Raccolta di Troni sparsi di Ulissae (/viewuser.php?uid=32329)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Impronte ***
Capitolo 2: *** 2. Bosco ***
Capitolo 3: *** Mantello ***
Capitolo 4: *** 4. Sudore ***
Capitolo 5: *** 5. Conchiglie ***
Capitolo 1 *** Impronte ***
1. Impronte
«One foot in sea, one on shore
My heart was never
pure»
Sigh
no more, Mumford & Sons
«Theon, Theon, vieni qui!» Robb stava fissando
affascinato il piccolo laghetto ai piedi dell’abero-diga. Le
foglie rosse, che avevano sempre spaventato così tanto
Theon, giacevano pigramente sulla soglia dell’acqua
lasciandosi spostare di tanto in tanto dal vento pungente che ti si
infilava come una mano gelida sul collo, non importava in quanta
pelliccia ti fossi avvolto.
Il ragazzino si avvicinò lentamente, lanciando solo
un’occhiata svelta all’albero tanto pallido, poi si
mise accucciato accanto all’amico e fissò confuso
il punto che questi scrutava.
«Cosa c’è?»
«Guarda!» indicò con un dito alcune
foglie che improvvisamente erano sparite, lasciando un piccolo vuoto
scuro. Theon alzò un sopracciglio contraddetto e
continuò a fissare confuso il punto nero.
«A…»
Prima che riuscisse a finire la parola un pesce fece spuntare la sua
bocca verso l’alto e catturò un ignaro insetto che
volava troppo vicino l’acqua.
Theon spalancò gli occhi meravigliato a sua volta e sorrise.
Non sapeva neanche lui perché, ma dentro il cuore gli parve
di sentire un battito appena un po’ più forte,
rapidissimo, come la mossa di quel pesce.
Come un guizzo, una piccola e veloce creatura marina che riaffiora
dalle profondità degli abissi, delle sagome di ricordi
riaffiorarono nella sua mente.
Mentre Robb continuava a fissare il punto piuttosto
affascinato e timoroso, Theon si era avvicinato ancora un po’
di più alla riva, e con un piede nell’acqua si era
teso in avanti. Fu un attimo, una mossa un po’ incauta del
pesce, e il povero animale si ritrovò nelle mani del
ragazzino, che lo alzò vittorioso e ridente.
L’amico lanciò un grido emozionato e si
avvicinò all’istante, esaminando la creatura
ancora viva che si dimenava e sbatteva la coda con foga.
«Guarda che strano! Come si muove…»
disse, sfiorando con un dito le squame viscide ma inaspettatamente
morbide.
Theon aprì la bocca per vantarsi e spiegare a Robb il
perché delle branchie vicino alla testa della creatura,
quando la voce tuonante di Ned Stark risuonò nel silenzio
del Parco degli Dei e lo fece zittire. I bambini si girarono di scatto
e Theon senza pensarci nascose il pesce dietro la schiena.
«Cosa state facendo qui?» chiese, guardandoli un
po’ sospettoso. Avevano gli abiti leggermente bagnati e un
viso troppo arrossato per non aver combinato nulla.
«Niente, padre…» Robb non
finì la frase che il pesce cadde a terra, liberatosi, dopo
un’estenuante lotta, dalla presa di Theon.
Ned guardò stupito l’animale e poi
spostò la sua attenzione su di loro. «Vi siete
messi a pescare nel Parco degli Dei?!» li sgridò
severo.
Velocemente Theon prese il povero pesce boccheggiante e lo rimise in
acqua, dove, con un movimento fluido, questi risparì nelle
profondità del laghetto.
«Lord Stark volevo solo far vedere a Robb come respirava
sotto l’acqua…»
Ned lo fissò un attimo, emise un sospiro e fece un cenno con
la testa, facendogli capire che li aveva già perdonati, ma
che non li voleva più vedere fare una cosa del genere. I due
ragazzini si scambiarono uno sguardo sollevato e con un saluto veloce
superarono l’uomo.
Lord Stark li guardò sparire tra gli alberi, uno con un
braccio intorno alle spalle dell’altro, ridendo e
scherzando. Rimase in silenzio e si sedette ai piedi del
maestoso albero.
Pregò. Si alzò e fece per andare via.
Notò per un istante la mezza impronta di Theon sulla riva
del lago, metà sulla terra ferma metà persa
nell’acqua e una strana e inspiegabile inquietudine lo
colpì.
Pensò se per gli uomini di Pyke fosse come per gli uomini
del Nord: chissà come il cuore di entrambi è
stato creato in un modo diverso, è stato messo dentro di
esso un piccolo ricordo, di primordiale origine, impossibile da
cancellare. E si domandò se il giovane Theon questo ricordo
lo avrebbe mai ritrovato.
E di nuovo, quella strana inquietudine lo colpì.
Angolo autrice:
è da ottobre che mi dico di scrivere una raccolta in cui i
Mumford sarebbero stati di sottofondo. Una raccolta riguardante la saga
di Martin, nel nostro caso il telefilm. Il rapporto tra Theon e Robb
che ho voluto esaminare è puramente di amicizia, mi ha
sempre ferito e fatto soffrire dal profondo il tradimento del secondo e
mentre sentivo questa canzone quella frase lassù mi ha
colpito e non ho potuto non pensare a Theon.
Non ho molto da dire (: Spero vi sia piaciuta!
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Capitolo 2 *** 2. Bosco ***
2. Bosco
And I'll find strength in pain
And I will change my ways
I'll know my name as it's
called again
The Cave,
Mumford &Sons
Arya
Ad Arya erano
sempre piaciuti i boschi: quel senso di movimento che
emanavano con i loro rumori soffusi ma instancabili, i giochi di luci
delle foglie, il bianco limpido della neve che si posava nelle radure.
Le piaceva quando suo padre le permetteva di andare con i fratelli a
cavallo, le piaceva riuscire a ottenere l’autorizzazione per
sgattaiolare dalle noiosissime sedute di punto croce.
Arya chiudeva gli occhi e ascoltava, lasciava che il vento
freddo le
arrossisse le guance e le gelasse il naso, e si sentiva più
grande, più forte. Si sentiva bene.
Arry
Arya, non
sapeva neanche come, era arrivata a odiare i boschi: odiava
quei rumori incessanti, che la tenevano sveglia la notte, odiava le
radici che ti trascinavano giù con loro dopo ore di marcia,
odiava il cantilenare del lucchetto sulla gabbia dei tre criminali, le
foglie che sembravano non coprire abbastanza quando doveva trasformarsi
di nuovo in donna per ovviare ai suoi bisogni.
Odiava il freddo, la fame.
Odiava stare in un bosco perché non era casa sua,
perché era sola. E gli alberi alti, e i suoni sinistri, e
quei ragazzini disgraziati la soffocavano, le facevano provare paura. E
lei non doveva provarla.
La facevano sentire piccola e indifesa, prosciugata di ogni
possibile
speranza. La facevano sentire per quella che era: una minuscola e
gracile bambina indifesa.
My Lady
«Sei
una capra!» Arya gridò a Gendry,
lanciandogli una manciata di fango. Il ragazzo si girò, e
scoppiò a ridere, pulendosi senza preoccuparsi troppo i
pantaloni già sudici: «Un toro, vorrai
dire!»
«No, una capra! E… e dire che sei un
fabbro, hai
scelto tutti rami freschi, come pensi che possiamo accendere un
fuoco!?»
«Bhe, allora non sono io la capra, sei tu
l’incapace» ghignò il ragazzo, posandosi
contro un tronco e osservandola mentre ancora armeggiava inutilmente
con i rametti verdi.
«Te l’avevo detto che non dovevamo
accendere il
fuoco…» disse saccente mentre la ragazzina si
sedette scontenta su un sasso ricoperto di muschio.
«Moriremo di freddo!» sbottò
irritata,
fissando un punto del bosco che si stava facendo via via più
scuro, ben decisa a non rivolgergli neanche lo sguardo.
Gendry si fece una risata e aspettò che Hot Pie
tornasse con
qualche ghianda e noce da sgranocchiare.
Ad Arya continuava a non piacere il bosco, ma non le faceva
più così tanta paura. Certo, non era come
cavalcare con Robb, Jon e Bran, ma i rumori non erano più
così insopportabili e se si sforzava abbastanza, di notte,
riusciva a intravedere tra le fitte foglie le stelle. Sentiva contro di
sé Gendry che russava, vicino a lei per riscaldarla.
E a pensarci, non faceva più così
tanto freddo.
Angolo Autrice:
ecco la seconda flash ^^ sto seguendo l'ordine in cui compaiono le
canzoni nel CD, quindi le storie sono tutte sconnesse tra di loro,
è pura ispirazione del momento :)
Arya è un personaggio che mi ha sempre incuriosito
perché è un po' quello tutti vorremmo essere,
così sfrontata e sprezzante del pericolo, che non si abbassa
a compromessi, sicuramente, però, molto ingenua e ancora
bambina.
Per quanto riguarda l'ultimo spezzone ho immaginato la notte appena
dopo l'ultima puntata della Seconda Stagione, quando i tre si ritrovano
liberi per i boschi. Non penso si possa considerare spoiler
ò_ò o chissà che cosa, anche
perché non ricordo una ceppa XD
Insomma, spero sia piaciuta ^^ Ringrazio le due bellissime che mi hanno
recensito <3 ♥♥ Smack smack
♥♥
Alla prossima (che non penso sarà veramente a breve :3)
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Capitolo 3 *** Mantello ***
[Spoiler
03X05 NON LEGGETE SE NON VOLETE SPOILER :) ]
3. Mantello
Darkness is a harsh term don't you think?
And yet it dominates the
things I see
Roll
away your stone, Mumford & Sons
Dragonstone era sempre
stato un luogo oscuro, una roccia nera che il mare sembrava divertirsi
a sbattere e percuotere. Blackwater Bay non aveva certo ottenuto questo
nome per via delle sue acque calme e cristalline.
Stannis l’aveva accettata perché era un uomo che
non lasciava mai la presa: era stata conquistata con sangue e sudore,
nessun lorduncolo che aveva passato la guerra seduto nella sua tenda
l'avrebbe meritata.
Anche Dragonstone, era un dovere.
Era un dovere come il suo diventare re: non un desiderio di potere, una
brama di gloria, ma un soffocante e insopprimibile senso del dovere.
Così doveva essere e così sarebbe stato.
«Shireen?»
Il cigolare della porta sembrava riprodurre quel brivido freddo che gli
percorreva la schiena ogni qualvolta entrava nella stanza. Aveva sempre
pensato che fosse un posto troppo scuro per una bambina, la luce delle
candele era fievole se confrontata con quella del sole e le pareti di
roccia erano ricche di quel fuoco ghiacciato, nero, così
nero.
Ma Stannis non poteva farci nulla, così doveva essere e
così era.
La bambina era piegata su un baule, con la testa dentro, occupata a
rovistare e a cercare qualcosa. Non appena sentì la voce del
padre alzò lo sguardo emozionata. Il volto le si
aprì in un sorriso e anche la sua metà rovinata
sembrò brillare e rilassarsi.
Stannis aveva sempre considerato il sorriso della figlia una piccola
pietra preziosa, incastonata in mezzo a tante altre rocce grezze e
rovinate. C’era qualcosa di sublime e così
meravigliosamente innocente nel modo in cui lo accoglieva che, per
degli attimi che gli sembravano interminabili, si chiedeva perfino se
non fosse il caso di mandare all’aria tutto e far uscire da
quella gabbia la piccola Shireen. Se non fosse giusto, una volta ogni
tanto, gettare al vento di Dragonstone gli obblighi e i doveri e le
necessità e sperare che queste venissero portate via,
lontano.
Ma Stannis sapeva che le ceneri gettate al vento ritornano sempre
indietro, generalmente infilandosi negli occhi e nella gola.
Shireen non poteva uscire dalla sua camera, non poteva uscire da
Dragonstone, non ora che la vittoria sembrava solo una fiammella
tremolante, una candela abbandonata nel bosco durante una tormenta.
Cosi doveva essere, e così era stato.
«Padre! Non vedevo l’ora che veniste!» la
bambina si gettò tra le sue braccia e lo strinse a
sé con forza, affondando la metà del viso
grigiastra e malata contro il suo petto.
Stannis ricambiò la presa e si abbandonò a un
sorriso.
Il lord di Dragonstone non sorrideva mai, perché vedeva
questo buio intorno a sé, questa oscurità caotica
e sbagliata, e si sentiva perso, un piccolo soldato che combatteva
contro la follia e la stoltezza degli uomini. Come un manto pesante, lo
avvertiva sulle spalle.
«Ho avuto molto da fare».
«Non importa, padre», sorrise Shireen,
«io vi ho aspettato».
Stannis la guardò, studiò le piccole rughe della
pelle che si formavano vicino agli occhi mentre la figlia gli sorrideva
e lo portava verso il letto, pronta a mostrargli qualcosa.
E all’improvviso, gli sembrò come se quel mantello
di opprimente dovere fosse caduto, e si sentì più
leggero.
"It’s not the long walk
home that will change this heart
But the welcome I
receive with every start"
Angolo Autrice:
ci ho messo un bel po' ad aggiornare, ma... ecco, si sa che io sono un
po' lenta e incapace con gli orari e con i tempi... quindi.
Sappiate che per me la scena nel telefilm mi ha ucciso. UCCISO nel
profondo. Quindi appena ho sentito la canzone ho pensato al buio che
è presente nella vita di Stannis, la sua
incapacità nel godersi qualcosa, nell'essere felice, in
opposizione a quel sorriso che ha regalato alla figlia in quella
puntata. Ho pensato che forse, amare Shireen, sia l'unica cosa che non
faccia per dovere e... bhe, ecco. Ecco qui la storia ^^
Vorrei ringraziare OttoNoveTre che mi ha dato una mano nella stesura
e... bhe, spero vi piaccia!
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Capitolo 4 *** 4. Sudore ***
4.
Sudore
Was it love or fear of the cold
that led us through the night?
For every kiss your
beauty trumped my doubt
Winter
Winds, Mumford
& Sons
Jon aveva visto poche donne nude, a Winterfell. Principalmente erano le
prostitute che frequentava Theon o qualche ragazza più
coraggiosa che aveva deciso di farsi il bagno nelle acque calde
nascoste nel castello e tutto quello che aveva fatto in quelle
occasioni era stato voltarsi imbarazzato e quasi correre via, preso da
una strana agitazione.
Non si era mai soffermato troppo sulle forme di una donna, ad essere
sinceri. Sicuramente non nel modo in cui si stava soffermando sui seni
di Ygritte in quel momento.
Notò quasi divertito che stavano
all’insù in un atteggiamento che quasi gli
ricordava la ragazza quando lo sbeffeggiava divertita.
Era bella, Ygritte, e in quel momento gli parve come se niente e nulla
al mondo esistesse all’infuori di quelle pareti rocciose e
quell’acqua calda. Pensò che probabilmente era la
prima volta da mesi che non sentiva freddo. A dirla tutta gli sembrava
perfino di sudare, azione che aveva iniziato a pensare che il suo corpo
non fosse più capace di compiere.
Aveva quei capelli rossi disordinati e dannatamente affascinanti che si
avvicinavano sempre di più, e notava che le sue labbra si
muovevano, ma non l’ascoltava.
La ragazza baciata dal fuoco.
Ygritte era fuoco. Fuoco vivo, sprezzante, libero, irrefrenabile. Fuoco
che sembrava capace di bruciare tutto. Stare con lei era come fissare
delle fiamme: arrivava un punto oltre il quale non si riusciva
più a fare altro, un richiamo irresistibile lo teneva
attaccato a lei, incapace di scostare lo sguardo, affascinato dalla
potenza e dalla grazia dei suoi movimenti.
Fu un attimo e si ritrovò avvolto in quella chioma
infuocata, le labbra che non proferivano più parola, ma
quasi aggredivano bisognose le sue.
Jon la fissava mentre riposava, le ciglia lunghe che sfioravano appena
il volto, con le lentiggini che ammorbidivano i suoi lineamenti,
facendo emergere una bambina che lui pensava non potesse esistere sotto
quel guscio di forza e sfrontatezza.
“Rimaniamo qui”, gli aveva detto. “Come i
piccoli uomini delle leggende, inondiamo queste caverne di piccoli
bambini dal sorriso mezzo sdentato e i capelli rossi”.
Mentre si alzava e cercava i suoi vestiti, il ragazzo venne percorso da
un brivido: il corpo da caldo ed affaticato si era pian piano
raffreddato fino a sentire nuovamente il gelo dell’ambiente.
Storse il naso nell’avvertire nuovamente quella sensazione di
fastidio pungente e sospirò affranto. Forse avrebbe potuto
veramente abbandonare tutto, seguire i capelli rossi di Ygritte in
quelle grotte fino a perdersi. Sudare con lei sotto le pellicce,
avvertendo il calore delle sorgenti calde.
Abbassò un attimo gli occhi e avvertì lo sguardo
vispo di lei, fu un istante e riuscì a percepire la
tentazione di prenderla e trascinarla in quei cunicoli segreti. Un
battito di ciglia, il tempo di un brivido lungo la schiena, del sudore
che si gela, e quella voglia sembrò sparire.
E con essa a Jon parve udire l’eco di una risata che si
dissolveva.
"The flesh that lived and loved
will be eaten by plague
So let the memories be
good for those who stay"
Angolo Autrice:
sono passati secoli dall'ultimo aggiornamento, ma esami e viaggi vari
hanno avuto la meglio sulla mia già scarsa
puntualità. Ho avuto un po' di problemi a scrivere questa
breve flash, nonostante l'abbinamento tra la coppia Jon/Ygritte e la
canzone sia stata immediato; i problemi sono dovuti principalmente al
fatto che la scena è già stata narrata da Martin
e mi sentivo come se mi stessi infilando addosso vestiti vecchi, con
l'odore del vecchio propietario e le sue forme già tutte
sistemate. Sicuramente non sarà la flash migliore della
raccolta, ma ho fatto del mio meglio nel riportare le sensazioni di Jon
e i suoi pensieri. Spero che voi lettori la riuscirete ad apprezzare e
che vi piaccia.
Spero, inoltre, di riuscire a sfruttare questo settembre di pace per
scrivere un bel po' e riuscire a completare almeno il primo album dei
Mumford <3
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Capitolo 5 *** 5. Conchiglie ***
5.
Conchiglie
You did not think when
you sent me to the brink, the brink
You desired my attention but denied my affections, my affections
White
Blank Page
Mumford & Sons
«Lasciami».
A Jaime sembrava sempre lo stesso teatrino che si ripeteva volta dopo
volta: gli occhi di Cersei che lo guardavano con desidero, le sue mani
che lo spingevano via, lo schiaffo di circostanza e il suo abbandonarsi
tra le sue braccia, le dita di lei che cercavano le sue e le
conducevano sul collo.
Nelle lunghe ore passate in piedi a guardare il vuoto, ritto davanti
alla porta del Re senza un vero scopo, Jaime aveva tempo per pensare,
per rimpiangere e per arrabbiarsi. Lì, immobile, con la
mascella serrata e le mani strette sull’elsa della spada,
finiva sempre per domandarsi se non avesse effettivamente sbagliato
tutto dall’alba dei tempi. Se le sue decisioni,
così cavalleresche e gagliarde, non fossero una serie di
errori uno dietro l’altro.
Le risate sguaiate di Robert dietro la porta di legno pesante, le sue
lamentele da vecchio ubriacone, gli insulti alla sua famiglia, la
voglia di ricordare tempi passati che solo agli occhi di un idiota come
lui potevano ancora rimanere come memorie degne di nostalgia.
Jaime aveva la nausea di tutto ciò. La notizia che Tyrion
era stato catturato gli procurò una strana –
sbagliata? – scarica di piacere: finalmente i complotti e i
sussurri potevano trasformarsi in battaglie e azioni. Aveva voglia di
sporcare quel mantello bianco che gli pesava addosso come un macigno,
renderlo lordo di sangue e cervella, un rosso scarlatto degno di un
Lannister; spaccare il mondo e fracassarlo e mettere finalmente a
tacere quel verme di insicurezza che lo stava macerando da dentro.
«Il re è morto».
Il padre non aveva alzato gli occhi dalle lettere che stava scrivendo,
riportava la notizia come se si trattasse di un’osservazione
sulle condizioni metereologiche di una giornata qualsiasi.
Fece una pausa, una di quelle pause spaventevoli, come un lungo sospiro
di vento che sta per preannunciare una tempesta.
«E siamo ufficialmente in guerra con il Nord».
Pur essendo un cavaliere, Jaime ne aveva avuto di tempo libero per
pensare: ora che si trovava in una gabbia a cielo aperto, legato e
dolorante, poteva ammettere candidamente di avere tutto il tempo del
mondo per pensare.
Sarebbe sopravvissuto, questo non lo dubitava. Non riusciva
neanche a concepire una soluzione diversa da quella. Ora che il
castello di carte costruito in anni di pace era finalmente crollato lui
poteva prendere in mano la situazione.
L’avrebbe sposata. Avrebbe finalmente potuto riconoscere i
suoi figli. Strappar loro di dosso quel cognome infame di quel porco
ubriacone.
Non aveva niente da perdere e tutto da guadagnare. Aveva una vita da
riprendersi indietro, un’esistenza che pensava di non potere
mai più ottenere.
L’aveva sognata così a lungo. L’aveva
desiderata così a lungo, ogni parte del suo corpo sembrava
provare il doppio del dolore al pensiero di Cersei, quasi capisse che
l’unica soluzione per tornare a stare meglio fosse quella di
riunirsi con la donna che la natura stessa gli aveva consegnato come
compagna fin dal ventre della propria madre.
Non la ricordava così bella, con i capelli che le cadevano
di lato, le mani che accarezzavano una conchiglia – una di
quelle che avevano raccolto a Lannisport la prima volta che erano
andati lì con la madre? - le braccia snelle che lo
invitavano a farsi stringere.
O forse lui era semplicemente più brutto e più
sporco, gli occhi gonfi e le palpebre pesanti, tanto da riuscire a
guadagnare un sorriso di pietà da Brienne.
«Cersei…»
Non voleva che la voce gli uscisse così bassa, non voleva
rimanere così fermo, come un mendicante vergognoso di
richiedere delle attenzioni. Forse di richiederle indietro, di riavere
qualcosa che per anni aveva ceduto senza se e senza ma e di cui ora
aveva incredibilmente bisogno.
Non ricordava i suoi occhi così freddi, non ricordava le
labbra così tese, spaventate, disgustate. Abbassò
lo sguardò e gli parve di notare la punta di un mantello:
non bianco, non rosso scarlatto, ma lercio. Sporco e basta. Di uno
sporco che sembrava avergli tolto il respiro.
But
tell me now, where was my fault
In loving you with my whole heart
Angolo
Autrice:
di questa fanfiction sono molto più soddisfatta della
precedente. Trovo il personaggio di Jaime, e in particolar modo la sua
crescita, uno tra i più affascinanti e interessanti della
saga. Non riesco a odiarlo nonostante l'orrendo gesto all'inizio della
saga, e sono stata felice di scrivere questa breve flash. Spero che
piaccia a voi tanto quanto è piaciuto a me scriverla.
Alla prossima, miei cari lettori - se ci siete :P
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