risulterà impossibile.>  

La voce rise. < Speriamo che la vicinanza con quella fanciulla ti addolcisca un po’. >

Il ragazzo alzò il volto e sogghignò. Guardò il punto ove fino un ad un istante prima stava la presenza; ma ora era svanita.

< Questa non sarebbe più un vaticinio, ma un miracolo. >

 

La mattina dopo Jillian si destò frastornata ed impiegò parecchio a ricordarsi la mole di avvenimenti del giorno prima. A risvegliarla del tutto fu l’occhiataccia che Wantz le riservò come sveglia. Efficacissima, per altro. Wantz le intimò di sbrigarsi a rimettere a posto le coperte; si sarebbero rimessi in cammino subito. Jillian si alzò, sistemandosi la veste, e piegò le coperte, che depose nella sacca da cui le aveva prese la sera prima. Curioso, comunque; ricordava di averne presa solamente una.

< Dove siamo diretti? > chiese, camminando di fianco alla sua bizzarra guida.

< Da nessuna parte in particolare, per adesso. > rispose quello, trascinando per le briglie il cavallo, il quale non sembrava esageratamente ansioso di camminare.

< Come sarebbe? E la ricerca della profezia? >

< Per quale motivo agitarsi? Se la profezia deve essere completata da noi la troveremo in ogni caso. >

Jillian si chiedeva se stesse parlando sul serio. Come accidenti aveva fatto quel tipo a trovare i frammenti procedendo in siffatta maniera? Gli saltavano in braccio? Oppure erano i frammenti a volerlo rintracciare, e non viceversa?

Usciti dalla foresta, procedettero per una strana polverosa e assolata. Era una bella giornata, e non erano neppure le nove del mattino.

< A questo proposito > continuò Jillian dopo una ragionevole pausa, < desidererei moltissimo vedere i frammenti che hai raccolto. >

Wantz fece una smorfia. < Non mi sembra di aver mai assicurato che potrai unirti a me nel mio girovagare. >

< Vero, ma non intendo darti il mio pezzo, se non lo farai. > replicò.

Nonostante tutto, il ragazzo parve compiaciuto. < Mi stai ricattando? >

< No; sto contrattando. >

< Una ladra patteggiatrice; incredibile. > disse con scherno.

Lei ignorò la canzonatura. < Allora, vogliamo discuterne? >

< Non in questo momento, sicuramente; stiamo per avere un passaggio. >

Davanti a loro c’era un uomo sulla sessantina; stava esaminando un carro cui era attaccato un cavallo, ma era evidente che inizialmente i cavalli dovevano essere due. L’uomo difatti sembrava amareggiato e scuoteva mestamente la testa. Il carro era pieno di vasi e manufatti di coccio, bronzo e addirittura di ferro.

< Salute a voi, senile. > esordì Wantz raggiungendolo. < Perdonate la mia indiscrezione, ma sembrate crucciato. Avete problemi col vostro carro? >

Jillian trattenne a mala pena lo stupore per quella manifestazione di cordialità.

L’uomo alzò le mani al cielo, afflitto. < Nobile viaggiatore, sapeste cosa mi accadde pochi istanti fa. Disgrazia, il secondo cavallo mi fu rubato. >

< Briganti furono? Oppure un singolo farabutto? >

< E questa la mia disgrazia; uno solo compì l’infame gesto, ma era un delinquente pratico della magia. Dispero, infatti, di poterne rientrare in possesso. >

< Se era detentore dei sacri poteri, siete fortunato ad essere illeso; anche il vostro carro è in ottime condizioni, sebbene abbia subito un assalto. >

< Parlate bene, giovine; ma un cavallo solo non basta per portare il mio carico, ho già tentato di avanzare, ma è sbilanciato. >

< Ebbene, non disperate, buon uomo: noi saremo felici di prestarvi il nostro cavallo fino alla vostra destinazione. La nostra meta è lontana e non ci creerà nessun problema favorirvi. >

< Dio vi benedica entrambi! Devo recarmi al mio paese natale, sede di un noto mercato per esporre la mia merce: esso si trova non molto istante da qui, bisogna attraversare due villaggi, ma col carro faremo presto. >

< Conosco il posto di cui parlate. > disse Wantz, collocando la sua cavalcatura a fianco del cavallo. < E’ Lindblum, nota per il suo nutrito traffico di merci. >

< Precisamente, figliolo. Ma dunque, salite sul carro, di modo da partire subito, e ditemi sinceri chi siete e donde venite. Io mi chiamo Otto e sono un mastro vasaio. >

Wantz salì sul carro e aiutò Jillian a fare altrettanto, poi gli rispose: < Wantz da Toleno, erborista, e lei è mia sorella Jillian. >

< Ebbene Wantz da Toleno, accetta come ricompensa per il tuo generoso aiuto la mia ospitalità: io sarò impegnato al mercato, ma la mia casa sarà a vostra disposizione per fermarvi e rifocillarvi. >

< Accettiamo con gioia e vi ringraziamo di cuore. Vi prego di perdonarmi se ora vi faccio una richiesta insolita: viaggiammo gran parte della notte e la stanchezza appesantisce le nostre membra. Vi prego quindi di lasciarci riposare e di non offendervi se non converseremo. >

< Conosco le fatiche dei viaggi a piedi; riposate e non curatevi di me. Vi avviserò, quando saremo arrivati. >

Lontani dal conducente, i due potevano sussurrare tranquillamente senza rischiare di essere sentiti ed anche il rumore di zoccoli li favoriva.

< Tua sorella? >mormorò Jillian risentita.

< Se preferivi che ti presentassi come una ladra raccattata sulla via avevi solo da dirmelo. > ribattè lui, stizzito.

< Ma perché mentirgli? Mi sembra logico e anzi doveroso tralasciare la faccenda della profezia, ma perché mentire sulla tua identità? >

< E sbandierare ai quattro venti che non solo sono un mago, ma che ho tra le mani gran parte della profezia? Tanti saluti alla cautela. Quella di Wantz da Toleno è un’identità che uso abitualmente. >

Non le riusciva in ogni caso di accettare un’identità fasulla; ma, ragionando, comprese che la protezione della profezia necessitava di simili espedienti. 

< Per l’appunto, potrei sapere quando hai intenzione di mostrarmi i tuoi frammenti? >

< No. > rispose semplicemente il ragazzo. Jillian riuscì a stento a trattenersi dal tirargli addosso un vaso di coccio. Aspettò che dicesse qualcosa per giustificare la sua risposta, ma tutto ciò che Wantz fece fu di accoccolarsi tra due otri per dormire più comodamente.

< Posso almeno sapere che cosa hai intenzione di farne di me? >

< Ci sono alcune cose che devo verificare, prima. > biascicò, chiudendo gli occhi e appoggiando il capo al manico di un’anfora enorme.

< Vuoi dormire sul serio? Dopo tutta una notte di riposo? E’ maleducato verso il nostro ospite ed è scorretto nei miei confronti. >

< La notte ha aspetti che neppure t’immagini. > sentenziò lui, ponendo fine al discorso.

Jillian si appoggiò stizzita al bordo del carro, maledicendo quel selvatico. La strada polverosa proseguiva dritta, e non s’intravedeva il primo villaggio che dovevano attraversare. Visto che il viaggio sarebbe stato lungo, e che non bramava particolarmente di passare tutto il tempo a rimescolare la rabbia, decise di seguire l’esempio di Wantz: non si poteva mai sapere che cosa sarebbe accaduto dopo. Meglio affrontarlo riposata.

Più facile a dirsi che a farsi. Non aveva par nulla sonno, considerato quanto aveva dormito il giorno precedente. Oltretutto era parecchio scomoda, i vasi cozzavano l’uno con l’altro (e spesso e volentieri anche con lei) producendo un interminabile picchiettio, e il carro aveva la sorprendente capacità di centrare tutte le buche presenti nel percorso, rendendo l’andatura sobbalzante e traballante.

Wantz invece stava sonnecchiando tranquillamente, per nulla disturbato dagli scossoni che l’instabile trabiccolo elargiva generosamente.

Passò una mezz'ora d'inferno, sballottata e ignorata. Infine riuscì ad addormentarsi, complice la spossatezza derivata dalla nausea, causata dall'instabile e sovraccarico mezzo. Prima di assopirsi del tutto, le parve di sentire qualcuno pronunciare una frase di dileggio.

< Mal di carretto? >

Ma non poteva esserne certa.

 

Wantz aprì prima un occhio, valutando la situazione circostante, quindi aprì anche l'altro. Aveva pisolato abbondantemente, sebbene fosse stato disturbato dagli scossoni e dall'incessante fischiettare di quel babbeo di un vasaio; perlomeno aveva recuperato il sonno perso. Alzò lo sguardo sulla ragazza, che era immersa in un sonno inquieto. Aveva lunghissimi capelli biondi, fini e un po' arruffati, che le ricadevano scomposti sulla schiena. I lineamenti del viso erano dolci, e la sua fisionomia generale era delicata. Tuttavia era facile capire che ne avesse passate di cotte e di crude; il fisico longilineo sottololineava privazioni di ogni genere; e il suo carattere tendeva alla difensiva, forse memore di passate esperienze spiacevoli. Le palpebre abbassate celavano un paio di vivaci occhi verdi, che per tonalità somigliavano ai suoi, ma per espressività erano totalmente differenti; celavano sofferenza, come i suoi, ma avevano striature di gaiezza e spensieratezza, cose che lui aveva scordato da tempo. Inoltre si intravedeva in essi una forte decisione e perseveranza.

A conti fatti, non era poi stupito più di tanto che fosse sopravvissuta due mesi da sola con un pezzo della profezia.

Estrasse il pendente dalla maglia e lo fissò, ammirando i riflessi della luce del sole su di esso. Abbassò il capo e sospirò mestamente.

"Sarà una buona idea, alla fine?"

 

Quando si svegliò avevano appena attraversato il secondo villaggio. Si raddrizzò, indolenzita e intontita, e si guardò intorno. Otto fischiettava, forse dimentico della zavorra alle sue spalle, e anche Wantz si era svegliato. Sedeva nello stesso posto e stringeva qualcosa in mano. Appena si accorse che Jillian lo stava osservando, chiuse di scatto la mano e infilò il contenuto dentro la maglia. Jillian capì che quello che il mago stava guardando era il pendente che portava al collo. Sfortuna volle che non fosse riuscita a vedere che cosa fosse legato al laccetto nero.

< A quanto pare la notte non basta neanche a te. > la salutò.

< Non deridermi. Viaggiare su questo coso è orribile, mi sento malissimo. >

< Ma come? E io che pensavo di comprare un carretto per farti camminare di meno. > sghignazzò lui.

< Oh, Wantz, devi proprio essere così tagliente? > chiese, piccata. < Non potresti cercare di rendere più piacevole la nostra convivenza? >

< Dunque sei sempre convinta che io acconsenti ad averti tra i piedi... > disse Wantz, grattandosi il mento, parlando come se ragionasse da solo.

Jillian stava valutando per la seconda volta la possibilità di servirsi di un vaso, ma Otto si voltò verso di loro. < Ci siamo, ragazzi. >

Wantz si sporse al di là del bordo del carro. < Affrettatevi, messere. Il mercato è già in fase di allestimento. > gli disse, sfuggendo all'ira di Jillian.

< Prima raggiungiamo casa mia. Lì potrete rifocillarvi, mentre io andrò a gestire i miei affari. Sarò fuori tutto il giorno, ma potete rivolgervi alla mia consorte per ogni vostra necessità. Inoltre spero vogliate fermarvi fino al mio ritorno, per cenare insieme, quale segno di ringraziamento per il vostro inestimabile aiuto. > proseguì il conducente.

< Accettiamo con gioia, lieti di esservi stati d'aiuto. > assentì Wantz, affabile.

Il ragazzo tornò a rivolgere l'attenzione su Jillian, che pareva sinceramente rinfrancata di poter abbandonare la fonte del suo supplizio.

< Continua a reggere la recita della sorella, questa situazione ci torna utile. > le disse.

Jillian lo guardò, diffidente. < A cosa alludi? >

Wantz le rispose sottovoce, lottando con un otre particolarmente invadente. < Il mercato di Lindblum è l'ideale per procurarci provviste e il necessario per proseguire il viaggio. Dobbiamo approfittarne. Senza contare che possiamo scroccare due pasti. >

Jillian avrebbe voluto dire qualcosa, ma il carro si fermò davanti a quella che doveva essere l'abitazione di Otto, e Wantz balzò giù immediatamente. La guardò con aria complice e le sussurrò < Sii una sorella convincente.>

Jillian scese con cautela dal carro e tentò di recuperare stabilità nelle gambe. Wantz aiutava l'apprendista di Otto a scaricare la merce e chiacchierava allegramente; Jillian rimase colpita dalla sua sfacciataggine, e si vergognò per il suo comportamento interessato. La moglie del vasaio le si avvicinò e la guardò, preoccupata; le chiese premurosamente se si sentisse bene e Wantz si premurò di far sapere a tutti che < la mia sorellina patisce i viaggi su mezzi a ruote. Per questo viaggiamo a piedi. Ogni volta si procaccia questo particolarissimo colorito verdastro. >

Jillian rimpianse di non dover vomitare e sfogare così le sue necessità sul ragazzo. Fu condotta dalla donna in casa, e bevve la tisana che le offrì. Otto e l'apprendista andarono al mercato, invitando Wantz a fare altrettanto. Questi rispose che lo avrebbe visitato con piacere, ma prima avrebbe aspettato che sua sorella si sentisse meglio. Salutò i due ed entrò in casa. Jillian stava seduta al tavolo della cucina ed aveva un'aria decisamente abbattuta, sorseggiando afflitta la tisana.

< Ti senti meglio, figliola? > chiese la donna.

Jillian annuì, posando la tazza. < La ringrazio per la sua premura. >

< Non si crucci ulteriormente, gentile ospite: un po' di riposo e mia sorella si rimetterà completamente. Posso domandarle dove sistemare il mio cavallo? >

< Me ne occupo subito. La stalla è sul retro, e lì daremo della biada alla vostra cavalcatura. >

< Vi sono riconoscente. > disse Wantz, accennando un inchino.

La donna uscì e chiese alla sua manovale di aiutarla a portare entrambi i cavalli nella piccola stalla.

Wantz sedette davanti a Jillian. < Ti capita spesso? > chiese, approfittando del fatto che erano stati lasciati soli.

< Tutte le sante volte che salgo su carro, carrozza e simili. > rispose mestamente.

< Allora non c'è motivo di preoccuparsi. > Si trattenne dal chiederle se anche le carriole le causavano il medesimo effetto, pur concedendosi il lusso di immaginarla agonizzante su una di esse. Si alzò < Te la senti di andare fino al mercato? >

Jillian rispose di sì e lo seguì. Manifestò però la sua impossibilità a qualunque acquisto, dato che era senza soldi. Wantz non sembrò stupito che avesse speso tutte le monete che le aveva lasciato il giorno prima. Incontrarono sull'uscio la padrona di casa e le dissero che avrebbero fatto visita al mercato. La donna si raccomandò che tornassero per pranzo. La rassicurarono (il mago sembrava particolarmente appagato) e si diressero alla stalla. Wantz prese dei soldi da una delle sacche che il cavallo portava e lo accarezzò. < Approfittane per abbuffarti, amico mio. Non so quando potrai avere di nuovo biada fresca. > Il cavallo mosse la testa, come per dire che aveva inteso. Uscirono e si incamminarono. Il mago diede a Jillian alcune monete, sottolineando di non spenderle in futilità. La ragazza annuì e lo ringraziò, non ricevendo però risposta. Arrivarono al mercato senza scambiare altre parole.

< Fai pure con comodo. Ci vediamo poi a casa del vasaio. > le disse, andando per conto suo.

Jillian si sentì vagamente sollevata di poter fare spese da sola, e curiosò tra i banchi osservando tutto e contrattando i prezzi, come era solita fare quando doveva occuparsi delle commissioni per lady Margaret. A volte sbirciava di sottecchi cosa faceva Wantz: questi la ignorava bellamente, ed era sempre immerso nei banchi di erbe odi oggetti strani. Una volta lo scorse che parlava con un uomo barbuto che aveva in mano un rametto con delle foglie gialli; anche se "parlare" non era il termine esatto. L'uomo sembrava decisamente contrariato e pareva sul punto di menare Wantz, ma questi dialogava tranquillamente, con un'aria di strafottenza che Jillian stava imparando a conoscere. L'uomo pareva ormai sul punto di lasciar perdere la buona creanza, cosa che Wantz ignorava deliberatamente, esibendo un'aria di assoluta innocenza. Quando la situazione sembrava sul punto di degenerare, il mago sibilò qualcosa a denti stretti che fece calmare il barbuto, per non dire che lo terrorizzò. Comunque sia, l'uomo mascherò bene la sua inquietudine e rifilò in malo modo a Wantz il rametto, prendendo in cambio i soldi che gli porgeva, e chiudendo velocemente la questione. Jillian rimase esterrefatta dalla quantità esorbitante di oro che Wantz aveva dato via per quel ramo rinsecchito. Il mago si allontanò sogghignando soddisfatto; scorse Jillian e la salutò con la mano. Lei rispose per dovere di recita; riprese il suo giro, interrogandosi su cosa il ragazzo avesse comprato. Lo cercò tra la folla e lo vide parlottare con un commerciante di erbe officinali. Quel poveraccio sembrava parecchio a disagio. Il mago invece esibiva un ghigno poco rassicurante. Per il commerciante, almeno.

Jillian sentì vacillare le sue convinzioni in merito alla sua abilità di patteggiamento.

 

Si ritrovarono più tardi a casa di Otto, e mangiarono con la moglie di questi. Jillian ringraziò di poter finalmente conversare civilmente. Wantz non ne poteva più di mantenere atteggiamenti servili.

Dopo il pasto la donna li lasciò per occuparsi delle incombenze quotidiane. Jillian rimase sola in cucina, dato che Wantz era uscito a fare chissà cosa. Quando tornò, si sedette al tavolo insieme alla ragazza.

< Ti sono bastati i soldi? > chiese.

< Non sono una scialacquona. Ti ringrazio ancora per la tua cortesia. > Jillian riuscì miracolosamente a trattenersi dal chiedergli cosa aveva comprato lui.

< Oggi ci va proprio di lusso. > disse Wantz, appoggiandosi allo schienale della sedia. < Otto ci ha fatto preparare una tinozza e dell'acqua calda. Ah, erano secoli che non facevo un bagno caldo. >

Alla ragazza si illuminarono gli occhi. < Bagno caldo? >

< Si. Ero appunto venuto a dirti che puoi andare, io ho già fatto.> Jillian constatò infatti che i capelli del mago erano ancora umidi.

< Fantastico. Vado subito. > Jillian fece per alzarsi, ma Wantz la trattenne.

< Aspetta. > disse < Vorrei che ora mi dicessi in che modo, esattamente hai trovato il tuo pezzo della profezia. >

< Proprio ora? > domandò, impaziente. < Non potremmo parlarne dopo? >

< Non ti garantisco di averne ancora voglia, dopo. >

Jillian decise di cogliere l'occasione al volo.

 

***

< Sei ancora qui, Jillian? Ricordati che tra mezz'ora si cena. Lo sai che la signora odia i ritardi. >

< Si, Rebecca, non ti preoccupare. >

< Sarai puntuale? >

< Impeccabile. > rispose, ridendo subito dopo, tuffandosi in una poltrona.

La serva se ne andò, scotendo mestamente la testa. La ragazza si guardò intorno, ammirando le infinite scaffalature piene zeppe di libri. Ogni volta si stupiva con la stesse intensità, sebbene vivesse al castello da un anno e passasse ogni istante libero lì, in biblioteca. Non avrebbe mai potuto sdebitarsi con lady Margaret per averle fatto imparare a leggere e scrivere. E anche per tutto il resto, ovvio; ma leggere era diventata una delle sue attività favorite. Passava ore e ore immersa nei volumi, spesso preferendo la solitudine culturale alla compagnia della sua protettrice. Quella sera stava ormai calando il buio, quindi avrebbe dovuto rinunciare agli ultimi minuti di libertà cartacea, ma fece, come ogni sera, un veloce excursus dei ripiani per scegliere le letture del giorno seguente. Scelse una raccolta delle commedie di Plauto, poi la sua attenzione venne attirata da una sezione che non aveva mai considerato più di tanto: quella che ospitava i trattati di medicina, i libri sulle erbe medicinali, sulla natura umana e simili. Decise che era infine giunto il momento anche per cose di un certo spessore e complesse. Lasciando scivolare le dita sui dorsali, osservò con disappunto che la maggior parte era scritta in latino. Non c'era qualcosa in volgare, per cominciare? A un certo punto, le dita cozzarono contro un volume che sporgeva in fuori rispetto agli altri; come se un lettore disordinato lo avesse rimesso a posto in fretta e senza la dovuta cura. Lo sfilò e ne esaminò la copertina. Il nome dell'autore era talmente lungo che non compariva alcuna titolo: Abu Bakr-Muhammad Ibu Zaka-Riyya ar-Razi. Arabo? Figuriamoci, era tanto già se riusciva a capire un minimo di greco, e lo aveva studiato per mesi; l'arabo non le era stato ancora insegnato, e dubitava fortemente delle sue capacità di autodidatta. Stava per rimetterlo al suo posto, quando... un pezzo di pergamena cadde dal volume e scivolò ai suoi piedi.

 

 

"Una convivenza forzata, ma necessaria alla risoluzione finale."

 

 

< Jill? >

Sussultò e il libro le scivolò dalle mani, cadendo a terra con un tonfo sordo. Si voltò, tentando di trattenere l'affanno che andava crescendo dentro di lei.

< Ancora in mezzo ai libri? Tra poco si cena, lo sai. >

< Si. Io... Vi prego di perdonarmi. Vi raggiungo subito. > Raccolse il libro e restò immobile, le mani dietro la schiena.

Che cosa significava?

< C'è qualcosa che non va, mia cara? >

< Nulla. > rispose Jillian < E' solo che... Temo di aver letto troppo. Sono un po' stanca. >

Poteva essere un caso che fosse lì?

< Te lo dico sempre di non esagerare. >

Jillian annuì, stringendo tra due dita il pezzo di pergamena.

< Sicura che non ci sia qualche problema? >

Poteva essere un errore?

< Nessuno. Non vi angustiate. > assicurò Jillian, infilando con movimenti impercettibili la pergamena in una manica del vestito.

< Ti aspetto a tavola, allora. >

Poteva far finta di nulla?

Jillian non rispose e aspettò che si fosse allontanata sufficientemente; rimise a posto il libro e appoggiò la fronte ai volumi, serrando i pugni.

Era destinato a lei? Oppure lo aveva intercettato per caso?

< No. Questa volta no, lady Margaret. >

 

 

"Poiché solo insieme riuniranno tutti i pezzi della profezia, unendo quelli già in loro possesso e reperendo quelli ancora mancanti."

 

 

Inciampò in una radice e finì a faccia in terra. Accidenti, non era quella la maniera di procedere! Doveva innanzitutto calmarsi, altrimenti avrebbe prodotto solo una sequela di movimenti goffi. Quanto tempo era passato? Sicuramente si erano già accorti che era scappata. Scappata... Forse era meglio dire partita? Si, ma non si parte senza salutare. Certo, ma se avesse manifestato le sue intenzioni, col piffero che l'avrebbe lasciata andare! Sempre se le avessero creduto.

Sentì delle voci e degli zoccolii. Era il caso di smetterla con quei brillanti ragionamenti e di muoversi. Doveva allontanarsi il più possibile. Lì la conoscevano tutti, e se qualcuno l'avesse vista sarebbe stata la fine. Si rialzò e riprese a correre. Senza fermarsi. Senza guardarsi indietro. Senza pensare. Perché, probabilmente, se avesse pensato, avrebbe lasciato perdere.

E ora sorgevano inevitabilmente i dubbi. Avrà senso tutto ciò? Avrò preso abbastanza vestiti? E i soldi? Dio, perdonatemi, Margaret, non solo vi abbandono, ma vi ho anche derubata! E come dovrò comportarmi?

Non sapeva cosa sarebbe successo. Né cosa avrebbe fatto. E neppure dove sarebbe andata. Sapeva solo una cosa.

Le profezie non vivono di casualità.

 

***

< Il resto lo puoi immaginare. > terminò Jillian

< A grandi linee, si. > asserì Wantz. < Quindi tu non sai il frammento è sempre stato lì o se è comparso quando tu hai preso il libro. >

< No. > confermò lei, evitando di soffermarsi su come una pergamena possa comparire dal nulla. Wantz sembra stranamente meditabondo e concentrato.

< Ora tocca a te. Dimmi dei tuoi frammenti. > Lo disse tutto d'un fiato, approfittando del momento apparentemente favorevole.

< Sei sicura? E il bagno? Potrei metterci parecchio... >

Jillian si sentì gelare. Quel furbastro le aveva fatto perdere tempo, e ora doveva scegliere tra rarissima acqua riscaldata e il suo racconto. Gli lanciò un'occhiataccia (scoprendo di essere una principiante, in merito, al suo confronto), ottenendo in risposta un' espressione vacua. Si precipitò alla porta.

Guardandola mentre correva fuori, Wantz si complimentò con se stesso della sua trovata per costringere la ragazza a parlare poco. Chissà se l'acqua era ancora calda?

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Fregata ***


 

Capitolo 4: Fregata

Avrebbe potuto avere una marea di pensieri in quel momento. Del tipo: "Non dovrei stare qui. Non solo. Non dovrei fare quello che sto per fare." , "Non c'è davvero un'altra maniera? Ma se è così comodo. Si, ma è anche così dannatamente subdolo!" oppure "Non mi perdonerò mai quello che sto per fare." ; o anche solo più semplicemente "Non dovrei. No no. Proprio no. Pazienza.". Ma l'unica cosa che Wantz pensava in quel momento non si avvicinava neanche lontanamente alle sopra citate.

"Sarò davvero l'unico a non cantare quando si lava?"

 

 

"Sarà difficoltoso. Molto difficoltoso."

 

 

Come aveva potuto fidarsi?  Come? Con la sua esperienza, poi! Fosse stata una novellina... E invece no. Se ne stava a canticchiare a mollo nell'acqua ancora tiepida, mentre quell'imbroglione aveva campo libero, poteva procedere indisturbato. E lo aveva fatto. Misericordia, come aveva potuto? Come aveva potuto lasciarsi sopraffare così?

Uscire tranquilla dalla tinozza, vestirsi, prendersi un colpo perché il frammento era sparito, correre a cercare quel magonzolo per dirgli che si, tu, ladra da sempre, eri stata derubata, pronta alla vergogna e alla brutta figura che avresti fatto, per poi sapere dalla padrona di casa che quello se ne era andato, uscito dalla città, "a controllare da strada da percorrere", e via a correre, chiedendo la strada, decisa a recuperare ciò che era stato sottratto, rimescolando la rabbia, maledicendoti per la tua ingenuità.

Oh, ma questa l'avrebbe pagata. Dopotutto il cavallo era ancora nella stalla, non poteva essere andato lontano a piedi. Lo avrebbe preso. E l'avrebbe pagata. Eccome se l'avrebbe pagata. Mago o no, conosceva anche lei dei trucchi utili. Soprattutto, non sopportava di essere presa in giro.Come aveva potuto?

Fregata! Era stata fregata!

 

 

"E lungo. Molto lungo."

 

 

< Presumo che tu stessi cercando questo. > disse Wantz con voce piatta, tenendo il frammento con due dita e sventolandolo con noncuranza.

A duecento metri da lui stava un giovane vestito completamente di nero; pallidissimo, i capelli sudici e scomposti, era più grande e alto di un uomo normale, aveva la carnagione verde, la pelle presentava squame in numerosi punti del volto e al posto dei denti esibiva delle zanne, oltre un paio di inquietanti occhi rossi. "Un incrocio." sentenziò Wantz.

Teneva un cavallo per le briglie e sorrideva malignamente. < Presumi bene. >

Wantz abbassò la mano. < E quel cavallo è rubato. >

L'ibrido rise. < Inoltre>  proseguì il mago < eri tu a capo degli orchi. Corretto? >

< Precisissimo. > confermò l'altro.

< Se è così, > disse, mettendo il frammento nella sacca < non c'è altro da dire. >

L'uomo in nero scacciò il cavallo e divaricò le gambe. < Avrei io una domanda. > Wantz sistemò meglio la tracolla, in modo che non gli desse fastidio. < Hai intenzione di tenere con te la pulce? Al mio signore farebbe comodo saperlo. > sibilò.

Wantz alzò il voltò e lo fissò, inespressivo. < Saperlo non ti servirà a nulla. Non avrai l'occasione di dirglielo. >

L'ibrido proruppe in una risata roca e grufolante.

 

Ma quanto aveva camminato quello scellerato? Cominciava ad essere stufa, oltre che stanca, di correre. Qualcosa però le diceva che mancava poco. Era restia a credere che il ragazzo avrebbe accettato di fuggire da una donna: le sembrava un tipo abbastanza orgoglioso. A quel punto si imbatté in un cavallo. Nel senso che il cavallo correva a rotto di collo, e lei dovette gettarsi sulla sinistra per evitare che la centrasse in pieno. Piegata in ginocchio per riprendere fiato, osservò l'equino che si allontanava al galoppo, nitrendo di tanto in tanto. Era certa che l'animale stesse scappando da qualcosa che lo aveva spaventato. Di cosa si trattava? Ansimava, tentando di riprendere fiato. Il cavallo sparì all'orizzonte.

Un boato tremendo la colpì con la potenza di un’eruzione.

 

 

"Ma sarà l'unico modo."

 

 

Wantz fece una serie di balzi indietro per allontanarsi dall'avversario. La faccenda si stava dilungando. Non per niente quel tipo era a capo di una schiera di orchi, sebbene si trattava di una divisione di basso rango. Ora, l'obbiettivo di oggi è farlo fuori sprecando meno energie possibile. Qualche buona idea?

Un fiotto di aria lo centrò in pieno viso, procurandogli dei tagli. Dannazione, neanche il tempo per pensare mi dà. L'ibrido se la rideva di gusto all'ombra di un albero. Mi dà sempre più sui nervi 'sto qui. Perché accidenti ride? Un momento, l'albero...

Unì le mani e fulminò l'avversario con lo sguardo: questo stava fermo, fissandolo di rimando. Wantz socchiuse la bocca. < Cade, arbor. > L'altro rimase in attesa di una qualche reazione. Poi si rese conto che un'ombra scendeva su di lui: l'albero si era inclinato e gli stava cadendo addosso. < Pensi che basti così poco? Ti farò vedere di cosa sono capaci le schiere dell'Oscuro! > gridò. Allargò le braccia e si preparò a frenare la caduta della pianta.

Wantz si raddrizzò. < Se questi sono i vostri livelli medi, siete un po' carenti. >

L'incrocio ebbe appena il tempo di inarcare le sopracciglia, mentre l'albero calava su di lui.

Wantz alzò due dita e disse: < Detrunco vitam trunco. >

Nello stesso istante in cui afferrò il tronco dell'albero, questo esplose, coinvolgendolo nell'esplosione, e si ritrovò a brandelli prima di aver capito cosa stava per accadere.

Wantz emise un profondo sospiro, grattandosi la testa. Pulire quel macello sarebbe stata una seccatura. Fece qualche passo verso i resti, ma si voltò subito dopo, avendo percepito una presenza alle sue spalle. Rannicchiata dietro un albero, decisamente allibita, c'era una Jillian stranamente senza parole.

< Mi hai trovato in fretta. Complimenti. Mi rincresce per lo spettacolo indecoroso, me ne occupo subito. > Così dicendo si chinò sui brandelli di carne, riflettendo sul da farsi.

Con grande difficoltà, Jillian abbandonò il suo rifugio e fece qualche passo verso di lui. < Ma... Che cosa è accaduto? > riuscì a chiedere, vincendo lo stupore e il ribrezzo per quella visione di carne umana sventrata.

< E' successo che sono troppo vendicativi. Probabilmente non gli andava di aver perso i suoi sottoposti. Non è commovente, come un incrocio tra un uomo e un orco si affezioni a questi ultimi? >

< Mi stai dicendo che era il capo di quelle creature che mi inseguivano ieri? > Jillian si stupì della sua resistenza ai conati di vomito; a pensarci adesso, li viaggio sul carro era stato piacevole.

< Non solo. Era ancora qui per prendere il frammento, oltre che per farmi fuori. Allontanati un secondo. > Wantz si rialzò e alzò un pugno al cielo. < Luce solis, solve reliquos infames. > Quindi abbassò il braccio, e fiotti di luce accecante scesero tutto intorno, carbonizzando i resti dell'ibrido e dissolvendoli. Quando la luce riprese la sua normale intensità, Jillian riaprì gli occhi, abbagliata, e riacquisì la vista. Ora tutti i segni della battaglia erano scomparsi. Quasi tutti. Quando Wantz si voltò verso di lei, vide infatti che presentava numerosi graffi sul volto. Si portò le mani alla bocca.

< Sei ferito. > mormorò.

< Rimediamo subito. > E, miracolosamente, i graffi si cicatrizzarono, lentamente, sotto lo sguardo sbalordito di Jillian e quello serio del mago. < E' la prima volta che vedi una cosa simile, vero? Spero che non ne uscirai traumatizzata. Dopotutto, era un ibrido. >

< Ho sentito parlare di questi incroci. > mormorò la ragazza con uno sforzo immenso. A dire il vero era rimasta affascinata dalla guarigione istantanea del mago. < Si dice che l'Oscuro se ne servi perché più forti degli esseri umani e più intelligenti delle creature magiche. > Abbassò il capo. < Però, è pur sempre un essere vivente... >

< Credi che mi piaccia uccidere? > Wantz fece una smorfia e si portò una mano al fianco destro, dove aveva ricevuto un calcio, che gli doleva abbastanza. < Alcuni hanno provato a riportarli allo stadio originario ed a sanare le loro menti allucinate. Me compreso. Nessuno ci è mai riuscito. Perciò l'unica soluzione possibile è eliminarli. >

Jillian abbassò le braccia e lo guardò. < Non volevo certo condannarti per il tuo operato. Immagino che sia necessario procedere così... >

< Ma tu > riprese Wantz con un sorriso amaro < non eri venuta per punirmi? > Jillian fu colta da un moto di vergogna. Non le riusciva neppure di guardarlo negli occhi. Il mago estrasse il frammento della sacca e glielo porse. < Mi serviva per attirarlo fuori. >

La ragazza lo prese titubante. < Mi dispiace di aver dubitato di te. >

< Io invece mi sarei insospettito, in caso contrario. Sembra che tu non abbia ottenuto il frammento per nulla. > Un complimento?

< Però > disse Jillian con angoscia < tutto ciò che ho è l'astuzia. E la determinazione. > aggiunse mestamente, immaginando se stessa alle prese con un uomo della testa di pesce. Non sarebbe mai sopravvissuta a una situazione come quella affrontata da Wantz.

< In effetti, il fatto che continui a perseverare così tenacemente dà da pensare. Forse, seppur con un ruolo marginale, fai parte della divinazione. >

Jillian lo guardò a bocca aperta, sbalordita. < Lo pensi davvero? >

< Per quanto ho potuto vedere, questa profezia sopravvive grazie alla determinazione di portarla a termine. Ci sono delle probabilità che la tua volontà possa agevolarne la risoluzione. > Si incamminò verso la casa del vecchio. Passandole a fianco disse poche parole. < Vedremo se dunque potrai essermi utile. >

La superò e continuò a camminare. Jillian invece rimase dov’era, incapace di muoversi. Le era parso che il cuore si fosse fermato per la troppa gioia; infine, il suo desiderio si era realizzato. In parte. Ora avrebbe partecipato alla grande ricerca. L’unico ostacolo, forse, sarebbe stato il pessimo carattere del suo compagno. I passi cessarono inaspettatamente, e lei trattenne il fiato.

< Jillian. >

Era la prima volta che si rivolgeva a lei chiamandola per nome. Che fosse il segno che l'aveva finalmente accettata? Che ora non era solo più una ragazza qualsiasi ma una compagna di viaggio?

Si voltò verso di lui. Ormai abbastanza lontano, le dava le spalle, tenendo una mano sul fianco dolorante, unico rimasuglio della battaglia. Constatò che il mantello era miracolosamente illeso, nonostante la lotta di poco prima. La spada ciondolava lungo l’anca, ignara di tutto, come se il suo unico interesse fosse il far tintinnare la catena che reggeva il suo fodero. Da parte sua, la catena non deludeva le aspettative e tintinnava anche ora che Wantz si era fermato.

< Partiamo tra mezz’ora. >

 

 

"E loro ce la faranno."

 

 

All’imbrunire, si fermarono a dormire nel folto del bosco.

Era stato tremendamente difficile convincere Otto a lasciarli partire prima di aver cenato. Wantz si era inventato che aveva ricevuto un messo, il quale gli aveva riferito che la loro madre era gravemente malata. Jillian lo appoggiò simulando pianti e preoccupazione, e Wantz parve apprezzare le sue capacità recitative. Alla fine il vasaio li lasciò partire, non prima però di avergli dato un utilissimo vaso fatto da lui ("Un impiccio! Solo un impiccio!), coperte lavorate finemente in un tessuto leggerissimo ("Che non riparano un accidente.") e alcune vettovaglie ("Finalmente si ragiona."). E ovviamente li invitò a tornare il prima possibile ("Aspettami pure.")

Wantz intimò a Jillian di coricarsi subito; lui invece si allontanò, adducendo che la sera era solito pensare, e preferiva farlo in solitudine. Si inoltrò ulteriormente, lasciando Jillian da sola. La ragazza non riusciva a prendere sonno, ma non ne capiva la ragione. Non riteneva di avere paura, anche perché non lo avrebbe mai ammesso, né a se stessa, né tanto meno a quello scorbutico. Scostò la coperta e si alzò, per fare quattro passi, pur essendo intenzionata ad ubbidire a Wantz e perciò a non allontanarsi da lì. Passeggiò in cerchio nelle vicinanze, quando sentì una voce sommessa. Vinta dalla curiosità, avanzò nella direzione da cui proveniva la voce, ignorando tutte le raccomandazioni che Wantz le aveva fatto. Avvicinandosi, comprese che quello che sentiva era un canto, ma in una lingua che non conosceva; il suono delle parole misteriose la attirava, la voce cantava sottovoce suadentemente, e Jillian camminava come in trance.

 

Soy un hombre a quien la suerte

hiriò con zarpa fiera,

soy el novio de la Muerte

que estrechè con brazo fuerte

y su amor fue mi bandera.

 

< Wantz? >

Il ragazzo si girò e la fulminò con lo sguardo. < Sei sonnambula o disubbidiente? >

< No, è solo che... Quella canzone. Appena l' ho sentita non ho potuto fare a meno di venire a vedere. Era come se avesse un effetto ipnotico su di me. >

Wantz annuì. < E' una strofa sola, ma è incisiva. Sortisce sempre questo effetto. >

< In che lingua è? > chiese Jillian, avvicinandosi a lui.

< E' normale che tu non la capisca. E' di un paese del sud piuttosto anonimo. > rispose con voce piatta.

< Allora per quale motivo tu la conosci? > proseguì, sedendoglisi accanto.

< Mi è stata insegnata tempo fa. Anche la canzone mi è pervenuta tempo addietro. >

Jillian esitò un attimo, prima di continuare.

< Potresti tradurmela? > domandò, titubante.

Wantz chiuse gli occhi e riprese a cantare.

 

Sono un uomo che la sorte

ferì con artiglio fiero,

sono il fidanzato della Morte

che strinsi con braccio forte

e il suo amore fu la mia bandiera.

 

Nessuno disse nulla per un po'.

< E' bellissima. Ambigua, certo, ma bellissima. > sussurrò Jillian.

< Pensai lo stesso la prima volta che la sentii. >

La ragazza si chiese che cosa ne pensava adesso, ma le mancava il coraggio per chiederglielo.

Tacquero di nuovo, l'uno accanto all'altra, immersi in riflessioni suscitate dal brano.

Un gorgoglio sommesso ma percepibile distintamente ruppe il silenzio. Jillian si portò le mani al ventre ed arrossì violentemente.

< E dunque? > chiese Wantz, alzando un sopracciglio.

< Ehm… Temo che i mesi passati alle dipendenze della signora mi abbiano fatto perdere la resistenza alle richieste del ventre; tre pasti al giorno sono un lusso a cui ci si abitua in fretta ma si dimentica difficilmente. > spiegò a capo chino, in atteggiamento umile.

< Quante parole per dire che hai fame. > sbuffò l'altro.

Lei rimase a testa bassa, mortificata. Persino la pancia congiurava contro di lei e la convivenza con quello scorbutico? Il suo stomaco si vendicò con un gorgoglio notevolmente più udibile.

Scorse Wantz frugare nell’inseparabile tracolla ed estrarne un tozzo di pane; glielo gettò in grembo e la guardò male.

< Farai bene ad abituarti a sopportare la fame, però: io sono solito avere pasti occasionali e ad orari inconsueti. > ringhiò, scocciato.

Jillian accostò la pagnotta alle labbra e ridacchiò.

< Sarà fatto, signore. >

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Sosta obbligatoria ***


Ci tengo a precisare che la velocità con cui sto postando questi primi capitoli è dovuta al fatto che tutto questo materiale è pronto da tempo. Normalmente sono un po' lenta a scrivere, causa scuola e impedimenti vari, tra cui l'onnipresente insoddisfazione e la sensazione che ciò che scrivo possa essere migliorato ancora. Fosse per me non posterei mai, inseguendo una perfezione che mi è impossibile raggiungere. Quindi preparatevi ad un'improvvisa fine della cuccagna.

Ne approfitto per ringraziare Sophizia e 123stellina per aver recensito, e spero che lo faranno ancora.

Detto questo, spazio al quinto capitolo.

 

Capitolo 5: Sosta obbligatoria

La notte era tranquilla e silenziosa. L'unico rumore consisteva nel frusciare delle foglie, scosse da una leggera brezza. La foresta era oscura e non sembravano esserci esseri viventi; gli unici abitanti di quel luogo parevano essere le ombre.

Wantz si allontanò da Jillian dopo aver deposto una coperta su di lei, sbuffando.

< Sono già stufo di farle da balia. > sussurrò, per non rischiare di svegliarla.

< Spero che tu non ti offenda se ti dico che non ho voglia di sentire le tue lamentele. > gli fu risposto. < Preferirei piuttosto sapere cosa c'era scritto sul frammento della ragazza. >

Wantz tornò accanto alla voce. < Niente di rilevante. Era un pezzo dell'inizio, ci fornisce solo una conferma. >

< Quale, precisamente? >

Wantz incrociò le braccia con un movimento stizzito. < Che non c'è possibilità di errore. Sono stato abilmente incastrato. >

< Me lo potresti recitare? > insistette, ridendo sommessamente.

< "Una convivenza forzata, ma necessaria alla risoluzione finale, che porterà i due a collaborare per l'obbiettivo comune. E così il primo, già avviato alla ricerca precedentemente, accetterà la seconda come compagna di viaggio verso il completamento della profezia." O qualcosa di simile. > mugugnò.

< Ammetti dunque che avevo ragione io? >

< Ammetto che le mie speranze di aver interpretato male i frammenti erano vane. > corresse il ragazzo.

La presenza rinunciò a proseguire su quell'argomento. < Hai capito qual è la posizione di quel pezzo? >

Wantz pronunciò un secco < Appare, arcane. > e un fascio di fogli comparvero con uno sbuffo polveroso tra le sue mani. Cercò con difficcoltà alla tenue luce lunare che filtrava dalle chiome degli alberi e sollevò una pergamena che era stata evidentemente tagliata a metà. < Ecco. > sentenziò. < Penso che sia qui, dopo "Ma sarà l'unico modo. E loro ce la faranno.". >

< Si. > annuì l' interlocutore invisibile < E' sicuramente il punto esatto in cui collocarlo. >

< A essere sinceri, speravo in qualcosa di più utile. > rivelò, risistemando le pergamene nel giusto ordine.

< Oh, ma è indispensabile: ora finalmente non hai più scuse per sfuggire... >

< ... a questa ennesima scocciatura. > terminò Wantz. Toccò i fogli lievemente con due dita, mormorando < Cele te, veritate. >. Le pergamene si arricciarono come se avessero preso fuoco e scomparirono.

< Dormi Wantz; > consigliò premurosamente la voce.< non capita tutti i giorni di guadagnare un passaggio. Dovrai camminare anche domani. >

< Dormirò. Non capita tutti i giorni di incappare in un caso di mal di carro cronico. >

< Per lo meno camminare non ti crea problemi. >

< Spero che non sia lei a crearmene. >

La figura incorporea svanì dopo aver pronunciato un divertito < Buonanotte. >.

 

Jillian quella mattina non si destò di suo iniziativa; fu infatti il mago a svegliarla bruscamente con delle esclamazioni seccate. Wantz ci mise un po' a farsi sentire, d'altro canto Jillian non era abituata ad essere apostrofata con degli "Ehi!", e intimò alla ragazza di muoversi: il cielo era coperto e minacciava pioggia. Jillian si alzò e ripose le coperte nell'apposita sacca, dubitando nuovamente sul numero di coltri prese il giorno prima. Si incamminarono velocemente e Wantz approfittò del torpore della ragazza, sperando che le frenasse la lingua.

< Posso sapere cosa hai comprato ieri? > domandò.

< Prego? > chiese Jillian, ancora mezza addormentata.

< Nello specifico, vorrei sapere se hai comprato qualche vestito pesante. > continuò.

< Ah, no io... Non ho acquistato nessun vestito. Ho preso un mantello, però. > rispose, senza capire perchè gli interessasse.

< Mi chiedo come tu abbia speso i soldi, allora. Dovremo procurarcene uno. >

A quel punto Jillian perse ogni traccia di sonnolenza, sentendosi in imbarazzo per la questione "denaro". < Non li ho sperperati. Ho preso alcuni oggetti che mi serviranno per il viaggio, ma ai vestiti proprio non ho pensato. Non avrei mai comprato delle cose inutili con i tuoi soldi. >

< Ci mancherebbe. Abbiamo solo bisogno di appesantirci con delle cianfrusaglie. > Il suo sguardo cadde sul vaso che Otto gli aveva rifilato.

< A questo proposito, ti ringrazio nuovamente per avemi dato quelle monete. Mi adopererò per rcambiarti. >proseguì, riuscendo miracolosamente a trattenersi dal chiedergli che cosa avesse comprato lui, dato il putiferio e il terrore che aveva scatenato tra i commercianti.

Wantz accarezzò il cavallo, cercando di invogliarlo ad accelerare il passo. < Mi ricompenserai vestendoti in maniera più congeniale. Dato che dormiremo prevalentemente all'aperto, preferirei che ti coprissi di più. Odio sprecare le erbe per malanni inutili come il raffreddore. >

< D'accordo, non credevo che il mio abbigliamento ti arrecasse tanto distrubo. > ribattè lei, piccata.

< Forse non ci siamo capiti. > disse Wantz, vagamente contrariato. < Non lo dico per un mio sfizio, o peggio, una mia preversione. Credo che sia nei tuoi interessi non ammalarti. >

Jillian si sentì mortificata per avergli risposto così male, sebbene lui si stesse solo preoccupando per la sua salute. Oltertutto notò che spesso il ragazzo si massaggiava il fianco dove ieri era stato colpito durante la lotta con quell'ibrido. Ibrido che era venuto per lei. Il suo malessere interiore aumentò.

< Scusa. Io... sto sempre sulla difensiva. Ho il terrore di essere ferita, sia fisicamente che emotivamente. > Si giustificò. Allo sguardò interrogativo di Wantz, specificò: < Brutte esperienze passate. >

Dato che il mago non diceva nulla, cercò di strappargli qualche parola. < Mi dispiace. Però quanto a cautela non avrai problemi con me, ho esperienza. E prometto di impegnarmi a eseguire i tuoi ordini. >

< Appunto. > la interruppe Wantz. < Se vuoi vieggiare con me, devi fare in modo di non essermi d'intralcio, e seguire le mie direttive, dato che so come agire. >

Jillian acconsentì, rinfrancata di non aver scatenato l'ira di quel buzzurro.

< Ottimo. Innanzitutto, è basilare vestirsi in modo furbo. >

< Sissignore. > annuì Jillian, interrogandosi su quale fosse il concetto di "furbo" di quello strano personaggio.

 

 

"Una convivenza forzata, ma necessaria alla risoluzione finale, che porteà i due a collaborare per l'obbiettivo comune. E così il primo, già avviato alla ricerca precedentemente, accetterà la seconda come compagna di viaggio verso il completamento della profezia."

 

 

Un paio d'ore dopo stavano correndo sotto la pioggia, avvolti nei rispettivi mantelli, i volti sferzati dall'acqua che cadeva abbondantemente e con violenza. La conversazione si era ridotta all'osso (principalmente, Wantz imprecava contro le condizioni atmosferiche e tentava di convincere il cavallo ad accelerare il passo), avendo i due deciso di raggiungere il più velocemente possibile un paese e fremarvisi. Il quale paese si faceva desiderare non poco. Il cielo si era oscurato e la visibilità era minima, tanto che Wantz conduceva il gruppetto, giudando la ragazza e l'animale, che teneva l'una per mano e l'altro per le briglie. Jillian cominciò a sospettare che il mantello del ragazzo avesse qualche proprietà magica, prechè il mago procedeva sicuro, senza accusare problemi dovuti alla visuale, mentre lei, con l'acqua che le colava sin nella veste e che scendeva a rivoli sul volto, riusciva a mala pena a vederlo nonostante fosse pochi centimetri innanzi.

Quando ormai pensava che sarebbe affogata nei suoi stessi vestiti prima di raggiungere un centro abitato, si ritrovarono finalmente, per puro caso, nella via principale di una piccola cittadina. Iniziarono a percorrerla alla ricerca di una locanda, ma non vedevano nessuna insegna. Ad un certo pento Wantz si fermò davanti ad un negozio; si avvicinò ad un orecchio del cavallo, sussurrandogli di aspettare (che anche l'animale fosse magico? Jillian iniziò a pensare di essere leggermente paranoica.) e la trascinò all'interno della bottega. Jillian si fregò le mani per scaldarsi, godendo del tepore della stanza, e si guardò intorno: era pieno di stoffe e di abiti di vario genere. Una donna si avvicinò, e capì che era una sarta; chiese che cosa poteva fare per lorsignori, e Wantz le chiese cortesemente (?) di mostrargli le stoffe più pesanti che aveva. Mentre il ragazzo esaminava la merce che la donna aveva portato, Jillian osservava l'acqua colare dal mantello e formare una pozza ai suoi piedi: il mago non aveva perso tempo per procurarle un nuovo vestito, nonostante la situazione. C'era da dire che lei stava patendo il freddo e apprezzò molto la premura del ragazzo. Wantz la chiamò e lei si avvicinò al bancone, dove era stata collocata una stoffa rossa che aveva l'aria di tenere molto caldo.

La donna fece per prendere le misure a Jillian, ma Wantz la fermò e la fissò negli occhi: pronunciò delle parole con tono suadente, e convinse la donna a schiacciare un pisolino, raccomandando . La povera sarta si accasciò sul bancone biascicando un debole assenso.

< Per quale motivo l'hai addormentata? > chiese Jillian.

< Per abbreviare i tempi. Farò io. > spiegò.

< Cosa? > La ragazza non moriva dalla voglia di affidargli quel compito.

< Tranquilla, > la rassicurò, < non ho nessuna intenzione di mettermi a tagliare o misurare, userò i miei metodi. >

Lei fu sinceramente rincuorata di non dover testare le capacità di Wantz come sarto.

< Concentrati sul vestito. > riprese.

< Come? >

< Immagina il taglio che vorresti per il vestito. > spiegò.

A Jillian venne subito in mente un abito di seta blu che lady Margaret indossava abitualmente quando, durante le giornate di pioggia, restava con lei in biblioteca a leggere e a discutere sui testi letti. Era un abito splendido, ma di fattura troppo raffinata per lei.

Wantz la guardò sorridendo ironico. < Ti accontenti di poco, eh? >

Lei stava per balbettare qualche scusa, oltre che dirgli che non voleva che frugasse nella sua mente, ma la sua attenzione si concentrò sul vestito apparso dal nulla al posto dal rettangolo di stoffa, che ora consisteva solo in qualche scarto. Lo sollevò a bocca aperta, constatando che era identico a quello di Margaret, tranne per l'assensa dei ricami e delle applicazioni di abballimento dell'originale, impossibili da riprodurre per l'assenza di materiale e la mancanza di tempo.

< Vedo che apprezzi. > disse Wantz. < Allora muoviamoci e cerchiamo una locanda: mangerei volentieri qualcosa e non disdegnerei di asciugarmi. Tanto ho fatto in modo che questa donna si dimentichi di averci visto. >

Jillian si scosse dal suo stupore. < Aspetta. Dobbiamo pagarla, anche se si scorderà di noi. >

< Ovvio, ma non ho idea di quanto costi questa stoffa. Tu sai farne una stima di prezzo? > Jillian scosse risolutamente la testa. Quello era un problema: non gli andava di aspettare che si svegliasse per chiederglielo e poi rifarla addormentare, come non voleva evatare di pagarle il giusto e neppure darle troppo. Si grattò la testa pensando a una soluzione facilmente attuabile, ignorando Jillian che rimirava trasognata il dono inaspettato. Gli cadde l'occhio sul cavallo in attesa fuori, carico di sacche, tra cui spiccava il voluminoso vaso.

Il ragazzo si voltò verso la sarta e sorrise malignamente.

 

< Non penso che sia stata una buona idea. > urlò Jillian, nuovamente sotto la pioggia battente, per farsi sentire.

< Scherzi? > disse Wantz di rimando. < Non solo ho saldato il debito, ma mi sono anche liberato di quella paccotiglia. >

< Si, ma alla donna basterà per coprire il costo della stoffa? >

< L'artigianato di Lindblum è ben valutato. > assicurò.

La ragazza era ancora reticente, ma era talmente presa dal suo nuovo avere da non preoccuparsi più di tanto. Aveva messo l'abito in fondo alla sacca e infilato questa sotto il mantello per ripararla dall'acqua, di modo che, una volta all'asciutto, potesse indossarlo subito. Tuttavia continuavano a procedere con difficoltà senza trovare alcuna taverna. Wantz si maledisse per non aver chiesto informazioni alla sarta. Alla fine individuarono un'osteria e ci si fiondarono subito dentro.

Vi era una decina di avventori, e il fuoco scoppiettante nel caminetto rendeva il locale caldo e accogliente. Ai due ragazzi, però, non sfuggì l'atmosfera tesa che regnava tra i presenti, mesti e silenziosi.

Wantz si diresse al bancone, segiuto da Jillian, dove una donna stava tagliando delle verdure. < Benvenuti, stranieri. Desiderate ripararvi dalla natura inclemente? > chiese cordialmente, ostentando un sorriso che stonava con la sensazione di inquietudine che regnava nell'osteria.

< Ed anche mangiare, se possibile, gentile oste. Innanzitutto vi sarei eternamente grato se ci permetteste di avere una stanza dove poterci asciugare. > rispose Wantz.

< Come desiderate, nobile ospite: seguitemi, le camere sono al piano superiore. > La donna uscì da dietro il bancone e fece loro cenno di segiurla su per delle scale.

Wantz la fremò. < Attendete, oste. Ho un cavallo, qui fuori; c'è un qualche luogo dove io possa sottrarlo agli elementi avversi? >

La donna annuì. < C'è la stalla qui dietro, me ne occupo subito. > Fece per prendere una mantella da un gancio appeso alla parete, ma il mago la bloccò. < Non bagnatevi per nulla. Permettetemi di potarcelo io. >

< Come volete, viaggiatore. > assentì, lei, lieta di non doversi esporre alla pioggia.

Wantz si affrettò ad uscire di nuovo, raccomandando di dare anche degli asciugamani a sua SORELLA. Jillian, seguendo la donna al piano superiore, ignorò l'enfasi usata da Wantz sulla parola "sorella": era talmente felice che gli avrebbe concesso perfino di dire che era sua figlia.

Wantz sistemò il cavallo nell'angusta stalla, vicino a dell'erba secca, di modo che potesse cibarsi anche lui. Rientrò infreddito nel locale, ricevendo gli sguardi gelidi e indifferenti dei clienti. Si appoggiò impassabile al banco e attese il ritorno della donna. Arrivata questa, gli diede delle monete come acconto e qualche disposizione riguardo il pranzo. Poi salì le scale per raggiungere Jillian.

 

< Non sapaventetemi i clienti. > disse una voce femminile scocciata.

< Non prendertela con noi, Alice. Siamo tutti sotto pressione, te compresa. > ribetté un uomo.

< Complimenti per come riesci a sorridere in qualunque situazione, comunque. > aggiunse un altro.

< Oh, sta' zitto Sam. Sei ubriaco. > gracchiò la donna.

< La usi solo come scusa. > rispose la voce classificata come "Sam". < Dì un po', dov'è tuo marito? Ancora non torna? >

< Non essere impertinente, Sam. > continuò la seconda voce.

Sam singhizzò. < Non lo troverà. Nessuno lo troverà, stanne certa. >

< Tu non sei certo d'aiuto. > gli disse la donna.

< Non c'entra l'impegno. Se Alec non vuole essere trovato, non si farà stanare. >

< Non parlare di cose che non sai. > lo ammonì qualcuno.

< Colpa sua. Sì che impara, adesso, a ficcare il naso nelle cose più grandi di lui. >

< Smaltisci la sbornia, Sam. > soffiò Alice.

< E tu prega per tuo figlio, che ce n'è bisogno. >

< Finiscila, Sam! Alice ha dei clienti. > tuonò la seconda voce.

Sam rise istericamente, completamente ubriaco, bofonchiando qualcosa di incomprensibile. Ci fu rumore di sedie spostate e di voci che rassicuaravano la donna, che presumibilmente stava piangendo. Le voci continuarono a discutere animatamente.

Appoggiato al muro in cima alle scale, nascosto alla loro vista, Wantz ridacchiò.

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Capitolo 6
*** Ustione punitiva ***


Ossequi. Ecco quello che sarà, molto probabilmente, l'ultimo capitolo supersonico. D'ora innanzi andrò avanti con relativa calma, visto l'avvicinarsi dell'inquietante spettro della pagella. Se qualcuno volesse gentilmente spiegarmi dove sta la logica del dividere l'anno scolastico in un trimestre ed un pentamestre...

Personalmente sono soddisfatta di aver pubblicato sei capitoli in nove giorni: difficile che succeda ancora. Ad ogni modo, ringrazio tutti colori che hanno commentato, ovvero:

Sophizia, 123stellina, damned88, lotiel.

Con la promessa di un rinnovato impegno da parte mia, spero che continuerete a farmi sapere che cosa pensate di questa mia faticaccia. Ora me ne vado; non sia mai che si rubi la scena al caro Wantz.

 

Capitolo 6: Ustione punitiva

Jillian si stava rimirando allo specchio, estasiata: quel vestito era assolutamente divino. Non aveva mai posseduto niente di fattura così squisita.

Fece una serie di giravolte, ridendo con voce cristallina. La gonna svolazzava ad ogni suo giro. Ad un certo punto Jillian andò a sbattere contro quello che si rivelò essere un petto. Con il naso affondato nella maglia del proprietario, alzò lo sguardo e incrociò quello di Wantz, che la fissava con disapprovazione. Questi alzò un sopracciglio, guardandola interrogativo. La ragazza si sentì improvvisamente molto sciocca.

Si allontanò indietreggiando, imbarazzatissima, senza trovare qualcosa di adatto da dire.

Wantz le evitò un ennesimo balbettio di scuse, sorvolando. < Devo uscire. Tu resta qui, a breve ti porteranno di che sfamarti. >

< Come? > chiese lei stupita. < Siamo appena arrivati, non ti asciughi nemmeno? C'è addirittura il camino in questa camera. E poi, tu non mangi? >

Il ragazzo si passò una mano sulla fronte, immaginando avvilito che avrebbe dovuto abituarsi ad essere bersagliato di domande futili. < A che servirebbe asciugarmi, se tanto mi ritroverò nuovamente sotto la pioggia? >

< Giusto. > annuì Jillian < Ma non potresti prima mangiare? >

< Lusingato del tuo interesse, ma è necessario che verifichi una cosa immediatamente. > rispose stancamente.

Jillian intrecciò le mani dietro la schiena, leggermente rossa in volto. < Mi è concesso sapere di cosa si tratta? >

Il mago si grattò il mento. < Ti basti sapere che ci sono buone probabilità che abbia intercettato qualcosa di interessante. >

< Qualcosa inerente la profezia? > azzardò.

< Forse. > disse Wantz, avviandosi all'uscio. Si fermò e rifletté un attimo. < Ho degli ordini per te. >

Jillian drizzò istintivamente la schiena.

< Non abbandonare per nessun motivo la locanda. E continua con la storia dei fratelli erboristi. > La ragazza era vagamente delusa: sperava in un incarico vero, qualcosa che le desse l'illusione di essere utile. Le parole di Wantz la sorpresero. < Se ti riesce, vorrei che provassi a farmi un servizio: scendi al piano inferiore con la scusa di conversare e tiene d'occhio un tipo che si chiama Sam. Soprattutto, presta orecchio a cosa dice. >

Jillian fissò la schiena del ragazzo, riconoscente. < Farò del mio meglio. > assicurò, portandosi una mano al petto, ove giaceva il legame con quel ragazzo incomprensibile. Wantz annuì e aprì la porta, pronto a rituffarsi fra la furia degli elementi.

< Un'ultima cosa. > aggiunse, già nel corridoio.

Fuori ci fu un lampo di luce, seguito da un tuono di notevole potenza che fece tremare i vetri della finestra.

< Non piroettare più in mia presenza. >

 

"Freddo. Umidità. Dannata pioggia. Dannate mani gelate. Dannati calzari che non riparano. Solo tu sei calda... Si, calda... Perennemente calda... Dannatamente calda... Ma loro mi cureranno..."

Si passò le mani sul volto, tentando di scaldare anch'esse con il suo calore, senza però ottenere risultati: il viso era quasi bollente, mentre il resto del corpo pativa terribilmente il freddo. Lasciò scivolare le braccia a terra, rannicchiando ulteriormente le gambe nel tentativo di alzare la temperatura corporea.

Alzò una mano tremante, tastando il muro di roccia sopra la sua testa; sentì scorrere sotto il palmo le incisioni che aveva fatto sulla parete e ansimò soddisfatto.

< Si, nessuno la troverà... Nessuno... Solo loro sapranno... >

La scarsa luce che filtrava dall'apertura del nascondiglio fu oscurata da una figura umana.

 

Jillian ringraziò la donna e sorseggiò la tisana che le aveva offerto, "ottima contro il freddo", guardandosi con noncuranza intorno. Aveva consumato il pranzo ed era subito scesa come chiestole da Wantz. Intavolare un discorso con l'oste non era stato complicato; e quella che era la parte più difficile, individuare Sam, le era stata semplificata grazie alla sbronza dell'interessato, che sproloquiava senza posa, attirando su di sé l'ilarità generale. Evitava accuratamente di guardare nella sua direzione, riuscendo ad afferrare ogni singola follia che usciva dalla bocca dell'ubriaco continuando tuttavia a colloquiare con la donna.

Il tempo passava, e del mago nessuna traccia. Inoltre, nonostante l'attenzione che prestava ai discorsi di Sam, la ragazza non aveva notato nulla di particolarmente strano o interessante in ciò che diceva. Non smise però il suo lavoro di ascolto.

In quel momento, Sam stava inveendo contro l'oste, perché, a suo dire, non era capace di fare una birra come Dio comanda, e chiedeva con insistenza quando sarebbe tornato suo marito. lui sì che la sapeva fare, la birra.

L'atmosfera, fino ad allora allegra, si raggelò all'istante. Jillian portò il bicchiere alla bocca per una seconda sorsata di tisana.

Un uomo, evidentemente desideroso di spezzare il silenzio pesante che era seguito alle parole di Sam, si schiarì la voce. < Penso che si debba fargli smaltire la sbornia. >

Mugolii di assenso sorsero da ogni avventore. Qualche sedia fu smossa, e una risatina sommessa serpeggiò per la stanza.

Jillian notò che la donna era in un evidente stato di disagio, e stette in silenzio, certa che a breve avrebbe scoperto perché Wantz aveva adocchiato quel vecchio beone.

 < Alice, > disse qualcuno < porta un secchio d'acqua, che gli facciamo un bel lavaggio. >

La donna non rispose; sollevò con presa incerta una tinozza piena di acqua fredda.

< Che te frega di me. Pensa a tuo figlio. Un ubriaco vale meno o no di un ragazzo scomparso, eh, Alice? >

La tinozza sgusciò dalle mani della donna e si rovesciò a terra. Sam venne sollevato di peso e scaraventato su un tavolo. Un uomo recuperò un catino con dell'acqua da dietro il bancone, passando di fianco alla donna, impietrita, e a Jillian, che tentava, con scarsi risultati, di rendersi invisibile.

Nella confusione che ne seguì, Sam vide per caso la ragazza e rise sguaiatamente guardandola, lasciando che gli infilassero la testa nel catino.

Jillian abbassò lo sguardo, osservando con finto ed eccessivo interesse un nodo del legno del tavolo. Che fosse quello che interessava a Wantz? Ma che collegamento c'era tra la scomparsa di quel giovane e la profezia? Perché un collegamento c'era sicuramente; non riusciva a immaginare che il mago volesse solo compiere una buona azione.

Si morse rabbiosamente un labbro, vergognandosi di quello che aveva pensato. Se voleva che Wantz si fidasse di lei, doveva fare altrettanto, sebbene fosse difficile fidarsi di un individuo così ambiguo.

Sentì il pezzo di pergamena sfregarle contro la pelle all'interno del vestito.

 

< Chi sei? Ti hanno mandato a cercarmi? > chiese affannato, stupito di essere stato trovato.

< Non mi manda nessuno. Sono qui di mia iniziativa. > gli fu risposto.

< Non credevo che fosse così semplice trovarmi. > rise, senza riuscire a nascondere il suo disappunto.

< Non lo era, infatti. Per dei bifolchi qualunque. Si da il caso che io sia un mago, e quindi perfettamente capace di individuare una barriera come quella di cui ti servivi per nascondere la tua presenza. >

Quello parve non capire a cosa si riferisse, ma poi annuì. < Una barriera, addirittura... > ragionò con se stesso.

Il mago non si soffermò su quel punto e proseguì. < Sono venuto per avere ciò che nascondi. >

L'altro gli rispose come se parlasse da solo. < Non ti hanno mandato, eh? E allora come sai... Non puoi sapere. >

< Evitiamo di perdere tempo in discorsi improduttivi. Devi andartene di qua; ti troveranno, perciò dammi... > Venne interrotto da un ringhio lanciato dal rifugiato.

Il giovane si alzò e avanzò incespicando verso di lui. < Non mi troveranno! Nessuno mi deve vedere! > Entrò nel breve spazio che la luce aveva conquistato, e Wantz lo vide in faccia. O meglio, vide quella che doveva essere stata la faccia del giovane, perché adesso sembrava solo un ammasso di piaghe e abrasioni.

Want serrò la mascella, orripilato. "Un'ustione magica."

< Non mi troveranno. > ripeté.

< Oh, sì invece. Non sei al sicuro da loro. > ribatté Wantz.

< No, sono loro a non essere al sicuro da me .>

< Non hai capito. Parliamo di due cose diverse. > scosse amareggiato la testa.

Il ragazzo si avvicinò ancora di più. < Non mi devono vedere. La mia famiglia... Non... Finché sono così... Devo tornare normale e... >

< Hai infranto i sigilli. Non tornerai mai come prima. > sentenziò senza pietà. < E, ripeto, ti troveranno. >

< No, nessuno deve. Nessuno. >

< Dammi il frammento della profezia. > gli ordinò Wantz.

< NO! > gridò l'altro, gettandosi addosso al mago e buttandolo a terra. < Io l' ho trovata, e mi ha punito. Nessuno deve subire la stessa sofferenza, nessuno! La cupidigia... La brama di sapere... Nessuno deve fare lo stesso errore! >

< Non è così che eliminerai il dolore. > gridò a sua volta Wantz, sbalzandosi di dosso il ragazzo. Si rialzò in piedi e lo osservò stringere i pugni accasciato a terra. < Esiste qualcuno che li deve tenere. Ho giurato che avrei salvato il mondo da questo flagello. Dimmi dove l' hai messa, Alec. >

Alec piagnucolava inginocchiato, mugolando cose prive di senso. Wantz constatò che il suo cervello era stato irrimediabilmente danneggiato, e vi erano scarse possibilità di riuscire a ragionare con lui. Decise che avrebbe tentato di strappargli una confessione spaventandolo. < Ego te invoco, ignis. >

Una palla di fuoco apparve, sollevata da terra, al centro della grotta, illuminandola. Alec si rannicchiò in un anfratto sudicio, implorando perdono: il fuoco gli aveva sicuramente ricordato l'anatema che l'aveva ustionato quando aveva letto la parte di profezia.

< Lasciatemi stare, vi prego. Ve lo darò, lo giuro su ciò che ho di più caro, ma non fatemi più del male. > biascicava tra le lacrime, che scorrevano sul volto lasciando dei solchi sulle piaghe

< Non ti farò del male. Voglio solo che tu mi dia il frammento. > sussurrò il mago, imprimendo una forte persuasione nelle parole.

< Me lo avevate promesso. Dovete guarirmi. Avevate detto che lo avreste fatto... >

< Non ti ho mai detto una cosa del genere. > disse Wantz. Il figlio dell'oste stava chiaramente delirando, e il ragazzo disperava di ottenere ciò che voleva. Lasciando che Alec continuasse a fagocitare insensatezze, esaminò la grotta in cerca di un possibile nascondiglio per una pergamena, rabbrividendo al pensiero di come si fosse ridotta, vista l'umidità di quel tugurio. Trovò quello che cercava.

Su una parete erano state incise delle frasi.

 

Jillian sedeva sconfortata sul bordo del letto. Approfittando del trambusto si era defilata ed era tornata in camera a ragionare su ciò che aveva appreso. Si alzò e gettò un ceppo di legno nel caminetto, osservando il fuoco che danzava sotto i suoi occhi. Al piano di sotto era tornata la calma; anzi, vi era un silenzio spettrale. Jillian si sentiva inquieta, e desiderava ardentemente andarsene di lì. Buttò con rabbia un secondo ceppo sulle fiamme, con foga tale che alcuni tizzoni saltarono fuori e lei indietreggiò per evitarli.

< Ehi, fai attenzione. Hai deciso di abbrustolire subito il vestito nuovo? >

Jillian si voltò, e vide Wantz, grondante acqua, entrare nella stanza e chiudere la porta. Si avvicinò al fuoco, e tese le mani per scaldarle, brontolando qualcosa contro il tempo schifoso. La ragazza prese un asciugamano asciutto e glielo porse.

Wantz se lo sfregò sui capelli. < Qualche novità? Di sotto sembra che sia morto qualcuno. >

< Non morto, > rispose lei < scomparso. Quell'uomo di nome Sam... Beh, ha detto che il figlio della padrona è sparito. >

< Allora avevo ragione. > disse il mago, soddisfatto, prendendo il piatto di minestra ormai freddo che giaceva sul tavolo e mangiando in piedi vicino al camino.

< Se lo sapevi già, perché me lo hai fatto sorvegliare? > chiese, pensando con ribrezzo al disagio che aveva provato durante quella situazione sgradevole che avrebbe volentieri evitato.

< Mi serviva una conferma. > rispose l'altro a bocca piena. Notò che la ragazza sembrava risentita. < Se hai delle rimostranze, falle. >

Jillian si maledisse per aver di nuovo fatto alzare la guardia al ragazzo. < Nulla. Al contrario, sono felice che tu stia cominciando a rendermi partecipe della tua missione. Semplicemente, mi sono sentita malissimo al pensiero di come deve stare quella donna. Non deve essere facile. >

< Affatto. > confermò Wantz. < Tuttavia, è bene che ti abitui alla svelta all'idea di vedere cose simili. Non ci saranno compiti facili. Tanto meno piacevoli. >

Jillian annuì, rinfrancata di non averlo contrariato. Decise di osare oltre, approfittando della situazione favorevole. < E tu? Che cosa hai scoperto? Immagino che avrai cercato quel ragazzo, Alec, vero? Forse sa qualcosa della profezia? O magari ha addirittura un frammento. Ah, sarebbe fin troppo bello. Ma se non ce lo volesse dare? Quello sarebbe un guaio. E se invece fosse stato rapito da... >

Wantz trangugiò l'ultimo cucchiaio di minestra e sospirò rassegnato.

 

< NO! Vi prego, non uccidetemi, non fatelo! > li stava pregando, indietreggiando fino a toccare con la schiena la parete.

< Hai distrutto il frammento. Non ci servi più. >

< Non avresti dovuto prenderti gioco di noi. Senza il frammento, sei totalmente inutile. >

< No, io... Dovete guarirmi, me lo avevate promesso... >

< E tu ci avevi promesso il frammento. Non sei stato ai patti. >

< No... E' venuto uno prima, ha cancellato la parete... Era dei vostri... >

< E' andato. > disse al suo compare, il quale rise selvaggiamente. < Facciamolo fuori. >

< No... Vi prego, io... > Stava piangendo.

< Passeremo dei guai, per colpa tua. E' la giusta punizione. >

< NO! >

 

< Quindi abbiamo un nuovo pezzo? E' fantastico! >

< Trattieni l'entusiasmo. Ti ricordo che non è stato piacevole il modo in cui l' ho ottenuto. >

Jillian si scurì in volto. < Non c'è... davvero alcun modo di aiutarlo? >

< E spezzare un anatema lasciato dai Tre Savi? > sbuffò Wantz < Non sono mica Mago Merlino, io. >

La ragazza si appoggiò allo schienale della sedia. < Chissà quante alte vite sono state rovinate, o spezzate, a causa della profezia. >

< Fin troppe. Ad ogni modo, la colpa non è di nessuno. Fa tutto parte del disegno secolare. > spiegò con rassegnazione.

< E' strano, comunque... >

Wantz smise di giocherellare con il cucchiaio e la guardò. < Che cosa? >

< Voglio dire, non ti sembra strano che un figlio di osti sappia usare la magia? A me risulta che sia necessario studiare per poterla padroneggiare, e le lezioni di un mago non devono essere propriamente economiche; ammesso che si trovi un mago e che questo sia disposto a dispensare insegnamenti. >

< Sì, hai ragione. > ammise lui < A pensarci bene, è invero... >

Si interruppe, ripensando a ciò che il ragazzo aveva biascicato. "Dovete guarirmi. Avevate detto che lo avreste fatto...". Parole prive di senso..."Una barriera, addirittura...". Per lui. Prive di senso PER LUI, che non aveva capito.

Wantz si staccò dal muro dove era appoggiato e si precipitò alla porta.

< Come ho potuto essere così maledettamente idiota! > urlò.

Jillian si alzò di scatto. < Che succede? Dove vai? >

< Una grotta. Come può una misera grotta essere sufficiente. E quel gonzo... Non poteva certo possedere i sacri doni. Sono stati loro, loro, a mettere la barriera! > Era uscito nel corridoio e stava per correre giù dalle scale.

< Wantz! > lo chiamò, raggiungendolo.

< Torno là. > le disse, girando a mala pena la testa verso di lei.

< Vengo con te. > disse Jillian tutto d'un fiato, non capendo cosa gli passava per la mente.

< Non dire sciocchezze. > sbuffò lui, cercando una scusa qualsiasi per liberarsene. < Bagnerai il vestito nuovo. > Patetico. Poteva trovare di meglio.

Jillian appoggiò i pugni sui fianchi e indicò la finestra con un movimento del capo. < Non piove più. >

Sì, poteva decisamente trovare di meglio.

 

Avevano attraversato di corsa la taverna, sotto gli sguardi allibiti dei presenti, erano usciti e avevano corso senza mai fermarsi. Jillian riusciva a mala pena a stargli dietro, inciampando spesso, a causa del terreno ancora bagnato. Si era chiesta che cosa avesse spinto Wantz a tornare da Alec. Lo aveva seguito dentro la grotta, sebbene lui non volesse. Lo aveva affiancato quando lui si era fermato davanti ad una parete. E, nonostante la quasi completa oscurità, aveva visto ciò che lui aveva temuto.

Il muro di roccia su sui prima vi erano le scritte, cancellate con la magia da Wantz, era imbrattato di sangue fino al soffitto. Gli schizzi erano irregolari, ma era evidente che cosa era successo: qualcuno aveva fatto scoppiare Alec dall'interno.

Adesso Jillian era fuori, all'aria aperta, piegata in due, appoggiata ad un albero, e vomitava, scossa da brividi. Tossì un paio di volte, tentando di calmarsi.

Aveva capito: i servi dell'Oscuro sapevano che aveva un frammento. Gli avevano promesso di curarlo per prendere il frammento senza che opponesse resistenza; lasciatolo da solo a riflettere, lo avevano nascosto per giorni con una barriera, per evitare che venisse trovato dai suoi compaesani. In tutto quel tempo, solo con il suo castigo, Alec era impazzito. Probabilmente i servi dell'Oscuro volevano che si consumasse da solo per poi lasciarlo in preda alla disperazione. Ma, credendo che avesse distrutto la pergamena, lo avevano ucciso. Fortuna che Wantz aveva cancellato le scritte che Alec aveva inciso durante la sua prigionia.

Alzò la testa e vide che anche Wantz era uscito. Stava fermo davanti alla grotta. All'improvviso sollevò una mano, e il rifugio di Alec saltò in aria. Jillian lo raggiunse, cercando inutilmente di fermare il tremito che la scuoteva da capo a piedi. Lo fissò, con il fiato grosso, incapace di dire nulla.

Wantz guardava le macerie con astio. < Avrei dovuto capirlo. Invece mi sono concentrato solo sul frammento. Tsk, era più comodo pensare che fosse completamente pazzo. >

Jillian lo fissava con occhi vacui. < Non potevi saperlo. >

< Avrei dovuto immaginarlo. Ma volevo fare in fretta. Il tempo è tiranno. E io... > sussurrò < Io sono un incapace. >

< Smettila. > lo ammonì la ragazza. < Non è stata colpa tua. >

< Se non fossi stato così cieco, forse avrei potuto evitarlo! > disse Wantz al colmo dell'esasperazione, voltandosi verso di lei.

< O forse no! > ribatté Jillian, alzando la voce. < Non sei stato tu a dire, prima, che fa tutto parte di un disegno già tracciato? Non puoi cambiare ciò che è già stato scritto! >

Wantz la guardò, gli occhi sgranati, non sapendo bene se prenderla a sberle o se ascoltarla. Jillian sospirò, pentendosi di aver alzato il tono di voce. < Se c'è una cosa che ho capito di te, è che tieni alla profezia più di ogni altra cosa. Sono certa > continuò < sono certa che hai sempre fatto tutto ciò che era nelle tue possibilità. >

Il mago batté la lingua contro il palato in un gesto di stizza.

< Non è colpa tua. >

Seguì il silenzio. Jillian  stava cominciando a trovare quei momenti di pausa molto meno pesanti. Sentì però il bisogno di parlare.

< Che bisogno c'era di distruggere la grotta? >

< Non voleva essere trovato. In nessuna forma. >

Jillian si inginocchiò e pregò per l'anima del defunto. Il ragazzo restò immobile fino a quando lei non si raddrizzò.

Wantz si girò verso di lei. Sembrava triste, ma poteva darsi che stesse esibendo una maschera di totale indifferenza. < Sei ancora convinta che sia questo ciò che desideri? Con ogni probabilità, vedrai perfino di peggio. >

Jillian cercava inutilmente di interpretare la sua espressione. < Lo so, ma... Sono decisa a prosegiure. >

Il ragazzo le regalò un sorrisetto storto. < Ne ero certo. >

< Aspetta un attimo. > disse lei, disorientata. < Come facevi ad averne la certezza? >

Wantz levò lo sguardo al cielo che andava scurendosi, notando che le chiome degli alberi frusciavano scosse da un insignificante venticello. Rise amaramente.

< Perché la sorte era, è, e sempre sarà, contro di me. >

 

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Capitolo 7
*** Perplessità ***


Cap7

Mi scuso per la brevità di questo capitolo, ma siamo in una fase transitoria, e non se ne può prorpio fare a meno. Dal prossimo dovremmo tornare ai livelli inziali. Intanto però potete pure scervellarvi su questo: Jillian alla ribalta, signore e signori... P.S: i ringramenti per i commenti li rimado ad un capitolo più corposo, qui mi sembrano sprecati. Alla prossima.

Capitolo 7: Perplessità

La pioggia non smise di cadere per tutta la notte. Soltanto la mattina, al suo risveglio, Wantz constatò con sollievo che finalmente il cielo era privo di nuvole e non c’era pericolo di un nuovo temporale, almeno per quel giorno. Stava guardando fuori dalla finestra quando vide alcuni uomini che parlottavano tra loro in modo concitato, guardandosi agitati intorno e controllando freneticamente di non essere visti da nessuno: con ogni probabilità erano quelli mandati a cercare Alec che tornavano con le pive nel sacco. Wantz scosse mestamente la testa, quando sentì alcuni mugugni indistinti e si voltò di scatto.

Jillian si rigirò nel letto, bofonchiando frasi prive di senso. Il mago, indispettito per essersi agitato per nulla, la svegliò malamente e le disse di prepararsi ad andarsene.

Radunati i loro scarsi averi, si apprestarono ad uscire dalla stanza, ma Jillian si bloccò prima di varcare la soglia.

< Glielo dirai? > domandò con un filo di voce.

Anche lui si fermò. < Parli di quello che è successo ieri? > Notò un lievissimo gesto di assenso da parte della ragazza. < Naturalmente no. >

< Non è giusto. > sussurrò lei.

< A che scopo dovrei dirglielo? > chiese stancamente, come chi chiede una cosa ovvia ad un bambino ottuso.

< Hanno il diritto di sapere la verità. >

< E la straordinaria capacità di fraintendere tutto: più volte in casi simili sono stato accusato di cose che non ho fatto. >

< Basta spiegare come sono andate le cose. > ribadì.

< Fosse facile, per un mago, essere creduto: la gente comune ha un terrore granitico verso di noi. >

< Quindi non vuoi dirglielo perché hai paura di essere incolpato? Non puoi essere così vigliacco. > continuò lei con astio.

< E’ la mia unica difesa contro la diffidenza delle persone verso i maghi. > si giustificò.

< Allora devo ammettere che il loro è un timore legittimo. >

< Forse diffidenza non è il termine esatto. Sarebbe più corretto dire repulsione. > si corresse, uscendo dalla stanza e scendendo le scale.

< Sei solo un ipocrita. > sussurrò lei seguendolo.

< Probabilmente hai ragione. >

Jillian lo afferrò per un braccio, costringendolo a fermarsi. < Mi oppongo a questa tua decisione. >

< Bene: puoi dirglielo, se vuoi. > Si interruppe bruscamente, accortosi che ai piedi delle scale c’era l’oste in compagnia di uno degli uomini che aveva veduto prima dalla finestra.

La donna stava piangendo con la faccia affondata in un grembiule sporco, e l’uomo, presumibilmente suo marito, le stava bisbigliando delle frasi rassicuranti, tenendola stretta a sé. L’uomo aveva profonde occhiaie e un’aria tremendamente stanca: doveva aver cercato il figlio per giorni senza mai riposare, in preda alla pioggia al vento sferzante. Quando si accorsero della loro presenza, la donna se ne andò di corsa, soffocando le lacrime, mentre l’altro rimase per fare il suo dovere di oste. Jillian era ammutolita e seguì la donna con lo sguardo, con la morte nel cuore e un’insopportabile senso di impotenza. Wantz si divincolò e liberò il braccio dalla presa della ragazza; prima di andare dallo sconosciuto a saldare il conto, le mormorò una frase a labbra strette.

< Sempre che tu ci riesca. >

 

***

< Te l’ ho detto. >

< Io… Non so bene che cosa fare… >

< Mettilo alla prova. Lui ha testato le tue capacità, no? Era sua ferma intenzione liberarsi di te se non fossi risultata idonea. Perché dunque non fare lo stesso? Saggia il suo animo, accertati se merita il compito che ha monopolizzato. Verifica che non sia lui quello che dovrebbe sparire. Accertati che sia degno. >

< Non vorrei si accorgesse che sospetto di lui. >

< Sei in gamba, lo sai. Puoi fare qualunque cosa. >

< Hai ragione. Sono in grado di farlo. >

< Fingi, menti e dissimula: perché è questo che lui sta facendo con te. >

< D’accordo; farò come mi hai suggerito. >

< E non ti preoccupare. Ora ci sono io. Non gli permetterò di farti del male. >

***

 

< Ti dai una mossa? > ringhiò Wantz; aveva preso il cavallo e stava aspettando che la ragazza si decidesse a  fargli di grazia di partire.

Jillian si riscosse e, lanciato un ultimo sguardo fugace all’osteria, raggiunse il mago e lo seguì.

L’attraversamento dell’anonimo paese fu accompagnato dall’inquietudine che serpeggiava fra gli abitanti. Occhiate sospettose si posavano continuamente su di loro, e avevano la perenne sensazione di essere spiati. Fu con estremo sollievo che Jillian affrontò di nuovo il cammino fuori dai centri abitati, su una polverosa e deserta strada sterrata. Ciò nondimeno, tanto Jillian si era rasserenata quanto Wantz incupito.

Indecisa se interpretarlo come malumore o amarezza, Jillian decise che l’unica cosa de fare era avere il solito atteggiamento: è più facile che qualcuno sia sincero se noi in prima persona lo siamo. O almeno così credeva.

< Abbiamo una destinazione, quest’oggi? > chiese con fin eccessiva noncuranza.

Il ragazzo annuì. < Siamo diretti in un villaggio chiamato Past. >

< Finalmente, > esclamò con vivacità < abbiamo una meta precisa. >

< Fa tanta differenza? Non sai neppure cosa andiamo a farci. >

Lei sorrise. < Perché, avevi il proponimento di dirmelo? In tal caso non mi lascio sfuggire quest’occasione inaspettata. >

Wantz le lanciò un’occhiata fugace. < Mi fa piacere vedere che ti sei ripresa completamente. > disse con una punta di cattiveria.

Jillian non capì subito a cosa si riferisse.< Stai insinuando che non sono coerente con me stessa? Non ho dimenticato la sofferenza patita da quella povera, ignara e innocente famiglia. > disse in sua difesa, cercando di sotterrare il fatto che per un attimo anche lei si era sentita molto superficiale.

< Non ho detto questo. >

< Mi sembrava che la tua fosse una critica. > ribatté sprezzante.

< Affatto. A volte è bello potersi scordare dalle disgrazie che ci circondano e stare sereni, seppure per poco. E’ così opprimente, avere sempre in testa… > Si bloccò.

< Che cosa? >  Poiché il ragazzo non mostrava alcuna intenzione di terminare la frase, ci pensò lei. < Il tormento indefinibile che si è annidato in tutta la popolazione? L’angoscia implacabile che accompagna ogni singola giornata? Il desiderio insaziabile di avere qualcosa a cui aggrapparsi per non smarrirsi nella disperazione? Queste e mille altre cose che ricordano con insistente petulanza quanto tu sia inutile in questo dramma, e quanto si debba ancora fare per porvi fine? >

Wantz alzò gli occhi al cielo. < Non avrei potuto dirlo meglio. >

Jillian lo guardò di sottecchi: aveva impressa sul volto la stessa impronta di scoraggiamento che aveva visto innumerevoli volte su se stessa.

< Ma di certo, > continuò il mago < io avrei saputo dirlo in modo più conciso. >

Jillian fu felice di assaporare ancora, dopo tanto tempo, la piacevole sensazione che ti lascia addosso una risata.

 

***

< Ha superato la prova? >

< E’ troppo presto per dirlo. >

< Proprio quello che volevo sentirmi dire: hai compreso pienamente ciò che devi fare. >

< In ogni caso, non so perché, ma non mi riesce di dubitare appieno di lui: se in un momento mi fa irritare, in un tempo ancor più breve riesce a farmi dimenticare perché mi ero innervosita; un attimo sono arrabbiata, e l’attimo dopo penso di poter riporre piena fiducia in lui. Non lo capisco. >

< Perché finge, e quindi si contraddice da solo. >

< Non ci riesco; non riesco a vederlo come un pericolo. Non riesco a concepirlo come una persona falsa. >

< E’ qui che sbagli. >

< Dimmi qualcosa che mi aiuti a comprendere, allora. >

< Il sorriso, Jillian: lo hai mai visto sorridere? Di un sorriso vero, intendo. >

***

 

< Sei certo di voler tornare lì? >

< Avete notato che, ogni sera, quando possiamo parlare, non fate altro che seppellirmi di domande? >

Rise, e Wantz si stupì per l’ennesima volta di come suonasse strana e innaturale la voce del suo interlocutore. Non poteva essere altrimenti, trattandosi di una cosa anormale; chissà cosa si provava ad essere una presenza soprannaturale… Chissà cosa si provava ad essere…

< E tu sei conscio della tua abilità a evitare i discorsi che non ti aggradano? > ribatté.

< Una dote innata di cui vado fiero. > spiegò Wantz con vivo orgoglio.

< Una volta là, ti rendi conto che dovrai… >

Il ragazzo lo zittì con un cenno della mano. Si alzò e, raggiunta Jillian, si chinò su di lei: biascicava qualcosa di incomprensibile e si dibatteva lievemente.

< Qualcosa non va? > chiese la presenza evanescente.

Wantz restò assorto per qualche secondo, fissando la ragazza addormentata. < Sogna. > rispose infine, tornando al suo posto.

< C’è da impensierirsi? >

< Suppongo di no: presumibilmente è normale che abbia il sonno agitato, dato il cambiamento radicale che la sua vita sta avendo. >

Si appoggiò al tronco dell’albero e sistemò il mantello attorno a sé come fosse una coperta. La presenza ebbe un inconsistente sospiro e svanì.

< Non perdere di vista la realtà, Wantz. >

< Sbagliate. > Scosse la testa, cercando con gli occhi Jillian. < E di ciò che è fasullo che mi devo preoccupare. >

 

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Capitolo 8
*** A caccia di guai ***


cap8

Salve. Rieccomi qui per la vostra gioia. Come promesso, i ringraziamenti:

Sophizia, 123stellina, damned88, Lotiel e il/la nuovo/a arrivato/a, Miccy. Quest'ultima mi ha lanciato un diperato appello d'aggiornamento a cui ho subito risposto. Ma il merito è della crisi che sto passando in questo periodo, che mi fa trovare nella scrittura un'ancora di salvezza. In cambio spero che voi continuate a commentare (umm, come sono ripetitiva...).

Penso che la velocità-supersonica-da-depressione-greco mi aiuterà, come sempre, a tuffarmi nella scrittura per annegare i dolori. E dopo questo esemepio pietoso della vena poetica che non possiedo, mi ritiro nel mio loculo.
A presto.

 

Capitolo 8: A caccia di guai

< Ci fermiamo qui? >

< Un posto vale l’altro. >

< Allora io mi occupo delle vivande. >

< E rispetta quello che ti ho detto. >

< Hai proprio il terrore che faccia come voglio io, eh? >

< Sai, ci tengo alla mia vita. >

Jillian evitò di rispondere, poiché secondo lei non ne valeva la pena: meglio cogliere l’occasione di stare un po’ da sola e non dover subire l’ironia di quel magonzolo indisponente. Bontà sua, almeno si erano fermati in un villaggio incontrato lungo il percorso per fare rifornimenti. Si allontanò e chiese informazioni ad una donna.

Wantz, compiaciuto di non dover fare la spesa, fece una passeggiata per il villaggio: un semplice paesello di contadini, senza nessuna attrattiva particolare. Nonostante ciò, sentiva uno strano presentimento: aveva quella spiacevole sensazione che aveva già provato in precedenza, quando quella ragazza fastidiosa lo aveva ficcato gratuitamente nei guai.

Si fermò a guardare un bambino che inseguiva un cane, cercando di convincerlo a prendere un bastone: il cane non sembrava particolarmente interessato. Restò così per un bel po’, tanto che, quando riprese la cognizione del tempo, si stupì del fatto che la chiacchierona non fosse ancora tornata.

Una mano gli afferrò una spalla e lui si voltò di scatto.

< Siete un erborista, vero? >

L’intero villaggio al gran completo si era radunato attorno a lui e lo fissava con grande solennità, in un silenzio completo e sospetto. Guardandosi attorno scorse Jillian tra la folla che cercava con scarsi risultati di mostrarsi disinteressata ed estranea a ciò che stava succedendo. Wantz fece appello a tutta la sua forza di volontà per non andare a tirarle le orecchie davanti a tutta quella gente.

< Senza errore. > rispose all’uomo, che probabilmente era il capo del villaggio.

< Desolato di disturbarvi proprio quando avete deciso di effettuare una sosta durante il vostro cammino. E ne approfitto per dirvi che è un onore avervi ospiti qui da noi. Una grave piaga ci affligge da tempo e ne stavamo giusto discutendo, allorché vostra sorella > al che il mago lanciò un’occhiata carica di sentimenti malevoli verso la ragazza < ha sentito le nostre disgrazie e ci ha assicurato > Wantz notò l’accortezza usata nella scelta del termine “assicurato” < che voi avreste potuto fare qualcosa per noi. Sappiamo che voi non siete uno speziale, e neppure un dottore, ma dovete certo avere, in quanto erborista, le basi mediche per poterci fornire un primo aiuto. Non ci aspettiamo che risolviate il nostro dilemma, ma confidiamo che la vostra bontà vi spinga ad esaminare almeno la situazione e a dirci che cosa dobbiamo fare e chi chiamare per risolverla. >

Wantz si chiese quanto fosse davvero desolato quel tipo dalla parlantina assassina e nel contempo desiderò ripudiare Jillian quale falsa sorella.

< Di che malattia si tratta? > chiese, passandosi distrattamente una mano sul volto.

< E’ esattamente questo il dilemma. Il nostro è un villaggio di contadini e non abbiamo grandi conoscenze in campo medico, tuttavia siamo uomini d’ingegno e di mente pronta, > “Nonché di lingua sciolta”, pensò Wantz amareggiato < ma nessuno di noi ha capito di che cosa di tratti. Il disturbo si è manifestato all’improvviso, cogliendoci alla sprovvista e… >

Al limite della sopportazione, il ragazzo lo interruppe. < Spero che abbiate avuto l’accortezza di isolare il contagiato. >

< Si, nobile erborista. Quando cominciarono a sentirsi peggio si sono tutti chiusi in casa e non ne sono più usciti. Nessuno di noi ha il coraggio di andare a controllare come stiano, nondimeno sono giorni che non abbiamo la minima notizia di loro e temiamo che... >

< Aspettate. > lo fermò Wantz, stupito. < Avete detto “tutti”? Quanti sono gli affetti di questo morbo? >  

< Una famiglia intera, mio signore. >

 

Wantz batteva impaziente un piede sul terreno con ritmo frenetico, aspettando che l’uomo dalla lingua senza controllo si sbrigasse a tornare e lo accompagnasse dalla famiglia degente. Jillian gli si avvicinò titubante; si fermò di fianco a lui, ma il ragazzo non la degnò di uno sguardo.

< Spero che tu non sia adirato con me. > gli disse, le mani dietro la schiena, intimorita dalla sua espressione furente.

< Perché? Adoro perdere tempo. > rispose senza guardarla nemmeno.

< Salvare delle vite non è una perdita di tempo. > lo ammonì.

< Faccio solo notare che quello che deve agire direttamente sono io. >

< Hai ragione su questo. Però vedendoli così preoccupati non me la sono sentita di ignorare la cosa. E poi sapevo che tu non ti saresti mai proposto per primo di… >

< Fortunatamente ci sei tu a farmi superare la mia intramontabile timidezza. >

< Non ho detto questo. >

< No: mi accusi di cattiveria e di menefreghismo bello e buono. >

Questa volta Jillian ebbe la risposta pronta. < Tu non dai motivi di pensare il contrario. >

< E tu dai troppo per scontato che io sia un essere senza cuore. >

Jillian lo guardò con tanto d’occhi: che la stesse prendendo in giro? Oppure che fosse veramente rammaricato dell’opinione che si era fatta di lui?

Wantz vide che l’oratore folle si stava avvicinando e disse alla ragazza di andarsene.

< Non posso venire con te? > chiese lei, sebbene sapesse che fosse perfettamente inutile: Wantz non la voleva di certo tra i piedi.

< E’ rischioso, visto che non so neppure io a cosa vado incontro. >

Il mago si allontanò con l’uomo, che lo seppellì subito di elogi e ringraziamenti. Jillian rimase impalata  a guardarli mentre si allontanavano, sempre più confusa sulla vera natura del suo compare.

 

***

< Lo capisco sempre meno: i maghi dovrebbero aiutare le persone, ma lui era evidentemente infastidito di questo cambio di programma. Inoltre, non ho capito se non mi ha portato con sé perché era preoccupato per la mia salute o perché non voleva che lo infastidissi. >

< Forse non voleva averti sulla coscienza nel caso fossi rimasta contagiata. >

< Per avere una coscienza, bisogna anche avere un cuore. >

< Stai accampando scuse al suo posto? Sembra che tu debba giustificarlo a tutti i costi. >

< Sto solo cercando di capirlo. >

< Ma per capirlo non devi costruirti un’ immagine fittizia di lui. Così resterai solo ferita quando finalmente ti renderai conto che tutte le tue illusioni su di lui erano erronee. >

< Preferisco soffrire, ma dargli una possibilità. >

< Non venire a piangere da me, quando capirai che avevo ragione io. >

 

***

 

< Quindi mi assicurate che nessuno è entrato qui da quando si sono chiusi dentro? >

< Assolutamente nessuno. > confermò l’uomo.

Wantz ragionò su quanto la paura umana a volte possa essere utile.

< Ottimo. Potete andare. >

< Siete certo che non vi serva niente? > chiese l’altro, tentando pietosamente di nascondere il suo desiderio di andarsene.

< Si: essere lasciato in pace. > Detto ciò si avviò verso l’edificio che l’uomo gli aveva indicato. Questi invece se andò tirando un sospiro di sollievo.

Wantz bussò alla porta e rimase in attesa.

D’accordo che lui detestava aspettare, ma lì si esagerava proprio: quando ci mettevano, se non ad aprire, almeno a domandare chi era? Purtroppo le circostanze non lo facevano pensare a maleducazione, ma a guai; e giganteschi, per giunta.

Sfondò la porta con un calcio.

 

I suoi rimorsi per averlo seguito svanirono in un istante: Wantz aveva sfasciato la porta e ora la fissava penzolare scassata. Lo vide grattarsi la testa con disappunto e poi appoggiare una mano sul legno: pronunciò quella parola e la porta si riassestò da sola sui cardini; il mago entrò nella casa e richiuse la porta alle sue spalle. Jillian si avvicinò ancora, con cautela. Si fermò a pochi passi dalla casa, indecisa se avvicinarsi ulteriormente oppure no. Quel quesito però fu soffocato da altri.

Se Wantz aveva sfondato la porta doveva averlo fatto perché i proprietari non gli avevano aperto: e questo per quale motivo? Inoltre, si interrogava su che genere di affezione avessero contratto: gli abitanti avevano parlato di strane pustole…

 

Wantz si guardò attorno, una mano davanti alla bocca: l’aria era irrespirabile, pareva quasi avvelenata. Gli ricordava vagamente quella volta, anni prima, quando…

Si, quella era la pesantezza tipica della morte.

Al piano inferiore non c’era anima viva, quindi salì cautamente le scale per vedere al secondo piano. Secondo quando gli avevano detto, dovevano esserci cinque persone: moglie, marito, due figlie maggiori e un ragazzo. Aprì la prima porta che incontrò, ritrovandosi in una camera da letto.

E allora capì perché nessuno gli aveva risposto. Non c’era nessun’anima lì. Nessuna viva, perlomeno.

 

Jillian camminava avanti e indietro, anima in pena che non sapeva cosa fare. Non sentiva nessuna voce provenire dalla costruzione e cominciava davvero a preoccuparsi, anche se non sapeva bene di cosa avesse paura. Ad un tratto sentì un rumore di passi frenetici che scendevano delle scale di corsa: si voltò e vide Wantz uscire di corsa dall’abitazione e richiudere con forza eccessiva la porta dietro di sé. Aveva lo sguardo allucinato e il respiro affannato. Si allontanò in fretta, senza mostrare alcuna meraviglia nel vederla, la raggiunse e la spinse via in malo modo.

< Sembra proprio che tu abbia una predisposizione naturale per trovare i guai della peggior specie. Via di qui. Subito. > le ordinò, trascinandola.

< Si può sapere che succede? Fermati! > si lamentò lei.

< No. A meno che tu non voglia morire. >

< Ma che razza di malattia hanno quei contadini per averti spaventato così? >

< Avevano. Sono già andati. >

< Sono deceduti tutti i membri della famiglia? > chiese Jillian, bloccandosi per la sorpresa.

< Non ti fermare. > le intimò, scandendo le parole.

< Non finché non mi avrei spiegato che cosa ti ha allarmato in questa maniera. Mi fai paura. > Non lo aveva mai visto così agitato. Per la prima volta aveva perso la sua incrollabile calma, il sangue freddo che lo rendeva distante da tutto, ma che proprio per questo la faceva sentire sicura e protetta, perciò ora era inquieta.

< Fai bene ad averne. > disse il mago, voltandosi verso la casa con apprensione.

< Wantz, > sussurrò lei < che cosa hai visto? >

Lui rifletté un attimo prima di risponderle, indeciso sul da farsi. Strinse i pugni, fissando l’abitazione.

< La Morte Nera. >

 

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Capitolo 9
*** Il gelo come salvezza ***


 

Una precisazione, riguardo le pronunce.

La “t” di Wantz non si pronuncia; sono tuttavia aperti i dibatti se si legga “uanz” o “vanz”.

Per Jillian non ci sono dubbi: si legge “gillian”, perché lo dico io.  ù___ù

Figurarsi se il nostro mago non doveva cerare problemi anche per una banalità come il suo nome…

Felici di tornare nel vivo dell’azione? Almeno la lunghezza è di nuovo proponibile.

Ah, una cosa importante: io pubblico solo qui e su manga.it; perciò, se vi dovesse capitare di vedere Praedicio su qualche altro sito significa che me l'hanno rubata. In tal caso vi prego di segnalarlo ai webmaster del sito e anche a me, tanto per farmi salire la bile e povare l'ebbrezza del nutrire istinti omicidi verso qualcuno...

Ai soliti ringraziamenti aggiungo Marty92, nuova vittima della profezia più invadente della storia.

 

 

Capitolo 9: Il gelo come salvezza

 

***

< Che cosa farai in una circostanza come questa? >

< Non dovremmo interrogarci su cosa farà lui in una simile situazione? >

< No. Quello che mi chiedo è se ti affiderai a lui o continuerai a dubitare. >

< Mi stai mettendo alla prova? >

< Perché mai? Sai bene che IO ho fiducia in te. E poi, non sono quello che deve passare l’esame, no? >

< Resterai con me? >

< Ne dubitavi? >

***

 

< … in questo modo dovrei farcela. Hai capito tutto? > Vedendo che la ragazza aveva un’aria estremamente imbambolata e non dava particolari segni di attività celebrale, le diede uno scrollano. < Mi stai ascoltando? >

Jillian si riscosse e annuì. < Si, certo. >

< A me sembrava che pensassi ad altro. > insinuò Wantz.

< Ti chiedo scusa. Mi sono distratta un attimo. > ammise.

< Allora, hai capito tutto? > chiese di nuovo.

< Devo riunire tutti gli abitanti alla quercia subito fuori dal paese e trattenerli lì con una scusa per evitare che nessuno venga ad intralciarti, o, peggio, scopra che sei un mago. Questo è chiaro. >

< Perché, c’è qualcosa che non hai inteso? >

< Si. > disse la ragazza, fissandolo negli occhi < Non capisco che cosa vuoi fare, principalmente perché non me lo hai detto. Hai in mente di fare qualche magia? >

Wantz distolse lo sguardo. < Non c’è nulla che possa fronteggiare la peste. >

< E allora che intenzioni hai? >

< Bloccare il contagio. Forse siamo ancora in tempo. >

Jillian continua a fissarlo, ma lui aveva lo sguardo perso nel vuoto. < E come pensi di farlo, visto che hai appena ammesso che neanche la magia può nulla contro la peste? >

< Contro la peste, > ripeté < non contro la trasmissione. >

< Ancora non comprendo. >

< Per prima cosa brucerò la casa… > disse Wantz, iniziando a camminare.

< E poi? > gli domandò Jillian, mentre lui si allontanava.

Wantz si voltò verso di lei: era tornato calmo come suo solito, serio e concentrato sul nuovo problema che doveva risolvere. La guardò un attimo, pensando a chissà cosa. Parve esitare un attimo, poi le rispose. < Qualcosa farò. >

< Non puoi essere così vago: ti rendi conto di che situazione abbiamo davanti? Non devi prenderla alla leggera, altrimenti… >

< Esegui gli ordini. > concluse bruscamente voltandosi e correndo via. < E non scordarti il mio cavallo. > aggiunse urlando.

< Ma quale cavallo? Pensa a sopravvivere! Sii serio, dannazione. > Pestò i piedi per la frustrazione, chiedendosi quanto tempo avrebbe ancora retto. Alzò la testa e corse via anche lei, decisa a fare ciò che le era stato chiesto: che potesse fidarsi o meno di quel tipo, se c’era qualcuno che poteva fare qualcosa, quello era lui.

 

Fuoco… L’abitazione bruciava come un cerino. Presto non ne sarebbe rimasto nulla. E quella era la parte più semplice. Fuoco distruttore… Per arrestare la moltiplicazione delle pulci c’era solo un modo, e non era neppure sicuro che funzionasse appieno. Avrebbe abbassato la temperatura di tutta l’area del villaggio il più possibile. Oppure fuoco purificatore? C’era anche il rischio che lui finisse assiderato, ma non conosceva altre vie. Del resto, forse sarebbe morto prima di sfinimento.

“Sei troppo impulsivo, come un fuoco che avanza senza badare a nulla.”

Wantz strinse i pugni e si allontanò a passi cadenzati.

< Rogne, rogne… sempre e solo rogne. >

 

Jillian pregava con tutta se stessa che Wantz tornasse in fretta. Aveva raccontato ai contadini che “suo fratello” li avrebbe immunizzati tutti dalla malattia con un’erba rara che era andato a procurarsi. Tuttavia il tempo passava, Wantz non compariva, nessun fenomeno prodigioso appariva, e soprattutto la gente cominciava a spazientirsi.

Un contadino particolarmente intollerante iniziò ad incitare la gente a tornare a lavorare. Per quanto facesse, la ragazza non riusciva più a contenerli: nessuno la stava più ad ascoltare. Il capo della rivolta si mosse, deciso a tornare nei campi; ma, dopo pochi passi, accadde una cosa strana.

Sbatté contro il nulla e cadde a terra.

 

Quella collinetta era proprio l’ideale: da lì poteva dirigere l’incantesimo su tutto il centro abitato e la zona circostante, coprendo tutta l’area che gli interessava.Chiuse gli occhi, facendo quella cosa stupida che rispondeva a “raccogliere l’energia interiore”. Poi gli riaprì. Lanciò una breve occhiata alla quercia: c’era la possibilità che qualcuno lo vedesse. Tanto dopo l’avrebbero sicuramente capito… Riuscì a distinguere a mala pena una sagoma rossa che gesticolava animatamente in mezzo alla gente radunata.

Sospirò e riprese a camminare.

 

Il panico era totale. Era come se fossero chiusi in una bolla invisibile ma dura che non consentiva loro di uscire. I bambini correvano e facevano chiasso; gli adulti cercavano di sfondare il muro invisibile e i vecchi urlavano alla stregoneria. L’isteria era generale e la rabbia iniziale cominciò a modificarsi in panico. Al contrario, Jillian si sentiva stranamente al sicuro, come se una coltre protettiva fosse scesa su di lei, scudo astratto ma percettibile. Dentro di sé aveva la visione di un bambino in braccio alla madre. Tese le mani avanti finché  non andò a cozzare con lo strato di protezione. E allora capì.

 

< Dubiti della profezia? >

< Come potrei, con voi che mi assillate? >

< Hi ragione, quello su cui sei dubbioso è te stesso. >

 < ... >

< Non esitare. Non te lo puoi permettere, ora che non sei più solo. >

< Voi mi sminuite. Per questo andrete in punizione. >

< Oh, no, di nuovo nel mio loculo? >

< Non è sera: ripassate quando sarà l’ora adatta. >

< Vai, Wantz: stendili tutti. >

 

Era una barriera. Aveva letto qualcosa a riguardo. Si, lo ricordava bene: un pomeriggio aveva preso un libro a caso e si era nascosta in una torre del castello perché non voleva seguire la lezione di latino. A un certo punto l'autore anonimo citava una serie di incantesimi elementari, e tra questi era citata la barriera: elemento difensivo fondamentale che ogni mago degno di questo nome sapeva usare. Ora che le era chiaro cos’era e chi l’aveva fatta, restava un’incognita: perché? Per proteggerli, ovvio. Ma da cosa?

Jillian alzò gli occhi al cielo.

< Wantz, che stai macchinando? >

< Nulla di che: grandi pulizie. >

Jillian saltò per la sorpresa. < Cosa ci fai qui? > sibilò a voce bassa < Se ti vedono, questi ti linciano. >

Il ragazzo rise. < Sempre se riescono ad uscire. >

< Dunque, hai fatto? >

< Scherzi? Manca la parte peggiore. >

< E allora cosa fai qui? Fila, su! > mormorò, temendo che lo scoprissero, sebbene fossero tutti impegnati a zappare l’aria, convinti di poter abbattere il muro in quel modo.

< Nuovi ordini per te. > le disse.

< Qualsiasi cosa, ma fa’ presto. > lo implorò, cominciando a realizzare che neppure per lei era una bella situazione; chissà cosa sarebbe successo se si fossero ricordati che era stata lei a trascinarli lì.

< Stai pronta: quando avrò finito, dovrai fuggire. >

< Come? > chiese a occhi sgranati.

< Qualunque cosa succeda, e in qualsiasi condizioni io sia, vattene. > continuò il ragazzo.

< Che cosa stai dicendo? Io non… >

< Questi sono gli ordini. Non accetto lamentele. >

< Che cosa vuoi fare? >

Il ragazzo storse le labbra in un sorriso amaro. < Poi non sentirti in colpa, benché questo sia venuto da te. >

< Mi stai dicendo che ti devo abbandonare qui? Ma non possiamo prevedere la loro reazione, e… >

< Oh, si. > disse lui, voltandosi < Si può benissimo. >

< E’ per questo che mi dici di scappare? >

Lui non le rispose e si incamminò.

< Wantz! > Jillian constatò quanto fosse impotente davanti alle arti magiche del ragazzo, e ne provò rabbia.  < Se ho scelto di venire con te è perché sono pronta a correre tutti i rischi che ci saranno. Non escludermi solo perché non sono alla tua altezza. >

Il ragazzo la fissò con occhi vacui, parlando da solo. < Tieni così poco alla vita? >

< Mi hai sentito? >

< Non ti conviene urlare così, attirerai la loro attenzione. >

Jillian si girò per osservare la situazione: i mezzadri stavano ancora lottando strenuamente e non le prestavano la minima attenzione, sebbene lei avesse fatto un chiasso notevole.

Quando si voltò di nuovo, Wantz era sparito.

 

Può il gelo essere una soluzione? Non è forse meglio affidarsi al calore degli affetti, piuttosto che lasciarsi sopraffare dal freddo della solitudine?

< Ad averceli, gli affetti. >

 

Tornato sulla collinetta, Wantz stette alcuni minuti immobile, inspirando e aspirando aria a pieni polmoni. Ciò che si accingeva a fare era assolutamente folle. L’impulsività era come un fuoco? Beh, di certo ora si sarebbe rinfrescato.

Unì le mani, intrecciando le dita tra loro. Sbuffò al pensiero della faticaccia che lo aspettava. Alzò le braccia e levò la testa al cielo.

< E che i savi me la mandino buona. >

 

Sul momento era stata felice che avessero smesso di fare tutta quella cagnara; quando poi, però, capì perché si erano zittiti, desiderò che tornassero a fendere l’aria come dei forsennati. Cosa impossibile, purtroppo. Lo spettacolo che si presentava loro era oltremodo affascinante. Anche se le conseguenze sarebbero state discutibili, e probabilmente non altrettanto piacevoli.

Jillian era a naso in su, come tutti del resto, gli occhi sgranati e la bocca aperta per lo stupore, e fissava come un’ebete quella figura umana lontana, oggetto dall’attenzione di tutti. Al di là del perché quello scemo non avesse preso nessuna precauzione per non farsi vedere, Jillian si poneva un altro quesito.

< Che acciderba sta facendo? >

 

Wantz pestò i piedi, non tanto per la stizza, quanto per il fatto che le dita gli si stavano congelando. Non aveva previsto che il processo fosse così rapido. L’aria gli sferzava il volto, e sentiva il sangue scorrergli sulle guance. Gli occhi bruciavano a causa del vento gelido, e non riusciva più a vedere nulla. Quel che era peggio, le mani erano completamente ghiacciate, e faticava a tenere le braccia sollevate. Ora comincia a domandarsi seriamente se sarebbe riuscito a sterilizzare l’atmosfera prima di finire assiderato.

 

E come natura vuole, dopo lo stupore arriva la rabbia sapientemente miscelata alla paura. Chissà quale forza divina riusciva a tenerla fuori dagli istinti omicidi generali. Allontanandosi cautamente dalla folla inferocita, Jillian finì a sbattere contro il lato opposto della barriera. In mezzo alle urla e alla confusione totale, le riusciva difficile ragionare, tanto più che non aveva la minima idea del perché Wantz stesse coprendo di neve e ghiaccio tutto il paesaggio circostante. L’unica ipotesi possibile era che volesse uccidere con il freddo le pulci, che altrimenti avrebbero esteso il contagio. Per quanto l’idea fosse buona in linea teorica, non era sicura che fosse lo stesso sul piano pratico: fino a che punto è attuabile un abbassamento di temperatura? Nello specifico, fino a quando il fisico di Wantz avrebbe retto?

 

Incredibile quanto fosse poco serio anche nelle situazioni peggiori: come faceva a domandarsi se dovesse ridere o preoccuparsi del fatto che gli si erano formate delle stalattiti di ghiaccio sotto il naso? Tuttavia, pensare era l’unico modo che aveva per restare sveglio: se si fosse addormentato non sarebbe stato il massimo. Freddo e prostrazione. No, decisamente non andava bene.

Per quel poco che riusciva a vedere notò che le dita delle mani erano diventate blu. Non era un bene che fosse già cianotico.

Anche se, a pensarci meglio, anche il fatto che fosse caduto a terra non era un bene.

 

***

“Che cosa sta facendo? Di questo passo non reggerà a lungo.”

< Dura trattenersi dall’urlargli di fermarsi, eh? >

< Non essere così cinico, sta rischiando davvero grosso. >

< Ma tu non lo farai, vero? Rischiare di attirarsi addosso l’ira di tutte queste persone? E perché? Perché quel tipo non riesce a salvare delle vita senza danneggiarsi? >

< Smettila: è colpa mia se ora si trova lì. >

< Rimorso per averlo coinvolto? Non è meglio sacrificare lui per questo insieme di vite, che sono sicuramente più valide della sua? >

< Finiscila! Mi fai sentire solo peggio. >

< Già, dato che le parole sono inutili in questo momento. Servono fatti. Ma cosa puoi fare, visto che lui ti ha messo in gabbia? >

< … >

< Perché salvare qualcuno che ti ha messo chiaramente nella condizione di non poterlo fare? >

 

***

 

 

“Come una barriera impenetrabile, Egli proverà a frapporsi tra i due, sottoponendoli a quesiti senza risposta e ad incertezze strazianti.”

 

 

Le gambe erano completamente intirizzite e non rispondevano ai suoi comandi. Non sapeva nemmeno lui come faceva a tenere ancora sollevate le braccia: gli arti tremavano incessantemente, e per quanto facesse non riusciva ad arrestare il fremito. A testa china, ansimando per gli sforzi eccessivi, tentava di mantenere la lucidità continuando a pensare. Si appigliò al pensiero di Jillian in mezzo a quella mandria imbufalita, e pregò di finire prima che la scuoiassero viva.

Nel caso fosse sopravvissuto, voleva avere lui quella soddisfazione.

 

 

***

< Forse ha deciso di uccidersi e sfrutterà questa occasione per espiare le sue colpe. E tu gli succederai nel suo compito. Un’eredità  più che meritata. >

< Non cercare di irretirmi. >

< Non stai valutando la cosa con freddezza. >

< No, infatti: lo sto facendo con umanità. >

< Non stai più dubitando. >

< Lui sta morendo per loro. Di cosa dovrei dubitare? >

***

 

Che fare? Il capo-buzzurri aveva ripreso i suoi discorsi demagogici, e non mostrava particolare entusiasmo per aver scoperto che Wantz era un mago. Niente da dire, doveva assolutamente fare qualcosa, ma cosa? Era escluso se si mettesse a strillare in campo nemico, ma doveva trovare un modo di fermare il ragazzo. Un fremito di sorpresa serpeggiò tra la folla, e Jillian alzò la testa nella direzione della collina. Avrebbe voluto gridare, ma la voce le morì in gola.

 

La neve copriva ormai ogni cosa e la temperatura era polare; tuttavia non poteva essere certo che bastasse. La scelta era continuare e andare sul sicuro, oppure interrompere tutto e rischiare.

Rabbrividì, ma non capì se per il freddo o per il pensiero di non aver ucciso tutte le pulci e le relative larve. Uno spasmo lo colse all’improvviso e si accasciò nuovamente a terra.

 

“Che fa? Perché non si alza?” Jillian cominciò a sudare e ad agitarsi: aveva notato che il mago non sembrava stare particolarmente bene. Aveva abbassato le braccia, che prima teneva insistentemente sollevate, e la tempesta intorno a lui andava attenuandosi. Lei, però, era certa che non fosse sua intenzione interrompere la magia: lo capì da alcuni gesti di stizza che il ragazzo aveva compiuto, nel vano tentativo di rialzare le braccia. Era chiaro che non ci riusciva perché era allo stremo delle forze. Ma era davvero necessario che continuasse? Il suo fisico avrebbe retto alla sforzo cui era sottoposto? E lei? Lei lo avrebbe lasciato fare?

 

Avere degli affetti non vuol dire solo provare sentimenti verso qualcuno. Significa anche avere qualcuno che ne prova per noi. E, spesso, la solitudine è dovuta solo alla cecità che non ci permette di comprendere ciò che ci sta intorno.

 

E’ seccante sapere cosa fare, ma non come poterlo fare. Non sapeva in che modo si potesse uscire dalla barriera senza il consenso del mago che l’aveva eretta. Non serbava ricordi in merito da quanto letto nel libro. Forse non esisteva alcun modo. Ed effettivamente era probabile che fosse così. Jillian si chiese se non esistesse una maniera di abbattere qualcosa di invisibile ma tangibile: con qualcos’altro di invisibile o qualcosa di tangibile? Oppure con entrambi? E se anche esisteva un metodo, valeva anche per la magia?

Alle sue spalle sentì delle esclamazioni di stupore: Wantz si era rialzato, ma il colorito bluastro che aveva assunto non lasciava immaginare nulla di buono.

Intorno a lei piovevano urla di dispregio indirizzate al ragazzo: nessuno si interessava della sua salute, il loro unico pensiero era che li facesse uscire e si lasciasse pestare a sangue. Come osava uno sporco mago usare le sue arti sacrileghe nel loro villaggio?  Era parere unanime che dovesse pagare con la vita l’oltraggio recato loro.

Jillian era esterrefatta: passi l’ostilità ormai assodata che gravava sui maghi, ma era possibile che non provassero nemmeno un briciolo di gratitudine per quello che Wantz stava facendo per loro? Adesso capiva perché il ragazzo fosse così schivo nei confronti delle persone: non essere mai capiti, ma anzi accusati e perseguitati… Quante volte aveva provato anche lei la sensazione orribile che lascia addosso il disprezzo?

Furente, cominciò a tempestare di pugni la zona della barriera più vicina a lei, ben sapendo che era assolutamente inutile. Solitudine, odio, isolamento, forzato o meno…

Fu presa alla sprovvista: la barriera cedette all’improvviso sotto i suoi colpi e lei cadde in avanti, finalmente libera. Si rialzò, constatando che il resto dei reclusi era ancora bloccato all’interno. Decisa a non perdere tempo in domande inutili, pur non capendo che cosa era successo, si rialzò e corse verso il colle, incurante degli strilli esterrefatti che la richiamavano indietro e la imploravano disperatamente di liberarli.

 

 

“Sfortunatamente per Lui, quella barriera non era abbastanza per fendere il legame che si andava instaurando tra loro.”

 

 

Incurante di tutto e di tutti, Jillian corse a rotta di collo fin in cima all’ altura, e non si fermò finché non fu a pochi centimetri da Wantz. Questi appena la vide la guardò imbambolato, ansimante, incapace di nascondere il suo stupore.

< Perché sei uscita dalla barriera? > Si consolò constatando che riusciva ad essere irritato anche in un momento come quello.

Anche se la domanda giusta era un’altra.

Jillian lo afferrò per un braccio, sentendo sulle mani il freddo che permeava il ragazzo, e glielo abbassò con forza, spezzando l’incantesimo. La neve cessò definitivamente, e un vago senso di tepore si posò su di loro. Lo guardò malissimo, come una comare arrabbiata che sta per sgridare il figlio dopo l’ennesima monelleria. Sebbene stringendolo il freddo passasse anche a lei, non mollò la presa.

< Perché ti stai uccidendo! >

Come diavolo aveva fatto ad attraversarla?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Sonni agitati ***


cap 10

 

Salve. Prima di lasciarvi al decimo capitolo (tattarattata! Prima cifra tonda raggiunta! Felicitazioni a me!) devo lasciare un avviso: per le vacanze di Natale sarà reclusa in un paesino di montagna (che detesto cordialmente), e non avrò la possibilità di aggiornare, perchè il computer che ho lì (computer... oddio... così sminuisco la categoria. Quella carcassa informe, diciamo) non ha una connessione ad Internet. Tuttavia non disperate: approfitterò delle vacanze per scrivere, e al mio rientro (sette gennaio) conto di avere un po' di materiale da pubblicare. Nel frattempo vi lascio a rigirarvi nei dubbi che questo capitolo vi lascerà. Infine, ringrazio coloro che continuano a lasciarmi commenti, vi sono davvero grata: grazie a tutti! A costo di sembrare ripetitiva, penso che continuerò a ringrarvi ad ogni capitolo. E ora, passo la parola al nostro carissimo mago (tra  parentesi, io lo pronuncio con la "u", ma sia qui che altrove regna sovrana la "v". Del resto, io sono decisamente anormale,  per cui... Finchè non ci sarà una pronuncia definitiva, leggetelo come vi pare.).

Capitolo 10: Sonni agitati

Dolore. Fu questo il suo primo pensiero. Il che era un ottimo segno; significava che era ancora vivo. Nessuna traccia di danni al cervello; anche il principio di assideramento si era arrestato, ma le braccia gli dolevano in maniera insopportabile. Le fitte alla testa gli davano una spiacevole quanto assurda sensazione di instabilità, come se si trovasse sospeso per aria; ad un esame più attento, capì che era stato fatto sedere con la schiena addossata a qualcosa di rugoso e ruvido. Il difficile era scegliere se aprire gli occhi e controllare dov’era finito oppure continuare a fingere di dormire. La seconda possibilità era decisamente più allettante, ma da evitare.

Tentò di muovere una gamba, giusto per vedere come se la passava il suo corpo indolenzito; gli arti inferiori rispondevano ai comandi, ma c’era un altro problema. La sensazione di penzolamento nell’aria si era fatta ancora più nitida. La gamba sinistra scivolò nel vuoto, trascinando con sé tutto il resto.

Wantz aprì di scatto gli occhi.

 

 

Non lo prenderai mai. Tu viaggi sulla via del male. Tu percorri il male.

 

< Non mi è dato saperlo. Io sono solo un emissario. >

 

Il castigo per l’eccesso di brama, è lo stesso che viene inflitto all’indegno.

 

< Tu sei la mia apoteosi. Tu sei il mio culmine. >

 

Lascia  che la parola e la leggenda ti precedano.

 

< Enunciate le vostre profezie. >

 

Quelle non aprono le porte; servono solo a chiuderle per sempre.

 

< Wantz! >

 

 

Sospeso a metà nel vuoto, Wantz si ritrovò tra le braccia di Jillian, che lo reggeva a stento, tentando di tirarlo di nuovo su. Guardandosi intorno, il ragazzo si rese conto che si trovavano in cima ad un albero; per la precisione, stavano a cavalcioni di un enorme ramo, presumibilmente di una quercia: spostando la gamba, era uscito fuori dal ramo e stava cadendo di sotto. Ma la ragazza lo aveva afferrato in tempo.

< Sonno agitato? > chiese questa.

< Sai com’è, l’abitudine alla terraferma… > rispose lui, fissando tuttavia con scarso desiderio il terreno, che si trovava ad una distanza considerevole e sconsigliabile da percorrere in caduta libera.

Jillian lo strattonò per evitare che la presa cedesse. < Ti spiacerebbe collaborare? Non sei esattamente quel che si definisce un peso piuma. >

Il ragazzo staccò a fatica gli occhi dal terreno e si issò sul ramo con l’aiuto della giovane. Si sistemò a fatica contro il tronco dell’albero, ansimante: la sofferenza fisica e quella mentale insieme formavano un miscuglio letale.

< Allora, > disse il mago, recuperando un ritmo del respiro normale < che ne diresti di dirmi come mai siamo finiti sulla cima di una pianta, tanto per cominciare? >

< E’ il massimo che sono riuscita a fare, in mezzo a tutta quella bolgia. Sei svenuto subito dopo l’interruzione dell’incantesimo e mi hai mollato in una situazione alquanto complicata. Con la tua perdita dei sensi, oltre alla nevicata si è dissolta anche la barriera, e mi sono ritrovata a fuggire dalla folla inferocita da sola, per di più con te come zavorra. Hai idea della fatica che ho fatto a non farmi prendere e a cercare un nascondiglio accettabile? >

Il ragazzo storse la bocca in un sorrisetto canzonatorio. < Mi dispiace che tu ti sia stancata. Hai ragione, non avrei dovuto lasciare fare tutto a te. Che pigro che sono… >

Frecciata che colpì in pieno la ladruncola; non era molto bello che si lamentasse, quando lui era allo stremo delle forze e, inutile negarlo, la colpa era sua. Stava per dire qualcosa, ma Wantz la bloccò.

< Non cominciare con le solite scuse. > disse < Diciamo che ti sei sdebitata per il lavoraccio che mi hai costretto a fare. >

Jillian non poté fare a mano di sorridere nel notare il disappunto del mago. < Costretto è una parola grossa. >

< Non venirmi a dire che non mi hai incastrato. > ribatté lui.

< Lo confesso, è stata una mossa piuttosto abile. >

Wantz si portò una mano sul volto per evitare di urlarle in faccia e farsi così scoprire dai paesani, che con ogni probabilità li stavano ancora cercando; tuttavia quel gesto servì solo a far ridere Jillian, cosa che incrementò l’irritazione di Wantz. All’improvviso, quando il ragazzo stava ormai per esplodere, un pensiero gli attraversò la mente.

< Nagesh! Dov’ è Nagesh? >

< Al sicuro: l’ ho lasciato in una grotta qui vicino, mimetizzando l’entrata in modo che non si veda. >

Wantz si calmò a sentire ciò, e rinunciò a dare una strigliata a quella sfrontata. Guardò la ragazza, dubbioso.

< Come hai capito che parlavo del cavallo? >

< Difficile pensare che ti riferissi ad un essere umano. > rispose.

Il ragazzo voltò la testa e cercò di sistemarsi meglio. < Si può sapere cosa aspetti che ti dica? >

< Prego? > domandò lei, non capendo a cosa si riferiva.

< Non far finta di niente, > continuò lui senza guardarla < ho compreso benissimo dove vuoi andare a parare. >

< Io invece temo di no. Puoi spiegarti? >

Wantz ridacchiò, scotendo il capo. < Ragazza mia, tu pretendi forse che io cambi il mio modo di essere? Non mi sembra di averti mai promesso nulla di simile. >

Le guance di Jillian si tinsero di un tenue rosso, segno della sua irritazione. < E a me non risulta di averti mai chiesto una cosa del genere. >

< I fatti parlano più delle parole. > replicò lui < Non ho accettato, prendendoti con me, di modificare il mio stile di vita per adeguarmi ai tuoi insulsi idealismi. >

< Scusami tanto se i miei idealismi sono così inutili. Non ti ho salvato per sentir offendere le mie convinzioni. >

Wantz la fissò con un sorriso di scherno. < Come puoi essere così candida? > domandò, parlando a se stesso < Sei talmente ingenua che mi irriti. >

 

< Falso. Forse ti invidio solo. >

 

La ragazza strinse i pugni. < Smettila di oltraggiarmi, razza di ingrato. >

< Ti da fastidio? Essere contestata non è piacevole, vero? Beh, non lo è neppure essere esaminati come cavie da esperimenti di medicina. >

Jillian sobbalzò. Se ne era accorto.

< Posso capire che tu stia ancora cercando di verificare se sono degno di fiducia o meno. Ma io non pretendo che tu faccia affidamento su di me. Non l’ ho mai chiesto. > La fissò con maggior attenzione per evitare che lei non lo ascoltasse. < Voglio che tu non interferisca con il mio stile di vita. >

La ragazza si sentì leggermente sollevata nel vedere che il mago non si era accorto di “quello”; come avrebbe potuto, del resto?

< Tu non sopporti che io mi comporti in un modo che non rispecchia i tuoi canoni di civile convivenza. > riprese lui < Tuttavia, se ci pensi bene, un motivo deve pur esserci, se io non partecipo ad eventi modani, o in generale alla vita comune. > Wantz voltò il capo in direzione della piccola cittadina. < Quel mondo non mi appartiene. >

< Perché sei tu a non volerlo? Oppure è solo perché non ti accettano? >

 

***

< Perché? Perché insisti? >

< Voglio provare a vedere se ho ragione. >

< No: abbiamo già appurato che è solo un essere privo della capacità di provare sentimenti. >

 

***

 

Con suo enorme disappunto, Wantz rimase interdetto dalla domanda che la ragazza gli aveva appena rivolto, a tal punto da restar senza parole.

< Continuamente si dice che le persone comuni non vogliono avere a che fare con i maghi; > continuò < ma mai ho sentito che cosa pensano i maghi a riguardo. Il disprezzo viene sempre e solo ripagato con altro disprezzo? Il non essere accettati spesso accresce solamente il desiderio di poter guadagnarsi l’approvazione degli altri. >

 

***

< Eppure ci proverò ugualmente. >

< Perdonami, ma non capisco perché vuoi farlo. >

< Perché, forse, capisco quello che prova. >

 

***

 

< Dici che “quel modo” non ti appartiene, ma tu lo hai chiesto? Hai mai fatto nulla affinché la situazione cambiasse? A me sembra che tu ti stia soltanto piangendo addosso. Ti lamenti di non poter avere una vita normale e di non avere rapporti con il resto del modo? Ma tu ti sei mai sforzato di dare alle persone un motivo per concederti una possibilità? >

< Mai fatta una simile richiesta. >

< Già; hai solo supplicato in silenzio. Il che è ancora dannatamente più triste. >

< Stai continuando a costruirti un’immagine fittizia di me. >

< Io credo che tu soffra semplicemente di un atroce isolamento. >

< Lavori troppo di fantasia. >

< Un isolamento che ti sei imposto da solo. Anche se non capisco il perché tu l’abbia fatto. >

 

< Perché tu sei diversa da me. >

 

< Se esistesse davvero un uomo con problemi analoghi a quelli da te descritti, dubiterei della sua salute mentale. >

< Mi domando… Per quale motivo tu ti stia ostinando a evitare di avere rapporti umani. Io non sono qui per giudicarti. >

< Vero, ma neppure per cambiarmi. >

Jillian fece un debole sorriso, atto a cercare di sciogliere la difesa del mago. < Perché non provi a fidarti di me? >

< E se non volessi? >

< E se fossi io a volerlo? >

 

***

< Perché anch’io ho sperimentato la solitudine. Ma ne sono uscita. >

 

***

 

Wantz si portò una mano al capo e fece una smorfia di dolore. < Basta. > disse < Tutto questo parlare mi fa aumentare il mal di testa. >

Probabilmente lo aveva detto per troncare la conversazione, ma Jillian era decisa a continuare ad attaccarlo, ora che sembrava più vulnerabile.

< Wantz, io ti sono riconoscente per ciò che hai compiuto, sia che tu lo abbia fatto perché costretto o meno. >

Il ragazzo sbuffò. < Il fatto che la cosa potesse essermi indifferente non conta, vero? O non ti è passato neppure per la mente? >

Lei socchiuse gli occhi, sorridendo. < I fatti parlano più delle parole, no? >

Wantz si riservò il privilegio di non rispondere.

 

< Perché, forse, sei come avrei voluto essere io. >

 

< Non sei arrabbiato? Ti ho disubbido di nuovo. >

Lui si massaggiò ancora la testa, guardandola storto. < E’ straordinaria la tua capacità di cambiare argomento. Ti stavo quasi prendendo sul serio. >

< Mi sembrava che la conversazione avesse preso una piega per te sfavorevole, e pensavo di farti piacere interrompendola. >

Wantz notò l’uso del verbo “interrompere” e non “finire”; evitò di chiedersi quanto fosse buona la memoria delle donne.

< Non ti aspetterai che ti ringrazi, vero? >

< Troppo pretendere riconoscenza da te; mi accontento di essere pari. > rispose.

< Evitare di procurarsi debiti: ottima regola. > annuì il ragazzo; fu colto da eccesso di tosse che lo fece piegare in due, scosso da fremiti.

Jillian lo guardò con apprensione. < Non è che sei rimasto contagiato? >

Wantz rise, col risultato di trovarsi a tossire in maniera incontrollata. < Non c’è pericolo: io non posso morire. Non ancora. >

< Anche se non ti sei ammalato, tutta quella fanfara di prima ti ha sicuramente debilitato; dovresti riposare. > gli suggerì, sinceramente preoccupata.

Il ragazzo cercò di vedere il cielo attraverso le fronde che pendevano sopra di lui. < E’ solo metà pomeriggio. Ecco il piano; > disse, tornando a rivolgere la sua attenzione a Jillian < resteremo qui tutto oggi e domani. Onde evitare rogne, ce ne andremo domani notte. >

< Per rogne intendi eventuali incontri spiacevoli? >

< Devi sempre ripetere quello che dico con parole tue? >

< Mi chiedevo solo se sono davvero necessarie tutte queste precauzioni. > tentò di giustificarsi lei.

< E non solo: quando starò meglio cancellerò dalla memoria di tutta quella gentaglia il ricordo di ciò che è accaduto. > dichiarò, sistemandosi meglio e chiudendo gli occhi, pronto al sonno del giusto.

Jillian assentì.  < Temi che ci seguano, o peggio cerchino aiuto, e scoprano così la profezia? >

< No. Voglio solo eliminare per sempre questa mia figura poco edificante. >

La ragazza lo guardò con tanto d’occhi: possibile che quel tizio fosse così prosaico? Ragionando su quanto i suoi comportamenti fossero insensati, notò che le braccia del mago si contraevano spesso.

< Sei certo che stando qui non correremo altri rischi? >

< Sono sicuro che hai preso tutte le precauzioni possibili per non farci trovare. > rispose lui, senza aprire gli occhi e con un tono così piatto che faceva sembrare la cosa assolutamente naturale. Jillian era in dubbio se sentirsi apprezzata per le sue capacità o ignorata completamente: era una cosa così scontata quello che aveva fatto? Non che si aspettasse dimostrazioni particolari di lode, ma nemmeno quel completo disinteressamento.

< Questo non ti stupisce? > chiese, incapace di trattenersi.

Il ragazzo riaprì gli occhi. < Misi in dubbio le tue capacità, lo confesso. Ma saresti qui se fossi un’inetta integrale? >

Difficile capire se si stesse giustificando per la diffidenza iniziale, se stesse facendo notare che cominciava a fidarsi di lei o se, per quanto improbabile, l’avesse detto per diminuire le sue incertezze. Che avesse capito che era attanagliata da mille dubbi?

< Ugh. > si lamentò Wantz, preda di dolori lancinanti agli arti.

< Ti fa male? > chiese la ragazza.

< Sono fuori allenamento: raramente mi capita di esibirmi in magie così potenti. > spiegò lui, tergendosi con il dorso della mano il sudore freddo che gli colava negli occhi, i denti serrati per via della sofferenza fisica.

< La discrezione prima di tutto. Evitare sempre di rivelare la propria identità di mago. Vero? >

Wantz ebbe appena la forza di annuire. Jillian lo osservò cercare di frenare gli spasmi che lo scuotevano continuamente.

< Perché non cerchi di dormire ancora un po’? > gli domandò.

< Lo stesso vale per te. > le rispose < Hai delle occhiaie terribili. >

Jillian era combattuta tra il piacere per l’interessamento del ragazzo e il pensiero dell’aria sbattuta che doveva avere in quel momento. < Sarebbe meglio, però, che vegliassi onde evitare che qualcuno ci trovi e, nel caso, trovare un nuovo nascondiglio. Ho fatto del mio meglio, è vero, ma la prudenza non è mai troppa. >

Il ragazzo ridacchiò. < Abbi fiducia nel tuo mago da asporto. >

Jillian sentì calare su di sé lo stesso velo incorporeo che aveva percepito prima: Wantz aveva alzato una barriera intorno al loro albero.

< Non dovresti sforzarti troppo. Penso che sarebbe meglio se… >

< Non mi interessa cosa pensi che sia meglio. Sta’ zitta e dormi. > la interruppe bruscamente.

Jillian incrociò le braccia, fumante di rabbia, evitando di guardare il suo compagno di viaggio, perché era a un passo dal buttarlo di sotto. Cercò di trovare una posizione se non proprio comoda almeno sopportabile; mentre trafficava con la gonna che le si era impigliata in un ramo, Wantz  biascicò qualcosa al suo indirizzo.

< Sei stata in gamba. >

La ragazza sbollì immediatamente l’ira, chiedendosi chi tra loro due fosse il più lunatico.

 

***

< Ho solo una cosa da dirti. Lui non sorride mai. >

< Ed io inizio a chiedermi il perché. >

 

***

 

Dormiva. Ma dormiva veramente? Mai come in quel momento si rimproverava di aver promesso a se stesso di non entrare nella testa delle persone se non in casi di assoluta necessità. Anche se cominciava a pensare che quello fosse uno di quei casi. Tuttavia, lo doveva ammettere: aveva paura al pensiero di che cosa avrebbe potuto scoprire.

< Accidenti. > si lamentò a mezza voce. < Proprio una piaga del genere doveva capitarmi? >

< Rimpiangi la vita da eremita, Wantz? >

Nell’oscurità della notte ormai inoltrata, Wantz sentì la presenza scivolare al suo fianco, come ogni notte. Da fin troppe notti.

< Non credevo che foste in vena di fare delle spirito: proprio voi che sembravate così preoccupato per questa anomalia. >

< Lo sono, infatti. > confermò l’altro < E mi compiaccio del termine da te usato: anomalia. Dobbiamo sbrigarci a fare qualcosa, prima che la situazione degeneri. >

< Se non vi conoscessi, direi che siete quasi spaventato. >

< Allora, ragazzo mio, o non mi conosci, o non hai assolutamente capito in che situazione ci troviamo. >

< Ovvio che sono conscio di cosa parlate; ma ammetterete che è una cosa troppa assurda per essere vera. >

< Oppure troppo realistica per essere falsa. >

Wantz sospirò, scotendo la testa.

< Insisto: dobbiamo parlarne. > ripeté la presenza.

Improvvisamente, sentirono alcuni rumori provenire dalla zona dove dormiva Jillian, e si voltarono si scatto verso di lei.

La ragazza emise alcuni grugniti poco amichevoli e scalciò con violenza, tanto che alcuni dei rami più piccoli intorno a lei si staccarono per i colpi ricevuti e caddero a terra. Poi decise che era il caso di usare anche le braccia, e fece razzia della vegetazione rimanente. Solo quando anche l’ultima foglia attorno a lei cadde , quando ebbe creato il nulla intorno a sé in modo tale da far sembrare Attila un misero principiante dell’arte della distruzione, allora si acquietò, tornando a dormire come se niente fosse. Anche se in verità non si era proprio svegliata.

La presenza rimase immobile, presa alla sprovvista, a osservare Jillian in un silenzio sconcertato.

Stanco di aspettare che il suo interlocutore si riprendesse, Wantz si schiarì la voce.

< Sì, avete ragione: parliamone. Prima che mi uccida nel sonno. >

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Ostilità invisibile ***


Eccomi, come promesso. Un altro capitolo neutro, cui però seguirà qualcosa di decisamente più interessante.

Capitolo11: Ostilità invisibile

 

***

Era strana quella sensazione: le sembrava di galleggiare. Intorno a lei tutto era bianco; e non c’era nulla. Nulla, se non “lui”. Non riusciva ad abituarsi; quelle continue uscite dal mondo esterno diventavano sempre più frequenti, ma non riusciva a sentirle sue, come invece “lui” voleva. Oltretutto, lui sembrava non apprezzare la resistenza che aveva cominciato ad opporgli. Neppure lei sapeva perché lo respingeva. Dapprincipio aveva pensato ad un naturale istinto di difesa. Ma perché difendersi da lui? Con stupore, si ritrovò anche a chiedersi chi fosse “lui”. E fu un male. Lei sapeva bene che non le avrebbe perdonato quella diffidenza. Nel bianco completo, una figura umana le si parò innanzi.

< Fa male. Non guardarmi così. Non volevo farlo. Non so perché l'ho fatto. Non so neppure perchè continuo a farlo. >

Ma era reale, alla fine? A ben pensarci, ora le sembrava tutto assurdo. Esisteva? E se anche esisteva, che cosa voleva da lei? Chi lo aveva chiamato?

< I tuoi occhi... >

Rideva. Ma era una risata senza voce. Come spiegarlo... Sembrava una vibrazione, lì, in mezzo al nulla.

< Ho sbagliato a indurti alla tecnica del dubbio: ora rifiuti anche me. >

Aveva paura a chiederglielo. Se lo avesse fatto sarebbe tutto crollato. E non poteva prevederne le conseguenze, dato che non sapeva che cosa fosse, quel "tutto".

< Non importa. Vorrà dire che da ora farò diversamente. >

Tuttavia non riusciva più a trattenersi. Quella domanda le martellava nella mente con insistenza insopportabile, impaziente di uscire dalle sue labbra.

< Non puoi vincermi; presto lo capirai. >

< Ma tu chi sei? >

 

Cos’era? Un canto?

 

 

Quando caddero le foglie,

i cieli divennero grigi.

La notte continua a circondare il giorno,

un usignolo canta la sua canzone d’addio.

Nasconditi meglio dal suo inferno gelido:

su ali fredde, Lui sta arrivando.

 

 

Conosceva quella voce. L’aveva già sentita cantare. Veniva fuori dal nulla bianco, e la trascinava verso di sè, forza sconosciuta e irresistibile. E non ebbe un solo attimo di indecisione se seguire la voce canterina o l'altra.

 

***

 

Jillian aprì gli occhi, ancorata ancora saldamente al sonno. Il cielo era scuro, e nonostante il torpore capì che era notte. Dalla parte opposta delle fronde, vide confusamente la figura di Wantz: era piegato innanzi a sé, e teneva qualcosa in mano. Muoveva li braccio su qualcosa che aveva appoggiato sulle ginocchia. Pensò che stesso scrivendo.

Si stiracchiò, sbadigliando così sonoramente che dovette chiudere gli occhi: quando li riaprì, il ragazzo era seduto normalmente, e non c’era traccia di alcuno strumento per la scrittura. Jillian si chiese se l’avesse sognato oppure visto male. Wantz le lanciò un’occhiataccia, sveglia efficacissima.

< Ben svegliata. Stavo per chiamarti io. >

< E’ ora di partire? > chiese la ragazza soffocando un secondo sbadiglio.

Wantz annuì e si alzò in piedi, pronto a scendere dall’albero. Jillian scostò la coperta, preparandosi a seguirlo, e… Un momento? Una coperta?

Fissò la coltre allibita, cominciando seriamente a dubitare della sua sanità mentale: era certa di non essersi minamente curata il giorno prima, nella foga della fuga, di prendere delle coperte. Ricordava perfettamente di aver trascinato Wantz sulla cima dell’albero senza essersi portata nient’altro dietro. Nulla. Nemmeno del cibo. E infatti il suo stomaco sostenne la sua tesi con un vago borbottio.

< Dovresti vedere la tua faccia. > disse Wantz, avvicinandosi e ridacchiando. < Tranquilla, non stai impazzando: l’ ho portata su io. >

Jillian si alzò barcollando. Non ebbe alcun dubbio se scegliere di concentrarsi sul sollievo per la sua sanità mentale ritrovata o rampognare Wantz.

< Aspetta un secondo. > si raddrizzò, evitando che i capelli si incastrassero tra le foglie. < Mi stai dicendo che, mentre dormivo, sei sceso dall’albero? >

Wantz la guardò con aria di sfida. < E se anche fosse? >

< Ma non ti rendi conto che avresti potuto rendere vani tutti gli sforzi fatti per metterti al sicuro? Non è stato per nulla prudente da parte tua. >

< Scusa, non volevo rovinare la tua opera. > Wantz afferrò un ramo e si preparò a scendere. < Ora mi vedi come una merce rara da salvaguardare? >

< Certo che no. > ribatté lei piccata.

< Sono sceso perché ho approfittato della notte per rimodellare le memorie dei paesani; mentre c’ero, ti ho preso una coperta. Il freddo invernale si avvicina… >

Jillian finì di piegare l’oggetto della disputa e sospirò. < Adesso sembra quasi che io sia la cattiva e tu il povero innocente. >

Wantz la guardò con un’espressione ingenua palesemente finta. < Perché, di solito sono io il cattivo? >

< Non ti rispondo nemmeno. > sibilò lei, voltandosi da un’altra parte.

< Dovresti impegnarti di più per riuscire a cambiarmi. >

< Ne abbiamo già discusso, no? >

< Sì, ma non mi sembra che tu abbia ceduto. >

< Oh, insomma: ti ho già detto che non ho alcun interesse a… >

< Ammetti la sconfitta? > la interruppe lui.

Jillian scosse la testa. < Perché devi essere così acido? >

< Umm… Deformazione professionale? > ipotizzò lui, saltando di sotto e atterrando sui piedi, nonostante l’altezza elevata.

< Molto acrobatico. > commentò la ragazza. < Devo applaudire? >

< Ti risparmio l’incomodo. > Wantz alzò le braccia. < Salta. >

< Scherzi? Tu sarai anche capace di tutto, ma io mi ammazzo a cadere da questa altezza. >

Wantz sbuffò. < Ti prendo io. >

Jillian si ritrasse istintivamente. < No, grazie: scendo con i metodi tradizionali. Un ramo alla volta, piano piano… >

 

< Ma quale fiducia? Tu dubiti di chiunque. Ora stai in guardia perfino da me. >

 

Jillian scosse la testa, premendosi le mani sul capo, storcendo la bocca. Perché faceva così? Era arrabbiato con lei, era evidente; e molto. Non era la prima volta che si faceva vivo di giorno, sebbene preferisse venire di notte, ma mai si era manifestato per ammonirla. E in modo così doloroso, poi. Aveva la spiacevole sensazione che la testa le dovesse scoppiare da un momento all'altro.

< Fai in fretta. >

 

< Io, io che ti ho dato fiducia. Ma tu me l’ hai sottratta. E lui? Che cos’ ha lui che ti attira? >

 

Il respiro si fece affannato, e le girava la testa; si appoggiò al tronco dell’albero, per evitare di cadere. Non era quello il momento adatto a svenire. Perché? Di solito veniva ad aiutarla, a darle consigli. E allora perché adesso, per quanto adirato, la stava facendo soffrire in quel modo? Perché ce l’aveva con lei?

< Ti muovi? >

 

< Soffrirai ancora. Per cosa, poi? Per chi? Hai fatto la scelta sbagliata, Jillian. >

 

La vista le si annebbiò. La presa cedette, e cadde in avanti, nel vuoto. E lui era lì. E rideva. Rideva nella sua testa, assordandola. In quel momento provò la stessa sensazione di quando si trovava nel “bianco”: leggera, quasi incorporea, oppressa tuttavia da un’indefinita sensazione di inquietudine. E sola. Drammaticamente sola.

< Jillian! >

 

 

Non lo capisci?

Quando lui ti abbraccia

il tuo cuore diventa una pietra.

Lui viene di notte quando sei completamente sola

e quando Lui sussurra

il tuo sangue scorre freddo.

Nasconditi meglio prima che lui ti trovi.

 

 

Scomoda.

< Come dici? >

< Sono scomoda. > bofonchiò.

< Ah scusa tanto: la prossima volta prova la nuda terra, forse è meglio. > ribatté stizzito.

Jillian aprì gli occhi. L’albero era sopra la sua testa. Lei invece era tra le braccia di Wantz, nella tipica posizione di chi viene afferrato al volo.

< Sono… caduta? >

< Di certo non hai volato. > rispose Wantz.

Alla ragazza si mozzò il fiato. Cominciò a tremare, e solo per miracolo trattenne le lacrime.

< Ehi. E’ tutto a posto? > le chiese il ragazzo.

< Vertigini. > spiegò. < Non mi capita praticamente mai, ma… Probabilmente guardandoti da lassù mi sono lasciata impressionare. >

Wantz la guardò negli occhi, ma lei evitava il suo sguardo.

< Sicura che non ci sia altro? >

 

< Se sei in dubbio su che cosa fare o di chi fidarti, fa’ la cosa più semplice. >

 

< Tutto a posto, ti ringrazio. >

< Possiamo andare, allora? > chiese il ragazzo

Jillian sollevò il capo, fissando il punto in cui si trovava prima: se il ragazzo non l’avesse presa al volo, si sarebbe sicuramente sfracellata al suolo.

 

< Segui il cuore. >

< Lo terrò a mente, Lady Margaret. >

 

Ebbe la fugace visione di due bulbi oculari rossi sogghignanti che la fissavano.

< Si. > rispose, staccando a fatica gli occhi dalla cima dell'albero. < Andiamo. > aggiunse, sgusciando via dalla presa del mago goffamente e in fretta, lasciandolo a domandarsi che cosa passasse per la testa al Creatore quando aveva avuto la brillante idea di forgiare la donna quale cruccio eterno dell'uomo.

 

Camminarono a lungo, senza fermarsi mai. Non che accusasse la stanchezza: Wantz teneva un'andatura che le premetteva di segiurlo senza fatica e avevano proceduto per tutte quelle ore, da prima dell'alba fino a mezza giornata, senza problemi. Non aveva neppure fame, stava anzi mangiano proprio in quel momento una pagnotta miracolosamente soffice uscita come per incanto dalla "sacca delle meraviglie" di Wantz, come aveva preso a chiamare la tracolla del ragazzo. Non le riusciva nemmeno più tanto ostico docer cavar fuori con la pinze una conversazione decente con il compagno. Il fatto era che si sentiva strana.

Sebbene avesse fame e mangiasse con gusto, sentiva una specie di nausea nascere lentamente dentro di sè. Inoltre aveva cominciato, stranamente, vista la giornata serena, a sudare freddo. Presto giunsero anche sporadici brividi. Rigorosamente freddi.

Conscia che presto si sarebbe sentita peggio, desiderava fermarsi il prima possibile.

< Non vorrei essere noiosa... > esordì titubante.

"Tanto lo sarai lo stesso, volente o no." pensò sconsolato Wantz.

< ... ma ci terrei a sapere quanto ci impiegheremo ad arrivare a questo Past. >

Wantz cercò di sembrare molto impegnato nella masticazione.

< Probabilmente mi stai per rispondere che non cambia nulla saperlo o meno... >

"E se non rispondessi proprio?" ragionò tra sè.

< ... e in effetti la mia è una curiosità futile, alla fin fine, ma potresti dirmelo comunque? >

< No. > grufolò lui, completamente concentrato sul suo pezzo di pane.

< Perché non me lo vuoi dire o perchè non lo sai.? >

< Non dipende da me, ma da quanta gente riconoscente dovremo fuggire da ora in poi. >

Jillian cercò di sembrare indifferente e ripegò mestamente sulla pagnotta: meglio evitare una battaglia persa in partenza. Anche perché avrebbe finito col dare ragione al mago: aveva tutti i diritti di lamentarsi del comportamento di quei contadini. E lei non aveva nessuna intenzione di ammettere apertamente la sconfitta.

< Hai vinto una battaglia ma non la guerra. > sussurrò, guardandogli le spalle, profilo solito dei momenti di marcia.

< Hai detto qualcosa? > chiese lui, senza voltarsi.

< Nulla. > assicurò Jillian. Sul momento la similutidine del loro intricato rapporto con due esriciti in guerra le era sembrata carina: momenti di conflitto aperto aternati a tregue forzate o periodi di vera e propria pace; ma una volta pronunciate, quelle parole le suonarono vagamente sinistre. Come se, pur avendole pronunciate lei, venissero in realtà da qualcun altro. La ragazza si immaginò per un momento come un trofeo conteso tra due forze opposte. L'istante successivo si chiese perché avesse avuto quella pensata.

Per un po' proseguì senza problemi, ma poi fu presa da una nausea tale che vide il pane appena terminato come qualcosa di empio e sporco da espellere subito dal suo corpo.

Ormai il dolore era appena sopportabile. Rassegnata all'idea di un'altra pessima figura con il ragazzo, si fermò, incapace di prosegiure.

Qualche passo avanti a lei, Wantz ebbe una sensazione molto spiacevole: come se qualcuno gli avesse appena dichiarato guerra.

 

< Cambio di strategia attuato. Mostrami cosa sai fare. >

 

Accortosi che la ragazza si era fermata, si girò verso di lei. < Se Vostra Grazia ci concede di camminare, arriveremo prima, come Ella desidera. >

Tuttavia Jillian non si mosse: rimase ferma, aspettando che un ennesimo brivido finisse. E quando questo svanì, un vago tremore prese il suo posto. Strinse le spalle, cercando di frenarlo.

< Non stai bene? > chiese il ragazzo, avvicinandosi.

Jillian respirava affannosamente, a capo chino, i denti serrati a causa del dolore.

All'improvviso tutti i sintomi sparirono, lasciando il posto ad un nuovo arrivato: un mal di pancia lancinante, che probabilmente sarebbe stato assai più difficile da scacciare.

Incrociò le braccia sul ventre, piegandosi leggermente.

< Che cosa ti senti? > domandò ancora Wantz.

< Io... > sussurrò Jillian. Nella sua mente immagini sfocate si sovrapponevano una sull'altra, freneticamente, raggruppandosi in modo da formare una figura sola. < Mi sento strana... >

< Troppo vago. > disse il ragazzo, alzandole il volto: era pallida e non sembrava completamente lucida. < Descrivimi che cosa senti. >

La ragazza si sforzò di parlare, ma le uscì solo un verso indistinto.Serrò gli occhi a causa di una fitta particolarmente forte. Nella sua mente la figura era ormai chiaramente distinguibile. Era il prifolo di un uomo. Un uomo dagli occhi rossi.

Si piegò e infilò frettolosamente una mano sotto la gonna, davanti a Wantz che la fissava interdetto. Restò immobile per una manciata di secondi. Poi, con un gemito strozzato, si raddrizzò, tirando il braccio fuori dalla veste, scossa da un tremore diffuso in tutto il corpo.

< Ommiodio. > mormorò, fissando la mano con orrore. Sentì le forze venirle meno e si accasciò al suolo, svenuta. Ma, prima di perdere completamente conoscenza, ebbe il tempo di "vedere" nella sua mente il trofeo cadere a terra, scivolato dalle mani di entrambi i contendenti: le ostilità erano riaperte, e questa volta ci si accingeva alla fase finale.

Wantz si chinò immediatamente su di lei, cercando di capire cosa le fosse successo.

Le dita della mano di Jillian erano sporche di sangue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** L'inizio delle danze ***


 

Stanchi dei soliti capitoli inconcludenti? Stufi di non capire un accidente di quello che vi propino? Tranquilli, non vi dirò “Ecco il dodicesimo capitolo, è carino, ma non succede niente.” ‘Sta volta no. Cominciate a leggere solo se avete tempo, perché è un po’ lungo e richiede un briciolo di attenzione.

Quando iniziai a pensare a come sviluppare questa storia, non avevo le idee chiare. Nacque grazie ad un sogno e, sebbene fossi folgorata dall’idea che avevo avuto, era tutto molto confuso: i personaggi erano solo abbozzati, la trama era messa pure peggio, e lo sviluppo degli eventi era la parte più ostica. Tuttavia, avevo stampate a chiare lettere delle scene, delle singole parti che “sapevo” sarebbero state così, indipendentemente da come avessi sistemato il resto. Aggrappata a quelle scene fondamentali, misi un po’ ordine nella storia, ottenendo quello che avete letto finora. Una di queste è la scena finale del capitolo qui sotto. Ho davvero bisogno che mi diciate cosa ne pensate, perché queste “scene-madri” sono la vera essenza di Praedicio, ciò da cui è cominciata, con cui continuerà e terminerà. Ve lo chiedo davvero come favore: citate una frase, uno scambio di battute che vi sono piaciuti particolarmente, o qualcosa che secondo voi non regge o poteva essere scritto meglio, perché, pur non essendo venuto esattamente come volevo che venisse (“Dove sei, sospirata perfezione? Vieni fuori, vigliacca!”), questo scritto rappresenta il mio tentativo di realizzare qualcosa di decente.

P.S. La parte sottolineata è la canzone scritta da Wantz. Avremo modo di parlare ancora di questa inaspettata attività del caro magonzolo.

 

 

 

Capitolo 12: L'inizio delle danze

Imbarazzo. Davvero, non sopportava che la guardasse in quella maniera penetrante, quasi volesse perforarle il cranio. I suoi occhi la fissavano truci senza mai sbattere le palpebre; trasmettevano il tacito messaggio che il loro proprietario, chiuso in un inattaccabile mutismo, si rifiutava di comunicare a voce: "Senti il peso della mia disapprovazione." Tutto il volto era contrito in un'espressione adirata. Il massimo era la bocca, storta in una smorfia sprezzante ma al contempo incredula, come se si domandasse "Ma porca miseria, può esistere davvero un essere così idiota?" Le braccia incrociate lasciavano intendere un chiaro desiderio di distacco, e le dita che tamburellavano incessantemente sembravano esprimere un altro pensiero del loro proprietario: "Perché? Perché proprio a me?"

< Oh, insomma, Wantz, mi sembra di averti già chiesto scusa almeno un centinaio di volte. >

Il ragazzo non rispose, limitandosi ad un semplice < Tsk. >

Nel caminetto della stanza che avevano affittato scoppiettava allegramente un fuocherello, in netto contrasto con l'atmosfera tesa che regnava nella camera. Solita scena: un tavolo al centro della stanza, ove giacevano i resti del pranzo appena terminato, un camino, una finestra, un letto, sedie varie, una delle quali era a fianco del letto. Nello specifico, ricordava molto il giorno che i due si erano incontrati: lei a letto e lui sedutole accanto. Solo che, allora, Jillian dormiva. E, dormendo, non poteva parlare. Wantz provò un sentimento passeggero molto simile alla malinconia.

< Ti ho già detto che non è colpa mia, e comunque mi dispiace. Che altro posso fare? >

< Muoverti a tornare in sesto. > grugnì.

< Ah! > esultò lei. < Hai parlato! E' dall'altro ieri, da quando mi sono sentita male e mi hai portato in questa cittadina, che non mi parlavi più. >

< Se fai tutto questo rumore torno al mio mutismo. > minacciò.

< No-no. > si affrettò a dire < Sto calma. >

Il ragazzo sospirò e si rilassò, lasciando cadere le braccia penzoloni lungo la sedia.

Jillian lo guardò con aria interrogativa. < Posso sapere perché ti sei arrabbiato così tanto?>

< A prescindere dal fatto che continui a farmi perdere tempo... >

< Touchè. > ammise la ragazza.

< ... mi hai fatto prendere un colpo. >

Jillian gli rivolse uno sguardo interrogativo, cui il ragazzo rispose con un gesto stizzito, sventolando la mano sinistra con noncuranza.

< Ma sì. Dici che ti senti strana e urli "Ommiodio" come un'oca, logicamente io penso a chissà che… >

 

< Ti sei davvero preoccupato per me? >

 

< Non ho strillato come un'oca. Non avevo fiato sufficiente per riuscire a strillare. > ribatté stizzita.

< Allora è colpa mia: troppi anni a contatto con orchi e simili mi hanno reso paranoico e sempre pronto al peggio. Questo è un male. > annuì, con finta convinzione.

< Smetteresti di usare quel tono? Non riesco a capire se mi prendi in giro o meno. > Osservò il mago guardare fuori dalla finestra, nel tentativo di ignorarla. < Mi dispiace davvero di averti fatto preoccupare. Ma sul momento anch'io ho pensato che mi stesse succedendo chissà che cosa e ho avuto paura. Non ti pare comprensibile? >

< E invece era tutta colpa di insulse funzioni fisiologiche. >

 

< Anche lui dice di aver a cuore la mia incolumità. Chi dei due mente? >

 

< Ehi! Adesso non offendere. Non posso prevedere in anticipo quando capita, e tantomeno sono in grado di evitarlo. > A ben pensarci, forse sarebbe stato meglio se, come aveva temuto sul momento, si fosse trattato di qualche maledizione o malattia particolare, e non del semplice arrivo delle mestruazioni.

< Succede sempre così? > chiese il ragazzo, dubbioso.

< No, a volte non accuso nessun sintomo. Ma altre mi sento come se dovessi morire da un momento all'altro. >

Wantz non seppe se rivalutare il genere femminile per le pene che deve universalmente sopportare oppure ringraziare il Creatore per aver dato questa soddisfazione alla popolazione maschile.

< Ad ogni modo, > riprese la ragazza < penso che riuscirò a rimettermi completamente in un paio di giorni. >

Wantz reagì come se avesse ricevuto una sprangata in testa. Si alzò, deciso a uscire, onde evitare di porre fine alle sofferenze della ragazza a modo suo.

 

< Chi mente? Quale verità cela dentro di sé una falsità? >

 

< Dove vai? Sei sempre stato in giro da quando siamo qui. > chiese.

< Umm. Questo posto è pieno di polli. > disse lui.

< Polli... da spennare? >

Want uscì dalla camera ridacchiando.

 

< Chi di voi due è falso? >

 

 

Reduce dall'ennesima vendita di efficaci, ma a suo parere futili, creme per il viso (detestava essersi specializzato in robaccia simile, ma la richiesta era alta e i guadagni stabili, per cui si era rassegnato ad avere a che fare con vecchie grassone in cerca della giovinezza perduta), Wantz guardò la donna allontanarsi tutta appagata del suo acquisto e inspirò a fondo l'aria scossa da un debole venticello, assaporando quel momento di rara quiete.

< Non hai mai la sensazione di essere una specie di truffatore, vendendo quelle robe? > gli aveva chiesto una volta la sua "presenza di fiducia".

< Perché mai? Se sono intrugli spalmabili e fraudolenti che vogliono, non vedo perché non accontentarle. > aveva risposto lui, candidamente.

< Il fascino misterioso di creme e lozioni. > ammise.

< Inoltre, non scordate che... >

<  ... che sei un mago ciarlatano, Wantz. Lo so. >

Perso nei suoi pensieri, fu riportato bruscamente alla realtà da uno sciame schiamazzante di comari che si avvicinava a tutta velocità. "Le voci corrono veloci", constatò il ragazzo, schifato dall’orribile rima ottenuta e rassegnato a giocare un'altra volta all'erborista miracoloso.

Sommerso di richieste una più egoistica dell'altra, si chiese per un attimo che cosa avrebbe detto Jillian dei suoi "polli".

"Sicuramente" pensò "sarà l'ultimo sei suoi pensieri; maledetta fortunella al caldo."

Aveva ragione. In quel momento, Jillian aveva altri pensieri.

Ma non del genere che poteva immaginare lui.

 

***

< Felice di vedere che sei tornata. >

< Solo una momentanea follia può avermi allontanato. Ti chiedo perdono. >

< Non scusarti ulteriormente. Non occorre. >

< Tu però sei stato davvero impietoso, nello sgridarmi. >

< Ho dovuto esserlo. Questa è una partita che non posso perdere. >

< Di cosa parli? >

< Di te. >

 

***

 

< Vieni a riprendertela, se ti riesce.

Ti aspetto, mago. >

 

 

 

La mano sulla maniglia, Wantz fu preso da un brivido, una scossa che gli lasciò addosso una fastidiosa sensazione di pericolo. Riprese controllo di sé ed entrò nella camera, fiondandosi subito verso il letto. Jillian dormiva, ignara delle consuete paranoie di cui era vittima il ragazzo. Andava sempre più vicino all’assomigliare ad un animale che si basa esclusivamente sui suoi istinti. Tuttavia, quella sensazione… Quell’oppressione che lo aveva colto mentre mercanteggiava lo aveva spinto a tornare lì, cercando di cancellare dalla mente quelle immagini tanto fittizie quanto terrorizzanti. Protagonista indiscussa di quelle visioni, la ladruncola.

Vederla immersa nel mondo dei sogni, incurante del mondo esterno, lo tranquillizzò. Le scostò il volto, premuto contro il cuscino, per controllare che non avesse la febbre. Il lineamenti delicati gli sfuggirono di mano, la ritrasse d’istinto e indietreggiò. Trafficando con li laccio della collana all’interno della mano, Wantz non riusciva a staccare gli occhi dalla faccia della ragazza. “Incurante del mondo esterno”.

< Maestro! > esclamò, tirando fuori il pendente della collana, uno splendido zaffiro di un blu-azzurro così intenso da incantare e capace ti attirare l’attenzione anche dell’osservatore più distratto. < Venite fuori, maestro! >

Dalle pietra si sprigionò una luce bianca accecante, e quando essa svanì, al suo posto era comparsa la presenza, macchia scura indistinta.

< Wantz, sai bene quanto mi costano queste uscite non programmate. Spero che si tratti di una necessità impellente. > lo ammonì.

< Lo è. > assicurò lui, riponendo la collana al suo posto. Si avvicinò di nuovo alla ragazza, chinandosi su di lei. < Maestro, ditemi voi che cosa fare, perché io non so più cosa pensare. >

< Che cosa ti preoccupa? > chiese avvicinandosi.

< Sorride. > rispose voltandosi verso di lui. < Adesso sorride. >

 

***

Voci. Al di fuori del “bianco”, due voci concitate giungevano sino a lei come una cosa lontana, attutite da una distanza incolmabile.

< No. Mi rifiuto di farlo. >

< Non ci ti è concesso discutere. >

< E chi discute? Mi rifiuto e basta. Non c’è nulla da discutere. >

< Ne abbiamo già parlato a lungo e siamo arrivati ad un’unica soluzione, ricordi? QUESTA soluzione. >

< Non voglio. Io… Ho promesso che… >

< Sai bene anche tu che non potrai mai adempiere alla tua promessa. Non sei in condizione di poterlo fare. >

< Ma non lo voglio fare. >

< Quanto tempo vuoi ancora perdere in indugi? Le scelte non sono tante: o entri nella sua testa e lo cacci, o lasci che resti lì e si faccia i suoi comodi. >

< Non ficcanaso nelle menti altrui. >

< Ora no. Tempo fa però la trovavi una cosa molto comoda. >

< Avete intenzione di vincermi seppellendomi di rimorsi? Non vi facevo così vigliacco. >

< E tu hai intenzione di lasciare che continui a manipolarla? Non credevo che potessi essere così spietato da… >

< Smettetela! Sapete meglio di me che non lo desidero affatto. >

< E allora perché esiti? Per una promessa utopica? Non sei mai stato poi così severo con te stesso da non concederti sgherri, o sbaglio? >

< No. Non è per quello. >

< E per cosa, allora? >

La seconda voce, che nel corso del dialogo era apparsa alterata, pose quell’ultima voce con tono più dolce, quasi paterno, come un genitore che, dopo un attimo di dubbio, riconosce da un semplice gesto il figliol prodigo creduto smarrito.

Ma egli, anzi, la prima voce, non replicò. Non al suo interlocutore, almeno. La risposta arrivò infatti a lei, la percepì dentro si sé come un qualcosa di sospirato a lungo, desiderio silenzioso e lontano dall’avverarsi che diventa all’improvviso realtà. Realtà.

< Perché voglio provare a fidarmi di lei. >

La figura dagli occhi rossi le si parò davanti, e con il suo arrivo svanirono le due voci provenienti dall’esterno. Dall’esterno del “bianco”.

< E’ tutto a posto. > le disse, riferendosi appunto al silenzio tornato a regnare.

Jillian lo guardò negli occhi, quegli occhi rossi che non capiva, con aria di sfida. Sotto lo sguardo stupito della figura (uno sguardo stupito rosso), cominciò a sparire, riavvicinandosi al mondo esterno.

< Sì. > convenne lei, sentendo le lacrime che le rigavano le guance e scomparendo del tutto. < Ora è tutto a posto. >

 

***

 

Jillian si sollevò di scatto, e Wantz, preso alla sprovvista, alzò le braccia in una posizione difensiva. La presenza fu più reattiva di lui e svanì in uno sbuffo. Il mago si raddrizzò e fissò basito la ragazza, che riusciva a sembrare addirittura più fuori luogo di lui.

< Cosa… > esordì lei, guardandosi attorno.

< Non lo so. > disse Wantz.

< Nemmeno io. > confermò la ragazza.

< Non sai perché piangi? >

Alzando le mani al viso, Jillian constatò che aveva ragione. Si passò il dorso della destra sotto gli occhi per asciugarsi.

< Non sto piangendo. Quando piango singhiozzo. Sempre. E ora non lo sto facendo. Quindi non sto piangendo. >

< A-ah. > annuì lui, piegando la testa di lato. < Infatti non stai piangendo. >

Jillian tirò su col naso. < No. >

< Ti stanno solo sudando gli occhi. Come ho fatto a confondermi? >

< Esatto. Mi stanno sudando. > Ci mise un po’ a capire la stupidità di quanto avevano appena detto, e dopo averci riflettuto bene rise, di gusto. Davvero. Per essere la prima battuta che sentiva da Wantz non era male, poteva aspettarsi di peggio. Le piaceva. Era divertente. E allora  per quale motivo le risa si erano andate via via trasformando in singhiozzi?

< Uh… > mormorò, cercando inutilmente di fermare le lacrime. Il ridicolo era che non sapeva neppure perché stesse piangendo. Qualcosa le diceva però che aveva a che fare con “lui”. Anzi, con “loro”, i suoi due “lui”.

< Dovresti smetterla, sai? Altrimenti ci rimango male. So di non essere un eccellente buffone, ma così esageri. >

Anche qui sorrise, ma la risata venne soffocata dai singulti.

< Mi dispiace… > biascicò. < Mi dispiace… >

< Non importa. E’ un po’ stupido piangere senza motivo, ma… >

< Non è per quello. > lo interruppe con voce tremante.

< Per cosa, allora? > chiese.

< Io… Non lo so. > disse, nascondendo il volto tra le mani. < Sento solo di dovermi scusare con te e… Sento che dovrei dire che mi dispiace per… Non lo so! Che tu ci creda o no, è come se qualcosa mi impedisse di trovare dentro di me ciò che vorrei dirti, benché esso voglia uscire e io tenti di recuperalo. E’ assurdo, puoi anche non credermi se vuoi, eppure… >

< Ma io ti credo. >

Jillian alzò il volto, cercando incredula il ragazzo con gli occhi gonfi di pianto: attraverso una coltre di lacrime, vide, seppur indistintamente, Wantz che la guardava con un’espressione talmente triste che si domandò se non dovesse essere lui a gemere. Si sedette sul letto al suo fianco e frugò nella “sacca delle meraviglie”.

< Voglio farti vedere una cosa. > disse infine, quando ebbe trovato quello che cercava.

 

 

E cinquanta anni dopo l’inizio della ricerca del guardiano, il destino cominciò il suo lento corso finale.

Cominciando dall’incontro di coloro che diedero inizio alla fase finale.

Il mago e la ladra.

Una convivenza forzata, ma necessaria alla risoluzione finale.

Poiché solo insieme riuniranno tutti i pezzi della profezia, unendo quelli già in loro possesso e reperendo quelli ancora mancanti.

Sarà difficoltoso. Molto difficoltoso.

E lungo. Molto lungo.

Ma sarà l'unico modo.

E loro ce la faranno.

 

 

Ormai assuefatta all’idea di fare la figura della fessa, Jillian non tentò nemmeno di nascondere il suo stupore. Teneva il frammento tra le dita con delicatezza, quasi avesse paura che le si sbriciolasse in mano. Dopo una contemplazione ragionevolmente lunga, si voltò verso il mago, seduto accanto a lei. Avrebbe voluto dirgli tante cose, e avrebbe voluto chiederne molte di più, ma non le venivano le parole.

< Non è falso. Te lo assicuro. > disse Wantz, togliendola da quel silenzio difficile.

< Questo significa che… >

< Che alla fine hai fatto bene a ficcanasare. > concluse lui, visto che la ragazza era ricaduta nello sbigottimento.

Guardò Wantz con riconoscenza. < Non hai idea di quanto io sia felice. Finalmente posso smettere di chiedermi se è giusto che io mi interessi della profezia. Non ho più motivo di domandarmi se tutti gli sbagli fatti siano almeno serviti a qualcosa. Signore, ti ringrazio per questa possibilità. E ringrazio te, Wantz, per avermi mostrato la prova che se sono qui con te non è un errore, che alla fine è questo il mio posto. >

< Non ringraziarmi. Non lo merito. >

< Si, invece. Mi hai dato una possibilità, sebbene pensassi che io non fossi in grado di farcela. So che è così. Ciò nonostante hai deciso di fare una prova e di vedere come sarebbe andata. Ora, questo ritaglio ci da la conferma finale, ma tu mi hai accettata, pur con qualche remora, senza avere nessuna certezza e neppure obbligo di farlo. Non ho idea di cosa ti abbia spinto a farlo, ma ciò che conta è che lo hai fatto, e io te ne sarò eternamente grata. >

< E’ questo il punto. > disse lui, voltando il capo e guardando altrove. < Io sapevo già che eri menzionata dalla profezia. > Prese dalle mani della ragazza i pezzi di pergamena cuciti insieme e diresse su di essi la sua attenzione. < Questi frammenti sono in mio possesso da moltissimo tempo, da ben prima che ci incontrassimo. >

Jillian lo fissò, senza però ottenere uno sguardo in risposta. Il ragazzo teneva ostinatamente gli occhi sulla pergamena.

< Wantz… >

< So cosa vuoi dirmi. Se ti avessi detto subito la verità ti saresti evitata una gran quantità di angosce, avresti smesso di sentirti fuori luogo, perché ho capito che era questo il tuo problema: il sentirti estranea a qualcosa che volevi ti appartenesse a tutti i costi. > La ragazza manifestò l’intenzione di dire qualcosa, ma il mago la ignorò. < Tuttavia, non avevo la minima voglia di prendere della zavorra con me. Volevo continuare da solo, come avevo sempre fatto e… Confesso di non aver fatto nulla per aiutarti a superare le tue incertezze. Anche adesso che ti ho fatto vedere questi… Penso di averlo fatto solo per avere la coscienza a posto. >

< Lo dissi già una volta: per avere una coscienza, bisogna avere anche un cuore. Per quanto mi riguarda, penso che tu sia soltanto, come dire, “arrugginito” nel sentirli entrambi. Devi imparare di nuovo a rispondere ai loro impulsi. Mi chiedo che cosa possa averti indurito così tanto da renderti immune ad essi. >

Wantz sbatté le palpebre, guardandola stupefatto. < Com’è che adesso la vittima sembro io? >

< Sei proprio di coccio, eh? Mi sembrava che avessi qualche difficoltà e ho pensato di evitarti questa fatica inutile. > Siccome il ragazzo non capiva, spiegò: < Devi re-imparare anche a chiedere scusa. >

Il mago sembrò leggermente offeso. < Non mi hai dato modo di finire. >

< Perché mi sembrava che saresti andato per lunghe, e, personalmente, visto che si avvicina l’ora di pranzo, vorrei mangiare senza sentirti farfugliare giustificazioni incomprensibili. >

< E chi ti dice che volessi scusarmi? > ringhiò lui, decisamente contrariato.

Jillian gli rispose con un sorriso che lo lasciò spiazzato e fece crollare le sue già deboli difese. Scosse la testa, mugugnando parole indecifrabili, rassegnato a terminare lì il discorso. La ragazza sogghignò, ma si fece subito seria e gli prese le mani, chiudendole sui frammenti. Sentì che quelle del ragazzo erano fredde, probabilmente era appena rientrato da una delle sue  misteriose spedizioni al villaggio. Gliele strinse e cercò i suoi occhi, riuscendo finalmente a catturare il suo sguardo.

< Questo è il nostro legame. Non ho nessuna intenzione di romperlo. Hai letto cosa dice, no? “Ce la faranno”. Non sarò certo io a contraddire una profezia formulata dai tre Savi. > Sorrise, notando che il ragazzo sembrava a disagio. < E non penso che lo farai nemmeno tu. >

< Non ci penso proprio. >  sbuffò. < Quelli sono capaci di risuscitare e cercarmi per mari e monti solo per potermi maledire. >

< Scommetto che non gli darai questa soddisfazione. >

Wantz esibì un ghigno alquanto malevolo. < Mai. E non aspettarti atteggiamenti di favore. Hai sprecato addirittura la tua unica occasione di sentirmi chiedere scusa. >

< Ti dispiace. Questo mi basta. Per ora. > aggiunse, lasciando andare la presa e permettendogli così di rimettere il tutto nella tracolla.

Wantz non rispose; sembrava che stesse riflettendo. < Coscienza e cuore. Sei sicura di averlo detto a me? >

La ragazza ci pensò su. < No. In effetti, non l’ ho detto a te. > “L’ ho detto a qualcuno che non l’ ha capito” rifletté. Appena terminò quel pensiero, una fitta le attraversò la testa come una saetta. Il dolore si confuse con un rumore di voci schiamazzanti che provenivano dalla strada. Mentre lei cercava di trattenersi dal gemere Wantz si alzò e andò alla finestra a controlla cosa fosse tutto quel baccano. Jillian lo vide strabuzzare gli occhi e andare a passo mesto verso la porta.

< Che succede? > chiese.

Il ragazzo sospirò. < Branco di dame alla ricerca dell’erborista miracoloso. >

< Mi spiegherai mai che cosa combini a mia insaputa? >

< Solo se fa parte del contratto. > rispose lui, facendo chiaramente riferimento alla profezia.

 

***

< Esci dalla mia testa! >

< Ah, detesto perdere. >

< Esci dalla mia testa! >

< E va bene, lo ammetto: hai vinto tu, mago. >

< Vattene! Ti prego, vattene! >

< E per questo, mi vendicherò. >

 

***

 

Scrisse l’ultima strofa, facendo qualche svolazzo con l’inchiostro, soddisfatto del risultato ottenuto. Ammirò la pergamena tendendo bene le braccia.

< Non è questione di fiducia o meno. Non è nelle sue possibilità farcela. > disse la presenza alle sue spalle.

< Lo so. > dichiarò il ragazzo, soffiando sulla pergamena per asciugare l’inchiostro. < Finito. >

< Ho come l’impressione che non mi stessi ascoltando. >

< Affatto. Solo, ormai è inutile discutere. Siamo arrivati al dunque. >

La presenza annuì, sbirciando sul foglio che il ragazzo teneva tra le mani.

< Questa tua nuova composizione è proprio azzeccata. >

< Trovate anche voi? >

< Oh sì, rende benissimo l'idea della brutta situazione in cui ci troviamo... >

Wantz notò qualcosa muoversi sotto di loro e abbassò la pergamena per controllare: dall’albergo uscì Jillian, le mani premute contro le tempie, correndo in maniera alquanto scoordinata. Sul volto aveva un’espressione sofferente e stringeva i denti. Si alzò, facendo attenzione a non cadere dall’albero e sistemandosi il mantello. I fogli su cui aveva appena finito di scrivere svanirono dalle sue mani, e lo stesso fecero penna ed inchiostro.

< ... e meglio ancora quella in cui si trova la ragazza. >

Lui sbuffò, sorridendo amaramente. < Cosa ne dite, allora, di farla finita? >

< Dico che mi sembra il momento adatto. >

Wantz sbatté il pugno destro contro il palmo sinistro, ridendo sommessamente.

< Si dia inizio alle danze, allora. >

 

 

Quando caddero le foglie,

i cieli divennero grigi.

La notte continua a circondare il giorno,

un usignolo canta la sua canzone d’addio.

Nasconditi meglio dal suo inferno gelido:

su ali fredde, Lui sta arrivando.

 

 

Quello che stava facendo era assolutamente stupido. Correre non serviva a diminuire il dolore. Correre non l’avrebbe aiutata a scacciare dalla sua testa quella presenza indesiderata. Incespicò, finendo a sbattere contro un albero. Stremata, tentò invano di alzarsi, e si lasciò scivolare lungo il tronco fino a terra, accasciandosi inerme. Non tentò più di opporsi alla voce ossessionante che aveva cominciato ad assillarla non appena Wantz era uscito dalla stanza. Rimase lì, limitandosi ad ascoltare.

< Ho avuto fin troppo pazienza con te, ragazza mia. Dici di esserti pentita e poi ricadi nello stesso errore. Non va bene. >

Errore… E’ un errore provare a fidarsi di lui?

< Questa volta non posso far finta di nulla, capisci? Devo averti, in qualunque modo, con le buone o le cattive. E ora il rischio è troppo alto, sei troppo vicino a quel mago; perciò userò le cattive. Ho provato ad irretirti, adescarti, lusingarti…Sono stato tutto ciò che potevi desiderare… E allora perché? Perché hai scelto lui? >

Jillin scossa la testa, sforzandosi per l’ennesima volta di riprendere il controllo di sé.

< Che cos’ha lui che io non ho? >

< Lui è vero. >

 

< Tra il falso e il sincero ho scelto il primo perché non ho saputo capire il secondo. E Lui ha approfittato delle incomprensioni tra noi per allontanarmi ancora di più. >

 

 

“Accidenti.” pensò con disappunto “L’ ho persa.”

Si guardò intorno, chiedendosi perché, con tanti posti a disposizione, quella sciocca doveva essersi andata a ficcare proprio in una foresta. Salì su un albero, cercando si vedere in lontananza, nonostante la selva formata dalle fronde. Alla sua destra vide che le piante andavano diradandosi fino a formare una piccola radura. Sentì qualcosa di molto animalesco agitarsi dentro di lui. Scese con un balzo e riprese a correre: non avendo idee migliori, si sarebbe rassegnato, ancora una volta, a dare retta a quei suoi fastidiosi istinti.

 

 

Non lo capisci?

Quando lui ti abbraccia

il tuo cuore diventa una pietra.

Lui viene di notte quando sei completamente sola

e quando Lui sussurra

il tuo sangue scorre freddo.

Nasconditi meglio prima che lui ti trovi.

 

 

Non si chiese da dove venisse quella luce accecante, sebbene avesse avuto la sensazione che fosse uscita dal suo corpo nel momento in cui aveva finito la frase “Lui è vero”. Non si chiese perché all’improvviso nella sua testa c’era finalmente la più completa assenza di rumori. Non si chiese nemmeno come tutto ciò fosse possibile. Si concentrò solo sul ragazzo che, dissoltasi la luce, era apparso davanti a lei. Quella fisionomia indistinta che aveva “visto” nella sua mente; quella presenza estranea che albergava dentro di lei dal giorno dopo la morte di Alec. Non l’aveva mai visto in volto, sempre sfocato e. confuso, ma non c’era dubbio che fosse lui. Quegli occhi… Quanta gente al mondo poteva avere gli occhi rossi?

< Si può sapere chi sei? > riuscì a chiedere.

< Ah, è incredibile che tu sia riuscita a cacciarmi fuori. Sul serio, non era nemmeno ipoteticamente plausibile una simile eventualità. Ora sì che la faccenda è problematica. > Ammiccando, esibì un ghigno trasudante perfidia. A Jillian venne istintivo paragonarlo con i  sogghigni beffardi che Wantz era solito rivolgerle: in essi, maliziosi in maniera eccessiva, non v’era traccia di cattiveria.

< Come sei diverso da lui... Non dovresti stupirti della mia scelta. > disse, evitando accuratamente di fissarlo negli occhi

< Mi sorprendo che tu ti sia accorta di questa diversità. Da cosa l’ hai capito? > disse, avanzando alquanto minacciosamente verso di lei. Nella sua mano apparve una lama splendente, ma dall’aspetto decisamente affilato. Il ragazzo la alzò, con fare quantomeno sospetto, se non preoccupante.

Jillian, ancora vittima di fitte al capo, fece uno sforzo incredibile per parlare < Lui è vero, mentre tu… Tu sei… >

< Soltanto una bugia. > disse una voce alle sue spalle.

 

 

Ora che è in collera

potrebbe toglierti la vita.

Non hai capito?

Non hai capito?

La rovina del nostro mondo.

Notte eterna che oscura il giorno.

Manto glaciale indissolubile.

Ora capisci?

 

 

Logica avrebbe voluto che la lama, siccome era stata abbassata con violenza, la colpisse in pieno con pari furore. Fortuna volle che non fu così. Aprendo gli occhi, chiusi d’istinto nel presentimento di essere spacciata, vide con stupore che innalzi a lei era comparsa una seconda figura, avvolta in un mantello svolazzante, che aveva parato con il suo braccio il fendente scagliato. Quando il mantello, dopo tutti gli ondeggiamenti dovuti ad un’entrata in scena tanto veloce quanto tempestiva, si abbassò, Jillian poté vedere il volto del suo proprietario, contrito in un’espressione che definire irata era un complimento ai collerici. Si raddrizzò, facendo perno sulle braccia.

< Wantz? >

 

 

Nasconditi meglio prima che lui ti trovi.

 

 

Il mago si girò verso di lei, alzando un sopracciglio. < Dubbi in proposito? >

Jillian lo fissò per un attimo senza parole, poi scosse le testa. < No. Per quale motivo dovrei averne? >

< Effetti postumi da allucinazione. > spiegò lui. Piegò le gambe e si raddrizzò di scatto, scagliando via l’arma bianca e il suo possessore, che non solo parve non aver accusato per nulla il colpo, ma guardò con scherno Wantz, ridacchiando. Il ragazzo fissò quella creatura con sospetto: sembrava in tutto e per tutto un essere umano, eccezion fatta per gli occhi, rosso sangue. Eppure, non lo era; e non era neppure un ibrido, ne era sicuro: non percepiva la sua presenza spirituale. Era come se, pur essendo lì davanti a lui, sogghignante, in realtà non ci fosse. Valutò silenziosamente il suo avversario, quando sentì che alle sue spalle Jillian si era alzata.

< Resta indietro. > le raccomandò, voltandosi appena per valutare le sue condizioni fisiche: era spossata e provata, sia dalla corsa che dalle sofferenze psichiche, ma dimostrava una volontà ferrea nel cercare stabilità sulle gambe e rifiutandosi di crollare a terra sfinita. < Hai già fatto fin troppo. Ribellarsi e addirittura liberarsi di lui… Deve essere stata una faticaccia. Confesso che non avrei mai creduto ti fosse possibile. Ora lascia che me ne occupi io. >

< Ma che cosa… Chi… > farfugliò, staccandosi dall’albero e riacquistando faticosamente equilibrio.

< Dopo. > tagliò corto lui. Avanzò di qualche passo verso l’essere ghignate, fissandolo truce. Jillian guardò la sua schiena, chiedendosi se il ragazzo fosse davvero arrabbiato come lasciava vedere. Perché, dopo settimane a contatto con lui, era quasi certa che, sotto l’aria scocciata, stesse cercando di nascondere la sua preoccupazione.

Wantz si fermò, digrignando i denti. < Che cosa sei? > sibilò.

< Un ricordo. > disse l’altro. < Una reminescenza di un qualcosa che è stato e ora non è più, sradicata dalla mente del suo proprietario e resa reale per essere usata come suo servitore. >

Il ragazzo rise sprezzante. < Ma quale reale? L’Oscuro è un illuso se crede davvero che basti una sua versione giovanile per eliminarmi. >

< Quindi avevi capito anche che sono Lui, o meglio, quello che Lui era? Notevole. Pensavo che fosse già tanto che ti fossi accorto della mia intrusione nel cervello della ragazza. Invece, a quanto pare sbagliavo di grosso. >

< Questo succede perché non doveva esserti concessa la facoltà di pensare. > ringhiò Wantz, nel disperato tentativo di guadagnare del tempo per decidere cosa fare.

La giovane copia dell’Oscuro Signore lo guardò dall’alto in basso. < Non sei la persona giusta per parlare di esperimenti da non fare, ragazzo mio. >

Il ragazzo si irrigidì, sbarrando gli occhi: tremante di rabbia, si piegò in posizione d’attacco. < Che vuole da lei? Perché si interessa alla ragazza? >

< Interessante. Sarà bene riferirlo. > disse, annuendo con convinzione. Lanciò un’occhiata derisoria a Wantz e, lentamente, sotto lo sguardo sbigottito del ragazzo, cominciò a perdere consistenza. < Finché non capirai questo, mago, non potrai fare nulla. >

Wantz perse il controllo e si gettò addosso a quella sfida vivente alla natura, ma quello svanì nello momento in cui tento di afferrarlo, lasciando dietro di sé una risata rauca e sprezzante. Il ragazzo, trovando il nulla invece dell’avversario, cadde a terra. Furente, sbatté un pugno sul suolo freddo, a capo chino. Sollevò la testa di scatto e urlò, rivolto al cielo < Non mi sottovalutare, bastardo! Vaglielo a dire, dittelo da solo, come ti pare, ma sappilo: io non te lo permetterò, qualunque cosa tu abbia in mente! >

Si alzò, soffiando aria dal naso per esprimere il suo disappunto. Sbuffò, posando la mano destra sul fianco ed esibendo la miglior aria scocciata che gli riuscì, visto che, per una volta, più che scocciato, era semplicemente avvilito.

 

 

Nasconditi meglio prima che lui ti trovi.

Altrimenti sarò io il tuo rifugio.

 

 

"Non era rimasto nulla che indicasse il suo passaggio e lasciasse presagire il dolore che si era portato dietro. Nulla che ricordasse l'alone di angoscia che aveva rovesciato su di noi, le false speranze con cui aveva illuso e la sofferenza che aveva inferto. Anzi, no: una cosa c'era."

 

Wantz si voltò verso la ragazza, rimasta in piedi a pochi passi da lui, sconcertata, le mani alla bocca, lo sguardo allucinato. La raggiunse e la guardò con un velo di tristezza sul viso.

< E' stato tutto... soltanto una bugia. > le disse, sorridendole mestamente.

"Perché sorridi adesso? Perché?" pensava lei, angosciata. "Se lo avessi fatto prima… in modo normale… E invece lo fai adesso, quando non me lo merito assolutamente, mentre prima mi avrebbe aiutato a capire. E’ sincero, è un sorriso triste, ma sincero; come te. Tu sei sempre stato te stesso con me. Ed è proprio questo il problema: io non l’avevo capito."

Jillian fu scossa da alcuni singhiozzi, e chiuse gli occhi. < Mi dispiace. > mormorò con voce tremante. < Mi dispiace... >

Si tuffò addosso al mago e affondò il viso nel suo petto, piangendo e biascicando scuse. Il ragazzo non la allontanò e lasciò che si sfogasse. Lei piangeva e scuoteva il capo, dicendo che non voleva, non sapeva cosa gli era preso, che era stata una sciocca a lasciarsi abbindolare in quel modo... Parlava come al solito, spavalda e suscettibile, tentava di mostrarsi sicura, magari offesa per essere stata presa in giro, ma non riusciva ad arrestare il pianto. Cercando di arrestare i singhiozzi, alzò il volto per guardare Wantz e vedere la sua reazione a ciò che gli aveva detto.

 

"Sì, decisamente era rimasta una traccia della visita dell'Oscuro."

 

Il ragazzo non la stava guardando. Fissava un punto imprecisato davanti a sé.

Con l'abituale espressione indecifrabile le disse: < Aspetto finché non hai finito. >

Jillian lo interpretò come il tanto sospirato via libera. Riprese a piangere, senza frenarsi, aggrappata alla schiena del ragazzo, questa volta senza alcun timore o imbarazzo.

Oltre le spalle della ragazza, Wantz vide delle foglie turbinare in aria, trasportate non dal vento, ma da una forza invisibile.

 

"Le lacrime versate da Jillian."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Dove porta il cammino ***


Mi rendo conto che l’attesa questa volta è stata molto lunga, e probabilmente snervante, e avete tutte le ragioni ad esserne arrabbiati. Mi scuso con voi, tuttavia sappiate che non questo ritardo non è stato causato da mia scarso impegno o simili, ma da vari fattori esterni, scolastici prima di tutto. Spero che mi scusiate, e che questo inconveniente non mi procuri il linciaggio (anche perché sono già in parecchi a volermi lapidare, vittime dell’astinenza da capitoli).

Ho passato indenne  il pericolo pagella, per cui potete smettere di preoccuparvi. Come? Si avvicina il pagellino di metà pentamestre? Preoccupatevi pure di nuovo.

P.S. Se, nonostante tutto, vorrete lasciarmene, i commenti sono sempre bene accetti. Grazie a tutti coloro che hanno recensito il dodicesimo capitolo, il mio preferito tra quelli scritti fino ad ora, a pari merito con il secondo. Vale il solito disordo: segnalatemi passi, scene o battute che vi sono piaciuti particolarmente.

 

 

 

 

                   Capitolo 13: Dove porta il cammino

 

 

< Mettiti comoda. >

< Devo preoccuparmi? >

< Per quale motivo? >

< Questa cortesia da parte tua è sospetta. O, per lo meno, inconsueta. >

< Vero. Infatti non sono parole mie, ma di qualche istruito signore che ha stilato le norme della buone educazione, le quali prevedono condizioni ottimali in caso di lunghe chiacchierate. >

< Lunga chiacchierata? Tu? Sogno o son desta? >

< Preferirei finirla con i sogni ingannatori. >

< Ed io lo bramo più di te, anche se vorrei che mi spiegassi che cosa, esattamente, mi è successo negli ultimi giorni. >

< Era appunto questo che volevo fare, prima che qualcuno esprimesse, come al solito, i suoi pensieri a sproposito. >

< Perdonate la scortesia di questa donna dalla lingua indisciplinata, e, se lo volete, date soddisfazione ai dubbi che la costringono a continue rimuginazioni. >

< Allora glielo ripeto, madamigella: si metta comoda. Messer Wantz tiene udienza. >

 

 

Ex opibus summis opis egens, magistre, tuae,

quid petam praesidi aut exequar, quove nunc

ausilio exili aut fugae freta sim?

 

 

< Dunque, ricapitolando…  L’Oscuro ha preso dai suoi ricordi quella parte di se stesso e l’ha trasferita nella realtà, anche se non sappiamo perché ha scelto questo soluzione e non ha semplicemente fatto ricorso ad uno dei servitori classici. Quindi essa è stata spedita nella mia mente e, nelle sembianze del giovane dagli occhi rossi, che poi altri non era che l’Oscuro da giovane, ha cominciato un lento lavoro di logoramento delle mie facoltà intellettive in modo da diminuire la mia capacità di giudizio, alterando inoltre la percezione degli avvenimenti e dei discorsi altrui. In special modo, si professava mio alleato e mi ha messo in guardia da te al fine di insidiare tra noi il tarlo del sospetto, di modo che la diffidenza ci dividesse irrimediabilmente. Ora, è chiaro che voleva dividerci per interrompere il processo di completamento della profezia; rimane l’incognita del perché volesse a tutti i costi conquistare la mia fiducia. Non solo: tu pensi che fosse nei suoi piani, una volta preso totalmente il controllo di me, portarmi dal suo creatore. Come spiegare allora tutto questo interesse? Presumibilmente per ricattarti, ma non val la spesa pensarci troppo, dato che non lo sapremo mai. A meno che non torni lui a raccontarcelo, il che non è propriamente auspicabile. D’accordo, fin qui è tutto chiaro. >

< Posso farti una domanda? > chiese Wantz, palesemente annoiato.

< Naturalmente. > acconsentì Jillian.

< Perché devi sempre ripetere tutto quello che dico io con parole tue? > disse, sfoderando a sorpresa un tono di voce non indispettito ma avvilito.

< Uhm… Deformazione caratteriale? > ipotizzò. < E non credere che abbia finito i quesiti. >

< No, so di non essere così fortunato. > sospirò, passandosi una mano negli spettinatissimi capelli neri.

Jillian posò le mani sul tavolo e cercò di incrociare lo sguardo del ragazzo, seduto di fronte a lei. Dopo la dipartita del “ricordo”, erano tornati in camera, eludendo la curiosità dei proprietari della locanda, e il ragazzo aveva inaspettatamente, di sua spontanea volontà, iniziato a darle delle spiegazioni sui misteriosi tormenti di cui era stata vittima.

< Innanzitutto vorrei sapere come hai fatto a capire che mi stava succedendo qualcosa di… anomalo. >

< Perché ti comportavi come una squilibrata. > rispose con semplicità.

Jillian si offese. < Insomma, ammetto di aver avuto atteggiamenti poco coerenti, a volte fin incomprensibili, però di qui a dire che ero impazzita… >

< Lo saresti diventata. > disse Wantz. < Ti pare normale avere una presenza esterna nel cervello che modella i tuoi pensieri, ragionamenti e azioni secondo il suo capriccio? >

< A ben pensarci, > rifletté lei < presumo che la perdita della ragione avrebbe potuto agevolarlo. >

< Oltre a ciò… > riprese il ragazzo < E’ stato merito dei tuoi occhi. >

< Come? > domandò, pensando di aver capito male, riuscendo finalmente ad acchiappare lo sguardo dell’altro.

< Il tuo sguardo era smorto; mancava quel luccichio di furbizia, quella venatura di ostinata risolutezza che rende le tue occhiate inconfondibili. >

La ragazza lo guardò stupita. < Hai davvero notato una cosa del genere? > Wantz annuì. < Però… Ho sempre l’impressione che tu mi dia scarsa considerazione, in qualsiasi frangente o situazione ci si trovi, e invece sei addirittura in grado di capire se sono preda di allucinazioni solo dallo sguardo. >

< Non è poi così straordinario. Ci vuole… occhio. >

Jillian soffocò una risatina, notando con piacere quanto il ragazzo si sforzasse di essere cordiale e di compagnia. < Ancora una volta, non posso far altro che ringraziarti per avermi strappato al pericolo. >

Lui scosse la testa. < Me ne resi conto subito, ma non potevo fare nulla: eri tu a dovertene liberare. Devi essere fiera di te stessa perché sei riuscita a vincere le tue illusioni da sola. >

< Anche questo è vero. > assentì Jillian. < Forse immagini che cosa ho patito, ma provarlo di persona è diverso. Sento ancora su di me l’angoscia che provavo nel sapere che c’era qualcosa di strano in me; ma non poter capire di cosa si trattava e non sapere come liberarsene era... Angosciante. >

Wantz annuì. < Una tecnica classica è mostrare l’oggetto dei nostri più grandi desideri e fare false promesse in merito ad esso. >

Jillian si portò le mani al petto, stringendosele al corpo, il capo chino. < Può un’illusione… essere così dolorosa? >

Lui la guardò con serietà. < Qualsiasi cosa tu abbia visto, e qualsiasi cosa ti abbia detto, per quanto forti fossero, sono state cancellate dalla tua forza di volontà. Non pensare solo al fatto che ti sei lasciata tentare: tieni conto che hai rifiuto le menzogne in nome della realtà a cui sei così legata. >

La ragazza gli rivolse uno sguardo carico di riconoscenza. < Lo avrò anche rifiutato da sola, ma le tue spinte dall’esterno sono state fondamentali. Grazie. >

Wantz accennò a togliersi un cappello immaginario. < Lieto di averla servita. >

 

 

“Me lo hanno detto in molti: i miei occhi sono come un libro aperto. Vi si può leggere con facilità ciò a cui penso. Ma nei tuoi… Ogni tanto scorgo una scintilla, un guizzo rapido che sfugge subito, e non ho ancora compreso cosa sia. Riuscirò mai a leggere dentro di te come tu hai fatto con me?”

 

 

Dalla somma potenza in cui mi trovo, privo del tuo appoggio, maestro,

quale difesa potrei chiedere o cercare? O su quale

aiuto potrei ora contare per sfuggire all’esilio e alla fuga?

 

 

“Me lo permetterai mai?”

 

 

< E’ stato davvero subdolo da parte sua usare i desideri come arma.> disse Jillian con trasporto.

< Dipende dalla qualità della vita; per alcuni è preferibile morire che passare il resto della vita tormentati dal rimorso. >

Jillian rimase stupida dal modo brusco in cui il ragazzo aveva stroncato quella che a lei era sembrata una profonda e veritiera riflessione sulla natura umana. < Lo pensi davvero? Non so quale esperienza passata ti spinga a dire una cosa così estrema, ma tu preferiresti davvero… >

< Quello che penso non conta. La morale di tutta questa spiacevole esperienza è la seguente. > Trasse un profondo respiro che somigliava molto ad un sospiro. < Un sogno, per se stesso, non è che un’ombra. >

Come dire che lei era riuscita a scacciare le sue tenebre con successo. Bene, felicitazioni per il completamento della missione, Jillian: gioisci, e non far caso alle ombre che ti sembra di veder aleggiare chiaramente attorno alla sagoma del tuo sfuggente compagno. A ognuno i suoi deliri fallaci, no?

< Non farò quello che pensi. Non ti dirò che non devi affliggerti per le tue limitazioni, che devi essere fiero di tutto quello che fai per questo mondo devastato, che non hai nulla da rimproverarti… >

< A me sembra che tu lo stia facendo. > fece notare Wantz.

< … o sciocchezze simili, > continuò imperterrita < dato che so che le prenderesti come tali. >

< E cosa farai, allora? >

< Nulla. Perché so anche che ciò che fai è semplicemente fantastico e tu, consapevole o no di ciò, continuerai a farlo. > dichiarò, protendendosi verso di lui e sorridendo canzonatoria.

< Ah, che atroce verità… Meno male che ci sei tu a sollevare la mia autostima. Grazie. > A dispetto del tono ironico della frase, quel “grazie” finale le parve sincero, e decise di accettarlo come tale.

< Nonostante l’apparenza seriosa, penso che passeresti volentieri tutta la serata a compiacerti dei miei elogi. Anche se, in verità, preferirei tempestarti con le altre domande che mi affollano la mente piuttosto che incrementare la tua valutazione personale. >

Wantz si afflosciò sospirando sino ad appoggiare il mento sul tavolo. < Non sei ancora sazia di chiacchiere? >

< E tu non sfami mai la tua voglia di silenzio? > gli chiese, sorridendo affabile.

< Ora meno che mai. > disse mestamente.

< In effetti, entrambi portiamo queste nostre inclinazioni all’esasperazione, ma forse, proprio per questo, riusciremo ad equilibrarci a vicenda. >

Il ragazzo parlò con la stessa considerazione che si potrebbe dare ad una rapa parlante. < Più verosimilmente, finiremo con l’autodistruggerci. > sentenziò.

La ladruncola si alzò, il sorriso incrollabile e incomprensibile sulle labbra, offrendo al mago una sensazione di serena superiorità.

< Dove vai? > le chiese, con finto interesse, sollevando a fatica il capo.

< A contrattare con la cuoca per la cena. Questa sera voglio regalarti della carne, come mio speciale ringraziamento. >

< Molto gentile da parte tua… Se non fosse che poi devo pagare io. >

< E’ il pensiero che conta, no? > ridacchiò Jillian, ottenendo in risposta dei borbottii soffocati che suonavano molto come “dannata ruffiana”.

La ragazza aprì la porta, ma indugiò sull’uscio. Si voltò verso il compagno di viaggio            

< Wantz, tieni presente una cosa. > Fece una pausa, o forse esitò; impossibile dirlo con certezza. < Alla fine, io ho scelto te. >

Detto questo uscì, abbandonando il mago alla sua confusione mentale; questi lasciò crollare la testa sul tavolo, fronte e naso premuti contro il legno.

< … Ho come l’impressione di essermi fregato da solo. > mugugnò mestamente.

 

 

***

 

 

< Odio tutta questa umidità. > ringhiò.

< Lo so; me lo avrai detto come minimo un centinaio di volte. > 

< E altre cento lo sentirai, dato che non spero più da tempo in una dimora migliore. > disse risentito il ragazzo dai folti e ricci capelli neri. 

L’altro sorrise. < Mio caro Urien, abbiamo cose più impellenti a cui pensare. Inoltre non credo che avresti il coraggio di andare a lamentarti con il nostro sovrano della sua dubbia capacità di giudizio in materia di castelli. >

Urien si voltò verso il suo compare: presumibilmente avevano all’incirca la stessa età (non lo sapeva con certezza perché non glielo aveva mai chiesto), ma Caradoc era decisamente più maturo, serio e assennato di lui. Del resto, i loro caratteri erano diametralmente opposti: collerico e impulsivo l’uno, pacato e misurato l’altro. E quel suo incrollabile sorriso sereno, quasi sonnolento… All’inizio non riusciva a capire se fosse mezzo deficiente o se lo stesse prendendo in giro, avendo scambiato la sua tranquillità interiore per un sentimento di indiscussa superiorità, ma col tempo comprese che era l’espressione abituale di Caradoc; così come lui, invece, aveva il vizio di digrignare i denti.

< Ho ancora abbastanza senno da evitare spontaneamente una simile follia. Già non so come fare a dirgli che tutto questo tempo passato a lavorarsi quel folle di Alec è stato completamente inutile, e che il frammento è caduto in mano di… > non terminò la frase, scosso da tremiti di rabbia.

< Respira profondo, Urien; respira profondo. > consigliò il biondo tranquillamente, sfoggiando l’esperienza accumulata in mesi di sfuriate del ragazzo.

< Ogni volta… Ogni volta quell’insulso mago… > farfugliò, i riccioli cascanti sulla fronte, la bava alla bocca per la rabbia.

Caradoc gli batté una mano sulla spalla. < Calma, amico mio, calma. Questo non faciliterà il perdono del Sommo. >

Il ragazzo passò dalla rabbia all’abbattimento con velocità sorprendente. < Non ci riesco. Non posso dirgli che ho di nuovo sbagliato e che non ho saputo soddisfare le sue richieste. >

< Vuoi che glielo dica io? >

Urien tentennò un attimo, ma poi scosse la testa risolutamente. < Devo dirglielo io. >

< Sono certo che apprezzerà il tuo senso del dovere. >

< Sempre la stessa storia. Cosa vuoi che se ne faccia dell’impegno? Quel che conta sono i risultati. Non riesco mai a… Mi stupisco che non mi abbia ancora eliminato. >

Caradoc aprì la bocca per dirgli qualcosa di confortante, ma si bloccò vedendosi comparire innanzi dal nulla un uomo avvolto in un pesante mantello nero. Il nuovo arrivato aveva capelli neri tagliati corti, modellati sapientemente intorno al capo e un cipiglio fiero. I suoi occhi erano vacui e inespressivi, come il resto del viso; la completa assenza di rughe sul volto era una diretta conseguenza della sua avversione all’espressività eccessiva, o per l’espressività facciale in sé. Rivolse un breve cenno del capo a Caradoc, ignorando completamente il suo rabbioso compagno.

< Bentrovato, Lot. > salutò cortese il biondo. < Rientri da una missione? >

Da qualche parte nel castello, uno gocciolio d’acqua continuava imperterrito il suo scandito percorso, incurante dell’incontro delle tre figure vestite di nero.

L’uomo chiamato Lot assentì  , volgendo appena gli occhi per scrutare l’umido corridoio in cui si trovavano.

< Dov’è? > chiese in tono di voce così assurdamente piatto da sembrare finto.

< Nella sala del trono. Ha detto che non vuole essere disturbato. > spiegò Caradoc.

< Sono di passaggio, perciò mi riceverà. > disse Lot, dirigendosi verso la fine del corridoio, ove svettava un’alta porta di massiccio e ammuffito legno.

< Beh, se ti riesce di parlargli, > gli urlò dietro Urien < digli che quel pazzo visionario è sistemato. Peccato non sia lo stesso per il frammento. >

Lot si voltò verso di lui. < Avete fallito? > chiese, con voce strascicata come i suoi lenti e cadenzati passi. La notizia sembrava interessarlo parecchio, cosa che non sfuggì a Caradoc: curioso vedere Lot occuparsi degli affari altrui, preso com’era abitualmente dalle sue astratte meditazioni su argomenti ignoti.

< Ti proibisco di commentare. E’ stata di nuovo colpa del maledetto maghetto. > abbaiò, memore di tutte le volte che era stato battuto sul tempo da quell’impiccione.

Il moro rispose senza battere ciglio. < Non potrei mai privarti della gioia di dare tu stesso questa notizia. > disse, aprendo la pesante porta.

Urien digrignò i denti, fissandolo con astio. < Non accatto ironia da te. >

< E io ordini da te. Riferisciglielo da solo, cane codardo. > disse, scivolando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.

Tra i due, rimasti soli, calò un prevedibile silenzio, rotto solo dell’incessante gocciolio d’acqua.

< Non avevi detto che volevi informarlo tu? > chiese candidamente Caradoc.

< Speravo che evitassi di farmelo notare. > soffiò, guardandolo storto.

< Perdonami, ma devi ammettere che è stata un’ingenuità chiederlo a Lot. >

Urien sputò per terra, incollerito, per trattenersi dall’artigliare il ligneo uscio. < Quante arie si da, il bastardo. Facile vantarsi quando i lavori sporchi li fanno gli altri; anch’io sarei efficiente nell’occuparmi dei fattacci mei. >

< Evitiamo le beghe, Urien. > lo ammonì il biondo. < Non ci ricaviamo niente nell’assecondare gli umori di Lot. Pensiamo ad occuparci del prossimo incarico. >

< E vediamo di non sbagliare, ‘sta volta. > puntualizzò, nervoso all’idea di dover comunicare quell’insuccesso all’Oscuro. < Ma prima, giusto per sapere, vediamo dove sta il caro impiccione. >

Caradoc scosse amareggiato la testa. < Così alimenti solo le insinuazioni di Lot riguardo la tua fissazione per quel ragazzo. >

< E sia! > sbraitò < Dica pure ciò che vuole, che la mia ossessione è terrore o che sono allucinato da lui. In verità neppure io so cosa mi spinge a cercarlo, ma sai cosa ti dico? Non ha importanza. Mi libererò di questa mania uccidendolo. >

< Non prima che il padrone abbia finito con lui. > specificò Caradoc.

Urien sghignazzò. < Certo, certo… > Umettò di saliva il pollice destro e tracciò un cerchio sulla parete, sussurrando a denti stretti < Monstra mihi curiosum magum. >

La pietra all’interno del cerchio si liquefece, lasciando il posto ad un’immagine del tutto estranea allo scenario tetro del castello: un paesaggio campestre, alberi le cui fronde erano ormai tendenti al giallo; cielo limpido e sereno; al centro della scena vi era una strada sterrata, e due ragazzi la stavano percorrendo, tirandosi dietro un cavallo restio a camminare.

< Si sono rimessi in marcia. > constatò Caradoc, sbirciando oltre la spalla di Urien.

< Già. > annuì questi, storcendo la bocca in un sorriso maligno < Il lento ed inevitabile cammino verso la morte. >

Il gocciolio continuava imperterrito, disinteressato di chi fossero quei tre individui vestiti completamente di nero. Non era sua competenza. Perché preoccuparsi di qualcosa che non ci tocca personalmente? Erano essi flagellatori del genere umano, estirpatori di anime, maestri della tortura e della sofferenza? La cosa non lo riguardava.

Erano i servi per eccellenza dell’Oscuro, i suoi fedeli generali e spietati esecutori, comandanti supremi delle schiere maledette?

Erano essi Lot di Lothian, Urien Rheged e Caradoc, la Triade della Dannazione? Non era un suo problema. Che se ne preoccupassero coloro che avevano un’anima dannabile.

 

 

***

 

 

Lot avanzò sicuro nella penombra, evitando gli ostacoli andando a memoria; non che ci fosse poi molto da schivare. La sala, per quanto immensa, era praticamente vuota. Al fondo vi erano un seggio sopraelevato e davanti ad esso un massiccio tavolo, ma nient’altro. Del resto, bastava l’oscurità a riempire l’ambiente.

Scavalcò una botola nel pavimento e si fermò di fronte a quel trono spoglio nella sua semplicità e freddo nella sua essenzialità. L’Oscuro, figura incappucciata, indistinguibile nelle spesse tenebre, era lì in piedi e gli dava le spalle. Lot si schiarì la voce per palesare la sua presenza. Simile ad una macchia nera animata, rispose con un cenno della mano, invitandolo al silenzio.

< Sta tornando. > spiegò.

Lot attese in silenzio. Alla sua sinistra le tenebre vennero squarciate da un fiotto d’aria argentata che attraversò una finestra e guizzò velocemente nella sala, andando a fermarsi innanzi all’Oscuro. La massa informe d’aria si condensò e prese la forma di un ragazzo dai capelli neri e ricci; piegò il capo, inginocchiandosi dinnanzi all’incappucciato. Questi gli posò una mano scheletrica sulla spalla (e qui Lot distolse prudentemente lo sguardo), sibilando qualche parola incomprensibile. Il ragazzo tornò allo stato gassoso, risucchiato dal braccio dell’uomo, che riprese dentro di sé con un brivido di piacere quella parte di se stesso.

< Un esperimento condotto con successo. > disse, scendendo dal rialzo e avvicinandosi al suo sottoposto.

< Non vorrei irritarvi, perché riconosco la prodigiosità di questo vostra ultima fatica , ma vi faccio notare che ha fallito. >

< Anche Urien fallisce spesso, con una frequenza notevole, direi, ma non mi risulta di averlo eliminato per questo. Anche se devo ammettere che forse Urien è un esperimento di minor valore. > ragionò. < Tuttavia, pensi che mi perderei in fatiche inutili? Ogni nostra azione ha una motivazione, mio caro Lot. >

Lot preferì evitare di chiedersi quale fosse l’utilità della riesumazione di quella parte dell’anima del suo signore.

< Permettete una domanda? >

< Ti ascolto. >

< Per quale ragione lasciate che siano quei due ad occuparsi del mago? Non fraintendetemi: non contesto le vostre disposizioni, ma… >

< Ma vorresti sapere il perché di esse. Questo sfocerebbe però in cose che non ti competono. Non costringermi a punirti per la tua acutezza, Lot: servirti di questi trucchetti non sazierà la tua brama di conoscenza. >

< Vi prego di scusarmi. > sussurrò, piegando il capo.

< Non addossarti la colpa della natura umana stessa; cerca piuttosto di occuparti di ciò che ti viene richiesto. >

< Sì, mio signore. >

L’uomo incappucciato rise sommessamente. < Ah, povera creatura, in conflitto tra la volontà di obbedire e il desiderio di sapere perché il tuo signore, invece di eliminare un ragazzino impudente, gli concede non solo di vivere, ma anche di interferire nei suoi piani. Domanda legittima. >

Lot si mantenne impassibile, nascondendo il suo disappunto per quella imperdonabile mancanza di cautela.

< ”Sembra quasi che non voglia veramente ucciderlo”. I tuoi occhi mi dicono questo. >

Il ragazzo abbassò istintivamente lo sguardo, rendendosi subito conto con fastidio di aver così confermato la tesi dell’Oscuro.

< Non rammaricarti: gli occhi sono specchio dell’anima e per questo possono tradirci, ma non è bello, non è bello, dico, avere un’anima da tradire? >

< Mio signore, > esordì Lot, desideroso di evitare quell’argomento < vi comunico che l’operazione si sta svolgendo secondo i vostri piani. >

< Me ne compiaccio, mio buon Lot; ma su, dimmi: perché sprecare tempo a riferirmi una cosa del genere e non farlo ad operazione conclusa. > Si avvicinò al ragazzo, che a quest’ultima frase si era irrigidito, e gli sibilò nell’orecchio. < Posso capire che ti interessi, ma ti prego di lasciar perdere quel ragazzo, o di rientrare almeno entro i limiti che sai ti sono consentiti. Non costringermi ad usare altri metodi, oltre la preghiera. >

< Come desiderate. > acconsentì Lot, preparandosi a ripartire.

< E non ti crucciare: sei convinto di aver subito una sconfitta, ma anche io non ne sono uscito illeso. > Sotto il cappuccio, l’oscuro rise. < Ora sei certo che il ragazzo mi interessa. Sei dunque sicuro di uscire da questa sede sconfitto? >

Lot pronunciò una formula, gli occhi chiusi, la mente affollata di domande senza risposta e ipotesi non verificabili. La voce dell’incappucciato gli arrivò distorta ma perfettamente udibile.

< Gli umani hanno fede in un dio e lo venerano senza porsi tanti quesiti: perché non provi a fare lo stesso? >

Mentre svaniva, Lot concesse al mago un pensiero accorato: povero giovane a cui forze superiori avevano designato il peggiore degli antagonisti.

 

                       

***

 

 

Wantz contrasse le spalle, colto da un brivido freddo, uno di quei segnali divinatori così rari ma così azzeccati che è impossibile ignorare. Nonostante la sua scarsa esperienza da indovino, capì immediatamente che quello era un chiaro avviso di futuri pericoli. Belli grossi, per di più.

Aspettò che il fremito si estinguesse, fermo in mezzo alla polverosa strada.

< Ti dispiace? > gli chiese una voce femmine < E’ già abbastanza dura costringere questo cavallo a camminare, se ti blocchi anche tu non arriveremo mai a destinazione. >

Il ragazzo aprì gli occhi e lanciò un’occhiata truce a Jillian, che stava intrattenendo un’infruttuosa opera di persuasione sul cavallo, dato che questi non ne voleva proprio saperne di muoversi.

Si avvicinò e appoggiò la sua fronte a quella dell’animale: lo fissò negli occhi e abbozzò un sorriso stiracchiato. Rimase così un po’, sotto lo sguardo allibito della ragazzo, infine si allontanò, riprendendo la marcia, seguito finalmente dal cavallo.

< Signore onnipotente. > esclamò ammirata Jillian, affiancando il mago < Si vede che sei legato a questo cavallo e sai come trattarlo. >

< La mente degli animali è più semplice di quella degli esseri umani. > rispose.

< Più semplice non significa necessariamente più facile da comprendere. > obbiettò.

< No, è più semplice da manipolare. >

< Non dirmelo: dopo tutto quel discorso su “quanto è brutto entrare nel cervello altrui”… >

Il ragazzo non rispose, ostentando un’indifferenza poco convincente.

< Ti dispiace se continuo a pensare che sei solo molto in sintonia con Nagesh? Sai, mi fa sentire meno presa in giro e mi da una sensazione di sicurezza. > chiese lei.

Wantz scosse la testa. < Non hai imparato proprio nulla, eh? Se vuoi continuare a vivere di illusioni, fa’ pure. >

< Niente discorsi filosofici, ti prego. Altrimenti finisce di nuovo male. >

Il ragazzo fece una smorfia. < Finisce male sì, ma non per te. >

Jillian rise. < Sei ancora arrabbiato per la faccenda della carne? >

< Diciamo che non pensavo che l’avresti fatto sul serio. > grufolò il ragazzo.

< Sono sicura che ti ha fatto piacere mangiare del vitello; chissà quanto tempo era che non addentavi un bel pezzo di carne, facendo finalmente un pasto degno di questo nome. >

< Ammettiamo anche che mi abbia fatto piacere questo tuo regalo a MIE spese come ringraziamento da parte tua, > disse il ragazzo, decisamente contrariato < perché ti sei fata anche tu un regalo a MIE spese, senza avere neppure la scusa del ringraziamento? >

La ragazza non poté fare a meno di ridere; educatamente, certo, ma senza nascondere il suo divertimento.

< Non sarei così allegro. > la ammonì < Ho speso un sacco di soldi imprevisti. >

< D’accordo, allora studierò un modo per farti riguadagnare ciò che hai speso. >

< Perso. > corresse Wantz.

Nel vano tentativo di ignorare Jillian che sproloquiava su come racimolare soldi trasformandolo in una specie di fenomeno da baraccone, Wantz si concentrò sul suo presentimento, cercando di afferrare a cosa si riferisse, ma non riusciva a capire. Sperava che non fosse nulla a che vedere con la loro meta. Tuttavia, aveva l’orrenda sensazione che avesse che fare con essa, e quindi anche col suo passato. E dal suo passato non poteva arrivare nulla, se non delle seccature.

Sarebbe arrivato a destinazione? O forse il suo cammino, tracciato precedentemente da altri, lo avrebbe indirizzato altrove? Qualunque cosa ci fosse nel suo futuro, volente o nolente, non poteva far altro che seguire il suo cammino: dove esso lo stesse portando, lo avrebbe visto strada facendo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Inutile ***


 

Mah.

Nient'altro da dire, se non "mah". Rileggendo questo capitolo, la prima cosa che ho pensato era che fosse troppo pretenzioso. Oltre che privo di senso, in numerosi passaggi. I ragionamenti filosofici mi fanno penare parecchio; confido di migliorare con la pratica. Inoltre, il tutto risente del mio nervosismo ingiustificato di quest'ultimo periodo. Insomma, prendete questo capitolo così com'è venuto, in un momentaccio. Oppure come l'ennesima fase di transito, vigilia di tempi, capitoli ed eventi migliori. Forse è dovuto proprio al fatto che muoio dalla voglia di scrivere ciò che succederà dopo quello che vi apprestate a leggere. Se qualcuno avesse poi voglia dirmi cosa pensa di questa cosa, mi farebbe davvero felice; perchè io, sul serio, non so cosa pensare.

 

 

 

Capitolo 14: Inutile

 

 

***

 

 

< Qui ipse sibi sapiens prodesse non quit, nequiquam sapit. >

< No, vi prego… > si lamentò una voce infantile, probabilmente un ragazzino.

< Traduci. > intimò la seconda voce, notevolmente più profonda.

< Il sapiente che non è in grado di giovare a se stesso… Com’era la fine? >

< Nequiquam sapit. > ripeté la voce placida.

< Ah, ecco. Il sapiente che non è in grado di giovare a se stesso, inutilmente sa. >

< Esatto. >

< Allora, da questo punto di vista, è meglio essere ignorante. >

< Dici? >

< Sì. Se uno non ha le conoscenze, è normale che sbagli, e non gliene si può fare una colpa. Se invece si è istruiti, gli errori pesano enormemente. E spesso te li fanno pesare. >

< Vero, ma qui si parlava di altro. >

< Del saper gestire le proprie conoscenze. >

< Per l'appunto; cosa ne pensi? >

< Che è una verità assodata. Tuttavia, penso che ci sia differenza tra un sapiente e un intelligiente. >

< Ti ascolto. >

< Il sapiente deve essere intelligente, ma non necessariamente è vero il contrario. >

< Questo perchè il confine tra intelligenza e furbizia è difficilmente individuabile. Lo dimostra l'acutezza di alcuni contadini, che, per quanto ignoranti e analfabeti, possiedono un'abilità adeguata alle loro necessità. Continua. >

< Ne risulta quindi che il sapiente è superiore all'intelligente perchè ha avuto la fortuna di avere un'istruzione, e da qui ha sviluppato la sua mente fino ad un grado superiore alla media. Appurato ciò, è evidente che intelligente e sapiente agiscono diversamente. >

< E cambia anche il modo in cui gestiscono le loro conoscenze? >

< Certo, perchè esse sono di tipo diverso. Le une prevalentemente pratiche; le altre teoriche, ma abbracciano tutti i campi del sapere. >

< Non era esattamente qui che volevo arrivare, comunque... Vai avanti. >

< Entrambi devono usare le proprie conoscenze per giovare a se stessi. Siamo partiti da questo concetto. >

< Sì. >

< Ma allora, se le conoscenze sono diverse, diverso è il giovamento che se ne trae. >

< Non fa una piega. > confermò.

< Resta da stabilire in cosa differiscono il giovamento del sapiente e quello dell'intelligente. >

< Visto che sei arrivato sin qui, immagino che tu abbia qualche idea. >

< Forse. All'intelligente, per esempio il contadino astuto, basta tirare avanti in questo mondo dove "vige la legge del più forte, ma anche il più furbo non se la passa male". >

L'altro rise. < E il sapiente? >

< Egli non si cura semplicemente delle faccende terrene, perchè ricerca anche verità superiori. Tira avanti in questo mondo dove "vige bla bla bla", ma non si limita ad esso. Inoltre, non ha eccessivi interessi materiali, mentre il contadino astuto mira innanzitutto al proprio benessere. >

< Dunque? >

< Una persona intelligente deve dedicarsi ad acquisire quel che è strettamente necessario, per non dipendere da nessuno; ma se, raggiunta questa sicurezza, perde tempo per aumentare la sua ricchezza, è un poveraccio. >

< Non è un po' pretenzioso? >

< Perchè mai? >

< Perchè a parlare è uno indifferente ai dettami della società, che si disinteressa della ricchezza materiale, che ha una sete di sapere non indifferente, che parla e scrive in più lingue, che ha ricevuto un'istruzione più che adeguata in ogni campo e che, particolare non trascurabile, è curioso come pochi. >

Il ragazzino arrossì, abbassando lo sguardo. < Non sono oggettivo? >

< Direi di no. >

< In effetti, forse tendo ad idealizzare troppo la figura dell'uomo dotto. >

< Ad ogni modo, dopo tutto questo sproloquio, qual è la tua conclusione? >

< Non sarà oggettiva neppure essa. >

< Mi hai intontito fino adesso, abbi almeno la decenza di finire. >

< Però... >

< La tua conclusione? > ripetè.

< In verità non c'è. Attualmente. Per ora ho solo sviluppato una teoria. >

< Sarebbe? >

Il ragazzo si schiarì la voce e declamò: < L’ignorante parla a vanvera, l’intelligente parla al momento opportuno, il saggio parla se interpellato, il fesso parla sempre. >

< Dolente di informarti che centra poco con quanto detto fin ora. >

< Infatti ho detto di non aver ancora una conclusione. Voi cosa ne dite, invece? >

< Che, secondo il tuo ragionamento, l'intelligente è colui che sopravvive, mentre il sapiente è colui che vive. >

Il ragazzino era dubbioso. < Ho detto questo? >

< Al momento > rise < ciò che conta è che hai portato avanti un simile ragionamento. Sarebbe troppo pretendere che tu capisca ora il significato di questo discorso. >

< Uhmpf. Dovrei lasciar perdere queste sofisticherie sull'animo umano. E' troppo complicato per me. >

< Al contrario, hai fatto bene. E in una certa misura, devi. >

< Devo? >

< Homo sum: umani nihil a me alienum puto. > sentenziò il vecchio .

La voce scanzonata ridacchiò. < Questa è facile. Sono un uomo: niente di ciò che è umano considero estraneo a me. >

Vale ancora per me?

< E’ scontata la traduzione, ma non la comprensione. >

< Infatti mi riferivo alla traduzione. >

< Cosa mi dici invece dell’interpretazione di questa frase? >

< Andiamo maestro, è semplice: finché gli esseri umani saranno tali, dovranno necessariamente essere legati a tutto ciò che concerne la loro natura. >

Posso ancora considerarmi un uomo, dopo tutto questo?

< E quindi? >

< Quindi non posso ignorare l'assurdità della mente umana. >

< Cosa pensi che accadrebbe se qualcuno perdesse la sua natura umana? >

< Difficile dirlo. Penso che, probabilmente, non si sentirebbe più partecipe di ciò che lo circonda. >

< Ne consegue che… >

< Che forse sarebbe una sofferenza per lui restare in una realtà che non gli appartiene. >

Cosa devo fare, maestro?

 

 

***

 

 

< Dovresti tagliarti i capelli, sai? >

Wantz  aprì gli occhi, ritornando frastornato alla realtà. < Come? >

< La frangia è sfuggita ad ogni tuo controllo: ti si vedono a fatica gli occhi, sotto quella selva incolta. > La ragazza cercò di individuare le iridi del mago al di là dei ciuffi che ricadevano scompigliati sul volto, alcuni sin oltre il naso. < Scommetto che non ci vedi bene. >

Lui sbuffò. Scrollò la testa, ricacciando indietro quei pensieri stantii. < Mi piacciono lunghi. >

< D’accordo, ma potrei almeno sistemarti la frangia. Conciato così scommetto che non vedi bene. >

< Ti offri come barbiere? > Il ragazzo parve schifato da una simile possibilità.

< Non devo mica farti un taglio completo, o qualcosa adatto ad una serata di gala; anche perchè non ne sarei capace. Sono però in grado di darti una spuntatina, il minimo indispensabile per renderti presentabile. >

< Se pensi di vincermi con queste sottili critiche, sbagli. >

La ragazza cercò un altro modo per convincerlo. < Critiche? Volendo, si potrebbero definire insulti... >

< Le probabilità che io acconsenta diminuiscono... > avvertì.

< Insomma Wantz: ti ho appena detto che così non sei presentabile. Come puoi restare indifferente anche quando ti si dice che rasenti l'indecenza? Dovresti fidarti del parere di una donna, su queste cose. >

Miracolosamente, il ragazzo si trattenne dal domandare "Quale donna?". Ridendo sotto i baffi per la superficialità della sua compagna, rispose: < Ora le probabilità sono nulle. >

Jillian scrollò il capo. < Mi spiegheresti il motivo? >

< Vediamo se ci arrivi da sola. Perchè le persone tengono al proprio aspetto esteriore? >

La ragazza non si lasciò sfuggire quella preziosa occasione di intrattenere un discorso vero con il mago. < Per il giudizio degli altri; sì, direi che è questo il motivo principale. Soprattutto nei ceti elevati, vige una specie di "culto della bellezza", e per bellezza si intendente non solo essa per se stessa, ma anche cura e mantenimento di essa. >

< Vero. > confermò. < E, detto così, ti sembra una cosa buona? >

< Non se da adito a pregiudizi. Inoltre, a lungo andare c'è il rischio che il giudizio degli altri diventi troppo importante, e si perda di vista la giusta misura della cura estetica. >

< Eccolo lì. > annuì Wantz < Il giudizio degli altri. Se non si trova un equilibrio, alla fine se ne diventa schiavi. >

Jillian lo guardò con aria interrogativa. < Neanche io condivido il tramutarla in una mania, ma ho come l'impressione che tu ne faccia quasi una questione personale. Perchè, allora? Non credo sia solo perchè non vuoi essere schiavo dei dettami generali, per quanto penso che anche questo incida, nel tuo caso. Per quanto tu possa odiare la società e le sue regole, non concepisco lo spingersi a trasformarsi in un selvaggio cacovisivo, anche se qui parliamo solo di un misero taglio ai capelli. >

< Per due semplici motivi. > rispose lui, maledicendo la prolissità della ragazza < Primo: come hai detto, non voglio essere schiavo del parere altrui, e non voglio neppure dare corda ad una cosa che non condivido. >

< E poi? >

Wantz accelerò il passo, distanziando la ragazza. < Perchè, per preoccuparsi del parere degli altri, bisogna avere qualcuno il cui giudizio ci importi. >

Quell'affermazione le lasciò addosso una strana sensazione. Tristezza, probabilmente, ma non solo. Le riusciva difficile capire quello scontrosissimo individuo, soprattutto perchè lui non le dava modo di sapere nulla sul suo conto. Così, tutto ciò che ora sapeva su Wantz era composto dalle scarse informazioni che lui le aveva dato e da misere supposizioni. Tuttavia, le sue teorie non erano fantasticherie; poggiavano tutte su elementi che aveva tratto dai comportamenti del ragazzo. E quella frase, unita ai sospetti che coltivava da tempo, trasformarono una delle teorie in certezza.

< Ho l'impressione, che tu soffra di una tremenda solitudine. >

Quell'affermazione, buttata lì all'improvviso, spiazzò il ragazzo.

< Che centra con i miei capelli? >

< Non prendertela a male per ciò che ti sto per dire, > disse lei, raggiungendo Wantz che si era fermato e la guardava stralunato < ma sono certa che tu, seppur inconsciamente, stia mandando delle disperate richieste d'aiuto. Ed è proprio questa la cosa terribile: non te ne accorgi. >

Wantz non era per nulla turbato; pareva addirittura pensare che Jillian fosse uscita di testa. Evidentemente stava pensando: "Ancora con questa storia?".

< Ma non voglio obbligarti a parlarne. > assicurò lei < Per simili questioni, è necessaria una buona dose di fiducia, che tra noi, è evidente, non c'è. E difficilmente ci sarà, visto che tu stesso mi hai detto che non vuoi che io mi fidi di te. Ti basta solo che io esegua i tuoi ordini. E così farò. Non mi intrometterò nelle tue faccende, ma pretendo di essere informata su ciò che riguarda anche me. Quello che ora vorrei sapere, dunque, è perchè sei così nervoso, oggi. >

Gli occhi a mezz'asta come sempre, il sorrisetto di scherno che la ragazza stava imparando a riconoscere, nulla faceva pensare che il ragazzo fosse rimasto colpito da quello che Jillian le aveva appena detto. Guardandola con superiorità, si limitò a chiedere: < Nervoso? >

Jillian annuì. < C'è qualcosa che ti turba. L'ho capito dalla tua camminata: di solito avanzi sicuro, incurante, ma oggi cammini lentamente, come se stessi esaminando tutto ciò che ti circonda. Ora, siccome io stessa so cosa si prova quando si hanno cattivi presentimenti, ti chiedo che cosa ha sentito. Qualcosa ci deve essere, perchè hai dedicato tutto te stesso a quella sensazione, abbassando la guardia con me. > Si avvicinò di più. < Che cosa c'è? >

Wantz ebbe la fugace visione di una madre preoccupata per suo figlio. La ignorò, così come cercò di ignorare il brivido freddo che gli corse lungo la schiena. Un'altra volta, il suo istinto non aveva sbagliato.

< Dimentica queste idee che ti sei fatta su di me. Abbiamo problemi maggiori. > Si voltò. Sbirciando oltre le sue spalle, Jillian vide qualcosa a lei molto familiare.

E molto spiacevole.

< Orchi. > mormorò con voce strozzata.

 

***

< Perchè ha mandato lui? >

< Ne so quanto te; ma la cosa che mi lascia interdetto, in verità... >

< E' perchè Lui ha deciso di fare una cosa del genere. > terminò.

< Esatto. > sospirò l'altro.

< Soltanto ieri mi ha fatto capire che vuole tenere in vita il ragazzo, e ora decide di mettergli paura. >

< Avventato. >

< Stupido, se mi permetti. > lo corresse < Che garanzie abbiamo che quel cane rabbioso non perda il controllo? >

< Non ci sono, nè ci servono; sappiamo benissimo, come del resto lo sa Lui, che farà qualche sciocchezzza. >

< Mi domando > riflettè < perchè non abbia mandato anche te. Agite sempre in coppia, e tu hai l'ingrato compito di trattenere la violenza di quell'animale. >

< Oh, direi che di domande ce ne sono molte altre. >

Scosse la testa, sapendo benissimo cosa intendeva, ma lasciò che fosse lui a dirlo.

< Sappiamo perfettamente che non vuole uccidere il mago, quindi perchè? Perchè fare questo massacro gratuito? >

Silenzio. I due si scambiarono un'occhiata.

< La ragazza? > continuò.

L'altro soffiò dal naso, contrariato. < E' inutile porsi domande senza avere gli elementi per rispondersi. >

< Te ne vai? > chiese.

< Non dovrei essere qui. Sono venuto solo per sentire cosa ne pensavi. > L'altro lo guardò allontanarsi; inaspettatamente, si fermò. < Caradoc? >

< Sì? > rispose, guardandogli le spalle.

< Cosa ne pensi? >

< Di questo? >

< No. Di ciò che sta succedendo negli ultimi tempi. >

< Niente; è la cosa migliore. E dovresti farlo anche tu, Lot. >

Questi non disse nulla, limitandosi a svanire.

< Fiducia... > sussurrò Caradoc, pensando a quello che il mago aveva detto giorni fa alla ragazza < Si può obbedire senza avere fiducia; difficile, ma possibile. Ubbidire senza capire, no. Decisamente no. > Guardò nel muro di fronte a sè la scena di battaglia che, in quello stesso momento, altrove, teneva impegnati il mago e la sua compagna. < Chi cederà prima? >

 

***

 

< Quanti diamine sono? > ruggì Wantz, scaraventando un orco addosso ad altri due che correvano verso di lui, facendoli cadere come sgraziati sacchi di patate.

< Almeno una ventina. > lo informò Jillian, alle sue spalle.

< Contando anche quelli nascosti nella boscaglia? > chiese, dubbioso.

< Ah, no. > rispose lei, schivando un orco particolarmente goffo che cadde ai suoi piedi. Gli saltò sulla schiena e gli tirò una gomitata sulla testa; mentre questo era stordito, premette forte contro la nuca, facendogli strusciare con violenza il naso contro il terreno. Questi ululò di dolore, dimenandosi; Jillian lo lasciò libero, e il poveraccio ne approfittò per correre via, le mani strette sul naso rotto. < Con quelli, siamo sulla quarantina. >

< Non essere così violenta. > la rimproverò, vedendo l'orco senza naso andare a schiantarsi contro un suo simile, che, offeso, pose fine al tormento del compagno staccandogli la testa. < Sono stupidi, ma vendicativi. >

< Soprattutto, sono troppi. > Jillian raccolse da terra un ramo biforcuto, pensando a come servirsene. < L'altra volta mi seguivano in cinque. >

< E i miei erano sette. > disse il mago, sollevando con un incantesimo una delle rozze creature e spedendola in cima ad un albero.

La ragazza si parò davanti ad un orco, spiazzandolo; approfittando della sua sorpresa, gli infilò il ramo nelle narici, strappandogli via la cartilagine. Questo, schiumante di rabbia, fece per avventarlesi addosso; Jillian scattò a sinistra, ma non servì, perchè il mostro aveva preso fuoco e si accartocciò a terra come un papiro abbrustolito.

< Fai attenzione, diamine. > sbottò Wantz, ammirando il suo incantesimo perfettamente riuscito. < Perchè ti sei fissata con i nasi? >

< Non so che altro fare. > si giustificò, afferrando per le briglie il cavallo, agitatissimo. < Sono più robusti, forti, alti e maneschi di quelli dell'altra volta. >

< Sarà una divisione di rango più alto. > ipotizzò, incenerendone un secondo. < Questo non giustifica la tua violenza. Che fine ha fatto la ragazza apparentemente indifesa che mi chiese aiuto? >

< Colpa tua. Mi hai innervosito; devo pur sfogarmi in qualche modo. > spiegò, lanciando un sasso nell'occhio di un orco che stava per prendere il ragazzo alle spalle.

< Molto obbligato. > le disse, calpestando con una certa soddisfazione l'orba creatura.

< Dovere. > disse lei, accarezzando il cavallo, che non accennava a calmarsi. Wantz comparve al suo fianco.

< Sali.>  le intimò.

Jillian notò che il ragazzo era di nuovo nervoso. < Che succede? >

< Sono decisamente troppi. Troppo rischioso per te. >

< Aspetta un attimo... > Ma il ragazzo non aspettò: la sollevò di peso e la issò sulla sella del cavallo, finalmente quietatosi.

< Le signorine sono esentate dai combattimenti pericolosi. > le disse.

Jillian gli lanciò un'occhiata carica di rancore. < Non trattarmi come una bambina incapace. Hai visto che sono in grado di aiutarti e... >

< Appunto. > la interruppe < Temo per quei poveri sventurati e i loro nasi. >

< Wantz, dietro di te! > Un orco arrivava alla carica, deciso a schiacciare il ragazzo, ma sbattè contro qualcosa di invisibile e indietreggiò, stordito. Il mago aveva alzato una barriera intorno a loro.

Wantz, incurante del fatto che gli esseri verdi li stavano accerchiando, sussurrò all'orecchio del suo cavallo: < Non fermarti finchè non sarà al sicuro. >

< Che significa? > gli chiese, incredula < Resti qui? Non hai ammesso anche tu che sono troppi? >

Wantz, nonostante la ladra facesse resistenza, le passò una cinghia della sella intorno alla vita, bloccandola in modo tale che non potesse scendere.< E' una giornata troppo bella per essere rovinata dalla vigliaccheria. >

< Mi prendi in giro? > chiese, cercando invano di liberarsi da quella bardatura. < La morte invece ti sembra un condimento adeguato? >

Il ragazzo sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi beffardi. < Non c’è da preoccuparsi. Io non posso morire. >

< Non dire assurdità. Per quanto tu possa essere abile, resti solo un essere umano contro una folla di mostri sanguinari. >

Un essere umano, eh?

Wantz strinse meglio le cinghie delle staffe, senza abbandonare quell’aria canzonatoria decisamente fuori luogo. Quando ebbe finito, rivolse un’ultima occhiata alla ragazza.

< E’ evidente che non mi conosci. >

Se tu sapessi… Mi considereresti capace di sentimenti umani?

Diede una pacca sul sedere del cavallo, che partì immediatamente al galoppo, travolgendo al suo passaggio una manciata di orchi e allontanandosi rapidamente. Jillian tentò inutilmente di fermarlo: l’animale correva come un forsennato, deciso ad obbedire al suo padrone.

Posso ancora sperarlo?

Posso sperare che quello che è successo non abbia cambiato le cose?

Conscia di non poter fare nulla per fermare il cavallo, Jiallian voltò indietro la testa. Il ragazzo era stato accerchiato dalle creature, e teneva le mani intrecciate all’altezza del viso. Gli esseri non sembravano avere nessuna intenzione di seguirla, mentre parevano molto propensi ad accontentarsi del mago.

Posso illudermi di non essere… cambiato?

 

***

 

< Maestro, ricordate quel discorso che facemmo tempo fa? >

< Quale fra i tanti, mio acerbo filosofo? >

< Quello sul sapiente e sull'intelligente. >

< Certo. Hai la conclusione, ora? >

< No. Tuttavia, pensando ad essa mi è venuta in mente una cosa. >

< Ti ascolto. >

< Riguarda quella che può essere definita l' "arte di arrangiarsi", il sopravvivere. >

< Che non è il vivere. >

< Sì. Bene, pensavo che, per quanto riguarda l'intelligente, che si limita alla ricerca di un benessere materiale, ciò che si cerca è una condizione accettabile; il sapiente, invece non si ferma, persevera in una ricerca infinita. E' ovvio che l'intelligente non perderebbe mai tempo nel cercare qualcosa che non sa cosa sia, dove sia, e a cosa serva, come le conoscenza teoriche superiori, obbiettivo del sapiente. Perciò, mentre per il sapiente c'è la possibilità di raggiungere la condizione migliore, secondo i suoi canoni, l'intelligente non arriverà mai al massimo delle sue possibilità, per il semplice fatto che si "accontenta", e non si "perde" in una infinita (e presumibilmente infruttuosa) ricerca. >

< E quindi? >

< Quindi, secondo l'intelligente... Vivas ut possit, quando nec quis ut velis. >

 

***

 

Il fiato corto, un taglio sulla fronte abbastanza profondo da fargli colare il sangue negli occhi, le membra pesanti, Wantz contò con raccapriccio quindici orchi.

< Già stanco? >

Il ragazzo strinse i denti in un ghigno. < Comprensibile, visto che sostituisci quelli che uccido con degli altri freschi e riposati. >

< Hai ragione > rispose, meditabondo < Ultimamente abbiamo avuto molte perdite: dodici orchi e un incrocio-ufficiale. Per non parlare di vari frammenti, e della cinquantina di miei sottoposti che hai appena eliminato. >

< Quindi, > chiese il mago, approfittando della pausa < devo prendere questa visita come una spedizione punitiva? >

Il tizio vestito di nero finse di rifletterci. < Forse. Altrimenti puoi interpretarla in altri modi. Che so, la tua fine, il rapimento della ragazza... >

Wantz drizzò le orecchie. < Potrei offendermi. Cos'è tutto questo interesse per lei? >

< Invidioso? >

< Invoco il diritto d'anzianità. >

< Già, > annuì, scendendo dall'albero e avanzando verso di lui < quanto tempo è che mi sei tra i piedi? >

< Ufficialmente? O intendi anche quando non sapevate di me? >

< Da quando rovini qualsiasi cosa io faccia. > ringhiò, tirandogli un calcio nello stomaco. Wantz cadde sulle ginocchia, stringendosi il ventre con le braccia. Sputò sangue, ansimando. < Allora, Wantz: cosa pensi che sia venuto a fare qui? >

< Scomodare addirittura un membro della Triade... A cosa dovrò mai tanto onore? > si chiese, passandosi una mano sulla fronte sanguinante.

< Oh, nulla di particolare in verità. > rispose l'altro.

< Dovevo immaginarlo, visto che mi hanno mandato l'ultima ruota del carro. >

L'uomo in nero lo sollevò per il bavero, livido di rabbia, gli occhi dilatati e i denti serrati; se lo portò all'altezza del volto. < Gioca pure con la tua vita, mago, ma ricordati della ragazza. > ringhiò.

Wantz sogghignò, guardandolo con sufficienza.

< Attento: qui c'è qualcuno che detesta i carri. >

 

< Forza, Nagesh, fermati. Ti prego! >

Il cavallo si fermò, (cogliendola di sorpresa e rischiando di sbalzarla via) non tanto per l' insistenza della ragazza, quanto perchè, come aveva chiesto il suo padrone, ora erano abbastanza lontani da reputarsi al sicuro. Jillian si chiese se fosse sotto l'effetto di una magia o se avesse davvero capito quello che Wantz gli aveva detto. Non si soffermò su quel particolare inutile, e ragionò sul da farsi. Mentre tentava con scarsi risultati di sgusciare fuori da quel groviglio di lacci di cuoio, provò a convincre a parole il cavallo a muoversi. Con ugual fortuna. Decisamente contrariata, frugò tra le sacche del ragazzo per vedere se ci fosse qualcosa di utile. Tra erbe, polveri, fogli, inchiostro e aggeggi dall'ignota funzione, trovò un coltellino. Conscia del fatto che Wantz non avrebbe apprezzato, tagliò le cinghie; finalmente libera, respirò profondamente per calmarsi. Che fare? Aspettare che Wantz finisse, o venisse finito? Del resto, non era poi così strano che l'avesse mandata via; l'aveva fatto sicuramente per la sua incolumità, però...Si sentiva in colpa a lasciarlo solo. Non che lei potesse portargli un grande aiuto. Forse era la sua solita fobia dell'essere inutile. Però, ormai le era chiaro che era stato lui ad uccidere gli orchi che la seguivano, il giorno del loro incontro; era in debito, e avrebbe voluto aiutarlo in qualche modo, oltre ai soliti inutili ringraziamenti verbali. Sì, ma non è che poi, arrivata lì, gli sarebbe stata d'intralcio? Ma lui ce l'avrebbe fatta da solo? E poi, perchè si faceva tanti problemi? Se era rimasto, voleva dire che aveva i mezzi per sopravvivere allo scontro.

Dentro al vestito, sentì il suo frammento strusciare contro la pelle. Una frase le attraverso la mente.

< Posso capire che tu stia ancora cercando di verificare se sono degno di fiducia o meno. Ma io non pretendo che tu faccia affidamento su di me. Non l’ ho mai chiesto. > Wantz le aveva detto questo dopo l'episodio della peste. E poi...

< Voglio che tu non interferisca con il mio stile di vita. >

< Io non sono qui per giudicarti. >

< Vero, ma neppure per cambiarmi. >

Che cos'era? Che cos'era che lo tormentava?

E lei? Che cosa mai avrebbe potuto fare per lui? Come si può aiutare qualcuno che non vuole essere aiutato?

< Che vuole da lei? Perché si interessa alla ragazza? > [...]

< Io non te lo permetterò, qualunque cosa tu abbia in mente! >

Prese le briglie, e il cavallo partì al galoppo, senza bisogno che lei facesse nulla.

 

Accasciato a terra, Wantz rigettò sangue per l'ennesima volta. In piedi davanti a lui, l'uomo in nero lo fissava con astio.

< Sei un essere strano, Wantz. > Lo guardò, ansimante e stremato, incapace di alzarsi.

< Tu non sei facile da trovare. Ti nascondi a lungo e poi, d'un tratto, ti mostri con assoluta, e sconsiderata, evidenza. Te ne vai in giro senza un disegno preciso. >

< Perchè dovrei? > chiese con un fil di voce, mantenendo però il suo tono ironico < Un pittore ben più abile di me ha già tracciato il mio disegno. >

< E questo non ti sta bene, vero? Tra tutti i tuoi problemi, è la cosa che ti rode di più. Il non essere padrone del tuo futuro. Ti capisco, è una sofferenza atroce. >

Wantz trasse profondi respiri. < Parli del futuro, ma che mi dici del presente? >

< Come? > chiese l'altro < Non ti capisco, parla più forte e non farfugliare. >

< Che razza di presente ha colui che si lascia comandare dagli altri? > disse.

< Non ti sento. > ripetè, tirandogli un calcio sotto il mento per alzargli il viso.

< Io non sono il cane di nessuno. > mormorò, sorridendo placido < A differenza di te, Urien Rheged. >

Livido di rabbia, Urien gli rifilò una sequela di calci, finchè il mago non cadde a terra, ormai allo stremo.

< Come puoi parlarmi così. Proprio tu, che non sei così diverso da me. >

Il viso affondato nel terreno, il cui odore gli riempiva le narici, trovando ancora un briciolo di forza, Wantz rise. < Sbagli. Non sono come te. >

< E in cosa saresti differente? > sbraitò Urien con la bava che schiumava dalla bocca e gli occhi spiritati < Siamo afflitti dalla stessa condanna; impegnati in un progetto in cui siamo finiti per volere altrui e incapaci di uscirne; siamo misere pedine su una scacchiera, e la partita è gestita da altri: ma non possiamo far altro che seguire le direttive dei giocatori, mossi da fili invisibili, finchè non sarà finita. >

< Io > biascicò il ragazzo < sarò anche una nullità, ma... in confronto a te... sono un sapiente. >

Era ormai al limite della sopportazione. Sapeva che non doveva ucciderlo, ma quel maledetto mago giocava con lui. Sarebbe stato così facile dargli il colpo finale...

< Che diavolo farnetichi? >

E, soprattutto, così gratificante...

< Non lo capisci? >

La sua rivincita, finalmente. La rivincita...

< No. Sapiente tu, sciocca pedina? >

... contro quel maledetto ragazzino che, al contrario di lui...

< Sì, perchè io... io non mi rassegno. >

... aveva la forza di opporsi.

Sfoderò la spada, calandola con forza sul corpo privo di forze del ragazzo.

 

***

 

< E allora, qual'è la differenza tra intelligente e sapiente. >

< L'intelligente si rassegna e si accontenta. Ma il sapiente ha in sè quella vena di pazzia mista a genialità che lo spinge ad andare oltre, anche se sa che è perfettamente inutile. >

< Si ricollega a quello che hai detto prima. >

< Sì, maestro. >

 

***

 

Vivas ut possit, quando nec quis ut velis.

Vivi come puoi, dal momento che non puoi vivere come vorresti.

 

Non aveva mai visto una guerra, ma il risultato finale doveva essere simile a ciò che le si presentava davanti. Morti ovunque. Solo che qui non si trattava di soldati, ma di mostri. Il senso di desolazione era lo stesso, però. In mezzo a quelle salme, non vedeva quello che stava cercando. Ma lei non cercava una salma. Oppure sì?

"Dove diavolo sei, stupido magonzolo?" si chiese, cercando in mezzo alla vegetazione. In una piccola radura, vide una macchia scura. Spinse il cavallo in quella direzione, verso quello che aveva tutta l'aria di essere un uomo avvolto in un mantello, a pancia in giù, immobile.

< Wantz! >

Saltò giù senza fermare l'animale e raggiunse il ragazzo. Con sollievo, vide che era vivo. Si chinò di fianco a lui, raggiunta anche da Nagesh; lo girò, poggiando sulle sue ginocchia il capo del mago. Aveva un taglio molto profondo sulla fronte che gli aveva imbrattato faccia e capelli di sangue; ma le ferite erano sparse un po' ovunque, compresa una sulla gamba, piena di terra, che sembrava sulla buona strada per infettarsi. Ansimava, alla disperata ricerca di aria.

< Uhg. > mugolò, per farle capire che era cosciente. Teneva gli occhi chiusi, perchè il sangue era colato fin sopra le palpebre, e aprendoli sarebbe entrato dentro.

< Hai visto? > gli disse, angosciata, scostandogli delicatamente i capelli dalla fronte insanguinata < Sei riuscito a rovinarla lo stesso la giornata, vigliaccheria o no. >

< Forse hai ragione, sai? > biascicò il ragazzo < Dovrei sistemare la frangia. >

Tentò di raddrizzarsi sui gomiti, ma ricadde pesantemente sulle ginocchia della ragazza, esausto.

< Non venirmi a dire che ti hanno ridotto così solo perchè non ci vedevi bene, perchè sono capace di strozzarti seduta stante. > minacciò, ostentando un atteggiamento il più normale possibile. Prese una pezza da una delle sacche appesa alla sella e cominciò a pulirgli il volto, senza riuscire a trattenere il fremito che le faceva tremare le mani.

< Diciamo allora che i tuoi discorsi mi hanno inebetito? >

< Non scaricare la colpa su di me. > sbuffò; sbattè le palpebre, sentendo che gli occhi si inumidivano < Sei l'unico responsabile. Si può sapere che ti è successo? >

Wantz non rispose, inspirando aria; quando Jillian gli ebbe tolto il sangue dagli occhi, li aprì, lanciandole uno sguardo sfinito e vacuo. < Perchè sei tornata? >

Jillian sorrise. < Perchè ti stavi uccidendo. > disse, esattamente come quando lo aveva fermato durante l'incantesimo per gelare i bacilli della peste.

Il ragazzo le regalò un sorriso triste, lo stesso che le aveva fatto dopo la dipartita del "ricordo" dell'Oscuro.

"Non farlo. Non ora. Mi si spezza il cuore a vederti così. Se sorridi solo quando stai soffrendo, non voglio vederti sorridere mai più."

Emise un gemito di dolore, si girò da un lato e sputò una miscela di saliva e sangue. Tutto intorno a lui, il terreno era chiazzato di macchie rosse.

< Sei una bambina disubbidiente. >

< Wantz... > sussurrò, pulendogli le labbra con il panno. < Io... >

< Però adesso ti prego di ubbidirmi. > Ebbe uno spasmo, ma si riprese in fretta. < Va' a cercar legna. >

< Da bruciare? > chiese, stupidamente. Lui annuì, richiudendo gli occhi; adesso respirava più lentamente, come se si fosse rassegnato a non raggiungere l'aria che volteggiava intorno a lui, insensibile alla suo bisogno di respirare. < Non sarebbe meglio se andassi a cercare aiuto? >

Wantz fece una smorfia divertita. < Non preoccuparti di ciò che è inutile. E poi... > tossì < Non è bene lasciare dei cadaveri a marcire. >

Non ne aveva il coraggio. Non aveva il coraggio di chiedergli se i cadaveri da bruciare era quelli degli orchi oppure il suo. Non aveva il coraggio di chiederglielo. Non aveva il coraggio di lasciarlo, per paura di cosa avrebbe trovato al suo ritorno.

< Jillian. Non te lo sto ordinando. >

"Ma se mi guardi così, che altro posso fare?"

 < Te lo sto chiedendo. >

"Non sorridere, ti prego."

Posò la testa del ragazzo sul terreno; esitò un attimo, poi si alzò.

< Va bene. > disse, con malcelata ansia < Farò il più in fretta possibile. >

Si allontanò senza voltarsi, con l'opprimente sospetto che forse il ragazzo era ridotto in quello stato perchè quelle creature cercavano lei.

 

 

Silenzio. No, era diverso, era come se ci fosse una totale assenza di atmosfera, senza aria, senza alcun paesaggio. Ah, era un po' che non vedeva quello scenario.

< Bentrovato, Wantz. >

< Maestro, ditemi... >

< Sì? > lo incoraggiò la voce pacata che ben conosceva.

< Mi domandavo... E' sempre tutto così bianco, qui? > chiese, voltandosi verso di lui.

< Sempre. Può dartene conferma anche la tua giovane compagna. Ogni anfratto della mente in cui si può rifugiare, essere adescati e cadere in stato comatoso è così dannatamente bianco. >

< Sento rancore nella vostra voce. >

< Oh, no > smentì, avvicinandosi al ragazzo < solo un po' di disappunto. Alla lunga annoia, ecco. > La voce pacata apparteneva ad un vecchio uomo coi capelli grigi e una barba stranamente bianca, visto il colore dei capelli; gli occhi azzurri erano vispi, in netto contrasto con l'età che sembrava pesare su tutto il resto del corpo. Indossava una specie di saio marrone, che gli conferiva una parvenza di saggio.

Wantz inspirò. < Era un po' che non venivo qui. >

< Qui non si viene. > lo corresse l'anziano < Si è mandati. >

< Avete ragione. Diciamo che era un po' che non mi capitava di essere saccagnato di botte in quella maniera. >

< Che scurrilità, ragazzo: abbi rispetto per questo luogo di transizione che ora mi funge da dimora. >

< Perdonatemi, è solo che... >

< Preferisci quando sono io a venire da te. >

Il ragazzo annuì. < Quando sono qui, è come se capissi davvero; come se in verità io facessi finta di sapere, e solo la cruda realtà mi costringere ad ammetterlo. >

< Presumo che tutto questo nulla, o assenza del tutto, se preferisci, spinga alla riflessione. >

< Già. E quando sono qui, mi chiedo perchè... Perchè io sono qui, sapendo che al di là c'è la morte, e ogni benedetta volta... Mi tormenta più che mai, perchè lei è riuscita ad uscire da una situazione analoga da sola, mentre io... >

< Wantz. >

< Sì? >

< Che diamine ci fai ancora qui? >

 

 

Perchè? Nella profezia era scritto che "loro ce l'avrebbero fatta". E dunque? Era già tutto finito?

Raccolse un ramoscello, caricandoselo in braccio insieme agli altri. Per ora poteva bastare; non poteva portarne altri, ameno. Avrebbe portato quelli e poi, nel caso, sarebbe tornata a prenderne altri.

Non riusciva a voltarsi. Non voleva tornare per timore di ciò che avrebbe potuto trovare. Vigliacca.

Siamo citati nella profezia, si diceva. Nel frammento di Wantz. Era scritto. "Sarà difficoltoso. Molto difficoltoso. E lungo. Molto lungo." A lei quelle due settimane e mezzo passate con il mago non sembravano affatto un tempo così lungo.

Era passata almeno mezz'ora. Visto il tempo trascorso, la legna raccolta era davvero in quantità ridicola. La verità era che perdeva tempo per non dover tornare. Non sopportava il pensiero che, dopo l'illusione di poter portare avanti un compito così importante con qualcuno, ora si ritrovasse nuovamente sola, e con un fardello così pesante.

Non ci riesco.

Non poteva certo tornare da Margareth con le pive nel sacco e ammettere che si era smagliata. Sbagliata un corno. Dopotutto, era citata nella profezia. Sì, certo, una profezia che recita "Una convivenza forzata, ma necessaria alla risoluzione finale". Poteva anche forzarla un po' più a lungo, questa convivenza. Ho beccato l'unica profezia fallata della storia.

E poi lui è così dannatamente incomprensibile... Perchè accetta di lasciarsi morire così? Forse perchè pensa che non importi a nessuno? Tu stesso mi hai fatto capire che non ti importa il parere degli altri  ma non hai il diritto di fare una cosa così assurda. Perchè io la giudico assurda. Può non importarti il mio parere, ma non ignorarmi. Non fare come se non ci fossi. Non farmi capire che non ti importa di me.

Va' e controlla!

< Non preoccuparti di ciò che è inutile. >

Perchè? Perchè ti consideri inutile?

La legna le cadde di mano, finendo a terra. Trattenne il fiato, e con esso le lacrime che si facevano prepotentemente sentire.

Un rumore di passi alle sue spalle. Neppure il tempo di girarsi, di capire che era arrivato qualcuno, che questi le rivolse parole scocciate.

< E allora? >

 

 

Perchè? Perchè nessuno mi fa pesare questi miei atroci errori?

Non merito neanche il vostro biasimo?

< Nella grande saggezza c'è grande dolore e chi incrementa il proprio sapere incrementa il proprio dolore. >

Qaunta verità in quelle vostre parole, maestro.

Solo ora lo capisco.

< Diu vivendo multa quae non vot videt. >

Vivendo a lungo, uno vede molte cose che non vorrebbe vedere.

Vero anche questo. E si fanno molte cose che si vorrebbero evitare.

< Quella specie di coraggio ridicolo che si chiama rassegnazione. >

Oh, ma io l'ho sempre detto, che sono un gran vigliacco. Non mi rassegno.

Nè ora nè mai.

Vivas ut possit, quando nec quis ut velis.

Ora e per sempre.

 

 

Il mantello nero lungo sino ai piedi. La spada che penzolava inerte lungo il fianco sinistro. La tracolla sempre al suo posto, come un fossile. I capelli irrimediabilmente scompigliati. Una visione abituale che diviene di colpo del tutto inattesa.

< Tu... sei... >

Appoggiato ad un albero, il capo chino, il fiato corto, chiaramente stanco e dolorante, a mala pena in grado di reggersi sulle gambe, ma decisamente...

< Vivo! >

Wantz si lasciò sfuggire un verso divertito.

< Mi sembra di avertelo detto, no? > Alzò il volto, rivelando due occhi nuovamente pieni del disprezzo e della malizia che li caratterizzavano. < Io non posso morire. Non ancora. >

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Rinunce ***


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Ok, per iniziare le solite scuse pietose. Non è stata colpa mia! Sul serio, chi mi conosce sa che ho avuto un’estate al limite del paradossale, un trasloco infinito, un computer fesso, un modem evanescente, una madre che non si merita tale titolo, uno shampoo con lo sciroppo di menta, un’ escoriazione contro un albero, vicini invadenti, un buco per gli orecchini infettato e tante altre gioiose amenità.

 Lore, Saretta, siatemi testimoni supremi.

Insomma, perdonatemi per questa attesa mostruosa (tre mesi?? Rasento davvero l’indecenza…), se vi riesce. Ora sono a posto (col computer, almeno).

Vedo che la pronuncia dei nomi miete nuove vittime. XD E’ più facile di quanto possa sembrare, Selene: la ” w”  è come se fosse una ” u” e la “t”  non si legge. La pronuncia corretta è pertanto “uanz”. Se vuoi unirti al nutrito gruppo di persone che mi odia per i nomi che scelgo e per l’uso del latino, ti capisco perfettamente. Devo ammettere che mi sono dimenticata di dire qual è la traduzione del titolo (Lore docet). Chiedo venia. Rimediamo subito: La profezia centenaria dell’oblio. Evviva la fantasia.

Tra l'altro mi sa che qualcuno ha frainteso: non è questo il capitolo che "muoio dalla voglia di scrivere". Ma ci siamo quasi. Dopo quello, finalmente la storia sarà più chiara. Chi avrà pazienza sarà premiato. Spero che mi darete fiducia e proseguirete la lettura. I commenti sono sempre graditissimi, e anche le sgridate. The show finally go on.

 

 

Capitolo 15: Rinunce

 

 

***

 

Il ragazzo scosse la testa, per nulla convinto, agitando i folti e scarmigliati capelli corvini.

<< Penso che sia una sciocchezza >>, disse, dubbioso.

Sdraiato a terra, le mani intrecciate dietro la nuca, un enorme libro aperto appoggiato sul volto in modo da difenderlo dall'invadenza del sole, la barba bianca che spuntava da sotto le pagine e ricadeva fin oltre le clavicole, un uomo in piena terza età rise della scetticismo del fanciullo.

<< Sei libero di pensarlo, ma se brami di diventare un mago, non puoi sottrarti a questa sciocchezza. >>

<< Ma scusate, si sa che può praticare la magia solo chi possiede in sé tracce dei Sacri Doni, chi discende da maghi o stregoni e ne ha perciò il sangue o chi dimostra abilità innata. E allora, io mi chiedo, perché è necessaria una cosa ridicola come un rito per legittimare l'uso della magia? >>

<< Perché soltanto chi è pronto a fare sacrifici, a mettere da parte il proprio bene personale e a usare la magia in modo disinteressato merita la concessione dei Sacri Poteri. >>

<< Sì, certo >>, ironizzò. << Poi tanto fanno tutti quello che vogliono... >>

<< Questo succede ora, perché sono tutti talmente travolti dalla profezia e da questa situazione anomala da non curarsi dei precetti che regolano il retto utilizzo di incantesimi e affini. >>

Il ragazzo sbuffò. << Bella roba. Un'altra cosa che non capisco, è perché il Rito consista nel rinunciare a qualcosa. >>

<< Non l' ho deciso io: maghi di gran lunga superiori a me hanno posto i fondamenti per regolare la comunità magica. Il Rito è sempre stato uno scoglio di difficile superamento; un modo sicuro per allontanare gli indegni dalla pratica magica. E' necessario sacrificare qualcosa di prezioso, come la famiglia, l'amicizia, metà degli anni ancora da vivere, l'udito, la voce, la vista... Ogni mago sceglie qualcosa che ritiene importante ma, in genere, di cui pensa di poter fare a meno. Ed è qui la fregatura. >>

Il ragazzo non capì. << A cosa vi riferite? >>

<< Succede sempre così: si rinuncia a qualcosa che sul momento sembra privo di valore o interesse ma che, col tempo, diventerà oggetto di desiderio o di vera e propria ossessione. Difatti, chi rinuncia a qualcosa a cui tiene veramente o verso cui prova un forte interesse, ottiene poteri e capacità superiori a chi operata una scelta mirata alla minima perdita. >>

<< Maestro, è successo anche a voi? >>

<< E' strano >>, constatò placidamente, << Avrei scommesso che mi avresti chiesto direttamente a cosa ho rinunciato. >>

Il ragazzo si mostrò indignato. << Come potete anche solo pensarlo. E' stata una scelta personale, e me lo direte solo se vorrete, e solo quando potrò capirlo. >>

<< Quindi, ritieni che, attualmente, non saresti in grado di capire? >>

<< No >>, rispose prontamente. << Per il semplice fatto che non capisco l'utilità di una patrica simile. >>

Il vecchio rise, compiaciuto. << Ottimo ragionamento. >>

Rimasero in silenzio, l'uno godendosi la brezza sul volto, l'altro continuando a poltrire. Il cielo era limpido, con un'unica nuvola solitaria che sfidava l'azzurra omogeneità regnante.

<< Sono stati pochissimi i maghi e gli stregoni che non si sono pentiti della loro scelta per il Rito >>, riprese l'uomo. << E questi pochi sono tutti passati alla storia per i loro poteri. Penso, e spero, che ci sarà qualcuno del genere al momento dello scontro con l'Oscuro. >>

<< Non mi avete ancora risposto. >>

Il vecchio sospirò. Si tolse il libro dalla faccia e si sedette, rivelando la sua inaspettata chioma argentata, in netto contrasto con la barba canuta. Si voltò a guardare il suo giovane discepolo e gli sorrise dolcemente.

<< Per certi versi >>, disse, con quella sua parlata lenta che ricordava lo scorrere quieto e pigro di un fiume di montagna, << si è rivelata la cosa migliore. Ma in generale, come per quasi tutti, si è rivelato l'errore più grande della mia vita. >>

 

***

 

 

Wantz aprì gli occhi e si drizzò a sedere di scatto. Non gli capitava spesso di sognare avvenimenti del passato, e quando succedeva non si trattava mai di episodi piacevoli. Del resto, sarebbe stato strano il contrario.

Alla sua destra Jillian dormiva appoggiata ad un albero. Stava in una posizione decisamente scomoda, ma evidentemente si era addormentata di botto per la stanchezza senza avere il tempo di trovare una sistemazione migliore, considerato tutto ciò che aveva dovuto fare durante il giorno. O meglio, considerato tutto ciò che lui l'aveva costretta a fare. Ripensò alla ragazza che raccoglieva pezzi di orco in giro per la foresta e li bruciava con meticoloso godimento, vincendo il ribrezzo per quei resti sanguinolenti. Mentre la ragazza si dilettava in quella lugubre vendetta, lui dormicchiava ed eseguiva un lento lavoro di rigeneramento per curare le ferite: finì relativamente presto, ma la fretta con cui aveva eseguito quelle complicate magie curative lo aveva spossato oltre il limite, costringendolo all'immobilità per tutta la giornata. Nei momenti in cui era lucido vedeva Jillian o che alimentava il falò, o che si concedeva una rara quanto meritata pausa; una volta gli parve di scorgerla mentre stava intagliando un pezzo di legno, ma non ne era sicuro, e un'altra che lavava dei panni in un catino spuntato fuori da chissà dove.

Adesso lei era caduta nel sonno del giusto, e lui, come ogni notte, non sarebbe riuscito a riaddormentarsi facilmente. Gli anni gli avevano abbreviato il sonno. Inoltre, lui preferiva coricarsi tardi, restando fino a sera tarda in cammino o impegnato nelle attività del caso per poi riposare di giorno; cosa che ora non era possibile, a causa della presenza della ragazza, e i suoi orari già sballati ne uscirono ancora più assurdamente privi di logica.

Infine, la notte gli incontri col maestro erano più probabili; e non era suo desiderio sprecare delle buone occasione per parlargli.

Sapeva che quella notte il maestro non sarebbe uscito: "sentiva" che anche lui era rimasto provato dallo scontro. Infilò una mano dentro la maglia e tirò fuori lo zaffiro legato come pendente al laccio nero che portava intorno al collo. Guardò la pietra risplendere della luce lunare che filtrava tra gli alberi.

La rinuncia è una forma di virtù? Un qualcosa che indica grande forza d'animo? Oppure è segno di debolezza, nel senso che gli uomini veramente abili riescono ad evitare di dover fare rinunce? Ma è possibile una vita senza alcuna privazione? La si può usare come metro di giudizio? Se le rinunce sono conseguenze inevitabili dell'esistenza umana e portano sovente a sofferenza, perché imporne volutamente? Quando tempo aveva speso a porsi domande simili. Qualche risposta se l'era data. E rinunce sì, ne aveva fatte, eccome. Tuttavia, certi dubbi restavano; e anche l'amarezza.

Strinse lo zaffiro nel pugno: era tiepido. Rimpianse per un attimo di non essere come gli altri. Non poter contare su certezze assolute, benché sbagliate o prive di fondamento... Ecco, era una cosa che a volte invidiava alla gente comune. Essere privo di punti d'appoggio, di basi su cui fare affidamento, di un qualsiasi cosa che lo facesse smettere per un attimo di mettere in discussione tutto ciò che lo circondava. Una certezza, anche una sola...

Che non fosse, possibilmente, la presa di coscienza sulla sua miserevole condizione di dannato.

 

 

E' bello avere delle certezze, nella vita. Cose che sai che difficilmente cambieranno. Una di queste era sicuramente l'umidità di quel dannatissimo castello. Un'altra era la bastardaggine di quel damerino di Lot. E poi c'era la straordinaria abilità del maghetto nel guastare i piani altrui, specialmente i suoi. Il vero pilastro della sua esistenza, però, colonna portante di ogni sua giornata, era la capacità di Caradoc di scrutare nel suo animo fino a scovare ogni sua debolezza, ogni desiderio, pensiero o timore; era certo che, se lo avesse voluto, avrebbe potuto schiacciarlo psicologicamente in qualsiasi momento.

Cercando di ignorare l'interminabile gocciolio d'acqua che gli stava facendo saltare i nervi, Urien tentava con scarsi risultati di sparire dalla vista del suo compagno che, piantato immobile innanzi a lui, lo fissava con tacito rimprovero. Quello scrutamento reciproco durava da parecchio, e Caradoc non sembrava per nulla intenzionato a mettervi fine. Ma Urien era incapace di regge ulteriormente quel silenzio carico di biasimo: preferiva di gran lunga una ramanzina con urla e magari qualche botta. Cosa che il suo compagno sapeva benissimo.

<< Non mi sono pentito abbastanza? >>, chiese infine, al limite della sopportazione.

Caradoc inarcò un sopracciglio. << A me sembra che tu non ti sia pentito proprio. >>

<< Fandonie! >>, strepitò. << Sai perfettamente che non riesco a sopportare la mia incapacità di dominarmi. Tutte le volte che finisce così non posso che biasimarmi! >>

<< Io penso che, più che altro, tu non sopporta l'inferiorità rispetto a Lot in cui ti ha relegato la tua indole. >>

Urien digrignò i denti. << Il paragone col maledetto è l'ultimo dei miei problemi. >>

<< Ah, certo >>, annuì. << E scommetto che anche il mago non ti sfiora minimamente, vero? Il tutto si riduce al senso di inadeguatezza che nasce dal non adempiere alle aspettative del nostro signore. >>

Urien strinse i pugni, tremante di rabbia, e volse lo sguardo altrove. << Ti detesto quando fai così >>, ringhiò. << Che bisogno hai di infierire ulteriormente? >>

Caradoc mantenne ostentatamente quell'espressione di biasimo che mal si addiceva alla sua natura mite. << Sono offeso. >>

L'altro si voltò, gli occhi sgranati e un'aria interrogativa al posto del grugno irato. << Cosa? >>

Annuì. << Ignori sempre le mie raccomandazioni e i miei consigli su come trattenerti. Poi torni da me con le pive nel sacco, ascolti i soliti rimproveri, per poi sbagliare nuovamente nello stesso identico modo. >>

<< Oggi lui... Hai sentito anche tu cosa diceva quel dannato mago >>, cercò di discolparsi. << Io... Io non... >>

<< Ti si era detto che non dovevi ucciderlo, ma era ovvio che non avresti nemmeno dovuto ridurlo in quello stato pietoso. Non sarebbe morto comunque, ma il tuo eccesso è la riprova della tua mancanza del benché minimo buonsenso. >>

<< La prossima volta... >>, iniziò.

<< Potrebbe non esserci una prossima volta >>, lo interruppe. << Arriverà, prima o poi, la volta che Lui non sarà più disposto a sopportare. E io non voglio che succeda. >>

Silenzio. Solo il gocciolio d'acqua spezzava quella completa assenza di suoni. Urien stava in atteggiamento umile, le spalle incurvate e il capo chino, più alto di Caradoc, oppresso tuttavia dalla sola presenza dell'altro.

<< Farò di tutto per non deluderti più >>, mormorò.

Caradoc gettò la sua maschera di disappunto per riacquistare il suo solito sorriso rilassato e distaccato, condito dall'aria placita e serafica che bilanciava la mancanza di equilibro del suo compare.

<< Ne sono certo. >>

 

 

Jillian si svegliò di soprassalto, realizzando subito con orrore che, invece di restare sveglia a vegliare sul sonno di Wantz, aveva ceduto al tiepido e avvolgente abbraccio di Morfeo. Si voltò di scatto, ancora mezza inebetita, per controllare che il ragazzo non fosse peggiorato durante la notte: si sentì morire quando vide che non c'era più.

Prima che avesse tempo di lasciarsi andare ad ipotesi assurde e di cedere alla frustrazione, però, sentì dei movimenti alle sue spalle. Si voltò e vide il mago che fissava corrucciato le condizioni pietose in cui si trovava la sua sella.

Il sollievo provato nel vedere che il ragazzo stava bene e che non era stato rapito si tramutò a velocità impressionante in rabbia.

<< Wantz >>, lo chiamò, visibilmente indispettita, << Che cosa fai in piedi? Avevamo concordato che per due giorni non ti saresti mosso: è il minimo indispensabile perché ti possa riprendere. Non partiremo prima di domani mattina. >>

<< E così sarà >>, confermò il ragazzo, senza staccare gli occhi dalla sella. << Sei stata tu a fare questo disastro? >>

<< Si era parlato di completa immobilità. >>

<< Forse era meglio se ti lasciavo sfogare sugli orchi >>, bofonchiò lui, praticando un incantesimo che aggiustò le cinghie tagliate dalla ragazza per liberarsi da quella rudimentale imbracatura.

Jillian si morse un labbro per il nervoso. << Possibile che tu non riesca a rispettare la parola data? >>

Wantz sistemò la sella, nuovamente integra. << Possibile che tu non riesca a fare ciò che ti si dice? >>

<< Lo dico nel tuo interesse. >>

<< Anche io lo dico nel mio interesse. >> Zoppicando, segno che il taglio infettato sulla gamba sinistra gli dava ancora problemi, tornò accanto alla ragazza e si sdraiò sulla coperta dove aveva dormito fino a poco prima. Intrecciò le mani dietro alla nuca e chiuse gli occhi, senza degnare la ragazza di uno sguardo.

Jillian sospirò, scotendo lentamente il capo. Era stata una sofferenza convincerlo a concedersi un po' di tregua. Fosse stato per il ragazzo, si sarebbero rimessi in marcia non appena sanate le ferite; cosa che si era verificata con una velocità assurda, lasciando però Wantz completamente privo di energie. Da ciò la sua insistenza a prendersi un giorno di convalescenza.

Non avrebbe mai pensato di dover costringere qualcuno a riposarsi; ma l'inerzia sembrava del tutto estranea all'indole di Wantz. Era il tipo che, anche nell'ozio fisico, trovava qualcosa da fare a livello mentale. Anche in quel momento, era sicuramente perso in chissà quali pensieri.

<< Sei peggio di un bambino; totalmente incapace di stare fermo e privo di giudizio. >>, lo rimbrottò.

<< Uhm... >>, mugugnò il ragazzo con aria divertita. << Allora siamo due bambini. >>

Jillian si appoggiò all'albero, sconsolata. << Non dovresti tenere in così poco conto la tua salute. >>

<< Guarda che ci tengo eccome. E poi... >> Si girò verso la ragazza, fissandola con scherno. << Ti sembro così malandato? >>

Era ancora pallido, ma non c'era più alcuna traccia visibile delle ferite; persino il taglio sulla fronte, che a rigor di logica avrebbe dovuto dar luogo a una cicatrice, era sparito. Nei suoi occhi c'erano però tracce di spossatezza o stanchezza; non sembrava fresco e riposato come una rosa bagnata dalla rugiada mattutina, ma si sarebbe sicuramente ripreso.

<< Va bene, va bene >>, sospirò, rinunciando a discutere ulteriormente. << Basta che tu non faccia altre sciocchezze. >>

Tacquero. Jillian fissò senza sentimenti particolari i resti del macabro falò del giorno prima. Si sentiva a pezzi per la fatica fatta, e pregustò un lungo e profondo sonno. Cercò di sistemarsi in modo da non svegliarsi con il mal di schiena, ma si bloccò quando si accorse che Wantz stava ridacchiando sotto i baffi.

<< Si può sapere che hai da sghignazzare? >>, gli chiese con sospetto.

<< Sono colpito dal fatto che tu tenga tanto alla mia presenza >>, rispose lui, riferendosi al terrore che aveva invaso la ragazza al pensiero che lui fosse sparito. Lo disse con un tono che presentava l'affermazione come normalissima, ma che, al contrario, lasciò la ragazza di sasso.

<< Ma è naturale >>, balbettò imbarazzata. << Siccome siamo compagni di viaggio, dobbiamo aiutarci reciprocamente e collaborare per il raggiungimento del nostro scopo. Anche se noi siamo ben lontani dal riuscirci, bisogna che tra compagni si agisca per il bene di entrambi proprio perchè si è tali, al di là di qualsiasi legame affettivo. Temere per l'incolumità dell'altro e preoccuparsi per lui... E' normale, no? >>

"Non per uno come me" obbiettò mentalmente.

 

 

<< Ora che ci penso >>, grufolò Urien addentando un pezzo di carne ancora mezzo crudo << Oggi il maledetto Lot non doveva andare a castagnare un po' quegli squinternati? >>

Caradoc girò lo spiedo sul fuoco, osservando con leggero schifo un rivolo di sangue colare dalle labbra del suo vorace compagno. << Sì, infatti. A quest'ora ne avrà trovato uno e, come da ordini, gli farà un servizio completo. >>

Urien si pulì la bocca col dorso della mano. << Il suo metodo preferito. Conciarne uno per le feste come avvertimento per gli altri. >>

<< Per il nostro signore è una faccenda spinosa. >>

<< Neanche più di tanto >>, rifletté, scostandosi i riccioli neri dalla fronte. << Una combriccola scalcinata formata da una ventina di maghi che vuole trovare l'Oscuro e ucciderlo... Cosa vuoi che possano fare? >>

Caradoc tagliò un pezzo del ventre del vitello e lo posò sulla lastra di legno che gli fungeva da piatto. << Ora come ora nulla, perché sono completamente disorganizzati. Ma tra loro ci sono alcuni elementi validi, e poi stanno cercando altri alleati. Del resto.. >>, aggiunse, passando una seconda porzione di carne a Urien. << Se Lui ha mandato Lot e non un sottoposto qualunque, significa che preferisce non correre rischi. >>

L'altro rise. Una risata rauca e raschiante, simile al latrare di un cane. << Allora ha fatto bene ad andare sul sicuro. >> Mostrò i denti macchiati di sangue, rantolando con sadico piacere. << Con Lot c'è garanzia "trucidati o dannati". >>

 

 

Il giovane incespicò correndo, in un vano tentativo di fuga, e cadde a terra. Si voltò, scorgendo, attraverso i capelli rossi che ricadevano scompigliati sugli occhi, il suo inseguitore, un uomo vestito completamente di nero e avvolto in un lungo mantello dello stesso colore, venire con lentezza esasperante verso di lui; sul suo volto non c'era la minima di traccia di alcun sentimento, e sembrava completamente indifferente a ciò che lo circondava. Anche quella missione, la stava compiendo come se fosse estraneo ai fatti. "Passivamente" decretò il ragazzo, rialzandosi goffamente e cercando di strappare alla paura un qualunque incantesimo. La sua mente però si rifiutava di tirar fuori quello che aveva faticosamente imparato in anni di estenuante addestramento.

<< Che cosa vuoi? >>, chiese invece, constatando con orrore che non riusciva a muovere le gambe, paralizzate da qualche sortilegio.

L'uomo si fermò a qualche metro di distanza, guardandolo come se in realtà non lo vedesse affatto. << Fare di te un avviso vivente per i tuoi compari. >>

Cercò inutilmente di sollevare i piedi, che erano come cementati al terreno.

<< L'Oscuro Signore ha paura delle azioni di un gruppo di maghi che si rifiutano di piegarsi alle sue smanie di distruzione? >>

<< Desolato di deluderti, >>, negò, con una parlata lenta come la sua camminata, << ma per noi siete delle semplici pulci fastidiose. >>

Frugò nella sua testa alla ricerca di una formula che potesse liberarlo, ma ormai gli sembrava tutto inutile. << Intanto, però, >>, disse, simulando un'inutile baldanza, << mi ucciderai come avvertimento per i miei compagni, no? Giusto per essere sicuri di non averci tra i piedi, mostrerai cosa si deve aspettare chi ostacola l'Oscuro: la morte. >>

L'altro gli rivolse uno sguardo vuoto, sollevando un sopracciglio. << Chi ha parlato di uccidere? >>

Il sangue si gelò nelle vene del ragazzo. << Tu... Non vorrai... >>

<< Ci sono tante visioni diverse della morte >>, disse, scagliando un incantesimo sul giovane, facendolo urlare di dolore e gettandolo nuovamente a terra << Alcuni la considerano una liberazione dalle sofferenze di quest'opprimente vita terrena. >> Guardò il ragazzo contorcersi convulsamente nel tentativo di riprendere il controllo del proprio corpo << Pensi che Lui si limiterebbe a una cosa così semplice, con il rischio di fare un favore ai suoi oppositori? >>

<< Tu... >>, ansimò << Non vorrai... >>

Si avvicinò ancora. << La morte non è una pena sufficiente per chi si oppone al Suo volere. >>

<< Sei... senza pietà >>, biascicò con voce strozzata. << Voi siete proprio... incapaci di qualsiasi sentimento... umano... Non avete né pietà... né rimorsi... >>

<< Vero >>, confermò. << Ormai non commisero nemmeno più me stesso. Prima, invece, era la mia attività principale. >>

Deciso a non dargli la soddisfazione di mostrarsi disperato, il giovane mago rise amaramente. << Perché, tu... eri in grado di provare... pietà? >>

<< Oh, sì... >> sussurrò, perdendosi nei suoi pensieri. Rimasero così per un po', lui a meditare in silenzio, l'altro impegnato nella lotta all'incantesimo che lo paralizzava.

<< Te lo stai chiedendo, vero? >> chiese all'improvviso.

Accasciato a terra, pronto a ricevere il colpo di grazia, il ragazzo alzò uno sguardo terrorizzato e insieme interrogativo al trentenne che avrebbe deciso della sua sorte.

<< Ti stai chiedendo a cosa mai possa aver rinunciato nel Rito per ottenere un potere così devastante. >>

Lo fissò avvicinarsi lentamente, cercando disperatamente un modo per salvarsi.

<< Il Rito fu una sofferenza anche per me >>, proseguì, dando corda a quell'insolito desiderio di parlare. << A causa di esso, una volta non avevo che biasimo verso me stesso. Ci crederesti? >>

Lot raggiunse la tremante figura e lo fissò con occhi vacui.

<< Ora invece ho capito. Le rinunce servono a fortificarci. E sono inevitabili.>>

Tese il braccio e alzò due dita: il ragazzo si sollevò in aria contro la sua volontà, restando sospeso nel vuoto inerme, davanti all'uomo vestito di nero.

<< Sai a cosa sono stato capace di rinunciare? >>, gli sussurrò con falsa affabilità e un'altrettanto falsa aria complice.

Il ragazzo cercava invano di liberarsi da quella morsa invisibile. A un tratto, con profondo raccapriccio, sentì qualcosa strisciare dentro di sé. Scorreva nelle vene rapidamente, come un fluido venefico, ma aveva una sua solidità. Sembrava... Sì, sembrava che il suo corpo fosse attraversato da dei serpenti. La vista gli si offuscò, il campo visivo fu riempito da una macchia rossa che si allargava velocemente, e non si trattava dei suoi capelli vermigli.

Sgranò gli occhi, capendo finalmente cosa stava accadendo.

Il suo urlo di terrore si disperse nell'aria, portando via con sé l'anima, sgusciata fuori fusa insieme a quell'ultimo grido disperato, cacciata via dalla sua legittima dimora, estirpata per essere sostituita da qualcos'altro.

<< Al mio migliore amico >>, concluse, lapidario.

 

 

***

 

Il ragazzino si alzò in piedi, furente, camminando nervosamente avanti e indietro.

<< Ma io non lo capisco! Non capisco perché è necessario, e soprattutto non capisco perché nessuno si ribella. Non capisco come ci possa essere gente che accetta di uccidere il proprio migliore amico, la famiglia o la persona amata solo per poter praticare la magia! >>

<< Calmati, Wantz. E' un precetto antico come la magia stessa. Non si può sottrarvisi. E non tutte le rinunce sono uguali. >>

<< Ah, certo >>, sbuffò. << In base a quanto effetto si prova per la persona sacrificata, si ottengono poteri maggiori o minori. Meglio uccidere qualcuno a cui si tiene veramente, sì sì... >>

Il vecchio lo afferrò per un braccio, obbligandolo a sedersi sull'erba. << O ti dai una calmata, o il discorso finisce qui >>, minacciò.

<< Mi calmo, mi calmo... Solo perché voglio capirci di più, visto che toccherà farlo anche a me >>,  precisò. Tacque, improvvisamente turbato. << Io non... Non voglio uccidere nessuno. >>

L'uomo sospirò, accarezzandogli la nuca. << Non tutti scelgono di immolare una persona. Alcuni rinunciano agli ideali, ai sogni... Alcuni anche a determinati sentimenti. >>

Il ragazzino lo guardò, sbalordito. << Come si può evitare di provare un sentimento? >>

<< Non è che si perde la capacità di provarlo. Solo, è proibito provarlo. Se succede, i poteri vengono meno, temporaneamente. Ma, nel caso di sentimenti troppo forti, come può essere l'amore, capisci che è pressoché impossibile trattenerli. E se non si riesce a dominarli, si perde la vena magica. Tuttavia, >>, proseguì con gravità, << c'è comunque qualcuno che riesce a vivere in condizioni simili. >>

Al ragazzino parve di percepire del risentimento in quelle parole, ma pensò di essersi sbagliato. << E' una scocciatura. >>

<< Prego? >>

<< Maestro, sapete bene che sono un vigliacco; non avrei mai il fegato di uccidere, soprattutto se si tratta di qualcuno a cui tengo. E non ho uno straccio di idea alternativa per questo cavolo di Rito. Quindi c'è una sola soluzione. >>

<< Sarebbe? >>, chiese l'uomo, preparandosi all'ennesima assurdità.

<< Diventerò un eremita. >>

Il vecchio rise. << Sarebbe questa la soluzione? >>

<< Niente affetti, niente pericolo di perderli >>, spiegò il ragazzo con serio puntiglio.

<< Nessuno può vivere da solo, Wantz, nessuno >>, obbiettò con fare paterno. << Inoltre, non c'è nessuna fretta. Hai tutto il tempo per decidere se e cosa sacrificare. >>

<< Allora rinuncerò alla magia >> concluse, ma la frase suonò molto più come una domanda piuttosto che come un'affermazione.

<< Non credo che ci riuscirai. >>

Era vero. Il ragazzo sapeva di aver bisogno della magia per raggiungere i suoi scopi. E dunque? A cosa mai avrebbe potuto rinunciare?

<< Sappi comunque >>, aggiunse il vecchio, alzatosi per raccogliere una mela da un albero lì vicino, << che finché vivrò, la tua scelta dovrà avere il mio consenso. >>

L'altro storse il naso. << Ma scusate, non dovrebbe essere una scelta personale e libera? Perché volete pilotarmi? >>

<< Perché sei uno sciocco impulsivo, e io ho sentito, e visto, stupidi rinunciare a tutto e di più. >>

<< Per esempio? >>

<< Una cosa che devi giurarmi sin da ora che non cederai mai, per nulla la mondo. >> Si voltò verso di lui, fissandolo con severità. << L'anima. >>

 

***

 

 

Non riusciva a dormire. Un indefinibile senso di oppressione l'obbligava ad un sonno ad intermittenza: riposava poco e male, svegliandosi in continuazione e faticando a riaddormentarsi. Col sole alto nel cielo non era riuscita a dormire, nonostante la stanchezza, e neanche adesso, con l'oscurità notturna, riusciva a lasciarsi andare a quella piacevole perdita di coscienza, nella totale assenza di pensieri e preoccupazioni. Invidiò Wantz, che riusciva a dormire facilmente ovunque e in qualsiasi condizione si trovasse. Anche se, pensandoci bene, forse nemmeno il suo era un sonno sereno.

Sentì il ragazzo gemere. Si chinò su di lui e gli posò una mano sulla fronte.

<< Stai male? >>, gli domandò. << Qualche taglio si è riaperto? >>

<< No >>, rispose, a bassissima voce. << La sera ho sempre un mal di testa... Sarà colpa dei troppi pensieri? >>, ipotizzò, ragionando tra sé.

<< No. Corrughi troppo la fronte. >>

La risposta decisa della ragazza lo stupì.

<< Prego? >>, chiese, aprendo gli occhi. Il cielo era sereno, e si vedevano benissimo le stelle risplendere sopra di loro.

Jillian si sollevò, piegando il capo di lato. << Hai sempre la fronte aggrottata. E gli occhi a mezz'asta. Se ti rilassassi un po' di più, penso che ti gioverebbe. Invece mantieni sempre un'espressione corrucciata come un vecchio bisbetico, così >>, disse, esibendosi in un'imitazione poco convincente.

Wantz rise di gusto, come non gli capitava da un pezzo. << Fosse quello il problema! >>, riuscì a proferire in mezzo alle risa, riprendendo con difficoltà il controllo di sé.

Quell'idea era talmente assurda che rinunciò anche solo a fingersi contrariato per l'invadenza della ragazza.

Jillian era arrossita, un po' seccata dal fatto che il mago avesse trovato la cosa così ridicola. << Secondo me incide; magari lievemente, ma sono sicura che contribuisce. Io non riuscirei a tenere i muscoli del volto perennemente contratti. Dev'essere faticoso. >>

Lui la guardò con sufficienza. << E quale sarebbe la cura? >>

<< Perché non provi a sorridere, ogni tanto? Aiuta a distendere. Oppure... Non sei capace? >>, disse, nel tentativo di pungerlo sul vivo, tattica dall'efficacia già assodata.

Wantz però non parve subire l'attacco. << Come dici? >>

<< No, perché... Non ti ho visto sorridere se non un paio di volte, perciò pensavo che fosse una delle cose che non sai fare. Come chiedere scusa, ad esempio >>, concluse, accusatoria.

Il ragazzo invece di offendersi parve molto divertito. << Ma se mi sono appena rotolato dalle risate a tue spese. >>

Jillian si piegò fino a sfiorargli il volto. << La tua maschera ti stressa. Lo so. Lo vedo. Forse sei indifferente a quello che succede nel mondo esterno, ma dentro di te, ogni singolo istante, rimescoli qualcosa. E anche quando ridi... >>, fissò le sue iridi in quelle del ragazzo. << I tuoi occhi non ridono affatto. >>

Wantz non rispose. Non sembrava particolarmente colpito dalle affermazioni della ragazza, perché aveva assunto la sua solita inespressività, ma Jillian era convinta di aver sortito qualche effetto. Si rialzò e sedette addossata all'albero, senza proferir parola. Il silenzio durò a lungo. Wantz stava quasi per riappisolarsi, cullato dallo stridere lontano di una civetta, quando la ladruncola, all'improvviso, proferì una domanda che lo svegliò di nuovo del tutto.

<< Chi sei, Wantz? >>

 

 

"Mi sento a disagio quando fai così.

Peggio; mi sento messo a nudo.

Tu mi fai volgere gli occhi nel più profondo della mia anima, e vedo macchie così nere e indelebili che non perderanno mai il loro colore.

Neppure se volessi, potrei dirti la verità.

Sarebbe troppo crudele.

Non potrei mai condannarti a dividere questo peso con me."

 

 

Il ragazzo la guardò stupito, preso alla sprovvista e colpito dalla singolarità della domanda.

<< Al contrario della tipologia classica dei maghi, sei misantropo e trai godimento dal beffare e truffare le persone. Non ti interessa aiutare chi si trova in difficoltà, sei pigro e svogliato. Usi la magia per delle sciocchezze, per il tuo tornaconto personale o per ripicca verso chi ti fa innervosire. >> L'elenco proseguì con la potenza di un fiume in piena. << Vivi apparentemente senza uno scopo, e per quanto tu dica di prodigarti per il completamento della profezia, agisci senza il minimo criterio, senza un itinerario preciso e in apparente disinteresse per le sorti del mondo. Non si capisce mai cosa pensi, cambi umore come una donna incinta vittima dei capricci lunari e qualsiasi cosa uno faccia per capirti è resa inutile dalla tua incostanza e dal tuo rifiuto ad intrattenere rapporti umani. Non so da dove vieni, non so perché vuoi completare la profezia, a volte mi domando se non sei un sicario dell'Oscuro, altre penso che tu voglia vendere i frammenti al miglior acquirente; ma soprattutto, ogni giorno, mi chiedo per quale assurdo motivo tu riesca a trattenerti dal gettarmi in un burrone. >>

Col fiato corto, si fermò per respirare un attimo tranquillamente.

<< Io non ti capisco. Perciò te lo chiedo. >> Jillian fece una pausa, quasi vergognandosi del suo bisogno di sapere, molto diverso dalla semplice curiosità: era una necessità impellente. Inspirò a fondo << Chi sei, Wantz? Sul serio. >>

Passato rapidamente lo stupore, il ragazzo esibì quello che era il suo sorriso classico: ironico e beffardo, ma con quella caratteristica, inconfondibile e indecifrabile scia di tristezza.

 

 

"Davvero vuoi saperlo?"

<< Sei il più dannato degli esseri. >>

"Non penso. Troppo onore per uno come me."

<< Sei un ciarlatano, meschino e infido. >>

"E' davvero una colpa, visti i tempi che corrono?"

<< Sei un essere inutile e superficiale. Predichi bene, ma in fondo illudi e dissimuli quanto se non più di me. >>

<< No! Io non sono come te! >>

"La prima vittima delle mie illusioni ero io stesso."

<< Non potrai gestire due anime. Anche se, ormai, la tua... >>

<< Lo so! Lo so, maledizione! >>

"Una delle mie certezze. Già."

<< Sono un essere umano ma non dovrei esserlo! >>

 

 

<< Me stesso e niente di più >>, rispose semplicemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Scocciature ***


cap 16

 

Finalmente mi sono decisa a scrivere usando la punteggiatura corretta, quella usata nei libri. Ma è probabile che mi scappi lo stesso qualche errore, perché è un lavoro pizzosissimo. Adesso sistemerò anche i capitoli precedenti. Che noia...

Ah, mi sono accorta solo ora che ci sono stati dei problemi con l’indirizzo e-mail che ho dato qui, per cui se qualcuno mi ha inviato dei messaggi sappiate che non vi ho risposto perché non mi venivano segnalati i nuovi messaggi, non per stronzaggine.  Sono la solita stordita, scusate. Adesso ho un nuovo indirizzo, quindi se qualcuno vuole contattarmi può farlo tranquillamente, risponderò con piacere. ^^

Sempre che ci sia ancora qualcuno che legga questa storia. ¬_¬

A chi vuole sapere di più su Wantz ( e la povera Jillian passa sempre in secondo piano, me misera che l’ho resa così piatta e poco attraente)… Papam! Che questo capitolo sia precursore di grandi rivelazioni?

Ah, sono completamente pazza. X°D

 

 

 

Capitolo 16: Scocciature

 

 

Seduto a un tavolo, nella fievole e ombreggiata luce dell'alba, un uomo brizzolato esaminava alcune cartine, linee imprecise che gli davano solo un'idea vaga di dove si trovasse. Alzò la penna, la intinse nell'inchiostro e scrisse alcune note ai lati della pergamena; erano indicazioni su cosa migliorare o modificare, destinate a chi si occupava di fare i sopralluoghi necessari alla stesura delle mappe. Sapeva che nessuno di loro aveva le competenze di un cartografo, ma era necessario fare il possibile per ottenere delle cartine che fossero precise e che si soffermassero anche sui particolari minori, per quanto possibile. Scosse la testa e sospirò, chiedendosi se dovesse scegliere qualcun'altro per quel compito. Anche volendo, però, erano a corto di personale.

Un'ombra gli scivolò accanto, fermandosi alle sue spalle.

<< Ianuam aperire >>, disse.

<< Ianuam operire >>, rispose l'uomo, continuando a scrivere.

Il nuovo arrivato, un ragazzotto che spiccava nella penombra grazie alla sua chioma rossa, si tolse il mantello, lo gettò sullo schienale di una sedia e si sedette di fronte al brizzolato. Rimase in silenzio a guardarlo intento nel suo lavoro, desideroso di un po' di pace in quel momento di bufera. Era il suo modo per calmarsi, stare a guardare, senza pensare a nulla, soprattutto a ciò che lo turbava. Il suo più anziano compagno, invece, cercava di scacciare la pressione e le preoccupazioni scrivendo e perdendosi in mezzo alle carte. Diede uno sguardo veloce e distratto alla baita di legno che fungeva provvisoriamente da luogo di ritrovo, desiderando puerilmente, per un attimo, qualcosa di meno anonimo e freddo, più caldo e accogliente, o almeno meno deprimente.

<< Ci sono novità? >>, chiese finalmente, tornando a guardarlo.

L'uomo bagnò il pennino nell'inchiostro. << Nessuna, di nessun genere, da nessun fronte. >>

Si lasciò cadere pesantemente contro lo schienale, indeciso se gioire dell'assenza di cattive notizie o preoccuparsi del fatto che non c'era stato alcuno sviluppo. Sentì il mantello scivolare per terra, ma non si chinò a raccoglierlo.

<< Sono... >> Si interruppe. L'uomo alzò lo sguardo dalla pergamena per la prima volta, fissandolo con un lieve apprensione. << Stanco >>, terminò, con sollievo del compagno. << Ultimamente c'è troppo da fare, e cominciano anche a succedere delle disgrazie... Ci servono davvero dei rinforzi. >>

<< Non le chiamerei disgrazie. Una disgrazia ha in sé qualcosa di inevitabile, imprevedibile e inaspettato. Invece noi sapevamo a cosa saremmo andati incontro, ne conosciamo i rischi e le conseguenze; e se abbiamo deciso di proseguire nonostante i pericoli, è perché siamo disposti a sacrificarci. Così come lo era Aglovale. >>

Il ragazzo fu attraversato da un fremito al sentir pronunciare il nome del fratello. << Lo so >>, assicurò. << Quello che voglio dire, è che, così come stanno ora le cose, non abbiamo la benché minima possibilità di fare alcunché. Abbiamo bisogno di validi elementi, qualcuno che... >>

<< Non tirarmi fuori storie del tipo "quanto sono inutile ed incapace". Non sono disposto ad ascoltare di nuovo nulla del genere >>, lo interruppe. << Mi è bastato ciò che mi hai detto dopo la morte di Aglovale. >>

Nonostante tutto, si lasciò sfuggire un risolino amaro e isterico. << Non cercare di alleviare la cosa. Sappiamo perfettamente che non è morto. >>

<< Non possiamo esserne certi >> obbiettò.

<< Non negare l'evidenza, Lucan! >>, urlò, scattando verso di lui. << Lo hai visto anche tu, no? Era uno delle Triade! Sai meglio di me che quelli non uccidono. Non si fanno chiamare Triade della Dannazione per vanità! >>

L'uomo non rispose, limitandosi a fissare mestamente il giovane che cercava di riprendere il controllo. Aspettò con pazienza tutto il tempo necessario, finche non si fu calmato. Ora vedeva che era in attesa di una sua reazione. Abbassò lo sguardo sulla cartina. Lasciò cadere una goccia nera su una montagna che in realtà non doveva essere lì; fissò l'inchiostro allargarsi sino ad inghiottire l'indesiderato monte e tracciò due linee a triangolo nel punto ove essa doveva trovarsi realmente.

<< Abbiamo già discusso di questo ieri, Agravaine, e non ne parlerò più fino a quando non sarai pronto ad affrontare l'argomento con lucidità. E non è una critica >> aggiunse, notando un gesto d'insofferenza del ragazzo. << Chiunque uscirebbe di senno, in una situazione analoga. >>

<< Ma noi no >>, disse con una punta di risentimento, ma anche con orgoglio. << Non possiamo permettercelo. >>

Lucan gli rivolse un sorriso triste. << Forse, quando sarai pronto, avremo anche qualche elemento in più per capire cos'è successo a tuo fratello. >>

Il ragazzo annuì. << Bisognerebbe trovare qualcuno che abbia esperienza... qualcuno che abbia visto casi simili. >> Da come lo disse, era ovvio che aveva un'idea ben precisa di chi avrebbe potuto aiutarli.

L'uomo non rispose, concentrandosi su una foresta che aveva scambiato il suo nome con quello di un lago.

<< Lo stanno cercando? >>, chiese Agravaine, con una nota implorante nella voce.

<< Sì >>, rispose, senza sollevare lo sguardo. << Come tutti gli altri che dobbiamo ancora contattare. Ma lo sia anche tu che, se non vuole farsi trovare, nessuno di noi riuscirà a scovarlo. >>

Agravaine annuì, sconsolato. << Pensi che ci sia qualche possibilità che... acconsenta a darci una mano? >>

Lucan sorrise. << Sono pronto a scommettere che è già all'opera, per i fatti suoi, in cerca di un modo per salvare questo mondo dallo scatafascio, o magari è già impegnato in qualche azione disperata, e, in ogni caso, sarà nei guai fino al collo. >>

Anche il ragazzo sorrise, ma si rabbuiò subito. << Comunque, non possiamo fare troppo affidamento su di lui. >>

<< Ovvio >>, disse l'uomo con l'aria di chi la sa lunga. << Proprio per questo, metà di noi è alla ricerca di altri che vogliano aiutarci. >>

<< E proprio per questo... >>, continuò l'altro, alzandosi e raccogliendo il mantello. << Noi altri siamo sommersi dal lavoro. >>

<< Vuoi forse reclamare? >>, chiese con fare minaccioso, ostentando finalmente un atteggiamento da capo come si addiceva al suo ruolo.

>, assicurò. << Pensavo solo che mi farebbe comodo avere un assistente. O forse è ora che mi scelga un discepolo da schiavizzare. >>

Lucan rise, riempiendo con la sua risata il vuoto lasciato dalla partenza immediata del ragazzo. Rimasto solo, riprese la correzione della mappa con egual pignola precisione, ma con minor attenzione, distratto da pensieri che aveva cercato invano di scacciare e che l'arrivo del ragazzo aveva inevitabilmente richiamato alla mente.

Neppure lui voleva contare troppo sul suo aiuto, ma non poteva negare che era l'unico ad aver fatto determinate esperienze che lo avevano portato ad avere a che fare con cose che loro non potevano neppure immaginare, ed era uno dei pochi ad avere le capacità e i mezzi per cambiare le sorti dell'umanità. A ben pensarci, forse l'Alleanza sarebbe stata inutile. Forse i soli che potevano fare qualcosa erano persone come lui, mentre loro sarebbero rimasti ai margini della vicenda. Inoltre, difficilmente tipi come lui accettavano di operare in gruppo. Se necessario, si sarebbe ridotto ad offrirgli il suo aiuto come un novizio qualunque.

Si alzò e fece qualche passo per sgranchirsi le gambe, dopo una notte intera passata seduto immerso nei fogli. Si accostò alla finestra, guardando il sole nascente dare inizio ad una nuova giornata di terrore, felicità, dolore, gioia o semplice sopravvivenza, a seconda dei casi e della fortuna dei singoli.

Quello che Agravaine e parecchi altri non avevano capito, principalmente il fatto che non potevano saperlo, era che non era lui a dover aiutare loro, ma il contrario.

<< Dove sei? >>, domandò, ben sapendo di non poter ricevere risposta. << Dove sei, Wantz? E soprattutto, cosa stai facendo? >>

 

 

Fece uno sbadiglio gigantesco, tanto che Jillian temette che gli si staccasse la mascella e rotolasse a terra.

<< Dormito bene? >>, gli chiese, osservandolo alzarsi e piegare la coperta su cui aveva dormito.

Wantz storse la bocca. << Non fosse stato per le formiche... >>

Erano già le dieci di mattina; decisamente tardi, viste le loro abitudini, ma la ragazza aveva preferito non svegliarlo e aspettare che si destasse da solo per non rovinargli il sonno. Il mago non diede segno di fastidio (come del resto non mostrò apprezzamento) per quella premura. Riassettarono le loro cose e si prepararono ad un'altra giornata di marcia, lasciandosi alle spalle i resti del falò e di quell'ulteriore esperienza spiacevole. Usciti dalla foresta, seguirono l'ennesima strada sterrata, con l'unica compagnia del sole e della polvere. Wantz aveva tirato fuori da chissà dove delle mele, e Jillian si preparò a fare colazione.

<< Come ti senti oggi? >>, domandò, senza mostrare eccessivo interesse, intenta a strofinare una mela con un panno per pulirla.

<< Decisamente meglio >>, rispose. Sembrava di buon umore, o forse sarebbe meglio dire che sembrava meno arrabbiato col mondo del solito; cosa ancora più strana se si pensa che era appena uscito sconfitto da uno scontro che aveva sicuramente lenito il suo orgoglio. Jillian decise che avrebbe fatto di tutto per non innervosirlo, per quanto possibile. Ma già una domanda a lui sicuramente sgradita le martellava insistentemente in testa.

<< Giusto per sapere... >>, esordì, addentando il frutto. << Quanto dista il villaggio dove siamo diretti? >>

Il ragazzo le rispose con la bocca piena di mollica di pane. << Se nessuno prova ad uccidermi, e se nessuno mi incastra in opere di carità... >>, deglutì, lanciandole un'occhiata allusiva cui lei rispose strizzandogli un occhio. << Arriveremo prima di sera. >>

Jillian aveva l'impressione che il mago non vedesse l'ora di arrivare a destinazione, ma forse era solo un'impressione, dovuta al presunto buonumore del ragazzo. Non si azzardava però a chiedere perché stavano andando in quel paese chiamato Past. Sulle prime aveva pensato che fosse una meta commerciale, ma se lo fosse stato lei l'avrebbe conosciuta, mentre invece non l'aveva mai sentito nominare. L'ipotesi più probabile era che lui avesse qualche faccenda da sbrigare; forse doveva incontrare qualcuno. Inutile negarlo, si stava rodendo dalla curiosità. Tuttavia, aveva deciso di rispettare gli spazi del compagno e di non seppellirlo di domande. Del resto, l'avrebbe scoperto arrivata a destinazione, quindi si rassegnò ad aspettare.

<< Senti Wantz, mi stavo chiedendo... >>

Lui socchiuse gli occhi, sospettoso. << Sì? >>

<< L'attacco di due giorni fa, non è che... Forse... Erano lì per me? >> Va bene evitare le domande sul villaggio misterioso, ma nessuno le impediva di attingere alla riserva di quesiti insoluti accumulata in quelle due settimane, no?

<< Manie di protagonismo o coda di paglia? >>, sondò Wantz.

<< Una sensazione opprimente che mi stritola ogni volta che finisci maciullato >>, ribatté con forza, decisa a non essere, per una volta, la metà debole.

<< Mi sembrava di aver già chiarito che gli orchi ti seguivano solo per il frammento. E l'ibrido di Lindblum era lì perché ce l'aveva con me. >>

<< Perché avevi ucciso gli orchi, suoi sottoposti? >>, chiese. Non aveva mai avuto conferma diretta che era stato proprio lui ad occuparsene, anche se sembrava evidente. Infatti il ragazzo annuì.

<< Quindi, >>, riprese, << come puoi vedere non ci sono altri motivi per cui tu debba ritenerti una calamita per orchi, perché lo sei già per le seccature normali, e direi che basta e avanza. >>

Jillian rise, ammettendo che era proprio una procacciatrice di quelle che il ragazzo considerava scocciature. << Mi dispiace, cercherò di contenermi >>, promise.

<< Tuttavia... >>, riprese. << L'altro giorno... >> Esitò.

<< Sì? >>, lo incoraggiò.

<< Non lo dico per spaventarti, ovviamente, ma... Il tizio che era a capo degli orchi, e che mi ha massacrato di botte, mi ha fatto capire che ti conosce. >> La fissò negli occhi, alla ricerca di una paura che non trovò.

<< Chi era? >>

<< Uno dei generali dell'Oscuro. >> Una bugia a metà. O meglio, una spiegazione incompleta, visto che non le aveva detto che era uno della Triade. << Perciò mi stavo chiedendo... Hai fatto qualcosa che potesse innervosirli o attirare la loro attenzione, prima di incontrarmi? >>

Riflettè prima di rispondere. << Nulla, a parte andare in giro con un frammento della profezia nel decolté. >>

Non mentiva. Lo sentiva, non aveva bisogno di frugarle nella testa. Ormai l'interesse dell'Oscuro per lei era evidente. Quindi, qualsiasi cosa quel pazzo voleva da lei, lei non era consapevole di possederlo. Si perse in una marea di ipotesi, una più inverosimile dell'altra, passando per ricordi sopiti, maledizioni da spezzare con riti di sangue, cessioni di poteri magici e tante altre elaborate fantasie. E se invece avessero voluto lei in persona? Per cosa, poi? A parte torturarla, che sarebbe stata una gran soddisfazione per chiunque, ovvio. Ammettendo che ci fosse qualche traccia di magia in lei (cosa che neppure lui si sentiva di smentire), a che scopo cercarla con un'insistenza tale, mobilitando addirittura un membro della Triade, per quanto inetto questo fosse? Troppe domande, tante supposizioni e nessuna risposta. Un problema in più. In una parola, una scocciatura.

L'ennesima.

 

 

Seduto in uno dei tanti angoli bui del castello, umido e viscido come la stragrande maggioranza delle mura in pietra di quella mastodontica e diroccata costruzione, il cappuccio alzato a coprirgli il volto, fingeva di dormire. In realtà era impiegato nella rielaborazione degli ultimi eventi. Al suo fianco, rannicchiato come un cane, stava una figura apparentemente umana, in uno stato che oscillava tra il sonno e l'allucinazione.

Come richiestogli, stava portando a termine l'atto di avvertimento contro quella ridicola combriccola di maghi. Finito quell'incarico si sarebbe dedicato ad altro. Intanto però si chiedeva il perché di quell'intimidazione. Quest'Alleanza, o come si chiamava, era davvero una presa in giro: totalmente disorganizzata e, oltretutto, senza grandi elementi di rilievo. Lo stesso Lucas, il mago dalle comuni, ma in questo contesto ridicole, capacità che si era preso la briga di formare un movimento di rivolta, era conscio di non potere nulla contro il loro esercito. E ancora meno poteva fare per le alte schiere. E il fatto che fossero alla disperata ricerca di qualche altro aspirante suicida disposto ad aiutarli non cambiava le cose. Pochi erano coloro che avrebbero potuto fare qualcosa. E pochissimi costituivano una vera minaccia per l'Oscuro. E di questo numero già esiguo, un numero ancora più insignificante avrebbero accettato di rischiare la pelle in una partita persa in partenza, in cui i ruoli principali erano già stati tutti assegnati. Infine, colui che tra questi pochi era davvero in grado di intralciare i loro piani, l'unico che impensieriva non solo lui e gli altri membri della triade ma anche il loro signore, il solo che avrebbe avuto la forza di cambiare un destino che non può essere salvato, non ne avrebbe avuto la minima voglia. Era pronto a scommetterci. Lavoro di squadra, azioni congiunte, obbligo di conversazione e civile convivenza, forse addirittura dover prendere ordini da altri... No, non avrebbe mai ceduto la sua libertà per un prezzo così infimo. Soprattutto ora che era già stata intaccata da una presenza per lui scomoda quanto indesiderata.

Appurato che l'Alleanza era trascurabile come sembrava, ne conseguiva che le domande impellenti a cui trovare risposta restavano due. Perché si ostinava a non voler uccidere il mago? E perché sembrava così interessato alla ragazza?

I suoi pensieri furono interrotti dalla comparsa fumosa di un'altro uomo incappucciato.

<< Ah, Lot. Come mai qui? >>, domandò cordiale, scoprendosi il volto e sistemandosi gli spettinati capelli biondi.

Lot accennò con il capo al fagotto addormentato al suo fianco. << Devo aspettare che il processo termini. >>

<< Capisco, è la tua ultima creazione >>, annuì Caradoc. << Immagino volessi un luogo tranquillo dove riflettere. Perdonami se ti ho disturbato. >>

<< Fa niente. Mi stavo perdendo in lande proibite >>, spiegò, criptico.

Caradoc evitò di indagare; con ogni probabilità sapeva già perfettamente su cosa si stesse lambiccando l'uomo. Lot si voltò verso la creatura rannicchiata al suo fianco.

<< Chissà che non venga fuori qualcosa di utile >>, disse Caradoc. << I rari incroci fatti usando dei maghi hanno dato sempre risultati ottimi quanto a forza e poteri magici. >>

<< E' tanto che non se ne faceva uno >>, ricordò l'altro all'improvviso.

Caradoc sorrise. << Bè, devi ammettere che, dopo l'ultimo, un po' è passata la voglia di provarci ancora. >>

<< Un'altra delle cose che non capisco. >>

<< L'errore è stato di lasciarlo dotato di volontà. >>

<< Errore, dici? Peccato che chi di dovere avesse ricevuto istruzioni precise nelle quali si chiedeva esplicitamente di farne un ibrido di primo livello. >>

Il biondo scosse il capo: ora ne aveva avuto conferma. Il suo inafferrabile compagno stava cedendo al bisogno di sapere. E ciò non poteva che portagli guai; troppo facile sconfinare in campi che erano loro interdetti, troppo impellente la necessità di capire. Obbedire senza fiducia, ma non obbedire senza capire.

<< Non sono questioni che ci riguardano. >>, fece notare. << Di quel caso se ne è occupato l'Oscuro in persona e il capo del settore di ricerca e sviluppo... >>

Lot si lasciò andare ad una roca e liberatoria risata crudele. << Ah, non voglio sapere nulla di ciò che fa quel pazzo e dei suoi esperimenti. Ha già avuto modo di giocare con tutti noi. Noi abbiamo già dato >>, sussurrò lanciando un'occhiata carica di significati a Caradoc da sotto il mantello e terminando sommessamente la sua risata. Chinò il capo, un ghigno carico di risentimento sul volto. << Vorrei sentire il tuo parere su tutta questa follia, ma sei troppo prudente per lasciarti andare a confidenze compromettenti. >>

<< Sei tu che sbagli a porti domande a cui non puoi darti risposta. >>

<< Sta' tranquillo >>, riprese, il sorriso un po' folle incrollabile sul volto. << Non ho intenzione di crearti guai. C'è già il cane rabbioso, per quelli. Non rovinerò questa ignobile normalità che tanto aneli a mantenere. >>

Caradoc si irrigidì, spiazzato nel sentir pronunciata una verità che sino ad allora aveva celato nell'intimo. << E' tutto ciò che ho >>, disse in un soffio, senza la sua abituale espressione distaccata e serafica, che aveva ostinatamente mantenuto anche durante quel tesissimo dialogo; la sua voce flebile non era una giustificazione, non un tentativo di suscitar pietà, né una confessione di debolezza, ma la sentenza di una realtà impossibile da modificare. << Ognuno di noi ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa per non... "perdersi", diciamo così. Tu stai trasformando l'appiglio che dovrebbe tenerti ancorato a ciò che sei in un modo per uscire dalla tua condizione immutabile. Il tuo vizio di porti domande ti sta logorando perché ora non ti accontenti più, non ti limiti ad esse. Ora vuoi le risposte ad anni di taciti quesiti. >>

<< Ad anni di bugie, Caradoc. >>, corresse con astio.

<< Ad anni di cose non dette, Lot. >>, ribadì. Nel suo tono c'erano una profonda partecipazione e comprensione per quella sofferenza; la stessa che, sebbene derivata da cause differenti, opprimeva ugualmente tutti coloro che erano stati condannati a prender parte quella drammatica recita, nemici e alleati, da una parte e dall'altra, bianchi e neri, pedine e fanti...

<< Mi denuncerai? >>, chiese, dopo un lungo silenzio, con aria di sfida.

<< No. >>

<< Forse tu non lo farai, ma qualcun'altro, prima o poi, se ne accorgerà. E lì dipenderà tutto dalla fortuna. >>

<< Non ci pensare, e goditi questo esemplare di secondo livello >>, consigliò, lanciando uno sguardo alla creatura immobile. Sotto il cappuccio del compagno, intravide un sorriso stirato, a labbra strette.

<< Quest'ennesima anima perduta, semmai. >>

 

 

"Molti fili, dunque, andavano intrecciandosi a formare una rete, un intrico di esistenze legate dal dolore. Tutto quell'affanno, però, era vano. Il disegno che regolava quei destini era già stato tracciato, e andava via via formandosi spontaneamente: chi non apparteneva a quelle linee essenziali che lo componevano, non sarebbe in alcun modo entrato a far parte del disegno. Eppure... per quanto assurdo fosse... Chi ne faceva parte voleva uscirne a tutti i costi, e chi ne era escluso desiderava ardentemente entrarvi."

 

 

<< E’ proprio necessario? >>

<< Come tutti gli anni, in questo periodo. >>

<< Ma che uffa! >>, si lamentò il fanciullo dai capelli rossi, grattandosi il naso tempestato di efelidi. << Allora non c’è altra soluzione. >>

<< Di che parli? >>, chiese l’altro, un ragazzone alto, ma di corporatura non molto robusta, che sfoggiava un taglio di capelli insolito: la frangia era stata trasformata in un fitto ciuffo che nascondeva completamente l’occhio sinistro.

<< Ma è ovvio: parlo della mia celebre “danza propiziatoria per la raccolta delle patate”! >>

<< E’ la prima volta che sento una simile assurdità >>, contestò, posando a terra le casse di legno e la vanga biforcuta che teneva in equilibrio sulla spalla.

<< Bene, allora rimedio subito. >> Cominciò a saltellare in maniera scoordinata, emettendo versi in una lingua inventata sul momento e roteando il braccio destro, l’unico che possedeva.

<< Affascinante >>, ammise il ragazzo dalle gambe lunghe. << Questo non ti esonera però dal dare il tuo contributo. >>

Il giovinetto si fermò di botto e fece una smorfia. << Tu e le tue dannate patate, Marhalt! >>

<< Sbaglio, Iwen >>, disse quello, sollevando la zappa, << o adori mangiarle? >>

<< Non ricominciamo con la solita tiritera “chi non lavora non mangia”, “il cibo crescerà anche sulle piante, ma non è bene aspettare che si sfracelli al suolo” o “le patate non saltano fuori di loro iniziativa” >>, sbuffò, raccogliendo i tuberi che l’opera di vangatura di Marhalt riportava alla luce.

Lavorarono di buona lena per un po’; quando finirono il primo solco e passarono al secondo, Iwen diede chiari segni di impazienza.

<< Si può sapere che c’è? >>, gli chiese Marhalt, affondando l’attrezzo nel terreno e ritraendolo subito dopo; movimenti sempre uguali, ripetitivi, ormai abituali.

Il ragazzino esitò a rispondere. Lasciò cadere nella cassa l’ennesima patata e si chinò per raccoglierne un'altra. << Non arriva >>, disse infine. Lo spilungone non rispose, preferendo concentrarsi su quelle operazioni che ormai sarebbe stato in grado di compiere ad occhi chiusi. << Le altre volte a quest’ora era già arrivato. Perché non si muove? >>

Scese il silenzio. Il bambino si interrogava con ansia e irritazione crescente. Marhalt sapeva che non c’era ragione di impensierirsi, ma capiva che Iwen non aveva la capacità di fredda analisi tipica dell’esperienza, perché troppo piccolo. Giusto per sicurezza, decise di fare un controllo. Prese fiato e si concentrò, senza smettere di menar fendenti alla terra.

“Ehi” immaginò nella sua mente con una intonazione scherzosa, quando ebbe trovato la linea di pensiero del destinatario del suo messaggio. “Il piccolo, qui, si sta scaldando. Dove sei, prescelto?”

“Come osi venire a fare sarcasmo nella mia testa? Vattene!” gli arrivò in risposta in un tono rauco e infastidito.

“E’ tutto a posto? Di solito sei puntuale, per questo si è agitato” formulò, questa volta seriamente.

“In effetti non posso dire che tutto vada per il meglio. Ad ogni modo, sto arrivando.”

Marhalt si domandò cosa lo avesse trattenuto, ma l’altro gli aveva chiuso le vie di comunicazione e non poteva chiederglielo; era prevedibile, visto che aborriva usare la bilocazione psichica, specialmente per essere preso in giro, come Marhalt aveva appena fatto. Poco importava. Stava tornando.

<< Non è da lui mancare agli impegni >>, ripeté Iwen, irritato che l’amico l’avesse ignorato.

<< E non lo farà neppure questa volta >>, assicurò, tentando di estrarre dalla terra un tubero particolarmente tenace.

<< Ma è strano che non sia già qui! >>, insistette Iwen.

< >, sbuffò, piegandosi e afferrando la patata con la mano libera, nell’ennesimo tentativo di tirarla fuori.

<< Non dire “ricorrenza”: mi da l’impressione di qualcosa di obbligatorio, una cosa imposta, tipo quelle formalità che lui odia tanto. >>

<< Va bene >>, acconsentì Marhalt, strattonando invano quell’agglomerato giallognolo di ostinatezza che si fingeva innocente patata. << In qualsiasi modo tu la voglia chiamare, vedrai che verrà. E’ stato lui stesso a imporsi questo impegno, e sai quanto sa essere perseverante nei suoi propositi. Non vi rinuncerebbe per nulla al mondo >>, terminò, sospendendo la lotta per riprendere fiato.

<< Ben detto, vecchia talpa! >>, esclamò il rosso, sferrando un poderoso calcio alla sventurata patata, che schizzò fuori dalla terreno e ruzzolò a cinque metri di distanza.

<< Ehi >>, disse, andando a recuperarla. << C’è solo una persona che può chiamarmi così. E non sei tu. >>

<< No: è lui! >>, urlò Iwen, indicando al compagno due figure umane e una equina, ancora lontane e sfocate ma visibili, che percorrevano la strada e si stavano chiaramente dirigendo verso di loro. << Vieni, Marhalt! >>

Il giovane lo raggiunse e depose il tubero ribelle nella cassa, insieme alle sue più docili compagne.

<< Stai calmo. Magari ti stai sbagliando. >>

<< Impossibile: ha un cavallo. >>

<< Non credo che sia l’unico a possedere un cavallo in tutta la contea >>, obbiettò lo spilungone. << E poi… Sono due. Ti sei dimenticato di quanto il nostro amico sia misantropo? >>

<< Forse ha preso un prigioniero >>, ipotizzò Iwen.

<< Ma certo. Oppure è lui ad essere in ostaggio >>, rise, trovando la cosa ridicola.

Iwen strizzò gli occhi nel tentativo di vedere meglio. << Aspetta… E’ una donna >>, comunicò.

Marhalt alzò un sopracciglio. << Orpo. Che si sia fatto improvvisamente furbo? >>

Una mano sopra gli occhi, in atteggiamento da sentinella, Iwen continuò la cronaca.

<< Ha un mantello! Ha un mantello! >>, gioì.

<< Stesso discorso del cavallo >>, contestò distrattamente, immaginandosi che tipo di rapporto potesse avere la persona che aspettavano con una donna.

<< Lo senti questo, allora? >>, affermò con aria di sfida. << E’ un tintinnio. >>

<< Anche i collari dei cani tintinnano >>, rispose, continuando a lambiccarsi su quel quesito.

<< No, no no >>, negò il ragazzino, saltellando agitato. << Ascolta, ascolta questo tono di voce astioso. >>

<< Beh, suppongo che lui non sia l’unico antipatico su tutto il pianeta. >>

<< Contestazione fiacca! Quella camminata svogliata è propria di un solo essere umano. E lui! >>, esultò.

Marhalt conficcò la vanga nel terreno e vi si appoggiò, usandola come sostegno. Guardò Iwen correre verso i nuovi venuti e assalire il giovane dall’aria scocciata.

<< Sei in ritardo! >>, urlò il ragazzino.

Il tizio col mantello lasciò il cavallo al di là della recinzione ed entrò nell’orto, seguito a ruota dalla ragazza.

<< No, è che… Strada facendo mi è capitata una rogna >>, spiegò, raggiungendo il ragazzino dai capelli di fuoco.

<< Non ti starai mica riferendo a me, vero? >>, gli chiese la ragazza, fulminandolo con lo sguardo.

Il ragazzo sfoggiò un sorriso malevolo a trentadue denti. << Coda di paglia, eh? >>

“Ecco” pensò Marhalt, ponendo fine ai suoi dubbi. “E' così che si comporterebbe con il gentil sesso: esattamente come con tutti gli altri.”

Osservò i due fissarsi in cagnesco e notò che Iwen sembrava molto interessato alla ragazza. Possibile che invece fosse il bambino ad essere diventato furbo?

<< Senti… >>, esordì il rosso esitante, interrompendo la lite silenziosa dei due nuovi arrivati.

<< Sì? >>, chiese lei, spostando sul ragazzino la sua attenzione.

<< Ma tu… >>, guardò prima l’uno, poi l'altra, dubbioso. << …Sei sua schiava, vero? >>

La ragazza avvampò di rabbia, sotto lo sguardo goduto del suo compagno. << Per quale assurdo motivo dovrei esserlo? >>

<< Perché altrimenti non mi spiego come mai non ti abbia ancora uccisa >>, rispose con sincerità.

Fu così che la ragazza spostò le sue ire su Iwen, sommergendolo di educati, ma energici, improperi.

Il tizio col mantello, per nulla dispiaciuto di essere stato rimpiazzato e di aver ceduto il suo ruolo di litigante, lasciò che i due si scannassero e si avvicinò a Marhalt; questi sembrava decisamente contento e pago nell’osservare quella disputa verbale.

<< Mi dispiace >>, gli disse. << Temo di aver portato un nuovo confusionario. >>

<< Di’ la verità >>, rise Marhalt << Avevi nostalgia del baccano che solo Iwen riesce a fare? >>

<< Temo che questa sia pure peggio >>, sospirò affranto, cercando di ignorare la ragazza, che aveva sollevato per i piedi il gracile Iwen e lo stava facendo roteare a testa in giù.

Marhalt lo guardò negli occhi, riconoscendo nelle iridi verdi quella scintilla di perversa astuzia che conosceva bene.

<< Bentornato a casa, Wantz. >>

Il ragazzo col mantello sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Finestre sul passato ***


cap 16

Salve a tutti. ^^

Ecco altre quattordici (O_O) pagine nelle quali non succede molto a livello d'azione, ma vengono svelate alcune cose di interesse non indifferente. In questo capitolo mi sono soprattutto sbizzarrita per quanto riguarda le frasi: forse i dialoghi risulteranno "strani" come al solito (o "accademici", Lore dixit, e a ragion veduta), ma vado piuttosto fiera di alcune singole frasi. Se qualcosa colpisce anche voi, mi piacerebbe che me lo diceste: vorrei farmi un’idea se ciò che voglio comunicare arriva al destinatario oppure no, o se semplicemente quello che scrivo piace.

Il sedicesimo capitolo ha scatenato molte reazioni del  tipo“Che? Wantz ha una famiglia?!”. Ora ne saprete di più. Ora la verità comincia ad intravedersi. E alcune immagini cominciano a distorcersi.

Indi, spero che questo premierà coloro che hanno la pazienza di aspettare i miei aggiornamenti così sporadici (alla faccia di quelli che hanno gettato la spugna: Eco e le sue prime cento pagine del Nome della Rosa docent). I commenti mi fanno sempre piacere. ^^

E ora via, si comincia!

 

Capitolo 17: Finestre sul passato

 

Seduto sul dondolo in legno costruito in un moto di iperattività di Marhalt e scaraventato da lui stesso davanti allo sgangherato edificio che avevano l'ardire di chiamare casa, Wantz si godeva quella familiare sensazione oscillante, quel dondolio regolare che con i suoi moti perpetuamente uguali aveva fatto da contorno, personaggio silenzioso e fedele, a tante sue giornate. Avanti e indietro, ora immaginariamente vicino alle stelle che brillavano nel cielo cupo e gli mormoravano il suo futuro in una lingua a lui inafferrabile, ora spinto indietro verso ricordi vivi, ma passati, proprio perché ricordi.

Al suo fianco, lunga figura immobile, Marhalt se ne stava in piedi, il volto alzato al cielo, forse intento anche lui nell'insolubile decifrazione dei criptici messaggi celesti.

<< Non ti siedi? >>, chiese Wantz con noncuranza eccessiva.

<< Sai che odio quell'affare >>, fu la prevedibile risposta.

<< Non mi capacito di come tu possa disprezzare così una tua creazione... >>

<< Lo sai perfettamente. Mi da la nausea >>, rispose pacato, ma un po' seccato di essere caduto ancora su quel punto.

<< Non crucciarti >>, ridacchiò il mago, assaporando lo spostamento d'aria e il lento movimento del dondolo. << Sembra che sia un problema comune. >>

<< Dici? >>, domandò distrattamente, lo sguardo perso nella trapunta luminosa che li sovrastava.

<< Oh sì >>, assicurò. << Dovresti vedere che effetti può provocare un viaggio su un carro. >>

Marhalt strizzò gli occhi, sospettoso. << Perché ho l'impressione che tu abbia torturato quella povera ragazza? >>

La risposta di Wantz fu preceduta da una breve risata. << Non mi sembra che abbia un aspetto così malconcio... Dici che devo nutrirla meglio? >>

<< Non parlarne come se fosse un animaletto >>, lo ammonì. << A cena mi è sembrata una bravissima persona: educata, gentile, spigliata... >>

<< ... insopportabile, guastafeste... >>

<< ... dotata di pazienza ammirevole, visto che è riuscita a convivere con te, determinata ma al contempo dolce... >>

<< ... decisamente irritante e rumorosa. >>

Lo spilungone rise. << Questo secondo i tuoi personalissimi metri di giudizio. >>

<< Non nego che sia una persona dotata di grande forza d'animo, di notevole resistenza al dolore e alla fatiche, e tante altre belle cose, ma i difetti non le mancano. >>

<< Come a tutti gli esseri umani >>, puntualizzò. << Cosa te la rende così ostica da digerire? >>

<< Uno su tutti. >> Inspirò e assunse un'aria solenne. << La sua voce è così forte che diventa arduo pensare. >>

Il ragazzo annuì con serio cipiglio. << Capisco. Per un tipo riflessivo e meditabondo che rasenta il mutismo come te è un grave impedimento, decisamente. >>

<< E' come un uccellino >>, continuò. << Non ha il senso della stabilità. Ma io ne ho a sufficienza per entrambi. >>

<< Senza offesa, ma io penso che sia più probabile il contrario. >>

Non ottenne nessuna reazione dal compagno. Evidentemente si era perso in qualche suo ragionamento ispirato da quanto appena detto. Uno sbuffo di vento scompigliò a Marhalt i capelli castani, scuriti dalla notte, dal loro taglio insolito ma strategico. Si schiacciò il ciuffo in modo da coprire meglio l'occhio sinistro, guardando di sottecchi l'espressione affranta che calava lentamente sul volto del mago.

<< Cosa c'è? >>, chiese, allusivo.

<< Solo il solito, incontenibile senso di vuoto. >>

Marhalt sospirò. Sapeva bene cosa si prova quando si è in quello stato, ci era passato anche lui. Ma non poteva fare nulla per lui, più di quanto già non facesse: doveva riuscire ad uscirne da solo.

<< A parte questo, che ormai, devi ammetterlo, rappresenta la normalità, cos'altro ti preoccupa? >>

<>

<< Da una di quelle che ti tormenta di più, per esempio. >>

Seguì un breve silenzio. Si stava alzando il vento, e Wantz aveva smesso da un pezzo di dondolarsi. Marhalt batté a terra con forza un piede che gli si era addormentato; gli succedeva spesso. Wantz diceva che era a causa della sua sproporzionata e superflua altezza; che il sangue per circolare lungo un percorso così lungo ci metteva troppo. Ma non era bene prenderlo sul serio, perché da sempre il mago era giusto un tantino seccato di dover stare venti centimetri più in basso di lui. Del resto non era un problema pressante. No, avevano decisamente questioni peggiori a cui pensare.

<< Lei ha... E' riuscita ad attraversare una mia barriera. >>

Restò senza fiato. A stento riuscì a parlare, e solo dopo una doverosa pausa.

<< Stai scherzando? >>

<< Ma ti pare? >>, dibatté stizzito, riacquistando un po' della consueta tracotanza. << E non è l'unica cosa, riguardo a lei, che mi lascia interdetto. >>

<< Buon Dio... Stento a crederci. >>

Wantz lo guardò con gli occhi socchiusi. << Non dirmi che non te ne sei accorto. >>

Il ragazzo agitò una mano davanti al volto. << Scherzi? Si percepisce benissimo. Quella ragazza ha qualcosa di particolare, ma non saprei definire con chiarezza cosa. Appena l'ho guardata con un po' d'attenzione, sono stato invaso da una sensazione indefinibile. Non fatico a credere che faccia parte della profezia. >>

<< E io non sono nemmeno più stupito che l'Oscuro la stia cercando con assillante pedanteria. >>

Marhalt sgranò gli occhi. << Numi, se addirittura Lui dimostra un interesse nei suoi confronti... Quel qualcosa non è certamente una cosa comune. Il fatto che nemmeno noi riusciamo a definire e nemmeno a capire cosa sia mi preoccupa. Di certo le porterà guai. Ma come possiamo aiutarla a difendersi da qualcosa che non sappiamo cosa sia? >>

<< A parte il fatto che ha dimostrato di sapersi difendere benissimo da sola... >>, mugolò il mago ripensando a quanto la ladruncola sapeva essere violenta sia a parole sia in azioni. << Ha già dovuto affrontare entità sconosciute. Ha pure scacciato in malo modo un regalino mandato a domicilio dall'Oscuro. >>

<< E, a quanto mi dici, ha osato non solo opporsi a te, ma anche farsi beffe delle tue arti magiche, riuscendo a sopravvivere alla tua ira >>, sottolineò. << Mai essere umano riuscì a fare tanto. >>

Wantz rise sarcastico. << Una bambina ardimentosa, inutile negarlo... >>

<< Che ne diresti di spiegarmi per bene? Magari dall'inizio. Con tutti i dovuti particolari. Tanto... >>, lanciò un'occhiata alla casa, dove dormivano, ignari del loro colloquio, Iwen e Jillian. << I bambini sono a letto da un pezzo. >>

<< Che ora sarà? >>

<< A occhio e croce, le due. >>

Rassicurato dal favore della notte avanzata, Wantz si dispose, pur di malavoglia, a riassumere tutto ciò che era successo durante la sua assenza da Past e, in special modo, le ultime settimane, dopo l'incontro-scontro con la piaga sifilitica dall'aria innocentemente angelica che alla lunga lo avrebbe sfiancato, ne era sicuro.

"Ricordi, ricordi...

I ricordi servono a tenere le persone vicine. Rievocare un sorriso, una frase, una fisionomia, un gesto... Anche i morti restano vivi nei ricordi delle persone care.

Perché, allora?

Perché sono stato così folle da non accontentarmi dei ricordi?

Così infantile. Così egoista.

Se lo raccontassi a qualcuno, che reazioni otterrei?

Marhalt, se te lo dicessi, cosa penseresti? Ti arrabbieresti perché te l'ho tenuto nascosto per tutto questo tempo? O ti limiteresti a darmi dell'idiota?

Ah, storie, so benissimo cosa diresti. Saresti deluso di me. Ma non temere.

Anch'io sono deluso di me."

Terminato il resoconto delle settimane precedenti, Wantz tacque. Era di indole taciturna: non gli piaceva parlare tanto per farlo ed aveva difficoltà a reggere conversazioni lunghe. Raccontare, però, gli riusciva bene. Anche in quel momento, non si era limitato a descrivere i fatti, li aveva raccontati; c'era una differenza sottile, ma sostanziale. A suo parere, una persona si può descrivere, ma una vita si può solo raccontare. E così aveva fatto per quel pezzo della sua esistenza. Come avrebbe potuto limitarsi ad un riassunto freddo delle illusioni vinte dalla ragazza, ad un'analisi distaccata dei problemi superati e di quelli che sarebbero sopraggiunti, o ad uno sterile elenco dei dubbi nati in quel breve ma intenso arco di tempo? Le parole, cosa inusuale, gli uscivano fuori con facilità e il suo parlare, cosa ancora più rara, era spontaneo, senza artifici. Più volte troncò frasi a metà, cambiò termini poco adatti, indugiò su due esempi per scegliere quello che rendesse meglio l'idea di ciò che voleva dire, balzava da un evento all'altro, nel desiderio di fornire un quadro chiaro di ciò che aveva vissuto. Truccare la propria vita e fornirne una versione menzognera sarebbe un'inutile perdita di tempo; questo pensava, e di conseguenza narrava. Adesso Marhalt restava in attesa. Le domande che gli si affollavano in testa erano tante, così come le ipotesi e i rimproveri per il comportamento del suo barbaro amico, ma stava iniziando ad avere sonno, quindi aspettava il momento adatto per terminare il discorso, con l’intenzione di continuarlo l'indomani.

<< Non potrò mai dimenticare la bellezza del suo pianto >>, disse Wantz all'improvviso, riferendosi alle occasioni in cui la ragazza aveva pianto, ma in particolare a quello seguito alla dipartita del "ricordo". << Ti faceva sentire che l'anima racchiude davvero qualcosa di prezioso. >>

Marhalt sbatté le palpebre, sorpreso che il mago parlasse apertamente di un argomento così spinoso. << Wantz, io... >>

<< Non sai cosa dire, eh? Meglio, non c'è nulla da dire. In certi casi guardare senza poter avere provoca invidia, rancore; in altri invece la contemplazione di ciò che non si può avere appaga, rasserena. Questo è uno di questi ultimi. Vedere che c'è ancora qualcuno con un'anima così pura, nonostante la prevalenza, ormai, di anime corrotte, spietate, sporche, dannate, vendute, rubate, nere... mi fa sentire bene. >>

Lo spilungone sorrise. << Non ci credo. Non dirmi che hai trovato una speranza >>, insinuò, canzonatorio.

Wantz scosse la testa. << Speranza è una parola grossa, e in questo caso decisamente fuori luogo. >>

<< Per ora >>, sussurrò, troppo tentato di punzecchiarlo e incurante del rischio di farlo innervosire. Si voltò e si avviò verso la casa, sicuro che non avrebbe ricevuto risposta a quella provocazione. Entrò, con il vago sentore che forse, finalmente, qualcosa aveva riscosso il mago dal torpore in cui era caduto ormai da troppo tempo, e si chiuse la porta alle spalle. Speranza, curiosità o qualunque cosa fosse, era ben accetta, purché servisse a dargli una scrollata e a farlo scendere dal gradino di distacco che gli fungeva da istintiva difesa. Ridacchiò, sentendolo masticare parole con un misto di disprezzo e rassegnazione.

<< Per ora. >>

"Sono due anni. Due anni che vivo con addosso le conseguenze di ciò che ho fatto.

E non si tratta solo del rimorso.

Non è nemmeno questione di orgoglio.

E neppure il peso di quest'ennesimo errore.

E' qualcosa di molto più opprimente.

Glielo leggo negli occhi, ogni volta. Lui non me lo fa pesare, forse non gli importa davvero, ma la verità è innegabile.

Ogni volta, durante i nostri surreali incontri, me lo chiedo con ansia crescente.

Perché? Perché fate finta di niente, maestro?

E' colpa mia."

Quando si svegliò, indugiò a letto. Valutò la possibilità di prepararsi qualche discorso, di riflettere su come comportarsi in una situazione così inaspettata, ma non riusciva a trovare nulla di adatto. La cosa migliore da fare era comportarsi con naturalezza, perché così si erano comportati con lei i padroni di casa. Aveva cenato nel mezzo delle beghe, dei punzecchiamenti, delle battute e del particolare ma evidente affetto che legava quei tre eccentrici personaggi. Il lentigginoso bambino impertinente, Iwen, e Marhalt, lo stangone dall'aria serafica e dall'incrollabile sorriso, l'avevano accolta senza riserve e si erano comportati come loro solito, facendola sentire a suo agio proprio grazie all'assenza di formalismi e all'atmosfera quasi familiare che regnava tra loro. Quindi, come la sera precedente, sarebbe stata semplicemente se stessa.

Scese dal letto, lo rifece frettolosamente, si diede una sistemata guardandosi nello specchio che stava appeso sbilenco alla parete, uscì dalla piccola e spoglia camera che gli avevano assegnato e scese le scale, fermandosi titubante nel minuscolo ingresso. Davanti a lei c'era la porta che dava all'esterno, alla sua destra invece c'era la cucina, da dove giungevano dei rumori indistinti. Dall'uscio della cucina fece capolino Marhalt, che la salutò con un sorriso a cui lei rispose con un titubante "Buongiorno".

<< Vieni >>, le disse. << La colazione è pronta. >>

Jillian si era chiesta come avesse fatto ad accorgersi che era scesa, visto che si era mossa silenziosa come quando si infiltrava nelle case per rubare, ma quell'interrogativo venne subito soppiantato da un altro non appena entrò nella stanza. Dire che la colazione era pronta era poco. Era tutto fumante, appena finito di essere preparato, come se ci fosse stata la certezza lei che sarebbe arrivata in quel preciso istante. Si sedette a tavola, allo stesso posto del giorno precedente, guardando un po' stupita le uova e la minestra che il ragazzo le servì.

<< Ah, immagino che ti sembri un po' strano >>, disse in risposta al suo stupore. << Noi mangiamo abbondante la mattina perché non facciamo pranzo. Stiamo tutto il tempo nell'orto a lavorare. Non immagini quanto ci sia sempre da fare. >>

<< Sì, lo. Ho esperienza nei lavori agricoli >>, assicurò, sollevando il cucchiaio e tuffandolo nella minestra preparata con le verdure che loro stessi coltivavano.

Marhalt sedette di fronte alla ragazza, cercando di scrostare con un cucchiaio di legno un paiolo ricoperto da una patina verdastra decisamente poco attraente.

<< Se ti fa schifo mangiare così abbondante la mattina, dillo. Ti preparo qualcos'altro >>, propose, premuroso.

<< Oh, no. Non c'è nessun problema. >>, si affrettò a smentire. << Sono abituata a mangiare quel che capita a qualsiasi ora. >>

Il ragazzo sorrise. << Va bene. Ma non farti scrupoli di nessun genere, mi raccomando. >>

Jillian mangiò in silenzio, contemplando il lavoro di pulitura dello stangone: la crosta non sembrava intenzionata ad abbandonare il suo domicilio. Guardò quel ragazzo alto e gentile sfregare il paiolo con tutte le sue forze: le sembrava un tipo calmo e pacato, probabilmente più maturo di quanto la sua età esigesse; quel suo fare tranquillo e quel suo essere sempre sorridente le trasmettevano una sensazione di quiete e di sicurezza. Era certa che svolgesse una funzione di mediatore durante le dispute degli altri due, e si comportava a tutti gli effetti come un fratello maggiore. Nonostante la fiducia che ispirava e il suo carattere mite, c'era in lui qualcosa di strano. Il taglio di capelli, per esempio. La cura con cui celava l'occhio sinistro. La sua abitudine di camminare, parlare, cucinare, tenendo spesso l'occhio destro chiuso: si muoveva, tagliava, faceva tutto come se ci vedesse, eppure un occhio era serrato e l'altro non poteva certamente superare la spessa barriera formata dal ciuffo. E le rare volte che apriva il destro, lo teneva rigorosamente socchiuso. Per quanto si sforzasse, non riusciva a evitare di formulare ipotesi assurde. Già se lo immaginava affetto da una malattia che lo avrebbe reso cieco, e quello risultava essere un allenamento per arrivare preparato al buio perenne. Ma tutte le supposizioni non era soddisfacenti. Sospettava che la risposta fosse legata a qualche evento particolare, magari magico. Forse era vittima di qualche maledizione.

Si vergognò dei suoi  sospetti ingrati guardando il suo placido e rassicurante sorriso.

<< Tu non mangi? >>, gli chiese, passando alle uova.

<< Già fatto. Sono in piedi da un pezzo. Noi mezzadri dobbiamo essere mattinieri. >>, rispose, perdendo il controllo del cucchiaio, che schizzò via e gli ricadde sul naso.

Jillian non riuscì a non ridere. Marhalt si massaggiò il naso, sorridendo rassegnato.

<< Mi dispiace se ho rallentato i vostri ritmi. Normalmente non mi sveglio così tardi. >>

<< Non ti preoccupare. Wantz mi ha raccontato la vostra ultima disavventura. Avevi del sonno da recuperare, e mi ha detto di non svegliarti. >>

<< Premura inusuale >>, sussurrò acida.

Il ragazzo sembrava divertito. << Deve essere dura per te aver a che fare con un tipo come lui. >>

Jillian ingoiò un boccone e sbuffò. << Buzzurro è la definizione adatta. >>

<< Immagino che la difficoltà maggiore sia riuscire ad instaurare un dialogo con lui >>, disse con tono comprensivo.

<< Non mi lascia mai aprir bocca >>, confermò.

<< Tienigli compagnia ancora due anni e scorderai il suono della tua voce >>, rise il ragazzo.

<< A proposito, dov'è? >>, chiese, realizzando solo allora che si sentiva così allegra perché nessuno le aveva ringhiato contro o l'aveva squadrata con aria supponente.

Ci pensò un attimo. << Veramente non saprei. >>

<< A tramare qualcosa di losco, sicuro >>, scandì con convinzione.

Una voce la fece trasalire.

<< In effetti è un po' che non succedono disastri. >>

Si voltò e vide Iwen entrare con un cesto pieno di patate. Si sedette e appoggiò il cesto sulla tavola.

<< Ciao >>, bofonchiò in imbarazzo rivolto a Jillian. Non doveva aver a che fare molto spesso con le donne, e quindi non sapeva bene come comportarsi con lei; oppure si vergogna per la sera precedente, quando le aveva chiesto se era la schiava del mago. O forse, memore della vendetta della ragazza, e volendo evitare di essere sollevato di nuovo per i piedi e di roteare per aria, la riteneva un pericolo per la sua incolumità. Era un ragazzino di qualche anno più piccolo di lei, ancora ingenuo; sembrava costantemente nervoso, un tipo irrequieto che non riesce mai a stare fermo, impulsivo, una vera testa calda. Quando si agitava i suoi capelli rossi parevano delle fiamme guizzanti. Aveva il viso tempestato di efelidi, così come il resto del corpo. Pareva un ragazzino normalissimo, ma anche lui le dava la stessa impressione di mistero insoluto di Marhalt. Non poteva proprio fare a meno di chiedersi in quale circostanza avesse perso il braccio sinistro.

<< Indovina cosa c'è per cena >>, canticchiò allegro Marhalt.

<< Quello che mangeremo per i prossimi sei mesi >>, grugnì risentito.

<< Non disprezzare il cibo, Iwen >>, lo ammonì.

<< Non le disprezzo in quanto cibo, ma in quanto tuberi da estrarre dalla terra >>, spiegò, grattandosi il naso.

<< A proposito, entro sta sera dobbiamo assolutamente finire di raccoglierle. >>

<< Grandioso >>, biascicò con un'aria scocciata che le ricordò molto le smorfie di Wantz e le strappò una risata. Iwen alzò gli occhi su di lei e vide i piatti vuoti; li prese con l'unica mano che aveva e li posò vicino ad altre stoviglie in attesa di essere lavate. << Se hai ancora fame dillo >>, grugnì.

<< Grazie, sono a posto >>, rispose sorridendogli, nel tentativo di scioglierlo un po'.

Iwen arrossì lievemente. << Comunque, se poi ti viene fame, dillo: noi di solito non pranziamo, ma qui c'è tutto il pane che vuoi. >>

<< Oh sì >>, annuì Marhalt, tornando ad esaminare il paiolo. << Wantz adora il pane, mangerebbe solo quello. Se c'è lui nei paraggi, sta' sicura che puoi avere tutto il pane che vuoi. >>

Il ragazzino si rigirò una panata in mano. << Quindi se non resisti fino a cena puoi tranquillamente strafogarti di pane. >>

Jillian ringraziò. << Iwen, per caso sai dov'è Wantz? >>

<> Fece un'impercettibile pausa. << E' lì? >>, aggiunse, con un chiaro riferimento ad un luogo che loro conoscevano bene, e che lei non poteva sapere.

<< No. >> La risposta valeva per entrambe le domande.

Non dissero altro a riguardo, forse secondo un tacito accordo. Jillian non insistette e restò un po' in silenzio, guardando Iwen che sbeffeggiava l'amico per la scelta discutibile dell'attrezzo di raschiamento: con fare esperto si armò di un coltello e si mise a raschiare i lati del paiolo con energia. Troppo energia. La patina crostosa si staccava in grossi grani e schizzava ovunque per la cucina, con sommo orrore di Marhalt al pensiero di dover ripulire tutto. Afferrò il braccio del ragazzino per fermarlo, col solo risultato di dirottare gli schizzi contro di lui. Prima che Iwen si fermasse, aveva la faccia e il capelli ricoperti di verde. In mezzo alle risate di Jillian, alle scuse divertite di Iwen e ai gemiti di disgusto di Marhalt, si aggiunse un'altra voce.

<< Perché perdete tempo in questa maniera assurda quando le patate fremono d'impazienza? >>

Marhalt si ripulì con il dorso della mano e lo guardò storto, pur sorridendo benevolo. << Oh, sta' zitto, Wantz. Altrimenti ce n'è anche per te. >>

Wantz stava appoggiato al davanzale della finestra (che più che altro era un buco nel muro che veniva chiuso con una pezza di tela ruvida, visto il costo proibitivo dei vetri) e li fissava con la solita aria di superiorità venata di ironico distacco. Aveva cambiato vestiti: via il mantello, la spada e i vestiti scuri, adesso indossava una maglia azzurra e un paio di calzoni grigi; si era anche legato i capelli con un nastrino. Teneva in mano una pagnotta sbocconcellata e aveva la bocca sporca di farina. Jillian, a vedere ciò, sorrise.

<< Ben svegliata. Vedo che ci divertiamo, eh? >>, sogghignò all'indirizzo della ragazza.

<< Parla per te >>, gemette lo spilungone, sputando un'invadente pezzo verdastro che gli era entrato in bocca.

Wantz storse la bocca in un sorriso canzonatorio. << Grazie per il tuo solerte impegno a tenere alto l'umore della truppa >>, disse a Iwen.

<< Ma le pare >>, ammiccò.

Jillian guardò il mago con un misto di divertimento e dolcezza.

<< In verità ridevo per te >>, ammise.

<< Effettivamente... >>, rifletté il più grande del gruppo. << Ma come ti sei conciato? Sei tutto sporco di farina. >>

<< Da che pulpito. Ma ti sei visto? Vatti a specchiare, ne vale la pena >>, rispose maligno, passandosi però immediatamente il dorso della mano sulle labbra.

Seguì un momento di disordine in cui Marhalt, specchiatosi e capita l'entità del disastro, inseguì per tutta la casa il rosso scalmanato e, una volta catturato, lo mise, straccio alla mano, a rimediare a ciò che aveva combinato.

<< Comunque... >>, riprese Jillian quando riuscì a frenare le risate. << Non era per la farina. Sono favorevolmente impressionata nel vedere che sei capace di provare affetto verso qualcuno. >>

Ci fu un momento di silenzio generale. Wantz aveva lo sguardo rassegnato che assumeva ogni volta che lei se ne usciva con un'affermazione del genere; Iwen si era bloccato per lo stupore e fissava alternatamene il mago e la ladra; Marhalt, a occhi chiusi, diede un colpetto col piede al bambino perché si rimettesse all'opera.

<< Che carina >>, sospirò quest'ultimo con fare sognante. << Non mi capita spesso di sentire frasi così cariche di sentimento. Ci voleva proprio uno spirito femminile qui dentro. Questi due non mi danno mai soddisfazioni di questo tipo >>, terminò, risentito.

Wantz lo fulminò con lo sguardo, ma probabilmente era contento di poterne uscire in modo decoroso. << Scusa tanto se non sono di indole zuccherina e smielata. E poi se stessi dietro a tutte le sue uscite poetiche perderei delle giornate intere. >>

Marhalt posò le mani sulle spalle di Jillian. << Hai il mio permesso: seppelliscilo di melensaggini >>, affermò con aria solenne, investendola ufficialmente di quell'ingrato compito.

<< Non vi deluderò >>, promise con fare altrettanto serio. << Hai sentito? >>, chiese al mago con un sorriso canzonatorio e malizioso. << Sono stata autorizzata, perciò non lamentarti. >>

<< Ne morirò >>, protestò il diretto interessato.

<< Appunto >>, confermò Iwen.

Mentre lo spilungone si dilettò a tormentare il bambino con una ramanzina sul rispetto, Wantz lanciò a Jillian un'occhiata preoccupata. Lei lo guardò interrogativa, ma lui si limitò a scuotere la testa. Jillian si chiese ancora quale fosse veramente la relazione che legava quei tre ragazzi, chi fossero veramente, e cosa passasse nella testa del suo compagno di viaggio. E ancora non seppe rispondersi.

<< Bando alle ciance Marhalt, >>, chiamò infine il mago, << abbiamo un problema. >>

<< Sarebbe? >>

<< Il gufo. Verrà oggi. >>

Sussultò. << Non dirmelo. Vuole le patate? >>

<< E anche polemizzare. >>

<< Accidenti... Molla lo straccio, mozzo! >> Alzò Iwen di peso e cominciarono a discutere su come velocizzare la raccolta.

Jillian si avvicinò alla finestra dove stava il mago. << Senti, Wantz... >>

Staccò un morso di pane e lo masticò con gusto. << Umh? >>

<< Oggi è domenica. Mi chiedevo se non fosse possibile andare a messa. Immagino che in questo paese ci sia una chiesa. >>

Va bene che la richiesta poteva suonare un po' da zitella bigotta, ma il gelo che cadde dopo la sua domanda le sembrò fin eccessivo. Erano ammutoliti all'istante, persino Iwen aveva smesso di accampare scuse per sfuggire ai tuberi, e la fissavano stupiti . Iwen e Marhalt, almeno. Wantz, oltre che sbigottito, sembrava... ferito.

Sentì il bisogno di giustificarsi, anche se neppure lei sapeva perché. << Sono due settimane che non ci vado... Pensavo che si potesse fare, visto che tanto non hai intenzione di ripartire oggi... >>

Si riprese. Cancellò quell'aria ferita e sbalordita e riacquistò l'inespressività che lo contraddistingueva.

<< Iwen. Puoi accompagnarla tu? >>

Il ragazzino aveva assunto un'espressione stranamente seria. << Sì, non c'è problema. >>, acconsentì subito. << Le patate? >>, aggiunse. Jillian però ebbe l'impressione che non avesse acconsentito solo per scampare alla raccolta: c'era un motivo di fondo. Qualcosa nella sua richiesta aveva turbato il mago, qualcosa che i suoi due compari conoscevano bene, e lei non riusciva a immaginare. Qualcosa legato al  motivo che li spingeva a non volerla lasciar andare da sola.

Wantz sogghignò, forse nel tentativo di ripristinare l'atmosfera allegra di prima. << Si fa a modo mio. >>

"Non me la sento di classificarlo come un errore, perché non è stato involontario, l'ho fatto in piena consapevolezza. Era ciò che volevo.

La definirei piuttosto un'imperdonabile leggerezza.

Pensavo che sarei riuscito a gestire la cosa. Pensavo che fosse giusto farlo.

Mi giustificavo dicendomi che era legittimo. Invece non era solo scorretto nei suoi confronti e contro qualsiasi morale.

Era contro natura."

Indossato il più semplice dei (due) vestiti che possedeva, quello blu scuro troppo leggero che Wantz disprezzava tanto, Jillian uscì quasi di corsa dalla porta d'ingresso.  Marhalt le aveva detto di sbrigarsi: loro abitavano fuori dal villaggio ("A prudente distanza", pensò lei), per raggiungere la piazza principale dove c'era la chiesa ci voleva solo una decina di minuti, ma era tardi e la funzione sarebbe cominciata a breve. Raggiunse Iwen, fermo nel prato che conduceva all'orto. Si era messo una giacca nera sbiadita e troppo lunga, probabilmente appartenete a uno degli altri due ragazzi. Era il meglio che aveva trovato, farfugliò in scusa. Jillian sorrise del suo impacciato contegno; gli lisciò alcune pieghe che si erano formate sulle spalle, sfiorando titubante la manica destra, che Marhalt aveva arrotolato fin sulla clavicola e fissato con uno spillone.

<< Perfetto >>, commentò.

Iwen, che aveva distolto lo sguardo mentre lei lo sistemava, stava ridendo guardando davanti a sé. Jillian si voltò e seguì la linea dello sguardo del ragazzino, fino all'orto. Wantz stava ritto in piedi nel centro dei solchi delle patate, il braccio sinistro alzato all'altezza del collo e indice e medio alzati davanti al naso, l'altro invece veniva agitato su e giù, a sinistra e a destra: ad ogni movimento del braccio destro una patata schizzava fuori dalla terra, roteando in aria e ricadendo con grazia, senza ammaccarsi, nelle casse che Marhalt, rigorosamente ad occhi chiusi, reggeva e sostituiva man mano che si riempivano. Con movimenti precisi e ritmo sostenuto, lavoravano senza pause e in un silenzio concentrato.

Iwen staccò a fatica gli occhi da quel surreale e fantastico spettacolo e si incamminò.

<< Andiamo >>, intimò alla ragazza.

<< Sarebbe questo il suo modo di raccogliere le patate? >>, chiese, indispettita dal modo inconsueto e sconsiderato di Wantz di servirsi della magia.

Annuì. << Sì. Così, almeno, finiranno in tempo per l'arrivo del gufo. E io mi sono evitato quella seccatura. >>

<< Ma chi è il gufo? >>, domandò, camminandogli di fianco.

Il ragazzino fece una smorfia. << Il padrone dei nostri terreni. Lo chiamiamo gufo perché assomiglia in tutto e per tutto ad uno di quegli uccelli notturni; se lo vedrai, capirai subito a cosa mi riferisco. Marhalt è un suo vassallo >>, spiegò tutto d'un fiato.

<< Ho capito. Quindi vi occupate dei suoi campi e degli alberi da frutto, e in cambio lui prende parte del raccolto. >>

<< Esatto. Wantz ha sentito che oggi ci farà una visita a sorpresa e pretenderà la sua quota di patate. E' una sua cattiva abitudine, venire a riscuotere senza preavviso >>, soffiò con risentimento.

Jillian evitò di chiedersi come Wantz lo avesse effettivamente sentito; aveva il sentore che non avesse solo sentito delle voci, ma che fosse andato direttamente alla fonte. Ringraziò di non essere nella lista del ragazzo delle "menti da visitare e/o da tenere sotto controllo".

Sentirono i rintocchi delle campane annunciare l'inizio della messa. Allungarono il passo.

<< La stai trattando come una stupida. Farai del male anche a lei. >>

Wantz non rispose. Sollevò una cassa piena di patate e si diresse verso il capanno di fianco alla casa che fungeva da magazzino e da stalla. Marhalt lo seguì, tenendo due casse contro i fianchi. Avevano finito velocemente e senza fatica; ora non restava che dividere il raccolta a metà, in attesa dell'arrivo del famelico padrone.

<< Sto cercando di fare del mio meglio >>, disse infine. Sistemò la cassa a terra, vicino alle altre, nel magazzino buio e soffocante.

<< Vero è che sei arrugginito, ma sono certo che puoi benissimo convivere con quella ragazza. >> Posò il carico e si terse con un fazzoletto il sudore dalla fronte, mentre Wantz controllava che il suo cavallo avesse biada a sufficienza per tutta la giornata. Uscirono e tornarono in casa.

<< Mi sto sforzando, ma conosci la mia deficienza quanto al vivere insieme a qualcun altro >>, ricordò Wantz.

Lo spilungone prese alcuni tuberi dalla cesta che aveva portato Iwen e li lavò in una tinozza piena d'acqua.

<< In solitudine un uomo può acquisire qualsiasi cosa, ma non un carattere. >>

<< Dio mi ha dato un'anima individuale, e io non la posso seppellire >>, obbiettò.

Marhalt rise. << Tu parli che parli di Dio. Usandolo come legittimazione, poi. >>

Cominciò a pelare patate, sotto lo sguardo assente del mago. Dal paese giunsero i rintocchi che annunciavano la fine della messa. Arrivarono sino a loro le grida dei bambini che, usciti sulla piazza a giocare, gioivano per la fine dell'ora di noia settimanale.

<< Sai... Il vecchio proverbio si può ben dividere fra me e lei >>, riprese Wantz dopo una lunga pausa. <<  Lei ha la "grazia di Dio", e io "quel che basta". >>

Era preparata alle occhiate sospettose che avrebbe potuto ricevere in quanto forestiera; e in qualche modo era pronta anche ad eventuali reazioni inaspettate dovute alla presenza del suo accompagnatore. Una cosa, però, è la prudenza, un'altra il disprezzo.

Ogni singolo abitante che incontrarono per strada lanciò occhiate gelide ad Iwen, il quale rispondeva con un'espressione indifferente che era sicuramente frutto degli insegnamenti di Wantz; e anche in chiesa molti si voltavano a sbirciarli quasi con odio. E tutto quell'inspiegabile astio si rifletteva su di lei.

Prima di entrare e di separarsi (lui sarebbe andato nella zona degli uomini e lei nell'unica navata riservata alle donne, secondo le regole stabilite dal clero), il ragazzino le aveva raccomandato di non parlare con nessuno e di "non raccogliere nessuna provocazione", e ora capiva a cosa si riferisse: madri, vecchie e vergini la fissavano con aria di sfida, quasi volessero che si scusasse di aver portato tra loro un elemento indesiderato. Riuscì a stento a trattenersi dal rispondere a tono a quegli sguardi, ma evitò di reagire per non causare guai ad Iwen. Era lui infatti ad aver scatenato quelle reazioni; lei era soltanto una forestiera che era incappata nel peggio che il paese potesse offrire. Questo leggeva negli occhi dei paesani. Jillian cominciò a intuire a cosa era dovuta la strana reazione dei ragazzi alla sua richiesta di andare a messa.

Praticamente non seguì la funzione, impegnata ad opporre una snervante resistenza passiva, mentre avrebbe voluto riempire di botte tutta quella gente e chiedere che cosa diavolo volessero da quell’eccentrico ma bravissimo ragazzo. Possibile che i pregiudizi potessero spingere a tanto? E di che natura dovevano essere quelli che pendevano come una condanna sugli amici di Wantz, e probabilmente su lui stesso?

Si riscosse dai suoi pensieri quando la gente si cominciò ad alzare per andare a ricevere l'ostia. Lei si guardò bene dal mescolarsi in quella folla ostile, e restò seduta sulla panca, felice che l'arcigna vecchia seduta al suo fianco si fosse alzata e di non dover più subire il suo alito alla cipolla e i suoi strabici occhi accusatori. Dall'altra parte della piccola chiesa vide Iwen rintanato dietro un banco per le confessioni. Incrociò il suo sguardo e il ragazzo scosse la testa ammiccando verso l'altare: le stava suggerendo di non andare. Lei scosse a suo volta risolutamente il capo.

Quando finalmente, con suo enorme sollievo, la messa terminò, uscì e scelse un angolo sicuro della pazzia, lontano dal paese impegnato nelle chiacchiere della domenica, per aspettare Iwen. Il ragazzo fu tra gli ultimi a uscire. La cercò con la sguardo e, una volta individuatala, si diresse verso di lei, lasciando dietro di sé una scia di bisbigli concitati. Appena la raggiunse, un bambino sui nove anni, sbucato dal nulla, si parò loro davanti. Controllò che nessuno badasse a loro e si rivolse a Iwen con evidente agitazione.

<< Sei impazzito? >>, lo rimproverò. << Cosa fai qui? >>

Iwen sembrava contento di vedere il bambino e gli sorrise con fare da fratello maggiore. << Tutto a posto, Fair >>, rispose. << Ho accompagnato un'amica. >>

Il bambino si voltò verso Jillian. << Ah, la straniera. I vecchi infatti erano lì a vociferare sulla ragazza che ti sei portato dietro. Poverina >>, aggiunse, guardandola comprensivo. << Non è piacevole essere la chiacchiera del giorno. >>

<< Immagino tutto le fesserie che si inventeranno >>, sospirò.

Fair incrociò le braccia e annuì con aria saccente. << Le solite manfrine bigotte. >>

Iwen fece una smorfia di disappunto. << Chiederò a Wantz di cancellare dalle loro memorie questo episodio. >>

Il viso del bambino si illuminò di sincera felicità mista a stupore. << E' tornato? >>, esclamò con enfasi, già sazio della ventata di novità che la ragazza aveva portato. << Wantz è tornato? >>

<< Adesso non puoi vederlo >>, spiegò Iwen. << Verrà sicuramente lui a cercarti. >>

<< Davvero? >>, domandò speranzoso.

<< Certo >>, assicurò.

<< Allora promesso >>, sussurrò lui, allontanandosi velocemente e con circospezione.

Iwen rimase per un po' ad osservarlo correre in mezzo alla folla. Si voltò verso Jillian e fece un timido sorriso.

<< Tutto a posto? >>, chiese, avviandosi verso l'uscita del paese.

<< Sì >>, confermò seguendolo. << Anche se devo ammettere che avrei voluto picchiare qualcuno. >>

Il rosso ridacchiò. << Wantz ha ragione. Sei una testa calda. Chissà come fate a sopportarvi. >>

<< Chi dice che lo sopporto? >>, ribatté.

Risero entrambi. Camminarono per un po' in silenzio, ma il ragazzino sembrava inquieto. Ardeva dal desiderio di darle delle spiegazioni, ma non sapeva da dove cominciare.

<< Non è assurdo? >>, disse a un tratto. << Quando in paese hanno scoperto che Wantz è un mago, lo hanno condannato tutti; persino chi gli doveva la vita o era in debito con lui ha iniziato a disprezzarlo. Lo hanno addirittura cacciato, condannandolo all'esilio. L'unico che non si è lasciato vincere dalla superstizione e dalla paura è stato lui. Un bambino, ti rendi conto? >>

Jillian si scurì in volto. << Ora alcune cose si chiariscono. >>

Iwen la guardò interrogativo. << Scusa? >>

<< Penso che questo possa aver inciso sul suo voluto isolamento. >>

Inaspettatamente, il ragazzino rise. << Wantz si offenderebbe se ti sentisse. >>

<>, chiese lei stupita. << E' talmente infantile da non ammettere la verità? >>

<>

Jillian sorrise. << Forse hai ragione >>, ammise divertita. << Ma sicuramente questo lo ha colpito in qualche modo. >>

<< Oh sì, ma forse non nel modo che ti aspetteresti >>, annunciò criptico.

Tacquero per un attimo.

<< Perché non mi spieghi come funziona la mente di Wantz? >>

Iwen non rispose subito, indeciso. << Non sono bravo con le parole. Meglio se chiedi a Marhalt. Però, se vuoi il mio parere... >> Si bloccò.

<< Dovrei capirlo da sola? >>, azzardò.

Il rosso scosse la testa. << Dovresti aspettare che sia lui a spiegartelo. >>

"E' rassicurante vedere un'anima come la sua, davvero. Se la guardo con occhio distratto, lei mi da una piacevolissima sensazione di tranquillità, come se avessi ritrovato la serenità perduta da tempo. Ma se non mi fermo ad un livello superficiale, se scavo a fondo in ciò che sento... Le vedo.

Vedo le macchie nere della mia anima, quelle macchie che non potrò mai cancellare. Quelle macchie che, già orride di loro, paragonate alla sua anima limpida, mi sembrano ancora più disgustose."

Non appena misero piede in casa, Marhalt ficcò in mano a Iwen i suoi vestiti laceri da orto intimandogli di cambiarsi in fretta, mentre Wantz agguantò Jillian per un braccio e la trascinò fuori.

<< E' lecito sapere dove mi stai portando? >>, chiese la ragazza.

<< Via >>, rispose il mago. << Sta arrivando il gufo; è meglio non farci vedere, per evitarci spiegazioni inutili. >>

<< Soprattutto è meglio evitare che veda te, vero? >>

Wantz storse le labbra in un sorriso amaro. << Deduco che a messa ti sei divertita. >>

Si diressero in direzione apposta al campo coltivato, verso il frutteto: si inoltrarono tra gli alberi e si fermarono nel folto della vegetazione, in un punto da cui potevano vedere ma non essere visti. Wantz si sedette ai piedi di un pino e rimase immobile a godersi l'ombra e il fresco che le fronde regalavano. Jillian rimase un attimo a guardarlo, come in attesa di qualcosa, poi si sedette alla sinistra del ragazzo.

<< Ti sei rimesso perfettamente, vero? A vederti adesso non sembra proprio che tre giorni fa fossi in bilico tra la vita e la morte >>, gli disse dopo un breve silenzio.

<< Avevo solo bisogno di riposo >>, si limitò a spiegare. << Tu piuttosto. Eri stanca morta. >>

<< Sì, sono stati due giorni spossanti; ma non ti preoccupare, ho recuperato dormendo sodo questa notte. >>

Il mago sbuffò con evidente fastidio. << Avresti potuto riposare anche di più. Ma no, la signorina voleva andare in chiesa come una qualsiasi zitella. >>

Jillian lo guardò sconcertata. << Si può sapere perché ti crea tanti problemi? >>

La domanda cadde nel vuoto. Wantz aveva lo sguardo perso davanti a sé e pareva intenzionato a ignorarla completamente.

<< Non vorrei dire una sciocchezza e fare la figura dell'egocentrica, però... >>, riprese lentamente. << Quando ho chiesto di poter andare a messa, oltre che stupito, mi sei sembrato... deluso. >>

Il ragazzo persisteva nel suo silenzio, ma sulla sua espressione seccata si era aggiunta una nota di rammarico.

<< Wantz, non prendertela >>, disse, come introduzione all'ennesimo discorso-fiume. << So che non vuoi che mi intrometta nella tua vita, ma io non ci riesco, davvero, non riesco a fingere che vada bene così. Mi hai chiesto di non fidarmi di te, e per quanto ciò sia assurdo ed egoistico posso accettarlo, ma non sopporto di non poterti capire solo perché tu fai di tutto per impedirmelo. Anche se è stato stabilito senza il nostro consenso, noi abbiamo un compito da svolgere insieme e dobbiamo agire di conseguenza. Io non pretendo che tu mi stia a raccontare ogni singolo aspetto del tuo contorto carattere e tanto meno il tuo passato, ma ho bisogno di avere qualche certezza su di te, qualcosa che scacci anche solo in minima parte i dubbi che finirebbero solo col danneggiarci. Perché temo che non potrò mai capirti appieno. >>

<< Lo so >>, assicurò Wantz inaspettatamente. << E per certi versi hai ragione. Ormai è chiaro che io e te dovremo proseguire insieme la via per il completamento della profezia, quindi si rende necessario collaborare ed evitare di sospettarci a vicenda. Pur con disappunto, mi rendo conto che è meglio che tra noi non ci siano troppi segreti, se non l'indispensabile. Ci saranno cose che, per quanto preferirei nasconderti, dovrò per forza dirti. E' inevitabile. Questa potrebbe essere una di esse. Ma tutto a suo tempo, solo se necessario. >>

Jillian lo sbirciò di sottecchi. << Mi stai dicendo che non è il momento per questa spiegazione? >>

Wantz annuì. La ragazza contemplò la sua espressione seria, notando che non aggrottava la fronte come suo solito.

<< E' stato Marhalt a dirti di farmi questo discorso? >>, rise.

Wantz fece una smorfia molto esauriente.

<< Comunque sia >>, riprese, << non voglio che tu lo veda come un obbligo. >>

<< Non dirmi che sarà uno scambio perché giuro che te ne pentiresti >>, minacciò.

La ragazza stava per rispondere, quando sentì delle voci concitate provenire dal magazzino. Sbirciò nascosta dietro il pino: Marhalt e Iwen stavano caricando le casse su un carro sotto le direttive imperiose di un uomo con la gobba.

<< Deve essere arrivato il gufo >>, notificò il mago.

<< Adesso ho capito perché lo chiamate così >>, asserì Jillian. I lineamenti del volto lo rendevano in tutto e per tutto simile all'uccello notturno: gli occhi dilatati fuori dalle orbite, il naso rivolto verso il basso, la bocca troppo piccola e contratta, le guance un po' cascanti. Batteva un piede, impaziente, strigliando i due ragazzi perché erano troppo lenti; Iwen, schiacciato sotto il peso delle casse, stava per esplodere, e il suo rossore in viso probabilmente non era dovuto alla fatica, ma alla rabbia; Marhalt sorrideva rassegnato, tenendo l'occhio destro aperto giusto per figura e ignorando lo sguardo beffardo che il cocchiere del carro rivolgeva loro.

<< Non mi sembra una persona gradevole. >>

<< Infatti non lo è. Non puoi immaginare che scenata avrebbe fatto se le sue patate non fossero state pronte. >>

Jillian gli lanciò un'occhiata complice. << Per fortuna qualcuno è in grado di prevedere le mosse altrui. >> Lui le rispose con un sorrisetto sghembo soddisfatto.

Guardando Marhalt trattenere per il braccio Iwen che voleva assalire il nobile alle spalle mentre questo era impegnato a controllare di averpreso la giusta quantità di tuberi, Wantz fu folgorato all'improvviso da un pensiero: infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un paio di forbici affilate di recente. Le porse alla ragazza e la guardò storto.

<< Allora? >>, ringhiò scocciato.

<< Allora cosa? >>, chiese stupita.

<< Me la sistemi questa frangia o no? >>

<< Bastardo, non sono mica il suo araldo! >>

Iwen era sul punto di perdere del tutto le staffe e paonazzo in viso. Il padrone dei loro terreni, una volta appurato che avevano caricato la metà esatta delle casse, era salito di fianco al conducente ed se ne era ripartito subito. Non prima, però, di aver dato un ultimo motivo a Iwen di arrabbiarsi.

Wantz, di ritorno con Jillian, raggiunse i due con la solita flemma. << Che succede? >>

Marhalt stava per rispondergli, ma Iwen lo precedette, seppellendo i presenti con una valanga di parole rapide e risentite.

<< Ha avuto la faccia tosta di chiedermi di consegnare una lettera a un suo conoscente. "Fammi questa cortesia, Iwen". Ma fammi il piacere! Fino a Oulx mi tocca andare. Oulx! Un'ora di cavallo! "Mi raccomando, digli di scrivermi subito una risposta e fattela consegnare." Sicuro, non ho niente di meglio da fare che aspettare che un nobile imbratti un pezzo di pergamena di formalità nauseanti. "E portamela appena torni a Past, senza perdere tempo". Non dubitate, visto che ne perderò già abbastanza per causa vostra. >>

Si bloccò per mancanza di fiato. Marhalt gli diede delle pacche sulle spalle, comprensivo. Il ragazzino inspirò ed espirò a fondo, un esercizio che gli serviva a ritrovare la calma.

<< Ti conviene partire subito >>, gli disse << Altrimenti non tornerai prima che faccia buio, visto che devi passare anche al castello. >>

Iwen gemette cupamente.

<< Velocizzeremo i tempi. Ti accompagno >>, si offrì Wantz.

<< Davvero? >>, chiese il ragazzino con riconoscenza.

<< Meglio che ci sia qualcuno che si accerti che non strozzerai nessuno >>, spiegò Marhalt.

Wantz annuì ridacchiando. << Intanto, vecchia talpa, tu e lo "spirito femminile" potete preparare la cena >>, disse allo stangone.

<< Hai voglia di aiutarmi a pelar patate? >>

<< Con piacere >>, annuì lei.

<< Bene allora: noi studieremo un menù il più appetibile possibile, data la materia prima. Volete delle livree, voi giovani messaggeri? >>

Iwen gli puntò contro la busta sigillata con la ceralacca minacciandolo. << Visto il barbagianni che dobbiamo servire, siamo perfetti così, sporchi di terra e coi vestiti usurati. >>

<< Parla per te >>, obbiettò il mago. << Io mi sono tagliato i capelli per l'occasione. Come sto? >>

<< Uguale a prima >>, fu il commento all'unisono dei due, seguito dalla risata confermante di Jillian.

<< Se solo mi avessi permesso di accorciarteli... >>

<< E' già tanto se si è lasciato spuntare la frangia. Non esiste e mai esisterà chi gli farà abbandonare questo stile unico da selvaggio >>, le sussurrò, invitandola con un cenno a seguirlo in casa. Quando, dopo neanche trenta secondi, si voltò per chiudere la porta, Wantz e Iwen era spariti.

"Prima non ti ho mentito, Marhalt, però, qualche volta...

Un po' la invidio.

Non solo per la sua anima; le mie macchie non mi hanno intaccato così tanto da farmi provare risentimento per la sua condizione più felice della mia. Anzi, me ne rallegro.

Però... Qualche volta...

Non posso fare a meno di chiedermi se...

Se lei è come avrei voluto essere io."

Fuori il cielo andava scurendosi. Un merlo gracchiò, e Naghesh rispose dalla stalla con un nitrito commesso. Qualcosa bolliva dentro il paiolo messo sul fuoco.

<< Tutto a posto? >>

Jillian gli passò una patata perfettamente sbucciata. << Sì, perché? >>

<< Nulla, solo... Mi sembri un po' pensierosa >>, spiegò Marhalt.

<< Colpa di Wantz che mi fa discorsi estranei al suo stile >>, sbuffò.

Il ragazzo alzò il coperchio del paiolo per controllare a che punto era la cottura, ricevendo in faccia uno fiotto di vapore caldo. << Temo sia anche colpa mia. >>

<< Non fraintendermi, Marhalt, il tuo interessamento mi fa piacere, tuttavia... >>, tentennò. << Vorrei che lo facesse di sua iniziativa. >>

<< Non prendertela. E' fatto così. >>

Jillian sorrise. << Lo so. Sto imparando. >>

Prese un'altro tubero dalla cesta, ma invece di pelarlo guardò Marhalt triturare delle erbe che gli servivano per preparare una salsa come condimento.

<< Solo... >>, riprese la ragazza. << Di tutte le cose che non capisco, o che non mi è dato conoscere, una in particolare mi lascia interdetta. >>

<< Ti ascolto, anche se non ti garantisco di poter rispondere. >> La sua voce era calma e calda, la sua parlata lenta e fluida.

<< Il suo sguardo... >> Esitò. << E' sempre così cupo e intenso... Anche quando ride, i suoi occhi non ridono affatto. >>

<< Ha gli occhi di chi è stato forgiato dalla solitudine e dalla disperazione >>, rispose prontamente.

Jillian abbassò lo sguardo sulla patata, rigirandosela tra le mani. << Sì, immagino che ne abbia passate di cotte e di crude, e che il suo carattere si sia indurito di conseguenza. >>

<< Non è sempre stato così.>> Lasciò da parte la poltiglia verde che stava tritando con la mezzaluna, si pulì le mani nel grembiule ingrigito per l'uso che aveva legato in vita e si voltò verso di lei. << Vuoi vederlo? Vuoi vedere com'era prima? >>

Senza neanche aspettare risposta, salì al piano superiore; Jillian lo sentì frugare freneticamente nella stanza che lui divideva con Iwen alla ricerca di qualcosa. Tornò reggendo tra le braccia un grosso arazzo arrotolato. Lo stese accanto al fuoco e fece cenno alla ragazza di avvicinarsi. Jillian si chinò su di esso, osservando il ricamo: rappresentava quattro figure umane. Il primo sulla destra era Marhalt, più giovane ma già dotato di un'altezza fuori dal comune: aveva la sua solita espressione placida e serena, però i capelli erano corti, senza il folto ciuffo che portava ora, e, particolare che spiccava maggiormente, aveva entrambi gli occhi aperti. Alla sua sinistra c'era la sagoma di un uomo che indossava una specie di saio marrone lungo sino alle caviglie e un gilet smanicato grigio; la faccia era stata però strappata via, lasciando al suo posto un buco irregolare che arrivava sino allo sterno. Davanti al decapitato c'era un Iwen sugli undici anni impettito nel tentativo di sembrare più alto, il mento alzato e un'espressione scanzonata in viso; i capelli arancioni erano arruffatissimi e le efelidi un po' più marcate, forse per mancanza di un colore più appropriato. Alla sua destra, a braccia incrociate, c'era un Wantz adolescente non molto più basso di quanto sarebbe diventato al termine della crescita, e cioè, come risultava ora, una ventina di centimetri più basso di Marhalt; indossava gli stessi vestiti che si era messo appena arrivato a Past, aveva i capelli già abbastanza lunghi ma decisamente più curati. Era innegabile che fosse lui, non era molto diverso da adesso, tuttavia c'era in lui una differenza sostanziale: gli occhi verdi brillavano della malizia astuta che gli era propria, ma il suo sguardo era diverso, e le labbra non erano contratte nel suo tipico ghigno beffardo. A guardare quel ritratto non si sarebbe mai potuto immaginare un cambiamento così radicale.

Appariva radiosamente felice, senza traccia di quella malinconia assorta che adesso rivelava. E quel sorriso radioso non era nemmeno paragonabile a quelli strazianti che gli aveva visto fare finora.

<< Quand'è stato? >>

Marhalt distolse lo sguardo dall'arazzo e lo posò su Jillian: per quanto strano, piuttosto che stupida, sembrava arrabbiata. Attese che le spiegasse a cosa si riferisse, chiedendosi se avesse fatto bene a mostrargli quella finestra del passato. Lei teneva gli occhi puntati sul viso ancora immaturo e fanciullesco di Wantz, concentrata come se stesse decodificando un'antica e astrusa scrittura sillabica. Alzò il volto e fissò il ragazzo.

<< Quand'è stato che lui ha smesso di sorridere? >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Fair ***


Come annunciato, ecco ben ventidue pagine in cui succede di tutto. Qualche mistero svelato, qualche verità abbozzata, altre domande che attendono risposta.

Non è venuto esattamente come avrei voluto, ma non mi sembra uscito così male: l’insonnia serve a qualcosa, dopo tutto. Spero che il fatto che io ami questa storia e mi diverta a scriverla serva a trasmettere qualcosa anche a voi che la leggete.

Segnalo una nota a fine capitolo, da leggere solo dopo aver letto l’intero capitolo.

I commenti sono sempre apprezzatissimi, sia qui che in forma privata. ^^

E se avete domande, sono sempre felice di rispondere; senza sfociare negli spoiler, ovviamente. XD

 

 

 

 

Capitolo 18: Fair

 

 

Ormai fuori era quasi buio. Il cielo andava scurendosi pian piano, come se qualcuno stesse versando secchiate di vernice nera per trasformare l'azzurro in blu. In lontananza si sentivano i versi regolari della civetta che ogni notte sostava su un albero vicino al magazzino.

Seduta a tavola, il mento sorretto dalla mano sinistra, Jillian stava in silenzio e con lo sguardo perso nel vuoto. Le parole di Marhalt la colsero di sorpresa, facendola sobbalzare.

<< Non preoccuparti. Torneranno. >>

<< Ah... Sì, lo so... >>, rispose stralunata. << Ero solo soprappensiero. >>

Il ragazzo le sorrise con aria rassicurante, gli occhi rigorosamente chiusi. << Non stare a pensarci troppo. Non è il momento. >> Staccò un pezzetto di mollica da una pagnotta appoggiata sulla tavola, insieme alla cena che andava freddandosi, e se lo rigirò tra le dita. << Forse ho sbagliato a parlartene. >>

Jillian scosse risolutamente la testa. << Semmai sono io ad aver sbagliato ad essere così insistente. Avrei... Avrei dovuto rispettare i suoi tempi >>, aggiunse addolorata.

<< Non esagerare. Si tratta soltanto di una minuscola parte di tutto quello che ci sarebbe da dire: puoi rifarti con il resto. Anche se, >>, rise pacatamente, << ho come l'impressione che tu sia di indole piuttosto impaziente. >>

Si lasciò andare ad un sorriso, voltando il capo con fare colpevole. << Ammetto la mia colpa. Comunque... >>, rispese con serietà. << Voglio aspettare. Deve essere lui a decidere se parlarmene o meno. E' un suo diritto. >>

Marhalt schioccò le dita con entusiasmo. << Esatto! Mi congratulo con lei per aver imparato la lezione di oggi, signorina. >> Detto ciò, prese la ciotola delle patate bollite e con un cucchiaio iniziò a riempire il piatto della ragazza.

<< Grazie, ma... >> Guardò la mole di patate che lo spilungone aveva riversato nel suo piatto. << Non aspettiamo che tornino? >>

Il ragazzo sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi. << Aspettare chi? >>

La porta si aprì e una figura piombò in cucina urlando << Quel dannato gufo spennacchiato! >>

 

 

Nonostante il villaggio si trovasse a ottocento metri sul livello del mare e l'avvicinarsi dell'autunno, non faceva ancora eccessivamente freddo. Certo, da allora in poi sarebbe diventato necessario passare tutte le notti al chiuso, ma almeno di giorno la temperatura sarebbe stata sopportabile ancora per un po'. Quindi poteva scordarsi di camminare di notte. A questo proposito, c'era qualcosa che doveva fare, ma non gli veniva in mente cosa. Intanto si appuntò mentalmente di evitare le spese inutili, visto che si prospettava all'orizzonte una quantità incalcolabile di camere da affittare.

Si posizionò meglio sul ramo del nocciolo: un'ottima sistemazione, già usata in passato. La vicinanza dell'albero alla casa, e in special modo alla finestra della camera da letto, gli aveva evitato numerose grane. Anche se queste sue visite clandestine gli ricordavano sempre quanto fosse indesiderato.

All'improvviso la finestra si aprì, facendo arrivare dalla casa il tepore tipico che solo un camino sa creare. Assaporò il tenue soffio d'aria che lo colpì sul volto, scaldandolo immediatamente. Solo allora si rese conto che in realtà faceva abbastanza fresco.

<< Wantz! Finalmente sei venuto. >>

Ah, ecco cosa. Prima di ripartire doveva procurare alla piaga un mantello decente.

 

 

Iwen, sedutosi di fianco a Marhalt, si gettò subito a capofitto sulle vivande, continuando a lanciare improperi.

<< Ehi >>, lo rimbrottò lo spilungone. << Cerca di usare un minimo di educazione almeno quando ci sono ospiti. >>

<< Hai ragione >>, annuì il rosso, deglutendo sonoramente. << Buon appetito. >>

<< Non era questo che intendevo >>, sospirò l'altro, guardando attraverso l'occhio socchiuso la foga con cui Iwen si ingozzava.

<< Non importa, fa piacere vedere che la propria cucina viene apprezzata >>, disse subito Jillian, ottenendo in risposta dei mugolii goduti per la buona riuscita della salsa. Voltando il capo verso la porta chiese: << E Wantz? >>

<< Arriva dopo. Ha detto di cominciare pure senza di lui. Ci metterà un po' perché poi deve anche cancellare dalla mente dei paesani la nostra presenza a messa. >> Indi si lanciò in un resoconto molto colorito della sua missione di araldo.

Da quel poco che si poté capire tra un boccone e l'altro, il destinatario della lettera non era in casa all'arrivo dei due, quindi dovettero prima aspettare che tornasse e, una volta letta la missiva, che scrivesse una risposta ragionevolmente lunga.

<< E per cosa poi? Una futile questione di eredità! Sì, perché ho chiesto a Wantz di controllare di cosa si trattava, giusto per sapere se ne valeva la pena di buttare via tutto il pomeriggio. Come se non fossero abbastanza ricchi! Devono pure impuntarsi su un cavillo legale per il possesso dell'ennesimo terreno. Che è pure uno sputo di terra quasi arido, secondo Wantz. >>

<< Sì, ma lui dov'è esattamente? >>, lo interruppe Marhalt.

Il bambino sventolò in aria la forchetta, approfittandone per riprendere fiato. << E' andato a trovare Fair. >>

<< Fa un'improvvisata? Potrebbe essere rischioso. >>

<< No, lo sa. L'abbiamo incontrato dopo la messa. >> Alzò la brocca e riempì il bicchiere d'acqua. << Era tutto preoccupato perché mi sono fatto vedere lì >>, raccontò senza nascondere un certo divertimento.

Marhalt spezzò una pagnotta in due e prese della mollica per pulire quanto più possibile la superficie lignea del piatto e non sprecare nulla. << Non oso immaginare che voci saranno circolate. >>

Jillian continuava a mangiare prestando attenzione allo scambio di battute dei due, e cercando di reprimere con forza le domande che affioravano prepotentemente all'associazione Wantz-chiesa.

 

 

<< Adesso devo andare, muoio di fame. >>

<< Di già? Quando tornerai di nuovo? >>, chiese il bambino con enfasi.

<< Il prima possibile. Ho delle faccende da sbrigare >>, rispose, salendo sul davanzale, pronto ad aggrapparsi al ramo.

<< Non ti scordare di ripulire le menti di quei citrulli. >>, si raccomandò.

<< No di certo. >>

Fair scosse il capo, triste e risentito al tempo stesso. << Quella poverina deve esserci rimasta male: ha avuto un'accoglienza che non fa onore al villaggio. >>

<< Uhm... Non credo. E' abbastanza forte da non dare peso a certe sciocchezze. >>

Fair lo guardò negli occhi. << Questa è una sciocchezza? A me sembra una cosa cattiva. >>

Il mago si passò una mano tra i capelli. << Preferirei non esprimere giudizi in merito, perché sono di parte, però... Sicuramente non è una cosa buona. >>

<< E utile? Secondo te è una cosa utile? >>

<< Forse secondo loro lo è. >>

Strinse i pugni, abbassando la testa. << Non sopporto la stupidità della gente. >>

Wantz soffiò dal naso. << Lo dici a me? >>

<< Senti, ma... >>, riprese, esitando un attimo. << Perché lei è qui? >>

Il ragazzo si grattò il mento, indeciso su cosa dire. << Diciamo che... Mi da una mano. >>

<< Con la tua missione? >>

<< Ah-a. >>

<< E' brava? >>

<< Si impegna. >>

Era già sull'albero quando il bambino lo chiamò a bassa voce, in un sussurro.

<< Wantz? >>

<< Sì? >>

<< Sono contento che hai trovato un'amica. >>

 

 

“Non è sbagliato cercare di difendersi. E' sbagliato farlo in certi modi.

O ingiusto, addirittura.

Le novità stuzzicano, ma in genere spaventano, soprattutto la gente semplice.

Quello che spaventa di più, oltre a ciò che non si può prevedere, è ciò che non si capisce.

Chi è diverso fa paura.

Perché, proprio in quanto diverso, non lo si capisce.

Non è che ora cerco di giustificarli?

Il loro comportamento mi ha sempre fatto schifo.

Perché io sono diverso.

Ma, se non lo fossi... Chi mi garantisce che non mi sarei comportato anch'io così?

Che diritto ho di giudicarli, io, che probabilmente sono peggiore di loro?”

 

 

Il cielo era diventato quasi nero, e le stelle apparivano una ad una, secondo un rigoroso ed immutabile ordine. Avevano già finito di mangiare da un po', ma erano ancora seduti a tavola, intenti a conversare. Marhalt stava demolendo l'ennesima proposta di Iwen, cercando di convincerlo che vendicarsi del gufo strappandogli le unghie dei piedi sarebbe stato sì appagante, ma avrebbe comportato un notevole numero di effetti negativi, come sperimentare la puzza delle estremità del nobil uomo. Fu proprio mentre il rosso rabbrividiva a quella prospettiva, sotto lo sguardo divertito di Jillian, che la porta si aprì, e Wantz fece il suo ingresso nella cucina.

<< Bentornato >>, lo salutò Marhalt.

<< Cibo >>, rispose il ragazzo sedendosi e tuffando la forchetta nelle patate rimaste.

<< Tutto a posto? >>, chiese Iwen.

<< Ovvio >>, disse di rimando, chiedendo intanto a Jillian con un cenno della mano di passargli la scodella della salsa. Inzuppò ben bene i tuberi ormai freddi nell'intingolo verde, sogghignando.

Marhalt lo fissò storto. << Cos'è quel ghigno malefico? >> Non ottenne nessuna risposta. Esaminò con attenzione Wantz ingollare patate e pane. << Non dirmi che l'hai fatto. >>

Nessuna reazione.

<< Non ci posso credere. Speravo che non fossi così infantile >>, sospirò affranto lo spilungone.

<< Ben fatto! >>, esclamò entusiasta Iwen, facendo quasi soffocare il mago dalle risate.

<< Ecco, vedi? Poi non stupirti se cresce traviato. Bell'esempio gli dai. >> Scosse il capo mestamente, fissando con biasimo i due ragazzi che se la ridevano di gusto. Incrociò lo sguardo stupito di Jillian e si schiarì la voce. << Dolente di doverti informare che in realtà Wantz è un individuo poco serio e biasimevole. >> Le risa di Iwen lo costrinsero a interrompersi. << Quello che li fa tanto divertire è una sua cattiva abitudine. A volte, durante la rimozione dei ricordi scomodi, ne approfitta per lasciare dei segni del suo passaggio nelle teste dei malcapitati... >>

<< Malcapitato un corno! >>, obbiettò il rosso. << Si meriterebbe pure di peggio. >>

Wantz, riacquisita la sua solita espressione di sufficienza, si voltò verso la ragazza. << Suvvia, non fissarmi con quell'aria da istitutrice risentita. >>

<< Ti faccio presente che la tua condotta non mi riguarda >>, ribatté lei.

Il ragazzo schiuse le labbra in un sorriso beffardo. << Sì, ma muori dalla voglia di sapere cos'ho fatto, vero? >>

Jillian non rispose, confermando così la sua curiosità.

<< Ho solo predisposto una nottata di incubi a qualcuno >>, spiegò Wantz distrattamente.

<< Puoi fare una cosa del genere? >>, chiese la ragazza con tanto d'occhi. A quella domanda l'altro rispose solo con un ennesimo sorriso goduto. << Si può sapere cos'hai da gongolare? >>

<< Una persona comune ad una simile affermazione si sarebbe indignata; a prescindere da quali possano essere le motivazioni, rovinare il sonno a qualcuno non è certo considerato lecito. Ma tu, proprio tu che hai sperimentato cosa può accadere a manipolare la mente, tu che sembri sempre così corretta e moralista... La prima cosa a cui hai pensato è stata "sei in grado di fare questo?". E non è una critica, bada bene >>, aggiunse.

<< Oh, certo che non lo è >>, sussurrò Jillian, socchiudendo gli occhi. << Hai appena dichiarato che non sono una persona comune. E ho ragione di pensare che sia il miglior complimento che potresti fare ad una persona, tu che odi le convenzioni, i dogmi e la volgar massa superstiziosa, credulona e incapace di ragionare con la propria testa. >>

Wantz non proferì parola, apparentemente seccato, ma nei suoi occhi solitamente smorti passò un insolito guizzo che avrebbe potuto tranquillamente essere ammirazione.

Iwen taceva, stranamente meditabondo, guardando alternamente il ragazzo e la ladruncola. Fu Marhalt a rompere il silenzio, la consueta espressione serena sul volto.

<< Vedi, la vittima di questo scherzetto di dubbio gusto è il parroco del villaggio. >>

Ciò non sembrò stupire la ragazza più di tanto. << Avrei dovuto immaginarlo. Si tratta di una ripicca o di semplice stupidità? >>, domandò, ignorando volutamente la presenza del diretto interessato.

Nonostante tutto, lo stangone si lasciò sfuggire una risata. << Oh, il nostro caro mago è sempre molto giocoso quando si parla di religione... >>

<< Per forza >>, si intromise Wantz. << Si prendono troppo sul serio. >>

<< Perché loro credono veramente in quello che fanno >>, obbiettò Marhalt.

Iwen si riprese, asserendo con furore << Bubbole! Sono dei cialtroni all'ingrasso che si nutrono della tontaggine della povera genere. >>

<< Attenta >>, sussurrò il mago curvandosi verso la ragazza. << Sei nell'antro dei demoni anticlericali. >>

<< Non è neanche tanto falso >>, sospirò Marhalt.

<< Ti ci metti pure tu a spaventarla? >>, lo rimbrottò Wantz con finto biasimo.

<< Non sono affatto spaventata >>, notificò Jillian.

<< E fai bene >>, annuì Iwen << Siamo solo persone che ragionano e non si lasciano abbindolare. >>

<< Psss, Iwen >>, mormorò Wantz, ma in modo tale che tutti potessero sentirlo. << Se dici così sembra che tu le stia dando della stupida. >>

Il bambino si diede una manata sulla fronte, dimentico del fatto che se la ragazza aveva voluto andare a messa era perché ella credeva in ciò che i preti professavano. << Hai ragione. Scusa Jillian, non volevo. Vedi io... Noi per motivi vari siamo... Abbiamo reticenze nei confronti della chiesa... Ma solo come istituzione, eh! Non c'è niente di male nella religione come tale, però certe cose... Però non ti giudico mica, sai. Credi quello che vuoi. Ma non lo dico con superiorità! E non penso nemmeno che tu sia una credulona, solo che... >> Le orecchie e le guance del bambino sembravano aver preso fuoco da tanto erano diventate rosse.

<< Calmati, Iwen, non è il caso >>, disse Marhalt posandogli una mano sulla spalla. << Non credo che Jillian si sia arrabbiata. >>

<< No, affatto >>, si affrettò subito ad assicurare lei, pur seguendo con difficoltà il filo del discorso. << Non mi sono offesa, davvero. >>

Seguì un attimo di silenzio. Iwen si guardava i piedi, forse nell’inutile tentativo di sparire. Wantz, dopo aver finito rapidamente di mangiare, si appoggiò allo schienale della sedia, proferendo un'unica frase, come a voler concludere una faccenda lasciata in sospeso. << Se si è convinti di ciò in cui si crede, non c'è motivo di vergognarsene. Il parere degli altri è ininfluente. >>

<< Quanta saggezza >>, concordò Marhalt. << Del resto, non siamo qui per aprire dibattiti teologici. Proporrei di andare a dormire, ma non prima di aver risollevato il morale della truppa. >>

Il mago alzò un sopracciglio. << Scusa? >>

<< E non fare tanto il superiore, che la colpa è tua. >>

<< Raccontaci una storia! >>, propose entusiasta Iwen, probabilmente con un secondo fine, anticipando la secca risposta del mago.

Marhalt gonfiò il petto in atteggiamento solenne e iniziò a declamare. << C'era una volta un ragazzino indisponente e irriverente. Il suo nome era Wantz. >> L'attenzione dell'auditorio era assoluta. << Un giorno il prete del villaggio gli chiese, per saggiare il suo animo e vedere se era un buon credente, se sapeva cosa doveva fare per seguire gli insegnamenti di Dio e raggiungere il Paradiso. Wantz rispose esattamente così: “Certo che lo so cosa dovrei fare per andare in Paradiso: morire.” >>

Trascinata dalle risate di Iwen e di Marhalt, Jillian si lasciò andare all'ilarità generale, cui solo il mago si astenne, ostentando un'evidente disapprovazione.

<< Qualche tempo dopo, >>, riprese lo stangone, << il prete chiese allo stesso ragazzo che cosa rappresenta per lui la sacra dimora del Signore. Sapete cosa rispose? >>

<< Diccelo, o nostro cantastorie >>, supplicò Jillian.

<< “La Chiesa è un ricettacolo di marci pregiudizi.” >>

Seguirono altre risate, stavolta più moderate.

<< Insomma, il nostro parroco è l'uomo che più ha goduto delle manipolazioni mentali di Wantz. >>

<< Se l'è cercata >>, ringhiò risentito il mago. << Non perché mi ha sempre seccato con le sue insulsaggini, ma perché è il classico esempio del detto "predicare bene e razzolare male". >>

 Marhalt incrociò le braccia, inclinando il capo a sinistra. << Diciamo che è di costumi un po' liberi. >>

<< Diciamo che è un grandissimo fornicatore. >>

<< Wantz... >>

<< E' un puttaniere indefesso! >>

<< Iwen! >>

<< Eh sì: vantiamo il clero più gaudente e spensierato della contea >>, sentenziò Wantz a occhi chiusi, annuendo energicamente.

<< Ha fatto tante cose per il paese >>, gli rammentò Marhalt, guardandolo storto.

<< Una foresta intera di corna! Mica roba da poco >>, confermò il mago con enfasi e apprensione, come chi teme di non lodare abbastanza un santo.

Iwen a momenti cadeva dalla sedia per il troppo ridere, e anche Jillian non riusciva a restare seria, e tanto meno a sgridare Wantz per la sua impertinenza.

<< E' stupendo vedere come la gente affronti gli argomenti in modo serio e profondo >>, fu il commento lapidario di Marhalt.

<< Ma non volevi risollevare il morale? >>, chiese Wantz candidamente.

Lo spilungone si alzò. << Allora ringraziamo il nostro giullare e sparecchiamo. >>

 

 

Jillian sedeva sul letto, assorta. Dopo aver riordinato la cucina era tornata in camera, così come gli altri, ma non aveva sonno. Troppi pensieri. Ciò che Marhalt le aveva detto dopo averle mostrato l'arazzo, unito alla surreale conversazione tenutasi durante la cena, aggiungevano veridicità ad una delle sue teorie. Memore della promessa fatta, ossia di non fare più domande ma di aspettare, scacciò le considerazioni che affioravano naturalmente. Si alzò per prendere dall'armadio la veste da notte che Marhalt le aveva procurato, ma si fermò al centro della stanza, sentendo bussare alla sua porta.

<< Avanti. >>

Wantz entrò nella piccola stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

<< Da quando bussi? >>, gli chiese.

<< Beh, ho sentito parlare di una camicia da notte, roba da signorine per bene. Non oso immaginare cosa mi accadrebbe se ti dovessi accidentalmente vedere... >> Incrociò l'occhiata storta della ragazza e si astenne dal terminare la frase.

La ragazza incrociò le braccia. << Hai bisogno di qualcosa? >>

<< Volevi una spiegazione? >>

Jillian perse subito l'aria imbronciata, mostrandosi interessata. << A che proposito? >>

<< Sul perché mi diverto a tormentare le notti del nostro chierico. Marhalt ne ha fatto una tragedia, ma è l'unico a cui io abbia mai riservato un simile trattamento. E si è trattato solo di qualche evento sporadico, non è una cosa sistematica. >>

<< Non c'è motivo per cui tu debba giustificarti. >>

<< Sì, invece. >> Notò la sorpresa della ragazza. << Non fraintendere. Siccome abbiamo già avuto una discussione su quanto sia deplorevole entrare nella testa di un altro... >>

<< Lo so, non è la stessa cosa. Infatti penso che sia una specie di ripicca per qualcosa che lui ti ha fatto. >>

Wantz non rispose subito. << Io sono stato esiliato da questo villaggio. >>

<< Marhalt me lo ha accennato. >>

<< Beh, è stato lui a fomentare la rivolta contro di me. Normalmente non ne avrei fatto una questione personale, ma lui... aveva una specie di debito con me, e... >>

Jillian si avvicinò al ragazzo e fece per prendergli la mano, ma ci ripensò, limitandosi a guardarlo negli occhi, non riuscendo a vedere bene la sua espressione a causa del buio. << Lo so. L'ingratitudine fa schifo. >>

<< Come siamo fini... >>

<< Rende bene l'idea. >>

Wantz tacque di nuovo. Voltò il capo verso la parete, spoglia come il resto della stanza. << Non vuoi i particolari? >>

Jillian scosse il capo. << No. Mi racconteresti tutto contro voglia. >>

<< Guarda che se aspetti che io inizi a fidarmi di te per poi raccontarti la rava e la fava della mia vita, sei un'illusa. >>

<< Non mi sembra di averti chiesto di fidarti di me >>, asserì canzonatoria, facendo il verso a ciò che lui le aveva più volte ripetuto.

<< E con questo ti sei giocata ogni possibilità di avere informazioni in merito >>, concluse, posando la mano sulla maniglia. Stava per uscire, quando la ragazza lo chiamò.

<< Wantz? >>

<< Sì? >>, chiese lui, già fuori dalla stanza.

<< Dormi bene. >>

<< Ci proverò. >>

Uscito il ragazzo, Jillian rimase ferma in piedi, passandosi una mano sulla tempia. Non poté fare a meno di ripensare a quello che Marhalt che aveva detto.

<< Il fatto che tutti parlino male di lui, dipende solo dall'ingratitudine umana. >>

 

 

Trovò Marhalt ad aspettarlo in corridoio. Iwen, che divideva la stanza con lo spilungone, era nel mondo dei sogni da un pezzo.

<< Devo parlarti. >>

<< Possiamo rimandare la chiacchierata serale? Ho sonno. >>

<< Sì, non c'è problema. Non è urgente. >>

Wantz fece per entrare nella sua stanza, ma si fermò.

<< Cosa c'è? >>

Indugiò a lungo prima di rispondere. << Fair... Mi ha chiesto se lei mi sta aiutando. >>

Marhalt si passò la mano sotto il mento. << Cosa gli ha risposto? >>

<< Che si impegna. >>

<< E non è vero? >>

<< Tutt'altro. Devo riconoscerle una solerzia fin eccessiva. >>

<< Allora qual è il problema? >>

Wantz abbassò il capo, riducendo il tono di voce a un sussurro. << Non capisco perché lo faccia. >>

<< E' la profezia, amico mio. Chi non appartiene al disegno farebbe qualsiasi cosa per entrarvi, e chi ne fa parte darebbe via tutto pur di uscirne. Un'eccezione che conferma la regola. >>

<< E se non fosse solo quello? >>

<< Pensi che abbia a che fare con l'interesse dell'Oscuro nei suoi confronti? >>

<< Finché non avrò altri elementi, vorrei non pensare proprio niente. >>

<< Ma non ci riesci. >>

<< Già >>, confermò il ragazzo, socchiudendo l'uscio. << Sono troppo bravo a crearmi paranoie. >>

 

 

Si svegliò solo a metà. Il tepore delle coperte, la sonnolenza e una stanchezza interiore mai veramente estinta, la fecero restare in uno stato a metà tra il torpore e il dormiveglia. Pur con le funzioni cerebrali così ridotte, Jillian ripercorse il racconto delle sera precedente in ogni singolo particolare, come se stesse recitando una poesia imparata a memoria.

 

<< Mi chiedi quando Wantz ha smesso di sorridere, ma in realtà non c'è un'unica risposta.

<< Vedi, io e Iwen non siamo originari di Past. Ho dovuto abbandonare il mio paese natale perché ero inseguito, da chi e perché non è rilevante; sta di fatto che un uomo, uno sconosciuto che non aveva nessun obbligo nei miei confronti, si offrì di aiutarmi. Mi portò qui, mi lasciò in questa casa, dicendomi che avrebbe sistemato tutto lui e che durante la sua assenza dovevo occuparmi dell'orto. Non so cosa fece esattamente, ma mai più nessuno è venuto a cercarmi. Al suo ritorno, due giorni dopo, quando stavo già per andarmene pensando che mi avesse mollato lì per denunciarmi ai miei inseguitori, mi ricomparve davanti, annunciandomi che i miei guai erano ufficialmente finiti. Io ero completamente stranito, non sapevo se credergli o darmela a gambe. Prima che potessi dire qualunque cosa, però, lui mi disse che gli avevo fatto una scortesia a non occuparmi dell'orto come mi aveva chiesto. Capirai, avevo ben altro a cui pensare. Mi disse semplicemente: "Visto che sei in debito con me, curerai questo mio terreno per un po'". Ancora incapace di ragionare, accettai. Col passare dei giorni, nessuno venne a cercarmi. Quello strano individuo andava e veniva a piacimento, senza mai informarmi sulle sue attività. Il tempo passava, ma lui non accennava a volermi lasciar andare via; d’altro canto, avevo cibo tutti i giorni e un tetto sopra la testa, quindi non anelavo particolarmente a tornare alla mia condizione di fuggiasco. Un giorno, sei mesi dopo questo mio inusuale arrivo a Past, l'uomo tornò nel cuore della notte, madido di sudore, stringendo un fagotto tra le braccia. Era un infante di circa due anni, il piccolo Iwen. Non feci domande, lui non diede spiegazioni; avevo capito che funzionava così. Disse solo il bambino sarebbe rimasto con noi.

<< Questo successe undici anni fa. So che non sono bravo a raccontare, e che tutta questa roba sembra non centrare nulla con la tua domanda, ma è complicato.

<< Cominciammo ad occuparci del bambino, e l'uomo ridusse notevolmente le sue misteriose assenze, anche se a volte stava via anche per settimane. E dopo una di queste lunghe assenze, tornò portandosi appresso un ragazzino di nove anni. In quel momento, quella nostra strana famiglia fu al completo. Era arrivato Wantz.

<< Allora era esattamente come adesso, se non peggio. Era un bambino arrogante, indisponente, irrispettoso e violento. Io non sapevo come trattarlo. Iwen aveva paura di lui. Chiesi all'uomo cosa dovevo fare con lui. Mi rispose di avere pazienza: aveva perso da poco i genitori in circostanze particolari e aveva bisogno di riprendersi. Lui conosceva già Wantz, non l'aveva "trovato", per così dire, come con me e Iwen; ma non volle dirmi chi era e cosa gli era successo esattamente. Era evidente però che aveva una ferita interiore profonda e difficile da ricucire. Il suo disprezzo per il mondo è un modo per non cedere al dolore.

<< Io e l'uomo facemmo il possibile per aiutarlo, ma credo che Wantz ne sia uscito sostanzialmente da solo. Fu un cambiamento radicale. Non era più un selvaggio senza controllo. Nonostante la giovane età, mi aiutò con i lavori di casa e a crescere Iwen. Adesso avrai capito perché il rosso è diventato così: per quanto ci siamo sforzati, educare un bambino senza una madre non è mai facile.

<< Ora, mi rendo conto che quanto ti ho detto è confusionario, ma è solo una premessa. Perché Wantz ha smesso di sorridere. E’ questa la tua domanda, giusto?

<< L'uomo era un mago. Lasciamo perdere i particolari, perché nemmeno so tutto, in verità. Di certo c'è solo che lui portò Wantz a Past per insegnargli la magia. Sì, era il maestro di Wantz. Lo portò con sé durante i suoi viaggi, gli insegnò il latino e tutto ciò che gli occorreva per imparare l'arte delle pratiche magiche. Per evitarsi grane, visto quanto i maghi sono visti con sospetto, si era scelto una copertura perfetta: ufficialmente era un prete. In paese lo conoscevano come un monaco eremita che aveva rinunciato all'ascetismo per aiutare noi poveri orfanelli. Ed era una copertura molto convincente: tutti i paesani si fidavano di lui, dire che era amato non è un'esagerazione.

<< Hai mai sentito parlare del cosiddetto Rito del Sacrificio? E' una pratica necessaria per diventare un vero mago: in sostanza consiste nel rinunciare a qualcosa in cambio del pieno controllo delle arti magiche. Più ci è cara la cosa a cui si rinuncia, più grandi sono i poteri e le capacità ottenuti. Tuttavia, com'è facilmente intuibile, si tratta di una scelta difficile, di cui molti si pentono. Il maestro voleva che Wantz ci pensasse bene prima di compiere un simile passo, perché non è possibile tornare indietro. Per questo, nonostante l'indiscutibile talento di Wantz e gli anni di insegnamento, il maestro non voleva che si procedesse col rito, anche se Wantz manifestava un ardente desiderio di diventare un vero mago. La reticenza del maestro era legittima: Wantz ha sempre dichiarato apertamente di considerare assurda una pratica del genere. Come biasimarlo, del resto? I maghi più famosi e potenti sono diventati tali perché hanno ucciso genitori, amici, amanti; alcuni hanno rinunciato alla possibilità di avere una famiglia... Le rinunce sono state varie ma sempre dolorose. Ci sono stati maghi che sono impazziti a seguito di questa scelta.

<< E ora arriviamo al punto.

<< Un giorno di due anni e mezzo fa, Wantz e il maestro si recarono in una foresta poco fuori dal villaggio per i consueti esercizi pratici. Allora non seppi cos'era successo. Wantz non volle dirmelo. Fatto sta che la sera tornò trascinando il corpo privo di vita del maestro. Portavano entrambi i segni di una strenua lotta, lui stesso si reggeva a stento in piedi e aveva ferite gravi su tutto il corpo. Ma le cause della morte del maestro passarono quasi in secondo piano quando vidi gli occhi di Wantz.

<< Non puoi capire, neppure se fossi abile con le parole potrei spiegarti. Bastò il suo sguardo a farmelo capire.

<< Qualsiasi cosa fosse successa quel giorno, di una sola cosa ero certo.

<< Wantz aveva compiuto il Rito. >>

 

Infine si destò completamente, scrollando il capo. Balzò giù dal letto, conscia che anche quella mattina aveva dormito più del solito e che sicuramente gli altri era in piedi da un pezzo. Si sfilò velocemente la vestaglia, la ripose accuratamente piegata nell'armadio e indossò il vestito blu. Solo quando rifece il letto si accorse che sulla testiera era apparsa dal nulla una coperta verde scuro piegata in quattro. Guardandola meglio, si accorse che era un mantello invernale. Tastò la stoffa, constatando che era un misto lana non di ottima fattura, ma dei più caldi che avesse mai visto. Sembrava adatto per le marce invernali. Lo sollevò e lo aprì: dalle pieghe uscì minuscolo pezzo di pergamena. Presolo in mano, constatò che vi erano scritte solo tre parole, in una grafia ordinata e svolazzante.

"Carina la vestaglia."

 

 

"Allontanarmi era l'unico modo che avevano di difendersi da qualcosa che non capivano. Non posso dire con certezza che non avrei fatto lo stesso.

Chissà come avrebbero reagito se avessi detto loto che anche lui era una mago.

Forse è giusto così.

Dirlo non sarebbe servito.

Essermi accollato tutta la colpa è un altro modo di espiare."

 

 

Entrò in cucina come una furia, il pezzo di pergamena serrato nella mano destra, il mantello nella sinistra. Marhalt e Iwen erano seduti a tavola: il bambino stava scrivendo su un foglio, e lo spilungone controllava che non facesse errori. La guardarono attoniti, pensando che da un momento all'altro avrebbe cominciato a sputare fuoco e fiamme.

Jillian fece un sospiro profondo, ferma sulla soglia, cercando di riprendere il controllo. << Dov'è? >>, chiese poi, con evidenti intenti omicidi. << Dov'è quell'insopportabile magonzo? >>

<< E'... E' uscito >>, rispose titubante Iwen, la penna d'oca sollevata a mezz'aria.

Marhalt ridacchiò e si alzò, dirigendosi verso la rustica credenza. << Che cosa ti ha fatto? >>

<< Lasciamo perdere >>, troncò Jillian, poggiando il mantello sul dorso di una sedia e sedendosi di fronte al bambino. Sbirciò gli scarabocchi disordinati incisi sui fogli. << Cosa stai facendo? >>

Iwen intinse la penna nella boccetta d'inchiostro, rigirandola poi tra le dita. << Esercizi di bella grafia. >>

<< Con risultati scadenti >>, sottolineò Marahlt. << Ti faccio due uova, o preferisci altro? >>, chiese rivolto a Jillian.

<< Grazie, va benissimo >>, assicurò lei. << Non ti piace scrivere? >>, chiese poi al rosso, concentratissimo sul ricciolo di una R.

<< Meglio questo che tradurre >>, asserì, categorico.

Jillian parve stupita. << A scuola vi insegnano il latino? >>

<< Oh, no >>, rispose Marhalt, rompendo il guscio di un uovo. << Soli i dotti e i ricchi possono permetterselo. In una scuola qualunque è già tanto se insegnano a far di conto. Iwen ha la fortuna di studiare a casa, come un signorino di buona famiglia. >>

Il bambino non sembrava affatto orgoglioso di questo suo privilegio. Fece cadere una goccia di inchiostro sulla pergamena, disperandosi per il disastro combinato. << Non sono sicuro di averci guadagnato >>, bofonchiò.

<< Io e Wantz ci siamo occupati della sua istruzione, compreso leggere e scrivere >>, spiegò Marhalt, mettendo le uova cotte nel piatto della ragazza. << E, siccome abbiamo la fortuna di aver tra noi un grande erudito come lui che conosce il latino... >>

<< A nessuno è venuto in mente di chiedere il mio parere? >>, obiettò il rosso, fissando con astio la macchia che si allargava velocemente.

<< Niente discussioni in merito, ne abbiamo già parlato. Finisci in fretta, che poi ti aspetta un brano filosofico da tradurre. >>

Iwen cominciò a frignare, riflettendo che forse la vita da tubero non era poi malaccio. Jillian rise.

<< Posso aiutarti, se vuoi >>, gli propose.

Il bambino la guardò con partecipe commiserazione. << Hanno costretto anche te a impararlo? >>

La ragazza scosse il capo, portandosi la forchetta alla bocca. << No, sono stata io stessa a volerlo studiare. >>

La mascella di Iwen si abbassò, donandogli un'aria da pesce lesso. << Wantz ha ragione. Le donne sono incomprensibili. >>

<< Forse per te risulta impossibile, ma ci sono persone che traggono piacere dalla conoscenza >>, disse lo spilungone.

<< Oh, lo so bene >>, annuì con convinzione Iwen. << Già solo Wantz... Legge sempre, scrive per passatempo, studia l'ultima lingua dell'ultimo paesucolo del regno, e passa fin troppo tempo a lambiccarsi su quesiti filosofici senza capo né coda. >>

<< Davvero? >>, domandò Jillian. << A vederlo sembra un cialtrone qualunque, un rozzo che non sa neppure cosa sia il galateo, senza il minimo rispetto per gli altri. Non ha certo l'aria dell'uomo avido di sapere. >>

Marhalt sorrise. << Si può sapere cosa ti ha fatto per irritarti in questo modo? >>

<< Fagliela pagare anche da parte mia >>, la incitò Iwen. << Così impara a darmi dei passi lunghissimi da tradurre. >>

<< Ti vedo molto energico oggi >>, constatò lo spilungone con un sorriso. << Direi che ti sei meritato doppia razione di latino. >>

Iwen imprecò,trattenendo l'impulso di azzannare la penna.

Finite le uova, Jillian si alzò, prendendo il mantello. << Hai idea di quando tornerà? >>

<< Quando avrà fame. E' urgente? >>, rispose il padrone di casa.

<< No, solo... >>

<< Qualsiasi distrazione è bene accetta >>, la interruppe Marhalt. << Dagli una bella scrollata. >>

 

 

“Perché? Perché fate finta di niente, maestro?

E' colpa mia.

E lo sapete bene.”

 

 

<< Quando i paesani scoprirono la morte del maestro, si scatenò un putiferio. Capirono subito che Wantz era un mago. La loro cecità ottusa li portò a credere che avesse ucciso il loro beneamato e pio asceta per adempiere al Rito.

<< La concatenazione dei fatti e le coincidenze si sprecavano: per questo fu incolpato Wantz. Avevano lasciato il villaggio insieme, erano tornati insieme, uno vivo e l'altro no, nessuno aveva udito i rumori di alcuna lotta, nessuna traccia di cavalli o di qualcuno che li avesse attaccati, lo strano comportamento di quel ragazzo... E poi certe sue frasi, l'astio verso il parroco del paese... I suoi silenzi... Quel suo sguardo ostile al mondo intero...

<< Ci fu una vera e propria sollevazione di massa: prima ci intimarono a parole di cacciare "lo sporco traditore" , poi minacciarono di passare ai fatti. Lui non ci spiegò nulla. Avremmo voluto aiutarlo. Eravamo pronti a lasciare Past con lui, a "menare quei sudici babbioni", come disse Iwen...

<< Ma lui non volle.

<< Se ne andò, semplicemente. Come gli era stato chiesto. Non si difese, non protestò. Ci disse di rimanere, che si sarebbe fatto vivo lui in qualche modo.

<< E così è stato. Da allora torna appena può, quasi la sua condizione di clandestino lo diverta. Dopo che fu ufficializzato il suo esilio, comparve in casa una sera all’improvviso. Non ci spiegò cos'era veramente successo, ci svelò solo di dover cercare i frammenti della profezia. Anche allora fu una spiegazione ingarbugliata, come questa che ora ti sto facendo. Perché non è facile.

<< Ogni volta che torna dobbiamo fare attenzione che nessuno lo veda, anche se lui è il solito irresponsabile... Una volta i genitori di Fair lo hanno beccato mentre lo andava a trovare. Non ti dico che putiferio. In momenti come quelli ringrazio che esista la possibilità di ritoccare i ricordi.

<< Qui ci ricolleghiamo anche con la spiccata simpatia di Wantz per il parroco. Questi fu il più solerte e attivo al momento di cacciare Wantz. Avresti dovuto sentire certe sue arringhe su quanto sono infidi e pericolosi i maghi. E vederlo incitare la folla, con un forcone in mano, a cacciare il "figlio del demonio"...

<< Fosse stato chiunque altro non avrebbe avuto peso. Ma, vedi, quell'uomo non è esattamente un esempio di castità. E Wantz non sopporta l'ipocrisia. Girano anche voci su vere e proprie orge promosse da lui. Non sappiamo quanto ci sia di vero, tuttavia Wantz ne approfittò subito.

<< Prima di andarsene, si è preso la rivincita nei confronti di colui che ha istigato il paese contro di lui e ha appoggiato con fervore la proposta di esiliarlo. E' nata allora, infatti, la perversa pratica di torturare le persone nel sonno.

<< Prova a immaginartelo: Wantz, sottoforma di diavolo vendicatore, che gli appare nel sonno e puntando un dito accusatore urla “Vergogna, vecchia carcassa: la carne ribellarsi alla tua età?”. Mi sarebbe piaciuto vederlo.

<< Il fatto che tutti parlino male di lui, dipende solo dall'ingratitudine umana. Nient’altro, credimi.

<< Qualsiasi cosa sia accaduta quel giorno, anche se in paese sono convinti che le ferite se le siano procurati a vicenda e che il maestro sia morto per mano di Wantz, io credo che non fossero soli, e che siano stati attaccati davvero da qualcuno. Non so se Wantz stesse valutando realmente la possibilità di uccidere il maestro... Non so neppure cosa sia successo esattamente. Non ha ancora voluto dircelo. Quello di cui sono certo, è che il maestro morì portandosi via tutto quello che Wantz aveva erroneamente creduto eterno con la pigra disinvoltura di un’onda che spazza via un castello di sabbia, facendolo precipitare di nuovo nella cupa disperazione di cui era già stato vittima al momento del suo arrivo a Past. Per questo io non credo che sia stato lui: al di là dell’affetto, della fiducia che nutro in lui e del fatto che lo consideri un fratello, c’è un fattore oggettivo che mi spinge a pensarlo.

<< Il suo sguardo era tornato vuoto come quando il maestro lo portò qui dicendomi “Questo è Wantz. I suoi genitori sono passati a miglior vita, quindi resterà con noi”. >>

 

 

Lo trovò lì dove Marhalt aveva profetizzato che fosse: seduto sul prato oltre l'orto, davanti ad un'enorme quercia, unico e monumentale albero nel raggio di venti metri. Al centro della corteccia, proprio sul davanti, c'era un'incisione particolare: una M e una W, le cui gambe arcuate si toccavano, formando un'ellisse, al centro del quale stava una I. Ai piedi del monumentale albero, una spartana lapide rozzamente ricavata da un masso. Wantz stava a breve distanza dal tronco, le gambe distese, poggiandosi sulle braccia portate leggermente all’indietro, lo sguardo basso. Si era rimesso i vestiti soliti, mancavano soltanto la spada e il mantello. Anche i capelli erano di nuovo liberi e scompigliati come d’abitudine, reduci dal codino del giorno precedente, esperimento miseramente fallito quando Iwen gli aveva detto che così sembrava un signorino dell’alta società. Lei stessa dovette ammettere che i capelli lunghi gli davano un’aria risoluta e fiera, anche se pettinandoli avrebbe guadagnato sicuramente qualcosa in più dal punto di vista estetico. Guardandolo seduto lì, serio e corrucciato, la fronte aggrottata e gli occhi spenti, si accorse per la prima volta di non sapere nemmeno quanti anni aveva: osservandolo da lontano, le faceva pensare ad un vecchio mezzadro segnato dalla crudeltà della vita.

Si avvicinò lentamente, cercando di non fare rumore, perché aveva l’impressione che qualsiasi suono sarebbe stata una mancanza di rispetto: la natura stessa pareva tacere, partecipe della sua assorta meditazione. Il vento soffiava lieve, passando sulla pelle come una comprensiva carezza. Jillian lasciò che la brezza le smuovesse i capelli, e si fermò a pochi passi dal ragazzo.

Wantz non disse nulla, non si voltò neppure. Si limitò a proseguire la sua muta contemplazione.

 

 

<< Oltretutto, se aggiungiamo il fatto che ogni anno torna in occasione dell’anniversario della sua morte, la mia tesi acquista ancora più valore. E’ per questo che è qui. Per quanto odi le ricorrenze da calendario, quella di domani è l’unica commemorazione che sente davvero come sua. A un certo punto sparirà senza dire niente, e se ne andrà da solo alla tomba del suo maestro, a dedicarsi alla sua attività preferita: rimpiangere il passato e auto flagellarsi per non essere riuscito a salvarlo. >>

 

 

Jillian non sapeva bene cosa fare, visto che il ragazzo persisteva nel suo silenzio, quasi non l’avesse notata, benché fosse chiaro che si era accorto della sua presenza. Pensando che fosse troppo azzardato sedersi al suo fianco, restò in piedi, in attesa, tormentandosi nervosamente le mani dietro la schiena.

<< Se ti disturbo troppo posso anche andarmene >>, proferì infine, pentendosi subito di aver assunto involontariamente un tono contrariato. Il ragazzo non rispose, ma non sembrò un atto di risentimento per l’uscita infelice della ragazza, pareva piuttosto che continuasse a fingere di non vederla, probabilmente con la segreta speranza che così facendo lei se ne andasse. Fissava con sguardo vacuo la lastra di pietra, su cui non era inciso nulla, né il nome del defunto, né le date di nascita e morte. Jillian la trovò una cosa proprio nello stile del mago: un modo di ricordare una persona cara decisamente discreto e composto, come voleva il carattere chiuso e altero del ragazzo, ma che allo stesso tempo rivelava tacitamente un dolore impossibile da cancellare e difficile da zittire.

Stava già per andarsene, quando Wantz sussurrò una sola parola, col tono deciso che gli era proprio, eppure le suonò più simile ad una supplica che ad una semplice richiesta.

<< Resta. >>

 

 

<< In fondo che cos'è la vita? Solo l'attesa di qualcos'altro, non ti pare? >>

<< Non puoi morire qui! Andrai in putrefazione subito con questo caldo! Alzati! >>

<< Addio,Wantz. La mia parte ormai è conclusa. La catena è ancora nelle tue mani. Bada che non ti stringa intorno al collo. >>

<< Mi stai ascoltando? Non puoi morire! Non mi lasciare, non sono pronto! >>

<< In manos tuas, Domine. >>

<< NOOOOO!! >>

 

 

Stettero in silenzio per un tempo che le parve infinito, ma in realtà si trattò di una manciata di minuti. Si era seduta alla sua sinistra, a pochi centimetri di distanza dal ragazzo, quasi volesse dimostrargli coi fatti che gli era vicino. Guardava le nuvole in cielo, mentre il mago era assorto nella contemplazione della pietra tombale. Quando Wantz parlò di nuovo, all'improvviso, fu in un tono lento e straziante che la colpì profondamente, la colse di sorpresa e la costrinse a voltarsi verso di lui.

<< Ogni mia speranza di poter diventare migliore, morì insieme a lui. >>

Aveva alzato il capo: adesso non guardava più la lapide, fissava invece la strana incisione sul tronco della quercia. Jillian cercò di catturare il suo sguardo, ma Wantz si ostinava a non voltarsi verso di lei. Fissò allora anche lei il suo sguardo innanzi a sé, parlandogli come se in realtà non ci fosse.

<< Se c'è qualcosa che posso fare... dimmelo, e io lo farò volentieri. >>

Finalmente il mago si voltò, abbandonando l’aria affranta in favore di un’espressione di puro e genuino stupore. << Che ti prende adesso? >>

Jillian alzò le spalle con noncuranza. << Niente di particolare. E' solo che... Ho l'impressione che tu soffra per qualcosa. E quando sorridi, mi sembri ancora più triste. >>

Wantz non rispose subito, quasi stesse valutando seriamente le parole della ragazza, ma la sua risposta fu di tutt’altro registro. << Insomma, sono davanti ad una tomba: dovresti stupirti se fossi allegro, non ti pare? >>

La ragazza sospirò facendo una smorfia. << Com’è che ha detto Marhalt... Ah, sì. E’ stupendo vedere come la gente affronti le cose in modo serio e profondo >>, affermò.

Wantz ridacchiò, chinandosi verso di lei con un ghigno beffardo. << Guarda che lo facevo per te >>, sussurrò. << Non sopporterei di saperti preoccupata per me. >>

<< Che ingrato >>, si dolse lei. << E’ questo il modo di trattare chi cerca di aiutarti? >>

Il mago all’improvviso parve molto interessato alla ragazza. Si chinò maggiormente verso di lei, arrivando quasi a sfiorarle il volto. La fissò intensamente negli occhi, tanto che la ragazza trattenne il respiro, non riuscendo a fare nulla se non ricambiare lo sguardo.

<< Te l'ha detto! >>, esclamò infine,dando una manata a terra come a voler sottolineare la sua frustrazione e raddrizzandosi. << Dannato Marhalt, lui e la sua lingua lunga! >>

<< Cosa? >>, chiese lei, stordita.

<< Non fare finta di niente >>, ringhiò il mago seccato. << Adesso ti stai facendo dei viaggi mentali in sui io sono un povero reietto vittima della società crudele, anche se presumo ti affascini di più la questione legata alla morte del maestro. Stai immaginando una battaglia all’ultimo sangue due contro cento? Una cosa piena di sangue e patos? >>

Le guance di Jillian si tinsero di un vago rossore, più dispetto che imbarazzo. << Non sto facendo nulla del genere. >>

<< Non mentire. Mi arrivano certe immagini che sembrano uscite da una tragedia o da un romanzaccio epico da quattro soldi. Smettila di immaginare assurdità! >>

<< E tu non frugare nella mia testa! >>

<< Io non ho fatto un bel niente: i tuoi pensieri sono così forti che mi arrivano da soli. >>

La ragazza alzò un sopracciglio. << Possibile? >>

<< Certo. Quando le sensazioni e le emozioni sono molto forti, è come se traboccassero: arrivano a me anche se non mi interessano. In ogni caso basta che io isoli completamente la mia mente e posso escludere anche i pensieri più potenti. >>

<< E allora fallo! >>, esclamò Jillian con rabbia.

Wantz ubbidì con un’alzata di spalle. << Peccato, era interessante. E, per la cronaca, non ero vestito di bianco e tanto meno indossavo un cappello da deviato mentale come quello. >>

<< Smettila o giuro che ti prendo a schiaffi >>, minacciò la ragazza, fissandolo con astio.

<< Non posso negare di meritarmelo >>, disse inaspettatamente lui. Riprese l’espressione seria di poco prima, evitando di incrociare lo sguardo di Jillian. << Mi hanno cacciato perché mi vedevano come... Come una spiga marcia che distrugge quelle sane. >>

Jillian gli regalò un sorriso dolce. << Credevo non ti importasse del parere degli altri. >>

<< Infatti. Mi da fastidio che anche Marhalt e Iwen abbiano delle grane per questo >>, ribatté, tenendosi sulla difensiva.

<< Non ti dirò cosa penso perché so che ti arrabbieresti. Però, secondo me... Non è un male se ti irriti per cose del genere. Non devi per forza mantenere la tua immagine di uomo di ghiaccio. >>

<< Non dirlo >>, la interruppe. << Non ricominciamo con questa storia. Lo ammetto, non sembra ma anche io sono umano, va bene? La rabbia fa parte dei sentimenti umani, giusto? >>

<< E’ un peccato capitale >>, scosse il capo. Jillian si girò, sedendo in modo da avere il ragazzo davanti a sé. << Wantz, nessuno ti chiede di rinnegare tutta la tua vita. Qualsiasi cosa si faccia, non è possibile cancellare il passato. >>

Wantz la guardò con aria benevola, come se fosse certo che niente e nessuno potesse fare nulla per lui. << Allora cosa mi consigli di fare? >>

Lei ci rifletté seriamente prima di rispondere. << Porta sulle spalle il peso dei tuoi errori... e vivi. >>

Il mago ridacchiò e si passò una mano tra i capelli. Al che Jillian gli lanciò un’occhiataccia.

<< Fa così ridere? >>

<< No >>, assicurò lui. << Solo... Sono favorevolmente impressionato nel vedere che ti preoccupi per uno come me >>, chiarì, facendole il verso. Siccome la ragazza aveva abbassato lo sguardo e taceva, proseguì. << Se fosse vera la metà della favole che si raccontano sul mio conto, dovrei essere un animale crudelissimo, dedito al sangue e ad ogni sorta di eccessi. >>

Jillian lo guardò sospettosa. << Perché, non è così? >>

Wantz scosse la testa; Jillian lo fissò con tanto d’occhi, e quasi urlò.

<< Hai sorriso! >>

Il mago fece un balzo all’indietro. << Non è vero! >>, negò con foga, pentendosi immediatamente di aver avuto una reazione così esagerata e controproducente.

<< Ah-a... Non mentire >>, lo punzecchiò la ragazza, avvicinandosi a lui tracotante. << Dai, sorridi ancora. >>

<< Non mi seccare >>, bofonchiò lui.

<< Suvvia, me lo devi, visto che hai avuto l’ardire di venire in camera mia apposta per sbirciare la vestaglia e deridermi. >>

<< Affatto. Ero entrato per lasciarti il mantello. Poi se dormi come una cavalletta e ti scopri non è colpa mia. Quando si parla di ingratitudine... >>

<< E dai, sorridi. Fallo per farmi piacere. >>

<< Un motivo in più per non farlo. >>

Dall’orto arrivò un urlo forte e al contempo placido. << Wantz! Jillian! Ho bisogno di voi, venite. >>

<< Salvo >>, decretò il ragazzo, sollevato.

<< Non riuscirai a sfuggirmi in eterno >>, lo avvisò Jillian.   

Wantz si alzò, guardandola truce dall’alto in basso. Le tese una mano per aiutarla ad alzarsi. << Questo è da vedere. >>

Jillian afferrò la mano del ragazzo e si drizzò in piedi. << La nostra è una ben strana accoppiata, non ti pare? >>

<< E' uno strazio... >>, corresse con un breve sospiro, incamminandosi.

La ragazza lo seguì, ridacchiando.

<< Si può sapere che succede? >>, chiese Wantz con una punta d’irritazione.

<< Iwen diserta il latino >>, spiegò Marhalt, aspettando al di là dello steccato che i due lo raggiungessero. << Puoi usare i tuoi efficienti metodi persuasivi per riportarlo al suo dovere? >>

Uno scintilla sadica saettò nello sguardo del mago. << Ma certo >>, acconsentì.

Lo spilungone aggrottò lo sopracciglia, l’occhio destro rigorosamente chiuso. << Come mai così di buon umore? >>, chiese.

<< Non sono di buon umore >>, rettificò Wantz. << Anzi, credo che sfogherò la mia ira su quella peste lentigginosa. >>

Marhalt sorrise, rivolgendosi ora a Jillian. << Deduco che ti sei vendicata. >>

<< Oh sì, egregiamente >>, confermò lei, superando il mago e raggiungendo Marhalt oltre lo steccato. << Avresti dovuto vedere >>, incarnò la dose, voltandosi beffarda indietro verso il mago. Questi rispose con uno stanco“Tsk”. Marhalt si diresse verso casa, seguito a ruota da Jillian. Wantz restò a debita distanza, procedendo lentamente, nel vano tentativo di non udire le risate che i due che si stavano facendo alle sue spalle.

 

 

<< In fondo... Il fatto che i suoi sorrisi siano una cosa così rara, li rende ancora più carichi di valore. Non so se capita anche a te, ma quando lo vedo sereno, quando ride sinceramente, per quanto saltuariamente succeda... In quei momenti sto bene anche io. >>

 

 

<< Allora... >>, disse infine Marhalt, giunto davanti all’abitazione, voltandosi verso il mago. << Hai pensato a qualche buona idea o ti sei limitato a fingere di ignorarci? >>uello di cui sono certqq

Non ricevette risposta.

Wantz si era fermato a una decina di passi da loro. Stava immobile, lo sguardo vigile, la bocca socchiusa in un'espressione stupita.

<< Che succede? >>, gli chiese Jillian, guardandolo interdetta voltare a destra e a sinistra il capo come se stesse cercando qualcosa.

<< Hai sentito qualcosa? >>, aggiunse Marhalt, avvicinandosi a lui.

Il mago non rispose, limitandosi ad alzare una mano per dirgli di tacere. Lo spilungone levò il volto al cielo, gli occhi chiusi, i sensi all'erta, cercando di individuare anche lui ciò che l'amico aveva percepito. Quando lo trovò, si irrigidì.

<< Wantz, non sarà per caso... >>

Il ragazzo scosse il capo lentamente. << No, non si tratta di lui. Però... è qualcosa che gli somiglia. >>

Jillian li osservava in silenzio, senza capire. Poi sentì qualcosa anche lei. Una specie di brivido la attraversò improvvisamente, passandola da parte a parte ed estinguendosi quasi subito. Una sensazione spiacevole, quasi un brutto presentimento.

Successe in un attimo. Marhalt le si parò innanzi, dandole la schiena, come se volesse nasconderla. Davanti a Wantz, contratto in una posizione difensiva, si sollevò un polverone, alimentato da una folata di vento, e, quando esso si diradò, apparvero due figure avvolte in mantelli neri.

La braccia alzate al volto per proteggere gli occhi dalla polvere sollevata, Jillian non riuscì a distinguere le due figure, ma udì distintamente Marhalt lasciarsi sfuggire un gemito che suonava molto come un “no”. Sporgendosi oltre la schiena dello stangone, scorse a mala pena Wantz, ritto in piedi, i pugni serrati. A breve distanza dal mago, i due uomini apparsi dal nulla andavano lentamente delineandosi: uno era biondo, l’altro aveva ispidi capelli neri ricci. Entrambi vestiti completamente di nero, parevano interessati solo al mago. A questi infatti si rivolse con un ringhio astioso il moro.

<< E così sei sopravvissuto un'altra volta, eh? >>

Dall’angolazione in cui si trovava non poteva esserne sicura, ma Jillian aveva l’impressione che sul volto di Wantz ci fosse una maschera di puro disgusto, condita dal solito sorriso ironico.

<< Così pare >>, rispose. << Questa volta sei venuto in compagnia perché hai capito che da solo non hai speranze? >>

Il moro si portò una mano al fianco, soffiando aria tra i denti e fissando Wantz con scherno.

<< Il solito egocentrico. E se oggi non fossimo qui per te? >>

Wantz trasalì. Il suo respiro era aumentato e tremava di rabbia. In quell’istante, dalla casa uscì Iwen, messo in allarme da tutto quel trambusto. Alla vista dei due individui rimase come pietrificato.

<< Iwen! >>, urlò Wantz. << Torna dentro e portami la spada. >>

Il ragazzo restò un attimo immobile, fissando con orrore i due sconosciuti, poi si riscosse e corse dentro l’abitazione senza una sola parola.

Fu il biondo a riprendere la parola, sorridendo placidamente. << Non ti agitare. Non è come pensi tu, davvero. >> Jillian notò che il suo modo di parlare calmo e serafico, così come il suo sorriso, somigliavano molto a quelli di Marhalt; tuttavia, nei suoi modi c’era qualcosa di ambiguo e indefinibile che fece venire i brividi alla ragazza.

<< E allora posso sapere perché diavolo siete qui? >>, chiese il mago, fremendo di rabbia.

<< Piano con le parole, o ti metterò io un freno alla lingua. Hai proprio bisogno di una lezione... >>, minacciò l’altro.

<< Quale lezione? >>, rise Wantz. << Quella che non hai saputo darmi nemmeno con orde di orchi a tua disposizione? >>

<< Taci, miserabile! >>, urlò il ragazzo riccio, scagliandosi contro Wantz.

<< Urien, no! >>, tentò di fermarlo il biondo, ma senza risultati: Urien si era avventato sul mago, afferrandolo per la gola e sollevandolo da terra. Lo fissava con un odio furioso crescente, incrementato dal fatto che Wantz, nonostante la morsa che gli impediva di respirare, continuava a ridere.

<< Smettila, stupido idiota >>, ringhiò Urien, gli occhi dilatati. << Ti rendi conto della tua situazione? Hai superato il limite dei poteri concessi agli esseri umani. >>

Wantz smise di colpo di ridere e fissò Urien con un sorriso denigratore quasi folle. << Appunto >>, sussurrò. << Faresti bene a preoccupartene. >>

Appena terminata la frase, Urien venne sbalzato via con forza e andò a sbattere contro un albero, vittima di una magia del ragazzo.

<< Tu, bastardo... >>, farfugliò, rialzandosi.

Wantz si stava massaggiando la gola, apparentemente indifferente a quanto appena successo. Ignorando bellamente Urien, si rivolse al biondo. << E’ lecito dunque sapere perché siete qui? >>

<< Non abbiamo intenzioni ostili >>, assicurò.

<< Lo immaginavo, altrimenti non ti saresti scomodato >>, annuì Wantz. << Per distruggere un po’, basta anche quella bestia da sola >>, concluse, alludendo ad Urien.

<< Suvvia, non essere così severo con lui >>, lo rimbrottò giovialmente col suo incrollabile sorriso. << Siamo venuti appunto per scusarci. L’ultima volta Urien ha esagerato, disobbedendo anche agli ordini, quindi siamo qui per rimediare. >>

Wantz ebbe un moto d’impazienza. << Non prendermi in giro, Caradoc. Ti aspetti davvero che creda che siete venuti solo per dirmi “Scusa Wantz, non volevamo mica farti fuori”? >>

L’uomo di nome Caradoc si fece serio. << Invece sì. Quello doveva essere solo un atto intimidatorio. Sfortunatamente, Urien ha perso il controllo ed è stato quello che è stato. >>

<< E’ stato quello che è stato >>, lo scimmiottò Wantz. << Ho solo rischiato di tirare le cuoia. >>

Caradoc sfoderò un sorriso insolitamente maligno. << Ma non è successo, o sbaglio? >> Wantz non rispose. << Ad ogni modo... >>, riprese il biondo. << Siamo qui per riferirti il messaggio che tre giorni fa Urien non è riuscito a darti perché troppo impegnato a picchiarti >>, aggiunse risentito, all’indirizzo di Urien, che sostava in piedi di fronte all’albero.

<< Ti ascolto >>, disse Wantz, incrociando le braccia.

Caradoc scosse il capo. << Prima gradirei che dicessi al tuo amico di smettere di lambiccarsi su come fare ad arrostirci il posteriore. >>

Wantz si voltò verso la casa e subito ne uscì un mortificato Iwen, che scivolò silenziosamente fino al mago, gli diede la spada a occhi bassi e altrettanto silenziosamente andò di fianco a Marhalt. Seguendo il bambino con lo sguardo, Wantz scorse Jillian dietro la possente schiena di Marhalt: allo sguardo interrogativo della ragazza rispose stirando le labbra in un’espressione tesa e preoccupata.

<< Quella non ti servirà >>, gli disse Caradoc, accennando alla spada.

Wantz legò il fodero ai fianchi, lasciando che pendesse a sinistra. << Staremo a vedere. Quindi? >>

<< Puoi facilmente intuire perché siamo qui. >>

Il mago ebbe un fremito. << Allora puoi evitare di dirmelo. >>

<< Zitto, piaga >>, si aggiunse Urien. << Fosse stato per me non saremmo neanche venuti, ma Caradoc dice che per correttezza dobbiamo dirtelo perché Lui vuole così. >>

<< Oh, capisco >>, assentì il mago. << Quindi ancora una volta i tuoi disastri vengono riparati da altri. Povero ebete incapace di fare quello che gli viene chiesto. >>

Urien schiumava di rabbia. << Senti senti... Proprio tu parli di disastri quando sappiamo benissimo che cosa hai combinato tu. >>

Wantz rimase stoicamente muto, ma era chiaro che aveva accusato il colpo.

<< Chissà cosa direbbero i tuoi amichetti se sapessero che... >> Non terminò la frase perché delle mani invisibili lo avevano afferrato per il collo e sollevato in aria: Urien dimenava le gambe cercando affannosamente di respirare, ma la stretta invisibile gli impediva di incamerare aria.

<< Wantz >>, lo chiamò Caradoc. << Non abbiamo ordine di farvi del male. Lascialo se non vuoi pentirtene. >>

<< Di troppe cose mi sono pentito nella mia vita >>, rispose lui, fissando impassibile Urien diventare viola per la mancanza di aria. << Questa, sono sicuro, non si aggiungerà alla lista. >>

Per tutta risposta Caradoc alzò una folata di vento che centrò Wantz in pieno petto e lo sbalzò indietro, costringendolo a sciogliere l’incantesimo lanciato su Urien. Questi ricadde pesantemente a terra, il respiro rotto e affannoso.

<< Wantz! >>, gridò Jillian. Fece istintivamente un passo verso il ragazzo, ma Marhalt stese il braccio innanzi a lei come a volerle dire di non muoversi, impedendole di avanzare.

Marhalt si voltò verso Iwen. << Impediscile di avvicinarsi. >> Detto questo corse al fianco di Wantz e lo aiutò a rialzarsi.

Iwen si avvicinò a Jillian, esibendo un sorriso forzato. << Lascia fare a loro. Noi non possiamo fare niente >>, disse con una nota di rammarico.

La ragazza guardò Wantz massaggiarsi il torace con una mano e scambiare brevi parole con Marhalt.

Un botto li fece voltare: Urien si era ripreso, e aveva reciso a metà un albero, sotto lo sguardo affranto di Caradoc.

<< Calmati >>, lo ammonì. << Sai perfettamente che non dobbiamo ucciderlo. >>

<< Appunto. Perché? >>

Caradoc si voltò verso Wantz.

<< Perché mi sta lasciando vivere in circostanze come queste? >> Nonostante l'espressione adirata, la domanda di Wantz suonava colma di disperazione.

Il biondo sembrava sinceramente dispiaciuto. << Non lo so. Credimi Wantz, non lo so.  >>

<< Dipendesse da me, saresti sotto tre metri di terra già da un pezzo >>, annunciò Urien.

<< Ne dubito >>, sibilò il mago.

Urien stava di nuovo per saltargli addosso, ma Caradoc lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla. << Puoi credermi, però, se ti dico che forse è meglio che tu non lo sappia. >>

Wantz scosse lentamente la testa. << Permettimi di dissentire. Qualsiasi sia il motivo per cui l’Oscuro non mi ha ancora ucciso, io voglio saperlo. >>

<< E’ un desiderio legittimo, ma una scoperta come questa non porta mia a niente di buono. La verità non farebbe altro che aumentare il carico delle tue sofferenze. >>

<< Dove la verità possa condurre, è cosa da non chiedersi, a mio parere >>, ribatté Wantz con gravità.

Caradoc sorrise, fissandolo con interesse. << Lo credi davvero? E se questa verità ti fosse preclusa? >>

Wantz rispose col suo classico sorriso canzonatorio. << Se ci è dato cercare la verità, non ci è di conseguenza proibito raggiungerla. >>

<< Eppure, Lui te lo sta proibendo eccome. Inoltre, al momento ci sono altre verità che dovrebbero interessarti maggiormente. >> Non appena terminò la frase, sparì dal punto in cui si trovava e si materializzò davanti a Jillian. La ragazza non ebbe neanche il tempo di sussultare che il mago, con velocità pari al biondo, comparve fra lei e Caradoc a farle da scudo, la sua schiena a meno di tre centimetri dal naso della ragazza.

<< Lo vedi? >>, sussurrò suadente Caradoc. << Sai già qual’era il messaggio che dovevamo riferirti. >>

Wantz digrignò i denti e fece per sferrare un cazzotto al biondo, ma Urien spuntò fuori dal nulla prima che il pugno del ragazzo arrivasse a destinazione e scaraventò il mago a terra. Wantz tentò di rialzarsi subito, ma Urien si gettò su di lui e cominciò a sferrare dei colpi energici al volto del ragazzo: per alcuni secondi subì passivamente, preso alla sprovvista, poi si riprese a pronunciò una breve formula che paralizzò Urien. Approfittando dell’immobilità dell’avversario, Wantz si rialzò, pulendosi col dorso della mano il sangue che gli colava dal naso, e gli sferrò un calcio, facendolo rotolare a terra. Appena toccato il suolo, tuttavia, Urien riuscì a sciogliere l’incantesimo, rialzandosi, coperto di polvere, sghignazzando all’indirizzo del ragazzo.

<< Suvvia, ragazzi >>, li richiamò Caradoc, ormai rassegnato. << Se proprio volete sfidarvi fatelo come il vostro rango vi compete. >>

<< E sia >>, acconsentì Wantz, sputando a terra un misto di sangue e saliva. << Anche se non merita affatto questo onore. >>

Urien reagì violentemente anche a quella provocazione, e i due iniziarono un duello di incantesimi sotto lo sguardo impotente degli altri. Caradoc sospirò, osservandoli come un padre paziente guarderebbe i figli troppi vivaci giocare alla guerra. Si voltò poi verso Jillian, rivolgendole il suo miglior sorriso etereo: la ragazza sentì un brivido correrle lungo la schiena, e la sensazione di ambiguità che aveva percepito nel giovane divenne ancora più radicata. Alzò una mano e la avvicinò al viso della ragazza, con l’evidente intenzione di accarezzarle la guancia. Il suo braccio però si bloccò a metà strada, perché Iwen gli aveva afferrato il polso con tutta la forza che aveva nel suo unico braccio e lo fissava con un’espressione di puro odio, le labbra che tremavano sia per la rabbia che per la paura, le guance arrossate.

Caradoc, dopo un attimo di stupore iniziale, stese le labbra in quello che sembrava un sorriso colmo di rispetto. Si liberò facilmente della stretta del ragazzino, riabbassando il braccio come se nulla fosse.

<< Non hai nulla di cui preoccuparti >>, disse a Jillian, con un tono dolce e rassicurante che stonava non poco con la situazione. << Anche se non sembra, quell’indisponente di un mago non permetterà che ti accada nulla. >>

Jillian restò impassibile, palesando solo un vago stupore. << Non capisco a cosa vi state riferendo. >>

<< Come tutti coloro che fanno parte della profezia, dovrai passarne di cotte e di crude >>, spiegò, sibillino.

La ragazza si chiese se tutto ciò non avesse a che fare con il presunto interesse dell’Oscuro nei suoi confronti: perché, era evidente, quei due, chiunque fossero, facevano parte delle sue schiere.

<< Non so che ruolo ho nella profezia. Non so cosa voglia l’Oscuro Signore da me. Non so che cosa mi aspetta, ma una cosa è certa >>. Fissò l’uomo dritto negli occhi, in un indubbio atteggiamento di sfida. << Se avete bisogno di ricorrere ad “atti intimidatori”, allora voi siete l’ultima delle mie preoccupazioni. >>

Caradoc rise, una risata cristallina e insolitamente rassicurante. Prima che potesse risponderle, una scia infuocata gli passò davanti, sfiorandogli il volto, e si andò a conficcare nel terreno; si spense appena entrata a contatto col suolo, con uno sbuffo cinereo, sbriciolandosi. Caradoc si voltò nella direzione da cui era partita la freccia.

Urien era bloccato ad un albero, inchiodato da un buon numero di frecce infuocate, che non intaccavano la corteccia, ma lambivano con lentezza esasperante i vestiti del ragazzo, che si dimenava inutilmente cercando di sottrarsi a quella perversa tortura. Marhalt controllava impassibile che il moro non si liberasse da quella trappola rovente. Wantz, invece, imbracciava una arco incandescente, che sembrava tuttavia non ustionarlo; sulla schiena, una faretra invisibile conteneva decine di quelle frecce di fuoco. A gambe leggermente divaricate, una freccia incoccata nell’arco, puntava verso Caradoc.

<< Non stavo facendo nulla di male >>, si giustificò, l’incrollabile sorriso sulle labbra.

Wantz inarcò un sopracciglio. << Non lo metto in dubbio >>, disse. << Ma, vedi... Come prevedibile, la bestia è fuori gioco, quindi è il tuo turno. >>

<< No, ti prego >>, gemette Caradoc. << Ti ho già detto che non era nostra intenzione combattere. >>

<< Le intenzione vengono soppiantate dalle azioni >>, replicò il mago

Il biondo incrociò le braccia, abbattuto. << Sai perfettamente che non ti conviene. >>

Wantz non ebbe modo di rispondere perché un botto alle sue spalle lo costrinse a voltarsi. Urien era riuscito a liberarsi, e si avvicinava a loro furente. Marhalt era riverso a terra, colpito in pieno da chissà quale incantesimo.

<< Marhalt! >>, chiamò il mago.

<< E’ tutto a posto >>, rispose biascicando, il fiato corto, tentando di rialzarsi. << Pensa a loro. >>

Urien infatti si dirigeva verso il ragazzo con intenzioni chiaramente ostili; Jillian notò che i suoi occhi, originariamente color nocciola, erano diventati rossi. Anche Wantz se ne accorse, ma, a differenza della ragazza, lui sapeva che cosa significava. Fece sparire l’arco e i dardi.

<< Tu... >>, ringhiò Urien all’indirizzo del mago, camminando lentamente verso di lui. << Non osare darmi della bestia. >> I suoi occhi sembravano quasi lampeggiare.

Wantz lo fissò con agitazione. << Piantala. Non farlo. Non qui. >>

<< Mi associo >>, condivise Caradoc. << Questo non posso davvero lasciartelo fare. >>

Urien scoprì i denti in un ghigno animalesco. << Hai paura, Wantz? Non vuoi farglielo vedere? >>

La preoccupazione svanì, lasciando addosso al mago solo un’irrefrenabile collera. << No di certo. >>

Si fiondò addosso a Urien che, colto di sorpresa dal movimento fulmineo del ragazzo, non riuscì a bloccarlo: Wantz gli afferrò il volto con la mano destra, premendogli il palmo contro il volto. La sua intenzione però non era semplicemente stritolarlo: la mano del mago era diventata rovente come un carbone ardente, e Urien ululava di dolore mentre la morsa di Wantz gli ustionava la faccia. Tentò di staccarsi di dosso il mago artigliandoli il braccio e spingendolo via a suon di calci e pugni, ma Wantz resisteva, incurante dei colpi subiti. Il calore era così forte da impedire a Urien di ragionare lucidamente, tanto che non riusciva a formulare nessun incantesimo, neppure uno di quelli elementari a comando vocale. Quando ormai temeva che i suoi lineamenti si stessero liquefacendo, Wantz fu sollevato di peso da Caradoc e scaraventato all’indietro, piombando con una capriola ai piedi di Jillian e Iwen. Mentre Caradoc sanava la grave ustione sul volto del compare, Iwen si chinò al fianco di Wantz, come intenzionato a dirgli qualcosa, ma qualcosa alla vista del mago lo bloccò: sgranò gli occhi e spalancò la bocca per la sorpresa, fissando esterrefatto l’amico.

<< Wantz! >>, esclamò appena si riprese. << Non avrai mica intenzione di... >>

Jillian fece per chinarsi anche lei, ma Wantz si alzò di scatto, dandole le spalle: pulitosi dal sangue uscito dal labbro inferiore, spaccato da un pugno di Urien, rimase immobile in piedi, dandole le spalle. La ragazza poteva anche sbagliarsi, considerato che aveva visto il ragazzo in viso solo per una manciata scarsa di secondi, ma le era parso che anche gli occhi del mago fossero diventati rossi.

Intanto Urien si era perfettamente ripreso, e discuteva con Caradoc.

<< Non ti permetto di farlo e basta >>, diceva il biondo.

<< Oh, stai tranquillo >>, sghignazzò l’altro, scoprendo i denti: stranamente, la sua arcata dentaria superiore si era ingrossata, e i canini iniziavano a sporgere all’infuori della bocca. Sembravano le zanne di un animale. << Non mi serve la trasformazione completa per sistemarlo. Ora lo sistemo >>, annunciò. Detto ciò, si diresse verso il mago.

Iwen si parò davanti al mago, afferrandogli un braccio e scuotendolo. << Wantz, calmati. Non puoi farlo. Sono sicuro che nemmeno tu lo vuoi fare. >>

Wantz non abbassò lo sguardo verso il bambino. << Certo che non voglio >>, rispose. << Potessi, eviterei volentieri. Ma lasciarsi sfuggire quest’occasione sarebbe da idioti, non ti pare? >> L’ultima frase la accompagnò con un sorriso, posandogli la mano destra sulla testa e spettinandolo affettuosamente.

Iwen aveva le lacrime agli occhi. << Non mi piace quando sei così. >>

<< Ha ragione >>, ghignò Urien, raggiungendoli. << Quell’aspetto non ti dona affatto. >>

<< Hai ragione >>, confermò. << L’unico che sta bene in versione bestia sei tu. >>

Al che Urien stava per gettarsi nuovamente addosso al ragazzo, ma Wantz lo precedette e gli scagliò addosso un incantesimo che lo fece cadere a terra. Il mago si piazzò davanti ad Urien, alzò la mano destra e iniziò a contrarla: ad ogni movimento della mano di Wantz, Urien si contorceva e gemeva, vittima di dolori lancinanti ai muscoli, controllato dal mago come se fosse una marionetta. Sempre controllandone i movimenti, Wantz lo fece alzare in piedi e lo spinse addosso a Caradoc, che lo afferrò in tempo prima che cadesse di nuovo. Urien, sorretto dal biondo, voltò il capo verso il mago, mostrandogli i denti, ormai diventati delle vere e proprie zanne, e ringhiando.

<< Sapevo che combattere contro di te con metodi ordinari non avrebbe funzionato >>, rise soddisfatto, quasi fosse felice di poter affrontare il mago. << Vorrà dire che metterò da parte i miei propositi iniziali e ti concederò il privilegio di vedermi trasformato. >>

<< E io ti dico di finirla, invece >>, replicò Caradoc.

<< Sì, direi che è preferibile finirla. >>

I due diressero la loro attenzione al volto di Wantz: probabilmente notarono la stessa cosa che aveva notato Iwen, perché parvero sorpresi.

<< Credi di essere l’unico a poterlo fare? >>, mormorò Wantz.

Jillian avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo vedere in viso. Solo in quel momento si accorse che al suo fianco era comparso Marhalt. Le rivolse uno sguardo affranto quasi in segno di scusa.

<< Marhalt, fermalo >>, implorò Iwen.

Lo spilungone scosse la testa. << Se ha deciso, non ho nessun mezzo per fermarlo. >>

<< Uh uh >>, sogghignò Urien, raddrizzandosi e fissando Wantz con supponenza. << Non credo che ne avresti il coraggio. Non con loro presenti >>, aggiunse, gli occhi rossi saettanti verso Marhalt, Iwen e Jillian.

La ragazza non poteva saperlo perché il ragazzo le dava le spalle, ma aveva la sensazione che Wantz avesse sorriso: quel sorriso superbo e un po’ folle che gli aveva già visto in altre situazione di pericolo.

<< Vogliamo provare? >>

Urien non ribatté, e finalmente perse il suo ghigno selvaggio. Parve anzi seriamente preoccupato. Si girò verso Caradoc, il quale appariva ugualmente impensierito.

<< Andatevene >>, ordinò Wantz, la voce stanca ma venata di qualcosa di rabbioso, come se si stesse svolgendo una battaglia dentro di lui.

<< Caradoc >>, mormorò Urien. << I suoi occhi... >>

Caradoc guardò il mago chiedendosi se era davvero disposto a rischiare tutto. Era una reazione esagerata, razionalmente, considerato che gli avevano detto che non avevano intenzioni ostili; tuttavia, emotivamente, era logico che avesse reagito male a quella loro intrusione nella sua unica oasi di tranquillità. Urien, perduta ogni foga distruttiva, lo osservava in attesa di ordini, forse inquieto all’idea che il mago stesse parlando sul serio.

<< Andatevene >>, ripeté.

<< Andiamo >>, sentenziò Caradoc infine. << E' capace di farlo sul serio. >>

Urien annuì e si mise di fianco al compare. Wantz non fece nulla per fermarli, segno che era davvero disposto a farlo, ma solo se strettamente necessario. In pratica li aveva minacciati al solo scopo di costringerli ad andarsene: probabilmente sapeva fin dall’inizio che loro avrebbero ceduto. Il solito stratega.

Una folata di vento si alzò, investendo i due e avvolgendoli: prima che sparissero Caradoc rivolse un’ultima occhiata a Wantz.

<< Non sfidare troppo la sorte >>, gli disse. << L’hai già fatto e conosciamo i risultati. >>

 

 

“Avrei mai potuto perdonarmi?”

 

 

<< All’inferno la fedeltà, ai più neri diavoli i giuramenti, sprofondino nella più nera bolgia la coscienza e la grazia! Io sfido la dannazione.

D’ora in avanti, i miei pensieri siano di sangue, o degni soltanto di disprezzo.

Qui faccio la mia scelta: gioia ne consegua!

Hieme et aestate, et prope et procul, usque dum vivam et ultra!

In inverno e in estate, da vicino e da lontano, finché avrò vita e oltre! >>

 

 

“Ora ho la risposta. No, mai.”

 

 

Dopo che i due scomparvero nel nulla così come erano arrivati, un silenzio irreale aleggiò in quello che prima era stato lo scenario dello scontro. Nessuno si era mosso, né aveva proferito parola. Quella calma innaturale si spezzò quando Wantz, all’improvviso, si accasciò a terra, crollando seduto sulle ginocchia.

<< Wantz! >>, esclamò Iwen, precipitandosi al fianco del ragazzo, subito seguito da Marhalt e Jillian.

<< Stai bene? >>, chiese lo stangone, posandogli una mano sulla spalla sinistra.

Wantz, a capo chino, si passò uno mano sul viso, in un gesto affaticato. << Sì. Sono solo stanco. >>

<< Per così poco? >>, domandò Iwen scandalizzato, cercando di alleggerire quell’atmosfera pesante.

<< Non avresti dovuto esagerare >>, lo rimproverò Marhalt. << Sai a cosa mi riferisco. >>

<< Sciocchezze >>, sbuffò Wantz. << Non sono solo abituato ad usare quel potere. >>

Marhalt, stupito, socchiuse l’occhio. << E spero che mai ti ci abituerai. Non devi vederla come una risorsa a cui attingere in situazioni disperate, ma solo come a una maledizione da dimenticare. >>

<< Come posso dimenticarmene? >>, sussurrò il mago in tono straziante. << E’ sempre con me, è dentro di me. Come posso far finta di non saperlo? >>

Marhalt si chiese se stessero parlando della stessa cosa. Aveva l’impressione che Wantz si stesse riferendo a qualcos’altro, qualcosa che lui non sapeva. << Allora, se non puoi dimenticarla, cerca di vincerla. >>

Il mago non rispose. Alzò la mano sinistra e la posò sulla spalla di Mahalt, contusa per le percosse ricevute da Urien, curandola all’istante. La spada ciondolava inerte, come sempre inutilizzata.

Seguì un altro momento di silenzio. Wantz non accennava a rialzarsi.

Marhalt si voltò verso Jillian. << La Triade. >> La ragazza lo guardò stupita. << Ti stai chiedendo chi erano, no? Beh, hai conosciuto due membri della Triade della Dannazione. >>

Jillian annuì: i suoi sospetti erano fondati. << Frequentate gente per bene, vedo. >>

Iwen colse la palla al balzo. << Non li abbiamo mica invitati noi. >>

Forse era stupido cercare di tirarlo su facendo delle battute idiote? D’altra parte, non sapevano nemmeno perché il mago apparisse così abbattuto: doveva aver a che fare con le frasi che aveva scambiato con Caradoc, cose però che loro non capivano. Già, perché Jillian era sicura che neanche Marhalt avesse capito tutto, lo intuiva dalla sua espressione preoccupata.

<< Jillian. >>

La ragazza trasalì. Tra le abitudini di Wantz, aveva riscontrato quella di non chiamare le persone per nome, forse derivante dal fatto che lui usava frequentemente identità false. A Past era evidentemente più rilassato, tant’è vero che non si faceva riserve a chiamare per nome quelle che erano con ogni probabilità le uniche persone di cui si fidava. Ma, da quando viaggiavano insieme, non aveva pronunciato il suo nome se non in una decina di occasioni, e ogni volta che lo faceva, Jillian aveva la sensazione che fosse solo perché aveva un valido motivo, o perché la situazione era grave, quasi avesse paura che pronunciandolo troppe volte avrebbe finito con lo sciuparlo.

<< Sì, Wantz? >>, rispose lei, col tono più normale che riuscì a trovare.

Wantz si alzò, mantenendo però la testa bassa, lo sguardo rivolto al terreno, quasi volesse nascondere qualcosa, avvalorando i sospetti della ragazza riguardo al fatto che anche i suoi occhi, così come quelli di Urien, fossero diventati rossi. Inutile chiedersi perché, dato che soltanto lui conosceva la risposta.

Si avvicinò alla ragazza, barcollando lievemente: non potendo parlarle a quattr’occhi come suo solito, approfittò del fatto che era inciampato e poggiò la testa sulla spalla di Jillian. Questa si piegò leggermente per sostenere il peso non indifferente del ragazzo, passandogli le braccia attorno alla schiena per sorreggerlo meglio.

<< Sorridi. >>

Jillian sbatté le palpebre, cercando di non venir sopraffatta dalla mole di eventi che quel giorno le erano piombati addosso. << Come? >>

<< Visto che io non ci riesco, fallo tu per me. >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di fine capitolo

Come alcuni di voi sanno, la scelta dei titoli, così come quella dei nomi propri, mi crea sempre

problemi. Davvero, a volte faccio una fatica a trovare un’idea decente... E non sempre i risultati sono soddisfacenti. Tanta fantasia per la trama e zero inventiva per i titoli. Sorry.

Fedele a questa mia incapacità, ecco un titolo che mi ha fatto scervellare non poco, e anche adesso non sono soddisfatta.

Ho scelto “Fair” perché la figura del bambino, che ha respinto le superstizioni dei paesani, si ricollega al discorso “ingratitudine”. Inoltre, “fair” in inglese significa leale, motivo per cui ho chiamato così il bambino. Infine, “fair” può significare anche “biondo” e “sereno”, cosa che fa quindi riferimento a Caradoc, che in questo capitolo si è occupato di fornire la solita mole di affermazioni che ora sono senza senso, ma che col procedere della storia si chiariranno.

Vi siete divertiti?

 

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Capitolo 19
*** Sprechi di tempo e di energie ***


l

 

Rieccomi. Allora, prima di tutto ci tenevo a ringraziare yuna per la recensione. Mi spiace, ma davvero non ho potuto fare prima, sto passando un periodo non proprio facile, quindi ti prego di scusarmi per l'attesa, ma ti assicuro che ho fatto il prima possibile. Mi scuso anche di aver creato una “storia da violente crisi d'astinenza” (*-*), capisco che sia un problema per i lettori, ma dicendomelo hai solo ingigantito il mio ego malato. XD Mi fa piacere che tu abbia apprezzato la caratterizzazione dei personaggi perché è una delle cose cui mi soffermo di più, insieme ai dialoghi. Suonerà banale, ma ormai per me sono quasi delle entità a loro stanti, è come se li conoscessi veramente (Eco non apprezzerebbe, mi sa). Se continuerai a lasciare recensioni mi farà molto piacere. ^^

La cosa che più mi fa ridere è che ad ogni capitolo che posto c'è sempre nuova gente che mi aggiunge ai preferiti ma mai un cane che lascia un commento. XD Grazie anche a Queen: non vedo l'ora di sentire le tue nuove teorie. (*-*) Per eventuali domande, non esitate a contattarmi. Ok, ora la pianto di prolungare inutilmente l'agonia.

 

 

Capitolo 19: Sprechi di tempo e di energie

 

 

Seduta su una sedia di fianco al letto, una mano in grembo e l’altra appoggiata vicino al cuscino, Jillian osservava in silenzio il viso di Wantz, constatando che, almeno quando dormiva, i suoi lineamenti si distendevano, perdendo la classica maschera inespressiva. Spossato com’era, probabilmente anche a causa del fatto che in quegli ultimi giorni aveva dormito poco o niente, il ragazzo era svenuto subito dopo esserle scivolato addosso. Marhalt e Iwen lo avevano trasportato fin nella sua camera, ed era già un’ora buona che il ragazzo giaceva a letto, in quello che a lei sembrava in tutto e per tutto un sonno profondo, ma che Marhalt le aveva spiegato essere una perdita di coscienza semi-involontaria grazie alla quale i maghi, pur restando privi di sensi, svolgono un processo curativo capace di sanare anche le ferite più gravi. Ciò non toglieva che con ogni probabilità, finito il processo, sarebbe rimasto addormentato fino al mattino successivo, per recuperare il sonno perso. Volente o nolente, secondo lo spilungone sarebbe stato lo stesso corpo del mago ad imporgli di riposare.

Al fianco della ragazza, Iwen sedeva su uno sgabello che aveva portato dalla cucina; teneva lo sguardo basso, perso in chissà quali pensieri, mordicchiandosi di tanto in tanto il labbro inferiore. Marhalt, invece, sostava vicino alla finestra, appoggiato al muro.

Jillian si arrovellava tra una moltitudine di interrogativi differenti, ma la prima domanda che fece, spezzando il silenzio che regnava ormai da una buona mezz’ora, per quanto assurda suonasse, rendeva bene l’idea della confusione che regnava nella sua testa.

<< Ma voi chi siete in realtà? >>

Marhalt sulle prime si stupì; pensandoci bene, tuttavia, dovette ammettere di non poterla biasimare: visto tutto quello che era successo, era legittimo che la ragazza nutrisse simili perplessità. Scelse con cura le parole con cui rispondere. << Siamo persone con la rabbia nel cuore alla ricerca della verità. >>

<< Una definizione un po’ oscura >>, fece notare Jillian.

<< Però è vero >>, disse lo stangone. << Anche la tua domanda, del resto, non era chiara. Non si capiva cosa intendevi. Sai bene che siamo contro l’Oscuro, e sai altrettanto bene che Wantz è un mago, quindi non puoi aspettarti altro che situazioni del genere stando con lui. E il fatto che tutti noi siamo strani e abbiamo qualcosa da nascondere, direi che è fin troppo evidente. >>

Jillian si voltò: al suo fianco, Iwen si stava sistemando meglio la manica sinistra, arrotolandola sulla spalla e fermandola con uno spillone; dovendolo fare con la sola mano destra, aveva qualche difficoltà. Gli prese delicatamente la spilla di mano e la appuntò poco più in basso della scapola, sotto lo sguardo un po’ imbarazzato del ragazzino.

<< Mi dispiace >>, si scusò. << Sono un po’ scombussolata, e non riesco a ragionare. >>

 << Non c’è problema >>, rispose Iwen, la voce un po’ impastata, anticipando l’amico. << Sai, non è così male essere diverso: si impara a farsi furbi e ad arrangiarsi come si può. E poi c’è il notevole vantaggio che la marmaglia si tiene alla larga perché teme che gli creeremmo problemi >>, aggiunse tutto convinto.

Jillian gli sorrise. << Magari tutti la pensassero così. Ciò ti fa onore e dimostra che sei più maturo di gran parte di coloro che hanno la pretesa di definirsi adulti. >>

<< Già, non è solo un fatto di età, ma anche e soprattutto di testa >>, condivise Marhalt. << Anche se Iwen è stato influenzato da quel cialtrone del nostro caro mago. >> Tacque, ripensando a un episodio di parecchi anni prima. Si lasciò andare ad una risata, e riprese a parlare, con l’aria assorta di chi sta ricordando un periodo felice ormai passato. << Un giorno Wantz mi disse: “Se non posso vivere come una persona normale, non mi rimane che vivere come una persona strana.” E così ha fatto. >>

<< E bisogna ammettere che gli riesce bene >>, sorrise Jillian, osservando il mago respirare con movimenti lenti e regolari: riusciva quasi ad apparire innocente. Il sonno fa davvero sembrare le persone dei bambini, pensò. << Credevo che... >>, esitò un attimo prima di continuare. << Credevo che fosse una specie di misantropo che evita di creare rapporti con le persone e si crede superiore a tutti. >>

Marhalt sorrise. << Non si può negare che molti versi lo sia. >>

<< Sì, però... Si vede chiaramente che vi vuole bene. >>

<< Siamo cresciuti insieme, senza avere altri legami con il mondo >>, spiegò Marhalt. << C’è da dire che non abbiamo fatto molti tentativi di allargare i nostri orizzonti, ma noi stavamo bene così. Le nostre esperienze personali ci portano a non dare grande fiducia al prossimo, con le dovute eccezioni, si intende >>, precisò, accennando un inchino all’indirizzo di Jillian, che rispose con un elegante cenno della mano come avrebbe fatto una nobildonna in un salotto.

<< Comunque il nostro non è una specie di paradiso >>, sbuffò Iwen. << Abbiamo un sacco di grane, e litighiamo sempre tra noi. >>

Jillian scosse la testa, come a voler sottolineare che quello non era un aspetto negativo. << Solo quando si ha un rapporto si può litigare. >>

<< Allora direi che tu e Wantz siete sulla buona strada. >>

La ragazza guardò basita Marhalt. << Più che litigare, direi che lui cerca di mortificarmi in ogni modo. >>

<< Lo so, ha un carattere complicato >>, ammise Marhalt.

<< Ha un carattere polemico >>, lo corresse lei.

<< Ha qualche pregio anche lui, sai? >> Siccome Jillian lo fissava con un’espressione assai poco convinta, proseguì. << E' d'intelligenza brillante piuttosto che acuta; adatta a ogni studio, ma inclinata particolarmente alla filosofia morale e alla poesia. >>

<< Poesia? Lui? >>, chiese, voltandosi verso Wantz e fissandolo come se fosse una rapa parlante.

<< Oh, sì >>, confermò Iwen entusiasta. << A tempo perso scrive canzoni. Dovresti sentirle, niente a che vedere con quelle fanfaronate della musica popolare. >>

<< Già, ma visto che di tempo da perdere ne ha ben poco, la sua produzione è assai scarsa >>, specificò Marhalt. << E comunque dubito che acconsentirebbe a farti sentire qualcosa di suo. >>

Jillian si esibì in un sorriso furbetto che poteva fare concorrenza a quelli di Wantz. << Saprò convincerlo, vedrai. >>

Iwen la guardò titubante, chiedendosi se anche lei non avesse qualcosa da insegnare a Wantz quanto a metodi persuasivi.

<< Inoltre >>, riprese Marhalt, ignorando con un sorriso goduto l’affermazione della ragazza, << è un potente sensitivo e un esperto di magia nera, uno dei più scaltri che abbia mia conosciuto. >>

<< Ah sì >>, esclamò Jillian. << Riguardo la sua abilità in materia non ho dubbi. Vorrei soltanto che fosse un po’ più umano. >>

<< Ma lo è >>, asserì lo spilungone. << E come tale, ha numerosi difetti. >> Si aspettava che Jillian ribattesse, invece la ragazza restò zitta, chiaramente interessata. << E' di poche parole, per nulla incline alle ciarliere spacconate, ma anche affidabile e impavido. >>

Jillian alzò gli occhi in un gesto rassegnato. << Sull’affidabile avrei da ridire. So che è serio e responsabile, me ne sono accorta da tempo, ma da come parla e si comporta a volte sembra uno scapestrato incosciente e menefreghista. >>

<< Questo perché non vuole far vedere com’è veramente >>, chiarì Marhalt. << E' un ragazzo volenteroso, onesto e severo con se stesso. Può non sembrare, ma dietro il suo volto inespressivo cela un animo impetuoso. >>

Lo guardò con tanto d’occhi. << Infatti non sembra affatto. >>

Marhalt rise. << Prima o poi si tradirà, e la sua immagine di ragazzo di ghiaccio crollerà. Non è freddo come vuol fare sembrare. >>

<< Ha la tendenza ad agire senza ragionare, ma si frena perché sa che ha grandi responsabilità sulle sue spalle. In realtà è una testa calda, fidati di uno che se intende >>, le confidò Iwen strizzandole un occhio in atteggiamento complice.

<< Se lo dici tu, posso fidarmi >>, dichiarò Jillian con un sorriso che mozzò il respiro al ragazzino, facendolo diventare del colore dei suoi capelli.

<< Per quanto riguarda il resto... >>, riprese Marhalt con serietà. << Io mi sono già spinto troppo oltre il lecito raccontandoti fatti strettamente personali. Il resto è meglio che sia lui a dirtelo, se e quando lo vorrà. Anche la questione della Triade, è meglio che la affronti con lui. >>

La ragazza annuì, guardando pensierosa i capelli spettinati di Wantz, neri come la pece, creare un netto contrasto con il cuscino bianco. << Vorrei soltanto capire... Perché ha sempre quell’aria tesa, come se in ogni momento la sua mente fosse rivolta altrove. >>

Marhalt non rispose subito. << Si è imposto la mestizia. >>

<< Lo sospetto anch’io, ma per quale motivo? >>

Il ragazzone si passò una mano sul collo, riflettendo. << Credo che lo faccia per punirsi. Di cosa, però, non saprei proprio dirlo. >>

 

 

La prima volta che riprese i sensi doveva essere ora di pranzo. Lo capì perché Marhalt stava discutendo con Jillian: diceva che non era necessario sorvegliarlo per tutto il tempo, tanto non sarebbe scappato, e in ogni caso doveva mangiare qualcosa, anche se aveva lo stomaco chiuso. Ascoltò ad occhi chiusi il breve scambio di frasi, in quel piacevole stato di dormiveglia, troppo intontito per poter anche solo cambiare posizione. L’ultima cosa che sentì prima di riaddormentarsi, fu Jillian che chiudeva la porta per scendere in cucina a pranzare.

 

 

Ormai era sera, ma Wantz non accennava a svegliarsi. Non si era mosso nemmeno di un millimetro, restando coricato a pancia in giù, le braccia incrociate sul petto, per tutte quelle ore. Marhalt diceva che era normale, perché era ancora in “fase di recupero”. Lei aveva mangiato (sotto ordine di Marhalt), aiutato Iwen con i suoi esercizi e pulito un po’ la casa (lo spilungone aveva indubbie doti da massaia, ma una donna resta sempre la più adatta per quel genere di lavori), tuttavia la maggior parte della giornata l’aveva passata su quella sedia, in attesa di un segno di vita da parte del ragazzo. Era sua intenzione seppellirlo di domande non appena avesse aperto gli occhi.

E poi non poteva certo sprecare quell’occasione di vedere Wantz dormire con un’espressione così angelica in volto.

 

 

La seconda volta ci mise un po’ a ricordare cos’era successo e dove si trovava. Poi sentì la civetta che, da quando lui aveva memoria, veniva tutte le notti a posarsi su nocciolo vicino al magazzino, una vera habitué di quella zona insomma, e decretò che doveva essere ormai sera inoltrata.

Schiuse gli occhi, il minimo sufficiente a fargli vedere se c’era qualcuno nella stanza: Jillian sedeva alla sua scrivania, ed era intenta in quella che sembrava una complicata operazione di rattoppo della manica di una maglia, alla fioca luce di due candele.

Che modo stupido di rovinarsi la vista.

Lui almeno se la rovinava leggendo libri.

Mentre scivolava di nuovo nel regno di Morfeo, si sentì molto stupido: la vicinanza con quella piaga lo stava avvelenando, non c’erano dubbi.

 

 

Quando ebbe messo l’ultima toppa (la quarta) su una maglia di Iwen, stupita che un ragazzino potesse essere così distruttivo nei confronti dei propri vestiti, dette un’ultima occhiata a Wantz e, ormai certa che il suo riposo era tranquillo e non tempestato di incubi (come aveva notato succedergli quando era particolarmente stanco o stressato), prese ago, filo ed i vestiti rammendati e uscì dalla stanza del ragazzo per andare a dormire. Nelle due ore precedenti, Wantz si era rigirato nel sonno, il che significava che aveva finito di curare le lesioni riportate nello scontro e che ora stava semplicemente dormendo. La cosa sollevò Jillian dall’irrazionale timore che il mago non riuscisse a termine il processo di guarigione, non potendo quindi uscire da quella specie di coma, imprigionato in uno stato tra il sonno e la morte.

 

 

Aprì gli occhi, infine completamente lucido. Fuori dalla finestra (una delle poche ad avere il vetro) il cielo andava schiarendosi: tenendo conto della stagione, dovevano essere circa le sette. Rimase sdraiato, godendosi il tepore delle coperte e la piacevole sensazione che si provava a giacere su un letto, in netto contrasto con le dormite inquiete all’addiaccio seduto contro alberi, o al massimo sdraiato per terra, e quindi ugualmente scomodo.

Nonostante tutto quello che era successo il giorno prima, aveva la testa sgombra da qualsiasi tipo di pensiero, cosa assai insolita per lui. Purtroppo non durò a lungo: ricordatosi perché era nel suo letto, nella sua camera, gli venne di conseguenza in mente perché si trovava lì.

Come anche l’anno precedente, il maestro non si era fatto vivo in quei giorni. Anche se, ad essere precisi, l’espressione “fatto vivo” era inappropriata. Del resto non c’era da stupirsi: Wantz riteneva che, al suo posto, anche lui avrebbe evitato volentieri di vedere la propria tomba. Ed era sicuro che, se pure fosse stato lui a cercarlo, andando a scavare nella sua testa alla ricerca di quella specie di limbo bianco, non sarebbe riuscito a trovarlo.

Rifletté ancora una volta su quanto fosse inverosimile quella faccenda.

Quando Jillian lo aveva raggiunto alla quercia, era rimasto zitto perché non sapeva come comportarsi con lei. Di certo la ragazza credeva che fosse contrito nel ricordo del suo defunto maestro.

Come? Come avrebbe potuto dirle che non era così? Che era anzi molto peggio?

Interruppe bruscamente la sua riflessione sentendo che qualcuno aveva aperto la porta.

Marhalt entrò con passo felpato nella stanza, pensando che il ragazzo dormisse ancora. Quando incrociò il suo sguardo, sorrise.

<< Buon giorno. Dormito bene? >>, lo salutò.

<< Dormito troppo, vorrai dire >>, corresse prontamente Wantz, drizzandosi a sedere.

<< Tranquillo, ce la siamo cavata egregiamente anche senza di te. >>

Il mago sbadigliò, mugolando un dubbioso “Sarà...”

Marhalt sedette sulla sedia accanto al letto e proseguì. << Avresti dovuto vedere Jillian che aiutava Iwen con le traduzioni di latino: non ho mai visto quella peste così concentrata. >>

<< Dubito che succederà ancora, quindi spero che ti sia impresso ben bene la scena nella memoria. >>

<< Puoi scommetterci >>, assicurò lo spilungone. << Cercala, ne vale la pena. >>

Wantz si concentrò sui pensieri dell’amico: questi ripensò intensamente al momento che interessava loro e lo focalizzò meglio che poté. Wantz acchiappò facilmente il ricordo e dopo un breve esame ridacchiò sardonico.

<< Iwen, chino sul foglio, che preferisce dedicarsi alla questione dell’immortalità dell’anima piuttosto che guardare in faccia Jillian e arrossire come un peperone, con annesso balbettio di frasi sconnesse? >>, esclamò divertito il mago. << Questo gli varrà una presa in giro a vita. >>

Marhalt rise, sollevato di vedere che si era completamente ripreso, anche dal punto di vista emotivo; sembrava non esserci più alcuna traccia in lui dell’inquietudine in cui era caduto a causa delle parole di Caradoc e Urien. Si maledisse, conscio che la sua prossima domanda avrebbe guastato il buon umore del ragazzo, ma doveva approfittare del fatto che erano soli.

<< Wantz, devo chiederti una cosa >>, esordì cauto, fissando con gravità il mago attraverso l’occhio socchiuso.

<< Dimmi. >>

<< Dopo averti portato in camera, ho mandato Iwen e Jillian a prendere dell’acqua per ripulirti il sangue dalla faccia e disinfettare alla meglio il labbro che Urien ti aveva spaccato. Mentre loro erano di sotto, ti ho tolto la maglia sporca di sangue e terra e te ne ho messa una pulita. >>

Marhalt si era interrotto, e del resto non c’era motivo che proseguisse: Wantz sapeva perfettamente dove voleva andare a parare, lo aveva capito subito.

<< Che cos’è quella roba che hai sul torace? >> Il mago taceva, lo sguardo rivolto alla finestra, apparentemente intento nella contemplazione della paesaggio. << Sembra... Sembra il risultato di una maledizione. >>

Il ragazzo inclinò la testa di lato, in atteggiamento riflessivo. << Sì e no. >>

<< In che senso “sì e no”? >>, chiese, alzando perplesso un sopracciglio.

<< Beh, una maledizione generalmente è lanciata a qualcun altro, non a se stessi: in questo caso è improprio chiamarla così perché me la sono procurata da solo, anche se devo ammettere che, visti i disagi e le scocciature che crea, potrebbe concorrere ad armi pari con la miglior maledizione >>, spiegò Wantz. << Diciamo che è il risultato di un mio ennesimo pasticcio. >>

<< Centra con quello che diceva ieri Caradoc? >>

<< Sì e no >>, ripeté, frustrato di non potergli dire la verità. << Anche, ma non solo. Non posso ancora parlartene. Non prima di aver risolto questa grana. >>

Marhalt sorrise. << Non importa. Ricordati solo che se hai bisogno di aiuto, io ci sono. >>

<< Mi dispiace, Marhalt, davvero >>, disse il mago con tono accorato. << Ti giuro che vorrei raccontarti tutto. >>

<< Non ti preoccupare. Ho fiducia in te, lo sai. Solo... >> Guardò negli occhi il suo avventato e testardo amico. << Cerca di non esagerare, d’accordo? >>

Wantz annuì, il sorriso scanzonato sulle labbra. << Vedrò cosa possa fare. >>

<< E soprattutto, cerca di evitare di correre rischi inutili, adesso che... >>

<< ... adesso che non sono più solo, giusto? >>, terminò lui.

Lo spilungone annuì. << Perdonami se sono noioso, ma conosciamo le tue tendenze autodistruttive. Uh, a proposito! >>, esclamò, alzandosi. << Devo andare a preparare la colazione. >>

Wantz strabuzzò gli occhi. << A proposito di che? Che centra la colazione con le tendenze autodistruttive? >>

<< Centra eccome: hai presente cos’è successo l’ultima volta che Iwen ha provato a cucinare? >>

Wantz ebbe la fugace visione di una poltiglia informe, di un color muffa molto poco allettante, che aveva un odore atroce di pece e cavoli. Ricordava chiaramente che quella roba aveva “accidentalmente” fatto venire la dissenteria al Gufo, scelto da Wantz come cavia inconsapevole per quella sbobba immonda.

<< Perché non chiedi allo “spirito femminile” di dargli lezioni culinarie? >>, suggerì, non senza una punta di sarcasmo.

Marhalt ignorò la sua proposta con una risata e uscì dalla camera, chiudendosi la porta dietro.

Ho fiducia in te , gli aveva detto. E Wantz lo sapeva. Oh, lo sapeva fin troppo bene. Era anche per questo che si sentiva ancora più un mostro.

“Che cosa diresti?”, pensò. “Che cosa diresti, Marhalt, se te lo dicessi?”

Non sapeva che cosa avrebbe detto precisamente, ma sapeva quale sarebbe stata la sua reazione. Non si sarebbe arrabbiato. Non gli avrebbe dato dell’idiota. Sarebbe stato deluso di lui.

Il che era dannatamente peggio.

 

 

“Se sei arrivato a leggere fino a questo punto, molto probabilmente avrai già trovato gran parte della Profezia. Vuoi ancora chiamarla così?

Non stupirti di questo brusco cambio di registro. Non sono uno dei Tre Savi.

Ci sono molte cose da dire ancora. Potresti anche dimenticarti di quanto letto fin ora. Potrei anche dirti che tutto quanto fatto finora è stato inutile. Che tanto finirà per forza così. Non c'è Profezia che possa cambiare le cose.

Finirà tutto con la morte.”

 

 

Marhalt posò la patata perfettamente sbucciata insieme alle sue compari. Appoggiò il coltello sul tavolo e si pulì le mani nello straccio che si era legato in vita. Seduto davanti a lui, Iwen sbocconcellava distrattamente un tozzo di pane secco, lavorandoselo con lentezza e precisione, lo sguardo vacuo, perso nei suoi pensieri. Vederlo così concentrato era sempre un piacere.

<< Cosa stai elucubrando? >>, gli chiese, sbirciandolo benevolo attraverso una fessura dell'occhio.

Il ragazzino non rispose subito. Prese tempo, ammorbidendo un pezzo di crosta con la saliva. << A ieri >>, rispose, dopo aver deglutito.

<< In effetti c'è materiale per giornate intere di lambiccamenti >>, ammise lo spilungone.

Iwen si rigirò il pezzo di pane tra le dita, contrito. << Una cosa in particolare mi preoccupa. >>

Marhalt aspettò che continuasse. << Sarebbe? >>, lo incoraggiò, dato che l'altro non accennava a voler proseguire.

Il ragazzino chiuse il pugno e lo riaprì, trovando la mollica intatta nonostante la pressione esercitata. << Forse sbaglio, ma... Ho l'impressione che quelli fossero venuti per Jillian. >>

<< Forse. Non possiamo escludere nulla, dal momento che anche lei fa parte della profezia. >>

<< Sì però... >> Iwen alzò lo sguardo, dirigendolo alla finestra: la quercia si riusciva a scorgere nonostante la lontananza, imponente, minacciosa, ma allo stesso tempo familiare e rassicurante. << Mi chiedo quale ruolo le sia toccato. >>

 

 

“Il punto è... Sarà la tua... o la sua?”

 

 

Era da un po' che indugiava davanti alla porta. Un paio di minuti, non di più. Stava ripensando alle brevi parole che aveva scambiato con Marhalt la sera prima, quando lo spilungone l'aveva obbligata a cenare.

<< L'episodio di ieri mi ha fatto capire una cosa. >>

<< Sarebbe? >>

<< Che Wantz non è invincibile. Per questo, che gli piaccia o no, io lo aiuterò. >>

Quando la porta si spalancò all'improvviso sobbalzò, ritrovandosi di fronte il volto imbronciato che ormai le stava diventando insolitamente familiare.

<< Entri o hai bisogno di un permesso ufficiale? >>

Jillian sogghignò, mentre nella sua mente galleggiava la voce pacata di Marhalt che la metteva in guardia con un sospiro rassegnato.

<< D' accordo, ma spero che tu ti renda conto di quello che ti aspetta. Wantz non è una persona facile. >>

 

 

Lucan gettò malamente da parte il volume, non potendo nascondere a se stesso la delusione per quell'ennesimo buco nell'acqua. Ovviamente non poteva definire quelle ricerche una perdita di tempo, ma il fatto che i risultati fossero pressoché inesistenti ogni tanto lo portava a chiedersi se ne valesse davvero la pena. Nella miserevole condizione in cui si trovavano, nessuno aveva risposte certe. Nessuno. Era impossibile stabilire che cosa fosse utile e cosa no. Il piano più accorto poteva rivelarsi non solo fallimentare, ma addirittura controproducente, mentre un gesto casuale o istintivo poteva fare la differenza. Nessuna guida da seguire, nessun obbiettivo, anche transitorio, da raggiungere. Solo la certezza di ciò che si vuole evitare. Ripensò con un sorriso a colui che aveva definito questo loro macabro destino “una presa per i fondelli bella e buona”. A pensarci bene, forse aveva proprio ragione lui: era inutile affannarsi inutilmente, visto che tanto le loro azioni erano già state pianificate un secolo prima e che tutto, alla fine, sarebbe andato come doveva andare, perché era tutto già stato scritto.

Una figura mi materializzò dall'altra parte del tavolo, piegata in due per l'affanno e col fiatone.

<< Che diavolo ci fai qui, Agravaine? >>, sbottò Lucan, accalorato, ma riconquistando immediatamente il contegno che il suo ruolo imponeva. << Mi sembrava di averti detto di non farti vedere se non a operazione conclusa. >>

<< Oh, per quel che vale >>, borbottò il rosso con una smorfia, cercando di riprendere un ritmo del respiro regolare, riempiendosi i polmoni dell'aria stantia e umidiccia della baita. << Una buona percentuale di tutto quello che facciamo non serve a niente. >>

<< Sminuire il nostro operato non servirà a renderci più utili >>, sentenziò il vecchio, parlando anche e soprattutto a se stesso.

Il ragazzo si terse il sudore dalla fronte. << Finiscila di borbottare. 'Stavolta ho qualcosa di interessante. >>

Lucan si passò stancamente una mano sugli occhi, stropicciandosi la pelle rugosa e segnata dagli anni. << Lo spero proprio, altrimenti ti assegno agli approvvigionamenti. >>

Agravaine sbatté la mano sul tavolo, fissando l'anziano compagno con un misto di sfida e di orgoglio. Un pezzo di pergamena ingiallito faceva capolino attraverso le sue dita.

<< Ho un pezzo della profezia >>, annunciò.

 

 

<< Da quant' è che sei sveglio? >>, chiese Jillian, dando le spalle al ragazzo per permettergli di cambiarsi.

Wantz si infilò la maglia, calandosela addosso senza la minima grazia e spettinandosi irrimediabilmente. << Non da molto. Giusto il tempo di sentire mamma Marhalt che ha spedito il giovanotto di casa al mercato. >>

La ragazza sentì il mago buttarsi sul letto e si voltò, ormai sicura che avesse finito di vestirsi. Lo raggiunse e si sedette sul bordo del letto. << Come... ti senti? >>, domandò, esitante.

<< Benone >>, rispose lui, guardando fuori dalla finestra. << Ho fatto una dormita... >>

<< Trentasei ore filate >>, puntualizzò lei. << Insomma, eri distrutto. Dovresti avere un po' più cura di te. >>

Il mago si finse offeso. << E' questo di modo di parlare a chi ha valorosamente affrontato i cattivi? >>

<< Dico sul serio, Wantz >>, insistette la ladruncola. << Non strafare. Ti sei appena svegliato e invece di andare a mangiare hai rimesso a posto l'albero che quel pazzo aveva fatto a pezzi. >>

Il ragazzo fece un sorrisetto canzonatorio, osservando un corvo appollaiato su un nocciolo spiccare il volo. << Non ti sfugge niente, eh? >> Tacque un attimo, seguendo con lo sguardo l'uccello nero come la notte finché non divenne un puntino indistinto. << Ti rigiro il consiglio, comunque. Preoccuparsi per gli altri è lodevole, ma bisognerebbe prima pensare a se stessi. >>

Jillian inclinò il capo e abbozzò un sorriso. << Stai per lanciarti in una spiegazione? Allora aspetta che mi metta comoda, voglio godermela appieno. >>

Wantz sospirò. << Poi sono io quello poco serio? >>

<< Scusa, scusa. E' solo che ti sono tornati sulla fronte quei solchi, quelli che sono notoriamente tracciati dal demone della preoccupazione e di cui tu sei sempre ricco. >>

Il ragazzo piegò le labbra in un sorriso triste, altra cosa che Jillian non apprezzò. << Non so come scusarmi. Purtroppo sembra che abbiamo qualche problema. >>

<< Vuoi dire piuttosto... Che io ho un problema? >>, chiese in un sussurro.

Il mago non capì se il cambiamento di tono della ragazza era dovuto a paura o apprensione, ma decise prudentemente di presentarla diversamente. << Abbiamo tutti dei problemi. Il genere umano è già abbastanza incasinato di suo, ma bisogna ammettere che noi brilliamo per sfortuna. >>

Si girò verso di lei, senza scorgere nulla sul suo volto che facesse capire cosa stesse pensando: lo fissava, in attesa. Wantz si appoggiò alla testiera del letto, volgendo ora lo sguardo al soffitto della stanza.

<< Immagino che ormai anche tu te ne sia accorta. Ho sbagliato a non parlartene prima io stesso: era già da un pezzo che avevo sospetti a riguardo. >>

<< Ma riguardo cosa, esattamente? >>, lo interruppe lei. << Voglio dire, è evidente che l'Oscuro nutre un interesse nei miei confronti, ma non capisco di che natura. >>

<< Detto così sembra che voglia chiedere la tu mano, e ho motivi abbastanza validi da poter asserire  che è improbabile. >>

Jillian roteò gli occhi, inveendo mentalmente contro la stupidità maschile. << Va bene, Wantz: non ho paura, d'accordo? Ti sembro agitata? Voglio solo che tu mi dica che cosa ne pensi. >>

No, non sembrava spaventata per niente. Era come se, semplicemente, avesse accetto la cosa come una naturale conseguenza del fatto che lei faceva parte della Profezia. Wantz non sapeva se ritenerla molto coraggiosa o molto stupida.

<< In verità non so nulla di certo. Posso solo fare delle ipotesi >>, disse

<< Ebbene, sentiamo >>, lo invitò lei con un gesto della braccio.

Wantz prima inarcò le sopracciglia con fare evidentemente rassegnato, poi si raddrizzò e si schiarì la voce, fingendo si darsi un contegno. << Mia cara, ho ragione di pensare che i suoi desideri più segreti , cui credevate di aver già dato realizzazione adeguata, potrebbero ricevere un trattamento migliore. >>

La ragazza sbatté le palpebre. << Che stai blaterando? >>

<< Oh, insomma >>, sbuffò lui. << Sto diventando infantile come te. Guarda cosa mi sono ridotto a fare solo per non darti una soddisfazione. >>

Lei rimase un attimo interdetta, poi ebbe una folgorazione. << Ah! Ora ho capito. Stai finalmente ufficializzando il fatto che faccio davvero parte della Profezia, e anzi con un ruolo maggiore di quello che sospettavi. E non potevi dirlo chiaramente? >>

 Il mago si fece serio, anche se la sua espressione tradiva un certo dispetto. << Vorrei che prendessi la cosa più seriamente. Hai idea di cosa questo significhi? >>

<< Come puoi dubitarne? >>, chiese lei, costringendolo col trasporto nella sua voce a guardarla negli occhi. << Dopo averne passate così tante in così poco tempo con te, dopo aver visto che metti tutto te stesso in quello che fai e i rischi che corri, dopo aver visto che hai rinunciato a ciò cui tieni di più per portare avanti un compito così gravoso, credi ancora che il mio sia semplicemente il capriccio di una ragazzina che vuole entrare nelle leggende e nei racconti dei bradi? Credi sul serio che io possa essere così infantile anche dopo aver avuto due membri della Triade davanti, uno dei quali ha sostato a meno di venti centimetri da me e ha pure cercato di accarezzarmi? >> L'ultima frase fu accompagnata da una smorfia disgustata.

Il ragazzo la fissò con gli occhi a mezz'asta, il volto rilassato nella sua tipica aria inespressiva che adottava ogni volta che non voleva lasciar trapelare ciò che pensava. << In verità, non so davvero cosa pensare. Spiegamelo tu. Perché lo fai? >>

Jillian non poté fare a meno di cogliere l'occasione per prenderlo un po' in giro. << Se ti dicessi... Perché voglio aiutarti? >>

<< Mi verrebbe da risponderti che sei molto sciocca, ma mi spiacerebbe dovere la mia gratitudine ad una stupida. >>

Jillian sorrise di quel complicato giro di parole, ma apprezzò lo sforzo del ragazzo. << E la sciocca risponderebbe che è onorata di poterti offrire i suoi servigi, per quanto miseri essi siano. >>

Wantz so lasciò andare ad un profondo sospiro. << Comunque, credo che dovremo darci da fare e scoprire che cosa vuole da te l'Oscuro. Attualmente, l'unica cosa abbastanza sensata a cui sono arrivato riguarda il modo in cui hai trovato il tuo primo frammento. >>

<< In che senso? >>

<< Solitamente i vari pezzi della Profezia vengo trovati per puro caso, oppure si rubano a chi li ha trovati prima di noi. Nel tuo caso, però, da come me l'hai raccontata, sembrava quasi che il frammento si fosse materializzato in quel preciso istante apposta per essere trovato da te. >>

<< Ad essere sincera non credo sia andata così >>, obbiettò Jillian. << Il frammento era all'interno di un libro: vero è che non possiamo sapere come avesse fatto a finire lì, ma credo che si trovasse dentro quel volume già da prima. >>

<< E come spieghi il fatto che nessuno lo abbia mai trovato prima di te? >>

La ragazza inarcò un sopracciglio. << Era un testo arabo, Wantz. Nemmeno Lady Margareth conosce quella lingua. Dubito fortemente che venisse consultato di frequente. >>

Wantz sfoderò un sorrisetto malizioso e supponente. << E chi ti dice che lei sapesse di averlo? >>

<< Oh, insomma, è assurdo >>, esclamò la ladruncola. << E, sentiamo, chi lo avrebbe messo lì apposta per me? >>

<< Perché ti sembra così assurdo. Stiamo parlando della celebratissima Profezia dei Tre Savi, no? >>

Jillian meditò su quanto il ragazzo stava sostenendo. << Quindi secondo te l'ho trovato perché qualcuno ha voluto che io lo trovassi? >>

Il mago ammiccò. << Sei una “prescelta”, no? >>

<< Mi arrendo. Del resto, non ho la pretesa di capire i meccanismi di un disegno secolare della portata di una profezia come questa. >> Esitò un attimo, prima di proseguire. << Tu quando sei venuto a sapere di farne parte? >>

Wantz scosse la testa, chiudendo gli occhi. << Oggi si parla di te, non di me. >>

<< Va bene >>, acconsentì lei. << Allora, pensi che l'Oscuro mi voglia per la mia presunta capacità di attirare i frammenti? >>

<< L'idea era quella. Ad ogni modo, non è che il tuo sia un effetto “calamita”, quello vale solo per le seccature >>, precisò, continuando a parlare per non darle la possibilità di ribattere. << E' chiaro che ci sono altri che possiedono dei frammenti: uno di questi, anche se non capisco perché, vuole cederti i suoi. >>

<< Mi domandò anche io perché >>, rifletté Jillian. << Se è riuscito ad introdursi nel castello di Lady Margareth senza venire scoperto, molto probabilmente si tratta di un mago, o comunque non di un individuo qualunque. Quindi, se lui è dotato di capacità notevolmente maggiori delle mie, perché vuole che sia io a tenere i frammenti? >>

<< Questa è una bella domanda >>, concordò Wantz. << Non regge neanche l'ipotesi che voglia darteli perché viaggi con me, dato che allora non ci conoscevamo ancora. >>

Jillian lo guardò storto. << Deluso di non essere sempre tu il personaggio principale? >>

<< A parte che non è il ruolo che mi compete >>, replicò lui con un ghigno. << Non esiterei un solo istante a fare cambio. >>

La ragazza decise di sorvolare. << Eppure, a ben pensarci... E se lui, o lei, non mi sento di escludere a priori l'ipotesi che sia una donna... >> Wantz evitò di esprimere ad alta voce il suo pensiero riguardo quella possibilità. << Forse era già a conoscenza del fatto che io e te eravamo destinati ad intraprendere insieme questa ricerca. >>

Wantz si portò una mano al mento. << Sì, non è da escludersi. >>

<< Voi maghi potete vedere il futuro? >>

<< Dipende molto dalle capacità dei singoli >>, spiegò il ragazzo. << Non sono in molti a riuscirci, ed i risultati sono spesso incerti e non completamente attendibili, soprattutto se richiedono un'interpretazione. Però può essere successo anche il contrario. >>

La ragazza non capì a cosa si riferisse. << Cioè? >>

<< Forse qualcuno ha visto il passato. >>

<< Perdonami, ma non capisco. Come può aver visto nel passato il nostro incontro, se non era ancora avvenuto? >>

Il ragazzo scosse il capo. << Non mi riferivo a quello. Chi ci assicura che è impossibile che qualcuno abbia assistito alla stesura della profezia? >>

<< Parli di una visione? Di un sogno ambientato nel passato o qualcosa del genere? >>

<< Precisamente >>, confermò lui, volgendo lo sguardo alla finestra. << Avere contatti con il passato spesso è più facile di quanto si possa immaginare. >>

Jillian parve sorpresa da quella affermazione. << Davvero? >>

Wantz li lasciò sfuggire una risata. << Non ti sei mai chiesta dove tengo tutti i frammenti che ho trovato? >>

<< Nella sacca delle meraviglie, no? >>

Il ragazzo la fissò con tanto d'occhi. << La cosa? >>

Jillian si diede una pacca sulla fronte, rammaricandosi per quell'uscita facilmente evitabile. << Ehm, ecco... E' così che chiamo tra me e me la tua tracolla >>, spiegò. << Ti ho visto cavarne fuori di tutto e di più, quindi... >>

Wantz sghignazzò. << Controlla di persona, allora >>, la invitò, indicando un la mano la suddetta sacca, appesa allo schienale della sedia dello scrittoio sbilenco addossato alla parete di destra.

La ragazza si alzò, la prese e tornò di fianco al ragazzo. Una volta apertala, al suo interno trovò solo una quantità notevole di sacchette contenenti erbe medicinali.

<< Questa poi... >>, bisbigliò, stupita. << Sono sicura di averti visto tirare fuori di qui carta ed inchiostro, pagnotte e anche della frutta. >>

<< Il semplice fatto che tu non li veda non significa che non ci siano >>, asserì lui, criptico.

Jillian lo fulminò con lo sguardo. << Mi stai dando della ritardata? >>

Wantz le prese di mano la borsa e iniziò a cercare qualcosa. Alla fine della breve ricerca, ne estrasse un pezzo di pergamena. Glielo porse, e lei ci rimase di sasso. Era il frammento in cui venivano citati “il mago e la ladra”.

<< D'accordo, stupiscimi >>, disse, non appena si riprese dalla sorpresa. << Che cos'è che mi sfugge? >>

<< Questa sacca è direttamente collegata con la se stessa del passato. >>

<< Oddio >>, biascicò Jillian, passandosi una mano tra i capelli. << Mi stai dicendo che puoi decidere se lasciare che cose in questa borsa o in quella di chissà quanti anni prima? >>

Wantz ghignò. << Qualcosa del genere, sì. Tutti i miei frammenti in questo momento si trovano esattamente cinquant'anni prima di noi. >>

Jillian si prese un po' di tempo per assimilare quanto appena appreso. << E' assurdo... Quindi in questo momento ci sono due copie degli stessi frammenti nel passato e nessuna qui. >>

<< Un ottimo modo per non farsi derubare, non trovi? >>, la punzecchiò.

<< Ma non potrebbero essere trovati da qualcuno... lì dove sono adesso? >>

Il mago richiese la borsa e la buttò al fondo del letto. << Questo è escluso. Faccio le cose per bene, io. >>

<< E insieme ai frammenti hai anche delle scorte di cibo? >>

<< Per ogni necessitò, non si sa mai >>, confermò lui.

Jillian si sentiva la testa pesante. << Ma, riportandoli qui, non dovrebbero essersi... seccati, o marciti? Lo sbalzo temporale non incide... >>

<< Ferma, basta >>, la interruppe lui. << Non è di questo che volevo parlare. Era solo per farti capire che i collegamenti con estensioni diverse del tempo sono perfettamente possibili. >>

La ragazza posò le mani sul lenzuolo, lisciandolo distrattamente. << Sì, meglio che lasci perdere. Temo che questo genere di cose mi sia precluso. >>

<< Che cosa deduciamo da quanto appena detto? >>

Lei non ci pensò nemmeno un attimo. << Che la ladra è una povera ignorante e il mago si diverte a tormentarla? >>

<< Anche >>, ridacchiò lui.

<< Aspetta, c'è una cosa che non capisco >>, disse Jillian. << Va bene questi contatti “indiretti” con il passato, ma... E' possibile viaggiare nel tempo? Se sì, si spiegherebbe... >>

Il ragazzo non la lasciò neppure finire. << Per quanto ne so, è una pratica talmente rischiosa che è stata proibita. Solo pochi stregoni sovversivi ardiscono di violare le regole in merito. >>

Jillian annuì. << Capisco. In effetti avrei dovuto immaginare che non è concesso: comporterebbe la possibilità di modificare tranquillamente il corso degli eventi. >>

<< Non solo. E' proprio complicato come pratica magica. Il rischio di restare intrappolati in un'altra epoca è altissimo. Inoltre... >>, proseguì con gravità << Ci sono validi motivi di supporre che esista anche il rischio di finire in mondi paralleli. >>

La ladruncola strabuzzò gli occhi. << Cosa? >>

Wantz scosse il capo, sventolando una mano davanti al volto. << Lasciamo perdere, non è cosa che ci riguardi. Piuttosto, c'è ancora un elemento fondamentale di cui dobbiamo tener conto. >>

<< Sarebbe? >>, chiese lei, lanciando un'occhiata dubbiosa al mago.

<< La presenza che l'Oscuro ti aveva ficcato in testa. >>

Jillian ci pensò su prima di rispondere. << Tenendo conto del fatto che quella “cosa” ha tentato in tutti i modi di guadagnarsi la mia fiducia, penso che forse la questione non comporta solo la mia presenza fisica: se anche fosse riuscito a rapirmi, dubito che il misterioso donatore di frammenti me ne avrebbe fatti avere altri, perché sarebbero di conseguenza finiti nelle mani dell'Oscuro. >>

<< Non fa una piega >>, concesse Wantz. << Ma tu dai per scontato che Lui sappia tutto. E se invece non sapesse che pesci pigliare, esattamente come noi? >>

<< Quindi non escludi neppure la possibilità che il dispensatore di frammenti stia dalla sua parte? >>

Il ragazzo sospirò. << Mica ho detto per niente che posso fare solo ipotesi. >>

<< La prossima volta che quei due della Triade si fanno vivi dobbiamo strappare loro qualche informazione >>, esclamò con insolito vigore.

Wantz la guardò storto. << Innanzitutto spero di non avere a che fare con loro per mooooolto tempo >>, disse, suscitando una risatina nella ragazza. << E in secondo luogo, forse non ci hai fatto caso, ma Caradoc stesso ha detto di non sapere nulla a riguardo. >>

Jillian fece un cenno di diniego. << Sei tu che ricordi male. Il biondo, come hai detto che si chiama... Caradoc... Ha detto di non sapere perché l'Oscuro ti permette di vivere nonostante tu sia evidentemente di intralcio ai suoi scopi. Per quanto riguarda me... Siete stati abbastanza sibillini tutti e due. >>

Il ragazzo si grattò il mento. << In verità ho mantenuto un atteggiamento ambiguo proprio nel tentativo di non far capir loro che brancoliamo nel buio. >>

<< Con risultati discutibili >>, lo canzonò Jillian.

Lui ignorò diplomaticamente quella provocazione. << Comunque sia, credo che neppure loro due siano al corrente di tutto quello che passa per la testa del loro signore. >>

<< Ciò significa che neppure torturandoli otterremmo qualcosa. >>

<< Se non una discreta soddisfazione personale >>, precisò Wantz.

<< Per il resto dobbiamo arrangiarci da soli. >>

<< Come abbiamo sempre fatto, no? Direi che le nostre vicissitudini personali ci hanno reso abbastanza indipendenti. >>

La ladra annuì. << Anche se questo a volte porta parecchie seccature, non ti pare? >>

<< E ti chi è la colpa, secondo te? >>, soffiò lui, seccato.

Lei si lasciò andare ad una risata, cui il mago oppose un fiero cipiglio indispettito. Restarono in silenzio per alcuni minuti, entrambi intenti a riflettere su quanto detto nel corso della conversazione.

<< Wantz? >>

<< Sì? >>

Jillian si voltò per guardarlo in faccia, incontrando il suo sguardo: lo fissò negli occhi come se volesse trovarvi la risposta alla domanda che non osava porre, ma ottenne soltanto un sorrisetto che la incoraggiava a parlare. Tuttavia, non riusciva a chiedergli spiegazioni sullo scambio di battute che  aveva avuto con l'altro generale dell'esercito dell'Oscuro, Urien. Soprattutto, non osava esporgli le sue perplessità riguardo al fenomeno “occhi rossi”, e tanto meno chiedergli se, come sospettava, anche lui...

<< Ascolta >>, disse a sorpresa il ragazzo, vedendo che lei non si decideva a parlare. << Non sono abituato ad interferire nelle vite degli altri, forse per il fatto che sono sempre troppo orgoglioso per chiedere aiuto e per la mia tendenza a sbrigarmela da solo, ma... >> Si interruppe, il viso un po' arrossato, cercando le parole giuste per proseguire. << I tuoi problemi, se lo vuoi, sono anche problemi miei. >>

Jillian si sporse verso di lui e gli passò una mano tra i capelli. Il ragazzo trasalì, un po' perché preso alla sprovvista e un po' per il fatto che non era abituato al contatto fisico con gli altri senza che questo prevedesse una dose variabile di dolore. Lei continuò a sistemargli i capelli, cercando di ridare a quella matassa informe un aspetto presentabile.

<< Fai tanto il duro, ma sei un bambino che non si sa neanche pettinare >>, rise.

Wantz fece una smorfia, scostandole la mano. << Allora, visto che ti trovi così a tuo agio nelle vesti di balia, che ne diresti di andare ad aiutare Marhalt a preparare pranzo? >>

Jillian si esibì in una perfetta imitazione del ghigno beffardo del mago. << E' una domanda? O una sfida? >>

<< Una supplica >>, rispose. << Sono pur sempre trentasei ore che non mangio. >>

<< D'accordo >>, acconsentì lei, alzandosi. << Andiamo a sollecitare Marhalt. >>

<< Faccio il letto e ti raggiungo >>

Jillian si avviò verso la porta. Aveva già schiuso l'uscio, quando si voltò di nuovo verso il ragazzo.

<< Mi dispiace >>, disse, sentendo che non c'era bisogno che specificasse a cosa si stesse riferendo.

<< No >>, ribatté lui massaggiandosi le tempie. Sentiva che stava per venirgli uno dei suoi soliti mal di testa. Certe volte incombevano su di lui come un minaccioso bastione di nubi temporalesche in un afoso pomeriggio estivo e poi se ne andava... per andare a scagliare fulmini e saette da qualche altra parte.  << Sono io a dispiacermi. Sono stati giorni difficili. >>

La ragazza soffermò il suo sguardo sull'espressione sofferente del mago. << Sicuro che vada tutto bene? >>

Wantz sospirò affranto. << Ti ho già detto di sì. Ho solo un po' di mal di testa post incantesimi; è abbastanza normale, soprattutto dopo un lungo processo di guarigione. Non stare sempre in apprensione: sicuramente ci succederanno tanti di quei guai nel corso della nostra missione che se ti fai tanti problemi anche per cose da poco finirai col danneggiarti da sola. E' solo uno spreco inutile di tempo e di energie. >>

Jillian evitò di fargli notare che cose che per lui erano “da poco” per lei non lo erano affatto. << Hai ragione >> annuì semplicemente. << Piangere un malanno passato e finito, è il primo passo per tirarsene addosso uno nuovo. >>

Il ragazzo accennò un sorrisetto. << Non posso che concordare. >>

 

 

Lucan non riusciva a staccare gli occhi dal frammento, quasi sperasse che con la sola volontà sarebbe riuscito a far apparire il seguito, o a capirci qualcosa.

<< Che... Che significa? >>, mormorò, senza neppure tentare di nascondere il suo sconcerto.

<< Non lo so, ma una cosa è certa. >>

Il rosso si era pentito di aver mostrato tanto entusiasmo nonostante si fosse rese conto anche lui dell'entità di ciò che era scritto sul frammento. Tuttavia, era anche vero che c'era un aspetto positivo: l'Oscuro non sarebbe mai entrato in possesso di quella parte fondamentale della verità. Sarebbe morto, avrebbe anche venduto l'anima al diavolo in persona, pur di non permetterlo. Il cambiamento tanto atteso; una possibilità. Qualcosa, finalmente. Ma non se la sentiva di chiamarla speranza, perché quella che il capo dell'Alleanza fissava con evidente orrore era chiaramente una condanna, anche se loro non potevano sapere per chi.

Trasse un profondo respiro, fissando risoluto il compagno negli occhi.

<< Wantz deve averlo il prima possibile. >>

 

 

“E' assurdo, non ti pare? Tutto questo tempo sprecato, tutte quelle vite spezzate, tutto l'impegno profuso... La frustrazione dovuta al sapere che il tuo destino è già segnato e che ti piaccia o no non puoi fare nulla per cambiarlo... Dover seguire le direttive di tre vetusti santoni che hanno la pretesa di sapere ogni cosa...

Dimenticati tutto.

Se vuoi evitare che succeda, ora devi agire diversamente.

E se ti stai chiedendo se puoi fidarti di me oppure no... Beh, credo che tu non abbia molta scelta.

I Tre Savi non esistono.

E la profezia è solo una presa per i fondelli.”

 

 

Rimasto solo, Wantz lesse per l’ennesima volta quel frammento della profezia, così piccolo ma latore di informazioni così importanti... Lo strinse nel pungo, frenando a stento l’impulso di stracciarlo. Serrandolo così forse da ficcarsi le unghie nella carne fino a farla sanguinare, si portò le mani tra i capelli, in un moto di disperazione.

 

 

 

 

 

 

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