Mirrors

di lilyhachi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I - Left and leaving ***
Capitolo 3: *** II - Demons ***
Capitolo 4: *** III - The beauty and the beast ***
Capitolo 5: *** IV - Catacombs ***
Capitolo 6: *** V - In my veins ***
Capitolo 7: *** VI - Castle of glass ***
Capitolo 8: *** VII - If I lose myself tonight ***
Capitolo 9: *** VIII - Run away from me ***
Capitolo 10: *** IX - A withered flower ***
Capitolo 11: *** X - Dead in the water ***
Capitolo 12: *** XI - The girl who tries to run with wolves ***
Capitolo 13: *** XII - Stay awake for me ***
Capitolo 14: *** XIII - Across the mirrors ***
Capitolo 15: *** XIV - I’d like to walk around in your mind ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mirrors


Prologo


 
“You can leave, now it's your choice. Maybe if I fall asleep, I won't breathe right.
Maybe if I leave tonight, I won't come back".
(Imagine Dragons - Hear me)

 
Isaac Lahey aveva sempre creduto che il “felici e contenti” fosse soltanto per le favole.
Come poteva aspirare ad un futuro felice con quello che aveva vissuto in metà dei suoi anni di vita? Si era rassegnato alla sua vita buia, vuota e contornata soltanto dal dolore. Un dolore che non era rimasto solo in superficie, provocandogli le cicatrici e i lividi più evidenti ma si era radicato anche dentro lui, arrivando fino al cuore, stretto da tanti rovi pieni di spine. Quando era arrivata Lyla, i rovi avevano iniziato a sparire poco alla volta, come se qualcosa li stesse distruggendo, e il suo cuore cominciò ad essere meno dolorante. Mentre prima era stretto in una morsa lacerante, con l'arrivo di lei, aveva ripreso a battere regolarmente, era tornato a vivere...e con esso anche Isaac. Il dolore era andato in tanti pezzi, che cadevano uno ad uno, frantumandosi maggiormente, come un bicchiere di vetro contro il pavimento. Ci era voluto molto ma alla fine tutte le schegge erano cadute via, ed anche se qualcuna era rimasta attaccata al cuore, riusciva a sopportarlo...grazie a lei.
La sua vita era cambiata, grazie a lei che dormiva beatamente. Isaac sentì il suo respiro regolare e il suo cuore battere, e nel mentre non riuscì a non riflettere sul loro rapporto. Si era chiesto più volte come si sarebbe svolta la sua vita se lei non avesse chiesto proprio a lui dove si trovasse l'aula di chimica.
Forse sarebbe andato tutto come ora, con l'unica differenza che lei non sarebbe stata coinvolta, mentre lui sarebbe stato solo...come era sempre stato, d'altronde.
Tante volte continuava a rimproverarsi per averla coinvolta in tutto questo, pensando che non le avesse giovato in alcun modo e che forse la vita senza lui non sarebbe stata male, anzi. Eppure, ogni volta che si azzardava anche solo a pensare qualcosa del genere, lei semplicemente lo baciava in un modo che gli permetteva di dimenticare ogni dubbio e ogni problema; gli sussurrava qualcosa che lo faceva convincere ancora di più del fatto che senza lui, Lyla non voleva stare. Poteva sembrare che fosse sempre Isaac quello che aveva bisogno di un aiuto, di un appiglio ma era stato sorprendente capire quanto Lyla contasse su di lui, e questo lo aveva reso in qualche modo felice, facendolo sentire davvero importante per la prima volta.
Era strano capire che qualcuno aveva fiducia in lui, che gli si affidava del tutto, anche se lui credeva fermamente che non dovesse farlo...in effetti, nemmeno Isaac si fidava di sé stesso. Lyla, pur nascondendo una forza che forse neanche lui aveva, rimaneva piccola e fragile, avvolta da un alone di insicurezza e di semplicità, che lei sapeva nascondere bene; ma con lui quell'alone era più visibile del solito, non soltanto perchè era in grado di percepirlo, ma anche perchè con lui Lyla non aveva bisogno di nascondersi. Allora le stringeva la mano, e tutto andava bene.
Isaac non riteneva che quello fosse il fantomatico “lieto fine”, ma era felice di poterle stare vicino ugualmente.
Era felice di essere il suo primo pensiero al mattino e l'ultimo prima di andare a dormire.
Era felice di poter condividere con lei ogni piccola cosa, anche la più stupida. La vide muoversi, come se si stesse svegliando, e il suo cuore ebbe un sussulto, mentre restava pronto a correre via ma lei si spostò soltanto, sistemandosi meglio sul cuscino.
Isaac emise un sospiro di sollievo. Non voleva che si svegliasse; non voleva che lo vedesse, mettendolo in condizione di dirle che non sapeva quando si sarebbero rivisti. Non voleva che si preoccupasse, sapendo che stava per andare alla ricerca di Erica e Boyd, rinchiusi da qualche parte.
Voleva solo proteggerla, per quanto possibile, e lasciarla ignara del fatto che le cose stessero seriamente per cambiare, ora che un'altra minaccia era arrivata.
Forse si stava comportando come uno stupido ma andava bene così...almeno per quel momento.
 
Isaac era davanti a lei e sembrava quasi che quello fosse il loro ultimo incontro, si sentiva dall'atmosfera che aleggiava attorno a loro.
Erano stati così bene da quando tutto era finito, come un sogno perfetto che andava in frantumi: era tutto troppo bello per essere vero...qualche rotella doveva pur saltare.
Isaac la a strinse a lui così forte, che non sembrava che stessero per dirsi addio, ma lei lo spinse, cominciando a trattenere i singhiozzi e coprendosi la bocca con la mano. Entrambi cercavano di parlare ma non usciva alcun suono dalle loro labbra, come se fossero sott'acqua, incapaci di proferire parola. Ad ogni tentativo, sembravano soltanto assumere più acqua.
Isaac l'attirò a sé, stringendola più forte che poteva.
Lyla cercò di ritrarsi dall'abbraccio ma lui non glielo permise e la strinse più forte che mai, poggiando il mento sulla sua testa, mentre lei continuava a singhiozzare, incapace di parlare.
Lei smise di respingerlo e abbandonò le braccia lungo il corpo, così Isaac la circondò con le sue braccia , posandole un bacio sulla fronte.
Era tutto troppo confuso e distinguere la realtà dalla finzione sembrava impossibile. Stava succedendo davvero?
Isaac stava andando via o era soltanto frutto della sua immaginazione?
Il ragazzo si staccò di poco da lei e le diede un bacio intenso e profondo, che sembrava togliere il fiato ad entrambi. Era un bacio colmo di lacrime: un bacio che sapeva di addio.
Isaac cominciò ad allontanarsi e Lyla riaprì gli occhi in maniera così lenta che faceva quasi male e le labbra erano ancora dischiuse, come se fossero in attesa di un altro bacio, che però non ci sarebbe stato.
Il ragazzo le rivolse un ultimo sguardo, carico di tristezza, e cominciò ad allontanare con una lentezza disarmante le sue mani dalla figura della ragazza.

Quando le mani furono al livello dei polsi di lei, pronte a staccarsi, Lyla gliele afferrò di nuovo e le strinse forte, scuotendo la testa con diniego: non voleva lasciarlo andare ma il ragazzo la spinse via, senza guardarla in volto, mentre lei alzava gli occhi...afflitta. Isaac abbassò lo sguardo, come se osservarla fosse troppo difficile e doloroso, per poi uscire dalla finestra, senza voltarsi indietro.
Lei si affacciò subito e lui era già sparito come per magia, mentre Lyla sentiva le forze che pian piano la stavano abbandonando. Pensò quasi che stesse per avere un attacco di panico. Annaspava, in cerca di ossigeno. Si voltò verso il letto, con la schiena poggiata alla finestra e si lasciò cadere piano verso il materasso. Il respiro si faceva sempre più lento.
Le sembrava di affogare, mentre la stanza cominciava a farsi sfocata e il letto non era altro che una piscina, piena di acqua gelida. D'un tratto,la consistenza della coperta sotto le sue dita prese a cambiare.
Non era più morbida e setosa, ma rigida e ancora più fredda.

 
Il contatto con una superficie fredda e solida portò Lyla ad alzarsi di scatto.
Era sul pavimento. Come diamine ci era finita per terra? Lyla si voltò verso il letto e notò con diniego che tutte le coperte erano ammassate e che molto probabilmente si era rigirata nel letto fino a cadere dal lato di esso rivolto verso la porta. Alzò gli occhi al cielo e trovò la forza per sollevarsi in piedi, mentre con una mano si massaggiava la schiena leggermente dolorante.
“Diamine!”, esclamò la ragazza con una smorfia di dolore. “Complimenti, Lyla!”.
Guardò l'orologio sul comodino che segnava le otto. Si stiracchiò, ancora leggermente assonnata e si infilò subito sotto la doccia, per cercare di scrollarsi di dosso tutti i residui di sonno rimasti.
Il contatto con l'acqua fredda la fece subito svegliare del tutto, mentre rifletteva sullo strano sogno che aveva fatto quella notte. Aveva sognato che Isaac andava a salutarla, ma quel sogno era stato così confuso che riusciva a malapena a ricordarlo correttamente. Ad ogni modo, Lyla non ci badò. Dopo essersi vestita, pronta ad affrontare un'altra giornata estiva, Lyla scese in cucina, trovando suo fratello, la cui faccia lasciava poco spazio all'immaginazione: sembrava uno zombie e non faceva altro che rigirare continuamente il cucchiaio nella ciotola con i cereali, mentre il suo sguardo assonnato era così fisso nel vuoto che nemmeno si accorse dell'arrivo della sorella. Mentre si avvicinava al fratello, ancora nel mondo dei sogni, il loro cane le passò velocemente davanti, fino a raggiungere il divano con un salto. Sia lei che Jamey avevano supplicato il padre, affinchè comprasse loro un cane e dopo l'incidente di Lyla erano riusciti ad ottenere un beagle di appena sei mesi. La scelta del nome era spettata a suo fratello: Toby.
Lyla sorrise e passò accanto a Jamey, colpendolo con uno schiaffo sulla fronte che lo fece praticamente saltare dalla sedia, rischiando di versarsi addosso il latte.
“Ehi!”, esclamò Jamey adirato. “Ti sembra il caso di fare scherzi a quest'ora?”.
“E' un modo efficace contro la sbornia”, rispose la ragazza, addentando una brioche.
Jamey la guardò terrorizzato, come se sua sorella avesse appena scoperto un suo piccolo segreto.
“Chi ha parlato di sbornia?”, chiese il ragazzo, confermando maggiormente la tesi di Lyla, che sapeva riconoscere anche troppo bene una persona reduce da una serie di bevute.
La ragazza lo fissò con espressione poco convinta, così Jamey, capendo di non aver ingannato la sorella in nessun modo, abbassò lo sguardo per poi supplicarla.
“Non dire niente”, esclamò con voce quasi disperata. “Ti prego!”.
“Tranquillo”, rispose la ragazza, portandosi un dito davanti alle labbra. “Parola di lupetto!”.
Sorrise, notando l'analogia della frase che aveva appena pronunciato, e, ricordandosi di nuovo del suo lupetto preferito, salì in camera per prendere il cellulare e chiamarlo, seguita da Toby.
Lyla non era ancora consapevole del fatto che al suo risveglio molte cose erano già cambiate.
 
 
Lyla cercò Isaac dappertutto, e con ogni tipo di aiuto che riusciva a trovare.
La prima persona a cui si era rivolta era stata senza ombra di dubbio Stiles, che al sentire le parole “Isaac è sparito”, rimase fermo a boccheggiare per qualche minuto, fin troppo sorpreso dalla notizia e convinto che fosse uno scherzo bello e buono, per poi scoppiare in una fragorosa risata che gli fece ricevere uno sguardo fulminante. Si recarono insieme a Scott a casa Hale, sperando che i suoi sensi da lupo potessero in qualche modo aiutarli nella ricerca ma non fu esattamente così, visto che Scott non aveva trovato alcuna traccia di Derek e Isaac...sembravano spariti completamente dalla circolazione, cambiando entrambi numero di telefono. Per Stiles tirare le somme non fu difficile: non volevano essere trovati.
Il suo primo pensiero fu che Derek aveva deciso di fare semplicemente in modo che vivessero la loro vita da teenager e di certo non si aspettavano un saluto da parte dell'alpha; Scott, d'altro canto, non riusciva a spiegarsi la scomparsa improvvisa di entrambi...ma, come Stiles, non aveva motivo di credere che ci fosse qualcosa di losco o soprannaturale, visto che da quando la faccenda di Jackson era terminata, le cose andavano bene e soprattutto loro stavano bene, almeno in parte. La sola visione della casa abbandonata degli Hale appariva così tetra e cupa, che Lyla sembrava sentire dei brividi lungo tutta la schiena, e questo la portò a stringersi il corpo con le braccia.
Entrò insieme ai due ragazzi nella villa, e quello che vide furono soltanto foglie sparse, ragnatele e radici di piante così grandi che la ragazza ebbe il timore che da un momento all'altro avrebbero preso vita...proprio come nei film. Incrociò per un attimo lo sguardo di Stiles e riuscì a leggere la resa nei suoi occhi, la consapevolezza che la loro ricerca era fallita in partenza.
Forse per lui era un bene che se ne fossero andati il più lontano possibile da loro, così da non creare problemi.
Lyla insistette per controllare anche la stazione abbandonata ma quello che trovarono non fu diverso da quello che c'era a casa Hale: nulla, soltanto polvere e terreno. Lyla sentì un odore di roba vecchia proveniente da quel luogo. Era un odore pungente che si mischiava a quello acre del terreno umido sotto i loro piedi.
Ricordò la prima ed ultima volta che era entrata lì dentro...quando Isaac l'aveva lasciata.
Credeva che non avrebbe più vissuto un momento del genere, eppure ecco che lo stava vivendo ancora, mentre scendeva quelle scale traballanti, mentre riviveva la scena al rallentatore, mentre metteva un piede in fallo, mentre Stiles le afferrava forte il braccio per fare in modo che non cadesse a terra, mentre Scott chiamava il suo nome, notando il suo battito che accelerava in maniera irrefrenabile e mentre un dolore piuttosto forte colpiva la sua testa.
Era tutto vuoto, sfocato e doloroso, come il suo cuore in quel giorno di tanti mesi prima.
Isaac era andato via, lasciando dietro di sé soltanto un cuore infranto.
 
“Stiles, non possiamo presentarci a casa di Lyla con lei priva di sensi, concordi?”.
La voce di Scott risuonava quasi fastidiosa alle orecchie di Stiles, che era intento a frugare nella borsa della ragazza per trovare le chiavi di casa sua.
“Tranquillo, Scotty!”, esclamò il ragazzo con tono tranquillo. “I suoi genitori sono in vacanza”.
“Sì, ma cosa mi dici di suo fratello?”, chiese Scott con voce nervosa, mentre prendeva in braccio Lyla dai sedili posteriori della jeep. “Non sarà leggermente confuso?”.
“Jamey non è un problema”, asserì Stiles, mantenendo sempre la calma. “Gli diremo che non si è sentita bene, il che è vero, e per assicurarci il suo silenzio, gli darò qualche fumetto”.
Il ragazzo infilò le chiavi nella serratura e aprì la porta di casa Evans. Una volta entrati, si trovarono subito davanti a Jamey che, vedendo la sorella con gli occhi chiusi in braccio a Scott, andò decisamente nel panico più totale, cominciando a fare domande a raffica, interrotte da Stiles.
“Calma, Jamey!”, esclamò il figlio dello sceriffo, portando le mani davanti al busto. “Lyla ha avuto un problemino mentre era con noi...ha sbattuto la testa. La portiamo sopra, tu prepara del ghiaccio e uno straccio, ok?”.
Il ragazzo si era sempre fidato di Stiles, così senza aggiungere altro, fece un veloce cenno di assenso con la testa e si volatilizzò in cucina, sotto lo sguardo soddisfatto di Stiles, che si mise le mani sui fianchi, pavoneggiandosi. Quest'ultimo venne improvvisamente raggiunto dal piccolo beagle che cominciò a mostrarsi entusiasta della sua presenza, scodinzolando allegramente.
Stiles si illuminò solo a vederlo e fece per prenderlo in braccio, ma Scott lo richiamò.
“Ehi, Clark Kent!”, esclamò Scott con un lieve sorriso. “Vorresti farmi strada?”.
Dopo aver adagiato la ragazza sul suo letto, e dopo che Jamey ebbe portato loro il ghiaccio, allontanato ulteriormente da Stiles, il licantropo si rivolse all’amico con sguardo decisamente preoccupato e dubbioso.
“Non va bene, lo sai?”, domandò, osservando la figura dormiente di Lyla.
Stiles sospirò, con fare frustrato. “Cosa pensi che sia successo?”.
“Isaac non sarebbe andato via senza motivo”, dichiarò Scott. “Forse è successo qualcosa ma il punto è che noi non possiamo scoprirlo. Sono svaniti e hanno addirittura disattivato i cellulari”.
“Credi che lei starà bene?”, domandò Stiles, sedendosi accanto a Lyla.
Scott rimase in silenzio per qualche minuto. Quella ragazza amava Isaac nella maniera più logorante in cui si poteva amare qualcuno e per quanto potesse essere forte non l'avrebbe superata facilmente.
Un conto era, come nel suo caso, avere la possibilità di sentire la persona di cui si era innamorati; un altro era, invece, non sapere nemmeno dove si trovasse e perchè fosse andato via.
“Forse con il tempo...”, affermò a voce bassa e con un tono poco convinto.
Stiles si voltò di nuovo a guardare la ragazza, provando per lei un immenso dispiacere.
Ricordava il suo sguardo vuoto e triste quando lei ed Isaac si erano separati la prima volta. Ora sapeva tutto di lui e dei licantropi, ma non rendeva certo la vicenda meno dolorosa.
Forse il fatto di esserne a conoscenza, faceva diventare il tutto ancora più difficile da sopportare, visto che Isaac l'aveva tenuta all'oscuro di qualcosa...ancora una volta, e Lyla non l’avrebbe presa certo nel migliore dei modi. Le strinse una mano, sperando che nei giorni a venire sarebbe riuscito a darle conforto in qualche modo.
 
 
 

Angolo dell'autrice
 
Ecco finalmente la storia che mi ha fatto “scervellare” nel vero senso della parola. Se penso a quanto filo da torcere mi ha dato, mi vengono praticamente i brividi. Comunque, questa mini long è il seguito di "Safe Harbor" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1951051&i=1). All'inizio non ero molto intenzionata a farlo ma poi sono stata invogliata e minacciata da un gruppetto di persone ( precisamente Pikky, Veleno Ipnotico, Lelahel, Strange, A new begininng, Ely 91 u.u) che mi ha dato la spinta per elaborare questa cosa, se l’ho scritta è solo grazie al sostegno ricevuto quindi spero vivamente di non avervi delusa e che la storia non vi risulti noiosa, visto che per il modo in cui è iniziata non promette molto bene e quindi se ne vedranno delle belle xD. Onestamente, sono abbastanza terrorizzata perchè ho dovuto lavorare un bel pò per renderla credibile. Il titolo l’ho preso dalla canzone “Mirrors” di Justin Timberlake, mentre la frase iniziale è tratta da “Hear me” degli Imagine Dragons. Penso si sia capito che il prologo si svolge in estate, dopo la fine della seconda stagione. Il prossimo capitolo sarà ambientato anch'esso in estate, poi dal secondo la storia si ricollega alla terza stagione. Come ho accennato, sarà una mini long (che avrà 12 o 13 capitoli) e buona parte dei capitoli sono già scritti, dovrò soltanto pubblicarli, quindi spesso qualche capitolo sarà anche in anticipo. Direi che vi ho tediato abbastanza u.u
Spero tanto che vi sia piaciuto e che possa intrigarvi abbastanza da permettervi di seguirla, lasciate un commento se vi va, anche piccino piccino ^^
Alla prossima settimana. Un abbraccio :)

 


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Capitolo 2
*** I - Left and leaving ***


I

Left and leaving



If you ever feel alone and the glare makes me hard to find.
Just know that I’m always peering out on the other side”.
(Justin Timberlake - Mirror)


Nonostante Beacon Hills fosse in piena estate, Lyla sentiva freddo.
Solo che non si trattava di un freddo dovuto al clima, bensì di quello che aleggiava attorno al suo cuore: il freddo che Isaac le aveva lasciato dentro. La storia si stava ripetendo ancora una volta.
Credeva di aver impacchettato quelle sensazioni per lasciarsele completamente alle spalle. Invece, stava succedendo tutto di nuovo e nella stessa identica maniera. Lei ed Isaac non avevano neanche fatto in tempo a ritrovarsi, che lui era andato via ancora una volta, dopo nemmeno un mese. Se qualcuno le avesse chiesto come era potuto accadere, Lyla non sarebbe stata nemmeno in grado di spiegarlo. La sera prima, lei ed Isaac si erano semplicemente visti e lui le aveva sussurrato di amarla, poi il mattino dopo ogni cosa aveva perso importanza. Pensare a cosa era accaduto alla stazione abbandonata era troppo faticoso per Lyla. Ricordava solo che un attimo prima stava scendendo le scale e poi c'era stato soltanto il buio, intorno al suo cuore.
Non riusciva ad elaborare tutto ciò, il suo cervello si era rifiutato, facendola cadere in uno strano stato di incoscienza. Solo che Lyla non ne poteva più di sentirsi così. Voleva fare qualcosa.
Non voleva rimanere ferma da qualche parte in attesa di lui o di essere portata in salvo. Era stanca di sentirsi inutile ed impotente. Era una sensazione che odiava con tutto il suo animo. In un momento di pura rabbia, era arrivata addirittura a pensare che Isaac l'avesse fatta sentire in quel modo ma quei pensieri erano dettati semplicemente dalla sua frustrazione.
Non sarebbe stata inerme un'altra volta. Quella volta avrebbe reagito come voleva. Bussò alla porta di casa Argent, che le venne gentilmente aperta da Chris, il padre di Allison.
Lyla rimase colpita dallo sguardo indagatore dell'uomo, che sembrava conoscerla.
Aveva l'aspetto di un padre severo, questo era sicuro, ma ciò non voleva dire che non fosse disposto a sacrificare la sua stessa vita pur di salvare Allison. Percepì nel suo sorriso imbarazzato una leggera punta di nervosismo, ricordandosi di lei, probabilmente per via di quel che era successo a causa di Gerard e per il fatto che lui non avesse potuto fare nulla a riguardo, perchè lei sapeva che non l'avrebbe permesso. Mentre lo osservava, si chiese come avesse potuto reagire al fatto che il fidanzato di sua figlia era un licantropo. Quale padre avrebbe mai pensato di doversi adeguare ad una figlia con un ragazzo licantropo.
Purtroppo, Scott non era più un problema per lui.
Chris la guidò verso la stanza dove Allison era immersa nella lettura di un libro.
“Tesoro!”, esclamò lui, bussando alla porta già aperta. “Hai visite!”.
Allison si sollevò velocemente in piedi, e rimase sorpresa nel vedere Lyla davanti a lei.
Chris rivolse un sorriso ad entrambe e tornò in cucina, mentre la ragazza restò ferma sulla porta, dondolando sulle gambe, con le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
Non riusciva a credere che stesse per fare una richiesta assurda...così assurda che cominciò a darsi della stupida per aver avuto anche solo il coraggio di presentarsi lì.
Ad Allison non sfuggì la sua agitazione e si avvicinò di poco con un sorriso gentile. Non avevano mai avuto occasione di conoscersi bene. Se lei non fosse stata così impegnata a cercare di vendicare la morte di sua madre, tentando di uccidere Derek, probabilmente avrebbero legato.
“Lyla”, esclamò con tono dolce. “Cosa ti porta qui?”.
“Voglio chiederti una cosa”, rispose lei con voce ansiosa. “Solo che è assurdo”.
Per un attimo, Allison cominciò seriamente a preoccuparsi per ciò che Lyla avesse intenzione di chiederle. Il suo viso era allarmato e a tratti imbarazzato, come se quello che voleva domandare la mettesse a disagio anche prima di parlare.
Quello non era certo un buon segno.
“Dimmi pure”, rispose lei, deglutendo e cercando di nascondere il suo timore.
Lyla cominciò a gesticolare e a torturarsi le mani, mentre cercava le parole adatte per formulare quella richiesta completamente priva di senso e carica di stupidità.
Allison sorrise e con un cenno del capo la incitò a parlare. Provava tenerezza per lei.
Non era ancora abituata a tutta la questione dei licantropi. Non era come Stiles, Lydia o come lei stessa. Non ancora, almeno. Era stata catapultata in quel mondo in modo troppo violento. L'impatto era stato forte, e questo le aveva impedito di assorbire il tutto come avrebbe dovuto. Certo, anche lei ci era finita all'improvviso, ma non come Lyla. Prima era ad una partita in tutta tranquillità e poi era stata rapita da un gruppo di cacciatori psicopatici che volevano usarla come esca per il suo ragazzo licantropo. Aveva scoperto tutto in modo così disordinato e brutale che in un primo momento l'aveva sconvolta; ma allo sconvolgimento era subentrata l'accettazione, grazie all'amore per Isaac.
A questo si era aggiunta, inoltre, la scomparsa di quest'ultimo, che aveva riportato la ragazza nello stato iniziale di subbuglio che credeva di aver accantonato. Ad avvisarla su ciò era stata Lydia.
“Voglio che mi alleni!”, affermò con una decisione ed una velocità che lasciò Allison sgomenta.
“Cosa?”, chiese con un'espressione agitata. “Allenarti?”.
“Già”, rispose Lyla, rendendosi maggiormente conto di come pronunciare quella richiesta a voce alta l'avesse resa ancora più stupida di quanto non fosse già nella sua testa.
“Perchè?”, domandò la ragazza con un sorriso nervoso in viso.
“Perchè sono stanca di sentirmi così”, rispose lei, soffocando un singhiozzo. “Non ne posso più di stare qui senza fare niente. Non ne posso più di essere tenuta fuori perchè sono soltanto una semplice umana, di destare preoccupazioni o di stare ad aspettare che mi salvino. Voglio salvarmi da sola. Voglio essere in grado di difendermi. Voglio sentirmi più forte”.
Voglio sentire meno la mancanza di Isaac.
Lyla pensò anche quello ma non ebbe la forza necessaria per pronunciarlo, eppure non era difficile intuirlo, visti i recenti avvenimenti.
Allison la osservò per qualche minuto senza rispondere, riflettendo sulle parole che aveva appena udito e su cosa avrebbe potuto risponderle.
Quella scena per lei era come un flashback.
In un attimo le pareti della sua stanza diventarono quelle annerite e sgangherate di casa Hale, mentre attorno a loro si creava quell'alone di vecchiume e di cenere che caratterizzava quella casa. C'era lei, in tuta, con sua zia Kate davanti ai suoi occhi, che la guardava con un ghigno soddisfatto.
Voglio sentirmi potente.
La frase riecheggiava nella mente di Allison, ricordandole il modo in cui Kate l'aveva istruita, ricordandole come quell'allenamento l'avesse resa potente quanto inquietante. C'era una linea molto sottile fra il sentirsi potenti e il diventare tenebrosi, come era successo a lei. Tutta quella forza le aveva fatto dimenticare chi fosse, e ci era voluto tanto per capirlo.
“Lyla”, cominciò, facendo attenzione alle parole da scegliere. “Essere in grado di difendermi non mi rende meno vulnerabile di te. Possiamo essere tutti in pericolo, umani e non. Un allenamento con il mio aiuto non ti protegge”.
La ragazza la guardava con ostinazione, mentre Allison continuava a scrutarla con attenzione, soffermandosi sui suoi occhi smarriti e bisognosi di qualcosa che alleviasse il suo dolore in qualche modo.
Voleva aiutarla, ma da un lato temeva anche che ciò potesse in qualche modo danneggiarla e peggiorare soltanto la situazione, come era accaduto a lei.
“Allison, ti supplico!”, esclamò con voce ferma, nella quale Allison scorse una lieve nota di disperazione...la disperazione di un cuore infranto. “Per me conta molto e non sapevo a chi altro rivolgermi se non a te, nonostante ci sia ben poco che ci unisce!”.
Allison notò una scintilla negli occhi di lei: una scintilla di determinazione.
La ragazza abbandonò le braccia lungo i fianchi, in segno di resa, ed emettendo un sospiro pesante.
“D'accordo”, rispose, sottomettendosi al desiderio di Lyla. Riusciva a sentire quanto fosse importante per lei, e se serviva ad alleviare anche di poco la sua sofferenza, andava bene così. “Tuttavia, non potrò farlo per tutta l'estate. Ho un viaggio in Europa che mi aspetta”.
Lei le sorrise con riconoscenza, facendo un cenno di assenso, ma il suo sorriso non era lo stesso che le aveva visto in volto qualche tempo fa, mentre camminava per i corridoi con Isaac gli ultimi giorni di scuola. Non era radioso e gioioso. Era un sorriso felice ma spento...come se qualcuno le avesse tolto tutta la luce che possedeva; come se qualcuno avesse spento una candela, lasciandola sola e completamente al buio.

 


“Ehi, ragazze! Ho portato da mangiare, qui c'è del...”.
Lydia non fece in tempo a finire la frase che venne assalita da Lyla, che l’atterrò, bloccandole i polsi sopra la testa, mentre la ragazza la guardava spaventata e cominciando a dimenarsi.
“Era esattamente quello che intendevo!”, esclamò Allison con voce allegra.
“Non è divertente”, ribatté lei, cercando inutilmente di liberarsi dalla presa di Lyla, che era diventata fastidiosamente più forte, costringendola a subire maltrattamenti e facendola diventare la loro cavia preferita per tastare i risultati ottenuti.
“Scusa”, affermò Lyla, liberandola dalla sua presa, e permettendole di sollevarsi.
Lydia si tolse i residui di terreno dai vestiti e rivolse uno sguardo bruciante alla ragazza, mentre recuperava la busta di panini che aveva preso proprio per loro.
“Non ve li meritate”, berciò con voce offesa, mentre sventolava la busta davanti a loro. “Allison ti sta plasmando a sua immagina e somiglianza. Non mi piace questa cosa. Mi basta lei”.
Lyla rise. Forse la prima risata sincera dopo tanto tempo e l’amica non riuscì a non sorridere a quella visione splendida, la cui rarità non sfuggì nemmeno a Lydia, che sapeva quanto Lyla avesse smesso di essere felice dopo la scomparsa improvvisa di Isaac. Allison le osservava, sorridendo a sua volta. L'allenamento andava avanti da due mesi e dopo le prime difficoltà, la ragazza era riuscita a fare qualcosa di consistente. All'inizio, Allison era stata così buona, che la stessa Lyla l’aveva rimproverata, ordinando di non avere compassione per lei; di non trattarla come una fanciulla delicata, e Allison l'aveva accontentata.
Non aveva avuto pietà per lei; l'aveva fatta sgobbare, sotto l'osservazione di Lydia che ad ogni sessione di allenamento, rimaneva seduta ai piedi di qualche albero, intenta a leggere e a fare qualche volta da manichino quando era strettamente necessario oppure quando Lyla era stanca di fare pratica su un sacco. I primi giorni, Lyla si era avventata così brutalmente su quel sacco, che Allison e Lydia si erano scambiate uno sguardo decisamente allarmato.
“Ricordami di non farla mai arrabbiare”, le aveva sussurrato Lydia.
Alle volte, Allison era stata anche piuttosto crudele ma Lyla aveva risposto con la giusta forza d'animo, facendo di tutto per essere all'altezza e aveva sopportato i dolori e le fatiche meglio di quanto lei potesse immaginare. L'aveva sottoposta ad ogni tipo di sforzo: corse lungo il bosco, esercizi, scontri corpo a corpo con lei; il tutto ad ogni ora della giornata...spesso anche di notte, ed in quel caso Lyla si limitava a mentire ai suoi genitori o a dormire semplicemente a casa Argent ma la maggior parte delle volte Allison l'aveva obbligata a tirarsi giù dal letto alle cinque di mattina.
I primi tempi, Lyla sembrava vacillare, e Allison riusciva tranquillamente a percepirlo. Il trauma iniziale era normale, ma per fortuna Lyla l'aveva superato.
Una persona qualunque l’avrebbe mandata affettuosamente al diavolo dopo appena due ore, ma non lei.
Lyla Evans si era dimostrata una scoperta bella e buona per gli effetti che poteva provocare un cuore spezzato. Faceva sempre tutto ciò che le veniva chiesto e non si lamentava quasi mai, ogni occasione in cuor suo le sembrava buona per migliorarsi sempre di più. Inoltre, ogni giorno Allison vedeva nei suoi occhi quella scintilla che aveva notato il giorno, ormai lontano, in cui Lyla gli aveva chiesto di allenarla.
Quella scintilla non era altro che il suo obiettivo, che si stava pian piano realizzando.
Si chiese se avesse intenzione o meno di usare tutta quella forza contro Isaac, ma sperò vivamente di no. Era diventata più agile e più forte. Il tutto si era svolto spesso sotto l’occhio vigile di Chris, che all’inizio non voleva che Allison accettasse quella proposta. Tuttavia, era stato proprio lui a suggerire a sua figlia che, trattandosi di un essere umano, Lyla dovesse maneggiare qualche arma o almeno imparare ad usarla; così, aveva deciso di intervenire. Chris, infatti, aveva assistito volentieri ad alcuni allenamenti, dando qualche a volta a Lyla consigli importanti su come sfruttare al meglio la sua corporatura e su come fronteggiare un pericolo senza il solo uso della forza fisica. Secondo il cacciatore, il corpo minuto di Lyla rappresentava un buon punto di forza, in quanto le permetteva di essere più veloce e sfuggire al nemico, con i giusti accorgimenti. Inoltre, le aveva anche permesso di utilizzare qualche arma, che teneva gelosamente conservata.
La ragazza aveva preso abbastanza familiarità con i pugnali e con la balestra anche se la prima volta, aveva rischiato di colpire Lydia con una freccia scagliata troppo presto. Lyla si era dovuta scusare un milione di volte prima che la ragazza potesse passarci sopra. Tuttavia, non sembrava molto in gamba con le pistole, da lei definite “armi barbare”, e anche in quel caso aveva rischiato di far del male a Lydia, la quale sosteneva con insistenza che la ragazza cercasse costantemente di farla fuori; Lyla, dal canto suo, ribatteva dicendo che l’amica era sempre davanti ai piedi...e non aveva tutti i torti. Lyla non era assolutamente ai livelli di Allison e nessuno aveva idea di quando ci sarebbe arrivata, ma era certamente sulla buona strada, nonostante qualche difficoltà ancora piuttosto evidente.
Chris, ad ogni modo, rimase colpito non solo da Lyla che si impegnava con tutta sé stessa ma anche da sua figlia, che aveva allenato l’amica con fermezza e determinazione…non riusciva a non sorridere mentre la guardava.
“Confessa, Lyla!”, esclamò Lydia con ancora il sorriso sulle labbra. “Vuoi proporti per il lacrosse”.
La ragazza la guardò, storcendo il naso. “Non ci penso nemmeno ma so che farei a pezzi Stiles”.
Lydia boccheggiò e si voltò verso Allison. “La senti la tua allieva?”.
Allison alzò le mani in segno di resa, e si limitò soltanto a ridere.
La ragazza porse alle due i rispettivi panini, e si sedettero tutte insieme sull'erba a gambe incrociate.
Dopo aver dato i primi morsi al panino, Allison si voltò verso Lyla, osservandola. Era bello vederla tranquilla, nonostante evitasse di esternare i suoi pensieri e sentimenti. L'allenamento le teneva sicuramente corpo e mente impegnati ma solo fino ad un certo punto...in quanto era palese quanto sentisse l'assenza di Isaac.
Nonostante la cacciatrice fosse ovviamente fiera di Lyla e dei risultati che pian piano stavano ottenendo, non riusciva in qualche modo a non preoccuparsi. Il dolore di un cuore ferito era forte, e spesso poteva portare a conseguenze irreversibili. Per quanto lei sapesse che Lyla aveva bisogno di concentrarsi su altro, temeva per lei. Prima di cominciare ad allenarla, l'aveva semplicemente vista come la semplice ragazza di cui Isaac era innamorato. Non avrebbe certo immaginato di vederla mentre prendeva a pugni un sacco e maneggiare armi per mettere al tappeto un possibile licantropo. In qualche modo, le ricordava sé stessa, per quanto fossero completamente e maledettamente diverse. Allison temeva che la forza e l'agilità arrivassero ad oscurare ciò che lei rappresentava davvero. La visione di lei che maneggiava pugnali non la faceva stare tranquilla. Temeva che Lyla potesse perdere di vista sé stessa, solo per non sentire l'assenza costante e lacerante di Isaac.
Proprio come aveva fatto lei, dopo la morte di sua madre.
Non voleva essere la”sua Kate” e non voleva che Lyla diventasse come lei, arrivando a minacciare i suoi stessi amici soltanto per raggiungere qualcosa che, a suo dire, l’avrebbe fatta stare meglio.
“Allora”, cominciò la ragazza, restando vigile. “Come ti senti?”.
“In che senso?”, domandò Lyla, dando un altro morso al panino.
“Beh, riguardo l'allenamento”, rispose Allison. “Ti senti più forte, più agile?”.
“Ovvio!”, intervenne Lydia, allargando le braccia. “Mi ha steso!”.
“Tu non conti, non sai difenderti”, ribatté Lyla, beccandosi una linguaccia dall'amica. “Comunque è una sensazione completamente nuova per me. Mi sento più forte, so di essere in grado di difendermi, seppur in modo limitato, visto che ho ancora molto da imparare, ma ne sento gli effetti”.
Allison le rivolse un sorrido dolce. Sapere di aver contribuito a farla stare meglio la rendeva felice, la stava aiutando a realizzare qualcosa che per lei era importante, ma la preoccupazione era sempre lì.
“Cosa mi dici di...Isaac?”, chiese d'un tratto Allison, sapendo di essere stata forse troppo avventata nel porle quella domanda, poiché Lyla si bloccò un attimo, senza nemmeno voltarsi, mentre Lydia smise improvvisamente di mangiare. Quella ragazza era come un cerbiatto: attenta, guardinga, e pronta a scappare al primo passo falso, senza farsi più riprendere. Per quel motivo, Allison sperava di non essere stata troppo diretta: non voleva spaventarla, ma soltanto capirla e aiutarla.
“Se dicessi che non sento la sua mancanza, sarei poco credibile”, dichiarò lei con lo sguardo fisso sul terreno. “Solo che non so dove sia, se sta bene, non so perchè non vuole essere trovato ancora una volta, ed è dannatamente frustrante, perchè non ho saputo nemmeno dove cercarlo”.
In realtà, era come se Lyla la stesse affrontando in maniera diversa. Faceva male, eppure non sembrava devastante come la prima volta...forse perchè la prima le era servita ad essere più resistente, e stava in qualche modo metabolizzando il dolore; o forse era semplicemente merito dell'allenamento che l'aveva aiutata a focalizzarsi su altro, anche se i primi giorni non era stata certo l'impresa più semplice del mondo. Era strano, perchè era come se una parte di lei sapesse che Isaac sarebbe tornato prima o poi. Era una guerra continua nel suo cuore, una parte le diceva di stare tranquilla perchè sarebbe tornato, un'altra diceva di cominciare a dimenticarlo perchè era andato via per sempre, ma lei non sapeva ancora a chi dare retta. Ricordava ancora il risveglio traumatico, dopo aver cercato Isaac insieme a Stiles e Scott. Si era svegliata nella sua stanza da sola e completamente stonata Non aveva avuto nemmeno la forza di urlare o di proferire parola. Aveva soltanto stretto il cuscino al corpo, soffocando i singhiozzi ed imponendosi di non fare la bambina petulante e piagnucolosa...avrebbe solo peggiorato la situazione. Forse dopo la partenza delle amiche sarebbe tornata al punto di partenza, ma Lyla sperava con tutto il cuore che non sarebbe successo.
“Te la caverai senza noi?”, domandò Lydia con un sorriso dolce, facendo riferimento all'imminente partenza di entrambe. “So che la compagnia di Stiles e Scott non regge il confronto con la nostra”.
“Ovvio che me la caverò!”, rispose la ragazza con espressione convinta, anche se dispiaciuta.
“Quei due sanno di questi...incontri?”, domandò poi la rossa con fare curioso.
“Sì”, rispose Lyla mentre le sue labbra si stendevano in un sorriso divertito. Ricordava perfettamente la reazione di entrambi a quella strana rivelazione. “Dopo una ramanzina, si sono rassegnati”.
“Scott non è furioso?”, domandò Allison all'improvviso. Temeva che Scott potesse essere adirato per quello che aveva fatto, ma per quale motivo non doveva aiutarla a realizzare un suo desiderio?
“No, affatto”, esclamò Lyla. “Era solo preoccupato, come anche Stiles ma hanno capito”.
Allison fece un cenno con il capo, senza aggiungere altro.
Sorrise e basta, sperando che sarebbe andato tutto per il meglio.
Non aveva alcun senso pronunciare frasi come “andrà tutto bene”, “ce la farai”, per quanto le stesse pensando costantemente.
Sapeva che Lyla ce l'avrebbe fatta e sapeva anche che Isaac prima o poi sarebbe tornato. Non poteva certo stare via per sempre, ovunque lui si trovasse.

Isaac guardava il panorama che si ergeva fuori dalla finestra del loft.
La città dormiva, eppure qualche luce era ancora accesa.
Si era sempre chiesto cosa stessero facendo tutte quelle persone ancora sveglie, anche quando viveva a Beacon Hills con la famiglia.
Guardava dalla finestra nel bel mezzo della notte e vedeva quelle poche luci accese, segno che qualcuno, come lui, era ancora in piedi.
Forse quelle che vedeva erano le luci accese di genitori ancora svegli a guardare un film sul divano, dopo aver messo a letto i bambini, avvolti nei letti mentre stringevano i loro peluche.
Forse erano le luci di qualcuno che semplicemente non riusciva a dormire perchè lo aspettava una giornata importante e quindi non riusciva a combattere l'ansia.
Forse erano le luci di un ragazzo innamorato che aveva deciso di chiamare la sua ragazza soltanto per dirle quanto la amasse e quanto gli dispiacesse di non averla vista quella sera.
Forse erano le luci di qualcuno che si era svegliato in preda ai sensi di colpa per qualcosa che aveva fatto e da cui non poteva tornare indietro o porre rimedio.
Forse erano le luci di qualcuno che, come lui, era scappato via, lontano, rischiando forse di distruggere quelle poche cose belle che possedeva.
Ultimamente, il desiderio di una vita normale si era fatto sentire sempre di più.
Aveva sempre creduto che dopo il diploma sarebbe andato via a tanti chilometri di distanza da quella prigione nota come casa; avrebbe frequentato un college importante, dove avrebbe stretto tante amicizie che lo avrebbero accompagnato nel corso della sua vita; si sarebbe laureato e avrebbe trovato lavoro, per poi tornare a casa la sera, sfinito, buttandosi sul divano di casa sua.
Con il passare del tempo, le sue giornate sarebbero state meno vuote, perchè riempite da una presenza costante, magari proprio da Lyla. Qualche sera l'avrebbe trovata a casa ad aspettarlo quando era di ritorno dal lavoro; altre sere, invece, sarebbe stato lui ad aspettare il suo ritorno. Avrebbero condiviso tutto: dalla colazione prima di uscire dalla propria casa, alla cena negli orari più improbabili. Avrebbero condiviso il divano e avrebbero litigato su quale film guardare, avrebbero condiviso ogni piccolo pezzo di vita insieme. E chissà, magari un giorno, tornando a casa, non avrebbe abbracciato soltanto Lyla ma anche una figura più piccola e delicata, forse una piccola versione di sé stesso oppure di Lyla. La prima volta che Isaac aveva fatto un pensiero del genere, aveva sorriso, sentendosi un perfetto idiota. Eppure, lo aveva sempre desiderato nel profondo del suo cuore: per lui sarebbe stata un'occasione per dimostrare che non era come suo padre, anzi. Avrebbe dimostrato maggiormente quanto era in grado di amare e avrebbe fatto l'impossibile per essere all'altezza della situazione.
Quelli, però, erano soltanto sogni.
Erano soltanto sogni di una vita normale a cui Isaac aveva rinunciato tempo fa, accettando il morso da Derek e cambiando completamente la sua vita.
I licantropi andavano al college? Lui stesso sarebbe andato al college oppure sarebbe rimasto con il branco per sventare qualche minaccia sovrannaturale?
I licantropi avevano figli? I figli che nascevano erano licantropi anche loro?
Isaac non sapeva certo dare una risposta consistente a quelle domande. Sapeva soltanto che era tutto sbagliato. Sapeva che forse non doveva nemmeno essere lì, bensì al fianco di Lyla. Si chiedeva cosa stesse facendo in quel momento, mentre la sua mano scivolava sul vetro appannato dell'attico, quasi sperando che da qualche parte lontano da lui anche lei avesse ancora la luce accesa.
Era andato via senza dire niente, senza dare una spiegazione: era sparito e basta.
Avrebbe voluto dirle che sarebbe tornato, avrebbe voluto stringerla e baciarla fino a toglierle il fiato, soltanto per suggellare quella promessa, rimasta in bilico sul suo cuore. Sapeva che Derek non lo aveva obbligato a seguirlo, ma sapeva anche che un branco di alpha era in città e teneva prigionieri Erica e Boyd, i primi amici che lui avesse mai avuto in tutta la sua vita.
Sapeva che questo branco era disposto a tutto pur di ottenere ciò che voleva e non si sarebbe fatto certo problemi a tagliare la gola alle persone a cui teneva di più...come Lyla. Si era buttato di nuovo nella parte del supereroe...così lo avrebbe definito la stessa Lyla. Si era buttato a capofitto in un mare di oscurità e pericoli per proteggere e salvare chi amava. Si era semplicemente lanciato e non sapeva come sarebbe andato a finire tutto ciò. Erano soltanto lui, Derek e Peter, che non era nemmeno in grado di combattere, contro un branco di alpha forti e in maggioranza numerica.
Come avrebbe potuto esserci un finale felice, in effetti?
Forse sarebbe andato tutto bene, perchè si sapeva: dopo la tempesta, il sole tornava sempre a splendere. Forse c'era speranza, forse stavano soltanto combattendo contro un'ombra che dovrà svanire. Derek gli aveva detto più volte che poteva andare via ed essere un semplice teenager; sapeva di poter tranquillamente tornare indietro, poteva farlo quando voleva ma Isaac non lo faceva.
Continuava ad andare avanti perchè c'era qualcosa che lo spingeva.
Non importava se aveva paura di non sopravvivere.
Non importava se poteva finire prigioniero insieme ad Erica e Boyd.
Non importava se doveva farsi staccare la testa pur di salvarli.
Non importava, perchè lui, Isaac Lahey, combatteva per qualcosa.
Combatteva per salvare qualcosa a cui si aggrappava disperatamente: il desiderio incontrollabile di proteggerla...valeva la pena lottare per assicurarsi che almeno lei, a differenza sua, restasse viva.



Angolo dell'autrice

Ecco il primo capitolo di questa fan fiction, che mi porta ancora adesso a pormi diverse domande quali “ma chi cavolo me l'ha fatto fare?” e “perchè mi sembra la cosa più insensata che io abbia mai letto e riletto”? Comunque, a parte queste mie piccole riflessioni, cosa ve ne pare? Spero che l'idea dell'allenamento non vi risulti stupida, ma, a dirla tutta, non avevo intenzione di farla stare ferma per quattro mesi a guardarsi le mani, quindi ho pensato di optare per questa soluzione. Ovviamente, l'allenamento non è finito qui, è stato solo “sospeso” dalla partenza di Allison, quindi nei prossimi capitoli Lyla metterà un po' in pratica certi insegnamenti (prenderà a pugni Isaac? Chi lo sa u.u). Questi primi capitoli sono stati un pò di introduzione e spero non vi siano risultati troppo noiosi, i capitoli di passaggio sono sempre un travaglio. Il prossimo capitolo si ricollega alla terza stagione. Il titolo del capitolo è tratto dalla canzone di The Weakerthans. Spero che questo capitolo vi abbia incuriositi e che non vi abbia fatto troppo vomitare, in quel caso vi incito sempre a lanciarmi pomodori, ciabatte e ortaggi vari. Fatemi sapere cosa ne pensate e lasciate un commento positivo/negativo, se vi va, anche piccino piccino ^^
Spero tanto che vi sia piaciuto. Ringrazio di vero cuore tutte le persone che hanno letto, recensito e messo la storia fra le seguite...siete dei tesori e mi rendete meno sfiduciata su questa storia :3
Al prossimo capitolo, un abbraccio C:

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Capitolo 3
*** II - Demons ***


II

Demons



Darkness falling, leaves nowhere to go.
It's spiralling down, biting words like a wolf howling.
Hate is spitting out each others mouths”.
(Daughter - Still)


Lyla non aveva mai avuto problemi a dormire.
Solitamente, le bastava posare la testa sul cuscino per cadere in un sonno profondo.
Il momento che preferiva in assoluto della giornata era quello in cui si rannicchiava fra le coperte, dove niente e nessuno avrebbe potuto darle fastidio o farle del male in qualche modo. Era solo lei, insieme ai suoi sogni. Per questo, ogni volta si addormentava con tranquillità.
Da quando, però, Isaac era entrato a far parte della sua vita, il sonno non era stato più tanto sereno. Il pensiero di lui rinchiuso in un freezer mentre lei se ne stava beata fra le coperte di un comodo letto la faceva rabbrividire, portandola a fissare il soffitto senza riuscire a prendere sonno.
La situazione era peggiorata con la scoperta di tutta la vicenda sui licantropi. All'inizio, Lyla si era ritrovata molto spesso in preda ad incubi che vedevano Isaac come protagonista e non finivano mai bene: si svegliava sempre poco prima della fine ma la visione di Isaac che veniva tagliato in due da qualche cacciatore non poteva certo indicare un bel finale per il suo sogno.
Una sera, Lyla aveva avuto un incubo del genere, mentre Isaac era accanto a lei sul letto: si era addormentato mentre leggeva “Il Signore degli Anelli”, e quando l'aveva sentita svegliarsi all'improvviso con il cuore che batteva a mille, era praticamente saltato dal letto, affrettandosi a stringerla per cercare di calmarla. Isaac sapeva che nei suoi incubi era lui la vittima principale, e si sforzava di farle capire che lui era lì, vivo e illeso insieme a lei.
Il sonno di Lyla in quel periodo era sicuramente degenerato, visti gli ultimi avvenimenti. Gli incubi si erano moltiplicati e si ripetevano ogni singola notte. Non variavano mai, portando Lyla a sognare sempre la stessa cosa: Isaac che andava via, senza voltarsi indietro e lei che inizialmente fissava il suolo per poi alzare gli occhi, mostrando uno sguardo quasi inquietante. Non sembrava lei quella ragazza del sogno, ma una versione diversa di sé stessa.
Ormai, quando il sonno l’avvolgeva, Lyla si trovava sommersa dai suoi demoni personali con i quali prima o poi avrebbe fatto i conti.
Il primo era certamente Isaac, presenza costante nei suoi sogni; il secondo, invece, era proprio lei, ridotta ormai ad un ramo spezzato e crollato al suolo dopo un violento temporale, provocato dello stesso Isaac. Nei suoi sogni, lei era ferma con le braccia abbandonate lungo i fianchi e lo sguardo cupo che si sollevava leggermente: Lyla poteva vedersi, come se fosse la spettatrice di un film ed aveva come la sensazione che quella strana versione di sé stessa stesse fissando proprio lei.
Una parte di lei continuava a dirle che non doveva saltare alle conclusioni, che doveva approfondire la vicenda, ma cosa poteva esserci da approfondire quando Isaac l'aveva di nuovo abbandonata, rendendola ignora ancora una volta di ciò che gli stava succedendo? La prima volta le aveva nascosto di essere un licantropo per proteggerla, adesso di cosa si poteva trattare? Lyla credeva che il tempo delle bugie e delle cose non dette fosse completamente finito, eppure Isaac aveva continuato a nasconderle qualcosa; e non era normale il fatto che il suo numero di cellulare fosse disattivato, che casa Hale fosse disabitata e con essa anche la vecchia stazione.
Il suo primo pensiero era stato che fosse successo qualcosa ma la loro scomparsa improvvisa lasciava intendere ben altro, cioè che erano andati via per un motivo preciso. La domanda era se sarebbero tornati o meno; ma soprattutto, cosa avrebbe fatto lei in quel caso? Da quando sia Allison che Lydia erano partite, non aveva fatto altro che chiederselo. Senza loro era riuscita a sopportare quelle giornate, grazie anche alla presenza di Scott e Stiles, nonostante fossero entrambi leggermente ostili alla richiesta che Lyla aveva fatto ad Allison, soprattutto Stiles.
“Insomma, la mangi o no quella ciambella?”, squittì ad un tratto una voce alle sue spalle.
Lyla guardò la ciambella nel piatto: da quando aveva iniziato l'allenamento con Allison, aveva apportato delle modifiche anche al regime alimentare e non sapeva nemmeno perché l’aveva ordinata. Si voltò verso la voce alle sue spalle, e rimase alquanto confusa nel vedere un ragazzo sedersi al suo tavolo, senza nemmeno chiedere il permesso e addentare la ciambella. Anche se non aveva intenzione di mangiarla, quel comportamento le fece ugualmente storcere il naso. Non aveva idea di chi fosse, anche se il suo viso era stranamente familiare, ma aveva pronunciato una sola frase e lo trovava già antipatico.
“Chi ti dice che non l’avrei mangiata?”, domandò, alzando un sopracciglio.
“Era lì da mezz’ora”, ribattè lui. “E tu non l’hai degnata nemmeno di uno sguardo”.
“Mi stavi spiando?”, chiese lei, con un sorrisetto sarcastico in visto.
Il ragazzo sembrò sul punto di ridere e incrociò le braccia sul tavolo.
“Veramente io lavoro qui”, asserì lui con un’espressione vittoriosa.
Lyla si sentì avvampare per l’imbarazzo e la voglia di sprofondare era fin troppo prorompente, così, cercando di rimanere impassibile e composta, si limitò ad un semplice “oh”, in segno di sorpresa, al quale il ragazzo rispose con una leggera risata.
“Non ti ricordi di me, vero?”, chiese lui con voce gentile.
La ragazza lo fissò un attimo, interdetta, come se fosse ancora nel mondo dei sogni.
Non ricordava quel ragazzo fin troppo amichevole e per un attimo si sentì anche in colpa. Odiava non riconoscere le persone, credeva fermamente che la facesse apparire come una ragazza superficiale e poco attenta a ciò che le accadeva intorno, e Lyla non lo era affatto. Quel ragazzo sembrava gentile. Eppure, il modo in cui la scrutava l'aveva irritata non poco, come se credesse di sapere cosa le stava esattamente passando per la testa in quel preciso istante.
Lyla cercò di reggere il suo sguardo fastidioso ma si sentiva esposta e decisamente troppo osservata. Si chiese se frequentava anche lui il liceo di Beacon Hills, o se fosse nella squadra di lacrosse, ma non poteva esserne certa, visto che non ricordava di averlo mai visto prima di allora.
Lei non rispondeva e un’altra risata di lui risuonò nelle orecchie di Lyla, che desiderava sempre di più avere una delle balestre usate negli allenamenti solo per scoccare una freccia di avvertimento.
“Sei sempre stata così silenziosa?”, chiese lui palesemente divertito.
La ragazza ridusse gli occhi a due fessure per poi guardare l’orologio: era tardi e lei non aveva certo tempo da perdere con uno sconosciuto che si divertiva a giocare ad “Indovina chi”.
“Beh, buona giornata!”, esclamò lui, mantenendo sempre il sorriso, che Lyla ricambiò in modo decisamente forzato, pensando che a breve avrebbe sputato fuoco.
Uscì dalla caffetteria e si diresse verso il bosco di Beacon Hills per la sua solita corsa, notando solo in quel momento che il ragazzo l'aveva chiamata per nome.
Come faceva a conoscerla?
Sperò seriamente che non fosse uno psicopatico o una specie di mostro.
Vista la città in cui viveva, non era una possibilità da scartare.
La ragazza cercò di concentrarsi sulla sua corsa mattutina, sperando di riuscire a calmare i nervi e a scrollarsi di dosso tutti quei pensieri che le rimanevano fastidiosamente avvinghiati ogni volta.
Lyla correva, sforzandosi di indirizzare tutta la concentrazione che aveva sulla musica che stava ascoltando in quel momento. Prima di andare via, Allison le aveva lasciato qualche “dritta” e lei aveva deciso di seguirla e, a dirla tutta, non aveva altra scelta, visto che se Lyla si fosse fermata anche per un secondo, sarebbe semplicemente crollata, chiudendosi in sé stessa.
La ragazza teneva il volume basso e quando udì un fruscio sospetto di foglie, si fermò di colpo, cominciando a guardarsi intorno con fare vigile. Lyla sperò vivamente che non si trattasse di qualche altro “fenomeno da baraccone” tipico di Beacon Hills, e la mano afferrò la sua daga, nascosta con cura dietro la sua gamba. Quando i rumori cominciarono a farsi più vicini e una figura iniziò a delinearsi poco lontano da lei, Lyla scattò repentina verso quello che sarebbe dovuto essere un suo aggressore, atterrandolo al suolo e puntandogli la daga alla gola.
“Ferma, ferma! Sono io!”, gracchiò quella voce fin troppo familiare.
“Stiles!”, esclamò Lyla, riponendo il pugnale. “Cosa diavolo ti salta in mente?”.
“Nulla”, rispose lui, fingendo naturalezza. “Mi trovavo da queste parti”.
Se c'era una cosa che Stiles doveva sicuramente migliorare era la sua attitudine nel “mentire”, visto che i suoi occhi, almeno con Lyla, lo tradivano ogni volta, permettendole di capire tutte le sue strane e spesso stupide intenzioni. Non poté fare a meno di chiedersi come Stiles riuscisse a nascondere con estrema naturalezza tutta la vicenda dei licantropi a suo padre, per poi lasciarsi inchiodare da una semplice ragazza della sua età. Lyla scosse la testa in modo annoiato e lo lasciò andare.
“Sai, non mi piace essere accerchiato da persone in grado di pestarmi” aggiunse il ragazzo, mettendosi a sedere. “Ero abituato soltanto a Scott e Derek...ora siete un po' troppi”.
“Perchè mi hai seguita?”, chiese lei, senza troppi convenevoli. Aveva imparato a voler bene a Stiles per diversi motivi, ma sapere di essere seguita non la rese molto felice, la faceva sentire troppo controllata, come se fosse una ragazzina che aveva bisogno di essere sorvegliata.
“Ero preoccupato”, dichiarò il ragazzo. “Non mi piace che ti aggiri da sola nel bosco, qui ne succedono di tutti i colori”.
“Beh, l'unico licantropo in circolazione al momento è Scott”, aggiunse lei con un sorriso ironico.
“Non significa nulla”, sbottò Stiles, leggermente irritato. “Non vuol dire che tu debba aggirarti tutta sola nel bosco, sembra che tu stia indirettamente urlando di farti aggredire, quasi ci speri che qualcuno ti colga di sorpresa, così puoi dimostrare che sai difenderti, come hai fatto prima”.
“Stai divagando”, ribattè la ragazza, incrociando le braccia al petto, senza sapere se quel gesto fosse dettato dal fatto che era irritata dalle parole dell'amico o semplicemente perchè stava cercando di difendersi dalla verità che le era appena stata gettata addosso, come un secchio d'acqua gelida.
“Forse non sarò bravo a mentirti ma nemmeno tu scarseggi”, le fece notare il ragazzo, indicando il modo in cui Lyla si era subito messa sulla difensiva.
“Quando la smetterai, Lyla?”, continuò Stiles, il cui tono era diventato arrendevole, come se la sua fosse più una supplica che una domanda. “Questa non sei tu. Non sei la ragazza dolce, gentile, fastidiosa e piena di sarcasmo che ho conosciuto e di cui Isaac si è innamorato”.
“Forse non voglio più essere quella ragazza”, rispose lei, senza nemmeno rifletterci troppo.
“Stai perdendo te stessa...proprio come è accaduto ad Allison”, aggiunse Stiles, abbassando lo sguardo sul terreno umido sotto i loro piedi. “Colpirai anche tu Isaac con un pugnale a breve?”.
Lyla non rispose e si limitò ad evitare lo sguardo di Stiles, voltandogli le spalle. La ragazza fece un solo passo per poi fermarsi. Voleva voltarsi e dire qualcosa ma non ci riusciva, correre via sarebbe stato più facile. Fece un respiro profondo, come per riprendere il controllo di sé.
“Smetti di seguirmi”, esclamò semplicemente, per poi correre via, lasciando Stiles nel mezzo del bosco sconfitto e amareggiato per ciò che la sua amica stava attraversando. Si era ripromesso di starle vicino e di aiutarla a superare tutto ma stava avvenendo l’esatto contrario.
Intanto, Lyla era corsa via, ricacciando indietro tutto quello che Stiles le aveva detto e cercando di annullare il timore che a breve le sarebbe spettata la stessa sorte che era capitata ad Allison, ovvero quella di assecondare la sua rabbia. Non voleva fare del male ad Isaac, voleva solo cacciare il demone che lui era diventato, trovando posto negli angoli più bui del suo cuore, pronto a tormentarla alla prima occasione. Voleva esorcizzare quel demone, simbolo di tutto ciò che era in grado di ferirla e farla piangere anche a distanza di tempo e soprattutto nel peggiore dei modi.
Dopo la fine della sua corsa, Lyla non vedeva l'ora di tornare a casa sua e sprofondare nel materasso, senza dare alcun peso a tutto ciò che era successo. Cercava con tutte le sue forze di non pensare all'incontro con Stiles e a ciò che lui le aveva detto in tutta sincerità.
Ormai, Isaac era soltanto un fantasma che aleggiava ancora nelle strade di Beacon Hills, nella sua casa e soprattutto nel suo cuore. L'aveva indebolita o l'aveva solo resa più forte? Era davvero in grado di pugnalare Isaac alle spalle, solo per dimostrare a sé stessa che era in grado di difendersi da sola? Un'altra domanda le balenò all'improvviso in testa, sovrastando le altre: lei ed Isaac un giorno si sarebbero comunque lasciati, no? Lyla cercava di essere più razionale possibile sull'argomento: le persone prima o poi finivano per lasciarsi, per un motivo o per un altro, come era successo a Scott ed Allison, nonostante insieme sembrassero perfetti. Il primo amore doveva essere necessariamente quello vero o era soltanto l'inizio? Lei era stata il primo amore di Isaac, ma per come si erano messe le cose fra loro, probabilmente non lo sarebbe stato ancora. Il pensiero di Isaac con un'altra le provò un turbamento per nulla indifferente, ma se fosse andato davvero avanti e lei fosse rimasta indietro? Non riusciva ad immaginare sé stessa insieme a qualcun altro. Aveva bisogno di altro tempo, ma tre mesi forse erano stati sufficienti per lui, che magari l'aveva rimpiazzata. Lei era cambiata, e sapeva che se soltanto lo avesse avuto davanti, non avrebbe esitato a prenderlo a pugni per essersene andato...ma sarebbe stata disposta a perdonarlo ed, eventualmente, a ricominciare?
Ricominciare era facile. Una pietra sopra e tutto tornava come nuovo, ma la vera sfida era “continuare” qualcosa prima che andasse completamente perduto.
Immersa in quei pensieri, Lyla aprì la porta di casa, aspettandosi di trovare Toby che le faceva le feste ma non fu così. Prima di chiamarlo, dalla cucina spuntò una figura familiare che teneva fra le braccia il piccolo beagle: il ragazzo della caffetteria. Prima che Lyla potesse proferire parola, vennero raggiunti da suo fratello Jamey che la salutò con un sorriso.
“Ehi, Lyla!”, disse con voce allegra, mentre saliva le scale. “Ti ricordi di Wyatt?”.
Lyla boccheggiò per qualche secondo e il ragazzo la osservava con un sorriso sornione e vittorioso stampato in viso, mentre lei cominciava finalmente a realizzare perchè il suo viso le era sembrato così dannatamente familiare: Wyatt era un amico di Jamey, un anno più grande, e suo fratello ogni tanto gliene aveva anche parlato, dicendole che lo aveva conosciuto il primo giorno di scuola.
Ricordò anche che qualche volta era stato a casa, ma lei non vi si era soffermata, dato che la sua testa era occupata da altri pensieri. Non lo aveva mai notato e, a dirla tutta, non intendeva certo cominciare in quel momento. Quel Wyatt le ispirava soltanto fastidio e arroganza.
“Dall'espressione che hai appena assunto, deduco che ti sia ricordata di me”, asserì lui, continuando a tenere il cucciolo fra le braccia, che giocava con la manica della sua maglia blu.
“Forse”, rispose lei, togliendosi le cuffie.
“Quale onore!”, esclamò Wyatt, sorridendo e mimando un'espressione lusingata.
Perchè quel ragazzo le sembrava una palla al piede? Lyla, tuttavia, non ricordava di essere così sofferente e restia alle nuove conoscenze. Non era mai stata una che “se la tirava”. Essere gentile era uno dei suoi tratti distintivi ma in quei quattro mesi aveva perso molte cose, non solo Isaac, anche la sua voglia di essere la donzella dolce di turno era andata a farsi benedire.
Forse Stiles non aveva poi tutti i torti ma il punto era anche che quel ragazzo la metteva a disagio. Era lui ad essere troppo amichevole o era lei ad essere un caso umano con assoluto bisogno di farsi ricoverare da qualche parte? In effetti, non voleva conoscere la risposta a quella domanda.
“Sempre molto loquace”, esclamò ad un tratto lui, ridestandola dai suoi pensieri.
Lyla sorrise impercettibilmente, sperando che Wyatt non se ne accorgesse, altrimenti l'avrebbe certamente tartassata e guardata in quel modo fastidiosamente soddisfatto, come se avesse appena vinto una competizione di natura sconosciuta.
“Allora?”, cominciò lui, facendo qualche passo avanti. “Come se la passa Isaac a Londra?”.
La ragazza rimase un attimo interdetta da quella domanda, fissandolo con gli occhi sbarrati, poi cercò subito di riprendere contegno e si ricordò che aveva detto alla sua famiglia che Isaac era partito per partecipare ad uno stage a Londra, e non sapeva quando sarebbe tornato.
Aveva evitato di scendere nei dettagli, per impedire che la falsa notizia si diffondesse ma sembrava proprio che Wyatt lo sapesse e avrebbe dovuto ringraziare Jamey a suon di schiaffi per quello.
“Bene”, rispose con voce ferma. “Tu invece? Ti piace sempre invischiarti degli affari altrui?”.
Wyatt rise, come aveva fatto nella caffetteria: sempre in quel modo divertito e quasi spontaneo.
Non c'era cattiveria o malizia nella sua risata, forse si divertiva solo a mettere in imbarazzo le persone, dato che la sua domanda aveva un qualcosa di strano, come se sapesse qualcosa.
“Sai, mi piace tenermi impegnato”, dichiarò, scrollando le spalle, mentre Toby cominciava a dimenarsi fra le sue braccia e Wyatt si decise a mettere giù il cucciolo, che corse dalla padrona.
Wyatt lo fissò con una finta espressione offesa. “Traditore!”.
“Non hai speranze”, ribattè la ragazza, prendendo Toby in braccio.
“Intendi con te o con il cane?”, chiese Wyatt, infilando le mani nei jeans.
Lyla rimase basita e un ricordo la colpì in pieno, come uno schiaffo.
C'era Isaac in soggiorno, seduto sul divano, mentre lei gironzolava tutta allegra per la stanza con il cucciolo, preso da pochi giorni fra le braccia. Sembrava una bambina la mattina di Natale.
Il ragazzo la guardava sorridente per tutta la premura che mostrava verso il nuovo arrivato, e constatando come Lyla si dedicasse completamente a Toby, dimenticandosi di lui che ad un tratto aveva cercato di richiamare la sua attenzione, senza molti risultati.
Non hai alcuna speranza, Lahey!”, aveva detto lei, con un ghigno divertito.
Intendi con te o con il cane?”, aveva domandato Isaac, circondandole la vita con un braccio.
Eccolo lì, il suo demone personale, racchiuso in quell'amaro ricordo. Lyla cercò di scrollarsi quello scenario di dosso, come fosse neve appena caduta dal cielo, e soffermando la sua attenzione sull'insolenza che Wyatt aveva nuovamente mostrato con quella domanda.
Il ragazzo sembrò notare il suo improvviso cambiamento di umore e la osservò con curiosità.
“Allora, andiamo?”. La voce di Jamey li fece voltare verso le scale, da cui il ragazzo stava scendendo per raggiungere l'amico. Diede una leggera carezza al cucciolo e prese lo zaino. “Vado da Wyatt”, continuò il fratello. “Mi aiuta a fare pratica con il lacrosse. A stasera”.
Lyla rispose con un semplice “ok”, e mise il cucciolo a terra, cominciando a recarsi in cucina, quando la voce di Wyatt la richiamò, facendola voltare verso la porta.
“Ciao, Lyla!”. La porta si chiuse, come si era chiuso anche il suo cuore mesi fa.

 


Il dolore era più lontano, ma ancora lacerante. Non era come quando si allenava con Derek e lui lo stendeva, rompendogli qualche osso. Era un dolore completamente diverso, più profondo.
Un dolore che gli entrava nelle viscere, andando a colpire tutte le sue membra, come se il suo corpo stesse andando a fuoco. Isaac si sentiva come ancora peggio, mentre Melissa gli spostava piano le garze per controllare la ferita e lui si guardava attorno, con sguardo vigile, assicurandosi che nessuno entrasse all'improvviso, scoprendo il suo segreto.
Scott era fortunato ad avere una mamma come Melissa. Era dolce e comprensiva, gli ricordava un po' la sua mamma mentre la guardava e lei sfoggiò un sorriso imbarazzato, come se non sapesse assolutamente dove mettere le mani, come se quella situazione fosse ancora completamente nuova per lei. D'altronde come avrebbe potuto non esserlo? Eppure la stava affrontando in modo maturo, da ottima madre quale era...e Isaac riusciva a sentirlo.
Lui era ancora lì in quella stanza d'ospedale, senza nessuno che fosse venuto a tirarlo fuori dai guai, come il suo alpha. Perchè Derek ci metteva così tanto a venire?
Isaac aveva paura. Si sentiva perso. Era solo durante la traversata, non c'era nessuno accanto a lui.
“Ha provato a chiamare Derek?”, domandò il ragazzo con occhi speranzosi.
“Tipo cinque volte”, rispose Melissa in modo leggermente irritato.
Dove si era cacciato Derek? Perchè lo aveva abbandonato proprio nel momento del bisogno?
Isaac cercava di non porsi troppe domande mentre i suoi occhi azzurri vagavano alla ricerca di qualcosa a cui appoggiarsi, qualcosa che non lo facesse scoraggiare per ciò che sarebbe potuto succedere. Non potevano fargli un intervento. Avrebbero scoperto tutto e lui sarebbe stato spacciato. Non sapeva come uscirne, e il senso di smarrimento aumentava, come il battito del suo cuore che accelerava maledettamente. Lui stesso si era mostrato disposto a tutto per trovare i suoi amici ma proprio non riusciva a non domandarsi perchè Derek lo stesse lasciando esposto in quel modo.
“Hai qualche altro numero di emergenza da licantropo?”.
Isaac fissò i suoi occhi azzurri in quelli di Melissa. Quella domanda era come un appiglio, uno scoglio a cui aggrapparsi...un'ancora di salvezza in mezzo a tutto quel mare agitato.
In realtà, Isaac non intendeva arrivare a questo. Non voleva coinvolgere Scott, eppure sembrava non avere altra opzione. Scott era l'unico in grado di aiutarlo, ma avvisare lui significare tirare fuori anche il suo demone personale: Lyla. Non voleva coinvolgerla, e forse non voleva nemmeno ritrovarsi a fronteggiarla ma non aveva scelta. Isaac fece un cenno di assenso con la testa.
“Sì”, affermò con decisione mentre le pupille di Melissa di dilatavano leggermente, come se quell'affermazione l'avesse sorpresa. “Chiami Scott”.
Melissa continuava a tenere lo sguardo fisso su Isaac per qualche secondo, poi si precipitò fuori dalla stanza per chiamare suo figlio, mentre il ragazzo restò solo per diversi minuti.
Sperava ancora che Derek lo avrebbe tirato fuori dai guai, permettendogli di evitare ulteriori implicazioni, ma a quanto pareva non sarebbe andata esattamente in quel modo. Il pensiero di Lyla che veniva a conoscenza di ciò che gli era capitato lo rabbuiò, consapevole di ciò che ne sarebbe seguito. In quel momento, non riusciva a pensare a nulla che non avesse a che fare con quella ragazza, diventata quasi un fantasma per lui, ma la sua voce era ancora chiarissima all'interno della sua testa. A volte gli parlava senza che lui avesse bisogno di desiderarlo, semplicemente quelle sere in cui l'insonnia si faceva sentire, la voce di Lyla faceva capolino nella sua testa. Anche prima l'aveva sentita, mentre attraversava il corridoio dell'ospedale, osservando le luci sopra la sua testa.
Gli aveva detto che “alla fine il suo tentativo di fare l'eroe era andato in frantumi”, vista la situazione in cui il ragazzo si era ritrovato. Era un po' come se Lyla fosse la voce della coscienza.
“Ciao, Isaac”. Una voce femminile e suadente lo salutò con gentilezza, per un attimo si era illuso che fosse la voce di Lyla, ma era troppo adulta per essere la sua. “Come andiamo?”.
Era un'infermiera bella e con movenze aggraziate.
Gli si avvicinò lentamente, e mentre Isaac cercava di spiegarle che si sentiva bene e che non aveva più bisogno dell'intervento, pensando ad una scusa plausibile, lei gli posò la mano con le unghie smaltate di un rosso scuro sulla spalla, spingendolo sul cuscino.
Isaac la guardò intensamente, mentre lei estraeva una siringa, iniettandogli il contenuto.
“Cos'è?”, domandò il ragazzo, confuso e spostando lo sguardo da lei alla siringa.
“Solo un anestetico”, rispose lei con un sorriso maligno. “Non vogliamo più che ci stia tra i piedi”.
La tensione si fece evidente sul volto di Isaac, mentre realizzava che lei non era affatto un'infermiera. Sentiva la sua stessa paura, mentre la vista cominciava a farsi offuscata e la figura davanti ai suoi occhi diventava sfocata. Abbandonò la testa da un lato del letto e riuscì a vedere la prova dell'identità della donna: gli artigli. Si voltò di nuovo verso di lei, sforzandosi di rimanere sveglio. Era come la notte precedente. Doveva reggersi forte, doveva restare sveglio ma non ci riusciva. I sensi erano troppo intorpiditi. L'anestetico stava facendo effetto, e lui ammetteva di avere paura, perchè forse sarebbe stato fatto in tanti pezzettini e di lui non sarebbe rimasto altro che un corpo morto e sanguinante. La donna lo guardò soddisfatta del proprio operato, mentre Isaac le rivolse uno sguardo di pura rabbia, serrando la mascella.
Avrebbe voluto sfoderare le zanne e tagliarle la gola, ma non aveva la forza, mentre il respiro si faceva più spasmodico e gocce di sudore gli colavano dalla fronte.
Conta con me, Isaac”. Lei gli portò la mano davanti al suo viso arrossato.
Uno”. La sua voce era ancora così chiara e inquietante che un brivido di paura lo attraversò.
Due”. La voce cominciò a farsi più lontana e imprecisa.
Tre”. Era solo un eco, e la vista era quasi del tutto annebbiata, ma Isaac riusciva a riconoscere qualcosa nella foschia: due occhi rossi e malvagi che lo scrutavano in maniera assassina.




Angolo dell'autrice

- Solo una noticina: la “daga” è una specie di pugnale con lama corta e dritta.

Sono in ritardo, lo so e chiedo umilmente scusa ma ritrovare la voglia di aggiornare questa storia è stato difficile, perché non mi sta convincendo moltissimo, infatti questo capitolo per me non ha né capo né cod. All’inizio non era così, in quanto prevedeva il ritorno a scuola di Lyla poi l’ho modificato, senza sapere se ho fatto un errore madornale oppure no, comunque lascio giudicare a voi. Come spero abbiate letto, Lyla sta avendo un po’ a che fare con i suoi turbamenti e il capitolo si ricollega (almeno per il finale) alla terza stagione con Isaac che finalmente è tornato a Beacon Hills (per la gioia di chi vuole che venga pestato senza ritegno da Lyla u.u).
Inoltre, ho introdotto un nuovo personaggio...cosa ne pensate di Wyatt? Il nome è tratto da Streghe, per la precisione è il cognome di Leo e il nome di suo figlio. Cosa ne pensate di questo nuovo personaggio?
Spero che vi abbia incuriosite e che le interazioni tra i due non siano state banali, visto che lui sarà un po’ uno sprazzo di normalità nella vita di Lyla, pronto a confonderla al primo tentativo.
Il titolo del capitolo è tratto dall'omonima canzone degli “Imagine Dragons”. Direi che vi ho tediati abbastanza. Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo e ringrazio sempre di vero cuore tutti coloro che stanno leggendo questa storia :)
Alla prossima, un abbraccio :)

 

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Capitolo 4
*** III - The beauty and the beast ***


III
 
The beauty and the beast
 
And as the floods move in and your body starts to sink.
I was the last thing on your mind. I know you better than you think”.
(Ellie Goulding - Explosions)
 

Isaac era sceso barcollando leggermente dal letto su cui Derek lo aveva adagiato in quella che da qualche tempo era diventata la sua nuova casa. Si sentiva ancora debole e dolorante, eppure il bisogno di toccare terra era troppo pressante per essere ignorato. Faceva ancora male, e avrebbe continuato a farlo. Una lacrima gli solcò il viso, a causa del dolore ancora piuttosto forte che aveva preso possesso delle sue membra: perchè stava succedendo? Perchè non ricordava niente di ciò che era accaduto? Perchè si impegnava tanto nel fare qualcosa di utile e poi non appena sembrava ottenere qualcosa, gli sfuggiva tutto via dalle mani, come fosse sabbia? Forse era la punizione per il suo comportamento. Forse lo meritava, visto il modo in cui aveva deciso di agire, andando via, senza nemmeno salutare Lyla. Si massaggiò inutilmente il collo e sentì lo sguardo del suo alpha su di sé, che lo osservava con le sopracciglia inarcate ed una punta di preoccupazione sul viso, cosa abbastanza rara ma in qualche modo rassicurante. Dire che non si preoccupava per i suoi beta, sarebbe stato certamente un errore. Derek lo afferrò di scatto, non appena Isaac diede cenni di cedimento, rischiando di stramazzare pesantemente al suolo mentre cercava di fare qualche passo.
Ricordava di come Scott e Stiles avessero lasciato la vecchia casa di Derek, dopo aver visto il ragazzo risvegliarsi, e per Isaac notare che Lyla non fosse insieme a loro era stato un sollievo e allo stesso tempo un dispiacere. Eppure, aveva sentito il suo odore proveniente da Stiles: doveva averla incontrata, perchè il ragazzo emanava quel familiare odore di vaniglia che aveva letteralmente invaso le narici di Isaac, destandolo finalmente dal sonno a cui era stato soggetto.
“Perchè non vai da lei?”, domandò Derek con una leggera curiosità, come se gli avesse appena letto nel pensiero. Non gli risultava che gli alpha ne fossero in grado. “Ormai sanno tutto”.
“Se fosse un lupo, mi sbranerebbe”, ribattè Isaac, riflettendoci.
Derek, in risposta, scrollò le spalle, mostrando un’espressione abbastanza convinta. Sapeva che Isaac non aveva poi tutti i torti ed era anche abbastanza plausibile. Era come se Isaac avesse paura di un confronto con la ragazza. Sapeva di aver fatto un errore e sapeva che lei non lo avrebbe accolto a braccia aperte. Poteva immaginare quanto lei fosse risentita verso di lui.
Normalmente, sarebbe corso già alla sua finestra ma non lo aveva fatto; non lo aveva fatto, perchè sapeva che probabilmente l’avrebbe trovata chiusa. Forse non voleva vederlo. Forse lo odiava.
“Non credo che nasconderti qui serva a qualcosa”, continuò Derek, leggermente a disagio.
In effetti, lui non era certo la persona adatta a dare consigli di quel genere ma il tentativo era indubbiamente da apprezzare, poiché ci si stava mettendo davvero d'impegno nel cercare di aiutarlo.
“Per ora non posso fare altrimenti”, rispose Isaac massaggiandosi il collo.
Aveva fatto lo stesso quando Isaac aveva deciso di seguire lui e Peter in quella pazza ricerca e ora stava cercando ancora una volta di farlo ragionare. Era strano sentire Derek che provava ad inculcare un po' di buon senso nei suoi beta, nella maggior parte dei casi erano stati lui e Scott a fare esattamente l'opposto con lui, per farlo smettere di comportarsi come un emerito imbecille.
Adesso l'imbecille era Isaac, mentre Derek era il saggio di turno, ma il ragazzo per quanto fosse consapevole che Derek aveva indubbiamente ragione, non riusciva a comportarsi come doveva.
Voleva nascondersi. Voleva restare in quel loft ed arginare i problemi come aveva sempre fatto in tutta la sua vita. Era troppo spaventato da quello che sarebbe potuto succedere nel presentarsi da Lyla e cercare di rimettere insieme i cocci. Forse lei gli avrebbe direttamente buttato addosso i cocci soltanto per ferirlo, non si sarebbe chinata a coglierli...era alquanto improbabile. Isaac era tornato, ma lui e Lyla erano ancora lontani l'uno dall'altro, e forse lo sarebbero stati per molto altro tempo ancora. Si stavano separando senza capirsi, ma d'altronde non è mai stato facile capirsi a questo mondo. L'unica cosa che poteva fare in quel momento era cercare di aiutare i suoi amici a ritrovare Erica e Boyd. Aveva fallito quella notte alla banca. Aveva fallito quando Peter aveva cercato di estrarre qualche ricordo utile dalla sua memoria, ma non avrebbe fallito quella volta.
 
 
Isaac era tornato in città e saperlo non era stato difficile. In realtà, Lyla non aveva nemmeno avuto bisogno di chiedere, in quanto era stata Lydia ad informarla, dopo aver estorto l'informazione a Stiles. Apprendere quell'ultima notizia era stato strano per la ragazza: una rabbia era montata dentro di lei, e ad essa era sopraggiunta una sorta di calma flemmatica, che le aveva fatto riprendere il controllo, pensando che sempre lo avrebbe rivisto. In fondo, Beacon Hills non era poi così grande, e gli occhi avevano iniziato a pizzicarle dopo aver realizzato che presto se lo sarebbe ritrovato davanti, pronta a dargli addosso e a dirgli chissà cosa. Aveva immaginato diverse volte cosa avrebbe potuto dirgli ma ora che tutte quelle scene oniriche si stavano per concretizzare, le parole erano praticamente morte nella sua testa ed era rimasta solo una pagina bianca, accompagnata dall'immancabile sentimento di disagio. Era stanca di sentirsi sempre in attesa di essere salvata, e quella sensazione di inettitudine aveva fatto scattare l'allenamento che le aveva permesso di prendere finalmente consapevolezza di sè, rendendola in grado di cacciare e difendersi. Si era sentita inerme ed impotente, come le fanciulle dei libri in attesa di qualcuno che corresse a salvarle. Fin da bambina, Lyla non si era mai rispecchiata in quel ruolo. Odiava le fiabe classiche, come “Biancaneve”, “Cenerentola” e “La Bella Addormentata”. Non le piacevano nemmeno un po', perchè non apprezzava l'idea della principessa in attesa del principe. Infatti, non era un caso che la sua fiaba preferita fosse quella de “La Bella e la Bestia”. In effetti, quella storia faceva decisamente al caso suo, viste le circostanze. Ricordava ancora come, da bambina, guardasse la versione disney in continuazione, fissando a bocca aperta Belle che verso la fine correva in aiuto della sua Bestia, per salvarla. Era sempre stato quello il suo ideale di principessa: una ragazza in grado di scegliere da sola, senza farsi imporre le costrizioni di qualcun altro; una ragazza in grado di amare qualcuno che non credeva di meritarlo; una ragazza in grado di salvare non soltanto se stessa ma anche il suo amore. Lyla aveva sempre voluto essere come lei, con tutto il suo cuore: voleva essere un'eroina e smettere di restare immersa nei libri, senza agire come avrebbe voluto. D'altronde, quello che c'era tra lei ed Isaac era nato in quel modo: un semplice rapporto di amicizia si era evoluto in un modo che nessuno dei due avrebbe mai immaginato. Era bastato uno sguardo diverso da quelli che si scambiavano di solito. Era bastato un bacio a fior di labbra, che aveva spaventato entrambi, facendo tremare i loro cuori. Erano bastati quei semplici gesti per capire come tutto potesse cambiare in un secondo, stravolgendo completamente il corso degli eventi e anche i loro sentimenti. L'unica differenza era che la Bestia aveva lasciato andare Belle, per renderla libera, ma non l'aveva certo abbandonata più di una volta, mentendole, o peggio, optando per il silenzio. Probabilmente anche la Bestia avrebbe agito nello stesso modo, se si fosse trovata contro un branco di alpha. Forse si stava comportando da egoista, ma Lyla non riusciva ad accettare il fatto che Isaac le avesse nascosto tutto ancora una volta, sempre per proteggerla. Lui la amava e sapeva che voleva soltanto fare in modo che stesse bene, ma come poteva Lyla stare davvero bene senza lui al suo fianco?
Rammentò le parole di Allison durante una delle loro sessioni.
Non permettere che tutto questo ti faccia perdere di vista quello che sei davvero. Non permettere che il potere e la capacità di difenderti oscurino il tuo cuore, facendoti perdere la bussola.
Aveva perso davvero la bussola? Se Lyla avesse avuto ancora la bussola di cui parlava Allison, le avrebbe mostrato la direzione da seguire, indirizzandola verso Isaac; invece, Lyla non sembrava avere nessuna bussola, perchè ancora nulla l'aveva portata verso di lui.
Il panico, il rancore e il malanimo facevano da padroni nel suo cuore. Isaac era tornato e saperlo era stato facile, non aveva nemmeno avuto bisogno di chiedere e poteva sentire quelle sensazioni anche in quel preciso istante, mentre usciva dalla biblioteca, finendo addosso a qualcuno. Quello “scontro” le aveva provocato una specie di brivido gelido lungo la spina dorsale, mettendole una strana sensazione addosso. Alzò la testa e notò che si trattava di Wyatt. La ragazza cercò di trattenere lo sbuffo di frustrazione che pregava per uscire dalle sue labbra ed esprimere tutto il fastidio che le avrebbe provocato a breve quel rompiscatole.
“Ehi, ehi”, esclamò lui sorridendole e portando le braccia in avanti, come per non farla scappare, cosa che Lyla aveva immediatamente pensato di fare. “Non fuggire”.
Lyla alzò visibilmente gli occhi al cielo, provocando in lui un ghigno divertito che la fece ulteriormente innervosire. Si limitò a non aggiungere niente, solo a fulminarlo con lo sguardo.
“E' sempre un piacere, dove vai?”, continuò lui afferrando con una mano la spalliera del suo zaino.
“A casa”, rispose Lyla educatamente. “Per oggi ho finito”.
“Anche io”, ribattè Wyatt, mantenendo sempre il suo sorriso che sembrava non abbandonarlo mai, manco fosse affetto da qualche tipo di paralisi. “Facciamo la strada insieme, allora”.
In quel preciso istante, il cellulare di Lyla squillò. Quella sì che era una strana coincidenza, forse il destino esisteva davvero e le stava dando l'opportunità di trovare una via di fuga.
La ragazza prese il cellulare e rispose alla chiamata di uno Stiles leggermente agitato.
“Lyla! Siamo allo studio di Deaton, per favore vieni qui. E' importante!”.
“Stiles, cos-”. Non fece nemmeno in tempo a chiedere spiegazioni che il ragazzo aveva già riagganciato, mentre Lyla guardava il cellulare con un sopracciglio alzato.
“Scusa ma devo andare”, esclamò lei, visibilmente sconcertata da quella telefonata.
“Puoi dirlo se non ti va, non devi inventare scuse”, ribattè Wyatt, assumendo un'espressione sfottente e compiaciuta. Il punto era che Lyla diceva il vero, anche se la situazione faceva sembrare il contrario, ma, in fin dei conti, per quale motivo doveva importarle se lui non voleva crederle?
“Non è una scusa, io...”, cominciò lei, per poi fermarsi mentre notava il ragazzo che continuava quasi a compiacersi del fatto che lei tentasse di giustificarsi. La ragazza decise di non dire nulla, senza nemmeno ringhiargli contro, così gli rifilò una delle sue occhiatacce e girò i tacchi.
Doveva andare da Stiles e non poteva certo preoccuparsi di certe cose stupide.
“Ciao, eh!”. Il tono di voce allegro la colpì, come uno spintone e Lyla si limitò ad alzare la mano in segno di saluto, mentre camminava velocemente verso l'uscita della scuola.
Nemmeno senza il bisogno di voltarsi, poteva vederlo ridere: quel ragazzo era un flagello.
 
Lyla arrivò allo studio del veterinario in fretta e furia, e quando non vide nessuno, sentì la voce di Scott chiamarla da una stanza, così vi si precipitò. La scena che le si presentò davanti era strana quanto allarmante: per terra c'erano acqua e ghiaccio, mentre al centro della stanza vi era una vasca con Isaac all'interno che si dimenava, come fosse indemoniato, mentre Derek e Scott cercavano inutilmente di calmarlo. Era la prima volta che vedeva Isaac da quando era tornato e francamente non credeva che lo avrebbe rivisto in quella circostanza alquanto strana.
“Cosa è successo?”, domanda Lyla, voltandosi verso gli altri con espressione impaurita.
“Stavamo cercando di fargli ricordare la notte in cui ha trovato Erica e Boyd”, rispose Scott, continuando a rimanere al fianco della vasca. “Ma troppe voci lo hanno confuso!”
Isaac si dimenava, si agitava ed urlava che stavano arrivando, che lo vedevano e che non aveva scampo o via di fuga. Sembrava posseduto.
“E' colpa tua, come al solito!”, dichiarò il figlio dello sceriffo, voltandosi verso Derek, e rifilandogli un pugno sulla spalla, che fece piegare il ragazzo in due per il dolore, mentre l'alpha si limitava ad alzare gli occhi al cielo per i vani tentativi di Stiles di provocargli anche il minimo dolore.
“L'unica alternativa sarebbe aspettare che si calmi da solo, ma non è detto che ne esca vivo”, ribattè il veterinario con sguardo corrucciato. “Lyla può fare qualcosa!”.
La ragazza lo fissò, chiedendosi se fosse impazzito o altro. “Io? Non credo proprio”.
“Sì che puoi!”, dichiarò Deaton, mentre lo sguardo guizzava da lei ad Isaac. “Per questo ti ho fatta chiamare. Voi due avete una connessione. Puoi portarlo indietro. Provaci almeno”.
Non poteva farlo. Lo stava rivedendo per la prima volta dopo mesi, stava riprendendo familiarità con il suo viso che in alcuni giorni aveva creduto di dimenticare e quella che Deaton le stava affidando era una responsabilità troppo grande per lei e per il suo cuore difettoso.
“Io non...”, la ragazza fece per parlare ma venne interrotta da Derek.
“Non c'è tempo!”, esclamò l'alpha quasi urlando.
La ragazza sentì la mano rassicurante di Stiles stretta sulla sua spalla che cercava di darle sostegno, così Lyla si avvicinò titubante al bordo della vasca e chiamò Isaac, convinta del fatto che ciò che stesse facendo non avesse alcun senso logico. Isaac le afferrò il braccio, quasi strattonandolo, e portandola ancora più vicino alla vasca, e in poco tempo la ragazza si ritrovò completamente zuppa per tutta l'acqua che usciva. Isaac continuava a stringere il suo braccio così forte che le faceva quasi male. A Lyla sembrò di sentire qualche goccia di sangue che colava dal suo braccio praticamente artigliato, mentre portava anche l'altro braccio a contatto con l'acqua e con entrambe le mani afferrava il viso di Isaac. Il ragazzo si faceva sempre più pallido e si agitava più violentemente di prima. Il suo volto era una maschera di acqua e morte, e pensare che l'ultima volta il suo viso era fin troppo bello e luminoso che ora non gli somigliava più. Nessuno sembrava sapere cosa fare, e Lyla vedeva soltanto gli occhi sgranati di lui fissi nei suoi, incapaci di riconoscerla e il viso a pochi centimetri. Continuava a chiamarlo ma non l'ascoltava.
Senza nemmeno rifletterci, Lyla lo attirò a sé e lo baciò.
Le sue labbra erano gelide e sapevano di acqua e ghiaccio, ma il bacio di Lyla riuscì quasi a scaldarle, a riportarle alla vita, facendo sciogliere il ghiaccio, come se fosse esposto al sole.
Isaac sentiva il sole su di sé. Sentiva una strana sensazione di calore che lo avvolgeva. Vedeva le nuvole che si dileguavano, permettendo al cielo di tornare libero e al sole di uscire, radioso e confortante. Lyla era il sole, che stava eliminando tutto il gelo che lo attanagliava in quel momento.
La stanza cadde nel silenzio più totale. Le luci smisero di accendersi e spegnersi in continuazione. Tutto si calmò, come se fosse appena passata una tempesta, mentre Lyla si staccava piano.
Isaac sbattè le palpebre un paio di volte, uscendo da quello strano stato di ipnosi.
La Bella aveva baciato la Bestia, risvegliandola e spezzando l'incantesimo.
Isaac realizzò di avere Lyla davanti a lui, e di aver afferrato i polsi della ragazza, mentre un braccio le stava addirittura sanguinando a causa della sua presa.
Lei, capendo di essere riuscita a svegliarlo, si allontanò velocemente, scivolando via dalla sua morsa, sotto lo sguardo sorpreso di tutti i presenti, Deaton in particolare. Derek e Scott lo aiutarono ad uscire, e il veterinario si apprestò ad afferrare una coperta, avvolgendolo, mentre il corpo di lui tremava ed era più gelido che mai. Lyla, intanto, portò una mano al braccio sanguinante e anche un po' dolorante, mentre Stiles recuperava del disinfettante e qualche garza per aiutarla.
“Mi dispiace”, sussurrò Isaac, sorpassando Scott per avvicinarsi a lei.
Lyla non si sforzò nemmeno di sorridergli, evitando il suo sguardo.
“Non fa niente...non l'hai fatto apposta”.
Isaac era a dir poco mortificato, pur sapendo di non averla ferita gravemente. Ogni volta che Lyla si faceva male, anche se di poco, lui non riusciva a non sentirsi responsabile. Lei lo salvava. Lo salvava in continuazione e lui riusciva solo a ferirla in tutti i modi possibili. Quello era il loro primo incontro dopo tanto, troppo tempo ed era cominciato nel peggiore dei modi.
Mentre Derek e Stiles discutevano sull'utilizzo di internet, evidentemente sconosciuto al licantropo, Lyla si soffermò sulla mano di Isaac, il cui colorito era tornato alla normalità, almeno in parte.
Avrebbe voluto stringerla forte, perchè quel tocco di prima non aveva fatto altre che ricordarle quanto avesse sentito la sua mancanza. Avrebbe voluto non sentire mille pezzi di vetro conficcati nel petto al solo pensiero di lui rinchiuso da qualche parte mentre lei era lontana e per niente in grado di aiutarlo...come era successo in estate, quando lui era andato via di nuovo senza dire niente, lasciandola ancora una volta. Lyla chiuse un attimo gli occhi, stringendosi il braccio fasciato al petto. Sapeva che non sarebbe mai riuscita ad allontanare ciò che aveva provato, ciò che Isaac le aveva fatto provare. Non sarebbe riuscita a dimenticare facilmente il senso di impotenza, dolore ed inadeguatezza che aveva sentito addosso per ben quattro mesi.
Sentiva lo sguardo di Isaac su di sè come una carezza, come se fosse tentato dall'avvicinarsi lentamente, ma sapeva di non poterlo fare e forse lei non voleva nemmeno che lo facesse.
 
 

Angolo dell'autrice
 
Eccomi qui con un nuovo capitolo che spero vi piaccia :)
Spero che il richiamo alla Bella e la Bestia non faccia acqua da tutte le parti ma personalmente l'ho sempre trovato adatto per una coppia come la loro e quando in Safe harbor mi è stato fatto notare da una lettrice che Lyla ricordava molto Belle di Once upon a time, ho voluto usare ancora di più questo paragone e spero lo abbiate apprezzato. Anche questo capitolo all'inizio non era così ma è stato modificato (ormai è base u.u), prima doveva essere più lungo ma mi sono impegnata per snellirlo, tagliando alcune cose, e si ricollega al secondo episodio della terza stagione e non ho potuto fare a meno di inserire la vicenda della vasca perchè, riguardando quell'episodio, ci avevo fantasticato tanto quindi spero di averlo adattato in maniera almeno accettabile *-* Come spero abbiate letto, c'è anche Wyatt (sempre a mettere i bastoni fra le ruote alla povera Lyla u.u), posso dire che nei prossimi capitoli avrà scene di maggiore spessore che forse vi inciteranno a volermi morta ma spero vivamente di no. Inoltre, ho cambiato il titolo di questa storia, decidendo di accorciarlo: l'ho fatto semplicemente perchè, scrivendo i capitoli successivi, ho utilizzato spesso la metafora degli specchi, così ho pensato di cambiarlo. Quello precedente era riconducibile solo ad Isaac e Lyla, quindi un po' più ristretto, rispetto a "Mirrors" che anche se più breve risulta, almeno per come la vedo, più ampio, dato che ci saranno richiami anche agli altri personaggi: questa è stata la motivazione che mi ha portata a cambiarlo, mantenendo comunque il riferimento alla canzone che adoro fin troppo ^^
Intanto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto anche se mi convince poco (sono ripetitiva, lo so, ma scrivere questa storia mi sta facendo perdere entusiasmo, non so perchè, spero che passi xD).
Un grazie di dimensioni sconfinate a tutti coloro che recensiscono/seguono/leggono questa storia :3 alla prossima, un abbraccio <3

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Capitolo 5
*** IV - Catacombs ***


IV
 
Catacombs
 

And we will find your sayings to be paradox and it’s an even sum.
It’s a melody. It’s a final cry. It’s a symphony”.
(Florence & The Machine - Seven Devils)
 

James Evans era sempre stato un uomo dall'animo sospettoso, per lui niente era come appariva, e non c'era molto da sorprendersi visto il lavoro che svolgeva, dove ogni pista poteva essere quella giusta e dove ogni testimone nascondeva qualcosa che non voleva portare allo scoperto.
Generalmente, lui era sempre riuscito a cogliere in flagrante i bugiardi: non gli sfuggiva niente, nemmeno il più impercettibile movimento.
Quella dote gli aveva assicurato un posto al fianco dello sceriffo Stilinski.
Sua moglie, Candice, lo aveva sempre rimproverato poichè usava il suo lavoro per estorcere informazioni anche ai propri figli, capendo perfettamente quando stavano mentendo.
In effetti, con Jamey e Lyla era addirittura più bravo che a lavoro. Normalmente sarebbe stata una cosa positiva, almeno per lui, ma secondo Candice non lo era affatto; eppure, in quel modo aveva capito quanto quel ragazzo, Isaac, tenesse a sua figlia. Di solito, lui si affidava poco alle parole o ai piccoli gesti: per James Evans contavano i fatti, prima di tutto; ma con Isaac Lahey c'era stato qualcosa di diverso. Quando si trattava di Lyla nessun movimento lo tradiva: gli occhi erano fissi e decisi, la mascella serrata, nessun cruccio sul viso, nessun movimento impacciato.
Probabilmente o era molto bravo a mentire o era semplicemente pazzo di lei. Questo aveva avuto modo di constatarlo la notte dell'incidente, quando quel ragazzo, con il suo viso malinconico, il cui aspetto non lo abbandonava mai, era rimasto lì tutta la notte a vegliare su sua figlia.
Nonostante ciò, James non aveva ancora capito come mai il loro rapporto non fosse mai stabile: mentre all'inizio Isaac era costantemente a casa sua, all'improvviso era sparito per un po' senza farsi vedere, poi era ritornato ed ora era scomparso ancora una volta.
Lyla aveva detto che si trovava a Londra per un corso estivo e, ovviamente, aveva mentito.
James non era stupido e non era un credulone. Avrebbe potuto stilare un elenco di tutte le volte in cui Lyla gli aveva rifilato qualche bugia, e alle volte, conoscendola, gliela aveva anche concessa. Immischiarsi nella vita privata di sua figlia non era da lui: non lo avrebbe mai fatto e non aveva certo intenzione di cominciare adesso. Anche allora James si ripeteva che erano soltanto adolescenti: non avevano la minima idea di cosa significasse “stabilità”. La loro vita era tutta un dramma, ma per chi non lo è mai stata? Pensare che anche lui era come loro da ragazzo.
Quando aveva conosciuto Candice, però, il suo mondo era completamente cambiato.
Si dice che quando incontri l'amore della tua vita, il tempo si ferma (1): per James Evans era stato così. Nel momento esatto in cui aveva visto Candice varcare la soglia del bar del college, in cui James lavorava per pagarsi gli studi, a passo svelto, con i capelli rossi arruffati che fluttuavano, ogni cosa aveva perso completamente importanza.
Tutto intorno a lui era immobile e privo di consistenza: c'erano solo lei, con i libri al petto e l'espressione corrucciata, e lui, fermo a guardarla come un pesce lesso, dietro al bancone. Lei gli aveva sorriso e da quel piccolo e impercettibile gesto era nato tutto. Era stato un percorso fatto di alti e bassi, ma alla fine si era rivelata una delle poche scelte giuste nella sua vita.
Un giorno anche Lyla avrebbe fatto una scelta del genere, e forse l'aveva già fatta, o almeno sperava. Si augurava che “quella scelta” fosse proprio Isaac, ma tutto quel tira e molla fra loro lo preoccupava leggermente. Non poteva fare altro che lasciare che Lyla vivesse la sua vita.
La ragazza comparve sulle scale di casa proprio in quel momento, ridestando James dai suoi pensieri e portandolo ad osservare la figlia, il cui viso era evidentemente stanco e stravolto.
Indossava i pantaloni sformati di una tuta e una maglietta del pigiama, mentre i capelli lunghi ricadevano leggermente umidi sulle spalle. Poteva accorgersi anche ad occhi chiusi che la sua testa era piena zeppa di pensieri, come se fosse sul punto di scoppiare.
“Tesoro”, cominciò l'uomo, sistemando meglio la camicia della sua uniforme. “Tutto bene?”.
La ragazza lo fissò con la bocca dischiusa per qualche secondo, articolando una risposta.
“Sì”, esclamò semplicemente, scrollando le spalle. “Ho soltanto sonno”.
La sua Lyla mentiva spudoratamente ma chi era lui per costringerla a parlare? Forse sarebbe stato meglio aspettare il giorno dopo, visto che a breve gli sarebbe toccata una delle sue ronde notturne.
“Sicura che vada tutto bene?”, chiese ancora James, avvicinandosi.
“Tranquillo”, rispose lei, accennando un sorriso. “Vai a fare il tuo lavoro”.
James le rivolse una smorfia divertita e le scoccò un bacio sulla fronte, che per Lyla fu di grande conforto in quel momento. Mai come allora avrebbe desiderato con tutta sé stessa buttarsi fra le braccia sicure del suo papà e lasciar perdere tutte le preoccupazione che l'aspettavano fuori dalla porta di casa. Solo che non poteva farlo. Aveva scelto una strada ben lontana dalla serenità.
Guardò suo padre uscire, riflettendo su ciò che lui e lo sceriffo Stilinski non sapevano, a differenza di lei e di Stiles. Fino a quando avrebbero potuto nascondere tutti quei segreti?
Salì in camera sua, pronta a lasciarsi alle spalle quella strana giornata che si era conclusa nel modo più assurdo. Portò una mano alle labbra, ripensando al bacio che aveva dato ad Isaac qualche ora prima. Aveva fatto una promessa a sé stessa e la stava mantenendo per quanto il bacio che si era scambiata con lui quella sera le avesse fatto male come una pugnalata nello stomaco. Eppure, cercava di ripetersi che era stata un'emergenza, che si trattava di una questione importante, che non aveva avuto il tempo materiale di pensare quale fosse la scelta giusta da compiere mentre le luci dello studio si accendevano e si spegnevano come fossero impazzite.
Lo squillo del telefono riscosse la ragazza, che vide sul display il nome di “Allison”, portandola ad accettare la chiamata con un'espressione stranita. Come mai Allison la stava chiamando a quell'ora?
Cosa stai facendo?”.
La domanda di Allison era giunta inaspettata e confusionaria alle orecchie di Lyla durante quella notte di luna piena, quando Lyla sarebbe dovuta essere a letto, ed invece era a telefono con Allison, la quale stava per chiederle qualcosa di decisamente singolare.
“Al momento nulla di impegnativo”, rispose lei, scrollando le spalle.
“Ti andrebbe di aiutarmi in una cosa?”, domandò la ragazza “Consideralo come una ripresa dell'addestramento...una sorta di extra, ecco”.
Lyla arricciò le labbra con espressione poco convinta ma incline ad accettare, così, roteando gli occhi ironicamente, sorrise. “Ovviamente”.
La prospettiva di rimanere a casa mentre Scott e Derek si aggiravano in un caveau abbandonato, gettandosi praticamente in pasto ad un branco di lupi non la divertiva particolarmente.
“Cosa ne penserà tuo padre?”, domandò Allison con un sorriso, alludendo al fatto che avrebbe dovuto passare tutta la nottata fuori in giro con lei esposta ad un branco di licantropi assassini.
“Gli manderò un messaggio, usando te come alibi”, rispose Lyla. “Inoltre, stanotte è di pattuglia”.
 
“James! Io direi di fare un'altra ronda e controllare il perimetro”.
La voce del suo collega lo ridestò dai suoi pensieri, e con un cenno di assenso, cominciò a controllare la strada più avanti, armato di torcia. James non poteva fare altro che concentrarsi sul lavoro, invece di pensare a sua figlia, che a quell'ora della sera non era più a casa, visto che le aveva scritto un messaggio più di un'ora fa in cui le diceva che avrebbe trascorso la serata con Allison.
Qualcosa in lei era cambiato, lo sapeva. Sentiva come se sua figlia si fosse rotta. Lyla sembrava un carillon che aveva smesso di funzionare. Prima era melodiosa ed emanava una luce tutta sua; ora, invece, sembrava rotta, ma non permetteva a nessuno di aggiustarla. Una volta tornato a casa, le avrebbe parlato. Intanto, James continuò a camminare, fin quando l'entrata della banca abbandonata non gli saltò all'occhio: era stata manomessa. Si voltò in cerca di Daniel, che però stava controllando la strada parallela a quella in cui si trovava lui, così decise di entrare. Forse si era trattato semplicemente di qualche stupido ragazzino in vena di bravate notturne. Alzò la torcia all'altezza del capo, illuminando i corridoi abbandonati. Continuò a camminare, notando una porta aperta alla sua sinistra dalla quale stava uscendo un liquido che, dall'odore, sembrava essere ammoniaca. Si avvicinò con cautela, guardando attentamente intorno a lui prima di entrare, e vide un cadavere in bella vista, adagiato nell'angolo dello sgabuzzino.
Afferrò la ricetrasmittente per chiamare i soccorsi ma un rumore sospetto attirò la sua attenzione, facendolo voltare. Si guardò intorno e sentì dei sospiri pesanti nell'ombra.
“Vieni fuori con le mani in alto”, esclamò James con tono fermo e puntando la pistola in direzione di quei sospiri che però non erano sospiri normali, sembravano più...ringhi?
James guardò con più attenzione: un paio di occhi rossi brillavano nel buio a poca distanza da lui.
 
 
Correre: sembrava difficile dopo essere stato immerso in una vasca colma di ghiaccio.
Respirava a fatica, percorrendo la strada a grandi falcate mentre si dirigeva verso la banca.
I sensi erano ancora intorpiditi e sicuramente non sarebbe stato in grado di combattere ma il pericolo era passato, se così si poteva dire: Boyd e Cora erano fuggiti.
Isaac continuava a camminare velocemente, come un forsennato, inspirando tutta l'aria possibile, sperando che lasciare Stiles da solo con Peter non fosse stato un errore.
Temeva che il licantropo gli sarebbe saltato alla gola per il troppo chiacchiericcio che avrebbe fatto venire praticamente a chiunque voglia di fare quel ragazzo a pezzettini.
Isaac, dal canto suo, non riusciva a capacitarsi che anche Lyla fosse lì, insieme alla ragazza che lo aveva pugnalato venti volte, facendogli seriamente male. Allison aveva cercato di farlo fuori e Lyla l'aveva seguita in un covo di licantropi? Era forse impazzita? Come poteva aiutare quella psicolabile che aveva cercato di ucciderlo? Per un attimo si dette una risposta che lo fece rabbrividire: forse Lyla voleva la sua testa su un piatto d'argento. Scosse la testa. Lyla non era così, non lei. Continuò a camminare, fin quando non riuscì a vedere il grosso squarcio nel muro del caveau, all'interno del quale riuscì a distinguere le figure di Scott e delle due ragazze.
“Isaac!”, esclamò Scott, il cui volto era percorso dal sangue. “Non dovresti essere qui!”.
“Non sono l'unico che non dovrebbe essere qui”.
Il tono di Isaac era così velenoso e accusatorio, che Lyla sentì un brivido lungo tutta la spina dorsale, visto che si riferiva chiaramente a lei e la voglia di dargli un pugno era forte ma cercò di non farsi sopraffare troppo dalla rabbia del momento.
Derek varcò la soglia della stanza, contrito e distrutto come non lo aveva mai visto da quando lo aveva conosciuto, stringendo tra le braccia il corpo senza vita di Erica.
Isaac rimase congelato sul posto, come se si fosse immerso di nuovo nella vasca. La visione di Erica gli gelò il sangue nelle vene: Erica, la sua amica, se ne stava immobile e senza vita fra le braccia del loro alpha che non aveva il coraggio di alzare lo sguardo. Erica era una dei pochi amici che aveva. Era come lui: una disadattata. Era invisibile, dolce, timida e vittima di un dolore che non l'avrebbe mai abbandonata. Entrambi combattevano contro due mostri famelici che bramavano il loro sangue e li colpivano continuamente, facendo di tutto per farli cadere, eppure loro si rialzavano ogni volta, anche se più distrutti di prima. Loro due erano dei sopravvissuti, lo erano sempre stati.
Sarebbe potuto esserci lui in quel caveau al suo posto. Si sarebbe sacrificato volentieri, se fosse servito a qualcosa. Il loro branco aveva perso qualcuno quel giorno ed Isaac non riusciva a non pensare che avrebbe voluto dirle addio in maniera diversa. Avrebbe voluto passare almeno un giorno felice e spensierato insieme a lei, come quelli che avevano trascorso quando tutto era cominciato e loro erano troppo immaturi per capire. Isaac non riuscì ad evitare di posare i suoi occhi sulla figura di Lyla non molto lontana da lui. Derek uscì fuori dalla banca sotto gli sguardi addolorati dei presenti.
Intanto, Scott ed Allison presero a discutere, allontanandosi, sulla madre di lei, che aveva cercato di uccidere Scott la sera del rave, e la ragazza era praticamente l'unica a non esserne a conoscenza.
Quel piccolo particolare non avrebbe giovato al loro ricongiungimento.
Isaac era ancora congelato, osservando le sue scarpe che sembravano decisamente più interessanti del viso di Lyla. Il ragazzo l'avrebbe guardata volentieri, eppure il disagio lo dominava.
Sapeva che guardandola, avrebbe ripensato a quel bacio che si erano scambiati qualche ora prima, e controllarsi forse sarebbe stato difficile. Perchè le cose fra loro si stavano complicando in quel modo? Lui l'amava e lei anche, cosa c'era di tanto difficile?
Aprì la bocca per parlare ma un odore gli colpì le narici, portandolo ad allertare tutti i sensi, per quanto possibile e nonostante fosse ancora senza forze. Quell'odore proveniva dall'interno della banca ed era come un segnale che qualcosa non era esattamente andato come doveva.
“Sento qualcosa”, esclamò lui, sotto lo sguardo sorpreso di Lyla. “Tu resta qui”.
Isaac pronunciò l'ultima frase con maggiore enfasi.
Qualcosa non andava e l'ultima cosa che voleva era vedere il corpo smembrato di Lyla.
La ragazza lo fissò, scrollando le spalle e chiedendogli dove stesse andando ma lui la ignorò.
Continuò a camminare, seguendo l'odore che sapeva di sangue fresco e di pericolo.
Camminò ancora più veloce, mentre sentiva che l'odore si faceva sempre più vicino e, soprattutto, pungente, penetrando con forza nella narici.
Isaac vide un corpo adagiato sul pavimento della banca, appoggiato ad una colonna.
Il ragazzo sfoderò gli artigli e le zanne, mentre gli occhi si tinsero di giallo. Tutto il suo corpo era in allerta, per paura che qualche licantropo del branco nemico spuntasse all'improvviso.
Isaac ebbe un tuffo al cuore, quando capì di chi si trattava: James Evans, il padre di Lyla.
Si chinò di lui: c'era sangue ovunque ed Isaac non aveva la minima idea di dove mettere le mani, mentre le ferite dell'uomo erano lì in bella vista e deturpanti come non mai.
Isaac ritirò zanne e artigli, e allargò le braccia per afferrarlo, così da portarlo in salvo, ma l'uomo, ancora cosciente, lo fermò immediatamente.
“Lo sapevo”, esclamò con voce debole. “Lo sapevo”.
Isaac lo fissò con espressione interrogativa. “Non sprechi fiato, signor Evans”.
“Sapevo che tu eri diverso”, disse il vice sceriffo, osservando il volto del ragazzo. “I tuoi occhi erano gialli, avevi le zanne e quelli che mi hanno aggredito erano...”.
“Animali”, rispose Isaac, senza riflettere, e rendendosi conto di quanto potesse essere stupido cercare di mentire ancora, quando la verità era fin troppo chiara.
“Come no”. James rise, ma la sua risata venne rotta da una serie di colpi di tosse, con il sangue che usciva dalla bocca, allarmando ancora di più Isaac, che cercava di sollevarlo.
“C'è Lyla di là”, sussurrò il ragazzo, mentre gli occhi si facevano stranamente lucidi.
“E' tardi, Isaac”, esclamò lui. Sembrava così calmo, come se la morte non lo spaventasse affatto. “Per anni sono uscito di casa con la mia pistola, senza sapere se sarei tornato tutto intero. Stanotte sono uscito, per la pattuglia, sono entrato qui e ho visto una donna e un ragazzo con occhi brillanti, zanne e artigli. Questa città mi era sempre sembrata strana. Succedevano troppe cose strane ma non volevo crederci davvero...sarebbe stato assurdo”.
Se qualcuno avesse chiesto ad Isaac come stesse succedendo tutto ciò, lui non sarebbe stato in grado di spiegarlo. Guardava James Evans, che si arrendeva alla morte che incombeva su di lui.
“Sapevo che eri diverso dai ragazzi normali nel momento in cui sei entrato in casa”, affermò il padre di Lyla, respirando a fatica. “So quanto ami mia figlia. Solo che le persone si fanno male...a volte quelle più vicine a te sono le prime a rimetterci qualcosa”.
Isaac teneva gli occhi fissi in quelli di James, cercando di assorbire le sue parole e coglierne il significato, che però tardava ad arrivare alla sua mente. Cosa stava cercando di dirgli?
“Ascoltami, Isaac”, aveva detto lui, fermandosi un attimo per fare un lungo respiro. “Ti prego, lascia Lyla fuori da tutto questo. Promettimelo”. Un altro colpo di tosse, un altro rivolo di sangue.
Il ragazzo lo guardava, senza proferire parola. Sentiva gli occhi farsi sempre più lucidi, la bocca si aprì per cercare di dire qualcosa ma non uscì nulla, se non un sospiro strozzato e roco.
Cominciò a muovere la testa, in segno di assenso, come se fosse un gesto meccanico.
Avrebbe mai potuto negare il desiderio di un uomo in punto di morte?
James Evans sembrava ancora più calmo adesso. I colpi di tosse erano terminati, e i suoi occhi si chiusero, mentre si spegneva lentamente. Non poteva essere vero, non stava succedendo davvero.
Isaac cercò di non fare caso agli occhi sempre più lucidi. Era tutta una strana illusione e James Evans, il padre della ragazza di cui era innamorato, non era morto davvero.
Afferrò il braccio dell'uomo, scrollandolo, per fare in modo che si svegliasse, cercando di combattere l'ululato di frustrazione che stava nascendo dentro di lui, ma non ci riuscì.
Isaac rimase così: aggrappato a quel corpo senza vita, mentre il lupo che era in lui non riusciva a contenersi, e un urlo disperato, rotto da un ululato, prorompeva dalla sua gola.
Era un urlo inconsolabile e intenso, che sicuramente non era sfuggito a Scott e gli altri.
Era un lamento di dolore, che non segnava altro se non l'inizio di un ennesimo tormento.
“Isaac, cosa è successo?”.
Il licantropo non aveva per nulla badato ai passi veloci di Lyla verso l'interno della banca, non che avesse potuto fare qualcosa per evitarle quella scena. Rimase impalato davanti al corpo di James, mentre la ragazza faceva capolino nel corridoio, fermandosi di botto alla vista di lui chino su suo padre con il viso sconvolto e la mani sporche di sangue.
Lyla fissò il corpo di suo padre. Non pianse, riuscì soltanto ad avvicinarsi, stringendo la mano gelida di quel corpo privo di vita, fino a farsi del male, mentre Isaac si alzò, allontanandosi di poco e voltandosi dall'altra parte del corridoio, dove vide Scott e Allison, con le bocche spalancate.
Isaac tentò di afferrare Lyla, che si dibatteva in protesta, con gli occhi vacui e la bocca secca che vorrebbe sputare tutto il veleno che stava circolando dentro di lei.
Lyla lo spinse via, colpendolo con tutta la rabbia che aveva serbato nei suoi confronti in quei quattro mesi, cosa che probabilmente desiderava fare da molto tempo.
In quel momento non le importava di niente, se non di suo padre che non avrebbe più fatto parte della sua vita. Non l'avrebbe più accolta la mattina con il suo caffè. Non l'avrebbe più presa in giro per i suoi gusti in fatto di cibo. Non l'avrebbe più appoggiata mentre torturava Jamey.
Come avrebbe fatto? Come avrebbe reagito la mamma? Come avrebbe reagito suo fratello?
Non riusciva a pensare ad altro, e l'unica cosa che voleva fare era urlare tutto il suo dolore.
Continuava a pensare a cosa avrebbe fatto o a cosa ne sarebbe stato di lei, e mentre tutti i pensieri vorticavano nella sua testa, gli occhi si chiusero all'improvviso, come se quel dolore che stava provando avesse raggiunto il cuore, salendo poi al cervello, senza darle il tempo di realizzare ciò che stava realmente accadendo attorno a lei.
 
 
Angolo dell'autrice
 
- (1) questa frase è tratta dal film "Big Fish" di Tim Burton.

Eccomi qui con il capitolo maledetto e sempre un po' in ritardo. Chiedo umilmente perdono ma tra mancanza di ispirazione, studio e tante altre cose faccio sempre un po' di fatica ma spero di ripagare almeno di un minimo l'attesa a cui vi ho sottoposti. Questo capitolo forse è decisamente più “forte” rispetto agli altri e spero di non aver esagerato, inserendo la morte di Erica e di un altro personaggio nello stesso capitolo, solo che mi sembrava l'unico modo sensato. Ho praticamente supposto che Allison e Lyla si siano intrufolate insieme nella banca, abbiano trovato la Morrell e poi il corpo senza vita di Erica. Dopo, è sopraggiunto James che con il ritrovamento del corpo di Erica ha rappresentato una sorta di minaccia per gli alpha, motivo per cui è stato tolto di mezzo. Ovviamente mi è dispiaciuto eliminare questo personaggio, è stata una cosa abbastanza sofferta ma diciamo che è un ulteriore pretesto per allontanare Isaac e Lyla sempre di più. La scena fra lui e Isaac è ispirata a The Amazing Spiderman, mi sono rifatta molto a quella parte, visto che nel film abbiamo la stessa situazione...bisogna vedere se Isaac rispetterà o meno la promessa come Peter Parker u.u
Il titolo è ripreso dalla colonna sonora di Cloud Atlas (film stupendo che vi consiglio vivamente).
Direi che questo è quanto. Spero che vi sia piaciuto e vi invito a lasciare un commentino, se vi va, sia positivo che negativo, i pareri di ogni tipo sono sempre ben accetti :)
Oppure siete sempre liberi di dare inizio al lancio di ortaggi, me li merito u_u
Ok, ho smesso di tediarvi. Grazie a tutti quelli che stanno seguendo questa storia, vi adoro <3
Alla prossima, un abbraccio!

 

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Capitolo 6
*** V - In my veins ***


V
 
In my veins
 

I'll try to be all that you need me to be.
She'll be a star now, I will follow her lead.
She'll be a scar now, I will still let her bleed.
Open your eyes now and try to speak”.
(Andrew Belle - Open your eyes)
 

L'abbraccio di sua madre, Candice, era come una morsa: dolce ma allo stesso tempo così dolorosa che la pelle avrebbe potuto sanguinarle come se niente fosse. Sua madre piangeva e Lyla non poteva fare altro che circondarle il busto con le braccia, mentre piangeva sulla sua spalla e lei si forzava di non scoppiare insieme a lei. Doveva reggersi in piedi, ma soprattutto doveva sostenere sua madre.
Jamey era fermo al centro della stanza, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo perso ad osservare le due figure femminili davanti a lui.
Lyla lo guardò, pensando a tutto ciò che non avrebbe potuto dire a suo padre. Prima di uscire, le aveva chiesto se c'era qualcosa che voleva dirgli, perchè James Evans sapeva sempre quando sua figlia nascondeva qualcosa, ma lei si era limitata a mentire, come aveva sempre fatto da quando aveva scoperto cosa fosse Isaac in realtà. Era colpa sua e delle sue bugie, se ora suo padre non era più con lei. C'erano così tante cose che non gli aveva detto che avrebbe potuto farne una lista.
Una persona non poteva andarsene di punto in bianco, cogliendola all'improvviso.
Suo padre non era potuto uscire di casa, senza sapere che non vi sarebbe tornato.
C'erano cose che il tempo non poteva accomodare...e la morte di suo padre era una di quelle.
Come avrebbe fatto ad andare avanti, sapendo che non avrebbe più avuto suo padre indietro?
Il tempo non avrebbe guarito il suo dolore. Lo avrebbe cicatrizzato, forse...ma la morte di suo padre sarebbe sempre stata lì, inquietante, sopra la sua testa, a ricordarle che le persone se ne vanno quando meno te lo aspetti e non puoi fare niente per impedirlo.
Poteva soltanto restare ferma, mentre si lasciava trasportare da una corrente troppo forte per permetterle di opporsi. Poteva soltanto restare in silenzio, senza emettere la minima sillaba, perchè nemmeno l'urlo più straziante sarebbe stato in grado di ridarle ciò che aveva appena perso.
L'unica cosa che Lyla riuscì a fare fu afferrare la mano di suo fratello.
Le loro mani si strinsero così forte che si sarebbero potute sbriciolare tranquillamente. Avrebbe voluto togliergli tutto il dolore che stava accumulando, solo per farsene carico lei stessa.
Non c'erano lacrime o parole. C'era soltanto un mero silenzio.
 
Il funerale era così affollato che Lyla non si soffermò nemmeno ad osservare chi ci fosse.
Vide soltanto tante figure nascoste sotto una miriade di ombrelli neri che entravano in chiesa, mentre le persone si posizionavano ai loro posti: alcune si limitavano a fissare la bara con espressione neutra, alcuni piangevano, come sua madre, altri avrebbero voluto farlo ma si contenevano, come lo sceriffo Stilinski.
Lyla si voltò, e a poca distanza da lei li scorse...erano tutti lì: Stiles, Scott, Lydia, Allison, c'era persino Derek. Soltanto una persona mancava all'appello: Isaac. L'ultima volta che lo aveva visto era stato al suo risveglio, prima che corresse a casa da sua madre e suo fratello Jamey.
Erano a casa di Stiles e lui la fissava in modo irritante: come un genitore che guardava il proprio figlio, sapendo che avrebbe fatto qualcosa di stupido. Cosa credeva Isaac?
Pensava che lei, una volta uscita di casa, sarebbe andata in giro a picchiare qualcuno per sfogare la sua rabbia o a cercare direttamente la persona responsabile di tutto?
La ragazza si guardava intorno ma lui non c'era e la presa sull'ombrello aumentava, poteva spezzarlo tranquillamente ma l'ultima cosa che voleva era inzupparsi completamente.
Persone che Lyla non aveva mai visto, o che forse aveva conosciuto da bambina, si avvicinavano porgendole le loro condoglianze e parlando di suo padre come se lo conoscessero quando probabilmente non avevano la minima idea di cosa significasse per lei.
Lyla si avvicinò alla bara per dare l'ultimo addio a suo padre. Infilò una mano nella tasca del cappotto e ne estrasse un marshmellow, rigirandolo fra le mani.
Rivolse un ultimo sguardo a quel volto pulito, sereno e privo di qualsiasi traccia di sangue, e poi adagiò il marshmellow nella tasca dell'uniforme di suo padre.
“Solo per ricordati che non sarò mai troppo grande per certe cose”.
Quella frase era un sussurro, era una goccia di rugiada che cadeva silenziosamente per terra, ma sapeva che tutti i licantropi presenti l'avevano sentita, senza comprenderne il significato.
Quella frase era un ricordo di lei e suo padre, che, in realtà, comprendeva anche Isaac; era il ricordo di come Lyla avesse sempre sostenuto di essere troppo grande per alcune cose, quando, invece, non lo era mai abbastanza...o almeno non quando stava insieme a suo padre (1).
Di scatto si voltò, come se qualcuno la stesse osservando da lontano, e non si trattava di una semplice persona nella chiesa. Non vide nessuno, eppure credeva di aver sentito qualcosa.
Lyla smise di rimuginare su certe stupidaggini e tornò al suo posto, senza voltarsi, senza guardare ancora una volta quella bara contenente il corpo di suo padre.
Semplicemente camminava e non guardava indietro, mentre qualcun altro, troppo lontano da lei per essere visto, la osservava, ricordando una promessa che aveva giurato di mantenere.
Isaac rammentò il volto di James ricoperto di sangue e l'urlo straziante di dolore che proprio non era riuscito a contenere, come per suggellare quella promessa, che gli avrebbe fatto male ogni singolo giorno, come tanti aghi che si sarebbero infilzati piano nella sua pelle: era una melodia, un pianto finale, come quello in Isaac sarebbe scoppiato volentieri.
Il modo in cui James lo aveva guardato mentre lui era trasformato in licantropo era un misto tra terrore e sorpresa, come se ciò che aveva appena visto spiegasse tante cose che prima non era riuscito a capire in alcun modo. Tuttavia, era abbastanza probabile che il terrore maggiore fosse subentrato alla vista degli alpha che lo avevano ridotto in quello stato; ad esso si era poi sostituita la sorpresa e un leggero sollievo nel vedere Isaac che correva in suo aiuto.
Non sarebbe riuscito a rinnegare quella promessa nemmeno sotto tortura.
Una parte di lui continuava ad urlargli che si trattava di una promessa ingiusta ed egoista che lui avrebbe dovuto infrangere il più presto possibile ma come poteva?
Il ragazzo ripercorse ogni cosa mentre osservava da lontano la figura di Lyla che usciva dalla chiesa con l'ombrello nero stretto nella mano destra: aveva alzato lo sguardo un'ultima volta alla ricerca di qualcosa che non riusciva a percepire, ma poi aveva riportato gli occhi sull'erba umida, mentre lui era rimasto nel suo angolo, nascosto dal resto del mondo.
 
La pioggia scorreva fitta e Lyla non aveva la minima idea di cosa stesse facendo mentre camminava nervosamente senza ombrello, trovandosi in più di una pozzanghera. I jeans erano bagnati fino al ginocchio e piccole gocce le scorrevano sul viso umido e arrossato, contornato dai capelli lunghi altrettanto bagnati. Era uscita di casa così in fretta che non si era preoccupata di proteggersi dalla pioggia. In quel momento sembrava sicuramente un pulcino bagnato ed evitava i vetri dei negozi, per non vedere il suo riflesso che probabilmente l'avrebbe spaventata.
Arrivò davanti a quel palazzo che aveva più l'aspetto di un grande magazzino e senza curarsi di bussare, attraversò il portone a passo svelto, fino ad arrivare ad una porta scorrevole di medie dimensioni, dietro la quale vivevano ben cinque licantropi che avrebbero potuto ucciderla, senza far notare a nessuno la sua scomparsa. In effetti, non le sarebbe dispiaciuto molto, visto il suo stato d'animo. Portò una mano a mezz'aria, pronta a bussare più forte che poteva, ma prima che la ragazza riuscisse a farlo, la porta si aprì davanti a lei, mostrando Derek che la fissava con un cipiglio poco sorpreso. Aveva sicuramente sentito il suo arrivo già da tempo.
“Ciao”, esclamò l'alpha con un tono stranamente neutro. Di solito si rivolgeva a lei con voce sempre irritata, trattandola quasi come se fosse Stiles. Quella volta, invece, l'uomo sembrava calmo, quasi apprensivo, come se si aspettasse una sua visita e non avesse intenzione di mandarla via.
“Ti chiamo Isaac”, continuò lui, lasciandola con la bocca dischiusa sul ciglio della porta.
Derek leggeva anche nel pensiero? Magari sapeva anche cosa voleva dirgli.
Isaac apparì poco dopo sulla porta, grattandosi nervosamente la nuca.
“Ehi”, esclamò con tono distaccato, e guardando ovunque pur di non soffermarsi sul suo viso.
“Dove eri finito?”.
La domanda di Lyla era così colma di rancore, che poteva sentirlo aleggiare nell'aria.
“Ciao anche a te”, ribatté il ragazzo, infilando le mani nella tasche dei jeans.
“Mio padre è morto”, esclamò la ragazza con fare risentito. “Ricordi quel corpo che hai trovato tu stesso? Proprio quello. C'è stato un funerale, e c'erano tutti, persino Derek, ma non tu”.
Le sue parole erano pungenti come spine che penetravano poco a poco nella sua carne, facendogli così male che avrebbe voluto urlare, ma non poteva farlo.
Non doveva urlare, doveva solo incassare quei colpi.
“Mi dispiace”, rispose il ragazzo, fissando il pavimento. “Solo che io non posso vederti, non più”.
“Cosa stai dicendo?”, domandò Lyla, visibilmente scocciata e confusa, poi il suo viso si illuminò, come se avesse capito e restò immobile con la bocca dischiusa.
“Ci risiamo, vero?”, continuò lei con finto tono sarcastico. “La storia si ripete. Lo stai facendo per lui, eh? Credi che sia stupida, Isaac? Per quanto vuoi continuare questo stupido giochino?”.
“Io non posso più coinvolgerti”, sbottò lui, allargando le braccia, come se fosse esasperato.
Lyla non lo sopportava. Come poteva anche solo pensare di comportarsi come se tutto gravasse sulle sue spalle? Suo padre era morto. Era stato ucciso da un licantropo e lei stava morendo per il dolore, mentre Isaac continuava imperterrito a lasciarla fuori, ad allontanarla quando avrebbe dovuto starle accanto e stringerla come soltanto lui sapeva fare.
“Sono già coinvolta, Isaac! Non lo vedi?”, domandò lei, cacciando tutta la rabbia che aveva in corpo. “Gerard ha cercato di rapirmi e ho fatto un incidente. Sono a conoscenza di tutto, ormai. Ho addirittura passato l'estate ad allenarmi mentre tu eri via. Mio padre è morto mentre io ero a gironzolare con una balestra in mano. Hai una minima idea di tutto questo, Isaac?”.
Il ragazzo la guardava e, ancora una volta, le parole gli morirono in gola. Avrebbe voluto dirle tante di quelle cose ma non ce la fece, perchè le parole di James Evans risuonavano nella sua testa come se fossero registrate, e lui non riusciva a cancellarle.
Non poteva farlo. Da quella sera, più volte nella sua mente, al corpo di James si era sostituito quello di Lyla, e lui si era svegliato sudando freddo.
“Non parlerai, vero?”, chiese Lyla con tono leggermente più calmo e con la voce debole, come se si stesse esaurendo. Gli occhi castani lo fissavano: erano liquidi e gonfi, per colpa sua...come al solito.
Il silenzio di Isaac era la risposta che Lyla si aspettava. Il silenzio stava facendo crescere dentro di lei una rabbia così grande che per un secondo desiderò avere una balestra a portata di mano.
Era addirittura arrivata a pensare di fargli del male. Era l'unica cosa che riusciva a farla stare meglio. Voleva fargli avere almeno una minima idea di ciò che lei stessa stava sentendo.
Lyla, guidata da qualcosa che non riusciva bene a decifrare, si scagliò contro di lui, come se fosse uno dei sacchi da box con cui aveva avuto a che fare durante l'estate.
Isaac, inizialmente, era rimasto sorpreso dal suo gesto, ma riuscì a bloccarle entrambe i polsi con un movimento del braccio, mentre la ragazza lo guardava con sguardo furente.
Rimasero a fissarsi per qualche secondo, con gli occhi di Isaac posati sulle sue labbra.
In un altro contesto, Isaac l'avrebbe canzonata ironicamente e lei gli avrebbe risposto con un sorriso ma in quel caso non sarebbe andata così, anzi. Quando Isaac la lasciò andare, lei continuò a fissarlo poi abbassò il viso, facendo un cenno amaro di assenso con la testa.
“E' finita”, mormorò senza alzare lo sguardo, per poi andare via senza aggiungere altro.
Isaac si abbandonò al muro più vicino, per non crollare a terra. Si lasciò scivolare con la schiena su di esso, fino a lasciarsi cadere sul pavimento con la testa sulle ginocchia e la porta ancora aperta.
“Stai bene?”. La voce di Derek non era lontana da lui, ma Isaac non aveva la forza di alzare il capo, si limitava soltanto a scuoterlo in segno di dissenso. Non stava bene, per niente.
Voleva continuare a tenere gli occhi serrati, beandosi del buio che lo circondava.
Non voleva vedere niente. Non voleva vedere alcun colore o alcun viso.
Non voleva vedere il viso di Lyla rigato dalle lacrime, perchè sapeva che era lui il responsabile.
Non voleva pensare che era tutta colpa sua. Se lui l'avesse lasciata in pace, tutto questo non sarebbe accaduto. Suo padre forse sarebbe ancora vivo e lei lo avrebbe dimenticato con il tempo.
Voleva solo lasciarsi cullare dal dolore e dal buio che lo circondava, fino a farsi risucchiare.
Sentì un rumore al suo fianco: Derek si adagiò sul pavimento accanto ad Isaac, senza dire niente.
Restò lì, in silenzio, a confortarlo con la sua sola presenza.
L'alpha sapeva che Isaac aveva fatto una promessa, ed era probabilmente l'unico ad esserne a conoscenza, nonostante Lyla lo avesse intuito. Quella ragazza non era certo una stupida.
Derek riusciva a capirlo soltanto adesso: ormai, Isaac non era più un cucciolo sperduto, non era più un beta immaturo, desideroso di popolarità e vendetta verso coloro che si prendevano gioco di lui.
Isaac era cresciuto, in parte grazie a lui, almeno sperava, in parte grazie a Lyla che gli era stata vicino da prima che tutto ciò accadesse, e soprattutto grazie a sé stesso. Stava traendo da sé stesso la forza per andare avanti, per non arrendersi e per rispettare la promessa che aveva fatto.
Una promessa che aveva suggellato con il sangue...il suo sangue.
Avrebbe dovuto capirlo nel momento in cui lui stesso gli aveva detto che non era obbligato a seguirlo per cercare Erica e Boyd, inseguendo gli alpha. Derek gli aveva detto chiaramente che era libero di andare, di essere un teenager e stare insieme ai suoi amici.
Isaac lo aveva guardato, impassibile, e poi con un sorriso aveva detto: “Non posso Derek. Devo aiutarti, perchè io combatto per qualcosa”. All'inizio, Derek non aveva capito a cosa quello strano ragazzo si riferisse ma ora gli era sempre più chiaro: lui combatteva per Lyla e avrebbe continuato a farlo, anche se questo significa starle lontano e farsi odiare praticamente a morte.
In un certo senso, Derek non riusciva a non ammirare Isaac per quello che stava facendo: i suoi sentimenti erano sempre profondi e devoti verso le persone a cui teneva. Lo erano per suo padre, nonostante tutto; lo erano anche per lui, nonostante il modo in cui si era comportato; lo erano per Scott, di cui si fidava ciecamente...e forse anche più di lui; lo erano per Lyla, che amava con tutto sé stesso. Isaac era cresciuto e tante, forse troppe, responsabilità gravavano sulle sue spalle.
 
Lyla gettò uno sguardo alle sue spalle, notando la figura di sua madre profondamente addormentata: aveva deciso di tenerle compagnia, perchè ormai da quando tutto era accaduto, sua madre faceva fatica ad addormentarsi se qualcuno non le stava vicino.
Si alzò, facendo attenzione a non svegliarla, e scese le scale, accorgendosi di come nella casa regnasse un silenzio da far invidia ai peggiori film dell'orrore. Quando arrivò in salotto, notò due figure distese comodamente sul divano: suo fratello Jamey dormiva come un bambino, con Toby adagiato sul suo grembo e la coda lasciata a ciondolare oltre le sue gambe.
Tutti in quella casa avevano preso sonno, tranne lei che non dormiva da giorni.
Accanto a lui c'era Wyatt con la testa abbandonata lungo il bracciolo, le braccia incrociate al petto e le palpebre semichiuse, come se avesse vegliato per tutto il tempo sul suo amico e stesse per addormentasi anche lui. La premura che aveva dimostrato era da invidiare, e non aveva intenzione di svegliarlo, ma non appena Lyla fece per attraversare il salotto, il ragazzo aprì del tutto gli occhi.
“Ehi”, la salutò Wyatt con voce bassissima e alzandosi dal divano.
“Ciao”, sussurrò Lyla, buttando un'occhiata a Jamey. “Hai aspettato che si addormentasse?”.
“Sì”, rispose il ragazzo, infilando le mani nelle tasche dei jeans. “Volevo fargli compagnia”.
“Grazie”, disse semplicemente Lyla, sforzandosi di sorridere.
“Tu come stai?”, domandò Wyatt senza segno di pentimento.
Tutti quelli che le avevano posto quella domanda, si erano morsi le labbra subito dopo avergliela posta, come se avessero percepito quanto potesse risultare scontata quella domanda.
Soltanto Stiles aveva evitato di chiederglielo. Lui l'aveva stretta e basta, complice di un dolore che gli era toccato sopportare quando era soltanto un bambino impiccione e logorroico come ora.
Lyla scrollò le spalle e si avvicinò ai fornelli, necessitando di una tazza enorme di caffè in cui potesse affondare tutta la stanchezza che si stava portando dietro ormai da giorni.
Wyatt non aggiunse altro. Non cercò di forzarla, semplicemente rimase in silenzio, ad attendere che quella ragazza si aprisse anche se l'idea la infastidiva in tutti i modi possibili ed immaginabili.
Wyatt non voleva nulla da lei. Non voleva obbligarla a sfogarsi, non voleva atteggiarsi a grandi amicone sbucato all'improvviso per darle una spalla su cui piangere.
Voleva soltanto entrare nel suo mondo. Voleva capirla quel poco che potesse permetterle di stare meglio, anche in un momento del genere. Voleva esserci per Jamey e un po' anche lei.
La ragazza gli porse una tazza di caffè e si sedette accanto a lui con gli occhi rivolti verso la bevanda che aveva appena preparato. Lyla la fissava, provando inutilmente ad incontrare il suo riflesso che non poteva vedere in quella massa scura e forse era un bene, perchè poteva immaginare in che condizioni fosse il suo viso e per un attimo ricordò che anche Wyatt lo aveva visto.
Non era triste o afflitta, non provava niente. Era svuotata da ogni tipo di emozione.
Riusciva solo a fissare un punto indefinito sul tavolo con gli occhi vacui e il viso scarno, mentre la mano sinistra era lasciata sul tavolo leggermente tremolante e non soltanto per il freddo.
Improvvisamente, Wyatt afferrò la sua mano gelida.
Quando le dita vennero a contatto con le sue, il ragazzo non si ritrasse in alcun modo per il freddo che emanavano, anzi, strinse più forte, trasmettendole un calore che dalla mano risalì per tutto il braccio, donandole quasi un tenue soffio di vita.
Lyla alzò gli occhi verso il ragazzo e lui semplicemente le rivolse un sorriso un po' dolce e un po' amaro, carezzando leggermente la mano di lei, ancora stretta nella sua.
Il cuore di lei mancò un battito, portandola a deglutire per tutto il supporto che quel ragazzo le stava dimostrando. Wyatt c'era sempre stato nella sua vita, o meglio, in quella di suo fratello Jamey, solo che era rimasto ai margini, troppo fuori per essere notato da lei, almeno fino ad allora.
Non aveva idea di chi fosse, non aveva idea del fatto che non frequentava solo il suo liceo ma faceva anche parte della squadra di lacrosse.
Normalmente, Lyla l'avrebbe tirata indietro ma forse in quel momento aveva così tanto bisogno di un po' di appoggio che l'idea di staccare la mano da quella di Wyatt non la sfiorò minimamente.
Tuttavia, un muto osservatore aveva avuto modo di assistere in qualche modo a quella scena tanto silenziosa quanto intima e percepire i battiti dei loro cuori. Isaac era sul vialetto di casa Evans, con le mani nelle tasche della giacca blu e la sciarpa avvolta attorno al suo collo infreddolito.
Voleva provare gelosia per la mano di quel ragazzo a lui sconosciuto stretta in quella della ragazza che amava, ma sentiva di non poterselo permettere...non era giusto essere geloso dopo tutto quello che aveva fatto. Si sarebbe dimostrato solo più egoista di quanto non fosse già stato, solo che la gola era troppo arsa e gli occhi troppo annebbiati per dargli modo di capire che non doveva provare quel sentimento. Faceva troppo male per essere ignorato. Faceva troppo male seppellire la paura che qualcuno stava in qualche modo consolando Lyla e quel qualcuno non era lui. Faceva troppo male sapere che tutte le persone a lei care le sarebbero state vicino e lui non era proprio fa quelli.
 
 
Una leggera luce filtrava dalla finestra della sua stanza. Era mattina, ormai.
Lyla dovette constatare con immenso dispiacere che era giunto per lei il momento di alzarsi dal morbido letto su cui aveva stranamente preso sonno. Non aveva dormito per giorni, si era svegliata continuamente in preda all'ansia senza trovare pace. Quella sera, però, forse grazie ad una persona completamente inaspettata era riuscita a cadere in un sonno profondo e dormire come non le capitava da tanto tempo. Dopo che Wyatt era andato via, salutandola e senza svegliare Jamey, Lyla era rimasta per qualche minuto nel salotto ad osservare l'ambiente circostante; poi era salita al piano di sopra e si era messa al letto, convinta che avrebbe passato altro ore di inferno.
Invece, al di là di ogni sua aspettativa, le cose erano andate diversamente.
Emise un sonoro sbadiglio e si voltò, dando le spalle alla finestra.
L'urlo che cacciò in quel momento sarebbe stato capace di fracassare i timpani anche a Derek.
“Oddio!”. Lyla avrebbe riconosciuto ovunque quella voce squillante che avrebbe potuto attribuire solo ad una persona in tutta Beacon Hills.
“Stiles!”, berciò lei, sporgendo il capo oltre il materasso per osservare il ragazzo che giaceva a terra con una gamba abbandonata lungo il pavimento e l'altra ancora sul materasso.
“Ciao”, la salutò lui, mostrando un sorriso convincente. “Scusa, non volevo spaventarti”.
C'era un leggero dispiacere negli occhi nocciola di Stiles e un sorriso tenero increspò le labbra della ragazza. Non aveva idea di quando fosse arrivato e ad essere onesta, nemmeno del perchè si fosse addormentato accanto a lei ma non poteva ritenersi arrabbiata in alcun modo.
“Cosa fai qui?”, domandò Lyla, facendogli segno di alzarsi.
Stiles tornò sul materasso, posizionandosi a pancia sotto mentre Lyla rimaneva seduta con le gambe incrociate e il viso ancora increspato dal sonno profondo.
“Cosa faccio qui?”, ripetè Stiles, boccheggiando. “Beh, sai...mi trovavo da queste parti, così ho ben pensato di bussare ma tua madre mi ha detto che dormivi”.
“Potevi andare a casa”, lo rimbeccò lei con un sorriso divertito, ben convinta a farlo parlare.
“Mi sono messo a giocare con Toby...sai, un morso tira l'altro”, snocciolò Stiles, cercando in tutti i modi di temporeggiare e nascondere il reale motivo che lo aveva spinto a rimanere.
“Non c'era bisogno di restare a dormire in camera mia”, ribattè lei, incrociando le braccia.
“Io...”, asserì il figlio dello sceriffo, rimanendo con la bocca aperta e le parole in gola, senza modo di trovare una giustificazione adatta alla constatazione che Lyla aveva fatto. “Credo di non avere una scusa plausibile per questo, ad essere sincero”.
“Stiles”, lo richiamo lei con tono calmo.
“Volevo vegliare su di te”, esalò finalmente, come se si fosse liberato da un peso. “Sapevo per certo che in questi giorni, il sonno era l'unica cosa che non ti riusciva, così ho deciso di rimanere qui, accanto alla mia amica. Lo so, forse sono stato abbastanza invadente e inopportuno. Me lo dicono sempre. Anche mio padre sostiene questa tesi, tua madre invece mi reputa un amore di ragazzo...e anche la madre di Scott. Solo quei dannati lupi mi considerano una palla al piede, eppure li salvo in continuazione, che ingrati! Sono un disastro, lo so. Guarda che puoi anche buttarmi giù con un calcio se ti fa sentire meglio, almeno ti alleni e...”.
“Stiles!”, esclamò lei, spazientita. “Sei consapevole del fatto che se tutte le persone fossero come te il mondo forse sarebbe un posto migliore?”.
Il ragazzo le rivolse un largo sorriso e si avvicinò a lei, per coinvolgerla in un abbraccio che in quei giorni le era mancato. Quando Stiles si allontanò, Lyla lo colse di sorpresa gettandogli il cuscino in faccia, gesto al quale il ragazzo rispose con una finta risata divertita.
“Certo, strapazziamo Stiles!”, esclamò con tono canzonatorio.
Avere Stiles la faceva sentire meglio. Forse con l'aiuto di persone come lui, Lyla ce l'avrebbe fatta ad andare avanti anche se la cicatrice che si portava dentro non sarebbe mai guarita del tutto.
 
 
Angolo dell'autrice
 
- (1) richiamo al primo capitolo di Safe harbor in cui il padre di Lyla le chiede se vuole la cioccolata con i marshmellows e lei risponde di essere troppo grande per certe cose.
 
Eccomi con il nuovo capitolo. Questa volta l'ho pubblicato con un solo giorno di ritardo, sto migliorando. Sarò onesta: questo capitolo per me non ha senso; cioè, inizialmente comprendeva il “dopo” della morte di James e anche il ritorno a scuola di Lyla ma ho pensato che sarebbe stato troppo pesante quindi ho deciso di tagliare questa parte e fare questo capitolo un po' di passaggio che vede come protagonista Lyla, Isaac e il loro modo di affrontare tutto quello che è accaduto fino ad ora. Come spero abbiate letto, c'è stato un primo confronto fra i due (anche in questo caso, ispirato leggermente a The Amazing Spiderman, sia per il funerale, sia per lei che va dal ragazzo a chiedere spiegazioni per il suo comportamento). Inoltre, c'è anche Wyatt: ho voluto inserirlo perchè mancava da un bel po' e come ho detto già, rappresenta un semplice stralcio di normalità per lei. Isaac ha deciso di non starle vicino ma qualcun altro sembra ben disposto a farlo: ho voluto anche mettere la scena in cui lui capisce tutto questo, giusto per farlo soffrire u.u
Forse la scena finale di Lyla e Stiles potevo evitarla (e siete liberi di lanciarmi pomodori visto che non centra moltissimo) ma ci tenevo tanto a mettere una scena di questi due, che fino ad ora non hanno avuto modo di stare insieme come in Safe harbor, spero che vi sia piaciuta.
Il titolo è ripreso da “In my veins” di Andrew Belle. Direi che ho finalmente smesso di tediarvi.
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e lasciate un commento, anche piccino piccino, se vi va :) un grazie enorme a tutti coloro che stanno seguendo la storia <3
Alla prossima, un abbraccio :3

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Capitolo 7
*** VI - Castle of glass ***


VI
 
Castle of glass
 
 
Somewhere deep in the dark a howling beast hears us talk.
I dare you to close your eyes and see all the colors in disguise.
Running into the night, the earth is shaking and I see a light.
The light is blinding my eyes as the soft walls eat us alive”.
(Of Monsters and Men - Yellow light)
 
 
 
“Non sei obbligata a tornare. La scuola può aspettare”.
Lyla se ne stava in piedi davanti al letto, vestita e con la tracolla pronta per andare a scuola, mentre sua madre Candice la aiutava a riporre i vestiti scartati per quel giorno nell’armadio.
“No, davvero. Sono pronta”, sussurrò la ragazza, sistemando meglio la maglietta verde sulla gonna a pois che aveva indossato e dandosi un ultimo sguardo.
Mentre scendeva le scale, pensò che doveva prendersi un tazza del buon caffè che suo padre era solito farle la mattina prima di uscire di casa, ma la realtà era come una secchiata di acqua gelida.
Lui non c’era più in quella casa. Di James Evans erano rimaste soltanto troppe foto in bella mostra su diverse mensole della casa e Lyla avrebbe desiderato abbassarle tutte pur di non guardare quel volto, pur di non guardare il suo stesso viso che era fin troppo diverso da quello attuale: era felice...e ingenua. Non potevano semplicemente fare i bagagli e andare via per ricominciare?
Non potevano trovarsi in una città diversa? Gli sguardi degli estranei per le strade di Beacon Hills erano solo pugnalate dritte in petto. Tutti la guardavano, pensando sicuramente “ah, questa è la ragazza il cui padre è stato ucciso”. La fissavano come fosse un fenomeno da baraccone e per quanto la sua voglia di tornare a scuola fosse pari a zero, Lyla doveva cercare di farsi forza: sua madre aveva bisogno di lei e l’ultima cosa che Lyla desiderava era deluderla o farla crollare.
Aveva anche un fratello minore a cui pensare, e per quanto fosse certamente in grado di badare a sé stesso, non voleva certo lasciarlo solo. Forse si stava facendo carico di troppe responsabilità.
Aveva appena perso suo padre e si sforzava di tenere la mente impegnata in qualcosa che le permettesse di non crollare sul pavimento, rompendosi in mille pezzi come un semplice soprammobile di vetro che appariva in bella mostra nel suo salotto.
Non voleva rompersi. Non poteva permetterselo.
Aveva esaurito tutte le lacrime. Aveva pianto così tanto, dopo il funerale, che gli occhi avrebbero potuto sanguinare, mentre la gola le faceva male per i troppi singhiozzi.
Ogni giorno suo padre era andato a lavoro con la sua pistola e il suo distintivo.
Ogni giorno aveva corso il pericolo di non tornare a casa.
Ogni giorno in cui lei lo aveva visto poteva essere l'ultimo.
Eppure, Lyla non aveva mai pensato davvero che quel giorno sarebbe potuto arrivare, e soprattutto non credeva che il tutto si sarebbe potuto verificare per motivi “soprannaturali”.
Non sapeva come, ma quel mostro che le aveva portavo via suo padre doveva pagare.
Mentre Lyla osservava il liceo di Beacon Hills non poteva evitare di chiedersi se fosse davvero pronta per tornare a scuola. Tornare alla normalità poteva essere un'impresa titanica, soprattutto dopo un lutto. Quasi le salì il vomito, mentre pensava a tutta l'apprensione che i professori le avrebbero mostrato. Lyla non voleva essere compatita.
La perdita di suo padre non doveva certo renderla una privilegiata, perchè non lo era.
Giunta a scuola, si preparò per la corsa campestre alla quale potevano prendere parte tutti gli studenti, non soltanto i giocatori di lacrosse. Lyla pensò che quello sarebbe stato un buon modo per rimettersi in sesto, visto che adorava correre ma da un po' il tempo per farlo si era ben ridotto.
Uscì dagli spogliatoi e si ritrovò circuita immediatamente da Scott e Stiles, che le si pararono davanti con dei sorrisi inquietanti.
“Adesso fate gli stalker?”, domandò la ragazza, alzando un sopracciglio.
“Oddio, no!”, berciò Stiles, guardando l'amico. “Non ti avevamo nemmeno vista”.
“Ma se sei stato tu a dirmi di averla vista e di andarle inc-”.
La voce di Scott venne spezzata da una gomitata rifilata da Stiles, che fece finta di nulla, mentre l'amico si piegava in due per il dolore che sarebbe scemato entro pochi secondi, vista la sua natura.
Lyla si limitava ad osservare la scena, esasperata, pensando che Stiles avesse dei seri problemi, per poi riprendere a camminare, ma venne subito affiancata dai due ragazzi.
“Non c’è una corsa campestre da fare?”, chiese Lyla, cercando in tutti i modi di toglierseli di torno, visto che sapeva che non l’avrebbero mollata per l’intera giornata, nemmeno durante la corsa.
“Tu come lo sai?”, domandò Scott, visibilmente sorpreso. “E devi farla anche tu?”.
“Sì!”, ribatté la ragazza. “Ora smettetela, sono in grado di correre!”.
Stiles e Scott si scambiarono uno sguardo, per cercare di darsi conferma l'un l'altro, e poi passarono a Lyla, che rivolse loro il sorriso più convinto del suo repertorio, sperando che non si fosse trasformato in un ghigno malefico ed inquietante.
“Ci diamo alla corsa, adesso?”, chiese una voce fastidiosamente conosciuta alle sue spalle.
“Ciao, Wyatt”, rispose Lyla, senza degnare il ragazzo di uno sguardo, sentendolo ridere.
“Allora, andiamo?”, chiese Stiles con voce speranzosa, e in risposta ricevette soltanto uno spintone dalla ragazza che gli fece ancora cenno di camminare e togliersi dalle scatole.
Mentre camminava con loro, Lyla non riuscì a non stendere le sue labbra in un sincero sorriso.
Se quei due erano al suo fianco, poteva dire di sentirsi meno sola e forse valeva anche per Wyatt.
Tuttavia, la calma apparente della ragazza svanì nel preciso momento in cui la corsa campestre stava per iniziare, e due figure non molto lontane da lei, le fecero ribollire il sangue nelle vene.
Lyla si sentì improvvisamente racchiusa in un bozzolo di rancore.
Se fosse stata un licantropo, i suoi occhi avrebbero cambiato immediatamente colore e avrebbe iniziato a ringhiare verso i due componenti di quel nuovo branco di alpha, arrivato a Beacon Hills, per rendere la loro vita un inferno. Sapeva che una donna e un ragazzo lupo erano responsabili della morte di suo padre, e sapeva che non avrebbe dovuto fare stupidaggini, eppure la rabbia montava in lei e non riusciva a fermarla. Cominciò a correre, più veloce del previsto, ignorando le figure alle sue spalle, ignorando Scott, Isaac e Stiles, e fece appello esclusivamente a quell’allenamento, di cui aveva fatto tesoro negli ultimi mesi.
Correva così veloce che forse aveva attirato l’attenzione dei ragazzi, di poco dietro di lei, ma non le importava, perché le sue gambe erano mosse soltanto dalla rabbia.
Ogni battito frenetico era per il dolore che aveva provato.
Ogni respiro affannoso era per il ricordo di quel corpo sanguinante e privo di vita.
Ogni lacrima che aveva versato e ogni urlo che aveva liberato era solo per suo padre.
Tutto quello che aveva provato, tutto il dolore che avevano inflitto non poteva restare impunito.
Scott, intanto, aveva due persone da calmare, visto che Isaac sembrava altrettanto intento a rispondere stupidamente alle provocazioni che i due gemelli gli avevano lanciato poco prima di iniziare. Lyla si affiancò ai gemelli, superandoli di poco e rivolgendo loro uno sguardo di sfida misto a rabbia. Quanto poteva essere stupida ed impudente per mettersi contro due licantropi?
Ai gemelli non sfuggì il suo tentativo, e ne ebbero la conferma nel momento in cui la ragazza strattonò Ethan, superandolo ancora. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo divertito: avevano trovato qualcosa con cui giocare, rischiando anche di far arrabbiare qualcuno di loro conoscenza.
“Cosa diamine sta facendo?”, domandò Stiles, annaspando e cercando di avanzare verso di loro.
“Non lo so ma non mi piace”, rispose Scott, aumentando la velocità e lasciando indietro l’amico, mentre Isaac lo aveva già superato di molto, e il suo battito non prometteva nulla di buono.
Le tre figure erano davanti a tutti e continuavano a correre, ignorando quelle degli altri studenti, che sicuramente avevano preso quella piccola competizione come un qualcosa di stupido e giocoso, peccato che non avessero la minima idea del guaio in cui Lyla stava disperatamente cercando di cacciarsi. Quando Lyla imboccò un sentiero alternativo, che permettesse loro di allontanarsi dal resto del gruppo, Scott quasi sbiancò per la paura, continuando a seguirli, con Stiles alle sue spalle e Isaac davanti. Intanto, Lyla era in mezzo ai due gemelli, che, dopo averla raggiunta, cominciarono a rispondere ai precedenti strattoni della ragazza, in modo anche più forte, come fosse una palla che veniva lanciata a destra e a sinistra per puro divertimento, ma lei non aveva intenzione di farsi spaventare. Fece lo sgambetto ad Aiden, che, finendo con la schiena sul terreno, rispose con una sonora risata, come se per lui fosse soltanto un gioco e Lyla non era altro che una pedina, una distrazione per dare un po’ di divertimento a lui e a suo fratello. La ragazza si avventò su di lui, senza pensare minimamente a ciò che stava facendo. Voleva forse farsi ammazzare?
“Credi davvero di avere qualche speranza?”, domandò Aiden senza muoversi, lasciandosi sovrastare dalla esile figura di Lyla. “Sei così carina, non vorrei mutilare il tuo dolce visino”.
In un attimo, Aiden rivoltò la situazione, e con uno scatto, fece ritrovare Lyla a terra, con la schiena dolorante per il colpo inferto, mentre lui la osservava con un ghigno divertito.
La ragazza cercò inutilmente di sferrargli un pugno ma il licantropo le bloccò i polsi con una sola mano, facendole così male che Lyla gemette per il dolore. Nel tentativo di divincolarsi, non fece altro che peggiorare la situazione, provocandosi un lungo graffio lungo l’avambraccio.
“Vuoi giocare?”, domandò il ragazzo con il viso fastidiosamente vicino al suo. “Allora giochiamo”.
Qualcuno scaraventò la figura di Aiden lontano da Lyla, permettendole di muoversi.
La ragazza si mise a sedere immediatamente, mentre Isaac ruzzolava a terra, per essere poi afferrato da entrambi i gemelli che lo tenevano fermo, mostrando le solite espressioni divertite.
Lyla si alzò di scatto, ignorando il dolore che il suo corpo le stava trasmettendo.
Le gambe volevano cedere e il torace le faceva male, come se fosse stata tutto il tempo schiacciata sotto il peso di una roccia. Era tutta sporca di terreno e i capelli erano scombinati, mentre il sangue colava dal suo braccio sinistro. Tentò di avvicinarsi, ma Aiden le fece segno di rimanere immobile con un sorriso inquietante.
“Fossi in te non lo farei”, esclamò il ragazzo, fissando Lyla con sguardo truce, per poi posare nuovamente la sua attenzione su Isaac.
“Ethan, me lo dimentico sempre. Quante ossa ci sono nel corpo umano?”.
“Non lo so”, rispose Ethan, digrignando i denti. “Contiamole”.
Prima che il gemello riuscisse ad avventarsi su Isaac, un pugno di Scott lo stese.
“E uno”, esclamò il ragazzo, voltandosi verso Aiden e ricevendo un ringhio come risposta.
Mentre Isaac si rialzava, per prendere posto al fianco di Scott, Stiles si avvicinò a Lyla, aiutandola a reggersi in piedi, visto che sembrava avere qualche problema al braccio e alla gamba.
I quattro licantropi erano uno di fronte all’altro con gli artigli sguainati e gli occhi di colore diverso.
I ringhi che emettevano rischiarono di rompere i timpani di Lyla che rimase per tutto il tempo vicino a Stiles, il cui sguardo trasudava un velo di terrore e preoccupazione per ciò che sarebbe accaduto; ma un urlo proveniente dalla parte opposta in cui si ritrovavano attirò l’attenzione dei ragazzi, costringendoli a fermarsi immediatamente.
Corsero via, seguiti dai due gemelli, mentre un’orda di studenti aveva attorniato un albero al centro del bosco, su cui si ergeva la figura di un ragazzo coperto di sangue.
“E’ lui, vero?”, domandò Stiles, voltandosi verso Scott e reggendo Lyla, che osservava il ragazzo, chiedendosi il motivo che lo aveva reso vittima di quello spettacolo sanguinoso.
In poco tempo, vennero raggiunti dallo sceriffo Stilinski, che si impegnò a sgombrare la zona, con l’aiuto del coach della squadra di lacrosse, mentre Stiles non sembrava volersi allontanare.
Quando fu praticamente obbligatorio allontanarsi, i tre ragazzi presero a discutere di ciò che era appena accaduto e su come i gemelli potessero essere implicati in quel brutale omicidio.
Mentre Isaac sembrava ritenerli responsabili della morte di un ragazzo innocente, Stiles parlava di sacrifici e il povero Scott non aveva la minima idea di chi dei suoi due amici fosse nel giusto, ma le motivazioni di entrambi sembravano plausibili.
Il branco di alpha non si sarebbe certo fatto qualche problema nell’uccidere persone umane e totalmente innocenti, come nel caso di suo padre, ma perché esporre il ragazzo in quel modo?
Lyla si limitava, intanto, a non intervenire in quella discussione, sperando che il silenzio potesse salvarla da un’eventuale ramanzina dei tra ragazzi, che lei non voleva proprio ascoltare; ma, quasi come se i suoi pensieri fossero stati captati, Scott si voltò verso di lei.
“Tu cosa mi dici?”, domandò, facendo ben intuire a cosa alludeva.
“Sei per caso impazzita?”, intervenne Isaac, ricevendo lo sguardo più carico di odio che Lyla potesse mai rivolgergli, con gli occhi ridotti a due fessure e un ghigno infastidito.
Isaac aveva fatto un passo verso di lei: il viso increspato dalla rabbia e la voce rotta dall’ansia di cosa sarebbe potuto accadere se lui non si fosse precipitato da lei. Aveva promesso a suo padre di tenerla fuori e lei cosa faceva? Tentava di farsi ammazzare da due licantropi alpha?
Quei suoi tentativi di autolesionismo annullavano decisamente la promessa che il ragazzo aveva intenzione di mantenere. Come si poteva proteggere qualcuno che non voleva essere protetto?
Come poteva tutelarla se lei stessa si metteva in condizione di essere un bersaglio facile?
Era così arrabbiato che se non fosse stata lei, gli avrebbe rifilato uno spintone, come avrebbe fatto con Scott oppure con Stiles, ma lei non era sua amica, non era nemmeno più la sua ragazza, visto che lo trattava come fosse un estraneo.
Il suo sguardo parlava da solo: gli stava dicendo “fatti gli affari tuoi”.
La vita di Lyla, però, era affar suo. Diamine se lo era!
Qualunque cosa tentasse di fare, lei si comportava come una calamita per le disgrazie, a tratti sembrava anche peggio di Stiles. Come se lui non ne combinasse abbastanza da solo.
Scott si frappose tra le due figure. “Non è il momento di discutere. Lyla, devi andare in infermeria”.
“Cosa ti è successo?”.
Wyatt si era avvicinato al gruppo di ragazzi, osservando Lyla in maniera così preoccupata che sia Scott che Isaac non fecero fatica ad accorgersi del battito accelerato del suo cuore, che aveva preso a tamburellare non appena si era accorto dello stato attuale di Lyla.
“Ehm … sono inciampata”, rispose prontamente la ragazza, senza dare troppo nell’occhio.
Isaac sembrava intenzionato ad accompagnarla, visto che stava per farsi ulteriormente avanti, dimenticando per un attimo che non sarebbe stata una buona idea, come se Lyla non fosse soltanto una calamita per i guai ma anche per lui, che a volte sentiva il bisogno impellente di avvicinarsi a lei, soltanto per sentire il respiro della ragazza sulla sua pelle.
“Ti accompagno in infermeria”, asserì Wyatt con una fermezza nella voce che lasciò interdetta persino Lyla, la quale gettò uno sguardo veloce a Stiles al suo fianco.
“Non ce n'è bisogno”, esclamò Isaac improvvisamente, avanzando di un passo e sovrastando la figura di Wyatt, anche se di poco, con uno sguardo per nulla gentile.
L'altro rispose alla sua affermazione con un sorriso insolente e le braccia incrociate al livello del petto, come se stesse rispondendo ad una qualche sfida che infastidì Lyla non poco.
Quella non era una gara e lei non doveva sottostare a due ragazzi che si comportavano da idioti.
Lyla cominciò a camminare da sola verso l'infermeria, ignorando entrambi: preferiva andarci da sola piuttosto che stare ad aspettare che uno dei due cedesse. Non aveva bisogno della scorta.
Isaac fece per seguirla venne fermato da Scott e Wyatt non tardò ad andarle dietro per aiutarla, senza fare minimamente caso ad Isaac.
Perché quel gesto, che ad un'analisi oggettiva sembrava privo di malizia o di secondi fini, provocò ad Isaac uno strano calore nel petto, come se stesse bruciando di gelosia?
La premura con cui Wyatt aveva afferrato Lyla per sorreggerla ed aiutarla a recarsi in infermeria lo aveva reso tutto tranne che sereno o grato per il gesto che aveva compiuto.
Isaac aveva sempre avuto poca familiarità con il termine gelosia.
Quando aveva lasciato Lyla la prima volta, la situazione si era svolta in maniera diversa.
Lui l’aveva abbandonata ma lei sembrava esserci lo stesso, sembrava aspettare nel profondo del suo cuore che lui tornasse da lei prima o poi, anche se non lo dava a vedere.
Le circostanze attuali, invece, erano diverse: lui l’aveva lasciata sola per quattro mesi, facendo sì che le sue uniche compagne fossero la rabbia e la frustrazione di non sapere cosa fosse successo; e quando era tornato, non l’aveva trovata a braccia aperte. Lei non lo aveva aspettato, non sperava che lui tornasse, si era sforzata di andare avanti con le sue sole forze e questo l’aveva forse aiutata a metterlo da parte o addirittura a dimenticarlo. Allora perché quel bacio improvviso, che altro non era che un filo indissolubile e difficile da spezzare che li legava fermamente l’uno all’altro?
Forse lo aveva fatto per salvarlo e nulla di più. Tuttavia, ad ogni passo che Lyla e Wyatt compivano verso il liceo, il suo cuore aveva un sussulto, mentre le sue orecchie erano in ascolto, pronte a percepire ogni singola parola che i due si sarebbero scambiati.
“Sei proprio un disastro”, aveva detto Wyatt con tono ironico, osservandola.
La risata di Lyla arrivò melodiosa e cristallina alle orecchie di Isaac, mentre gli occhi di lei erano fissi su Wyatt, più tranquilli e dolci, completamente diversi da quelli rabbiosi che si erano posati su di lui. Quando il ragazzo l'aveva raggiunta, si era quasi rilassata, evitando di fare caso alla scenetta precedente. Forse se ad andarle dietro fosse stato lui stesso, la reazione sarebbe stata ben diversa. Una parte di Isaac, quella animalesca, voleva ringhiare e avvicinarsi ai due, prendendo Lyla per portarla lui stesso in infermeria. Perché era così dannatamente geloso?
Eppure era stato lui a mandarla via, ad abbandonarla ancora, a non farsi vedere al funerale di suo padre, nonostante fosse presenza, quindi la sua gelosia poteva apparire stupida quanto ingiustificata. Tuttavia, infantile o inutile che fosse, Isaac non riusciva a reprimerla.
 
Il corpo era ancora tutto indolenzito ma Lyla riusciva a muoversi con più facilità.
Wyatt l’aveva accompagnata in infermeria, facendole compagnia prima che venisse visitata, lasciandola poi sola per seguire le lezioni e lei non voleva certo impedirglielo.
Lyla credeva di averla scampata, visto che si aspettava una ramanzina da parte di Scott che aveva, per sua fortuna, dovuto lasciarla in sospeso a causa dell'arrivo di Wyatt al loro fianco.
Tuttavia, il licantropo non aveva tardato a recarsi in infermeria e la ramanzina c’era stata ma era anche stata meglio di quanto si aspettasse. Scott non sembrava il tipo di persona incline alla furia e, pur reputando il suo gesto completamente stupido e avventato, era stato comprensivo, dicendo poche parole che invece di farle alzare gli occhi al cielo, l’avevano fatta riflettere più di quanto avrebbe creduto possibile. Quel ragazzo sapeva essere un vero e proprio leader.
So che è difficile dare retta a tutte quelle persone che ti hanno detto “so cosa stai provando”, perché non è vero. Nessuno di noi sa cosa stai provando ma, credimi, quando ti dico, che posso immaginare cosa significhi sentirsi impotente e così arrabbiato, che faresti qualunque cosa pur di seppellire quel sentimento che tu logora dall’interno. Non importa il numero di pugni che puoi sferrare per colpire chi ti ha fatto questo, non importa tutto il senso di colpa che ti fa sentire responsabile…non è così che riuscirai a rimettere insieme i pezzi sparsi del tuo cuore.
Camminava, pronta a tornare a casa prima della fine delle lezioni, e ad ogni passo le parole di Scott vorticavano nella sua testa, rasserenandola per qualche minuto, annullando un po’ tutta la rabbia.
Mentre attraversava il cortile del liceo di Beacon Hills, Lyla lasciò che il bozzolo di frustrazione che l’avvolgeva si sgretolasse almeno in quel momento, come si era sgretolato di fronte alle parole di Scott, dando modo alla ragazza vulnerabile ed emotivamente distrutta di uscire fuori.
Chi avrebbe mai detto che quel bozzolo potesse andare in pezzi in un momento migliore di quello.
Lyla avrebbe desiderato ricomporlo di nuovo, come fosse un’armatura contro ciò che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Avrebbe desiderato ricostruirlo per proteggersi dalla strana sensazione di fastidio che sentiva nel vedere Isaac sulla motocicletta di uno dei gemelli, con Allison al suo fianco che sembrava intenta ad insegnargli come frenare e come accelerare.
Le loro mani erano strette sull’acceleratore e gli sguardi e i sorrisi che si stavano scambiando in quel momento, con i visi stranamente vicini, non sembravano per niente innocui.
La ragazza venne distratta dal suono del suo cellulare, che indicava l’arrivo di un messaggio: era Lydia, che le aveva scritto di raggiungerla nell’aula di musica il prima possibile. Cosa ci faceva lì?
Tornò indietro, evitando di farsi vedere dai due ragazzi, e cercando di ricordare le parole di Scott per pensare a qualcosa che smettesse di far sanguinare il suo cuore, come se fosse avvolto da spine.
La confusione, la rabbia, tutto ciò che cerca di ottenebrare la tua mente e il tuo cuore svanirà, e tutti i pezzi torneranno al loro posto. Devi soltanto permettere loro di farlo, di muoversi e tornare insieme. Non devi forzarli o cercare di ordinarli in maniera diversa, pensando di poterti proteggere. Andrà tutto bene, Lyla. Le cose accadono, non lasciarti condurre verso sentieri pericolosi. Cerca semplicemente di ricordare che non sei sola, e quando ti sembra di affogare nell’angoscia, guardati intorno e ci troverai al tuo fianco, pronti a respingere ogni brutta sensazione, ogni dolore, pronti a farti respirare e a tirarti su anche quando non lo vorrai, anche quando penserai di farcela da sola e senza l’aiuto di nessuno.
Noi saremo lì. Non permetterò che tu vada in pezzi.
 
 
Quando Isaac aprì gli occhi, ancora non si aspettava di trovare sopra la sua testa quel soffitto di colore giallo. Era convinto che avrebbe visto sopra di sé il soffitto smunto e opaco del loft di Derek, e non quello della camera di Scott, così accogliente e familiare.
Si rizzò a sedere sul letto che Melissa aveva amorevolmente sistemato nella camera del figlio, solo per lui, e l’odore di lenzuola pulite gli invase le narici.
Sentiva il corpo ancora leggermente scosso e dolorante per ciò che era successo due giorni fa a scuola a causa di quella rabbia che non era riuscito a contenere.
Aveva assecondato il suo istinto animale che lo aveva portato a desiderare di prendere a pugni Wyatt, a scagliarsi contro Aiden, a ferire Allison fisicamente e a ferire Lyla emotivamente.
Lei lo aveva visto nel cortile della scuola. Isaac aveva udito chiaramente i suoi passi concitati e il suo battito cardiaco che avrebbe saputo riconoscere in mezzo a tanti, come una melodia conosciuta che lo avrebbe accompagnato nel corso di tutta la sua intera vita.
Lei lo aveva visto accanto ad Allison, e un pizzico di gelosia l'aveva invasa.
Una minuscola parte di lui, quella immatura, non faceva altro che ripetergli che ora erano pari, che la gelosia era stata bilanciata ma la sua non era stata certo una ripicca. Si trattava solo di una situazione in cui si era ritrovato già capovolto senza avere il tempo materiale per rifletterci.
Sapeva che Lyla era lì ma non aveva tentato di correrle dietro o di spiegarsi, e non soltanto perchè lei non l'avrebbe ascoltato, ma anche perchè in quel momento voleva reagire ai gemelli.
Voleva fargliela pagare per ciò che stavano facendo e per ciò che avevano fatto anche a Lyla.
Chi l'avrebbe mai detto che quella folle giornata si sarebbe conclusa in maniera inaspettata?
Quella sera Melissa McCall aveva squadrato la sua figura zuppa d’acqua e il suo borsone, la cui presenza aveva un significato ben preciso, accogliendolo con un sorriso materno.
Isaac aveva perso familiarità con quei sorrisi.
Erano anni che non ne riceveva uno, e a stento ricordava il sorriso caloroso e dolce della mamma.
Era tutto troppo nuovo per lui. Muoveva passi incerti e imbarazzati per quella casa così bella e ricca di affetto. Si sentiva come un bambino che non era ancora in grado di camminare.
Andava a tentoni, cercando di tenersi in piedi da solo, allungando le mani verso qualcosa e cercando di non calpestare cocci di vetro rotti con i suoi piedi nudi: lo stesso vetro rotto che giaceva frantumato sul pavimento del loft che credeva fosse la sua nuova casa; lo stesso vetro rotto da cui si ero scansato, voltandosi istintivamente e portando le mani a proteggersi il viso, pur essendo in grado di evitarlo, come se fosse un gesto involontario, come se si fosse così abituato a quella scena che non riusciva a rispondere diversamente.
Era strano vivere in una casa dove nessuno gli lanciava qualche oggetto contro.
Era strano rompere qualcosa per sbaglio e aspettare una punizione che non arrivava: quando aveva fatto cadere un piatto quella sera a cena, si era scusato così tante volte con Melissa che la donna per poco non si era messa a ridere, intenerita dal modo in cui si sentiva mortificato.
Gli sembrava così strano e innaturale che non ci fosse stata nessuna punizione: cose di quel genere succedevano probabilmente soltanto in casa Lahey, di certo non in casa McCall.
Forse Melissa provava pena per lui, vedendolo come il povero orfanello che nessuno voleva accogliere in casa propria e al quale tutti lanciavano oggetti, come fosse un tiro al bersaglio.
Era strano scendere in cucina e trovare la colazione già in tavola, con Melissa che lo invitava a sedersi e a fare come se fosse a casa sua. Se fosse stato davvero a casa, si sarebbe già rinchiuso da qualche parte. L’odore di caffè e pancake lo colpì, stuzzicando il palato, e sorprendendolo quel ragazzo che era sempre stato abituato ad arrangiarsi da solo.
Era strano convivere con un ragazzo che si comportava come se fosse un fratello.
Era strano sentirsi in dovere di proteggere e aiutare Scott, come aveva fatto la sera precedente.
Si sarebbe abituando alla routine di casa McCall, al punto che i gesti suoi e di Scott sarebbero potuti essere quasi in sincronia, come due veri fratelli che avevano sempre vissuto insieme.
Un sorriso gli aveva illuminato il volto triste e bagnato quando Scott, la sera in cui gli aveva chiesto asilo, gli aveva lanciato le lenzuola pulite, facendogli cenno di mettersi a letto.
Aveva sorriso quando Scott, quella mattina, con la stessa complicità, gli aveva passato la tazza di caffè e Melissa gli aveva chiesto se avesse sbagliato a zuccherarlo senza chiederlo.
Aveva sorriso quando, quella mattina, aveva aperto la porta di casa con il borsone in spalla, per far uscire Scott che sembrava ancora intorpidito per lo scontro, vista la sua postura sbilenca.
Aveva sorriso quando si era iniziato a rendere conto cosa volesse dire “vivere in una famiglia”.
 
 
Angolo dell'autrice
 
Eccomi con il nuovo capitolo, chiedo perdono per i giorni di ritardo ma ho avuto un po' di filo da torcere.
Comunque, come spero abbiate letto, il capitolo inizia con il collegamento alla puntata 3x04 che coincide con il ritorno a scuola di Lyla.
Il pezzo finale che vede come protagonista Isaac si ricollega, invece, alle puntate successive (precisamente alla 3x06), cioè lo vedo come un missing moment di Isaac dopo tutto quello che è accaduto e prima di recarsi a scuola per partecipare all'incontro di lacrosse. Non credo ci siano altre precisazioni da fare.
Spero che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un abbraccio :)

 

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Capitolo 8
*** VII - If I lose myself tonight ***


VII
 
If I lose my self tonight
 

If I lose my head again, please remind me that I have nothing.
And I'd be nowhere without you to protect me.
If you can't reach me again, well you are my only friend.
You'll find me at the bottom playing guitar badly”.
(BriBry - Adventure time)
 
 
Dopo aver ascoltato il racconto di Allison, su come Scott avesse cercato di farle capire che la scelta migliore fosse quella di restare fuori da ogni cosa, Lyla era giunta alla conclusione che sia Scott e Isaac fossero ossessionati dall'espressione “starne fuori”, ma forse, visto il branco con cui avevano a che fare, non potevano certo dar loro torto. La ragazza cercò di rammentare a se stessa per quale barbaro motivo avesse deciso di unirsi a quell'insolito viaggio in macchina. Aveva detto ad Allison che il suo desiderio era soltanto quello di rendersi utile, perchè preoccupata per i loro amici.
In realtà, la verità era un'altra ma per Lyla era ancora troppo difficile ammetterla: era gelosa e voleva non soltanto rendersi utile ma anche supervisionare le "interazioni" fra Isaac ed Allison.
Si sentì una persona orribile per l'atteggiamento infantile che stava manifestando, considerando anche che era stata lei ad andare fino al loft, dicendo ad Isaac che era finita...ma aveva avuto forse un'altra scelta? Cercava di non darci troppo peso, concentrandosi sullo scopo di quello strano viaggio: tenerli d'occhio, come aveva stabilito Allison. Inoltre, a rendere quel viaggio in macchina ancora più spiacevole, era stato il piccolo ma non trascurabile dettaglio che la macchina di Allison era a secco, e l'autobus non sembrava mostrare alcuna intenzione di fermarsi, nè potevano ricorrere all'aiuto dei ragazzi, dato che non erano nemmeno a conoscenza della loro presenza dietro il bus. Per un attimo, aveva addirittura pensato di rivolgersi a Wyatt che si trovava sul bus insieme agli altri ma ci ripensò quasi subito, ripetendo a sé stessa che era decisamente una pessima idea.
Uno dei pochi lati positivi era stato senz'altro il battibecco fra Lydia ed Allison che si divertiva a punzecchiare l'amica riguardo la sua ipotetica frequentazione con quel licantropo alpha che aveva cercato di spezzarle le ossa. Lyla avrebbe preferito tanto avere un po' di popcorn, invece del libro, così da godersi a pieno lo spettacolo delle due amiche.
Alla fine, la situazione era stata risolta da Stiles che le aveva telefonate, consapevole del fatto che le tre si trovassero a poca distanza dall'autobus e lui era l'unico ad averlo capito.
Giunta all'albergo, Lyla afferrò la chiave della stanza che era stata assegnata a lei e alle altre due ragazze, cercando di non farsi terrorizzare troppo dalle brutte sensazioni di Lydia.
Le credeva, indubbiamente, ed era proprio quello il problema.
Aveva la strana sensazione che quel viaggio non fosse stata una buona idea, e che qualcosa di orribile sarebbe successo, proprio come credeva la sua amica.
Il primo assaggio era arrivato con Isaac che aveva completamente perso la testa. Gli era bastato sentire Stiles che gli comunicava che Scott non stava guarendo ma peggiorando a causa degli alpha e si era semplicemente avventato sulla figura di Ethan, cominciando a prenderlo a pugni senza sosta. Alcuni avevano cercato di fermarlo, strattonandolo via, ma non si era mosso, era rimasto inchiodato con i piedi sull'erba mentre i suoi pugni continuavano a colpire Ethan, che si lasciava picchiare con un'espressione divertita, come se vederlo arrabbiato lo facesse ridere.
Isaac sembrava non sopportarlo e voleva togliergli quell'espressione odiosa dal viso.
Lyla conosceva abbastanza Isaac da sapere quanto volesse fargli del male proprio come aveva fatto lui, come aveva fatto a Derek e come ne aveva fatto a Scott, che combatteva in guerre che non erano le sue, ma la voglia di aiutare gli amici era troppo forte e il suo cuore troppo buono.
Isaac! Isaac! Allontanati! Basta!”.
Nessuna di quelle voci poco familiari era sembrata così importante da meritare di essere ascoltata.
Isaac!”. Quella voce. La voce di Scott.
Non appena la sua voce imponente gli era giunta alle orecchie, Isaac si era fermato di colpo, come se la sua fosse risuonata fra tutte le altre, oscurandole e lui fosse tornato alla realtà.
“Sei qui perchè non volevi separarti da me, vero?”.
Lyla sospirò visibilmente annoiata: Wyatt sapeva essere fastidiosamente simpatico e allo stesso tempo irritante anche nei momenti meno opportuni e la sua domanda ne era la prova.
“Non direi”, rispose lei, continuando a dargli la schiena. “Ero con le mie amiche e la macchina di Allison ha avuto qualche problema, tutto qui”.
“Potresti anche dirlo guardandomi”, sentenziò lui con tono allegro.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e si voltò, osservando Wyatt con un'espressione seccata e con una mano sul fianco. “Sono qui perchè abbiamo avuto problemi alla macchina”, abbaiò quasi.
Wyatt si esibì in una risata molesta e palesemente divertita.
“Ricordami di farti spazientire più spesso”, aggiunse salutandola con un cenno della mano e dirigendosi verso la stanza che gli era stata assegnata e che avrebbe diviso con un amico.
Lyla gli augurò di inciampare e poi tornò a concentrarsi sulla porta, mentre un flebile sorriso si faceva strada sul suo volto ormai stanco per la giornata pesante.
Qualcuno le passò accanto, colpendola con una pacca sulla spalla: Stiles.
“Non mi piace quel tipo!”, sentenziò, gettando sguardi truci a Wyatt. “Ti ronza troppo attorno”.
Lydia, avendo udito le sue parole, lo strattonò via lontano dalla ragazza, mentre lui cercava di dibattersi e alzava le mani in segno di resa, raggiungendo Scott nella loro stanza.
Allison si lanciò sul letto, esausta, mentre Lydia riponeva la borsa sul comodino, guardandosi attorno con aria attenta e sospetta, seguita da Lyla.
La stanza, pur essendo accogliente e nella norma, aveva qualcosa di sinistro, e per lei non fu difficile notare come Lydia stesse quasi per essere scossa dai brividi, visto il suo sguardo.
“Ho bisogno di una doccia”, dichiarò Allison, mettendosi a sedere.
“Vado a prenderti degli asciugami puliti”, intervenne Lydia che, nel frattempo, era entrata in bagno per dare una controllata al resto della stanza, assicurandosi che non ci fosse nulla di strano.
“Io vado a farmi un giro”, esclamò Lyla, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans stretti.
Sia lei che l'amica uscirono dalla stanza, prendendo strade diverse.
Prima di separarsi da lei, Lydia le gettò uno sguardo strano quasi apprensivo.
Forse voleva parlare con lei di suo padre o forse voleva chiederle cosa non andava.
Ma Lydia sapeva bene quando evitare, poiché era in grado di capire quanto Lyla fosse sfuggente.
La ragazza si incamminò per il piano su cui avevano alloggiato, sperando di smontare la tesi secondo la quale potesse nascondersi qualcosa di terrificante in quell'albergo.
Per lei non avrebbe fatto molta differenza, visto che il suo sonno era disturbato già da molto tempo e un albergo in stile Shining non avrebbe cambiato di molto la sua situazione.
Rallentò il passo all'improvviso, invasa da una strana sensazione che non portava nulla di buono. Alla sua destra c'era una porta semiaperta dalla quale proveniva un rumore strano...sembrava un'interferenza della televisione. Un brivido le percorse la schiena: l'ultima volta che aveva avuto a che fare con una cosa del genere era stato la sera in cui lei e suo fratello avevano visto insieme il film The Ring. Da allora ogni interferenza non aveva fatto altro che inquietarla, per quanto stupida.
Spinse leggermente la porta, notando come nella stanza regnasse il buio. Soltanto la luce della televisione illuminava il letto e una figura seduta su di esso con il braccio destro allungato.
“Isaac”, lo chiamò piano lei, riconoscendo la sua sagoma nell'ombra.
Il ragazzo voltò il capo verso di lei con una lentezza inquietante. Stava sorridendo, ma non era lo stesso sorriso che ricordava: le sue labbra non erano distese in un'espressione di sincera allegria o gentilezza; non era nemmeno un sorriso amaro il suo. Sembrava una smorfia priva di emozione, che non rispecchiava minimamente Isaac. Ad essa era abbinata una camminata lenta e flemmatica che lo faceva sembrare uno spettro. Non che Lyla ne avesse mai visto uno, ma ad ogni passo che Isaac faceva, colmando la distanza fra loro, le sembrava sempre più spaventoso.
Nel suo viso, lesse una nota crudele che non avrebbe mai pensato di vedere su di lui.
Quando Isaac fu ad una spanna dal suo viso, gli occhi azzurri, che in quel momento le sembrarono la cosa più allarmante che avesse mai visto, si assottigliarono e la mano di lui corse al suo viso.
Lyla gliela bloccò ancor prima che potesse arrivare a destinazione e l'espressione di Isaac si fece più dura e compiaciuta, quasi di sfida, mentre il suo sorriso si allargava, mostrando i denti bianchi.
La paura stava iniziando a prendere possesso del corpo di Lyla e sicuramente lui lo aveva capito, cosa che lo portò ad alzare l'altra mano, conscio del fatto che lei avrebbe bloccato anche quella.
Lyla, tenendo le dita praticamente conficcate nella sua pelle senza lasciargli alcun segno, tentò di spingerlo indietro con tutta la forza che aveva in corpo.
Isaac si lasciò respingere di poco, per poi tornare in avanti facilmente, mantenendo il suo sorriso soddisfatto e facendole intuire che si stava solo divertendo a prenderla in giro.
La inchiodò con le spalle al muro, sciogliendo con facilità la presa di lei sui polsi e circondando i suoi con maggiore pressione, mentre Lyla si impose di non cacciare alcun gemito di dolore.
Isaac le stava facendo male e soprattutto la stava spaventando non poco; avvicinò il viso a quello di lei, soffiando sulle sue labbra serrate, e poi si spostò sul collo, mantenendosi ad una certa distanza. Il ragazzo era completamente in balia di un insieme di sensazioni sconosciute, che lo spingevano verso di lei. Non sapeva cosa stava facendo e non ne capiva il motivo, ma la sua mente era troppo annebbiata per permettersi il lusso di pensare. Era influenzato da qualcosa, e non appena Lyla aveva varcato la soglia di quella camera, nulla aveva avuto più importanza.
Lyla era paralizzata. Non riusciva a muoversi o a capire perchè si stesse comportando in quel modo. Tutta quell'intraprendenza non era per niente da lui.
“Isaac”, lo richiamò con voce tremante e roca, mentre il respiro di lui si infrangeva sulla clavicola e poi risaliva con il profilo del naso lungo la giugulare troppo esposta, fino a posarvi le labbra.
“Isaac”, ripetè lei, alzando la voce e spingendosi con il busto in avanti per allontanarlo.
La presa di lui diminuì di scatto, mentre i suoi occhi la osservavano, permettendole di riconoscere lo sguardo dell'Isaac che conosceva. I suoi occhi, da confusi e smarriti, divennero dispiaciuti non appena il ragazzo si rese conto di avere Lyla dinanzi a sè, e come se non bastasse sembrava non avere la minima idea di ciò che era appena accaduto.
“Stai bene?”, gli domandò Lyla, facendo un passo verso la porta.
“Sì, io...”, cominciò lui, passandosi una mano fra i capelli. “Mi sento stanco. Scusa”.
Lyla fece un cenno di assenso con la testa e uscì dalla stanza, con la testa ancora vorticante di tutti i pensieri che si stavano manifestando nella sua mente.
Isaac provò a sforzarsi, per capire cosa diamine gli fosse preso. Non ricordava nemmeno come Lyla fosse arrivata in quella stanza; l'unico ricordo che aveva era il contatto della loro pelle.
In realtà, nessuno di loro aveva pensato davvero che quella che doveva essere una semplice uscita con la scuola si sarebbe rivelata un vero e proprio viaggio infernale, nel quale la morte e il pericolo erano già nascosti dietro ogni angolo, pronti a balzare fuori per avventarsi su un branco di teen ager spauriti e senza alcuna via di fuga. Era soltanto questione di ore.
 
Tre sacrifici. Tre licantropi...che non si trovavano nemmeno insieme a loro.
Dovevano portarli fuori, lontano da quel luogo che puzzava di morte.
 
 
Mi sembra di sentire Lyla. Sento il suo respiro. Sento i suoi capelli che profumano di vaniglia.
Forse fa tutto parte di questa strana e terrificante illusione. Qualcuno si sta avvicinando al letto.
Vedo delle scarpe. Ho paura. E' lui e vuole farmi del male. Vuole trascinarmi con forza dal pavimento e rinchiudermi nel freezer come succedeva quando ero bambino.
Ogni volta correvo nella mia stanza e mi nascondevo sotto il letto.
Era una specie di nascondino del terrore. Lui fingeva di non sapere dove mi fossi nascosto e quando entrava nella stanza non faceva che parlare a voce alta, sapendo che ero in ascolto.
Isaac, ma dove ti sei nascosto? Non riuscirò mai a trovare quel ragazzino così furbo!”.
Ogni volta vedevo il suo viso sbucare da sopra il letto con espressione soddisfatta.
Mi afferrava il braccio così forte che restavano i segni delle sue unghie nella carne, dopodiché mi trascinava giù in cantina, incurante delle mie proteste, e mi spingeva nel freezer.
I passi si fanno più vicini ed il cuore ha l'ennesimo sussulto.
 
Lyla solleva di nuovo la coperta con maggiore lentezza, sperando di trovare di nuovo Isaac.
E' lì, immobile e spaventato. Il volto è ricoperto di goccioline di sudore ed i suoi occhi sembrano implorare pietà per una tortura di cui non aveva piena conoscenza.
Ciao, Isaac”, sussurra la ragazza con voce bassa e calma.
Lui la guarda. Sembra sapere chi ha dinanzi ma non del tutto...come se fosse in trance.
Lyla non sa con esattezza cosa fare. Non è molto brava ad elaborare piani d'azione in situazioni del genere, così decide di fare la prima cosa che le passa per la testa.
Senza rifletterci troppo, si stende sul pavimento, facendo aderire il suo corpo alla moquette rossa della camera con il viso rivolto verso il ragazzo, per poi tendergli una mano.
Isaac fissa la mano della ragazza con gli occhi ancora lucidi per le lacrime che aveva versato, ed in quegli occhi Lyla può vedere tutte quelle ferite che forse non sarebbero mai guarite del tutto.
Cosa vuoi?”, chiede lui d'un tratto, continuando a fissare il palmo di lei.
Voglio salvarti, Isaac”, risponde lei, trattenendo un singhiozzo.
Sarebbe scoppiata a piangere da un momento all'altro, lo sentiva, ma non poteva permetterlo, non in quel momento. Non poteva mostrarsi debole.
Doveva essere forte per lui. Doveva aiutarlo a riemergere, non ad andare ancora più a fondo.
Isaac allunga la mano verso la sua, tremando, e la afferra, colmando una distanza che era sembrata quasi infinita ma che svanisce nel momento in cui le loro dita si intrecciano.
 
 
“Io non ci dormo in quella stanza infestata”, esclamò Lydia, ancora scossa da ciò che era accaduto.
Nel frattempo, Scott osservava l'autobus della scuola e una strana idea gli attraversò la mente.
Si precipitò verso di esso e lo aprì, voltandosi verso tutti gli altri.
“Dormiremo qui”, affermò con voce decisa, mentre tutto il gruppo si scambiava uno sguardo abbastanza convinto, camminando verso l'entrata del bus.
Lyla si trovava dietro Scott e Stiles, ma temporeggiò prima di muovere i piedi in quella direzione: non voleva entrare. Socchiuse gli occhi stanchi, tirando un gran sospiro di sollievo.
Avrebbe desiderato dormire ma dopo una nottata così movimentata, sapeva che non lo avrebbe fatto, nonostante le buone intenzioni, e non voleva entrare in quel pullman insieme ad Isaac.
La ragazza si ridestò non appena qualcuno si affiancò a lei, facendola sussultare.
Lyla avrebbe riconosciuto ovunque quel respiro così familiare, aprì gli occhi ed Isaac era lì con lo sguardo basso, che sembrava voler dire qualcosa ma come al solito non trovava le parole.
“Grazie”, sussurrò Isaac, guardandola con i suoi occhi azzurri tristi. “Per avermi salvato”.
“Ti prego, risparmiatelo”. La paura di quella notte aveva fatto spazio alla rabbia.
Isaac strabuzzò gli occhi ma mantenne lo sguardo fisso su di lei, come se spostarlo fosse impossibile, come se non potesse guardare altrove, e in momenti come quelli Isaac capiva quanto quella promessa fosse difficile da mantenere, eppure si sentiva in dovere di farlo.
“Mi salvi sempre, perchè?”, domandò lui, ignorando ciò che gli aveva detto.
Lyla prese tempo prima di rispondere, fissandosi le mani, giunte sul ventre, e deglutendo pesantemente, come se la risposta che stava per dargli non gli sarebbe piaciuta.
“Perchè io non ho paura di quello che potrebbe accaderci. Non più, ormai”, esclamò, rivolgendo ad Isaac uno sguardo liquido, che lo colpì così forte da fargli male, come se Lyla lo avesse schiaffeggiato. “Non ho paura di mettermi in gioco, di espormi a chissà cosa, se serve a salvare qualcuno...a salvare te. Io non ho paura, a differenza tua, quindi, per favore, risparmiami i tuoi ringraziamenti e le tue scuse sussurrate con il solito tono dispiaciuto, non me ne faccio nulla. Conservale per qualcun altro”.
Lyla aveva sputato veleno, si sentiva un serpente infido per la cattiveria con cui aveva pronunciato quelle parole. Eppure, una parte di lei la incitava a continuare, sussurrando che quello non era stato abbastanza, che doveva continuare a ferirlo come aveva fatto lui e prima che avesse modo di rifarlo. Lei sorresse il suo sguardo fin quando le fu possibile, trovandosi improvvisamente ad abbassarlo, ed Isaac poteva sentire la consistenza di quelle lacrime che quasi grattavano gli occhi di lei per uscire e farsi spazio con forza sulla sua pelle nivea, e lui avrebbe tanto voluto lavarle via.
Isaac poteva cogliere tante sfumature nei suoi movimenti e nel suo odore: rabbia, tristezza, delusione e gli sembrava strano pensare che il cuore umano potesse sopportare così tante emozioni, senza implodere e distruggersi da solo. Voleva darle tempo, aspettare che lei riuscisse a perdonarlo per tutto ciò che era successo, per tutti i casini che aveva fatto ma non ce la faceva.
Voleva mantenere quella promessa fatta a suo padre, standole lontano e cercando di tenerla lontano dai guai, ma il fatto era che dove c'era Lyla la maggior parte delle volte c'era anche lui...e dove c'era lui c'erano sempre e soltanto guai a vista d'occhio.
Allungò una mano verso di lei, verso quello specchio frantumato che era la sua figura, nel modo più lento e cauto possibile, e ad ogni distanza che riusciva a colmare, Isaac sembrava sentirsi più completo, ma andò nuovamente in pezzi, nel momento in cui Lyla si fece indietro per ritrarsi dalla sua mano, da quelle dita che poche ore prima aveva afferrato, con le quali ora sembrava non voler avere nulla a che fare.
Continuava a ricaderci ogni volta e forse Lyla non aveva poi così torto.
Era strano. Prima sembrava così facile rispecchiarsi negli occhi di lei, adesso invece non ci riusciva. Aveva perso familiarità con quegli occhi, con quello specchio ormai sconosciuto.
La ragazza cominciò a scuotere il capo in segno di diniego.
Non poteva stare lì. Non poteva stargli accanto. Voleva allontanarsi, tornare nella sua stanza e dormire, o almeno sforzarsi di farlo, per quanto potesse risultare difficile.
Infilò le mani nelle tasche della giacca a quadri, stringendosela maggiormente addosso e alzò un'ultima volta gli occhi verso Isaac prima di dargli le spalle e affrettare il passo vero l'hotel.
Isaac rimase lì, mentre lei gli aveva riversato buona parte di tutto il cancro che si era portata dentro per colpa sua, e sembrava anche essersi trattenuta. Se non ci fossero stati gli altri, forse lo avrebbe colpito, schiaffeggiato, come aveva già tentato di fare, per fargli sentire tutto il male che le aveva causato, e poteva supporlo dalle nocche serrate di lei, immobili e bianche, sulle sue gambe.
“Mi dispiace”. Solo quel sussurro che lei gli aveva implorato di non pronunciare.
Isaac non riuscì a dire altro. Le parole erano in fila nella sua gola, ma non ne volevano sapere di uscire, come se fossero incatenate alle sue corde vocali e lui non poteva fare nulla per spingerle fuori. Gli dispiaceva sul serio e forse lei non gli avrebbe mai creduto, ma non era riuscito a dire parole più giuste e sincere da dedicarle se non quelle. Altre parole sarebbero state superflue, forse.
Fece qualche passo indietro verso il bus, sentendosi come se fossero tornati entrambi a quel giorno nella stazione, che Stiles chiamava affettuosamente “bat-caverna”, in cui Lyla era corsa via, mentre lui era rimasto fermo con le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Intanto, Lyla era arrivata alla porta della sua stanza con in testa il “mi dispiace” di Isaac che rimbombava più forte che mai, arrivando a farle tremare le mani mentre cercava di infilare la chiave nella serratura. In un impeto di frustrazione, appoggiò la testa alla porta, deglutendo.
Un rumore la costrinse a sollevare il capo: Wyatt era fermo sulla soglia della porta, con una mano teneva la maniglia della porta, mentre con l'altra si stropicciava gli occhi. A vederlo era a dir poco buffo con l'espressione assonata e i capelli scompigliati, proprio come se si fosse appena svegliato.
“Cosa succede?”, chiese, soffocando uno sbadiglio. “Sono le quattro del mattino”.
“Nulla”, rispose subito Lyla, voltandosi e nascondendo le mani. “E' stata una nottataccia”.
“Ho sentito un po' di caos, in effetti”, aggiunse il ragazzo, alzando un sopracciglio. “E' successo qualcosa? Seth voleva controllare ma eravamo troppo stanchi per alzarci dal letto”.
“Nulla, qualcuno non si è sentito bene”, mentì lei, sperando che Wyatt non continuasse a chiedere.
“Parli di Isaac, vero?”, domandò lui, lasciando Lyla praticamente a bocca aperta.
Wyatt le rivolse un sorriso amaro, roteando gli occhi di fronte al suo silenzio fin troppo eloquente.
“Perchè lo aiuti sempre?”, domandò con una voce colma di astio, come se la stesse accusando.
“Non credo che siano affari tuoi”, berciò lei con un certo sdegno.
Volevano tutti impegnarsi a dirle come doveva vivere la sua vita quando nessuno di loro sapeva come gestire la propria. Aveva deciso di aiutarlo, perchè la situazione lo aveva previsto.
Per quanto volesse prenderlo a pugni, non gli avrebbe certo permesso di farsi del male, come stavano per fare Boyd o Scott che per poco non si era dato fuoco, a causa di un qualcosa che per loro era ancora senza nome e senza volto.
“Ti ha lasciata, ti ha fatto del male, eppure tu continui a tornare da lui”, sentenziò il ragazzo, socchiudendo la porta alle sue spalle, come se quel discorso dovesse continuare ancora. “Dovresti andare avanti, credi che una persona simile meriti la tua compagnia e le tue premure?”.
“Io non torno da lui”, ribattè lei, sbattendo quasi i piedi a terra per la rabbia. “Ho messo fine a quella storia ma questo non vuol dire che gli neghi un eventuale aiuto. Cosa diamine ti importa di quello che faccio? Chi ti credi di essere per darmi consigli? Neanche mi conosci”.
“Ti conosco meglio di quanto tu creda”, dichiarò Wyatt, facendo un passo verso di lei, fino a trovarsi ad un palmo dal viso di Lyla , che indietreggiò prontamente.
“Ne dubito”. La voce di Lyla si era fatta più debole, quasi spaventata da quel contatto ravvicinato che il ragazzo aveva deciso di instaurare, cogliendola di sorpresa e osando troppo.
“Ti conosco”, ripetè lui con voce sempre più ferma. “E sono dell'idea che una persona che ti fa soffrire in questo modo non sia degna di attenzioni. Se non sei in grado di capirlo, sei soltanto una stupida ragazzina, che non conoscerà mai la forza di andare avanti”.
Lyla fece per entrare in camera ma Wyatt la trattenne ancora, afferrandola per un braccio, e guardandola con intensità: sembrava volesse permetterle di capire che ciò che le aveva detto era soltanto per lei e basta. Forse Wyatt diceva il vero. Forse lei era una stupida ragazzina lagnosa.
Forse Isaac non meritava nemmeno i suoi sguardi ma al momento non voleva pensarci.
“Lasciami in pace, per favore”, sussurrò lei, sperando di apparire dura ma la sua voce era risultata così bassa e debole che sentirla poteva risultare quasi faticoso.
Wyatt, senza staccare gli occhi, quasi a voler imprimere le sue parole su di lei, le lasciò il braccio.
Eppure, la cosa che riusciva maggiormente a stupirla di Wyatt era che ogni sua azione non era mai seguita da uno sguardo contrito, anzi, continuava a fissarla ininterrottamente senza il minimo segno di dispiacere. Lo aveva fatto anche quella sera a casa sua, dopo la morte di suo padre: le aveva chiesto come stava e non si era pentito per la domanda avventata, perchè lui voleva sapere sul serio la risposta. Il ragazzo si avvicinò a lei con uno scatto, mentre lo sguardo percorreva il suo volto. Wyatt colmò ancora la distanza fra di loro, permettendo a Lyla di sentire il suo respiro sul viso; ma ad un tratto, lui si fece indietro, consapevole forse del fatto che forse aveva osato troppo e che la ragazza lo avrebbe respinto.
Forse non era pronta e forse lui era troppo intento a sconvolgerla.
Aveva fatto già abbastanza con le sue parole, caricandola di un ulteriore peso.
Wyatt si scostò piano, notando come lei avesse evitato di guardarlo negli occhi per tutto il tempo, mentre lui aveva avuto modo di soffermarsi attentamente su ogni minimo particolare di lei. Lyla finalmente entrò nella stanza, mentre Wyatt tornava nella sua.
Una volta dentro, Lyla non riuscì a sentirsi ancora al sicuro da tutto e da tutti.
Sospirò, mentre con una lentezza estenuante si lasciava cadere lungo la superficie della porta.
Rimase così, sul pavimento fino al mattino; intanto, all'interno di quel bus decisamente più sicuro e confortante di una qualsiasi stanza, Isaac volgeva lo sguardo verso l'albergo, chiedendosi se Lyla fosse ancora sveglia o se come lui, avesse completamente perso la voglia di chiudere gli occhi, per paura di rivivere di nuovo quell'incubo ancora vivido nella sua testa.
Quando salì anche lei sul pulmino, insieme all'orda di studenti che erano usciti dalle loro camere, ignari di ciò che era accaduto quella notte, notò Stiles che gettava fuori dal finestrino il fischietto del coach Finstock, beccandosi un ulteriore richiamo. Prima che Lyla potesse passare oltre e sedersi in tutta tranquillità, venne tirata per la manica della giacca da Lydia, obbligandola a sedersi accanto a lei. L'amica la osservò con gli occhi ridotti a due fessure.
“Tutto ok?”, domandò con tono sospettoso.
“Direi di sì”, rispose Lyla, scrollando le spalle.
“Le tue occhiaie dicono il contrario”, rispose Lydia, di rimando.
“Dormire non è stata una mia prerogativa”, disse lei, in tutta sincerità.
Non lo era da mesi, ormai. Le uniche volte che aveva dormito serenamente si potevano contare sulla dita di una mano in un periodo strano e sconvolgente come quello.
“Puoi dormire adesso”, esclamò l'altra, sorridendole. “Veglierò io su di te”.
Lydia sembrava sapere che ogni volta che chiudeva gli occhi qualcosa di orribile correva a farle visita, proprio come era successo a lei tempo fa, anche se per motivi fortunatamente ben diversi.
La ragazza le circondò le spalle con un braccio, dandole un attimo di tregua da quella notte che, in un modo o nell'altro, aveva colpito tutti, anche loro che erano solo semplici umani.
Quel particolare, infatti, avrebbe continuati a renderli preda di dolori anche peggiori, senza risparmiarli e senza tenerli fuori da guerre che non erano le loro.
 
 
 
Angolo dell'autrice
 
Ecco il nuovo capitolo che è stato un travaglio...come gli altri del resto.
Allora, io non voglio risultare ripetitiva ma sento di dovermi scusare per questo capitolo per due motivi: primo per il ritardo (non so perchè ma ero convinta di aver aggiornato sabato, quindi lunedì non mi ero per nulla accorta di aver saltato la pubblicazione, chiedo venia); secondo, perchè veramente non mi piace come è venuto. Fra tutti i capitoli è quello che mi piace meno ad essere sincera. Ho fatto quello che potevo per accorpare capitolo e puntata (3x06), cercando di inserire anche qualche traslazione della storia come il momento Isaac/Lyla abbastanza simile a quello di Scott e Allison, l'intento non era quello di copiarli ma onestamente ho iniziato a scrivere una loro scena un po' diversa dalle solite viste fino ad ora e ci ho preso gusto a dirla tutta, ignara del risultato che non so come sia uscito. La parte in corsivo è ripresa da una one shot che pubblicai su Motel California, della quale lascio il link sotto, nel caso qualcuno fosse interessato. Ho messo solo due paragrafi per dare almeno un'idea di ciò che è potuto accadere, sperando di non aver fatto un pastrocchio bello e buono e che sia almeno comprensibile. Ho smesso di tediarvi, ho fatto già abbastanza per oggi. Lasciate un commento anche piccino piccino se vi va e vi incito sempre ad un libero lancio di ortaggi, ciabatte e oggetti vari perchè so che posso meritarl. Alla prossima e grazie a tutti quelli che hanno la storia tra le seguite/preferite/ricordate <3
 
Per chi fosse interessato, questa è la one shot su Motel California:
 

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Capitolo 9
*** VIII - Run away from me ***


VIII
 
Run away from me
 
In my memory, all the small things, like daggers in my mind.
In my memory, while my head bleeds, the words I'll never find,
that I always meant to say to you. I can't cause you turned your face.
And now I can't feel you anymore. Turn your face.
So now I can't see you anymore”.
(Little Mix – Turn your face)
 

Respirare. Inspirare.
Allison le aveva detto di concentrarsi sul suo respiro e annullare completamente ogni pensiero, e così fece. Il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente, ignorando tutto ciò che la circondava.
Esisteva soltanto lei, con le braccia rilassate lungo i fianchi e la daga stretta in una mano.
Non doveva avere paura. La paura era infida e bugiarda, l'avrebbe solo fatta cadere.
Continuò a respirare, tenendo la vista oscurata da un foulard nero e sforzandosi di captare ogni singolo rumore che potesse segnalare la presenza di un estraneo. Strinse la presa sulla sua arma, non appena uno scricchiolio di foglie si fece sentire non molto lontano da lei.
Voltò di poco il viso, mantenendo la sua posizione ed evitò una freccia giusto in tempo, prima che questa la colpisse ad una spalla. Si sfilò immediatamente il foulard dagli occhi e vide Allison armata di arco e frecce. La cacciatrice scagliò un'altra freccia che Lyla riuscì ad evitare, mentre l'amica la osservava con un sorriso, quasi contenta del fatto che l'avesse evitata. Era un'ottima insegnante.
Lyla scattò non appena Allison fu nella sua traiettoria e le finì addosso, facendole perdere arco e frecce: la cacciatrice le rivolse un ghigno soddisfatto e la colpì immediatamente con uno dei suoi pugnali cinesi, graffiandole di poco una guancia e sgusciando dalla sua presa.
Si alzarono entrambe in piedi, scrutandosi con attenzione.
“Ricorda quello che ti ho insegnato”, esclamò Allison, annaspando.
Lyla le fu nuovamente addosso ma Allison parava tutti i suoi colpi.
In poco tempo, la cacciatrice riuscì ad atterrare Lyla che con una forza che aveva faticato a trovare, la colpì con una ginocchiata, invertendo le posizioni e disarmandola.
Allison le rivolse un sorriso, mentre Lyla teneva ancora la daga puntata alla sua gola senza dare segno di volerla togliere. La sua mano era immobile e non accennava a spostarsi, quasi come se fosse tenuta ferma da un qualcosa che lei stessa stentava a riconoscere.
Lo sguardo orgoglioso di Allison mutò, divenendo preoccupato. La ragazza rabbrividì, non tanto perchè la sua amica le tenesse puntata un'arma alla gola, visto che era decisamente in grado di disarmarla, ma per quella luce familiare che Lyla aveva negli occhi: la stessa che aveva avuto lei...tempo fa, dopo che sua madre era morta per mano di Derek Hale.
Lyla non pensava a nulla. Vedeva soltanto Allison sotto di sé e la daga alla sua gola non aveva importanza. La guardava in viso e le sembrava a tratti quasi quello di Kali. Avrebbe desiderato ardentemente avere quel mostro a portata di mano solo per farle provare lo stesso dolore che aveva inflitto a lei senza alcuna pietà e rimorso verso le persone che stava andando a ferire.
Una voce dentro la sua testa non faceva che alimentare quella insaziabile sete di vendetta.
Kali era un abominio, qualcosa di mostruoso che non faceva altro che spargere sangue, come tutti i licantropi che abitavano Beacon Hills. Quel pensiero assurdo bastò a far scattare qualcosa nella mente di Lyla come un ingranaggio difettoso, facendola sussultare.
Aveva appena paragonato licantropi come Scott, Derek e Isaac, il suo Isaac, ad un mostro assassino senza cuore né amore come Kali? Lo aveva fatto davvero?
“Lyla”, la richiamò Allison, sperando di ridestarla.
La ragazza scosse la testa e allentò la presa, alzandosi di scatto e dando la schiena ad Allison che, intanto, la osservava con un cipiglio per nulla sereno.
“Stai bene?”, domandò l'amica e Lyla fece segno di sì con la testa senza voltarsi. “Lyla”.
Era come un'ombra, quell'inquietudine che le aveva oscurato la ragione, anche se per un brevissimo lasso di tempo. Da quando aveva permesso alla forza che aveva acquisito di oscurare il suo buon senso e soprattutto quando le aveva permesso di fare quasi del male ad un'amica?
“Questa non sei tu”, esclamò improvvisamente Allison, che probabilmente riusciva a captare ogni minimo pensiero della ragazza per un semplice motivo: era accaduto anche a lei.
“Ho solo un po' di mal di testa”, rispose immediatamente Lyla, voltandosi ma tenendo lo sguardo basso, in modo che i suoi occhi non incontrassero quelli di Allison.
“Questa non sei tu, Lyla”, ripetè l'amica. “Ti stai facendo inghiottire”.
“Ti sbagli”, disse semplicemente lei, facendo qualche passo indietro.
Voleva andare a casa e fuggire da quell'ombra che sembrava farsi sempre più vicina. L'allenamento doveva esorcizzare i suoi demoni personali, invece sembrava quasi che li stesse alimentando.
 
Forse stava sognando. Lyla avrebbe voluto dirlo con maggiore certezza, ma l'ambiente intorno a lei era così convincente da sembrarle vero. L'unica cosa che non quadrava stava nella sua figura: poteva dire di essere quasi invisibile, dato che tutti la urtavano, passando oltre, come non esistesse.
Cercò di ripercorrere gli eventi del giorno precedente, chiedendosi se per caso fosse morta senza accorgersene, ma ricordava perfettamente di essere tornata a casa illesa, almeno fisicamente, e di essersi addormentata profondamente. Cercò di focalizzare la sua attenzione sul luogo in cui si trovava: poteva sentire il tepore che la circondava; la luce del sole che batteva sul suo viso, facendole strizzare gli occhi leggermente assonnati; l'odore di pino e di margherite che le inondava le narici. Era tutto familiare, e pian piano divenne tutto più chiaro. Un gruppo di bambini la superò, correndo veloci verso le altalene e gli scivoli, altri salivano su una casetta non molto distante. Le loro risate risuonavano come il tintinnio di un campanello: melodiose e rilassanti.
Lyla prese a farsi strada tra i bambini, alcuni dei quali erano affiancati dai propri genitori.
Poco più in là, tra l'altalena e la sabbionaia, c'era una bambina, con i capelli castani raccolti in una coda da un setoso nastro di colore lilla. Indossava un vestitino della stessa tonalità, forse un po' più tenue, e per niente adatto ai giochi tipici che si facevano al parco. Infatti, era tutto sporco di terreno, sabbia e fili d'erba: un vero disastro. Lyla sorrise, riconoscendo finalmente la bambina e ricordando quanto sua madre l'avesse sgridata per aver rovinato il vestito, ma a lei non era importato granché. Difatti, dopo aver subito una ramanzina che avrebbe fatto scoppiare in lacrime chiunque, lei era tornata a giocare, seppur con un po' più di uggia addosso.
La bambina si era seduta per terra, completamente sola e un po' triste. Quello era stato il giorno in cui Lyla aveva messo piede a Beacon Hills, per andare a trovare i nonni materni, per poi tornare a casa. Lyla osservò gli altri ragazzini e l'occhio finì per cadere su due bambini, non molto distanti da lei che erano intenti a giocare sull'altalena. Sembravano fratelli e, in effetti, la somiglianza c'era.
Il bambino più grande aveva i capelli castano chiaro e tutti i vestiti impolverati, e spingeva quello che sembrava essere il suo fratellino sull'altalena, mentre quest'ultimo gli urlava con voce squillante di farlo arrivare ancora più in alto. Lyla lo osservò meglio, soffermandosi attentamente sul suo viso un po' pallido ed emaciato: gli occhi erano di un azzurro così intenso che riusciva a vederli chiaramente e riccioli di un biondo scuro gli ricadevano sulla fronte.
Era davvero un bellissimo bambino, dal viso dolce eppure i suoi occhi avevano un alone di malinconia si celava fra le lunghe ciglia. Una donna li osservava con un sorriso compiaciuto, seduta sulla panchina con un libro stretto fra le dita affusolate. Gli occhi identici a quelli del bambino più piccolo sembravano colmi di gioia.
“Più in alto, Camden! Fino a toccare il cielo!”.
Camden? Ricordava quel nome.
Lyla dovette lasciare quel dubbio improvviso ad aleggiare lì in quel parco, poiché la sua attenzione venne catturata da una figura che si avvicinava piano alla bambina: suo padre James.
“Piccola mia”. La ragazza ebbe un fremito solo al sentire quella frase, che era stata pronunciata con un tono così dolce e affettuoso, che poteva sentire già gli occhi riempirsi di lacrime.
Quel ricordo era meraviglioso quanto molesto, come una zanzara fastidiosa che le ronzava intorno.
Quel ricordo era una salma, e il suo cuore era soltanto un mausoleo vecchio e imbrattato di polvere.
Suo padre la prese di peso, e la bimba gli buttò le braccia al collo, con le labbra contorte in un'espressione imbronciata e gli occhi tristi per la ramanzina subita.
La mamma le aveva detto che le altre bambine non andavano in giro a sporcare i loro bei vestitini, e non doveva farlo nemmeno lei, perchè le bambine buone non si comportavano così; e lei, a quelle parole innocue, si era sentita strana e afflitta, come se la mamma le avesse detto una brutta cosa.
Suo padre camminava con lei fra le braccia, mentre Lyla osservava la scena e alle loro spalle anche il bambino sull'altalena la guardava, come incantato da quella bambina vestita di lilla.
“Tu sei una peste, ma non una peste normale”, esclamò suo padre, guardandola in viso e rivolgendole un sorriso confortante. “Sei ben lontana da quelle bambine tutte fermagli colorati e vestiti nuovi, sei speciale, lo pensa la mamma e lo penso io...anche se mi hai ucciso”.
Lyla sbarrò gli occhi. Anche se mi hai ucciso?
Quello non era altro che un ricordo tramutato in un orribile incubo, e se ne convinse maggiormente quando l'erba attorno a lei e il parco giochi sparirono, per lasciare spazio al corridoio della banca abbandonata di Beacon Hills, dove il corpo di suo padre si ergeva davanti a lei, ricoperto di sangue, come le mani di Lyla che stringevano la sua daga fra le dita insanguinate.
James Evans era in piedi e le puntava un dito contro. “Tu mi hai ucciso”.
“Lyla!”. La ragazza sussultò, ridestandosi e trovando dinanzi a sé la figura longilinea e aggraziata di Jennifer Blake, che la scrutava con attenzione. Si era addormentata in classe e per un attimo temette davvero il peggio ma la professoressa le mise una mano sulla spalla con un'apprensione che le fece salire il sangue alla testa. Quella donna la irritava e con lei anche la sua falsa gentilezza e compassione verso la “ragazzina senza padre”.
“Stai bene?”, domandò con un sorriso dolce.
“Sì, mi scusi”, rispose lei, imbarazzata e rossa per la vergogna.
“Non fa niente”, ribattè Jennifer, gesticolando. “Hanno chiesto di te in presidenza”.
Lyla mostrò un'espressione preoccupata. Aveva forse combinato qualcosa senza ricordarlo?
I suoi voti non erano calati e non aveva fatto assenze ingiustificate. Sicuramente, un po' della sua attenzione in aula era andata a farsi benedire, ma quanti studenti prestavano costantemente attenzione? In preda alle domande più assurde, Lyla arrivò davanti all'ufficio del preside, nel quale riuscì ad intravedere un ragazzo di spalle che avrebbe riconosciuto ovunque: suo fratello, Jamey.
Alzò gli occhi al cielo, consapevole di ciò che era potuto accadere: dopo un po' di tempo, precisamente dalla morte di suo padre, Jamey aveva preso la brutta abitudine di fare a pugni con chiunque gli capitasse a tiro e farlo smettere risultava piuttosto difficile. Jamey sembrava un orologio difettoso, le cui lancette erano sempre fisse sullo stesso punto, incapaci di andare avanti e permettere al tempo di fare il suo corso. Era bloccato, come se suo padre fosse ancora lì con lui.
Quella volta, suo fratello aveva ottenuto l'ennesima sospensione, insieme ad un occhio nero e un labbro spaccato. Lyla decise di accompagnarlo all'ospedale ma, una volta arrivati, suo fratello era sempre più distante e non soltanto fisicamente. Camminava veloce, come se stesse scappando da qualcosa. Si fa sempre così quando si vuole dimenticare qualcosa di spiacevole: si corre, si scappa il più lontano possibile dalle grinfie di un dolore che sembra inseguirci, solo per renderci preda delle sue fauci e inghiottirci senza alcuna pietà. Jamey accelerava la sua andatura per non affrontare lei.
“Jamey”, esclamò Lyla, affiancandosi a lui. “Puoi smettere di fare il bambino per due secondi?”.
“Cosa c'è?”, domandò lui con disprezzo. “Vuoi farmi da seconda mammina?”.
“Voglio solo sapere cosa ti passa per la testa”, esalò lei con tono esasperato. Suo fratello aveva innalzato un muro a prova di famiglia e non permetteva a nessuno di scalarlo.
“Non puoi”, ribattè il ragazzo in modo brusco. “E' inutile che ti sforzi di fare la sorella maggiore, dato che non te ne è mai importato un accidente. Hai altro a cui pensare, eh?”.
L'ultima domanda era stata posta con sarcasmo, come se Jamey alludesse a qualcosa che lei non era riuscita a cogliere, ma prima che potesse ribattere, Jamey si dileguò in una stanza insieme ad un'infermiera per farsi medicare il viso, leggermente martoriato.
Lyla venne invasa dalla voglia di lanciare i libri che aveva fra le mani, anche se non sarebbe servito assolutamente a nulla, se non a creare disordine. Emise uno sbuffo di frustrazione.
Aveva fallito su tutti i fronti: come figlia, come fidanzata, come sorella e stava fallendo forse anche come persona normale, considerando gli ultimi avvenimenti. Cercò di scacciare il ricordo dell'ultima sessione di allenamento dalla sua testa così piena che sarebbe potuta scoppiare.
“Lyla!”. La voce di Stiles la fece voltare, facendole esalare un sospiro di sollievo.
La ragazza lo abbracciò, come se rivederlo fosse l'unica cosa positiva della giornata e Stiles la strinse, all'inizio un po' sconcertato per quel rarissimo slancio d'affetto.
“Cosa fai qui?”, domandò lei, staccandosi leggermente.
Il ragazzo buttò uno sguardo alle sue spalle e poi tornò a concentrarsi su di lei.
“Ricerche”, rispose, tornando serio. “Deaton è stato preso e stiamo cercando di trovarlo”.
Lyla rimase di sasso a quella strana rivelazione: un altro guaritore. Chi sarebbe stato il prossimo? Rabbrividì alla visione di Deaton insanguinato e con una corda attorno al collo.
“Posso aiutarti in qualche modo?”, domandò Lyla con convinzione.
“Ehi, frena, Lois Lane!”, ribatté il ragazzo, afferrandola delicatamente per le spalle. “So fin troppo bene che insieme siamo il duo più straordinario che Beacon Hills abbia mai visto, al pari di Clark Kent e Lois Lane ma hai qualcun altro da...”.
Il ragazzo venne interrotto dalla presenza improvvisa del fratello di Lyla che era appena sbucato dalla stanza con un cerotto sul naso e altri due sul sopracciglio sinistro.
“Io vado via, non sforzarti di seguirmi per farmi la paternale”, sbottò il ragazzo.
Dopodiché, senza dare alla sorella e allo stesso Stiles il tempo di realizzare, si allontanò di corsa, uscendo in tutta fretta dall'ospedale. Lyla tentò di andargli dietro ma si fermò a metà strada, abbandonando le braccia esili lungo i fianchi e sospirando amaramente, mentre Stiles le poggiava una mano sulla spalla, stringendola quanto più poteva. Il ragazzo volse lo sguardo alle sue spalle con fare circospetto, attirando l'attenzione di Lyla.
“Cosa c'è?”, domandò lei, alzando un sopracciglio.
“Avrei un compito da portare a termine”, rispose Stiles, voltandosi nuovamente, per poi fare segno alla ragazza di seguirlo, e poiché Lyla non aveva molte alternative, decise di andargli dietro.
Poteva rincorrere Jamey e farsi mandare a quel paese, ammesso che fosse riuscita a raggiungerlo o a capire dove diamine fosse scappato, così preferì aiutare Stiles.
Il ragazzo aspettò che il corridoio dell'ospedale si svuotasse almeno un po' per poi fermarsi dinanzi ad una porta chiusa con Lyla al suo fianco.
“Tu aspetta qui e fai il palo”, esalò lui, gesticolando come suo solito.
“Sembra che tu abbia bisogno di Lois Lane, eh!”, esclamò Lyla, incrociando le braccia.
Stiles assottigliò lo sguardo. “Ehi, non sei felice di essere la mia spalla?”.
“Non se non mi dici cosa tenti di fare”, lo rimbeccò lei, puntandogli il dito.
“Devo...prendere una cosa in prestito da Danny”, dichiarò il ragazzo, grattandosi la nuca.
“In prestito?”, ripetè Lyla, per nulla convinta.
“Ok, rubare...se vogliamo metterla in questo modo”, confessò lui, sbattendo un piede sul pavimento, come era solito fare ogni volta che qualcuno intuiva i suoi loschi piani.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e gli fece cenno di entrare, senza sottrargli altro tempo.
Dopo un paio di minuti, il figlio dello sceriffo era ancora dentro e Lyla si limitava a sperare che nessuno tentasse di entrare proprio in quel momento; tuttavia, ogni piano in stile “Stilinski” non era tale se non rischiava di essere sventato al momento meno opportuno. Infatti, lo sceriffo Stilinski varcò il corridoio proprio in quel momento, accompagnato da Melissa e notando Lyla.
La ragazza si irrigidì immediatamente, sfoggiando un sorriso che sarebbe sicuramente apparso come una smorfia inquietante e lo sceriffo la salutò.
“Lyla, sei venuta a trovare Danny?”, domandò l'uomo con un sorriso.
“Oh, sì...avevo intenzione di entrare fra un po'”, rispose lei, deglutendo e sperando che lo sceriffo non si accingesse ad aprire la porta, scoprendo suo figlio a curiosare nella stanza.
Melissa inclinò la testa da un lato, osservando l'atteggiamento leggermente inquieto di Lyla e forse aveva intuito che qualcosa non andava, dato che lei era a conoscenza di tutte le vicende strane.
“Spero che il ragazzo stia bene”, esclamò lui, voltandosi verso Melissa.
In quel momento, la porta si aprì leggermente, e Lyla sbiancò, vedendo Stiles che sbarrava gli occhi alla vista di suo padre nel corridoio e richiudeva leggermente la porta, senza far rumore.
“Tutto ok, tesoro?”, domandò Melissa, accorgendosi della sua espressione.
“Un po' di nausea”, si affrettò a rispondere lei, spostandosi in modo che lo sceriffo fosse di spalle.
Lyla cercò di fare un segno con la mano mentre il padre del ragazzo che stava cercando di coprire la scrutava attentamente, mettendola in una soggezione non indifferente.
“Non hai una bella cera”, constatò l'uomo, preoccupato.
“Sa, quest'ultima settimana è stata davvero traumatica”, continuò Lyla, allungando il brodo, mentre Stiles usciva furtivamente dalla porta e si allontanava a passo svelto.
Intanto, Melissa che si trovava accanto alla figura di Lyla aveva assistito a tutta la scena e dovette trattenersi dal ridere per l'improvvisazione di Lyla. Il cellulare dello sceriffo squillò, così, dopo averla salutata, l'uomo si allontanò insieme alla madre di Scott per tornare al suo lavoro.
Lyla si appoggiò con la schiena al muro e tirò un sospiro di sollievo per il pericolo scampato.
Il suo telefono vibrò poco dopo, segnalando l'arrivo di un messaggio: Stiles.
Sei la migliore, Lois! Grazie”.
 

“Jamey!”. Lyla chiuse la porta di casa con un tonfo, sperando che suo fratello ci fosse.
Sua madre, per fortuna, sarebbe stata fuori tutto il giorno, poiché si era recata a casa della loro nonna paterna, aiutandola più che poteva. Lyla aveva detto che sarebbero stati bene senza lei, ma evidentemente si era sbagliata come mai prima di allora, visto il comportamento di Jamey.
“Jamey!”, lo chiamò di nuovo la ragazza con maggiore insistenza.
Forse non era in casa, altrimenti sarebbe sceso giù, sbraitandole contro. Prese il cellulare e chiamò suo fratello che con sua sorpresa, le rispose quasi subito.
“Sono uscito a prendere del cibo cinese, torno fra poco”.
Non le diede neanche il tempo di rispondere che Jamey aveva attaccato già.
Si voltò ancora più sconsolata di prima e affondò le dita nel divano dinanzi a lei, trattenendo quella frustrazione che le stava montando dentro. Non ne poteva più. Non aveva diritto a stare tranquilla almeno un po'? Era in difficoltà sotto tutti i punti di vista ma non c'era Isaac ad aiutarla. Era sola, mentre i suoi amici erano impegnati in una battaglia dalla quale si era tenuta fuori, semplicemente perchè non aveva neanche il tempo materiale per fermarsi a pensare a cosa andasse fatto.
Un rumore di passi proveniente dalle scale la costrinse a voltarsi: se Jamey non era in casa, chi stava scendendo le scale alle sue spalle? Ma soprattutto, perchè gliene stavano capitando di tutti i colori quel giorno? Sembrava che una nuvola grigia e una pioggia perenne fossero sulla sua testa. Senza rifletterci troppo, Lyla spinse la figura contro il muro: era Wyatt.
“Tu cosa diamine ci fai qui?”, tuonò lei. “E perchè non hai risposto quando mi hai sentita?”.
Il ragazzo, inchiodato al muro, scrollò le spalle. “Mica mi chiamo Jamey?”.
Lyla era così furiosa che lo avrebbe preso a schiaffi e se fosse stata un cartone animato sicuramente le sarebbe uscito del fumo dalle orecchie. Come si poteva essere così irritanti?
“Ripeto: cosa cavolo ci fai qui?”, domandò nuovamente lei, sforzandosi di non minacciarlo con la sua daga pur di farlo parlare e respirando a pieni polmoni.
“Jamey è uscito un attimo a comprare la cena e mi ha detto di aspettarlo qui, nel caso tu fossi tornata”, esclamò Wyatt, rimando calmo e posato, come suo solito, senza farsi scalfire da nulla, mentre Lyla, a differenza sua, sembrava proprio sull'orlo di una crisi di nervi. “Ora...saresti così dolce e gentile da lasciarmi andare? A meno che non vuoi che ti atterri grazie alla mia tanto meritata cintura nera, e se vuoi, puoi anche aggiungerci il talento nel lacrosse”.
La ragazza lo lasciò andare e si sedette sul divano, tenendosi la testa fra le mani.
Poteva sentire gli occhi di Wyatt sulla sua schiena; il ragazzo si avvicinò lentamente, prendendo posto accanto a lei.
Stava per scoppiare, lo sentiva. Solo che non voleva farlo in quel momento con un ragazzo quasi estraneo seduto accanto a lei e pronto a consolarla come nessuno avrebbe fatto in quel momento.
Lui posò le dita lunghe sul suo braccio, facendola sussultare leggermente, e a quel contatto Lyla davvero non ce la fece più. Lacrime silenziose cominciarono a rigarle le guance leggermente rosse per tutto il nervosismo che le scorreva nelle vene.
Wyatt non tardò ad accorgersene, eppure non disse nulla. Non le chiese cosa non andava, semplicemente si fece più vicino, stringendola.
Lyla non oppose resistenza e si lasciò cullare da quella stretta nuova e stranamente confortante, poggiando il viso sulla sua spalla. Continuò a piangere, come non faceva da troppo tempo, mentre la maglietta di Wyatt diventava sempre più umida a causa di quelle gocce salate e intrise di dolore che sgorgavano dai suoi occhi stanchi. Il ragazzo le posò una mano sulla nuca e la lasciò piangere, senza dire niente, sperando solo che Lyla potesse stare meglio. Sarebbe esplosa, prima o poi, ma stava rimandando il momento tanto atteso in continuazione, fino ad arrivare al limite.
Wyatt la stava stringendo e per un attimo la stretta di lui le ricordò quella di Isaac, arrivando a farle credere che fosse lui a tenerla fra le sua braccia ma non era affatto così. La verità era che Isaac aveva scelto di non esserci mentre quello strano ragazzo era sempre lì, anche senza che lei glielo chiedesse. Lyla continuava a mandarlo via, eppure eccolo lì. Allontanò il viso dalla sua maglia ma continuò a tenere lo sguardo basso mentre le braccia di lui erano ancora attorno a lei.
Non trovava il coraggio di alzare lo sguardo, spaventata da un qualcosa che si sarebbe potuto verificare se i suoi occhi avessero anche solo incrociato quelli di Wyatt. Non voleva essere così debole da gettarsi fra le braccia di qualcuno del quale sapeva poco e niente, ma una voce dentro di lei, la stessa che l'aveva spinta durante l'allenamento, ripeteva che lui c'era a differenza di Isaac, che aveva deciso di abbandonarla più volte, senza imparare mai dai propri errori.
Lo sguardo di Lyla cominciò a sollevarsi con estrema lentezza fino a specchiarsi in quello di Wyatt che le rivolse un sorriso così sincero che qualcun altro al suo posto non avrebbe esitato. Il problema era che lui sembrava trovarsi esattamente al posto giusto e al momento giusto: un ragazzo normale, senza rapporti con il soprannaturale o almeno così sembrava, senza nulla di strano o ambiguo.
Era abbastanza disinteressata da lasciarsi tutto alle spalle o era troppo coinvolta per ricominciare? Se fosse stata allo scuro di ogni cosa, Lyla non si sarebbe mai posta quella domanda.
Le sue domande vennero interrotte dalla porta di casa che si aprì, lasciando entrare Jamey con una busta fra le mani che probabilmente conteneva la loro cena.
Lyla si alzò di scatto, fissando il fratello e seguendolo in cucina, mentre Wyatt restava in salotto.
“Ti sei calmato?”, domandò Lyla, incrociando le braccia al petto.
“Non so”, rispose il ragazzo con tono supponente. “Tu hai finito di pensare agli affari tuoi?”.
“Si può sapere che diamine ti prende?”, chiese lei, allargando le braccia.
“Io credo di dover rientrare”, intervenne Wyatt, sbucando dal soggiorno e salutando entrambi, per poi correre fuori, lontano dalla discussione familiare che stava per scoppiare.
“Cosa mi prende?”, la rimbeccò Jamey. “Non ti vedi? Fai le tue cose come se niente fosse. Esci a tarda notte per andare chissà dove. Cerchi di farmi da seconda mamma, rimproverandomi quando torno con un occhio nero, come se nostra madre non lo facesse già di suo. Giochi a fare la responsabile ma sembra che la morte di papà non ti abbia neanche sfiorata”.
Lyla lo guardò furente, stringendo le nocche così forte fino a farle diventare bianche per la rabbia.
“Non puoi dirmi una cosa simile”, esalò lei, cercando di controllare la sua voce.
“Certo che posso!”, ribattè il ragazzo con tutto il fiato che aveva in corpo e sempre più determinato ad uscire vincitore da quel discorso. “Papà è morto, la mamma è sconvolta, io sono sconvolto e tu? Non ti importa, sai soltanto...”.
Jamey non riuscì a terminare la frase perchè Lyla lo aveva schiaffeggiato, portandosi immediatamente una mano alla bocca, sconvolta dal suo stesso gesto. Non aveva mai schiaffeggiato suo fratello in vita sua. Osservò la sua mano arrossata e per poco non ne fu terrorizzata.
“Jamey...”, cominciò lei, sforzandosi di trattenere le lacrime che da prima non avevano ancora portato a termine il loro viaggio. “Non capisci? La mamma ha bisogno di me, devo darle una mano in qualche modo, devo impegnarmi e non guardarla mentre se la sbriga da sola”.
“Tu hai diciassette anni, Lyla”, dichiarò lui con tono più pacato, respirando con regolarità. “Siamo solo degli adolescenti, non siamo in grado di gestire questo (1). Perchè non ti fermi un attimo e non ti comporti come ciò che sei? Come una ragazza sconvolta”.
“Non capisci?”, chiese lei, esasperata. “Io faccio tutto questo, mi tengo impegnata con Stiles, Allison, la scuola e il resto, perchè se mi fermo un secondo, mi accorgo che lui non c'è più”.
Suo fratello rimase di sasso a quell'affermazione, osservando Lyla come se non l'avesse mai vista davvero prima di allora e aprì la bocca per dire qualcosa, senza però trovare le parole giuste. La verità era che lui non aveva mai visto sua sorella in quello stato. Neanche quando era finita la storia con Isaac, la vedeva spenta e triste ma mai con gli occhi gonfi e pieni di lacrime. Sua sorella non aveva mai pianto dinanzi a lui...forse solo da bambina, dopo qualche capitombolo.
Continuavano a guardarsi, entrambi con gli occhi colmi di lacrime e il viso sconvolto, come se avessero appena combattuto una guerra che durava da una vita mentre la rabbia iniziale aveva lasciato spazio al dolore che entrambi si comportavano dentro da tanto, troppo tempo.
Jamey abbracciò sua sorella, che scoppiò a piangere definitivamente, cercando di trattenere i singhiozzi, espellendo tutto quello che pian piano aveva iniziato a venir fuori prima con Wyatt.
Lyla lo strinse forte, come non aveva mai fatto prima di allora e trovando un'ancora in lui.
Lui la tenne più forte a sé, in memoria di quello che li univa, di quel legame che forse non avrebbero mai spezzato e che le rendeva uniti in quella perdita.
“Mi dispiace”.
 
 
 

Ancora una volta, Isaac si ritrovava sotto la pioggia a fissare una finestra che era stata lasciata stranamente aperta. Non gli sembrava vero, eppure era lì: la finestra di Lyla era aperta a quell'ora della notte in cui soltanto lui avrebbe potuto attraversarla. Aveva lasciato il loft di Derek senza voltarsi indietro, aveva lasciato il suo alpha distrutto sul corpo senza vita di Boyd con Stiles che gli aveva poggiato una mano sulla spalla. Il ragazzo sembrava esitare all'inizio, forse per paura che Derek, come suo solito, gli ringhiasse contro, ma non vi aveva dato peso. Derek era sconvolto e forse aveva semplicemente bisogno di un minimo di contatto umano, e così Stiles aveva avvicinato le dita affusolate al tessuto della sua maglia, mentre Isaac assisteva alla scena con Jennifer ancora sconvolta dall'accaduto e stretta fra le sue braccia. Dopodiché, era andato via, realizzando ciò a cui avevano dovuto assistere: Boyd era morto e se Isaac si fosse mosso un secondo più tardi sarebbe stato colpito in pieno dalla scarica elettrica. Ancora una volta, si era avvicinato ad un destino che era toccato ai suoi compagni, ai suoi fratelli. Se fosse scappato con Erica, si sarebbe ritrovato in quel caveau e probabilmente sotto terra. Se si fosse mosso dopo, si sarebbe ritrovato con gli artigli di Derek conficcati nell'addome per opera degli alpha. La morte continuava a sfiorarlo senza mai colpirlo davvero e Isaac non riusciva a capirne il motivo. Tutti quelli a cui si era affezionato perdevano la vita e lui si ritrovava sempre ad assistere, impotente, e senza modo di reagire. Era l'unico sopravvissuto di quel branco nato improvvisamente per vendetta e quasi per gioco.
Chi poteva immaginare quello che avrebbero dovuto affrontare? Erica sapeva che sarebbe morta dopo aver accettato il morso e dopo essersi liberata di quelle crisi che la dilaniavano dall'interno ogni giorno? Boyd sapeva che sarebbe stato ucciso dal suo alpha dopo aver giocato la sua prima partita di lacrosse e dopo essere stato rinchiuso per mesi in un caveau abbandonato? E lui? Lui cosa avrebbe saputo?
Isaac cosa avrebbe saputo dopo essere stato ucciso come i suoi amici?
Perchè sicuramente, prima o poi, sarebbe giunto il suo turno, ma forse morire sarebbe stato troppo facile per lui, sarebbe stato liberatorio.
Invece, Isaac Lahey meritava sempre di vivere nel modo peggiore possibile, subendo ogni tipo di dolore senza avere la forza necessaria per combattere.
Gli toccava rimanere immobile, tornando a capo chino da quelle ingiustizie che gli passavano accanto, colpendo soltanto le persone che avevano fatto parte della sua vita, in un modo o nell'altro. Era sempre stato così per lui, fin da quando era bambino. Tante volte aveva desiderato morire, pur di liberarsi da quel mostro che viveva sotto il suo stesso tetto, succhiandogli l'anima ad ogni colpo e ad ogni goccia di sangue che colava dalle sue ferite, delle quali portava ancora le cicatrici. Morire sarebbe stato semplice, avrebbe messo fine a tutto quell'inferno personale ma qualcuno aveva deciso che lui meritava di soffrire e per questo, lui continuava a restare in vita.
Il morso lo aveva fatto sentire potente e libero ma quella sensazione era effimera.
Quanto era durata? E soprattutto quanto gli era servita a proteggere chi amava?

Il morso non aveva alleviato i suoi problemi, li aveva soltanto alleggeriti per un breve tempo, ma poi erano tornati tutti insieme, crollandogli addosso e schiacciandolo al suolo.
Entrò nella stanza vuota di Lyla e si guardò intorno, chiedendosi dove fosse, sperando che sarebbe entrata da un momento all'altro. Quando Lyla varcò la porta, scorgendo Isaac seduto sul suo letto, rimase in silenzio per un po', come se volesse accertarsi che lui fosse reale.
“Hanno ucciso Boyd”, disse semplicemente il ragazzo, con lo sguardo basso, mentre lei muoveva qualche passo incerto verso di lui, prendendo posto sul materasso. “Poteva capitare a me. Sarebbe bastato un secondo di più...e sarebbe toccato a me. Perchè non tocca mai a me?”.
Lyla circondò il suo corpo con le braccia, lasciando che Isaac affondasse il viso nell'incavo della sua spalla e la stringesse, trovando un conforto che per tanto tempo aveva agognato. La ragazza prese a carezzargli la nuca con una mano, cullando Isaac come non faceva da mesi. Isaac sentiva un po' di sollievo farsi spazio nel suo cuore. Gli mancava da morire e sarebbe rimasto stretto a lei per tutta la notte, recuperando il tempo perso, baciandola per riprendere familiarità con le sue labbra, beandosi dei suoi sguardi e delle sue carezze, di cui aveva solo un vago ricordo. Avrebbe poggiato la fronte sulla sua, sfiorandole il naso e fissando quelle labbra che reclamavano un bacio. Avrebbe sentito la consistenza dei suoi capelli, e avrebbe lasciato una scia di baci sul suo collo, nutrendosi dei suoi sospiri spezzati, e condividendo ciò che avevano perso solo per ritrovarsi.
Avrebbe fatto tutto questo, se quella scena fosse stata reale.
 

“Isaac”, Scott lo chiamò, facendolo sobbalzare dal divano su cui si era appisolato.
Il ragazzo si guardò intorno, notando di trovarsi nella sua nuova casa, insieme a Scott in piedi davanti a lui con un cartone di pizza stretto fra le mani. Aveva sognato e si dovette trattenere dall'imprecare, ripensando a quanto gli fosse sembrato tutto così vero e reale. Poteva ancora sentire la pelle di Lyla sotto le sue dita, il suo profumo...faceva tutto parte di un sogno decisamente troppo bello per essere vero. La fregatura era dietro l'angolo ma lui non era riuscito a scorgerla.
“E' arrivata la cena...stai bene?”, domandò Scott, osservandolo sconcertato. Portava ancora i segni della stanchezza e della confusione sul viso. Aveva trovato Deaton ed era riuscito a salvarlo in tempo, ma era fin troppo evidente che quella nottata l'aveva segnato non poco.
Tutti loro ne avrebbero portato le cicatrici e il perso, ognuno a suo modo: Derek con i sensi di colpa, Scott con maggiori responsabilità, Stiles e Lydia con la consapevolezza di un altro ragazzo che se ne andava, Cora con il dolore per la perdita di una nuova amicizia, Isaac con la sofferenza di un'altra morte che sarebbe potuta toccare a lui, invece che a Boyd, e con la certezza che l'unica persona che avrebbe voluto accanto era racchiusa nei suoi sogni più irrealizzabili.
 
 


Angolo dell'autrice
 
  • (1) frase detta da Allison nella seconda stagione;
  • ​(2) i due bambini sono Isaac e Camden insieme alla loro mamma;
  • (3) il confronto tra Lyla e Jamey richiama quello tra Buffy e Dawn della serie che sicuramente conoscete.
 
Eccomi con il nuovo capitolo, chiedo umilmente perdono per il ritardo ma solo ieri ho avuto il tempo di completarlo. E' ambientato nella puntata 3x07, alla quale si ricollega solo nel mezzo con le imprese investigative di Stiles, nelle quali ho voluto inserire anche Lyla, giusto perchè insieme li adoro. Credo di aver fatto tutte le precisazioni necessarie. Per la scena finale temo qualche minaccia accompagnata a pomodori e ortaggi per il capitolo in generale, ma spero non me ne vogliate troppo. Direi che ho finito di tediarvi, spero che questo capitolo via piaciuto. Ringrazio come sempre tutti coloro che hanno letto/recensito/messo tra le seguite/preferite/ricordate :)
Alla prossima, un abbraccio!

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Capitolo 10
*** IX - A withered flower ***


IX
 
A withered flower
 

Today I'm just a drop of water and I'm running down a mountain side.
Come tomorrow I'll be in the ocean, I'll be rising with the morning tide”.
(Gabrielle Aplin – Start of time)
 

Perchè l'ho fatto? Perchè l'ho fatto?
Isaac non riusciva a porsi domanda diversa, mentre restava immobile alle spalle di Allison, osservando la scrivania di Chris che mostrava finalmente al soluzione al problema “Darach”.
Qualcosa di buono sembrava averlo imparato, grazie a suo padre.
L'unico insegnamento sensato, che non comprendesse sangue e nottate in quel freezer: doveva guardare il quadro d'insieme. Glielo ripeteva spesso: ogni volta che rimaneva concentrato su un singolo dettaglio, osservandolo da vicino, perdeva tutto il resto, tutto l'insieme che racchiudeva la soluzione al suo problema. Doveva vagliare ogni possibilità e non soffermarsi su una sola, perchè proprio quella che credeva giusta gli annebbiava la vista, portandolo sulla strada sbagliata.
Maledì Scott per averlo mandato a controllare, e maledì anche sé stesso per aver accettato un incarico simile: negli ultimi tempi, aveva notato che stare accanto ad Allison non gli giovava in particolar modo. In qualche modo, i suoi occhi si ritrovavano spesso rivolti verso la sua figura, come in quel preciso istante, e quel piccolo dettaglio non era certo un bene...né per lui, né per Allison, né per Scott e, a dirla tutta, nemmeno per Lyla. Eppure, non riusciva a farne a meno.
Possibile che Lyla fosse il singolo dettaglio errato, la cui osservazione gli impediva di vagliare altre possibilità...come Allison? In teoria, si sarebbe dovuto tenere a debita distanza dalla ragazza che lo aveva colpito ben venti volte con un paio di pugnali cinesi, che aveva scagliato frecce sul suo branco e che aveva preso in ostaggio Erica e Boyd, lasciando che il suo zio psicopatico li torturasse. In pratica, non riusciva a starle lontano. L'aveva definita più volte psicopatica e la sua frequentazione con Lyla non gli era andata a genio per un motivo preciso, ovvero che quest'ultima potesse diventare come lei. Allora per quale motivo era lì fuori a svolgere un compito che non gli spettava?
Lei poteva difendersi da sola, come aveva ripetuto spesso, e Isaac lo sapeva, eccome.
Non aveva mai avuto dubbi al riguardo. In realtà, nessuno della loro compagnia avrebbe dovuto averne, eppure tutti continuavano a preoccuparsi per lei, trattandola spesso alla stregua di una ragazza incapace di mettere al tappeto un licantropo.
Forse con lui era troppo facile, visto il suo intorpidimento dovuto agli alpha e al bagno nel ghiaccio che ancora si faceva sentire; forse con Derek non avrebbe avuto tutto quel successo. Ma, in ogni caso, Allison sapeva come uscire da situazioni scomode, a differenza che quasi se le cercava, come se non potesse farne a meno. Lei gli aveva sorriso in modo complice e lui si era ritrovato con un groppo in gola che gli impediva persino di proferire parola.
Non era la prima volta, e Isaac dovette soffermarsi su quel sorriso perfetto e a tratti dolce che raramente aveva visto sul volto di Allison in quei giorni.
Ricordava di averla vista felice ogni volta che era insieme a Scott, ma da quando era morta sua madre si era completamente trasformata. Lui, pur non avendo alcun interesse a scoprire il motivo dei suoi turbamenti, ci aveva fatto caso, semplicemente perchè il suo dolore si era riversato su di lui e sul suo branco, a colpi di frecce e ferite piuttosto profonde. Forse Scott non doveva mandarlo lì.
Già...Scott. Come avrebbe reagito lui, il ragazzo che lo aveva accolto in casa sua, ad una scena simile? Magari ad uno spettatore estraneo sarebbero potuti sembrare semplicemente due persone che fissavano una scrivania. Eppure, c'era un dettaglio apparentemente insignificante: Isaac la stava fissando, con gli occhi chiari persi a squadrare la sua figura longilinea.
A Scott cosa sarebbe sembrato? Gli sarebbe bastato guardarlo negli occhi per capire che qualcosa non andava. Dio, quanto poteva essere infido e traditore per quello che stava facendo?
Stava letteralmente cominciando a provare interesse per la ragazza meno adatta del mondo.
Isaac si sentì un vero mostro, non soltanto verso Scott, ma anche nei confronti di Lyla.
Tuttavia, una vocina nella sua testa cercava di dissuaderlo dal suo ritorno sulla “retta via”: diceva che era stata Lyla a lasciarlo definitivamente e lui aveva il diritto di andare avanti sentimentalmente. Inoltre, come se la situazione non fosse già delle peggiori, un ragazzo girava spesso attorno a Lyla, rendendolo geloso, e forse la sua gelosia non era del tutto infondata.
Se Lyla aveva sfiorato il pensiero di ricominciare, poteva farlo anche lui? Era pronto a farlo?
Era pronto a ricominciare accanto a qualcuno che gli aveva fatto fisicamente del male e che oltre ad essere la ex di uno dei propri migliori amici era anche amica della propria ex?
Isaac dovette notare che, formulata in quel modo, la domanda non sembrava avere esito positivo.
Il fatto era che Allison poteva essere paragonata un po' ad un veleno che agiva su un fiore, quale il suo sentimento per Lyla. Più tempo passavano insieme lui ed Allison, più sorrisi si rivolgevano e più il fiore perdeva la sua bellezza. Quel fiore diventava debole e fragile: un fiore appassito.
 
Per Lyla, tentare di spiegare il suo stato d'animo mentre osservava Cora davanti allo specchio, non era semplice. Se avesse dovuto usare una parola per descriversi, probabilmente avrebbe scelto “svigorita”, come se avesse perso completamente le forze, pur non avendo fatto nulla. Avevano fermato Aiden giusto in tempo, prima che compiesse un gesto fatale per la vita della piccola Hale, scatenando un vero e proprio putiferio, visto che Derek non lo avrebbe certo risparmiato.
Cora non stava bene, e nonostante continuasse a ripeterlo, la sua faccia parlava in tutt'altra lingua. Eppure, era strano...i licantropi guarivano immediatamente ma Lyla ricordò che, quando si trattava di ferite inferte da un alpha, il processo era molto più lento del normale.
Ma la faccia di Cora non prometteva affatto una buona guarigione, e Stiles riuscì ad afferrarla prima che rovinasse a terra una seconda volta, perdendo l'equilibrio.
“Ti rendi conto di ciò che hai fatto?”, chiese Stiles, squadrandola. “E' da folle omicida, cosa pensavi di fare inseguendoli?”. Cosa aveva pensato di fare Lyla inseguendo i gemelli?
“L'ho fatto per Boyd”, ringhiò la ragazza, spostando lo sguardo su ognuno di loro, come per rimarcare il concetto. “Nessuno di voi stava facendo niente”.
Nessuno di loro aveva fatto niente e lei era intervenuta, per suo padre, per le lacrime di dolore che sua madre aveva versato per tutta la notte, per lo sguardo vuoto di Jamey.
“Ci stiamo provando”, intervenne Scott con il suo solito modo di fare: quello che adottava per rassicurare le persone nei momenti peggiori, solo che su Cora non sembrava avere molto effetto.
Su di lei aveva avuto effetto, perchè Lyla credeva in lui e nelle sue buone intenzioni, ma che valore potevano avere le buone intenzioni in un contesto come quello? Quanto aiuto avrebbero dato?
“E state fallendo”, lo rimproverò lei. “Siete soltanto degli stupidi adolescenti che se ne vanno in giro, pensando di poter impedire degli omicidi. Ma quello che fate è arrivare in ritardo. Tutto ciò che state facendo, in realtà, è trovare i cadaveri”.
Nessuno aveva trovato il coraggio di ribattere a quella affermazione, forse perchè Cora non aveva poi tutti i torti, e non bastava pensare a quanto fosse “decisamente una Hale” come aveva fatto notare Stiles per sdrammatizzare la situazione. Per un momento, Lyla non riuscì a rimproverare Cora per ciò che aveva tentato di fare: aveva agito, proprio come lei, per vendicare qualcuno che le stava a cuore, poiché nessun altro aveva alzato un dito, forse per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Non era poi tanto facile dichiarare guerra, soprattutto quando in gioco c'erano altre vite.
Eppure, Cora lo aveva fatto, e come se non bastasse, li aveva denigrati, facendo notare quanto i loro sforzi di fare gli eroi fossero completamente inutili: trovavano soltanto i cadaveri.
Anche lei aveva solo trovato un cadavere: era arrivata troppo tardi, quando suo padre era già immerso in una pozza di sangue e lei non aveva potuto fare niente per impedirlo. Forse se non fosse andata in giro con Allison, suo padre non avrebbe fatto caso all'entrata della banca aperta. Forse, in quel caso, lui sarebbe ancora vivo ma non era andata in quel modo.
A quel ricordo, Lyla si sentì di ghiaccio, ibernata, come se qualcuno avesse messo in pausa lo scorrere del tempo, lasciandola fredda e immobile a riflettere su ciò che aveva appena udito da quella ragazza quasi estranea per lei e troppo simile al suo fratello maggiore.
Stavano fallendo davvero. Avrebbero trovato un altro cadavere, che forse sarebbe stato quello di qualcuno che avevano conosciuto e non avrebbero potuto fare niente per fermarlo.
I sacrifici, come li definiva Stiles, si sarebbero compiuti e loro non avrebbero avuto nulla fra le mani se non una qualche entità maligna vittoriosa per aver realizzato i propri scopi terrificanti.
“Stai bene?”, chiese Stiles, notando il suo silenzio, mentre uscivano dagli spogliatoi.
Agli occhi di Stiles, Lyla sarebbe stata sempre la ragazza fastidiosa che aveva tentato più di una volta di estrapolargli informazioni nei modi più irritanti, ma più la osservava, più si accorgeva che di quella ragazza spensierata, allegra e piena di ironia, un po' come lui forse, non era rimasto niente. Quella parte di lei si era appassita, e nessuno, neanche lei, si era impegnata per alimentarla, lasciando che si mostrasse rigogliosa. Lyla l'aveva abbandonata, l'aveva lasciata morire, insieme alla sua storia con Isaac e insieme a suo padre. Era così che Stiles vedeva Lyla...come un fiore appassito, che si era indebolito e aveva perso tutti quei punti forti che prima gli permettevano di essere forte e rinvigorito. Il suo sorriso radioso era stato sostituito una linea dritta delle labbra che raramente si incurvava per sorridere a qualche sua battuta oppure quando Lydia esprimeva una delle sue idee a dir poco geniali, per poi tutelarsi, sottolineando che aveva letto quell'informazione su un libro. I suoi occhi vispi erano stati sostituiti da un'espressione cupa e quasi sempre malinconica, come se un dolore si celasse fra quelle lunghe ciglia. Il suo viso era diverso da quello che si era trovato di fronte una sera di tanti mesi fa, quando Lyla aveva bussato alla sua porta con un sorriso malizioso e la solita espressione di chi stava per fregarlo, e così aveva fatto, scoprendo grazie a lui e ai messaggi inopportuni di Scott il nascondiglio di Isaac.
Stiles poteva capire quando Lyla fosse immersa nei suoi pensieri, e a volte si immergeva così tanto in essi da risultare invisibile di proposito, come se volesse nascondersi in quella nebbia fitta che erano i suoi pensieri. Lo faceva un po' per paura e un po' per rabbia, Stiles poteva immaginarlo.
Altre volte si era nascosta dai suoi sguardi così attenti che sembravano leggerle dentro, e aveva abbassato gli occhi, per impedirgli di scorgere il suo timore, come stava facendo in quel momento.
Lyla non voleva che Stiles si accorgesse del modo in cui le parole di Cora le fossero entrate dentro, nelle vene, pompando tutta l'inquietudine e la veridicità che trasmettevano fino al suo cuore.
Ma Stiles non era così stupido da farsi fregare facilmente e non gli ci volle molto a capire.
“Lyla”, cominciò piano, sfiorandole il braccio. “Andrà tutto bene, credimi. Qualunque cosa il tuo cervellino stia sfornando, smettila. Noi ce la faremo, tu ce la farai...quello che abbiamo passato non sarà stato inutile...abbi un po' di fiducia, in me...in Scott”.
La ragazza gli rivolse un sorriso debole, sforzandosi di trovare quella fiducia che Stiles la invogliava a trovare, mentre la presa di Stiles si faceva più stretta.
“Ci proverò”, rispose Lyla, sforzandosi di sorridere e mettendo una mano sulla sua. “Lo prometto”.
Forse doveva semplicemente smettere di fare promesse che non sarebbe riuscita a mantenere.
Dopo aver salutato Stiles, permettendogli di raggiungere insieme a Cora la jeep, meglio conosciuta come “la sua bambina”, Lyla fece per tornare dentro, passando dietro il campo di lacrosse.
Non appena si diresse verso il sottopassaggio che portava alle scale, la ragazza scorse un'ombra in lontananza e si vide costretta ad indietreggiare, come fosse un riflesso involontario.
La figura ben piazzata continuò a camminare verso la sua direzione, mentre Lyla era combattuta fra l'idea di tornare indietro e quella di continuare a camminare, facendo finta di niente.
Tuttavia, non appena quella figura inizialmente misteriosa le venne rivelata, la ragazza tirò un sospiro di sollievo: si trattava di Derek, che certamente l'aveva riconosciuta.
Le braccia muscolose erano abbandonate lungo i fianchi, mentre i pugni erano stretti e tutta la sua figura sembrava in tensione continua. Le sopracciglia erano corrugate, come al solito, l'espressione indispettita e la mascella serrata, impedendo al viso di far trapelare una qualsiasi emozione diversa dalla tranquillità o dall'allegria: Derek Hale sapeva farsi riconoscere, ovunque andasse.
Doveva salutarlo? Doveva rivolgergli la parola o fare finta di nulla e passare avanti? Non aveva una grande familiarità con Derek, le era capitato di vederlo spesso ma raramente si erano scambiati qualche saluto, visto che l'unico punto che prima potevano avere in comune era Isaac, ora neanche quello. Era come un estraneo per lei, il licantropo che aveva trasformato il suo ragazzo e che lo aveva trascinato in più missioni suicide, allontanandolo sempre più da lei. Lyla non l'aveva mai visto sotto quella luce e dovette constatare che non poteva certo reputarlo gradevole. Era tutta colpa di Derek e delle sue manie di onnipotenza se si trovavano in quella situazione.
Lyla scosse improvvisamente la testa allontanando quei pensieri e calmando il proprio battito accelerato che non sarebbe sfuggito al lupo: Isaac era libero di rifiutare il morso, ma non l'aveva fatto, quindi la colpa non poteva minimamente essere attribuita a Derek. Aveva bisogno di un branco e i suoi componenti avevano accettato, sapendo, forse in parte, ciò che stavano facendo.
Il ragazzo si fermò a poca distanza da lei, osservandola con un sopracciglio alzato.
“Cosa fai qui?”, chiese con una lieve nota di preoccupazione nella voce.
“Sai, è una scuola...ed io la frequento”, rispose Lyla con un sorriso sardonico.
Derek sorrise e non riuscì a risultare strano per lei, visto che i suoi sorrisi erano piuttosto radi.
“Come si vede che tu e Stiles siete amici”, affermò Derek, leggermente divertito.
“Già”, disse semplicemente lei, abbassando poi lo sguardo. “Ora dovrei tornare dentro”.
Lyla riprese a camminare, superando la figura di Derek ma prima che potesse allontanarsi definitamente, il ragazzo la richiamò, portandola a fermarsi a metà strada.
“Lyla”, disse, voltando il capo verso di lei. “Stai attenta, anche se sei a scuola...siamo intesi?”.
“Derek, non devi badare a me”, affermò Lyla, dandogli la schiena. “Non sono uno dei tuoi cuccioli”.
La ragazza riuscì chiaramente ad udire un profondo sospiro di lui che probabilmente stava soffocando un ringhio. Forse Lyla doveva cercare di moderarsi con i toni, ma Derek non sembrò perdere la pazienza. Lo ricordava molto più intransigente: forse per colpa delle descrizioni di Stiles, ma dalla morte di due membri del suo branco si poteva dire che qualcosa in lui fosse cambiato.
In fin dei conti, la morte del padre di Lyla, come anche la morte di Erica e Boyd, o anche la morte della famiglia di Derek, non avevano colpito loro stessi, bensì le persone che erano rimaste, come lei, Derek, sua madre e suo fratello Jamey. Erano stati loro ad osservare corpi insanguinati e privi di vita, bare che venivano seppellite in buche troppo profonde, chiedendosi come avrebbero fatto a trascorrere il resto dei propri giorni senza quelle presenze sicure, come un'ancora a cui aggrapparsi e appassendo lentamente, fino a perdere ciò che erano stati un tempo. Il cambiamento si era fatto sentire sui loro cuori e quelli erano i risultati. Forse lei e Derek un punto in comune lo avevano, e non era Isaac, bensì la rabbia che quei lutti ingiusti avevano suscitato in loro.
“Lo so”, esclamò lui, digrignando i denti. “Ma sei completamente coinvolta, quindi ti chiedo solo di fare attenzione e non fare stupidaggini, che coinvolgano i gemelli. Se ti succedesse qualcosa di grave, Isaac ne morirebbe”.
Lyla rimase in silenzio, soppesando quelle parole. Erano tanti i modi in cui avrebbe desiderato rispondere e tutte le sue possibili repliche si ammassarono l'una sull'altra nella sua testa.
Cosa diavolo stai dicendo? Ti ricordo se è colpa vostra che sono in mezzo a questo gran bel casino! Non dire stupidaggini! Voi licantropi avete solo portato guai nella mia vita. Perchè dovrei dare credito a quello che hai appena detto? Non mi interessa di Isaac, voglio solo che quel branco paghi per ciò che ha fatto, non ha importanza quello che potrebbe accadermi!
La sua testa era quasi in sovraccarico ma a causa dei troppi pensieri che l'affollavano, non fu in grado di ribattere, riuscì soltanto a rivolgergli uno sguardo, permettendo a lui di capire quello che preferiva, basandosi soltanto sui suoi occhi. Tanto Derek sembrava in grado di farlo meglio di altri, e forse sapeva anche che le sue parole non l'avevano minimamente sfiorata, perchè Lyla aveva imparato troppo bene a non sottostare agli avvertimenti altrui, anche se questi provenivano dal suo più caro amico. Non ci si metteva d'impegno né lo faceva per dispetto, come le bambine quando disobbedivano ai genitori, anzi. Nel suo caso, sembrava più un fatto quasi “biologico”: il suo organismo rigettava l'idea di stare ferma e buona ad osservare gli altri che si gettavano in ogni possibile pericolo. Era diventato abituale per Lyla, e le parole di Derek, per quanto fossero apprezzabili, non avevano per nulla ottenuto l'effetto sperato dall'alpha. Nel caso più estremo, Lyla avrebbe fatto qualche stupidaggine, rischiando grosso, e Isaac si sarebbe preso un bello spavento, cosa che ormai andava avanti già da molto e la vicenda dei gemelli ne era la prova tangibile.
Riprese a camminare, stringendo la tracolla, mentre Derek si allontanava piano alle sue spalle. Quando Lyla si voltò per controllare dove fosse Derek, notò che la sua figura era ormai scomparsa, ed era rimasto soltanto il vento che smuoveva lentamente le foglie secche sul cortile.
 
 
Scott aveva giurato e si chiedeva se era stata una buona idea, solo che promettere che ogni cosa si sarebbe aggiustata era esattamente nella sua natura. Lo sguardo di Lydia era così carico di fiducia, mista a paura che Scott non aveva potuto fare a meno di stringerle la mano per suggellare quella promessa indiretta che le aveva fatto: le avrebbe dato tutto il tempo del mondo, pur di salvare la prossima vittima prima che il suo corpo venisse esposto come un trofeo in un posto qualsiasi.
Scott intercettò Lyla che stava infilando il telefono nella sua tracolla, camminando verso Lydia che stava ferma a poca distanza da lui. Il ragazzo osservò Lyla per un momento, mentre camminava verso di lui con lo sguardo leggermente spaesato: era dimagrita molto dall'estate. I jeans stretti e la maglia blu che aveva indossato permettevano a chiunque di notare quanto fosse ancora più esile di prima, sembrava sciupata e Scott poteva immaginare quanto avesse messo tutta se stessa in quegli allenamenti che le riempivano le giornate. Lyla raggiunse l'amica e le rivolse un sorriso.
“Dove vai?”, chiese, notando che stava per allontanarsi da loro.
“Aiden vuole parlarmi, dice che è importante”, affermò Lydia, leggermente turbata.
“Vuoi che venga con te?”, domandò la ragazza, notando la sua preoccupazione dopo ciò che era accaduto negli spogliatoi. Vedere Aiden che si scagliava su Cora in quella maniera l'aveva spaventata non poco e lo aveva intuito dalla sua faccia.
“No, tranquilla, so gestire un lupo”, ribattè con un sorrisetto che Lyla dovette ricambiare.
Lydia aveva avuto così tanta familiarità con ragazzi fuori dal comune che approcciarsi ad un ragazzo completamente normale doveva essere una passeggiata per lei. Si ritrovò a chiedersi se avrebbe saputo gestire anche Stiles. Quel ragazzo, nella sua umanità, era sicuramente più speciale di qualunque altro essere, almeno secondo lei. Se la situazione fosse stata meno tragica, Lyla lo avrebbe fatto presente con molto piacere all'amica ma forse non era ancora il caso.
Dopo che Lydia si fu allontanata, la ragazza raggiunse Scott che le aveva osservate.
“Stiles sta arrivando, mi ha mandato un messaggio”, esalò, incrociando le braccia.
Scott fece un cenno di assenso con la testa e guardò avanti. “Questa volta andrà bene”.
La ragazza sperava davvero che Scott avesse ragione. Non voleva che trovassero un altro cadavere, non voleva vedere Scott guardare un altro corpo insanguinato, osservandosi nella pozza di sangue ai suoi piedi che fungeva da specchio, lì per far notare non soltanto a lui come i loro riflessi fossero carichi di morte e non di salvezza o di speranza. Non voleva sentire l'urlo di Lydia e vedere Stiles che si precipitava sul luogo del delitto completamente agitato e con lo sguardo perso.
Sospirò pesantemente. “Lo spero davvero tanto”.
Scott si voltò verso l'entrata, non appena sentì la porta aprirsi, e Lyla lo seguì, notando Chris Argent che faceva il suo ingresso, seguito da Allison. La ragazza, dopo un attimo di evidente imbarazzo che l'aveva portata a immobilizzarsi sul posto, rivolse un cenno di saluto ad entrambi, mentre anche Isaac apparve alle sue spalle con un'espressione decisamente disorientata.
Sia Scott che Lyla rimasero a fissare il ragazzo che spostava lo sguardo da loro due ad Allison, come se non avesse idea di ciò che doveva fare: seguire lei o dire qualcosa? Forse le parole sarebbero state alquanto inutili e inappropriate, visto che Isaac non era molto bravo ad utilizzarle. In ogni caso, Isaac si sentì morire per la vergogna e per il senso di colpa che aveva preso a logorarlo dall'interno, mettendolo di fronte alla realtà imbarazzante di quella situazione: da un lato c'era il suo timido interesse per Allison, dall'altro c'erano l'amicizia con Scott e ciò che lo legava a Lyla, e lui sembrava avvicinarsi sempre di più ad un bivio dal quale non avrebbe fatto ritorno. Presto o tardi, si sarebbe ritrovato a scegliere ma per il momento preferì non pensarci e così, dopo aver rivolto un ultimo sguardo alle due persone che lo avevano salvato, seguì Allison e suo padre dall'altra parte della sala. Intanto, Lyla e Scott si scambiarono uno sguardo fin troppo eloquente dopo quella scena strana. Lyla poteva soltanto immaginare cosa sentisse Scott, mentre lui riusciva chiaramente a carpirlo: Lyla stava sempre peggio e la vista di Isaac che entrava insieme ad Allison aveva appena alimentato un timore che si faceva sentire ad intermittenza nella sua testa. Scott avrebbe tanto voluto dirle qualcosa, ma come poteva farlo se lui era nella sua stessa situazione?
Non erano altro che specchi di un mutuo dolore provocato dalle persone che amavano.
Dopo un po' di tempo, mentre Scott cercava di non pensare all'idea di Isaac ed Allison insieme alle sue spalle, concentrandosi su ciò che doveva fare, Lyla osservava la platea attorno a sé e scorse Aiden seduto accanto a suo fratello. Se doveva vedersi con Lydia perchè era ancora lì?
La ragazza richiamò l'attenzione di Scott, mettendogli una mano sul braccio.
“Torno subito, vado a cercare Lydia”, esclamò sottovoce, allontanandosi, mentre Scott riportava lo sguardo sulla banda del liceo, pensando costantemente che qualcosa non andasse.
 
Lyla si ritrovò nel cortile del liceo di Beacon Hills, quello che percorreva tutte le mattine ma quella sera aveva un aspetto così sinistro che finì per farle leggermente paura.
Mandò un messaggio a Lydia, chiedendole dove fosse, ma non ricevette alcuna risposta.
Percorse il cortile a grandi falcate fino ad arrivare alla porta di ingresso della scuola, facendo attenzione ad ogni rumore e cominciando a stringere la sua daga, fedelmente riposta nella fodera sotto la maglietta. All'improvviso, un urlo che di umano aveva ben poco rischiò di romperle i timpani e la fece sobbalzare per lo spavento. La voce era di Lydia e non era lontana, proveniva dall'interno della scuola. La ragazza aprì di scatto la porta, ritrovandosi nel corridoio.
Si guardò intorno, cercando di capire meglio da dove provenissero quelle grida.
Solo un'aula era aperta e si precipitò verso di essa, fidandosi esclusivamente del suo istinto e Lyla rimase di sasso dinanzi alla scena che le si presentava.
Jennifer Blake era in piedi davanti a Lydia, che se ne stava seduta su una sedia con una corda attorno al collo, il viso sconvolto come qualcuno che aveva appena terminato di combattere, e le braccia abbandonate lungo la sedia. Il sangue le colava dalla fronte, mentre Jennifer la guardava con due occhi completamente diversi da quelli che ogni mattina aveva incrociato durante le spiegazioni di letteratura. La donna si voltò verso di lei, con un'espressione per nulla amichevole.
Lyla alla vista dell'amica in quello stato e alla realizzazione di ciò che Jennifer fosse davvero, non ci pensò due volte prima di avventarsi su di lei, cosa che sicuramente Derek avrebbe etichettato come “stupidaggine”. In risposta, la donna alzò gli occhi al cielo e prima che Lyla potesse anche solo sfiorarla, le bloccò il braccio che teneva impugnata la daga, torcendoglielo, e scaraventandola a terra con poca grazia. La ragazza riprese la daga sul pavimento accanto a lei e gliela le lanciò, conficcandogliela nella spalla e Jennifer fermò la sua traversata, voltando lo sguardo verso di lei.
“Sul serio?”, domandò con voce divertita. “Credi di avere una speranza contro di me? Nessuno di voi ce l'ha, neanche i tuoi amichetti licantropi. Non potete niente!”.
Intanto, Lyla si era alzata dal pavimento con il braccio ancora dolorante e le rivolse uno sguardo carico di sorpresa per il fatto che quella ferita non l'avesse minimamente scalfita. Afferrò un altro pugnale, nascosto nello stivale, e si fece avanti, senza intenzione di arrendersi.
Jennifer sembrava decisamente divertita dalla sua insistenza, osservandola come fosse un mietitore, consapevole del fatto che stava solo firmando la sua condanna a morte.
Sarebbe dovuta correre via a gambe levate ma non ne aveva intenzione, forse il suo era un perfetto suicidio ma più Jennifer la guardava con la sua faccia sfottente e più Lyla rimaneva lì dov'era.
La donna estrasse il pugnale dalla spalla e la ferita si rimarginò immediatamente, poi si voltò verso di lei, inclinando la testa di lato e sorridendole, come per incitarla a farsi avanti ancora una volta.
Lyla le sferrò un calcio che Jennifer evitò tranquillamente, e poi tentò di colpirla nuovamente con il pugnale ma la figura scattante e aggraziata di lei si sbilanciò di lato, evitando il colpo, e stringendo la mano attorno al suo collo, mozzandole il respiro. Dopodiché la scagliò contro la lavagna con un semplice colpo della mano che racchiudeva una forza quasi sovrumana.
La ragazza si contorse per il dolore all'addome e alla schiena ma Jennifer non sembrava contenta, come a volersi assicurare che avrebbe smesso di darle ulteriori fastidi nella sua impresa.
“Hai fegato, devo riconoscerlo”, ghignò mentre le si avvicinava. “Tutta questa rabbia repressa, tutta questa voglia di combattere, devi averla conservata per qualcuno di speciale, vero? Magari qualcuno con un paio di zanne che ti ha portato via una persona importante”.
Lyla la guardò male, portandosi una mano sullo stomaco e cercando di alzarsi, mentre un rivolo di sangue scendeva dalle sue labbra. Desiderava seriamente farle del male.
“Il fatto che tu abbia sperimentato questo astio su di me, mi lusinga”, continuò, abbassandosi al suo livello e stringendo la daga in una mano. “Ma per ora sarà meglio che tu stia buona, d'accordo?”.
Dopo aver pronunciato quella specie di avvertimento, al quale Lyla pensava già di rispondere con qualcosa di ben diverso delle parole, Jennifer la spinse contro il pavimento, facendola urlare per il dolore. Non era come il dolore dell'incidente che aveva avuto un anno fa insieme a Stiles. Il dolore di allora lo aveva percepito per pochissimo tempo, grazie alla perdita dei sensi; ma il dolore che Jennifer le aveva procurato in quel preciso istante era diverso, perchè Lyla era più che cosciente.
Il dolore era palpabile, come se qualcosa si stesse facendo strada nelle sue membra, e anche il sangue che scorreva dalla testa e dalla bocca lo era: era consistente e caldo fra le sue dita.
Si lasciò cadere di nuovo sul pavimento, assicurando in quel modo a Jennifer che non si sarebbe mossa, mentre lei si avvicinava di nuovo a Lydia che la stava osservando in lacrime.
Lyla si girò a fatica, allungando il braccio quanto più poteva verso Lydia, che continuava a piangere e nessuna di loro poteva fare niente per impedirlo. Poteva davvero finire in quel modo? Stava davvero per vedere Jennifer Blake che tagliava la gola a Lydia, per poi lasciarla lì, esibita come un perfetto sacrificio? Stava davvero per vedere il cadavere di un'altra persona a lei cara? La morte sembrava vicina e mai come in quel preciso istante Lyla riuscì a percepirla: non c'erano incubi su Isaac e la sua natura di lupo quella sera, non c'erano persone che l'avvertivano, pregandola di stare lontano da lui e da ciò che rappresentava. C'era soltanto lei e nessun modo per tornare indietro, impedendo che tutto ciò si verificasse. Aveva fatto una scelta ed ecco il risultato. Lydia le rivolse un ultimo sguardo, tentando inutilmente di soffocare i singhiozzi. Proprio quando entrambe credevano che si sarebbero guardate morire l'una di fronte all'altra, uno sparo richiamò la loro attenzione: lo sceriffo Stilinski aveva appena colpito Jennifer, ma purtroppo l'uomo non aveva la minima idea di ciò che stava per affrontare. Per Lyla collegare tutte le sequenze della scena fu difficile: erano pezzi sparsi di un puzzle che non riusciva a comporre perchè troppo vasto e complicato per lo stato in cui si trovava. Aveva soltanto visto lo sceriffo a terra, poi aveva udito un ringhio che le sembrò appartenere a Scott e la conferma arrivò insieme alla sua figura che cercava inutilmente di vedersela con Jennifer, la quale ci aveva messo pochissimo tempo per spingerlo via, in modo da focalizzare di nuovo la sua attenzione sullo sceriffo.
Nel frattempo, Stiles era corso all'aula ma prima che potesse entrare, Jennifer bloccò la porta con la cattedra e il ragazzo provò in tutti i modi ad aprirla senza risultato.
Per poco non gli venne un attacco di panico quando si accorse di Lydia legata alla sedia con una corda stretta attorno al collo e Lyla distesa a terra. Il ragazzo spinse violentemente la porta, imprecando, ma non riuscì ad aprirla nemmeno di un millimetro.
Intanto, la donna si era avvicinata allo sceriffo Stilinski, sotto gli occhi increduli e spauriti di Stiles, con passo lento, come se l'uomo fosse una vittima e lei una predatrice pronto a sbranarlo.
Jennifer aveva parlato per tutto il tempo e le parole furono l'unica cosa che Lyla riuscì chiaramente a distinguere in quella baraonda: filosofi, guaritori, guerrieri, guardiani e vergini.
In quel momento, Lyla non riuscì a non pensare ad Isaac. Avrebbe voluto chiamarlo a gran voce ma persino la forza di parlare sembrava averla abbandonata, così come la forza di reagire, mentre il dolore la consumava, facendola appassire lentamente e senza via di fuga.
Chissà dove si trovava e cosa stava facendo, se l'avesse vista probabilmente l'avrebbe prima sollevata da terra e poi le avrebbe urlato addosso per essere andata da sola a cercare Lydia senza farsi accompagnare da qualcuno. Lyla si impose di pensare a ciò che stava accadendo ma i suoi sensi avevano iniziato ad annebbiarsi, facendosi sempre più deboli mentre il dolore sembrava già un ricordo lontano. Un verso terrificante e un rumore di vetri rotti la riscosse leggermente da quello stato di abbandono. L'ultima cosa che vide fu il viso di Stiles a poca distanza dal suo che le sollevava il busto da terra, poi gli occhi si chiusero e niente sembrava avere più importanza.
 
 
Angolo dell'autrice
 
  • (1) la scena tra Derek e Lyla si svolge nella 3x09, dopo che lui ha salutato Jennifer
Buon anno a tutti e chiedo perdono!
Siete liberi di linciarmi per il ritardo assurdo. Il capitolo era pronto da un po' di giorni ma ho esitato nel pubblicarlo, non so per quale motivo, a parte il fatto che non mi convince ma ormai è abbastanza palese che quasi niente di questa storia mi convince, quindi smetto di ripetermi. Ho cercato di trattare l'Allisaac nel migliore dei modi, pur non apprezzando la coppia. Direi che non c'è altro da aggiungere su questo capitolo, quindi posso smettere di darvi fastidio. Ringrazio come sempre tutti coloro che stanno seguendo la storia e che l'hanno messa tra seguite/preferite/ricordate.
Alla prossima, un abbraccio!
 

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Capitolo 11
*** X - Dead in the water ***


X

Dead in the water
 
“There's just one thing that I need to hear before I walk away for the last time.
There's just one thing that I need to see before I take this chance and set us free.
The memory of this still reminds me of you. The memory of this still reminds.
The memory of this still reminds me of you and that is where you'll find me”.
(Way out west – Don’t forget me)
 

Un colpo forte alla finestra, dovuto probabilmente all’impatto fra un albero e il vetro, fece sobbalzare Lyla che era impegnata in una telefonata con sua madre Candice, la quale si stava dimostrando testarda come un mulo…quasi peggio di lei.
“Mamma, per favore”, cominciò lei con tono implorante. “Qui si sta per scatenare una vera e propria tempesta, quindi resta dalla nonna…ci vediamo direttamente domani”.
Suo fratello le gettò un’occhiata dal divano, con il joystick fra le mani e due amici, tra cui uno che conosceva fin troppo bene, seduti accanto a lui e impegnati ad uccidere un branco di zombie che avanzavano verso i loro personaggi.
“Sì, tranquilla. Resteremo in casa”, continuò, cercando di contraddirla il meno possibile. “Jamey sta bene, ha solo qualche linea di febbre…nulla di cui preoccuparsi. Sì, io sto bene”.
Lyla mentì, sorvolando sui lividi presenti su buona parte del corpo e sul dolore alla schiena che si faceva sentire nei momenti meno opportuni. Sembrava che un treno le fosse passato sopra, riducendola in tanti pezzettini che tardavano a ricomporsi. La forza di Jennifer aveva avuto quell’effetto indesiderato e sperò di non averci mai più a che fare, visto che aveva rischiato seriamente di lasciarci le penne. Ricordò di aver trovato il volto di Stiles non molto lontano da lei, che era seduta sul sedile posteriore della sua jeep. Lei si era agitata, poiché non ricordava niente e non aveva neanche idea di come fosse finita in macchina, ma Stiles l’aveva subito tranquillizzata, nonostante nel suo viso ci fosse una nota stonata che non era riuscita a cogliere. Ma poi aveva ricordato la lotta in aula: suo padre era stato preso da Jennifer. Dopo aver rammentato quel particolare, Lyla gli aveva stretto forte il braccio, senza dire niente, mentre gli occhi di Stiles erano così lucidi e tristi che temette di vederlo sgretolarsi in mille pezzi davanti a lei e Scott. I due ragazzi l’avevano lasciata a casa, raccomandandole di riposarsi, mentre loro avrebbero avvertito Derek sulla vera identità della sua ragazza psicopatica…un’altra. Derek aveva dei seri problemi nei rapporti amorosi e le sue due ultime storie ne erano la prova: se non fossero state entrambe due assassine, la situazione sarebbe stata quasi divertente. Peccato che l’ultima fosse intenzionata ad uccidere il padre di Stiles e aveva completamente ingannato il povero alpha. Come aveva fatto a cascarci? Insomma, Derek non era come gli altri, non si fidava facilmente…a quanto aveva sentito, dopo tutto ciò che avevano passato, faticava a fidarsi persino di Scott e Stiles. Come faceva a dubitare di loro e andare a fidarsi di una donna sconosciuta e appena arrivata in città? A Beacon Hills nessun nuovo arrivato era quello che sembrava. Mentre elaborava quel pensiero, il suo occhio cadde su Wyatt: forse nemmeno lui era poi tanto buono e gentile. Magari nascondeva qualcosa. In fin dei conti, Jennifer era la prova vivente che dietro un bel viso apparentemente dolce e ingenuo poteva nascondersi il più terrificante dei mostri. Quindi, anche Wyatt poteva nasconderle qualcosa e magari la stava avvicinando per un motivo preciso. Scosse la testa, allontanando quel pensiero assurdo e tornò a concentrarsi sulle raccomandazioni di sua madre.
Da quando tutto era iniziato, niente le sembrava più naturale. Doveva sempre esserci qualcosa sotto strati di normalità, perché Beacon Hills era un faro per le stranezze. Se fosse stata allo scuro di tutto, Lyla non avrebbe mai formulato certe teorie.
“Ok, mamma. A domani”, esclamò lei, poggiando la schiena al muro.
“A domani. Mi mancate, tesoro”, disse Candice dall’altro capo del telefono, facendola sorridere teneramente. La dolcezza di sua madre era impagabile. “E salutami quelle teste calde di Jamie e dei suoi amici che sicuramente perdono tempo con i videogiochi”.
Lyla rise ed acconsentì, agganciando il telefono e tornando ad osservare i tre pelandroni che occupavano il divano di casa sua: a Wyatt e Jamie si era unito uno dei migliori amici di Wyatt che, per di più, era andato con loro all’incontro di lacrosse e aveva dormito beatamente mentre lei era impegnata a spaventarsi in quell’albergo da strapazzo, Seth.
Quest’ultimo si alzò di scatto, esultando per la vittoria appena ottenuta su un branco di zombie e diede il cinque prima a suo fratello e poi a Wyatt. I capelli biondi gli ricadevano lievemente sulla fronte, senza coprire gli occhi chiari e gioiosi. Sembrava completamente diverso da Wyatt, non soltanto nell’aspetto che li metteva praticamente agli antipodi, ma anche negli atteggiamenti. Seth sembrava un bambino troppo cresciuto, non che a sedici anni dovesse comportarsi da adulto, ma più lo osservava, più le sembrava di vedere un ragazzino di dieci anni con un’immensa passione per i videogiochi. Eppure, lui e Wyatt erano uniti, due amici che si conoscevano da una vita e che erano cresciuti insieme, tenendosi in piedi a vicenda. Come avessero fatto a restare amici ancora non lo sapeva, ma era sempre bello per lei osservare un’amicizia matura e costruita su basi che si erano formate già dall’infanzia. Le ricordavano vagamente Stiles e Scott: due ragazzi completamente diversi e forse Seth aveva un po’ di Stiles dentro di sé, anche se nessuno poteva essere lontanamente paragonato all’inimitabile Stilinski.
Intanto, Wyatt fece per alzarsi mentre il suo amico era ancora impegnato nei festeggiamenti insieme a Jamey, rivolgendo prima uno sguardo agli amici e poi a lei.
Per un attimo, quella scena sembrò svolgersi al rallentatore agli occhi di Lyla: Wyatt si alzò quasi lentamente con il joystick nella mano destra. Rise, osservando i suoi amici che si comportavano alla stregua di bambini, e poi si voltò verso di lei: il sorriso che il ragazzo le rivolse in quel preciso istante avrebbe potuto tranquillamente spaccare il cielo in due, interrompendo quella tempesta e permettendo al cielo di emanare un timido raggio di sole. Ogni dubbio che si era posta prima su Wyatt sembrò sparire per qualche secondo. Non era certo la prima volta che Wyatt le sorrideva ma c’era qualcosa di diverso quella sera nell’aria: forse era ancora il dolore di prima a parlare o forse l’aspirina le aveva dato completamente alla testa, eppure Lyla riuscì a vedere Wyatt per la prima volta.
Vide la sua espressione di completa serenità, come se fosse nel posto giusto, come se avere attorno lei, e non solo, lo facesse sentire sicuro, avvolto da una calda quiete.
Vide le sue braccia, nascoste da una felpa blu, che venivano tirare indietro, permettendogli di stiracchiarsi, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno.
Vide i suoi occhi scuri, completamente diversi da quegli occhi che aveva visto per tanto tempo davanti a sé, senza guardare altrove ma concentrandosi solo su di essi.
Gli occhi di Isaac erano così limpidi che Lyla poteva leggervi attraverso ogni volta, come se fossero due specchi in cui riflettersi. Gli occhi di Isaac erano acqua in cui immergere le dita ogni volta, beandosi di una sensazione singolare di freschezza. Gli occhi di Isaac erano nitidi e puri, come lui, anche dopo tutto quello che era accaduto. Gli occhi di Isaac erano quelli di un bambino seduto sul marciapiede in un giorno di pioggia, senza ombrello e con il cappuccio sulla testa in attesa che qualcuno venisse a prenderlo dopo la scuola, ma restava lì in attesa fin quando non decideva di alzarsi per trovare da solo la strada verso casa.
Gli occhi di Wyatt, invece, erano tutt’altra cosa: erano scuri e opachi.
Per quanto Lyla si sforzasse, non riusciva mai a vedervi qualcosa di chiaro e comprensibile.
Gli occhi di Wyatt erano bui, più dei suoi. Gli occhi di Wyatt erano terreno in cui bisognava scavare con forza e a fondo per trovare qualcosa, sporcandosi le mani, rischiando di rompersi le unghie e sopportando il fastidio. Gli occhi di Wyatt erano così scuri da risultare torbidi, più li guardava e più la vista sembrava farle male nello sforzo, tentando di vedere qualcosa che non si manifestava facilmente, come se stesse osservando una stanza buia.
Gli occhi di Wyatt erano specchi antichi e rovinati dal tempo, nei quali era quasi impossibile scorgere la propria figura se non a tratti indistinti, a causa di tutta la polvere e di tutte le macchie che ne oscuravano la superficie.
“Lyla, ti sei incantata?”, domandò il ragazzo, accorgendosi dello sguardo perso di lei.
“No, pensavo”, disse lei velocemente, sperando di non aver fatto la figura della stupida.
“Certo”, esclamò lui con tono saccente. “Pensavi a me, lo so”.
“E dai!”, lo rimbeccò Jamey, riponendo i joystick. “Potresti smetterla?”.
Seth rise a quell’affermazione, dando una pacca sulla spalla dell’amico.
“Oh, oh!”, intervenne l’ultimo arrivato mentre Lyla alzava gli occhi al cielo, sotto lo sguardo troppo divertito di Seth. “Datemi un po’ di popcorn e posso morire felice”.
Jamey si limitò a dargli uno scappellotto e si avviò verso la cucina per rimediare qualcosa da mangiare con le guance leggermente più rosse per la febbre. La sua traversata venne interrotta dalla stessa Lyla che circondò il viso con le sue mani , poggiandone una sulla fronte e ignorando le proteste del ragazzo, mentre i suoi amici si scambiavano sguardi.
“Scotti ancora un po’”, dichiarò lei, lasciandolo andare, e prendendogli una felpa.
“Sto bene”, rispose Jamey con un sorriso, lasciandosi passare la felpa giusto per evitare di farsi rimproverare proprio come un bambino con la sua mamma e la infilò.
Lyla venne distratta dal suono del suo cellulare, e rispose, notando che si trattava di una chiamata di Allison. La ragazza non la fece nemmeno parlare, ma quasi l’assalì con una voce colma di paura e preoccupazione. “Lyla, stai bene?”.
“Allison”, esclamò lei un po’ sorpresa. “Sto bene, perché?”.
“Come perché?”, domandò Allison leggermente stizzita. “Ho saputo tutto quello che è successo, ho appena lasciato Lydia nell’autombulanza. Tu stai bene? Nulla di rotto?”.
“Sta bene?”. Lyla sentì un’altra voce proveniente dal telefono. Una voce maschile, che conosceva bene e che aveva imparato a riconoscere alla prima sillaba: Isaac.
Allison non rispose, probabilmente gli aveva fatto segno di stare zitto, così Lyla per non dare troppa importanza a quel dettaglio, chiese subito di Lydia.
“Dov’è adesso Lydia?”, chiese, prendendo posto sul divano.
“L’hanno portata in un ospedale in città perché stanno evacuando il Beacon Hills Memorial”, dichiarò l’altra. “Stiamo andando lì adesso”.
“C’è qualche problema?”, domandò Lyla, mettendosi a sedere leggermente allarmata. In una notte come quella, nessuno sarebbe stato al sicuro…lo sentiva sulla pelle.
“No, o almeno spero di no”, esalò Allison con voce leggermente preoccupata. “La sorella di Derek è lì, insieme a Peter e non può restare sola con lui con tutto questo trambusto”.
“Vuoi che vi raggiunga?”. Quella frase aveva ben poco di interrogativo.
Lyla non riuscì a fare a meno di chiedersi quando fosse diventata così ficcanaso e con una voglia assurda di immischiarsi in faccende che non la riguardavano. Poteva restare a casa, al caldo, insieme a suo fratello, e insieme a Wyatt ma sembrava preferire una serata sotto la pioggia, mentre il vento ululava forte, facendo tremare le fronde degli alberi.
Allison sospirò. “Se ti dicessi di no, resteresti a casa?”.
“Probabilmente no”, affermò Lyla con certezza. Ormai Allison aveva capito tutto di lei.
“Ci vediamo lì tra una decina di minuti”.
Lyla chiuse il cellulare e si voltò verso la cucina, dove Wyatt era impegnato a cercare di fare dei popcorn, sotto l’occhio vigile di Seth mentre Jamey prendeva delle bibite dal frigo.
“Ehi”, esclamò Lyla, prendendo la giacca dalla sedia. “Io esco, forse farò tardi”.
“Dove vai con questo tempo?”, chiese Jamey, mentre Wyatt si voltava verso di lei, fermando ciò che stava facendo solo per osservarla meglio, come per accertarsi che fosse sincera.
“Vado a trovare Lydia, dicono che è stata aggredita”, mentì lei, sperando di essere credibile, e fingendosi più preoccupata di quanto non fosse già.
Jamey sembrò crederle, infatti, assunse un’espressione meravigliata e non oppose resistenza, raccomandandole soltanto di stare attenta e dentro casa. Era strano notare la preoccupazione del suo fratellino. Wyatt, invece, non aveva una faccia molto convinta, anzi, probabilmente non credeva ad una sola parola di ciò che aveva fatto e infatti, si avvicinò dopo che lei ebbe salutato gli altri due ragazzi, afferrandola per un braccio.
“Dove vai?”, sibilò con una nota di fastidio nella voce.
“Da Lydia”, ribadì lei, senza scrollarsi dalla sua presa che si fece più forte.
“Non ti credo”, esclamò in un sussurro con gli occhi scuri fissi nei suoi, mentre la stessa sensazione di prima faceva capolino dentro di lei.
Era difficile focalizzare Wyatt che mentre prima appariva calmo e docile, in quel momento aveva cambiato completamente faccia, mostrando il suo lato insopportabile e troppo protettivo, come la mattina al motel fuori la porta della sua stanza.
“Sento che ha qualcosa a che fare con Isaac”.
Lyla fece un sorriso amaro. Per la prima volta, si stava sbagliando…di Isaac ne aveva sentito a stento la voce durante quella telefonata, e non andava certo lì per lui. Il motivo per cui si stava recando in loro aiuto non lo conosceva ma sentiva soltanto che Isaac centrava ben poco. Era alla ricerca di qualcosa, il problema era definire di cosa si trattasse, nonostante fosse consapevole di come avrebbe trovato gli occhi di Isaac ad attenderla.
“Ti sbagli”. La ragazza sciolse la presa con più difficoltà rispetto alle altre volte, come se avesse a che fare con un nodo ben stretto che andava forzato più volte.
Wyatt la lasciò andare, seppur guardandola con un’espressione che lasciava intendere molte cose. Nei tratti del suo viso riuscì ad individuare un pizzico di gelosia misto a…paura?
Paura di cosa, poi? La fissava come se una volta varcata la soglia di casa, avrebbe trovato un pericolo o la morte. Era solo una tempesta accompagnata da un bel po’ di acqua…come quella racchiusa negli occhi di Isaac che avrebbe trovato presto ad attenderla. Forse era quella la morte che avrebbe incrociato…sarebbe morta nell’acqua.
 

 
“Non sto facendo niente”, rispose Stiles, fermando il nervoso tic che aveva preso la sua mano, mentre Peter lo fissava con la sua espressione da “ti stacco la testa a morsi” tipica della famiglia Hale. Ormai, tutti lo avevano guardato in quel modo: Peter, Cora e Derek.
“Pensi”, esalò il licantropo arcuando le sopracciglia. “E’ fastidioso e snervan-“.
Peter si bloccò prima di portare a termine la frase, poiché attirato da qualcosa fuori dall’ambulanza e così fece praticamente gelare il sangue a Stiles che non considerava quel posto come un ottimo nascondiglio per sfuggire ad un branco di licantropi.
“C’è qualcuno”. Stiles deglutì pesantemente ed entrambi si protesero leggermente verso la porta, mentre il ragazzo allungava la mano per aprirla con estrema lentezza.
A quel punto, Peter si sistemò meglio dietro al ragazzo come se fosse intenzionato ad usarlo come scudo e quando Stiles se ne accorse, gli rivolse uno sguardo adirato, mettendosi sulla difensiva e notando come il licantropo non volesse farsi avanti.
“Ti nascondi dietro di me?”, domandò con una punta di fastidio nella voce.
“E allora?”, chiese Peter, scrollando le spalle in risposta.
“Se mi fai morire, ti ammazzo”, esalò Stiles con il fiatone.
Peter lo guardò accigliato, rimanendo dietro di lui. “Ma davvero? Perchè dici cose senza senso, razza di-".
Quando la porta si aprì di scatto, Stiles non riuscì ad evitare un urlo che fece addirittura sobbalzare Peter che nel panico afferrò il braccio di Cora, distesa ancora sul lettino.
Lyla spostò lo sguardo sulle tre figure, sospirando. “Mi sembrava la tua voce”.
“Credo di aver avuto un piccolo attacco di cuore”, dichiarò Stiles, tenendo la mano sul petto, mentre Peter si lasciava nuovamente cadere, decisamente sollevato.
“Cosa ci fa qui lo scricciolo?”, chiese l’uomo, indicando Lyla.
“Come mi hai chiamata?”, domandò Lyla, guardandolo male, ma venendo subito distratta da Stiles che si mise davanti a lei, coprendole la vista di Peter.
“Perché sei qui, Lyla?”, chiese Stiles, posandole le mani sulle spalle e guardando fuori nervosamente nella speranza che non arrivasse nessuno di sgradevole.
“Mi ha chiamata Allison”, rispose lei, notando l’agitazione di Stiles. “Vado a cercarla, dovrebbe essere dentro…voi restate qui”.
“Tu non…”. Stiles cercò di fermarla ma prima che potesse continuare, Lyla era già corsa via, lasciandolo nuovamente solo con Peter e con Cora incosciente.
Il ragazzo sospirò pesantemente, frustrato all’idea di dover restare chiuso lì mentre i suoi amici gironzolavano in un ospedale non proprio sicuro e suo padre era rinchiuso chissà dove. Tentò di calmare l’ondata di pensieri negativi intenzionata a travolgerlo ma senza alcun risultato. Forse Peter lo sentiva ma non gli importava. Si passò una mano sulla nuca, cercando di ritrovare una calma che non sentiva da giorni…anzi, da mesi, quando la voce di Peter alle sue spalle, lo richiamò, riportandolo con i piedi per terra.
“Stiles”, esalò con un tono di voce più basso. “Sento il tuo fracasso…stai tranquillo”.
Il ragazzo gettò uno sguardo al lupo che gli rivolse un sorriso confortante, per quanto i sorrisi di Peter Hale potessero sembrare tali, e senza dire nulla chiuse le porte dell’autombulanza.
 
Lyla diede un ultimo sguardo al cellulare: non c’era campo. Lo ripose nella tasca della giacca e continuò a camminare per il corridoio buio, con la daga stretta in una mano e nella speranza di non incontrare qualcuno che non fosse Scott o Allison. Per sua fortuna, una volta varcata l’ennesima porta, riuscì a scorgere Scott e Melissa intenti a parlare a non molta distanza da lei e prima che potesse chiamarli, Scott si voltò, sbarrando gli occhi.
“Lyla”, esclamò mentre lei lo raggiungeva. “Non dovresti essere qui”.
Nel suo tono c’era preoccupazione e anche lui, come Stiles, prese a guardarsi intorno, come se qualcosa potesse sbucare fuori dal nulla, cogliendoli di sorpresa.
“Allison mi ha…”, Lyla tentò di spiegare ma qualcosa li distrasse.
Il ragazzo la interruppe, portando una mano davanti a lei e a Melissa che seguiva terrorizzata suo figlio con lo sguardo, e Lyla rimaneva accanto a lei, in allerta.
Scott continuò a camminare, lasciando indietro entrambe con fare protettivo e scrutò l’angolo che li separava dall’altra parte del corridoio. Lyla aveva perso completamente la facoltà di respirare, poiché la scena che si stava svolgendo non era delle più confortanti.
Cosa sarebbe uscito da lì dietro? Onestamente, non voleva saperlo.
La tensione venne smorzata subito da Scott che, dopo aver varcato quell’angolo, sospirò e rilassò le spalle, così sia Lyla che Melissa lo raggiunsero, trovandosi davanti gli Argent insieme a qualcun altro…Isaac, che fissò Lyla come se avesse visto un fantasma.
I suoi occhi erano accusatori e nonostante sapesse dalla telefonata che sarebbe arrivata, sembrava sperarci che lei cambiasse idea all’ultimo minuto. Non la voleva lì per proteggerla o semplicemente perché si intrometteva nei momenti fra lui ed Allison? Quel pensiero così velenoso non era proprio da lei…Isaac non avrebbe mai permesso che si facesse male.
Allora perché la fissava in quel modo, trafiggendola con lo sguardo e facendole male, come soltanto lui aveva imparato a fare nell’ultimo periodo?
 
Il piano di Allison aveva funzionato e Lyla avrebbe desiderato sorridere con soddisfazione mentre puntava la balestra, portata per lei dalla stessa Allison, contro i gemelli e Kali che si accorse di lei, riconoscendo la ragazza a cui aveva ucciso il padre.
Allison continuava a scagliare le sue frecce, restando più in lontananza rispetto a lei e Chris e ottenendo in quel modo la possibilità di colpirli tutti. Lyla, invece, era quella più vicina, e aveva stupidamente deciso che Kali sarebbe stata il suo obiettivo principale. Non avrebbe dovuto farlo. Non era la sua vendetta personale ma come poteva ignorare ciò che stava cercando quando si presentava proprio dinanzi a lei, offrendosi come niente fosse?
Kali ringhiò e la guardò fisso, come per spronarla ad assecondare quella vocina nella sua testa che la spingeva a fare qualche altro passo avanti e fronteggiarla come doveva.
Ignorò completamente il vento che le scompigliava i capelli, gettando alcune ciocche davanti agli occhi e la pioggia forte che si abbatteva su tutti loro. Quando la distanza fra lei e Kali fu troppo facile da eliminare, quest’ultima le tolse la balestra prima che potesse sbarazzarsene da sola e Lyla estrasse un pugnale, infilzandola in un fianco.
Quello che ottenne fu semplicemente un ringhio di frustrazione, dopodiché Kali rimosse la lama e la lanciò per terra, mostrando le zanne e allargando le braccia per mostrare meglio gli artigli. Mentre Allison e Chris tentavano di allontanare i gemelli, Lyla riprese la sua arma e senza pensarci troppo si scagliò sulla licantropa, riavvolgendo nella sua mente la notte in cui aveva trovato il corpo di suo padre all’interno di quella banca abbandonata.
Solo acqua e vento. Non sentiva altro su di se, soltanto le gocce d’acqua che si infrangevano ininterrottamente sul suo viso e sulle sue mani gelide e pallide come quelle di un cadavere.
Sembrava morta in tutta quell’acqua, eppure, lei era viva: riusciva a udire con chiarezza i battiti del suo cuore, il suo respiro frenetico, il sangue pulsarle nelle vene e la testa così piena da risultare dolorante. La sua mano era ferma, con le dita saldamente ancorate attorno alla sua daga, la cui lama era a pochissima distanza dal collo di quel mostro. Kali non opponeva resistenza, non aveva ancora provato a scaraventarla al suolo, anzi, sembrava le stesse dando tempo, come per permetterle di godersi quell’attimo di illusoria vittoria che non sarebbe tornato. Lei non aveva vinto, Kali glielo stava soltanto lasciando credere, aspettando che si decidesse a fare una mossa mentre le voci di Allison e di suo padre non la scalfivano minimamente, e i gemelli erano troppo occupati a tenerli a bada per fare qualcosa. Forse sapevano che Kali l’avrebbe atterrata…era soltanto questione di minuti.
Quando la presa di Lyla si fece ancora più stretta fino a farsi sanguinare le nocche, e fece per muovere il pugnale, Kali scattò per fermarla. A quel punto, fu Lyla a sentire pressione sul collo, la stessa che aveva inflitto poco prima alla sua avversaria, i cui occhi cremisi scintillavano, guardandola fisso. Il respiro cominciava a mancare mentre con una mano teneva stretto il polso di Kali e l’altra si muoveva per terra in cerca della sua arma.
La pioggia continuava a bagnarle il viso e gli occhi, fino ad annebbiarli al punto che neanche i colori erano distinguibili per lei: era una tavolozza di colori grigi e blu come lo scenario che la circondava, l’unico colore più acceso era il rosso degli occhi di Kali, tutto il resto erano buio e acqua. A quelle tonalità, si aggiunse improvvisamente un giallo acceso che emanava dagli occhi di una figura non molto lontana…una figura che urlava il suo nome disperatamente. I suoi occhi erano ben chiari e più li guardava, più l’acqua aumentava fino a sommergerla…forse sarebbe morta nell’acqua, se non fosse stato per Isaac.

 

“Ti prego, dimmi che non sei tu”.
Lyla sollevò lo sguardo, incontrando finalmente gli occhi di Isaac più chiari del solito nei quali, tuttavia, non riusciva più a specchiarsi o a leggervi qualcosa.
“Dimmi che questa che ho davanti non sei tu”, continuò lui con voce roca. “Dimmi che non è successo davvero e che non hai affrontato davvero Kali, rischiando di farti uccidere”.
“Sono proprio io”, rispose Lyla, guardandolo come mai aveva fatto in vita sua…con odio.
Quanto era sottile la linea che divideva odio e amore, ma soprattutto, quando l’aveva oltrepassata, odiando Isaac, il suo Isaac, in quel modo così lacerante? Da quanto non parlavano faccia a faccia? Lyla lo aveva davvero dimenticato. Era da così tanto tempo che non si ritrovava in una situazione simile con Isaac che persino il suono della sua voce sembrava qualcosa di completamente nuovo. Era come un’interferenza alla radio, non riusciva ad ascoltarla e gli occhi volevano chiudersi per il fastidio provato.
Isaac si voltò verso di lei che, nel frattempo, aveva riportato lo sguardo sui suoi jeans logori e completamente zuppi, mentre le mani se ne stavano chiuse a pugno lungo le gambe.
“Presto mi colpirai con un pugnale?”, chiese il ragazzo, guardandola con insistenza e cercando di nascondere un tremore nella voce, resa ancora più rauca.
Lyla alzò la testa di scatto, fissando il vetro della macchina in cui erano seduti, mentre tutti gli altri erano andati via e lui l’aveva trattenuta, incurante dei presenti per assicurarsi che stesse bene, ma lui aspettava solo il momento esatto per la sua ramanzina.
Non riusciva a rispondere. Forse lo avrebbe fatto, forse no…non dipendeva certo da lei.
“No”, rispose poi, riuscendo a capire la poca convinzione di quella risposta improvvisata.
“Non sembri convinta”, la riprese Isaac con un sorriso amaro. “La verità è che ci provi gusto, riesco a sentirlo. Non sei tu e ti va più che bene, non vuoi tornare indietro”.
“Cosa?”, berciò Lyla, volgendo il viso ancora sconvolto verso Isaac.
“Questa non sei tu”, continuò Isaac. “Hai perso te stessa, basta guardarti”.
Lyla non voleva sentire un’altra parola simile uscire da quella bocca. Isaac aveva consapevolmente deciso di lasciarla sola per ben quattro mesi e dopo tutto quello che era successo, il suo diritto di sapere “quanto lei fosse se stessa” era pari a zero.
“Credi di essere nella posizione di dire questo?”, domandò Lyla, inclinando la testa. “Credi di poter parlare così dopo quello che è accaduto? Non sai più nulla di me, Isaac. Hai deciso tu stesso di non saperlo, di volertene lavare le mani, sei andato via”.
“L’ho fatto per proteggerti!”, ribattè lui immediatamente e cercando con uno sguardo disperato che mai gli aveva visto di far valere le sue ragioni probabilmente assurde.
“Ti sembro al sicuro e protetta?”, chiese Lyla, sentendo ogni fibra del suo corpo che andava sempre più a fondo, come trascinata sott’acqua da qualcosa di pesante…le sue parole.
Isaac lo aveva promesso e aveva chiaramente fallito: doveva restare fuori, non trasformarsi una ragazza completamente diversa da quella che era arrivata a Beacon Hills, portando il sole nella sua vita buia e resa gelida dalle pareti del freezer. Se suo padre l’avesse vista, non l’avrebbe riconosciuta e avrebbe incolpato lui, perché era colpa sua se Lyla era diventata quella che non era realmente. Era colpa sua se Lyla aveva imboccato lo stesso sentiero oscuro e senza via di scampo che aveva scelto anche Allison tempo fa.
“No, mi sembri in cerca di guai” rispose lui. “Di tua volontà”.
Lyla non riusciva ancora a credere ciò che stava sentendo da Isaac ma nemmeno a dargli torto e il tutto aveva un fastidioso ascendente su di lei, perché Isaac aveva sempre fatto parte della sua vita in qualche modo, senza mai abbandonarla davvero come avrebbe voluto. C’era sempre stato e forse anche prima che lo conoscesse. Non sembrava che aspettare che lei arrivasse, come se avesse il disperato bisogno di qualcuno come lei nella sua vita. Proprio per quello e per tantissimi altri motivi, Lyla non riusciva ad assorbire quelle parole e si sarebbe presa a schiaffi, solo per smettere di darci così tanto peso, ma non poteva fare diversamente. Isaac era un campo gravitazionale da cui lei era inesorabilmente attratta e per quanto si sforzasse non riusciva ad allontanarsi del tutto da lui perché il filo che li legava era troppo saldo per essere rotto. Era proprio quel legame a rendere il tutto ancora più doloroso, a provare una voragine al centro del suo petto che non avrebbe colmato mai.
“Hai spianato tu stesso questa strada per me”, disse improvvisamente lei con la voce bassa ridotta quasi ad un sibilo e gli occhi vacui a fissare il cruscotto della macchina. “Sei stato tu a far sì che tutto questo accadesse, sei stato tu a…”.
“No! Io avevo promesso a tuo padre che saresti stata al sicuro”, quasi urlò Isaac soffocando un ringhio e rendendosi subito conto di ciò che aveva detto, sgranando gli occhi azzurri e puntandoli immediatamente in quelli lei che lo fissava sgomenta.
Il chiarore dei suoi occhi era ancora più evidente e Lyla dovette riflettere qualche secondo per rendersi conto di ciò che aveva sentito, sprofondando maggiormente in quell’azzurro che la stava uccidendo piano e quello era appena stato il colpo di grazia.
Improvvisamente, tutto cominciò ad avere più senso. Aveva sospettato che Isaac stesse facendo tutto per evitare che Lyla sorbisse lo stesso destino di suo padre ma non immaginava che dietro ogni cosa ci fosse una promessa…una stupida promessa, per di più.
Si sentiva tradita anche più di prima, con la voragine al centro del petto che si allargava sempre di più, trasformandola in un buco nero vivente.
Lyla trovò il coraggio di rivolgergli un ultimo sguardo, asciugandosi subito una lacrima che aveva osato sfuggire al suo controllo, sperando che lui non l’avesse vista.
“Allora continua pure a mantenere la tua promessa”, esclamò con tono gelido. “Sembra che ti riesca fin troppo bene”.
Aprì la portiera e corse alla sua macchina, scappando da lì mentre Isaac scendeva senza però trovare il coraggio necessario per correrle dietro. Rimase immobile a guardarla andare via con le braccia abbandonate lungo la sua figura mentre Lyla sfrecciava via.
Non c’era nulla a tener loro compagnia, soltanto l’acqua che si era abbattuta violentemente sull’asfalto e su di loro, sommergendoli quasi fino a soffocarli.
Isaac si era ritrovato così tante volte sotto la pioggia a guardare un futuro che gli veniva negato che ormai non ci faceva neanche più caso. L’acqua era una componente fissa dei suoi momenti peggiori: la notte in cui aveva detto addio a suo padre pioveva a dirotto e lui era lì, morto in quell’acqua in cerca di una risposta sensata; la notte in cui Derek lo aveva mandato via dall’unico luogo che aveva considerato come casa, si era incamminato verso l’unico luogo in cui avrebbe potuto trovare aiuto, incurante dell’acqua che gli si abbatteva addosso; quella notte, guardava Lyla andar via e gli sembrava di sparire, inghiottito da quell’acqua assassina che aumentava, superando il busto e il suo collo.
Lyla, intanto, si soffermò solo per un attimo sullo specchietto retrovisore, notando Isaac fermo che la fissava, per poi tornare a puntare lo sguardo sulla strada bagnata.
Gli occhi di lui non erano più acqua in cui immergere beatamente le dita, ma due pozze senza fondo in cui veniva trascinata con forza, impedendole di respirare e portandola sempre più giù. La voglia di impedire a tutta quell’acqua di entrare fino a soffocarla era così forte da farle esplodere la testa, come era successo poco fa mentre lui parlava.
Forse alla fine avrebbe smesso di far male.
 
 

Angolo dell’autrice
 
  • (1) "Credo di aver avuto un piccolo attacco di cuore", frase di Stiles fedelmente ripresa dalla 3x13;
  • (2) la parte finale riprende il discorso di Stiles sull'apnea volontaria della puntata 2x12.

Eccomi qui con il nuovo capitolo. Un giorno di ritardo…sto migliorando almeno :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio come sempre tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate, siete tutti gentilissimi. Fatemi sapere cosa ne pensate, anche con un commento piccino piccino.
Alla prossima, un abbraccio!
 

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Capitolo 12
*** XI - The girl who tries to run with wolves ***


XI
 
The girl who tries to run with wolves

 
“I awoke only to find my lungs empty and through the night, so it seems I'm not breathing.
And now my dreams are nothing like they were meant to be,
And I'm breaking down, I think I'm breaking down”.
(City & Colours – Sleeping sickness)
 
Il cielo sopra Beacon Hills era limpido, con sprazzi di luce che illuminavano le strade…proprio come dopo una violenta tempesta. Lyla girò le chiavi nella porta e la aprì, cercando di fare meno rumore possibile. Quando si trovò nel soggiorno di casa sua, si accorse di una figura completamente addormentata sul divano, con un raggio di sole che gli illuminava il volto: Wyatt. Il ragazzo si mosse leggermente e Lyla impallidì ma fortunatamente si sistemò soltanto alla ben meglio sul divano. Aveva dormito lì tutta la notte per aspettarla? A coprirlo c’era soltanto un plaid troppo piccolo per lui e forse stava congelando, visto il freddo di quella notte.
Lyla, cercando di non svegliarlo, salì al piano di sopra per prendere una coperta e, tornata di sotto, la adagiò su di lui, che si spostò, sentendo probabilmente una nuova fonte di calore. La ragazza allontanò subito le mani, dopodiché si recò un cucina per bere un po’ di caffè. Il suo aspetto non era dei migliori ma per fortuna non c’era niente che potesse portare qualcuno a pensare che aveva affrontato un licantropo. Quella notte era stata sicuramente movimentata e le parole di Isaac erano ancora reali e consistenti nella sua mente.
L’aveva letteralmente accusata, lanciandole parole come fossero freccette e lei un semplice tiro al bersaglio.
Con quella discussione Isaac, dopo aver scagliato frecce su diverse parti del suo corpo, aveva finalmente colpito il centro: il suo cuore, portandola a fare i conti con una parte di sé che aveva tentato ignorare. Aveva promesso a sé stessa che non sarebbe diventata come Allison, invece, sembrava aver intrapreso proprio quella strada. Già Stiles le aveva fatto notare di come quella ragazza che vedesse ogni giorno non somigliasse per niente alla Lyla che aveva conosciuto. Allora, lei non gli aveva dato ascolto perché era convinta che si sbagliasse, ma ora che anche Isaac aveva appoggiato quella teoria, aggiungendo anche un dettaglio che faticava ad accettare, Lyla si sentì terrorizzata.
Quelle parole l’avevano scalfita, fino a farla piangere mentre ritornava a casa: mani sul volante e occhi colmi di lacrime che si confondevano con le gocce di pioggia ancora sul suo viso. Lyla l’aveva sentita…la voglia di porre fine alla vita di Kali e per quanto una parte di sé fosse certa del fatto che era giusto, l’altra le urlava l’esatto contrario. Uccidere Kali cosa le avrebbe portato? Di certo, non avrebbe fatto tornare in vita suo padre, ma c’era quel desiderio di vendetta dentro di lei difficile da sopprimere. Era troppo forte e troppo grande, si era radicato dentro di lei, come tanti fili che avevano percorso il suo corpo, legandosi attorno alle sue membra, fino ad ottenebrare il cuore e il cervello, in modo che non ci fosse spazio per altro se non per la vendetta. Non riusciva ad allontanarlo e la voglia di lottare, di impugnare la sua daga per fare del male a chi lo meritava era uscita allo scoperto, richiamata dalla voce di Isaac. Lyla approvava quella parte di sé, in lei non c’era alcuna voglia di allontanarla. Non aveva neanche provato a chiudere quella parte di sé in una porta all’interno del suo cuore…l’aveva socchiusa, lasciando la strada spianata.
Non si era sforzata, perché voleva che uscisse fuori. La faceva sentire forte, potente…in grado di correre insieme a lupi e non restare indietro come una semplice ragazza, ma più andava avanti, più si accorgeva che il suo sforzo non funzionava alla perfezione.
Isaac l’aveva fatta sentire un mostro ma lei non si riconosceva in quella parola: era solo una persona stanca di stare a guardare tutte quelle vicende da una finestra. Allora perché aveva pianto, sentendosi ferita da quelle parole?
Dov’era finita la Lyla che aveva baciato Isaac durante una notte di pioggia, dopo avergli disinfettato le ferite?
Dov’era la Lyla che si era precipitata al suo nascondiglio e l’aveva baciato in un moto di disperazione per cercare di farlo rinsavire?
Dov’era la Lyla che era corsa negli spogliatoi solo per assicurarsi che Isaac stesse bene?
Non riusciva a vedere più quella Lyla, perché al suo posto ce ne era un’altra: una ragazza che le dava la schiena e teneva il viso rivolto verso di lei solo in parte, mentre i suoi occhi erano bassi, le mani strette a pugno e una di loro teneva una daga fra le dita.
Quella ragazza era un’ombra che tentava di divorarla disperatamente, annullando tutto ciò che fino ad allora l’aveva resa simile alla Lyla di un tempo. Forse avrebbe davvero infilzato Isaac con un pugnale, se ne avesse avuto l’occasione. Desiderava con tutta sé stessa che suo padre fosse ancora vivo. Chiuse un attimo gli occhi, ricordando i suoi abbracci confortanti che le donava ogni volta che ne aveva bisogno, le sue parole sagge che l’avevano aiutata più volte a risolvere qualche problema. Sorrise impercettibilmente: riusciva a immaginare perfettamente la sua figura come se fosse accanto a lei. Perché aveva chiesto ad Isaac una promessa del genere?
Perché gli aveva chiesto di tenerla lontana, pur sapendo che lei non ne sarebbe stata felice?
Era certa che suo padre desiderasse solo il suo bene e forse non concepiva il pensiero di lei morta per mano di un licantropo ma doveva immaginare che le cose non sarebbero andate per il meglio. Se la sua reazione a quella scoperta era stata impulsiva, ora Lyla riusciva a capire almeno un po’ la situazione compromettente e spiacevole in cui Isaac era stato messo con forza. Per lui era facile provare rimorso, e non voleva avere suo padre sulla coscienza. Eppure, quella situazione assurda poteva essere risolta in tanti modi. Isaac poteva scegliere di parlare con lei ma aveva deciso di non farlo, aveva optato per le bugie e il silenzio.
Diede uno sguardo a Wyatt che ancora dormiva, senza farsi disturbare dalla luce che entrava dalla finestra, e sorrise leggermente. Quel ragazzo era incredibile. Non riusciva a decifrarlo eppure era lì sul suo divano quando sarebbe potuto essere tranquillamente nel suo letto ma aveva deciso di restare per qualche motivo. Aveva ricevuto gesti del tutto diversi: da un lato, c’era Isaac, furioso con il dito puntato contro il suo; dall’altro, c’era Wyatt, scomodo e al freddo sul divano del suo soggiorno. Bevve un altro sorso per darsi calore, e continuò a scrutare il suo viso: l’espressione sembrava impensierita e le sopracciglia erano corrugate, come se stesse sognando qualcosa di brutto, come se fosse in ansia. Non era per niente rilassato e il suo sonno non doveva essere fra i più tranquilli.
“Tesoro, sono a…”.
Lyla corse subito all’ingresso e fece segno a sua madre di stare zitta, indicando Wyatt che ancora dormiva sul divano, così Candice si ammutolì all’istante e si recò in cucina, gettando un occhio al ragazzo che aveva occupato il divano di casa sua.
“Mi sono persa qualcosa?”, domandò la donna, poggiando la borsa sul tavolo.
“Non ne ho idea”, esclamò lei, scrollando le spalle e sorseggiando il caffè, beandosi di un po’ di calore. “Sono stata con Allison e quando sono tornata…lui era lì”.
Candice assunse un’espressione dubbiosa e guardò ancora una volta Wyatt per poi scrutare sua figlia che continuava a bere, evitando il suo sguardo indagatore.
“Ho la sensazione che stesse aspettando te”, dichiarò all’improvviso, rischiando di far andare la bevanda di traverso a Lyla che cominciò a tossire.
“Lo hai visto un paio di volte e fai deduzioni assurde?”, chiese la ragazza in tono ironico.
Candice emise una leggera risata, notando il fastidio latente di sua figlia che, come al solito, tendeva a negare l’evidenza anche quando questa era sotto il suo naso. Proprio come faceva suo padre: insuperabile nelle sue indagini ma quando si trattava di notare le cose più ovvie e che, soprattutto, avevano a che fare con i sentimenti, si trasformava in un vero e proprio tonto. Lyla era esattamente come lui su questo. Per quel motivo, ogni volta che la guardava non poteva far altro che sorridere, ritrovando qualcosa dell’uomo che aveva amato.
“Non è difficile”, continuò la donna, mettendosi a sedere e versandosi del caffè. “Quel ragazzo è decisamente preso da te…non potresti dargli una possibilità?”.
Lyla non rispose subito, sorpresa dalla domanda diretta che nessuno le aveva rivolto, nemmeno lei stessa. Wyatt non faceva altro che punzecchiarla e lanciarle segnali che lei non voleva cogliere, ma non si era mai effettivamente chiesta se potesse valutarlo come altro.
“Non credo di averci mai pensato”, disse con sincerità, senza alzare lo sguardo verso sua madre. “E non ho intenzione di iniziare adesso, a dirla tutta”.
Candice alzò gli occhi al cielo. “Un nuovo inizio non è tanto male, se ci pensi”.
Lyla fissò sua madre prima di sospirare. Il suo primo nuovo inizio l’aveva portata verso Isaac quindi non poteva dire con esattezza quanto fosse stato piacevole. Il suo nuovo inizio a Beacon Hills l’aveva portata a chiedere indicazioni ad un ragazzo qualunque nel corridoio del liceo e non poteva certo immaginare cosa quel ragazzo sarebbe diventato per lei.
Forse non doveva incappare in quella situazione. Forse non avrebbe mai dovuto mettersi a correre insieme ai lupi, bensì fermarsi e camminare al fianco di chi sarebbe stato al suo fianco, e quel qualcuno sembrava stesse dormendo proprio sul suo divano.
 
Isaac riprese familiarità con il proprio corpo dopo poco tempo. Riusciva ancora a sentire uno strano senso di intorpidimento lungo la colonna vertebrale che lo fece alzare a fatica, cercando di regolarizzare il respiro. Guardò alle sue spalle, notando Allison con il polso ancora incatenato e il viso sconvolto con gli occhi persi ad osservare il vuoto.
Sembrava sotto shock e Isaac poteva sentire le pulsazioni di lei come fossero le sue: Allison non riusciva a calmarsi dopo ciò che era appena accaduto e restava immobile con gli occhi rivolti verso la porta del caveau ancora aperta con la speranza vana di intravedere suo padre che varcava quella soglia, stringendola e dicendole che era tutto finito.
Isaac si alzò e si affrettò a toglierle quelle manette, cosa che gli risultò più difficile del solito; ma non appena riuscì a liberarla, Allison iniziò a dimenarsi come se fosse in preda ad una serie di convulsioni. Cominciò a spingere via Isaac in maniera poco convinta, come se volesse allontanarlo quanto avvicinarlo a sé per trovare un conforto che sapeva di aver perso ma lui non le permise di andare via. Lei gli strinse il braccio, osservando il pavimento. Respirava a fatica, il cuore batteva all’impazzata, mentre la sua mente le stava certamente mostrando il corpo insanguinato e privo di vita di suo padre messo in bella mostra in uno dei tanti luoghi significativi per Jennifer.
“Perché l’ha fatto?”, chiese lei più a sé stessa che a lui, senza guardarlo.
“Non lo so. Dobbiamo andarcene, ok? Abbiamo bisogno di aiuto”, rispose Isaac continuando a scrutarla ma Allison rimaneva impassibile, ancora immersa nel vortice di sangue e dolore che si stava abbattendo anche sulla sua famiglia, sull’unica persona che le era rimasta e che non poteva perdere. Non sarebbe rimasto più nulla degli Argent.
La presa di Allison si fece più forte, come se si stesse aggrappando a lui con tutta sé stessa per non cadere nel pozzo senza fondo che si stava formando sotto i suoi piedi.
Sembrava avesse bisogno di lui per tenersi su, per restare in bilico il tempo necessario per tornare su un terreno sicuro. Isaac non l’aveva mai vista in quello stato.
“Allison, dobbiamo andare”, continuò lui, strattonandola senza risultato, poiché Allison sembrava completamente in trance, incurante di ciò che la circondava.
Non l’aveva mai vista così debole e spaesata, non conosceva quel lato di Allison.
Quando lei trovò la forza di guardarlo negli occhi, Isaac dovette prendersi un momento per realizzare, perso nei suoi occhi lucidi e completamente spauriti. Quella non era la stessa Allison che lo aveva attaccato tempo fa. Non c’era niente della cacciatrice vendicativa negli occhi in cui si stava specchiando in quel momento. Ogni ricordo, ogni trascorso negativo che li aveva visti protagonisti sparì all’improvviso, sostituito dal desiderio di Isaac di stringerla con tutto sé stesso, permettendole di trovare rifugio fra le sue braccia.
“Moriranno tutti, vero?”, domandò Allison con una voce così rotta e roca che Isaac si sentì sprofondare ancora di più, perché non aveva idea di come farla sentire meglio.
Voleva dirle che sarebbe andato tutto bene, che non doveva smettere di sperare ma come poteva quando suo padre si era offerto come sacrificio e lui non sapeva se ne sarebbero usciti tutti illesi? Come poteva consolare qualcuno che, in fin dei conti, non voleva e non poteva essere consolato? Isaac lasciò perdere le domande alle quali non sapeva dare una risposta precisa e si limitò a darle conforto nel modo migliore che conosceva, cioè stringendola forte a lui. Allison si abbandonò completamente fra le sue braccia, affondando il viso nel suo petto e portando nuovamente lo sguardo verso la porta mentre Isaac poggiava il mento sulla sua fronte e le carezzava i capelli, beandosi del suo profumo. Allison sapeva di fiori, di muschio e ogni volta che le stava vicino, una sensazione di freschezza lo inondava.
Per un breve momento, Allison aveva bisogno di essere protetta e Isaac voleva farlo, voleva stringerla, voleva lasciarla piangere…come non aveva fatto con Lyla.
 
 
Lydia si separò velocemente da Stiles, gettando uno sguardo preoccupato prima a lui e poi all’uomo alto che gli si stava avvicinando, e cercando di non pensare al bacio che si erano scambiati poco fa. Non c’era tempo per preoccuparsi di cose del genere, in quanto avevano ben altro da risolvere ma una voce appena udibile nella sua testa tentava di portarla in quella direzione. Fra tutte le cose da fare, lei lo aveva baciato senza riflettere troppo e lo aveva calmato, lo aveva salvato. Quel contatto, anche se breve e stabilito in circostanze tutt’altro che piacevoli, era stato intenso e Lydia poteva ancora sentire la consistenza delle labbra sulle sue. In tutta la sua vita, non avrebbe mai immaginato di baciare Stiles Stilinski, il ragazzino logorroico che aveva una cotta per lei dalla terza elementare. Solo che lui, ormai, non era più quel ragazzino…ma lei meritava davvero tutto quello che lui aveva da offrire? Se Jackson fosse stato lì con loro, forse avrebbe riso…se lei fosse stata ancora insieme a lui, avrebbe certamente riso anche lei ad un pensiero del genere.
Adocchiò Lyla accanto al suo armadietto e l’afferrò per un braccio senza troppe cerimonie, mentre la ragazza la osservava stranita e cercando inutilmente di opporsi all’amica.
“Tu ed io”, esclamò Lydia con tono autorevole. “A casa di Derek”.
Lyla, stupita dalla voce ferma di lei, non se lo fece ripetere due volte e smise di fare resistenza, uscendo dalla scuola insieme a lei e pensando che, una volta giunte a destinazione, avrebbe sicuramente capito cosa diamine stesse succedendo.
 
“Quindi…”, cominciò Lyla, massaggiandosi il mento con aria pensierosa. “Tu hai rischiato di far uscire fuori di testa Lydia per tornare in vita?”.
“Per caso lei ha qualche legame di sangue con Stiles?”, domandò Peter, rivolgendosi sia a Derek che a Lydia che gli gettarono uno sguardo poco amichevole. “Perché credo davvero che siano parenti. Mi danno sui nervi allo stesso modo”.
“Simpatico”, esalò la ragazza con sarcasmo. “Per favore, potete ucciderlo di nuovo?”. (1)
Peter sorrise e allargò le braccia, come per dire “io l’avevo detto”.
Derek gli dedicò uno dei suoi sguardi di fuoco e si diresse verso il letto dove giaceva Cora, mentre Lydia incrociò le braccia al petto con fare nervoso, vista l’inutilità della loro visita che non aveva portato niente, né per loro, né per i genitori dei loro compagni.
“Come sta?”, chiese Lyla, posizionandosi di fianco a lui e osservando la piccola Hale ancora più pallida rispetto all’ultima volta che l’aveva vista.
“Non migliora”, esclamò Derek senza voltarsi con lo sguardo che diventava sempre più cupo e pensieroso del solito.  Teneva molto a lei, e l’idea di perderla ancora una volta lo stava portando sull’orlo del precipizio. Sua sorella era stata data per morta, ma eccola lì…a contatto con una morte che prima non l’aveva colpita e adesso sembrava intenzionata a rimediare, a riparare al suo errore e prendersi una vita che aveva risparmiato.
“Perché lo hai fatto?”, domandò all’improvviso Derek, voltandosi verso Lyla e fissandola con sguardo severo. “Perché hai attaccato Kali l’altra notte? Poteva ucciderti”.
“Io…”, Lyla non riuscì a reggere il suo sguardo scrutatore e troppo profondo per essere affrontato in maniera serena. “Non lo so…volevo che pagasse”.
“Hai rischiato di farti ammazzare”, sentenziò Derek con un tono più calmo che poco gli si adattava ma che risultava stranamente confortante.
“Perché ti importa?”, chiese lei di rimando, sforzandosi di capire perché Derek si preoccupasse per lei. Non era nessuno, e non contava per nessuno. Era solo una ragazza che si sforzava di correre insieme ai lupi, cercando di tenere il passo ma rimanendo ugualmente indietro, quindi perché preoccuparsi per lei e la sua evidente inutilità?
Derek deviò lo sguardo verso Cora e poi lo riportò su Lyla, in attesa.
“A volte mi sembri lei”, dichiarò con sincerità, sfoggiando uno sguardo che lei non aveva mai visto sul suo viso. Insomma, aveva imparato a notare solo sguardi truci e severi sul volto di Derek Hale ma quello che le stava rivolgendo era completamente diverso. “Avete una certa tendenza ad agire di testa vostra, ma guarda cosa è successo a lei solo perché ha tentato di vendicare la morte di Boyd…doveva punire me, in realtà”.
“Derek, non è colpa tua”, si sforzò di rincuorarlo, cercando di ignorare le parole precedenti ma lui non glielo permise e tornò a riprendere ciò che stava dicendo.
“Lo è”, dichiarò, mettendosi del tutto di fronte a lei. “Ma quello che voglio farti capire è altro…guarda il desiderio di vendetta cosa ha provocato, ti stai mettendo in pericolo, Lyla. Uccidere Kali non porterà tuo padre indietro, ti lascerà solo un grande vuoto nel petto che non saresti in grado di colmare e ti renderai conto di cosa hai perso, oltre che te stessa”.
Lyla deglutì, specchiandosi negli occhi verdi di Derek e senza il coraggio di riportare lo sguardo su Cora, perché se l’avesse fatto, avrebbe visto la sua figura al suo posto.
“Lyla, dobbiamo andare”, esclamò Lydia dall’altra stanza con il cellulare fra le mani. “Stiles ci aspetta alla clinica del dottor Deaton”.
La ragazza fissò Derek un’ultima volta senza dire nulla, e nemmeno Derek aggiunse altro, nella speranza che Lyla avesse recepito ciò che aveva tentato di farle comprendere. Cosa le costava capire che forse Derek aveva ragione?
 
 
“Lydia”, esclamò Deaton con voce ferma. “Tu vai con Stiles”.
La ragazza gli rivolse un sorriso dolce, anche se leggermente imbarazzato, e Lyla non riuscì a non sorridere a sua volta, constatando che fra tutto quel dolore, stava nascendo qualcosa di buono...qualcosa di puro, in grado di fornire uno spiraglio di luce in fondo al tunnel.
“E' sicuro?”, domandò Allison. “Insomma, sia io che Scott dobbiamo entrare”.
Lo sguardo di Deaton non aveva bisogno di alcun tipo di spiegazione, mentre i suoi occhi si fermavano sulle figure di Isaac ed Allison vicine.
Lyla sentì chiaramente il suo cuore balzare fuori dal petto e schiantarsi al suolo insieme al ghiaccio che giaceva frantumato sul pavimento. Aveva il coraggio di volgere il suo sguardo soltanto verso Scott e quello che vide non la fece certo sentire meglio: nei suoi occhi erano racchiusi tanti sentimenti, forse troppi e Lyla riusciva a leggere la tristezza, la rabbia e la frustrazione che vorticavano nel suo cuore, rompendolo per cercare di uscire e trovare quella libertà che Scott gli stava negando.
Lyla sentiva tanti sguardi addosso, per poi udire un “Va bene” di Scott, pronunciato con una voce così triste e affranta che lei stessa sarebbe scoppiata a piangere. Cercò con tutta sé stessa di non esplorare i suoi sentimenti, provocati da quel sadico gioco delle coppie, che aveva appena stabilito che Isaac aveva una forte connessione con Allison e che era legato a lei a tal punto da riportarla indietro.
Lyla evitò lo sguardo di Isaac. Lo sentiva sulla sua figura, come una coperta che l'avvolgeva e che lei cercava di scrollarsi di dosso, e sapeva che lui sentiva il cambiamento nel suo respiro. Il silenzio che era calato in quel momento era quasi agghiacciante: gelava il sangue più di quanto potesse fare tutta quell'acqua.
Deaton si fece strada tra i ragazzi, mentre Lyla non faceva altro che chiedersi cosa stesse facendo lì dentro. Sicuramente Isaac riusciva a percepire il suo battito e il suo desiderio di mutilarsi il viso per non far trasparire tutto il dolore che stava sentendo. Non c'erano modi per descriverlo, o almeno non c'erano modi in qualche modo “sensati”. Per Lyla quel dolore era come un'ombra, un'altra cicatrice, un altro ricordo amaro da aggiungere alla lista, un'altra spina attorno al cuore. Ricordava quando da bambina si nascondeva sotto le coperte durante un temporale. Lo avrebbe rifatto volentieri pur di sfuggire a quella mera e lenta tortura, mentre passava fra le due vasche, pestando il ghiaccio attorno ad esse, che altro non era che il suo cuore andato in pezzi, ed evitando Isaac più che poteva, perchè il solo averlo davanti la faceva star male. Avrebbe voluto immergersi in una delle vasche e lasciarsi affondare, smettere semplicemente di lottare e di respirare...forse avrebbe trovato quella pace che tanto agognava. Lei non centrava niente lì. Non era un lupo, non era una banshee, non era Stiles, non era nemmeno una cacciatrice ma solo una ragazza stupida che cercava di correre insieme ai lupi e ad ogni passo non faceva che rimanere indietro con il fiatone e le gambe stanche per i troppi sforzi mentre gli altri andavano avanti. Lyla non si sentiva davvero all’interno di quella stanza, era rimasta fuori a respirare con fatica e a cercare di controllare il dolore. Non era giusto che stesse lì perché  non aveva un ruolo.
Non contava e non valeva niente. Era solo la nuova arrivata all’interno di un gruppo unito da qualcosa che andava ben oltre la semplice amicizia e quella scena la fece sentire ancora più sola di quanto non fosse già. La voglia di piangere era intensa, ma doveva ordinare a sé stessa di non essere egoista. C'erano in ballo cose molto più importanti del suo cuore spezzato, ovvero dei genitori da salvare.
“Lyla!”, esclamò Deaton, riportandola alla realtà. “Aiutami”.
Le rivolse un sorriso, quasi come se avesse percepito la sua espressione devastata, come se avesse intuito che tenerla impegnata in qualcosa la allontanasse da pensieri strani, e la facesse sentire meglio ma era inutile. Si sforzò, solo perché tutti i presenti la fissavano, chiedendosi se sarebbe scoppiata o meno, e così decise di fare almeno il minimo.
Quando Lyla vide il suo riflesso nell'acqua si spaventò: la pelle era così bianca da farla sembrare un cadavere, mentre gli occhi erano lucidi e rossi, stanchi di trattenere le lacrime che lei aveva ricacciato indietro con tutta la sua forza. Per un attimo, Lyla credette che al posto delle lacrime sarebbe potuto uscire tranquillamente sangue.
Nonostante fosse lì ferma con gli occhi rivolti verso l’acqua, le sembrò di sparire poco a poco…stava diventando invisibile. Forse si sarebbe svegliata per scoprire che era stato soltanto un sogno e che lei non era mai arrivata a Beacon Hills, non aveva mai conosciuto nessuno di loro. Era strano ma una parte di lei minuscola e con la voce ovattata voleva che fosse davvero così, forse sarebbe stato meglio e non soltanto per lei.
Stiles, Scott e Allison entrarono nelle rispettive vasche.
Quando furono dentro, si scambiarono sguardi impauriti ma allo stesso tempo carichi di coraggio.
Deaton poggiò le mani sulle spalle di Scott, mentre Lyla immerse le sue braccia nell'acqua per arpionare le caviglie di Scott. Le si gelò il sangue nelle vene a contatto con l'acqua. Il suo battito accelerò e prima che tutti e tre venissero immersi, Scott si voltò verso lei, rivolgendole uno sguardo forse troppo eloquente.
Due cuori spezzati. Due anime rotte.
Due corpi con la voglia di fuggire.
Due macigni sul petto.
Scott le fece un cenno con il capo, come per darle forza, ed era strano, perchè doveva essere lei a tranquillizzarlo, a fargli capire che sarebbe andato tutto bene; invece, sembrava quasi che lo stesse facendo lui. Chi stava per affogare sul serio? Forse stava per immergersi anche lei in quella vasca gelida; forse anche lei stava per ricevere quell'acqua addosso; quella gelida consapevolezza del fatto che forse per Isaac c'era qualcuno e quel qualcuno non era lei; forse stava per capire definitivamente che Allison era in grado di dargli qualcosa che da lei non poteva ricevere; oppure Allison aveva bisogno di Isaac più di quanto ne avesse bisogno lei. Qualunque cosa fosse, faceva già male.
Lyla guardò Scott, il ragazzo che aveva imparato a conoscere, sforzandosi di sorridere e convincersi del fatto che sarebbe andato tutto bene, che tutti si salveranno, compresi i loro genitori e il bene trionferà. Si affannava a ripeterlo nella sua testa...come un mantra.
Stiles volse un ultimo sguardo verso di lei prima di immergersi anche lui in quell'abisso senza fondo, prima di lasciarsi inghiottire da quelle fauci gelide. Nei suoi occhi, Lyla ebbe modo di leggere tutta la disperazione che stava provando ma un debolissimo sorriso gli increspò le labbra.
Il suo fu un sussurro appena accennato, rivolto solo a lei, mentre le labbra pronunciavano un flebile “grazie” che resero gli occhi di Lyla ancora più lucidi. Perchè sembrava che le stesse dicendo addio?
Mentre si immergevano tutti in acqua, Isaac proprio non riusciva a staccare gli occhi da Lyla, chiedendosi se fosse davvero in grado di riportare Allison indietro; ma il suo cuore volgeva altrove...era diretto a Lyla. Non poteva dire o fare nulla, semplicemente restava fermo lì, in silenzio e frustrato, mentre le sue mani sfioravano le spalle di Allison.
 
 

Angolo dell’autrice
 
  • (1) riferimento alla frase detta da Stiles nella 3x02 “Per favore, qualcuno potrebbe ucciderlo di nuovo?”, rivolta a Peter e alla sua “non” collaborazione.
Posso iniziare le note con un sincero "boh"? La lettura mi suscita solo questo commento. Comunque, non sono in ritardo, quasi non mi sembra vero…da un lato, volevo prendermi qualche altro giorno perché sembrava troppo strano per essere vero ma poi ho cambiato idea, visto che il capitolo era in parte già pronto. La parte finale è scritta da parecchio tempo, aspettavo solo di riutilizzarla alla prima occasione. Ho la sensazione che questo capitolo sia tristissimo, ma proprio tanto. Ormai siamo quasi alla fine e non mi sembra vero. Lo avreste mai detto? Un po’ mi dispiace, ma da un lato sono sollevata perché nessuna delle storie scritte fino ad ora mi ha dato così tanto filo da torcere, facendomi addirittura passare la voglia di scriverla…sono costantemente in conflitto con Mirros, è più forte di me. Il prossimo capitolo sarà ovviamente incentrato sulla 3x12 (ma non sarà l’ultimo), intanto posso solo sperare che questo vi sia piaciuto e che non vi abbia fatto venir voglia di linciarmi o di buttarmi addosso qualche ortaggio e ciabatte.
Grazie come sempre a tutti quelli che stanno seguendo la storia.
Alla prossima, un abbraccio :) 

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Capitolo 13
*** XII - Stay awake for me ***


XII
 
Stay awake for me

 
“I wish you'd hold me when I turn my back.
The less I give the more I get back.
Oh your hands can heal, your hands can bruise.
I don't have a choise but I'd still choose you”.
(The Civil Wars – Poison and Wine)
 
Mentre Scott, Allison e Stiles erano intenti a trovare il modo di salvare i genitori, loro, nel frattempo, erano rimasti in silenzio ad attendere i loro risvegli, senza emettere il minimo rumore. Ogni tanto Lydia spostava il suo sguardo da lui a Deaton, soffermandosi su Lyla che era rimasta con la schiena appoggiata al muro e le gambe distese sul pavimento.
Il suo sguardo era stato rivolto verso il basso per tutto il tempo, ad un tratto si era anche appisolata e lui non aveva perso di vista il minimo movimento, ma lei non si era neanche disturbata a fulminarlo con gli occhi. In quella lunga attesa, sembrava tutto più interessante di lui...non che si aspettasse di sentire qualche parola, ma una minuscola parte di Isaac si era illusa che durante tutte quelle ore avrebbero potuto parlare.
L'unico problema era che, forse, c'era ben poco da dire: il gelo aleggiava in quella stanza, e Isaac ricordava chiaramente lo sguardo di tutti i presenti al momento della “verità”. Gli sguardi di Scott e Lyla erano come un'accusa di omicidio...un omicidio di cui lui era stato sicuramente complice.
Aveva contribuito al dolore di due persone a lui care, e non aveva fatto niente per evitarlo: era solo rimasto fermo, in silenzio, e con gli occhi bassi a subire una scelta che lui non aveva fatto, ma che qualcun altro aveva compiuto al suo posto. Non era stato lui a stabilire che poteva riportare indietro Allison e poteva dire con certezza che in una situazione inversa non sarebbe andata in quel modo: aveva già avuto occasione di scoprire che, se lui fosse stato al posto di Allison, ci sarebbe stata solo una persona in grado di riportarlo a galla e niente avrebbe potuto cambiarla. Eppure, lui si era fatto ingannare da un sentimento nuovo che di vero aveva poco. Odiava giustificarsi nella solita maniera: “sono un adolescente e non rispondo sempre delle mie azioni”. Non voleva scagionarsi in quel modo e, soprattutto, non poteva. Sarebbe stato facile nascondersi dietro una di quelle frasi fatte e paradossalmente vecchie che gli venivano spesso propinate.
Quelle non erano spiegazioni ma soltanto menzogne celate dietro un velo di realtà: erano un modo gentile per alleggerire il carico, per non ferire troppo la persona interessata, cercando di trovare una spiegazione plausibile e adatta a giustificare gesti che, purtroppo, non potevano essere motivati. Isaac si era fatto trarre in inganno da un misto di sensazioni completamente diverse da quelle che aveva provato fino ad allora.
Si era fatto trascinare da qualcosa di nuovo, che aveva poco a che fare con tutto ciò che gli aveva dato Lyla, finendo in un vortice sconosciuto che lo aveva fatto sentire l'essere più terribile sulla faccia della terra. Gli sguardi che si erano posati su di lui erano carichi di delusione e di odio, e Isaac non voleva che i suoi unici amici lo fissassero come se fosse un traditore.
Non voleva sentirsi colpevole. Non voleva rinunciare a tutto ciò che aveva ottenuto per una stupida “cotta” insensata e ingiustificata ma c'era qualcosa in Allison che lui ammirava. Non aveva ancora avuto modo di capire con esattezza cosa fosse, ma lei semplicemente lo attirava.
Allison era come una certezza in quei giorni in cui Lyla era così lontana da fargli male.
Era stata un po' come uno scoglio a cui Isaac poteva aggrapparsi.
Solo che non aveva considerato il dolore che poteva causare: quei sentimenti avevano fatto del male a tutti i suoi amici.
I loro sguardi erano come marchi impressi a fuoco sulla sua pelle, e in quell'attimo tutti i momenti condivisi insieme gli erano passati velocemente davanti agli occhi, come per fargli comprendere a pieno quanto non meritasse la loro amicizia. Non meritava l'accoglienza di Scott in casa sua, visto il tradimento che gli aveva riservato; non meritava un letto con lenzuola pulite, gentilmente preparatogli da Melissa; non meritava la compagnia di Stiles, quel ragazzo così fedele a Scott, a differenza sua; non meritava la comprensione di Allison, poichè l'aveva soltanto spinta a trovarsi in una situazione intricata; non meritava nemmeno le poche parole che Lydia gli aveva rivolto; ma soprattutto non meritava Lyla.
Quando l'evidenza, messa in bella mostra da Deaton, l'aveva colpita, Isaac si era concentrato con tutta la sua forza su di lei, su quello che aveva provato ed era stato terribile anche per lui: a Lyla si era mozzato il respiro, il cuore pulsava maledettamente come se potesse esplodere da un momento all'altro. Sembrava in apnea: immersa nell'acqua anche lei in cerca di un soffio d'aria per respirare.
Lyla non doveva subire nulla del genere. Non meritava tutto il male che le aveva provocato.
L'aveva sentita piangere così tante volte che si sarebbe preso a schiaffi; anche mentre aspettavano che i loro amici si risvegliassero, Isaac aveva notato le lacrime che grattavano per uscire ed era stata in religioso silenzio anche dopo i loro risvegli, con le braccia incrociate e l’espressione pensierosa. Era stata accanto a Lydia per tutto il tempo, la quale si voltava spesso a guardarla come per accertarsi che fosse ancora lì tutta intera, come fosse fatta di vetro pronto a rompersi. Come era arrivato a quel punto di non ritorno? Come aveva fatto a farle male in quel modo?
Un rumore proveniente dall’entrata dello studio veterinario richiamò l’attenzione di Deaton e Scott che si sporsero, notando la figura di Ethan.
“Cerco Lydia”, esclamò il ragazzo con una nota particolare della voce…sembrava quasi arrendevole, persino Lyla si stranì nell’accorgersi di lui.
“Cosa vuoi?”, domandò la diretta interessata mentre Isaac ed Allison osservavano la scena da lontano, anche se entrambi sembravano concentrati più su Lyla che su altro.
“Ho bisogno del tuoi aiuto”, rispose il gemello con il volto sempre più preoccupato.
“Per fare cosa?”, Stiles sgusciò da dietro la porta con un’espressione ben poco amichevole sul viso, mentre squadrava Ethan come fosse qualcuno da prendere a pugni.
“Per fermare mio fratello e Kali dall’uccidere Derek”, affermò lui in risposta e attirando maggiormente l’attenzione dei presenti che se prima non avevano minimamente considerato di dargli una mano, adesso sapevano di non avere molte alternative.
Lydia fece un cenno di assenso con la testa e si voltò verso Lyla che era rimasta alle sue spalle accanto a Scott che prese ad osservarla, come se avesse capito le loro intenzioni e con lui anche Stiles. Intanto, Isaac si era alzato per assistere alla scena.
“No, no, no”, cominciò Stiles gesticolando nervosamente con le gocce d’acqua che ancora gli cadevano dalla fronte e capelli scompigliati grazie ai quali sembrava appena sveglio. “Lydia, tu non vai da nessuna parte e tu, Lyla, nemmeno…anzi torni dritta a casa”.
Lyla sapeva che non c’era nulla di divertente in tutto ciò ma si stava seriamente trattenendo mentre osservava Stiles che le ricordava molto un genitore isterico.
“Vi farete ammazzare”, continuò lui, spostando lo sguardo fra le due ragazze che ruotarono gli occhi in risposta alla troppa apprensione, per poi rivolgersi a Lyla. “Tu ci hai provato già troppe volte e non vorrei che questa fosse la volta buona per porre fine alla tua vita”.
“Non lo permetterò”, intervenne Ethan, facendo voltare Stiles. “Non permetterò che una di loro si faccia del male, dico davvero. Le proteggerò, anche se mi dovesse costare la vita”.
Isaac aveva tenuto gli occhi chiari fissi sulla figura di Ethan e nonostante la fiducia verso di lui non fosse molto sentita, riusciva a capire che non stava mentendo ma era davvero intenzionato a proteggere le due ragazze e ad impedire la morte di Derek.
Si voltò un attimo verso Lyla che, non appena si accorse del suo sguardo, lo evitò subito, ritrovandosi a fissare il pavimento e mordendosi le labbra a sangue.
“Andiamo”, esclamò Lydia, sospirando e rendendo evidente la sua agitazione.
Lyla si limitò a fare segno di sì con la testa, mentre Stiles le poggiava una mano sulla spalla.
“Vorrei rivederti domani”, il viso di Stiles era carico di apprensione, come se stesse parlando davvero con una persona che gli stava a cuore, e Lyla gli rivolse un semplice sorriso, cogliendo alla perfezione il senso delle sue parole.
Quello di Stiles era un avvertimento, una raccomandazione che non celava alcun tipo di rancore o di sfiducia, semplicemente la preoccupazione sincera di un amico.
Allison sorrise ad entrambe, cercando di trasmettere loro quanta più fiducia possibile anche se era ancora in preda al gelo di quell’acqua, sperando che andasse tutto per il meglio.
Quando Lyla fece per uscire, seguendo l’amica che già aveva raggiunto Ethan, venne fermata da una presa attorno al suo polso: avrebbe riconosciuto quel tocco fra mille.
“Fai attenzione, ti prego”, la sfiorò Isaac con voce bassa e carezzevole ma rimanendo con le dita saldamente ancorate al suo polso e i corpi a debita distanza l’uno dall’altro.
Lyla volse di poco il capo, giusto il minimo per osservarlo e non disse nulla. Per un attimo, pensò di rispondergli male o in modo glaciale come aveva fatto fino ad allora ma non ci riuscì. Aveva solo voglia di far uscire tutte le sue lacrime, e fra tutto il dolore che sentiva non riusciva a trovare nemmeno un po’ di spazio per la rabbia. Forse ne aveva provata così tanta nell’ultimo periodo che non era più in grado di provarla, come se avesse perso sensibilità.
Il suo cuore si era ristretto da quando Isaac era andato via e sembrava capace di fare spazio solo ad un sentimento alla volta: il turno della rabbia era finito, adesso era il momento della tristezza, di quella tristezza che si faceva sentire a tarda notte quando le sue difese erano abbassate e una piccola parte di lei desiderava che Isaac la stringesse fino alla mattina.
“Anche tu”, rispose semplicemente lei, lasciando in sospeso quella carezza che Isaac le aveva donato con la sua voce. Fece scivolare via il polso non con uno strattone, bensì con una delicatezza che ad Isaac sembrò disarmante, al punto che continuò a tenere le dita ferme, come per ricordare nuovamente la consistenza della sua pelle morbida e desiderando che non andasse mai più via da lui.
 
Il loft di Derek era buio e meno accogliente del solito, e Lyla se ne stava in piedi fra Lydia e Ethan che ogni tanto si voltavano, permettendo a tutti loro di scambiarsi sguardi ansiosi.
Non avevano detto molto da quando erano arrivati, si erano limitati a guardarsi in silenzio come per rincuorarsi a vicenda. Fra tutti, Lyla non avrebbe saputo dire chi fosse il più nervoso…forse Lydia, visto il tic che aveva colpito la sua gamba destra e il fatto che ogni tanto cominciasse a muoversi per la stanza con le braccia incrociate.
Lyla sospirò, in attesa dell’arrivo di Kali. Non aveva pensato a cosa avrebbe fatto, l’unica cosa importante era stato permettere a Derek e Cora di scappare ma doveva ricordarsi che a breve si sarebbe ritrovata di nuovo faccia a faccia con uno dei suoi demoni personali.
Un rumore improvviso la fece sobbalzare, notando la figura di Kali che si faceva largo nel loft, squadrandoli con aria minacciosa e le labbra piene ridotte ad una linea dritta.
“Dov’è?”, berciò con voce ben poco propensa ai convenevoli, accorgendosi anche di Lyla che la fissava assottigliando lo sguardo. “Oh guarda, ci sei anche tu…vuoi il secondo round?”.
La ragazza non rispose, se fosse stata un lupo le avrebbe certamente ringhiato contro.
“Credo che abbia detto che era uscito a fare un po’ di shopping”, soffiò Lydia, molleggiando sulle gambe, e spostando lo sguardo prima su Ethan e poi su di lei. “Sbrigare qualche faccenda, un normale pomeriggio da lupi mannari?”.
“Ma con chi credi di parlare?”, domandò Kali cominciando a muoversi come un predatore intento a saltare addosso alle sue prede, mentre Aiden era immobile con i pugni stretti.
“Con qualcuno che ha un disperato bisogno di un pedicure”, snocciolò lei, indurendo la mascella e osservando la donna con una certa supponenza, strappando un sorriso a Lyla ma non ad Ethan, che sembrava sempre più ansioso. “Sarei felice di consigliarti qualcuno”.
Quando il fastidio di Kali sembrò aumentare per l’arroganza di Lydia, il viso della licantropa cambiò espressione mentre il suo corpo si irrigidiva a causa della reazione immediata di Aiden che aveva iniziato a ringhiare sommessamente, come per intimare a Kali di non sfiorare neanche un capello a Lydia.
“Ma davvero?”, lo schernì lei facendo qualche passo verso il ragazzo. “Qualcuno avrà preso troppo sul serio quel piccolo incarico?”.
“Non è lei il problema”, si difese Aiden dopo aver osservato intensamente Lydia che, in risposta, aveva spostato lo sguardo per non incrociare i suoi occhi.
“Forse il problemi è dove risiede la tua lealtà”, ribattè Kali con voce dura.
Lyla deglutì, fiutando la tensione all’interno del loft che si faceva sempre più pesante e opprimente fino a togliere il respiro, e stringendo i pugni.
“Oddio”, aggiunse Lydia. “La cosa sta per farsi molto violenta?”.
“Probabilmente sì”, rispose Ethan senza staccare gli occhi da suo fratello.
Come se la situazione non fosse abbastanza critica, il vetro sopra le loro teste venne frantumato dall’entrata in scena di Jennifer, ed Ethan spinse via lei e Lydia, per far sì che i pezzi di vetro non le sfiorassero neanche di striscio. Mentre Lydia rovinò a terra fra le braccia del gemello, Lyla si mise in allerta accanto all’amica, e osservando l’espressione sgomenta di Kali in contrasto con quella sicura di Jennifer.
“Allora”, cominciò Jennifer alzandosi in piedi. “Chi vuole essere il primo?”.
Nel guardare le due donne che si fronteggiavano con sguardi più taglienti e affilati di una lama, Lyla non riuscì proprio a dire chi fra le due fosse il male minore.
Quando entrambe cominciarono a combattere, e Kali finì in poco tempo sul pavimento a causa della forza sovrumana di Jennifer, sia Ethan che Aiden si scagliarono su di lei ma prima che potessero trasformarsi, lei li divise brutalmente, scaraventandoli lontani l’uno dell’altro per riconcentrarsi su Kali che, nel frattempo, si era rialzata.
Cominciò un secondo scontro che non durò molto, e Kali appariva seriamente intimorita dalla donna che aveva dinanzi, consapevole della sua superiorità ben evidente.
Lyla e Lydia rimasero ferme ad osservare la scena, mentre Jennifer si rivolgeva a Kali, con gli occhi carichi di avversione e guardandola come fosse il suo carnefice. Jennifer si considerava una vittima, pronta a vendicarsi per ciò che aveva subito.
Lyla si allontanò da Lydia e tentò invano di fermare Jennifer, avventandosi su di lei e ignorando le proteste immediate di Lydia, ma lei non la colpì forte come credeva avrebbe fatto, anzi, le immobilizzò il braccio senza farle troppo male e le sorrise con una strana quanto inquietante complicità. La ragazza la fissò, immaginando il suo volto reale.
Jennifer continuò a tenerla ferma, impedendole di liberarsi per la stretta così forte che avrebbe potuto tranquillamente perforarle la carne con le dita lunghe.
“Cosa stai facendo?”, domandò Jennifer con voce così bassa e ambigua che le ricordò vagamente il sibilo di un serpente pronto a colpire. “Ti avventi su di me, sul serio?”.
Lyla sentì chiaramente il suo cuore accelerare immediatamente a quell’affermazione: aveva cercato di fermare Jennifer ma non certo per difendere Kali, solo perché le era sembrata l’unica cosa giusta da fare al momento. Cosa credeva? Credeva che avrebbe fatto il tifo mentre loro lottavano a sangue, incitandola a far fuori Kali nel migliore dei modi?
“Vorrei ricordarti che proprio lì c’è la responsabile”, continuò senza aspettare che Lyla dicesse qualcosa perché sapeva che sarebbe rimasta in silenzio ad ascoltarla.
Jennifer sembrava intenzionata a trattare entrambe come due leoni in un’arena pronte a scontrarsi solo per il suo divertimento personale.
“Vuoi davvero invogliare questa ragazzina a farmi fuori?”, chiese Kali, inclinando la testa da un lato e accennando un sorriso sardonico che fece ribollire il sangue di Lyla.
Quel gesto bastò a farla scattare, cosa che Jennifer aveva subito notato, in quanto le lasciò il braccio permettendole di sferrare il primo colpo a Kali che sgranò gli occhi in risposta.
Jennifer le guardava sorridente e decise di dare un piccolo aiutino a Lyla, allungando la mando e fiondando Kali contro il muro come aveva già fatto prima. In quel modo, la ragazza si ritrovò proprio con la licantropa alla sua mercé e la daga puntata di nuovo sul suo collo, senza sapere come fosse successo. Era accaduto tutto così in fretta che faticava a realizzare. Kali serrò le labbra e cominciò a respirare affannosamente, senza provare a liberarsi da quella morsa e incastrando i suoi occhi in quelli di Lyla.
“Forza, fai quello che desideri”, la incitò con un ringhio.
“Solo qualche centimetro, Lyla”, dichiarò Jennifer, girandole attorno e facendo segno a Lydia di non muoversi poiché la ragazza sembra intenzionata a fare qualcosa. “Fallo. Fallo per noi e per tutti coloro che sono stati loro vittime. Fallo per tutto il sangue che hanno versato. Tu sei una vittima, Lyla…proprio come me. Ti basta poco per realizzare quello che desideri. Puoi vendicare tuo padre e l’azione di Kali non rimarrà impunita”.
Lyla non disse nulla, ma continuò a tenere la daga sulla gola ben esposta di Kali e con uno scatto repentino lo fece avanzare, pronta a tagliarle la giugulare. Si voltò un attimo verso Jennifer che la fissava con aspettativa e con un sorriso subdolo stampato sul viso, mentre gli occhi chiari erano freddi e vacui. Se l’avesse fatto, sarebbe diventata esattamente come lei: da vittima si sarebbe trasformata in una perfetta carnefice, un serpente ben nascosto sotto un fiore, una persona senz’anima e con la sete di vendetta come unica compagna di vita. Lei non era come Jennifer e non voleva neanche avvicinarsi minimamente al suo modo di essere. Lyla rabbrividì, chiedendosi cosa avrebbe detto suo padre in seguito ad un gesto simile, cosa avrebbe detto Isaac. La presa cominciò ad allentarsi e il suo respiro si fece più regolare e più calmo, mentre la mano si allontanava da Kali, sotto lo sguardo deluso di Jennifer e quello allibito di Kali. Suo padre non avrebbe mai voluto che diventasse un’assassina e nemmeno Isaac. Non poteva ucciderla, non era la cosa giusta da fare e in quel momento tutti i suoi propositi di vendetta scemarono al solo pensiero di poter diventare come Jennifer…non voleva diventare un mostro.
“Io non sono come te”, disse lei con sdegno, guardandola negli occhi.
“Non dovevo fare affidamento su una ragazzina”, esalò Jennifer alzando gli occhi al cielo e togliendo la daga dalle mani di Lyla per spingerla via, facendole sbattere violentemente la testa contro uno dei pilastri del loft.
Lydia corse subito accanto all’amica, prendendole la testa fra le mani, mentre lei contraeva il viso in una smorfia di dolore e si portava una mano alla testa.
Lyla sentì una fortissima fitta di dolore a livello della testa e dell’addome, mentre notava con un leggero timore che la mano che aveva portato alla testa era praticamente ricoperta di sangue. Quando l’altra se ne accorse, sgranò gli occhi per lo spavento ma preferì non dire nulla, limitandosi semplicemente a starle accanto e a controllare che il danno non fosse troppo grave. Ad ogni modo, Lyla non poteva ignorare il forte dolore che si stava impossessando pian piano di tutto il suo corpo, dalla testa fino alle gambe, abbandonate lungo il pavimento. Si sentiva indubbiamente male ma non abbastanza da renderla incosciente, con grande sollievo di Lydia che probabilmente temeva che sarebbe svenuta lì dinanzi a lei. Fece un cenno di assenso all’amica. Si chiese dove fosse Isaac e, soprattutto, se fosse ancora tutto intero. Sperava con tutto il suo cuore che avesse fatto attenzione anche lui, o almeno non come lei. Pensò ad Isaac, cercando di ignorare il dolore che Jennifer le aveva provocato, poiché non era proprio né il momento né il luogo adatto per lasciarsi sopraffare da esso. Doveva essere un appoggio per Lydia, non un peso.
Doveva rimanere sveglia, ignorando la sofferenza.
Doveva restare sveglia per Lydia.
Doveva restare sveglia per lui.
Si voltarono entrambe per assistere  alla dipartita di Kali, mentre veniva brutalmente trafitta da tante scaglie di vetro.
 
L’odore di legno e di sangue secco era così forte che gli stava praticamente dando alla testa, e cercò con tutto sé stesso di non farsi distrarre dal fatto che il luogo in cui si trovavano ne fosse completamente pregno. Isaac strinse i denti e cercò  di spingere di più con le braccia verso l’alto nel tentativo di tenere quelle travi lontane da lui e dagli altri ma la sua forza stava sicuramente diminuendo. Poteva sentire un’ondata di dolore che gli percorreva tutto il corpo, dalla testa fino alle ginocchia, così schiacciate contro il terriccio che cominciavano a dolergli mentre gli sembrava che le mani potessero sgretolarsi da un momento all’altro per il troppo sforzo. Sentì una goccia di sudore colargli dalla fronte e digrignò i denti ancora di più, mentre aveva modo di sentire uno scricchiolio del collo.
Sarebbe crollato da un momento all’altro, riusciva chiaramente a percepirlo, ma prima che potesse rovinare a terra, sentì improvvisamente le travi farsi più leggere.
Volse lo sguardo alla sua sinistra e notò la figura di Stiles che aveva appena posizionato una mazza da baseball fra il terreno e il soffitto, impedendo che crollasse sulle loro teste.
“L’ho sempre detto che l’alluminio è migliore del legno”, esclamò lo sceriffo Stilinski, mentre il proprio figlio lo osservava sbigottito, come a chiedersi se fosse davvero reale, per poi abbracciarlo con tutto l’impeto possibile.
Tuttavia, la tempesta non si era ancora fermata e la terra continuava a rovesciarsi su di loro, mentre Isaac sentiva le proprie forze venirgli sempre meno, riportandolo a quando era ancora un ragazzo normale. Quel senso di impotenza lo invase nuovamente, facendolo sentire più debole di quanto non fosse già. Un dolore improvviso e inspiegabile lo colpì all’addome, portandolo a schiudere la bocca, senza però emettere alcun suono.
Sembrava che qualcosa gli stesse praticamente risucchiando tutte le viscere e il dolore dall’addome risaliva sempre di più fino ad arrivare al petto e poi alla testa.
Era un dolore completo che lo percuoteva da capo a piedi e non aveva la minima idea di cosa fosse. Sapeva solo che faceva così male da fargli girare la testa.
“Isaac!”, lo richiamò Allison, notando che qualcosa non andava ma il ragazzo cercò di tranquillizzarla, facendo segno con la mano che andava tutto bene.
Si portò la mano al petto e cercò di seppellire quel dolore, mordendosi l’interno della guancia per non emettere neanche un suono. Erano rinchiusi sotto il Nemeton e non avevano via di fuga, quindi non aveva alcuna intenzione di rendersi un peso. Era corso lì per salvare i genitori dei suoi amici, non per comportarsi come una palla al piede. Il suo pensiero andò a Lyla ma la situazione sembrò peggiorare perché non aveva idea né di dove fosse né se stesse bene. Forse si era avventata su Kali per ucciderla e lei l’aveva scaraventata a terra, forse l’aveva colpita con i suoi artigli, trapassandole la cassa toracica.
No. No. No. Non era andata in quel modo.
Lyla stava bene ed era viva. Isaac soffocò un gemito di dolore che tentava disperatamente di uscire dalle sue labbra, mentre le voci di Stiles e Melissa tentavano inutilmente di richiamarlo. Dopo quello che sembrò un tempo infinito, durante il quale Isaac era stato con le dita piantate nel terreno umido, la tempesta finì e con essa anche tutto il rumore che aveva rischiato di farli morire sotterrati.
“Scott”, la voce di Stiles che aveva afferrato il cellulare, lo riportò alla realtà. “Sì, stiamo bene. Stiamo tutti bene…e voi come state? Pensate di poterci venire a prendere”.
Isaac spostò lo sguardo sugli altri, incrociando gli occhi di Allison e si portò le ginocchia al petto, cercando di nascondere quel dolore che ancora si faceva sentire.
“Fantastico, va bene”, esalò Stiles, continuando a parlare con l’amico. “Portate una scala”.
A quell’affermazione, tutti scoppiarono a ridere…tranne Isaac che fissava Stiles, cercando di concentrarsi su qualcosa che non lo facesse sentire fastidiosamente male, ma il suo pensiero non faceva che indirizzarsi verso Lyla, senza avere idea di dove si trovasse.
Tuttavia, quel giorno il suo corpo gli si stava praticamente ribellando e le fitte di dolore ripresero, facendolo praticamente piegare in due sotto lo sguardo allarmato di Melissa.
“Isaac”, cominciò la donna, afferrandolo delicatamente per le spalle ma il ragazzo non la sentiva. Non sentiva nulla se non il dolore che ricominciava forte e soffocante, come se fosse chiuso di nuovo nel freezer. Un’altra stilettata lo fece piegare maggiormente, portandolo quasi ad arrancare lungo il suolo mentre Melissa tentava di capire cosa gli stesse succedendo. Era come se il dolore fosse suo ma non completamente.
Isaac sapeva che fisicamente non gli stava accadendo nulla, ma qualcosa si era mosso all’interno del suo organismo, facendolo scattare come fosse una molla.
Voleva soltanto sapere se Lyla stava bene, ma il suo corpo sembrava intenzionato a dargli la risposta, facendolo sentire male, come se anche Lyla stesse in quel modo.
“Lyla”, disse con un filo di voce, cercando di respirare.
Allison lo fissò con gli occhi sgranati, constatando sempre di più come il cuore di Isaac fosse rivolto verso un punto che non era lei e la cosa, da un lato, non la stupì neanche tanto.
Un amore del genere non poteva svanire ad un semplice schiocco di dita, come non era successo nemmeno con lei e Scott.
Le mani di Melissa corsero a circondare il viso di Isaac, continuando a chiamare il suo nome. Solo che ad Isaac non importava nulla del suo nome, Lyla era l’unica cosa che gli stava a cuore in quel momento.
Doveva restare sveglio, non doveva lasciarsi vincere da quel dolore acuto.
Doveva restare sveglio per Melissa, per Allison, per Stiles.
Doveva restare sveglio per le persone che era corso ad aiutare.
Doveva restare sveglio per lei.
 
 
Angolo dell’autrice
 
  • per ciò che accade ad Isaac, ho preso l'idea da Once upon a time, precisamente dalla puntata 1x21, nella quale Snow morde la mela e Charming, anche a distanza, sente dolore insieme a lei, come se sapesse che lei è in pericolo. Il dolore di Isaac, quindi, è più psicosomatico (spero abbia senso).
Sono di nuovo in regola con la pubblicazione…assurdo vero? Forse l’universo ha deciso che ho sofferto abbastanza per questa storia e ha voluto graziarmi con l’assenza di imprevisti proprio verso la fine…mi è andata bene. Posso finalmente riprendere ad aggiornare con regolarità visto che la storia è scritta ormai (alleluia!), quindi i prossimi nuovi capitoli verranno postati ogni sabato (salvo imprevisti!).Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio di vero cuore tutte le persone che hanno messo la storia fra le seguite/preferite/ricordate e tutti quelli che hanno messo tanti mi piace. Siete davvero gentilissimi! Ormai siamo quasi alla fine, siete contenti?
Alla prossima, un abbraccio <3 

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Capitolo 14
*** XIII - Across the mirrors ***


XIII

Across the mirrors

 
 
“A scattered dream that's like a far-off memory.
A far-off memory that's like a scattered dream.
I want to underline the pieces up...yours and mine”.
 

“Ma non hai una casa, tu?”.
Wyatt rise a quella domanda, notando Lyla che rientrava e lo fissava con il solito cipiglio infastidito, come se quel ragazzo fosse un senzatetto accampato continuamente a casa sua.
“Tranquilla, se sei fortunata questa è una delle ultime volte che lo vedi”, esordì Jamey, avviandosi verso le scale per salire in camera sua mentre Lyla scrutava Wyatt.
“Tra due giorni parto, sei felice?”, chiese Wyatt con un sorrisetto ironico. “Mio padre ha ottenuto un lavoro a New York e partirà la prossima settimana insieme a mia madre, io ci vado con qualche giorno di anticipo, per dare una mano con la casa”.
“Oh”. Lyla non riuscì a dire altro, poiché si sentiva stranamente dispiaciuta da quella novità.
Si era abituata così tanto alla presenza di Wyatt che sentire una cosa del genere quasi non le sembrava vero: quel ragazzo avrebbe smesso di occupare casa sua e darle fastidio. Doveva sentirsi sollevata, ma per qualche strano motivo non lo era affatto.
“Se vuoi scoppiare in lacrime e pregarmi di non andare, puoi farlo”, aggiunse Wyatt, mettendo le braccia dietro la sua schiena e spostandosi lievemente in avanti.
 “Idiota”, sentenziò lei, roteando gli occhi. “Come ci arriverai?”.
“In aereo”, rispose il ragazzo, affiancandola mentre si dirigeva in cucina. “Perchè, vuoi accompagnarmi e aiutarmi a fare il trasloco? Vuoi un week end d'amore per salutarmi?”.
“Certo che sei proprio cretino”, esclamò Lyla, leggermente piccata.
Wyatt rise di gusto, divertito dal modo semplice in cui riusciva a farle perdere le staffe.
Non avrebbe incontrato un'altra come lei.
“Dai, scherzavo”, esalò lui regalandole un sorriso sincero. “Anche se la mia proposta era seria, considerando che quel piantagrane di Seth doveva accompagnarmi, avevamo anche preso il biglietto ma ben pensato di darmi buca, da ottimo amico qual è”.
A Lyla quella sembrava proprio la peggiore scusa del mondo, ma non voleva darsi tanta importanza da pensare che Wyatt fosse in grado di farsi dare spontaneamente buca da Seth.
“Mi annoia viaggiare da solo, un po' di compagnia non mi dispiace”, aggiunse lui.
Lyla non disse nulla, ritrovandosi a valutare davvero quella proposta. Scosse la testa, come per scrollarsi di dosso quell'idea a dir poco assurda e anormale che le era balzata in testa.
“Lo so che ci stai pensando, Evans!”, la rimbeccò Wyatt, sussurrandole all'orecchio e facendola sobbalzare per la sorpresa, ricevendo un forte strattone in risposta.
Jamey, perfetto nel suo tempismo, scese le scale in quel momento con lo zaino in spalla, mentre Wyatt si mordicchiava il labbro inferiore e si faceva indietro alzando le mani con un sorriso. Si avviò verso la porta insieme all'amico ma prima che la varcasse, Lyla lo richiamò.
“Wyatt”, esclamò facendo un passo avanti e portandolo a voltarsi.
Lyla lo guardò per qualche secondo con le labbra dischiuse, sul punto di dire qualcosa che però non riusciva a pronunciare con serenità. I suoi occhi erano strani: sembravano spaventati.
“D'accordo, ti accompagno”, disse tutto d'un fiato, senza collegare la bocca al cervello, perchè sapeva che se l'avesse fatto, avrebbe detto tutt'altra cosa.
Il punto è che lei voleva andare. Non sapeva perchè e forse non avrebbe tardato a scoprirlo ma per il momento non le importava. Voleva semplicemente smettere di darsi dolore da sola e cogliere al balzo un'occasione che le si era presentata.
Non sapeva dove l'avrebbe portata, ma andava bene.
Il ragazzo sgranò un attimo gli occhi, illuminandosi a quella risposta improvvisa e, per di più, positiva. Non se lo aspettava, sicuramente ci aveva sperato con tutto sé stesso ma non avrebbe mai creduto che potesse succedere davvero: Lyla aveva accettato di accompagnarlo sul serio. Si ridestò da quello stato di gioia, cercando di non darglielo troppo a vedere, visto che solitamente era lui quello che si dava arie, e le rivolse un sorriso luminoso, con le dita ancora sulla maniglia. Chiuse la porta, senza dire niente, perchè Lyla aveva già detto tutto.
Lyla, una volta sola, corse di sopra e quando aprì la porta, una strana sensazione di freddo la invase, come se quella stanza fosse più una fortezza abbandonata sul ciglio di una montagna, alla quale nessuno osava avvicinarsi per paura di non tornare più indietro. Negli ultimi tempi, la sua camera era stata soltanto un luogo in cui dormire, perchè alla luce del giorno diventava un rudere abbandonato, fatto di ricordi che le portavano alle mente tutti i momenti trascorsi insieme ad Isaac, tutte le giornate in cui quelle mura erano illuminate da una tenue luce che filtrava dalla finestra. Adesso, invece, era buia con la finestra serrata per paura che qualche ricordo doloroso entrasse da essa, destandola dal sonno. La sua stanza sapeva di Isaac e poco importava che Lyla avesse cambiato la disposizione dei mobili e fatto qualche modifica: ogni cosa le ricordava lui, come la scrivania, prova di tante serate di studio e ripetizioni di chimica, come il letto tra le cui coperte Lyla si illudeva ci fosse anche Isaac che l'abbracciava da dietro.
La sua stanza era stata testimone di tutti i momenti trascorsi insieme che l'avevano travolta spesso come un mare in tempesta.
Non si era mai soffermata a guardarsi intorno per paura di ricordare. Quel giorno, invece, aveva trovato il coraggio. Ogni cosa era tornata al suo posto. I genitori dei suoi amici erano salvi e il problema “Darach” era stato risolto. Non aveva più visto Isaac da quella notte, e forse era stato meglio così. Aveva aiutato Deaton a salvare i gemelli insieme a Cora e Lydia. Stiles le aveva raccontato tutto quello che era accaduto, a partire dal modo in cui aveva capito dove si trovasse il Nemeton, arrivando a come aveva salvato suo padre da una frana imminente. Ricordò tutto ciò che era accaduto in quel loft, portandosi un mano al petto per cercare di non dare importanza alle fitte di dolore che ogni tanto si facevano risentire, testimoni di quello che era avvenuto quella notte. Ricordò di come il suo pensiero fosse corso continuamente ad Isaac che era forse insieme a qualcun altro.
 Era strano: si era inesorabilmente avvicinata all'orlo del precipizio, rischiando più volte di cadervi e sprofondare nell'oscurità, ma dopo essersi allontanata finalmente da esso sembrava non avere più paura di nulla, nemmeno di quel passato così amaro da provocarle la nausea. Eppure, nonostante ciò, lei continuava a sentirsi “rotta”, accompagnata da un bisogno impellente di essere aggiustata. Prese il borsone dall'armadio e cominciò a riempirlo con alcuni vestiti, senza badare troppo a quali vi stesse infilando, doveva semplicemente riempirlo: prima lo avrebbe preparato, prima sarebbe andata via, lontano da Beacon Hills, lontano da quella casa, lontano da Isaac, lontano dal ricordo di lui ed Allison che si guardavano, riconoscendo quella connessione che si era creata fra loro. Doveva semplicemente allontanarsi da quel luogo saturo di dolore, almeno per un po'...giusto il tempo di respirare e rendersi conto di tutto ciò che le era capitato. Voleva agire da sola quella volta, senza dire a nessuno cosa stava per fare.
Non aveva bisogno di sentire le opinioni altrui e di sentirsi dire che stava facendo uno sbaglio, il bisogno di allontanarsi da Beacon Hills era troppo impellente per essere ignorato.
“Bene, bene”, la voce di Candice, con una spalla poggiata contro la porta, la fece sussultare.
“Mamma”, la rimbeccò Lyla con tono di rimprovero mentre la donna la guardava ghignando, con una tazza fumante fra le mani.
“Non dirò nulla”, esordì la donna, alzando gli occhi al cielo con la tipica espressione di chi voleva tirar fuori tutte le parole possibili.
“Tu non eri una fan dei nuovi inizi?”, chiese Lyla con tono piccato.
“Sì ma solo quando sono sentiti”, rispose lei. “Il tuo non lo è. Andiamo, Lyla…ti conosco meglio di chiunque altro, sei mia figlia”.
“Davvero?”, domandò Lyla con una smorfia divertita. “Pensavo il contrario, guarda”.
Candice le scoccò un’occhiataccia, dandole un buffetto sopra la testa.
“Basta con il sarcasmo”, snocciolò, facendosi più vicina. “Non credo che tu possa dimenticare Isaac accompagnando Wyatt che è seriamente preso da te. Un legame come il vostro non si dimentica facilmente e lo sai…Isaac rappresenta per te quello che tuo padre è stato per me. Un semplice germoglio maturato…”.
Lyla lesse una nota di tristezza sul volto di sua madre nel ricordare suo padre James e l’amore che li aveva uniti per tanto tempo, fin da ragazzi…ma non era lo stesso per lei ed Isaac. I suoi genitori erano sempre stati collegati in qualche modo, anche da piccoli, quando erano solo due bambini che vivevano a due isolati di distanza e ogni tanto si incrociavano per la strada, senza sapere i rispettivi nomi. Quando sua madre lo aveva incontrato all’università, non aveva certo riconosciuto il bambino che si nascondeva dietro quel volto.
“Non è lo stesso, mamma”, esclamò Lyla con voce bassa. “Tu e papà…il vostro rapporto era cominciato molto prima che vi incontraste davvero. Invece, Isaac…forse non l’ho mai conosciuto davvero. Credevo di averlo salvato ma mi sono sbagliata, forse non ha mai avuto bisogno di me per salvarsi…”.
 
Anche da bambino, Isaac Lahey aveva sempre portato la tragedia con sé, stretta nella sua mano come se fosse uno di quei peluche che i bambini si trascinano dietro ogni giorno. Isaac faceva lo stesso ma invece di un morbido peluche, gli era toccata la tragedia, quella tragedia che dopo la morte di sua madre lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.
La sera in cui la sua mamma era morta, Isaac era soltanto un bambino spaesato con i capelli riccioluti che gli ricadevano sulla fronte, coprendo leggermente i suoi occhioni azzurri. La mamma cercava sempre di convincerlo a tagliarli ma lui non ne voleva sapere; diceva che si sentiva al sicuro in quel groviglio di capelli che erano i suoi ricci, si sentiva protetto dal mondo esterno. Quelle parole potevano decisamente risultare strane per un bambino di appena sei anni. La sera in cui la sua mamma era morta, Isaac si era ritrovato alla stazione centrale di Beacon Hills, con una signora che si impegnava a tenerlo occupato e a distrarlo. Aveva ripetuto continuamente che la sua mamma era solo andata a fare una commissione e sarebbe tornata al più presto da lui, giusto in tempo per raccontargli la favola della buona notte ma non era andata in quel modo. Il bambino guardava distrattamente la signora davanti a lui che gli stava leggendo una favola, ma non era come con la mamma. Lui non si sarebbe addormentato quella sera, eppure si sforzò di ascoltare la favola che la signora gli stava raccontando con tanta premura: la Bella e la Bestia. La mamma gliela leggeva spesso e ogni volta lui pretendeva di sentirla ancora un'ultima volta, perchè per lui era la dimostrazione che in tutti può esserci del buono, anche in quelli che sembrano dei veri e propri mostri. Peccato che a distanza di anni, la sua opinione riguardante i mostri sarebbe decisamente cambiata. Mentre ascoltava di come la Bestia aveva salvato Belle da un branco di lupi, venne distratto dal suono della porta che si apriva, mostrando un uomo alto con i capelli brizzolati e l'aria severa affiancato da una donna che stringeva con una mano una bambina, nascosta per metà dietro la sua gamba, ed un bambino con l'altra.
Doveva trattarsi di una famiglia bella e felice.
La signora richiamò l'attenzione del bambino, continuando a leggergli la storia e Isaac ascoltava con la testa bassa, rievocando tutte le sensazioni che provava quando era la sua mamma a leggergli quella storia.
“Mamma, mamma!”, aveva chiesto una sera, balzando giù dal letto, mentre la mamma gli leggeva la favola. “Anche io un giorno salverò qualcuno da un branco di lupi?”.
La sua mamma aveva riso. “Oh, tesoro, spero che tu non abbia mai a che fare con i lupi”.
“Perchè no?”, domandò il piccolo con sguardo deluso.
“I lupi non sono in questa zona, per fortuna e poi potrebbero essere pericolosi”, gli aveva risposto la mamma, facendolo rimettere sotto le coperte blu.
“Uffa”, esclamò lui sconsolato e mettendo il broncio.
“Sei un piccolo brontolone”, gli disse la mamma, carezzandogli una guancia.
“Voglio fare come ha fatto la Bestia”, continuò lui, piagnucolando.
“Lo farai, credimi”, aggiunse la mamma, scoccandogli un bacio sulla fronte.
Ad un tratto, la signora dinanzi a lui si alzò, raccomandandogli di aspettarla lì e di non muoversi. Gli era stato detto che presto avrebbe rivisto suo padre e suo fratello ma nessuno voleva dirgli con precisione dove si trovassero. Aveva soltanto udito che la sua mamma era andata in un “posto migliore” e Isaac aveva sentito spesso quella espressione. L'aveva usata anche la sua mamma, riferendosi alla nonna, che non aveva più visto. All'inizio aveva creduto che ci fosse un posto, una specie di isola felice, dove tutti andavano a vivere quando erano stanchi della loro semplice vita, e quando la mamma gli aveva detto della nonna, lui le aveva chiesto perchè non li avesse portati con loro, definendola egoista. La mamma gli aveva carezzato i capelli e poi aveva iniziato a piangere. Si portò le ginocchia al petto, rannicchiandosi sul divano marrone di quella stanza spoglia e triste. Era stanco, voleva tornare a casa e una lacrima gli solcò la guancia morbida.
Non voleva restare ancora in quello strano posto. Si portò una mano allo stomaco, sentendolo brontolare per la fame ma aveva troppa vergogna di chiedere del cibo.
“Vuoi? Il tuo stomaco parla”, gli chiese una voce squillante al suo fianco.
Il bambino si voltò e trovò una mano a pochi centimetri dal suo viso che reggeva i resti di un muffin al cioccolato. Isaac sentì lo stomaco brontolare maggiormente alla vista del muffin e spostò il suo sguardo alla persona che glielo aveva offerto: la bambina che era entrata poco prima insieme alla sua famiglia felice e riunita come nelle pubblicità dei biscotti.
“Grazie”, sussurrò, prendendone un po' con gesti timidi.
“Prendi pure”, continuò lei, avvicinando maggiormente la sua mano. “Sembri affamato”.
Isaac non se lo fece ripetere una seconda volta e prese il resto del muffin, divorandolo sotto lo sguardo sconcertato e divertito della bambina che lo osservava mangiare.
“Mi metto anche io in quella posizione”, continuò lei indicando il modo in cui Isaac si era rannicchiato su sé stesso. “Quando mi sento triste...lo sei anche tu?”.
“Un po'”, mentì il piccolo. “La mia mamma è andata in un posto migliore, e mi ha lasciato qui invece di portarmi con lei. E' cattiva, non mi vuole con sé, mi ha lasciato qui”.
“Perchè non dovrebbe volerti con te?”, disse la bambina, scrollando le spalle e attirando su di sé gli occhi azzurri del piccolo. “Forse ti ha lasciato qui per darti un futuro migliore, non credi? Forse non poteva portarti con sé, non puoi saperlo...non credi?”.
“Tu perchè sei in questo posto brutto?”, le chiese Isaac, osservando meglio i suoi occhi castani e i capelli lunghi dello stesso colore.
“Io non abito qui”, disse lei, scuotendo il capo. “Il mio papà è stato chiamato da un amico mentre era con me, la mamma e il mio fratellino”.
“Oh”, esclamò Isaac, quasi dispiaciuto per il fatto che quella bambina non vivesse a Beacon Hills. Probabilmente, dopo quella sera non l'avrebbe mai più rivista.
“Cosa stavi leggendo?”, chiese lei, allungando il capo verso il libro riposto sul divano.
Alla vista del libro, la bambina si illuminò in un bellissimo sorriso.
“E' una favola bellissima”, cantilenò allegra, facendo piccoli saltelli e correndo ad afferrarlo, sotto lo sguardo confuso di Isaac che seguiva tutti i movimenti di quella bambina strana e con una gran parlantina che aveva appena incontrato.
“Possiamo leggerla?”, continuò lei stringendo il libro, mentre Isaac si specchiava nei suoi occhi scuri.
Isaac prese il libro e decise di provare una cosa diversa: leggere quella favola a qualcun altro, invece di farsela leggere, almeno per quella sera; poi quando la sua mamma sarebbe tornata da lui, gliela avrebbe letta per farle capire quanto gli fosse mancata.
“Lo vedi questo specchio che la Bestia utilizza?”, domandò la bambina, indicando con la sua manina l'immagine in bella mostra.
“Sì”, rispose Isaac, osservandola confuso. 
“Anche la tua mamma lo sta usando adesso”, esclamò lei con un sorriso. “Ti guarda attraverso uno specchio, e sa che tu stai bene".
“Questo è quello che è importante per la Bestia”, gli aveva detto la sua mamma qualche sera prima di quel giorno buio. “L'unica cosa che conta è la sicurezza di colei che ama, anche se è lontana da lui, nient'altro ha importanza”.
“Vale anche per noi che non viviamo in una favola?”, aveva chiesto Isaac, stringendosi nelle coperte, con la voce impastata di sonno, mentre la stanchezza cominciava ad avvolgerlo e le palpebre cominciavano a farsi sempre più pesanti.
“Certo”, affermò la mamma, spostandogli un riccio ribelle dalla fronte. “Le persone che ci amano ci guardano sempre anche se non riusciamo a sentirle vicine”.
“Come fanno?”, chiese Isaac con quella curiosità tipica dei bambini, ansiosi di avere tutte le risposte del mondo, anche per quelle domande a cui nemmeno gli adulti trovavano una risposta sensata o adatta ad un bambino curioso come lui.
“Ci guardano attraverso degli specchi, come la Bestia”, aveva detto la sua mamma.
“Anche tu mi guardi da uno specchio quando non sei con me?”, domandò il bambino con gli occhi speranzosi e destandosi leggermente dal sonno, mentre la mamma gli rimboccava le coperte blu decorate con tante navi pirata.
“Sempre, tesoro...sempre”, concluse lei posandogli un bacio sulla fronte e rivolgendogli un sorriso con quel viso dolce e amorevole che Isaac non avrebbe mai dimenticato.
Isaac e quella bambina strana si addormentarono, sul divano della stazione di polizia e al suo risveglio la bambina era sparita, dettaglio che portò il piccolo a chiedersi se quello non fosse stato altro che un sogno. Sì, forse aveva solo sognato e la sua mamma non era sparita davvero, ma purtroppo la sua mamma davvero non c'era più e non nel modo che lui credeva. Quando aprì gli occhi, l’assenza della bambina gli fece sentire un enorme macigno sul petto, non sapeva nemmeno il suo nome. Intanto, la figura di suo padre in lontananza si avvicinava a passi lenti verso di lui. In qualche modo, Isaac sentiva che le parole che avrebbe pronunciato, lo avrebbero segnato a vita, ma cercò di pensare ad altro…precisamente alle parole di quella bambina.
 
Isaac cercò di focalizzare tutta la sua attenzione sul televisore, tentando inutilmente di seguire ciò che stava guardando, senza riuscirci, poiché un ronzio forte nella testa lo costringeva a inspirare rumorosamente per il fastidio, distraendolo completamente.
“Cosa guardi?”, chiese Derek, scendendo dalle scale a chiocciola con un borsone e Cora al suo seguito con un alcuni vestiti stretti al petto.
“Il trono di spade”, rispose lui, buttando il telecomando sul tavolino dinanzi a lui con un tonfo sordo e con voce indignata. “Ma non voglio guardare un bel niente”.
Derek si voltò verso Cora, la quale, come a carpire immediatamente le intenzioni del fratello, tornò al piano di sopra, lasciando il ragazzo da solo con Isaac. Si avvicinò e si sedette accanto a lui sul divano, poggiando i gomiti sulle gambe.
“Isaac”, cominciò Derek con voce bassa e calma. “Non sono stato un buon alpha per te”.
Il ragazzo si voltò di scatto e cercò di interromperlo ma Derek non glielo permise.
“Dovevo proteggervi, dovevamo essere un branco ma ho pensato così tanto al mio tornaconto personale da mettere da parte la vostra sicurezza…forse mi sentivo davvero solo, e credevo che il morso potesse migliorare le vostre vite, non peggiorarle”.
“Derek…”, cercò di ribattere lui, sentendo la tristezza che cominciava a ridestarsi nel suo cuore, ricordando tutte le cose orribili che gli aveva detto qualche sera prima mentre Cora giaceva nel letto in fin di vita e lui continuava ad accusarlo.
“Sono stato un pessimo alpha”, aggiunse Derek con rammarico mentre Isaac lo fissava con la bocca dischiusa. “E non mi sorprende il fatto che ti sia fidato sempre di Scott…ma una cosa giusta forse posso dirtela prima che sia troppo tardi…non troverai una come Lyla neanche fra cento anni, stanne certo.”.
“Noi licantropi viviamo così a lungo?”, chiese Isaac, tentando di fare del sarcasmo ma beccandosi uno scappellotto abbastanza forte.
“E’ raro trovare una come lei, che ti accetta per quello che sei, che ti salva”, continuò Derek, ignorando la sua affermazione di prima. “Sapevo che ti sarebbe stato difficile lasciarla andare nel momento esatto in cui ti ordinai di starle lontano. Lyla è la ragazza giusta per le anime tormentate come le nostre...trovare un amore come questo è difficile, ma purtroppo non siamo sempre noi ad aver bisogno di essere salvati. Lyla aveva bisogno di te più di qualsiasi altra cosa. Non farla andare via, Isaac e smetti tu stesso di fuggire”.
Isaac abbassò lo sguardo, sentendo le sue parole che gli scorrevano sotto pelle e tentavano di raggiungere i punti adatti per far scattare in lui quella consapevolezza che aveva seppellito per troppo tempo sotto un enorme senso di protezione che non era servito proprio a niente. Perché doveva essere sempre tutto così complicato?
Fece per rispondere a Derek, ma un rumore proveniente dalla porta riuscì a distrarre entrambi.
“Sei ancora qui?”, domandò Stiles, entrando nel loft come una trottola e osservandoli con le mani poggiate sui fianchi mentre Derek lo fissava con un sopracciglio alzato.
“Ti serve qualcosa?”, domandò Isaac, alzandosi dal divano e stiracchiandosi.
“Sì, mi serve sapere perchè sei qui e non dove dovresti”, esalò il figlio dello sceriffo, allargando le braccia e facendo qualche passo verso il suo interlocutore.
“Dove dovrei essere di preciso?”, nel porre quella domanda, Isaac sentì un brivido, come se conoscesse bene la risposta che gli sarebbe giunta a breve e che forse aveva già in mente grazie a ciò che Derek aveva appena terminato di dirgli.
Infatti, le pupille di Stiles si dilatarono e il suo viso assunse un'espressione decisamente infastidita: gli ricordò la stessa faccia che aveva assunto con il coach Finstock sul pullman della scuola.
Per un momento, Isaac temette che gli avrebbe urlato addosso ma l'amico sembrò trattenersi.
“Sai, da quella ragazza che per causa tua ha passato giusto le pene dell'inferno”, rispose Stiles, con tono sarcastico e gesticolando nervosamente nella speranza che Isaac smettesse di fare l'idiota. “Quella con il nome che hai invocato due sere fa, da moribondo”.
“Dovrei andare da lei e per dirle cosa?”, lo rimbeccò Isaac, spazientito. “Ciao Lyla, scusa se sono andato via senza dire niente, scusa se ho promesso a tuo padre che ti avrei lasciata fuori, scusa se mi sono avvicinato ad una delle tue amiche?”.
“Tu hai promesso cosa?”, ripetè Stiles, mentre Isaac si portava la mano alla bocca, rendendosi conto di ciò che aveva appena detto.
Non era stato in grado di confessare a nessuno ciò che si erano detti lui e James Evans la notte della sua morte, soltanto a Derek che intanto si era alzato dal divano.
“Oh, d'accordo!”, sbottò improvvisamente Isaac, lasciandosi cadere sul divano e tenendosi la testa fra le mani.
Le sue dita premevano così forte sulle tempie che avrebbero potuto perforarle, per quanto si sentiva arrabbiato, stanco e frustrato da tutta quella situazione assurda. Ogni cosa gli era completamente sfuggita di mano: credeva di poter controllare tutto, credeva che una volta tornato avrebbe riconquistato Lyla, invece, una volta rimesso piede a Beacon Hills, l'universo sembrava aver stabilito che da quel momento ogni cosa sarebbe andata in direzione opposta. Il suo allenamento, la morte di suo padre, la promessa che aveva fatto, Allison...c'erano così tante variabili in tutta quella vicenda che lui e Lyla sembravano praticamente destinati a stare lontani, perchè forse era meglio per entrambi. Lei meritava di meglio, e lui doveva stare solo.
Non sentiva nemmeno più l'esigenza di stare con Allison: ne era stato attratto e in quel poco tempo dopo la fine della vicenda del Darach, ci avevano provato a stare insieme  ma Isaac si era accorto di come la sua mente fosse totalmente presa da qualcun altro che non era Allison.
Come era arrivato a quel punto di non ritorno? Come aveva fatto a farle male in quel modo?
“Isaac”, Stiles lo richiamò da quelle riflessioni che erano come spine in tutto il suo corpo. “Per quanto mi piacerebbe moltissimo insultarti e minacciarti come ho fatto l'ultima volta che ti sei trovato in una situazione del genere con Lyla, mi tocca limitarmi a dirti che sei completamente ed incondizionatamente idiota...ma proprio senza speranza di salvezza”.
Isaac alzò un sopracciglio e lo guardò male, mentre Derek ghignava. “Grazie per il conforto”.
“Quante altre volte vuoi ripetere questa sceneggiata?”, domandò il ragazzo con tono esasperato mentre con agitazione prendeva posto accanto a lui sul divano di casa McCall. “Va bene che vuoi proteggerla, va bene che hai fatto una promessa ma con tutto il rispetto...non sei bravo a mantenerle, Isaac. Avevi promesso a Derek di starle lontano e non ce l'hai fatta...cosa è cambiato? Suo padre è morto e come abbiamo visto Lyla si immischia da sola in certe faccende...come me”.
Nel dire quell'ultima frase, Stiles fece un largo sorriso e allargò le braccia, risultando più buffo che mai e riuscendo addirittura a strappare un sorriso ad Isaac che si portò una mano sulla fronte, sconsolato ma leggermente divertito dal quel ragazzo logorroico.
Derek, nel frattempo, aveva alzato gli occhi al cielo, osservando Stiles con la sua solita espressione da “ti strappo la gola a morsi” che il ragazzo ricambiò con una smorfia.
“Per quanto riguarda Allison”, aggiunse con la voce che si incupiva improvvisamente, come se fosse consapevole del fatto che stesse toccando un argomento delicato. “Io non sono nessuno per giudicare, semplicemente è successo e noi non possiamo farci niente. Quando si fa un errore, non è mai la fine del mondo, l'importante è rendersi conto di poter imparare da essi...io ne sono la prova vivente. Tutti lo siamo. Insomma, guarda Derek!”.
Il licantropo, in risposta, lo fulminò con lo sguardo e allargò le braccia con fare offeso, indeciso se lasciar correre o prenderlo direttamente a calci lì nel suo loft.
“Oh, andiamo…è solo un esempio!”, si giustificò il ragazzo. “Isaac, hai capito che stare con Allison non era la cosa giusta né per te né per lei…e puoi ancora rimediare. Sta a te volerlo”.
“Non andrò da lei, Stiles”, affermò il ragazzo con voce calma. “Non posso”.
Stiles si alzò subito dal divano, come offeso. “Ho parlato con il muro fino ad ora?”.
Isaac continuò a guardarlo, leggermente spaesato, mentre Stiles cominciava a camminare con fare quasi isterico per il salotto, portandosi una mano al mento, come se stesse riflettendo sul più grande problema che gli si fosse mai presentato.
“Ok, amico”, esclamò d'un tratto, fermandosi davanti a lui. “Non volevo proprio arrivare a questo, ma sei tu che mi costringi...vuoi restare qui e lasciarla andare via insieme a Wyatt?”.
Il ragazzo rimase immobile per qualche secondo sul divano, con i palmi delle mani piantati nel materasso e le dita che premevano leggermente sui cuscini, mentre il corpo iniziava ad agitarsi, cercando inutilmente di assorbire quella notizia improvvisa.
“Come?”, disse in un sussurro. La gola divenne improvvisamente secca mentre il cuore cominciava a martellare ininterrottamente al pensiero di Lyla che andava chissà dove.
Stiles gli sorrise, come se non aspettasse altro che quella reazione, ma Isaac sembrò riscuotersi, con suo grosso disappunto e tornare nuovamente calmo, per poi alzarsi, mettendo le mani nelle tasche.
“Se è quello che vuole, va bene”, esclamò, nascondendo il dispiacere.
“Come sarebbe?”, chiese Stiles, scattando e facendo sussultare Derek. “Non è quello che vuole, tu lo sai!”.
“E’ la cosa giusta per lei!”, ribattè Isaac con fermezza.
“Cosa c'è di giusto nello stare con qualcuno che non si ama?”.
Isaac rimase sorpreso a quella domanda. Persino Derek aveva alzato lo sguardo, colpito dall’amarezza e dalla verità che quella domanda celava e si stupì nel constatare che proveniva proprio da Stiles. Isaac avrebbe desiderato davvero tanto rispondere con sincerità a quella domanda ma non ci sarebbe riuscito nemmeno con tutta la saggezza del mondo. Chi era lui per sapere cosa fosse giusto o sbagliato per Lyla? Poteva limitarsi solo a desiderare il meglio per lei, e lui non era il meglio.
“Non sprecherò altro fiato”, dichiarò Stiles, portando una mano fra i capelli. “Ti basti sapere che andrà via domani mattina, il suo aereo parte alle dieci, sta a te decidere. Noi abbiamo fatto il possibile”.
Stiles rivolse un cenno al padrone di casa, voltò le spalle al ragazzo e uscì dalla casa, sotto gli occhi di Derek che senza dire nulla, tornò di sopra da sua sorella, lasciando Isaac solo con i suo pensieri, coem giusto che fosse.
Il meglio per lei, forse, era Wyatt: un ragazzo normale, che non si trasformava con la luna piena, e che non avrebbe messo a repentaglio la vita della sua fidanzata...poteva renderla felice, poteva farla ridere, e non farle versare lacrime in continuazione. Eppure, c'era stato un tempo in cui entrambi erano stati felici insieme, quando le loro vite non si erano trasformate in un film dell'orrore e quando erano semplicemente due ragazzi alla prese con una storia d'amore, fatta di alti e bassi non tanto semplici.
Non riusciva a lasciarla andare. Ci provava, ci aveva sempre provato fin dall’inizio ma senza risultati perché Lyla era sempre nella sua testa, nella sua memoria, nel suo passato e nel suo presente.
Era nei suoi ricordi più belli e anche in quelli più dolorosi come ciò che aveva dovuto sopportare a causa di suo padre.
In quei giorni freddi e tinti del rosso del suo sangue, lei era lì a stringergli forte la mano per dargli forza.
 
Lyla odiava i silenzi imbarazzanti, la facevano sentire allo stesso modo in cui da bambina le veniva cantata la canzone “buon compleanno” e lei se ne stava impalata senza la minima idea di cosa dire o fare. Durante alcuni silenzi, tornava a provare la stessa sensazione di allora, che la faceva immergere nel più odioso disagio e se chi le stava accanto si comportava allo stesso modo, la situazione non poteva che peggiorare.
Wyatt le gettò uno sguardo mentre metteva in moto la macchina e sorrise divertito, spingendo Lyla a rivolgergli una delle sue occhiatacce.
“Cosa hai da sorridere?”, domandò, rompendo il silenzio.
“Niente”, si giustificò subito Wyatt con un sorriso. “Non credevo venissi davvero”.
“Devo pur occupare il tempo”, esclamò Lyla, mostrandosi disinvolta e ricevendo uno sguardo poco convinto dal ragazzo.
“Come no”, la rimbeccò lui. “Guarda che nessuno ti ha obbligata”.
“Non puoi saperlo”, affermò Lyla, cercando di nascondere il fatto che aveva liberamente deciso di andare con lui, giusto per tutelare quel poco di orgoglio che le restava.
“Potevi anche non venire, sei sempre in tempo”, snocciolò Wyatt, prima di uscire con la macchina dal vialetto di casa Evans e fissandola, in attesa di una vera risposta.
“Vuoi che me ne vada?”, domandò Lyla con una nota di incertezza nella voce.
“Ti odierei, se lo facessi”, era quasi un sussurro la sua risposta, accompagnata da uno sguardo poco divertito e quasi afflitto all’idea che lei tornasse indietro.
Lyla non riuscì proprio a trattenersi, e lasciò che un sorriso luminoso le scoppiasse sulle labbra, sentendosi improvvisamente più leggera, come non lo era da diverso tempo.
Wyatt riprese a guidare, beandosi di quel sorriso e ricambiandolo, mentre Lyla volgeva il capo verso il finestrino. La ragazza sentì una leggera fitta allo stomaco nel momento in cui notò una figura familiare nello specchietto retrovisore: Isaac. Il suo cuore prese ad accelerare e si voltò di scatto ma neanche il tempo di guardarsi indietro che non c’era più nessuno, eppure era convinta di aver visto il suo riflesso.
“Tutto bene?”, la voce di Wyatt le arrivò all’orecchie come un eco lontano.
“Sì”, rispose lei, ancora stranita da ciò che era appena successo. “Tranquillo”.
Possibile che lo avesse semplicemente immaginato?
In ogni caso, non aveva più alcuna importanza.
 
 
Angolo dell’autrice
 
  • la frase ad inizio capitolo è un verso della canzone di Utada Hikaru, ed è tratta dal videogioco "Kingdom Hearts".
Addirittura con un giorno di anticipo…chi lo avrebbe mai detto?
Non l'ho ben specificato, ma il capitolo si svolge giusto un paio di giorni dopo la nottata infernale, e spero si sia capito lo stesso, in caso contrario, chiedo scusa. Spero che il flashback su Isaac e Lyla da bambini vi sia piaciuto. Ci stavo lavorando da un sacco, aspettavo solo di inserirlo al momento giusto e una parte richiama anche l’introduzione della storia. Fatemi sapere cosa ne pensate e lasciatemi un commento anche piccino piccino, se vi va.
Ringrazio come al solito tutte le persone che stanno seguendo la storia…siete tutti gentilissimi!
Alla prossima, un abbraccio!

 

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Capitolo 15
*** XIV - I’d like to walk around in your mind ***


XIV
 
I’d like to walk around in your mind

“You're home. You'll never be alone
You're home. To be alone. You're home
Hope you find your way home”.
(Active Child feat. Ellie Goulding – Silhouette)
 

“Questo non si addice minimamente ad un gentiluomo, lo sai?”.
Wyatt rise leggermente, mentre sistemava l’ennesimo scatolone nell’appartamento che i suoi genitori avevano acquistato e Lyla lo aiutava. La casa non era molto grande, ma sufficiente per una famiglia costituita da tre persone.
Era accogliente e raccolta, un posto perfetto in cui tornare la sera, lasciandosi scivolare addosso tutte le preoccupazioni di una giornata intera e rannicchiandosi sul divano abbastanza grande e rosso.
Il ragazzo le andò incontro, cercando di togliere lo scatolone dalle braccia di Lyla che glielo impedì con un mugolio di protesta. Riusciva tranquillamente a portarlo ma era divertente punzecchiare Wyatt ogni tanto su come poteva trattare una ragazza.
Tuttavia, quello non era un weekend romantico o altro, lo stava aiutando semplicemente e non voleva nessun tipo di agevolazione.
“Tranquillo, ce la faccio”, esclamò lei, poggiando a terra lo scatolo.
“Hai fatto abbastanza per oggi”, ribattè Wyatt, impedendole di afferrarne un altro. “Mi sento in dovere di offrirti almeno la cena”.
Lyla alzò gli occhi al cielo e gli rivolse una smorfia di disappunto, come se non bastasse l’ospitalità che le aveva offerto in quei giorni. Stranamente, si era sentita tranquilla come non mai da quando aveva messo piede a New York insieme a lui. Non c’erano stati momenti imbarazzanti, solo tanti sorrisi e battute sarcastiche abbinate a scatoloni da sistemare, almeno per il momento.
Si era ovviamente tenuta in contatto con Stiles per tutto il viaggio, che l’aveva tartassata di messaggi. Quando una sera, Lyla si era appisolata, dimenticandosi di rispondere, al suo risveglio ne aveva trovati almeno cinque mandati uno dopo l’altro, come se Stiles volesse assicurarsi di ogni suo minimo movimento, anche a distanza. Prima di partire, aveva ritrovato Lydia e Stiles a casa sua, che l’aveva stritolata come se stesse partendo per non tornare mai più, quando sarebbe stata via soltanto cinque giorni.
Wyatt prese il cellulare e chiamò per ordinare una pizza, mentre Lyla controllava il suo: due messaggi di Stiles, anche a nome di Scott, uno di sua madre, uno di Lydia e uno di Allison. Tutti sembravano ansiosi di sentirla, tranne una persona di cui non aveva notizie dalla notte dell’eclissi lunare. Per un attimo, l’idea di chiedere ad Allison la sfiorò, ma preferì evitare.
Non le andava di compromettere il rapporto con lei, già appeso ad un filo a causa di tutta la situazione con Isaac. Farsi da parte era stata la scelta più giusta, non voleva essere d’intralcio o avanzare pretese su di lui. Se volevano stare insieme, lei non aveva alcuna intenzione di ostacolarli, nonostante l’idea le facesse attorcigliare lo stomaco pesantemente.
Si avvicinò alla finestra, sedendosi sul divano, e osservò la città meravigliosamente esposta ai suoi occhi in tutta la sua grandezza e bellezza. Tutte le luci dei palazzi erano accese, e Lyla non poté fare a meno di chiedersi cosa stessero facendo tutte quelle persone sconosciute.
Chissà cosa stava facendo Isaac a tanti chilometri di distanza. Forse la sua luce era ancora accesa, mentre era impegnato a parlare con Scott di qualcosa o forse era spenta perché si trovava in un’altra stanza…in compagnia di qualcun altro. (1)
Lyla scosse la testa: non doveva pensarci, non voleva perché l’immagine di Isaac accanto ad Allison faceva troppo male per essere accettata. Prese sonno quasi senza rendersene realmente conto, lasciandosi cullare dal silenzio della metropoli e della tranquillità dell’appartamento.
Si svegliò circa un’ora dopo, senza neanche accorgersi di aver dormito.
“Ehi, bella addormentata!”, la richiamò Wyatt tenendo due cartoni di pizza fra le mani.
“Ho dormito?”, domandò Lyla, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando.
“Sì”, rispose lui con un sorriso. “Ma sembravi così stanca che non ho voluto svegliarti”.
Lyla sorrise e si portò le ginocchia al petto, mentre lui si avvicinava, sistemando le pizze e le bibite sul tavolino davanti al divano, senza però staccare gli occhi da lei.
“Gentile da parte tua”, lo ringraziò Lyla, sedendosi a terra e prendendo una fetta di pizza.
Wyatt non aggiunse altro, ma si limitò ad osservarla dal divano, divertito mentre mangiava la pizza quasi con allegria, come se non la toccasse da una vita.
“Sei buffa anche mentre mangi”, esalò mentre Lyla si sforzava di non sporcarsi.
La ragazza gli riservò un’occhiataccia. “Cosa c’è di buffo nel mio modo di mangiare?”.
“Sembra che tu sia ad una cena di stato” la rimproverò lui. “Non mi spavento davanti alle persone che mangiano in maniera scomposta”.
“Solo perché tu mangi come un animale, non è detto che debba imitarti”, ribattè Lyla, continuando a mangiare la sua fetta mentre lui stava divorando già la seconda.
Wyatt le fece una smorfia, e lei si girò di schiena, mentre lui si perdeva ad osservarla.
Ogni cosa in lei lo attirava, gli bastava guardarla anche quando era girata. Vedeva le sue spalle, avvolte da un maglione blu  e i capelli lunghi che ricadevano solo da un lato, lasciando scoperta una parte del collo. Per lui, Lyla era bella in tutta la sua semplicità e dolcezza, e davvero non riusciva a capire perché Isaac non stesse insieme a lei.
Grazie a Jamey, sapeva soltanto che era stato lui a lasciarla ma il motivo era sconosciuto persino al fratello, e Wyatt aveva seriamente creduto che fosse pazzo. Come aveva fatto Isaac a rinunciare a lei? Li aveva visti qualche volta, quando si erano appena messi insieme e sembravano così felici che anche la persona più cinica si sarebbe ricreduta sull’amore vedendoli insieme.
Gli occhi di Lyla brillavano quando le dita erano intrecciate con le sue, mentre il sorriso di Isaac era così radioso che si poteva fare fatica a riconoscerlo, visto che quel ragazzo non aveva mai avuto un’aria molto allegra.
Sembravano perfetti insieme, cosa aveva potuto causare la loro rottura? Pensò di chiederglielo, ma forse non glielo avrebbe neanche detto. Eppure, Lyla era lì…insieme a lui. Non le aveva chiesto di accompagnarlo con un secondo fine, voleva solo l’opportunità di passare un po’ di tempo con lei, altrimenti se ne sarebbe pentito amaramente.
Lyla, intanto, si era voltata e lo aveva ritrovato a fissarla.
“Cosa c’è?”, domandò lei, guardandosi intorno con fare imbarazzato e con la mano a mezz’aria. “Ho qualcosa sul viso, per caso?”.
Non aveva niente sul viso, ma Wyatt non disse niente e le rivolse un sorriso. Tuttavia, l’impulso fu troppo forte per essere ignorato e si abbassò, allungando il collo verso di lei per donarle un semplice bacio. In realtà, non sapeva nemmeno se poteva classificarlo come tale.
Era solo un fugace contatto di labbra, nulla di più, nulla di meno, che era bastato a sorprendere Lyla, la quale era rimasta paralizzata sul posto con la mano ancora a mezz’aria. Wyatt non si spostò, rimanendo con le labbra appoggiate sulle sue e le palpebre socchiuse, sperando di non ricevere uno schiaffo in pieno viso. Pensò di allontanarsi, ma la mano di lei sulla sua guancia gli fece cambiare idea.
Chiuse del tutto gli occhi e approfondì quel bacio con lentezza, sorprendendosi del fatto che Lyla lo stesse ricambiando, e le circondò il viso con entrambe le mani, sfiorando i suoi capelli e senza la minima intenzione di staccarsi.
Lyla era completamente ibernata, come se qualcuno avesse messo in pausa lo scorrere del tempo, solo per prolungare ancora di più quel momento. Era strano l’effetto che quel bacio stava avendo su di lei. Sembrava che le labbra di Wyatt avessero fatto scattare qualcosa dentro di lei che dallo stomaco si era diramato fino al petto, inondandolo con un calore che non credeva avrebbe mai più sentito.


Isaac rigirò la forchetta fra le dita, osservando il piatto ancora intatto davanti a lui.
Aveva un vero e proprio magone allo stomaco, e il cibo era l’ultimo dei suoi problemi.
Melissa poggiò le braccia sul bancone della cucina e lo guardò con insistenza, ma il ragazzo sembrava così perso nei suoi pensieri che non fece minimamente caso alla donna che lo guardava con un sorriso divertito stampato in viso.
“Isaac”, lo richiamò lei, facendolo quasi sobbalzare. “Terra chiama Isaac”.
“Mi scusi, signora McCall”, disse subito lui mortificato. “Io…”.
“Continui a chiamarmi signora?”, lo rimproverò Melissa con voce sarcastica.
Isaac sospirò e le rivolse un sorriso che di convincente non aveva niente. Sperava solo che Melissa avrebbe almeno apprezzato lo sforzo ma la donna lo guardò ancora più incuriosita di prima, pronta a fargli vuotare immediatamente il sacco.
“Cosa ti preoccupa?” gli domandò in modo così materno che Isaac ebbe una fitta al cuore.
“Lyla”, rispose lui con sincerità, sentendo il magone più leggero solo per aver pronunciato il suo nome, e riportando lo sguardo sulla forchetta.  “E’ andata via”.
“Perché non l’hai fermata?”, chiese Melissa, scrutandolo con apprensione.
“Io…”, cominciò Isaac, poggiando completamente i gomiti sul tavolo. “Volevo farlo, stavo quasi per farlo ma…quando l’ho vista sorridere insieme a quel ragazzo”.
“Non volevi negarle la possibilità di essere felice?”, aggiunse la donna con sorriso amaro.
Isaac fece un cenno di assenso con la testa, abbassando lo sguardo per non incontrare gli occhi di Melissa, così dolci da riportagli sua madre alla mente.
“Non volevo fare la cosa sbagliata”, continuò il ragazzo, pensando ancora a Lyla in macchina insieme a Wyatt mentre lui la osservava andar via da lontano.
“Se ami davvero qualcuno, non c’è niente di sbagliato”, affermò Melissa, prendendogli una mano e stringendola, ricordandogli quel calore materno con cui aveva perso confidenza.
“Ho rovinato tutto”, dichiarò lui, sentendo la sua stessa voce che si rompeva al solo ricordo di ogni cosa. “Avevo Lyla, una casa, un branco…adesso, non ho niente e tutto perché…”.
Non riuscì neanche a terminare la frase poiché il magone che gli attanagliava lo stomaco era risalito, fino a bloccargli la gola, impedendogli di parlare, così come il ricordo della notte in cui aveva spinto Allison nella vasca, sotto lo sguardo deluso di Lyla. Solo che quell’avvenimento era stato che uno della lunga lista. Se non fosse andato via con Derek, decidendo di allontanare spontaneamente Lyla, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto. Lo sguardo avvilito di Scott era ancora vivido nella sua mente, insieme a quello di Lyla.
La presa di Melissa si strinse attorno alla sua mano, fino a fargli alzare lo sguardo.
“Parla con lui”, sussurrò con gentilezza e facendo segno verso le scale.
Isaac tremò leggermente all’idea ma forse era il primo passo da compiere per poter aggiustare le cose.
Da quando Lyla era andata via, erano trascorsi tre giorni, durante i quali aveva passato un po’ di tempo con Allison.
Una parte di lui aveva fortemente desiderato di poggiare le labbra sulle sue, solo per vedere quanto poteva essere differente e avevano ceduto entrambi solo per rendersi conto di come fra loro non sarebbe potuto esserci nient’altro.
Aveva pensato che forse se lei andava avanti, poteva tranquillamente farlo anche lui, perché erano cresciuti, e perché nella vita ci si può anche innamorare tantissime volte, ma la sua era solo un’illusione. Allison sentiva come il suo cuore non fosse rivolto verso di lei, ma altrove, verso qualcun altro che si muoveva ancora nella sua mente, camminando avanti e indietro senza dargli pace.
“Scott?”, la voce di Isaac era udibile appena mentre con una mano teneva la maniglia della porta, senza provare neanche ad aprirla, tanto che era intimorito.
“Avanti”, rispose colui che ormai poteva definire come il suo alpha, voltandosi.
Isaac varcò la porta della sua stanza, infilando le mani nelle sue tasche e fissando il pavimento, mentre il cuore gli martellava forte nel petto. Si sentiva un verme che dopo aver fatto del male alle uniche cose belle della sua vita tornava strisciando con un peso enorme sulle spalle, sperando di alleggerire il carico e di essere perdonato. Anche se Scott l’avesse scusato per tutto, quel peso non si sarebbe mai dissolto del tutto. Sarebbe tornato a tormentarlo nei momenti peggiori, ricordandogli come aveva ringraziato colui che gli aveva offerto un tetto sopra la testa e un letto in cui dormire.
Erano giovani e immaturi, ma questo non lo giustificava…non ne era valsa la pena sacrificare ciò che aveva ottenuto.
“Io non so da dove cominciare…”, disse lui, non trovando un inizio migliore.
“Isaac, va tutto bene”, lo interruppe Scott, portando le mani avanti per tranquillarlo.
“No, per niente”, ribattè Isaac con veemenza, mentre l’amico sgranava gli occhi. “Quello che c’è stato, per quanto breve…è stata la cosa peggiore che potessi fare sia a te che Lyla e non mi stupirei se tu volessi prendermi a pugni fino a spaccarmi la faccia o rompere ogni legame con me, perché è quello che merito…il dolore e ho una vita intera che dimostra che non posso avere nient’altro”.
Aveva detto tutto d’un fiato, senza riflettere e lasciando che le parole trovassero da sole la strada per uscire, mentre Scott soppesava con attenzione ciò che aveva udito. Per quanto ciò che era accaduto alla clinica lo avesse devastato non poco, non si sentiva in grado di condannare Isaac. Una parte di lui voleva indubbiamente prenderlo a calci, ma l’altra, quella umana, quella che lo aveva accolto come amico e come beta, non ci riusciva. Tutti loro avevano fatto degli errori, l’importante era tornare sui propri passi, come aveva fatto lui.
A prescindere da Allison, il cuore di Isaac era chiaramente occupato da qualcun altro.
“Tu puoi avere ben altro, e lo hai avuto già”, lo corresse Scott, avvicinandosi. “Il fatto che tu abbia allontanato qualcosa di diverso dal dolore non significa che non possa recuperarlo. Forse tra me e Allison è finita davvero, e va bene così. Magari è giusto che tra noi vada in questo modo, almeno per adesso, ma tra me e te va tutto bene, davvero”.
Scott gli poggiò una mano sulla spalla stringendola e aspettando che il cuore di Isaac smettesse di battere come un tamburo impazzito. Quando si accorse che il ragazzo aveva iniziato a rilassarsi, gli rivolse un sorriso confortante e gli diede una pacca sulla spalla.
“Devo abbracciarti per fartelo capire ulteriormente?”, domandò con sarcasmo.
“No”, rispose Isaac, grattandosi la nuca. “Credo sia già imbarazzante così”.
Scott rise e gli tirò un pugno contro il braccio, portando l’amico a massaggiarselo per il leggero dolore e a guardarlo con espressione interrogativa.
“Non ho mai detto che non posso rifilarti qualche pugno”.
“Idiota”, lo richiamò Isaac mentre l’altro lo spingeva fuori dalla stanza per scendere giù a fare colazione con Melissa che li aspettava.
Isaac dovette riconoscere che, come inizio, non era poi tanto male, e sperava con tutto se stesso che avrebbe potuto riscrivere un inizio migliore anche con qualcun altro.


Lyla ci aveva creduto, per circa un minuto, che potesse andare avanti e lasciarsi Isaac alle spalle.
Ci aveva sperato davvero, aveva creduto che potesse accadere sul serio ma era stata soltanto un’illusione. Ci era voluto poco per capirlo.
Nel momento esatto in cui aveva notato come le dita di Wyatt attorno alle sue guance fossero confortanti e calde, completamente diverse da quelle di Isaac, costantemente fredde. Il semplice ricordo delle sue dita gelide contro la sua pelle l’aveva fatta rabbrividire, portandola a staccarsi piano, con le lacrime agli occhi che aveva cercato di nascondere.
Perché Isaac gironzolava nella sua mente, camminando avanti e indietro senza darle pace.
Dopo quella sera, qualcosa in lei si era rotto, come da prassi ormai, e senza rendersene conto, aveva iniziato a trattare Wyatt con distacco. Sapeva che lui l’avrebbe capito e si sentiva un vero mostro, ma era più forte di lei. Lyla voleva davvero andare avanti, non desiderava altro e Wyatt sembrava essere lì apposta per quello, ma non ce la faceva, perché il suo cuore era volto altrove e forse lui lo sapeva.
Osservò il borsone già pronto sul letto: quello sarebbe stato il suo ultimo giorno a New York, lo aveva deciso. Forse lei non era la persona fatta per i nuovi inizi, forse lei era destinata a rimanere aggrappata ai ricordi, come se non meritasse altro che il dolore.
“Lyla”, il ragazzo entrò nella stanza in cui le aveva permesso di dormire, con le braccia incrociate, e sembrava conoscere i suoi pensieri.
La ragazza fece per parlare. Voleva spiegargli, voleva chiedergli scusa per tutto, ma Wyatt non glielo permise e le fece segno di non parlare.
“Lo so”, disse, intuendo cosa lei stesse per dirgli. “E’ chiaro come la luce del sole che c’è posto solo per una persona…e non sono io. Non è per fare il gradasso, ma so per certo di essere il ragazzo perfetto al momento sbagliato. Non ti avrei mai lasciata andare e sono sicuro che esiste un universo parallelo in cui Isaac non esiste ed io e te stiamo insieme”.
Lyla dischiuse la bocca con l’intenzione di dire qualcosa di sensato, ma non riuscì mentre quell’affermazione aleggiava ancora nell’aria.
“Forse non è il tempo giusto per noi”, continuò lui, scrollando le spalle. “Forse non lo sarà mai…so soltanto che avrei fatto di tutto per renderti felice, ma è evidente che con me non potresti esserlo completamente…quindi, va bene”.
“La ragazza che avrà il tuo cuore dovrà ritenersi fortunata”, sussurrò lei, carezzandogli dolcemente una guancia, portando il ragazzo a chiudere gli occhi e inspirare, beandosi di quel saluto. “Mi dispiace, davvero. Non credo di poter dire nulla di più sincero. Anche se non sembra vero, avrei voluto davvero che fosse possibile ricominciare con qualcun altro…con te, ma non ci riesco”.
Wyatt le rivolse un sorriso amaro. Credeva alle sue parole, ma il dispiacere sul suo volto era così evidente che anche se fosse stato in silenzio, Lyla lo avrebbe percepito in ogni caso.
Il ragazzo poggiò la mano sulla sua ancora ferma sulla guancia, e le si avvicinò, donandole un leggero bacio sulla guancia, sapendo perfettamente di non potersi spingere oltre.
“Va tutto bene”, disse lui in un sussurro, lasciandosi abbracciare da Lyla.
Quando si staccarono, Wyatt sapeva che quella era forse l’ultima volta che l’avrebbe vista. Magari sarebbe tornato a trovarli a Beacon Hills, magari un giorno ci sarebbe stato un po’ di tempo per loro o magari le cose con Isaac si sarebbero risolte.
In ogni caso, mentre Lyla lo salutava con il borsone fra le mani e con un sorriso malinconico in viso, Wyatt poteva soltanto sperare che riuscisse a trovare quel nuovo inizio, il cui desiderio era insito nel suo cuore.


Lyla ebbe un leggero sussulto e si voltò, osservando due bambini che scorrazzavano velocemente per il vagone e decise di seguirli con lo sguardo, ignorando tutti i pensieri, e facendo in modo che corressero anche loro senza darle il tempo di soffermarsi su di essi…perché semplicemente non voleva. Venne distratta dalla suoneria del suo cellulare, e sorrise, notando chi la stava chiamando.
“Stilinski”, esclamò con tono compiaciuto, e ricevendo una pernacchia dall’altro capo.
“Evans!”, rispose lui con la sua solita voce squillante. “Allora tra quando arrivi da queste parti? Verrò a prenderti io, nel caso non si fosse capito e sappi che è stato atroce non avere nessuno in grado di infastidirmi quanto te”.
La ragazza sorrise e prese a torturarsi la manica della giacca, felice all’idea di riabbracciare Stiles.
Per quanto avesse davvero bisogno di allontanarsi un po’, non poteva per nulla dire che non avesse sentito la sua mancanza, nonostante il ricordo di quella notte fosse ancora lì, pronto a farla sentire del tutto esclusa da quel gruppo particolarmente speciale.
“Tra mezz’ora”, disse lei, senza far caso al cambiamento nella sua stessa voce.
“Lyla?”, la richiamò Stiles con una preoccupazione che non le sfuggì. “Stai bene? C’è qualcosa che non va? Guarda che prendo Wyatt a calci! Non mi è piaciuto quel tipo e se mi dai una buona scusa per pestarlo posso farlo subito...o forse sarò io a prenderle”.
Lyla rise, correndo ad asciugarsi le lacrime che avevano iniziato inspiegabilmente a rigarle le guance senza un motivo preciso.
“Tranquillo Stiles, lascia stare Wyatt”, disse, mentre lui aveva intuito fin troppo bene lo stato in cui si trovava Lyla. “Perché ti preoccupi?”.
“Perché siamo amici!”, dichiarò Stiles, quasi rimproverandola. “Tu sei…come una sorella”.
Quella frase riuscì ad immobilizzarla sul posto e per un secondo smise di sentirsi la ragazza che tentava di correre insieme ai lupi.
Non sapeva neanche lei il motivo per cui volesse continuare a dubitare di lui e di tutte le persone con cui aveva legato.
Forse era più facile non fidarsi e mettersi in disparte. Era più sicuro allontanarsi, affermando di non far parte di nulla, perchè sarebbe stato più semplice affrontare il dolore in quel modo. Tirò su con il naso e soffocò un singhiozzo senza dire nulla, mentre Stiles, a grande distanza da lei, sentiva le dita tremare attorno al telefono, solo a udire il suo stato.
“Lyla…”, cominciò, senza sapere esattamente cosa dire. “Tra poco sarai a casa”.
Lyla cercò di riscuotersi e fece un profondo sospiro. “Già…a più tardi, Stiles”.
“Ti voglio bene”, aggiunse immediatamente lui prima che quella telefonata terminasse.
“Anche io”, Lyla sorrise mentre una lacrima silenziosa continuava il suo percorso.
Stiles non glielo aveva mai detto, e nonostante sapesse che lo pensava, faceva sempre uno strano effetto sentirselo dire.
Chiuse la telefonata e tornò a guardare fuori. Si perse nelle macchie indefinite che scorrevano a tutta velocità fuori dal finestrino, e si lasciò cullare da esse, fino ad addormentarsi completamente.
Quando si risvegliò, gettò un ultimo sguardo all’ambiente esterno: Beacon Hills era proprio lì, a pochi passi di distanza.
Come al solito, la stazione era piena, e Lyla cercava inutilmente di individuare Stiles.
Si lasciò distrarre da persone che si correvano incontro abbracciandosi, e la sua attenzione venne in particolare catturata da una ragazza che camminava guardandosi attorno in continuazione, fino a trovare la persona che cercava...corse incontro ad un ragazzo alto e gli gettò le braccia al collo, lasciandosi sollevare da terra.
Lyla emise un sospiro affranto e continuò a cercare Stiles, di cui non c’era traccia. Prese il cellulare per chiedergli dove fosse finito, poi qualcosa fece guizzare i suoi occhi altrove.
Tra la folla, Lyla riconobbe una figura slanciata e familiare che però non somigliava per niente a Stiles, anzi.
Le sue gambe si mossero da sole, come se fossero completamente distaccate dal cervello, e quasi per dispetto, fecero sì che Lyla ignorasse tutto il mondo circostante.
Guardò Isaac Lahey e le sembrò di non aver fatto altro da quando aveva messo piede per la prima volta a Beacon Hills. Osservò ogni dettaglio: scrutò il suo profilo e le sue mani infilate nelle tasche posteriori dei jeans, mentre spostava il peso da una gamba all’altra, alzando lo sguardo, con i ricci che gli sfioravano leggermente la fronte.
Perché le sembrava di vederlo per la prima volta, senza che la sua mente le ricordasse tutto il dolore che c’era stato fino ad allora? Era sempre lui…nonostante il viso sembrasse lievemente incupito ma nulla a che vedere con il volto che aveva visto tempo fa, quando suo padre era ancora vivo. Il suo viso era quasi più luminoso, più pulito…senza cicatrici a deturpare quella pelle chiara.
Quando Isaac si voltò, osservando Lyla che lo fissava ferma in mezzo alla folla, il suo cuore saltò un battito, e insieme al suo anche quello di Lyla…come fossero sincronizzati.
Lyla iniziò a sentirsi meno invisibile, mentre lui la scrutava da lontano.
Senza rendersene conto, cominciarono a camminare l’uno verso l’altro.
 



Angolo dell’autrice
  • (1) riferimento al primo capitolo della storia, in cui Isaac fa la stessa identica cosa.
  • non so se ci sia una stazione ferroviaria a Beacon Hills ma ho supposto di sì...insomma ci sono mostri di tutti i tipi e non passa un treno?
  • come in Safe Harbor, anche questa volta Stiles interviene per far riconciliare Isaac e Lyla.
Ecco il nuovo capitolo, sempre in tempo…strano ma vero. In pratica, lo avevo già scritto quindi avevo solo bisogno di pubblicarlo.
Cosa pensate che accadrà? Fatemi sapere cosa ve ne pare con un commento anche piccino piccino. Siamo al penultimo capitolo e spero tanto che sia piaciuto. Ringrazio ovviamente tutte le persone che hanno messo la storia fra le seguite/preferite/ricordate.
Direi che ho smesso di tediarvi, grazie ancora a tutti e alla prossima settimana con l’ultimo capitolo (ancora non mi sembra vero!).
Un abbraccio :)

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


“Whatever our souls are made of,
his and mine are the same”.
 

Epilogo 
 

“You're like a mirror, reflecting me, takes one to know one, so take it from me.
You've been lonely. You've been lonely, too long”.
(The Civil Wars - Dust to dust)

 
 
Isaac aveva continuato a camminare con passi lenti e cauti, quasi come se si stesse muovendo sui carboni ardenti.
Aveva deciso di passare dalla porta principale quella volta: nessuna finestra, nessuna nocca battuta leggermente contro il vetro. Soltanto la macchina che lo aveva portato alla stazione e il suo cuore che batteva freneticamente nel petto, per ricordargli che aveva scelto la via più difficile per andare da lei, perchè invaso dalla paura che arrivare da Lyla sarebbe stata una specie di esecuzione. Dovette farsi forza più volte per ricordare che avrebbe dovuto percorrere una semplice strada e non una passerella che lo avrebbe condotto alla ghigliottina. Eppure, quella sorte gli sembrò per alcuni aspetti decisamente migliore di quella che lo attendeva. Persino una seconda immersione nella vasca con il ghiaccio gli appariva meno sgradevole.
Aveva davvero più paura di una ragazza e non di una quasi morte? Doveva essere impazzito, ma quella volta Isaac aveva deciso di comportarsi diversamente e di smettere di nascondersi dietro il vetro di una stanza, bagnato da gocce di pioggia. 
In realtà, Isaac avrebbe dovuto dire a sé stesso che se l'amava davvero, allora doveva lasciarla andare e smettere di ostacolare la sua felicità: ma Isaac non ci riusciva…e forse Stiles aveva ragione a sostenere che nessuno poteva essere felice accanto a qualcuno che non amava. Lei non provava nulla per Wyatt, l'unico pregio che poteva riconoscere a quel ragazzo era dovuto al fatto che lui era stato accanto a Lyla...quando lui non c'era.
Isaac era così perso nelle sue elucubrazioni mentali, che non si era accorto della ragazza tra la folla.
Il viaggio verso casa era stato accompagnato da un silenzio pesante e opprimente almeno quanto un masso da portarsi dietro per un lungo tratto di strada. Isaac non aveva proferito parola dopo aver visto Lyla e si erano limitati a salire in macchina, con gli occhi rivolti verso la strada.
Quando giunsero a destinazione, Lyla aprì la porta della sua casa, al momento vuota, e rimase ferma,  guardandolo senza dire nulla e pensando per certo a cosa fare. Isaac si sentiva esposto, debole e indifeso, come un cucciolo abbandonato sul ciglio della strada che non sapeva da dove iniziare per trovare la strada di casa. Avanzò con lentezza verso di lei: era come quella mattina in pullman, di ritorno da quella notte infernale.
Il ragazzo continuò a farsi vicino in maniera incerta e quasi impercettibile, facendo appello a tutte le sue capacità, come se non volesse emettere il minimo rumore: non voleva farla scappare di nuovo e non voleva che lei gli saltasse al collo da un momento all'altro.
Non gli importava di niente e nessuno in quel momento, soltanto di lei. Tese di nuovo la mano verso Lyla, come quella mattina di settimane fa.
Le dita gli tremavano leggermente ma non gli importava e continuò ad avvicinarla a lei, ancora ferma.
“Lyla”. Isaac la chiamò con voce sommessa, come se la sua fosse più una supplica.
La ragazza si fece più lontana, sfuggendo al suono della sua voce, che per lei era come un'unghia affilata sulla pelle, un suono stridente che le provocava brividi di fastidio lungo la spina dorsale. Era un suono che riecheggiava nella mente, come un eco.
“Ti ha mandato Stiles?”, domandò, con sguardo truce, uscendo da quello stato di trance.
“In un certo senso…”, rispose Isaac, restando nel vago. "Perchè piangevi al telefono con lui?".
La sua voce era calda e confortante per Lyla, come i raggi del sole in una mattina d'inverno.
"Non ti riguarda", rispose lei con fare velenoso.
Isaac quasi fece fatica a riconoscere la sua voce, visto tutto il tempo che aveva trascorso senza sentirla davvero, senza modo di starle abbastanza vicino da poterla udire, come accadeva un tempo, quando la percepiva ogni singolo giorno.
"Era a causa di Wyatt? Cosa ha fatto?"
"Quello che non hai fatto tu".
Eccolo: il pregio che lo stesso Isaac aveva riconosciuto a Wyatt, incombente come un'ombra che sarebbe sempre stata lì a ricordargli cosa aveva fatto e chi aveva preso temporaneamente il suo posto. Forse Lyla gli avrebbe urlato addosso, forse lo avrebbe attaccato ma non gli importava più.
Poteva anche fargli del male ma lui sarebbe rimasto lì a mandar giù ogni cosa, perchè lo meritava. Si sarebbe messo nella stessa situazione di Derek quando Boyd e Cora erano sotto gli effetti della luna piena, se fosse stato necessario. Isaac l'afferrò piano per le spalle, costringendola a guardarlo negli occhi chiari e dispiaciuti, per poi spingere le labbra sulle sue senza farle nemmeno capire le sue intenzioni.
Il ragazzo tremò un attimo al pensiero che quel bacio improvviso poteva segnare la sua condanna a morte, ma ancora una volta realizzò che non gliene importava un accidente di cosa gli sarebbe accaduto. Lyla non lo respinse, ma lasciò che le labbra di Isaac potessero premere ancora sulle sue e per un attimo il ragazzo pensò di avercela fatta, chiedendosi come mai fosse stato così facile.
La risposta arrivò nel momento in cui si staccarono e lui le rivolse un leggero sorriso.
Non appena Lyla vide quel sorriso, il suo sguardo spaesato divenne carico di rabbia e lo schiaffo che lo colpì in pieno viso fu troppo veloce e improvvisato per dare ad Isaac il tempo necessario per rendersene conto.

Il ragazzo si portò una mano alla guancia che gli bruciò per qualche secondo...non poteva certo pensare che sarebbe andata diversamente.
Tentò di avvicinarsi, ma tutto quello che il ragazzo ottenne fu uno spintone.
“Hai ragione”, continuò, facendo un passo avanti. “Me lo merito”.
“Decisamente”, rantolò lei, indietreggiando.
“Vuoi insultarmi? Ok”, aggiunse Isaac, mentre Lyla continuava ad osservarlo sconcertata per quella sorta di ammissione di colpa.
Sembrava tanto che Isaac stesse offrendo spontaneamente il suo collo al boia, cioè lei.
Isaac avanzò nuovamente verso di lei, e Lyla si fece prontamente indietro.
Un passo avanti per lui, uno indietro per lei.
Lyla era sfuggente, spaventata…come se sapesse che nel momento esatto in cui Isaac si fosse avvicinato ancora, lei non avrebbe più risposto delle sue azioni. Temeva di cedere, di perdonarlo, di lasciarsi stringere da quelle braccia nelle quali aveva trovato rifugio per tanto tempo.
“Io resto qui”, esclamò Isaac, con gli occhi chiari che nascondevano un velo di stanchezza e di sconfitta. “Qualunque cosa tu decida di fare, io starò qui e non andrò via per nessun motivo…anche se dovessi puntarmi un’arma contro”.
“Pensi che non lo farò?”, lo riprese Lyla, portando le braccia al petto.
“Non mi importa”, la stupì di nuovo con quell’affermazione. “Non cambierà nulla”.
“Smettila”, esclamò lei, cercando di sgusciare lontano da lui ma Isaac ne approfittava per farsi ancora più vicino.
“Tu sei sempre Lyla”, dichiarò lui con voce incerta, sforzandosi di trovare le parole. “Sei sempre la stessa Lyla che ho conosciuto nei corridoi".
“Stai zitto! Sei andato via”, Lyla aveva quasi urlato, sentendo chiaramente tutte le difese crollare a causa di quella risonanza che era la voce di Isaac.
Isaac aprì la bocca per dire qualcosa ma la ragazza non gli diede il tempo di parlare.
“Sei andato via senza dire niente”, continuò lei. “Mio padre è morto e tu hai fatto una stupida promessa che non sarebbe mai stata mantenuta".
“Io non volevo che le cose andassero in questo. Lyla, io...”.
“La promessa”, continuò lei, impedendogli di terminare la frase. “Tu ed Allison”.
Fu in quel momento che Isaac rivide tutto quello che Lyla aveva provato alla clinica: era di nuovo tutto lì davanti ai suoi occhi, c'era collera...tutta quella collera che lei aveva dovuto trattenere davanti agli altri e che gli avrebbe volentieri lanciato addosso.
“Non potevo negargliela”, esclamò lui, con una gran tristezza nella voce. “Non potevo…per quanto sapessi che l’avrei rotta io stesso".
A quella frase, Lyla alzò gli occhi verso di lui, scrutandolo con maggiore attenzione, mentre Isaac emetteva un profondo sospiro.
“Io non provo niente per Allison. Il fatto che sia riuscito a portarla indietro son significa niente. Non so di cosa abbia bisogno. Non so cosa posso donarle. Forse amore, certezza…ma qualunque cosa sia, io non sono in grado di dargliela”.
“E perchè mai?”. La sua domanda era pungente e velenosa.
“Perchè tutto ciò che ho posso donarlo ad una sola persona...tu”.

Lyla indietreggiò ancora, scuotendo la testa con convinzione. “Smettila”.
Più Isaac si avvicinava, più Lyla si sentiva cadere senza nulla che fosse in grado di tenerla.
Più Isaac si avvicinava, più Lyla sentiva quelle corde che per tanto l’avevano tenuta lontana da lui, spezzarsi definitivamente.
“Io ti…”, cominciò a parlare ma Lyla non voleva starlo a sentire e lo zittì prima del tempo.
“Stai zitto”, aveva quasi urlato senza rendersene completamente conto.
Voleva spingerlo via, fargli del male per impedirgli di continuare a muovere le labbra, pronunciando parole che forse non era ancora pronta ad udire.
“Lyla, io…”, ancora un altro tentativo sventato sul nascere.
“Stai zitto”, era diventato il suo intercalare, ma Isaac era troppo vicino.
Il ragazzo portò le mani sulle sua braccia, mentre la presa si faceva poco a poco più salda e lei sentiva tutte le difese abbandonarla.
“Smettila…”, un sussurro, nulla di più, accompagnato da un primo singhiozzo a cui se ne stavano per aggiungere altri, impedendole di dire altro.
Lyla gli si era scagliata addosso, letteralmente, e aveva preso a colpirlo con tutta la forza che aveva in un turbinio di pugni e di lamenti strozzati.
Isaac la lasciò fare, non cercò in alcun modo di opporsi a quel disperato tentativo di sfogo da parte di Lyla. Il ragazzo lasciò che lei gli riversasse addosso tutto il dolore e tutta la frustrazione che aveva portato dentro di lei per troppo tempo e, soprattutto, per colpa sua.
Poteva sentire il dolore che le sue mani portavano: erano tutte le lacrime che Lyla aveva versato dopo aver scoperto che era andato via senza dire nulla; tutti gli allenamenti che aveva sostenuto per imparare a difendersi; tutti i lividi che si era procurata; tutto lo sconforto e il dispiacere che aveva provato nel guardarsi intorno al funerale di suo padre e scoprire che erano presenti tutti, tranne Isaac; tutte le gocce di pioggia che le avevano bagnato il viso prima di arrivare alla porta del loft per chiedere spiegazioni; tutto il male che le aveva fatto.
Poteva sopportarlo, anche se una parte di lui temeva che non avrebbe smesso.
Isaac la tenne ancora più stretta, inerme, sperando che si calmasse.
Fu a quel punto che Isaac le afferrò i polsi, notando che le nocche delle sue mani erano diventate bianche per quanto le aveva strette contro di lui.
Lyla, in un primo momento, cercò di districarsi dalla sua presa, con il viso contratto in una smorfia ed Isaac dovette trattenersi per non sorridere.
“Smettila”, esclamò il ragazzo con voce mortificata, cercando di farla desistere.
Lyla continuava a guardarlo mentre lo sguardo di Isaac era sempre lo stesso, capace di farla cedere: dolce, triste e con quel leggero velo di malinconia che aveva sempre avuto. C'erano persone che nascondevano il dolore nei loro occhi ed Isaac era sicuramente una di quelle.
Isaac avvicinò il suo viso a quello di lei per catturare le sue labbra, ma Lyla si scostò.
Ciononostante, Isaac non si diede per vinto e dopo un paio di tentativi riuscì a baciarla. Era come tornare a respirare a pieni polmoni, mentre l'aria finalmente veniva catturata e diffusa. Isaac non sapeva se stavano andando a fuoco più le sue labbra o quelle di lei, che con una mano gli aveva artigliato i ricci chiari, spingendoselo ancora più vicino, mentre lui l'aveva avvolta completamente fra le sue braccia, sollevandola leggermente da terra. Isaac sarebbe rimasto così per sempre, bloccato in quel momento, come se quell'abbraccio non fosse altro una bolla d'aria in grado di tenerli fuori da tutto. Voleva fermare il tempo e rimanere in quell'attimo intenso, cancellando tutto quello a cui Lyla era stata esposta.
Voleva rimanere congelato lì insieme a lei in quella casa, come se nulla fosse successo, come se fosse ancora possibile ridere di gusto, vivere profondi momenti di felicità, senza tener conto del male che presto si sarebbe abbattuto ancora su di loro e delle decisioni che in futuro avrebbero dovuto prendere. Voleva fotografare ogni profumo e ogni respiro, affondando in tutti i ricordi che essi trasportavano. (1)
Lyla tremava come una foglia. Aveva paura ed era evidente, mentre le dita indugiavano sul suo viso, segno che qualcosa voleva costringerla a spingerlo via da lei, perchè lui era sbagliato e lei non meritava di soffrire di nuovo, perchè ad un battito di ciglia lui poteva sparire ancora.
Solo che lui non aveva alcuna intenzione di andare via, perchè si trovava esattamente dove doveva essere...insieme a quella ragazza che era piombata nella sua vita all'improvviso, la cui essenza era insostituibile; quella ragazza che non era in grado di chiudersi in un guscio di dolore come faceva lui quando le cose apparivano troppo terrificanti per essere affrontate. Lei non si nascondeva sotto il letto, aspettando che il mostro andasse via dalla sua stanza. Lei gli aveva teso la mano per fargli capire che non c'era nulla di cui aver paura. Lei aveva fronteggiato più volte la solitudine, non aveva cercato di riempirla con persone o sentimenti a caso, come aveva cercato di fare Isaac. Lei aveva affrontato la pioggia e la tempesta, senza paura di quello che le sarebbe potuto succedere. Solo che a stare sempre da sola, il suo cuore sarebbe potuto andare a male. Si sarebbe decomposto e si sarebbe sciolto fino a diventare una poltiglia indefinita, e con esso anche tutto l'amore che si era portato dentro per tanto tempo.
Isaac non poteva permetterlo. Non poteva lasciare che si sciogliesse.
Si separarono un attimo e Isaac chiuse gli occhi, mentre le dita affusolate accarezzavano con timore la sua guancia, come per calmarla.

Gli occhi di Lyla rimasero sulla sua figura per tutto il tempo, ed Isaac li sentiva per alcuni tratti accusatori, carichi di una delusione che forse non si sarebbe mai riassorbita del tutto. Il suo sguardo pesava e gli faceva esplodere qualcosa al centro del petto.
Isaac abbassò gli occhi all'improvviso, e rimase stupito quando due dita si poggiarono delicatamente sul suo mento, portandolo ad alzare il viso verso di lei. Isaac rimase con la bocca dischiusa per qualche secondo, chiedendosi se fosse morto e se quello non fosse altro che un sogno, ma Lyla gli regalò un timido sorriso che per lui era il mondo, e sarebbe voluto scoppiare per la gioia, ma dovette trattenersi.
Lyla emanava così tante emozioni, che Isaac non riusciva a distinguerle tutte.
Percepiva soltanto un vortice così intenso e carico da annebbiargli la mente, facendogli perdere ogni contatto con il mondo esterno, di cui non voleva sapere proprio nulla. Non voleva cantare vittoria da subito, ma quando la baciò di nuovo, non riuscì a contenere un sorriso.
Voleva dirle quanto l'amava e che tante immagini sul loro futuro gli stavano scorrendo nella mente come un fiume in piena.
Lyla era praticamente incastrata fra lui ed il muro, e non ricordava nemmeno come ci fosse finita, mentre le sue mani toccavano ed esploravano ogni centimetro del corpo di Isaac, come per riprendervi confidenza e ricordare ogni minimo dettaglio. 
Isaac appoggiò la fronte alla sua, tentando di inspirare quanto più possibile e di recuperare almeno un minimo di raziocinio che in quel momento era del tutto svanito. Sentiva quel bisogno sopito piombargli addosso come una valanga.
Sentiva il desiderio impellente di stringerla ancora più forte e di lasciarsi stringere a sua volta, fino a farsi male, fino a permetterle di conficcare le unghie nella pelle, pur sapendo che non avrebbero lasciato neanche il minimo segno. 
Sentiva l’esigenza di restare incollato a quel corpo fino al giorno successivo e anche oltre, per recuperare tutto il tempo perduto.
Quando Lyla alzò lo sguardo verso di lui, con gli occhi rossi e impastati di lacrime, mentre le labbra erano gonfie e leggermente dischiuse, Isaac sentì tutte quelle sensazioni diramarsi ancora più prepotentemente in tutto il suo corpo.
Aveva rischiato di perderla e non soltanto in senso metaforico. Aveva rischiato di perderla così tante volte che si sarebbe preso a pugni da solo per il rischio che aveva corso e che aveva fatto correre anche lei. Avevano corso insieme lungo una strada anfrattuosa e piena di buche, sapendo che alla fine non avrebbero trovato nulla se non un passaggio distrutto che si affacciava su un burrone.
Entrambi avevano percorso quella strada, sapendo che li avrebbe portati verso il baratro. Lo avevano fatto eppure, contro ogni previsione, adesso erano lì a guardarsi ripetutamente gli occhi e le labbra, aspettando un segno che permettesse loro di andare avanti.
Lyla, dal canto suo, non seppe come avevano fatto a ritrovarsi  in quella situazione ma percepì soltanto le sue stesse mani muoversi verso lui.
Gli circondò nuovamente il viso, suggendo con attenzione il naso, la linea dritta delle labbra e le guance, come per assicurarsi che Isaac fosse realmente lì dinanzi a lei. Quando le sue dita scesero sul petto, Isaac venne scosso da un brivido e Lyla allargò il palmo a livello del cuore, udendo chiaramente il suo battito impazzito. Isaac non riuscì a fare a meno di sorridere, ricordando una notte di qualche tempo fa, in cui era stato lui ad ascoltare i battiti del suo cuore, precisandole quanto fosse importante.
Lyla riavvicinò le labbra alle sue, stringendo i capelli ricci tra le dita mentre Isaac rispondeva a quel bacio, facendo qualche passo avanti e sovrastandola con il suo corpo. Lei era lì, tra le sue braccia, e per un attimo gli parve una cosa così innaturale e sbagliata, visti gli avvenimenti precedenti, che il suo respiro cominciò a farsi più pesante. Non voleva rovinare tutto, non di nuovo e temeva di ricaderci ancora, magari quella sera sarebbe andato tutto per il meglio e poi l’avrebbe delusa nuovamente.
Tuttavia, bastò un altro bacio di lei per scacciare via quei mostri che lo terrorizzavano come fosse un bambino spaurito.
Isaac riprese a baciarla, calibrando ogni gesto con calma e lentezza, come se fosse la prima volta che la sfiorava, perché sapeva che la distanza era stata così lacerante e reale da far dimenticare forse ad entrambi cosa significava stringersi a quel modo.
Isaac percorse tutto il suo volto con baci leggeri, a partire dalla fronte fino ad arrivare alle labbra mentre Lyla gli passava un braccio intorno al collo per stringerlo sempre di più e per annullare totalmente quella distanza maligna che per troppo tempo li aveva torturati.
Intrecciò le dita a quelle di lei, osservando quell’incastro perfetto e senza neanche sfiorare l’idea di scivolare via dal suo corpo, e rimase stretto a lei.
“Sta succedendo davvero”, domandò Lyla con voce roca, interrompendo quel silenzio fatto solo di respiri. “Sei davvero qui con me e non dovrò più vederti andare via? Andrà così o si ripeterà ancora la stessa identica storia?”.
Isaac la strinse forte e le rubò un altro bacio. Non voleva ancora spezzare quel momento, che li vedeva sospesi...in bilico e ad un passo dal cadere giù. Lui non voleva cadere, voleva restare insieme a lei, e tirarla su come aveva sempre fatto lei.
“Ogni volta che ho fatto passare un giorno senza te…ho capito che quel giorno non era un bel giorno”, (2) sussurrò.
Isaac preferì non dire altro, evitando di perdersi in discorsi inutili che non l’avrebbero certo rassicurata. Non le disse tutti i pensieri che gli stavano attraversando la mente in quel preciso istante. Non le disse che voleva continuare a baciarla fino a toglierle il fiato.
Avrebbe voluto urlarle a gran voce che l’amava e che non intendeva passare un altro giorno senza di lei, che ogni volta che l’aveva vista nel corridoio il suo stomaco si era attanagliato in presa ad una morsa di dolore misto ad imbarazzo. Voleva dirle tutte quelle cose che non aveva potuto pronunciare in quei mesi ma non lo fece, perché lei lo sapeva, lo aveva sempre saputo.
 
 
Lyla aveva i capelli castani che le ricadevano completamente sulle spalle, mentre una mano era abbandonata sulle ginocchia, chine sull’erba.
Isaac non riusciva a distogliere lo sguardo dalla sua figura, dai suoi capelli che si poggiavano in morbidi boccoli sulle spalle, dal cappotto color malva che indossava. Non riusciva a guardare altrove, anche se il sole dritto in faccia aveva iniziato a dargli fastidio, lui continuava a guardare Lyla, portando alla mente i ricordi delle giornate precedenti.  Il suo stesso stomaco fece una capriola al pensiero di tutti i baci che si erano scambiati, delle mani di Lyla sulla sua schiena, delle sere che avevano passato insieme, durante le quali lui aveva smesso di entrare dalla finestra, preferendo la porta. Era bello crogiolarsi in quella certezza beata e fresca, come una brezza estiva lungo la spiaggia, che lei stessa rappresentava. Era bello guardarla e vedere ciò di cui aveva sempre avuto bisogno.
Lyla percepiva chiaramente il respiro di lui a poca distanza da lei, che si infrangeva continuamente come le onde del mare sugli scogli. Sentiva, in quel silenzio di completa e assoluta serenità, il suo battito calmo e si lasciava cullare, come fosse una dolce ninna nanna.
Sapeva con certezza che Isaac la stava osservando, pur essendo di spalle, ma preferì continuare a fingere di non accorgersene, beandosi di quella sensazione che lo vedeva accanto a lei in un momento come quello.
Inutile dire che niente e nessuno aveva risparmiato una gran bella strigliata a Stiles per il tiro basso che le aveva riservato il giorno del suo ritorno a Beacon Hills, ma doveva riconoscere che era merito suo.
Si impose di non sorridere al ricordo di quel sapientone di Stiles che gongolava al pensiero di aver permesso al suo piano malefico, e forse geniale, di realizzarsi. Aveva evitato di chiuderli da qualche parte, costringendoli a chiarire, come facevano la maggior parte degli amici in situazioni simili, quindi gli era decisamente grata.
Lyla poteva sentire, dopo un tempo indefinito, di essere probabilmente in pace con sé stessa e anche con il resto del mondo.
Pensare che, in fin dei conti, raggiungere anche un briciolo di felicità poteva essere così semplice, la fece quasi ridere.
Forse avrebbe potuto evitare tutti quei dolori che aveva causato a sé stessa e anche ad Isaac, pur non volendo.
Il luogo in cui si trovava in quel momento era forse la prova certa di ciò che aveva raggiunto.
Era passato un po’ di tempo prima di trovare il coraggio per compiere quel passo, ma con Isaac accanto a lei, ogni cosa non sembrava per nulla impossibile. Osservò quella lapide fredda e priva di vita che portava su di essa un nome che le scaldava il cuore ogni volta.
Guardò la lapide di James Evans e la sua foto sorridente, chiedendosi se sarebbe stato felice di vederla con Isaac in quel momento, dopo tante peripezie. Forse sì o forse no, ma in ogni caso non avrebbe mai potuto saperlo. L’unica cosa certa era l’amore immenso che suo padre aveva provato per lei, per tutta la sua vita.
Sorrise, ricordando il modo in cui l’aveva incoraggiata ad andare alla partita di lacrosse e ad analizzare bene la situazione, convinto del fatto che Isaac l’avesse lasciata per un motivo più che serio. Suo padre aveva avuto indubbiamente ragione e se non fosse stato per lui, forse lei non avrebbe mai scoperto la verità. La sua mancanza si faceva sentire ogni volta, come se fosse costretta ad alzarsi ogni giorno con un arto mancante. Una mattina si ritrovava senza braccio, un altro senza gamba, e così via…in modo che il suo corpo sperimentasse come l’assenza di suo padre la rendesse in qualche modo menomata ogni singolo giorno.
Quando Lyla si alzò, Isaac allungò il braccio verso di lei, stringendole la vita da dietro e affondando i capelli nella sua spalla mentre lei si abbandonava contro di lui.
Isaac la guardò per un attimo, sfiorando la sua guancia con il naso, facendola sorridere.
Si sentì un bambino che vedeva per la prima volta qualcosa che non credeva esistesse e cominciava ad esplorare, come per accertarsi che fosse tutto vero e non frutto della sua immaginazione. Intanto, Lyla sospirò, osservando la lapide di James Evans che si ergeva dinanzi a loro, portando alla ragazza un mucchio di ricordi di ogni tipo.
“Cosa fai?”, domandò lei, appoggiando il viso contro il suo petto.
“Ti guardavo”, rispose lui semplicemente, stringendo maggiormente la presa.
Lyla sollevò lo sguardo e gli rivolse un sorriso dolce per poi riportare lo sguardo.
Lei gli prese la mano, intrecciando le dita con le sue, per poi cominciare a camminare.
Isaac ebbe modo di rispecchiarsi in quegli occhi scuri che non ammirava da tanto tempo, e riconoscendo quello specchio, il suo specchio, che aveva rotto così tante volte, frantumandolo in mille pezzi che gli davano un’immagine completamente distorta di sé stesso.
Era stato un vagabondo senza meta e senza speranza, alla disperata ricerca di una parte di sé che non credeva avrebbe più trovato, alla ricerca del suo riflesso che giaceva proprio lì davanti a lui e completamente intatto, come se fosse stato custodito tutto il tempo all’interno del cuore di Lyla, in attesa del suo ritorno.
 
“We've been lonely. We've been lonely, too long”.
 
 
Angolo dell’autrice
 
- (1) riferimento ad un verso della canzone "Sospeso" de Il Nucleo;
- (2) riadattamento della frase "When I let a day go by without talking to you, that day isn't just no good", pronunciata da Barney in How I met your mother e riferita a Robin (una delle mie coppie preferite della serie).

Ci siamo: è ufficialmente finita, proprio nel senso che non ci saranno altri sequel, prequel o quant’altro. Non credo di avere molto da dire su questo epilogo, spero soltanto che vi sia piaciuto e che non sia sembrato banale il modo in cui li ho fatti (finalmente!) riappacificare. Non è bello da dire, ma non vado molto fiera di questa storia (vabbè che io non vado fiera di nessuna storia xD) ma penso sempre che avrei potuto gestirla meglio.
Comunque quel che è fatto è fatto, forse va bene così, quindi ringrazio immensamente tutti coloro che hanno letto, recensito, ecc. lasciandomi commenti meravigliosi che mi hanno spinta a portare avanti questo seguito, seppur con un po’ di lentezza.
Fatemi sapere cosa ne pensare con un commentino, se vi va, non so cosa ne sia uscito, quindi mi affido a voi...come sempre.
Non potrò mai ringraziare abbastanza, ma questo epilogo è anche merito di tutti i lettori, quindi grazie infinitamente <3
A presto, spero, un abbraccio!

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