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Ovunque. E’ buio oramai
Non mi frega se piangi o no
Io come te
Confusione
Non mi sento più bene da un po’
Quello che fai non mi basta mai.
Ovunque sei
Ovunque sei, ci sei
Ovunque sei
Ovunque
Mi spazzi via
E mi vedo volare lontano
Che male fa,
Rivedermi in me?
Ovunque sei
Ovunque sei ci sei
Ovunque sei
Ovunque
E’ buio ormai
Ovunque sei
Ovunque sei ci sei
Ovunque sei
Ovunque
Verdena – Ovunque.
Prologo.
Mi guardò. Mi guardò, dritto negli occhi. Non riuscii a decifrare il suo
sguardo. Non seppi cosa voleva farmi capire. Vedevo solo quei due occhi
fissarmi, così intensamente. Si avvicinò a me, con lentezza. Io d'istinto feci un passo indietro, spaventata, quasi.
"Hai paura?" mi chiese, serissimo.
Annuii, senza volerlo, con un groppo in gola.
"Dai, ci conosciamo da sempre.."
Rimase a fissarmi, e mi si avvicinò ancora, finché mi fu davanti. Era decisamente più alto di me.
"Ti chiedo solo di fidarti di me."
Arretrai ancora, mentre lui allungava una mano verso il mio viso.
"Adrienne.. ti prego." mi implorò.
Capitolo 1.
Il suono della sveglia ruppe il silenzio in cui era immersa la casa. Mi
svegliai, e grugnii, dando una botta alla sveglia sul comodino, senza troppi
complimenti. Quella, come se avesse capito il messaggio, si
spense di botto. Il tepore che c'era sotto le coperte era piacevole: mi
dava un senso di assoluta pace e sicurezza. Non volevo
abbandonarlo. Ma, pensai tristemente, avevo i miei doveri da
studentessa liceale, il che comprendeva alzarsi e andare a scuola. In fondo,
dovevo fare ancora tante cose: fare colazione, la
doccia, vestirmi, dare una rapida ripassatina a latino. Il solo pensiero già mi
fece sentire male.
Di malavoglia, mi alzai, buttando il lenzuolo e il piumone di lato. Decisamente non era la mia giornata. Senza rifletterci, mi
avviai automaticamente allo specchio, accanto all'armadio. Lo specchio era di
legno scuro, lungo e ovale. Lo adoravo: era semplice, come me.
Ma non sempre mi portava belle notizie. Avevo sicuramente dei begli
occhi. Verdi, nocciola intorno all'iride. Per il resto..
be’. Niente era come volevo, e niente mi sembrava al posto giusto. Mi fissai. I capelli arruffati, gli occhi ancora gonfi di sonno. Perché volevo farmi del male da sola? Così rinunciai, e
smisi di analizzarmi: del resto, il mio aspetto non sarebbe cambiato in una
sola notte. Sentii dei rumori al piano di sotto: mia madre stava già preparando
la colazione. Io fuggii in bagno, per una doccia veloce. Volevo evitare il
turno del dopo-colazione. Dopo dieci minuti abbondanti, uscii. Ritornai in
camera e indossai i soliti jeans e una felpa scura. Scesi rapidamente di sotto,
anche se la casa era praticamente deserta. Vivevo con
i miei genitori e con mio fratello, due anni più grande di me. Era un idiota, e
certe volte proprio non lo sopportavo. Avevo
sicuramente un quoziente intellettivo più alto di lui. Entrai in cucina. Dopo
il salotto, la cucina era la stanza più grande della casa. Era larga, spaziosa
e luminosa: i raggi di sole neonati filtravano attraverso le tende, facendo dei
buffi disegni sul pavimento. Mia madre aveva apparecchiato la tavola, ed era in
piedi vicino al fornello, aspettando che il caffè fosse
pronto.
C'era un aroma piacevole: un miscuglio tra biscotti, latte e caffè. Mi sedetti
al mio posto, alzando le braccia in alto, stiracchiandomi. "Buongiorno,
mà."esclamai, e
quest'ultima sobbalzò.
"Non ti avevo sentita arrivare, tesoro. Buongiorno anche a te." rispose lei, con un sorriso gentile. Mentre
afferravo un biscotto con voracità, mio fratello entrò nella stanza. La notte
sicuramente non gli faceva bene. I lunghi capelli neri erano sparati da tutte
le parti, aveva delle occhiaie e sbadigliava, aprendo così
tanto le sue fauci che quasi riuscivo a vedergli le tonsille. Mi
chiedevo se in effetti la notte dormisse; ma del resto
lui era un vero dormiglione, io no. Mi fissò per qualche minuto. Forse non mi
aveva ancora riconosciuta, pensai. All'improvviso il
suo sguardo s'illuminò.
"Ah, sei tu."farfugliò,
la voce impastata di sonno. Ecco, non mi sbagliavo. Si trascinò fino alla
sedia, facendo uno sforzo enorme, per poi accasciarsi su di essa.
Io scossi la testa, rassegnata, mentre mia madre mi serviva una tazza di
caffellatte fumante. Non avevo molta fame, e dovevo arrivare a scuola presto.
Presi la scatola dei cereali e me ne versai un po’ nella tazza, appena un po’
di più della metà. Mio fratello e mia madre facevano
colazione in silenzio, come sempre. E mio padre? Chi lo sa. Non avevo mai avuto una famiglia normale. Spesso,
mio padre era assente per dei giorni. Per lavoro, diceva. Era il rappresentate di un'importante ditta di computer, e altre
robe elettroniche. Ma io, io sapevo che non era così.
Scossi nuovamente la testa, cercando di allontanare i cattivi pensieri. Mandai
giù l'ultima cucchiaiata di cereali, e poi misi la tazza dentro il lavello.
"Be’, io vado di sopra e poi esco. Ci vediamo per
pranzo." Dissi a mia madre, chinandomi su di lei per darle un bacio sulla
guancia. Lei sorrise. Mio fratello non si sforzò di salutarmi, e io feci lo
stesso. Ritornai velocemente di sopra. Mi lavai i denti, infilai le scarpe di
ginnastica e una giacca, presi lo zaino e poi uscii, nell'aria fresca del
mattino che mi pungeva la faccia. La giornata si rivelava tutt'altro che rosea,
per me.
Alle otto in punto, arrivai davanti la scuola. Andavo ogni mattina a scuola a
piedi, oppure prendevo l'autobus. La mia scuola non era tanto lontana da casa
mia, e fare due passi la mattina era piacevole. Mio fratello frequentava il mio
stesso liceo; ma di solito arrivava a scuola molto tardi. Il cortile della
scuola era già gremito di ragazzi che aspettavano la campanella. Mi guardai
attorno, cercando qualche faccia familiare, ma era fatica sprecata. I ragazzi
chiacchieravano allegri: altri, magari destinati ad un'interrogazione,
esibivano facce spaventate, e ripassavano con il libro in mano, girando
febbrilmente le pagine. Io ero un'ottima studentessa: ma avevo un metodo di
studio decisamente strano, poiché stavo attenta in classe, ma a casanon facevo quasi niente. Ma possedevo
un'ottima memoria fotografica, e mi bastava leggere qualcosa solo una volta, e
memorizzavo tutto con facilità. Mia madre diceva che ero una ragazza che sarebbe
andata lontano. Mi sedetti sopra il muretto, incrociando le gambe, e posando lo
zaino accanto a me. Mi aggiustai i capelli, sbuffando. Tutti quei ragazzi
sembravano mille miglia lontani da me. Io ero diversa da tutti gli altri, ero
invisibile. Sì, era come se non ci fossi. A nessuno importava se stessi bene,
se fossi felice, oppure se non lo fossi, solo perché ero diversa. Ero
diversa, e la diversità, al giorno d'oggi, era un male.
"Ehilà." qualcuno mi chiamò, con una voce bassa. Mi voltai, e
d'istinto sorrisi.
Un ragazzo alto, magro, con dei lunghi capelli neri e degli occhi nocciola, era
accanto a me. Portava dei jeans sformati, una felpa nera, e vecchie e consumate
scarpe da ginnastica.
"Ciao." ricambiai, guardandolo. Lui si avvicinò, e prese posto
accanto a me, facendo penzolare le gambe lungo il muretto.
"Come va?" mi chiese, sorridendomi.
Mi piaceva quando sorrideva: era come se tutto il suo corpo gioisse con lui.
Gli si illuminavano gli occhi, e gli spuntava una fossetta appena sotto il
mento.
"Si sopravvive. E tu?"
Fece spallucce, e lasciò andare lo zaino accanto al mio. Distolse lo sguardo,
poi cominciò a frugare nelle tasche dei jeans, e ne uscì un pacchetto di
sigarette, e un accendino. Ne prese una e se la mise in bocca, poi l'accese
riparandola con una mano. Cominciò a fumare, tenendo la sigaretta tra l'indice
e il medio. Poi mi guardò.
"Pensavo avessi smesso." dissi con voce atona, guardandolo con
severità, la fronte corrugata. Il mio sguardo diceva tutto. Lui guardò davanti
a sé, mentre inspirava dalla sigaretta. "Non ci riesco."
"Be’, dovresti. Ogni sigaretta che fumi è un giorno in meno della tua
vita."
Fece di nuovo spallucce. "Allora immagino che morirò presto."
Io sbuffai sonoramente. "Già. E vogliamo parlare del fumo passivo..?"
Lui ridacchiò. "Senti, mi hai già fatto questa ramanzina trilioni di
volte; piantala." Buttò la sigaretta quasi finita a terra, e la spense,
schiacciandola con un piede.
"Sei un insensibile. E se non fossi il mio migliore amico, ti avrei già
scaricato tempo fa." gli dissi, incrociando le braccia al petto, mentre
lui tornava finalmente a guardarmi.
Mi fece una smorfia. "Sei sempre così adorabile. Che carattere sensibile,
dolce. E adesso, fammi copiare i tuoi compiti."
Lui si chiamava Alessandro. Solo per me era Alex. Non avevo molta
fantasia nei soprannomi, questo dovevo ammetterlo. Ci eravamo conosciuti due
anni fa, a scuola. Era l'unico amico che avevo. Con lui potevo parlare di tutto
-be’, quasi- ed era diverso dalla maggior parte dei quindicenni maschi. Era
intelligente, divertente, e conoscevo alcune ragazze che si sarebbero anche
vendute l'anima per essere al mio posto. Alex era un ragazzo carino, sì. Aveva
come un alone di mistero attorno a sé, ma tutti gli volevano bene. Riusciva a
socializzare bene, a differenza di me, e mi stupiva che tra tutte le persone
che avrebbe potuto farsi come amico, avesse scelto me. Insomma, era un ragazzo
quasi perfetto. Peccato per quella storia del fumo, che non mi piaceva per
niente.
Posò i suoi quaderni dentro lo zaino, e mi scompigliò i capelli. "Grazie,
sei un angelo."
"Guarda che la prossima volta non ti faccio copiare più niente."
"Tanto so che lo farai."
Mi fece la linguaccia, e io scoppiai a ridere. Quando era rilassato prendeva
tutte le cose così come gli venivano, e mi faceva ridere. Mi faceva stare bene.
"Sai una cosa?" mi chiese, sorridendomi.
"Cosa?"
"Dovresti provare a fumare anche tu."
La mia risposta venne coperta dal suono della campanella. Forse era meglio
così, perché consigliai ad Alex di fare una cosa molto maleducata, e
fisicamente impossibile.
***
Alex prese posto accanto a me. Nascose il pacchetto di sigarette nelle tasca
dello zaino, assieme all'accendino.
"Che abbiamo a prima ora?"
Lo fissai. "Dopo tre mesi di scuola, non lo sai ancora?"
Rise, e scosse la testa.
"Latino, per nostra sfortuna." risposi in un tono triste. Alcuni
nostri compagni di classe cominciarono ad entrare nell'aula, a sedersi, a
chiacchierare, e a confrontare le versioni che la professoressa aveva lasciato
per casa. Quando, all'improvviso, la vidi entrare.
Melissa.
Melissa era una nuova arrivata nella nostra classe. Aveva nobili origini
inglesi ed era alta, magrissima, con dei lunghissimi capelli biondi, e con
degli occhi azzurro cielo. Era terribilmente bella, e come se non bastasse era
anche ricca. Spesso partiva per lunghi viaggi oltreoceano, e non indossava
niente che non fosse firmato. Una di quelle smorfiose uscita da qualche film
americano? Ebbene, no: Melissa era anche simpatica, gentile con tutti e
allegra. Io le avevo parlato poche volte, forse perché era talmente perfetta
che quasi mi metteva paura. E poi era così diversa da me.
Entrò in classe con una camminata da modella. Oltre allo zaino, portava tra le
mani un sacchetto nero, lucido. La scritta Christian Dior esaltava in tutto il
suo splendore.
Alex la fissò intensamente.
"Non capisco come possa piacerti." dissi, voltandomi verso di lui. In
realtà lo capivo benissimo, non potevo biasimarlo.
"Ma infatti non mi piace."
"Seh, come no."
Lui rise. Ero sempre stata gelosa di Alex, e non mi sforzavo di nasconderlo.
Avevo una paura tremenda che qualcuno me lo portasse via. E allora sì, che
sarei rimasta sola. E non volevo che succedesse.
Alex mi diede una gomitata nelle costole, che mi risvegliò dai miei pensieri.
"Ma cosa..?" esclamai, voltandomi; e mi accorsi che Melissa era
davanti a me.
"Ehm, scusa" mi disse, con una voce angelica. Aveva tra le mani un
libro, e i capelli le scendevano morbidi lungo le spalle. "Credo che
questo sia tuo. Me l'hai prestato l'altro giorno, e per sbaglio ho creduto che
fosse mio e l'ho portato a casa."
Mi porse il libro, e io lo presi. Era il mio libro di scienze. "Grazie
mille." dissi, guardandola, e poi guardando Alex con la coda dell'occhio.
Lui la fissava.
"Non c'è di che." sorrise, e ritornò al suo posto.
Io appoggiai il libro sul banco, poi guardai Alex.
"Magari vuole fare amicizia."
"Forse."
***
"Perché quella faccia?"
Era l'una, e io correvo spedita verso i cancelli aperti, facendomi spazio tra
gli altri ragazzi, che spingevano e sgomitavano. Alex era alle mie calcagna, e
cercava di raggiungermi.
"Ehi, fermati!" lo sentii chiamarmi, ma non mi voltai. Finché,
inevitabilmente, lui riuscì a raggiungermi e mi prese per il polso sinistro,
costringendomi a fermarmi.
"Perché ce l'hai con me?"
Non volevo guardarlo, e non volevo neanche parlargli. Ma il modo in cui mi aveva
inseguita per tutta la scuola, in cui aveva corso a perdifiato per le scale e
per il cortile, mi faceva sorridere. Forse significava che ci teneva a me.
Almeno un po'.
"Senti, preferirei non parlarti. D'accordo?" dissi, irritata, e
spingendolo all'indietro, tentando inutilmente di allentare la sua presa sul
mio polso. Ma lui era chiaramente più forte di me, e non si mosse di un
centimetro, tanto meno mi lasciò andare il braccio. Con la mano libera, mi
prese il viso dal mento, costringendomi a guardarlo. Mi fissava dritto negli
occhi; e il suo sguardo arrabbiato mi fece rabbrividire. Non si era mai
arrabbiato con me, e questo mi provocò una sensazione di paura, di panico.
"E invece tu mi parli, e mi ascolti, chiaro?" domandò, parlandomi con
violenza. Eravamo in mezzo alla folla di ragazzi che usciva dalla scuola.
Alcuni ci fissavano preoccupati, altri incuriositi. Molta gente, però, ci
spingeva di qua e di là. A me mancava l'aria, mi sentivo un groppo in gola, e
soprattutto sentivo le guance andarmi letteralmente in fiamme. Non aveva nessun
diritto di parlarmi in quella maniera, anche se probabilmente io ero in torto
marcio.
"No! E lasciami stare." esclamai, spingendolo con più forza e
decisione. Questa volta mi lasciò andare. Mi aveva stretto il polso talmente
forte, che mi era diventato rosso, e si era indolenzito. Me lo massaggiai con
l'altra mano, sospirando. Ero incandescente di rabbia, e da lì a pochi secondi
sarei scoppiata a piangere. E se c'era una cosa che odiavo, era piangere
davanti alla gente, specialmente davanti agli sconosciuti. O davanti a lui, il
che era ancora peggio: mi faceva sentire in imbarazzo, e totalmente ridicola.
"Sei solo.." iniziò lui, a voce bassa, infilando le mani in tasca e
guardandosi i piedi.
Io strinsi gli occhi, ricacciando indietro le lacrime, per quanto mi era
possibile.
"..sei solo una bambina. Ecco, cosa sei." concluse lui, voltando il
viso di lato, mentre sospirava profondamente, le mani ancora in tasca.
Una lacrima dispettosa mi rigò la guancia, e morì sul mio mento. Singhiozzai in
silenzio, chiudendo gli occhi, e stringendo le mani a pugno. Le strinsi
talmente forte che le unghie mi penetrarono nella pelle. Ma cosa si facevo
ancora lì? E Alex, lui, il mio migliore amico, mi stava facendo piangere. Forse
avrei dovuto odiarlo, ma non potevo. Era più forte di me; non avevo mai pensato
male di lui. Lo trovavo sempre perfetto in tutto, qualsiasi cosa facesse, in
qualsiasi occasione si trovasse. Persino quando fumava, anche se sapevo che era
sbagliato e, soprattutto, che gli faceva maledettamente male. Ma era una
sensazione strana: era come se ci fosse un'armonia perfetta tra lui e le cose
che faceva. E vedevo quell'armonia perfetta anche tra lui e una sigaretta. Sì,
tenevo a lui: forse un po’ troppo. Cadevo nelle illusioni, e sapevo che se
anche lui mi definiva sempre la sua migliore amica, non provava quello che
provavo io. Quello che provavo io per lui era una cosa a cui non avrei mai
potuto rinunciare. Qualcosa che mi faceva sorridere se vedevo il suo nome, la
sua calligrafia, una sua foto. Qualcosa che mi faceva avere un disperato
bisogno di sentirlo, di sentire la sua voce. La sua voce. Mi
rassicurava. E anche la sua voce, per me, sembrava essere in armonia con tutto
il resto, con tutte le cose che appartenevano a lui. Io sentivo sempre queste
sensazioni, che mi facevano impazzire. Non sapevo che nome dare a tutto questo,
ma c'era, ed era davvero grande. Ed io, quando mi affezionavo troppo alle
persone, ne diventavo possessiva e gelosa. Ed era per questo, per colpa mia, se
mi trovavo lì in lacrime davanti a lui. Ed era per questo, che lui mi aveva
chiamato 'bambina'. Sa che detesto essere chiamata così, eppure l'ha fatto. Io
sentivo che se lui mi avesse abbandonata, sarei morta soffocata.
"Adri.." chiamò lui, ancora davanti a me. Aveva un tono di voce più
dolce, più mansueto. Ma questo non servì a calmarmi, per niente. Piansi, più
forte, quasi disperatamente. Lui rimase a qualche passo da me, scrutandomi,
mentre piangevo. C'era una forza misteriosa che mi impediva di andarmene via,
come se i miei piedi fossero inesorabilmente attaccati al suolo. O forse la
realtà era che mi sentivo un po’ in colpa, e volevo fare qualcosa. Ma cosa?
Non ebbi il tempo di pensarci, ad ogni modo: Perché quella cosa misteriosa in
me si sbloccò, e scappai via. Mi allontanai piangendo, spingendo con violenza
le persone attorno a me, per farmi spazio velocemente. Perché provavo odio per
me stessa. perché un pensiero si era insinuato in me, dopo quella breve
riflessione, e dovevo fare di tutto, per scacciarlo via; e per uccidere l'idea
sul nascere. Lui era il mio migliore amico, e sarebbe stato questo. Forse non
lo sarebbe stato per sempre, ma sarebbe stato solo questo. Un mio amico. Il migliore.
Niente di più.
L'orologio del mio comodino segnò le 23. Io ero stesa a pancia in giù sul mio
letto, con le gambe all'aria, e un libro fra le mani.
"L'ultimo secolo della repubblica e l'età di Augusto
corrispondono all'età classica della letteratura latina."
La storia non faceva proprio per me, era terribilmente noiosa, e per di più io
non riuscivo a concentrarmi. Pensavo ancora a quella mattina, alle sue parole,
e al fatto che avevo pianto davanti a lui. Non l'avevo mai fatto, prima di
allora. Ero stata un'idiota completa, questo era
sicuro. Mi sarebbe piaciuto poter rimediare, ma ero
ancora troppo arrabbiata, sconvolta e ferita. Forse non avevo neanche tutti i
motivi, o i diritti, per sentirmi in quella maniera; ma non potevo farci
niente. Continuavo a sentirmi come vuota dentro, con
un peso nero e indefinibile all'altezza dello stomaco.
Scossi la testa.
Mi girai su un lato, prendendo sempre il libro con me, cercando di concentrarmi
su quello stupido paragrafo. Era ormai mezz'ora che rileggevo lo stesso rigo,
ma senza attenzione, e senza capirne veramente il significato.
"Furono creati i più grandi capolavori di tutti i generi.."
'Sei solo una bambina.'
"..dall'epica alla lirica.."
'Invece tu mi parli..'
"..dall'oratoria alla storiografia."
'..e mi ascolti, chiaro?'
Gettai il libro per terra, disgustata. Era inutile. Finché non avessi chiarito,
il pensiero di quella litigata mi avrebbe praticamente
ossessionata. Sbuffai, e chiusi gli occhi, portandomi una mano alle tempie per
massaggiarmele. Dopo un po’, li riaprii e afferrai il mio cellulare, che tenevo
sempre sul comodino accanto a letto. La luce del display
mi colpì come un faro in faccia. Strinsi un po’ gli occhi per
abituarmi ad una luce così forte, e senza neanche pensarci troppo, schiacciai
con violenza il tasto sinistro in alto. La rubrica mi apparve davanti agli
occhi. Ammaccai la freccetta in basso, mentre una barra azzurrina evidenziava i
nomi. E poi, lo fissai. Alex. Fissai il suo
nome evidenziato. Alex.
Era proprio lui, che mi faceva sentire così? Che mi
faceva sentire schifosamente in colpa? Che mi faceva
sentire come se mi avessero strappato via il cuore, e gettato via?
Mentre scappavo via, quella mattina, una parte di me aveva desiderato che lui
mi inseguisse e che mi trattenesse, provando a farmi ragionare. Ma non l'aveva fatto. E adesso io mi disperavo così tanto, per lui. Perché..?
Continuai a fissare quel nome. A leggerlo, a rileggerlo;
forse sperando che mi dicesse qualcosa in più, forse sperando che leggendolo
potesse in qualche modo rincuorarmi. Ma non
cambiava niente, e io lo sapevo bene. Il mio dito indugiò qualche attimo sul
tasto verde, con sopra disegnata una cornetta alzata. Chiamarlo? Ma per dirgli cosa poi? Magari non avrebbe più voluto
sentirmi o vedermi, tra l'altro. Al solo pensiero ebbi un sussulto e il mio
stomaco fece qualche capriola. ..E poi, cosa
importante, non avrei saputo che dirgli. Ne ero
sicura, mi sarei bloccata a metà, balbettando, e diventando rossa dalla testa
ai piedi, come mi succedeva sempre quando non sapevo che dire, o quando un
professore mi chiedeva qualcosa che non sapevo o non ricordavo. O quando le mie compagne di classe parlavano dei ragazzi, dei primi
baci, del sesso. E io diventavo rossa, sì.
Perché non ne sapevo niente, perché non ero mai stata veramente innamorata,
dato che non avevo mai incontrato un ragazzo che mi
facesse battere tanto forte il cuore, e che mi facesse sentire al settimo
cielo. Forse sì, l'avevo incontrato, ma preferivo non ammetterlo. Mi sentivo
come un pesce fuor d'acqua, come un extra-terreste,
come un'eccezione alla regola, e forse era anche per questo che mi sentito
tanto diversa rispetto agli altri.
La luce del display si spense. Io avevo gli occhi
mezzi socchiusi, e tenevo ancora il cellulare fra le mani. Quando,
in quel preciso istante, il cellulare mi vibrò fra le mani. Io mi
risvegliai completamente e di scatto, e mi avvicinai meglio al display per guardare. Alex. Alex. Alex, diceva il
display.
'Alex, chiamata in arrivo.'
Cos'era, telepatia? Il cellulare continuava a vibrare. Mi resi conto che gli
squilli erano davvero tanti, e che probabilmente chi era dall'altra parte del
telefono stesse per agganciare.
"Oh, al diavolo." dissi a me stessa.
Schiacciai il tasto verde, e portai il cellulare all'orecchio destro, scostando
velocemente i capelli per sentire meglio.
"P-pronto?" chiesi. Mi accorsi che la voce mi tremò, che era incerta.. in quel momento, più che mai.
"Apri la tua finestra." disse velocemente
quella voce bassa, che ormai conoscevo fin troppo bene.
"Cosa?" chiesi, incredula.
"Per favore, apri la tua finestra." ripeté. E riagganciò.
Io rimasi per qualche secondo a fissare nuovamente il display,
in silenzio. Ero stranita e incuriosita allo stesso tempo da quell'ordine. Dopo
qualche attimo di riflessione, come facevo sempre, mi alzai velocemente dal mio
letto e mi diressi verso la finestra. Scostai le tende, di un blu elettrico,
per sbirciare fuori. La strada era totalmente deserta, a parte qualche auto che
passava ogni tanto. La luce arancione del lampione illuminava il marciapiede,
allungando le ombre, e dandogli un'aria un po’ sinistra. Adoravo la notte, e
quello spettacolo mi affascinava. Avevo una fantasia un po’ troppo spiccata,
forse. Ritornai alla realtà. Anche se mi sembrò una
cosa stupida, aprii la mia finestra. Subito una brezza fredda,
ma leggera, colpì me e le mie tende, facendole ondeggiare leggermente.
Io rimasi impalata davanti alla finestra aperta, a braccia conserte, aspettando
qualcosa, anche se non sapevo bene che cosa. Cominciava a fare freddino, e io mi sentivo una stupida.
Fino a che la testa di Alex spuntò dalla finestra. Per
lo spavento lanciai un gridolino acuto, e arretrai di parecchio. Inciampai. Mi
appoggiai con le mani sul mio letto, guardando davanti a me. Era tutto vero,
era la testa di Alex. O meglio,
era lui, che si stava arrampicando sulla mia finestra.
"Shhhhhh!" sussurrò, stringendo gli occhi e portandosi l'indice sulle
labbra, indicandomi così di far silenzio. Si diede una spinta
in avanti, e con una specie di mezza capriola balzò dentro la mia camera. Io
trattenei il fiato. D'istinto feci qualche passo in avanti per aiutarlo ad
alzarsi da terra, ma poi mi bloccai a metà strada. Per giustificare il mio
gesto, allora, andai verso la porta e la chiusi a chiave. Mi ci appoggiai
sopra, e mi voltai, guardandolo. Lui si alzò da terra da solo. Si diede una
botta sulle ginocchia, per pulire i jeans, e infine se
li tirò su, poiché portava sempre jeans larghissimi, almeno una o due taglie
più grandi. Senza guardarmi si voltò e chiuse la finestra; poi, finalmente, si
girò di nuovo e mi guardò. C'erano pochi metri di distanza
tra noi, e io già mi sentivo terribilmente accaldata, senza sapere
perché. Sostenni il suo sguardo.
"Le persone normali entrano dalle porte, sai?" chiesi, con una nota
di sarcasmo nella voce. Lui fece una smorfia, e con una mano si levò i capelli
dagli occhi, facendomi venire voglia di prendermi a schiaffi.
"I miei non sanno che sono uscito. E non credo
che i tuoi mi avrebbero fatto entrare a
quest'ora." si giustificò, distogliendo subito lo
sguardo. Istintivamente guardai l'orologio sul comodino. Erano
le 23 e 20.
"Perché sei qui?" chiesi. Il cuore mi batteva forte forte. Tutto questo mi
sembrava assurdo, e improvvisamente avevo la gola molto
secca. Sospirò.
"Non sono abbastanza forte da poterti stare lontano, la
verità è questa. E perché mi dispiaceva per oggi, di averti lasciata
così."disse,
sussurrando. Lo vidi guardarmi con la coda dell'occhio. Deglutii, sistemando
meglio le mani dietro la schiena.
"Non devi preoccuparti per me."risposi, socchiudendo di un poco gli occhi.
Alex, che era rimasto vicino alla finestra, fece qualche passo verso di me.
"Sei la mia migliore amica, è normale che mi preoccupi per te."
Abbassai lo sguardo, mentre i capelli mi ricoprivano il viso. Rimasi un po'
silenzio, creando qualche attimo di suspence, e lui
non si mosse.
"Perché sei gentile con me? Io non sono stata leale con te, non mi sono
comportata bene."
"Ma, Adri. E' stata solo una cazzata, un malinteso, non ti
pare?"
"Cazzata o no, malinteso o no.. Io ci sono stata
male."
"Tu non devi farti questi problemi con me. Ci conosciamo da tanto tempo,
ormai." Alzai lo sguardo, e quasi con orrore mi accorsi che era a pochi
centimetri da me, ma lo guardai dritto negli occhi.
"Mi dispiace. Mi dispiace di averti dato
problemi, di essere troppo gelosa, troppo attaccata a
te. Mi dispiace di essermi arrabbiata quando tu hai
preferito fare quel maledettissimo progetto di scienze con.. Melissa, e non con
me." dissi, tutto d'un fiato.
"Mi rendo conto che è stata una carognata. Me l'avevi chiesto tu parecchie settimana fa. E' solo che..io.." la sua voce si spense. Continuai a guardarlo, e aggrottai le
sopracciglia.
"Allora avevo ragione. Lei ti piace.." dissi, mentre la solita stretta allo stomaco si faceva
risentire.
"No! Non è che mi piace.." cominciò,
sgranando gli occhi, e fissandomi. Io feci una risata.
"Non fingere con me, Alex. Ti conosco meglio della mie
tasche, ormai."
Alex sbuffò, rassegnato. Si voltò e si sedette sul mio letto, socchiudendo gli
occhi, dopo di che tornò a guardarmi.
".. è solo che mi piacerebbe conoscerla meglio,
tutto qua." disse, con una voce un po' tremante.
Cos'era, aveva paura di rivelarmi i suoi sentimenti? Perché? Improvvisamente, mi accorsi di
avere paura di scoprirli.
"Me lo potevi dire. Altrimenti, a che servono
le migliori amiche?" dissi, abbassando nuovamente lo sguardo, e fissandomi
le scarpe. Lui non rispose, alzò le spalle soltanto.
Mi morsi il labbro inferiore molto forte, e cominciai a passeggiare per la
stanza, avanti e indietro. Almeno facevo qualcosa.
'Perché non dovrebbe piacergli?' mi ripetevo,
per auto convincermi, andando dalla finestra alla porta e viceversa. 'Lei è gentile, bella, ricca, femminile, simpatica..'
Non avrei mai potuto competere con lei, e forse neanche solo pensare di poter
paragonarmi a lei. Ma la cosa peggiore era che non
capivo perché mi comportassi così, e perché pensassi quelle cose stupide. O forse sì?
"Io sono contento di essere il tuo migliore amico, credimi. Mi dispiace di
aver litigato con te, e di averti detto quelle cose orribili. Alla fine è stato
solo un equivoco.."
Annuii, e lo guardai. "Forse potrei aiutarti con Melissa." dissi, senza volerlo.
'No, stupida! Che dici!' pensai. "Dici sul serio? E come?" mi chiese,
incuriosito, alzando un sopracciglio.
"Non saprei, forse potrei conoscerla meglio. E poi potrei presentartela, e il resto." osservai, con tono vago. Non era quello che veramente
volevo. Ma in me c'era una voglia di rendermi utile, e
di aiutare Alex. Per farmi perdonare.
"Sarebbe un'idea. Pensi di riuscirci?"
Feci spallucce. "Posso provarci. Non costa nulla, del resto." Lui annuì, poi sospirò.
"Forse è meglio che tu vada."osservai, lanciando un'occhiata all'orologio e poi ad Alex.
Lui si alzò in piedi, e mi venne incontro.
"Allora ci vediamo domani, alla solita ora. Okay?" chiese.
Io feci un mezzo sorriso. "Certo."
Alex mi sorrise di rimando, e io sentii un brivido percorrermi velocemente la
schiena. Abbassai lo sguardo, studiandomi nuovamente le scarpe, quando Alex mi
abbracciò. Mi cinse le spalle con un braccio, e l'appoggiò l'altro sulla mia
schiena. In un primo momento rimasi paralizzata dall'imbarazzo, con gli occhi
sgranati.
"Alex.." sussurrai, e lui mi strinse più
forte, appoggiando la testa sulla mia spalla. A me mancò il fiato, e praticamente tremavo. Avevo di nuovo la gola secca. Proprio
quando decisi di abbracciarlo anch'io, lui si
allontanò da me, sciogliendo l'abbraccio.
"Ho avuto paura di perderti, perché tu sei davvero importante per me e non
voglio farlo. Sei l'unica vera amica che io abbia mai avuto."
disse, guardandomi negli occhi. Io diventai color
porpora, e sorrisi, anche perché mi accorsi che teneva entrambe le mani
poggiate sui miei fianchi. Deglutì, e mi lasciò andare di scatto.
"Beh, buonanotte."
"Buonanotte."balbettai,
mentre lui si avvicinava di nuovo alla finestra e l'apriva. Gli sorrisi di
nuovo, con - ne ero sicura - un'aria da perfetta
idiota. Si calò giù, con un ultimo sorriso, e non appena lo fece chiusi
rapidamente la finestra, e rimasi a fissare la strada per un po', fino a quando fui certa che ci fosse qualche metro di distanza
tra me e lui. Mi sedetti sul pavimento, e piansi lacrime dal gusto amaro,
scoppiando in un pianto liberatorio. Adesso, lo sapevo perfettamente perché
stavo così. Ma non volevo dirlo, né pensarlo. Sapevo
che non avrei mai potuto accettarlo, né me lo sarei
mai perdonata.
La mattina seguente mi svegliai ancora vestita come il giorno
prima, con il libro di storia in mano, e con un forte mal di testa. Ero
piena di pensieri, e d ero confusa, terribilmente: mi sembrava che le mie
uniche certezze fossero crollate in una notte sola. Rimasi qualche minuto a
fissare il soffitto, massaggiandomi le tempie; dopo filai in bagno per una
lunga doccia ristoratrice e, senza neanche aver fatto colazione, mi vestii e
scappai a scuola. Avevo bisogno di stare un po’ da sola, e
soprattutto all'aria aperta: dentro le quattro mura della mia camera, mi
sembrava letteralmente di impazzire. Ero tormentata dal ricordo di ciò
che mi era successo la sera precedente.. avevo avuto
sempre un certo sesto senso per queste cose, e ancora una volta ci avevo visto
giusto. Già non vedevo l'ora che fosse stata sera.
Questo non era molto indicativo, ma avevo il disperato bisogno
che ventiquattro ore passassero in fretta, e che, possibilmente, ne uscissi
indolore: ma forse chiedevo troppo. Decisi di non pensarci troppo, non potevo
vivere con questa ossessione per tutto il tempo. Per
tutto il tragitto verso la scuola, invece, camminai
velocemente, a testa bassa. Ecco cosa avrei fatto: avrei
tenuto la mente occupata, in modo di cercare di non pensare troppo.
Senza neanche accorgermene, arrivai a scuola. Ero arrivata troppo presto: il
cortile era semi deserto e pochi ragazzi ciondolavano
là davanti. Sospirando, come per farmi forza, oltrepassai il cancello e mi
sedetti sulla grande scalinata, proprio davanti i portoni della scuola.
Appoggiai lo zaino accanto a me, lo aprii, presi una penna e un block-notes, e
cominciai a pasticciare, lasciando liberi i pensieri.
Mi rilassava. Ma purtroppo, anche se volevo fermarla a
tutti i costi, la mia mente cominciò a vagare.
Alex era l'unica persona di cui potevo fidarmi. Era l'unico amico che avevo, e
che avevo mai avuto. Lui teneva a me, mi considerava la sua migliore amica, mi considerava come una cosa importantissima per lui. Alex sapeva tutto - o quasi - di me. Io mi fidavo di lui, e lui
di me, su questo non ci pioveva. Alex era il mio migliore amico. E io ero incondizionatamente, follemente e pateticamente
innamorata di lui. Possibile che me ne fossi accorta solo adesso? Sì.
Quando avevo scoperto che a lui piaceva Melissa, e che voleva fare il progetto
di scienze con lei, ero praticamente impazzita di
gelosia. Ma forse era innamorata di lui già da prima,
ma siccome era il mio migliore amico, avevo scambiato ciò che provavo per lui
per amicizia. Mi sembrava che qualcuno stesse attaccando qualcosa di mio, solo mio, e che me lo stesse portando via. Forse lo sentivo
perché ero innamorata di lui, e mi odiavo per questo. Che
senso aveva rovinare un'amicizia che andava avanti ormai da anni? La nostra
amicizia era una delle cose più belle che avevo: non
potevo permettermi di rovinarla o, ancora peggio, di perderla. Avrei sofferto troppo, e probabilmente - quasi sicuramente -
avrebbe sofferto anche lui. Saremmo stati male entrambi. Quindi la cosa
migliore era stringere i denti, e aspettare che mi passasse, anche se non credevo sarebbe stato troppo facile.
"Ehilà!"
Sobbalzai, e la penna mi cadde dalle mani, atterrando su un gradino di marmo
con un tintinnio strano. Strinsi il block-notes al petto, abbracciandolo, e poi
alzai lo sguardo da dove veniva quella voce. Anche se già
conoscevo perfettamente la risposta, ahimé.
Alex scoppiò a ridere. Era in piedi accanto a me, e mi guardava, ridendo.
"Ehm.." balbettai, diventando bordeaux
all'istante, e chinandomi per raccogliere la penna. Lui prese
posto accanto a me, sorridendomi. "Pensierosa, eh?"
Annuii, e posai la penna e il block-notes dentro il mio zaino. Non andava per
niente bene: dovevo comportarmi normalmente, come se nulla fosse. Chissà se
sentiva il mio cuore battere tanto forte?
"Oggi, per farti contenta, non fumo."disse lui, sempre col sorriso sulle labbra, e alzando gli
occhi verso il cielo.
Io mi allontanai un po' da lui, mettendomi i capelli dietro l'orecchio destro.
"Guarda che non devi fare così. E' la tua vita, e se vuoi fumare sono
affari tuoi." dissi. Lui sgranò gli occhi
nocciola, e mi guardò stupito.
"Ma come?!E io già che
t'immaginavo al mio funerale, a dire 'Io l'avevo avvertito, eh!'"
disse, ridendo un'altra volta. Risi anch'io, ma feci spallucce. Ero felice che
le cose, tra di noi, fossero quelle di sempre. Lui
continuò a guardarmi, serio in volto, mentre io giocherellavo nervosamente con
i miei capelli. Improvvisamente mi prese il viso dal mento, e me lo voltò prima
a destra, poi a sinistra, continuando a guardarmi, come se mi stesse studiando
attentamente. Il cuore cominciò ad andarmi velocissimo.
"Forse oggi mi sembri diversa." disse.
Il mio cuore si arrestò.
"Più felice."
Il mio cuore riprese a battere.
Mi scansai, costringendolo a lasciarmi il mento, e alzai di nuovo le spalle.
"Sono normale."osservai,
con un tono vago, non sapendo che rispondere. Il cortile, nel frattempo, aveva
iniziato a riempirsi di studenti. Il suono della campanella era
vicino, lo sapevo.
Alex scosse la testa.
"No, tu non sei normale."disse,
sorridendomi. Dovevo prenderlo come un complimento? Lo era?Se davvero lo era,
non ebbi il tempo di ringraziarlo, perché la campanella suonò.
"Andiamo." dissi, mettendomi lo zaino in spalla, e voltandomi verso
il portone aperto.
***
"L'hai saputo?"
Camminavo lentamente nel lungo corridoio, gremito di studenti, che si
accalcavano per uscire. La ricreazione era una delle parti della giornata che
preferivo.
"Cosa?" chiesi, appoggiandomi al muro, vicino a dei volantini appesi
ordinatamente con del nastro adesivo.
"Fra due settimane è Natale."sorrideva, mentre incrociava le braccia al petto e mi
guardava.
"Lo so. E quindi?" continuai. Non capivo
proprio dove volesse arrivare.
"La scuola sta organizzando una festa d'istituto per Natale." concluse. Venni invasa da una vera e propria ondata di panico.
Le feste d'istituto non erano propriamente la mia prima idea di divertimento.
"E allora? Noi non ci andiamo mai."dissi, rivolgendogli uno sguardo interrogativo. Da quando ero in quel liceo, io e Alex eravamo andati ad una festa
d'istituto solo per una volta. Se potevamo,
preferivamo evitarle accuratamente. "Tanto lo sai come vanno a finire
queste cose," continuai, imperterrita. Mi staccai
dal muro e imboccai velocemente un corridoio, dirigendomi verso un distributore
di merendine "..si balla, si parla, si beve. E poi vedi ragazze in lacrime che sono state mollate, o chi
corre verso il bagno perché è completamente ubriaco!" conclusi, con un
mezzo sorriso. Alex si appoggiò al distributore, dandogli le spalle, e guardandomi
di nuovo. Io infilai alcune monetine nella fessura, e schiacciai alcuni pulsanti, componendo un numero. Con un tonfo, una
merendina fece capolino nella fessura più grande, in basso. Evitavo con
attenzione il suo sguardo.
"Tu non capisci."disse,
serio.
"Cos'altro dovrei capire?"
"Questa è l'occasione giusta per farmi notare da lei!" esclamò.
Corrugai la fronte, e lo guardai. "Una festa non servirà a farla
innamorare di te, Alex. Se vuoi farti notare da lei,
puoi benissimo parlarle anche adesso." 'Ma ti prego, non farlo.'
Lui sbuffò. Scartai la merendina, e gliela porsi per offrigliela.
Lui scosse la testa, così la mangiai. "Non lo so, non ci riesco." disse. "Dammi un consiglio! Tu
sei una ragazza, in fondo, no?"
Mi allontanai, lui continuò a seguirmi. "Grazie per essertene
accorto solo adesso. Comunque, credo che se non le
parlerai, non combinerai mai niente." dissi, un
po' seccata. Doveva piacergli sul serio, allora. Alex era un po' timido, ma di
solito non aveva problemi a rapportarsi con la gente. Specialmente con le
ragazze, poi.
Mi fermai in mezzo al corridoio, semi vuoto perché molti studenti erano fuori
per la ricreazione, e mi posizionai davanti a una
finestra. Il sole era tiepido, ma alcune nuvole non
propriamente candide lo minacciavano. Alex si fece sprofondare le mani in
tasca, e sospirò, guardando fuori. "Ti ricordi quello che mi hai detto
ieri sera? Forse dovresti provarci. Mi sentirei più sicuro, se tu ci
provassi."
Oh, perfetto. Dovevo pure fargli da Cupido. Non avevo nessunissima voglia di
diventare amica di Melissa: mi sembrava proprio il genere di persona che avrei
dovuto evitare. La sera precedente l'avevo detto automaticamente, senza
pensarci, ma adesso non potevo più tirarmi indietro. L'avevo detto, ormai.
Le mie speranze di poter piacere ad Alex erano meno di zero. Sembrava davvero
interessato a Melissa; non l'avevo mai visto comportarsi così per una ragazza.
E magari la mia era solo un' innocente cotta
adolescenziale.. Magari ero l' intralcio di una bellissima storia d'amore. Anche
se questo implicava gettare via i miei sentimenti, e
soffrire in silenzio, per Alex avrei fatto questo e altro. M'importava che
fosse felice.
"Dovete fare il progetto di scienze insieme, no? E' un pretesto per conoscerla, per parlarle."
Alex sorrise.
"Già, hai ragione!" esclamò, raggiante. Io sorrisi debolmente.
Accartocciai l'involucro della merendina ormai finita, e lo gettai in un
cestino lì vicino.
"Quand'è la festa?" chiesi, guardandolo. Era davanti a me, guardava fuori dalla finestra.
"Il 21 dicembre. Pare che sia l'ultimo giorno di scuola prima delle
vacanze Natalizie."rispose,
continuando a guardare fuori, con aria distratta.
"Pochi giorni prima del mio compleanno." osservai,
distogliendo rapidamente lo sguardo. Il 28 dicembre sarebbe
stato il mio compleanno, avrei compiuto sedici anni. Alex li compiva il
3 gennaio. Anche se non sembrava, ero più grande di lui.
"E' vero.. Magari, quel giorno.." Venne interrotto dal suono della campanella. Proprio
quando mi stava dicendo qualcosa d'importante!
"Cosa?" chiesi.
"Niente d'importante."
Il suo sguardo vagò tra gli studenti che rientravano a scuola, dopo la
ricreazione. Sospirai profondamente, e mi allontanai dalla finestra. Avevo il
morale sottoterra, così come la mia autostima. Di certo non ero mai stata
sicura di me stessa, ma questo serviva a scoraggiarmi sempre di più. Sospirai
più e più volte. Mi sentivo come un vuoto proprio all'altezza del petto. Proprio dove prima c'era il mio cuore.
La testa mi girava. Di che cosa avevo
realmente paura? Sì, paura era la parola giusta. Ma cos'era che mi terrorizzava
così tanto? Perdere l'amicizia di Alex?
Fargli del male? Il primo posto nel mio cuore era soltanto per lui: Perché negarlo,
ormai? Avevo paura di scoprire che anche a Melissa lui piaceva? Avevo paura di.. vederlo felice? Mi sentivo uno schifo, era totalmente
egoista da parte mia, ed io non ero assolutamente così. Era solo perché tenevo
ad Alex, troppo. Cosa dovevo fare? Allontanarmi da
Alex, per non farlo soffrire, e per non soffrire io
stessa? No. Era un'idea stupidissima, e naturalmente impensabile. Desidererai
di non essermi mai innamorata di lui: se non fosse successo, la mia vita
sarebbe stata meno complicata, in quel preciso istante.
Qualcuno mi urtò, e io per poco non caddi all'indietro. Barcollai, perdendo
l'equilibro, come se fossi ubriaca. Sbattei più volte le palpebre, svegliandomi
in quel momento, e lasciando perdere i miei pensieri.
Ero in mezzo al corridoio, immobile, in mezzo ad una
folla di studenti che mi spingevano; i quali si trascinavano nelle rispettive
aule. Mi guardai intorno più volte, voltandomi da tutte le parti. Non c'era
traccia di Alex: In due secondi l'avevo perso di
vista. Brontolando, e facendo lunghi e profondi sospiri, mi diressi verso la
mia aula. Entrai, e mi sedetti compostamente al mio banco, mentre anche i miei compagni di classe ritornavano in aula. Alex non c'era.
Possibile che fossi tanto idiota da averlo completamente perso d'occhio in
circa due secondi netti? La mia mente cominciò a vagare. Magari era andato in
bagno. Magari era successo qualcosa. Un'emergenza, forse. Sospirai di nuovo,
tenendo lo sguardo basso, fino a fissarmi le scarpe.
Il professore di geografia entrò nell'aula. Ci alzammo tutti in piedi in segno
di saluto, e dopo qualche secondo il professore ci fece un cenno con la mano,
per indicarci di sederci. Ubbidimmo, come un sol uomo. Io ero preoccupata. Alex
non c'era. Dov'era? Di solito stavamo quasi sempre insieme, quindi queste cose non accadevano mai.
Presi il libro di geografia dallo zaino, e lo posai sul banco. Mi accorsi solo
in quel momento che il cuore mi batteva ancora forte. Era lui che mi faceva questo effetto, o avevo davvero qualcosa al cuore? Tutto
questo, per me, era completamente nuovo e quindi sconosciuto. Perché io non ero mai stata innamorata di qualcuno. Mai. E questo mi faceva una paura folle. Mentre
il professore apriva il suo registro personale, la porta dell'aula si aprì. Io trattenni il respiro.
C'era Alex. Insieme a Melissa. Insieme.
"Ci scusi, professore, ma noi.." iniziò Alex. L'uso del plurale mi sconvolse.
"Sì sì, poche scuse. Sono costretto a mettervi
un ritardo. Sono spiacente, ma la campanella è suonata da già 10 minuti."lo interruppe il professore,
con la fronte corrugata.
Alex sospirò, poi annuì. Melissa stava in piedi
accanto a lui, senza aprir bocca, ma sfoderava un sorriso da pubblicità per
rossetti. Nella speranza di ammorbidire il professore? Forse. Dopotutto, era
abituata ad avere tutto quello che voleva, lei.
"A posto."ordinò
il professore ad Alex e Melissa, facendo un altro cenno con la mano. Alex
ritornò velocemente accanto a me, e anche Melissa ritornò al suo posto, con la sua solita camminata da modella. Era bella quasi da fare
schifo. Scossi la testa, sentendomi diventare le guance ardenti. Poi guardai
Alex, mentre il professore prendeva a spiegare la lezione del giorno, l'America
Meridionale.
Alex sorrideva, e con evidente soddisfazione. allora
m'incuriosii, e diedi una leggera gomitata ad Alex, che si voltò a guardarmi.
"Alex, che è successo?" bisbigliai.
Lui continuò a sorridermi, con lo sguardo basso. "Le ho parlato."
"Bene," mentii, "che vi siete
detti?" chiesi, anche se non volevo sapere la risposta.
"Niente di che. Le ho chiesto se aveva qualche
idea per il progetto. Lei ha detto di no, e che magari possiamo vederci qualche
volta, per decidere assieme."continuava
a sorridere.
"Ah." risposi, senza tono nella voce.
"Stavo pensando.." disse ancora lui, alzando
di poco gli occhi e incrociando il mio sguardo. "Tu, il progetto di
scienze, con chi lo farai?" chiese, sempre con quel maledetto sorriso
sulla faccia. Avrei voluto staccarlo via.
"Ehm.." venni colta alla sprovvista. Ero
troppo presa dal pensiero di Alex, di Melissa, e di
tutto il resto. Non ci avevo completamente pensato.
"Immagino che tu non lo sappia."rispose, secco, anche se il sorriso non era ancora sparito
dal suo viso.
"Immagini bene." commentai, abbassando lo
sguardo. Ero ancora rossa, lo sentivo.
"Dovresti chiederlo a qualcuno. Il lavoro dev'essere fatto a coppie."
Sottolineò pesantemente l'ultima parola, e ciò
m'irritò profondamente.
"Che te ne frega? Tu sei con Melissa." risposi, surriscaldandomi, anche troppo.
Nel preciso istante in cui pronunciai queste parole, me ne pentii amaramente.
Mi morsi forte il labbro inferiore, come quasi a volermi punire per quello che
avevo appena detto. Lui si fece un po’ scuro in volto, e inarcò le
sopracciglia. Lo guardai per un attimo.
"Scusa, è che io.." 'Che io, cosa?' Lui scosse la testa. "No, non ti preoccupare. Lascia
perdere." disse, con un tono di voce che
mi sembrò tranquillo. Sospirò e si voltò verso il professore, come a voler dirmi che la discussione, per lui, era chiusa. Ma per me non
lo era affatto.
***
"Dobbiamo parlare."
Mi afferrò per un braccio, con delicatezza, e mi fece sedere al nostro solito
muretto di fronte alla scuola. Incrociò le gambe e si sedette di fronte a me,
guardandomi con aria piuttosto seria.
"Mi vuoi spiegare che ti succede?" mi chiese. Il suo tono di voce non
era minaccioso. Forse voleva solo sapere come stavano veramente le cose.
"Che cosa?"
"Sai a quel che mi riferisco."
Mi lanciò un'occhiata d'intesa. Io rabbrividii, poi sospirai
profondamente. In fondo, qualche spiegazione gliela dovevo,
anche se non avevo nessuna intenzione di raccontargli tutta la verità. E non
gliel'avrei mai, mai detta.
"Davvero, Alex. Mi dispiace. Io non voglio darti problemi." dissi, torturandomi le mani.
"Perché ti comporti così? Mi pare di esser stato chiaro, ieri sera.
No?"
Continuavo a tenere lo sguardo basso.
"Ho solo paura di perderti."
Seguì una lunga pausa. Io rimasi con gli occhi bassi, non osando alzare
lo sguardo di un solo centimetro. Lui rimase in silenzio. Sentivo solo i
ragazzi che passavano accanto a noi, e nel frattempo mi fissavo le mani. Poi,
lui si chinò un po' per guardarmi negli occhi. Io sobbalzai, e d'istinto
arretrai.. Lui, finalmente, mi sorrise. Mi scostò i
capelli dagli occhi con una mano, mettendomeli dietro l'orecchio. Neanche a dirlo,
arrossi furiosamente.
"Adrienne, sei una scema. Credi davvero che ti abbandonerei?"
Mi pentii di averlo pensato, ma soprattutto, di averlo
detto, anche se lui aveva reagito molto bene. O
almeno, così sembrava. Senza neanche accorgermene, sorrisi: ero di nuovo sicura di avere un'aria da idiota.
"No. Scusami, scusami.."
Mi avvicinai a lui, e per un secondo lo abbracciai. Sciolsi subito l'abbraccio,
imbarazzatissima. Lui rise e mi scompigliò i capelli.
"Non preoccuparti, e soprattutto non pensarci più. Mi raccomando!
Altrimenti, la prossima volta mi arrabbio sul serio."disse, e rise di nuovo.
Questa volta risi anch'io. "E' una promessa?" chiesi.
"No, è una minaccia."
Risi ancora di gusto, sinceramente divertita. Ci fu una breve pausa, poi lui
parlò di nuovo per primo.
"Senti, oggi sei libera?" mi chiese.
Riflettei per un attimo. "Sì, sono sola a casa."risposi, tranquilla.
"Ah. Allora posso venire a casa tua, che dici?" mi chiese ancora.
"Sì, certo. Se vuoi puoi restare ancora a cena,
la casa sarà vuota fino a domani mattina."
Mia madre lavorava in ospedale, quindi in certe giornate era costretta a
rimanere tutto il giorno a lavorare. Mio fratello in alcune giornate stava con
me, in altre se ne stava a dormire da amici. Mio
padre, be', era ancora fuori per lavoro. A me non dispiaceva stare da sola.
Avevo sicuramente tanto tempo per me stessa.
"Accetto molto volentieri. Allora, verso le quattro vengo da te?"
Sorrisi. "Certo. Ci rivediamo più tardi. Ciao!"
Scesi dal muretto con un saltello, e feci ciao-ciao con la mano
mentre mi allontanavo. Lui rimase a guardarmi, seduto sul muretto, e mi
regalò uno splendido sorriso. Mentre tornavo a casa a
piedi, ebbi modo di pensare. Ero preoccupata. Non era assolutamente la prima
volta che passavo la serata con Alex; ma questa volta le
circostanza erano diverse. Sarei riuscita a resistere,
senza lasciarmi scappare nulla, per una sera intera?
***
Alle quattro meno cinque, il citofono suonò. Io, che ero comodamente
seduta sul divano, in salotto, scattai in aria. Mi alzai velocemente, quasi
inciampando sul tappeto, e mi avvicinai al citofono per rispondere.
"Sì?"
"Sono Alex."
Schiacciai il pulsante sulla cornetta. Un rumore metallico mi avvisò che il
portone era stato aperto, quindi mi avviai verso l'ingresso, e aprii la porta.
Mi appoggiai su quest'ultima, aspettando che Alex salisse le scale. Dopo cinque
minuti lo vidi spuntare sul mio pianerottolo,
sfoderando ancora quel sorriso che mi piaceva tanto. Lo squadrai dalla testa ai
piedi, notando perfino cosa indossava. Aveva un paio di jeans chiari, sbiaditi
sulle ginocchia. Indossava anche una maglietta a righe bianche e grigie, e le
solite scarpe da ginnastica. I capelli neri gli ricadevano sul viso,
nascondendogli gli occhi nocciola. Portava lo zaino su una sola spalla, che sobbalzava
ad ogni suo movimento. Arrossii non appena mi fu di fronte.
"Ciao." disse, a voce bassa.
Io sorrisi, e lo spinsi dolcemente dentro casa. "Entra." dissi, e poi chiusi la porta. Ormai lui era completamente a
suo agio, dentro casa mia, dopo tutto quel tempo che ci conoscevamo. Sempre
sorridendo andò verso il salotto, e sprofondò sul divano di pelle.
"Guarda che dobbiamo anche studiare."commentai, facendo capolino sulla porta del salotto. Lui
scoppiò a ridere, mettendosi le mani dietro la testa.
"Al massimo, copierò i tuoi compiti."
Io afferrai un cuscino che era appoggiato su una poltrona lì
vicino, e glielo lanciai, colpendolo dritto in faccia.
"Ehi!" protestò lui, scattando in piedi. Io scoppiai a ridere, e gli
feci una linguaccia.
Lui fece una faccia scandalizzata, e mi raggiunse. Cercai di correre via, ma
lui mi prese per un braccio, cercando di trattenermi. E così inciampai sul tappeto di prima, finendo a terra. Con
lui, sopra di me.
Mi sentii praticamente in trappola, e naturalmente il
mio viso assunse una tonalità di colore che andava sul violetto. Lui era sopra
di me, sì, e rideva, tenendomi stretti i polsi per non farmi andare via. Ma in fondo, che c'era di male? Niente. Non c'era motivo di
essere in imbarazzo, no, no. Eravamo solo due amici che stavano scherzando e
ridendo assieme. Giusto? Così risi anch'io. Poi lui mi lasciò i polsi, e
ritornammo seri. Feci per togliermi da quella scomoda posizione, ma poi
ci ripensai. Mi guardava dritto negli occhi, e aveva un'espressione
indecifrabile. Io sospirai, e ricambiai il suo sguardo. Mi sentivo mancare il
fiato, e il pavimento era incredibilmente freddo, sotto di me. Cominciò a
carezzarmi la guancia con il dorso della mano. Al contrario, le sue mani erano
caldissime. Rabbrividii. Socchiusi gli occhi, perdendomi nel
calore della sua mano, e nella sensazione che mi provocava sentirla sulla mia
guancia. Con il pollice cominciò a sfiorarmi tutto il viso, come se
stesse cercando di memorizzarlo. Le sue dita indugiarono sul mento, vicinissime
alle mie labbra. Mi spostò alcuni ciuffi di capelli dal viso,
lo sentii sospirare. Poi parlò, come se stesse parlando con sé stesso, ad alta voce.
"Lei. Se non ci fosse, io.."
La sua voce era poco più di un sussurro.
Io la sentii, dato che la casa era immersa in un silenzio assoluto, e a queste
parole aprii di scatto gli occhi, ritrovando di nuovo i suoi a fissarmi. Questa
volta lo spinsi di lato, con decisione, e lui si
spostò. Mi alzai in piedi, e velocemente mi imitò,
standomi di fronte. Il cuore mi batteva fortissimo, per l'ennesima volta. Mi
schiarii la voce, ero rossa in volto, lo sapevo.
"Vado in bagno." dissi, per prendere tempo.
"Okay." rispose lui, evitando di guardarmi. Senza aspettare, mi
precipitai in bagno. Appoggiai le mani sul bordo del lavandino, e guardai il
mio riflesso allo specchio.
Mi studiai attentamente. Ero rossa, ancora. La coda con la qualche mi tenevo i capelli era mezza sfatta. I capelli, troppo ricci,
mi ricadevano in maniera scombinata sul viso, sugli occhi. Quest'ultimi erano un po' lucidi. Smisi di fissarmi, e passeggiai
avanti e indietro dentro la stanza, riflettendo. Cosa
voleva dire, Alex? E chi era quella lei, che aveva
pronunciato? Ero io? Tutto era molto strano, sembrava
non avere nessun senso logico. E io ed Alex non ci eravamo
mai comportati così. Non c'era mai stato imbarazzo fra noi. Ma
da quando io ero innamorata di lui, le cose erano cambiate. E
anche lui sembrava cambiato.
Ma perché..?
Al solo pensiero di quello che era successo, prima, arrossi di nuovo. La
sensazione del suo corpo contro il mio.. era qualcosa
di strano, ma di piacevole allo stesso tempo. Non sapevo bene come definirla,
sapevo solo che in quell'attimo mi ero praticamente
sentita.. euforica. Dovevo stare calma, però. In fondo c'era ancora tutto il
pomeriggio, e la sera, da passare insieme a lui.
Uscii dal bagno. Sospirai, come a darmi forza, e ritornai in salotto. Come immaginavo, Alex era seduto sul divano, e aveva appoggiato
il suo zaino sul tavolino di fronte. Non sorrideva, e lo interpretai come un
gesto non troppo incoraggiante.
"Vado a prendere i libri." dissi.
Dopo cinque minuti ritornai in salotto. Aveva i piedi appoggiati sul tavolino,
e sfogliava il libro di geografia.
"Fai come fossi a casa tua, eh." commentai, sarcastica. Lui fece un ghigno.
Presi il mio libro di geografia, e mi accomodai sull'altra estremità del
divano, lontana da lui. Tenevo il libro appoggiato sulle gambe, ed esse strette
al petto. Cadde un silenzio spiacevole. Vedere che lui era così lontano da me,
e che non mi rivolgeva la parola, mi faceva stare malissimo: come se avessi un
buco all'altezza dello stomaco. Senza fargliene accorgere, lo guardai. Aveva la
bocca socchiusa e leggeva, giocherellando con un ciuffo di capelli che gli ricadeva sugli occhi. A quella scena,
sorrisi, finché il suo sguardo incrociò il mio: evidentemente si era sentito
troppo osservato. Sorrisi, imbarazzata, e abbassai
lo sguardo. Poi posai il libro sul tavolino, e strinsi le braccia al petto.
"Non sopporto non parlarti." dissi. Lui
chiuse il libro e lo appoggiò accanto al mio. "Già, neanch'io."
Poi continuò. "Se è per quello che è successo.."
Lo interruppi. "Ma non è successo niente."
Lui sembrò spiazzato dalla mia risposta. "Sì, ehm, già." farfugliò.
Ma infatti, di che mi preoccupavo? Non era successo
niente. A parte quel che aveva detto, che per me era ancora
un mistero. Si avvicinò un po’ a me, accorciando quella distanza che
c'era fra me e lui.
"Mi dispiace, io.." disse,
quando mi fu a pochi centimetri.
Gli appoggiai un dito sulle labbra, zittendolo. "Ma
di che ti scusi? Non mi hai fatto niente, Alex."
Lui sorrise. Prese la mia mano e la strinse fra le sue.
"Adrienne?"
"Sì?"
"Ti voglio bene."
Gli sorrisi di rimando.
"Alessandro?"
"Sì?"
"Anch'io ti voglio bene."
'Più di quanto immagini.'
Sorrise, poi scoppiò a ridere. "Che impressione..Alessandro. Non mi chiami mai così. Mi suona come qualcosa di troppo serio."
"Ma è il tuo nome!"
"Io preferisco Alex."
"Anch'io lo preferisco." dissi. 'In tutti i sensi.'
I giorni seguenti volarono in un batter d'occhio. Le giornate proseguivano
spedite tra compiti e interrogazioni, in viste delle vacanze di Natale e della
chiusura del primo quadrimestre. Per le strade c'era già aria di Natale,
invece. Addobbi dappertutto, abeti ornati di palline e luci nelle piazze, cori
polifonici per le strade che intonavano Jingle Bells e altri canti
natalizi, e infine presepi viventi che venivano organizzati la domenica. E,
soprattutto, un freddo allucinante, tipico di quel periodo dell'anno. Con Alex
andava una meraviglia. Non aveva più nominato Melissa, ma ero sicura che fosse
ancora cotto di lei. Il suo sguardo, quando lei passava davanti a noi, non mi
sfuggiva. Comunque tra di noi le cose erano come sempre: non c'erano stati più
spiacevoli incidenti, equivoci o litigate. Tutto continuò su questa cresta
d'onda, fino a tre giorni prima della festa d'Istituto. Era un giorno
freddissimo, e le nuvole minacciavano pioggia. Io ero triste, senza nessun
motivo. Ero terribilmente meteoropatica, indovinato. Mi strinsi alla mia
sciarpa di lana, che portavo al collo. Quasi tremavo dal freddo. Alex era
accanto a me, aveva la cerniera del giubbotto tutta chiusa, a stento gli si
vedevano gli occhi. Strofinava le mani sulla sull'altra, per riscaldarle,
nonostante portasse i guanti. I suoi guanti erano di lana, neri, tagliati a
metà, e gli lasciavano le dita scoperte. Glieli avevo regalati io quando aveva
compiuto quindici anni.
"Rientriamo, ti prego. Si gela."
Era ricreazione, e avevamo avuto la felice idea di uscire da scuola. Felice
idea, si fa per dire, naturalmente.
"D'accordo, hai ragione." rispose, annuendo con convinzione.
Era ancora presto, ma c'era troppo freddo per poter stare fuori con
tranquillità. Io ed Alex salimmo insieme i gradini di marmo, completamente
ghiacciati per l'umidità, poi lui mi aprì gentilmente il portone e mi lasciò
entrare per prima. Sospirai profondamente, levandomi la sciarpa. Dentro di
stava decisamente meglio, grazie ai riscaldamenti. Alex si tolse il giubbotto e
mi sorrise, seguendomi. Io, naturalmente, ero ancora cotta di lui. Più cercavo
di togliermelo dalla testa, più mi tornava. E più mi piaceva, anche se prima
avevo detto che avrei dovuto lasciarmela passare. Ma oramai mi sembrava
impossibile. Lui era così bello, dolce, gentile, divertente, intelligente,
premuroso. Ero innamorata, sì, e lui si avvicinava tantissimo alla mia idea di
ragazzo ideale. Mi chiedevo spesso per quanto ancora sarebbe durata; ma essere
innamorati era una sensazione fantastica, e io adoravo crogiolarmi in essa.
Finché, la mia attenzione non venne attratta da una figura, in piedi vicino la
finestra del corridoio. Diedi una gomitata al Alex, non staccando gli occhi
dalla figura.
"Alex, ma quella è..?"
Le parole mi morirono in gola.
"Oddio, sì. Vai a parlarle!" esclamò lui, guardandomi.
"Cosa? Io? Ma.."
"Vai!"
"Non so che dirle!"
"Che ne so, inventa!"
Alex mi diede una spinta. Mi avvicinai, maledicendolo mentalmente.
Melissa era appoggiata al muro, con il viso tra le mani. Indossava un delizioso
cappellino di lana, rosa, con un pon-pon colorato in cima, e i liscissimi
capelli biondi le ricadevano ordinatamente sulle spalle, come sempre.
"Ehm.. Melissa?" azzardai, standole a fianco. Mi sentivo un'idiota.
Lei alzò un poco lo sguardo verso me, poi lo distolse subito.
"Ah, sei tu." borbottò.
"Sì, ehm, scusami davvero, se ti sto scocciando.. Ma forse, potevo fare
qualcosa.. per te.."Stavo davvero
offrendo il mio aiuto alla mia rivale? Dovevo essere impazzita, come
minimo. Lei singhiozzò. Evidentemente doveva aver pianto parecchio, infatti
aveva gli occhi un po' rossi, ma era bella da far schifo lo stesso. Poi notai
che tra le mani teneva un cellulare. La sentii sospirare profondamente.
"Il mio ragazzo mi ha lasciata.." biascicò.
"Oh."
Ora sì che mi sentivo un'idiota, non sapevo neanche che avesse un ragazzo. In
effetti, non sapevo poi molto di lei. Però, a vederla così, in lacrime e con
quella espressione triste sul volto perfetto, mi faceva pena.
"Ti prego, se hai bisogno di parlarne con qualcuno, potrei.."
Lei fece un verso a metà tra una risata e uno sbuffo. "Neanche ci
conosciamo."
Il mio cervello lavorò veloce. E in un attimo, feci un pensiero diabolico. Alex
voleva che io diventassi amica di Melissa, per poi avere un modo più semplice
per arrivare a lei. E se io fossi diventata amica di Melissa sul serio? Ma
certo. L'avrei fatto in modo da allontanare Melissa da Alex, per tenerla sotto
controllo. Okay, questo era imbrogliare. E manipolare. Ma ero sicura che
Melissa non fosse affatto adatta per Alex.
Io feci un sorriso. "Potremmo farlo, no?" dissi.
Lei scrollò le spalle. "Lo dici solo perché in questo momento ti faccio
pena."
Scossi la testa. "No, mi piacerebbe sul serio. E non piangere, non ne vale
la pena per chi non ti merita."
Il suo viso si rischiarò appena, e sorrise debolmente. "D-davvero?"
"Pensi che ti prenderei in giro?" In quel momento mi sentii uno
schifo. Io, prendere in giro le persone e usarle per scopi personali? Non era
assolutamente da me. Ma per una volta avevo deciso di fare la cattiva.
Perché volevo Alex per me, solo per me. Ad ogni costo.
"Sai, Adrienne.. Non ho una vera amica.. specialmente a scuola.. non so se
hai notato, ma mi evitano un po' tutti." Annuii. Certo che l'avevo notato.
Tutti la evitavano perché avevano paura di lei.
"Non preoccuparti." le dissi. "Da ora in poi, se hai bisogno di
qualcosa, io sono disponibile."
Ero un'ottima attrice.
Lei, finalmente, sorrise. Aveva dei denti bianchissimi e, naturalmente,
perfetti.
"Grazie.."
"Non c'è di che, Melissa."
"Gli amici mi chiamano Mela."
Amici? Io ero una sua amica..?
Oh, merda.
"Okay.. Mela."
Mi sorrise di nuovo. "Vado in bagno. Devo mettermi un po’ in sesto prima
delle lezioni."
"Certo." sorrisi anch'io.
Se ne andò, facendo ciao-ciao con la mano. E subito venni invasa dai sensi di
colpa.
***
"Forse stiamo diventando amiche."
Alex sorrideva come se avesse vinto alla lotteria. "Aha, ma allora è
fatta!"
Corrugai la fronte. "Sii serio, Alex. Per coltivare un'amicizia, e per
farla crescere, ci vuole molto tempo."
"Sì, lo so. Ma almeno è un inizio."
"Guarda che non lo faccio per te.
"E per chi?"
'Ah, sapessi per chi e perché.'
"Perché voglio davvero diventarle amica. Magari tutti si sbagliano sul suo
conto, sembra gentilissima e simpatica."
"Sì, hai ragione."
Mi morsi la lingua.
"Comunque sono contento. E fra pochi giorni c'è la festa. E' la situazione
giusta."
"Hm. Sì. Ma.." indugiai un attimo, "Vi siete più parlarti, per
il progetto?"
"Due altre volte, ma non per troppo tempo, a dire il vero.." rispose
lui, che nel frattempo era tornato serio.
"Okay. Sono sicura che vi conoscerete meglio, dopo."
"Tu cerca di conoscerla, intanto."
"Ti ho detto che non lo faccio per te, Alex."
Sbuffò sonoramente. "Bella amica che sei, eh."
Il suo commento mi colpì nel profondo, ma mi ripresi subito. "Tu non
preoccuparti."
"E chi si preoccupa?" mi rispose lui, sarcastico.
***
Nei giorni seguenti, Melissa mi stette praticamente appiccata. Ora sapevo che
aveva una sorella minore, che adorava la vaniglia e andare in spiaggia a
nuotare, che il suo segno zodiacale era il capricorno, che il suo compleanno
era il 19 gennaio e che il suo colore preferito era, naturalmente, il rosa.
Melissa era intelligente, ma un po' troppo viziata per i miei gusti. E poi,
accanto a lei, io sfiguravo terribilmente. Lei, truccata, vestita benissimo e
con i capelli sempre in ordine. E poi io, quasi sempre vestita di nero e con
vestiti larghissimi, acqua e sapone, e con i capelli perennemente disordinati.
Io mi piacevo, ma invidiavo un po' Melissa. Non c'era ragazzo che non avesse
una cotta per lei. Perfino Alex ci era cascato, aveva come una sorta di fascino
irresistibile. Una cosa che io e lei avevamo in comune - beh, forse l'unica -
era la loquacità. Eravamo estremamente logorroiche. Per il resto, eravamo i due
esatti opposti. Tra l'altro, mi sentivo malissimo perché non m'importava molto
di lei: avevo organizzato tutto questo per allontanarla da Alex. Nei tre giorni
che seguirono, prima della festa, mi resi conto che passai pochissimo tempo con
Alex, e moltissimo con Melissa. La compagnia di quest'ultima non era poi così
tanto male, ma preferivo certamente il mio migliore amico.
Il pomeriggio del giorno prima della festa, io e lei ci trovavamo sedute in una
panchina delle vie del centro. Mi aveva invitato a fare compre con lei. Io, che
ero al verde, mi ero limitata ad accompagnarla nei negozi e a consigliarla
quando era indecisa su qualcosa. Risultato: aveva già svaligiato quattro
negozi.
"Mamma mia, che freddo!" esclamò, appoggiando i numerosi pacchetti
accanto a sé. Faceva veramente molto freddo. Io mi strinsi meglio alla mia
solita sciarpa colorata.
"Già. Ma almeno siamo in vacanza." dissi, la voce attutita dalla
sciarpa, che portavo fin sotto gli occhi.
Lei annuì. "E domani la festa. Prima non avevo molta voglia di andarci, ma
adesso.."
La suoneria del mio cellulare la interruppe. Sobbalzai, e presi il mio
cellulare dalla tasca dei jeans. Alex mi aveva fatto uno squillo. Sapeva che
passavo del tempo con Melissa, ma non gli dispiaceva; pensava che lo facessi
per lui. In realtà lo facevo per lui, ma per ben altri motivi.
"Chi è?"
Melissa si sporse verso di me prima che io potessi chiudere lo sportellino del
cellulare. Quando mi accorsi che aveva letto, arrossii e lo chiusi di scatto.
"Alex?" chiese, curiosa.
"Alessandro.." precisai, irritata.
"Quel ragazzo carino con cui devo fare il progetto di scienze?"
Non apprezzai il 'carino' per niente. "E' lui, sì. E' il mio migliore
amico."
Lei annuì, comprensiva. "Si vede che siete molto legati, infatti. Da
quanto vi conoscete?"
"Due anni." risposi, secca.
Parlare di Alex con lei mi agitava parecchio. Cominciavo a sudare, nonostante
il freddo pungente. Lei rimase in silenzio per un attimo.
"Sembra carino. Cioè, lo è. Ma oltre a questo, com'è..?"
Risposi quasi automaticamente.
"E' simpatico, intelligente. E' diverso dagli altri ragazzi. E'
divertente, sai. Con lui ci sto bene."
Quando finii di pronunciare quelle parole, mi accorsi con orrore di quello che
avevo appena detto. Cosa stavo facendo? Dovevo allontanarla da Alex, non
parlarle di lui! Ero un'idiota, poco ma sicuro. Dovevo evitare a tutti i costi
di toccare di nuovo quell'argomento. Prima che lei potesse dire qualcosa, mi
alzai da quella panchina gelata.
"Ti va di andare a prendere una cioccolata calda?" chiesi, con il
sorriso migliore che potessi avere.
“Certo!” accettò subito lei, entusiasta. Raccolse i vari pacchetti e si alzò.
Erano troppi per lei, così mi offrii per portarne due. Camminammo insieme per
il marciapiede, in silenzio. La strada era più o meno affollata: la gente
acquistava gli ultimi regali Natalizi. Le vetrine dei negozi erano addobbate
con ghirlande di vischio, agrifogli e campagne; e dappertutto, dominava
l'accostamento del rosso e del verde. Io mi guardavo attorno, osservando la
gente, e ogni tanto buttavo qualche occhiata distratta alle vetrine. Finché una
di queste attirò la mia attenzione.
"Oh, guarda che bella!" esclamai, avvicinandomi. Praticamente
appiccicai il naso contro la vetrina del negozio per guardare meglio, facendo
un alone d'aria sul vetro con il mio respiro caldo. In vetrina era esposta una
meraviglia. Una camicia di lino pesante. Aveva un taglio semplice, quasi
maschile; era abbastanza lunga e larga, di un viola scurissimo, tendeva quasi
al nero. Era semplice ma bella. Il mio occhio cadde sul listino dei prezzi e
per poco non ebbi un infarto. Era carissima!
"Ehi, è davvero bella, hai buon gusto. Perché non entriamo?" disse
Melissa, alle mie spalle. Io ero ancora appiccicata alla vetrina e guardavo
incantata la camicia. Mi voltai per un attimo a guardarla, con uno sguardo
triste.
"Non posso permettermela." dissi a denti stretti. Ammetterlo mi
costava davvero tantissimo.
Lei mi sorrise, comprensiva. "Non c'è problema, Adrienne. Te la compro
io."
Io la guardai stupita. "Cosa? Non posso proprio accettare, scusa."
"Perché?"
"Non saprei quando restituirti i soldi."
Lei fece uno sbuffo. "Ma figurati! Consideralo come un mio regalo di
Natale." e poi mi sorrise, raggiante.
Io rimasi allibita. Immaginavo che, per lei, quella cifra fosse una sciocchezza,
dato che era ricchissima. Era incredibile che accettasse di regalarmi qualcosa
di così costoso dopo solo tre giorni che ci conoscevamo. E per di più io la
stavo prendendo in giro. Mi sentii ancora più male e schifosamente in colpa.
"Sei incredibile." riuscii solo a dire.
Lei fece una risata. Mi prese per mano e mi trascinò dentro il negozio. Dieci
minuti dopo, avevo tra le mani un sacchetto grigio, e dentro c'erala mia camicia. Uscimmo dal negozio,
tutte e due con un sorriso che arrivava da un orecchio all'altro. E prima che
me ne accorgessi, eravamo sedute al tavolino di una cioccolateria, davanti a
due tazze di cioccolata calda.
"Mela, ti devo un favore grandissimo, oltre che i soldi."
Lei continuava a sorridere. "Per il favore, puoi già rimediare da
adesso."
"E come?" chiesi, bevendo quel che rimaneva della mia cioccolata.
"Domani pomeriggio vieni a casa mia. Ci prepariamo insieme per la
festa."
"Hm.." riflettei, "Per te va bene?"
"Certo! Altrimenti non te l'avrei chiesto, no?"
Annuii. "Per me va benissimo."
"Bene!" sorrise, raggiante. Poi mi guardò intensamente negli occhi.
"Vedrai come ti truccherò e pettinerò."
"Cosa?" esclamai, sorpresa.
Scoppiò a ridere. Sembrava divertita. O almeno, era quello che dava a vedere.
"Non ti farò del male, tranquilla."
Mi sfiorò la mano che tenevo appoggiata sul tavolino, e mi sciolsi in un
sorriso. Non dissi niente, e rimanemmo in silenzio per un po'. Poi lei parlò di
nuovo.
"Cosa ti metterai, con la camicia?" Feci spallucce. Non ci avevo
pensato. "Non lo so. I jeans?" suggerii.
"Io avevo pensato a qualcos'altro." mi disse, guardandomi.
"A cosa?"
"Quando verrai a casa mia, lo vedrai."
Finite le cioccolate, ritornammo a casa. Quando fummo di fronte alla mia, la
ringraziai di nuovo per la camicia.
"Dai, piantala. Non c'è di che, sul serio." disse lei.
"Presto ti restituirò i soldi, te lo prometto."
"Ho detto che è un regalo di Natale, Adrienne!" scoppiò a ridere.
A questo punto risi anch'io. Mi stavo rendendo conto che era impossibile odiare
quella ragazza. Era disponibile e gentile, sì. I ragazzi della scuola - me
compresa, forse, l' avevano giudicata un po’ troppo in fretta. Mi dimenticai
che era la mia rivale, mi dimenticai che ad Alex piaceva. Non avevo mai
provato la sensazione di avere un'amica. Certo, Alex era il mio migliore amico.
Ma era un ragazzo, era una cosa un po’ diversa. Mi stavo davvero affezionando a
Melissa? Mi chiesi se era soltanto perché mi aveva comprato quella splendida
camicia e perché la invidiavo tanto. No, non era assolutamente così.
"Sono felice di essermi imbattuta in te. Di averti conosciuta." mi
rivolse uno dei suoi sorrisi d'angelo. Sorrisi anch'io, come per ringraziarla.
Poi mi abbracciò stretta, poggiando la testa sulla mia spalla. Era adorabile.
"Ti voglio bene, Adri." disse.
"Anch'io." le risposi.
E stavolta, non mentivo affatto.
***
Quando fui in camera mia, da sola, mi provai la camicia. Mi stava a pennello.
Mi ammirai più e più volte, studiandomi attentamente nello specchio ovale di
legno. Avere quella camicia addosso mi faceva sentire un'altra, anche se non
sapevo perché. Mentre appendevo con cura la camicia dentro l'armadio per
evitare che si sgualcisse, il cellulare squillò. Era Alex.
"Ehilà, Adrienne! Come stai?" mi salutò allegramente.
Sentii un brivido passarmi sulla schiena quando pronunciò il mio nome.
"Tutto bene. Tu?"
"Non c'è male. Ti sei divertita con Melissa..?"
"Sì, molto." le parole mi uscirono da sole, e sorrisi. Ero sicura che
anche lui stesse sorridendo. "Domani c'è la festa. Di pomeriggio ci
vediamo?"
"No, scusa, non posso. Melissa mi ha invitato a casa sua."
"Ah." rispose, piatto. "Avevo voglia di vederti." aggiunse.
In quel momento mi venne voglia di disdire l'appuntamento con Melissa, ma non
lo feci.
"Dai, ci vediamo là."
"Certo. A domani allora."
"Buonanotte, Alex."
"'Notte.."
Riattaccai. Aveva voglia di vedermi. Avevo la camicia. Sorrisi, buttandomi a
pancia in giù sul letto.
Il grande giorno arrivò. Mi svegliai tardi, tranquillamente. Ero totalmente
rilassata e felice. E probabilmente libera da qualsiasi pensiero intelligente,
ma a me andava bene così. Anche Edoardo, il mio fratello maggiore, lo era.
Quando scesi per la colazione, lo trovai spaparanzato sul divano del salotto,
che guardava la televisione.
"Buongiorno." salutai. Ero particolarmente in vena, quella mattina.
"Ciao." disse, non staccando gli occhi dalla tv, poi si voltò a
guardarmi. "Stasera vieni alla festa?" mi chiese. Io feci di sì con
la testa. "Ti serve un passaggio?"
Tanta gentilezza mi stupì. "No, grazie."
La madre di Melissa ci avrebbe accompagnato in auto. Invece la mia, quella
mattina, era ancora in ospedale. Mi intristii un po'. Mia madre lavorava
sempre, se quella sera fosse ritornata a casa mi sarebbe piaciuto darle una
mano, tenerle compagnia; anche se lei mi aveva raccomandato di uscire e
divertirmi, quella sera. Mentre preparavo la colazione per me e mio fratello,
pensai ad Alex. Già non vedevo l'ora di rivederlo. Ero sicura che mi sarei
divertita tantissimo, anche se avevo dei dubbi riguardo ad un'altra cosa.
Adesso io volevo bene a Melissa.. E certo, volevo bene ad Alex. Ma cosa dovevo
fare, se lui avesse davvero voluto conoscerla meglio, quella sera? Forse..
avrei dovuto mettermi sul serio da parte. Così optai per quella scelta, che in
quel momento mi sembrava la migliore. E poi, pensandoci bene, era l'unica che
avevo.
***
Quella che avevo davanti a me non era una casa, ma era una vera e propria
reggia. Pensai che anche questo termine era poco per definirla. Una villa a tre
piani, con giardino all'inglese, curatissimo, e con una piscina.
Melissa era decisamente ricca. Mi chiesi dove la sua famiglia prendesse
tanti soldi, ma non sapevo ancora che lavoro facessero i suoi genitori, però.
Suonai al citofono, e dopo cinque secondi, la voce di Melissa mi rispose.
"Entra!"
Il cancello di ferro battuto si aprì accanto a me. Prima di arrivare davanti
casa, dovevo attraversare un lunghissimo vialetto di pietra, fra il giardino di
un'erba verdissima ed estremamente curata. Cominciai ad imboccare il vialetto.
C'erano un sacco di fiori bellissimi, tra cui delle rose bianche che attirarono
particolarmente la mia attenzione. Adoravo le rose, specialmente quelle
bianche: erano il mio fiore preferito.
Alzai lo sguardo sulla villa. Era dipinta di bianco, con le finestre di un
legno scuro, come il tetto. All'ultimo piano c'era una terrazza. Provai un moto
d'invidia per Melissa, ma mi passò quasi subito, anche se pensai che fosse
un'ingiustizia: c'era chi aveva tutto e chi niente. A metà strada, vidi la
porta d'ingresso aprirsi. Era, naturalmente, Melissa che mi salutava con la
mano. Affrettai il passo, e mi avvicinai a lei.
"Ciao!" mi salutò.
"Ciao! Bella casa!" dissi con un sorriso.
"Grazie."
E già m'immaginavo l'interno. La casa di Melissa aveva all'incirca venticinque
stanze. Quattro bagni, una miriade di salotti e stanze da letto. Mi sentivo
come dentro la casa di una celebrità, come quelle che vengono presentate in
quei show alla televisione. Quasi tutte le stanze erano decorate con eleganti
arazzi persiani, quadri neorealisti, vasi pieni di mazzi di fiori e piatti con
dentro vari cioccolatini. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua, in mezzo a tutta
quella eleganza, cosa che per me era sconosciuta. Melissa non parve
accorgersene, perché con tranquillità mi trascinò dentro la sua stanza, che si
trovava al primo piano. Dopo aver salito delle scale a chiocciola, aprì la
porta della prima camera, a destra. La sua stanza era semplicemente bellissima.
Aveva le pareti dipinte di viola chiaro, e al soffitto c'erano attaccate una
miriade di stelle fosforescenti. Le tende della finestra erano zebrate, e
l'armadio, il letto e la scrivania e gli altri mobili erano neri. Sulla
scrivania c'erano un sacco di libri: non sapevo che a Melissa piacesse leggere.
Aveva un computer, la televisione e uno stereo, con una larghissima collezione
di CD.. naturalmente tutti originali.
"Uao!" riuscii solo ad esclamare, non appena fui entrata. Lei rise
per la mia reazione. "Dai! Fai come fossi a casa tua."
Ripresi un contegno. Mi levai lo zaino e lo posai sul letto, e mi sedetti
tranquillamente su di esso. Lei gironzolava per la stanza, con un mega sorriso
sul volto, chiacchierando amabilmente. Ero felice di essere venuta lì. E poi,
chissà che aveva in mente. Melissa aprì l'armadio, io la guardai. Finché si
voltò verso di me, sorridendo ancora.
"Vuoi vedere cosa avevo in programma per te?" mi chiese. Io annuii,
curiosa.
Posò un indumento sul letto, accanto a me. Era una gonna di jeans, nera, a
pieghe, non troppo corta. Era stupenda, anche se praticamente non portavo una
gonna da quando avevo 8 anni.
"E' bella!" dissi, alzandola per poterla guardare meglio. "Ma
non so se sarei capace di mettermela."
"Perché? Secondo me starai benissimo!"
Alzai le spalle. "Bah, se lo dici tu." In realtà, avevo paura di
sembrare ridicola.
Lei sorrise. "Senti, mangiamo qualcosa, tanto c'è ancora tempo. Che ne
pensi? E poi ci prepariamo." propose.
Lasciai andare la gonna sul letto. "Ma certo." risposi.
Quella ragazza era sorprendente. Era perfetta, sì, ma non mi faceva più paura.
***
Dopo una merenda nutriente, risalimmo in camera di Melissa.
"E adesso," disse, "ci facciamo belle."
Cominciammo a cambiarci. Prima lo fece lei: indossò un paio di jeans
chiarissimi, e poi un maglioncino bianco, con delle minuscole perline qua e là,
che sembravano splendere. Si raccolse i capelli in uno chignon dietro la testa,
e li fermò con un piccolo fermaglio a forma di fiore, color panna. Stava
benissimo, e sembrava splendere lei stessa insieme al suo maglione.
Dopo venne il mio turno. Indossai la camicia e la gonna di Melissa, poi mi
ammirai nello specchio dietro la porta. La camicia mi stava benissimo, e la
gonna non era niente male. Insieme, faceva un bell'effetto, e poi, ero vestita
in maniera adatta per l'occasione: né troppo elegante, né troppo trasandata. E,
stranamente, mi sentivo a mio agio anche se avevo un po’ di difficoltà nel
camminare. Dopo di che, mi fece sedere e cominciò a lavorare sui miei capelli.
Ci passò qualcosa, e li fece magicamente sgonfiare, dato che di solito i
capelli ricci tendono a gonfiarsi da soli. Poi me li raccolse in un'unica,
lunga treccia. Mi sentivo un'altra, e nel frattempo non smettevo più di ringraziarla.
Vidi dei cosmetici, sopra la sua scrivania, e li indicai.
"Tu non hai bisogno di quelli." disse, serissima.
Io feci una faccia scandalizzata.
"Che cosa?" chiesi.
Lei ridacchiò. "Dico sul serio. Hai degli occhi stupendi.. sei bella già
così."
Quasi non potevo credere alle mie orecchie. Io, bella? E detto da lei, che era
considerata una delle ragazze più belle dell'intero istituto? Individuò di
nuovo la mia espressione incredula, e scoppiò a ridere.
"Posso passarti qualcosa metterti in risalto il verde dei tuoi
occhi." disse alla fine.
Prese una matita per gli occhi, nera. Dopo varie false partenze interrotte da
molte mie risatine, riuscì a mettermi la matita negli occhi. Mi guardai allo
specchio. Era vero! Avevo uno sguardo molto più intenso. E per di più, la mia
autostima era a mille. Mi sentivo bellissima. E guardarsi allo specchio e
vedersi belle, è una delle cose migliori per una ragazza.
"Sei pronta per la grande serata?" mi chiese Melissa, raggiungendomi
al mio fianco.
Io annuii, guardando il suo riflesso. "Certamente."
Allora mi prese a braccetto, ridendo.
"Andiamo! Dai, che faremo conquiste!"
Risi anch'io. "Ma certo! Tanto che entreremo in sala e si gireranno tutti
a guardarci!"
"A parte gli scherzi," continuava a ridacchiare, "magari un ragazzo
ti inviterà a ballare."
Sorrisi. "E magari, lo bacerò."
***
Alle otto e mezza, ero di fronte la scuola. La festa si sarebbe svolta a
quell'ora, in palestra. Io mi sentivo elettrizzata, avevo come una scarica di
adrenalina in corpo. La madre di Melissa ci aveva accompagnato in auto, e ora
stava raccomandando Melissa di comportarsi bene.
"E non bere alcolici!" esclamò sua madre.
Quest'ultima assomigliava moltissimo alla figlia. Aveva gli stessi occhi
azzurri e gli stessi capelli biondissimi. Era solo un po' più alta di lei, e
naturalmente meno giovane.
"Sì, mamma, lo so." rispose seccata Melissa, sbuffando sonoramente.
"E per qualsiasi cosa, chiamami al cellulare. Hai capito?"
Melissa annuì, sempre con un'espressione scioccata sul volto. Poi sua madre si
rivolse a me.
"Beh, Adrienne, divertiti anche tu. E stà attenta a mia figlia, le piace
infrangere le regole."
Io feci uno dei miei migliori sorrisi.
"Certamente," lanciai un'occhiata a Melissa, che mi guardò
biecamente, "è un piacere averla conosciuta, signora. E grazie di
tutto." aggiunsi, con la massima gentilezza. Sua madre mi fece un sorriso
a trentadue denti. Io e Melissa scendemmo dall'auto, fermandoci sul marciapiede
davanti ai cancelli. Attorno a noi c'erano altri ragazzi che andavano alla festa.
L'adrenalina continuava a scorrermi nelle vene, imperterrita.
La madre di Melissa ci lanciò un'occhiata e un'ultima raccomandazione, poi se
ne andò.
"Andiamo?" mi chiese, voltandosi verso i cancelli, che erano
socchiusi.
"Sì!" dissi soltanto. Mi mancava il fiato.
Entrai a scuola con Melissa al mio fianco. E prima che me ne accorgessi, entrai
in palestra. Per entrare nella pista da ballo - che in realtà era un campo da
pallavolo con dei canestri di basket alle due estremità del campo-, era
necessario attraversare degli infiniti e lunghissimi tendoni di plastica, che
erano tagliati a metà per facilitare il passaggio delle persone. Poi,
finalmente, io e Melissa arrivammo al centro della festa.
Il campo era completamente gremito di adolescenti esaltati: la maggior parte di
loro ballava, a ritmo di una musica suonata da un gruppo, che si era sistemato
su un palchetto montato alla bell'e meglio, ad un lato della sala. La band era
composta da un cantante, un chitarrista, un bassista e un batterista. Tutti e
quattro portavano rigorosamente una maglietta nera a maniche corte. Li
osservai, attratta dal modo in cui si muovevano e dalla facilità con cui
suonavano i loro strumenti; mi sembravano bravissimi. Il batterista muoveva
così velocemente le due bacchette che per un attimo temetti che gli sarebbero
scappate di mano e che avrebbe cavato gli occhi a qualcuno: ma fortunatamente
non accadde. Mi voltai a guadare il resto della sala. Dappertutto erano appesi
neon colorati, luci stroboscopiche e quelle che sembravano fili di luci per gli
alberi di Natale. Erano stati messi per fare un po' di luce, dato che la sala
era in penombra, e per creare una sorta di atmosfera. In un muro, invece, sotto
uno striscione colorato, erano stati appesi grandi e innumerevoli specchi, che
davano l'illusione che la pista fosse ancora più grande. Trovai che, chiunque
avesse organizzato la festa, avesse fatto un bel lavoro. Dopo un'infinità di
tempo, mi voltai verso Melissa. Lei stava guardando la folla di persone; mi
sembrava che avesse uno sguardo un po' spaesato. In effetti, neanch'io avevo
ancora individuato qualcuno che conoscevo. Mi chiesi dove fosse Alex, avevo
paura di non beccarlo quella sera; e io volevo assolutamente vederlo. Al solo
pensiero, mi sentii un groppo in gola. Anche Melissa si voltò verso di me e mi
fece un timido sorriso.
"Andiamo un po’ in giro? Magari becchiamo qualcuno della nostra
classe." disse.
Io annuii. Lei cominciò ad avanzare e a farsi spazio tra la folla di ragazzi.
Senza dire niente, la seguii.
Cominciai a sentirmi in imbarazzo. Dappertutto c'erano ragazze bellissime che
ballavano in modo aggraziato e a ritmo della musica. E io? Sarei risultata
semplicemente ridicola? Certo che, per farmi mille paranoie, ero davvero molto
abile. Cosa stavo facendo? Avrei dovuto sciogliermi, ballare spensierata,
divertirmi. E invece scoprii di avere il viso incandescente e di sentirmi poco
a mio agio. Mi odiavo per questo, ero una stupida.
"Visto qualcuno?" mi chiese all'improvviso Melissa.
"No." risposi semplicemente.
Eravamo al centro esatto della pista da ballo. Attorno a noi c'erano tantissime
persone che ballavano e ci spingevano. Sembrava di essere ad un concerto, o
ancora meglio, allo stadio. Le luci stroboscopiche mi andavano in faccia e mi
davano fastidio
"Balliamo, allora, dai!" esclamò allegramente Melissa, prendendomi
entrambe le mani.
"Ehm, Mela. C'è qualcosa che tu dovresti sapere." balbettai,
stringendole a mia volta le mani.
"Cosa c'è?" mi chiese, incuriosita.
"Temo di non saper ballare.." dissi alla fine, sospirando sonoramente.
Lei scoppiò a ridere, e per un attimo ci rimasi male. "Beh, neanch'io so
ballare, Adri. Il segreto è lasciarsi andare, e soprattutto divertirsi."
fece una pausa, in cui mi sorrise. "Immagina di essere.. che so, ad
esempio, da sola nella tua stanza. Funziona!" continuò, incoraggiandomi.
Almeno adesso mi sentivo un po’ meglio, ad averlo detto a qualcuno. Sospirai,
le feci un sorriso incerto, e mi diede una spinta amichevole.
"Dai! Tanto nessuno sta qui a giudicarti: non pensarci!" disse
ancora.
"Ci proverò."
Melissa teneva ancora le mani strette alle mie, e io non avevo intenzione di
lasciarle. Quella ragazza mi metteva allegria. E mi faceva sentire come
intoccabile. Al sicuro. E le volevo bene.. era incredibile come in poco tempo
il mio giudizio su di lei fosse cambiato.
"Allora balliamo!" ripeté lei.
Mi lasciò le mani e cominciò a muoversi accanto a me, portando le braccia in
alto. Come immaginavo, anche lei era bravissima a ballare.Piano piano cominciai a muovermi anch'io. Mai
come in quel momento desideravo essere più spigliata, più disinvolta, proprio
come Melissa. Ma ero terribilmente timida. E rossa.
Melissa mi prese di nuovo una mano, e ballammo assieme. Mi ero completamente
sciolta, con lei al mio fianco, e capii davvero che con lei ero più sicura ed intoccabile.
Le persone attorno a me mi spingevano, ma non m'importava: continuavo a ballare
e a ridere. Mi stavo divertendo. Ballai senza fermarmi per quattro balli
consecutivi, finché mi sentii accaldata e con la gola secca. Melissa era ancora
nel pieno della forze, così le disse che andavo a prendere qualcosa da bere, al
bancone vicino l'entrata. Dopo aver impiegato mezz'ora per uscire dalla folla
di ragazzi, raggiunsi finalmente il piccolo buffet, allestito in un lungo
tavolo vicino all'entrata della palestra. Presi da bere, e bevvi tutto d'un
fiato. Ero troppo accaldata, mi girava la testa.
Dopo aver bevuto, decisi di ritornare da Melissa. Impiegai un'altra mezz'ora
per attraversare la folla nella sala, quando vidi la mia amica ballare con un
ragazzo. Il mio buonsenso mi disse che era meglio non disturbarla, così feci
dietro-front. Mi sentivo un po’ abbandonata, e tra l'altro non stavo bene.
Allora mi venne in mente un'idea che sicuramente mi avrebbe fatto stare un po’
meglio: decisi di uscire dalla palestra, l'aria lì dentro era troppo viziata.
Stare un po’ all'aria aperta mi avrebbe fatto stare meglio, sì. Così mi diressi
svelta verso le porte della palestra. Non appena appoggiai la mano alla
maniglia, qualcuno appoggiò la sua mano sulla mia spalla. Mi voltai di scatto.
"Ehi!" esclamai, strattonando quel qualcuno, che aveva preso a
stringermi la spalla così forte da farmi del male. Alex mi prese per entrambi i
polsi, sorridendomi e guardandomi negli occhi. Il suo sguardo bastò per farmi
calmare, in meno di due secondi.
"Alex!" esclamai, diventando color porpora all'instante, "mi hai
fatto prendere un colpo, maledizione!"
Lui scoppiò a ridere. La sua risata era così piena di calore, così perfetta,
che quasi il cuore mi schizzò fuori dal petto per l'emozione. Mi fece fare un
giro su me stessa, tenendomi per il polso destro.
"Adrienne! Sei proprio tu?" chiese, allontanandosi un po' e
squadrandomi dalla testa ai piedi. Mi sentivo morire dall'imbarazzo.
"E chi altro dovrei essere?" esclamai, forse con un po’ troppa
violenza.
"Mamma mia, calmati!" disse, ridendo di nuovo, "volevo solo
dirti che non sei niente male, sei splendida!"
Rettifico, ora morivo dall'imbarazzo.
"Grazie." bisbigliai, e lo guardai anch'io. Beh, neanche lui era
niente male. Ma del resto lui stava sempre benissimo, almeno per me. Alex
portava dei jeans larghi a vita bassa, strappati sulle ginocchia, e una camicia
nera svoltata fino ai gomiti. E poi, i suoi capelli lunghi, che io adoravo, che
gli facevano intravedere gli occhi. "Neanche tu sei tanto male."
dissi, incrociando le braccia al petto e voltandomi di lato.
Sorrise. "Grazie, anche se lo sapevo già." scherzò.
Io gli feci una linguaccia, poi lui riprese a parlare.
"Allora, che stavi facendo?" chiese.
"Stavo uscendo." risposi.
"Come, perché? E poi nessun ragazzo ti ha già invitato a ballare?"
Cercai di deglutire, ma non ci riuscii.
"Non sto molto bene. Mi sento come mancare l'aria." dissi, decidendo
di sorvolare sull'ultima sua domanda.
Lui annuì. "Dai, ti accompagno. Così magari mi fumo una sigaretta."
Mi venne voglia di dargli uno schiaffo, ma pensai che scherzasse. Mi spinse
dolcemente verso l'uscita, mentre con una mano mi apriva la porta. Mi seguì per
il corridoio, finché non uscimmo nel cortile della scuola. L'aria fresca della
notte mi colpiva dritta in faccia; e come avevo immaginato, mi faceva sentire
un po’ meglio. Respirai a pieni polmoni. Alex si sedette su uno scalino di
marmo, così lo imitai.
Purtroppo non scherzava affatto: come al solito frugò nella tasca dei jeans,
estraendone una sigaretta e un accendino. Io lo guardai severamente, mentre le
forze cominciavano a ritornarmi.
"Alex, sei un idiota." gli dissi.
Mentre lui inspirava il fumo dalla sigaretta, mi guardò e mi sorrise.
"Ah, finalmente sei tornata in te."
"Che intendi?" chiesi.
Teneva la sigaretta mezza consumata tra l'indice e il medio, portandola di
tanto in tanto alle labbra e rilasciando il fumo in aria.
"Ti preferisco quando mi rimproveri perché fumo." disse, continuando
a sorridere.
"Meglio così, perché continuerò a farlo finché non smetterai di
fumare." dissi, accigliata.
Lui scoppiò a ridere, poi gettò la sigaretta a terra e come al solito la spense
schiacciandola con un piede.
"Aspettami qui." disse, alzandosi in piedi.
"D'accordo." risposi, facendo spallucce. Se ne andò, e dopo cinque
minuti ritornò da me con due bottiglie di vetro in mano.
"Che cos'è?" chiesi, cominciando a preoccuparmi, quando tornò a
sedersi al mio fianco.
Mi diede una bottiglia, che era ghiacciata. Sorrise, e poi bevve un sorso dalla
sua bottiglia. Io annusai la mia. Riconobbi subito l'odore: birra.
"Perché quella faccia? Non ti piace?" mi chiese lui, bevendo un altro
sorso.
Io lo guardai, quasi terrorizzata.
"Non.. non l'ho mai bevuta." ammisi, abbassando subito lo sguardo.
Lui ridacchiò.
"Be', e allora? Assaggiala." mi invitò, alzandomi il viso verso di
lui, prendendomi dal mento.
Lo guardai, e dopo aver realizzato che mi teneva per il mento, mi scostai
leggermente, cercando di non arrossire. Mi schiarii la voce, poi guardai la bottiglia
che ancora stringevo nella mano destra. Senza rifletterci un attimo, avvicinai
la bottiglia alle labbra e bevvi anch'io un sorso. Sentii una cosa fredda e
amara nella gola. Stranamente, mi piaceva. Bevvi ancora, mi sentivo la gola
fresca. Dava una sensazione stranissima.
Senza accorgermene, ne feci fuori metà bottiglia. Quando mi staccai dalla
bottiglia, guardai Alex. Mi guardava con occhi stupiti e divertiti allo stesso
tempo. Fare un gesto insensato non era da me: ero troppo riflessiva. Ma quella
sera mi andava così. Anzi, non sapevo bene quel che mi stava succedendo, e né
quello che stavo facendo. Però con lui, ero al settimo cielo, ed ogni cosa era
diversa ed eccitante.
"Allora?" mi chiese Alex.
"E' buona, mi piace." risposi.
Bevvi ancora.
"Vedi quante cose ti insegno? Dovresti darmi più retta. Sono sicuro che se
provassi a fumare, ti piacerebbe anche quello." osservò, ridendo.
"Ne dubito, Alex."
Rimanemmo un po' in silenzio, finendo insieme le nostre bottiglie.
"Rientriamo? Mi sento meglio." dissi dopo un po'. In realtà mi girava
la testa, ma di poco.
"Certo." rispose.
Ritornammo in palestra, che era sempre affollata e calda.
"Allora.. balliamo?" mi propose Alex, sussurrandomi all'orecchio. Io
annuii, accettando.
Questa volta non ebbi problemi a ballare tra la folla, ma anzi trascinai Alex
con me. Ballavo, ad occhi chiusi e sorridendo, accanto ad Alex, lasciandomi
trasportare dalla musica. Adesso mi stavo decisamente godendo la festa. Ed ad
ogni pausa tra un ballo e l'altro, bevevo una bottiglia. Ci avevo presto gusto,
forse troppo, e la cosa peggiore era che non riuscivo più a fermarmi. Dopo
svariati balli, ero arrivata a quota 4 bottiglie. Alex a 6. Ora la testa mi
girava tantissimo, ma ero felice perché c'era Alex che ballava accanto a me, e
perché avevo completamente dimenticato l'imbarazzo e l'ansia mentre ballavo, chissà
perché. Ero euforica, decisamente.
Finché, barcollai e mi gettai su Alex, nel bel mezzo della pista. Non avevo più
equilibro, e la stanza praticamente girava attorno a me.
"Adrienne!" esclamò lui, "cavolo, stai bene?" mi prese per
entrambe le mani.
"Hm.." mormorai, "Mi gira la testa.". Mi portai una mano
sulla fronte, ero caldissima.
"Vieni, andiamo a sederci." disse.
Mi mise un braccio attorno alla vita, e praticamente mi trascinò fuori dalla
folla. Mi portò ad un lato della sala, dove c'erano delle sedie, che prima non
avevo notato. Mi sedetti su una di queste, e lui si sedette accanto a me,
poggiandomi una mano sul ginocchio e guardandomi intensamente. Sembrava
preoccupato. In fondo, ero mezza svenuta fra le sue braccia.
"Non sei abituata a bere così. Non avrei dovuto.." disse, con un tono
dispiaciutissimo. Forse si sentiva in colpa.
Lo guardai, scuotendo piano la testa.
"No, Alex. Non è per quello.. sto benissimo. E' solo che muoio di
caldo." mentii, creandomi aria sul viso, agitando una mano.
In realtà sapevo benissimo che era esattamente per quello. Ma non volevo far
capire ad Alex che non avevo mai bevuto, che non riuscivo a reggere tutte
quelle bottiglie, o chissà che. Ero ubriaca? Domanda retorica.
L'alcol mi aveva dato alla testa, ma per sentirmi come lui, e forse un po' come
tutti, avevo continuato a bere. In fondo, era anche divertente farlo, ma
non sapevo a quel che andavo incontro.
"Va bene. Però rimaniamo un po' qui, d'accordo?" La sua mano passò
dal mio ginocchio al mio viso, accarezzandomelo. Capii di aver perso il
controllo di me stessa, quando appoggiai la mano sopra la sua, la presi, e la
strinsi con la mia. E, cosa importante, non arrossii. Lui mi sorrise, e io ridacchiai
senza motivo. Rimanemmo un po' là a chiacchierare, di tutto e di niente.E io, persi il conto delle bottiglie che
bevvi, nonostante mi sforzassi di tenerlo, ma per me in quel momento contava
solo Alex. Ad un certo punto, il gruppo cominciò a suonare una canzone per me
familiare. Don't cry, dei Guns'n'Roses, un gruppo rock degli anni '80.
"Uh, che bella questa!" esclamai.
Lui mi guardò intensamente, poi si alzò in piedi di fronte a me.
"Mi concederesti questo ballo?" mi chiese, con un sorriso splendido,
porgendomi la mano.
Gli sorrisi anch'io, e presi la sua mano, alzandomi. "Con piacere."
L'idea di ballare con lui mi elettrizzava parecchio. Tenendomi per mano, mi
portò ad un lato della pista da ballo, lontano dal palco. Mi accorsi che la
sala era più in penombra di prima, e che ogni tanto qualche luce bianca e rossa
veniva ad illuminarci. Adoravo quella canzone. Mia madre me la faceva ascoltare
sempre, e io avevo imparato ad apprezzarla. Guardai Alex dritto negli occhi,
mentre teneva ancora la mia mano stretta alla sua. Forse aveva paura che lo
lasciassi, o che quasi svenissi di nuovo proprio sotto i suoi occhi.
Mi spinse verso di sé, con delicatezza, continuando a stringermi la mano. 'Talk
tome softly, there'ssomething in youreyes.' Il cantante della band cominciò a
cantare. Io rabbrividii, quando mi cinse la vita con un braccio, mentre l'altra
mano teneva ancora la mia. Appoggiai la mano libera sulla sua spalla. I nostri
corpi erano vicinissimi, quasi si sfioravano. Continuava a guardarmi negli occhi,
con un'espressione serissima sul volto.
'Somethin's changin' inside you, and don't you know.'
In quel momento le parole di quella canzone mi sembravano perfette. Tutti e due
cominciammo a ballare, con estrema lentezza, e ondeggiando leggermente. La vicinanza
con lui mi agitava tantissimo, ma allo stesso tempo mi faceva stare bene.
Alex.. il mio migliore amico. Nelle ultime settimane era diventato peggio di
una droga. Ed era così, io ne ero drogata. Bastava sentire o leggere il suo
nome, per entrare in iperventilazione. E il suo tocco su di me, mi riempiva, mi
inebriava, mi rendeva felice. Proprio come in quel momento. Ero felice,
terribilmente, e mi stavo drogando sempre di più di lui. Ma la droga non faceva
bene, e io lo sapevo, ma non volevo ammetterlo. 'Don't
you cry tonight, I still love you, baby.' Ero drogata dei suoi occhi, delle sue
mani, dei suoi capelli. Mi piaceva tutto di lui.
Io.. io l'amavo. Non avevo amato nessuno prima di lui, e una parte di me spesso
mi ripeteva che non sarei mai stata capace di amare qualcun altro, dopo di lui. 'There's
a heaven above you, baby. And don't you cry, tonight.' Io e lui continuavamo a ballare insieme,
stretti l'un l'altra. A me girava ancora la testa, e avevo un fortissimo senso
di nausea, ma in quel momento non me ne importava nulla. Ero tra le braccia di
Alex, cos'altro avrebbe dovuto importarmi? Con lui, che sembrava un angelo
venuto da chissà dove, stavo più che bene. Lui aveva le ali. Se stavo con lui,
avrei potuto volare e arrivare a toccare il cielo con un dito.
'Give me a whisper..'
Appoggiai la testa sulla sua spalla, abbracciandolo. Avevo una paura tremenda
di perderlo, ancora, ma più che altro avevo paura che tutto quello finisse. E
sapere che era lì con me, mi rassicurava. Adesso il mio corpo era contro il
suo. Sembrava aderire perfettamente, e tornai ad arrossire un po'. Si allontanò
un po' da me, per guardarmi, ma subito mi abbracciò anche lui, tenendomi
davvero stretta fra le sue braccia. Ed era proprio quello che volevo: che mi
tenesse stretta e legata a lui, sempre.
"Adrienne.." mi sussurrò, ma non continuò, e io non avevo il coraggio
di chiedergli cosa volesse dirmi.
'...and give me a sigh.'
Sospirai profondamente, lasciandolo andare. All'improvviso lui mi prese per una
mano, e mi fece fare una piccola giravolta su me stessa, per poi avvicinarmi
nuovamente a lui. Io sorridevo, felice e spensierata. Attorno a me non c'era
più niente. C'era solo lui, e quelle note, e quelle parole, così dolci e
perfette. Stavo per toccare il cielo con un dito, lo sapevo. Me lo sentivo, sì.
Mi prese di nuovo una mano, cingendomi la vita, e mi fece appoggiare al suo
petto. Sentivo il suo cuore battere; e la cosa mi emozionò tantissimo.
Naturalmente diventai rossa, ma non me ne importava più. Il suo corpo trasmetteva
calore. Alzai la testa, e incrociai il suo sguardo. Lo fissai per un secondo,
finché gli sorrisi; lui ricambiò il mio sorriso. Avevo la pelle d'oca in tutto
il corpo, e mi sembrava di tremare. 'Give
me a kiss before you tell me goodbye.' Mi allontanò da lui, guardandomi ancora
dritto negli occhi con un'espressione ormai indecifrabile. Una sua mano
s'insinuò tra i miei capelli, sciogliendomeli tutti, e lasciandoli cadere
liberi sulle spalle, e prese a carezzarli. Poi si fermò, e io mi fermai con
lui, standogli di fronte. Con un dito mi toccò le labbra, facendomele
socchiudere leggermente al suo passaggio; e poi si avvicinò ancora a me. E da
lì in poi, tutto accadde molto velocemente, come fotogrammi di un film che
corrono veloci nella cinepresa, senza fermarsi mai, senza incepparsi, senza
sbagliare. E toccai il cielo con un dito.
Il suono della musica mi rimbombava nelle orecchie. Mi frastornava,
completamente, ma allo stesso tempo lo trovavo quasi piacevole. Socchiusi gli
occhi, per non sforzarli alle luci stroboscopiche, e avevo la vista
completamente annebbiata e la gola completamente secca. Mi inumidii le labbra
con la lingua, e le lasciai socchiuse. Il suo corpo era sempre stretto contro
il mio, e le sue braccia mi circondavano; come se volessero proteggermi, da
chissà che cosa. Erano forti, e io mi sentivo al sicuro, attorno ad esse.
Sospirai profondamente, tenendo perennemente gli occhi chiusi: non volevo
vedere. Volevo solo godermi quel minuto, al massimo; non volevo spezzare
l'incantesimo che si era creato, magari l'avrei semplicemente rotto soltanto
aprendo gli occhi. Quegli attimi non sarebbero mai più tornati indietro, lo
sapevo, e non volevo che scivolassero via. Non in quel momento, non adesso.
Appoggiai le mie mani sul suo petto, distanziando un po' il suo corpo dal mio.
Avevo le mani bollenti, e mi sembrava di sudare terribilmente: forse per
l'agitazione, forse perché avevo ballato, forse perché ero fra le sue braccia.
E forse perché lo desideravo da tempo. Lui mi prese un polso con una mano, stringendomelo
dolcemente, quasi come per volersi assicurare che io non andassi via
all'improvviso.
"Guardami."
Mi sussurrò vicinissimo all'orecchio, in modo che io potessi sentirlo anche
sotto le note di quella musica assordante. Ma io non la sentivo più. Ogni suono
era eliminato, ogni movimento era rallentato. C'era solo lui, con me. Aprii
lentamente gli occhi, e trovai il suo viso ad un centimetro da quello mio. I
suoi occhi nocciola, più chiari attorno all'iride, mi fissavano, ed eravamo
talmente vicini che potevo vedere i miei occhi riflessi nei suoi. Senza dire
una parola, mi strinse ancora di più a sé, tanto da lasciarmi senza fiato. Mi
carezzò la guancia con la mano libera, scostandomi i capelli dalla faccia.
Sentivo il suo respiro su di me. Lo guardai ancora, studiandolo, squadrandolo,
e mi resi conto di quant'era terribilmente bello, non potevo non ammetterlo.
Chiusi nuovamente gli occhi, lasciandomi trasportare, e lo sentii avvicinarsi
al mio viso sempre di più, sentii avvicinarsi il suo respiro al mio collo. Finché le sue labbra
sfiorarono leggermente le mie.
'And please remember that I never lied, and please remember how I felt
inside now, honey. You gotta make
it your own way..'
Fu come se mi avessero dato la scossa. Quasi sobbalzai in aria, ma rimasi
immobile. Lui fece appoggiare di nuovo le mie labbra alle sue, ma questa volta
ci rimase a contatto. Lo sentivo sorridere, anche se avevo gli occhi chiusi.
Così dischiusi le labbra, pronta ad accoglierlo, a dire di sì a quella
proposta, ad accettare quel meraviglioso invito, a baciarlo. E lui non
si fece aspettare.
Mi baciò, mi baciò così intensamente da farmi venire le vertigini. Le sue
labbra aderivano perfettamente a quelle mie, mi sembrava quasi che fossi nata
per baciare solo lui. Insinuò la sua lingua fra le mie labbra, e la fece
scivolare sopra quella mia, liberamente; nessuno poteva impedirglielo.
La sua mano era sotto la mia camicia, e la sentivo calda come il fuoco. Mi
carezzava il ventre, e la schiena, provocandomi dei brividi che mi scuotevano
tutta. Ogni tanto mi lasciava andare, solo per una frazione di secondo, e
sussurrava il mio nome. Io ero completamente in balia di lui, mi lasciavo
guidare, trasportare da quella sensazione. Continuavamo a cercarci, e ci
trovavamo, ci intersecavamo, quasi come se fosse un gioco. Come il puzzle: ogni
pezzo deve unirsi perfettamente ad un altro, e così via. Ed era così, quel
bacio; ci univamo e ci intersecavamo come i tasselli del puzzle, come se
fossimo una cosa sola. Erano sensazioni nuove per me, sensazioni fatte di
brividi e di sospiri e di sussurri. Sussurravamo come se ci stessimo
raccontando dei segreti, proprio mentre le nostre labbra si concedevano l'una
all'altra, mentre si univano e partecipavano a quel gioco d'amore.
"Stai tremando. Hai freddo..?"
"No."
"E allora cos'hai?"
"E' il mio primo bacio.."
Continuammo a baciarci, non sapevo dire precisamente se per dei minuti o delle
ore intere. Quelli che ci vedevano da lontano, probabilmente pensavano che
avessimo fame, una fame insaziabile, e che quei baci fossero il nostro modo per
nutrirci, talmente ne avevamo bisogno.
Cosa stava succedendo? Cosa mi stava capitando? Cosa ci stava capitando?
Ero morta ed ero andata in paradiso? Ma se quello era il paradiso, chi aveva
bisogno di vivere..? '...but
you'll be alright now sugar. You'll feel better tomorrow, come the morning
light now baby.'
Salve a tutti
=P Ho deciso di cominciare a lasciare una mia piccola “impronta” ad ogni capitolo.
Vi ho sorpreso, eh? XD dite la verità u_u. Aspetto tante recensioni, stavolta:
magari appena diventeranno di più comincerò anche a commentare le vostre
recensioni. Mi raccomando, altrimenti non aggiorno =P Un bacione e grazie a
tutti quelli che leggono!
Un raggio di sole mi colpì dritto in faccia,
filtrando attraverso la tapparella mezza abbassata. Feci un verso
incomprensibile, rimanendo immobile dov'ero. Il sole mi dava fastidio, e avevo
ancora sonno. Lentamente, molto lentamente, aprii gli occhi.
Mi guardai intorno, sbattendo le palpebre. Dei vestiti erano sparpagliati sul
pavimento, lasciati lì alla rinfusa; una scarpa era vicino
al letto, l'altra all'altro capo della stanza. Sembrava che un tornado fosse
passato nella mia camera e avesse messo a soqquadro ogni cosa. Allora provai ad
alzarmi a sedere, ma non ci riuscii, fui costretta a rimettermi stesa. Mi
girava terribilmente la testa, e avevoun po' di nausea. Mi sembrava come se
mi avessero preso a bastonate, e lasciata lì a sanguinare, senza alcun aiuto.
In poche parole, mi sentivo debolissima. Sbattei ancora più volte le palpebre,
avevo anche la vista un tantino appannata. Allora ci
rinunciai e chiusi gli occhi, sistemandomi meglio sul cuscino.
Cos'era successo?
Avevo un vuoto, come se avessi un enorme buco nero in testa. Mi portai una mano
alla fronte, per controllare se ero calda. Lo ero, ma non troppo. Perché mi sentivo così terribilmente confusa? Facevo fatica
anche solo a pensare. Sospirai più volte, come per controllarmi: mi stavo
preoccupando. Dopo un po’, scivolai lentamente sotto il piumone, nascondendomi
e arrotolandomi su me stessa, sotto le coperte. Mi presi il viso fra le mani,
stringendo forte gli occhi. Che cosa diavolo avevo
fatto..? Scossi la testa, sentendomi quasi soffocare per il
troppo calore che c'era lì sotto.La verità era che non mi ricordavo nulla, più nulla. Nonostante
mi sforzassi di ricordarmi cosa avevo fatto il giorno precedente, non ci
riuscivo. Nella mia mente si susseguirono varie immagini. La colazione,
Edoardo, il pranzo, una tenda zebrata, un gonna nera.
E poi..? Niente. Il vuoto totale: come se qualcuno avesse
risucchiato via tutti i miei ricordi, in un colpo solo.
Ma perché..?
Neanche a dirlo, mi preoccupai all'istante. Buttai il piumone di lato, tornando
a respirare, finalmente. In quel preciso instante, la porta della mia camera da
letto si spalancò.
"Adrienne?"
Nonostante avessi ancora gli occhi chiusi, riconobbi quella voce. Era Edoardo,
mio fratello.
"Hm..?" chiesi.
Avevo la voce rauca e ancora presa di sonno, così me la schiarii.
"Stavi dormendo? Svegliati!" esclamò, con la delicatezza di un
rinoceronte.
Cominciai ad innervosirmi. Spalancai gli occhi, e senza alzarmi dal letto mi
voltai verso di lui, rivolgendogli uno sguardo di puro odio.
"Mi lasci in pace? Vai
via!" esclamai. Lo dissi troppo forte, perché la testa sembrò
scoppiarmi.
"Ero preoccupato per te. E' mezzogiorno. Tu che
sei mattiniera, avresti dovuto alzarmi come minimo tre ore
fa!"
Aveva ragione. Mi preoccupai ancora di più, ma non risposi. Continuai a
guardarlo: sembrava veramente preoccupato. Sbuffai
sonoramente.
"Be', come sta Alessandro?" chiese.
Nel sentire questo nome, ebbi uno scatto. "Che
diavolo c'entra Alex, adesso?" esclamai, cercando di massaggiarmi le
tempie.
Edoardo fece una faccia stupita. "Ma, come..? Io..?" balbettò.
Alzai un sopracciglio, con aria indagatrice. "Parla!"
"Adrienne. Non ti ricordi? Be', del resto non mi hai visto, dimenticavo. Comunque, ieri sera Alessandro ti ha accompagnata a casa,
no?"
Annuii, come se sapessi perfettamente di cosa stesse parlando.
"Perdonami, sorellina, ma vi ho spiati attraverso le tende. Vi siete messi
assieme? A giudicare da dove stavano le vostre lingue.."
Divenni color cremisi e lanciai un urlo. Ero furiosa. Presi il cuscino e lo
lanciai addosso a mio fratello, colpendolo allo stomaco. "Tu e il tuo
senso dell'umorismo del cavolo! Sei un idiota!" Lui si
mise le braccia davanti alla faccia per proteggersi. "Ma è vero, vi ho visti!" urlò. "No, invece no!
Via!" urlai, e lui scappò via dalla mia stanza, borbottando qualcosa che
non capii.
Mio fratello era un idiota. Sapeva che non stavo bene, voleva approfittare di
me raccontandomi delle panzane. Se avessi veramente
baciato Alex, me ne sarei ricordata.
***
Dopo una doccia, la situazione non era cambiata. Stesso senso di nausea, stesso vuoto in testa, stessa emicrania. Mi sentivo uno
straccio. In casa c'eravamo solo io e mio fratello, mia madre era a lavorare come sempre. Non pranzai, ero sicura che se
avessi mangiato qualcosa mi sarei sentita ancora più
male. Dopo l'ora di pranzo rimasi in camera mia per leggere un libro, ma ben presto mi resi conto che era impossibile concentrarsi con il
mal di testa che avevo. Cercai di pensare ad altro, ma era peggio. Dopo un po',
mentre sonnecchiavo, la testa di mio fratello fece
capolino alla porta.
"Adri? Hai visite."
Mi misi a sedere sul letto, mentre mio fratello spariva e dopo di lui entrava
un altro ragazzo.
Alex, naturalmente.
Non appena lo vidi cominciai ad agitarmi, e sorrisi debolmente. Lui avanzò verso di me, e senza dirmi niente né senza degnarmi di uno
sguardo, si sedette sul bordo del letto. Lo vidi giocherellare
nervosamente con la mani, tenendo sempre lo sguardo
basso.
"Alex?" chiesi, con voce incerta. Dapprima Alex non si mosse. Dopo
qualche secondo, alzò lo sguardo e mi guardò dritto negli occhi. In quel
momento, delle immagini mi apparvero veloci nella mente, come un flash. Due braccia che mi stringevano, due occhi come quelli che mi
fissavano. Scossi rapidamente la testa per cancellare quelle immagini,
non capendo a cosa appartenessero, e deglutii, mentre lui mi guardava. Esibiva
un'espressione preoccupatissima, e sembrava triste. Mi dispiaceva vederlo così,
e per un attimo mi chiesi il perché. "Tuo fratello mi ha detto che non stai bene. Che hai?"
mi chiese.
Alzai le spalle, non smettendo di guardarlo. "Ho un po' di mal di testa,
nausea. E.." Fui tentata di dirgli
che avevo un vuoto di memoria d'un paio d'ore, ma mi bloccai appena in tempo.
Lui s'inumidì le labbra con la lingua, e sospirò.
"Adrienne, ti prego. Dimmi che quella di
ieri sera non era la prima volta che ti ubriacavi." disse.
Lo fissai, incredula, riflettendo sulle sue parole. Cosa?
Ma che diceva?
"Eh? Ma cosa...?" iniziai. Alex scoppiò in
una risatina nervosa.
"Era come temevo, purtroppo."
"Non ti seguo, Alex.."
Lo fissai, con sguardo perso. Lui esibiva ancora un sorriso strano,
indecifrabile. Il suo sguardo sembrava oltrepassarmi, era così profondo e serio
che metteva paura. Improvvisamente si alzò dal mio
letto, e cominciò ad andare avanti e indietro nella stanza. Continuai a
fissarlo, mentre lo faceva. Non sorrideva, sospirava spesso, i suoi tratti
erano duri e quasi marcati. L'avevo visto così poche volte, e mi metteva una
paura folle. Era come se da un momento all'altra mi aspettassi che avesse una
reazione, magari violenta, e che mi urlasse addosso.
"Ti prego, mi dici cos'hai? Non capisco.." sussurrai.
Alex si fermò davanti al mio letto. Strinse gli occhi e strinse
anche forte i pugni. Io istintivamente rabbrividii. Si voltò di scatto verso di
me, e velocemente mi raggiunse sul letto, stando a pochi centimetri di distanza
da me.
"Mi dispiace, Adrienne. Mi dispiace da morire.."
Abbassò lo sguardo, scuotendo la testa. Io lo guardai, mordendomi il labbro
inferiore così forte da farmelo sanguinare. "Maledizione, Alex! Vuoi dirmi che diavolo succede?" esclamai, perdendo la
pazienza. Lui mi guardò, e il suo sguardo ancora una volta mi oltrepassò e mi
fece calmare, almeno un po'. Ma oramai tremavo.
"Ieri sera. Ti ricordi, almeno.. la festa? La
festa d'istituto." disse.
"Sì, me lo ricordo." risposi. Di quello avevo qualche ricordo, più o meno chiaro.
"Be’, durante la festa.. io e te.. ci siamo ubriacati. Abbiamo bevuto. E
poi.."
"E poi?" lo incalzai.
"Ci siamo baciati."
Seguirono dei secondi di gelo assoluto, in cui io lo fissai, con la bocca
socchiusa per lo stupore. Scossi la testa. Istintivamente pensai a ciò che mi
aveva detto Edoardo, poche ore prima. Era vero? Non lo era?
"Ma che dici.." iniziai.
In fondo, io avevo un vuoto terribile d'un paio d'ore,
non mi ricordavo nulla della sera precedente, della festa. Mio fratello mi
aveva raccontato ciò che aveva visto davvero? Mi rifiutavo di credere che, ad
esempio, Edoardo ed Alex si erano messi d'accordo per
farmi uno scherzo. E, tra l'altro, sembravano tutti e due
terribilmente preoccupati, Alex soprattutto. Era così serio.
"E' tutto vero, Adrienne. E non ti ricordi
niente, vero?" mi chiese.
Cercai di calmarmi, mentre il mio cervello lavorava veloce, e il cuore andava a
tremila. Mi sentivo un groppo in gola, le parole mi mancavano.
Ero un'idiota.
"Non.. non mi ricordo nulla.." ammisi, guardandolo.
Lui sospirò, e si alzò di nuovo, rimanendo immobile e impassibile con lo stesso
guardo. Ero un'idiota, sì, e molto anche. Avevo veramente
baciato Alex, allora. La cosa che desideravo di più si era finalmente avverata.
Desideravo da tempo di stringerlo tra le mie braccia, baciare le sue labbra, ed
averlo solo per me. Era accaduto. E io non me lo
ricordavo, accidenti.
"E' tutta colpa mia. Ti ho fatto ubriacare, ho
bevuto anch'io. Abbiamo perso il controllo entrambi, e
poi ti sono praticamente saltato addosso." disse
tutto d'un fiato. "Non riuscirò mai a perdonarmelo. Vorrei solo che la
nostra amicizia non si rovinasse. E.. vorrei che tu non
mi odiassi. Ne soffrirei troppo." concluse.
Scossi la testa. Avevo gli occhi lucidi, chissà perché. "Io non ti odio,
Alex. E anche se volessi, non ci riuscirei. Sei una
parte importante di me e ti voglio troppo bene per farlo." Fece spallucce. "La nostra amicizia è troppo
importante, sì. E poi ho rovinato tutto!" esclamò, alzando la voce.
"Ma cos'è che hai rovinato? E' tutto a
posto!" esclamai.
Lui scosse la testa, come se non avesse una risposta. "Sai, io non riesco
più a guardarti.. come prima. Non so perché."
"Quello che è successo non cambia niente fra noi due.."
"Sì, invece! Lo cambia. Non doveva succedere, la nostra amicizia era
perfetta così.. non c'era bisogno di complicarla
ulteriormente. Forse è perché tu non ti ricordi niente, mentre io mi ricordo
ogni singolo istante.."
Alzai un sopracciglio, e la voce iniziò a tremarmi. "Cos'è, è stato così
terribile?"
Mi rivolse un'occhiata di fuoco, come se avessi detto un'incredibile cavolata.
"Ma no.. non è così.. cioè.. solo che.."
"Che?"
"Melissa.."
Ebbi un altro scatto. Melissa. Il problema era lei,
allora. Non era tra noi due, ma nasceva perché c'era lei. Per quanto potessi volerle bene, la odiai. E divenni incredibilmente
furiosa.
"M-melissa..?" Avevo le lacrime agli occhi,
e mi sforzai per ricacciarle indietro. Tremavo.
"Adrienne. Io sono innamorato di lei.."
Non risposi. "..e non di te."
Socchiusi gli occhi. Fu come se mi avessero colpito al cuore con un coltello.
La testa cominciava a rifarmi brutti scherzi. E
lui non era innamorato di me.
"Mi hai un po' confuso, forse. Ma io e te siamo
amici da un sacco, mi puoi capire, vero? Quel bacio, non era niente. Non posso dire che non mi sia piaciuto, però noi due siamo solo amici.
Per te provo un affetto infinito. Io non voglio rovinare tutto con Melis.."
"Scusami, Alex!" urlai, scattando in piedi di fronte a lui.
"Scusami se ho mandato tutto a puttane con la tua Melissa!"
Alex mi guardò, scandalizzato. "Ma.. Adri?"
"Cazzo, Alex! Cos'è, non te n'è mai importato di
me o dei miei sentimenti? T' interessa solo di arrivare a Melissa? Ti è
importato solo che io, con quel bacio che neanche ricordo e che per te non è
niente, ti abbia scombinato i piani che avevi per
lei?"
Alex rimase senza parole. "Ma, allora.."
"Sì. Perdonami. Perdonami se mi piaci tanto, Alex."
Lui prima mi guardò, con occhi grandi. Poi li chiuse
e, sedendosi sul letto, si portò la testa fra le mani. "Io.. non pensavo.. non credevo.."
"Mi dispiace, non te l'avevo mai detto. Non volevo che lo sapessi
così."
Sembrava ammutolito, spiazzato, incredulo. Boccheggiava,
probabilmente non sapeva che cosa dire. Avevo rovinato tutto, e lo
sapevo bene. Ma a lui importava solo di Melissa, no?
Io contavo meno di zero, così come i miei sentimenti per lui. Quindi non avevo nient'altro da perdere. Provai un moto di rabbia
per lui, ma che in realtà nascondeva una tremenda delusione. Non me lo sarei
mai aspettato un comportamento così, non da lui, non da quello che si definiva il mio migliore amico, che diceva che per lui era
uno delle cose più importanti.
Alex si passò le mani fra i capelli, scombinandoseli, e sospirò forte.
"Perché non me l'hai mai detto?" chiese.
"Secondo te? Eri così cotto di Melissa. Non avrei mai avuto nessuna
speranza contro di lei. E infatti è così."
Rimase immobile. "Questo cambia tutto, lo sai?"
Non risposi. Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Cominciai a sentirmi
così vuota. E in cuor mio, sapevo che niente sarebbe
stato più lo stesso. Sapevo che la mia incondizionata paura di perdere Alex, si
stava avverando. Era tutto vero, non era un sogno. O meglio, non era un incubo. Ma
allo stesso tempo, mi sembrava tutto così assurdamente irreale. Perché? Perché io non mi ricordavo
nulla, e per me era come se non fosse successo. Per me non c'era un motivo
concreto. Davo le spalle ad Alex, ma sentivo il suo respiro, che era quasi
affannoso.
"Adrienne.. Ti prego, guardami."
Mi voltai, e lo guardai. I nostri sguardi s'incrociarono, e subito i miei occhi
si riempirono di lacrime. Ma esse decisero di non
saltare, di non uscir fuori. Non ancora.
"C'è.. c'è solo una cosa che posso fare, adesso."
"E qual’è?"
Alex fece quello che sembrò l'ombra di un sorriso. Si alzò dal letto, e mi
venne di fronte, a cinque centimetri da me.
"Devo uscire dalla tua vita. Per non farti più del male."
Chiusi gli occhi. Quelle parole facevano più male di una frustata.
"Non mi hai mai fatto del male."
"Non mentire. Te ne ho fatto. E devo allontanarmi
da te. Per tanti motivi.."
"Cioè? Per Melissa. E perché mi piaci. No?" Riaprii gli occhi, lo trovai a fissarmi. Non rispose, continuò solo a guardarmi in silenzio. Mi faceva
male persino il suo sguardo, adesso. Le lacrime cominciarono
a scendere, finalmente, trattenerle era diventato troppo difficile. Mi
bagnarono il viso, scendendo verso le mie guance incandescenti. Una mi arrivò
alle labbra, e la sentii salata.
"Forse dovrei odiarti per questo?" dissi, distogliendo lo sguardo da
lui.
"Odiami. E forse, sarà tutto più semplice."
rispose.
Scossi la testa, lentamente. Alex mi prese il viso per il mento, guardandomi
ancora. Mi asciugò le lacrime con il pollice, non smettendo
un attimo di guardarmi.
"Ti prego smettila. Non toccarmi." dissi. Alex parve sorpreso
dalle mie parole, ma mi lasciò andare di scatto.
Poi si avvicinò a me. I suoi capelli scuri sfiorarono la mia guancia bagnata,
provocandomi una sensazione di solletico, mentre si avvicinava al mio orecchio.
"Sarà come se non fossi mai esistito, vedrai."
Io tremai, e mi strinsi le braccia attorno al petto, abbracciandomi quasi.
Piansi disperatamente, singhiozzando ogni tanto.
"Non ti dimenticherò mai, Alex."dissi tra le lacrime. Non vedevo più niente, le lacrime me lo impedivano.
"Sii felice. Con qualcun altro che sappia farti
sorridere. E non cambiare, mai, perché sei una persona perfetta già
così."
E se ne andò. Così come la mia lucidità,
la mia voglia di vivere, il senso delle cose. Non c'era
altra ragione per me. Non c'era altro che dolore nel mio cuore.Che stupido luogo comune, quello di dire che il cuore è il custode dei nostri segreti, e quello
in cui custodiamo lì dentro le persone a cui teniamo di più. Cos'altro
è, il cuore, se non l'organo più importante del corpo umano? Per quanto odiassi farlo, mi abbandonai a quel luogo comune. Alex era
andato via, e aveva rubato e portato via con sé il mio cuore. Io, in quel
giorno, morii. Non c'era vita senza di lui, non c'era
altra ragione di vivere senza di lui.
Ed eccoci arrivati anche a questo *doloroso* capitolo. Volevo
ringraziarvi moltissimo per i commenti che m’avete lasciato, e che adesso non
posso commentare perché sono troppo pigra xD Ma davvero mi fa molto piacere, e se avete anche qualche
critica da farmi.. sono ben accette! Allora, mi raccomando
continuate a recensire, ci si sente al prossimo aggiornamento. La
prossima volta posterò insieme i capitoli 9 e 10. Un abbraccio! (:
Ritorno
dopo secoli, lo so.. ma purtroppo il mio pc mi ha abbandonato e
adesso mi ritrovo ad aggiornare dal pc dei miei genitori! Come avevo
già detto, posterò i capitolo 9 e 10 assieme. Il cap 9
è quasi come un flusso di coscienza, mentre il capitolo 10 è
un capitolo piuttosto drammatico xD ma dolce. Spero di ricevere
altri vostri commenti.. mi fanno davvero piacere! Ma siate clementi
con i tempi di “postaggio”, purtroppo non sono nelle
condizioni ideali, adesso xD Un bacio.
Capitolo
9.
Le ore passavano lente. Ogni minuto che l'orologio batteva
sembrava scandire un'eternità. La mia mente era offuscata,
completamente disinteressata da qualsiasi cosa che mi circondava. Il
mondo sembrava esser stato messo lì solo per farmi del male,
niente di più. Desiderai con tutte le mie forze che
all'improvviso smettessi di respirare, ma non accadde. Io non ero
così. Io ero quella ragazza solare, che sorrideva, cercava di
vedere il lato positivo di ogni cosa. Ma qualcuno aveva rubato quella
luce che un tempo era imprigionata dentro i miei occhi. Il
dolore. Come può essere così tanto subdolo, un
sentimento così infinito e astratto? Il dolore. Il dolore che
ti offusca tutto, copre ciò che prima riuscivi a vedere
chiaramente. Il dolore che ti fa avere quella orribile sensazione,
che non si può spiegare ma che senti dentro, sempre, come un
coltello conficcato nella carne. E più cerchi di estrarre via
il coltello, più quello si conficca, facendo uscire più
sangue di prima. Io facevo la parte della carne. Lui era come un
veleno dentro le mie vene, e ora non stava facendo altro che
avvelenarmi. E io, inerte, rimanevo a guardare che mi rovinasse la
vita, che m'intossicasse il sangue con ogni sua minima particella.
Avrei dato qualsiasi cosa.. Avrei dato la pelle, il fiato, le ossa,
pur di aver avuto anche solo una briciola di coraggio e avergli
urlato "Non mi lasciare!",
quando lui si era voltato verso la porta della mia camera ed era
andato via. Avrei dato qualsiasi cosa pur di non vederlo andare via,
senza voltarsi, senza degnarmi di uno sguardo e senza concedermi un
ultimo saluto. Mi ritornavano in mente tutte le cose che avevamo
fatto insieme. Perché io amavo Alex con tutta l'anima, ma lui
era solo il mio migliore amico. Mi tornavano in mente le sere
passate a casa mia, seduti su quel divano di pelle che gli piaceva
tanto a guardare la tv e a sgranocchiare biscotti. E come
m'arrabbiavo perché faceva tante briciole e poi dovevo pulire
io. Mi ritornavano in mente i pomeriggi in cui io stavo male e mi
sembrava di morire, bastava uno squillo e lui veniva da me, passando
per la finestra e arrampicandosi dentro la mia stanza. Io piangevo e
lui mi teneva stretta fra le sue braccia dicendomi che dovevo stare
tranquilla perché tutto si sarebbe aggiustato e perché
finché stavamo insieme, dovevo essere felice. Ovunque tu
andrai, io ci sarò, mi ripetevi sempre. E io ci credevo Alex,
ci credevo e pensavo veramente che mi avessi seguita ovunque fossi
andata. E se chiudo gli occhi e guardo indietro vedo solo il tu viso.
E, per dio Alex, quanto adoravo il tuo viso non lo so, certe volte mi
sembrava non fosse reale. Quant'erano belli i tuoi occhi Alex, erano
caldi come l'estate e quando li guardavo era come se viaggiassi nelle
profondità della tua anima, così pulita e vera. Gli
occhi sono lo specchio dell'anima, no? Adoravo le tue labbra e le
fissavo senza fartene accorgere, adoravo i tuoi capelli neri che
erano quasi sempre scombinati e ti ricadevano sugli occhi e tu
sbuffavi perché ti davano fastidio. Adoravo il modo in cui ti
spostavi i capelli dalla fronte con aria scocciata, mi facevi ridere.
Io avrei voluto stringerlo tra le mie dita, quel viso. Spesso si dice
che non bisogna amare ciò che è perfetto, ma si deve
rendere perfetto ciò che si ama. Con Alex non c'era bisogno,
la sua era una perfezione che pochi vedevano e io, sì, la
vedevo. Vedevo la sua perfezione sotto quella pelle chiara e gli
occhi scuri, e mi chiedevo come mai tutto quello che era potesse
semplicemente rinchiudersi in una sola persona. Quel che era per me,
era difficile da spiegare. Forse in due anni non l'avevo capito
nemmeno io. Era di più di un semplice amico, di più di
un semplice migliore amico. Lui era Alex, lui era la mia ragione di
vita. E adesso ero nella mia stanza a piangere tante lacrime,
sperando di avere la facoltà di poter piangerle tutte per poi
stare finalmente in pace. Non vedevo più niente, non
sentivo più niente. Mia mamma mi chiamava, mi scuoteva, io
aprivo la bocca ma le parole restavano lì, in mezzo alla gola,
decidendo all'ultimo minuto di non voler uscire. E la sentivo
piangere e singhiozzare perché non rispondevo ma mi sembrava
lontana mille miglia e più volevo raggiungerla più si
allontanava. Non sapevo che fare per raggiungerla e piangevo ancora
di più per questo e non sapevo cos'altro fare. E vedevo anche
mio fratello, che abbracciava mia madre e le dava pacche sulla spalla
per farla calmare. E poi, com'era possibile? C'era anche mio padre.
Mio padre stava fuori mesi interi, era impossibile che fosse là
senza averci avvisato con un po' d'anticipo. Mio padre, che aveva i
miei stessi occhi verdi e gli stessi capelli ricci, di cui sapevo
probabilmente uno dei suoi segreti più importanti e allo
stesso tempo uno dei suoi peccati più grandi che chissà
se qualcuno gli avrebbe mai perdonato; io no di certo. E poi c'era
anche lui, c'era Alex, che si avvicinava a quel trio e mi guardava
fisso fisso, con espressione seria sul volto. Si spostò i
capelli dagli occhi con una mano. Dio, mi faceva impazzire. Mi
vedi, Alex? Magari riesci a sentirmi, da questo mio luogo di
solitudine? Riesci a vedermi e a sentirmi, Alex? Guarda, guarda un
po’ cosa sono diventata a causa tua, perché tu adesso
non ci sei più e io piano piano mi sto appassendo come una
rosa, il mio fiore preferito. Cosa succederà quando tutti i
petali cadranno giù? Ci sarà solo quel brutto stelo,
che verrà buttato via, perché inutile e senza vita.
Guardami, Alex, per l'ultima volta. Guarda come sto sanguinando. Ti
prego ascolta le mie urla mute, e salvami dal baratro nero in cui sto
cadendo, e in cui cadrò per l'eternità se tu non ci
sarai più. Ti prego Alex fammi morire, adesso, uccidimi con un
tuo bacio. E finalmente sembri ascoltarmi, vieni verso di me senza
smettere di guardarmi. Quanto mi fai male Alex con il tuo sguardo, ma
io sono masochista e continuo a guardarti e a perdermi nei tuoi
occhi. Mi dai dolore e questo dolore è come acqua
dissetante. Ti avvicini e ti abbassi accanto a me, io che sono
sdraiata per terra, raggomitolata su me stessa. Mi carezzi il viso
con mano decisa e sicura. Mi guardi e il fiato sembra mancarmi. Mi
prendi per mano e mi fai alzare da terra, facendomi inginocchiare
davanti a te. Anche tu t'inginocchi e adesso siamo alti uguali. Mi
tieni una mano sulla spalla mentre l'altra mi carezza ovunque, come a
tranquillizzarmi e a farmi venire i brividi. Poi l'appoggi sulla mia
schiena e mi sembra quasi di sentirla su di me anche attraverso la
maglietta. T'avvicini Alex, e io comincio a morire. Sprofondo fra le
tue labbra perfette e dolci, le succhio e le assaporo come se fossero
un dolce fiele. E tu mi baci, ricambi i miei baci e li rendi
perfetti. Io ti trasmetto tutto l'amore che ho per te e ti bacio
lentamente, e ho quasi un collasso quando le nostre lingue
s'incontrano e tu mi stringi forte, sempre più forte. E sono
costretta a lasciarti perché, maledetto, mi hai rubato tutto
il mio fiato. Allora mi baci il collo stringendomi a te e nelle mie
orecchie si diffonde una musica dal volume assordante, una musica
familiare. Ma sì, la riconosco. Non piangere
stanotte, c'è il paradiso sopra di te.
Le nostri mani si uniscono e intrecci le tue dita con le mie, ma io
già so che è ora di morire e andare via, volar via da
tutto. E così com'eri venuto te ne vai, e io mi ritrovo
semplicemente ad abbracciare il nulla. Grazie, grazie per avermi
uccisa con le tue labbra. Adesso seppelliscimi nel profondo del tuo
cuore e non tirarmi più fuori. Io ti amo Alex, scusa se non te
l'ho mai detto quando ero viva. Così, proprio con un
bacio, addio.
Capitolo
10.
Il sole tramontò. Il cielo cominciò a
colorarsi di quella magnifica tonalità di rosa e violetto,
mentre la stella polare spiccava già nel cielo vellutato, in
tutta la sua luminosità e in tutto il suo splendore. L'erba
era gelida sotto le mie mani. Sembrava accarezzarmi e farmi il
solletico, così smisi di toccarla. Incrociai le braccia al
petto, rimanendo col naso all'insù per continuare a guardare
il cielo, il quale si faceva sempre più scuro e pieno di
stelle, man mano che i minuti passavano. Presi il cellulare dalla
tasca e controllai l'orario. Erano le sette di sera del 24
dicembre. Sbuffai sonoramente, e mi alzai. Stava cominciando a
fare buio e a far freddo. Mi strinsi meglio nella mia sciarpa di
lana, tirandola su fino alle labbra. Camminai per un po', la mente
svuotata, le braccia strette attorno al corpo per sentire meno
freddo. Imboccai una strada, e finalmente da lontano vidi casa mia.
La strada era vuota; passavano solo alcune auto ogni tanto. Le luci
di tutte le case erano accese e in alcune finestre si notavano alcuni
alberi di Natale che scintillavano. Adoravo il Natale. Dicembre era,
tra l'altro, il mio mese preferito. Lo sentivo incredibilmente mio, e
anche se non avevo una spiegazione plausibile. Mi piaceva il freddo
che si attaccava alla pelle e ti faceva tremare. Però, adesso
odiavo tutto questo. Tutto ciò che prima adoravo mi dava
terribilmente fastidio e bastava anche una sola parola in proposito
per farmi irritare profondamente. Sospirai. Non sentivo più
l'aria di Natale mentre camminavo per strada. Semplicemente, tutte le
cose mi scivolavano addosso, sfiorandomi ma non riuscendomi a
toccarmi completamente, o a farmi sentire qualcosa. Qualcosa di
speciale, magari, forse. Forse, magari. La
mia vita era diventata come un gigantesco punto di domanda, e io ero
la frase interrogativa. Ero cambiata. Anche se erano passati solo
tre giorni, da quando.. No, non riuscivo a pronunciarlo. Solo vedere
il suo nome o sentirlo pronunciare da qualcun altro riusciva a farmi
piangere. Eppure mi aveva cambiata; ciò che era successo era
riuscito a marchiarmi a fuoco, e in quel momento io avevo una
terribile ferita proprio all'altezza del cuore. Ma chissà
quanto ci sarebbe voluto per rimarginarsi, ora che il mio
disinfettante non c'era più. Una lacrima fuggì dai miei
occhi e corse veloce lungo la mia guancia. Prima che potesse finire
la sua corsa, l'ammazzai con il dorso della mia mano. Non volevo
piangere, ma ogni volta era sempre peggio. Ero come ferma a metà.
Interrotta. Una poesia non completata. Un bicchiere di vino lasciato
a metà. C'era un grande vuoto dentro di me, e lo sapevo bene..
Perché lui non c'era più. Cercai di pensare ad altro, e
sbattei le palpebre più volte, come se volessi svegliarmi
proprio in quel momento. Mi ritrovai di fronte a casa mia, sotto il
lampione che vedevo sempre dalla finestra della mia camera. Proprio
mentre guardavo la facciata di casa mia, il lampione si accese. Dopo
strani rumori e varie false partenze, una luce arancione mi cadde
addosso come della pioggia fredda. Di nuovo sbattei le palpebre per
abituarmi ad una luce così forte. Infilai le mani in tasca e
sospirai, quasi a farmi coraggio, e attraversai la strada. Imboccai
un breve vialetto, poi davanti la porta presi le chiavi di casa dalla
tasca del giubbotto, infilandole dentro la toppa, feci due giri alla
mia sinistra, e così entrai. Mi aspettavo di trovare mia
madre e mio fratello ad aspettarmi, ma non fu così. La casa
era immersa nel silenzio, tutte le luci erano spente. Tra un'ora e
mezza i miei parenti sarebbero stati là, e la casa era vuota e
pronta per niente. Ma non entrai nel panico, assolutamente. Mi tolsi
il giubbotto e lo posai delicatamente nell'appendiabiti all'ingresso,
e mollai le chiavi sul tavolino accanto all'appendiabiti. Se nessuno
si preoccupava che fosse Natale e che una cena e una tavola
apparecchiata non fossero pronte, perché avrei dovuto farlo
io? La cosa, in quel momento, non mi riguardava. Entrai nel salotto
e, dopo essermi tolta le scarpe, sprofondai nel divano di pelle. Era
freddo e si appiccicava al contatto con la mia pelle. Rimasi a
pancia in su, con occhi spalancati a fissare il soffitto bianco. Quel
divano di pelle, e quel pomeriggio. Le sue parole, che mi risuonavano
in testa dolci e cristalline. 'Ti voglio bene.' Ma
allora, se mi voleva bene, perché mi aveva lasciata, così..?
La stretta al petto tornò a farsi risentire. Rabbrividii e mi
raggomitolai su me stessa, cerando di non sprofondare nel baratro
nero. Non ancora, non di nuovo. Ma ero sola, orribilmente sola, e
Dio solo sa cosa avrei dato per sentire il calore di un altro corpo,
proprio accanto a me. Ma non c'era niente. Il labbro inferiore mi
tremò, e feci di tutto per ricacciare indietro le lacrime, che
avevano nuovamente fatto capolino nei miei occhi. Strinsi forte i
pugni, sentendomi mancare il fiato, mentre altre immagini si
susseguivano nella mia mente, facendomi un male atroce e impedendomi
di pensare.
24 dicembre, un anno fa. Lei,
quattordici anni, quasi quindici. Capelli ricci castano scuro, un po’
più corti, proprio sulle spalle. Una riga di lato faceva
nascere un ciuffo che le ricadeva sull'occhio destro. Gli occhi
verdi, e quell'inarrestabile voglia di vivere che aveva troppo
bisogno di espandersi. Corporatura giusta per la sua età, né
troppo alta né troppo bassa. Troppa fretta di esser grande.
Quel lucida labbra alla fragola che le colorava leggermente di rosa
le labbra morbide e sottili. Era bella, ma non se ne accorgeva. Era
come una rosa che stava sbocciando. Era bella, così, nella sua
semplicità, e non aveva bisogno del trucco per esserlo. E
poi, Lui. Quattordici anni, quasi quindici, ma ne dimostrava di più.
Capelli color corvino, lunghi, lisci e sugli occhi. Capelli
sparpagliati un po’ ovunque: sembrava ci avesse litigato
furiosamente. Occhi nocciola, grandi e curiosi, ambrati attorno
all'iride. Era più alto per la sua età e dimostrava un
atteggiamento quasi spavaldo con quelle mani sprofondate nelle
tasche. Ma bastava il suo sorriso per rassicurarsi. Era caldo, e
trasmetteva armonia. Un parco giochi abbandonato, con vecchie giostre
ormai consumate dal tempo, rotte e arrugginite. Lui scavalcò
il cancello chiuso da un lucchetto, e poi aiutò lei a fare lo
stesso, tenendola prudentemente per mano. Quando furono dentro e
l'erba frusciò sotto i loro piedi, lei gliela lasciò.
Lui rimase deluso. "Be’, perché mi hai portato
qua?" chiese lei. "Che volevi fare, la sera di Natale?
Non potevamo certo andare in giro per la città come se niente
fosse." rispose lui, paziente. "Si, hai ragione."
ammise lei, guardandosi un po’ intorno. Erano in penombra,
soltanto un lampione all'altro lato della strada illuminava ogni cosa
con la sua luce arancione. In quel vecchio parco giochi, c'era solo
uno scivolo pericolante, due altalene e alcune panchine. Lui la
guardò, in silenzio. Sotto il giubbotto, lei portava un
maglioncino rosso, un paio di jeans e degli anfibi neri. Quel ciuffo
le nascondeva metà viso, e lui lo odiava. La luce arancione
rifletteva sul lucida labbra di lei, facendo assumere strani colori
fluorescenti alle sue labbra. Erano come minimo migliori amici.
Lei gli arrivava alle spalle, e lui la guardava, la ammirava, e
soffriva per amore. Soffriva perché lei non si accorgeva
quanto il suo migliore amico vivesse per lei, quando la amasse, e
quanto soffrisse ogni volta che lei nominava qualche altro ragazzo
che le piaceva tanto. Ma continuava così, ad amarla in
silenzio, avendo una paura folle di rovinare la loro amicizia, che
era diventata una delle cose più belle e preziose per lui. Lei
si strinse le braccia al petto, il sole era già tramontato e
cominciava a far freddo. Lui continuava a guardarla, come in estasi;
come quando si guarda qualcosa di meraviglioso e si voleva che non
finisse mai. Improvvisamente si risvegliò dalle sue fantasie e
lentamente si avvicinò a una delle due altalene, e prese posto
su una seggiolina di legno. Le altalene cigolavano parecchio e
sembravano cadere giù da un momento all'altro, ma a lui non
importava di questo. Si diede una spinta con i piedi, e la seggiolina
cominciò a muoversi velocemente avanti e indietro. Richiamata
dal rumore, lei si voltò e gli sorrise. "Dai, fammi
compagnia." la invitò lui, con la massima gentilezza e
con un sorriso a trentadue denti. Lei sorrise di nuovo e
velocemente lo raggiunse, accomodandosi sulla seggiolina di legno
accanto a lui. I loro movimenti erano coordinati, andavano giù
e su assieme. "Mi sento una bambina.." disse lei,
ridendo. "Capirai! Parli manco avessi trent'anni." la
schernì lui, lanciandole una rapida linguaccia. Lei scoppiò
a ridere. "Sì, è vero, ho esagerato. Però
era tantissimo tempo che non andavo su un'altalena." Lui
sorrise, beato, rendendosi conto di quanto fosse felice di essere lì
insieme a lei. Dopo una decina di minuti, entrambi si fermarono e
scesero, sedendosi sull'erba gelida. A lei dava fastidio il contatto
dell'erba sulle mani, le sembrava che le stessero facendo il
solletico. "Che ore sono?" chiese lei, a gambe
incrociate. "Le sette." rispose lui, guardandosi
l'orologio che portava sul polso sinistro. Cadde il silenzio. Lui
si morse le labbra, cercando di trovare un argomento di
conversazione, o qualsiasi cosa che potesse farli discutere. Si
accorse di avere entrambe le mani incredibilmente fredde, perché
aveva tenuto in mano per tanto tempo la catena d'acciaio che reggeva
la seggiolina all'altalena. Le strofinò l'una sull'altra,
cercando di poterle riscaldare. "Che hai? Le mani fredde?"
chiese lei, guardandolo. "Sono gelide." Lei si
avvicinò un poco, e le prese fra le sue. "Magari posso
riscaldartele un po’ io, le ho calde." Lui arrossì
di colpo, e fece per ritirare le sue mani. "No, altrimenti poi
diventano fredde pure a te." Ma lei gliele bloccò e le
unì di nuovo alle sue, stringendole forte. "Stà
tranquillo." Lui deglutì e s'inumidì le labbra,
e poi la guardò. Erano a pochi centimetri di distanza,
entrambi seduti sull'erba fredda; lei era tranquilla, e gli
sorrideva. Lui strinse di più le mani alle sue: non perché
sentisse così tanto freddo, ma perché voleva sentire la
sua pelle contro quella di lei. Le sue mani erano lisce, morbide e
intensamente calde. Lei si avvicinò di più a lui, e
fece intrecciare le loro dita. Lui si sentì mancare il fiato
e, al contrario, cominciò a sentire veramente caldo. "Hm.."
commentò lui, con aria pensierosa. Lei era appoggiata di
schiena alla sua spalla, e si voltò leggermente per guardarlo
in viso. "Che c'è?" chiese. La guardò.
"Pensavo: perché non ti levi quella roba dalla
bocca?" "Cosa, il lucida labbra?" chiese lei,
incuriosita. "Beh, sì, come diavolo si
chiama." "Perché?" "Trovo che tu
stia benissimo senza." Lei alzò un sopracciglio con
aria interrogativa. "Non te n'è mai importato di queste
cose." Lui fece spallucce. "Hai delle labbra così
belle, al naturale. Così ti si rovinano." Si rese
conto di ciò che aveva detto e si morse la lingua. 'Perfetto!
Ora penserà che sono un maniaco che sta tutto il giorno a
guardarle le labbra perché muore dalla voglia di
baciarle!' Gli venne voglia di prendersi a pugni, ma in
quel momento non era possibile, aveva ancora le mani strette a quelle
di lei. Invece, lei scoppiò a ridere. "Nessuno mi aveva
mai detto qualcosa del genere." Lui alzò le spalle, di
nuovo. "C'è sempre una prima volta, sai?" Ringraziò
Dio per averlo fatto con la risposta sempre pronta. Lei continuò
a sorridere, sembrava divertita. Poi lui le lasciò le mani,
non smettendo di fissarla. "Posso?" chiese. Senza
aspettare una risposta, con il pollice destro le toccò le
labbra, togliendole il lucido. Lei rimase senza fiato, diventando
viola di botto, poi decise di buttarla sul ridere. "Guarda,
adesso hai le mani tutte appiccicose!" Scoppiarono entrambi a
ridere, e le loro risate sembrarono echeggiare attorno a loro.
Prendendo il coraggio a due mani, lui le mise il ciuffo dietro
l'orecchio. "Altrimenti, come faccio a guardarti negli
occhi..?" Era così felice. Vederla ridere, arrossire,
e star lì con lui, gli apriva qualche possibilità di
poterle piacere. Ma in ogni caso, lo sapeva, sarebbe stata solo la
sua migliore amica. Lentamente, si alzarono e uscirono fuori. L'aria
ormai era gelida, sembrava attaccarsi alla pelle e alle ossa. Le
stelle erano chiare sopra di loro, la stella polare sembrava
risplendere come non mai, anche se era insignificante accanto alla
luna, così bella e luminosa. Sembrava che sorridesse. "Devo
ritornare a casa, mia madre mi ucciderà." "Dai,
ti accompagno." La strada era completamente deserta, solo la
luce dei lampioni illuminava i due ragazzi. Lui rimuginava. Camminava
al suo fianco, il silenzio, le mani sprofondate nelle tasche, come
sempre. Avrebbe dovuto rivelarle i suoi sentimenti? Eppure era così
evidente, ma solo lei sembrava non averlo ancora capito, ed era
questa la cosa che lo faceva impazzire. Lei, che guardava gli altri
ragazzi e sospirava d'amore, non riusciva a vedere, a sentire, a
percepire quanto lui pazzamente fosse innamorato di lei. Senza
accorgersene, arrivarono davanti casa sua. "Beh, eccomi.
Grazie di tutto.." disse lei, con un grande
sospiro. All'improvviso a lui venne un colpo di genio. "Aspetta!
Quasi dimenticavo." La prese per un braccio, portandola sotto
il lampione di fronte casa sua, sperando che nessuno potesse
disturbarli. Con aria seccata, scacciò via con una mano vari
moscerini, poi si rivolse nuovamente a lei. "Volevo.. volevo
darti una cosa." disse. "Avevamo detto niente regali!
Solo per i nostri compleanni." ribatté lei, ma
sorrise. Lui frugò nella tasca del suo giubbotto, finché
ne estrasse un piccolo pacchettino incartato con della carta
scozzese. Lei lo prese e poi guardò
lui. "Cos'è?" "Aprilo." Lentamente,
lei lo aprì. Gli faceva venire i nervi, perché lei
apriva tutto lentamente per evitare che la carta si strappasse,
mentre lui solitamente strappava via ogni cosa, divorato dalla
curiosità. Finalmente, lo aprì. Un piccolo oggetto
scivolò sulle sue mani. Un fermaglio rosso, lungo e
lucido. "Che bello! Io adoro i fermagli!" esclamò
lei, raggiante. Lui sorrise, sospirando di sollievo. Era una
sciocchezza, e temeva che lei glie l' avesse lanciato in testa, come
minimo. Lo prese di nuovo, e glielo infilò tra i capelli
ricci, tirandole sopra il ciuffo e facendole vedere tutti e due gli
occhi. "Ho pensato che il rosso ti risaltasse il verde degli
occhi. E poi, guarda! Manco a farlo apposta, è dello stesso
colore del tuo maglione." Lei lo guardò, aveva gli
occhi lucidi. Prima che lui potesse aggiungere altro, gli buttò
le braccia al collo e lo strinse forte. "Ma.." lui
rimase senza fiato, ma la strinse a sua volta. "Sei.. davvero
troppo." disse lei, la voce attutita. Lui sorrise dolcemente,
socchiudendo di un poco gli occhi e quasi cullandola fra le sue
braccia. Era più alto di lei, e in quei momenti le sembrava
una bambina piccola e indifesa. "Ti prego, non lasciarmi.
Mai. Rimani il mio migliore amico, per sempre." continuò
lei, il cuore che le andava a tredicimila. Lui deglutì.
Sentiva ancora le sue braccia stringerlo, e il suo respiro contro il
suo petto. "Per sempre. Te lo prometto." rispose. Lei
sciolse l'abbraccio. Gli sorrise dolcemente, forse come non aveva mai
fatto. Lui si sciolse completamente, guardandola nei suoi grandi
occhi verdi. Dio, quanto la amava a quanto la voleva. Ma erano solo
amici. Per sempre. "Adesso devo veramente andare. Grazie, di
tutto." "Non c'è di che." "Buon
Natale, Alex." "Buon Natale, Adrienne." Gli
regalò un ultimo sorriso. Attraversò la strada, e poi
scomparve dietro una porta.
24
dicembre, un anno dopo. La stanza era ancora più buia. Mi
asciugai le lacrime residue sulle guance, sospirando e singhiozzando
in modo incontrollabile. Forse non riusciva a mantenere le promesse,
o forse mi ero solo persa nelle mie illusioni. Mentre riflettevo su
questo e il mio cuore si sgretolava in mille pezzettini, sentii un
rumore. Un tonfo sordo. All'inizio non ci feci caso, ma allungando
l'orecchio per sentire meglio, avvertii un altro rumore. Lo stesso,
solo un po’ più forte. Più vicino. Avvertii
subito un groppo in gola. Se fossero stati mia madre o mio fratello,
avrebbero sicuramente acceso la luce e mi avrebbero chiamato. Entrai
nel panico, ma decisi di stare calma e riflettere. Senza fare alcun
rumore, scivolai dal divano, accucciandomi sul pavimento. Nel
frattempo sentii altri rumori, dei passi, ed ero quasi sicura che
fosse un ladro. Mi guardai attorno, e afferrai la prima cosa
tagliente o potenzialmente pericolosa che trovai, in caso avessi
dovuto difendermi: un ombrello. Per fortuna riuscivo a vedere anche
al buio. Mi alzai, un po' di più, con il cuore che mi
tamburellava contro il petto per lo spavento. Mi appiattii contro il
muro, a due centimetri dalla porta del salotto, che dava sulle altre
stanze. Decisi di irrompere nell'altra stanza, accendendo la luce per
cogliere il ladro di sorpresa, al mio tre. 1.. E
se mi fosse successo qualcosa? Non avrei più rivisto mia
madre, Edoardo. 2.. E
non avrei più rivisto.. 3. Alex. Mi
fiondai nell'altra stanza, cliccando sul pulsante per accendere la
luce, urlando e brandendo l'ombrello in aria. La luce travolse la
stanza. Mi fermai, e l'ombrello mi cadde dalle mani. Un uomo sulla
quarantina, con dei capelli ricci sul castano scuro e con dei grandi
occhi verdi, era di fronte a me. Lo vidi scattare in aria per lo
spavento, e poi mi guardò fisso. "Adrienne..? Sono
ritornato." Non volevo pronunciare quella parola, ma senza
volerlo la vomitai. "P-papà...?"
Le fiamme danzavano, e i bicchieri di vetro del servizio
buono scintillavano, come se fossero composti da mille e mille
diamanti preziosi. Mia madre esibiva un sorriso entusiasta. Un
allegro chiacchiericcio era diffuso nella cucina, mischiato al rumore
di stoviglie sbattute l'una sull'altra. Strinsi i pugni e mi morsi il
labbro inferiore. Un gusto amaro mi avvertì che l'avevo morso
troppo forte, e smisi subito. Mi leccai le labbra, cercando un po' di
autocontrollo. La situazione era questa. Mio padre era
ritornato dal suo viaggio di lavoro, e naturalmente tutta la mia
famiglia lo stava accogliendo con gioia: tutti, tranne me. Me ne
stavo in disparte su un lato della cucina, non aprendo minimamente
bocca. Parlavo solo se qualcuno mi chiedeva qualcosa, e non
rispondevo neanche con troppa allegria. Era inutile negarlo,
comunque. Odiavo mio padre con tutto il cuore. La cosa che mi faceva
più male e che mi dava più fastidio, era che io ero la
sua fotocopia, eravamo uguali, e tutti i miei parenti adoravano
farmelo notare. Io, sicuramente, non avevo lo stesso carattere suo.
Mio padre era stato via due mesi interi, e io on avevo più
visto mia madre sorridere da due mesi a quella parte. Anche mio
fratello era contento e lo riempiva di domande. I miei nonni e i miei
zii partecipavano con allegria alla discussione. Odiavo tutto
questo. In quel momento mi sentii più sola che mai, anche
se attorno a me c'erano una decina di persone. Ero diventata
invisibile, nessuno mi prestava attenzioni, proprio in quel momento
in cui io avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse. Ma in quei tre,
infiniti, lunghi giorni, né mia madre né mio fratello
si erano chiesti perché non sorridessi più, perché
mangiassi poco, perché stavo tutto il tempo rinchiusa in
camera mia e non riuscissi più di casa. Io non ero così,
non era quello il mio modo di fare, e pensavo lo sapessero bene, che
mi conoscessero. Io mettevo le persone che amavo prima di me stessa,
ma evidentemente per loro non era così. Se mi fossi uccisa, a
nessuno sarebbe importato niente. Non sarebbe cambiato assolutamente
niente, per nessuno. Questo pensiero mi fece venire una profonda e
dolorosa fitta allo stomaco; forse perché sapevo perfettamente
che era la verità. Però faceva quasi impressione: stavo
affrontando l'idea di essere veramente sola con una lucidità
impressionante. Mi sarebbe piaciuto urlare e spaccare qualsiasi cosa
avessi sotto mano, ma allo stesso tempo c'era qualcosa che me lo
impediva, e m'imponeva di rimanere lucida e calma. Tutti i miei buoni
propositi erano andati a farsi friggere, e adesso ero anche obbligata
a vivere con una persona che detestavo profondamente. Al peggio non
c'era fine, pensai tristemente. "Adrienne?" "Eh?" Mi
risvegliai. Edoardo mi stava schioccando le dita davanti al viso. Non
appena individuò il mio sguardo atroce, smise. "La
cena è pronta, siediti." mi disse. "Non ho molta
fame." risposi. "Temo che la mamma non ti lascerà
andare via, è Natale. Dai, vieni." Mi trascinai vicino
al tavolo. Mio padre era a capotavola, così scelsi il posto
più lontano da lui. Mia madre invece si accomodò alla
destra di mio padre, e mio fratello la seguì a ruota. Feci una
smorfia: non vedevo l'ora che finisse tutto quanto, mi sentivo come
un grande peso sullo stomaco. Avrei voluto morire. I miei parenti mi
lanciavano occhiate e larghi sorrisi, ma non risposi a nessuno di
questi. Non m'importava di essere scortese. Non m'importava più
di nulla. All'improvviso avvertii una grande voglia di piangere. Il
naso cominciò a bruciarmi, così come le guance, e gli
occhi mi si riempirono di lacrime. Avvertii anche un groppo in gola,
e non riuscii a scioglierlo. Le prime portate furono servite, ma io
non mangiai quasi nulla. Ultimamente, mangiavo pochissimo, non avevo
più fame. Piluccai tutto, portando di tanto in tanto la
forchetta alla bocca. Il tavolo era pieno di chiacchiere allegre, che
stavano sulla bocca di tutti. Del vino rosso sangue veniva versato in
grandi bicchieri di vetro fragile. Mi sentii fuori luogo, e
terribilmente frivola e ridicola; ma purtroppo dovetti sorbirmi tutta
la cena, naturalmente. Durante la cena, non mi sfuggirono le occhiate
insistenti di mio padre. Pensavo che temesse che sarei scoppiata
all'improvviso e avrei rovinato l'allegria della serata. No, papà,
non posso farlo non sono così egoista, come
te.
***
Mezzanotte. Entrambe le lancette
dell'orologio in salotto erano puntate sul numero 12. Era il 25
dicembre, Natale. Ci fu un giro di baci e di auguri generali, che
evitai dicendo di dover assolutamente andare in bagno. Lì mi
lavai la faccia, studiando attentamente il mio riflesso allo
specchio. Gli occhi erano più verdi del solito, alterati dal
rossore che affliggeva i miei occhi, tormentati dal mio pianto
continuo degli ultimi giorni. Erano anche un po' gonfi. Mi sentivo
già debole, stanca. Allungai una mano verso le specchio, e mi
accorsi di tremare parecchio. Subito la ritirai, spaventata da me
stessa. No, no, non era possibile. Non ero io quella là, non
potevo essere io. Scesi giù come una furia, la testa che mi
scoppiava. Ritornando in salotto, la prima cosa che notai furono
altre bottiglie di vino che passavano dalle mani di mio padre, a
quelle dei miei zii. Il vino non aveva effetto su di loro, e per un
attimo desiderai bere così tanto da potermi ubriacare. Di
nuovo. L'avevo già fatto, a quanto pare, ma nessuno mi aveva
detto con cosa. E poi, beh, forse non era una grande idea, l'ultima
volta non aveva avuto degli effetti magnifici. Ma dicevano che bere
riusciva a farti dimenticare per un po' di tempo di tutto e tutti, a
rilassarti. In quel momento mi sarebbe piaciuto dimenticare, sì.
Mi piacerebbe piaciuto cullarmi nella dolce ubriachezza dell'alcol,
per poter soffrire di meno, per dimenticare tutto il male che avevo
dentro. Ma non era possibile. Mi risvegliai di nuovo, i rumori mi
riportarono alla realtà. La scena era cambiata: I miei parenti
adesso si scambiavano vari pacchetti e scatole incartate. Qualcuno mi
invitò a sedermi, io ubbidii. All'improvviso vari pacchetti si
materializzarono attorno a me, erano i regali dei miei parenti..
chissà cosa mi avevano comprato. D'istinto allungai la mano
verso uno dei pacchetti, ma una mano afferrò il mio polso.
Alzai lo sguardo di scatto, e trovai gli occhi di mio padre e
fissarmi. Quando mi resi conto di tutto ciò, lo allontanai dal
mio braccio con un po' troppa violenza. Mi lasciò andare.
"Tieni. Questo è il mio regalo." Mi consegnò
un pacchetto di una dimensione media, dorato, con un grande
fiocchetto bianco in cima. Dovevo ammettere che la confezione era
carina. Presi il pacchetto fra due mani. Lui continuò a
guardarmi, e io immaginai che volesse che lo aprissi davanti a lui.
Sospirando, e con una lentezza infinita, levai la carta e uscii una
scatola nera. La aprii. Una macchina fotografica. Rimasi senza
parole. Come faceva a sapere che ne volevo una? L'avevo chiesta alla
mamma, per Natale, ed evidentemente lei glielo aveva detto. Venni
invasa da un moto di rabbia e frustrazione, avevo bisogno di urlare.
Non ce la facevo più. "Grazie.." dissi invece,
simulando un sorriso stentato. Volevo essere educata, ma non ero
sicura di riuscirci troppo bene. Forse mio padre voleva la mia
gratitudine; ma ancora non capiva che l'odiavo con tutto il cuore?
Chiusi la scatola. Lui mi scompigliò i capelli,
sorridendomi, poi se ne andò. Subito gli occhi mi si
riempirono di lacrime. Mi scompigliava sempre i capelli, quando ero
più piccola, dicendomi che li avevo ricci e ribelli proprio
come i suoi. Sbuffai, riprendendo un contegno. Era proprio vero, al
peggio non c'era mai fine.
***
Un'ora più tardi,
ritornai in camera mia. Avevo tra le braccia i numerosi regali dei
miei parenti. Chiusi la porta spingendola con un piede, poi con
estrema difficoltà, avanzai e gettai tutti i doni sul letto.
Libri, profumi, magliette. Sapevo che la maggior parte di questi non
erano fatti col cuore, ma erano solo regali di circostanza: Perché
eravamo parenti e tra parenti ci si deve fare regali, per le
occasioni importanti, la regola era questa. Tra i tanti regali,
individuai la scatola nera, la quale conteneva la macchina
fotografica regalatomi da mio padre. La presi, e la guardai fisso per
un minuto. Mi venne voglia di scagliarla contro il muro, ma
naturalmente non lo feci. Mi accovacciai sul pavimento, alzai il
piumone che lo sfiorava, e nascosi la scatola sotto al letto. Sarebbe
stata lì, a prendere la polvere. Mi sarei rifiutata di usarla,
per qualsiasi motivo al mondo. Come se stessi boicottando in maniera
silenziosa il comportamento di mio padre. Ero stanchissima e avevo
voglia di stendermi e dormire un po' I miei parenti erano ancora giù,
dopo i regali stavano giocando a carte e chiacchierando. Pensai che,
se fossi andata a dormire, nessuno avrebbe sentito la mia mancanza,
comunque. Il mio sguardo vagò sui mobili della mia stanza,
finché, ebbi un'idea. Sospirai profondamente, poi mi avvicinai
al mobile vicino la scrivania. Aveva tanti cassetti, e ci tenevo
dentro vestiti e alcune cianfrusaglie. Aprii il primo cassetto.
Rovistai un po' dentro, vedendo perfettamente, anche se non avevo
acceso la luce. Presi il mio portagioie di legno scuro. Dentro
c'erano alcune collane e braccialetti, che non usavo praticamente
mai. Tenendolo stretto e fermo tra le mani, mi sedetti sul pavimento,
appoggiando la schiena all'estremità del letto. Respirai
profondamente, poi l'aprii. Dentro c'erano alcune collane,
braccialetti di quand'ero più piccola che non avevo avuto il
coraggio di buttare via. Infine, lo trovai. Mollai accanto a me il
portagioie. Strinsi forte al petto quel piccolo fermaglio rosso e
lucido, tenendolo con entrambe la mani. Chiusi gli occhi. Ero
patetica, vivevo di ricordi. Ma, in quel momento, erano le uniche
cose che avevo. E non riuscivo a rassegnarmi sul fatto che lui non
era lì con me e non ci sarebbe stato mai più.
Tre giorni passarono, in un modo o nell'altro. La magia di
Natale se n'era completamente andata; non che ce ne fosse stata poi
molta. 28 dicembre. Un giorno che aspettavo con ansia
da mesi, e che ora avrei preferito evitare: Il mio sedicesimo
compleanno. La mattina era fredda, quasi ghiacciata. Naturalmente
mi svegliai di cattivo umore, nonostante la colazione a letto portata
da mio fratello Edoardo, che sembrava aver subito un trapianto di
personalità, almeno per quel giorno. Rimase con me per tutto
il tempo in cui cercai di mandare giù qualcosa, cercando di
strapparmi un sorriso con qualche battuta idiota e parlando del
tempo, argomento banale ma piuttosto efficace. "Beh, come ci
si sente ad avere finalmente sedici anni?" mi chiese infine,
quando stava per riportare il vassoio quasi intatto giù, in
cucina. Pensai che una schifezza non fosse la risposta giusta,
così mi limitai a dire: "Lo stesso di averne quindici."
Edoardo fece spallucce e se ne andò. In effetti era vero:
avevo compiuto sedici anni, ma non mi sentivo per niente diversa. In
fondo, che cos'era? Solo un numero. Con orrore, pensai che tutta la
mia famiglia, in quel giorno, mi sarebbe stata addosso e mi avrebbe
ricoperto d'attenzioni. Era terribile, non lo volevo. Pensai anche
che, siccome mi avevano già fatto il regalo per Natale, non me
ne avrebbero fatto ancora un altro. Almeno non avrei dovuto fingere
altra gentilezza, specialmente nei confronti di mio padre: mi sentivo
male a farlo. Non perché nutrissi dei sensi di colpa nei suoi
confronti; ma perché io ero fondamentalmente una persona
onesta e sincera, e sentivo di imbrogliare me stessa; ma era
inevitabile, ormai. Mi alzai dal letto e andai in bagno, tuffandomi
sotto la doccia; dopo di che, scesi in salotto. Mia madre e mio padre
erano seduti sul divano, guardavano la televisione. "Buon
compleanno, Adrienne." disse mio padre. Mia madre si alzò
e venne a baciarmi sulla guancia. Ringraziai timidamente, diventando
rossa, come sempre in quelle occasioni. Mio fratello ci raggiunse, mi
sorrise. Cercai di ricambiare, sperando con in realtà non mi
fosse venuta fuori una specie di brutta smorfia. Non mi sentivo per
niente a mio agio; mi sentivo gli occhi di tutti addosso, e non
riuscivo a muovermi con naturalezza. "Hai fatto colazione?"
mi chiese mia madre.
Mi
voltai verso di lei, guardandola. Mio padre mi fissava. "Sì,
Edoardo me l'ha portata a letto." risposi. "Ho notato
che non hai mangiato poi tanto.." osservò ancora mia
madre, con un tono che sembrava dispiaciuto. Alzai le spalle. "Non
ho molta fame." "Be', allora non hai mai molta fame,
ultimamente.." disse mio padre. Il commento mi colpì nel
profondo. Che ne sapeva lui? Era in quella casa solamente da tre
giorni. "C'è qualcosa che ti affligge, tesoro?"
chiese dolcemente mia madre. "Non mangi quasi niente.." Rimasi
accanto alla porta, pronta a svignarmela. Mio fratello si sistemò
in una poltrona, lanciando occhiate dai miei a me. Sbuffai, irritata
da quell'intromissione. Ero incontentabile. Prima mi lamentavo
perché non ricevevo attenzioni da loro, poi mi lamentavo
perché me ne davano troppe. "Non ho niente.."
risposi, rimanendo sul vago e alzando nuovamente le spalle.
Mentivo. "Sicura? Non.." iniziò mia madre, ma mio
padre la interruppe. "Non sarà mica per un ragazzo?"
domandò, alzando un sopracciglio e guardandomi con aria
sospettosa. Deglutii sonoramente, portando le mani dietro la
schiena. "Un ragazzo? Ma no.." iniziai. "E
allora cos'è successo?" incalzò lui. "Perché
non esci più? Stai sempre in casa! Che fine ha fatto
Alessandro?" continuò mia madre. A quel nome, ebbi uno
scatto. Saltai in aria, avvampando e diventando color
porpora. "Alessandro? Chi è?" chiese mio padre,
voltandosi verso mia madre. Sentire ancora quel nome mi faceva del
male. Troppo. Barcollai, temetti di cadere e mi appoggiai al muro
alle mie spalle. "E' il suo migliore amico. Non si fa più
vedere, né sentire." spiegò rapidamente mia madre
a mio padre. "Allora è per lui, eh? Per un ragazzo!"
disse quest'ultimo. No, no, no. "Ti reputavo più
intelligente, sai?" continuò. No, basta. Non aveva
nessun diritto di parlarmi così. "Hai sedici anni! Non
mangiare non servirà a nulla." Basta. Non sapeva
niente di me, lui. "E poi, che sarà mai
quest'Alessandro! Manco fosse la tua ragione di
vita!" NO. Scoppiai. Ero rossissima, furiosa,
tremavo. Tenevo i pugni così stretti che le unghia si
conficcarono nella carne delle mie mani. "Basta!" urlai,
con tutto il fiato che avevo nei polmoni. Tutti e tre sobbalzarono,
guardandomi fisso. Vidi lo sguardo mio padre indurirsi
improvvisamente, ma non smise di guardarmi. Io non avevo più
controllo. Oramai che avevo iniziato, perché smettere? Non ce
la facevo più, erano tre giorni che sopportavo senza
lamentarmene mai. "Che cosa ve ne importa?" urlai ai
miei genitori, "La vita è mia, decido io,
maledizione!" Mio padre aprì la bocca per ribattere,
ma io lo fermai. "Sono grande abbastanza! So decidere da sola
cos'è giusto o cos'è sbagliato!" continuai. Mi
accorsi di avere quasi il respiro affannoso. Silenzio. Mio
padre era scuro in volto. Mia madre era allibita. Mio fratello
era sorpreso. "Sei ancora una bambina. Non hai il diritto di
parlare così." proferì mio padre. Bambina.
Bambina. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. E per
quanto fosse possibile, mi arrabbiai ancora di più. Allora mi
scagliai contro di lui, urlandogli addosso. "Io, una bambina?
Quello che non si prende le proprie responsabilità, sei tu!"
dissi. Notai che mio padre si agitò parecchio, a quella
affermazione. "Basta! Lasciami in pace, esci dalla mia vita!"
continuai, scaricando tutta la rabbia e la frustrazione che avevo
accumulato in corpo in quei giorni, "..nessuno ti ha chiesto di
tornare qui." E conclusi con ciò che tenevo sulla punta
della lingua in quei tre giorni: "Ti odio!" Senza
aspettare una risposta, una reazione, mi voltai di scatto e ritornai
in camera mia, sbattendo la porta con tutta la forza che
avevo.
***
Mi fermai, arrivando a destinazione.
Conoscevo quel posto fin troppo bene, oramai. Presi il cellulare
dalla tasca destra dei miei jeans, aprii lo sportellino e composi un
numero, schiacciando con forza i tasti. Era sera. Il cielo era già
scuro, nero, e le stelle e la luna risplendevano bianche, in mezzo a
quel velluto elegante. Erano le undici. Non avrei dovuto trovarmi
fuori di casa a quell'ora, da sola, ma non me ne importava più
niente. Uno, due, tre, infiniti squilli. La persona all'altro capo
della linea non rispondeva. Esattamente come avevo immaginato,
pensavo. In effetti, era abbastanza naturale che facesse così,
ma non mi arrendevo mica. Posai nuovamente il cellulare in tasca.
Rimasi un attimo lì, incerta sul da farsi. Poi decisi di
prendere in mano la situazione. Ero davanti ad un edificio, una
casa che oramai conoscevo bene, ci ero stata sì e no migliaia
di volte. Feci il giro della casa, trovandomi sul retro. C'erano
poche luci che filtravano attraverso le tende, e riconobbi la luce
del salotto e della cucina. Cercai con lo sguardo la finestra che mi
interessava. Nessuna luce. All'improvviso venni pervasa da mille
pensieri. Era in casa? Sperai ardentemente di sì. E comunque,
tentare non nuoceva. Avanzai rapidamente verso la finestra, con passo
felpato, manco stessi per fare una rapina. Le tende mi impedivano di
vedere, e la tapparella era mezza abbassata. Pensai che fosse una
fortuna che si trovasse al pianterreno. Bussai violentemente contro
il vetro, in modo che sentisse. Rimasi a guardare. Non appena
notai il movimento della tenda, mi accovacciai subito sul
terreno. Pensavo che se mi avesse visto subito, mi avrebbe
sbattuto la finestra in faccia, come minimo. Socchiusi gli occhi.
Sentii la finestra aprirsi sopra di me. Lo sentii posare le mani sul
davanzale, sbuffare, e guardarsi intorno. Stava per chiudere la
finestra, quando mi alzai e mi arrampicai dentro la stanza,
spingendolo di lato. Mi ritrovai per terra, vicino alla finestra,
nella camera. Chiusi ed aprii più volte gli occhi. Era per
terra anche lui, ma si alzò di scatto. Non lo vedevo bene, era
buio, ma mi guardava fisso. Appoggiò le mani sui
fianchi. "Adrienne!" esclamò, "che.. che
diavolo ci fai qui?" La sua voce, così bassa ed
intensa, bastò a farmi sciogliere come neve al sole. Erano sei
giorni che non la sentivo, mi mancava; mi era sempre piaciuta. Lui
mi mancava, troppo. Mi inginocchiai e, senza guardarlo, scoppiai a
piangere. Mi portai le mani sul viso, provavo vergogna, ma nonostante
questo le lacrime non accennavano a scendere. Lui rimase in silenzio,
immobile. Dopo qualche minuto, si avvicinò. Pensavo lo stesse
facendo per consolarmi, invece lo sentii chiudere la finestra. Ci
rimasi malissimo, e singhiozzai ancora più forte. Dopo di ciò,
lo sentii inginocchiarsi accanto a me, finalmente. "Adrienne.."
iniziò. Non risposi. Respirai profondamente per
calmarmi. "Adri.. che è successo..?" Mi levai
le mani dal viso, ma tenendo ancora lo sguardo basso. Mi asciugai
rapidamente le lacrime dalle guance, poi lo guardai. Il bagliore
argentato della luna, filtrando attraverso le tende, illuminava
d'argento solamente i profili delle cose e delle persone. Guardai il
suo profilo, i suoi capelli, le labbra socchiuse, che risaltavano
grazie alla luce della luna di un colore brillantinato, sul
grigio. "Posso sapere come stai, per favore?" mi chiese,
con gentilezza. "Non.. non bene." risposi. "Quella
che mi fai è una domanda retorica." osservai. Ero
razionale e precisa, come sempre. Annuì. "Che ti è
successo?" mi chiese nuovamente. Sospirai, prendendo
coraggio. "Mio padre. E' venuto qui, qualche giorno fa." Lessi
nel suo sguardo della sorpresa. "Cosa? Ma non era già
due mesi che non si faceva vedere?" chiese. Alzai le spalle.
"Già." Rimase un attimo in silenzio. "Non ho
ancora capito cos'hai contro tuo padre. Non me l'hai mai detto perché
lo odi così tanto." osservò. Era vero, nessuno
sapeva del mio segreto. Forse era il momento di dirglielo, oppure
no? "Ho.. ho bisogno di te, Alex. Non ho più nessuno."
dissi, con voce tremante. "Adrienne.. sai già come la
penso. Non dovremmo parlarci. Non dovresti essere qui. Io dovrei
uscire dalla tua vita." disse. Lo guardai dritto negli occhi,
per quanto l'oscurità me lo permetteva, e lui si morse un
labbro. "Alex. Ti supplico, ti imploro.. ho bisogno di te, ho
bisogno del mio migliore amico.. e di nessun altro.." Non
rispose, rimase in silenzio per qualche minuto. Poi si avvicinò
al mio orecchio, e mi sussurrò. Proprio come l'ultima
volta. "E' solo per stanotte." Le sue parole
mi rimbombarono in testa. Solo per stanotte. Non mi bastava,
certo. Ma avevo bisogno di lui, in quel preciso momento. Non sapevo
perché accettasse, perché lo facesse. Ma io in quel
momento decisi di essere egoista, non m'importava. Per una notte
avrei ripreso a vivere. Sarei rimasta tutta la notte lì, se
necessario. Mi alzai in piedi. "Senti.. posso stendermi?"
chiesi, indicando il letto al centro della stanza. Avevo le gambe
molli, e la testa mi girava violentemente. "Certo." si
alzò, mi prese per mano. A quel contatto, rabbrividii. Come se
avessi preso la scossa, la mollai di scatto. Mi avvicinai al letto, e
mi ci distesi sopra. Socchiusi un po' gli occhi. Mi sentivo morire. E
allo stesso tempo, non mi ero mai sentita così viva. Pensavo
di non aver più potuto vedere Alex, e invece lui era lì,
insieme a me, anche se solo per una notte. Ma magari, avrebbe
cambiato idea. Lo guardai, era in piedi davanti al letto. Quanto
lo amavo, quanto lo volevo. Alex si avvicinò a me. Con
lentezza snervante, si avvicinò al letto e si distese accanto
a me, lasciando tra me e lui pochi centimetri di distanza. Era
troppo vicino. Sentivo il suo respiro sul mio collo, i suoi occhi
dentro ai miei. Avrei voluto rubare quell'attimo, metterlo dentro una
bottiglia e berne quando ne avevo più bisogno. Mi sarebbe
anche bastato che il tempo si fosse fermato, proprio in quell'istante
esatto. Avevo una voglia tremenda di abbracciarlo, ma non sapevo se
potevo farlo. Così mi avvicinai, chiudendo gli occhi. Lo
abbracciai, poggiando la testa sulla sua spalla e tenendo le mani
sulla sua schiena. I nostri corpi ormai si sfioravano, erano
pericolosamente e deliziosamente vicini. "Ti voglio,
Alex. Ti voglio, ti voglio," gli sussurrai ripetutamente
all'orecchio, stringendo fra le mani la stoffa della sua maglietta.
"..con me." precisai, arrossendo terribilmente. Ma tanto
c'era troppo buio, non poteva vedermi arrossire. Lui non rispose,
solo mi poggiò una mano dietro la schiena, come se volesse
carezzarmi, ma non lo fece. Deglutii, mi sentivo un'idiota.
Continuai a stringere la sua maglietta e ad abbracciarlo; poi mi
allontanai, ritornando alla mia posizione originale. Avevo bisogno di
sfogarmi. E, soprattutto, di fargli capire quanto lo amavo: in fondo,
era solo per una notte. E poi? Vuoto totale. Piansi di nuovo. Lui mi
toccò le guance e molte delle mie lacrime si riversarono nelle
sue dita. Quel silenzio mi faceva impazzire. Finché, come se
avesse letto nei miei pensieri, parlò. "Mi dici perché
stai così? Come faccio ad aiutarti?" chiese. Sospirai.
Avevo paura, avevo paura di raccontargli il mio segreto. Mi sarei
sentita meglio, dopo averlo fatto, o sarebbe solo stato l'ennesimo
sbaglio? "Se mantieni il segreto, te lo racconterò."
dissi, con lentezza. Lo vidi annuire. "Certo. Ti dispiace
se.. fumo?" chiese, titubante. "No." risposi
sinceramente. Non mi dispiaceva affatto. Avevo bisogno di memorizzare
ogni piccolo particolare, ogni azione, ogni movimento. In modo tale
che, quando la notte fosse finita, avrei potuto cibarmi meglio dei
ricordi. Si alzò a sedere sul letto, poggiandosi allo
schienale. Adesso vedevo veramente poco di lui. Io d'istinto mi
sedetti meglio davanti a lui, incrociando le gambe e guardandolo
fisso. Prese qualcosa dal comodino accanto a lui. Ci furono dei
rumori, e vidi una fiamma color arancio materializzarsi davanti a me.
Avvicinò l'accendino alla sigaretta che teneva fra le labbra,
e per un attimo gli vidi chiaramente il viso, illuminato da quella
luce arancione. Accese la sigaretta, e cominciò a fumare. Un
odore di fumo mi arrivò al naso, e provai una sensazione di
solletico: non lo sopportavo, ma mi ci stavo abituando. La sigaretta
accesa era ben visibile al buio, ma di lui non vedevo quasi niente.
Ogni tanto gli illuminava il viso perfetto, quando la avvicinava ad
esso per fare un tiro. Fu una delizia, anche se non approvavo il
fumo, lui era spaventosamente bello, così, mentre fumava. E il
suo viso era proprio come me lo ricordavo. "Dai, spara. Hai
tutta la mia attenzione." disse dopo un po'. Sospirai,
cercando il coraggio necessario. "Stà tranquilla, okay?"
continuò. Annuii. "Avevo tredici anni," dissi,
"quando scoprii il piccolo, grande segreto di mio
padre." Deglutii. Ricordarlo mi faceva male, e anche se erano
già passati quasi tre anni, le immagini di quel momento erano
ancora vive nella mia mente. "Mio padre era sempre il
rappresentante della ditta di computer," dissi, "e ci
raccontava di fare lunghi viaggi per tutto il paese, per i clienti."
Alex annuì. "E' quello che fa adesso, no?" "Esatto.
Era l'11 aprile di tre anni fa, me lo ricordo ancora. Sai, come si
dice.. Ci sono molte cose che non si dimenticano facilmente, e questa
è una di quelle. Quella mattina mio padre ci aveva chiamato,
dicendoci che nel pomeriggio sarebbe tornato a casa, dopo un mese e
passa. Io ero felicissima: adoravo mio padre. Portava a me e a mio
fratello dei bellissimi regali." "Il pomeriggio, dopo i
compiti, mia madre diede a me e a mio fratello dei soldi per un
gelato, dicendoci che potevamo andare a fare una passeggiata, al
parco. Naturalmente accettammo: aspettavamo con ansia il ritorno di
mio padre e, magari, se ci fossimo distratti per qualche ora, il
tempo sarebbe passato più velocemente." Alex spense la
sigaretta, poi mi guardò. "Continua, dai." Continuai
con il mio racconto. "Dopo un gelato, io e mio fratello andammo
al parco. Era grandissimo e pieno di spazi verdi, di aiuole; ma non
era molto frequentato, se non dai ragazzi. Passammo un'oretta a
chiacchierare, a prendere il sole distesi sull'erba. Poi, mio
fratello incontrò un gruppo di suoi amici." "Lui
era più grande di me, quindi era chiaro che non mi volesse fra
i piedi mentre stava con i suoi amici. Allora andai, da sola, a
spasso per il parco, fra le varie aiuole. Speravo che mio fratello
finisse presto, perché mi annoiavo senza di lui. Finché,
mentre ero dietro un cespuglio a raccogliere delle margherite, sentii
la voce di due adulti, molto attutita." La voce mi tremò,
eravamo nella parte cruciale. Alex lo capì, e mi prese una
mano. Io la strinsi, forte, come per farmi coraggio. "Mi
avvicinai per vedere meglio." iniziai. "Vidi.. vidi mio
padre, disteso sull'erba, abbracciato ad una donna." Sentii Alex
trattenere il respiro, e stringermi la mano più forte.
Deglutii. Dovevo essere forte, e non piangere di nuovo. "Cosa..
cosa successe?" chiese Alex, "vuoi raccontarmelo?" Annuii,
e mi schiarii la voce. "Urlai. Avevo paura. Ero terribilmente
sconvolta, tutte le mie certezze erano crollate. Mio padre mi sentì,
mi vide, venne preso dal panico. Lasciò la donna, e venne
verso di me, aggiustandosi i vestiti. All'inizio non mi disse niente,
mi fissò mentre piangevo disperata. Non mi ricordo bene cosa
dicessi, ma mi lamentavo fra le lacrime e imprecavo. Stavo soffrendo
tantissimo." Feci una pausa, ricacciai le lacrime indietro.
Mi inumidii le labbra, e Alex mi strinse anche l'altra mano. "Poi,
dissi qualcosa come: 'Lascia che non lo sappia la mamma' ,
facendogli capire che ciò che avevo visto non sarebbe rimasto
un segreto. A quel punto mio padre divenne una furia. Mi prese per le
spalle e mi sussurrò minacciosamente. 'Fanne parola con
qualcuno, e io ti ammazzo', mi disse. Non ho mai capito se
dicesse sul serio. Ma capiscimi: ero sola, impaurita. In quell'attimo
gli credetti. Poi continuò e aggiunse: 'Non me ne importa
più niente di voi, presto lascerò te, tuo madre e tuo
fratello, e questa città.'" Mi fermai,
guardandolo. "Non sai quante volte ho desiderato che lo
facesse.." confessai. Alex annuì, e intrecciò
le mie dita con le sue. Era evidentemente ammutolito e sconvolto
anche lui. Aveva visto mio padre poche volte, ma pensavo che non si
immaginasse una cosa del genere. E in effetti, neanch'io me la sarei
mai immaginata. Certe volte mi chiedevo: perché a me? Perché
non a qualcun altro? Il destino era stato troppo crudele con
me. "Sono.. sono il primo a saperlo?" chiese. "Sì.
E temo che per ora sarai l'unico." risposi. Sospirò.
"E' successo qualcos'altro, vero?" Annuii. "Io e
lui abbiamo litigato. Mi ha accusato di essere una bambina.." "Odi
essere chiamata così." osservò lui. "Esatto,
tu lo sai bene. Gli ho detto delle cose orribili, ma era ciò
che pensavo, alla fin fine." continuai. "E sei scappata
via, per venire da me?" chiese. "Sì. Alex, forse
non capisci. Per mia madre e mio fratello, mio padre è Dio
sceso in terra, quando in realtà è tutt'altro. Non mi
crederebbero mai, non mi darebbero mai ragione. Pensa che da quando è
ritornato a casa, io sono stata male, e loro non mi hanno neanche
calcolato." Prima Alex non rispose, poi ci ripensò.
"Sei.. sei stata male?" Sospirai, mordendomi le labbra.
"Io.." iniziai. "Per me." concluse lui,
precedendomi, con un tono rassegnato. Gli strinsi le mani sempre
più forte. "Patetico, vero?" chiesi. "Il mio
obiettivo era non farti soffrire più, Adrienne. Soffrire per
me, non ne vale assolutamente la pena. Volevo allontanarmi da te in
modo che tu fossi felice." spiegò. "Tutto questo
non mi fa bene per niente, Alex!" esclamai, "mi spieghi
come farei ad essere felice senza te accanto?" "Niente è
infinito. Prima o poi dovremmo separarci, non ti pare?"
ribatté. Alzai le spalle, stritolandogli praticamente le
mani. "Ma io non ci riesco. Non riesco a non parlarti, a non
pensarti. Non sono abbastanza forte da poterti stare lontano."
dissi, citando una sua frase di parecchie settimane fa. Sospirò,
e mi lasciò le mani. Pensavo di averlo irritato, o fatto
arrabbiare. Invece, si avvicinò e mi prese fra le sue braccia,
come a volermi cullare. Io mi lasciai andare, socchiudendo gli occhi.
Sentivo un calore diffuso in corpo, come se delle piccole scariche
elettriche mi attraversassero dappertutto. Arrossii. Mi avvicinò
a sé, io stesa sopra di lui, fra le sue braccia. Ero in
imbarazzo, ma felice. Stetti in silenzio, senza nulla da dirgli. "Ti
ricordi.." sussurrai all'improvviso, "Natale di un anno fa?
Me l'hai promesso, Alex. Per sempre." Prese a carezzarmi i
capelli, a farmi i ricci con le dita. Mi guardava fisso, facendomi
arrossire. "Alex.." iniziai, ma mi poggiò un dito
sulle labbra, per zittirmi. "Shhh.." disse,
avvicinandosi al mio viso. Rabbrividii. Si avvicinò al mio
orecchio. "Buon compleanno, Adrienne." Rialzò il
viso, mi guardò. Mi scostò i capelli dal viso, e mi
baciò delicatamente sulla guancia. Io ero paralizzata, non
sapevo né cosa fare, né cosa dire. Trattenevo il fiato,
guardandolo con occhi grandi. Perché faceva così?
"Cosa ti sto facendo, Adrienne?" mi chiese,
sussurrandomi. "Sto diventando peggio di una droga. Per questo
non possiamo stare assieme. E perché io non potrò mai
amarti, non come mi ami tu." Rimasi in silenzio, un groppo in
gola. "Non posso provare amore, per te. Ma l'affetto, quello
c'è. Troppo." disse. "Peccato che l'amore sia
un'altra cosa," osservai, con un tono infelice e deluso. Mi
veniva di nuovo da piangere, "ma non capisco perché non
possiamo stare insieme come amici. Come prima." Mi carezzò
i capelli, continuava a sussurrarmi. "Perché
continueresti ad amarmi, standomi vicino. Ti deve passare. E perché..
non posso permettermi un errore come quello dell'altra volta." "Il..
il bacio?" la voce mi tremò. "Neanche me lo ricordo,
Alex.." "Non avrei dovuto farti ubriacare. Non avrei
dovuto baciarti. Era tutto così perfetto, fra noi. E ho
rovinato ogni cosa, mannaggia a me." Scosse la testa. Sembrava
dispiaciuto, come se si tormentasse tanto per tutta quella storia. Il
suo ragionamento mi sembrava comunque assurdo, e non riuscivo a
concepirlo, nonostante mi sforzassi di farlo. No, ogni sforzo era
inutile. "Ho disperatamente bisogno di te, Alex. Non puoi
lasciarmi così, come se niente fosse. Sto soffrendo tanto.."
insistetti. Alex mi appoggiò di nuovo un dito sulle labbra,
indicandomi di stare in silenzio. "Lo so, Adrienne. Lo so."
Mi strinse di più a sé, togliendomi il respiro.
"Perdonami ti prego.." disse. Piansi ancora. Mi sentivo
svenire: la testa mi scoppiava e le gambe mi tremavano. Stavo
diventando un po' troppo piagnucolona, ma dovevo scaricare tutto ciò
che avevo provato in quei sei giorni, in un modo o nell'altro. Ero
tra le braccia di Alex, ma avrei preferito morire. Sarebbe durato
una notte. Una notte. Mi meritavo davvero di stare così male?
Volevo solo qualcuno che ricambiasse i miei sentimenti. Volevo solo
che lui ricambiasse i miei sentimenti, che mi amasse
esattamente come lo amavo io. Volevo solo che fosse lui a cercarmi
fra la gente, che fosse lui a sentire il cuore battere veloce, che
fosse lui a morire per un mio sorriso, un mio abbraccio. E invece
questo ero ciò che facevo io, da troppo tempo ormai. Cominciai
a sentirmi male, ad avvertire conati di vomito, per la paura di tutto
questo. La testa era pesante, non la sentivo più. Cominciai a
straparlare. "Alex, Alex. Ti prego salvami.." "Da
cosa?" "Da te." No. Avrei voluto
morire fra le sue braccia.
***
Dei movimenti accanto a
me disturbarono il mio sonno. Aprii in maniera impercettibile gli
occhi, ma non vedevo lo stesso niente. Avevo ancora la vista
appannata dal sonno, ed ero ancora troppo stanca per provare a fare
chiarezza. Era come se non avessi praticamente dormito. Mi sentivo la
testa pesante come la sera precedente e di nuovo le gambe molli. Il
movimento accanto a me era cessato, ma nonostante questo, non
riuscivo a prendere di nuovo sonno: ormai ero sveglia. Provai a
riaprire nuovamente gli occhi, facendo uno sforzo che mi parve
praticamente immane. Ci riuscii, ma allo stesso tempo non riuscivo
bene a capire dove mi trovassi. Nella stanza regnava una
semi-oscurità, mentre una luce appena color azzurro e giallo
filtrava attraverso la finestra. Questa luce illuminava i mobili
dentro la stanza. Una scrivania, una sedia, un armadio. Ma quella non
era la mia camera da letto, e lo sapevo bene. Mi accorsi solo in quel
momento della persona accanto a me. Alex era appoggiato sulla mia
spalla, e dormiva beatamente. I suoi capelli neri mi sfioravano
leggermente il collo, mettendomi i brividi. Mi incantai a guardare il
suo petto alzarsi ed abbassarsi. Il suo respiro. Aveva le
labbra leggermente socchiuse, m'incantai a fissare anche quelle. Era
bello, troppo bello. Troppo perfetto per essere vero, e forse la
verità era che io ero troppo imperfetta per lui. Sarei stata
tutta la vita a guardarlo dormire: dava una totale sensazione di
benessere e pace interiore, tanto che per quegli attimi mi dimenticai
della dura realtà che mi aspettava. Dovevano essere le cinque
del mattino, se l'intuito non mi ingannava. Ciò doveva
significare che la notte, quella notte, era finita. Sì,
quella notte il tempo sembrava essersi fermato, dentro quelle quattro
mura. Ero rimasta con Alex per tutto il tempo, senza lasciarlo per
neanche un secondo. Avevamo parlato di tutto e niente, io avevo
pianto molto, lui aveva cercato di consolarmi abbracciandomi e
carezzandomi i capelli, e zittendomi quando cercavo di prendere
'quell'argomento', che mi stava troppo a cuore. L'ultima volta
che avevo dato un'occhiata all'orologio, quando Alex si era acceso la
quarta sigaretta, erano le tre e mezza del mattino. Non mi ero
neanche accorta di essermi addormentata. Solo una notte, aveva detto.
E adesso, tutto sarebbe tornato come prima. Anzi, non ci sarebbe
stato proprio più niente. E come se questo non bastasse, a
casa mia mi aspettava l'allegra convivenza con mio padre. Non credevo
che avessero scoperto che ero scappata di casa; avevo chiuso la porta
della mia camera a chiave. Ma se mi avevano anche scoperta, allora
erano veramente cavoli amari. Appoggiai meglio il mento sopra la
testa di Alex, poi piegai la testa di lato e mi ci appoggiai la
guancia. Avevo paura, e non riuscivo più neanche a prendere
sonno, né nient'altro. Cosa sarebbe successo, quando Alex si
sarebbe risvegliato? Mi avrebbe sbattuto fuori a calci senza neanche
rivolgermi la parola? No, era impossibile che si comportasse in
questa maniera. Ma era altrettanto impossibile che decidesse di
lasciarmi anche dopo quello che gli avevo detto nella notte, dopo che
avevo aperto il mio cuore a lui. Perché doveva farmi soffrire
così tanto? Non era giusto. Non credevo che lui stesse bene a
vedermi così male, ma allora perché continuava a
rimanere nella sua idea? Per un attimo mi chiesi se fosse un po'
troppo egoista. Ma oramai conoscevo benissimo Alex, e lui non era
così. Non avrei dovuto avere di questi dubbi, e per un attimo
mi rimproverai. Però sapevo che nonostante tutto, non avrebbe
cambiato idea e, sì, mi avrebbe lasciato di nuovo sola. E io
non avrei neanche potuto farci niente, avrei ancora sofferto. Ci
furono di nuovo dei movimenti. Lo fissai, trattenendo il fiato, in
attesa. Alex alzò la testa, svegliandosi, i miei occhi
incrociarono i suoi color nocciola. Sospirai, con aria triste,
fissandolo. Poi mi sorrise. "Buongiorno." sussurrò,
la voce presa ancora dal sonno. No dai Alex, ti prego, non mi
illudere. Cercai di ricambiare il sorriso, mi sembrò di
riuscirci. "'Giorno." "Vieni qua." Mi prese
per una mano, e mi fece scivolare sul copriletto, in modo che
ritornassi alla sua altezza e potesse guardarmi e parlarmi meglio.
Rabbrividii violentemente e gli lasciai subito la mano. Mi scostò
i capelli dal viso, continuando a sorridere. Perché mi faceva
questo? Magari pensava di stare ancora dormendo, non era in sé.
Riflettei velocemente. Non avevo più niente da perdere, così
glielo chiesi. "Perché ti comporti così?"
sussurrai. Alex smise. Si sporse di lato, prese un orologio che stava
appoggiato sul comodino accanto al letto. Lo guardò, riaprendo
e chiudendo gli occhi, poi lo rimise al suo posto e guardò me.
"Sono le cinque e mezza del mattino," rispose, "per me
la notte finisce come minimo alle sette." Per un attimo mi
ero illusa che avesse cambiato improvvisamente idea, e ci rimasi
malissimo. Sarebbe stata troppo bello per essere vero, in effetti.
Avrei dovuto aspettarmelo. Se ne accorse, e sorrise. "Perdonami,
Adrienne. Ma sai già come la penso." "E anche tu
sai come la penso io." ribattei. Mi guardò. "Troverai
qualcuno che prenderà il mio posto." Mi arrabbiai.
"Che cazzata, Alex!" esclamai, alzando la voce, "hai
detto una cazzata abnorme. Nessuno potrà mai prendere il tuo
posto, lo capisci? E fidati che niente potrà mai anche solo
lontanamente assomigliare a te." Scosse piano la testa. "Ne
abbiamo già parlato stanotte." "Non mi sembra. Tu
non volevi parlarne, mi pare." dissi, distogliendo lo sguardo.
Mi alzai a sedere, lui rimase a guardarmi, stando al mio fianco. "Non
litighiamo, ti prego. Non lo sopporto." disse, con tono
dispiaciuto. Ritornai a guardarlo, continuava a fissarmi dritto negli
occhi. "D'accordo, ma le cose non cambiano." Non rispose,
smise anche di fissarmi. Parlai di nuovo. "Credo di dover
tornare a casa, sai? I miei potrebbero accorgersi della mia assenza
da un momento all'altro." dissi. Lui si alzò a sedere,
accanto a me, appoggiando le mani sulle ginocchia, e mi guardò,
forse risollevato dal fatto che mi fossi calmata un po'. "Certo.
Vuoi che ti accompagni?" chiese. "No." risposi
quasi automaticamente, e me ne pentii subito. Se mi avesse
accompagnato a casa, avremmo passato almeno venti minuti in più
assieme. Ma mi aveva davvero irritato, con quell'affermazione di
prima. "Va bene," disse, sospirando, "ma non
avercela con me." "Pensavo volessi che ti odiassi."
osservai. "Non avercela con me per quello che ho detto."
precisò. "D'accordo. Ti chiedo scusa per il mio
comportamento." dissi. "Figurati." Ero
impazzita? Non ero io a dover chiedere scusa, eppure l'avevo fatto.
Forse era perché neanch'io volevo litigare con lui, farlo non
mi faceva stare bene per niente. Ci fu qualche minuto di silenzio.
Lui mi guardò fisso per l'eternità, poi si stiracchiò,
portando le braccia in alto e facendo versi incomprensibili. Fece per
prendere un'altra sigaretta, ma l'obbligai a non farlo. Nel
frattempo, la luce nella stanza si faceva sempre più forte.
Alcuni chiari raggi di sole filtrarono attraverso la tapparella.
Guardai l'orologio sul comodino, si erano già fatte le sei e
mezza. Il sole stava sorgendo, e io sarei tramontata ancora una
volta. "Devo andare.." dissi, con voce tremante. Alex
alzò le spalle. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non
uscì niente. Mi sentivo malissimo. Mi alzai dal letto, mi
avvicinai lentamente alla finestra. Lui mi imitò, aprì
la finestra e poi mi guardò, infilandosi le mani in tasca. Lo
guardai, e rimasi in silenzio, provando a trovare le parole
giuste. "Ritornerai?" chiesi. "Adrienne.."
esclamò lui, a mò di rimprovero. "Ti ho fatto
una domanda, rispondimi." dissi, col tono più serio che
potessi avere. Lui fece una pausa, non mi mollò un attimo con
lo sguardo. "Io.. io non lo so.." sussurrò,
abbassando lo sguardo e sprofondando ancora di più le mani
dentro le tasche. Portai le braccia al petto, fissandolo. "Adesso
hai intenzione di ritornare?" chiesi ancora, con più
precisione. "Adri, questa è una domanda sleale.."
mi guardò. "Domandare è lecito, rispondere è
cortesia." ribattei, sarcastica. Mi sorrise. Si avvicinò,
con una mano mi carezzò lievemente il viso. "Sii felice.
Ma non dimenticarmi." sussurrò. M'incantai nell'immensità
dei suoi occhi color nocciola, e delle sue sfumature ambra. Deglutii,
e poi mi lasciò andare. Non risposi, avevo la gola secca. Però
non era come la prima volta. Quel non lo so aveva riacceso
qualche speranza in me, così come il fatto che mi aveva detto
di non dimenticarlo. Qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe stato
comunque il mio migliore amico, anche se mi stava lasciando ancora.
Non avrei mai potuto odiarlo, mai. Mai. L'avrei amato, più
della mia vita, di un amore così puro vero e sincero che
nessun altro avrebbe mai potuto capire, che nessun altro avrebbe mai
potuto concepire e pensare di provare.
Questo
capitolo sarà un poco forte. Prego ai deboli di stomaco di
scusarmi. Oh, e alla fine del capitolo farò un bel
commento.
Capitolo
13.
Nella stanza regnava solamente il rumore delle sedie
che grattavano sul pavimento. Quando anch'esso cessò, il
silenzio tornò sovrano. Ma quanto pesava quel silenzio? Era
troppo pesante e sembrava veramente soffocare. Nessuno, in quella
stanza, aveva il coraggio necessario per poterlo spezzare. C'erano
quelle volte in cui il silenzio valeva più di mille parole; e
la situazione in cui mi trovavo, era praticamente una di quelle. Il
mio sguardo era basso, non volevo incrociare quello degli altri, ero
sicura che non sarei mai stata capace di sostenerlo. Un anno
nuovo era arrivato, un altro anno nella mia vita. La prima settimana
del mio primo mese dell'anno, gennaio, era già passata. Quel
giorno era il 9 gennaio, quel giorno ricominciava la scuola, dopo le
vacanze Natalizie. Era mattina, dovevano essere le sette e mezzo.
Cosa mi avrebbe rivelato, quel giorno? Era per me un giorno
importante, forse decisivo. Mi trovavo nella cucina della mia
casa, e il silenzio regnava nella stanza. Non era sola, ma mi trovavo
con la mia famiglia al completo. Dal giorno del mio compleanno, le
cose erano cambiate parecchio. I miei genitori non mi parlavano più,
mi scambiavano alcune parole solo per chiedermi se a cena preferissi
le patate o le carote. Non avevo mai visto mia madre così
fredda nei miei confronti, e ciò mi provocava davvero
moltissimo dispiacere e dolore. Per quanto riguardava mio padre, ero
contenta che non mi rivolgesse più la parola e non mi stesse
addosso. Fu quasi una benedizione. In parole povere, ciò che
avevo detto quella famosa mattina non era passato per niente
inosservato. I miei dovevano aver discusso sull'argomento, ma avrei
scommesso qualsiasi cosa che mio padre non aveva avuto il coraggio di
rivelare il suo piccolo segretuccio. E avrei anche scommesso che
avevano deciso che l'indifferenza fosse l'arma migliore e che mi
avrebbe indotto a chiedere scusa o a ritornare da loro. Ma si
sbagliavano di grosso: non avevo assolutamente bisogno di loro e non
avrei mai fatto nulla del genere. Perché anche se mia madre
non lo sapeva, io avevo tutte le ragioni del mondo per odiare mio
padre; era lui ad essere in torto, e non io. Io avevo l'anima in
pace. L'unico che in quel periodo sembrava starmi vicino, invece, era
mio fratello Edoardo. Doveva veramente aver subito un trapianto di
personalità. Scoprii un lato di lui che non conoscevo, e che
mi stupì parecchio. Diventò gentile e premuroso, con
me. S'interessava delle cose che facevo, mi chiedeva come stavo,
spesso saliva con me in camera per costringermi a mangiare qualcosa.
Si rivelò un ottimo fratello maggiore. Fui quasi tentata di
rivelargli il perché del mio comportamento, dato che nei
giorni in cui ero più serena me lo chiedeva spesso, ma alla
fine pensai che fosse meglio di no, avrebbe solo complicato le cose.
Certe volte mi invitò anche ad uscire con lui e i suoi amici,
pensava che avessi accettato dopo tutte le volte che gliel'avevo
chiesto e lui aveva rifiutato; ma non lo feci. La situazione dei miei
genitori, e anche quella del mio migliore amico, mi facevano
impazzire. In senso stretto. Per tutte le vacanze Natalizie ero
rimasta in casa, chiusa nella mia camera da letto, a non far nulla.
Mi dava decisamente sui nervi quando, ad esempio, andavo in bagno e
incrociavo mio padre: rivedevo il suo sguardo sprezzante che mi aveva
rivolto tre anni prima. Mi dava sui nervi quando mia madre mi
rivolgeva dei grandi sguardi delusi, come a volermi rimproverare, ma
non apriva bocca. Diventavo terribilmente nervosa e irritabile.
Quando rimanevo a casa da sola, mi succedeva di urlare a pieni
polmoni per potermi sfogare, o di prendere a pugni il muro fino a
farmi diventare le nocche rosse e fino a farmi indolenzire la mano.
Mi dava fastidio parlare con qualcun altro, preferivo semplicemente
stare sola nella mia camera a fissare il soffitto bianco, non
pensando a niente. Tutto ciò era molto deprimente. Tra
l'altro, non avevo più sentito né rivisto Alex,
dall'ultima volta. In me si era riaccesa una flebile speranza, la
speranza che lui potesse ritornare da me. Ero nervosa, sì, ma
non vedevo l'ora che iniziasse la scuola per poterlo rivedere, e
soprattutto per vedere il suo comportamento nei miei confronti. In
fondo eravamo anche compagni di banco; anche se avesse voluto
ignorarmi sarebbe stato obbligato a rivolgermi la parola. L'idea
mi elettrizzava parecchio ed ero sicura che questa volta l'avrei
vinta io. Ero sicura che Alex sarebbe tornato da me. Avrei riavuto
con me il mio migliore amico, e io a quel punto avrei fatto qualsiasi
cosa pur di disinnamorarmi di lui, anche se ci avessi messo
mesi. L'unica cosa che m'importava era che fosse al mio fianco; il
resto non aveva senso. Lui era sempre più importante. Il
tempo scorreva e il silenzio persisteva nella stanza. Mio fratello mi
lanciò un'occhiata eloquente. Si era offerto di andare a
scuola assieme a me, e io avevo accettato volentieri; in fondo mio
fratello riusciva sempre a strapparmi un sorriso con le sue battute,
e ciò mi faceva un piacere immenso. Trangugiai in tutta fretta
quel che rimaneva dei miei cereali, ingoiando tutto senza masticare,
e poi io ed Edoardo ci alzammo insieme. Nessuno salutò quando
uscimmo dalla cucina. Quell'indifferenza molto spesso mi metteva una
paura folle. In quel momento, invece, non me ne importava più
nulla. Salii un attimo in camera mia. Mi infilai il giubbotto e mi
sistemai al collo la mia cara sciarpa colorata; fuori faceva freddo e
il cielo era ricoperto da nuvole grigie. Nonostante questo, mi
sembrava di essere di buon umore, dopo praticamente secoli. Lanciai
un altro sguardo alla finestra, per controllare la condizione del
tempo. Decisi che forse avrei dovuto munirmi per bene, e infilai un
ombrello dentro la borsa dei libri, in caso avesse piovuto. Prima di
uscire, controllai la mia condizione nello specchio ovale di legno.
Scossi la testa al mio riflesso, sperando che i miei capelli
oscillassero armoniosamente come quelli di Melissa; ma non avevo
speranze. Allora lasciai i capelli sciolti: avrei voluto farmi una
treccia, ma non c'era più tempo. Scesi le scale, incontrai
mio fratello all'ingresso, che già mi aspettava per uscire
insieme. Finalmente, uscimmo. La strada era vuota, fatta
eccezione per alcune auto e qualche ragazzo con lo zaino sulle
spalle. Come avevo immaginato, l'aria era gelida; delle nuvolette di
vapore uscivano già dalla mia bocca. Gli edifici erano coperti
di brina, a causa dell'intensa umidità. Io e mio fratello
camminavamo in silenzio. Lo vidi calarsi meglio sugli occhi il
cappello nero con la scritta NYC, e sbuffare. Non era di buonumore,
con l'inizio della scuola. Probabilmente, adesso toccava a me fare la
mia parte da sorella minore, speravo solo di riuscirci. "Oggi
pomeriggio facciamo qualcosa?" chiesi all'improvviso. "Ad
esempio?" mi chiese. Mi sistemai meglio lo zaino sulle
spalle. "Non so, ad esempio possiamo vederci un film e mangiare
qualcosa." rispose, cercando di sembrare entusiasta. Edoardo
alzò le spalle. "Va bene, per me non c'è problema.
Spero solo di non aver troppi compiti per domani." "E'
il primo giorno, non penso ci caricheranno già da
subito." "Speriamo." Camminammo ancora per una
manciata di minuti, finché vidi un edificio ormai familiare
fare capolino tra gli edifici e gli alberi spogli. La mia scuola.
Automaticamente, accelerai il passo. "Hai tutta questa fretta
di entrare?" mi chiese Edoardo, prendendomi per un polso e
sorridendo. Io ricambiai il sorriso, ridacchiando.
"Figurati." Edoardo continuò a sorridere.
"Finalmente un sorriso, Adrienne. Non sorridevi da settimane
ormai." Non risposi, solo lo guardai, sorridendo come
un'ebete. Mi lasciò il polso. "Cerca di non deprimerti
troppo, sorellina. Non vale assolutamente la pena stare male per
qualcuno che non ti merita per niente, okay?" Annuii con
convinzione, e proseguimmo verso i cancelli. Il cortile era pieno di
persone, come al solito. Mi guardai attorno, facendomi spazio tra
quella folla di ragazzi e ragazze. Allungai il collo per vedere
meglio sopra tutte quelle teste. Mio fratello individuò un
gruppo di suoi amici e mi picchiettò sulla spalla con le dita.
"Adrienne? Senti, io vado. Ci rivediamo all'uscita per tornare a
casa assieme?" mi chiese. "No, non preoccuparti. Ci
becchiamo direttamente a casa." risposi. "D'accordo.
Casomai, fammi uno squillo al cellulare." Annuii. Non era mai
stato così gentile con me. E quella gentilezza, quell'affetto
sincero, era proprio ciò che mi era mancato in quei giorni.
Fui contenta che lui fosse mio fratello e che potessi contare su di
lui quando ne avevo più bisogno. Dopo di che, Edoardo mi diede
un pugno scherzoso sulla spalla, e si diresse verso il gruppo dei
suoi compagni di classe. Rimasi da sola, continuando a guardarmi
attorno; dopo poco ci rinunciai, e mi avvicinai verso il solito
muretto di fronte la scuola. Era vuoto: quello era territorio mio e
di Alex. Ci saltai su, mollando lo zaino accanto a me. Feci
penzolare le gambe lungo il muretto, tormentandomi nervosamente le
mani. Dov'era? Non stavo più nella pelle a vederlo. Continuai
a farmi penzolare la gambe, in una sorta di tic nervoso. Alex, Alex.
Dove sei? Mi aspettavo di vederlo spuntare da un momento all'altro,
magari con la sigaretta fra le labbra, i jeans troppo bassi, i
capelli sugli occhi e quell'irresistibile sorriso che mi faceva
impazzire. Il panico cominciò a insinuarsi dentro di me.
Controllai l'orologio sul cellulare una decina di volte, perché
ancora non veniva? Era quello l'orario in cui, di solito, si
presentava a scuola. Forse aveva avuto qualche contrattempo. Un
incidente. Oppure gli era successo qualcosa durante le vacanze e io
non ne sapevo nulla. Presi a mordermi le labbra e a toccarmi
freneticamente i capelli, anziché farmi penzolare la gambe
lungo il muretto. Magari gli era venuta la febbre ed era a casa,
malato. Oppure mi stava evitando appositamente, nella peggiore delle
ipotesi. Decisi che stare lì, seduta in quel muretto ad
aspettarlo con le mani in mano, era un atto troppo masochista per i
miei gusti. Balzai giù, prendendo nuovamente lo zaino in
spalla, e dirigendomi ancora una volta verso la folla dei ragazzi. Mi
fermai vicino ai robusti gradini di marmo, osservando con attenzione
le persone attorno a me. Finché, una massa di capelli biondi
mi travolse. Melissa mi stava stringendo in un abbraccio
mozzafiato. "Oddio, Melissa, basta! Mi soffochi!"
esclamai, spingendola per sciogliere l'abbraccio e allontanarla da
me. Adesso quella ragazza mi dava sui nervi. Aveva un'energia e
una vitalità impressionante, quasi snervante. Anzi, senza il
quasi. Melissa mi prese per le spalle, guardandomi negli occhi e
rivolgendomi il suo solito sorriso da pubblicità per
rossetti. "Adrienne! Non ci vediamo da troooppo tempo!
Che fine hai fatto?" mi chiese. Alzai le spalle. Non ci
eravamo sentite dal giorno della festa, non che me ne ricordassi
troppo bene. Durante le vacanze non mi ero curata di chiamarla per
sapere come stava o per farle gli auguri; non m'importava di lei,
viste le recenti circostanze. Era lei, solamente lei, ciò che
mi separava da Alex. Mi venne veramente voglia di darle un pugno in
faccia e cancellarle quello stupido sorriso dal viso. "Che
fine hai fatto tu." ribattei, decisa a non darle nessuna
spiegazione o informazione sulle mie vacanze. "Mi dispiace
non avertelo detto prima," iniziò lei, lasciandomi le
spalle e gesticolando con le mani con aria sofisticata, "ma dopo
la festa, ti ho completamente persa di vista! Be', comunque ho
passato le vacanze in Inghilterra.. non te ne avevo parlato?" Rimasi
ammutolita. Inghilterra? Sicuramente era andata a far visita a
qualche suo parente. Per un attimo me l'immaginai alle cinque del
pomeriggio, mentre beveva del tè, comodamente seduta in un
giardino verdissimo e con addosso uno straccetto firmato. Risi tra me
e me. "No, non me ne hai parlato." risposi,
secca. Sorrise. "Sono stata a Liverpool, a Manchester, a
Leeds.." elencò, segnandoli con le dita e guardando in
alto. Sperai che non fosse un patetico tentativo per farmi
ingelosire o essere invidiosa di lei. In fondo, Melissa era fatta
così: adorava stare al centro dell'attenzione e vantarsi delle
cose che aveva o faceva. Infatti, partì in quarta con un
racconto dettagliato di quei giorni nel Regno Unito e di quanto il
clima fosse diverso. Ascoltai, annoiata. Chi se ne importava? Ero
stufa di stare con lei, dopo quello che era successo. Naturalmente
non aveva direttamente delle colpe, era ignara di quello che era
successo e stava succedendo, proprio per causa sua. Ma di certo non
avrei mai più potuto parlare o stare tranquillamente con lei,
non me la sentivo proprio. In fondo, era la mia rivale nel cuore di
Alex. Che, a proposito, non vedevo ancora da nessuna parte. "Ti
avevo anche mandato una cartolina." la sentii dire. "Non
mi è arrivato nulla." dissi, guardandola. "Avevo
detto alla mamma che sarei arrivata prima io della cartolina. Vabeh,
pazienza.." Incrociai le braccia al petto. Adesso non vedevo
l'ora che la campanella suonasse, almeno in classe non avrei dovuto
sorbirmi i racconti di Melissa. "Ah, e poi c'è la
novità più importante." disse, avvicinandosi a me
e sorridendomi in una maniera che mi sembrò maliziosa. "Ah,
sì? Sarebbe?" domandai, alzando un sopracciglio con aria
interrogativa. "Ho conosciuto un ragazzo." cominciò.
"E' carinissimo. E' simpatico, divertente, intelligente! E'
davvero dolce e premuroso. Sembra perfetto, credo che lo sia!"
esclamò. Mi sembrò di vederle dei cuoricini al posto
delle iridi. Tutto quello era molto interessante. Se Melissa stava
con un altro ragazzo, Alex non avrebbe potuto frequentarla. "Hm.
Buon per te. Dovresti presentarmelo, così vedo chi è."
le rivolsi un sorriso un po' falso. Melissa fece un grande sorriso.
"Non credo ce ne sia bisogno." Non capii la sua
affermazione. "Quindi state assieme?" Annuì. "Sì,
da quasi due settimane. Sono davvero innamorata di lui."
rispose, aggiustandosi i capelli. "E lui di te?"
chiesi. "Da quel che mi dice, direi proprio di sì." Le
sorrisi. Bene, Melissa era fuori gioco. Bastava solo che Alex lo
sapesse.. ero ancora più sicura che sarebbe tornato da
me. "Guarda!" esclamò Melissa, lanciando un
gridolino, "eccolo lì, sta arrivando!" Melissa
sfrecciò e corse verso il suo ragazzo. Mi voltai, sorridendo
per la sua gioia quasi infantile, e subito il sorriso si cancellò
dal mio viso. Melissa buttò le braccia al collo di Alex,
baciandolo sulla guancia, troppo vicino alle labbra. Mi
pietrificai davanti a quella scena, sentendomi improvvisamente il
terreno mancare sotto i piedi, e il sangue gelare nelle vene. Melissa
e Alex stavano assieme. Alex le sorrise, cingendole la vita.
Poi si accorse di me. Nessuna emozione attraversò il suo
volto, rimase impassibile, guardandomi dritto negli occhi con
espressione gelida, come se davanti a sé avesse un pezzo di
ghiaccio. I miei incubi più sfrenati avevano assunto una
consistenza reale.. Fin troppo reale. Deglutii, cominciando a
sentirmi male. Sudavo freddo e tremavo leggermente. Strinsi le
braccia lungo al corpo, sentivo nuovamente quel terribile baratro
nero aprirsi dentro di me. Tutte le mie speranze erano state
soffocate, così come i miei sogni. Melissa si voltò
verso di me, ancora stretta tra le braccia di Alex. "Hai
visto? Sorpresa! I tuoi due migliori amici, insieme." e scoppiò
a ridere, come se fosse la cosa più divertente del mondo. Non
risposi. Rimasi immobile ed inerte a fissarli. Gli occhi mi si
riempirono di lacrime, ma mi morsi la lingua per trattenerle, per
intrappolarle dentro i miei occhi. Alex mi fissava, con la stessa
espressione indecifrabile e indefinibile di prima. Io guardavo lui,
poi Melissa, che lo guardava con un'espressione che mi sembrò
adorante, o comunque giù di lì. Ero senza parole. Il
dolore stava cominciando nuovamente a infettare le mie vene, come
nelle ultime settimane; ma in quel momento stavo facendo e
sopportando di tutto per sembrare forte, come se non me importasse
niente. Ma non era così. Io amavo Alex e mi faceva soffrire
sapere che stava con Melissa. Persino dopo tutte le cose che mi aveva
detto, e che io gli avevo detto.. aveva scelto lei, a me. Era
tutto vero, io contavo meno di zero, allora? Ero fragile, fragile
come un bicchiere di cristallo, altro che forte. Non sapevo più
cosa fare, né cos'altro dire. Ero vuota. E sola, più
che mai. "Che fine avevi fatto, Alex? Non ti vedevo da
nessuna parte!" esclamò lei, raggiante, aggiustandogli i
capelli e mettendosi di fronte a lui, dandomi le spalle. Ebbi uno
scatto. "Come.. come l'hai chiamato?" sussurrai. Un'ondata
di rabbia ceca mi travolse. Un miscuglio di sensazioni tra gelosia,
rabbia, delusione, dolore. "Alex," sussurrò
finalmente lui, guardandomi ancora negli occhi, "mi ha chiamato
Alex." Strinsi le braccia al petto, mentre il labbro
inferiore mi tremava. Solo io lo chiamavo Alex. Io l'avevo
inventato, io soltanto potevo chiamarlo così, e nessun altro
poteva permettersi. Mi sentii tradita. Ferita, pugnalata. Avevo
definitivamente perso tutto quanto, tutto ciò che avevo. E
tutto andava a farsi fottere. Come me, del resto. Melissa mi
ignorò. Alex tornò a guardarla, serio, poi le
sorrise. "Sta tranquilla. Sono qua, adesso." le disse,
cercando di rassicurarla con le sue parole, sorridendo dolcemente.
Melissa sospirò, la vidi sorridere. Lo abbracciò, e si
alzò sulla punta dei piedi per sussurrargli qualcosa
all'orecchio, che naturalmente non sentii. Mi sentivo veramente
morire. Avrei voluto farlo settimane prima, pur di non vedere tutto
questo: era uno spettacolo a dir poco atroce. Alex s'inumidì
le labbra con la lingua, poi tornò a guardarmi dritto negli
occhi. Per la prima volta, non riuscii a decifrare il suo sguardo.
Non mi diceva più nulla, non trasmetteva nulla. Eppure avevo
sempre adorato quegli occhi nocciola, mi avevano sempre parlato,
anche se Alex stava in silenzio. Riuscivo a leggere nel suo sguardo..
un tempo. Invece adesso mi sembrava di avere un estraneo
davanti a me. Senza smettere di guardarmi, cinse le spalle di
Melissa con un braccio. Si chinò su di lei, avvicinando il
viso al suo, e la baciò con un impeto tale che mi sconvolse e
mi fece tremare. Lei ricambiò il suo bacio, chiudendo gli
occhi e appoggiandogli le mani sul petto. Lui invece mi fissava sopra
la sua spalla mentre la baciava, scostandole i capelli biondi per
potermi guardare meglio. Volevo scappare, ma mi sembrava di aver i
piedi di piombo e di essere inchiodata al suolo. Continuavo a
guardarlo, ricambiando il suo sguardo, non riuscendo a smettere e
sperando che mi dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa. Il suono
della campanella squarciò l'aria. Gemetti di dolore,
scoppiando a piangere, e come un fulmine salii gli scalini ed entrai
a scuola, spingendo qualsiasi persona che mi capitasse sotto tiro e
che sbarrasse la mia strada. Era finita, io ero finita. Dovevo
mettere fine a tutto questo. E sapevo che finché avessi
vissuto, non avrei mai più dimenticato l'immagine di Alex che
baciava Melissa. Per farlo, c'era solo un'unica, pericolosa, ma
dolcissima soluzione. L'idea mi attraversò la mente.
Sorridendo fra le lacrime, pensai che fosse le migliore idea che
avevo avuto da alcune settimane a quella parte.
***
La
giornata finì, finalmente. Senza perdere altro tempo, con
passo svelto ritornai a casa mia, e per tutto il tragitto da scuola
fino a casa, piansi. Le lacrime scendevano incontrollabili, rigandomi
il viso e facendomi singhiozzare e gemere dal dolore. Era la prima
volta che il dolore era così vero e intenso. Pioveva, mi stavo
bagnando dalla testa ai piedi, ma non me ne importava: ogni cosa,
adesso, mi sembrava che non avesse più importanza. Sentivo
l'acqua gelida che mi colpiva forte in testa, bagnandomi i capelli e
facendomeli diventare più ricci e più scuri. L'acqua
s'insinuava anche sui miei vestiti: la sciarpa si era inzuppata ed
era diventata troppo pesante. La sensazione di quell'acqua
ghiacciata contro il mio corpo intorpidiva lentamente i miei sensi,
mi rallentava, mi stancava. Desiderai solamente che quel diluvio,
quel raduno di migliaia di stelle d'argento che cadevano giù
dal cielo, mi facesse affogare. Imboccai il vialetto di casa mia.
Affondai il piede in una pozzanghera che non avevo visto, e l'acqua
mi inzuppo' completamente le scarpe, entrando nei due piccoli
buchetti laterali. Mi risollevai, feci alcuni passi verso il portone,
ma poi scivolai. Ero stanca e stavo soffrendo troppo. Finii in
ginocchio per terra, con l'acqua che colpiva forte sulla schiena,
nonostante indossassi il giubbotto. Alzai il viso verso il cielo,
socchiudendo gli occhi. Le lacrime si mescolarono alla pioggia, non
riuscii più a distinguerle. Tremavo dal freddo, avevo i
muscoli intorpiditi, e quell'acqua sul mio viso sembrava bruciare più
di gocce di limone su una ferita aperta. Tremando in maniera
incontrollabile, mi rialzai da terra e, incespicando, mi avvicinai
alla porta. Reggendomi su essa, presi le chiavi e poi l'aprii. Mi
fiondai dentro, gocciolando acqua da tutte le parti. Rimasi ferma
all'ingresso, bagnando il pavimento. Allungai l'orecchio, in attesa
di un rumore, di qualsiasi cosa. "C'è nessuno?"
esclamai, la voce strozzata. Nessuna risposta. Allora decisi di
non perdere altro tempo, sarebbe stato inutile. Speravo solo di aver
il coraggio per farlo. Mi levai il giubbotto e la sciarpa bagnati,
e senza curarmene li mollai lì sul pavimento, assieme al mio
zaino. Quasi correndo, salii in tutta fretta le scale che
portavano al piano superiore, scostandomi i capelli bagnati che si
appiccicavano sul viso. La maglietta completamente bagnata si
appiccicava alla pelle, e mi dava fastidio. Avevo un groppo in gola e
non riuscivo più a deglutire normalmente. Arrivai al piano
superiore. Sbattendo le porte con violenza, feci irruzione dentro il
bagno. La stanza era immersa in una semi-oscurità, ma non
accesi la luce. Mi accorsi di lasciare delle piccole pozzanghere
d'acqua sul pavimento, e potevo vedere diverse goccioline sospese sui
miei capelli. Cercando di non scivolare, aprii rapidamente la mensola
dentro la quale tenevamo alcuni medicinali. Rovistai dappertutto,
freneticamente, lasciando anche cadere qualche confezione per terra,
sul pavimento. E dopo una ricerca estenuante, la trovai.
Quasi sorrisi per il sollievo di averla trovata, finalmente.
Barcollai, trascinandomi fino al grande specchio rettangolare, che
stava appena sopra il lavandino. Mi guardai attentamente, deglutendo;
ero quasi schifata di ciò che ero. O meglio, di ciò che
ero diventata. Mi sistemai un ciuffo di capelli dietro l'orecchio.
Respirai profondamente, cercando di richiamare a me tutto il mio
coraggio che possedevo. Sapevo di non averne abbastanza, ma ormai
dovevo farlo, era fatta. O quasi. Appoggiai un pugno sullo specchio,
come a voler coprire e a distruggere la mia immagine riflessa. Ma era
diverso: io, io mi stavo distruggendo, non stavo facendo nulla
al mio riflesso. Mi voltai, dando le spalle allo specchio, poiché
non volevo più vedermi. Mi inumidii le labbra, me le morsi,
tormentandole per la tensione. La stringevo delicatamente
in una mano, titubante, e tormentandomi. Chiusi gli occhi,
sospirando, come se quello che stavo per fare richiedesse una grande
concentrazione. Non era così: era solo una punizione..
no, anzi, era solo una soluzione, niente di più. Dopo sarei
stata meglio. Finché, un'immagine mi tornò in mente.
Alex e Melissa, stretti in un abbraccio, lui che la baciava e mi
guardava fisso. Poi, la mia fantasia navigò. Vidi lui, nel suo
letto, con lei. Scossi la testa, ripresi a piangere. Non
vedevo più niente, la vista era appannata dalle lacrime. Con
la mano libera, mi asciugai le guance bagnate, singhiozzando. Ero
decisa, dovevo farlo. Mi alzai la manica destra della maglietta,
fermandola al gomito. Mi guardai il braccio. La mia pelle era fredda,
bianca come la carta. Le vene risaltavano, e sembravano aver assunto
una tonalità di colore tra il verde e il blu. Strinsi gli
occhi, mordendomi ancora le labbra. Solo per te, Alex. Solo per
te, pensai. Affondai
la lama nel polso destro, facendola sprofondare bene nella pelle,
incidendo un taglio in orizzontale. Il sangue cominciò a
scorrere a fiotti, come acqua fresca in una fontana. Levai la lama
dal mio polso. Cadde sul pavimento con un tintinnio, sporcando anche
il pavimento col mio sangue. Osservai il liquido denso color rubino
venire fuori dal taglio, scolare sul mio braccio, sporcare il
pavimento. Feci un sorriso malsano, scoppiando in una risata quasi
isterica. Premetti ancora di più il polso con le dita, e
ancora più sangue ne uscì: un gesto che quasi andava
contro la natura umana. Stavo sporcando tutto il pavimento, la mia
maglietta, ma naturalmente non me ne importava. Cominciai a sentirmi
la testa leggera; il sangue non accennava più a smettere di
uscire, scorreva incontrollabile. Caddi in ginocchio sul
pavimento, quasi senza forze. Troppo sangue, c'era troppo sangue. Mi
resi conto che quello non era il modo migliore per uccidersi: si
soffriva troppo. Avrei dovuto sceglierne un altro, un modo che
metteva fine alla mia vita subito. Avrei preferito morire di
colpo, piuttosto che soffrire così. Stupidamente, mi
rimproverai persino di questo. Il taglio bruciava in maniera
incredibile, e la vista del sangue mi dava alla testa. Tremavo.
Sorridevo, ero felice: ero felice perché ero riuscita a farlo,
e perché non avrei mai più sofferto. Mai più.
E poi perché mi stavo punendo, in qualche maniera. Punendo per
essermi innamorata così tanto di Alex. Era una ragione
sufficiente per punirsi? Non lo sapevo, non m'importava. Stavo
morendo. Sentii pian piano le forze abbandonarmi. Mi accasciai sul
pavimento, in un miscuglio di tra acqua fredda e sangue caldo.
Chiusi gli occhi. E così, improvvisamente, come per
magia.. Non sentii più alcun dolore.
Adrienne
si taglia, ebbene sì. Con questo capitolo non intendo
assolutamente sminuire il problema dell'autolesionismo: è un
problema purtroppo diffuso fra i giovani, e qualche sconsiderato
arriva perfino a farlo per gioco. Io voglio solo denunciare il
problema e dire: non fatelo. Non fate lo stesso errore di
Adrienne che, presa dallo sconforto e dalla situazione disastrosa con
Alex ed i suoi genitori, è arrivata a farlo. Molti,
leggendo il mio romanzo e sapendo che Adrienne è il mio
alter-ego, hanno pensato che anch'io l'avessi fatto. La risposta è
no, ma conosco qualche altra persona che è arrivata a questo
punto. E anche se non direttamente, posso sapere come sia brutto e
quanto ci si stia male.
E adesso passiamo ai commentucci. Ehi,
ci sono 22 persone che hanno la mia storia fra i preferiti! Aspetto
altri commenti la prossima volta!
soad: grazie
mille (: spero che continuerai a leggermi!
curix:
addirittura
commossa? Grazie *_* Beh, per il resto.. continua a seguirmi!
Betty
O_o: hmm.. ho apprezzato molto
queste tue riflessioni. Sai, fa piacere che delle persone si mettano
a riflettere così su quello che tu scrivi! =P Ma anche a te do
la stessa risposta: continua a seguirmi! Nel frattempo ti ringrazio
immensamente!
Aprii gli occhi. Attorno a me, solo un calore intenso
e una luce bianca, che accecava. Sbattei più volte gli occhi
per abituarmi alla luce che c'era attorno a me. Dopo di che, sentii
dei mormorii indistinti e delle immagini colorate, piuttosto informi,
davanti a me. Non riuscivo a capire bene cosa fossero, e non riuscivo
a sentire; avevo come un ronzio nelle orecchie e una grande
confusione in testa. Un'immagine più o meno chiara si
materializzò davanti a me, anche se mi sembrava che girasse e
tremasse un po'. Mi parve di riconoscere i tratti del viso di mio
fratello. "Sai che cosa sei? Una cretina! Sei una cretina!"
esclamò quest'ultimo. Non sorrideva, e la sua voce era
stridula. E io ero viva. "Non ho mai visto tanta
scemenza in vita mia!" continuò. Cominciai a vedere e
a sentire meglio; a tornare in me. Riacquistai la consapevolezza di
avere un corpo, di essere stesa sul letto della mia camera e che mio
fratello Edoardo era seduto sul letto accanto a me, e mi guardava
mentre si lamentava e imprecava sotto voce. Aveva qualcosa in mano,
che non riuscii a capire. "E-edo..?" mormorai. Mi
sentivo ancora debole, vedevo sfocato. La testa mi faceva male e mi
girava. E avvertivo un bruciore al polso destro. Edoardo mi guardò,
serissimo in volto. "Adrienne?" chiese, "allora mi
senti." Socchiusi di un poco gli occhi, e annuii
impercettibilmente. "Vorrei proprio sapere che cosa cazzo ti
è saltato in mente," disse, rimanendo impassibile,
"tagliarti, per.. per.." La voce gli tremò e non
riuscì a continuare. Sospirai, cercando di deglutire.
"Non.. non lo so.." Anche Edoardo sospirò.
"Quando vorrai, e se vorrai.. dovrai spiegarmi un po' di
cosette, non ti pare?" chiese. "Forse lo farò.
Adesso non me la sento proprio.." risposi. Annuì.
"Certo." Chiusi gli occhi, sentendomi sfinita. Edoardo mi
afferrò per il gomito destro. Lo sentii maneggiare per dei
minuti con qualcosa, forse con quel che aveva in mano. Lo sentii
girarmi il braccio, e appoggiarmelo sulle sue gambe. E poi, un
bruciore fortissimo sul polso. "Ahia!" urlai, aprendo
gli occhi e alzandomi a sedere di scatto, ritraendo il braccio. Lo
guardai. Aveva in mano un batuffolo e una bottiglietta d'alcool
etilico. "Scusami," disse, "ma devo
disinfettarti." Il mio sguardo cadde sul mio polso. Era tutto
arrossato, e aveva un taglio proprio al centro, di un rosso intenso.
Sembrava essersi rimarginato, ma era ancora rosso e bruciava. Mi
riprese il braccio. Io strinsi con l'altra mano il cuscino, per aver
qualcosa da tormentare mentre operava, anziché urlare.
Dopo qualche minuto di sofferenza, finì. "Ecco fatto,"
disse, sembrava quasi soddisfatto di sé stesso, "però
dovresti coprirlo con qualcosa. Se qualcuno lo vede, comincerà
a farsi domande." Chiuse la bottiglietta e mi guardò.
Riflettei. "Senti, nel mio armadio dovrebbero esserci delle
bandane e dei foulard. Prendine uno, no?" chiesi. Stavo
riprendendo decisamente coscienza. Edoardo si alzò, andò
verso l'armadio. Ci rovistò dentro, e poi ne uscì una
bandana nera con dei piccoli disegnini celesti. Di solito le usavo
d'estate, tenendole fra i capelli. Tornò a sedersi accanto a
me, mi passò la bandana. Con lentezza, e sforzandomi
immensamente, la legai al polso destro, a mò di abbellimento.
Mi sentivo veramente uno straccio. "Mi hai fatto prendere un
colpo, lo sai?" disse all'improvviso, sfiorandomi il viso con il
dorso della mano, "quando ti ho vista lì, sul pavimento
del bagno, quasi in un lago di sangue.. Ho temuto il peggio. Ho perso
la testa. Non ti ho portato in ospedale perché non volevo che
i nostri genitori lo sapessero, sai. Ma avrei dovuto farlo,
immagino." continuò, guardandomi con rimprovero, ma con
aria rassegnata. Sospirai. Ero stata un'idiota, e ora mi sentivo
terribilmente in colpa. Il mio obiettivo non era far preoccupare mio
fratello, l'unica persona che ormai mi era rimasta. Non dissi nulla,
solamente abbassai lo sguardo fissandomi le mani. Edoardo sospirò.
"Mangiamo qualcosa?" chiese. "Non ho fame.."
risposi, piano. "Adrienne, dovresti mangiare qualcosa. Stai
diventando davvero magra." insistette lui. "Tu che ne
sai?" chiesi, irritata. Perché erano tutti fissati con
questa storia del mangiare? Stavo benissimo. Edoardo mi afferrò
il polso sinistro. "Riesco a prenderti tranquillamente il il
polso, e hai il braccio magro, non vedi? Fra poco ti si vedranno le
ossa. Guarda da te come ti sei ridotta." rispose. Scossi la
testa. "Sto bene." "No, tu non stai bene."
ribatté. Arricciai le labbra. "Non devi preoccuparti
così per me, Edo.." Appoggiai la testa alla spalliera
del letto, e lui mi guardò severamente. "Come puoi dire
cose del genere? Sei mia sorella. Ultimamente non ti riconosco più.
Cosa ti è successo? Sei diventata un'altra persona... che fine
ha fatto quella luce che vedevo nei tuoi occhi?" Rabbrividii e
gli occhi mi si riempirono di lacrime. Ero davvero triste, e non
sapevo come rispondere. "Mi.. mi dispiace.." mormorai
soltanto. Mio fratello mi sorrise, come se volesse rincuorarmi.
"Io sono qui, e scommetto che passerà presto."
disse. Alzai le spalle, corrugando la fronte in un'espressione
triste. Non ci credevo per niente. In quel momento quella situazione
mi sembrava totalmente priva di vie d'uscita. Come quando si percorre
una galleria infinita, e non riesci a scorgere la luce che segnala
l'uscita, e rimani col fiato sospeso fin quando non la vedi. Io stavo
trattenendo il fiato da settimane, ormai. "Lo spero."
dissi, cercando di sorridere. "Vedrai."
***
Alla
fine Edoardo mi costrinse a mangiare qualcosa assieme a lui. I nostri
genitori non erano in casa, ma non gli chiesi dove fossero. C'era
troppa pace in casa, per poterla rovinare con una domanda del genere.
Come promesso, guardammo un film assieme. Servì davvero a
distrarmi da ciò che era successo e da ciò che avevo
fatto. Mio fratello era uno zuccherino. E io mi sentivo un
mostro per aver pensato di voler morire, non mi meritavo tutte quelle
attenzioni. Verso le sei del pomeriggio, entrambi ci ritirammo
nelle nostre stanze per svolgere i compiti per casa. Io non mi
ricordavo se ne avessi e comunque non avevo intenzione di farli.
Rimasi un'infinità di tempo a guardare il soffitto bianco con
della musica nelle orecchie, poi lessi un po’, cercando di
pensare di meno. Finché, dopo un'oretta, sentii delle voci
al piano di sotto. Arrivavano un po’ attutite, perché
avevo la porta chiusa. Pensai che i miei genitori fossero
ritornati. Invece, notai che le due voci si facevano sempre più
vicine, e che erano due voci che quasi urlavano. Voci maschili. Il
mio secondo pensiero fu che qualche amico di mio fratello era venuto
a fargli visita e che stavano discutendo abbastanza animatamente, per
chissà cosa. Finché la porta della mia camera non si
spalancò. Spalancai anche io gli occhi, alzandomi a sedere sul
letto. Edoardo ed Alex erano in piedi uno di fronte all'altro, si
urlavano addosso. Mio fratello spingeva via violentemente Alex,
cercando di spostarlo; e Alex faceva altrettanto. Sembravano che
fossero sull'atto di ammazzarsi a botte, da come urlavano e anche da
come si guardavano in cagnesco. Non appena individuai Alex, venni
invasa da un'ondata di panico, dalla testa ai piedi. "Lasciala
perdere, vattene via!" urlò mio fratello. "Non
prima non di averle parlato!" ribatté Alex. Edoardo
era più alto e chiaramente più forte di Alex. Perse la
pazienza e lo spinse forte per le spalle. Alex cadde a terra. Io
guardavo la scena, terrorizzata ed inerme. Mio fratello
all'improvviso si accorse di me e mi guardò, rivolgendomi uno
sguardo a occhi sgranati. Avevo un groppo in gola, ma riuscii a
dirgli qualcosa. "Mandalo via," dissi, "..non
voglio parlargli." Approfittando di quell'attimo di
distrazione di mio fratello, Alex si rialzò in piedi, spinse
Edoardo con tutta la forza che aveva. Edoardo barcollò
soltanto, ma non ebbe i riflessi pronti per fermare Alex, che
s'infilò nella mia stanza e chiuse la porta a chiave,
ansimando. Ero in trappola. Sentii mio fratello che gli urlava di
uscire, e poi il silenzio. Alex mi guardava negli occhi, mi sembrò
di scorgere un velo di preoccupazione e ansia nel suo sguardo. Si
appoggiò la porta alla schiena, riprendendo fiato, le guance
rosse. Deglutì. "Non guardarmi," dissi
all'improvviso, rivolgendogli uno sguardo truce, "non parlarmi,
e soprattutto non toccarmi." "Se solo tu mi lasciassi
spiegare.." iniziò. M'infiammai di rabbia. "Non
c'è niente da spiegare! Quel che ho visto mi è
bastato." Mi ritornò in mente l'immagine di Alex e
Melissa che si baciavano. Sentii una stretta al petto, e scossi la
testa per cancellare quell'immagine che oramai mi ossessionava.
Sapevo che comunque Alex non avrebbe mollato così
facilmente. "Io invece credo proprio che ci sia, sai?"
ribatté, continuando a guardarmi e stando immobile
dov'era. "Non m'importa," dissi, "non ho intenzione
di sentire ancora una tua sola parola." Tremavo, e neanche mi
accorsi di avere i pugni chiusi. Continuavo a guardarlo con rabbia,
come se volessi incenerirlo con lo sguardo. I tratti di Alex
s'indurirono. "Adrienne, per favore, non fare così
adesso.. non fare la bambina." A quelle parole, persi la
pazienza. Scattai in piedi, raggiungendolo. Mi sentivo rossa in viso.
Vedendomi avvicinare, fece qualche passo verso di me. "Lo sai
che cosa sei? Sei uno stronzo!" urlai, in preda al furore,
spingendolo indietro, "Non hai mai capito un cazzo.. e di me non
te n'è mai importato! Alla faccia della migliore amica,
della cosa a cui tenevi di più..! Ma fammi il piacere!"
Lo spinsi ancora una volta. Alex rimase senza parole, mi guardò
negli occhi con un'espressione spaesata. Ma oramai che avevo
iniziato, non volevo più fermarmi. "Di che cosa che te
n'è importato, alla fin fine, me lo dici? Solo dei tuoi
sentimenti e di raggiungere i tuoi scopi! Di me, e che ti amassi
tanto, troppo, chi se ne frega? Ma vaffanculo, Alex! Tu e la
tua ipocrisia, la tua falsità, tutte le cose che mi hai detto!
Tutte bugie, tutte stronzate!" urlai ancora. Sentii le
lacrime arrivarmi agli occhi, ma richiamai a me tutto il mio
autocontrollo per non piangere davanti a lui. Mi guardò
ancora, serio, dopo mi parve di vederlo sorridere. Ricominciai ad
arrabbiarmi. Allora presi a tempestarlo di pugni sul petto, e
scoppiai a piangere. "Ti odio!" gli urlai addosso. Ma, Dio,
quanto lo amavo, allo stesso tempo. Alex mi prese per entrambi i
polsi, per fermarmi. Strinsi gli occhi per il dolore al polso destro,
ma non dissi niente. Si avvicinò al mio viso e mi sussurrò.
"Davvero?" Annuii. "Sì, davvero." "Allora
ridimmelo." disse. Il suo sguardo mi oltrepassò da
parte a parte, mi fece rabbrividire. Lo odiavo sì, ma solo per
quello che mi aveva fatto: per il resto, continuavo ad amarlo, in una
maniera folle e sconsiderata. "Ti odio, ti odio."
dissi all'improvviso, ancora una volta. Gemetti di dolore per il
bruciore al polso, e chiusi gli occhi. Si avvicinò ancora,
poggiò la sua guancia contro la mia, e per l'ennesima volta mi
sussurrò all'orecchio. Mi strinse forte i polsi e il dolore
sembrò diventare ancora più forte, atroce,
insopportabile. "Vedi, Adrienne? Ho raggiunto un altro mio
scopo, e hai fatto tutto da sola." sussurrò. Spalancai
gli occhi, trattenendo il fiato. Mi dava sui nervi vederlo così
freddo e calcolatore nei miei confronti, e mi faceva male ciò
che aveva detto. Deglutii; il bruciore al polso mi faceva lacrimare
gli occhi. Così lo strattonai violentemente, allontanandolo
da me e costringendolo a lasciarmi i polsi. Ritornai a respirare. Fu
un attimo. Il nodo della mia bandana si sciolse, e quest'ultima
cadde a terra, scoprendo il mio taglio sul polso. Era rosso rubino, e
sembrava che da un punto all'altro stesse per riaprirsi. Tenni lo
sguardo basso, deglutendo sonoramente. Alex guardò me,
avvicinandosi lentamente, poi lo vidi guardare il mio polso
tagliato. "Che.. che cos'è quel taglio?" chiese,
con voce seria. Alzai lo sguardo verso di lui, guardandolo negli
occhi. Non dissi niente, ma forse fu proprio il mio sguardo colpevole
a tradirmi, o il fatto che ripresi a piangere. "Cazzo,
Adrienne.. non è possibile.. ti ho spinta al suicidio.. sono..
un mostro.." balbettò, la voce gli tremava in maniera
incontrollabile. Le guance gli si colorarono leggermente di rosa, e
si tormentò le labbra. "Lo sei." mormorai,
asciugandomi le lacrime sulle guancia con le dita. Mi chinai per
terra, riprendendo la bandana, e la riallacciai al polso, sperando
che non uscisse di nuovo sangue. Sospirai sentendomi di nuovo debole,
ora che tutta la rabbia che avevo in corpo era sparita. "Adri..
ti giuro io non volevo.. non credevo.. ti prego, perdonami.."
mormorò, portandosi una mano sulla fronte e guardandomi.
Scossi la testa. "Ormai non importa più se mi hai fatto
del male. E' finita." dissi. Alex tremò. Lo vidi
chiudere gli occhi e passeggiare avanti e indietro per la stanza.
"Che casino.. non avrei mai.. è tutta colpa
mia.." Lasciava le frasi a metà, e parlava a voce
bassa; ma oramai quel suo sentirsi in colpa non serviva più a
niente. Se solo
avessi potuto portare indietro il tempo.. "Vorrei
solamente non essermi mai innamorata di te. Anzi, non avrei mai
voluto incontrarti e conoscerti. Mi hai fatto così tanto male,
che non puoi nemmeno immaginare.." Alex sprofondò le
mani nelle tasche, voltandosi a guardarmi. "Riesco solo a farti
del male, sì, adesso ne ho la conferma." disse. "Cosa
dovrei dirti, Alex? Lascia Melissa e ritorna da me? Hai scelto
lei, hai preferito lei. Hai preferito il suo amore piuttosto che la
mia amicizia. Naturalmente non riesci a fare convivere le due cose, e
forse credo che non ci riuscirei neanch'io. Quindi, è andata
così. Non ho più niente da dirti." Mi stupii da
sola per il mio autocontrollo e per la mia maturità,
soprattutto dopo quella sfuriata a dir poco imbarazzante di prima.
In realtà stavo morendo dentro, ma non volevo darlo a
vedere. Aveva deciso di lasciarmi definitivamente? Benissimo: non
avrei fatto la parte dell'egoista, assolutamente no; se lui era
felice, andava bene, mi bastava semplicemente questo. Chissà
se lo sarei stata anch'io, senza di lui. Alex mi guardò fisso
per alcuni minuti, con uno sguardo vuoto, rimanendo con le labbra
socchiuse. Si fermò a mezz'aria come se volesse dire qualcosa,
ma non lo fece. Continuò a guardarmi per un po', dopo di che,
con lo sguardo fisso per terra, si avvicinò alla porta della
mia camera. Senza guardarmi, l'aprì, e dandomi le spalle,
uscì, andandosene. Ecco che Alex, il mio migliore amico,
usciva di scena.
Eccomi
qui ad aggiornare! Sì, lo so, anche questo capitolo è
triste.. ma vi prometto che dal prossimo cap le cose cambieranno, ed
in meglio (: Passiamo ai commenti. Mi raccomando, voi che leggete
ma non commentate.. fatelo =P
Gocciolina: grazie
mille (: mi fa piacere che anche tu leggi la mia storia.. non avevi
mai commentato, se non erro. Riuscire a descrivere le emozioni e
farle sembrare reali è molto difficile; ma se ci riesco non
posso che esserne contenta! curix: LoL,
la definizione di 'essere squallido' per Alex mi piace X° povero
amore :°D beh, mi fa piacere che questo capitolo ti sia piaciuto
e che ti abbia emozionato. (L) birri: ciao, come Gocciolina
mi fa piacere che anche tu mi leggi! Mi raccomando sconfiggi la
pigrizia e continua a commentarmi *_* ti ringrazio per i complimenti.
Betty O_o: lo
ammetto. Sei la mia commentatrice preferita! ADORO questi commenti
così lunghi. Sul serio. Ti ho accontentato? Ho postato il
capitolo 14 prima che potevo.. Sappi che, in tutto, i capitoli sono
25, più l'epilogo. Okay? (: ti ringrazio ancora una volta e ti
auguro buon viaggio (gggr, che invidia!) (L) Ecco, ho
finito. Alla prossima, gente (: e continuate a seguirmi!
Il tempo passava nella maniera più lenta che
potessi immaginare. Nonostante mi imposi di perdere il senso del
tempo, ma non mi era possibile. Guardavo il calendario ogni mattina,
e i giorni in questa maniera passavano ancora più lentamente.
Le cose cambiarono radicalmente; ed ero talmente abituata ad
avere un groppo in gola, che non mi accorsi di essermi presa la
tonsillite, a causa delle doccia fuori programma che avevo fatto
qualche giorno prima. Rimasi due settimane a casa. La mia vita era
cambiata di parecchio, sì. Parlavo poco, mi chiusi molto in me
stessa; spesso rispondevo soltanto facendo sì o no con la
testa. La mia vita diventò senza colori: si sbiadì
lentamente, diventando un triste spettacolo in bianco e nero. Anche
a scuola le cose erano cambiate. Io e lui non eravamo più
compagni di banco, naturalmente. Mi trasferii al primo banco, mentre
lui rimaneva al penultimo, insieme alla sua nuova ragazza. I miei
voti si alzarono vertiginosamente, dato che al primo banco ero
costretta a seguire tutte le lezioni e che il pomeriggio avevo molto
tempo libero. Cercai di mostrarmi forte, ma dietro quella maschera
che mi andavo costruendo ogni giorno, continuavo a soffrire. Mi
veniva una stretta allo stomaco tutte le volte che incrociavo lui
e Melissa per il corridoio. Tutte le volte che li vedevo baciarsi,
abbracciarsi, camminare mano per mano, sussurrarsi parole
all'orecchio. Mi sentii morire quando il 19 gennaio, lui le
fece trovare un mazzo di rose rosse sul banco. Al suo posto avrei
potuto esserci io, pensavo con una punta d'invidia. Melissa,
naturalmente, mi ignorava. Non credevo che lui le avesse raccontato
come stavano le cose veramente, ma pensai che avesse capito che
quello che provavo per lui non era semplice affetto. Comunque adesso
lei aveva un ragazzo, e non aveva più bisogno di me. E Alex
era innamorato di lei, perché non ammetterlo
ormai? Be', avrei potuto conoscere altre persone, farmi nuovi
amici; ma ormai tutti i gruppetti si erano formati, e io ne ero
rimasta fuori. Certe volte passavo ore seduta davanti l'armadio
aperto, fissando quella gonna e quella camicia,
chiedendomi come fosse stato baciarlo. Cercai di sforzarmi per
ricordarmi qualcosa, ma era fatica sprecata. A casa mia la
situazione era sempre la stessa, quindi solo mio fratello mi stava
vicino. Non gli avevo ancora spiegato niente, e non sapevo ancora se
l'avrei fatto: in effetti, la situazione era piuttosto imbarazzante.
Avrebbe potuto darmi della scema, per aver sofferto così tanto
per un ragazzo. E poi c'era tutta quella faccenda di mio padre, che
ancora rimaneva un segreto. Lui continuava a trattenersi a casa mia,
il che era strano, non era stato in quella casa per così tanto
tempo. Mi sentivo quasi in trappola. Avevo bisogno di qualcosa che
mi distraesse, che mi occupasse la mente e che, possibilmente, mi
facesse stare bene con me stessa. Rimasi con questo punto
interrogativo per settimane. Una sera, ero seduta sul divano di
casa mia, con Edoardo accanto. I miei erano in cucina a bere un
caffè. Avrei avuto voglia di berne uno anch'io, ma se potevo
evitavo accuratamente di stare nella stessa stanza con loro. Facevo
zapping, guardando distrattamente e con aria annoiata lo schermo
della televisione, io e mio fratello eravamo in silenzio. "Fra
un mesetto sarà il mio compleanno," disse all'improvviso
mio fratello, con un grande sorriso sul volto. Mi voltai verso di
lui, sorridendo vagamente. "Festeggerai?" Continuava a
sorridere con aria trionfante. "Penso proprio di sì,
anche se non so dove. Vabeh, in fondo c'è ancora tempo." Mio
fratello avrebbe compiuto diciotto anni. Quanto lo invidiavo, avrei
dato qualsiasi cosa pur di averli anch'io. "Quindi, pensavo
che dovrei cominciare a prendere la patente.. Cioè, a studiare
per prenderla.." disse ancora. Continuai a schiacciare il
bottone del telecomando, con aria assente. "Ti ci vuole un
mese?" chiesi. "Beh, sorellina, non sono un secchione
come te.." mi punzecchiò mio fratello, ridendo. Io gli
feci una smorfia. "Almeno avrai qualcosa da fare, tu. Io sono
annoiatissima e non so che fare tutto il giorno.." dissi,
appoggiandomi la testa sul divano e sbuffando. Edoardo assunse
un'aria pensierosa, guardandomi negli occhi. "Perché non
fai qualche corso pomeridiano?" Alzai un sopracciglio con
aria interrogativa, guardandolo. "Ad esempio?" "Ma
a scuola non guardi la bacheca degli avvisi?" "Abbiamo
una bacheca degli avvisi?" "..Sei incorreggibile,
Adrienne." Sbuffai. "Va bene, lo so. Ma c'è
qualcosa d'interessante?" "Hm. Allora, vediamo.. tennis?
Ti piace il tennis? Ci sono vari annunci per libri e ripetizioni,
però. E poi.. vorresti suonare qualche strumento? Ad esempio,
la chitarra, che ne so?" A quelle parole m'illuminai. Suonare
la chitarra era sempre stato uno dei miei sogni. Mi sarebbe piaciuto
enormemente poter imparare a suonare quello strumento, poiché
mi affascinava terribilmente. "La chitarra? Oh, sì.
Non sarebbe per niente male." risposi, alzandomi e appoggiandomi
meglio allo schienale, sorridendo. Mio fratello sorrise, poi
seguirono degli attimi di silenzio. La mia mente vagò
pericolosamente. "E' un corso, giusto?" "Sì." "Quanto
si paga?" "Non lo so, sinceramente. Dovresti controllare
tu stessa in quei foglietti nella bacheca." "Sai per
caso se affittano lo strumento?" Edoardo scosse la testa.
"Non so poi molto, non gli ho dato importanza. L'ho letto
distrattamente." Annuii. "Be', domani sarà la
prima cosa che farò." "Vedo che t'interessa
molto.." osservò lui. Sorrisi. "Sì,
moltissimo." Quella era un'occasione perfetta, non potevo
lasciarmela scappare via.
***
Camminavo rapidamente per
il corridoio, lo zaino in spalla, stringendo fra le mani un
block-notes e una penna. Schivavo in maniera abile qualche studente
che non guardava dove andava e stava per finirmi addosso. Mordendomi
le labbra, mi avvicinai meglio ad una parte del corridoio. Un enorme
tabellone di sughero con su appesi dei volantini e dei foglietti mi
si presentò davanti. La fantomatica bacheca degli
avvisi, che in quegli anni non avevo neanche notato una volta. Cercai
con lo sguardo ciò che mi interessava, leggendo rapidamente
dei vari foglietti e qualche scritta in maiuscolo. Finché
trovai ciò che mi cercavo. Mi avvicinai meglio per guardare un
foglietto celeste, e lessi. "Lezioni pomeridiane di
chitarra classica, elettrica, acustica, basso e altri strumenti a
corda. Per maggior informazioni chiamare il numero che segue. Quota
mensile + strumento musicale personale richiesti. No affitti di
strumenti e/o perditempo." Il mio cuore fece un tuffo..
Non si affittavano strumenti. Avrei dovuto avere una chitarra
mia, e non l'avevo. E se avessi voluto comprarla, non avevo un
centesimo in tasca, come sempre, del resto. E chiedere dei soldi ai
miei genitori per una chitarra era impensabile e impossibile. Non ci
parlavamo più: se l'avessi fatto per chiedere del denaro, come
minimo mi avrebbero tirato qualcosa in testa. Che ingiustizia,
pensai. Ricopiai il numero sul mio block-notes giusto per fare
qualcosa. Ci ero rimasta malissimo, perché ormai mi ero
aggrappata - e anche abbastanza disperatamente - a quella
opportunità, che per motivi ovvi mi era scivolata dalle mani.
Improvvisamente ritornai a quello stato d'apatia della sera
precedente. E adesso, cos'altro avrei potuto fare? Posai il tutto
dentro lo zaino, e lentamente, con una faccia delusissima, camminai
per il corridoio. Sperai ardentemente di non incontrare qualcuno,
ci mancava solamente questo per darmi il colpo di grazia. Camminavo a
sguardo basso, cercando di evitare gli occhi delle persone attorno a
me. Finché mi sentii raggiungere alle spalle da qualcuno che
mi chiamò; lentamente mi voltai, e sospirai di sollievo nel
vedere mio fratello venirmi accanto. "Ciao! Allora, hai visto
nella bacheca per il corso?" mi chiese, stando di fronte a me e
sorridendomi. Sospirai. "Sì, ma purtroppo non
affittano strumenti. Dovrei averne uno tutto mio.." risposi,
guardandolo. Arricciò le labbra, guardandosi intorno.
"Quindi ci vogliono un po' di soldi, giusto?" chiese
ancora. "Decisamente sì, e io non ne ho."
risposi, sconsolata. Edoardo stette un attimo zitto, poi tornò
a guardarmi. "Be', e allora?" "Come allora? Edo,
non posso chiederne a mamma e papà.." Mi sorrise.
"Adrienne, c'è una cosa che si chiama lavoro." Lavoro.
M'illuminai. In effetti, l'idea non mi aveva neanche sfiorato il
cervello. Avrebbe potuto essere una buona idea, sì. Avrei
lavorato un po', giusto per avere i soldi necessari, e poi non avrei
avuto problemi a licenziarmi. "E i nostri genitori?"
chiesi d'istinto. Edoardo rise. "Non c'è per forza il
bisogno che tu dica tutto a loro, sai? E poi sei già matura da
decidere, no?" "Beh, sì," risposi, anche se
titubante, "..il problema è solo trovarlo e farlo
conciliare con la scuola." Edoardo annuì. "Ce la
puoi fare. Se vuoi posso darti una mano." "D'accordo,
grazie." risposi sorridendo. Ciò riuscì a
risollevarmi l'umore. Anche se avrebbe significato sgobbare per
ottenere quel che volevo, non m'importava. Ero decisa a farlo, fino
in fondo.
***
"Sì.. Grazie lo stesso.
D'accordo. Arrivederci." Misi giù la cornetta. Con un
pennarello rosso tracciai una grossa X su una pagina di giornale. Un
altro buco nell'acqua. Sbuffai, ero stanca e annoiata. Mi alzai dalla
sedia, raggiunsi la dispensa e afferrai il pacco di biscotti al
cioccolato. Stavo già sgranocchiando il terzo quando entrò
mio fratello nella stanza. Mi guardò ridendo. "E così
che cerchi un lavoro?" mi chiese. Cercai di ribattere, ma
dalla bocca mi uscirono solo delle briciole. Deglutii e poi cercai di
parlare. "Sto facendo una pausa." spiegai. Mio
fratello prese posto accanto alla sedia dov'ero seduta prima, e lo
raggiunsi portando con me la scatola dei biscotti. Guardò il
giornale, aperto sulla pagine degli annunci, e tutti i miei segnali
rossi che indicavano i lavori che avevo scartato. "Quanti
lavori ti hanno respinto per ora?" "Otto. Non accettano
nessuno che non abbia esperienza." Edoardo fece una smorfia,
i suoi occhi vagarono sulla pagina. "C'è qualcosa che
vorresti fare in particolare?" "Mi va bene tutto, basta
che lo trovi!" esclamai, facendo fuori il quarto biscotto.
Sbuffai, non pensavo che fosse stato così difficile. E poi,
era davvero un problema non avere esperienza da nessuna parte; ma non
era colpa mia se non avevo mai lavorato prima d'ora! "D'accordo,
vediamo." fece una pausa, lesse qualcosa. "Prova questa
qua. Non credo che richiedano esperienza." Avvicinò il
giornale a me. "Tutto fare in una pizzeria?" chiesi. Alzò
le spalle. "O questo, o non vedo nient'altro." "D'accordo,"
dissi, "chiamo. Non ho niente da perdere." "Ecco,
brava." spinse il telefono verso di me, con un grande sorriso
stampato sul volto. Lo presi e composi il numero. Avevo bisogno di
un'abbondante dose di fortuna, sperai che mio fratello fosse servito
anche da talismano. E nel frattempo stavo pensando sempre di meno a
lui. Mi sorprendevo quando mi rendevo conto di pensarlo per due
minuti e di scordarmene per tre ore. In classe lo evitavo, persino
con lo sguardo. Spesso mi chiedevo come un bacio, una delle cose più
lievi e dolci di questo mondo, avesse distrutto un'amicizia solida
che andava avanti nel tempo. Non si potevano cancellare i sentimenti
all'improvviso, come se niente fosse. Mi chiesi se ciò che mi
diceva erano solo bugie o se quel bacio, in qualche maniera, avesse
cambiato ogni cosa. Ma che senso aveva? E perché mettersi con
Melissa..? Avevo capito una cosa, però. La vita continuava, e
a sedici anni non potevo permettermi di rovinarmi la vita per una
persona, nonostante fosse davvero importante e.. vitale, per
me. Avevo perso lui, ma non avevo perso me. Stavo solamente cercando
di rialzarmi, tutto qua. Quella ferita sarebbe stata dentro di me,
per sempre. Lo avrei sempre amato, e considerato il mio migliore
amico, il migliore che si potesse desiderare. Ma dovevo reagire, non
dovevo lasciarmi andare giù.
Ecco
un altro capitolo. Vedete? Le cose cominciano a girare per il verso
giusto, per la nostra Adrienne! *_* Ah, povera, ha sofferto così
tanto.. XD Vi prego, COMMENTATE, COMMENTATE! Non può che
farmi piacere.
gloria85: grazie
per aver recensito e per i complimenti! Mi piace il tuo modo di
pensare.. chissà, magari Alex si ridesterà.. =P Un
abbraccio! Gocciolina:
perché trai conclusioni
affrettate? (: alla fine della storia mancano ancoraun
bel po' di capitoli.. nulla è perduto! Grazie sempre eh
*_* curix: come
vedi l'essere squallido non è comparso in questo
capitolo, lol. Ah, l'adoro :°D mi fa proprio piacere che ti
piaccia Edoardo! Non lo credevo possibile ma lui sta riscuotendo
molto successo =P Grazie anche a te!
Lasciai il mio numero di cellulare in tre locali che
avevo trovato, i quali richiedevano un lavoro senza esperienza. Aspettai
cinque giorni, ma nessuno mi chiamò. Piano pianocominciai a perdere le speranza, anche se mio fratello mi
incitava a non mollare e a continuare a sperare. Sta di fatto che sobbalzavo
ogni volta che sentivo un cellulare squillare e diventai piuttosto ansiosa e
nervosa. Volevo un lavoro, mi serviva, e se nessuno mi avesse chiamato avrei dovuto inventarmi qualcosa.
Così, in un giorno in cui ormai avevo perso ogni speranza e avevo smesso di
portare il cellulare con me ovunque andassi, stavo comodamente seduta sul
divano del salotto, a fare i compiti. Tenevo le gambe
vicino al corpo, il quaderno appoggiato su esse e una
matita in mano. Mi fermai, riflettendo. Avvicinai la matita alle labbra, la
mordicchiai e poi sbuffai. Ero stufata di tutto e avrei
voluto uscire un po', ma da sola non mi andava assolutamente. Edoardo
stava studiando, in camera sua. L'indomani aveva un compito in classe e non
potevo - volevo - disturbarlo solo perché avevo voglia di una boccata d'aria.
Era ancora presto, appena le sette del pomeriggio,e
quindi i miei erano ancora al lavoro. Ne avevo
abbastanza, così mollai il quaderno e la matita sul tavolino davanti al divano.
Chiusi gli occhi, mettendo le mani intrecciate dietro le
testa e stendendomi meglio sul divano. Avevo un terribile mal di testa. Quando stavo cominciando a rilassarmi un po', sentii dei
rumori non propriamente leggeri che provenivano dalle scale. Spalancai gli
occhi, mettendomi a sedere.
Mio fratello Edoardo spuntò sulla soglia della porta; esibiva un'espressione
scocciata e aveva tra le mani il mio cellulare.
"Adrienne, non sono il tuo segretario. Perché se così fosse, vorrei essere pagato, sai com'è.
Tieni." disse, avvicinandosi al divano. Lo
raggiunsi, prendendo il cellulare fra le mani e guardandolo.
"Ma chi è?"
La sua espressione scocciata fece posto ad un sorriso. "Lavoro."
Scattai in aria, diventando rossa. Edoardo rise piano, mi fece un cenno con la
mano e se ne andò.
Rimasi di sola, in preda al mio destino. Avvicinai il cellulare all'orecchio,
dopo essermi schiarita la voce e aver deglutito sonoramente.
"P- pronto?" chiesi.
"Mi scusi, è lei la ragazzina che cercava un lavoro?" mi chiese la
voce di una donna.
"Sì, sono io."risposi,
anche se non apprezzai del tutto il ragazzina.
"Sarei interessata ad averla nel mio locale come tutto fare."
Il cuore mi andò a tremila. Ce l'avevo fatta, sì, sì,
ce l'avevo fatta.
"Cosa intende per tutto fare?" chiesi.
La donna rimase un attimo in silenzio. "Stare al bancone, prendere
ordinazioni, servire ai tavoli, pulire."elencò.
"Ottimo." commentai, mi andava più che bene.
"La paga è di cinquanta a settimana." aggiunse.
Perfetto. Non sapevo quanto costava una chitarra, ma pensavo che due settimane
di lavoro mi sarebbero bastate. Poi avrei deciso se continuare o meno a lavorare.
"Per me va benissimo. Quando posso cominciare?" chiesi.
"Se per lei va bene, anche questo sabato."rispose la donna.
Feci mente locale. Eravamo a giovedì, se non
sbagliavo. "Certamente." risposi.
La proprietaria del locale mi ribadì l'indirizzo e mi
disse di presentarmi lì alle sei del pomeriggio. La ringraziai infinitamente e
poi riattaccai. Dopo averlo fatto, rimasi qualche minuto immobile a fissare il display del cellulare, con un sorriso soddisfatto sulle
labbra. Dopo di che improvvisai un balletto di vittoria,
saltando giù dal divano e ballando davanti alla televisione.
Ero contenta, sì, decisamente. Stavo prendendo in mano
la mia vita, senza che gli eventi mi soffocassero. Ed era un passo avanti.
***
Sabato mattina mi svegliai piuttosto elettrizzata. Non vedevo l'ora che la
scuola finisse, che pranzassi, e che le sei
arrivassero. Però mancava praticamente mezza giornata,
e dovevo stare tranquilla: o almeno, provarci.
Arrivai a scuola in perfetto orario, con mio fratello, esattamente nel momento
in cui la campanella segnò l'inizio delle lezioni. Ultimamente preferivo
arrivare tardi, perché se fossi arrivata prima del
suono della campanella avrei dovuto aspettare, da sola, e se potevo lo evitavo
accuratamente. Stare da sola era la mia più grande
paura, nelle ultime settimane lo ero stata, sul serio. Comunque, entrai in classe; facendo una grande fatica
a camminare per il corridoio con tutta la folla di ragazzi che si era riversata
in esso. Non rivolgendo occhiate e saluti a nessuno,
per evitare di incontrare qualcuno che volevo evitare, mi sedetti al mio banco.
Feci menti locale. Avevamo due ore di scienze. Poco
male, avrebbe spiegato il nuovo argomento, e prendendo appunti le ore sarebbero passate più velocemente. Presi dallo zaino il
quaderno e la penna, e li appoggiai sul banco. Diligentemente stetti in
silenzio, aspettando l'arrivo della professoressa.
Il mio sguardo scivolò sulla porta della classe, la quale era aperta. Me ne
pentii all'istante.
Melissa e luientrarono nell'aula, sorridevano
entrambi. Lui la spinse dolcemente dentro, e lei rise. Notai che avevano
fra le mani vari raccoglitori di plastica e alcune cartellette. Mi chiesi a
cosa servissero. Lo fissai, come se ne fossi
incantata, e notai un pacchetto di sigarette fare capolino dalla tasca dei suoi
jeans. Quando io ero con lui, gli consigliavo sempre di metterlo dentro la zaino, in modo che nessuno lo vedesse e si facesse
domande. Naturalmente quest'immagine non mi fece
restare impassibile. Ero invidiosa, ma soprattutto ero gelosissima. E, naturalmente, triste.
Ormai l'avevo perso, e tutto quello che era stato era solo un ricordo. Melissa
non si meritava di stare con un ragazzo così meraviglioso, anche se cominciavo
a dubitare che fosse tanto meraviglioso. Scossi la testa per
impedire alla mia mente di vagare e di fare brutti pensieri. Nel
frattempo loro due erano andati al loro posto, e la
professoressa stava chiamando l'appello. Mi risvegliai appena in tempo per borbottare
unpresente quando
chiamò il mio nome. Seguirono la consegna di alcune
giustificazioni da parte di studenti assenti qualche giorno prima; poi la
professoressa chiuse il registro di classe e ci guardò, unendo le mani sopra la
cattedra e sorridendo. Così sembrava.
"Bene," iniziò l'insegnante, "come
avevo accennato qualche giorno prima, oggi assisterò - e assisterete - alle
presentazioni del progetto di scienze che vi ho assegnato settimane fa."
All'inizio pensai di non aver capito bene. Poi cominciai a guardarmi intorno.
Tutti i miei compagni erano divisi in gruppetti, e in mano tenevano fogli,
schermi, diagrammi e appunti. Venni presa dal panico.
Non avevo nessun progetto, non avevo fatto niente. Mi
avrebbe messo un' insufficienza. Desiderai materializzarmi
in un posto che non fosse lì: una scuola di Mosca, ad esempio, ma ciò non
accadde. Con i nervi a fior di pelle, fissai il mio banco verde.
Avevo un vuoto in mente. Improvvisare qualcosa? Era impossibile, mi avrebbe chiamato da un momento all'altro e mi sembrava che
non ricordassi più un accidente. Una scusa? Sì, e quale? Aveva lasciato il
progetto cinque settimane fa. E raccontare la verità, cioè
che me l'ero scordato, era fuori discussione.
Sudai freddo, attendendo che il mio destino facesse il
suo corso. Deglutii, mentre la professoressa decideva di chiamare qualcuno.
"Alessandro e Melissa? Sarei curiosa di vedere ciò che avete fatto." disse.
Al peggio non c'era fine e la sfortuna mi aveva preso fra le sue braccia. Mi
teneva bella stretta, a quanto sembrava. Avevo una voglia pazzesca di sbattere
la testa contro qualcosa di duro. Dopo un grattare di
sedie, vidi lui e Melissa avanzare verso la cattedra, carichi di foglietti. Si posizionarono davanti alla lavagna, uno accanto all'altra.
Vidi Melissa rivolgergli un sorriso incoraggiante e sfiorargli leggermente la
mano con la sua. Diventai viola all'istante, e li fissai cercando di assumere
un'aria indifferente.
Lui parlò per primo.
"La nostra ricerca riguarda lo studio dei corpi celesti,
l'Astronomia."
"Astronomia è una parola che deriva dal greco. E'
formata da due termini: 'astron',
ovvero stella, e 'nomos', leggi. Quindi
letteralmente significa 'leggi delle stelle'."
Ma chi se ne frega? Partirono in quarta parlando dei pianeti del Sistema
Solare, del sole, e delle teorie di Galilei e Keplero: presto mi resi conto che il loro non era un lavoro fatto male; ma non volevo ammetterlo perché
ero ancora piena di gelosia ed invidia. E per di più,
ero senza progetto e avevo guadagnato un'insufficienza a scienze. La mia prima
insufficienza dell'anno.
Dopo una buona ventina di minuti, la professoressa li fermò dicendo
che bastava. Sembrava soddisfatta. Melissa e luitornarono
ai loro posti. La prof. segnò un numero nel suo registro personale, poi lo consultò.
"Okay. Vediamo adesso chi viene.." disse.
Con un movimento della mano buttai la penna a terra, e mi chinai per prenderla.
Trucco vecchio come il mondo, ma che dovevo fare? Riemersi da terra, sperando
di essere in salvo. Invece la professoressa mi guardò e sorrise.
"Adrienne! Allora, vuoi mostrarci il tuo
progetto?" Rimasi senza fiato. Deglutii, e cercai di sorridere, a mò di scusa.
"Non credo di poterlo fare, professoressa."
risposi. Sentii la classe trattenere il respiro, come un sol uomo.
"E perché mai?" mi chiese, alzando tutte e due le sopracciglia, così tanto che temetti che si unissero ai capelli.
"Perché non l'ho fatto." risposi, con un
tono dispiaciutissimo. Nella classe si diffuse un
mormorio e un 'oooh.'
Certo, era strano con una delle studentesse più brave della classe non facesse
un compito, che per giunta era stato assegnato un mese prima. Diventai rossa
per l'imbarazzo. La professoressa mi rivolse uno sguardo
indecifrabile.
"Mi sa dare una spiegazione?" chiese.
"L'ho dimenticato."
I sussurri si fecero più intensi. Ero rossissima e mi tormentavo le
mani, deglutendo sonoramente.
La vidi aprire il registro personale. "La legge è uguale per tutti. Sono
costretta.."
Strinsi gli occhi.
"..a metterle un'insufficienza." concluse.
Mi sentii una stretta allo stomaco. Be', almeno avrei
potuto recuperare, l'anno era ancora lungo, no?
La professoressa fece un altro segnale sul registro e poi lo chiuse. Ah, quant'ero idiota. Mi sentii gli
occhi di tutti addosso, avrei voluto sprofondare.
Sospirai profondamente. Dopo qualche minuto di silenzio, la
professoressa chiamò qualcun altro, che si avvicinò alla cattedra. Gli
sguardi di tutti si spostarono da me al mio compagno di classe. Mi rilassai
meglio sulla sedia, sospirando. Cercai di aggrapparmi al pensiero di quel pomeriggio,
ma ero dispiaciuta e un po' triste; e anche quel
pensiero sembrava non avere più importanza. Di certo quello non era un buon
modo per iniziare la giornata. Mi sentii di nuovo osservata.
Mi voltai, e incrociai il suo sguardo. Mi stava guardando fisso. Il suo
sguardo prese il mio e lo incollò al suo. Mi fece un cenno con la testa. Io la scossi, poi mi voltai di nuovo, stringendo gli occhi.
Persino guardarlo mi faceva del male.
***
Alle cinque e mezza uscii di casa. Edoardo mi
accompagnava, voleva anche assicurarsi che tutto fosse stato a posto. Mi
sentivo parecchio elettrizzata e continuavo a stringere fra le mani la mia
borsa a tracolla, che nel frattempo mi stava soffocando; sentivo la cinghia che
mi doleva sul petto. Rimasi in silenzio per tutto il tempo. Chissà
come sarebbe stato, se avessi sgobbato troppo, se mi fossi trovata bene.
Il pensiero che comunque dopo due settimane avrei
avuto i soldi necessari per la chitarra, mi rincuorava parecchio. Dopo una
ventina di minuti, io e mio fratello arrivammo a
destinazione.
Il locale era al centro di una via piuttosto frequentata. L'insegna, un neon
celeste, recitava 'The Guilt'. Subito sotto
c'era un portone massiccio, scuro, con alcune finestrelle di vetro intagliate
sopra, che facevano intravedere l'interno del locale.
Mi avvicinai velocemente.
"E' questo?" chiese Edoardo. Appoggiai una mano sul portone. "Sì,
esattamente."
"Vuoi che entri?" chiese ancora.
"No, non preoccuparti. Se c'è qualche problema ti
chiamo." dissi.
"Okay. Buona fortuna." Sorrise, mi scompigliò i capelli e se ne andò. Io rimasi qualche minuto fuori, respirando
profondamente, poi presi coraggio e spinsi la porta, entrando. Anche l'interno del locale era molto carino.
Ogni parete era dipinta con un colore diverso. C'erano appesi diversi poster,
un po' vintage, e delle copertine di
vecchie dischi. C'erano molti lampadari con luci diverse, lievemente
soffuse, che davano un aspetto allegro ma quasi misterioso al locale. I tavoli
e le sedie erano anch'essi di legno massiccio, con quello della porta. Mi
voltai. A destra c'era il bancone di legno, dove si poteva pagare; e
all'estremità del bancone c'erano alcuni sgabelli e dei distributori di bibite.
Il locale era ancora vuoto. Alcuni ragazzi, che dovevano
essere camerieri perché portavano la stessa maglietta nera a maniche corte con
una grossa 'G' stampata sulla schiena, mi guardarono incuriositi. Avanzai verso
la cassa, dove c'era una donna che - sperai - doveva essere la proprietaria con
cui avevo parlato al telefono. La donna si voltò a guardarmi non appena fui
davanti a lei.
"Ehm, mi scusi," dissi, "Io sarei.. la
ragazza che ha chiamato l'altro giorno per il lavoro.."
La signoria si alzò, illuminandosi, e mi venne incontro stringendomi la mano.
"Oh, eccoti! Ti stavo proprio aspettando. Piacere, io sono
Rosa."
Riconobbi immediatamente la voce dalla signora. Rosa doveva essere una
donna sulla cinquantina. Era altina, con dei capelli castano-grigio e degli occhi celesti. Portava un
paio di pantaloni grigi e una maglietta rossa. Stringendole le
mano, notai una grossa fede d'oro all'anulare destro. Portava anche
tantissimi braccialetti al braccio sinistro. Le feci il migliore dei sorrisi.
"Lieta di conoscerla. Mi chiamo Adrienne."
Rosa mi lasciò andare. Portandosi una mano sul mento, si allontanò un
poco e mi squadrò dalla testa ai piedi.
"Quanti anni hai?" chiese.
"Sedici, signora."
"Hm. Sei veramente una bella ragazza. E sei la più giovane qui dentro."fece una pausa, guardando i
camerieri dietro di me.
Arrossii di brutto. "Molte grazie, davvero."
Rosa sorrise. "E anche ben educata. Sei proprio ciò che cercavo."
Continuai ad arrossire. Prima che potessi raggiungere
qualcosa e ringraziarla di nuovo, però, Rosa ritornò dietro il bancone.
Rovistò qualcosa, poi tornò da me e mi consegnò una maglietta come quella degli
altri camerieri.
"Tieni, prendila. Dovrebbe essere della tua
misura." disse.
Sorrisi, prendendola. "Grazie. Dove posso cambiarmi..?"
Rosa mi indicò col dito una piccola porta dall'altro lato della sala, con su
una grande immagine di un divieto d'accesso.
"Lì, sono gli spogliatoi. Puoi posare le tue cose, e se c'è bisogno c'è
anche il bagno."
"Grazie." Non facevo altro che ringraziare.
Prendendo la maglietta, mi avviai verso quella porta. Dopo essermi cambiata e
aver posato la borsa, uscii. Speravo che Rosa mi avesse spiegato come dovevo
muovermi e cosa avrei dovuto fare, perché mi sentivo
completamente spaesata. Intanto si erano fatte le sette e le prime persone
cominciavano ad entrare. Gli altri ragazzi, che ancora non conoscevo,
cominciarono a muoversi. Notai anche un paio di ragazze. Comunque Rosa aveva ragione: erano tutti più grandi di
me. Mentre cercavo di trovare il coraggio necessario per avanzare e chiedere
aiuto a qualcuno, sentii picchiettarmi sulla spalla. Sobbalzai e mi voltai di
scatto.
"Scusa, sei tu quella nuova?" mi chiese un
ragazzo. Quest’ultimo era alto, magro, con un bel fisico.
Aveva dei capelli corti, ma non troppo, fra il biondo e il castano e dei
profondi occhi azzurro-grigi. Portava un orecchino d'argento all'orecchio
sinistro. E poi, notai i muscoli delle braccia che
risaltavano con la maglietta a maniche corte. Deglutii, fissandolo: era
veramente un bel ragazzo.
"Sì, ciao, sono io."risposi,
sorridendo. Anche lui mi sorrise. Aveva dei denti bianchi e
perfetti. Mi pose la mano, e io la strinsi. "Piacere, sono Eric."
"Piacere, Adrienne."
La sua stretta di mano era forte e decisa.
Mi lasciò la mano e mi guardò negli occhi. "Hai sedici anni?"
"Sì, esatto." Evidentemente le voci
circolavano in fretta, ma non mi dava fastidio.
"Io ne compio diciannove fra qualche mese. E comunque, sembri più grande, lo sai?" disse.
Arrossii, senza sapere perché. "Non me l'ha mai detto nessuno."
Rise. "C'è sempre una prima volta, sai?"
Rimasi sconvolta per un attimo dall'uso di quelle parole, ma cercai di non
pensarci. Eric parlò ancora, guardandomi. "Rosa
è andata via per un po', ogni tanto ci lascia da soli a gestire tutto.. si fida di noi. Comunque, mi ha
chiesto si spiegarti un po' di cose, per orientarti."
Annuii. "Ottimo. Se Rosa non te l'avesse detto, avrei chiesto comunque aiuto a qualcuno." Eric sorrise. "E io ti
avrei aiutato. Lo faccio volentieri." disse.
Arrossii di nuovo. Eric mi spiegò come prendere le
ordinazioni e passarle in cucina, come servire correttamente ai tavoli, e come
stare al bancone, mostrandomi il funzionamento della cassa. Fu gentilissimo e
chiarissimo con me, in una mezz'oretta mi sembrò di aver imparato tutto, almeno
nell'atto teorico.
"E se hai bisogno di qualcosa, non farti problemi a chiedere a me o a
qualcun altro dei ragazzi."concluse.
"Grazie, davvero. Mi sei stato utilissimo. Comunque
oltre a te non conosco ancora nessuno." dissi, un
po' imbarazzata.
Sorrise. "Allora provvederò a farti conoscere gli altri, anche. E adesso al lavoro!" esclamò, e mi spinse leggermente
in avanti. Si allontanò, e rimasi da sola. Dopo un attimo di indecisione,
decisi di buttarmi nella mischia, e allora cominciai a prendere le prime
ordinazioni. Mi avvicinavo ad un tavolo, block-notes e penna alla mano, e
chiedevo nella maniera più gentile ai clienti cosa gradissero.
Poi mi avvicinavo alle porte della cucina, appiccicavo il fogliettino
ad una piccola finestrella di vetro alla porta e i cuochi eseguivano. Quando i piatti erano pronti i cuochi suonavano un
campanello e appoggiavano i piatti su una specie di davanzale sempre sulla
porta. Io li prendevo e li servivo. Qualche volta rimasi al bancone a pagare i
vari conti della gente, facendo attenzione a non
sbagliare. Era sabato sera, c'era molta confusione, e non mi fermai neanche un
attimo. Ogni tanto individuavo Rosa che mi guardava mentre
servivo ai tavoli, come se stesse studiando ogni mia mossa, ed Eric che mi rivolgeva grandi sorrisi incoraggianti. Ma non ebbi bisogno di chiedergli niente, fui in grado di
cavarmela da sola. Verso mezzanotte meno dieci, Rosa mi fermò.
"Adrienne, è meglio che tu stacchi. Sei
minorenne e non posso lasciarti lavorare fino a tardi."mi disse.
"No, guardi, se vuole finisco di servire quei tavoli là e.."
Scosse la testa, sorridendo. "Non è necessario. Vieni domani, allo stesso
orario. Hai fatto davvero un ottimo lavoro." Mi
fece un sorriso a trentadue denti. Io ricambiai. "Grazie mille. Allora a
domani, signora. Buonanotte." dissi.
Rosa annuì. Stanchissima, mi trascinai allo spogliatoio per cambiarmi e
prendere la mia borsa. Dopo una decina di minuti uscii,
con il cellulare in mano dopo aver chiamato Edoardo per farmi venire a
prendere.
Vidi Eric venirmi incontro, con un vassoio vuoto fra
le mani.
"Vai via?" mi chiese, venendomi di fronte.
"Sì. Rosa non vuole farmi lavorare fino a tardi." spiegai.
Annuì. "Ha ragione, infatti. Sei minorenne." fece
una breve pausa. "Allora domani ci sei?"
"Sì, non mi hanno ancora licenziato."dissi, con un sorriso.
Rise. Aveva una risata meravigliosa. "Impressioni del primo giorno?"
chiese.
"Stancante!" esclamai.
Rise di nuovo. L'avevo fatto ridere, e per ben due volte. Ero estremamente soddisfatta. "Be',
io vado."
"A domani, allora. Buonanotte." mi diede un
pugno scherzoso sul mento, e poi si allontanò sorridendomi. Io lo seguii con lo
sguardo finché non scomparve fra la folla. Col sorriso fra le labbra, uscii dal
locale. L'aria gelida della notte mi colpì in viso, e mi strinsi meglio la
sciarpa al collo. Fortunatamente non aspettai molto, mio
fratello era già arrivato. Mi venne incontro, sorridendomi.
"Allora? Com'è andata?" chiese, avvicinandosi.
"Benissimo. Mi sono divertita un sacco."dissi, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
"Sono sorpreso del fatto che una persona si possa divertire a lavoro, ma sembra ti abbia fatto bene.. Si
vede dal tuo sorriso." disse, sembrava contento,
"Raccontami, dai!" mi incitò.
Presi a raccontagli tutto nei minimi particolari. Mio
fratello mi ascoltò, interessato, annuendo o ridendo nei momenti giusti. Nel
frattempo, eravamo già arrivati a casa.
"E brava la mia sorellina. Stai diventando grande!"
esclamò, ridendo. Io sbuffai, ma poi sorrisi. "Sono fiero di te." disse. Ero stanchissima, non mi sentivo più i piedi, le
braccia. Partii per il bagno, per una lunga doccia. Per delle ore, non avevo
più pensato a lui. E mi accorsi che,
frequentando altre persone, mi sentivo meno sola, e pensarlo mi faceva meno
male, anche. Mi sentivo decisamente meglio: di buon
umore, dopo tantissimo tempo. Mi guardai allo specchio, sorridendo, e senza
accorgermene ripensai alla risata di Eric.
La settimana passò in un batter
d'occhio. Di mattina andavo a scuola, dopo di che pranzavo, facevo
i compiti e alle sei del pomeriggio ero già al locale. Anche
se era piuttosto faticoso, mi divertivo parecchio. Conobbi tutti i miei colleghi.
Erano sempre gentilissimi con me, scherzavano, ed erano simpatici. Temevo che
m'avessero trattato come una bambina, dato che non c'era una persona della mia
età: Invece, fu il contrario. Mi trattavano esattamente come una di loro,
facendomi partecipare alle loro discussioni e scherzando tranquillamente con
me.
Ogni tanto scambiavo qualche chiacchiera con Eric, ma di rado, e ciò mi
dispiaceva perché avrei voluto conoscerlo meglio. Di certo ero un po' attratta
dal suo aspetto fisico, era sicuramente un bel ragazzo e m'intrigava. Ma del resto, era stato tanto gentile con me, mi aveva
aiutato, ed era simpatico. Naturalmente non ero così superficiale
ma dimenticare in due secondi il ragazzo che amavo, non appena ne conoscevo
un altro; ma mi capitava sempre più frequentemente di non pensarci più,
specialmente quando lavoravo. E mi faceva
indubbiamente bene.
Una settimana dopo che lavoravo ogni giorno senza sosta, avevo finalmente
diritto ad uno stipendio. Verso mezzanotte, che era il mio orario di stacco
dopo un'estenuante pomeriggio e serata di lavoro, Rosa
mi chiamò.
"Bene bene." disse
Rosa, con un grande sorriso, vicino al bancone, "Oggi riceviamo il nostro
primo stipendio, eh?" Annuii, con un grande sorriso sul volto. "Oh,
sì."
Rosa rise, mi guardò. Si frugò in tasca, dopo di che
ne uscì cinquanta bigliettoni e me li consegnò. Li
presi, guardandoli con mani quasi tremanti. Meraviglioso: sentivo già di avere
una ricchezza fra le mani. Un'altra settimana, e avrei ottenuto ciò che volevo.
L'idea mi elettrizzava e un'altra settimana di lavoro non mi spaventava.
"Grazie, grazie."mormorai,
infilando il mio primo stipendio in assoluto in una tasca della borsa, al
sicuro.
"Grazie a te." rispose lei, sorridendo. Mi
sentivo felice. Sorridendo ancora a Rosa, presi il cellulare e composi il
numero di Edoardo.
"Adrienne?" chiese subito.
"Sì. Dovresti venirmi a prendere." risposi.
"Ah! Come faccio? Sono uscito con gli amici! Non so se riesco a liberarmi
presto e a venire.."
Venni presa dal panico. "Cosa? E
io come ritorno a casa?" esclamai, con voce un tantino stridula. Rosa mi
guardò, preoccupata. E come se fosse una benedizione, Eric mi passò davanti proprio mentre lo dicevo. "Che
succede?" chiese. Sbuffai, bloccando la chiamata e infilando il cellulare
nella borsa, con tanta violenza e rabbia. "Non so come ritornare a casa.
Mio fratello non può venire a prendermi."
Eric mi guardò fisso, con la bocca socchiusa, e poi
guardò Rosa.
"Rosa, non è che potresti darmi un permesso?
L'accompagno io a casa." le chiese. Cosa? Forse non avevo sentito bene. Voleva accompagnarmi a
casa? Rosa annuì, poi mi guardò. "Se per Adrienne
va bene.."
Sia Eric che Rosa mi fissavano. Diventai rossa all'istante,
poi guardai Eric. La mia mente lavorò veloce. Mio fratello sarebbe
venuto a prendermi al locale come minimo verso l'una, conoscendolo. In fondo
Eric mi stava solamente offrendo il suo aiuto.
"D'accordo.." mormorai, sorridendo
timidamente. Eric sorrise. Fece un cenno con la testa a Rosa
per ringraziarla, poi si avvicinò a me. "Ci metto due secondi a
cambiarmi. Okay?"
"Certo." dissi, ed Eric mi sorrise di nuovo
e scomparve oltre la porta degli spogliatoi. Rimasi dieci
minuti ad aspettare, seduta su uno degli sgabelli del bancone. Il locale era un po' meno pieno, cominciava a farsi tardi. Io ero un preoccupata, e mi sembrava di non avere più una briciola
di sonno o stanchezza. Poi vidi Eric uscire dagli spogliatoi, e mi alzai di
scatto. Notai che aveva cambiato maglietta e jeans. Non c'era niente da fare:
stava bene con qualsiasi cosa addosso.
"Andiamo?" mi chiese non appena mi fu vicino.
Annuii, e stringendo la cinghia della borsa e salutando Rosa, lo seguii fuori dal locale. Eric camminava al mio fianco, e ciò mi
faceva innervosire parecchio. Mi strinsi meglio alla sciarpa. Mi aspettavo che
mi domandasse dove si trovava casa mia, ma non lo fece, e la cosa m'insospettì
parecchio. Invece camminò per una via per un po'. Dopo
di che si fermò, e mi guardò. Sorridendomi, si frugò
in tasca e ne uscì un mazzo di chiavi. Riconobbi la chiave di un'auto. Infatti la prese, e schiacciò il bottone. Le luci di una
Lancia Ypsilon nera s'illuminarono
d'arancione.
"Woah." dissi, guardandola e
avvicinandomi all'auto. Eric scoppiò a ridere. "Frutto dei miei risparmi,
eh." disse. Eric mi raggiunse e mi aprì gentilmente lo sportello,
invitandomi a salire. "Prego, signorina." disse,
ridacchiando, e accompagnando il tutto con un gesto della mano. Io gli sorrisi,
divertita, e salii in auto, chiudendo lo sportello dietro di me.
Lui fece il giro dell'auto e poi salì, prendendo il
posto del conducente. Lo guardai fisso mentre infilava
la chiava nell'apposita fessura e accendeva il
motore. Avevo fatto bene a fidarmi? In fondo lo conoscevo appena. E se avesse
avuto cattive intenzioni..? Un brivido mi passò per la
schiena. Eppure sembrava tanto carino e gentile.. ma
magari era solo una tattica. Già, e magari io ci ero
completamente cascata. Mi pentii all'istante di aver accettato un passaggio da
lui, ma mi augurai vivamente di sbagliarmi.
Eric si voltò un attimo a guardarmi.
"Sei pensierosa. Qualcosa non va?"
Mi risvegliai dai miei pensieri e arrossii di botto.
"No, no, va tutto bene!" dissi, forse con un sorriso un po' troppo
falso e nervoso.
Continuò a guardarmi per un po', poi alzò le spalle e uscì dal parcheggio,
controllando per bene gli specchietti e scalando le marce. Con estrema
facilità, entrò in strada. Ci furono degli attimi di silenzio imbarazzante. Mi
sistemai meglio sul sedile, che sentivo stranamente
freddo sotto di me. Avevo freddo ed ero preoccupata, e soprattutto
continuavo a guardarlo con la coda dell'occhio.
Guidava a velocità moderata, tenendo entrambe le mani sul volante e tenendo
sempre lo sguardo sulla strada. Poi parlò.
"Adrienne?" chiese.
"Sì?"
"Devo confessarti una cosa. In realtà," fece
una pausa, "..quella del passaggio è solamente una scusa."
Deglutii sonoramente. Allora avevo ragione. Tremai leggermente.
"Volevo.. volevo stare un po' con te, per
conoscerti meglio. Ma non sapevo come dirtelo.. in
fondo, neanche ci conosciamo."
"Conoscermi meglio..?" balbettai.
"Sì." Lo vidi sorridere. "Sembri simpatica e vorrei
conoscerti un po' di più. In fondo dei l'unica mia collega che non conosco come le mie tasche." Sorrisi,
neanche accorgendomi di sospirare di sollievo.
"Devo fidarmi?" chiesi.
Il suo sguardo si fece serio. "Sì. Ti giuro che non c'è niente sotto.
Voglio solo passare del tempo con un'amica."e sorrise.
"D'accordo, d'accordo." dissi.
Mi aveva definito un'amica, e ciò mi fece piacere. Mi
rilassai, poggiando la testa su un lato del sedile.
"Quindi.. ti andrebbe di fare un giro?"
chiese.
"E dove?"
"Non so. Andiamo a bere qualcosa."
Alzai un sopracciglio. "Che genere di
cose?"
Mi guardò per un attimo, poi rise. "Niente di alcolico, stà tranquilla."
Sorrisi, guardando la strada. Dopo di che, Eric cominciò a tempestarmi di
domande. Mi chiese che scuola facessi, quali erano le mie materie preferite e i
professori che odiavo. Mi raccontò degli aneddoti divertenti di
quando andava a scuola e mi fece ridere. Discutemmo dei nostri gusti
musicali e persino di politica. Mi disse che
frequentava l'università, che era iscritto alla facoltà di Scienze
dell'Educazione, e che gli piaceva tantissimo scrivere e anche dipingere. Eric
cominciò a piacermi anche caratterialmente. Era simpatico, divertente, e
soprattutto intelligente e colto. Mi resi conto che trovavo estremamente
facile discutere con lui, mi piaceva stare ad ascoltarlo e confrontare le mie
idee con le sue. Decisi di fidarmi sul serio di Eric. O almeno, provarci.
Dopo una mezz'oretta d'auto, Eric si fermò e posteggiò in una via.
"Dove andiamo?" chiesi, mentre scendevo dall'auto.
"Ti porto in un posto carino."rispose, sorridendomi.
Scese, mise la sicura all'auto e infilandosi la chiave nella tasca, mi
raggiunse. "Dai, seguimi."disse, sorridendo, come sempre. Si infilò
entrambe le mani in tasca, e camminammo una accanto all'altro; io lasciandomi
guidare da lui e guardandolo di tanto in tanto. Sembrava così tranquillo e
spensierato. Io ero un po' nervosa, la sua vicinanza mi rendeva tale, e non
sapevo ancora se ero completamente felice di essere là con lui. Certo, io ed
Eric avevamo molte cose in comune e lui era una bella
persona, o almeno così sembrava. Ma avrei tirato le somme solo a fine serata. Decisi di fare così, era inutile parlare
prima del tempo.
"Dove vai? Siamo arrivati." disse Eric, prendendomi per il polso e fermandomi. Mi ero
persa come sempre tra i miei pensieri e non mi ero accorta che si era fermato,
e che io stavo continuando a camminare. Quando mi prese per il polso arrossii
violentemente; lui se ne accorse, perché ridacchiò e
mi lasciò andare. Eravamo davanti l'entrata di un piccolo
bar. Sembrava arredato in stile moderno, con mobili colorati di plastica
e luci un po' psichedeliche. Lui avanzò per primo, e aprì gentilmente la porta
per lasciarmi entrare prima. Così entrammo, e mi guardai attorno.
Avevo ragione. C'erano tantissimi tavolini rotondi d'acciaio con alte sedie,
anch'esse dello stesso materiale dei tavolini, e come il bancone per le
ordinazioni. Il pavimento era dipinto di blu scuro, e lo stesso colore della
porta. E proprio sopra il bancone, una scritta
gigantesca blu e gialla recitava 'The DonutHole.' Ciambella bucata. Dedussi che fosse il nome del bar.
Mi voltai verso Eric. "Davvero carino." dissi,
con un sorriso. Eric ricambiò. "Che t'avevo
detto?" fece una pausa e si guardò attorno, il locale era molto pieno
nonostante fosse già passata la mezzanotte. "Vieni,
andiamo a sederci." Ci spostammo verso i vari tavolini d'acciaio,
schivando qualche persona in piedi, finché trovammo un tavolino per due, vuoto. Mi sedetti dando le spalle al bancone,
mentre lui mi stava di fronte. Appoggiò una mano sul mento e l'altra sul
tavolino rotondo, e mi guardò. Arrossi furiosamente, e mi chiesi il motivo per cui voleva sempre farmi sentire in imbarazzo. Voleva
ridere di me? Ciò m'infastidì un po', ma continuai ad arrossire.
Mi appoggiai meglio i piedi alle gambe della sedia, e ricambiai il suo sguardo,
cercando di riprendere un contegno. Aveva degli stupendi occhi azzurri, con
sfumature grigie un po' dappertutto. Notai anche che aveva un piccolo nero
appena sopra il labbro superiore.
"Sai qual’è la
specialità di questo posto?" mi chiese, sorridendomi per la miliardesima
volta.
"Hm. Sinceramente non saprei." risposi, con
aria pensierosa e curiosa.
"Indovina.." disse ancora.
"Non lo so. Le ciambelle?" azzardai, lanciando un'occhiata proprio
all'insegna. Scosse la testa e s'avvicinò a me come se volesse rivelarmi un
segreto.
"I cornetti caldi dopo la mezzanotte."sussurrò, e poi s'allontanò guardandomi con espressione
soddisfatta.
"Veramente? Allora facciamocene portare due, no?" osservai,
sorridendo, "Sono curiosa di assaggiarli."
Dato che c'era tutta quella gente, dovevano essere ottimi. Annuì con
convinzione, poi individuò una ragazza che serviva ai tavoli, e le chiese di
portarci due cornetti al cioccolato. Quando la ragazza se ne andò,
lui riprese a guardarmi, come se volesse studiarmi. Io però avevo voglia di
parlare, poiché ero ancora più decisa a conoscerlo meglio. Gli chiesi dove
abitasse, se riuscisse a vedere i suoi amici dato che era impegnato tutto il
giorno con il lavoro. Scoprii che abitavamo a poche vie di distanza.
"Riguardo alle uscite con gli amici..be', non ho molti problemi, dato che sono un tipo molto solitario
e le persone di cui mi posso fidare si contano sulle dita di una mano.." mi spiegò, disegnando qualcosa d'immaginario col dito sulla
superficie del tavolo.
"Quanto ti capisco." dissi, con un grande
sospiro. Alzò lo sguardo dal tavolo e sorrise. "E
poi, ho più amiche che amici, non è un problema."
Gli rivolsi uno sguardo acido, ma arrossii. "Ah, sì?" Scoppiò a
ridere sonoramente. "Scherzavo, dai."
Sbuffai, sorridendo, e rimanendo in silenzio per un po'. "Non hai la
ragazza?" chiesi, temendo di osare troppo. Ritornò improvvisamente serio.
"No, non più. Ci siamo lasciati un mesetto fa."
rispose.
Mi pentii amaramente di averglielo chiesto. "Oddio, scusami, io non
pensavo di.."
Scosse la testa, interrompendomi e sorridendo. "Macché,
non dirlo neanche per scherzo. Chi ci pensa più, ormai."
disse. Sospirai profondamente. "D'accordo, ma ti chiedo scusa lo
stesso."
Aprì la bocca per ribattere, ma fu bloccato dalla ragazza che ci servì i
cornetti fumanti.
"Ottimo!" esclamò Eric, guardando il suo e strofinandosi le mani.
"Buon appetito!"
"Buon appetito."ripetei,
ridendo.
Mangiare quel cornetto si rivelò più difficile del previsto. Dovetti prenderlo
con un fazzolettino dopo che mi scottai la mano, e dopo il primo morso combinai un disastro con il cioccolato che usciva da tutte
le parti. Usai tantissimi fazzolettini per evitare di sporcarmi. Mi sentivo
un'impedita, e naturalmente Eric quasi non respirò più dal ridere. Per lui era
tutto facile, e soprattutto sembrava un esperto nel mangiare quella roba.
Dopo
che i nostri cornetti erano quasi finiti e avevo cominciato a prenderci la mano
e a non combinare più pasticci, io e Eric
ricominciammo a parlare.
"Ti piace qualcuno?" mi chiese all'improvviso. Un pezzo di cornetto
che stavo mangiando mi andò di traverso e tossicchiai, spargendo dello zucchero
a velo dappertutto. Eric cercò di non ridere, e mi guardò.
"Scusami, vedo che ho toccato un tasto
dolente." disse, mettendosi le mani davanti.
"No, no. Ma perché me lo chiedi?" chiesi.
"Perché ti ho osservato al locale, certe volte. Se vedi qualche
coppietta, o se qualcuno dice qualcosa che ti colpisce..
Prendi a sospirare, e cambi umore in una rapidità impressionante." disse.
Rimasi senza parole, ma cercai di reagire. "In effetti
mi piace qualcuno.. ma è una storia lunga." dissi,
abbassando lo sguardo.
"La notte è giovane." esclamò lui.
Risi, ma scossi leggermente la testa. "Per adesso non mi va di parlarne,
scusa." dissi.
Lui annuì. "Certo, non voglio insistere. Scusa." Gli risposi con un grande sorriso, provando un moto di gratitudine per lui; e
mi stupii che avesse intuito qualcosa solamente dal mio comportamento. Comunque finimmo di mangiare i nostri cornetti, continuando
a chiacchierare allegramente su argomenti banali. Dopo averlo fatto, ci alzammo
per andare a pagare. Litigammo perché voleva offrirmi il cornetto, alla fine
fui costretta ad arrendermi e pagò anche per me.
Fuori faceva un freddo cane, ma neanche me ne accorsi.
Velocemente, quasi correndo per sentire meno freddo, salimmo in macchina. Non
appena Eric mise in moto, accese il riscaldamento e un dolce tepore si diffuse nell'abitacolo. Mi levai la sciarpa, appoggiandola
sul sedile, e poi lanciai un'occhiata distratta all'orologio dell'auto.
"Cavolo! E' l'una e mezza!" esclamai, sgranando gli occhi e dandomi
uno schiaffo sulla fronte.
"Quand'era il tuo coprifuoco?" mi chiese, scalando la marcia.
"Veramente i miei non sanno neanche sanno che sono
uscita.." mormorai, voltandomi a
guardarlo.
"Ah, bene! Incoraggiante!" disse, scoppiando a ridere.
Risi anch'io, cercando di non pensarci troppo. "L'importante è che non mi scoprino, tutto qua."osservai.
"Giusto. Allora, mi spieghi dov'è casa tua?"
Dopo varie spiegazioni, finalmente capì dov'era casa mia. Avendo esaurito gli
argomenti a nostra disposizione, calò rapidamente il silenzio.
"Ti va di ascoltare un po’ di musica?" chiese, dopo un po'.
"Certo." risposi.
Accese le stereo. Ammaccò un bottone, cambiando
stazione radiofonica ogni cinque secondi. Sembrava che nessuna canzone lo
soddisfacesse, potevo capirlo perché anch'io avevo dei gusti un po' difficili.
Nel frattempo io tenevo d'occhio la strada, avevo paura che qualche auto
sbucasse fuori all'improvviso e ci finisse addosso;
invece la strada era completamente deserta. Poi si fermò su una canzone che
conoscevo. Love is the drug.
"Stupenda, lasciala qua!" esclamai.
"La conosci?" chiese, guardandomi quasi stupito.
"Certo."
Sorrise, poi tornò a guardare la strada. "Vuoi fare una pazzia?"
"Sì." risposi, sorridendo, senza esitare.
Eric mi guardò, sembrava malizioso. "Ti ho avvertita, eh."
Accelerò bruscamente. Poi tirò giù tutti e due i
finestrini, sia quello accanto a lui che quello accanto a me. Un vento gelido
di avvolse, facendoci morire di freddo e scombinandoci i capelli.
Il conta-chilometri segnava 120.
"Love is the drug,
and I needto score.." cominciò a cantare lui, a
voce altissima, guardandomi e rivolgendomi un sorriso a trentadue denti. Lo
guardai attraverso i capelli che mi andavano davanti al viso. "Showing out, showing
out, hit and run. Boy meets girl where the beat goes on." continuai, ridendo. Continua ad
andare sempre più veloce, come se schizzassimo sull'asfalto. Ma
c'era solo la musica, le parole, e la sua voce bellissima. Mi ammaliava.
Cantammo il ritornello assieme, urlando.
"Love is the drug, got a hook on me..Love is the drug I'm
thinking of, oh, can't you see? Love is the drugfor me."
Qualcosa si sbloccò in me. Mi sentivo libera, capace
di far tutto e di conquistare l'universo. Mi serviva fare una pazzia per
sfogarmi, per liberarmi, per far scivolare via da me tutte quelle sensazioni
orrende che avevo provato in quei mesi. Ero in auto con un ragazzo che era praticamente uno sconosciuto. Andavamo a 150 chilometri
orari, nella città deserta, all'una di notte, cantando a squarciagola una
canzone, con i finestrini abbassati.. e io mi sentivo
benissimo. Io, Adrienne, quella ragazza che andava sempre alla ricerca delle perfezione in ogni cosa, che obbediva sempre a sua
madre, che era così tanto riflessiva da risultare noiosa.
Con una mano mi tenevo i capelli indietro, perché mi davano fastidio davanti al
viso e mi finivano vicino alla bocca. Poi si voltò a guardarmi fisso, tenendo
le mani sul volante, e mi cantò il reso della canzone. "Late, that night, I
park my car. Stoke my place in the singles bar. Face to face, toe to toe, heart
to heart as we hit the floor." Risi di
gusto, mentre la canzone continuava, e io e lui
muovevamo all'unisono la testa, in una sorta di ballo. "I say go, she says yes." continuò. "Dim the lights.."Si avvicinò tantissimo al mio viso. "..you can guess the rest." mi disse.
Rabbrividii, arrossendo e guardandolo negli occhi. Lui mi sorrise.
"Oh oh, can't yousee?
Love, the drugfor me."
La canzone terminò. Eric rallentò, e alzò entrambi i finestrini. Poi ci
guardammo entrambi negli occhi, in silenzio, e scoppiammo a ridere. Mi
appoggiai meglio sul sedile, ridendo con lui. Ero felice, non mi divertivo così tanto e non facevo una risata così da mesi, ormai, non
ricordavo neanche l'ultima volta.
"Se vuoi fare altre pazzie come queste, eh, avvisami!" esclamai,
ridendo ancora.
Rideva anche lui. "Divertente, eh?" disse.
"Decisamente! Non mi sentivo così da mesi." osservai.
"Neanch'io." disse lui, con un sorriso.
Con dispiacere, mi accorsi che eravamo nei pressi di casa mia: Infatti, dopo
cinque minuti si fermò davanti al mio palazzo. "E' qui, giusto?"
chiese. Io annuii e scesi dall'auto.
Tutte le luci delle abitazioni erano spente; c'era solamente la luce arancione
del solito lampione di fronte casa mia. Dava un certo non so
che, la strada immersa nella semi oscurità.Lui fece il giro, e mi venne di fronte. Io
rimasi in piedi a guardarlo, sul marciapiede, con l'auto alle spalle. Eric mi
guardò dalla testa ai piedi, e poi sorrise.
"Se non fossi così piccola, in questo momento ci proverei con te."disse, ridendo.
"Ah, sì?" scoppiai a ridere, guardandolo, "e che faresti?"
"Ti bacerei." rispose.
Risi ancora. "Non ne saresti capace." dissi.
Eric prima si sorprese, poi mi lanciò un'occhiata di
sfida, tra l'arrabbiato e il malizioso. "Sai? Adoro le sfide. E comunque, nessuna ragazza può resistermi." Ricambiai il
suo sguardo. "Anch'io adoro lo sfide."
Continuò a guardarmi in quella maniera, poi fece un sorriso sadico e si
avvicinò a me. "L'hai voluto tu. Mai, e dico mai, provocarmi."
Si avvicinò tantissimo. Era più alto di me, la mia testa gli
sfiorava il mento.
Mi passò un braccio attorno alla vita, e mi attirò a sé. Rabbrividii
immediatamente.
Con una mano mi prese il mento, e mi alzò la testa in alto, in modo che potessi
guardarlo in viso. Si chinò un po', abbassando la testa, e guardandomi negli
occhi.
"Vedi? Faccio così. Prima l'abbraccio e
stabilisco un contatto visivo."
"E poi?" chiesi, con un filo di voce, rossa
in viso. No, no, accidenti, che stavo facendo?
"Poi comincio a carezzarla."disse, non mollandomi un attimo con lo sguardo.
Levò la mano dalla mia vita. Con quella sfiorò il mio collo, e poi mi afferrò
lievemente i capelli, nell'attaccatura dietro la nuca, facendoseli passare fra
le dita. Deglutii, guardandogli gli occhi azzurri.
"Dopo comincio a sussurrarle qualcosa all'orecchio."mormorai, lo vidi deglutire. Mi dominava
completamente.
"Ad esempio?" incalzai.
"Ad esempio.."
Si chinò sul mio orecchio, non lasciandomi, e io chiusi gli occhi.
"Sei davvero bella, ed è un peccato che ci siano tre anni di differenza
fra noi." mi sussurrò con voce suadente.
Rabbrividii ancora. Alzò di nuovo la testa, ritornando come prima e
guardandomi. Non capivo più niente, vedevo solo i suoi occhi e sentivo solo lui
accanto a me, che mi stringeva forte. La mia mente era
svuotata.
"E poi, la bacio."
Mi spinse leggermente indietro, facendomi appoggiare di schiena
all'auto. Mi prese il viso con entrambe le mani, incorniciandomelo, e si chinò
su di me, con la bocca socchiusa e inclinando la testa di lato. Mi sentivo le guance
in fiamme. Avrei dovuto reagire, invece lo presi per i
polsi e mi avvicinai al suo viso, chiudendo gli occhi. Sentivo il suo respiro
caldo sul viso, e il cuore mi batteva all'impazzata: Mi alzai leggermente sulla
punta dei piedi, per arrivare più velocemente alle sue labbra. Il mio mento
sfiorò il suo, e fu un attimo.
Eric mi lasciò andare di scatto, e scoppiò a ridere. Io rimasi ferma e
mezz'aria, con le labbra socchiuse e gli occhi completamente chiusi. Poi mi
resi conto di ciò che era successo, e cercai di riprendermi, riaprendo gli
occhi e fissandolo con aria persa.
Eric era piegato in due dalle risate. Io diventai color
porpora per la vergogna, imbarazzatissima.
"Non sei per niente brava nelle sfide!" disse fra le risate,
guardandomi.
Mi staccai dall'auto, venendogli un po' incontro. "Ma..!"
cercai di dire.
"Niente ma!" disse lui, ridendo, "Mi stavi per baciare! Quindi, ho vinto io!"
Non sapevo come rispondere. In effetti, era vero. Lo stavo per baciare. Se lui non mi avesse lasciato, l'avrei fatto. Ma che cosa diavolo mi era preso?
"Ho vinto la sfida. Ho diritto ad un premio." disse,
sorridendo.
"Ad esempio? Basta che non mi prendi più in giro.."
ribattei.
Lui ridacchiò. "Scusa, dai. E poi è una cosa positiva.
Significa che non sono tanto male, se volevi baciarmi. Non pensavo di avere
tutto questo..savoir-faire!"
Arrossii, e cercai di ignorarlo. Lui continuò a guardarmi,
con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra.
"Posso ricevere il mio premio?" chiese.
"Spara."
"Un'altra serata come questa, ti prego. Non mi sono mai sentito
così bene." disse.
"Oh, pensavo peggio." dissi, ridendo.
"Ci sto. Mi sono divertita molto anch'io, sono stata bene. Grazie di
tutto."sorrisi.
"Macché, grazie a te." ribatté,
sempre col sorriso sulle labbra. Si avvicinò di nuovo. Mi scostò i capelli dal
viso, e mi baciò lievemente sulla guancia. "Buonanotte, Adrienne."
"B-buonanotte.."
Mi allontanai, prendendo le chiavi dalla borsa e avvicinandomi al vialetto.
Infilai velocemente la chiave nella toppa, e poi mi voltai a guardarlo. Era già
salito in auto e aveva chiuso lo sportello. Lo salutai con la mano, e lui mi
ricambiò, sorridendo. Aspettò che aprissi la porta ed entrassi dentro casa, e
poi partì.
Non appena fui da sola, dentro casa, al buio, una grande
confusione s'impadronì della mia testa. Cosa stavo combinando? Mi appoggiai alla porta, e
lentamente scivolai lungo essa, e finii seduta sul pavimento. Mi levai la borsa
e l'appoggiai al mio fianco. Mi presi la testa fra le mani, mordendomi il
labbro inferiore. L'avevo quasi baciato, mi ero divertita un mondo, avevo fatto
bene a fidarmi di lui. Pensai nuovamente a quando mi
aveva stretto a sé, e alle cose che mi aveva detto, e sentii il cuore andarmi
di nuovo all'impazzata, come se schizzasse fuori dal petto.
Non era possibile che mi piacesse Eric, non poteva succedere, non a me. ..Alex, dove sei..?
Il lunedì successivo fu terribile. Ritornai di cattivo umore, e a scuola non riuscivo più a
concentrarmi. Nella mia mente si susseguirono varie immagini di
Eric che stava per baciarmi, e delle immagini che stranamente non
riuscii a comprendere: una folla di ragazzi, luci psichedeliche, e dei ragazzi
con delle magliette nere tutte uguali. Forse avevo delle
allucinazioni, forse ero impazzita. O forse, ero solamente confusa. Avevo il cuore diviso
in due, letteralmente. Cercai di analizzare la situazione, facendo mente
locale.
Eric era carino - beh, bello -, simpatico, intelligente, originale. Era un mio amico anche se lo conoscevo da poco, lo vedevo tutti i
giorni, e.. forse, avevo una remota possibilità di piacergli. Lui, invece, era carino - beh, anche lui era bello, tremendamente -,
simpatico, intelligente, diverso. Era il mio migliore amico e lo conoscevo da
due anni ormai. Ma eravamo come sconosciuti, adesso,
non ci parlavamo più, e per di più lui era fidanzato e io non gli piacevo per
niente. Forse non contavo niente per lui. Da come si era comportato, avrebbe
potuto essere così.
Mi tormentai, e temetti di perdere la testa. Però, cominciavo a pensare ad Eric
molto più spesso. Era una specie di droga. Non
vedevo l'ora di rivederlo, di sentire la sua voce, di rivedere i suoi occhi azzurri. Mi chiedevo cosa facesse, dove si
trovasse. Mi riempiva la mente, mi impediva di pensare
o di concentrarmi su altro. Tutto ciò non era un bene. Era follia, la follia più pura e assurda. Niente era come avrebbe dovuto
essere. Io amavo lui, perché avrebbe dovuto
piacermi un altro ragazzo? ..Ma ero ancora sicura di
amarlo? Lo dicevo solo per auto-convincermi, ma quella che era stata la mia
certezza per mesi cominciò a vacillare bruscamente. Non potevo
fuggire, era solamente il mio cuore. L'avrei seguito, e mi avrebbe
condotto dalla parte giusta. O almeno, lo speravo.
Verso l'una uscii da scuola. Avevo mal di testa, non
avevo voglia di fare niente, di lavorare, quel pomeriggio. Ma
pur di rivedere Eric, l'avrei fatto. Mi sistemai lo zaino sulle spalle, e scesi
rapidamente i gradini di marmo. C'erano un sacco di ragazzi
attorno a me, cercai di farmi spazio, velocemente. M'aggiustai meglio il
ciuffo di capelli che tenevo davanti al viso. Quel giorno avevo i capelli raccolti
in una treccia, e fu un bene perché nonostante fosse una giornata di inizio febbraio, il sole era caldo. Deglutii, e uscii da
scuola per avviarmi a casa, di tutta fretta. Dovevo pranzare velocemente, per
avere più tempo per eseguire i compiti, che quel giorno erano veramente tanti. Quando già cominciavo a disperarmi, sentii urlare il mio
nome, alle mie spalle.
"Adrienne! Ehi, Adrienne!" Mi fermai, e poi mi voltai, molto
lentamente.
Eric correva verso di me, il suo solito sorriso sulle labbra. Non appena lo
vidi, il mio stomaco spiccò in un triplo salto mortale e il cuore schizzò verso
la gola. Mi arrivò ad un metro di distanza e poi si fermò. Aveva
il fiatone, ansimava. Mi fece cenno di aspettare un attimo con la mano,
e si appoggiò le mani alle gambe, piegandosi un po' e
respirando profondamente. Io risi, e lui fece una smorfia a metà tra un sorriso
e un ghigno. Dopo un po' si rialzò, schiarendosi la voce. Lo guardai. Portava
una maglietta grigia e maniche lunghe, un jeans scuro
piuttosto a vita bassa e ai piedi aveva un paio di All
Star nere.. proprio come le mie.
M'impressionai per quanto il suo modo di vestire fosse
simile a quello di un'altra persona che conoscevo bene.
S'avvicinò, sorridendo. "Ciao." disse.
"Che ci fai qui?" chiesi, sorridendo.
Lui rise. "Avresti dovuto dire: 'Sono contenta
di vederti!'" disse. Scoppiai a ridere, e il mio battito cardiaco
accelerò. Lui sorrise. Notai che aveva uno zaino alle spalle, e lo prese. Lo
aprì, ci rovistò dentro e poi ne uscì la mia sciarpa di lana colorata,
accuratamente piegata.
"Tieni, l'hai dimenticata l'altra sera, in
auto." disse. Sorrisi, raggiante. "Oh, grazie mille! Pensavo di averla lasciata chissà dove!" La presi, stringendola
fra le mani. C'era troppo caldo per indossarla, così
la infilai nello zaino, fra i libri.
"Di niente." rispose.
Poi ci pensai un attimo su. "Scusa, ma non potevi darmela oggi
pomeriggio?" chiesi, con aria curiosa, guardandolo.
Sorrise timidamente, e mi parve di vederlo arrossire. "Lo confesso, avevo
voglia di vederti."
Arrossi furiosamente. "Oh, beh.. Come facevi a
sapere che studio qua?" chiesi.
"Mi sono informato." sorrise. Rimasi in silenzio, sorridendo e
guardandolo.
"Beh, potrei portarti fuori a pranzo?" chiese, facendo finta di
nulla, "Meno male che il lunedì mattina il locale è chiuso, eh."
Continuai ad arrossire. Mi stava invitando a pranzo fuori. Mi sentii la gola molto secca. "Mi aspettano a casa, Eric.." dissi con un filo di voce,
amareggiata. Eric si morse le labbra. "Non hai neanche il tempo per una
passeggiata?"
Sospirai. Presi il cellulare dalla tasca, e controllai l'orario. Avrei dovuto
essere a casa per le due, ed erano l'una e un quarto.
"Per quella sì. Devo essere a casa per le due." risposi,
con un sorriso. La sua espressione preoccupata fece spazio ad
un sorriso raggiante.
"Perfetto. Vieni con me."
Mi raggiunse, al mio fianco. Camminammo assieme, parlando allegramente
come al solito. Ci dirigevamo verso le vie del centro.
I negozi erano chiusi e la strada era quasi vuota, perché era ora di pranzo, ma
a me non importava assolutamente di nient'altro. Senza accorgermene, ci sedemmo
in una panchina di ferro, all'ombra di un piccolo albero. Parlavamo, solo
questo, e io mi perdevo nelle sue frasi, in ciò che diceva, e nei suoi occhi.
Ero felice, tutte le preoccupazioni che avevo erano svanite.
"Lo sai? Non mi hai ancora detto perché
lavori." disse all'improvviso.
Lo guardai. Eravamo vicinissimi, i nostri corpi si sfioravano.
Eravamo lontani di qualche centimetro. "Tu perché lo fai?"
"Vivo da solo in un appartamento. Mi servono dei soldi per pagare
l'affitto, l'acqua, la luce, e per le tasse dell'università."mi rispose, con tono serio. Annuii. Mi sentii un
verme. Il motivo per cui lavoravo io mi sembrava una
sciocchezza, in confronto. Arrossii, e lui mi guardò. "E tu?"
"Oh, ecco.." balbettai. Lui ridacchiò per la
mia reazione. "Non può essere peggio del mio."
Lo guardai anch'io. "Lavoro per comprarmi una chitarra."
confessai.
Lui sorrise. "Be', che c'è di male? Sei anche
una musicista, e non me l'hai detto." Scossi piano la testa. "No, non so suonare. Devo
fare un corso per imparare, e mi serve uno strumento per poter iscrivermi."spiegai.
"Ah!" disse lui, fece una pausa. "Io so strimpellarla. Un giorno
posso darti qualche lezione, che dici?"
M'illuminai. "E' una bellissima idea!
Grazie."
Sorrise ancora, e calò il silenzio. Lo vidi giocherellare con uno strappo che
aveva sul jeans. Poi si alzò di scatto.
"Vieni, ti faccio vedere una cosa."disse, voltandosi verso di me.
"Che cosa?" chiesi, rimanendo sulla panchina e guardandolo.
"Vedrai." sorrise, e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi. Io
alzai le spalle, e poi la presi. Quando fui in piedi, però, non la lasciò più.
Camminavamo tenendoci per mano. Lui la stringeva forte, sembrava che non
volesse lasciarla per niente al mondo. Non mi diede fastidio, la sua mano non era sudata o cose de genere; però mi chiesi se due amici
potessero andare in giro tenendosi per mano, come se stessero assieme. La cosa
mi fece arrossire ed emozionare terribilmente, ma non lasciai la sua mano
neanche io. Poi si fermò di scatto davanti ad una vetrina. Mi fermai anch'io,
alzando lo sguardo. L'insegna era una gigantesca croma nera. E poi riabbassai lo sguardo.
Era un negozio di musica. Vendeva vari CD e.. strumenti musicali. Le pareti
erano tappezzate di chitarre di tutti i generi e colori, così come i bassi. Al
fondo del negozio stava anche una batteria. Deglutii, avvicinandomi meglio alla
vetrina e guardando. Gli lasciai la mano, ero
incantata.
"Woah." esclamai. Individuai una chitarra
classica di legno chiaro tra le tante.
Lui rise, e si avvicinò a me. "Se vuoi, quando avrai i soldi necessari, potrei accompagnarti qua. Ci vado sempre." Guardai il
suo riflesso sulla vetrina, vidi che mi guardava. "Certo, mi andrebbe
tantissimo. Adoro già questo negozio." risposi.
Scoppiammo entrambi a ridere. Con difficoltà, mi levai dalla vetrina, e lo
guardai. "Devo ritornare a casa, però, adesso."dissi, ritornando seria.
Lui annuì. "Sì, certo, ti accompagno." Mi prese di nuovo la mano. E così, ci avviammo verso casa mia.
Non mi lamentai. Tutto ciò era piacevole, ma continuavo a chiedermi se fosse
giusto o sbagliato.
In silenzio, arrivammo di nuovo davanti al mio palazzo. Ci voltammo entrambi,
trovandoci uno di fronte all'altra. Sorrise, mi guardò dritto negli occhi.
Intrecciò le sue dita con le mie, stringendomi forte la mano; poi se la portò
alle labbra e la baciò delicatamente.
"Non vedo l'ora di rivederti." mormorò.
Tremai di piacere, e arrossii, sentendomi svenire. "Mi fai venire i
brividi.." dissi d'istinto,
senza pensarci, e me ne pentii amaramente
Lui rise piano, e mi lasciò andare. "E' un buon segno." Avevo le guance in fiamme, me lo sentivo. Non riuscivo
a dire più niente d'intelligente, e mi tormentai le labbra e le mani. "Ci
vediamo più tardi, allora." disse. "Certo. A
più tardi. Buon pranzo.", "Anche a te."
Riattraversò il vialetto. Si voltò un attimo, mi sorrise, e se ne andò.
Si, era chiaro. Avevo perso la testa. Per lui, però. E non sapevo se odiarmi per questo.
***
Il rapporto tra me ed Eric diventò stretto ed intimo in pochissimo tempo.
Veniva a prendermi a scuola ogni giorno, dato che era riuscito a farsi
strappare un permesso di mezz'ora da Rosa. Parlavamo,
bevevamo qualcosa, mi riaccompagnava a casa, per poi tornare al locale.
I primi giorni che succedeva gli chiedevo sempre perché lo facesse: lui
rispondeva sempre che voleva stare con me per più tempo possibile. Poi, però,
smisi: era piacevole, ed era diventato un deliziosa abitudine.
Mi sembrava di conoscerlo da sempre, e conoscevo ogni minimo particolare della
sua vita, e lui della mia..più o meno. Non gli
avevo più raccontato del ragazzo che mi piaceva, ma del resto neanche lui aveva
più toccato l'argomento.
Le altre cose o persone mi scivolavano addosso, ancora una volta. Al centro della
mia testa c'era solo lui, Eric. Era l'unico pensiero che mi soffocava e mi
faceva vivere, mi avvelenava e mi faceva
risorgere.Ed
ero felice, più che mai. Ripresi a mangiare di più, ad avere un colorito più
sano. Studiavo, lavoravo senza sosta, non avevo quasi un minuto per guardare la
tv o leggere; quando la sera ritornavo a casa ero troppo stanca e dopo una
doccia filavo subito a letto. I miei genitori lo
notavano, ma non mi chiesero niente. Erano ancora freddi con me, ma il mio
comportamento con loro non cambiò assolutamente. Mio fratello era felice per
me, lui invece notò il mio cambiamento. Certe volte gli parlai di Eric, omettendo tanti particolari ovviamente, e forse
aveva inteso qualcosa.
Eric continuava a ripetermi quanto fossi bella e
quando fossi speciale per lui, ma non mi disse mai che gli piacevo. Questo mi
faceva impazzire, poiché a me piaceva, e tanto, e avevo bisogno di
saperlo. Anche se naturalmente, da parte sua, non mancavano alcune battute allusive o cose del genere. Era sempre così carino con me, e quindi pensavo di piacergli. Ma avevo
imparato a fidarmi poco dei ragazzi, e quindi aspettavo che me lo dicesse.. o me lo dimostrasse con qualcosa. Ma
i giorni passavano, il nostro rapporto - e lui - passarono in cima alle mie
priorità, e non succedeva niente. Mi chiesi seriamente se dovessi essere io a
fare la prima mossa, ma forse era meglio aspettare. Già, ma quanto avrei dovuto
aspettare? Una settimana, un mese? Il tempo necessario in modo che incontrasse
un'altra ragazza e s'invaghisse di lei?
L'ultima volta avevo già sbagliato, e non potevo più
permettere che succedesse un'altra volta. Non potevo più permettermi di
soffrire ancora per un ragazzo. Egoisticamente, lo facevo per me. Però, ero ancora piuttosto confusa. Eric mi piaceva, e
lui sembrava solamente un ricordo lontano. Ma allora perché mi sentivo
quella familiare stretta allo stomaco se lo vedevo a
scuola, se era con Melissa? Perché era come se mi sentissi in colpa quando stavo con Eric, quando lui mi teneva per mano?
Era come se mentissi, ingannassi - o tutte e due le cose assieme - a me stessa,
in qualsiasi maniera.
Non sapevo chi mi piacesse di più, di chi avevo più
bisogno: spesso dipendeva dalle situazioni o con chi mi trovavo, e mi
disprezzavo profondamente per questo. Avevo il piede in due
staffe. Pregai il mio cuore, affinché si decidesse di condurmi sulla via
giusta.
Dipendeva tutto da lui, sì, dal mio cuore. E non sapevo neanche se poi mi sarei
rassegnata ad esso, se avessi concordato con la sua
scelta, o mi fossi ribellata. Tutto era possibile, ma tutto era relativo.
eccomi qui a commentare! ci sono 35 persone che hanno
questa storia nei preferiti.. io VOGLIO più commenti xD
vi prego! willun10: ehilà! Grazie per
aver commentato. Come vedi ho già continuato a postare i capitoli.. per sapere di più su Eric.. continua a seguirmi =P Nanako: eccomi qua invece! La Geografia è pressoché inutile, credimi.. meno male che io l’ho abbandonata dopo il secondo anno xD aspetto un commento più lungo! Oasis: è vero, forse Adrienne ha proprio bisogno di godersi la vita. e concordo per il carpe diem. I latini
la sapevano lunga.. giulietta_cullen: mi piacciono i commenti lunghi. Che dire.. sono onoratissima del fatto che la mia storia ti abbia
fatto emozionare così tanto, addirittura piangere! Grazie mille davvero, non
saprei come ringraziarmi. Come vedi ho già postato.. spero
che continuerai a seguirmi e a commentarmi.. chissà se magari riuscirò a farti
cambiare idea, lol. alla prossima gente (:
Era un giorno freddo, forse uno
dei più freddi di quel periodo. L’ultimo giorno di caldo non aveva anticipato
la primavera come dicevano le previsioni meteorologiche in televisione; anzi:
L’inverno sembrava prolungarsi sempre di più. Magari la primavera sarebbe
saltata, come invece dicevano altre previsioni: saremmo passati dall’inverno
all’estate direttamente, senza mezze stagioni.
Meno male che avevo la mia sciarpa di lana, mi aveva salvato dall’assideramento
un paio di volte. Per le mani, non era un problema: le avevo sempre
terribilmente calde.
Quel giorno, però, non rientrava tra la mia lista dei preferiti. Era il 14
febbraio, giorno riconosciuto nella maggior parte dei paesi del mondo come San
Valentino, la festa degli Innamorati. Odiavo profondamente quella festa, con tutto il cuore.
Perché dovevano commercializzare anche l'amore? E poi, perché solo quel giorno? Gli innamorati erano
liberissimi di scambiarsi cioccolatini e regali ogni santo
giorno. Certo, forse se io avessi avuto qualcuno con cui condividere questo giorno l'avrei pensata un po' diversamente; ma era difficile
farmi cambiare idea su qualcosa. Ero terribilmente testarda,
questo era risaputo.
Tra l'altro, quell'anno San Valentino cadeva di sabato. Rosa ci aveva ordinato
di venire al locale una mezz'oretta prima, per poter addobbare il locale per la
festività. Immaginavo già che il locale si sarebbe riempito di coppiette
che festeggiavano, e la cosa mi diede subito il voltastomaco. In poche parole,
volevo che quella giornata finisse il più presto possibile.
Verso le cinque e mezza, arrivai al locale. Quando
entrai, un dolce calore mi avvolse e respirai di sollievo. Mentre
mi levavo la sciarpa e il giubbotto, Rosa mi sorrise, passandomi davanti.
Una cosa buona, in tutto quello, c'era ancora: era la mia seconda settimana di
lavoro, il che significava un secondo stipendio. E, a
sua volta, significava che avrei potuto finalmente acquistare una chitarra.
Avevo riflettuto molto sulla mia decisione di licenziarmi non appena avessi ottenuto i soldi necessari, ma alla fine decisi di
no.Sperai solo che non intralciasse i
miei impegni col corso pomeridiano di chitarra, quando mi sarei iscritta.
Lavorare lì mi piaceva e c'era Eric. Il lavoro era anche una scusa per passare
sei ore accanto a lui.
In fondo al mio cuore, il mio animo maledettamente
romantico aveva preso il sopravvento. Era San Valentino, il giorno degli
innamorati: magari Eric avrebbe finalmente deciso di fare il primo passo.
Tra l'altro era un sollievo stare per qualche ora lì. A scuola la situazione
era diventata insostenibile, almeno per me. Temetti di impazzire
quandolui si presentò con un mazzo infinito di rose rosse per la
sua ragazza. Cercai di soffocare tutto all'instante, ma sapevo bene quel che
avevo provato in quegli attimi. Gelosia, frustrazione,
tristezza. In quel modo continuavo a mentire a me stessa, ma era più forte di
me. Sperai di non continuare a peggiorare, ed arrivare a mentire anche agli
altri. Era come se dentro di me ci fosse un’altra io, che
però non la pensava come me e oscurava le mie vere sensazioni, emozioni,
pensieri. Non riuscivo a reagire, semplicemente mi rassegnavo alla realtà,
accettando le cose così come erano.
Deglutii. Ero rimasta impalata davanti la porta del locale, con la sciarpa e il
giubbotto fra le mani e la borsa a tracolla che mi spezzava la spalla. Scossi
la testa per risvegliarmi, e andai verso gli spogliatoi per posare le mie cose.
Indossavo già la maglietta del locale, e sotto avevo una maglietta bianca a
maniche lunghe. La maggior parte dei miei colleghi mi aveva imitato, indossando
sotto la maglietta nera diverse maglie colorate.
Dopo di che uscii e salutai Rosa; poi Simona, una collega alla quale mi ero affezionata parecchio. Era bionda, con dei capelli
lunghi e mossi, due grandi occhi color cioccolato e un paio d'occhiali neri con
la montatura quadrata. Aveva diciott'anni, era simpatica e mi aveva aiutato quando mi assegnarono
una ricerca sui miti greci. Era fermamente convinta che io ed Eric non eravamo fatti per stare assieme. Lei era l'unica a sapere
che mi piaceva. Dopo averla salutata, mi guardai attorno, ispezionando il
locale.
"No, lui non c'è."mi
sussurrò Simona all'orecchio, con un ghigno antipatico.
Io sbuffai. "Chi ti dice che io stia guardando
per vedere se c'è?"
Alzò le spalle e continuò a fare quel ghigno. "Stai dicendo tutto tu, mi
pare."
Le feci una linguaccia e Simona si dileguò lontano, dicendo
che una voce - immaginaria, suppongo - l'aveva chiamata. Mi voltai, e vidi Eric
entrare. Aveva le guance rosse e il giubbotto tutto chiuso. Evidentemente fuori
c'era ancora freddo. Non appena entrò sospirò di sollievo, come me. I
riscaldamenti quasi al massimo facevano miracoli, sì.
Sì allontanò dalla porta e individuando il mio sguardo sorrise, raggiungendomi.
"Ciao, Adrienne."disse,
rivolgendomi il suo sorriso e vendendo accanto a me.
"Ehi. Fa freddo, eh?" chiesi, sorridendo.
Lui fece un ghigno. "Tu dici?" Si tolse il giubbotto. "Per
fortuna qui si sta bene. Vado a posare questo e vengo.", "Okay." risposi.
Sotto la maglietta nera portava una maglia a maniche lunghe celeste. Si
allontanò, e nel frattempo Simona mi passò davanti facendomi una linguaccia.
Passarono cinque minuti, ed Eric tornò da me.
"Hm, Adrienne. Ascolta." disse,
avvicinandosi e assumendo un'espressione seria.
"Sì? Dimmi." dissi, incuriosita. Lui
giocherellò nervosamente con le mani, guardandomi. Arrossì
pochissimo.
"Ti ricordi la sfida? Che, tra l'altro, ho
gloriosamente vinto?" chiese.
Sentii le guance diventarmi incandescenti. Come avrei potuto dimenticarlo?
"Sì, mi ricordo."
"Ti avevo chiesto una serata come quella."
Fece una pausa. "Mi chiedevo se.."
"Ehi, voi due! Sempre a parlare! Al lavoro!" Rosa si mise in mezzo,
quasi urlando. Ci mise tra le braccia dei festoni rosa e rossi, con dei grandi
cuori pieni di brillantini; orinandoci di appenderli. Eric rise di gusto alla
vista di quei cosi, come li definì. Prendemmo delle scale d'acciaio dal
ripostiglio, per poter appendere le decorazioni al soffitto. Tutto lo staff del
locale venne impegnato nell'abbellimento del locale
per dei buoni tre quarti d'ora. Alla fine, era così
sgargiante, brillantinato e romantico che perfino un
ceco col cuore di ghiaccio l'avrebbe notato.
Ammirai il lavoro, allontanandomi un po' dai tavoli, col naso all'insù e
appoggiandomi le mani sui fianchi.
"Non ti sembra un po'.. come dire?" sussurrò
Eric, scivolando al mio fianco. Lo guardai con la coda dell'occhio. "..esagerato?" conclusi. "Beh, sì, forse un po'.
Tutta quest’agitazione per S.Valentino.." osservò.
Annuii, e smisi di guardare. Poi lui si girò verso di me, e io feci lo stesso.
"..senti, riguardo quel che stavo dicendo
prima.."
Deglutii. Eric mi prese una mano, stringendola fra le sue. "D-dimmi.." La strinse più forte.
"Stasera vuoi uscire con me?" Spalancai la bocca e lo guardai. "Cosa?"
Lui rise e mi carezzò la mano con il pollice. "Hai capito bene."
Arrossii. "Sì sì, certo."risposi, forse con un po' troppo entusiasmo, e mi
rimproverai per questo.
Mi lasciò la mano e mi sorrise a trentadue denti. "Magnifico."
"Dove andiamo?" chiesi, sorridendo anch'io, sentendomi ancora
terribilmente rossa.
Lui rise. "Non lo so. Facciamo un giro, e vediamo. Come minimo tornerai a
casa verso le tre."
"Non importa."
Ci guardammo e ci sorridemmo entrambi. Il pensiero che poi avrei
passato alcune ore da sola con Eric - il giorno di S.Valentino
- mi rendeva felice: forse era la volta buona. Parlammo ancora un po', poi
fummo costretti a dividerci perché i primi clienti entrarono. Verso le otto i
posti a sedere erano quasi esauriti. Il locale era pieno, c'era confusione, e
per tutta la sala era sparso un allegro
chiacchiericcio. Quando incrociavo Eric, mi toccava i
capelli o mi sfiorava il braccio, ridendo. Sembrava davvero che si divertisse a
vedermi in imbarazzo per qualcosa che lui mi faceva. Naturalmente la maggior
parte dei clienti erano delle coppiette: ma ero troppo occupata nel mio lavoro
per dare di stomaco. I cuochi sfornavano pizze a forma di cuore, solo per quel
giorno. La trovai una cosa carina, ma Eric scoppiò a
ridere come un matto.
"Sì, dai, magari ce ne facciamo fare una e poi ce la mangiamo in macchina." scherzò. Comunque non ebbi neanche un attimo di respiro, fui
occupata per tutta la serata. Verso le undici mi fermai un attimo. Mi avvicinai
al bancone, notai Eric e Rosa che parlavano. Rosa si voltò a guardarmi, quando
m'avvicinai.
"Sei stanca, Adrienne? Hai un'aria distrutta."
chiese.
Alzai le spalle. "No, non.." e buttai un'occhiata alla sala.
Spalancai la bocca, alquanto sconvolta, guardando verso la porta dove i clienti
uscivano ed entravano. Una coppia in particolare attirò la mia attenzione. Lui,
vestito con un jeans e una maglietta scura, i capelli
sugli occhi, una mano sprofondata nella tasca; e l'altra a tenere quella della
ragazza che gli stava accanto. Lei, biondissima, con un
vestito grigio che le arrivava alle ginocchia, nonostante il freddo pungente.
I capelli raccolti elegantemente in una specie di chignon, il
sorriso sicuro. Non loro, non lì, non adesso.
Mi pietrificai all'instante, con un'espressione di puro orrore sul volto.
"Adrienne..?" chiese Rosa, appoggiandomi una
mano sulla spalla. Sembrava preoccupata. E anch'io lo
ero, molto. Era come se il mio peggior nemico avesse invaso il mio territorio
che finora era stata una terra proibita; e che dovessi
arrendermi e guardare la mia distruzione, impassibile. Deglutii e mi voltai
verso Rosa. "Non.. non mi sento tanto
bene.." mormorai.
Poi guardai Eric. Nel frattempo aveva cambiato posizione. Era appoggiato al
muro, con le braccia saldamente strette al petto, e guardava verso loro
con uno sguardo truce, come se li scrutasse. Era immobile. Pensai con terrore
che avesse intuito qualcosa solamente dal mio comportamento; del resto non era
la prima volta che lo faceva. Cominciavo a sudare, adesso i riscaldamenti
accesi mi davano terribilmente fastidio; mi sembrava che il tessuto della
maglietta s'appiccicasse continuamente alla pelle.
"Sei piuttosto pallida, infatti."osservò Rosa, guardandomi intensamente. Poi si voltò verso Eric.
"Vai a servire, Eric. Per adesso Adrienne non può." gli ordinò. Ero tesa come una corda di violino, e rimasi in
silenzio, aspettando una sua risposta.
"Rosa, non posso. Aspetto le pizze di altri quattro tavoli." ribatté
Eric, levandosi dal muro e guardandola. Mi sembrava che evitasse accuratamente
il mio sguardo. Poi Rosa tornò a guardarmi. "Adrienne, puoi farlo tu? Un
tavolo solo, e poi ti mando subito a casa.." Eric
mi guardò, io fissai Rosa. Non volevo, non ero in
grado di sopportarlo.
"D'accordo.." dissi invece, sentendomi
debole e distrutta. Rosa mi sorrise. Mi armai di block-notes e penna per le
ordinazioni e sfrecciando davanti a Eric, mi buttai
nuovamente nella mischia. C'erano due coppie da servire. Mi buttai a capofitto
in quella che non conoscevo: ma Marie, una mia
collega di origini Francesi, mi disse che doveva
prendere lei le ordinazioni.
Mi rassegnai al mio destino.
Camminando lentamente, mi diressi verso il tavolo dove lui e la sua
ragazza si erano seduti. Mi avvicinai, e aprii il block-notes
davanti al viso, con la penna in mano. Fissai i quadratini grigi del foglietto,
costringendomi a non guardarli in faccia.
"Buonasera," dissi, con il tono più
tranquillo che potessi simulare, "..avete già deciso che cosa
ordinare?"
Con la coda dell'occhio notai Melissa che spulciava il menù, il quale era stato
già precedentemente consegnato al loro tavolo.
"Sì." rispose quella familiare - e fantastica - voce bassa,
che naturalmente apparteneva a lui. Non potevo vederlo a causa - o grazie? - del block-notes che tenevo di proposito davanti al viso.
Dopo essersi brevemente consultato con Melissa, mi disse ciò che volevano
mangiare. Io scrissi tutto, forse calcando un po' troppo la penna sul
foglietto. Dopo di che, tenendo lo guardo un po' troppo basso, posai il
block-notes e la penna nella tasca dei jeans. Rialzai
lo sguardo sulla tavola per riprendermi i menù - ma
solo in quel momento notai che lui li aveva presi e me li stava
porgendo, sorridendomi cordialmente. Il suo sorriso, così pieno di calore, solare,
rassicurante, mi fece battere forte il cuore. Arrossii furiosamente, e
bofonchiai un grazie. Presi i
menù con una mano e per un attimo il mio sguardo incrociò il suo.
Sorrise ancora, e io diventai color pomodoro. Ritornai verso il bancone, dando
loro le spalle e stringendomi i menù al petto. Emanavo calore dal viso e mi
sentivo le gambe tremare. Rosa era sparita, stessa cosa per Eric. Dopo aver
dato le ordinazioni ai cuochi, ritornai al bancone. Mi sedetti su uno sgabello,
appoggiando il gomito sul tavolo e una mano sulla fronte; le tempie sembravano
pulsarmi. Possibile che mi facesse quest'effetto a dir poco devastante? Mi
sentii un'idiota, con una grande voglia di prendermi a
pugni. Dovevo stare tranquilla, solo questo. Mi imposi
un respiro regolare, socchiudendo un po' gli occhi, ma la confusione di quel
sabato sera mi faceva intorpidire ancora di più. Avevo bisogno di uscire e di
prendere un po' d' aria fresca.
Riaprii di nuovo gli occhi, la gente si materializzò davanti a me. Nonostante
sapessi che mi facesse male, e che non avrei dovuto farlo, il mio sguardo vagò
velocemente sulla sala, per poi fermarsi a quel tavolo lì. Li osservavo,
ma soprattutto guardavo lui. Si aggiustava freneticamente i capelli con
una mano, provocandomi dei brividi sulla schiena; e tamburellava le dita sul
tavolo. Melissa parlava, ma lui sembrava non ascoltarla. Si guardava
attorno, incuriosito, studiando il locale e guardando la gente. Melissa ad un
certo punto sembrò richiamarlo alla sua attenzione, e lui si voltò di
scatto, inumidendosi le labbra con la lingua. Lei sembrò arrabbiarsi, perché
cominciò a parlargli addosso, con le sopracciglia alzate e la fronte un po'
corrugata. Luiascoltò, poi ribatté qualcosa,
sbuffando. C'erano problemi in paradiso? Una parte di me sembrò gioire di
fronte a quella scena, ma poi si sentì immediatamente in colpa. Sarei stata
contenta se si fossero lasciati?
Molto
probabilmente sì. Mentre riflettevo e cercavo di
spostare la mia attenzione altrove, Eric arrivò alle mie spalle.
"Adrienne?" chiese, avvicinandosi. Mise entrambe le mani sulle mie
spalle, e mi sussurrò in un orecchio. "Stai bene?"
Cercai di annuire, di fare qualcosa, ma i miei sensi erano come bloccati e
intorpiditi. No, non stavo per niente bene, mi sentivo morire. Melissa si
allungò sul tavolo e prese il suo viso fra le mani, e lo baciò
leggermente sulle labbra. Lui non si mosse, e rimase pietrificato con gli occhi
spalancati.Melissa lo baciò ancora, di
più.
Lui chiuse gli occhi e si lasciò baciare, non muovendo un solo muscolo e
sospirando. Cominciai a sentirmi male, quella scena era
troppo per me. Forse stavo svenendo, forse avevo perso conoscenza,
perché mi ritrovai le braccia di Eric attorno alla vita, che mi abbracciava da
dietro, come per sorreggermi.
"Eric.." sussurrai, appoggiando la testa sul suo petto. Lo vidi
deglutire e guardarmi. Era serissimo.
"Vieni, usciamo da qui." disse.
ed ecco postato anche questo capitolo.. le cose
cominciano a farsi interessanti.
passiamo ai ringraziamenti.. devo proprio ringraziarvi per il 45 preferiti - vi
adoro - e per tutte le recensioni che ora passo a commentare. giulietta_cullen: hmm! forse potresti
anche avere ragione, chi lo sa? sicuramente, adrienne
è molto confusa e non sa bene quel che vuole. il
capitolo appena postato lo dimostra. ma alex? continua a seguirmi :P grazie per il commento, davvero! Nanako: spero che i compiti non ti riempiano troppo, questa settimana! purtroppo penso che se arrivi in farmacia e chiedi: “un
eric, per favore”.. non funziona xD mi fa piacere che
ti piaccia eric.. di solito è alex il più quotato! XD ahah.
spero che al tuo ritorno mi lascerai un commentane! grazie! Gingerly: salve, una nuova commentatrice! davvero la stai facendo leggere a tutte le tue amiche? o.o mi sento onorata! per il resto, chissà se adrienne ed alex potranno stare
assieme.. continua a seguirmi e grazie per i complimenti *_* Cry90: anche tu nuova lettrice e commentatrice! mi
fa sempre piacere e – si sa – adoro i commenti lunghi. mi
fa anche piacere che la mia storia ti sia piaciuta così tanto (: io adesso non
posso dirti se i tuoi desideri verranno avverati.. ma posso dirti di continuare
a leggermi perché solo così lo saprai xD ma comunque
penso tu abbia ragione. è sempre doloroso quando ci si
allontana da qualcuno che si vuole bene, no? ti
ringrazio infinitamente per tutto! *_* Troue_xxx: nuova lettrice! grazie
mille per il commento ed i complimenti.. è vero che la speranza è l’ultima a
morire.. ma chi visse di speranza morì disperato! lol!
a presto :P Oasis: chi lo sa o.o a presto, continua a
seguirmi (: S chan: non so se mai leggerai qui, hai
commentato fino al quarto capitolo.. che dire, mi dispiace che il mio romanzo
ti abbia fatto sentire così. non so, forse dovrebbe
essere una sensazione positiva perché almeno adesso so che riesco ad emozionare
la gente, ma far sentire “male” delle persone per quello che scrivo non è
esattamente una sensazione.. come dire? piacevole. mi
sento vagamente in colpa. non negherò, però, che il
tuo commento mi ha colpito.. mi piacerebbe che provassi a leggere tutta la
storia, ma naturalmente non chiederei mai tanto. solo,
grazie per averci almeno provato e per i complimenti. non
so se mi merito così tanto. al prossimo capitolo, gente.. siamo quasi alla fine. mancano
cinque capitoli e l’epilogo.
a presto!
Dopo dieci minuti all'incirca mi ritrovai dentro la Lancia Ypsilon nera
di Eric. Sfrecciavamo sulla strada, veloci e sicuri. Ogni semaforo diventava
verde al nostro passaggio, sembrava quasi una specie di magia. Avevo la testa
appoggiata ad un lato del sedile, e guardavo fuori, con il viso rivolto al
finestrino. Mi sentivo scoraggiata, debole, e sentivo di avere le lacrime agli
occhi. Richiamai tutte le forze che mi erano rimaste per non piangere,
sentendomi una vera schifezza. Non potevo ingannare le persone - e neanche me
stessa. Ero confusa, non sapevo quel che provavo. Quando ero con Eric ero
felice con lui, quando ero con lui ero triste, ma desideravo
terribilmente averlo di nuovo al mio fianco. E quando entrambi erano nello
stesso posto, non sapevo più quel che desideravo, e le mie certezze svanivano
all’improvviso. Era possibile amare due persone, contemporaneamente?Per me, era impensabile. Se amavo lui,
avrei illuso Eric. E se amavo Eric, avrei illuso me stessa?
In auto c’era un silenzio spiacevole ed imbarazzante. Eric era serio, nessuna
emozione traspariva sul suo volto. Anzi, sembrava fosse arrabbiato e deluso. Mi
voltai, guardandolo. Teneva le mani molto strette sul volante. Aveva le maniche
della maglietta alzate e potevo notarlo dai muscoli delle braccia, che teneva
in tensione; e ogni tanto cambiava marcia con così tanta violenza che temetti
spaccasse il cambio. Mi faceva paura, non l’avevo mai visto così furioso e
pensai che da un momento all’altro mi urlasse addosso qualcosa.
”Dove stiamo andando?” azzardai, parlando a voce bassa. Da quando eravamo
usciti dal locale, non gli avevo detto niente. Pensavo mi stesse portando a
casa mia, ma non era possibile, dato che non conoscevo la strada che stavamo
percorrendo. Mi preoccupai un po', e per giunta non ottenni risposta. Lo vidi
deglutire, lo sguardo fisso sulla strada. Quel comportamento mi faceva stare
ancora più male. Non sapevo che fare, come comportarmi.Ad un certo punto frenò, all’improvviso.
Io sobbalzai, e misi le mani sui lati del sedile, per tenermi. Fece retro
marcia, e posteggiò. Non appena spese il motore, mi guardò.
”Siamo arrivati. Dai, scendi.” mi disse. Il suo sguardo era ancora serio e
freddo. Obbedii, e dopo aver annuito aprii lo sportello e scesi per strada. Lui
fece lo stesso e dopo esser sceso schiacciò il bottone della chiave dell’auto e
mise l'antifurto. Poi mi raggiunse e mi prese per mano. Io lo guardai; dovevo
avere un’espressione terrorizzata, perché mi sorrise e mi strinse la mano più
forte.
”Adrienne, sta tranquilla. Non ce l’ho con te, sono solo un po’ nervoso. Vieni,
dai.” mi disse.
Annuii di nuovo, sospirando, e mi lasciai guardare da lui, tenendolo per mano.
Eravamo in una via piuttosto isolata, con tanti palazzi, e molte auto
posteggiate accanto ai marciapiedi. Camminavamo sul marciapiede. Intrecciò
lentamente le mie dita con le sue, e mi strinse la mano molto forte. Trattenei
il respiro, tutto quello non faceva altro che farmi confondere ancora di più.
Dopo cinque minuti si fermò davanti ad un portone d’acciaio, piuttosto
massiccio, con alcune finestrelle di vetro. Senza dire una parola mi lasciò la
mano, riprese il mazzo di chiavi che aveva messo in tasca poco prima e con una
chiave aprì il portone. Venni invasa da un’ondata di panico: quella doveva essere
casa sua.
Avanzò e mi invitò ad entrare, dopo aver acceso la luce. Entrai, e d'istinto
chiusi il portone alle mie spalle. Lui mi raggiunse per chiuderlo a chiave, e
mi guardai attorno. Le scale erano di marmo bianco, con alcune striature
grigie. Il passamano era scuro, quasi nero, di metallo; mentre le porte dei
vari appartamenti erano di legno, con la toppa in ottone.
Eric mi rivolse un vago sorriso, sperando che lo facessi anch'io, ma non ci
riuscii. Cominciò a salire le scale, e lo seguii. I nostri passi rimbombarono
nel silenzio, e lentamente salimmo due rampe di scale. Al secondo piano, si
fermò e aprì la porta. Notai una targhetta, anch'essa di ottone, che recitava:
'Eric Myers.'
Myers. Non mi aveva mai detto il suo cognome. Era inglese, pensai; magari aveva
delle origini in Inghilterra, ma non me ne aveva mai parlato.
Comunque, entrai nell'appartamento di Eric. All'inizio era buio, ma
quest'ultimo accese una lampada e la luce immerse la stanza. Mi guardai
attorno, trovando che l'appartamento fosse molto carino.
Dopo un piccolo ingresso, si aveva una stanza molto larga che faceva da sala da
pranzo e salotto. Accanto al muro, a destra, c'era un divano a due posti, sul
marrone scuro. Ai muri erano appesi vari poster e quadri astratti. C'era un
tavolo quadrato, quattro sedie, una televisione e un enorme stereo con degli
altoparlanti. Sul pavimento era messo un enorme tappeto che richiamava il
colore del divano, con delle lunghe frange bianche all'estremità. In fondo alla
stanza era anche posizionata una finestra abbastanza larga, con una tenda sul
rossiccio e sul marrone. Dopo di che l'appartamento disponeva di una piccola
cucina, e altre porte che erano chiuse: dovevano trattarsi della camera da
letto e del bagno. Mi guardò, e gli sorrisi, finalmente.
“E' molto carino.” commentai. Mi piaceva davvero, e avrei pagato oro per avere
un appartamento solo per me. Lui sorrise come per ringraziarmi. “Accomodati. Io
ti porto qualcosa da bere; che vuoi?” chiese, avviandosi verso la cucina.“Un bicchiere d'acqua andrà benissimo,
grazie.” dissi.
Lui sparì nella cucina, io rimasi da sola. Deglutii sonoramente, ero ancora
tesa e nervosa. Perché mi aveva portato lì? Avanzai e mi sedetti sul divano.
Appoggiai le mani sulle gambe, aspettando che lui ritornasse. Mi sentivo ancora
spaesata.
Lui ritornò, sorridendomi gentilmente. Aveva in mano un bicchiere di vetro,
d'acqua, e una lattina di metallo che mi sembrò della Sprite. Si avvicinò, mi
porse il bicchiere, e poi si sedette sul divano, un po' lontano da me.
“Grazie.” dissi, bevendo.
Lui alzò le spalle. Si appoggiò allo schienale del divano, e aprì la sua
lattina infilando l'indice nella fessura della linguetta, e abbassandola. Un
rumore mi disse che l'aveva aperta, e bevve.
Cadde ancora quello spiacevole silenzio. Era terribilmente snervante, ma allo
stesso tempo avevo paura di dire qualcosa. Qualcosa di sbagliato. Eric finì la
sua lattina quasi immediatamente, bevendola tutta d'un fiato. Prese il mio
bicchiere, che era ormai vuoto, e li appoggiò su un tavolino accanto al divano,
dove c'erano alcune foto di persone che non conoscevo. Mi guardò fisso.Prima o poi avrei dovuto parlare, lo sapevo.
Mi sedetti meglio, verso di lui, e tenendo una gamba sotto di me.
“Allora,” iniziò, guardandomi dritto negli occhi, “..mi spieghi che diavolo ti
è successo?”
Mi accorsi di stringere forte i pugni. “In realtà, temo di aver capito. Ma
potrei sbagliarmi. Perciò dimmelo tu..” Distolsi lo sguardo, sospirando, e lo
fissai su un ghirigoro del tappeto.
“Adrienne, ti prego, guardami..” sussurrò.
Senza accorgermene, mi avvicinai. Gli buttai le braccia al collo, e
l'abbracciai forte. Lui rimase un attimo immobile, ma dopo mi cinse tutta con
le braccia, stringendomi al suo corpo, che ormai sentivo contro il mio.
Scoppiai a piangere, incontrollabilmente, erano mesi che non lo facevo più. Lui
appoggiò la testa sulla mia spalle e con una mano mi carezzò i capelli, come a
volermi rassicurare.
“Eric, oh, Eric..” dissi fra le lacrime, “Mi dispiace, scusami..”
Lui non disse niente, continuò a carezzarmi. Non sapevo neanche perché mi
stessi scusando, ma sapevo che dovevo farlo, perché in qualche modo
l'avevo ferito. “Non odiarmi per il mio comportamento..” aggiunsi.
Eric mi lasciò andare, sciogliendo l'abbraccio, e allontanandosi di poco da me.
“Non dire cazzate, Adrienne..” Mi guardò severamente. Io tirai su col naso, e
mi asciugai le lacrime residue sulle guance col dorso della mano. “Sta
tranquilla, okay? Calmati un po' e non piangere..” disse.
Annuii e distolsi di nuovo lo sguardo. Che stavo facendo? Non lo sapevo
neanch'io, era come se seguissi l'istinto, non riflettendo.“Vado a posare questi..” disse lui, prendendo
il bicchiere e la lattina vuote.
“Sì, okay.” risposi. Le prese, si alzò in piedi e andò di nuovo verso la
cucina. Rimasi nuovamente sola, tormentandomi un po' le mani, che tenevo ancora
poggiate sulle gambe, e cercando di non piangere più. Dopo una decina di
minuti, ritornò. Si sedette accanto a me, non dicendo una sola parola. Mi
voltai, e ci fissammo negli occhi per vari instanti. Deglutì, e poi socchiuse
la bocca, fissandomi.
“Adrienne..” sussurrò, avvicinandosi.
Prese le mie mani fra le sue. Fece per intrecciarle, ma poi si fermò, in modo
che le nostre dita si sfiorassero leggermente. S'avvicinò sempre di più, e mi
baciò delicatamente il collo, per poi sfiorare le sue labbra su di esso. Tremai
in maniera incontrollabile. Eric mi spinse leggermente indietro, facendomi
stendere sul divano. Lui si sistemò a cavalcioni sopra di me, guardandomi e
continuando a tenermi le mani, dominandomi; ero praticamente incastrata fra il
suo corpo e il divano sotto di me.
Avevo la testa appoggiata al bracciolo, e ricambiavo il suo sguardo, con occhi
sgranati. Mi lasciò, e si sostenne sulle mani, appoggiandole entrambe accanto
alla mia testa, ai lati. Appoggiai le mani sul suo petto, e lo sentii
rabbrividire.
"Adrienne.." ripeté lui, mormorando, e guardandomi, squadrandomi.
"Lo so, avrei dovuto dirtelo prima. Ho.. ho perso la testa per te.."
disse, deglutendo.
Le parole mi mancarono, così come il respiro; e lo fissai, incredula.
"Mi piaci, da impazzire." Lo fissai negli occhi, e lui fece lo
stesso. S'inumidì le labbra, e socchiuse gli occhi, respirando leggermente.
"Ti amo, Adrienne."
La mente mi si svuotò completamente. Mi amava. Era davvero così. Ti
amo, quanto potere possono avere queste due piccole, insignificanti
paroline? Possono distruggere, o costruire. Possono far gioire, possono far
soffrire. Possono spaventare, possono emozionare. Possono far mancare il fiato
e terrorizzare terribilmente, proprio come stava accadendo a me in quel
momento. Avrei dovuto essere felice, perché aspettavo quelle parole da tempo,
ma non lo ero, non potevo esserlo più. Eric aprì gli occhi e mi guardò,
mordendosi le labbra. "Avrei anche voluto dirtelo in un momento migliore,
o in un posto migliore. Più.. romantico. Stasera, magari. Ma mi tenevo tutto
questo da troppo tempo dentro, ormai, ed era necessario che tu lo
sapessi." continuò. Si chinò su di me, il suo petto sfiorò il mio.
"Adrienne, ti voglio, terribilmente." disse, soffermandosi
sull'ultima parola. Non aspettò una risposta da parte mia, né nient'altro. Si
chinò ancora su di me, facendo appoggiare la mia fronte sulla sua e facendo
appoggiare i nostri corpi l'uno sull'altro. Socchiusi le labbra, il fiato
corto. Non sapevo cosa dire, come reagire. I suoi occhi azzurri mi scrutarono e
mi oltrepassarono.
Le sue mani si spostarono giù. Scivolarono sulla stoffa del divano, e poi
s'insinuarono lentamente sotto la mia maglietta. Le sue mani erano bollenti. Mi
carezzò lievemente il ventre, e poi salì più su. Arrossii all'instante, e
deglutendo lo raggiunsi con la mia mano; lo fermai con delicatezza, facendolo
scostare.
"Eric.." sussurrai.
Chiusi gli occhi. Mi scostò i capelli dal viso con una mano. S'avvicinò
tantissimo, sempre di più, muovendosi sopra di me. Ad ogni suo movimento, mi
paralizzavo sempre di più dal terrore, chiedendomi dove fossi finita,
chiedendomi cosa stessi facendo, chiedendomi cosa volesse farmi. Eric mi prese
il viso con entrambe le mani, e mi diede un bacio leggerissimo vicino al labbro
inferiore.
Venni invasa da delle vere e proprie scariche elettriche. Il tempo si fermò, e
cominciai a vedere delle immagini nella mia mente, come dei flash, dei flash
infiniti e ripetuti. Le immagini erano chiare, nitide, a colori. Erano degli
attimi che avevo già vissuto, erano dei ricordi che conservavo nella mia mente.
Li tenevo stretti, perché non volevo perdere il ricordo di ciò che era stato -
e di ciò che non sarebbe più tornato indietro.
Riguardavano lui, solo lui. Lui. Lui che era la mia ragione di
vita, lui che senza non avrei potuto stare, lui che mi aveva
spinto a morire d'amore. C'era lui che si mangiava l'ultimo biscotto al
cioccolato, e spargeva le briciole sul divano di pelle. C'era lui che mi
prendeva in giro per la mia mania di essere troppo perfezionista. C'eralui che copiava i miei compiti perché non
era arrivato a farli. C'era lui che si aggiustava i capelli e poi se li
rimetteva davanti al viso. C'era lui che avevo visto un po' crescere.
C'era lui che ascoltava la musica a volume talmente alto che temevo che
le cuffie si spaccassero. C'era lui che si accendeva una sigaretta e
fumava. C'era lui che si aggiustava i jeans che cadevano, alzandoseli
su. C'era lui che si arrampicava sulla finestra della mia camera. C'era
lui disteso sul mio letto a fissarmi. C'era lui che mi ripeteva che
ero la sua migliore amica. C'era lui con le sue chiamate all'una di
notte, gli sms alle tre. C'era lui e c'erano le sue mani gelate, sempre.
C'era lui e quegli adorabili occhi nocciola. C'era lui e i suoi
capelli color corvino, lunghi. C'era lui e le sue labbra un po' sottili.
C'era lui. Divertimento, musica, adolescenti. Una festa. C'era lui con
la camicia nera svoltata ai gomiti, una bottiglia di birra. Una? Troppe. C'era
lui e l'euforia di qualcosa di nuovo e bellissimo. C'era lui, delle
note e delle parole. C'erano le sue braccia che mi stringevano, le sue
mani stranamente calde che mi toccavano, e c'erano le sue labbra che mi
baciavano. C'era un bacio. Il primo, perfetto, bacio. Un bacio così, al sapore
di birra, al sapore di qualcosa di desiderato e finalmente ottenuto.
C'era lui. E c'era il mio amore. Vero, puro, assoluto, dolce, magico,
inaspettato, desiderato, unico, speciale.
Alex. Alex, Alex. Alex.. Io l'amavo, più della mia vita.
Spinsi con decisione Eric, dalle spalle, allontanandolo da me. Eric scattò a
sedere sul divano, guardandomi con gli occhi spalancati. Mi alzai di scatto,
rossa in viso, deglutendo.
"Adri..?" chiese, titubante.
Respirai velocemente, cercando di calmarmi. Sapevo tutto, ricordavo tutto.
E improvvisamente, il mio vero amore si era riacceso come un fiammifero acceso
gettato in della benzina. Ero sicura, il mio cuore aveva scelto. E aveva scelto
Alex, comunque fosse andata. E anch'io lo sceglievo, mille e mille volte,
l'avrei riscelto per l'eternità, anche se lui non mi amava. Lo sceglievo perché
io l'amavo, tanto, e avevo ragione quando pensavo di essere in
grado di amare solo lui. Arretrai, e mi appoggiai al tavolo, spostando
leggermente una sedia. Eric continuava a guardarmi, tra lo spaesato, il confuso
e lo spaventato. Deglutì, rimanendo sul divano a fissarmi.
"..che ti è preso?" chiese ancora. Non risposi, lo fissai soltanto.
Adesso mi appariva sotto una luce diversa.
"Ho capito tutto." disse lui, con un tono triste e stringendo un
pugno. "..Non ti piaccio."
Scossi la testa rapidamente, e finalmente parlai. "No, Eric. Tu mi
piaci..", '..ma io non ti amo.' "..ma sei ancora innamorata di quello lì." concluse lui,
serissimo.
Sì, era vero, ma non risposi.
"Ho visto l'effetto che ti fa, Adrienne. Non fa per niente bene, e io lo
so. Posso capirlo, te lo giuro." disse, abbassando lo sguardo. Si alzò in
piedi, e rimase fermo davanti il divano, a fissarsi le scarpe. Poi tornò a
guardarmi. "Lo so, perché la ragazza che stava con quello e lo
baciava, era la ragazza di cui ero innamorato." disse lentamente.
Spalancai la bocca. Ero sconvolta. "Cosa? Melissa.."
"..Melissa era la mia ragazza, sì." Era sorpreso e spaventato, e
anch'io.
"L'hai lasciata prima di Natale." dissi, senza pensarci. Riflettei
sulle sue parole, quando eravamo al bar. Annuì, poi ci ripensò. "Ma
aspetta.. come fai a sapere tutto questo?"
"Io la conosco, Melissa. L'ho vista piangere per te, tempo fa, e me l'ha
detto." risposi.
Eric fece un sorriso triste, e poi s'illuminò. "I nostri destini sono
intrecciati, Adrienne. Devi raccontarmi tutto quello che ti è successo."
"No." risposi subito, secca. "Portami a casa, Eric."
aggiunsi.
"Devi dirmelo, ti prego." insistette lui, avvicinandosi a me, lentamente.
"Non adesso." risposi, con decisione. Ero troppo allibita, le cose
erano successe così velocemente che stentavo a crederci. Sospirò. "Tu non
capisci. Devo sapere." fece una pausa. "Io potrei renderti felice,
Adrienne. Potrei farti completamente dimenticare di lui. Perché ti a.." Lo
ignorai, e spingendolo via mi avviai verso la porta d'ingresso. "Per
piacere, portami a casa." insistetti ancora. Mi guardò. Dopo qualche
minuto, prese le chiavi dalla tasca e mi raggiunse.
grazie a tutti per i favoriti e i commenti! (:
shockati, neh?
Cry90: soddisfatta di questo capitolo, immagino! ti ringrazio ancora per i tuoi bellissimi commenti e per i complimenti.. davvero tanto!
writerprincess: grazie mille (: passerò sicuramente..
DarkAngel90: grazie a te per aver letto, piuttosto! come vedi, ho postato quasi subito.. spero di averti soddisfatto!
willun10: ahi ahi XD allora mi sa ne rimarrai un po' delusa :P
Gingerly: chissà come reagirai a questo capitolo.. sono curiosa hmm! scusa per il ritardo xD
giulietta_cullen: ahah mi piace il tuo modo di ragionare, davvero! è molto simile al mio, e mi piacciono anche i tuoi commenti. voglio un bel resoconto su questo capitolo e su alex.. susu :P
Oasis: ti ho dato tutte le risposte che ti servivano.. adesso voglio sapere che ne pensi tu! XD
vero15star: nuova lettrice.. meraviglioso! i tuoi commenti mi lusingano troppo. ecco a te il nuovo capitolo.. spero ti sia piaciuto anche questo (:
Nanako: naturalmente non mi offendo assolutamente per l'appunto.. provvederò a correggere, grazie mille *_* sono contenta che sei riuscita a leggere.. ed in tempo di record ho postato anche l'altro capitolo! naturalmente voglio sapere che ne pensi :P
a presto, gentaglia! manca poco, davvero poco, alla fine. vi ringrazio ancora..
Arrivammo di fronte casa mia. Era
l'una. Il viaggio in macchina era stato silenziosissimo e molto, molto teso.
Scesi velocemente dall'auto. Lui fece lo stesso, e mi raggiunse. Individuai il
suo sguardo, e misi le mani avanti. "Eric, ti prego, non insistere. Non ti
dirò niente." Eric perse la pazienza. "Quando,
allora? Quando me lo dirai?" esclamò, a voce
piuttosto alta. "Adesso non posso." dissi,
seria. "Ma.."
"Ma..?" incalzò lui, alzando un sopracciglio. Riflettei velocemente.
"Domani, all'ora di pranzo.. vieni a casa mia.
Mangiamo qualcosa assieme, e ti racconterò tutto."
dissi. L'indomani i miei genitori non ci sarebbero stati, andavano a fare un breve gita in campagna. Mio fratello sarebbe stato in
casa, ma non era un problema, e non si sarebbe lamentato se gli avessi chiesto di sparire dalla circolazione per qualche
ora. Lui mi guardò, e annuì. "D'accordo, verrò. Adrienne, ti avverto. Non
me ne andrò prima che tu non mi abbia detto tutto
quello che sai su Melissa, su quel ragazzo, e.." deglutì,
"..su quel che provi per me."
Annuii. "Non preoccuparti. Sarò sincera e ti dirò tutto." dissi.
"Okay. Verso l'una sono da te."
"Perfetto." Calò il silenzio per un attimo. "Buonanotte,
Adrienne." e si chinò, come se volesse baciarmi.
Lo fermai, e scossi la testa."Buonanotte." dissi soltanto. Lui
sospirò e si allontanò velocemente, tornando in auto. Altrettanto velocemente
presi le chiavi e le infilai nella toppa, ed entrai in casa senza guardarlo.
Quella notte non avrei dormito, lo sapevo. Ero agitata,
e mi chiesi dove fossi finita. E solo in quel momento,
mi resi conto di non aver neanche preso lo stipendio.
***
Come avevo pensato, la mia notte fu quasi insonne. Non sognai, e continuavo a
pensare a tutto quello che era successo la sera precedente. Mi svegliai di buon' ora, alle otto; avevo dormito sì e no quattro ore. In
casa c'eravamo solo io e mio fratello, i miei erano andavi via verso lei sei: li avevo sentiti prepararsi e scambiarsi qualche parola
mentre si preparavano. Mi alzai dal letto, senza neanche una briciola di
stanchezza o di sonno. Passai davanti la stanza di mio fratello: la porta era
socchiusa; sicuramente stava ancora dormendo. Camminai il più piano possibile,
per evitare di fare rumore e di svegliarlo. Scesi le scale,
la casa era vuota e naturalmente silenziosissima. Entrai in cucina, per
preparare la colazione a me e ad Edoardo. Alzai un po' la tapparella della
finestra della cucina e notai un cielo plumbeo e minaccioso, pieno di nuvole
grigie. Ciò mi mise un po' di cattivo umore, ma cercai di non pensarci. Così
cominciai a preparare il latte e il caffè e ad
apparecchiare la tavola.
Il mio pensiero era rivolto al pranzo di quel giorno, quando Eric sarebbe
venuto a casa mia per sapere la verità. La verità, già. Qual era?
Ero perdutamente innamorata del mio migliore amico, che però
aveva deciso di lasciarmi per poter avere l'amore di un'altra ragazza, la
qualche era una mia cara amica. Dopo di che, mi ero infatuata
del mio collega di lavoro, il quale diceva di amarmi e il quale era l'ex
ragazzo della mia cara amica; quindi lui aveva ben due motivi per poter odiare
il mio migliore amico. Però adesso non ero più
sicura che mi piacesse il mio collega di lavoro, perché l'amore per il mio
migliore amico cresceva ogni giorno di più. Bel casino, veramente.
Avevo promesso a Eric di dirgli tutta la verità.
Questo implicava raccontargli tutto quello che mi era successo negli ultimi
mesi: persino che avevo tentato di suicidarmi. Era imbarazzante, terribilmente.
Ma del resto non potevo neanche mentirgli.. non ero
capace di dire bugie. E in più, cosa provavo per Eric?
Nelle ultime settimane mi ero affezionata tantissimo a lui; e sì, mi piaceva. Ma non mi ero innamorata di lui, non l'amavo. E quindi, di
conseguenza, non avremmo potuto stare assieme, l'avrei
solamente illuso. Speravo solo che la prendesse bene, anche se ne dubitavo. Mi
sembrava ancora stranissimo il fatto che piacessi così tanto
ad una persona: sicuramente mi dava piacere e soddisfazione, anche perché non
mi era mai successo prima. Ma Eric non era quello che
volevo; io volevo Alex. Dubitavo che l'avrei ottenuto, ormai era troppo tardi,
ma non volevo più fingere o mentire, specialmente ad Eric, era pur sempre un
mio caro amico. Dovevo stare bene attenta ad avere tatto e diplomazia, e ad usare
le parole giuste. Non volevo ferire Eric, e sperai che poi lui non mi odiasse.
I miei pensieri vennero interrotti dal rumore di
alcuni passi, che provenivano dalle scale. Dopo qualche minuto Edoardo entrò in
cucina, con una faccia stravolta, i capelli arruffatissimi. Però,
non appena mi vide, sorrise. Si trascinò fino al suo posto e si sedette.
Nel frattempo il latte e il caffè erano pronti. Li
versai entrambi in due tazze, ne diedi una ad Edoardo, poi presi la mia e mi sedetti di fronte a lui.
"Buongiorno." dissi, prendendo un biscotto dalla scatola di latta
accanto a me. Lui bevve, poi posò la tazza davanti a sé e mi guardò.
"Buongiorno. Come stai?" "Bene." risposi
automaticamente.
Mentre sgranocchiavo il biscotto, mi chiesi se quella
fosse la verità o solamente una bugia. "Edo, ascolta, devo chiederti una
cosa.."
"Dimmi."
"Oggi a pranzo viene Eric. E' un problema?" Fece
una pausa, guardandomi.
"Certo che no. Vedrò di stare fuori."
"No, no, no. Rimani in casa." Lo dicevo
anche perché non volevo stare completamente sola in casa, con Eric. "Solo
che.. devo parlargli di una cosa importante, e.."
Edoardo sorrise. "Non preoccuparti, per me va bene."
Gli sorrisi di rimando, per ringraziarlo. Ci furono degli attimi di silenzio in
cui facemmo tranquillamente colazione. Quando le nostre tazze
erano quasi vuote, parlò di nuovo. "State insieme?" chiese.
Mi venne un groppo in gola. "Assolutamente no." risposi.
"Hm." commentò. "Mi nascondi qualcosa."
Sorrisi con aria innocente e deglutii. "Ti spiegherò
quando le cose si sistemeranno."
"D'accordo, d'accordo." disse lui, alzandosi
dal tavolo e posando la sua tazza nel lavello. Fui contenta che non
s'impicciasse troppo e che rispettasse le mie scelte, e continuai a
sorridergli. In fondo, dovevo solamente stare tranquilla, e tutto sarebbe
andato a meraviglia.
***
Dopo colazione, feci una lunga doccia bollente e mi lavai
i capelli. M'infilai un paio di jeans e una larga felpa blu col cappuccio, e
poi lasciai i capelli sciolti, un po' bagnati. Non volevo prendermi una polmonite,
ma l'ora X si stava avvicinando e io cominciavo ad agitarmi. Mi sembrava di non
avere più pazienza per le altre cose, e continuavo a lanciare occhiate nervose
all'orologio.
L'una arrivò. Rimasi seduta sul divano ad aspettare che il citofono suonasse,
mentre mio fratello si era chiuso in camera sua, in compagnia di un panino che
gli sarebbe servito da pranzo. All'una e dieci, il citofonò
suonò ed io scattai in aria come un grillo. Mi fiondai
all'ingesso, col cuore che andava a quattordici mila,
e risposi.
"Sì..?"
"Adrienne, sono Eric."
Deglutii e schiacciai il pulsante. Il solito rumore metallico mi disse che il portone era stato aperto, così aprii la porta
d'ingresso, e aspettai che salisse. Dopo cinque minuti, fece capolino dalle
scale. Sorrideva. Portava un pantalone nero, e sotto il giubbotto potevo vedere
un maglione grigio e bianco. Entrò in casa, e non appena mi fu di fronte mi
prese una mano e mi baciò delicatamente sulla guancia. Io lasciai che lo
facesse, poi senza dire una parola, ma sorridendogli, chiusi la porta
d'ingresso. Si tolse il giubbotto e lo appese nell'appendiabiti. Si guardò intorno, ispezionando la stanza, poi tornò a
guardarmi e mi sorrise. "Casa tua è più bella della mia."
Risi, e lo guardai. "Ma figurati. Almeno tu vivi
da solo, puoi fare quel che vuoi." Alzò le
spalle. "Ogni tanto una compagnia non guasterebbe."
Sorrisi, e cercai di pensare a qualcosa da dire, per prendere tempo. Lui
s'avvicinò a me, e mi passò una mano fra i capelli mezzi bagnati, guardandomi
negli occhi.
"Quando sei bella.." sussurrò. Arrossii in maniera assurda, e
lo spinsi via, allontanandolo da me. "Eric, finiscila.."
gli dissi. Sospirò, rimanendo immobile. Decisi di
cambiare discorso.
"Vuoi mangiare?" chiesi.
"Devo essere sincero?" chiese lui a sua volta. Lo guardai, e annuii.
"Non ho neanche una briciola di fame.."
disse. Sospirai. Pensavo che volesse dirmi chissà cosa, e quasi quasi mi sentii sollevata. Del
resto, neanch'io avevo fame, ero troppo agitata.
Riflettei un attimo. "Neanch'io. Andiamo in
salotto, vieni, così stiamo tranquilli.." Lui
annuì, quindi io gli feci strada per il salotto, e lui
mi seguì a ruota. Entrammo nella stanza, e gli dissi di accomodarsi dove
preferiva. Lui sprofondò nel divano di pelle, e mi sedetti anch'io, poco
distante da lui. Lo guardai negli occhi, e lui fece lo stesso.
"Allora.." iniziò lui, guardandosi le mani e
appoggiandosi meglio allo schienale del divano.
"Già, allora." Sospirai. Le parole mi mancavano, e quasi tremavo.
Nessuno sapeva quel che mi era successo negli ultimi mesi, ed ero sul punto di
rivelare tutto al ragazzo che diceva di amarmi, e che probabilmente si sarebbe
aspettato che sarei rimasta con lui. Ma la verità era
un'altra - ed avevo una paura terribile di fargli del male. Cercai di trovare
il coraggio necessario, e mi schiarii la voce, brevemente.
"Sta tranquilla, Adrienne. Non ti mangio
mica." disse Eric, sorridendomi in maniera
rassicurante.
"Lo so." dissi, irritata da quella
affermazione. Ci fu un'altra pausa, poi socchiusi gli occhi e parlai.
"Tutto iniziò a dicembre, quasi due mesi fa. Era
la metà di dicembre, prima di Natale. Io avevo ancora quindici anni. E c'era
lui, che era già entrato nella mia vita due anni prima, quando ne avevo tredici.." dissi,
d'un fiato. Ci fu silenzio, Eric non si mosse. Riaprii
un po' gli occhi, guardandolo.
"..era il mio migliore amico. Era perfetto, era
tutto ciò che volevo in una persona da definire amica,"
mi fermai. "..ma allo stesso tempo, era tutto ciò
che volevo in una persona da amare, nel senso stretto della parola." Eric
mi guardò, serissimo. "Come si chiama..?"
Deglutii e mi inumidii le labbra. Non pronunciavo il suo nome da un mese,
ormai. "Il suo nome è.."
Il citofono mi interruppe bruscamente. Spalancai gli
occhi, con aria stupita. "Ma.." balbettai.
"Aspetti qualcuno?" chiese Eric, alzando un sopracciglio.
"Assolutamente no." risposi.
Mi alzai dal divano e uscii dal salotto, dirigendomi verso l'ingresso. Mi
chiesi chi potesse essere, incuriosita, e anche un po'
irritata per l'interruzione. Alzai la cornetta del citofono, mentre Eric usciva
dal salotto e mi raggiungeva.
"Sì, chi è?" chiesi.
"Sono Elena."mi
rispose la voce di una donna. Elena? Non conoscevo nessuna Elena.
"Mi scusi, credo che lei abbia sba.."
iniziai.
Eric avanzò, rosso in volto, e mi strappò la cornetta dalle mani.
"Sono io, Eric. Puoi salire." disse, non guardandomi, e schiacciò il pulsante della
cornetta. Non appena bloccò, m'infiammai. "Che diavolo stai
facendo? E' casa mia!" esclamai, lanciandogli
un'occhiata di fuoco.
Lui rise alla mia reazione, e questo m'irritò ancora di più. "Ma che cosa ridi?" Eric si
avviò verso la porta d'ingresso, aprendola. Mi arrabbiai ancora. "Ma la vuoi smettere?" esclamai, afferrandogli un
braccio.
Lui continuò a ridere, poi mi guardò sorridendo.
"Chi è quella donna?" chiesi.
Mi guardò. "Adrienne, stai calma."
"No che non sto calma! Hai
invitato un'estranea a salire a casa mia!" Mi sentivo rossa in
viso.
Rise di nuovo. "Adrienne.. quella donna.."
"Chi è?"
"..sua madre." disse una terza voce.
Mi voltai di scatto. Davanti la porta d'ingresso stava in piedi una bella
donna, sulla quarantina, con dei lunghi capelli tra il biondo e il castano,
come quelli di Eric, e un paio di occhi marroni. Aveva
un bel portamento, e indossava un completo formato da una giacca e da un
pantalone di un grigio scuro. Diventai rossa per l'imbarazzo, e lasciai il
braccio di Eric. La donna, Elena, mi guardò e sorrise.
"Tu devi essere la famosa Adrienne." disse,
avanzando.
"Sì.. sono io.." balbettai, cercando di
riprendere un minimo di contegno.
Le strinsi la mano che mi offrì.
"Elena, la madre di Eric."
Fissai il viso della donna, che era davvero molto bella. All'improvviso mi
sembrò familiare, e mi sforzai per ricordare dove o quando l'avevo già visto,
ma immaginai che fosse solo un'impressione.
"Piacere." dissi, e le lasciai la mano. Mi chiesi che ci facesse lì,
poi si rivolse ad Eric.
"Eric, perché non devi dirmi mai niente? Lo sai che oggi dovevamo pranzare
dalla nonna.."
Fissai Eric, e mi sentii in colpa. Lui abbassò lo sguardo,
poi lo rialzò su Elena.
"Ma avevo già preso un impegno con lei.."
"Meno male che almeno mi hai lasciato quel biglietto, scrivendomi dove
andavi!"
Eric sospirò.Poco dopo vidi Edoardo
scendere dalle scale, con un'espressione veramente confusa sul volto. Spostò lo
sguardo da Eric a Elena, poi lo posò su di me. Io gli
sorrisi cercando di essere incoraggiante e ci raggiunse.
"Edoardo, questi sono Eric.." glielo indicai, "..e sua madre, Elena. Eric, Elena,
questo è mio fratello Edoardo."
Ci fu un breve giro di strette di mano. Mio fratello fece un ghigno e si
chinò verso di me, sussurrandomi in maniera impercettibile. "Facciamo le
cose in maniera seria, eh?" chiese, in tono sarcastico. Io gli diedi una
botta sullo stinco col piede, arrossendo.
"Eric, dobbiamo andare."disse
Elena. Eric fece segno di diniego. "No, scusa mamma, ma per una volta la
nonna farà a meno della mia presenza."disse, con tono deciso, e si avvicinò a me.
"E' veramente così tanto importante?" chiese lei, sbuffando.
"Sì, lo è." affermò Eric.
Io avevo la gola secchissima. Eric mi sfiorò la mano con la sua, e io guardai
sua madre. Non sapevo se ero felice oppure no. Certo, se Eric sarebbe andato a
pranzo da sua nonna io avrei rimandato tutto; ma era
davvero meglio rimandare?
"Per favore, signora." dissi alla fine.
Elena si sciolse in un sorriso di comprensione. "E va bene, e va bene."disse, rassegnata, e
stringendosi meglio la cinghia della borsa che teneva sottobraccio. Eric sorrise, raggiante. Io deglutii e cercai di sorridere.
Edoardo stava in silenzio, guardando la scena.
"Allora, io.."
Il citofono suonò ancora. Scattai nuovamente in aria. Ancora? Chi altro poteva
essere? Feci per andare a rispondere, ma Edoardo mi precedette.
"Pronto?" chiese. Non ci fu nessuna risposta. Mio fratello insistette
per qualche minuto, poi richiuse la cornetta. Fece spallucce, guardandoci.
"E' meglio che io vada."disse
Elena, sembrava piuttosto di fretta. Fece un altro giro di
strette di mano, poi strinse la mia per più tempo, guardandomi. "Mi
spiace per questa intromissione. E
sta attenta a mio figlio."
Mi fece l'occhiolino, sorridendomi, o almeno così mi sembrò. Io risposi facendo
un sorriso incerto, poi dissi: "Si figuri."
La madre di Eric si voltò per andarsene, e
all'improvviso vidi i miei genitori fare capolino sul pianerottolo.
Mi sentii morire. Cercai di pensare a qualcosa, ma era troppo tardi, ormai i
miei genitori avevano individuato Elena che stava
uscendo dall'appartamento. Arrivarono sull'uscio, inchiodando la donna, che li
fissava. Mio padre lanciò un'occhiata a me e a mio fratello, poi a Eric e ad Elena. Mia madre rimaneva accanto a mio padre, osservando anche lei la scena. Deglutii,
aspettando una reazione furiosa. Poi vidi mio padre fissare intensamente la
donna, e quest'ultima che lo ricambiava. Il viso di mio padre si tinse di
rosso, e sgranò gli occhi, socchiudendo un po' la bocca.
All'improvviso, come in preda ad un'improvvisagenialata, realizzai. Elena, era lei. Era lei la donna che
tre anni fa avevo beccato insieme a mio padre, nel
parco. Era lei la donna bionda che stava distesa sul prato ad aggiustarsi la
camicetta, e che mi guardò per un instante con uno sguardo sprezzante, mentre
piangevo. Elena era l'amante di mio padre, e ora si trovavano nella stessa
stanza, e solo io lo sapevo.
Sentii delle ondate di rabbia invadermi, e tremai leggermente.
"Adrienne?" chiese interrogativa mia madre, ma con delicatezza. La
reazione di mio padre fu diversa, decisamente.
"Adrienne, che ci fanno questi due estranei a casa nostra?" sbottò.
La rabbia aumentò. "Lui è un mio amico.." dissi con voce un po' tremante, indicando verso Eric e
guardando fisso mio padre. Eric, Edoardo, Elena e mia madre stavano immobili,
in silenzio.
"E questa donna?" chiese ancora mio padre, riferendosi ad Elena.
Un sorriso malvagio mi attraversò il viso. "Ma
come, papà, non ti ricordi? Dovresti saperlo." dissi,
senza pensarci.
Non m'importava più niente, sentivo una sorta di gioia vendicativa insinuarsi
in me, e continuavo a sorridere in quella maniera, e continuando a fissare mio
padre. Avevo sopportato per tutto quel tempo, avevo sofferto; ed ero veramente
stanca. Volevo fargliela pagare, a tutti i costi.
Il viso di quest'ultimo si trasformò, venne invaso dal
terrore puro.
"Io non la conosco, che dici?" esclamò nuovamente mio padre, con un
tono per niente convincente.
Continuai a sorridere, e mi spostai, girando intorno alla donna e squadrandola.
Quest'ultima mi guardava, sembrava impaurita.
"Questa donna.." iniziai,
guardando mio padre, "..è colei che mi ha rovinato la vita, tre anni fa,
insieme a te."
Il silenzio riempì la stanza, e c'era un aria molto tesa. Ma
io non volevo più soffrire, avevo sopportato tutto per troppo tempo. Era l'ora
della verità.
Mio padre lanciò un'occhiata a mia madre.
"Perché non glielo racconti, eh?" sbottai contro mio padre,
avanzando, "..perché non le racconti che lei è la
donna che tre anni fa ti facevi sul prato di quel parco, quando invece avresti
dovuto essere in giro per il lavoro"?
Mio padre ed Elena spalancarono entrambi la bocca per la sorpresa. Non era da
me usare quelle parole, ma quando ero arrabbiata ero capace di tutto.
"Perché non le racconti che andare in giro per il
Paese era solo una viscida scusa per andare da lei?"
Ero davanti a mio padre, sempre col sorriso sulle labbra. Gli altri erano lontani
mille miglia, m'interessava soltanto restituire a mio padre tutto il dolore che
aveva dato a me, e magari pagargli anche gli interessi. E
sapevo che ormai non avrei più potuto tirarmi indietro, la frittata era fatta.
Lo vidi deglutire sonoramente, ma continuava a rimanere immobile. Continuai ad
urlargli contro, mentre nel frattempo sentii le lacrime farmi capolino agli
occhi.
"Perché non le racconti che le hai mentito per
tutto il tempo? Perché non le racconti che hai
minacciato di uccidermi se lo avessi detto a qualcuno? Che
volevi andartene da casa?" continuai, la voce che mi diventava un pochino
stridula.
Mio padre guardò prima me, poi spostò lo sguardo
altrove. Io lo fissavo, non potevo vedere gli altri, che erano tutti alle mie
spalle. Nessuno si muoveva, nessuno emetteva un fiato.
Feci un'espressione schifata. "Mi fai veramente schifo, e pena
anche."
Poi mi spostai, e guardai un attimo mia madre; era sconvolta, con
un'espressione indefinibile sul volto, e sembrava tremare. Mi sentii un attimo
in colpa per aver rivelato tutto in quel modo. Mi dispiaceva enormemente per
mia madre: lei lo amava, e davvero. Ma durò un attimo,
per l'appunto.
Mi rivolsi di nuovo a mio padre, con un groppo in gola.
"E pensare che la mamma si preoccupava tanto quando
non ti facevi vivo per dei mesi, e invece eri chissà dove a sbatterti questa stronza tutte le volte che volevi!"
Scoppiai a piangere in maniera incontrollabile. Mi inginocchiai
per terra, nascondendo il viso fra le mani, e piangendo disperatamente. Nessuno
mi consolò o mi abbracciò, mi lasciarono piangere. Nella stanza c'era solo il
rumore dei miei singhiozzi e gemiti di dolore. Ero sola, contro tutti.
Sentii la voce di mio padre dire: "Delira."
Stavo soffrendo in maniera esagerata, proprio come tre anni prima. Sentii altri voci - mio padre che mandava via Eric ed Elena in malo
modo. Non appena sentii la porta sbattersi mi alzai in
piedi, ancora in lacrime, e avanzai verso mio padre, come a volerlo aggredire.
Mio fratello si mise tra me e lui e mi cinse la vita con le braccia, tenendomi
stretta e fermandomi. Piangevo, tremavo, mi appoggiai alla spalla di Edoardo.
"Sparisci, sparisci dalla mia vita,
vattene!" urlai contro mio padre, che mi guardava con uno sguardo
serissimo e duro, senza dir nulla. Edoardo mi portò via di peso, continuando a
tenermi nella stessa maniera in cui mi aveva preso, e mi accasciai su di lui mentre mi trasportava su per le scale. Arrivammo davanti
la mia camera, e mi mise giù.
"Edoardo ti prego.. Aiutami.." gli sussurrai, piangendo ancora. Non rispose,
soltanto mi guardò. Era sconvolto. Aprì la porta della mia camera, e praticamente mi spinse dentro, e poi richiuse la porta,
senza dirmi niente. Ripresi a piangere, forte. Chiusi la porta a chiave, e mi
buttai sul letto, stringendo il cuscino e inondandolo di lacrime. Singhiozzavo,
e temetti di avere un attacco di panico, ma non accadde nulla.
Per calmarmi, caddi in un sonno senza sogni.
questo è un capitolo importante. mi
dispiace se turberò la sensibilità di qualcuno..
povera, povera Adrienne u_u. vi
dirò: questa scelta mi ha addolorato, ma è così che doveva andare. purtroppo.
vorrei ringraziare tutte le persone che mi stanno commentando e che hanno inserito
la storia nei preferiti (58! oddìo!),
ed anche chi si limita a leggermi e basta.. grazie, vi adoro!
passiamo ai commenti.
Oasis: ahaha
esatto! sono collegati.. e anche un po’ sfigati =P
contenta che ti sia piaciuto il capitolo! Gingerly: è stato una sorpresa, eh? c’avrei scommesso! eheh
le mie doti da scrittrice xD certo.. xD alla fine dobbiamo ringraziare Eric comunque, hai
ragione. e grazie a te (: willun10: già.. ma lo sai come si dice? il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce. 95_angy_95: grazie mille per i complimenti! (:
conci: una nuova lettrice, benvenuta! mi fa piacere
che la storia di piaccia. continua a seguirmi per
sapere come finirà! apple92: devo ringraziarti per tutti i commenti che mi hai lasciato.. mi
rendono davvero felice ed orgogliosa, e sono davvero lieta che la storia ti
piaccia così tanto. DEVI continuare a leggere.. il
bello deve arrivare XD lol DarkAngel90: postato anche questo capitolo, olè!
un’altra beniamina di alex.. ottimo! =P Troue_xxx: ahahaha
ecco un’altra che tifa adrienne/alex XD mi fate
morire.. comunque ebbene sì siamo quasi alla fine! grazie
per il commento! ery_94: ciao! sì, mi sa che sei una delle poche
a preferire Eric.. ma fa lo stesso, ahaha! XD mi fa
piacere che la storia ti piaccia.. grazie mille! Cry90: io ti adoro, e adoro i tuoi commenti lunghi.. XD mi sembra di
avertelo già detto – non ricordo – comunque sia, mi piace il tuo modo di
ragionare e le supposizioni che ti fai che, a proposito, scoprirai se
rispondono alla verità solo alla fine di tutto.. io non ti dico niente! mi rende davvero felice che ti sei affezionata al mio
piccolo mondo e che la storia t’abbia appassionato così tanto.. e sappi che
Adrienne è il mio alter-ego, la pensiamo in maniera
identica, quindi molte sue idee e scelte le condivido, naturalmente. è come mi sarei comportata io. Adrienne ha scelto Alex, già.. l’amore più difficile. ma come
ho già scritto su: il cuore conosce
ragioni che la ragione non conosce. a presto,
spero davvero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! (:
un bacio!
La pioggia batteva incessantemente
sulle finestre, riempendole di piccole goccioline
d'acqua. Il ticchettio della pioggia sul soffitto non accennava a smettere, e
ciò non contribuiva assolutamente al mio pessimo umore, il quale era
sottoterra.
Mi ero svegliata tre ore dopo, nel bel mezzo del diluvio universale, con le
guance bagnate. Per un attimo desiderai che la pioggia mi lavasse via; ma
decisi che auto-commiserarsi non era la scelta migliore. Oltre la mia porta,
non sentivo nessun altro rumore, niente di niente. Mi chiesi cosa fosse
successo. Mi sentivo malissimo, e tremendamente in colpa per le mie parole.
Pensai di esser stata troppo dura: mio padre se lo
meritava? In fondo era sempre mio padre.. e sentirsi
in colpa per una delle due persone che mi aveva messo al mondo, era
inevitabile. Avrei voluto tornare indietro nel tempo,
tornare in quell'attimo, mordermi la lingua per trattenermi e star zitta. E ora, cosa avrei dovuto fare? Non avrei
potuto rimanere dentro la mia stanza per sempre.. Ma il solo pensiero di
incrociare i miei familiari mi metteva addosso l'angoscia. Ero sicura che
pensassero che fossi una bugiarda visionaria, e che mi odiassero.Mentre socchiudevo
leggermente gli occhi per cercare di rilassarmi un po', sentii dei rumori alla
mia porta, come se qualcuno stesse sforzando la serratura.
Lo fissa, con aria terrorizzata. La chiave che stava dentro la toppa cadde a
terra, e prima che potessi alzarmi, la porta si aprì.
Mio padre entrò nella stanza, con un sorriso rassicurante sul volto. Mi
spaventai e mi paralizzai dal terrore e della sorpresa, deglutendo, e alzandomi
a sedere sul letto. Lui chiuse la porta alle sue spalle e mi guardò. Io lo ricambiai.
"Adrienne.." iniziò lui, facendo qualche passo verso di me. Scossi la
testa. "Non voglio parlare.."
Fece uno sguardo piuttosto serio. "Non devi avere paura di me." Invece sì, avevo paura. Mi avrebbe ucciso, come minimo.
"Per favore, alzati." aggiunse. Non sapevo
che fare, ero terrorizzata. Non capivo perché si comportasse in
quella maniera così tanto calma e gentile. La pioggia sembrava battere
sempre più forte e incessantemente.
Scossi di nuovo la testa. Mi guardò, molto intensamente, e alla fine mi
rialzai, rimanendo accanto al letto. S'avvicinò, e io feci un piccolo passo
indietro, d'istinto.
"Hai paura?"
Annuii, incapace di parlare."Dai,
che ci conosciamo da sempre.." Sì, papà, da
una vita.
S'avvicinò e mi arrivò davanti, con uno sguardo molto serio.
"Ti chiedo solo di fidarti di me.." Arretrai
più che potevo, e sprofondai di nuovo sul letto, alzando lo sguardo su di lui.
Allungò una mano verso di me, e lo fissai.
"Adrienne ti prego.."
Sembrava dispiaciuto. Dopo degli attimi di indecisione
e silenzio assoluto, afferrai la sua mano, e lui mi fece rialzare. Sorrise, e
mi venne molto vicino, il suo respiro era caldo.
"Ti avevo detto di non dirlo a nessuno."
sussurrò. Non dissi niente, lo fissai. Mi lasciò la
mano continuando a guardarmi. "Pensavo fosse il nostro segreto, Adrienne," Mi guardò minacciosamente. Io rimasi immobile, e
trattenei il fiato. "E invece tu mi hai tradito.
Non avresti dovuto farlo.. ti avevo avvertito."
Mi diede un colpo sul viso, spingendomi all'indietro. Caddi per terra di
schiena, e sentii un bruciore fortissimo sul viso. Un sapore amaro e caldo,
quasi metallico, mi disse che perdevo sangue dal
labbro inferiore. Mio padre avanzò verso di me, ma io non dissi niente, né
cercai di proteggermi in qualche maniera.
Mi ero arresa.
Chiusi gli occhi, e sentii altri colpi, forti. Poi non capii
più niente, forse persi conoscenza. Urla, voci, una
donna che piangeva, qualcuno che mi prendeva e mi stendeva su qualcosa di
morbido, il sangue che m'arrivava al mento, sbattersi di porte. Forse
ero morta - forse ero in una specie di limbo, il che era peggio di essere
morti. Cos'altro sarebbe successo..? Avrei sofferto
ancora? Forse era meglio che tutto cessasse, piuttosto che soffrire ancora,
ancora un'altra volta.
***
"Adri.. sei sveglia?"
Edoardo mi chiamò. Aprii di pochissimo gli occhi, e vidi due forme indistinte
davanti a me. Sbattei le palpebre più volte, socchiudendo un po' le labbra.
"Hm.." feci un verso strano, portandomi una
mano sulla fronte.
"E' sveglia." disse la voce di mia madre.
Cercai di aprirli di nuovo. Ero nella mia stanza, stesa sul mio
letto, e accanto a me c'erano mio fratello e mia madre, che mi fissavano. Li
guardai. "Che è successo..?"
Mia madre arricciò le labbra. Aveva gli occhi rossi e gonfi, immaginai che
avesse pianto.
"Non preoccuparti, dopo ti.." iniziò Edoardo.
"No." lo interruppi. "Ditemi adesso." Avevo preso
conoscenza immediatamente. Li vidi scambiarsi un'occhiata. Mia madre sembrava
ammutolita.
"Quelle cose che hai detto su papà.."
Abbassai lo sguardo.
"Adrienne, non sentirti in colpa. E' vero, l'ha
ammesso."
Rialzai lo sguardo, illuminandomi quasi. "Cosa..?"
"A parte che ti avremmo creduto lo stesso. Non sei una bugiarda, né sei
pazza, e dopo una reazione come quella era impossibile che ti stessi inventando
tutto, ad esempio.." continuò
Edoardo.
Annuii brevemente e feci una smorfia triste. Sentii un dolore alle labbra e me
le toccai, sotto le dita sentii un taglio in verticale, sul labbro inferiore.
"Questo.." iniziai, a voce bassa,
guardandoli. Edoardo annuì. "Sì, Adrienne. L'abbiamo trovato qui qualche
ora fa, che ti.."
Mia madre scoppiò a piangere, all'improvviso. La guardai allibita, e poi mi
allungai per abbracciarla. La strinsi forte, mentre singhiozzava sulla mia
spalla.
"Mamma, sta tranquilla. E' tutto a posto adesso.." le dissi. Lei scosse la
testa. "No! E' tutta colpa mia.. e tu avresti
dovuto dirmelo.. ti avrei creduto.." La lasciai andare e la presi per le
spalle, guardandola. "Non pensarci più, ti prego..
è finita.."
Mia madre annuì, asciugandosi le lacrime con la mano. Poi si alzò dal letto.
"Scusate, vado giù a preparare la cena, dato che nessuno ha mangiato
oggi."
Le sorrisi, e lei andò via, chiudendosi la porta alle spalle. Sospirai, poi mi voltai verso mio fratello. "Raccontami
tutto quello che è successo.."
Annuì, e mi guardò. Mi prese la mano che tenevo appoggiata sulle gambe e
l'accarezzò, tenendola fra le sue.
"Dopo qualche ora da tutto quello che è successo..
Cercavamo papà per la casa, dopo che lui era sparito. Finché abbiamo trovato la
porta della tua camera socchiusa.."
Mi guardò, fermandosi.
"E c' eri tu, per terra, che tremavi, piangevi, e lo imploravi di
lasciarti.. E lui che ti colpiva, sulle braccia, sulle gambe, sul viso.."
Mi lasciò la mano e mi prese il viso, carezzandomelo piano.
"Allora mi sono praticamente gettato su di lui e l'ho allontanato da te,
lui ha cercato di spingermi via, cercando di colpirmi," Notai alcuni
graffi sulle sue mani e il cuore mi si fece piccolo piccolo.
"..Era impazzito, non lo riconoscevo più. Comunque
l'ho allontanato, e tu sembravi aver perso conoscenza, eri immobile con gli
occhi chiusi."
Deglutì, continuando a carezzarmi. La voce gli tremava, ed era impaurito e
sconvolto.
"Allora poi la mamma ti ha preso e ti ha messo sul letto, e abbracciandoti
è scoppiata a piangere. Ha minacciato mio padre di chiamare la polizia e gli ha
consigliato di sparire immediatamente e non farsi più vedere.."
Fece una lunga paura. "E lui?" chiesi.
"Lui è rimasto in silenzio. Come se si svegliasse da una specie di trance, non so, aveva uno sguardo vacuo. Senza dirci più
niente, ha preso una valigia, ci ha messo dentro qualche vestito ed è andato
via." Deglutii, guardandolo. "E'..
è vero?"
Sorrise. "Certo, Adrienne. Perché non l'hai detto
prima?" Sospirai. "Mamma lo ama tanto. E pensavo non mi avreste
creduto." Scosse la testa. "Siamo la tua
famiglia. Devi avere un po' più di fiducia in noi."
disse.
Lo guardai. "Lo so, sono stata un'idiota."
"Beh, forse un po'." Rise, per alleggerire
la pesante atmosfera. "Ma non devi giustificarti, immagino che tu fossi
impaurita e sconvolta, anche dopo tutto quel tempo."
"Sì. Mi è dispiaciuto solo sconvolgere tutto.. la
nostra famiglia..."
"Non è colpa tua, ma sua. E' lui nel torto, è lui che l'ha voluta
sconvolgere. Tu.. è come se fossi stata una specie di
vittima, tu hai dovuto pagare per tutti noi, è questo è terribile.."
Cercai di annuire e lo guardai. "E adesso?" chiesi.
"E adesso.. ricominciamo daccapo. Insieme, ce la
faremo. L'importante è che tu non soffra più."
Annuii. Edoardo mi abbracciò stretta, carezzandomi la
schiena, io lo strinsi a mia volta, appoggiando la testa sulla sua spalla. Ero
tutta dolori, non riuscivo a muovermi senza che un muscolo mi facesse male. Mi
lasciai cullare da mio fratello.
"Immagino che tu non ti sia tagliata per questo."disse, sciogliendo l'abbraccio e guardandomi negli
occhi.
Feci segno di diniego. "No, il motivo è ben
altro." Mi guardò con aria interrogativa. "Posso sapere perché..?"
Deglutii. "Per Alex." Solo dopo averlo detto, mi resi conto di aver
pronunciato il suo nome.
"Alessandro..?"
"Edoardo, io lo amo, lo amo così tanto che morirei per lui." dissi tutto d'un fiato.
Mi guardò con espressione serissima. "E lui ti
ama?"
"Non credo."risposi.
"Sa che tu lo ami?" chiese ancora.
"Non così. Non gliel'ho mai detto con tono tranquillo,
né gli ho fatto capire quanto. Penso che non sappia quanto
conti per me."
Sospirò, guardandomi. "Non t'aspettare che tutte le cose t'arrivino da
sole come manna dal cielo. Devi lottare. E anche se perderai, potrai dire di aver lottato."
Il suo ragionamento, in effetti, non faceva una piega. "Io l'ho
perso."
"E allora riprenditelo, Adrienne. In nome dell'amore che dici di provare
per lui."
Lo fissai intensamente e dopo un'infinità di tempo, annuii.
Sorrise, e mi diede un bacio sulla fronte.
"Riposati, sorellina. Ti chiamo quando è
pronto." Si alzò dal letto, e gli sorrisi con aria dolce.
Mi sembrava di essere di nuovo piena di speranza, dopo
quella chiacchierata. Se volevo una cosa, avrei dovuto
lottare. Potevo farlo, in effetti. E io volevo Alex.
Anche solo per riacquistare la sua amicizia, per riacquistare la voglia di
vivere, perché.. perché avevo un terribile bisogno
di lui.
e anche questo è un capitolo
forte.. ripeto, mi spiace se continuo a turbare la sensibilità di qualcuno.. ma purtroppo queste cose accadono REALMENTE e
la povera Adrienne ha subito, sì, questo è vero.. ma la felicità che le è stata
tolta le tornerà indietro?
siamo quasi alla fine, davvero, tutti i vostri dubbi verranno sciolti.
ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito fin’ora
e che apprezzano la mia storia, nonché quelle che l’hanno aggiunta nei propri
preferiti (72!) (: grazie, davvero.
Oasis: ebbene sì! ci voleva una bella scossa alla storia.. non poteva rimanere
tutto uguale ehehe! Cry90: sì, anch’io sono d’accordo con la citazione di Pascal. è molto veritiera ed anch’io
ci convivo quasi ogni giorno. Passando al resto del tuo commento: sì, il padre di Adrienne è davvero un uomo viscido.. ma come ho già
ripetuto, purtroppo persone così ne esistono davvero. e
ringrazio che a me non sia assolutamente capitato qualcosa del genere. Penso
che anche Eric si sia trovato in una bruttissima situazione, è vero, ma quella
che ha sofferto di più in tutto questo è stata la nostra Adrienne. beh, comunque sia mi piacciono sempre le tue riflessioni e
spero che anche questo capitolo abbia suscitato qualcosa in te! (:
giulietta_cullen: allora!ti ho sconvolto..
lo immaginavo xD i colpi di scena riducono sempre le
persone così! ahah! Edoardo è davvero un ragazzo d’oro,
sì (come si vede anche in questo capitolo) e la nostra povera Adrienne,
nonostante tutto, adesso ha addosso una corazza di
acciaio, dopo tutti questi brutti avvenimenti. forse
questa è l’unica cosa positiva! la storia è quasi
giunta al termine, mi dispiace.. però.. =P
bribry85: nuova lettrice e commentatrice! ne sono
lusingata! allora.. forse ho un po’ esagerato sì, ma
qui non si parla di una semplice cotta ma di un amore che va molto più a fondo,
al di là di queste cose.. pensavo d’averlo reso bene, come concetto xD Eric e Melissa sono sicuramente due personaggi
fondamentali e molto interessanti nella storia.. anche perché – non so se l’avete
notato – sono praticamente uguali! =P Beautiful manco me
lo vedo io, lol! Mi fa piacere che
anche tu tifi per Adrienne/Alex (: Gingerly: sono d’accordo! Adrienne mi fa
pena, ma le cose dovevano per forza andare così. al prossimo commento (: Nanako: ehi! spero ti collegherai in tempo per
leggere il nuovo capitolo! ahaha
come ho già detto Beautiful io manco me lo vedo! l’idea
della sorella di Eric non era neanche niente male ahaha..
ma poi si rasentava il ridicolo! XD Tu sei una delle poche che tifa Adrienne/Eric.. vedrai come andrà a finire!
utopia_B612: ciao, e “benvenuta”! mi fa davvero
molto piacere che la mia storia ti sia piaciuta così tanto e ti ringrazio per i
complimenti. naturalmente sono sempre ben accetti! continua a seguirmi allora (:
DarkAngel90: ahaha no purtroppo no.. se c’era
anche lui, diventava davvero un bel casino, temo XD al prossimo capitolo *_* Ethlinn: onestamente? non
ci ho pensato molto, a tutti questi intrecci.. mi è venuto tutto così, di
getto, mentre scrivevo.. ed è questa la cosa davvero bella xD
l’idea della fine da far fare al padre di Adrienne o a Melissa mi piacciono.. ma
poi la storia sarebbe stata troppo sconclusionata! XD naaaah.. continua a seguirmi per sapere come va a finire, manca
poco (:
L'indomani mi sembrò di
riprendermi appena. In realtà mi sembrava solamente che l'orribile esperienza
del giorno precedente fosse un sogno, o meglio, un incubo. Spesso lo sognavo,
sì, dato che liberarmi di mio padre per sempre era diventato uno dei miei
desideri più sfrenati, e svegliandomi credevo che fosse tutto vero. Ma poi scendevo per la colazione e trovavo mio padre seduto
a capotavola, in cucina. Quella mattina accadde la stessa identica cosa; con
l'unica differenza che quando scesi in cucina trovai ad aspettarmi solo mio
fratello e mia madre. Non avrei dovuto essere felice,
no. Mio padre mi aveva picchiata, era andato via di
casa senza lasciare dietro di sé un numero di telefono o un indirizzo. Il
consumo di fazzoletti in casa mia era alle stelle: mia
madre piangeva spesso, anche se solo vedeva qualche sua foto nei soprammobili o
qualche sua camicia nella roba da lavare. Spesso veniva da me e mi abbracciava
all'improvviso, carezzandomi la testa e mormorando che le dispiaceva
infinitamente. Mi sentivo malissimo per lei, era una donna splendida e non si
meritava di stare così male, in modo particolare per uno
come lui, mio padre. Edoardo mi ripeteva sempre che prima o
poi le sarebbe passata, e che dopo la gioia c'erail dolore e viceversa. Lui e la sua mania di
riportarmi alla ragione.
Durante quei mesi mi accorsi di essere cambiata in maniera irriconoscibile. Non
sono fisicamente-
ero cresciuta di qualche centimetro, raggiungendo un misero 1.67, e i miei
ormoni sembravano essersi dati una svegliata-, ma in maniera evidente e
radicale, come carattere e modi di fare. Ne avevo
passate talmente tante, ormai, che mi sembrava di essere più matura, più
responsabile, più consapevole delle cose che succedevano e di quello che volevo
fare. Mi ritrovai a pensare a cosa voler fare nel mio futuro, anche se mi
mancavano un paio d'anni per diplomarmi e uscire dal liceo. Mi sarebbe piaciuto
viaggiare. Fare la giornalista? No, m'imbarazzavo facilmente. L'unica cosa che
mi sarebbe piaciuta fare era intraprendere la carriera di scrittrice. In fondo,
ero io quella che alle elementari scriveva senza fare
errori e stupiva le maestre. Scrivere mi piaceva, anche troppo. Era mettere a nudo le proprie emozioni, aprire sé stessi a
chiunque leggesse quel che scrivi. Era come aprire una ferita ricucita e
lasciare uscire il sangue, e osservarlo scivolare via.
Avrei dovuto esercitarmi, se era quel che avrei voluto
fare nella vita. Ma scrivere cosa poi? L'inventiva mi
mancava decisamente; ma qualche parte avevo letto che
spesso alcuni scrittori prendevano spunto da vite reali, anche dalle proprie.
Io non avrei potuto farlo, ero sicura che ne sarebbe
venuto fuori un polpettone pesante, impossibile da leggere. No, in realtà
sembrava una di quelle telenovelas spagnole scadenti.
Questo pensiero mi rese enormemente triste. Ma in fondo, una parte di me continuava a gioire
perché mio padre era finalmente sparito dalla mia vita. Bastava solo che
passasse un po' di tempo, e tutto avrebbe magicamente preso
il suo equilibrio, come prima.
Dopo una doccia e una colazione veloce, io ed Edoardo
ci incamminammo insieme verso la scuola. Era elettrizzato: fra due settimane
sarebbe stato il suo diciottesimo compleanno. Stava organizzando tutto a
puntino: il posto, il rinfresco, la musica, gli invitati. Io lo aiutavo a
chiamare la gente per invitarla e a scegliere qualche decorazione originale.
“Non vedo l'ora che arrivi quel giorno.”disse, con un grande sorriso sul volto.
Sorrisi. “Beh, ci credo. Tra l'altro devo ancora trovare un vestito adatto.” osservai.
Ero decisa a fare bella figura.
“Starai bene comunque. Io
invece devo ancora decidere il mio regalo!”
Lo guardai, aveva gli occhi che gli brillavano. Scoppiai a ridere e gli misi un
braccio attorno alle spalle, e camminammo l'ultimo pezzo di strada per la
scuola ridendo come due cretini. Mio fratello era una delle poche persone che riusciva a farmi ridere, sempre, e io l'adoravo per questo.
Al suono della campanella, fummo costretti a dividerci. Entrai in classe. Ero
serena, ma il pensiero che avrei rivisto Alex mi
metteva parecchio su di giri. Lo amavo più di prima, se era possibile amarlo
più di quanto non lo facessi già, e avevo veramente bisogno di rivederlo.
Di tanto in tanto lanciavo delle occhiate alla porta dell'aula, sperando che
entrasse. Aspettai, sussultando ogni volta che vedevo con la coda dell'occhio
qualcuno entrare.Aspettai,
aspettai. Finché Melissa entrò in aula, da sola, con
un'espressione furibonda sul volto e con passo veloce.
Rimasi spiazzata. Perché non era Alex con lei? Che fine aveva fatto? Ma, mi
ripetevo, sarebbe arrivato. La mia felicità e la mia speranza si trasformarono
in delusione quando la professoressa entrò in classe,
verso le nove meno venti, e chiuse la porta dell'aula. Alex non era venuto, non c'era.
Melissa era profondamente arrabbiata, irritata, urtata; o almeno così sembrava.
Mi chiesi se questo suo atteggiamento implicasse l'assenza di
Alex, o qualcosa che lui le aveva detto o fatto. Magari avevano
litigato. Magari, pensai con una punta di malizia, si erano lasciati.. O magari era tutta una coincidenza.
Non seguii bene la lezione, troppo impegnata a pensarci su e a chiedermi perché
diavolo Alex non fosse lì, era strano che mancasse. Ero di
nuovo triste e sconsolata. Ma in un modo o
nell'altro, con questo pensiero che mi ossessionava, la giornata passò. Dopo cinque ore rinchiusa in quella prigione che era la mia aula,
presi lo zaino in spalla e al suono della campanella uscii all'aria aperta,
riversandomi nel cortile insieme a tutti gli altri studenti del liceo.
Stare all'aria aperta mi faceva bene ed ero contenta di poter tornare a casa
per rilassarmi un po', anche se avrei dovuto aspettare l'indomani per rivedere
Alex. Sempre se sarebbe venuto. Mentre camminavo verso i cancelli dell'uscita, vidi Melissa
sfrecciarmi davanti, i capelli biondi che ondeggiavano dietro di lei. Non
riuscii a guardarla in viso, e lei non mi degnò di uno sguardo. Mi fermai un
attimo per lasciarla passare, e fra le tante persone che passavano davanti a
me, individuai un volto familiare seduto sul solito muretto al
di là della strada.
Il cuore mi schizzò in gola. Mi feci rapidamente spazio fra la gente,
spingendola quasi, e arrivai davanti ai cancelli di ferro aperti. Guardai
meglio, sempre col cuore in gola.
Alex era seduto sul muretto di pietra. Portava una felpa pesante a righine grigie e verde militare,
col cappuccio, e un paio di jeans sbiaditi sulle ginocchia. Aveva una gamba
sotto di sé, e l'altra lasciata a penzolare lungo il muretto. A fargli
compagnia c'era una delle sue migliori amiche, una sigaretta. La teneva fra
l'indice e il medio, con il gomito appoggiato sul suo ginocchio. Aveva le
labbra un po' socchiuse e un ciuffo di capelli sugli occhi, mentre l'altro occhio era scoperto e guardava altrove, di lato. Portò la
sigaretta alle labbra e inspirò lentamente. Mentre lo
faceva, il suo sguardo cambiò direzione e si posò su di me. Mi fissò.
Rilasciò il fumo in aria, e mi sorrise a trentadue denti. D'istinto, gli
sorrisi anch'io, raggiante, e con una voglia pazzesca di mollare tutto e
correre verso di lui, e abbracciarlo fino a spezzargli
le costole. Del resto, questa volta non c'era Melissa fra me e lui, e nessun
altro. Il cuore ridiscese giù e prese a tamburellarmi sul petto. Alex gettò la
sigaretta a terra come se niente fosse, si ripulì le mani sbattendosele sui jeans, e poi tornò a guardarmi.
Sorrideva, e molto lentamente fece quella mossa che mi faceva
impazzire: si spostò i capelli dagli occhi con una mano, scoprendo l'altro
occhio. Mi guardò ancora sorridendomi con un'aria che mi sembrò soddisfatta.
Mi morsi il labbro inferiore, e deglutii, mentre il cuore batteva sempre più
forte, all'impazzata.
Alex si alzò e avanzò verso di me, sorridendomi. Avanzai anch'io, e quasi lo
raggiunsi, sorridendo dolcemente e fissandolo. Ero a dieci centimetri da lui,
sul marciapiede. Rimanemmo in silenzio per un'infinità di tempo, guardandoci
soltanto. Attorno a noi c'era quel vociare di ragazzi e ragazze che uscivano da scuola, allegri; c'era qualche rumore di clacson d'auto o
di marmitte, di motorini truccati: ma come sempre, come quando ero con lui,
quando stavo di fronte a lui o gli stavo vicino, non sentivo più nient'altro,
se non il suo respiro, e il mio. Vedevo praticamente i
miei occhi verdi riflessi nei suoi occhi nocciola.
Sprofondò le mani nelle tasche, squadrandomi. Cercai di trovare qualcosa
d'intelligente da dire, ma avevo un groppo in gola e un blocco mentale.
Deglutì, e sorridendo aprì la bocca per parlare.
“Adrie..” iniziò, ma
qualcuno mi picchiettò bruscamente sulle spalle.
Alex si zittì all'improvviso e la sua espressione cambiò radicalmente,
diventando seria. Mi voltai, e la professoressa di scienze mi guardò in
cagnesco. La guardai interrogativa. Che voleva?
Proprio in quel momento, maledizione!
“Signorina, posso parlarle un attimo?”Fece una pausa, guardò Alex. “In
privato.” aggiunse.
Deglutii e guardai Alex voltandomi un po' verso di lui. “Ma io..” iniziai.
“Ci vorrà solo un attimo!” continuò la professoressa, con aria insistente.
Mi prese per un braccio, trascinandomi via da Alex. Io
mi voltai a guardarlo completamente. Era serissimo. Gli feci cenno d'aspettare
con la mano, ma lui sorridendomi alzò le spalle come a dirmi 'Non importa'. Si
voltò e dandomi le spalle, fece per andarsene. Ci rimasi malissimo e sospirai
triste; poi invece mi arrabbiai, specialmente nei confronti della mia
professoressa. Mi portò al lato dei cancelli e mi guardò severamente.
“Adrienne, non ho ancora avuto il suo progetto di scienze.”
esordì.
Trattenei il respiro. “Mi scusi, ma ho avuto dei problemi in famiglia e non ho po..”
Scosse la testa, interrompendomi. “Niente scuse, signorina. Ho lasciato quel
progetto due mesi fa e non intendevo richiamarla più..”
Non ascoltavo. Ripensai alle parole di Edoardo, che mi
diceva che dovevo lottare e riprendermi Alex. Non credevo moltissimo nelle sue
parole, ma in quel momento decisi di farlo, sì. Più tardi l'avrei richiamato e
gli avrei chiesto se potevamo rivederci.. ero sicura
che non avrebbe potuto rifiutare, e non stavo più nella pelle. Alex si era
avvicinato per parlarmi, e mi aveva sorriso. Non potevo quasi crederci, per
quanto questa cosa potesse risultare banale o
patetica.
“..non intendo neanche lasciarle quell'insufficienza
che potrebbe rovinarle la sua media quasi perfetta. Quando pensa
di potermelo fare avere?”
Mi risvegliai dai miei pensieri, e la fissai. “Ehm. Due settimane? Non ho
ancora idea su che cosa farlo.” Mi guardò anche lei
con aria ancora severa, poi cedette. “D'accordo. Ma
l'avverto, è l'ultima chance.”
Annuii. “Sì, grazie mille.”
Grazie, ma di che? Mi aveva lasciato sfuggire Alex. Non m'importava niente di
quello stupido progetto che già mi aveva procurato tanti guai. Mi perseguitava.
La professoressa mi salutò e andò via. Rimasi a guardarla sparire fra la folla,
mentre ancora altri ragazzi mi passavano davanti. Dopo qualche minuto in
contemplazione, mi risvegliai di nuovo e mi mossi, avviandomi verso casa, con
la testa leggermente fra le nuvole.
***
Spinsi la pesante porta ed entrai. Un rumore di voci, stoviglie sbattute, e un
calore diffuso mi avvolsero, accogliendomi. Chiusi la porta dietro di me e poi mi avviai verso il bancone. Come
sempre, Rosa mi accolse con un grande sorriso a
trentadue denti. Io sorrisi a mia volta, ma con meno convinzione.
“Scusa il ritardo, Rosa, ma mi sono accorta che erano le sei
quando sono uscita da casa e..”
“Ma non preoccuparti, hai solo venti minuti di ritardo.” mi
interruppe. Mi pare di scovare una punta di sarcasmo in ciò che aveva appena
detto, ma decisi di sorvolare. Sorrisi ancora cercando
di sempre gentile come sempre, e poi rimasi in silenzio giocherellando con le
mani, nervosamente.
“Ascolta, Rosa..”
“Dimmi.” rispose lei, guardandomi interrogativa.
“Credo di avere i soldi necessari per quello che mi serviva, sai.. Ho avuto dei
problemi in famiglia e adesso il pomeriggio avrò altri impegni. Quindi devo
licenziarmi..” dissi d'un
fiato, e fissandola.
Rosa rimase un attimo in silenzio, fissandomi, poi annuì.
“D'accordo. Ti direi una bugia se ti dicessi che non
mi dispiace: eri davvero perfetta.” disse.
“Purtroppo ne sono stata costretta.”
Il che era vero, ma solo in parte. Mi stavo licenziando anche perché non volevo
più vedere Eric. Rosa annuì di nuovo. Io rovistai dentro la borsa a tracolla
che indossavo, e ne uscii la maglietta nera del locale. Gliela porsi per
restituirgliela, ma lei scosse la testa e la rifiutò.
“Tienila se vuoi.. ne ho a centinaia.”
Risi e poi riposai la maglietta dentro la borsa, ringraziandola. Non mi dava
fastidio tenerla con me, anche se non volevo più indossarla. Pensai che fosse
il momento giusto per andarmene, prima di incontrare qualcuno che non volevo.
Ringraziai Rosa ancora una volta, “E' stato un piacere per me..”
Rosa s'illuminò all'improvviso e si sbatté una mano sulla fronte.
“Ah! Quasi dimenticavo!”
Si frugò in tasca e dopo un po' mi consegnò una banconota da cinquanta. “Il tuo
stipendio della scorsa settimana.” Spalancai gli
occhi. “Ma io mi sono appena licenziata..” Rosa fece
una smorfia. “E io sono una persona onesta..” ribatté, con una punta di irritazione nella voce. Capii di
essere stata scortese e mi scusai. Lei sorrise, come se non fosse successo niente.
“Figurati. Dai, prendili, ti spettano di diritto.”
Ringraziandola per l'ennesima volta li presi e li infilai nella tasca dei jeans. Allora mi voltai per andarmene, con il sorriso
fra le labbra, e inchiodai Eric, che stava dietro di
me e mi guardava. Sussultai e arretrai, sbattendo la schiena contro il bancone
di legno.
“Eric!” esclamai.
Eric fede una specie di mezzo sorriso. “Ti stavo aspettando, Adrienne..”
Io non risposi, lui mi guardò. “Perché non hai addosso la
maglietta del locale?” chiese, indicando il mio maglione rosso a costine che
portavo sotto la giacca.
“Io non lavoro più qui.” risposi, con aria seria.
Lui sgranò gli occhi, guardandomi. “Come sarebbe a dire..”
mormorò. Continuò a guardarmi, poi fece una smorfia.
“Adrienne, se è per quello che è successo, io..”
“Tu cosa?”
“Io non c'entro niente con quello che ha fatto mia madre..”
Alzai le spalle. “Soltanto sapere che tu sei suo figlio mi fa male. Quella
donna mi ha rovinato la vita.”
Mi fissò con aria seria. “Quindi, vuoi evitare me..”
Sospirai. “Avevi ragione, Eric. In un modo o nell'altro, i
nostri destini sono intrecciati, come abbiamo potuto vedere con i nostri occhi.
Melissa, lui, e poi tua madre.. Ma
personalmente non voglio che si scontrino ancora e s'intreccino ancora di più.”
Eric continuò a fissarmi, socchiudendo le labbra, con espressione persa, poi
corrugò la fronte in un'espressione triste. “Vuoi dire
che è tutto.. finito? Basta? Non c'incontreremo più?”
Annuii. Eric continuava imperterrito a fissarmi, senza parole, con
sguardo ancora assente, vacuo.
“Lo so che ti sta facendo del male, Eric..”
“No, ti sbagli. Non mi sta facendo del male. Mi sta uccidendo..”
Abbassai lo sguardo, sentendomi una schifezza e deglutendo. Eric mi prese il
viso dal mento e me lo rialzò.
“Cazzo Adrienne, non può finire così. Io ti amo..”
Lo costrinsi a lasciarmi, scostandomi di scatto, e lo fissai negli occhi. “..ma io no.” dissi, con decisione.
Eric rimase sconvolto un'altra volta, poi però assunse
un'espressione acida e s'incrociò le braccia attorno al petto. “Ma certo, certo. Come ho potuto essere così illuso da
pensare di avere anche una sola possibilità con te?”
Lo guardai, stringendo le braccia lungo il corpo. “Non
avrebbe mai potuto realmente funzionare, fra noi.”
dissi. Quella era una frase banalissima, scontata, ma in quel momento era
l'unica cosa che mi veniva in mente. Sapevo solo che, se qualcuno me l'avesse
detta, si sarebbe guadagnato un bel ceffone. Eric sbuffò, continuando a
guardarmi. “Ovvio. Troppa differenza di età, eh. In
fondo sono sicuro che quel ragazzo là saprà amarti più di me.” Quel commento acido su Alex m'irritò. Che
ne sapeva lui? Come si permetteva di parlarmi in quel modo su cose che ignorava?
“Ti stai comportando come un bambino.” esclamai.
“Non sono io che uso i sentimenti della gente, però.”
Gli rivolsi uno sguardo acido anch'io, alzando entrambe le sopracciglia. “Ma per favore, Eric. Non facciamo una sceneggiata.”
Sospirò. “D'accordo, Adrienne. Ma le cose non
cambiano, almeno non per me.”
“Mi odi?” chiesi, dopo un attimo di pausa.
Ci pensò su un secondo. “No. Lo vorrei, ma non posso farlo: è più forte di me.”
“Dimenticami.. questa è la fine.”
“A questo punto, spero di poterlo fare presto.”
Mi sentivo terribilmente in colpa. Forse ora capivo meglio come si sentiva Alex quando mi diceva cose simili.. sperando che anche lui
provasse sensi di colpa nei miei confronti.
Mi calmai un po', respirando profondamente. “Ciao, Eric.”
Lui mi guardò fisso, con aria terribilmente seria. “Ciao. Grazie di tutto,
Adrienne..”
Avrei voluto chiedergli il motivo per cui mi ringraziava, dato che lo stavo
facendo soffrire, ma decisi che era meglio non andare più a fondo, e farla
finita una volta per tutte. Sarebbe stato meglio per tutti e
due, soprattutto per lui. Senza rispondergli, me ne andai,
dandogli le spalle e scomparendo oltre quella porta massiccia.
penultimo capitolo. ecco la comparsa
di Alex. vi è piaciuta? so
che molti lo odiano, ma ammettetelo, ha il suo fascino!
ci tengo a precisare per l’ennesima volta – dato che molte di voi me l’hanno
chiesto nelle recensioni – che Adrienne è il alter-ego,
sì, ma la storia NON è autobiografica. passiamo ai ringraziamenti.
Gingerly: sì, finalmente si è levato dalle palle, almeno questo! quella
frase di Edoardo è davvero importante, e mi fa piacere che tu la prendi alla lettera
=P chissà che non ne esca qualcosa di buono! bribry85: è forte, ma hai ragione, adesso tutta la verità è venuta a
galla. che dire? spero che
questo capitolo ti sia piaciuto, allora!
Oasis: lol! lo è XD ma
adesso, guardiamo il lato positivo =P Nanako: ehi ehi! mi
sa che ti ho delusa, vero? la coppia Adrienne/Eric è
ufficialmente affondata. adesso lui è tutto tuo! =P giulietta_cullen: ho dovuto concludere il
rapporto Adrienne/Eric così. era impossibile che
nascesse qualcosa, o che rimanessero buoni amici. o
almeno io, non ce l’avrei mai fatta, e quindi ho riversato il tutto su
Adrienne. mi fa piacere che il capitolo ti sia
piaciuto, anche se ti ha sorpreso di meno. Era necessario che succedesse
qualcosa del genere, altrimenti il padre non si sarebbe mai
tolto di mezzo. DarkAngel90: ecco Alex! =P e
grazie per i complimenti! Troue_xxx: ahaha! speriamo che si risvegli qualcosa nella sua
testolina bacata! grazie! XD utopia_B612: ehi ciao! grazie mille per l’amicizia
su netlog (: mi ha fatto piacere! per
il resto: ti piacciono i lieto fine? non so se questa
storia l’avrà.. continua a leggermi, naturalmente, e grazie di tutto! apple92: devo ringraziarti per
tutti i tuoi numerosi commenti, davvero. grazie! dovrai
dividerti Edo con qualcun’altra mi sa.. =P per il resto: no, Adrienne non
dimentica, ma almeno adesso sa come si è sentito Alex. e
lui, beh, che dire, E’ un maschio stupido XD continua a seguirmi! Aika_chan: ciao! allora:
anch’io sono siciliana, quindi tranquilla per la “traduzione”, l’avrei capita
=P secondo: complimenti per l’esame e scusa se ti ho tenuta incollata allo
schermo fino a tardi! i tuoi complimenti mi hanno
fatto tantissimo piacere e li apprezzo moltissimo, non puoi capire quanto. Adrienne
ed Eric sono i personaggi più quotati, sai XD vanno forte! mentre
Alex.. c’è chi lo odia, c’è chi lo ama. mi piace il
fatto che dici che non sono banale nel trasmettere le emozioni. per me è una cosa importantissima, anche perché – come hai
giustamente detto tu – si è trattato di argomenti molto importanti e abbastanza
delicati. grazie, ancora!
volevo ringraziare tutti quelli che leggono e non commentano e chi inserisce la
storia nei preferiti (86!).. GRAZIE!
mi duole dirlo, ma siamo quasi al capolinea.
la prossima volta posterò l’ultimo capitolo, e l’epilogo.
vi terrò sulle spine un bel po’.. =P
a presto!
Era esattamente passata una
settimana da quel pomeriggio infernale. Il freddo pungeva sulle
pelle, provocando la pelle d'oca e i brividi; ma dava dolore e piacere,
perché rinfrescava come un temporale in un'afosa giornata d'agosto. La luna era piena, grande e maestosa, sorrideva in maniera
affascinante e un po' misteriosa. Attorno a lei le sue piccole figlie, le
stelle, brillavano e danzavano, scintillando in mille colori.
Osservai il cielo blu notte, rimanendo col naso all'insù. Era sera, forse
notte, non volevo controllare l'orologio per paura di scoprire che fosse troppo tardi; dovevano essere quasi le undici. Non
avrei dovuto essere fuori di casa a quell'ora, da sola, seduta su una panchina
di un parco buio, dove qualche maniaco avrebbe potuto nascondersi dietro un
cespuglio, pronto ad aggredirmi. Ma non m'importava:
proprio da quel pomeriggio vivevo tutto all'attimo. E poi quel parco era quello che tre anni prima aveva segnato la mia vita, e stare
lì mi aiutava terribilmente a riflettere.
La panchina di ferro era gelida nonostante ci fossi già seduta da una ventina
di minuta. Ma forse ero io, che oltre ad una felpa pesante e i
jeans, indossavo soltanto la mia sciarpa colorata. Avevo avuto bisogno di tempo
per riflettere, per stare un po' con me stessa e con la mia famiglia, e infine
per curarmi le ferite - in senso letterale e non.
Alex non si era fatto più vedere. O meglio, a scuola
lo incontravo, incrociavo il suo sguardo, ma non ci parlavamo. Ogni volta che
prendevo il coraggio a due mani e mi avvicinavo a lui per potergli parlare, si
allontanava via. Mi evitava. Nonostante mio fratello
mi avesse detto di combattere per riprendermelo, ci rinunciai, convinta di
averlo perso in maniera definitiva. Magari quel giorno non era in sé, magari si
era pentito di aver cercato di parlarmi, magari non voleva più riallacciare i
contatti con me, essere ancora mio amico. Mi faceva ancora soffrire, ma dopo
tutti quei mesi mi ero quasi abituata a quel silenzio, e al fatto che fosse
ormai troppo irraggiungibile, e impossibile da riprendere.
Giocherellai nervosamente con le frange della mia sciarpa, guardandomi attorno.
Ero avvolta dal silenzio, si sentiva soltanto qualche clacson in lontananza, e
ad illuminarmi c'era un lampione con la luce bianca a diversi metri da me; ero nella semi oscurità. La sensazione di essere lì, da sola,
esposta ad ogni pericolo, azionava in me un meccanismo
strano, fatto di sensazioni contrastanti: pericolo, adrenalina, felicità.
Dovevo aver sbattuto la testa da qualche parte.
Mi appoggiai meglio alla panchina, sospirando, cercando di rilassarmi; ma capii
subito che era impossibile: sentii dei rumori dietro di me. Cercai di capire meglio, sforzando l'udito. Sembravano dei passi,
ma magari era solo una stupida sensazione. Cercai di pensare ad altro, ma i
rumori erano sempre più forti e quindi, vicini. Ero stanca di
altri guai, e mi preparai a scappare via in caso di pericolo.
La causa del rumore spuntò accanto a me, e per poco non ebbi un collasso. Lo
guardai, trattenendo il respiro.
Alex. Alex era accanto a me, e mi guardava.
"Adrienne?" chiese.
Il cuore mi andò all'impazzata. Annuii, con un nodo in gola, incapace di
emettere un singolo suono.
Alex scivolò sulla panchina, poco distante da me, continuando
a fissarmi.
"Ciao." disse, con nonchalance.
Avevo aspettato tanto questo momento, il momento in
cui finalmente sarei ritornata a parlargli. Avevo riflettuto molto su cosa
dirgli, come 'Mi sei mancato', 'Non vedevo
l'ora che mi parlassi', 'Ho aspettato tanto questo momento', ma alla fine
dissi soltanto: "Ciao."
Avevo la voce che mi tremava, e mi sentivo le farfalle dentro lo stomaco. In
quel momento mi sembrò di essere felice. Mi voltai a
guardarlo, e notai i suoi occhi nocciola attraverso i capelli neri. Deglutii,
poi chiesi: "Che ci fai qui?"
Mi guardava anche lui. "Sono passato da casa tua, tuo fratello mi ha detto che eri qui, e sono venuto a cercarti."
Fui tentata di chiedergli il perché, ma all'ultimo mi fermai. Non sapevo cosa
dire, dove iniziare - i pensieri e le sensazioni erano troppe e si
accavallavano dentro di me; e pensandoci bene, mi mancava anche il fiato.
"Mi ha detto anche quel che è successo."aggiunse, quasi ripensandoci.
Deglutii. "Ah, sì?"
Sperai che Edoardo non gli avesse detto tutto quello che avevo detto io a lui.
Arrossii al solo pensiero, ma continuai a guardarlo, decisa a non volermi
perdere neanche un suo solo movimento.
"Sì." Alex assunse uno sguardo triste e dispiaciuto. "E avrei
voluto saperlo prima per aiutarti.. Perché non mi hai
detto niente?"
Sospirai. Cosa avrei dovuto dirgli? Non ci parlavamo
più, non avrei potuto rispuntare all'improvviso da lui
ed esordire con un 'Sai, Alex, mio padre mi ha picchiata perché ho detto
tutta la verità'. Così non risposi, e alzai le spalle, e cadde il silenzio.
Alex non mi tolse gli occhi di dosso, io invece abbassai lo sguardo,
arrossendo. Si frugò in tasca, e ne estrasse un
pacchetto di sigarette e un accendino. Ne prese una, la mise fra le labbra, e l'accese. Non gli dissi di spegnerla, e rimasi un'infinità
di tempo a guardarlo fumare, mentre lui mi guardava
fisso, e mentre il fumo disegnava strani ghirigori nell'aria. Quando la
sigaretta fu quasi finita, parlò di nuovo.
"C'è una cosa che devo dirti da tempo, Adrienne." disse.
Lo guardai ancora. "Cosa?" dissi con aria
incuriosita.
Alex buttò la sigaretta a terra, e come al solito, la
spense schiacciandola con un piede.
"E' molto semplice." Rialzò lo sguardo su di me, e mi guardò dritto
negli occhi, con aria serissima.
"Io ti amo."
Spalancai un po' la bocca, guardandolo. Avevo sentito bene? Il mio primo
pensiero fu quello di gettargli le braccia al collo, il secondo che mi stesse prendendo in giro. Non capii più niente, e allora
scoppiai a ridere.
Lui sorrise con aria stupita, e mi guardò mentre
ridevo. Incrociò le braccia al petto. "Così mi offendi. Ho appena detto che ti amo, e ridi?"
Mi calmai, però continuando a sorridere. "Puoi davvero amarmi dopo tutto quello che mi hai fatto..?" chiesi.
Alex tornò serio. "Lo so, è difficile crederlo.
Sono stato un perfetto idiota." disse.
Annuii. "Un po'."
Sorrise. "Avrei dovuto farlo due anni fa."
Deglutii, fissandolo. "Cosa intendi..?"
Sorrise ancora, poggiando le mani sulla panchina. "Sono innamorato di te
da sempre. Praticamente dal primo momento che ti ho
vista. Non l'hai capito da come ti ignoravo?"
Il respiro mi mancò e arrossii. "E.. e
Melissa..?"
Alex sorrise ancora. "Ti ho detto una bugia
grandissima, Adrienne, quando ti dissi che ero innamorato di lei e non di te.
Di Melissa ci si può invaghire.. di te, ci si può innamorare."
Temetti di morire in quell'istante. "Ti ha lasciato?" chiesi.
Scosse la testa. "L'ho lasciata io."
Deglutii. "Per me..?"
Annuì. "Solo per te. Non potevo più sopportare di mentire a me stesso, a
lei, e soprattutto a te. Ti prego di perdonarmi, per tutto il male che ti ho
fatto.."
L'avevo già perdonato. Irradiavo felicità da tutti i pori, ed ero talmente
felice che non sapevo che dire. Non avrei mai pensato una cosa del genere, mai
più. Era un sogno.
Alex s'avvicinò a me, fissandomi. Mi passò una mano attorno alla vita, e l'
appoggiò sulla mia schiena. Con la mano libera mi sfiorò leggermente il viso,
con le dita. Rabbrividii, e lo guardai, respirando leggermente. Aveva le mani
freddissime.
"Hai le mani gelide."osservai,
e lo guardai negli occhi.
"Mi succede sempre quando sono nervoso." disse.
"Non c'è niente da essere nervosi."
"Sì, invece. Sto per baciarti.."
Si avvicinò ancora a me, fissandomi le labbra, e inumidendosi le sue con la
lingua. Socchiusi gli occhi, e prima che realizzassi, premette le labbra contro
le mie. Mi baciò leggermente, con delicatezza. Io passai entrambe le braccia
attorno al suo collo, abbracciandolo, mentre lui teneva le mani sui miei
fianchi. Mi baciava lentamente, come se avesse paura di correre troppo.
Dischiusi leggermente le labbra, e lui fece lo stesso. Mi bacio di più, facendo
passare la lingua fra le mie labbra. Quando la mia incontrò la sua, sentii rabbrividire il suo corpo contro il mio.
Non si staccò dalle mie labbra mentre mi faceva
stendere lentamente sulla panchina ghiacciata; lui sopra di me, che si reggeva
sulle mani per continuare a baciarmi.
Lo lasciai andare, essendo rimasta senza fiato. Riaprii un po' gli occhi, e
incontrai il suo sguardo. Mi sorrise, e lo feci anch'io. Aveva ancora il viso
vicinissimo al mio, e stava ancora a cavalcioni su di me, con le mani vicino
alla mia testa.
"Esattamente come mi ricordavo." sussurrai.
Spalancò un attimo gli occhi. "Vuoi dire
che.."
Annuii, fissandolo. "Ricordo il nostro primo bacio. Il mio primo
bacio."
Arrossì furiosamente. "Sono stato un idiota, quella volta." ammise.
Io scossi la testa. "E' stato un bacio perfetto."
Rise, e mi baciò di nuovo, ripetutamente, dandomi tanti piccoli baci a labbra
socchiuse.
"Ti amo.." mi
sussurrò a fior di labbra.
Presi fiato e aprii di nuovo gli occhi, guardandolo. "Ti amo anch'io.." dissi, con un filo di
voce, diventando rossa.
Alex spalancò gli occhi mi guardò. "Puoi davvero
amarmi potuto tutto quello che ti ho fatto..?"
Ricambiai il suo sguardo e sorridendo annuii. "Non ho mai smesso di
amarti. Non l'hai capito da come ti evitavo?"
Alex mi sorrise, poi ci ripensò e mi guardò con
espressione seria. "..e quel ragazzo?"
chiese.
Alzai un sopracciglio, guardandolo. "Che
ragazzo?"
Continuò a guardarmi con aria seria. "Quello con cui stavi
sempre.. Alto, con i capelli biondi.. Che veniva a prenderti a scuola ed era
con te in quella pizzeria.." elencò lui.
Mi stupii che si ricordasse tutte queste cose. "Era solo un disperato
tentativo di poterti dimenticare."dissi.
"Non.. non l'ami? Non l'amavi?" chiese, titubante.
"No. Io amo te, Alex., in maniera folle. L'ho
sempre fatto, ogni giorno della mia vita, anche se ci ignoravamo
e facevamo finta di niente a vicenda.."
Quest'ultimo sorrise, sereno. Si spostò, ritornando a sedersi sulla panchina.
Io lo imitai, e non appena lo feci, lui s'avvicinò ancora e mi prese fra le sue
braccia, cullandomi, abbracciandomi, e facendomi appoggiare su di lui di
schiena mentre lui era appoggiato allo schienale della panchina.
Appoggiò il mento sulla mia testa, cingendomi la vita con le braccia. "E'
assurdo il fatto che siamo rimasti tutti questi mesi ad amarci, ma senza farlo
sapere all'altro. E sai, nonostante ci provassi, non riuscivo a smettere di
pensare a te.." disse.
Deglutii e socchiusi gli occhi, stringendolo. "Mi dici perché ti sei messo
con lei?" chiesi.
"Per paura di compromettere quello che c'era fra noi, la nostra splendida
amicizia, e di perderti definitivamente. Sono stato egoista,
direi. Avevo troppa paura, e questa mia paura ti ha portato a farti soffrire,
a farti del male..per
causa mia.. e perché speravo che tu mi odiassi e mi dimenticassi." rispose, d'un fiato.
"Sì, è vero. Ma non hai neanche la minima idea di quanto tu mi stia rendendo felice in questo momento.."
sussurrai.
Alex mi strinse più forte e lo sentii chinarsi un po' in basso. "Mi sei
mancata, lo sai questo?" mi sussurrò all'orecchio. Rabbrividi e sorrisi.
Avevo voglia di baciarlo. Mi spostai, e mi voltai a guardarlo. Poi lui parlò.
"Andiamo.." disse.
Si alzò dalla panchina, venendo davanti a me. Lo guardai interrogativa, e lui
mi sorrise. Gli presi la mano che mi offriva, alzandomi dalla panchina, e non
gliela lasciai più. La sua mano era ancora terribilmente
fredda. Intrecciai le dita con le sue e gli strinsi forte la mano per
riscaldarla, per quanto potevo. Camminammo un po' per il parco, mano nella mano, in silenzio. Era tutto buio, ad illuminarci c'erano degli sporadici
lampioni accesi per le aiuole, e la luce della luna piena.
Entrammo in un'aiuola e ci stendemmo entrambi sull'erba gelida, vicino ad un
albero, l'uno accanto all'altra. Cercai di non appoggiare le mani sull'erba per
evitare quella spiacevole sensazione di solletico. Con una mano mi scostò i
capelli che tenevo davanti agli occhi, mettendomeli dietro l'orecchio.
"Lo sai che lo odio.." disse
con un sorriso.
Io risi, e mi avvicinai a lui. Lo guardai negli occhi, e poi
appoggiandogli una mano sulla spalla, lo baciai sulle labbra. Persi il
conto dei baci. Pagine di baci. Letteralmente: pagine.
Avevo dimenticato cosa significava essere veramente felici. Avevo dimenticato
cosa significava avere qualcosa per cui avevo sofferto
e lottato tanto tempo. Ma di una cosa era certa:
volevo che non finisse mai.
Mi abbracciava, mi baciava dolcemente, mi carezzava il ventre e il petto, sotto
la maglietta. Mentre ero distesa sul prato e lui era
sospeso sopra di me, fece un gesto strano, forse involontario, come a volermi
sfilare la maglietta. Spalancai gli occhi e gli presi le mani. Lui mi fissò.
"Alex," dissi, "..atti osceni in luogo
pubblico."
Lui scoppiò a ridere. "Perché, hai veramente
intenzione di spingerti oltre i baci, adesso?"
Continuai a guardarlo e diventai color porpora. Lui rise divertito, e si stese
accanto a me sull'erba, intrecciando le mani dietro la testa. Ero felice, felice che nonostante adesso stessimo assieme,
potevamo ancora scherzare come ai vecchi tempi. Sorrisi timidamente con aria
imbarazzata, e poi guardai in alto.
Il cielo, nero, era coperto di piccoli diamanti bianchi, le stelle. Guardarlo
era uno spettacolo a dire poco mozzafiato: ti faceva sentire piccolissimo, una minuscolo particella al centro dell'universo. Ti faceva
dimenticare tutto il male che c'era, che avevi fatto o subito, ricordandoti che
al mondo c'erano cose meravigliose come quella. E un'altra cosa
meravigliosa era proprio al mio fianco, in quel momento.
Guardai le costellazioni, sembrava quasi che le stelle potessero unirsi tra di loro con una linea immaginaria.
Mi feci più vicina ad Alex, poggiandomi leggermente al suo fianco e poggiando una mano sul suo petto. Lui mi cinse le spalle con
un braccio e cominciò a intrecciare qualche ciocca dei
miei capelli fra le sue dita, mentre posò l'altra mano sopra la mia.
"Vorrei tanto che tu venissi con me, Adrienne." disse
Alex all'improvviso.
Spostai lo sguardo dal cielo e lo guardai con la coda dell'occhio. "Dove?" chiesi.
Fece una pausa e deglutì. "Ovunque. Non importa dove."
"Ovunque tu andrai, io ci sarò."gli dissi. "Ricordi?"
Annuì, sorridendo. "Prometti.. ovunque."
"Lo giuro. Ovunque." Intrecciò forte la mano con la mia, e si chinò verso
di me, inclinando la testa. Lo baciai leggermente, socchiudendo gli occhi,
mentre una brezza leggera ci carezzava , ci
abbracciava, e ci scompigliava i capelli.
Non avrei potuto immaginare un migliore lieto fine. E il finale, questo finale, appartiene solamente a te
e a me.
E' solo tuo e mio.
Epilogo.
Mi osservai nel solito specchio ovale di legno.
Il vestito nero mi arrivava alle caviglie, e mi faceva veramente molto magra. Probabilmente era l'effetto del nero, pensai, e
in fondo il risultato finale non era niente male. Mi voltai e girai un po' la testa per guardarmi meglio. Mi sembrava
appena di avere delle sembianze femminili, quella sera. Era il compleanno di Edoardo, e quella sera c'era la sua festa. Mi ero vestita
con l'abito che avevo comprato qualche giorno prima, e
ora mi studiavo allo specchio.
L'abito era rigorosamente nero, piuttosto lungo, con uno scollo quadrato e le
spalline larghe. Non aveva niente, era terribilmente semplice e mi piaceva
proprio per questo. Ai piedi indossavo un paio di ballerine- anch'esse nere - che mia madre mi
aveva costretto a comprare, dopo che aveva categoricamente respinto la mia idea
di indossare le solite All Star. Avevo i capelli sciolti, i riccioli mi
cadevano su tutte le spalle e avevo preferito non toccarli minimamente, sarebbe stato peggio. Indossavo anche un
piccola catena al collo e un braccialetto uguale, al polso sinistro.
Sospirai. Non mi sentivo completamente a mio agio con quell'abito lungo, e
avevo paura di sfigurare; ero sicura che tutte le altre ragazze alla festa
sarebbero state elegantissime e bellissime. Il posto scelto da mio fratello era
una piccola villetta all'aperto, con un ristorante e una sala da ballo.
Improvvisamente sentii la suoneria del cellulare squillare e la vibrazione fare
un rumore assordate sul mobile in cui l'avevo
appoggiato. Mi fiondai a prenderlo e dopo aver velocemente controllare il
display, risposi.
“Scendi, sono di fronte casa tua.” Mi infilai la mia giacca nera, mi diedi un'ultima
controllatina allo specchio e poi scesi rapidamente le scale e aprendo la porta
d'ingresso, uscii.
Alex era appoggiato al lampione di fronte casa mia. La luce arancione gli
pioveva addosso e alterava i suoi colori, facendogli risplendere i capelli
scuri con dei riflessi rossicci. Non appena uscii, mi sorrise.
Attraversai la strada e lo raggiunsi sotto al lampione,
unendomi a quella strana luce arancione. Quando gli fui vicina mi prese per mano e mi baciò leggermente sulle labbra, poi mi
guardò fisso, allontanandosi un po' e squadrandomi.
“Sei stupenda.” disse. Arrossi furiosamente, e
contemporaneamente feci una faccia scettica, lui rise. “Dico davvero..” Continuai ad arrossire. “Grazie..”
Lo guardai anch'io. Aveva addosso un paio di jeans
larghi, neri, con una catena sul lato destro. Poi sotto il giubbotto aveva una
camicia grigio scuro e una cravatta nera. Stava bene, era nel suo stile, anche
se con aria divertita pensai che tutti e due eravamo
praticamente vestiti a lutto.
“Anche tu stai bene.” osservai, sorridendo.
Lui mi fece una linguaccia. “Come sempre, del resto.”
Scoppiò a ridere quando individuò il mio sguardo
acido. Tenendoci per mano e parlando del più e del meno, c'incamminammo verso
il luogo della festa, che fortunatamente non distava troppo lontano da casa mia.
Dopo una mezz'oretta arrivammo. Entrammo nel giardino,
e individuai mia madre, in un grazioso completo blu, e la raggiunsi. La villa
era grande, con un immenso giardino curato in cui la festa si svolgeva. Da una
parte c'erano i vari tavoli per gli invitati, e un po' più in là una pista da
ballo con il pavimento in pietra, con luci psichedeliche e una consolle per il dj. C'erano tantissime aiuole verdi con
un'infinità di rose bianche, i miei fiori preferiti in assoluto.
“Ciao mamma!” esclamai, avvicinandomi a lei.
Lei sorrise. Adesso stava decisamente meglio, si era
ripresa, e i preparativi per la festa l'avevano aiutata a distrarsi parecchio. Anche se non sorrideva molto spesso, e per me quando lo
faceva era una gioia immensa.
Mia madre mi baciò sulla guancia e fece lo stesso con Alex.
“Ciao, ragazzi.”
Sapeva che stavamo assieme, anche se io non le avevo detto
niente. Intuito, credo. In fondo le mamme riescono sempre a capire queste cose.
Alex sorrise con aria timida e io ridacchiai. “Dov'è
Edoardo?” chiesi.
Mia madre alzò le spalle e fece un'espressione perplessa. “L'ho perso di vista.
Sarà impegnato con gli invitati, credo.” Tra parenti e suoi amici, eravamo
quasi una sessantina di persone. Sì, mio fratello aveva deciso di fare le cose
in grande.
“Vabeh, lo beccherò dopo allora.”
Salutai mia madre e io ed Alex girammo per il
giardino, passeggiando, allontanandoci dagli altri.
“Mi pare che l'ultima volta che siamo andati ad una festa assieme non sia
andata troppo bene.” osservò lui, ridendo.
Risi anch'io e lo guardai. “Tranquillo, con mia madre
nei paraggi non potrò ubriacarmi..”
S'unì alla mia risata e mi guardò. Mi prese per mano e
passeggiammo, stando in silenzio, l'unico rumore era il vociare di persone, una
musica di sottofondo molto lontana, e.. dell'acqua. Svoltammo all'angolo di
un'aiuola e inchiodammo in una fontana di marmo bianco, con acqua che sgorgava
e zampillava dal centro e con dei fari sott'acqua che la illuminavano.
“Ma quanto ha pagato tua mamma per questo posto? Pure la fontana!” scherzò
Alex, facendomi ridere. Poi lo guardai.
“Non è romantico?” dissi sorridendo. Alle mie parole, nelle aiuole si accesero
un sacco di lucine bianche incastonate in esse,
sembravano quelle degli alberi di Natale.
Alex mi fissò e rise piano. “Perfetto, pure gli effetti speciali a comando.”
Mi prese per un polso e mi attirò a sé. Facendomi camminare all'indietro, mi fece appoggiare al bordo della fontana, che era un po' più
bassa di me. Standomi di fronte, mi prese il viso fra le mani e cominciò a
baciarmi. Chiusi gli occhi e appoggiai entrambe le mani sui suoi polsi e
lasciai che mi baciasse, ricambiandolo, e avendo una paura pazzesca di fare un
bagno fuori programma. Passò una mano sulla mia schiena, reggendomi, e mentre
continuava a baciarmi si inclinò apposta all'indietro,
facendomi sporgere di schiena all'acqua. Sentii le sue labbra inclinarsi
all'insù in un sorriso sotto le mie. Lo lasciai andare, e riaprendo gli occhi lo guardai.
“E se ti lasciassi andare?” disse ridendo, con un'aria di sfida.
“Non lo faresti..” ribattei fissandolo negli occhi,
sorridendo.
“Proviamo? Potrei anche farlo..” e rise ancora,
facendomi chinare di più. Gli poggiai entrambe le mani sul petto e lo presi per la camicia, stringendo la stoffa fra le mani e
afferrandolo.
“Se vado giù, tu vieni giù con me.” dissi, sorridendo
con aria diabolica.
Lui scoppiò a ridere. Mi fece raddrizzare e mi lasciò andare, lasciandomi appoggiata sul bordo della fontana.
“Così mi stropicci la camicia!” esclamò, ridendo, e passandosi una mano sul
punto in cui l'avevo afferrato.
Io gli feci una smorfia e lo raggiunsi. Lui mi baciò rapidamente e insieme,
prendendoci in giro e ridendo, ritornammo ad unirci con gli altri invitati. Non
appena ritornammo verso i tavoli, per la cena, Edoardo ci raggiunse.Mi salutò abbracciandomi, e poi strinse la
mano ad Alex, che con aria sicura gli fece gli auguri.
Edoardo ricambiò sorridendo e ci disse di accomodarci ad un tavolo.
C'erano una decina di tavoli, tutti pieni di persone allegre e sorridenti, che
chiacchieravano con aria tranquilla. Mi sedetti alla tavolata più lunga, quella
dei miei parenti. Ero tra mia madre e mio fratello, e
avevo Alex di fronte.
Mi guardava, sorridendo con aria rassicurante. Durante la cena, parlò con i
miei parenti in modo assolutamente sicuro e tranquillo, e ogni tanto mi urtava
le gambe con le sue, quando s'allungava sulla sedia o faceva per dondolarsi su
di essa. Io mi sentivo gli occhi di tutto addosso e
sapevo di essere color cremisi.
La cena finì, e mio fratello si alzò dal tavolo per dare inizio alle danze. La
maggior parte dei suoi amici si riversò verso la sala da ballo, mentre la
musica partiva.
Ero imbarazzatissima. Mi alzai dal tavolo, salutando mia madre e qualche
parente, ed Alex mi seguì. Quest'ultimo aveva un'aria divertita, sorrideva e
aveva le mani sprofondate nelle tasche, come al solito.
“Allora, Adrienne,” si avvicinò a me e mi mise un
braccio attorno alle spalle, voltando il viso per guardarmi, “..ti va di
ballare?” Deglutii e lo guardai. “Io non so ballare..”
dissi senza pensarci.
Alex rise e mi punzecchiò sulla guancia con un dito. “Bugia. E anche se fosse, che t'importa?”
Alzai le spalle per tutta risposta. Lui continuò a ridere. “Allora non vuoi?”
chiese ancora.
“Lo voglio lo stesso.” risposi
sorridendo. Sorrise di più e mi prese entrambe le mani. “Ottimo. Andiamo allora.”
Alex mi portò alla pista da ballo facendomi camminare all'indietro. I
ragazzi si stavano già scatenando. Edoardo mi individuò
fra la folla dei suoi amici e mi sorrise, facendomi l'occhiolino.
Alex aveva un'aria pensierosa. “Hm. Aspetta un attimo.”mi disse.
Mi lasciò ad un lato della pista e si allontanò. Io lo guardai allontanarsi,
alzando un sopracciglio con aria piuttosto interrogativa. Si avvicinò alla consolle del dj, un ragazzo che indossava una maglia gialla
larghissima, una pesante catena d'oro al collo e una cuffia alle orecchie, e si
muoveva a ritmo di musica.
Alex richiamò la sua attenzione appoggiandosi alla consolle.
Il tizio lo guardò, si tolse le cuffie, e s'avvicinò a lui. Alex gli disse
qualcosa sorridendo, e il ragazzo annuì. Ringraziò dandogli una botta sul
braccio e andò via sorridendomi con aria trionfante.
“Cosa hai combinato?” gli chiesi quando mi fu vicino.
Sorrise e mi fissò. “Ora vedrai.”
Mi prese per una mano e me la strinse. Improvvisamente
la musica si staccò, nel bel mezzo della canzone. I ragazzi che stavano
ballando protestarono, lamentandosi, come un solo uomo. Ma le note di un'altra
canzone partirono quasi immediatamente.
“Q-questa canzone..” sussurrai,
guardando Alex. Don't cry.
Alex annuì sorridendo. “Sì. La nostra canzone, Adrienne.”
Tremai leggermente. Alex strinse entrambe le mie mani e mi portò
più in là nella pista, quasi al centro, attorno agli altri ragazzi. Le luci si
abbassarono, tutto diventò in penombra e ci illuminava
solo una luce rossa e bianca. Proprio come quella sera, che
per me fu croce e delizia.
Il suo sorriso sembrava risplendere. Lo guardai, mentre mi passava un braccio
attorno alla vita e mi stringeva a sé. Tremavo, ero
emozionata, e soprattutto enormemente felice. Eravamo vicinissimi. Mi prese una
mano e la strinse con la sua, e poggiò l'altra sul mio fianco. Di conseguenza,
una mia mano stringeva la sua e l'altra era posata
sulla sua spalla. Mi sentivo morire dall'imbarazzo, ma sorridevo, un po' rossa
in viso. Ballavamo assieme, ondeggiando leggermente. Il resto non era più nulla, c'era solamente lui e quella bellissima
canzone.
Alex s'avvicinò al mio orecchio e prese a cantarmi le parole della canzone,
sorridendo in maniera quasi impercettibile, in modo che potessi sentire
solamente io. Andava perfettamente a tempo.
'Talk to me softly, there's something in your eyes. Don't hang your head
in sorrow, and please don't cry. I know how you feel inside, I've been there
before..Somethin's
chagin' inside you, and don't you know.' Lo strinsi forte, sempre più forte,
socchiudendo gli occhi e appoggiando la testa sulla sua spalla. 'Don't
you cry tonight, I still love you baby. Don't you cry tonight, there's a heaven
above you baby..and
don't you cry, tonight.' Alex mi abbracciò forte, e io e lui
rimanemmo così, abbracciati, e immobili in mezzo alla pista. Lo amavo, lo adoravo, in maniera assoluta e sconsiderata. Le
note e le parole correvano, s'insinuavano nella mia testa attraverso
l'orecchio; facendomi avere sempre di più la convinzione che quella canzone,
prima di Natale, ci aveva segnato in qualche modo. 'Give me a whisper, and give me a
sigh. Give me a kiss before you tell me goodbye. Don't take it so hard now and
please don't take it sto bad.. I'll still be thinkin'
of you and the times we had..' Era lui, Alex. Il mio
migliore amico, il mio primo amore. Non avrei mai pensato, quando a
scuola c'incontrammo in quel corridoio – lui che armeggiava con un accendino
vicino alle scale e io che inciampai davanti a lui facendo cadere tutti i miei
libri, che sarebbe andata così. Che mi sarei
innamorata così tanto di lui, e lui di me. 'And
please remember that I never lied, and please remember how I felt inside now,
honey. You gotta make it in your own way, but you'll be alright know sugar. You'll feel better tomorrow..come the morning light now, baby.' Aveva segnato la mia vita in maniera
indelebile e indicibile. Era come un tatuaggio, un buco all'orecchio. I primi
giorni forse faceva un po' male, ma dopo t'abituavi e lo ammiravi felice e
gonfia d'orgoglio. E io non avrei mai potuto descrivere quello che mi dava,
neanche se avessi scritto mille e mille pagine su di
lui.
Mi faceva rabbrividire sentire le sue labbra sulle mie, proprio come in quel
momento, e sentire le sue mani, sempre gelide, che mi sfioravano, per poi
stringermi, stringermi così forte da lasciarmi senza
fiato.
Lo amavo, lo amavo, lo amavo, e volevo che durasse per
sempre. E forse era solo uno stupido sogno di una
sedicenne, ma ero sicura che prima o poi me lo sarei trasportata fino
all'altare.
“Alex..?”
Riaprì gli occhi, e mi guardò. “Sì?”
“Ti amo..”
Sorrise, e passandomi le braccia attorno al collo per abbracciarmi mi sussurrò
di nuovo all'orecchio.
“Anch'io, con ogni fibra del mio corpo..”
Arrossii furiosamente e mi lasciai abbracciare. '..baby
maybe someday.. don't you cry, don't you ever cry, don't you cry tonight.' Per sempre sarà, ovunque sarà.
fine, ecco fatto. mi dispiace per l’attesa, ma tra impegni personali e
suspance è passato davvero tanto tempo. non ne ho
molto, comunque, per commentarvi tutti ma vorrei solo dirvi GRAZIE, di tutto. per
avermi seguito, per i commenti, per i preferiti. e spero che la mia storia vi
sia piaciuta, e sia riuscita ad emozionarvi.
stavo anche scrivendo il sequel, ma non credo che riuscirò mai a finirlo.
ma tornerò, presto, col mio secondo romanzo.
Un abbraccio e un bacio,
Adrienne.