L’ uomo
si girò verso la moglie seduta al suo fianco, e notò le piccole lacrime che
cominciavano a rigare le sue guance rosee e tremanti; stava per circondarle le
spalle con un braccio, ma si trattenne, e spostò lo sguardo verso il campo da
gioco.
“Ti prego, fermalo…”
Sussurrò lei tremante, coprendosi il viso con le
mani per non assistere allo spettacolo che le si parava davanti.
“Non
posso… La decisione spetta a lui e, se vuole andare avanti, non sarò io a
fermarlo…” rispose lui duro, guardando suo figlio scattare in avanti verso il
leader della squadra avversaria; aveva subìto un grave infortunio alla spalla
destra, riusciva a malapena a correre a causa del dolore lancinante che non gli
dava tregua un solo istante e, per quanto il fratello cercasse di aiutarlo, la
sua voglia di dare il massimo non si placava.
“Fallo per lui e per me… Ti prego, digli di
uscire.”
Il marito si volse ancora a guardarla e rimase
paralizzato alla vista della sua donna disperata. Anche lui era in pena per suo
figlio ma non poteva e non voleva intromettersi nelle sue scelte; suo figlio
aveva deciso di giocare nonostante le sue avvertenze e quelle del medico? E
allora non poteva fare altro che stare lì a guardare mentre lui cercava di fare
ilo possibile.
“No.”
La donna si girò a guardarlo con gli occhi
sgranati e trattenne a stento un singhiozzo di disapprovazione; si alzò e gli
volse un ultimo sguardo pieno di rabbia e frustrazione.
“Lui non è te, Tsubasa. Ricordatelo bene.”
E dopo aver detto questo, la sua compagna se ne andò,
lasciandolo rimirare la partita con un sguardo vuoto e pensoso.
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Il ragazzo aprì gli occhi e si guardò intorno
spaesato, notando le pareti bianche di una stanza a lui poco familiare. Provò
ad alzare la testa, ma gli doleva talmente tanto da farlo ricadere lentamente
giù, sul cuscino.
“Ehi, bentornato tra noi!”
Il ragazzo piegò leggermente la testa sulla destra
e notò suo fratello che lo guardavo curioso, seduto su una sedia, e con i
gomiti poggiati sul bordo del letto.
“Daibu…”
“So già cosa vuoi chiedermi… 1. Sei svenuto alla
fine della partita. 2. Sei all’ospedale. 3. Hai una spalla fratturata e quindi
almeno tre mesi di stop. 4. Papà è orgoglioso di noi due e 5… Siamo i campioni
nazionali!!!!! Yoohooo!”
Hayate rise contagiato dall’entusiasmo del
fratello, ma subito si contrasse in una smorfia di dolore dovuta alla spalla ed
alla testa.
“Punto 6. La mamma è furiosa.”
I ragazzi si guardarono seri e poi dissero
all’unisono “Quando si parla di calcio, la mamma è sempre furiosa!”
Scoppiarono a ridere, ricordandosi esperienze
passate della loro mamma che li rincorreva per tutta casa minacciandoli di
fargli sparire il pallone se non la smettevano di pensare solo al calcio.
“Scherzi a parte, Daibu… Sarà arrabbiata sul
serio… Non mi sono mai spinto così in là con il mio fisico, e stavolta ho
proprio esagerato…”
“Falle gli occhietti dolci e dille che non
capiterà mai più!”
Hayate rise all’ingenuità del fratellino minore,
tipica degli 11 anni… Faceva tutto facile lui, anche nelle situazioni più
catastrofiche. E anche quando pensava sul come risolvere delle situazioni
serie, metteva su un piccolo broncio e i suoi occhi fissavano un punto
qualunque, tanto che tutti gli chiedevano “Risolto la situazione?” e lui
rispondeva facendo spallucce ed esclamando “Mica posso fare tutto io!”. Quando
lo faceva durante gli allenamenti, scoppiavano a ridere tutti per ore e addio
flessioni!
Lo aveva fatto entrare in squadra qualche mese
prima, sotto le insistenze dell’allenatore del team dei più piccoli, visto che
il fratello aveva superato il livello di quella categoria. Non lo faceva ancora
allenare allo scontro fisico tanto quanto alla velocità, visto che ancora non
riusciva a tener testa ai ragazzi più grandi; non era ancora in prima squadra,
ma faceva strada, come lui del resto.
Doveva solo imparare a non saltare addosso a tutti
i ragazzi-armadio che gli si paravano di fronte per potergli rubare la palla.
Ricordava ancora quando si era trovato a fronteggiare,
durante una partita d’allenamento, un ragazzo tutto muscoli di nome Carlos… Che
tragedia! Il piccolino gli era saltato addosso cercando di bloccargli le spalle
con le sue esili braccine e gridando ai suoi compagni di squadra “Prendetegli
la palla! Lo blocco io!”. Carlos l’aveva preso per la maglia come un sacco di
patate e l’aveva riposto a terra, dicendo che aveva fegato da vendere e facendo
scoppiare a ridere tutti quanti.
I pensieri del ragazzo furono interrotti dal
scricchiolio che fece la porta aprendosi.
Vide sua madre, suo padre e il dottore che lo
scrutavano severi.
Certo, Daibu aveva detto che il padre era
orgoglioso di lui, ma non che fosse contento del suo comportamento, e questo
doveva immaginarselo.
“Hayate, come ti senti?”
La madre si avvicinò preoccupata al letto e si
sedette sul bordo, carezzandogli una guancia.
“Sto bene, mamma…”
“Non avresti dovuto sforzarti così, lo sai… Ma tu
sei come tuo padre…” disse il dottore avvicinandosi ed aiutandolo a sedersi; il
ragazzo si contrasse in una smorfia di dolore e si poggiò addosso alla madre.
“Ora mi punirai mamma?”
“Credo che i mesi di stop siano sufficienti come
punizione…”
Il ragazzo si girò verso il fratellino e gli fece
un occhiolino per rassicurarlo, poi si voltò verso il padre, che lo guardava
con uno sguardo indecifrabile. Tsubasa parve accorgersi solo ora dello sguardo
del figlio e gli sorrise forzatamente per dirgli che era stato bravo.
“Ora ti portiamo a casa e ti incateniamo al
letto.”
Hayate si allontanò un po’ dalla madre e la guardò
in viso; c’era qualcosa di strano. Aveva gli occhi notevolmente gonfi, segno di
un pianto prolungato… E cercava di sorridere naturalmente, ma era come se fosse
bloccata da qualcosa… E non si era neanche arrabbiata con lui…
No, era successo qualcosa, per forza.
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“… E poi Hayate ha passato a me, e io sono
scattato in avanti con la palla…”
Da quando erano partiti, il piccolo Daibu non
aveva fatto altro che parlare della partita; non aveva tralasciato neanche un
piccolo particolare di quella sua prima vittoria insieme al fratello più
grande.
Hayate fissava il padre mediante lo specchio
retrovisore, cercando di trovarci una risposta al cattivo umore della madre.
L’uomo lo fissò serioso e cercò di tranquillizzarlo con un sorriso, ma non
riuscì nell’intento; volse lo sguardo verso sua moglie per qualche secondo,
appoggiata al finestrino con un braccio, tornando poi a guardare la strada.
“Ehi, qualcuno mi sta ascoltando?!”
Disse Daibu imbronciato sporgendosi dal posto
dietro.
“Piccolo, mettiti composto.”
Il bambino seguì l’ordine del padre e si rimise
giù, incrociando le braccia al petto.
“Tesoro, ti sto ascoltando, è solo che ho un po’
di mal di testa, oggi…” Sanae si portò una mano alla fronte e poggiò la testa
sul sedile. Tsubasa si voltò preoccupato verso di lei e cercò di avvicinare una
mano alla sua per capire cosa avesse, ma lei si ritrasse a quel contatto.
La cosa non sfuggì al primogenito, che cominciò ad
avere un vaga idea che, durante la partita, i genitori avessero avuto una
qualche diatriba per colpa sua.
“Mamma… Sei arrabbiata con me per oggi?”
Daibu si volse a guardare il fratello con stupore;
ma come, proprio lui che cercava di evitare sempre punizioni e che si inventava
mille scuse per poter sfuggire alle prediche dei suoi, ora chiedeva alla madre
se era arrabbiata per una cosa di cui lo era al cento per cento?!
“Secondo te dovrei esserlo, Hayate?”
“Beh… Sì…”
“E allora evita di chiederlo. Lo sai benissimo che
sono furiosa con te. Ti avevo detto di evitare di giocare, ma tu dai ascolto
solo a tuo padre.”
Tsubasa chiuse per un istante gli occhi e poi li
riaprì, fissando attentamente la strada ma seguendo con attenzione anche la
conversazione, senza proferir parola.
“Ma mamma, potevo farcela e dovevo vincere.”
“Vincere rischiando danni permanenti al tuo
fisico? Hayate, sei stato incosciente e non ci sono scuse che tengano! Dai un
pessimo esempio a tuo fratello! Non si può continuare così, e la prossima volta
ti scordi ogni sorta di campionato! È chiaro?”
“Ma mamma…”
“Niente ma, ho detto!”
Il ragazzo si lasciò andare sullo schienale del
suo posto senza ribattere, sapendola una causa persa dal principio.
“Mamma, a me non sembra giusto.”
Hayate e Sanae si girarono verso il più piccolo
della famiglia e lo guardarono stupiti; davvero quella piccola peste aveva
risposto a sua madre?
“Cosa?”
“Non è una scelta sua? Se non vuole studiare è lui
che si rovina la vita, se vuole farsi male in campo è stato lui ad averlo
deciso.”
“Tesoro, il dovere di un genitore è cercare di
evitare tutto questo.”
“Mamma, davvero pensi che Hayate non lo farebbe
comunque? Non è cocciuto più di te e papà messi insieme?”
La donna lo fissò incredula con quel faccino mogio
e mortificato per aver detto chissà che cosa, ma comunque fiero di aver detto
parole in cui credeva.
“Ma tu non sei mio fratello! Sei un alieno!”
Passarono attimi interminabili di silenzio.
Tsubasa accostò la macchina ad un lato
dell’autostrada e si voltò indietro per valutare la situazione: sua moglie
fissava sbalordita il loro secondogenito quasi fosse un alieno, Daibu guardava
intimorito la madre con gli occhietti che si alternavano tra lei ed il
tappetino della macchina, Hayate stava per tapparsi gli orecchi e cercava di
aprire lo sportello della macchina per sfuggire alla furia omicida della madre.
“Se non fermo Sanae saranno guai amari!”
La donna allungò le mani verso Daibu e Tsubasa
temette il peggio!
“TESSSSSSSORO della tua mamma! Come sei saggio!”
Sanae aveva abbracciato forte il piccolo
sporgendosi dal sedile davanti e ora lo stava soffocando di baci sotto lo
sguardo allibito del marito e del primogenito.
“Lo sai che non devi rivolgerti così alla tua
mamma, ma hai dimostrato grande maturità, sai? Hai voluto difendere tuo
fratello, come sei caro! Stai diventando un ometto!”
“Mamma, mi soffochi!!!”
Hayate e Tsubasa fissarono increduli la scena,
notando lo strano cambiamento di umore della donna e credendo che fosse più o
meno “impazzita”.
“Stasera ti preparerò la torta di frutta che ti
piace tanto, sei contento? Il mio piccolo ometto saggio, quanto sei tenero!”
“Mamma, ti senti bene?” chiese il ragazzo più
grande indagando con cautela.
“Certo! Mai stata meglio!” rispose lei
avvicinandosi pericolosamente a Hayate “E fatti abbracciare pure tu! Non ti fai
mai fare le coccole!” Sanae lo agguantò
e lo strinse a sé stando attenta alla spalla dolorante, ignorando i continui
rimbrotti del figlio che le diceva di staccarsi dal suo collo perché si vergognava
“Scusa se mi sono arrabbiata, ma ero in pensiero per te! Sei stato bravissimo
in campo!”
Tsubasa rise e si rigirò verso il volante,
portando nuovamente la macchina sulla corsia dell’autostrada…
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“Ma, la mamma è impazzita tutto insieme?” chiese
il bimbo più piccolo addentando un pezzetto della sua porzione di torta e
guardando con fare curioso il fratello seduto di fronte a lui e suo padre a
capotavola.
“Beh, io me la sono scampata bella!” rispose il
primogenito ridendo soddisfatto e prendendosi un’ altra fetta di torta dal
centrotavola.
“Evidentemente anche la mamma invecchia, anche se
rimane comunque una bella donna!”
“Ehi, Hayate, porta rispetto a tua madre! Oggi te
la sei scampata per merito di tuo fratello ma non credere che la passerai
liscia! Ti aspettano una serie di allenamenti che neanche ti immagini!”
“No! Papà, non puoi farmi questo!”
“Oh, sì che posso!” rispose Tsubasa severo “E non
credere che tua madre invecchi nell’animo, è impossibile! È, e rimarrà sempre
giovane… E, purtroppo, ha sempre ragione lei!”
I tre scoppiarono a ridere constatando l’esattezza
delle parole usate dal padre.
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La donna sorrise sentendo i discorsi dei suoi
uomini in cucina. Effettivamente, si era comportata un po’ stranamente, quella
giornata… In meno di ventiquattro ore aveva capito che i suoi bambini stavano
crescendo; Hayate cominciava a voler decidere da solo della propria vita,
mentre Daibu cominciava a mettere giudizio. Tsubasa era stato irreprensibile
come sempre, e aveva cercato di fargli capire la vera importanza delle
decisioni individuali.
“Mi sa che la più immatura sono io, in questa
famiglia…”
“DAIBU OZORA, RESTITUISCIMI SUBITO L’ ULTIMO
BOCCONE DI TORTA!”
“Ma, come faccio? Ormai è nella mia bocca! Dai,
fratellone!”
…
“Ehi,
Hayate, quel pezzo era mio!”
“Papà, io devo crescere e devo guarire! Tu sei
bello che cresciuto ormai!”
“Allora il pallone te lo scordi, caro figliol
prodigo!”
“MAMMA! Papà mi ricatta!”
“SANAE! Tuo figlio mi ha rubato la torta!”
Sanae rise felice e tagliò altre tre fette di
torta.
“Questi momenti di “saggezza maschile” sono belli
apposta perché passano in un secondo… Ma, come farebbero quei tre senza di
me?!”
La donna prese il vassoio e si diresse in cucina,
ridendo sotto i baffi, sapendo benissimo la risposta alla sua domanda.
Fine.
Momenti di pura follia mi hanno portato a scrivere
questa ff...
Il problema è che mi piace un sacco...
Alla prossima!
Buone feste a tutti!
HK^^