Peut etre le seule chose vraie de ta vie?

di xCyanide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di lacrime e sorprese. ***
Capitolo 2: *** Di occhi verdi e francese. ***
Capitolo 3: *** Di cuori vistosi e si. ***
Capitolo 4: *** Di migliori amici e persone vere. ***
Capitolo 5: *** Di cose normali e persone preoccupate. ***
Capitolo 6: *** Di invidia e amore. ***
Capitolo 7: *** Di ragazze e bugie. ***
Capitolo 8: *** Di nausea incessante e ti amo. ***
Capitolo 9: *** Di ragazzi e problemi. ***
Capitolo 10: *** Di dolore, amore e altre dimensioni. ***
Capitolo 11: *** Di abbigliamento e famiglia. ***
Capitolo 12: *** Di artisti, sogni e prime esperienze. ***
Capitolo 13: *** Di coccole, ricordi e piccoli dolori. ***
Capitolo 14: *** Di vani tentativi e mancato rispetto. ***
Capitolo 15: *** Di risvegli e autodistruzione. ***
Capitolo 16: *** Di interiora a pezzi e tristi rivelazioni. ***
Capitolo 17: *** Di tremori, genitori iracondi e sorprese. ***
Capitolo 18: *** Di genitori supersonici, pace e piccole richieste. ***
Capitolo 19: *** Di abbracci e chiarimenti. ***
Capitolo 20: *** Di rose e ferrovie. ***
Capitolo 21: *** EPILOGO - Di momenti, svolte e francesi. ***



Capitolo 1
*** Di lacrime e sorprese. ***


Capitolo 1 - Di lacrime e sorprese.


Non sapevo in realtà come l’avessi conosciuto di preciso. Era semplicemente apparso nella mia vita e aveva cercato di colmare il vuoto che sentivo costantemente nel petto senza che glielo avessi chiesto. Quello stesso vuoto che ci aveva così avvicinati, nemmeno immaginate. Non che lo biasimassi per quello che aveva fatto per me, semplicemente ero incondizionatamente grato. Mi sentivo come se fossi la falena e lui una luce accecante pronta a tenermi con se. Mi sentivo sempre protetto.
Il mio corpo era così attratto dal suo, quasi sembrava una cosa innaturale.
Lui era innaturale. Assolutamente troppo perfetto per essere umano, ai miei occhi. Aveva quel fascino che non è sicuramente terreno. Ma non era nemmeno somigliante all’idea di bellezza ideale che ci viene inculcata nella mente dai tempi degli antichi elleni. La bellezza che rincorreva Mirone, che aveva cercato di migliorare poi Skopas erano niente in confronto ai suoi soli occhi.
Se avessi dovuto descrivere il suo aspetto, avrei detto che apparteneva a una specie tutta sua. Si portava dietro una sorta di aura eterea, quasi come fosse completamente e maledettamente ialino per tutto il corpo.
La prima volta che l’avevo visto,  però, la ricordavo.
Ve l’ho detto, era semplicemente apparso, non lo conoscevo. Non lo avevo mai visto prima di allora.
E quindi come ha fatto uno sconosciuto a sembrarmi così familiare, proprio come se fosse casa mia?
 
Tutte le volte che i miei genitori mi urlavano contro per un qualsiasi motivo anche alquanto inutile, ero solito chiudermi a chiave nella mia camera per poter piangere tutte le lacrime che avevo in corpo.
Quella volta, più precisamente, mamma mi aveva tirato… non so cosa fosse, ci credete? Probabilmente era un piatto piano di porcellana della collezione di mia nonna, ormai morta da anni purtroppo.
La spiegazione? Avevo saltato la scuola quel giorno, cosa che facevo ormai assiduamente per colpa dei miei compagni di classe davvero stronzi, ma per mia sfortuna ero stato beccato. Il preside aveva chiamato a casa.
Mio padre, il più pacato tra i due, aveva cercato di farmi ragionare in tutti i modi, mi aveva detto che “farmi bocciare al terzo anno di scuola era un completo fallimento”, sosteneva che avrei rovinato il nome della famiglia in quel modo.
Loro… oh, loro si che tenevano alla mia istruzione! Forse ora riesco a capirli, ma cercate di comprendere anche me: avevo solo quindici anni. Ero un ragazzino disubbidiente, quasi come lo facessi apposta, che macchiava il buon nome della famiglia Iero.
Tutti i miei cugini, zii, parenti in generale erano persone davvero importanti o che sarebbero diventate importanti con davvero pochissimo tempo.
Avvocato, giudice, notaio, poliziotto, soldato. Ecco cosa pensavano sarei dovuto diventare.
Era brutto sapere che già da prima che nascessi la mia vita fosse stata completamente programmata.
Nasci. Cresci. Studi. Lavori. Ti sposi. Dai un erede alla famiglia. Finisci due metri sotto terra.
Non volevo sottostare alle leggi non scritte che mi venivano imposte, dopotutto ero un essere umano e volevo essere trattato come tale. Avevo le mie passioni e volevo coltivarle.
Avrei voluto diventare un chitarrista di successo ma beh, se vedeste da che luogo lurido vi sto raccontando questa storia, vi rendereste conto che forse avrei fatto meglio a seguire il consiglio di mia madre. Che poi, tanto consiglio non era, forse è meglio chiamarlo ordine.
Comunque, sin da piccolo non avevo voluto saperne delle regole. Le credevo solo buone a restringere l’anima di una persona, a renderle incapace esprimersi per davvero.
L’anima non ha fottute regole, avrebbero dovuto capirlo tutti. L’anima è la cosa più libera del mondo, devi plasmarla come più credi.
E non come credono gli altri, la libertà non è imposizione.
Andando avanti negli anni, capii che se c’era una cosa che non volevo farmi fare, era farmi togliere i sogni. Che me li strappassero via dalla carne, scuoiandomi in modo davvero indelicato e rude per farmi rimanere con i piedi per terra. Per farmi rimanere nudo davanti a loro.
Non volevo. Ero un sognatore e chi nasce sognatore, muore sognatore. Ecco una delle mie leggi non scritte.
Avevo evitato accuratamente quello che credevo fosse un piatto, come già detto, ed ero corso in camera mia portandomi dietro la pesantezza degli insulti che mi ero preso.
Inutile. Scansafatiche. Delusione. Fallimento. Schifo.
Ingoia e reprimi, mi dissi come sempre quando non volevo piangere.
Mi limitavo ad ingoiare il groppo che mi chiudeva la gola ed a ricacciare indietro le lacrime accuratamente così da non mettere in mostra la mia altrimenti sfarzosa fragilità.
Sbattei come sempre la porta della camera, così da mettere in mostra la mia invece inesistente forza e autorità.
Quando finalmente girai la chiave per chiudermi dentro, sentii la mia guancia sinistra prontamente bagnata. Tutto quello che rimane dentro, prima o poi deve anche uscire.
Mi presi il viso tra le mani in modo davvero poco delicato e mi lascia scappare un forte singhiozzo che si irruppe nel mio petto e mi tartassò per un attimo, facendomi sentire davvero confuso e perso.
Arrancai con gli occhi serrati verso il letto e mi ci buttai sopra con la pancia rivolta sulle lenzuola, a peso completamente morto, e portai le mie dita tra i capelli per spingermi il viso sul materasso.
Non per soffocarmi, assolutamente, volevo solo tenermi nascosto. Volevo solo stare al buio, completamente senza luce.
Ripensavo tra me e me a quello che ero, a quello che stavo facendo e mi resi conto che… che forse mamma aveva ragione. Forse ero davvero una delusione. Uno scansafatiche.
Questa consapevolezza mi lacerò lo stomaco in tutti piccoli pezzetti, mi sentivo a terra, mi sentivo sottoterra anzi.
Avrei voluto scomparire, non essere davvero mai nato, soprattutto se dovevo vivere per sentirmi male sempre.
Quando alzai il viso dalla coperta, con gli occhi ancora grondanti di lacrime e davvero gonfi, mi si parò davanti l’immagine di un tessuto nero… di quello che mi sembrava velluto. O pile, non so dirlo con precisione.
Mi stropicciai lentamente le palpebre, come se davvero non riuscissi a capire cosa diavolo fosse e alzai lentamente lo sguardo per seguire la linea femminea del corpo che si trovava sotto quello che oramai avevo identificato come un cappotto.
Assottigliai lo sguardo quando capii che quella sul mio letto con me era davvero una… donna. O perlomeno, così sembrava.
Inclinai appena il viso, davvero confuso, e mi sistemai a sedere sempre con occhi indagatori rivolti verso la figura che in quel momento si stava guardando intorno nella mia stanza. Ancora non potevo vedere il suo viso, ancora non avevo la conferma del suo sesso per giunta, ma dalle forme che vedevo sotto il cappotto poteva essere benissimo una donna un po’ sovrappeso. O un uomo davvero magro. Ma escludevo l’ultima opzione. I suoi soli movimenti del cranio erano troppo delicati per essere appartenenti a un essere maschile, dato che la maggior parte di essi erano rozzi e buffi da guardare. Un po’ come Hulk.
Scesi ad osservare con attenzione le sue dita affusolate e non potei fare a meno di metterle a confronto con quello che credevo davvero fosse l’esempio pratico dell’uomo, mio padre.
Le sue erano più lunghe e magre, si intravedevano le ossa sotto la pelle davvero troppo liscia e apparentemente morbida. Sembravano davvero dita curate, non di un lavoratore assiduo. Mio papà era un avvocato, le sue unghie erano sempre rotte fino alla carne viva per via del nervosismo. Quelle dell’essere invece, sembravano appena uscite da una seduta di manicure, con lo smalto nero lucido sistemato per bene sulle falangi e le unghie davvero lunghe e fine.
Quindi, portai di nuovo gli occhi ad osservare quello che riuscivo ad intravedere del suo volto, bianco come le mani presupposi.
Un groviglio di capelli lunghi fino alle sue scapole, completamente neri, mi bloccava la visuale su quello che doveva essere il suo viso.
Lasciai vagare per bene le mie pupille su quella matassa indefinita, forse erano l’unica nota che stonava con la delicatezza del resto del corpo. Era l’unica cosa leggermente mascolina che riuscivo a trovare in quella creatura. Mi lasciai trasportare dalle leggere sfumature castane che si trovavano sull’attaccatura della cute, come se fossero tinti. Ma non credevo lo fossero, anche perché mi sembravano troppo naturali per esserlo.
Ero così curioso di vederla, lo volevo a tutti i costi.
Così presi una piccola boccata d’aria e mi decisi a schiarirmi la gola per attirare l’attenzione.
Ma quello che vidi mi mozzò letteralmente il fiato.
 

xCyanide's Corner
Okay okay okay, avevo promesso che l'avrei pubblicata una volta completamente finita di scrivere, ma niente. In fatto di pazienza faccio schifo.
Diciamo che per metà l'ho già finita quindi umh, spero di essere più puntuale possibile.
Spero veramente vi piaccia, ci ho messo davvero l'anima dato che ci sto lavorando da tipo quasi un anno. E' strano, dieci capitoli in un anno ahahahah
Comunque, lasciatemi una piccolissima recensione, mi farebbe davvero piacere!
Alla prossima (pubblicherò approssimativamente una volta a settimana)
xCyanide

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Capitolo 2
*** Di occhi verdi e francese. ***


Capitolo 2 - Di occhi verdi e francese.


I suoi occhi mi investirono come un fottuto fiume in piena, non riuscivo a vedere altro se non quelle due gemme brillanti proprio lì, davanti a me. Mi sentivo denudato da quello sguardo, per quanto ingenuo potesse mai essere. La forma delle palpebre era tonda, come se inglobasse completamente l’occhio in se, come se lo proteggesse da qualsiasi attacco. Anche io avrei tenuto in salvo delle iridi come quelle, mi dissi, anche a costo della morte.
La gente lo avrebbe identificato come nocciola, il colore di quelle iridi. Ma in quel preciso momento, non mi sentivo davvero parte della razza umana in generale. Non era semplicemente noce, quello che c’era nei suoi occhi.
In realtà, non mi ero nemmeno curato di scoprire quale fosse il suo sesso, sembrava tutto completamente eclissato da quel tono luminoso che non riuscivo a decifrare.
Osservandoli meglio mi resi conto che erano davvero trasparenti, come se non esistessero quasi. Mi chiesi se non fosse tutta la mia immaginazione, ma mi sembrava così tanto reale quella creatura davanti a me. Cercai di tornare al presente per capire davvero cosa fosse, e riuscii a distinguere per bene delle piccolissime pagliuzze dorate, davvero dorate, che probabilmente erano le mandanti di tutta quella luminescenza così innaturale. Sfumavano in quello che mi sembrava quasi un celeste sporco, scuro quanto il ciano, ma più chiaro del blu. Di solito, due colori come quelli stonavano in modo davvero palese, se messi insieme. Nelle sue iridi, però, andavano maledettamente d’accordo. Come fossero il nero e il bianco. Assolutamente complementari. Era strano, come tutto quello che ero riuscito a vedere in quella creatura.
Piano piano, però, verso i bordi potevo scorgere una sorta di verde… verde abete. Scuriva tutta l’iride, come a renderla più cupa e triste. Donava davvero un senso di mistero. Era come se quegli occhi così spogli e lucidi, quasi fottutamente trasparenti, contenessero un qualche segreto della sua anima.
Questa così mi incuriosì del tutto così, senza nemmeno accorgermene mi avvicinai alla creatura che si lasciò andare ad una piccola espressione confusa, così da farmi rendere conto che in quel volto non esistevano solo i suoi occhi.
Erano la parte più interessante, probabilmente, ma l’essere fortunatamente possedeva anche tutti gli altri attributi che rendono un viso, tale.
Feci scendere lo sguardo su quello che doveva essere il suo… nasino. Chiamarlo naso era troppo, aveva una linea davvero delicata ed era cosparso di piccolissime lentiggini leggermente più scure della sua pelle di porcellana, pallidissima. Sembrava quello che le persone identificano come “naso alla francese” ma era più aggraziato, se possibile. Le narici erano strette e abbastanza lunghe, improvvisamente mi sentii come se possedessi i tratti più goffi e rudi del mondo.
Proprio sotto il nasino, potei scorgere il leggero alone scuro che lasciava la peluria maschile sul viso. Per quanto un uomo volesse radersi e riempirsi di creme, la sua pelle rimaneva sempre leggermente più scura di quella delle donne. Fu il secondo fattore non propriamente femminile che ritrovai nella creatura che avevo davanti agli occhi.
Le sue labbra. Puntai lo sguardo su di loro perché attirarono la mia attenzione nel preciso momento in cui le schiuse probabilmente per prendere un piccolo respiro debole. Erano maledettamente rosse, ma non per colpa di un qualche lucidalabbra o rossetto. Erano innaturalmente rosse, ma in modo naturale. Niente era lì a compromettere e a cercare di coprire le piccole crepe dovute alla poca idratazione e cura che ricevevano.
Il labbro superiore era davvero sottilissimo ed era quello messo meglio tra i due, dato che non presentava grandi lesioni o ferite dovute  ai denti. Era leggermente curvo sulla parte che si fondeva con la pelle pallida, creando un contrasto davvero fantastico tra il bianco e il rosso cremisi. Era a forma di cuore quasi, che lo rendeva davvero carino da guardare, nonostante fosse davvero secco.
Quello sotto, mi fece quasi senso a dire la verità. Quando lo osservai per bene mi resi conto che era davvero disastrato, come se passasse ore a torturalo con i denti. Appuntiti probabilmente. Spiccava su di esso una linea a forma di lunetta, completamente bianca, che pensai, fosse il punto in cui piantava sempre i denti. Sul lato sinistro, non poteva passare inosservata una ferita verticale, doveva fargli davvero male perchè guardandola mi resi conto che era davvero profonda. Era auto inflitta, non c’era altro modo. A meno che non avesse partecipato ad una scazzottata ma eliminai il pensiero dalla mia mente, non riuscivo ad immaginare un ragazzo con quel visino così delicato che veniva picchiato senza il minino riservo.
Mi dissi, in un lampo, che la gente non capiva davvero un bel niente in quanto a bellezza. Modelle anoressiche, ragazzi tutto muscoli e niente cervello.
Io stavo guardando la bellezza in quel momento, una bellezza innocente e tutto meno che esagerata.
Forse agli occhi degli altri sarebbe stato troppo etereo per sembrare terreno, eppure io lo avevo davanti. Scorsi i miei occhi su di lui un’ultima volta, ancora completamente meravigliato.
Alla fine, qual è la vera perfezione? E’ quella che mette in passerella uno stupido stilista, che probabilmente promuove in tutto e per tutto l’anoressia? Quella specie di perfezione formata da occhi carini, un bel corpo e così tanto trucco da poterci dipingere una fottuta casa intera? Chi erano quelle persone per decidere cos’era bello e cosa no?
In quel momento però, riuscivo a pensare solo a una cosa: avevo davanti la perfezione fatta e finita, raccolta nel corpo davvero minuto di un ragazzo che, riflettendo per bene, era nella mia stanza ma che non avevo mai nemmeno visto.
Il mio sguardo allora, da indagatore, passò a curioso e fissai il ragazzo che mi riservò un sorrisino timido, mostrandomi dei denti davvero minuscoli e quasi triangolari per quanto piccoli, delicatissimi anch’essi. Mi dissi che, per la conformazione del suo viso, non avrebbero potuto essere altro che così.
-Bon soirée  - sussurrò, con quello che a me sembrava il suono di un milione di campanellini completamente intonati. Inclinai leggermente il viso, preso alla sprovvista da quello che era… francese? Perché il ragazzo che avevo davanti stava parlando francese? –Ti prego di non osservarmi così, mi rincresce doverti rimproverare ma osservare in questo modo le persone a volte può essere segno di maleducazione – continuò, il tono melodioso incrinato in una nota divertita.
Distolsi completamente gli occhi, avvampando perché la creatura aveva ragione, ma volevo tenergli testa in qualche modo per cui cercai di tornare ad osservarlo in modo meno maniaco e più amichevole.
-E non ti hanno mai detto che se hai davvero il bisogno fisico di entrare in casa di una persona che non conosci, almeno dovresti chiedere il permesso? – gli domandai, ricambiando il suo tono scherzoso così da non farlo sentire a disagio.
Non mi passò nemmeno per la testa che lui fosse lì per farmi del male, il suo sguardo era troppo innocente per pensarlo davvero. Non riuscivo ad immaginare quella creatura così eterea con un oggetto contundente nella mano, che mi pugnalava ripetutamente. Non ce la facevo proprio, andava contro ogni mia morale e regola.
-Devi scusarmi, ma per non sei affatto un estraneo Frank – le sue labbra rosse si curvarono in un piccolissimo sorriso, quasi dolce, mentre passava piano lo sguardo su di me in modo… paterno. –Frequento il tuo stesso liceo, sono nella sezione artistica al quinto anno. So di passare inosservato nell’edificio scolastico, probabilmente nemmeno mi conosci per sentito dire, anche se le voci che girano su di me sono molte – si strinse leggermente nelle spalle magre e portò le mani ai lembi del suo cappotto di velluto per sfilarlo lentamente dalle braccia. Rimase con una camicia davvero leggera che gli circondava il busto come fosse una seconda pelle e questo mi aiutò a capire che il ragazzo era abbastanza sottopeso. Ebbi per un attimo l’impulso di toccarlo, per controllare davvero, per saggiare la sua pelle da sopra il tessuto di quell’indumento davvero minimo ma ovviamente mi trattenni. Non era molto carino toccarlo in quel modo quando nemmeno sapevo il suo nome. –Sono qui per… non so nemmeno io il motivo, posso solo dirti che volevo conoscerti a tutti i costi. Mi è stato riferito che sei un ragazzo davvero intelligente e io non compagni che non mi facciano sentire solo quindi è come se ti avessi scelto.
-Scelto – dissi con voce delusa, come se credessi che quell’essere fosse stato mandato da Dio solo per me. Tutte balle, era un ragazzo di una bellezza unica, ma pur sempre un ragazzo.
Fu come se mi fosse caduto il mondo addosso, come se davvero avessi pensato di essere la Vergine che veniva visitata dall’angelo. Era solo un ragazzo che si era intrufolato nella mia camera perché voleva conoscermi, motivazione che seppur valida non mi sembrava davvero reale.
Eppure aveva qualcosa di davvero particolare, come se fosse solo una specie di fantasma che si stava burlando di me.
-Si… prova a non farmi sentire così strano e ad accettare la mia richiesta, okay? – solo in quel momento mi resi conto che il suo accento era davvero strano, era palesemente francese e masticava l’inglese davvero in modo buffo. Forse era l’unica cosa buffa e rozza che avesse addosso. Anche se, quella sua inclinazione particolare verso una lingua europea, rendeva curioso il suo modo di parlare, in tutto e per tutto. Sapeva rendere anche la mia lingua, una cosa aggraziata in un qualche strano ed oscuro modo. –Sto solo cercando di fare amicizia, se non ti arreco troppo disturbo.
Scossi lentamente il volto e continuai ad osservarlo con occhi curiosi, ora leggermente preoccupato dalla sua presenza così improvvisa. Avevo anche dimenticato, per un attimo, di aver pianto davanti uno sconosciuto. Franklin Anthony Thomas Iero III non piange davanti a nessuno, altra regola importante.
-Come ti chiami? – gli domandai di colpo, come se all’improvviso fosse davvero vitale.
Lui chiuse per un attimo le palpebre e l’unica cosa che riuscii a pensare era che non potesse privarmi, anche solo per un attimo, di quegli occhi così inusuali. Lui era inusuale, in tutto e per tutto.
-Geràrd – rispose, con palese accento parigino. Il nome era accentato proprio sull’unica “a” che conteneva, e sfumava lentamente sulla “d” finale, come se questa non esistesse nemmeno. Per me sarebbe stato davvero difficile da imparare, colpa della maledetta pronuncia. –Ti prego di non affibbiarmi nomignoli o soprannomi. Mi chiamo Geràrd e così mi piace che la gente si rivolga a me.
-Nessun problema, davvero – annuii piano, era una richiesta rispettosa dopotutto. –Come mi hai conosciuto? Cioè… come ci sei arrivato fin qui?
Lui mi dedicò un piccolo sorriso sghembo, facendo comparire due fossette al centro delle sue guance altrimenti cave e mise in mostra così i suoi zigomi davvero scolpiti. –Gli archivi della scuola sono la cosa più facile da scassinare, Frank – disse, come fosse niente.
-Sei strano… - assottigliai gli occhi, fissandoli nei suoi. Era sempre più sospetto. Perché mai aveva aperto a forza gli archivi della scuola per cercare il mio nome tra quello di tutti quanti?
Tutto immaginavo, meno che si lasciasse andare ad una risata cristallina, che se fosse stata alta leggermente di più avrebbe svegliato tutte le persone in casa mia. Gli feci cenno di abbassare il tono e lui serrò le labbra in una piccola linea rossa, facendomi sorridere. Era buffo.
-Mercì beaucoup! – esclamò.
…cosa diavolo aveva appena detto?


xCyanide's Corner
Eccomi qua, puntuale come un orologio svizzero, dato che è passata una settimana precisa!
Ringrazio tutte le piccole anime che hanno recensito, quelle che hanno solamente letto e quelle che hanno messo questa ff tra le seguite/ricordate/preferite. Siete tantissimi!
Sono felice che questa storia già piaccia, mi da la voglia di continuarla e di finirla, di vedere le vostre reazioni.
Quindi umh, ovviamente fatemi sapere che ne pensate e nei prossimi capitoli si spiegherà tutto un po' meglio. 
Siete la mia gioia ç___ç
A mercoledì prossimo,
xCyanide

P.S. mi sono creata ask, chiunque voglia chiedemi qualcosa, qualsiasi cosa, può farlo qui 
http://ask.fm/xCyanide 

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Capitolo 3
*** Di cuori vistosi e si. ***


Capitolo 3 - Di cuori vistosi e "si"

Ricordavo molto bene il modo in cui mi aveva spiegato di essere entrato dalla finestra, con quella voce davvero femminea e acuta, molto nasale e a tratti fastidiosa.
Assottigliavo gli occhi perché mi fischiavano le orecchie ogni volta che esclamava qualcosa, dato che il suo tono si alzava di un’ottava buona e mi entrava in testa come non mai. Come faceva un essere così ad avere la voce fastidiosa in quel modo?
Inizialmente mi era sembrata davvero bellissima, a tratti angelica penso, ma mi ero riceduto subito perché con nemmeno un quarto d’ora avevo un mal di testa che mi trapanava la fronte e la nuca quanto era forte. Mi massaggiai lentamente le tempie e lui, facendo finta di niente, mi mostrò i palmi delle mani come ad indicarmi i segni leggermente più rossi nel punto preciso in cui aveva stretto la scala.
Ne tenevo una appoggiata alla finestra della mia camera, spesso la notte uscivo per prendere aria, avevo dei piccoli attacchi di panico. Ovviamente i miei non sapevano niente, altrimenti non mi avrebbero fatto mettere piede fuori di casa. Mia madre aveva sempre in mente scenari apocalittici in cui io ero legato ad una sedia davanti ad un maniaco che mi frustava sul petto.
Vai a capirla, quella! Credo fosse la persona più negativa che conoscessi, dopo di me ovviamente. Ma più osservavo Geràrd e il suo sguardo innocente, più mi dicevo che voleva davvero solo fare amicizia. Non avrebbe potuto voler altro da me.
Guardai attentamente il palmo delle sue mani e mi sorpresi nel vederlo forse più pallido di quello che era il resto del suo corpo. La linea della vita era davvero davvero corta, a differenza di quella della mente e della felicità che attraversavano quasi tutto il perimetro di pelle chiara. Il mio sguardo si soffermò su quella del cuore, che era davvero sottile e quasi inesistente in quanto a spessore, ma riuscivo a vederla indistintamente. Era la prima tra tutte, leggermente curva verso l’indice, e per me era quella che spiccava di più.
Mi turbava il fatto che avesse la vita così corta e il cuore così vistoso, invece. Ci credevo alla lettura delle mani, ci credevo maledettamente, e pensandoci mi resi conto che probabilmente era destinato ad amare tanto ma a morire giovane.
E faceva schifo secondo il mio punto di vista di allora.
Ora, superati i trent’anni, mi rendo conto che forse è meglio amare una volta sola, completamente ed incondizionatamente e morirne, invece che vivere una vita intera senza nessuno accanto.
Il palmo della sua mano sinistra era leggermente sporco di colore, probabilmente tempera acrilica, e non potei fare a meno di sporgere l’indice e passarci sopra il polpastrello per saggiarne la consistenza asciutta.
Il fiume di parole che stava uscendo dalle sue labbra cessò. Non lo stavo nemmeno ascoltando tanto, sapevo però per intuito che mi aveva mostrato le mani come per spiegarmi che era davvero salito con la scala. Come se non gli avessi creduto altrimenti.
-Cosa c’è? – mi domandò, con tono curioso ed io alzai di scatto il volto su di lui, come se nemmeno mi fossi accorto di come lo stavo carezzando in quel momento. –Sono semplicemente sporco di pittura, oggi ho dovuto preparare la prima tela da portare al professore per gli imminenti esami. Spero non ti arrechi fastidio, potrei lavarmi. Cioè, mi piace rimanere a contatto con i miei colori.
Mi lasciai andare a una piccolissima smorfia, arricciai il naso su cui aveva vita il mio amatissimo piercing argenteo e sospirai. –Ma davvero parli sempre così tanto? – il mio quesito probabilmente lo turbò, così lo vidi sistemarsi per bene sulle mie lenzuola, osservando i piccoli dentini che si piantavano nella pelle rossa delle sue labbra, proprio sulla lunetta bianca. I suoi occhi si serrarono lentamente e in un moto improvviso mi sentì maledettamente in colpa per quello che avevo detto. –Non… non intendevo davvero quello che hai capito – sussurrai, sperando con tutto il cuore mi capisse. –Io ti stavo solo chiedendo perché sentissi l’obbligo di darmi spiegazione su di te, quando non te ne ho chieste. E’ solo colore, non è fastidioso. E ti da l’aria da artista, mi piace.
Le sue palpebre si divisero lentamente e mi diedero di nuovo completa visione su quegli occhi fantastici così gli sorrisi sornione per fargli intendere che non doveva assolutamente preoccuparsi con me. Non volevo lo facesse.
-E’ che il mio continuo parlare in passato ha turbato molta gente – sospirò. Lo vidi quasi afflitto così passai piano la mia mano, dal suo palmo alla sua spalla. Il mal di testa continuava a farmi pulsare le tempie ma mi riscossi lentamente dai miei pensieri per continuare a scrutare il suo modo di essere così… esuberante ma fragile.
-Non preoccuparti, davvero – annuii lentamente per rassicurarlo. –Se avessi dovuto prendermela con te, avrei dovuto farlo appena ti ho beccato nella mia camera senza permesso, comunque. Non credi sia molto peggio quello che il tuo continuo chiacchiericcio?
Lui deglutì e mi guardò negli occhi, facendomi sentire quasi un ammasso di gelatina traballante sotto il suo sguardo indagatore. –E’ che non sapevo davvero in che modo presentarmi, quindi ho optato per il modo un po’ meno tradizionale, mi capisci? Spero di non essere un intralcio, ti ho visto piangere prima. Non so, meglio che vada.
-No! – esclamai prontamente e strinsi tra le dita il tessuto della sua camicia. Lui spalancò le palpebre come stupito dal mio cambio repentino di umore ed inclinò il viso per farmi capire che era davvero confuso da come mi stavo comportando. –E’ che… un po’ di compagnia mi farebbe comodo ora. Rimani almeno dieci minuti, okay? Poi ho bisogno di dormire, davvero bisogno.
-Se non disturbo, volentieri – sospirò tornando a torturarsi, ma con meno forza di prima, il labbro inferiore. –Se hai voglia, perché non mi dici come mai stavi piangendo poco fa? Magari posso dare una mano, oppure tirarti su di morale.
-Semplicemente i miei genitori ce l’hanno con me – mi lasciai cadere all’indietro sul letto e mi sdraiai con i piedi penzoloni. Ero talmente tanto piccolo nel mio metro e sessanta, che non toccavo nemmeno a terra con le suole delle scarpe e la cosa mi faceva abbastanza schifo. Mi sentivo davvero goffo vicino alla figura di Geràrd, così delicata ed aggraziata.
-Un genitore non può prendersela con il figlio senza una spiegazione valida – girò lo sguardo su di me, ancora confuso. –Ci sarà sicuramente un motivo.
-Ho saltato la scuola oggi, i miei compagni mi odiano e appena posso evito di entrare – mi strinsi appena nelle spalle, rendendomi se possibile più piccolino. –Ma stavolta hanno chiamato a casa e sono stato beccato – sospirai.
-Capisco – disse in un soffio e portò una mano dalle dita lunghe ed affusolate a togliersi una ciocca di capelli corvini dal viso cereo. –Anche a me danno fastidio a scuola, anche per il mio accento, sai? Non credo ci sia niente di strano a non saper parlare bene la lingua, dato che comunque la mia cadenza francese rimarrà sempre – fece spallucce e il tessuto della camicia si strinse leggermente di più intorno alle sue spalle magre. –E’ così buffo come dicono?
In un primo momento, assunsi un’aria pensierosa credo, che lo fece chiudere quasi impercettibilmente nel suo stesso corpo. Mi sembrò per un attimo così indifeso, così mi riscattai e scossi piano il volto per fargli capire che andava bene così. –E’ normale, cioè… si sente particolarmente che non sei americano, ma non è niente di strano.
-Mi sono trasferito qui da tre anni e mi manca da morire la mia patria. Non immagini nemmeno – sussurrò con occhi tristi. –La città dell’arte, capisci? La città dell’amore. La Tour Effeil, la Senna. Paris me manque à mourir.– ripeté con voce flebile alle mie orecchie.
-Come mai siete venuti qui? – gli chiesi, sinceramente curioso. Se gli mancava così tanto Parigi, se era così patriottico nei suoi confronti, perché aveva seguito la sua famiglia?
-Il lavoro di mio padre l’ha portato qui. Fa l’avvocato, avrebbe guadagnato meglio in America e quindi abbiamo dovuto trasferirci. Avrei potuto stare da mia nonna Helena ma ho preferito seguire i miei genitori – sospirò, stavolta davvero triste.
-Anche mio padre fa l’avvocato – lo guardai, come a fargli capire che potevo immaginare come si sentisse in quel momento. –E’ frustrante, dato che vorrebbe che anche io fossi come lui, così perfetto ed intelligente. Ma io non voglio vestire giacca e cravatta e svegliarmi tutte le mattine all’alba per chiudermi in tribunale o in un ufficio smunto e morto.
-Esatto – annuii facendomi capire che secondo lui avevo ragione e prese un piccolo respiro. –E cosa vorresti fare invece una volta finito il liceo? Università?
-La scuola fa schifo, metterò su una band – sorrisi al solo pensiero. –Sarò un chitarrista famoso, sai? Il mio gruppo sarà così tanto ammirato e venerato che nessun altro tipo di musica verrà ammessa in America. Ma che dico in America, nel mondo! – scoppiai a ridere e venni seguito dalla voce cristallina di Gerard che si intonava in quella risata delicata e nasale.
-Mi piacerebbe davvero restare qui ed ascoltare i tuoi piani perversi di conquista del mondo, ma credo di dover proprio andare – sospirò alzandosi dal letto e mostrandomi meglio quella sua conformazione magra e snella. –Ti prego solo di promettermi una cosa.
-Cosa?
-Che non mi cercherai a scuola, non voglio parlare con nessuno lì dentro. Credono che io sia gay e se mi vedessero parlare con un essere di sesso maschile finirei nei cassonetti, ricoperto di budino al cioccolato – mi guardò, dispiaciuto.
-Solo se mi prometti una cosa, tu – inclinai leggermente il volto e lui mi fece cenno di continuare. –Domani sera tornerai a trovarmi?
Geràrd si lascio andare a un piccolo sorriso felice e bofonchiò un “si” appena udibile prima di scomparire dietro la finestra, improvvisamente, proprio come era arrivato.
Quel “si” mi fece compagnia tutta la notte, facendomi sentire meno solo e più apprezzato.

xCyanide's Corner
*porge sparachiodi a tutti quanti* Al mio 3 potete puntare contro questa autrice poco puntuale e sovrastata dagli impegni, scusatela. 
Faccio davvero schifo con el date di scadenza, in più la scuola ha deciso di diventare ancora più pesante e mi caricano di tavole da fare a casa e temi sul sociale. Aiuto. In più odio la mia nuova prof di lettere, davvero, la farei fuori. Anche perché il mio vecchio proffy era fottutamente migliore ma l'hanno mandato via ç___ç
Comunque, come sempre vi ringrazio di aver letto e di aver portato pazienza, e vi ringrazio delle recensioni, siete splendidi!
Fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 4
*** Di migliori amici e persone vere. ***


Capitolo 4 - Di migliori amici e persone vere.


I miei non la smettevano di litigare, litigare e litigare. Mai. Non c’era un momento di pace in casa da.. mesi? Io avrei chiesto il divorzio se fossi stato nei panni di mia madre. Quel gentiluomo delicatissimo di mio padre le diceva in continuazione che da quando l’aveva incontrata, da quando ero nato, la sua vita era completamente andata a puttane.
Appoggiai la guancia sulla spalla di Brian che mi cinse il fianco con il braccio e mi baciò delicatamente la fronte. Nascosi piano il viso nell’incavo del suo collo, continuando a piangere sommessamente per colpa di quello che si stavano urlando contro i miei genitori, e lui sospirò pesantemente. Perché non la smettevano?
-Non ce la faccio più… - sussurrai contro la sua pelle pallida e profumata e lui annuì lentamente, stringendomi leggermente di più. Era il mio unico amico e ringraziavo il destino per aver fatto in modo che lo incontrassi. Senza di lui sarei probabilmente morto da tempo. Era più grande di me di due anni, infatti frequentava il quarto superiore nella mia stessa scuola e spesso ci vedevamo a ricreazione. Credo fosse uno tra i tanti motivi per i quali tutti quei bulli se la prendevano con me.
Brian Kinney era gay. Era l’essere più gay che avessi mai conosciuto, ma non importava. Almeno per me. Secondo la mia dolcissima testolina, non aveva difetti. Ma non era come Geràrd. Lui si che era perfetto, cavolo, in tutto e per tutto. Brian era più un tipo… scontroso? Altezzoso, volgare, vanitoso, troppo legato all’aspetto fisico per essere effettivamente vero.
Ecco il suo unico difetto: era legatissimo al suo aspetto fisico. In confronto a me era un fottuto don Giovanni, anche perché era al penultimo anno e quindi frequentava anche i più grandi. Credo fosse l’unico omosessuale che girava per scuola al quale nessuno aveva scritto “frocio” sull’armadietto o rotto la serratura in modo che non potesse aprirlo più per prendere i libri. Lo rispettavano tutti, anzi alcuni lo temevano anche, ma non sapevo davvero come avesse fatto a crearsi una reputazione così.
Lo avevo conosciuto l’anno prima, ma ci eravamo trovati subito benissimo insieme. Io non lo invidiavo come facevano tutti per le sue conquiste e lui non mi faceva sentire inferiore. Io rispettavo lui e lui rispettava me, nessuno dei due pativa l’influenza dell’altro e soprattutto avevo potuto capire che era una delle persone più apprensive di questo mondo.
Lo faceva vedere con poche persone, ma con me si lasciava sempre andare.
C’era stato solo un momento di tensione tra noi, nel quale ero venuto a sapere della sua cotta mega galattica nei miei confronti, ma che fortunatamente era stata una cosa passeggera.
Era un bellissimo ragazzo, questo non lo negava nessuno. Semplicemente, non mi sentivo attratto da lui per niente. Qualsiasi ragazza del mio istituto avrebbe venduto un rene per stare con un ragazzo come lui. Alto, fisico magro ma con muscoli asciutti, pelle liscia e perfetta, labbra a cuore e due occhi ipnotici che avrebbero conquistato chiunque. Tranne me, questo si. Non avevo gusti semplici, c’era da aggiungerlo.
E Geràrd non era per niente semplice. Era il contrario della semplicità, anche solamente nei tratti.
Era venuto a trovarmi spesso, in quei giorni. Lo vedevo sempre entrare dalla finestra senza che mi avvertisse per niente, non aveva nemmeno un cellulare su cui poter chiamare. Era una persona strana, avevo scoperto che non possedeva nemmeno un computer.
Avevo provato spesso a passare davanti alle classi quinte quando andavo in bagno ma di lui nemmeno una piccola traccia. Nemmeno minuscola.
Era una situazione particolare, ma mi aveva chiesto di non chiedere di lui a nessuno, così non lo facevo.
Avrei tanto voluto trascorrere la ricreazione con lui, e magari anche con Bri e il suo ragazzo, ma avevo paura di parlare del mio nuovo amico. Brian si sarebbe fatto subito le idee sbagliate e io non riuscivo a vedere Geràrd come una creatura che potesse essere appetibile anche dal punto di vista sessuale. Era così ingenuo e delicato che nessuno avrebbe mai avuto la malsana idea di far del sano sesso con lui.
E poi ero arrivato alla conclusione che volevo fosse il mio piccolo segreto. Solo mio. Volevo che solo io e lui sapessimo dei nostri incontri, delle nostre parole, dei sorrisi che mi dedicava dolcemente quando mi vedeva giù di morale per un qualsiasi motivo.
Mi aveva anche medicato un occhio nero, due giorni prima, che purtroppo ancora campeggiava sul mio occhio sinistro. Era stata colpa di Tyler, un ragazzo che aveva deciso che avrei dovuto essere il suo giocattolino preferito per tutta la giornata.
Mi ero sentito protetto e volevo che nessun altro si sentisse come me in quel momento. Volevo potermi sentire speciale per la prima volta in vita mia, e volevo fosse una situazione privata. Geràrd, d’altronde, non aveva altri amici, non avrebbe potuto raccontarlo a nessun altro.
Cercai di calmare il pianto, invano.
Brian mi strinse ancora di più e prese una mia mano per intrecciare le dita alle sue. –Ti prometto che andrà tutto bene, prima o poi – mi disse solamente, in modo deciso. Come se lo sapesse anche lui.
 
-E quindi loro litigano sempre… -conclusi, voltando poi il viso verso il mio amico, che era sdraiato sul mio letto con la camicia nera sempre a campeggiare sul suo petto magrissimo. Mi chiedevo spesso se mangiasse, gli proponevo  di preparare una tazza di latte da dividere e dei biscotti ma lui rifiutava sempre. Andava bene, anche se effettivamente un po’ di nutrimento avrebbe potuto fargli più che bene.
Lui si lasciò andare ad un lungo sospiro stressato che mi fece allarmare e chiedere se forse lanciargli addosso i miei problemi ogni volta che arrivava nella mia camera non fosse troppo. Osservava il soffitto con gli occhi pressoché spalancati, davvero curioso, come se le crepe dell’intonato fossero la cosa più interessante del mondo in quel momento preciso.
La sua pelle era più pallida del solito, sembrava quasi trasparente. A volte assomigliava davvero molto a un rettile, così sinuoso e dalla consistenza strana. Non l’avevo mai toccato, e nemmeno abbracciato, così spesso mi chiedevo se non fosse stato anche viscido al tocco. Ero curioso, ma come dirgli “ehi voglio toccarti”?
Si passò lentamente le nocche della mano sinistra sotto il nasino perfetto e poi socchiuse gli occhi, nascondendo parzialmente le due gemme che teneva incastonate dentro.
-Tu… come reagisci? – mi chiese a quel punto, come se davvero fosse il mio psicologo.
-Io vorrei solo scomparire e… morire. Non so, non morire, no, è sbagliato. Semplicemente non essere mai nato capisci? I miei avrebbero meno problemi e non sarei pervaso dai sensi di colpa ogni giorno, da quando mi sveglio a quando vado al letto. Vorrei solo che loro due sia amassero davvero e… - deglutii lentamente, quando sentii il leggero rumore del lenzuolo sotto il suo corpo che si spostava piano. Si mise a sedere e mi osservò come se fosse fermo nelle sue convinzioni.
-Vieni qui – mi ordinò con voce perentoria e non potei fare a meno di obbedire e dirigermi nella sua direzione, per sistemarmi di fronte a lui. Piantò gli occhi nei miei e mi sentii quasi svenire dalla luce che rilasciavano e contenevano. Erano… irreali. Qualcosa di completamente innaturale e ultraterreno, in qualche modo. Non so come facesse una persona normale ad avere uno sguardo così magnetico e innocente allo stesso tempo ma evitai di riempirmi di domande proprio in quel momento. Volevo solo guardarlo. Osservarlo e morire della sua bellezza. –Devi… - cominciò ma poi sospirò come se stesse cercando le parole giuste. Il suo inglese era migliorato, aveva smesso di mischiare parole della mia lingua con quelle della sua, tranne quando era arrabbiato. O nervoso e agitato. Ma non capitava spesso, aveva un autocontrollo degno di una madre di famiglia con dieci bambini piccoli. –Se non guardi in faccia la vita, se non guardi in alto con sguardo fiero, la vita ti mangerà vivo. Sei tu a dover cambiare la tua esistenza e la visione che hai di essa, non può farlo nessun altro. Nemmeno io, che vorrei davvero. Mi rincresce dirti che se non ti svegli un pochino, se non ti senti fiero di quello che sei, di quello che sicuramente diventerai, nessuno lo sarà. Se non ri ami, se non ami te stesso, non porterai nessuno a farlo. Quello che pensi di te, la gente lo sente. Se pensi di essere una merda, la gente dirà che sei una merda. Dipende tutto da te, Frank, quindi ti prego, cerca di prendere il positivo di questa situazione perché non sei l’unico a soffrirne. Credi che tua mamma non ne soffra, che tuo padre non sia stanco di passare le giornate a litigare con la donna che gli ha donato un figlio così splendido? Io sarei stanco, davvero – scosse lentamente il viso. –Anche i miei genitori hanno avuto dei momenti di crisi, sono stati vicini al divorzio ma mai, mai, ho desiderato sparire. Ho alzato il viso e mi sono detto che era la mia volta. Dovevo lottare. Dovevo lottare per rimanere vivo, per rimanere me stesso nonostante tutto. Per non riempirmi di domande inutili, per essere in pace. Per essere tranquillo, okay?
Rimasi senza fiato, le sue parole erano così forti. Mi fece sentire onnipotente, capace di fare tutto. Mi fece sentire vero per la prima volta nella mia intera vita. Mi fece sentire vivo, senza vincoli, senza costrizioni.
Dovevo solo alzare il viso verso il cielo e non tenerlo ancorato a terra come sempre. Dovevo guardare il cielo, raggiungerlo. E non scavarmi una fossa completamente da solo.
Sentii gli occhi lucidi e lui si affrettò a prendere delicatamente il viso tra le dita per osservarmi preoccupato. Non era viscido come un serpente, era maledettamente liscio e morbido, invece. Così delicato da sembrare porcellana nella mani della persona sbagliata. Quando si rese conto che stavo comunque sorridendo nel pianto, si lasciò andare a un respiro liberatorio e pesante, mentre per la prima volta mi stringeva in un abbraccio leggero.
Non saprei spiegare quale fosse di preciso il suo profumo, ma mi ricordava la brezza marina. Il cielo, le urla di un bambino che felice corre nella neve incurante dei rimproveri della mamma. Mi ricordava l’entusiasmo che provi al tuo primo concerto, la voglia di sentire la pelle delle altre persone contro. Mi ricordava la mia infanzia, la perenne considerazione errata che avevo dell’età adulta, la voglia di crescere che sempre campeggiava i miei pensieri. Mi ricordava tutti i sorrisi che mi aveva dedicato mia nonna prima di morire, le poche volte che mio padre mi aveva preso in spalla e detto “ti voglio bene campione”. Mi ricordava il sudore che scende lungo le tempie quando ti senti una rockstar, con la tua chitarra nuova di zecca in mano, quando sei in un altro mondo e non riesci a rimettere i piedi per terra. Mi ricordava il primo giorno della scuola elementare, il nervosismo, la consapevolezza di camminare sempre avanti.
Mi ricordava la libertà. E i sogni.
-Sii l’unica cosa vera della mia vita, ti prego – riuscii solamente a dire. Lui in risposta mi strinse ancora di più.
 

xCyanide's Corner
SONO PUNTUALE STAVOLTA, AH. Allora, scusate l'inizio così esaltato ma fortunatamente io con la mia classe siamo riusciti a far spostare una verifica chilometrica di storia a sabato, quindi ho più tempo di studiare/scrivere/disegnare/pubblicare. Sono felice, deh. Anche se moralmente per niente, ma okay, tralasciamo.
Se non l'aveste capito, il Brian di cui parlo è quello di QAF, promesso alla mia migliore amica, quindi praticamente simboleggia lei in parte, ed è una cosa carina.
ralasciando questi sentimentalisimi(?), questo capitolo è quello di partenza per la storia in se, che girerà tutta intorno alle parole "vero" e "vivo", sperando di riuscire a farmi capire. Spero come sempre che vi piaccia il mio scritto e ovviamente ringrazio le persone che stanno recensendo, davvero dal profondo del cuore. E ovviamente, fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 5
*** Di cose normali e persone preoccupate. ***


Capitolo 5 - Di cose normali e persone preoccupate.

Il giorno dopo a scuola mi sentivo spaesato. Completamente ed irrimediabilmente spaesato al massimo. Non sapevo dove guardare, cosa fare o cosa dire. Era come se improvvisamente fossi davvero estraneo a tutta la roba terrena che incontravo.
Gli armadietti, il corridoio, le persone normali, le lezioni. Tutto quanto.
Era come se la presenza di Geràrd nella mia vita mi avesse completamente cambiato.
Aveva cambiato molte delle mie priorità, questo sicuramente.
In primis, avevo cambiato completamente la mia visione e percezione della parola “vivo”. Avevo deciso e avevo capito che per essere vivi, bisognava volerlo con tutta l’anima. Altrimenti saresti rimasto solo un altro abitante insulso della terra.
Geràrd mi faceva sentire vivo. Onnipotente. Mi faceva sentire una persona.
Nessuno ci aveva mai provato, ma a lui importava di me. Importava davvero, non credevo fosse possibile alla fin fine.
Avrei tanto voluto che qualcuno l’avesse fatto prima, ma avevo solo quindici anni, al tempo non mi rendevo conto che era davvero presto per amare. Ma non me ne sarebbe fregato comunque, credo. Perché Geràrd in un qualche modo misterioso mi aveva portato ad amarlo.
Ma non ad amarlo come se fosse stato il mio ragazzo o qualcosa di più di un amico, per quello non ero pronto. Non ero pronto a farmi etichettare come un frocio solo perché avevano l’impressione che io lo amassi incondizionatamente.
Io non ero gay, ma lo amavo. Lo amavo come un naufrago ama la zattera che lo riporta sulla terra ferma, in mezzo la civiltà. Come un cane ama il proprio padrone, anche se lo lascia solo due giorni consecutivi. Come il prete ama la visione di Dio che si è creato, nonostante sappia che non è giusta per niente.
Amavo Geràrd perché mi faceva sentire bene. Dannatamente e orribilmente bene, con me stesso e con il mondo che mi circondava. Nemmeno Brian, con il quale avevo più confidenza, era mai riuscito a farmi sentire in questo modo schifosamente giusto.
I miei litigavano? Non volevo più scomparire, semplicemente mi ritrovavo a prendere la mia bellissima chitarra bianca tra le dita e suonare melodie semplici e orecchiabili, pensando che un giorno sarebbero potute essere il sottofondo di una qualche canzone famosa che avrebbe girato ininterrottamente per la radio. Semplicemente mi impegnavo ad imparare ad essere costantemente vivo.
E la cosa mi piaceva da morire. Come non amarlo, a quel punto? Non potevo non farlo, non dopo che era riuscito a cambiare la mia visione della vita con poche parole messe insieme.
Aveva un potere particolare secondo me, nessuna persona che avessi conosciuto era riuscita ad essere così convincente e sicura di quello che diceva. E nessuno era così semplice e diretto come lui.
Sarebbe diventato un artista di successo, questo lo sentivo. Perché lui viveva attraverso i suoi disegni, me ne avevi fatti vedere alcuni ed ero rimasto completamente sorpreso dalla sua bravura spaventosa. Era fottutamente preciso e pulito anche se le sue creazioni erano tutte molto scure.
Quando avevo provato a chiedergli perché fosse così cupo quando creava, mi aveva detto semplicemente “Questa è la negatività che ho dentro. Per tenere il mio mondo interiore completamente pulito, devo tirarla fuori in qualche modo. E vomitarla sulla tela è l’unica cosa che so fare nella vita, fortunatamente. Non ho altre passioni o altri talenti.”
Lui non sapeva che essere speciale fosse, non sapeva che riusciva ad abbagliarmi con una sola piccola mossa del capo. Non sapeva che effetto mi facesse ritrovarmelo intorno ogni sera, il mio stomaco si contorceva e avevo la nausea per la sua troppa perfezione.
Secondo me, avrebbe anche potuto conquistare il mondo e sarebbe andata benissimo a tutti quanti. Tutti sarebbero rimasti abbagliati dalla sua completa ed irrimediabile voglia di essere vero.
Spesso l’avevo comparato ad un’aquila. Così libera e regale, come se portasse costantemente una corona sul capo. Geràrd sembrava proprio un re dell’ottocento, nei suoi movimenti fragili e delicati e nella convinzione profonda che possedeva, che avrebbe potuto mandare avanti anche una guerra se avesse desiderato.
Era il ragazzo più bello che avessi mai conosciuto. Ma per una volta metto via la parte esterna del suo corpo, nonostante purtroppo sia riluttante dal farmi andare a genio una persona che non mi piace fisicamente. Io parlavo del Geràrd interiore, quello che mandava avanti il proprio corpo sorridendo sempre, in quel modo leggero e quasi buffo per via delle sue labbra un po’ storte, curvate verso il basso. Del Geràrd curioso di tutto, generoso con gli altri nonostante ricevesse la maggior parte solo ceffoni in risposta. Del Geràrd felice solo se gli altri lo erano.
Avrei dovuto dirgli di non sentirsi responsabile della serenità della gente che lo circondava. Non poteva prendere un fardello così grande e portarlo sulle spalle senza dire una parola. Senza lamentarsi minimamente. Non era giusto nei suoi confronti. Volevo solo poter ricambiare tutto quello che faceva sempre per me. Perché mi stava salvando da quello che stavo diventando.
I miei pensieri purtroppo vennero interrotti da qualcuno che poggiava con forza il palmo della mano sulla mia nuca e mi faceva sbattere la fronte sul metallo dell’armadietto.
Non sentii più niente.
 
Riaprii lentamente gli occhi tre o quattro ore dopo, nella mia camera. Mi sentivo stretto nelle lenzuola, come se me le avessero cucite addosso. Non ricordavo niente di quello che mi era stato fatto, ricordavo solo la prima contusione sulla fronte, ma sentivo un dolore generale in tutto il corpo.
Qualcuno mi stava stringendo la mano, ma la ricollegai subito a quella di Brian, anche se in quel momento avrei voluto che ci fosse Geràrd accanto a me. Quando il mio migliore amico mi vide leggermente sveglio esultò appena e sentii una voce più delicata dietro di lui che lo intimava a far silenzio perché il mio udito avrebbe potuto essere più sensibile del normale.
Mi lamentai, quella non era la voce di Geràrd, ma di Justin. Il ragazzo di Brian da parecchio tempo, mi stava simpatico si, ma in quel momento volevo solo essere lasciato in pace.
-Ehi Frankie? – sentii Bri preoccupato mentre mi toglieva una ciocca di capelli dalla fronte fasciata. –Tesoro, mi senti?
-Ngh… - miagolai, cercando di rigirarmi nel letto ma avvertii un dolore lancinante al petto. Lanciai una piccolissima bestemmia sottovoce che fece ridere quel biondino di Justin. Che cazzo rideva?
-Il dottore che ti ha visitato prima ha detto che non è niente di che, ti ha dato un antidolorifico. Dice che entro una settimana sarai come nuovo okay? Il bidello ti ha ritrovato in bagno con il viso bagnato credo dell’acqua del water e alcuni lividi sul viso e sul petto. Non ricordi niente vero? – mi disse lentamente, come se non riuscissi a capire secondo lui. Non ricordavo niente, no, ma non ci voleva molto ad arrivarci. Ero stato picchiato dai ragazzi che mi prendevano sempre di mira, e non si erano risparmiati nemmeno la lavata di testa nel cesso. Tipico.
-No… - sussurrai soltanto con la gola che mi bruciava da morire. –Acqua?
-Linda è scesa a prepararti qualcosa da mangiare, sicuramente porterà su anche un po’ d’acqua. Tuo padre è al lavoro, chiede sempre come stai, magari appena ti senti meglio chiamalo così lo rassicuri. La signora Pricolo invece si è presa qualche giorno di riposo al lavoro così potrà curarti e fasciarti per bene – asserì, cercando di spiegarmi in pochissime parole la situazione. –Io e Justin prima siamo andati a denunciare Tyler e la sua banda di scimmie urlatrici, okay? Non ti faranno più niente…
-Non importa – cercai di fare spallucce ma venni investito da un’altra lunghissima fitta di dolore che mi fece imprecare di nuovo. Strizzai gli occhi che diventarono lucidi, dov’era Geràrd? –Sto benissimo, che loro vengano denunciati o no…
-Non stai bene, Frank, ascoltami…
-No davvero, sto bene – lo interruppi tirando su col naso e mi lascia scappare una lacrima per via del dolore. –Ho deciso di voler trasformare ogni esperienza in qualcosa di positivo, e questa non sarà da meno. Mi rende più forte tutto questo, mi rende più grande. Va benissimo così, okay?
Brian fece per controbattere ma la porta si spalancò e mia mamma iper preoccupata fece irruzione con gli occhi gonfi ma felici che fossi sveglio. Poggiò il vassoio con un sandwich vegetariano e dell’acqua sul comodino e cercò di stringermi senza farmi davvero male. Mandai giù dei lamenti per il dolore ma non potei nemmeno ricambiare l’abbraccio. Mi limitai a baciarle piano la spalla.
-Amore mio – sussurrò al mio orecchio. Quando si staccò dal mio corpo mi tolse una ciocca di capelli dal viso come per controllare le mie condizioni. Sicuramente non ero nel pieno della mia bellezza solita, diciamo. Sicuramente ero brutto, bruttissimo. –Quei delinquenti la pagheranno te lo prometto, guarda che hanno fatto al tuo bel faccino. Bimbo mio, ti fa male tutto vero? ‘Ddio, sicuramente è così. Mamma si prenderà cura di te okay? Te lo prometto. Come ti senti?
-Vivo, ma’. Completamente e inesorabilmente vivo.

xCyanide's Corner
Scusate per il ritardo di due giorni ma sono stata davvero un sacco incasinata con alcune tavole e beh, sono un po' sulle nuvole per via di un ragazzo con cui mi sto sentendo e sembra (SEMBRA) che stavolta andrà bene e mh, boh, mi pare strano ahah
Comunque, ringrazio tutti quanti per le recensioni, siete davvero dolcissimi!
E ovviamente, continuate a farmi sapere se vi piace.
Alla prossima,

(un'innamorata) xCyanide

 

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Capitolo 6
*** Di invidia e amore. ***


xCyanide's Corner
Sono imperdonabile. Semplicemente non avuto internet e non ho avuto molto tempo per connettermi e scrivere, dato che sto passando davvero un periodo di merda e chi mi conosce sa in che condizioni mi ritrovo. Diciamo che d'ora in poi sarò davvero puntuale e ve lo prometto, davvero.
Spero che vogliate continuare a seguire! Grazie per le recensioni, vi adoro! Fatemi sapere che ne pensate.
Alla prossima,
xCyanide





Capitolo 6 - Di invidia e amore.


-L’hai visto tuo padre alla fine? – mi chiese Geràrd sedendosi al lato del mio letto. Si sporse per poggiare lentamente la mano magra sulla mia anca e sospirò appena dispiaciuto.
Non aveva saputo del mio pestaggio fin quando non era tornato a casa e non aveva visto in televisione che Tyler e i suoi amici erano stati portati in questura. Se per caso l’avessero scampata, la mia vita sarebbe completamente finita.
Ma andava benissimo così. Mi avrebbero ferito fin quando glielo avessi permesso, credo.
Comunque era praticamente volato nella mia camera dopo e avevamo aspettato che i miei andassero a dormire, più che altro mia mamma dato che papà non si azzardava mai ad entrare nella mia camera, per metterci comodi e poter parlare tranquillamente.
-Si si, l’ho visto – sbuffai piano e gli feci cenno che avrei voluto alzarmi a sedere. Non potevo andare a scuola per una settimana, o almeno fin quando non ci saremmo accertati che le mie costole fossero tutte completamente sane. –Mi ha detto che devo essere forte, ma sembrava… deluso? Il suo campione si è fatto picchiare come una povera femminuccia, no? – gli domandai amaro e tirai su col naso mentre lentamente lui mi circondava il busto con le braccia delicate per aiutarmi a mettermi a sedere.
Mi sistemò due cuscini sotto la schiena per farmi stare più comodo e poi tornò a sedersi lentamente. Il materasso di curvò appena sotto il suo peso minimo e lo sentii guardarmi come dispiaciuto. –Smettila, mh? – mi rassicurò con la voce tranquilla e dolce, anche se sempre molto fastidiosa. –Tuo padre è solo preoccupato per te, ne sono sicuro.
-Va bene, va bene – lo osservai a mia volta e gli sorrisi dolcemente come per fargli capire che ero tranquillo nonostante la situazione di merda in cui mi ero ritrovato. –Perché pensi l’abbiano fatto comunque?
I suoi occhi divennero scuri, dato che aveva calato le palpebre e che le sue ciglia coprivano quindi le sue iridi chiarissime e luminose. Deglutì appena e si lasciò andare all’espressione più corrucciata che avessi mai visto.
-Credo che la loro sia solo invidia, Frankie – disse poi, con tono sincero.
-Invidia di…? – domandai spaesato mentre lo vedevo sporgersi verso di me per farmi accoccolare al suo corpo caldo ed accogliente. Venni di nuovo inglobato nel suo buon profumo, mentre nascondevo il viso nel suo petto magro e ossuto. –Non c’è niente da invidiare, credo, ma che lo facciano pure. Io sto bene da quando sei arrivato nella mia vita. Sinceramente.
Lo sentii impercettibilmente sorridere contro il mio cuoio capelluto, mentre ci poggiava lentamente le labbra per tenermi più vicino a se. –C’è tanto da invidiare qui, invece – sussurrò soltanto prima di baciare lentamente la mia testa. –Sei intelligente, talentuoso, dolce, romantico, bellissimo. Sei tutto quello che loro non sono. Chi altro alla tua tenera età custodisce una passione come la tua con la musica? Chi altro ha già in mente cosa vuole fare, di preciso?
-Sono felice che tu pensi questo di me, mi aiuta a stare bene – dissi mentre portavo lentamente le dita a stringere la sua camicia in modo delicatissimo. –Mi sento così vivo quando ci sei, ho voglia di alzarmi ed essere vero. Se avessi il completo controllo sul mio corpo, sicuramente lo farei.
Si lasciò andare a una leggera risatina imbarazzata, davvero carina e dolcissima e scese a baciarmi lentamente la tempia dolorante per via del mal di testa che mi stava monopolizzando da quando avevo riaperto gli occhi con Brian ore prima.
-Come ti senti ora, Frankie? – mi chiese, con le labbra contro la mia pelle pallida e contusa.
-Sto davvero bene, stai tranquillo. Fisicamente un po’ meno, sento dolore in tutto ma non fa niente – sussurrai, tirando appena su col naso per via degli occhi sempre lucidi. –Sono brutto in questo momento, vero Geràrd?
-Non sei brutto, sh – mi scostò una ciocca di capelli dagli occhi in modo leggero come a non urtare la mia epidermide con la punta delle dita. –Sei solo un po’ ammaccato, ma hai sentito il dottore? Una settimana e tornerai come nuovo. Perlomeno la signora Iero non devo portarti alla discarica, non sei tutto da buttare, mh? Non dobbiamo nemmeno rottamarti, non mi sarei preso la responsabilità.
-Mia madre è preoccupatissima – sospirai scocciato e prima che potesse ribattere, continuai a parlare. –Non fa altro che chiedermi sempre come sto, come mi sento, ma non capisce che a volte il dolore è segno di vita. In buone dosi, è la sensazione che ci permette di essere vivi vero?
-Perché attaccarsi a una cosa cattiva e negativa come il dolore per essere vivi? In dosi leggere si necessita anche, a volte, per capire determinate cose. Non conosci, però, altre cose a cui dare completamente la responsabilità della tua vita? Non esiste l’amore nella tua vita, Frank? L’amore che puoi provare per i tuoi parenti…
-Lasciali perdere quelli – dissi contrariato, interrompendolo. –Parlano di unione, condivisione, comunità e poi non sanno nemmeno cosa significa essere sensibili l’uno con l’altro. Mettersi i piedi in testa a vicenda non è sensibilità.
-Fammi finire, bambino capriccioso – mi obbligò, in modo severo. –Sicuramente provi amore per i tuoi parenti, per le persone che popolano la tua vita. Anche se la maggior parte di quelle non ti conosce bene, si tratta sempre delle persone più vicine a te. Sono sicuro darebbero un braccio pur di farti stare bene.
-Non sono tutti sensibili come te, Geràrd – sospirai appena scuotendo il viso. Impercettibilmente, strinsi ancora di più la sua camicia. –Non so su che pianeta tu viva ma non tutti sono così dolci da preoccuparsi per gli altri. Non tutti si mettono accanto a te e ti stringono nel momento del bisogno.
-L’altro giorno quando… mi hai chiesto di essere l’unica cosa vera della tua vita… cosa intendevi di preciso? – mi chiese improvvisamente, come se si dovesse togliere un peso dal petto.
-Voglio che tu sia l’unico per me, che sia l’unico che riesce a farmi sentire come fossi sempre vivo. Completamente ed inesorabilmente vivo. Riesci a farmi sentire bene con un sorriso – sussurrai infine, alzando il viso così da osservare i suoi occhi socchiusi e consapevoli.
-Ti stai innamorando di me, Frank? – chiese, con così tanta tranquillità e naturalezza che mi sembrò quasi strano sentir uscire quelle parole dalla sua bocca.
-Non proprio – asserì convinto di quello che stavo per dire. –Semplicemente sento che sei e sarai la mia partita di droga preferita sempre. E’ come se improvvisamente non riuscissi più a fare a meno della tua presenza nella mia vita, capisci? E vorrei tanto che tu ricambiassi, qualsiasi cosa io provi, dato che ancora non l’ho capito per bene.
-Sei il ragazzino più romantico che io abbia mai conosciuto – sussurrò baciandomi la guancia. –Dormiamo, principe azzurro, rimango con te okay? Dato che anche tu, vista la tua spiegazione, ora hai una specie di didascalia nella mia mente. Tu es le seule chose vraie de mon vie.
-Davvero rimani con me? – domandai esaltato sporgendosi non con poca facilità a togliere il cuscino da dietro la mia schiena. Lui prontamente mi diede una mano e mi aiutò a sistemarsi con attenzione sul materasso, scendendo a sdraiarsi a sua volta. –Cosa hai detto di preciso?
Mentre si accoccolava affianco al mio corpo, con la guancia proprio sul mio pettorale sinistro, sospirò rimuginando, come se stesse cercando di tradurre quello che mi aveva appena detto. Spostò lentamente le dita sul petto dolorante fino a raggiungere la mia mano e lo lasciai fare mentre intrecciava le sue dita magrissime alla mie e socchiudeva gli occhi. Sembrava davvero un bimbo piccolo, con il corpo completamente piegato su stesso e una gamba sulle mie. Era come se stesse cercando calore umano, come se ne andasse della sua vita.
Mi sentii finalmente complementare, mi sentii come l’ancora di qualcuno, come se fossi indispensabile almeno per quella notte.
Ormai avevo perso le speranze in una sua risposta, dato che avevo perso la visuale dai suoi occhi ora coperti e nascosti dentro le palpebre.
Feci per appisolarmi a mia volta, quando sentii un solo leggero sussurro. Sei l’unica cosa vera della mia vita.

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Capitolo 7
*** Di ragazze e bugie. ***


Capitolo 7 - Di ragazze e bugie.

Avrei tanto voluto dire di essere finalmente, completamente ed inesorabilmente vivo, ma quando Geràrd non era con me sentivo ancora il bisogno di non essere mai nato.
Non sapevo perché a volte mi sentissi ancora così insignificante, ma alla fine nemmeno mi importava troppo, dato che sapevo che il ragazzo che amavo prima o poi avrebbe fatto capolino dalla mia finestra pronto a salvarmi. Sentivo che era giusto quello che provavo, era dannatamente e schifosamente giusto provare amore per un altro ragazzo, in quel frangente della mia vita.
Avevo bisogno di lui.
Non mi ero mai sentito a casa come quella sera che mi aveva stretto e mi aveva promesso che sarebbe rimasto con me tutta la notte, per tenermi al caldo e coccolarmi. Nessuno aveva mai pensato a me in quel modo.
Era la notte del mio sedicesimo compleanno, comunque, una settimana dopo il pestaggio. E come promesso da tutti, ero tornato come nuovo.
Le mie costole stavano benissimo e il mio sorriso era tornato a campeggiare sempre sul mio viso giovane ed infantile. Odiavo il mio sembrare costantemente un bimbo malaticcio, ma non potevo cambiare niente da quando Geràrd mi aveva confessato che mi trovava davvero bellissimo.
Io, bellissimo? Per un attimo avevo pensato avesse qualche problema serio alla vista, ma poi mi ero arreso e avevo pensato, per un attimo, che forse qualcuno avrebbe potuto vedermi realmente bello. E se quel qualcuno era Geràrd, allora tutto andava fottutamente bene.
Mia mamma aveva imbandito una grande tavolata proprio in mio onore, per farmi stare a mio agio almeno la sera prima del mio compleanno, per aspettare la mezzanotte. Aveva invitato tutti i miei insulsi parenti, ma pensavo a quello che mi aveva detto il mio amico “anche se non sembra, darebbero un braccio per vederti felice”. Forse, forse, era vero. Anche se si trattava delle prime persone che facevano di tutto per farmi sentire una nullità assoluta.
La cena tutto sommato non era andata malaccio, avevo mangiato bene ma poco, dato che mia madre aveva preparato per la maggior parte piatti di carne nonostante sapesse che fossi completamente vegetariano.
Cercai di non farglielo pesare, sicuramente non ci aveva minimamente pensato e non l’aveva fatto assolutamente apposta, infatti mi porgeva piatti di arrosto con un grande sorriso sul volto.
Io in realtà, stavo solo aspettando che arrivasse la mezzanotte così mi avrebbero tutti fatto gli auguri e poi mi avrebbero lasciato in pace con Geràrd, che mi stava già aspettando nella mia camera. Mi aveva cacciato via dicendo che doveva preparare delle cose per festeggiare in modo adeguato.
Avevo insistito, gli avevo detto che non serviva, ma lui era rimasto fermo nelle proprie convinzioni e mi aveva detto di non lagnarmi e di prendermi tutto quello che ne sarebbe seguito senza problemi.
Ero curioso, davvero fottutamente curioso, dato che mi aveva anche detto che mi avrebbe regalato la cosa migliore della mia vita. Cosa avrebbe potuto regalarmi? Un suo bacio? Quello si, che era il regalo migliore del mondo.
Le mie labbra fremevano per consumare il primo bacio con lui, lo volevo davvero nonostante andasse contro tutte le regole di casa Iero. Ma ero diventato un essere autodidatta ora, avrei anche preso la patente, nessuno poteva negarmi niente.
D’ora in poi, solo regole soggettive. ‘Fanculo agli altri.
Avrei baciato Geràrd quanto volevo e quando volevo, se anche lui avesse voluto, avrei fatto l’amore con lui, l’avrei fatto sentire speciale, desiderato, e nessuno, nessuno, poteva permettersi di dirmi che stessi sbagliando qualcosa.
Il problema arrivò quando, a metà serata, uscì fuori la grandissima e molto quotata frase “Frankie, e la fidanzatina, tesoro di nonna?”
Calò il gelo a tavola, abbassai lo sguardo completamente rosso in viso, non sapendo davvero cosa rispondere. Come avrei potuto dire che mi stavo rendendo conto di amare un ragazzo vicino ai venti che stava cambiando radicalmente la mia vita, di nascosto? Come minimo, mi sarei guadagnato un grande e grosso “fuori da questa casa, ORA!” da mio padre. E anche se avevo deciso di giocare con le mie regole, non potevo di certo farmi cacciare di casa così, su due piedi, un’ora prima del mio compleanno.
-Umh… - ruppe il silenzio mamma, con il suo solito sorriso cordiale. –Frankie in questo periodo ha la testa un po’ sulle nuvole, secondo me ha conosciuto una brava ragazza con cui passare del tempo. Non è vero, amore di mamma?
Davvero ne era convinta? Davvero lo pensava? Avrei lasciato che lo pensasse senza alcun problema, le avrei detto quello che voleva farsi dire, quello che anche mio padre bramava.
-Emh, si, si… - borbottai soltanto annuendo appena, ancora completamente rosso in viso.
-Lo sapevo! – esclamò felicissima la mia zia più giovane, alzandosi da tavola per raggiungermi e stringermi per le spalle, davvero felice che avessi preso quella che per loro era solamente la mia prima cotta.
Era molto di più, ma non avrebbero capito nemmeno se mi fossi messo lì e avessi spiegato passo per passo quello che provavo quando Gerard era con me e mi stringeva come solo lui sapeva fare. Nessuno avrebbe capito quello che provavo in quel momento.
Ma avrei tenuto i miei pensieri sani e salvi nella mia testa, come già detto, l’argomento Geràrd era una cosa mia e non volevo condividerla con nessuno.
Se avessi detto loro cosa realmente provavo mi avrebbero preso per un mostro, mi avrebbero riempito la testa di pensieri senza speranza. Ma non volevo cadere proprio ora che sembrava che la mia vita stesse decollando davvero. Non volevo essere l’ennesimo aeroplano di carta difettoso che sbatte contro il muro e scivola rovinosamente a terra.
Non questa volta.
Perché i miei sogni e le mie speranze non potevano essere argomento di conversazione, non erano per tutti. Io in primis ancora non riuscivo a capire se fosse giusto tutto questo, se fosse davvero giusto amare Geràrd per quello che era e non cercare di cambiarlo.
La verità, però, era che io non avrei cambiato una virgola del suo corpo e del suo essere, così strano e particolare. Io avrei amato per sempre il Geràrd vero e vivo, non quello che indossava una maschera davanti a tutti quanti.
E anche se alla fine mi fossi fatto male, avessi sanguinato, ne sarebbe valsa la pena.
-Devi raccontarci tutto di lei! – esordì mio padre, visibilmente emozionato. –E devi portarla qui e farcela conoscere prima o poi, non capiterà più che sia la prima volta!
-Anthony, stai calmo – lo rimbeccò mia nonna, guardandolo male. –Non snervare il ragazzo, ti racconterà di lei quando ne sentirà il bisogno. Franklin vuoi parlarci di lei, caro?
Io annuì lentamente, come per far capire a tutti che mi sarebbe servito del tempo per organizzarmi. Dopo tutto, anche se avessi avuto davvero una ragazza, avrei necessitato di un po’ di tempo. Comunque cercai di visualizzare nella mia mente quella che tutti avrebbero potuto vedere accanto a me, la tipica brava ragazza americana.
Bionda, occhi chiarissimi color del cielo, pelle abbronzata e perfetta, così morbida e liscia. Buona famiglia, voti alti a scuola, rispettosa delle regole e cattolica praticante. Magari avrebbero voluto anche portarla in chiesa con noi a volte. Mia nonna soprattutto ne sarebbe stata felicissima.
Per un attimo mi sentii come se stessi prendendo in giro tutti, compreso me stesso, Geràrd.
I miei parenti mi ascoltavano rapiti mentre lasciavo andare dalla mia bocca una miriade di bugie ben costruite, era come se tutti pendessero dalle mie labbra. Quello fu uno di quei momenti in cui mi resi conto che non ero ancora vero, perché se fossi stato vero avrei esordito dicendo che non mi importava quello che avrebbero pensato, ma io amavo un altro ragazzo. E niente avrebbe potuto scalfirmi.
Era la paura a tenermi zitto, e la paura rende prigionieri anche di se stessi.
Mentre snocciolavo informazioni su questa fantomatica ragazza, non riuscivo a non pensare che era come se stessi tradendo la fiducia di Geràrd, era come se avessi il terrore che lui pensasse che davvero avessi una ragazza.
Ma l’unica persona che abitava nel mio cuore era lui, in tutta la sua perfezione.
Vedere lo sguardo fiero negli occhi di mio padre, per la prima volta in vita mia, mi disse che anche se non era la cosa giusta, ero obbligato a farlo. Non volevo che mi guardasse per l’ennesima volta con quegli occhi disgustati.
Vai avanti, Frankie, pensai tra me e me, manda avanti questa sceneggiata, tieni tutto per te. Causati dolore ma rimani integro. Non lasciare che loro ti abbattano, farebbe male nonostante tutto. Geràrd capirà.
Peccato che, mentre mio padre mi abbracciava stretto, l’unica cosa che girava nella mente era che loro non avrebbero mai amato il vero me. Quello vivo.


xCyanide's Corner
Da ora in avanti comincia la parte "svolta" della storia, su cui sto ancora lavorando MA stavolta sono stata puntale, amatemi.
Sono felice che questa storia stia piacendo dato i numeri davvero stratosferici della gente che la sta leggendo, anche se non recensisce. Ovviamente ringrazio tutti senza distinzioni, e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
Fatemi sapere.
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 8
*** Di nausea incessante e ti amo. ***


Capitolo 8 - Di nausea incessante e ti amo.


Cercando di mandare giù il costante senso di nausea salutai tutti i miei parenti che, sorridenti, mi facevano le congratulazioni per la mia nuova situazione sentimentale con Angela. Avevo scelto un nome semplice, che avrei potuto ricordare in caso di necessità, ma mi ero ripromesso che entro una settimana avrei inscenato la nostra rottura e tutto sarebbe tornato alla normalità.
O almeno speravo.
Sentivo un nodo allo stomaco per la curiosità di quello che avrebbe dovuto farmi vedere Geràrd, volevo davvero sapere cosa aveva organizzato. Aveva un talento innato nel cogliere le persone di sorpresa e sapevo per certo che sicuramente mi avrebbe reso felice in un attimo.
Avrebbe cancellato tutto quello che mi opprimeva e mi avrebbe detto di sorridere alla vita, di essere felice di quello che mi stava accadendo perché faceva tutto parte della mia crescita. D’altronde, senza dolore non si cresce.
Quando furono tutti fuori da casa, non prima di avermi cantato l’ennesima volta la canzone per farmi gli auguri, e avermi consegnato una miriade di regali insulsi, mi apprestai ad andare verso la mia camera, salendo lentamente le scale.
Sentii qualcuno dietro di me schiarirsi la voce, così bloccai i miei passi veloci e deglutii a vuoto.
-Si? – domandai voltandomi come a rallentatore, mentre tiravo su col naso per via della paura che mio padre avesse intuito che non c’era del vero nella mia storia. Ma quello che trovai sul viso dell’uomo che mi aveva sempre disprezzato, era il sorriso più dolce e appagato del mondo.
-Dovresti davvero portarla qui Angela, magari questo fine settimana. Che ne dici di una bella pizza tutti insieme? Ovviamente gliela offriamo, non deve pagare niente – mi disse cortese, e socchiusi gli occhi cercando di non vomitare sul pavimento, davanti a lui. Le bugie erano dolorose.
-Non… non credo sia pronta. Insomma, conoscere i genitori della persona che stai frequentando non è il massimo, è complicato e ufficializza. E’ una ragazza piena di.. complessi, non voglio stressarla, ecco – misi su l’ennesima cazzata e sperai vivamente ci credesse nuovamente. Lui, straordinariamente, annuì comprensivo e mi fece cenno di poter andare anche a dormire.
Avrei dovuto inscenare la nostra rottura in meno di una settimana, non riuscivo a mandare avanti ulteriormente quella farsa.
-Allora… buonanotte – sussurrai impacciato e inciampai nei miei stessi piedi prima di riuscire a salire velocemente le scale, chiuso nella mia felpa dei Misfits di tre taglie più larga della mia originaria.
Mi accertai che mamma fosse già salita in camera e avesse già deciso di sistemarsi al letto prima di chiudermi velocemente nella mia camera. Serrai gli occhi come per non rovinarmi una possibile sorpresa e sospirai appena arrancando con una mano nel buio.
-Geràrd? – domandai timido e quasi impaurito. Sentii un braccio cingermi lentamente la vita da dietro, e il suo respiro fresco sul collo, mentre lasciava leggerissimi baci sulla mia pelle,  pieni di piccole scariche elettriche che si propagavano in tutto il mio corpo.
Non mi aveva mai baciato così. In quel modo così… erotico e umido, proprio come se volesse farmi capire che a quel punto, ormai, non eravamo più semplici amici.
Poggiai lentamente la schiena al suo petto, come per fargli capire che non volevo e non potevo protestare a quel punto e lui sospirò l’ennesima volta sulla mia carne debole sotto i suoi tocchi delicati. Portò lentamente una mano sotto la mia maglia per carezzarmi appena la pancia magra e risalì fino al centro del petto, per poggiarla lì e sentire il mio cuore battere forte come le ali di un colibrì.
-Non voglio fare sesso con te, stanotte – sussurrò appena, mordendo leggermente la mia pelle candida. Chiusi lentamente gli occhi e sentì altri brividi correre lungo le mie ossa al pensiero che nella sua testa esisteva comunque la voglia di avere un rapporto con me. Presi un respiro tremolante. –Sei così piccolo, non voglio che tu perda così presto una cosa così importante…  voglio semplicemente mettere in chiaro che sei mio, Frank.
Non avevo mai sentito una nota così possessiva nella sua voce e questo mi fece sentire… caldo. Molto caldo nel petto, come se mi avessero poggiato un piatto bollente direttamente sul cuore, nel sangue. Mi piaceva da morire pensare di appartenergli, anche perché se la mia vita stava prendendo la piega giusta, era solo grazie a lui.
-E allora cosa vuoi fare con me stanotte, Geràrd? – sussurrai, cercando di  stuzzicarlo in qualche modo. L’idea di fare sesso con lui era davvero allettante, ma gli davo ragione. Ero troppo piccolo e spaventato per spogliarmi davanti a lui e fare tutte le cose che si fanno in quel frangente.
Tipo toccarlo. O prenderlo. O farmi prendere. Non sapevo di preciso come funzionasse il sesso anale, e non volevo saperlo almeno fino al mio trentesimo compleanno.
-Voglio farti vedere una cosa… ma dobbiamo andare fuori – mi informò, la voce più calma e tranquilla e non più possessiva come lo era stata fino a due minuti prima. –Ho girovagato in camera, prima, e ho visto che hai un piccolo terrazzo sul tetto. Andiamo lì?
-Umh, si, suppongo – sussurrai un po’ confuso. Quel terrazzo non veniva mai usato da nessuno in casa mia, avevano tutti paura di cadere di sotto dato che la ringhiera era davvero bassa. L’avevo visto in vita mia si e no due volte, ma sapevo come si arrivasse lì. Si passava proprio dalla mia camera, dal piccolo terrazzo che avevo fuori dalla porta finestra. C’erano delle scalette che portavano sul tetto e direttamente sulla terrazza grande e spaziosa.
Lui fece scivolare lentamente la mano lungo il mio braccio prima di intrecciare saldamente le dita magrissime e delicate alle mie che stavano fremendo per toccarlo in quel modo così confidente e… affettuoso.
Il mio cuore stava per scoppiare al pensiero di sentirmi davvero suo. Era il mio sogno da quando lo avevo conosciuto, quelle parole mi avevano scaldato da dentro, mi aveva fatto sentire davvero completo per la prima fottutissima volta. La notte in cui avevamo dormito insieme era niente in confronto a quella sera.
Mi incamminai lentamente verso la mia porta finestra e la aprì con la mano libera, sentendo sempre i suoi passi sicuri dietro di me, ovviamente conosceva già la strada, non avrei dovuto nemmeno fare il padrone di casa e mostrargli la via.
Mi seguì silenziosamente e arrivati davanti alle scale mi fece cenno di fermarmi e mi guardò dritto negli occhi in modo severo, come se stesse per imporre delle regole e delle restrizioni. Mi fece titubare: che avremo dovuto fare?
-Salgo prima io – impose, con la voce sicura di quello che stava dicendo, un piccolo sorriso fece capolino sul suo viso, più furbo che mai. –E tu mi vieni dietro, ma ad occhi chiusi. Non devi vedere niente, Frank. Siamo intesi?
Annuì appena, davvero intimorito ora e sentii un piccolo tuffo al cuore a pensare che lui aveva passato del tempo ad organizzare qualcosa di speciale per me, un semplice ragazzino sfigato e piccolo, che non sa nemmeno che fare della propria vita.
Era speciale, lui, l’avevo sempre detto. Era l’unico che riuscisse a farmi quell’effetto, che riuscisse in tutti i modi a farmi sentire dannatamente bene nei miei panni, nelle mie scarpe. Nonostante tutto.
Lo vidi avvicinarsi alle scale e prese a salirle lentamente, comunque a due a due grazie alle sue gambe snelle e lunghe fasciate da quei jeans di cotone davvero fantastici. Portava il suo giacchetto di velluto leggero, sicuramente sentiva freddo ma sembrava non tremare e nemmeno avvertire il venticello che c’era e che ci stava lentamente investendo con tutta la calma del mondo.
Anche io ero vestito leggero: una camicia, seppur di tessuto pesante, coperta da una felpa, non serviva a niente contro il clima di fine ottobre. Ma nonostante quello, non riuscivo ad avvertire niente che non fosse direttamente legato con Geràrd e con la sua fantomatica sorpresa. Mi stava mandando ai pazzi.
Quando mi resi conto che aveva raggiunto la grande terrazza, mi decisi a chiudere gli occhi in modo sicuro e mi appoggiai lentamente alla ringhiera della scalinata così da salire con attenzione. Contavo per bene le distanze, per non inciampare nei miei stessi piedi e fare una figuraccia in piena regola.
-Dai Frankie, ci sei quasi – mi assicurò, mentre raggiungevo quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo scalino. Lui sporse la mano e prese il mio avambraccio per avvicinarmi di nuovo a se e stringermi delicatamente.
Sentii poi le sue braccia cingermi di nuovo i fianchi, da dietro, e mi indirizzò lentamente dove più desiderava, mentre ridacchiava appena con quella maledetta vocina nasale per via della mia camminata incerta e insicura. Sentii leggeri brividi scorrermi lungo la schiena per via della paura di cadere di sotto, dal secondo piano praticamente. Avevo il terrore delle altezze e lui lo sapeva benissimo, ne avevamo parlato una sera, non credevo mi avrebbe mai messo in pericolo in quel modo.
Ad un certo punto, credo proprio vicino alle grate, mi fece fermare. Strinse più saldamente i miei fianchi per tenermi ancorato al suo petto magrissimo e poggiò la guancia tra i miei capelli come per coccolarmi. Presi un respiro profondo, incerto su cosa dire. In cosa consisteva tutto questo?
-Ora dimmi solo cosa senti – sussurrò al mio orecchio, calmo come non mai. Cosa intendeva?
-Cosa…? – domandai di rimando, inclinando lentamente il viso, ancora momentaneamente cieco per via delle palpebre serrate. Lo sentii mentre portava lentamente una mano a coprirmi la visuale e sospirò appena, come deluso dalla mia risposta. Non tutti lo capivano bene, ancora doveva raggiungere questa consapevolezza.
-Solo… rimani in silenzio, ascoltati, e poi dimmi quello che provi in questo momento, quello che senti. Tu, quello che senti dentro – mi chiarì, scandendo bene le parole. –La mia sorpresa consiste in questo, sai… voglio che tu raggiunga la completa conoscenza di te stesso, Frankie.
Sorrisi. Solo lui avrebbe potuto farmi un regalo del genere. Solo lui avrebbe voluto questo per me, e non qualcos’altro. Improvvisamente, tutto gli oggetti materiali che avevo ricevuto, da insulsi diventarono completamente inutili.
Rimasi in silenzio comunque e mi isolai lentamente. Tutti i suoni diventarono ovattati. Come se tutto stesse sparendo lentamente.
Nella strada non passavano più macchine, i ragazzi non alzavano più la musica a volume alto per attirare l’attenzione. Le ambulanze non raccoglievano più le persone ubriache che si erano ferite per strada, mio padre non russava più, mia madre finalmente dormiva sonni tranquilli. Gli uccellini non riposavano, si godevano la bellezza della notte. Le stelle non splendevano, vicino a me c’era solo una grande luce dovuta alla presenza del ragazzo che credevo di amare. I miei genitori, improvvisamente, mi amavano per quello che ero e non per quello che dicevo di essere. Non avevano più voglia di urlarsi contro per la minima cazzata. Tutto andava benissimo.
E rimasi solo, con me.
E mi resi conto di essere vivo, vero, libero. Libero da tutto quanto, dai pregiudizi, dai preconcetti, dai giudizi, dalle botte, dagli insulti.
Esistevo solo io.
-Sento tutto, Geràrd – dissi d’un tratto, con la voce che tremava dalla consapevolezza. –Sento il vento tra i capelli, è come se avessi voglia di volare. Dio, che invidia per quegli uccelli che riescono a farlo, ad essere liberi nell’aria – sorrisi, con gli occhi che diventavano leggermente lucidi anche sotto le palpebre. -Sento tutto. Mi sento prigioniero della tua presenza, inesorabilmente tuo, e nel frattempo sento come se potessi andare da qualsiasi parte, come se potessi fare qualsiasi cosa volessi davvero. Mi sento me stesso, sto dando il benvenuto al vero Frank, quello che vuole vivere per davvero. Sento una miriade di cose tutte insieme, tutte bellissime, ma… - incominciai, comunque insicuro. Presi un respiro profondo, tremolante, mentre sceglievo per bene le parole che avrei dovuto usare. –Quella che sento di più è la necessità di dirti che ti amo da morire.


xCyanide's corner
Okay okay Frank finalmente ha vuotato il sacco e direi che insomma, qui comincia la svolta della storia no?
Spero come sempre che questo capitolo vi piaccia come è piaciuto a me scriverlo ovviamente, e vi invito come sempre a farmi sapere cosa ne pensate tesori! Rendetemi più felice di come sono già, per via dell'imminente concerto dei Mars in Italia e del golden ticket e mamma mia, ma davvero, leggere quello che mi scrivete è una gioia immensa!
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 9
*** Di ragazzi e problemi. ***


CAPITOLO 9 - Di ragazzi e problemi.

Il giorno del mio compleanno non andavo mai a scuola. Soprattutto se mamma e papà decidevano di organizzare cene per festeggiare che sfioravano la mezzanotte. E perché comunque si trattava di una festa nazionale. Io avrei potuto alzarmi tranquillamente dal letto, ma senza il bonus “Geràrd”.
Dopo che gli avevo praticamente sputato in faccia che lo amavo con tutto il cuore, lui non aveva risposto alla mia frase così veritiera e pura. Aveva semplicemente stretto la presa su di me e si era lasciato scappare una lacrima perché, sue testuali parole, “quando ci sei tu, anche io mi sento libero da tutto”.
Andava bene, non pretendevo una sua risposta subito, non volevo che lui mi dicesse un forzato “ti amo” quando invece avevo avuto la conferma che stavo svolgendo un buon lavoro come suo “salvatore”. Volevo in qualche modo ricambiare il favore.
Mi sentivo bene comunque, anche se mio padre continuava a chiedermi di Angela da due ore a quella parte. Tornato da lavoro prima si era seduto sul letto della mia camera e aveva dondolato le gambe guardandomi come una ragazzina in cerca di scoop. E poi mi aveva seguito a pranzo, si era sistemato di fronte a me e aveva continuato a farmi domande su domande che mi mettevano sempre di più in imbarazzo.
La testa mi girava vorticosamente e quella voglia matta di vomitare si stava riproponendo sempre più prepotente. Anche se Geezie –aveva detto che non avrebbe accettato soprannomi, ma non aveva protestato quando mi ero fatto scappare dalle labbra questo nomignolo- mi aveva detto che non dovevo preoccuparmi, non riuscivo a stare tranquillo.
Lui avrebbe accennato di me ai suoi genitori, sosteneva che possedendo una famiglia di artisti, avessero tutti la mente e il cuore aperti e che mi avrebbero accettato senza problemi. Suo padre era avvocato, si, ma lo era diventato perché il nonno di Geràrd aveva fatto di tutto purché lo diventasse. La vera passione di Donald, così mi era stato detto si chiamasse, era la scultura. E Donna, sua moglie, adorava fare veri e propri murales con i gessetti sui muri della sua “stanza del disegno”. Michael, suo fratello invece, stava imparando a suonare il basso e aveva pressappoco la mia età, saremmo andati sicuramente d’accordo.
Mi piaceva il fatto che lui comunque potesse contare sulla sua famiglia, anche se da quello che mi aveva detto i genitori avevano avuto un momento di crisi. Ora andava tutto bene e il cuore mi perdeva un battito nel pensare che lui probabilmente in quel momento stesse parlando di me ai suoi parenti. Magari gli stava dicendo di tutto quello che avevamo condiviso, quello che avevamo detto.
Io avrei tanto voluto dire a mio padre di lui, avrei voluto farmi sorridere e farmi dire “Bravo Frankie, sono felice per te”.
Ma probabilmente questo non sarebbe mai accaduto, dato il livello intellettivo che aleggiava in casa mia. Credo che fosse proprio un argomento tabù l’amore verso il proprio sesso.
E avrei voluto anche io con tutto il cuore contare su di loro davvero, e non lasciare che amassero un me che non era reale.
-Allora Franklin – continuò mio padre distogliendomi completamente dai miei pensieri senza speranza. Da una parte lo ringraziavo. Dall’altra, beh, avevo una voglia matta di legarlo alla sedia con delle funi robuste e chiudergli quella fogna che aveva al posto della bocca con un bel po’ di nastro adesivo isolante. Comunque gli sorrisi cordiale, nonostante avesse usato il mio nome intero, e lo osservai con occhi fintamente curiosi come ad incoraggiarlo a continuare. –Che ne dici di farmi vedere una foto di Angela?
Angela. Angela. Angela.
Basta, non ce la facevo più. Mi sentivo come se fossi in un’ampolla quasi piena d’acqua, in procinto di morire annegato. Il liquido trasparente cresceva e cresceva e cresceva di misura e piano piano i miei polmoni si riempivano sempre di più, sempre più in modo fitto. Provavo a respirare ma niente, la mia parte razionale diceva di arrendermi. Effettivamente, in quella conversazione, io ero già morto.
Presi un respiro profondo cercando di trovare una scusa plausibile all’assenza di foto di Angela, dato che Angela non esisteva, ma la mia mente si era completamente svuotata.
Sembrava che tutto stesse remando contro di me. E pensavo che il momento della verità stesse arrivando davvero troppo presto.
-Sai papà… - presi tempo respirando sempre più in modo affannato, strizzando davvero forte gli occhi come se mi facesse malissimo la testa. –A lei non piace essere fotografata, davvero.
-Non ci credo, Frank! – esclamò divertito e scosse pianissimo il viso, continuando a fissarmi come se fossi protagonista di un interrogatorio infinito. –Con tutti i social network a cui siete iscritti, non credo che lei non abbia mai messo una sua foto – affermò davvero convinto. –E poi da come me l’hai descritta sembra davvero carina, e di solito le ragazze carine mettono tante foto.
-A lei non piace la tecnologia, non ha nemmeno un computer a casa, solo un vecchio modello di cellulare che ogni tanto va talmente tanto male che si spegne per giorni. E no, non le piace farsi fotografare quindi il discorso è chiuso – sussurrai quasi l’ultima frase, come se fosse la mia ultima ancora di salvezza ma mio padre parve crederci, quindi assentì con il capo in modo autorevole prima di tornare comodo sulla sedia della cucina.
Proprio in quel momento, la porta di casa si aprì e in un lampo sperai che quel gesto portasse salvezza. Mia mamma, indaffarata e piena di buste della spesa, entrò in cucina e con un grande sorriso sornione poggiò tutto sulla credenza. Soddisfatta poi, e senza fermare nemmeno per un attimo i piedi che “riposavano” in tacchi dodici davvero vertiginosi, si avvicinò a quelli che lei chiamava gli uomini di casa e ci poggiò le mani sulle spalle.
-Allora, come stanno i miei due ometti? – domandò felice e poi si chinò a darmi un grande bacio appiccicoso sulla guancia come per rimarcare il fatto che si, era il mio compleanno e quindi doveva darmi più affetto del solito.
Papà le cinse i fianchi con braccio e la guardò dal basso sorridendo furbo, come se stessero comunicando silenziosamente.
-Franklin si vergogna di farmi vedere delle foto di Angela – cominciò ridendo divertito e mamma spalancò gli occhi prendendo un sedia per sistemarsi tra di noi, come se stesse per presidiare a un processo.
-Che c’è amore, hai paura del giudizio di tuo padre? Lo sai che non si farebbe problemi se lei avesse… che ne so, un po’ di strabismo o le doppie punte – mi incitò, cercando di rendere la situazione più leggera per me. Con scarsissimi, quasi nulli, risultati.
-In effetti… io ho paura del vostro giudizio – confessai, non avrebbero capito niente comunque. –Ma il suo difetto non è solo… un occhio storto o qualsiasi altra cosa, cioè, credo che per voi sia peggio.
Mamma aggrottò la fronte e si affrettò ad abbracciarmi davvero stretto nelle sue braccia fasciate da un maglioncino di lana, come a proteggermi, e sospirò. –Quante volte devo dirti che a noi puoi dire tutto? Se a lei mancasse una gamba, o un braccio, o la voce non ci sarebbero problemi per noi. Lo sai bene, Franklin.
-Non è questo… - sussurrai staccandomi da lei che inizialmente ci rimase di stucco ma poi lasciò correre. Mio padre stava ascoltando la conversazione in silenzio religioso, come per capire dove sarebbe andata a parare. –Davvero, è solo che io…
-Ti vergogni perché è la tua prima fidanzatina, ho capito – annuì interrompendomi e io presi un lungo respiro per rimanere calmo e non vomitare lì, sul tavolo. Quella nausea non passava da giorni probabilmente.
-No io… - provai a dire con voce flebile.
-No? Allora che hai tesoro? Se ci dicessi che problemi ha lei, noi potremmo aiutarti. Cos’è? Non ha una buona famiglia? – mi osservò con fare sospetto. –Non importa se non ha molti soldi, a me e tuo padre non importa davvero.
-No, se tu…
-Ho capito, è atea. No problem, Frankie, l’importante è che non dica qualcosa, qualsiasi cosa, contro la chiesa in tua presenza. Potrebbe portarti sulla cattiva strada, capisci? – mi chiese carezzandomi lentamente la guancia, con il suo solito fare dolce ma iperattivo. –Non voglio che tu smetta di credere perché qualcuno ti ha portato a farlo.
-Mamma… - provai ad interromperla. Questo mi faceva capire che la mia opinione probabilmente contava meno di zero.
-Cosa? Hai smesso di credere? Lo sai che non va bene amore, questa domenica verrai in chiesa con noi e ti confesserai. Qualsiasi cosa, comunque, stai tranquillo che il Signore non ti abbandonerà mai – affermò convinta, davvero con occhi quasi persi in quello che stava dicendo. Era affascinante vedere come le persone credessero in qualcosa che non era davvero palpabile. Io ancora non avevo capito bene da che parte schierarmi, perché di certo essere atei è triste. Semplicemente non mi piaceva, mi disgustava, la visione di Dio che avevano i cattolici.
-Io non ho…
-Oh meno male! – esclamò più tranquilla. –Questo mi rincuora. Ma se lei non crede possiamo invitarla a cena e parlarne, cercare di capire perché. Chissà da che famiglia viene, povera cucciola. Non capisco davvero come..
-Amo un ragazzo – dissi tutto d’un fiato, interrompendola, quasi sull’orlo delle lacrime per averlo finalmente ammesso anche a loro. Ora mi conoscevano. Era come una presentazione nuova di zecca del mio essere me.
Passai gli occhi dai loro volti quasi vuoti, che lentamente perdevano la concezione del mondo circostante per concentrarsi in una sola cosa: il loro unico figlio maschio era frocio. Incomprensibile.
Mi lasciai scappare una lacrima leggera che percorse lentamente la mia guancia, e tirai su col naso. Mi sentivo davvero in colpa ad aver detto loro di quel mio lato così intimo, come se fossi io quello in torto e non loro che la stavano prendendo così male.
Se avessero solo saputo di quello che Geràrd stava facendo per me, anche loro lo avrebbero amato. Chi non lo avrebbe amato?
-A-Angela non esiste – mi strinsi nella felpa cercando di proteggermi da loro, dai loro sguardi affilati come tagliole appuntite. Mi sentivo aperto in due, sentivo lentamente i miei organi che scivolavano via, il mio cuore che cessava di battere. –Smettetela di guardarmi come se fossi malato – dissi in un soffio, con la voce che tremava dalla paura di una loro reazione violenta. Mi portai le mani, quasi completamente coperte dalle maniche color petrolio della felpa, agli occhi per asciugarli nonostante il continuo tremolio.
I miei rimanevano comunque in silenzio, e credo che avrei preferito una miriade di insulti a quello.
-Io avevo… avevo bisogno di tempo per dirvelo ma… – distolsi lo sguardo per non affrontare i loro occhi giudiziosi. So cosa stavano facendo. Stavano cercando di farmi sentire sbagliato.
E quello sguardo mi stava facendo sanguinare, mi avrebbe portato lentamente alla morte. Perché non potevano essere felici per me?
-Ma sono sicuro di quello che provo ora, e i-io… credo che anche lui mi ami – un singhiozzo si fece spazio nella mia gola ma mi costrinsi ad alzare di nuovo gli occhi verso di loro, come se mi aspettassi di trovare accettazione e incoraggiamento.
Ma non trovai niente di quello.
I loro volti erano vitrei, niente che non fosse odio o pregiudizio si vedeva in quelle iride smunte.
Lo sguardo mi cadde, poi, sulla mano di mio padre che lentamente stava stringendo tra le dita uno dei coltelli che erano sulla tavola apparecchiata. Il mio cuore perse un battito. Gli facevo così schifo da volermi uccidere? O era solo rabbia la sua?
Piano e con movimenti calcolati, mi alza dalla sedia, le gambe che a mala pena rimanevano ferme dal terrore e indietreggiai verso la porta.
-Frank – disse soltanto mettendosi in piedi a sua volta, i suoi occhi iniettati di sangue. –Spero per te che la tua camera sia davvero confortevole. Dovrai passarci molto tempo.
-Mi dispiace – sussurrai tra i singhiozzi prendendomi il viso tra le mani. –Mi dispiace di avervi deluso per l’ennesima volta, di essere per l’ennesima volta un rifiuto. Mi dispiace di essere così sbagliato, di essere me. Ma.. ma metti giù il coltello, ti prego.
-Vai in camera tua finché te lo permetto – sibilò appena, osservandomi con lo sguardo assassino. Non l’avevo mai visto così incazzato. Passai appena gli occhi lucidi su mia mamma, che non aveva nemmeno mosso un muscolo, ma non stava nemmeno cercando di difendermi. Ebbi l’ennesimo colpo al cuore.
In un lampo, scattai all’indietro e attraversai tutto il corridoio. Arrivato alle scale, nonostante le mie gambe corte, salii i gradini due a due, con la sola voglia di scomparire. Di nuovo mi avevano portato a voler morire, tutto il lavoro di Geràrd era andato completamente in fumo.
Probabilmente, piansi ancora più forte.
 
Quella notte, con il mio sangue, riuscii a scrivere solo due parole sul muro prima di svenire per il dolore interno che provavo.
“Fottutamente sbagliato”

E lo sottolineai tre volte.


xCyanide's Corner
Okay, la mia idea iniziale era di fermarmi per le vacanzema poi ho capito che è inutile perchè tanto sto qui a fare niente e boh, pubblico.
Spero come sempre che questo capitolo vi piaccia, nonostante sia molto triste, e spero che abbiate ancora voglia di recensire. Anche se so che mi odiate lol
Alla prossima, vi amo,
xCyanide

 

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Capitolo 10
*** Di dolore, amore e altre dimensioni. ***


Capitolo 10 - Di dolore, amore e altre dimensioni.

Quando la mattina dopo aprii gli occhi per via della sveglia già impostata sul mio cellulare, sentii ancora l’inquietudine della sera prima addosso, come se stesse incombendo intorno a me di nuovo. Non ce la facevo a reggere così, dov’era Geezie?
I miei polsi dolevano in modo innaturale, quasi non li sentivo più per via dei solchi profondi che presentavano e di tutto il sangue che avevo perso. Sicuramente non era niente di grave, non era la prima volta che lo facevo e sicuramente non sarebbe stata l’ultima.
In un lampo, poi, mi ricordai della scritta e pensai che non sarebbe andata via nemmeno con delle secchiate di acido, dato che il sangue era difficile da togliere dalla carta parati. Da una parte, ripensando a quel periodo, devo dire che quelle due parole donavano stile alla mia camera.
Mi spostai a guardarla ma la mia vista fu offuscata da qualcosa di meglio, che però era alterato da colori che sicuramente non gli appartenevano.
Geràrd era seduto accanto a me, sul letto dove sicuramente mi aveva portato mentre ero ancora in quella piccola specie di coma, e aveva gli occhi completamente arrossati e gonfi. Credo che non avesse dormito tutta la notte, come a vegliare su di me e mi sentii maledettamente in colpa.
Altre lacrime solcarono le mie guance già ruvide e rosse per via della sera prima e mi accucciai di più sul letto, come a proteggermi. Chiusi gli occhi lasciandomi andare a un pianto liberatorio che mi scosse il petto e le interiora e subito, sentii le braccia di Geràrd cingermi il corpo come se fossi stato un bambino piccolo.
Prese a cullarmi, lentamente, come se fossi fatto di cristallo e io presi a singhiozzare sul suo petto, davvero fortissimo.
Lo sentii prendere un lungo respiro come a rimanere calmo, e quando lo strinsi leggermente di più, la sua presa si sciolse dal mio corpo esile, come se non avesse più forza per mandare avanti quell’abbraccio disperato. I miei singhiozzi si interruppero appena, lasciando alla mia anima un vuoto profondo e incolmabile, e osservai negli occhi il ragazzo che amavo, per il quale mi ero creato tutti quei guai. Il suo sguardo, severo e quasi incattivito, era scuro e mi osservava come a cercare di leggere i miei occhi persi e quasi morti.
-T-tu…- sussurrò pianissimo, con quella voce nasale e dannatamente fastidiosa, che anche se leggera era alta. –Non… non dire mai più di essere sbagliato, tu non lo sei Frank, non lo sei.
Quelle parole, così veritiere, mormorate con quel tono così insicuro, fecero cedere di nuovo gli argini del fiume di lacrime che stavo versando, e lentamente mi trovai di nuovo accucciato a lui, in cerca di tutto, tranne che di disapprovazione. La sua sola presenza, mi faceva sentire meno sbagliato di quanto non mi sentivo già in quel periodo, e  tirai su col naso davvero in modo plateale per via delle lacrime.
Lui, lentamente, si accucciò contro di me sul letto e con mani delicatissime cominciò a massaggiarmi i polsi doloranti, facendomi quasi urlare dal dolore della pressione che stava esercitando su quella parte lesa e quasi sfilettata. Con pochissima voce, si scusò contro il mio cuoio capelluto, come se la colpa fosse la sua. Io strinsi i pugni tirando forte i tendini che lacerarono di nuovo le ferite delle mie povere braccia e lui mi strinse ancora di più, come a farmi sentire al quadrato la mia stessa sofferenza.
-Lo senti? – bisbigliò pianissimo contro il mio orecchio, in modo impercettibile. –Questo… questo non devi più sentirlo – la sua voce tremava ed era quasi inesistente nell’aria, non mi dava fastidio come al solito, come quando parlava sempre e continuamente. Era una delle poche volte il suo splendido sorriso non campeggiava sul suo viso di cristallo, ed era sicuramente per colpa mia. –Il dolore non è positivo nella vita, Frankie. A che cazzo… a che cazzo serve il dolore quando ci sono io qui pronto ad amarti eh? Perché l’hai fatto? – non l’avevo mai sentito così incazzato e la sua voce, da decisamente troppo leggera per essere reale, passò ad essere di nuovo altisonante e nasale.
Le lacrime che scendevano sulle mie guance si triplicarono per il dolore che quelle parole mi facevano sentire, nonostante mi avesse detto che mi amava. Non volevo farlo arrabbiare così tanto, non volevo che si sentisse in dovere di amarmi, come obbligato ad accettarmi.
-I-io… - mugolai, nascondendo il viso nel suo petto, mentre lui leggermente più calmo, mi accoglieva nuovamente tra le sua braccia come a sorreggermi. –I miei sanno di te e… e mio padre voleva uccidermi, aveva preso un coltello! – esclamai sulla stoffa della sua camicia mentre continuavo a singhiozzare in modo davvero forte, con il petto sconquassato dai tremiti. –Mamma non… non ha reagito, non mi ha aiutato e credo che non v-vogliano più vedermi. S-scusa… V-volevo morire.
Lui lentamente annuì, non sorpreso come se già conoscesse la storia, oppure l’avesse immaginata, e prese a lasciarmi leggerissimi baci sulla tempia con delicatezza assoluta. Lasciò piano i miei polsi sanguinanti e li adagiò sul mio petto per stringermi completamente come se mi stesse cullando e con la punta del suo nasino alla francese percorse il perimetro della mia mascella fino alla tempia.
Strinsi la sua camicia nei pugni doloranti e cercai di calmare il tremito del mio corpo concentrandomi su quelle attenzioni dolci che mi stava donando Geràrd. Le sue labbra erano morbidissime a contatto con la mia pelle, fredde ma in qualche modo calmanti, come una buona dose di anestesia dai pensieri. Incastrai una gamba tra le sue sospirando mentre il mio respiro tornava normale e schiusi appena le labbra quando scese con la mano sul mio fianco lentamente. Afferrò la pelle tra le sue dita ossute come a rimarcare la sua proprietà e, con la bocca che ancora vagava sul mio viso, sussurrò l’ultima cosa che avrei mai pensato di sentir uscire dalle sue labbra.
-Je t’aime, Frankie – mormorò mentre con le labbra a forma di ali di farfalla scendeva verso il mio collo e cominciavano a baciarlo lentamente, sentendo piccolissimi brividi percorrere completamente il mio corpo. Sussultai appena schiudendo ancora di più le labbra dallo stupore, il viso morto che lentamente riprendeva colore a quelle parole così semplici quanto belle. Il mio cuore probabilmente prima o poi sarebbe volato via insieme al mio cervello, completamente in pappa. –Ti amo come tu nemmeno probabilmente immagini. E stai certo che non lascerò più che tu ti faccia del male volontariamente e non. Sei il regalo che la vita mi ha donato dopo tutte le sofferenze e non permetterò a nessuno di incrinarti e romperti – con assoluta leggerezza le sua labbra raggiunsero le mie passando per il mento e sospirò sulla mia pelle così sensibile, con i miei occhi che lo guardavano come se non fossi sicuro che volesse davvero dirmi quelle cose. –Ehi cucciolo bastonato, non ti sto prendendo in giro – disse come se volesse alleggerire la situazione abbastanza drammatica. –E voglio che tu non ascolti le opinioni di nessuno, che siano i tuoi genitori o io o chiunque altro. Tu devi ascoltare il tuo splendido cuore, Frank. Devi chiederti cosa vuoi tu, cosa desideri più di tutto in questo momento. E se nei tuoi piani di vita io non sono presente, se vuoi che sia tutto più semplice, io posso andarmene senza lasciare traccia, lasciarti volare com’è giusto che sia verso una vita che ti sta meglio addosso. Hai…
-Da dov’è che vieni eh? – mugolai contro la pelle delle sue labbra, così desideroso di farle incontrare per la prima volta in quel momento di confessioni così dolci. I suoi occhi ipnotici divennero interrogativi, come a chiedermi cosa intendessi davvero. –Mi… mi parli di libertà, di amore, di accettazione quando tutto quello che hanno sempre voluto da me è di farmi essere all’altezza delle loro aspettative – deglutii appena, sfiorando con la punta delle dita il suo mento, nemmeno il dolore ai polsi era rilevante. –Vieni da un altro mondo, non c’è altra risposta. Da un’altra fottutissima dimensione, non è possibile che tu sia così… perfetto per me – lo vidi visibilmente arrossire alle mie parole, mentre indugiava ancora a pochi centimetri dalla mia pelle desiderosa. –Sei l’unica fortuna che la vita mi abbia mai dato, e sinceramente credo che il posto dove io debba trovarmi in questo momento è proprio questo, Geràrd. Qui, con te, a combattere per me stesso e per il rispetto che mi è dovuto da tutti, senza distinzioni. Io.. voglio che la mia voce venga sentita e voglio che tu mi accompagni in questo cammino. Ma non so perché tu mi sei sempre sembrato un’illusione.
-Io non vengo da nessun altro mondo, da nessun’altra galassia. Io sono semplicemente un ragazzo che voleva con tutto il cuore conoscerti, che voleva salvarti da te stesso. Sono reale, Frank, sono solo un’altra anima persa come te.
Semplicemente, guardandolo negli occhi, riconobbi me stesso. Così spaventato, ma deciso nelle mie idee, determinato a raggiungere degli obiettivi. Niente illusioni, niente mondi e galassie. Solo due ragazzi tenuti a galla da un sentimento appena nato eppure già così importante.
In quel momento, il mio corpo si mosse da solo, quasi in modo rallentato, mentre finalmente le mie labbra toccavano le sue in modo impercettibile, e i suoi occhi sparivano sotto la coltre delle lunghe ciglia scurissime. Inclinò leggermente il viso per lasciarle toccare meglio, lasciarle coccolare e massaggiare in quel modo così dolce e romantico e avvertii distintamente i piccoli scocchi che le nostre bocche a contatto creavano.
Mi decisi a chiudere gli occhi a mia volta, mentre mi rilassavo completamente in quello che era il mio primo bacio, e lo sentii stringere appena di più il mio fianco per spostarsi accostato a me, con il petto a contatto con il suo. Le mie braccia si posarono sul suo sterno, che sentivo alzarsi e abbassarsi a un ritmo rilassato e regolare e quella destra lentamente si stese dove sentivo il suo cuore battere.
Non avevo mai provato tutte quelle sensazioni insieme, tutte positive, mentre muovevo appena le labbra su quelle di zucchero di Geràrd, sperando di star compiendo per bene il mio lavoro nonostante non ne capissi niente. Lui lentamente scoccò l’ennesimo bacio e aprì gli occhi per osservare il mio volto mentre poggiavo la guancia sul cuscino ancora con le palpebre semi chiuse. Il mio respiro era leggermente irregolare mentre cercavo di riprendermi da quello scoppiettio di emozioni che era innescato nel mio petto.
-Com’è che si dice? – bisbiglia con la voce tremolante sulla pelle del suo mento. –Je t’aime?
Lui rise pianissimo lasciandomi un piccolo stampo di labbra sulla tempia annuendo pianissimo. –Già, piccoletto, proprio così. 



xCyanide's corner
Ooooh finalmente 'sti due si sono dichiarati e si son fatti la prima pomiciata.Credo che Geràrd sia riuscito a risolvere abbastanza bene la situazione interiore del piccolo e dolce Frankie o no? 
Questo capitolo mi è molto a cuore, ci ho messo tanto a scriverlo e ne sono abbastanza fiera perché finora è il mio preferito. E' tutto così struggente.
Spero che piaccia anche a voi e spero che vogliate continuare a recensire dato che siete dolcissime tutte quante! Vi ringrazio (:

LEGGETEMI
Allora, mio fratello Danesh studia batteria in modo professionale da più di dieci anni. Insieme ad altri suoi amici ha tirato su un gruppo (dopo svariatissime esperienze anche in televisione con Dolcenera e altri artisti importanti e molte master class con professionisti con i coglioni) di genere electro-alternative. E' praticamente dubstep con influenze classiche e rock (Danesh è laureato in studio rock e jazz). Mi ha chiesto di pubblicizzare la loro pagina il più possibile e di far visualizzare il video perché tante visualizzazioni li porteranno a suonare quest'estate qui a Roma davanti a più di diecimila persone e sarebbe una svolta. Me lo fate questo favorino? Il video è solo un trailer del cut finale che uscirà il primo febbraio! Guardate e mettete mi piace, grazie (:
Pagina: 
https://www.facebook.com/xaosproject?fref=ts
Video: http://www.youtube.com/watch?v=fAyFn0jkoLQ&feature=youtu.be
Il mio fratellone è quello con i dreadlocks e la maschera anti gas (:
 

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Capitolo 11
*** Di abbigliamento e famiglia. ***


Capitolo 11 - Di abbigliamento e famiglia.


Scesi velocemente le scale cercando di non pensare alle occhiatacce che i miei genitori mi avrebbero dedicato. Erano tre giorni che uscivo di casa solo per andare a scuola. Non mangiavo niente, l’unico mio desiderio erano semplicemente le labbra di Geràrd sulle mie. E spesso lui mi avevo accontentato nel corso di quelle poche ore così da vedermi sorridere davvero.
Credo che in fondo mia mamma non avesse niente contro di me e contro i miei gusti, paradossalmente non era mai stata capace di pensare con la sua testa per quanto riguardava la vita in generale, dato che qualsiasi cosa dicesse papà sembrava legge per lei.
Amare una persona non significa credere che tutto quello che esce dalle labbra di tale essere sia perfetto. Me ne stavo rendendo conto in quei giorni, che le opinioni non si possono discutere e la maggior parte delle volte nemmeno possono cambiare.
Strinsi la giacca al petto, contro la camicia che avevo messo apposta per l’occasione e socchiusi appena gli occhi per calmare il tremolio che sentivo alle gambe. Le braccia dolevano ancora, nonostante Geràrd mi aiutasse a disinfettare e bendare quella parte lesa ogni sera, con assoluta cura.
I miei genitori erano seduti sul divano, stretti, e li sentivo parlare di una qualche notizia che avevano dato al telegiornale su una specie di omicidio premeditato e roba del genere. Non guardavo mai il notiziario, sembrava quasi un bollettino di guerra, e dovendo affrontare ogni giorno una battaglia contro me stesso, evitavo accuratamente di ascoltare altre cose che avrebbero potuto appesantire il mio animo ferito. E più semplicemente, non mi importava se alcune persone provassero dolore per una morte, dato che il dolore è una di quelle emozioni che volente o non si avverte ogni giorno. Perché farmi carico di quello di persone che non avevo mai visto, allora?
Mi schiarii appena la gola per far capire loro che stavo uscendo, stavo andando via per cena. Quando entrambi si voltarono verso di me con occhi interrogativi e anche… delusi, il mio respiro si bloccò ma cercai di non farci caso.
-Io… sto andando a cena fuori. Brian mi aspetta in pizzeria – sussurrai soltanto prima di uscire velocemente dalla porta e chiudermela alle spalle senza sentire una loro parola, per paura di essere ferito nuovamente. Sapevo di essere in punizione ma non avevo intenzione di dar loro retta.
La storia di Brian era una messa in scena, anche se con il suo consenso. Gli avevo raccontato per telefono tutto quanto, non riuscendo più a tenermi dentro una parola riguardo il mio… ragazzo. Era stato elettrizzato per me, il mio fantastico migliore amico, e mi aveva detto che per qualsiasi cosa era lì per me. E in effetti era vero, dato che quando gli avevo spiegato della situazione con i miei genitori si era offerto per parlare con loro, per cercare di farli ragionare. Ma avevo negato, dato che non volevo assolutamente che anche lui venisse preso in giro in qualsiasi modo. Poi mi aveva detto che prima o poi avrebbe voluto darmi il regalo di compleanno dato che non avevamo avuto modo di vederci per colpa della sua influenza.
Sorridevo, pensando a lui. Era davvero speciale e sicuramente ero fortunato ad averlo sempre con me.
Comunque, dove davvero mi stavo dirigendo era davvero una specie di sorpresa anche per me. Non sapevo davvero cosa aspettarmi, quando Geràrd mi aveva detto che sua mamma quando aveva saputo di me l’aveva obbligato a invitarmi a cena al più presto.
Ero rimasto paralizzato a quella richiesta, ma avevo subito accettato per via della mia felicità nel sapere che almeno loro ci avevano accettato.
Mi aspettavo una casa un po’ eccentrica, con delle persone esuberanti, ma davvero non sapevo come aspettarmi di preciso quella situazione. Sarebbero stati davvero gentili e simpatici con noi? Oppure era solo una specie di messa in scena?
Camminavo lungo la strada con il tramonto dietro di me, dato che erano le sette e in quel periodo dell’anno faceva notte presto in confronto all’estate. Geràrd mi aveva spiegato in che via abitasse e controllavo per bene tutti i numeri civici per trovare quello che mi aveva fatto scrivere nel foglietto che avevo nella tasca dei pantaloni.
Avevo cercato di essere più elegante del solito, con quella camicia e i pantaloni stretti e non strappati, e sembravo anche più grande di quello che realmente ero per una delle prime volte in vita mia. Forse sarei riuscito a reggere il confronto con la figura adulta di Geràrd.
Ma quando finalmente trovai il loro piccolo giardino ben curato, con i fiori e perfetti e le luci in piccoli lampioncini davvero delicati, mi ricredetti.
La figura alta e snella di Geràrd, così flessibile, era appoggiata allo stipite del portone semi chiuso, con accanto i suoi genitori così somiglianti a lui. Mi fermai per un attimo a osservarlo e rimasi senza fiato nel notare come era vestito, non tanto per la sobrietà, quanto per come qui vestiti gli stavano maledettamente bene. Era la prima volta che lo vedevo vestito con colori che non fossero il nero, semplicemente sembrava ancora più trasparente.
Aveva indosso una camicia leggerissima bianca quasi quanto la sua pelle di geco, solo le lentiggini si distinguevano per bene per via della loro natura aranciastra, e le labbra rosse si spostarono verso l’alto in quel modo inquietante ma maledettamente eccitante che adottava sempre. Sopra quel minimo indumento, portava un gilet bordeaux scuro, che sembrava sangue appena colato su quella macchia bianca. I bottoni che lo tenevano stretto attorno il suo petto magrissimo, e che lo facevano sembrare anche più snello, erano di uno splendente color oro con dei piccoli ghirigori sopra, che li rendevano ancora più impreziositi.
Passai lentamente ad osservare i suoi pantaloni grigio ghiaccio, con la piega al centro, che lo facevano sembrare un qualche barone con un sacco di soldi, così aristocratico e perfetto nel suo corpo. Non erano a zampa di elefante, erano strettissimi sulle caviglie snelle che mostravano le ossa e lasciavano tutta la scena alle sue creepers* nere e leggermente rovinate, che però non gli avevo mai visto portare per via della scomodità, probabilmente. Non erano le più alte che avessi visto, erano con tutta la probabilità quelle da cinque centimetri e non da otto, ma gli donavano un’aria da cattivo ragazzo che sicuramente non lo personalizzava. Ma gli stava da dio addosso.
Lentamente mi incamminai verso di loro e sorrisi sornione anche se completamente imbarazzato da quell’attesa che avevano avuto nei miei confronti, così strepitante. Ero davvero così importante ai loro occhi? Sicuramente a quelli di Geràrd si, dato che mi stava osservando come fa un ghepardo con la preda, come se stesse per mangiarmi con gli occhi.
Quando arrivai davanti loro, lentamente sporsi la mano per stringere quella di una donna sorridente e sulla cinquantina, anche se portata assolutamente bene, ma Geràrd non me lo permise. Si protese verso di me e mi trascinò al suo corpo, stringendomi in un forte abbraccio che subito ricambiai sorridendo, anche se la frangetta mi aveva coperto metà viso. Allacciai le braccia attorno il suo torace magrissimo stringendole tra loro dietro la sua schiena e alzai appena gli occhi quasi nascosti completamente su di lui.
Mi mise due dita sotto il mento e sporse il viso per farlo toccare al mio, lasciando che le nostre labbra si incontrassero per un nanosecondo davanti agli occhi felici dei suoi parenti. Scoccai lentamente il piccolo bacio, arrossendo tantissimo per via di tutte quelle attenzioni, e tornai a nascondermi sul suo petto.
-Bon soirée, mon cher – sussurrò sulla mia pelle e io arrossii ancora di più stringendolo fortissimo.
Avvertii i suoi genitori ridere addolciti dalla scena e la mano delle sua mamma che mi carezzava la spalla lentamente, come a farmi stare tranquillo.
E poi, con un marcato accento francese, suo padre disse: -Benvenuto in famiglia.
E io lì, su quel pianerottolo, mi sciolsi.



*per chi non conoscesse le creepers (chi non le conosce?!) queste sono le mie bambine sfruttate e distruttehttp://instagram.com/p/dCiCzDrHut/ 


xCyanide's Corner
Buonasera! Scusate se aggiorno così tardi ma oggi è stata una giornata un pochino... tra lo stressante e il rilassante. Ho studiato capitoli e capitoli di storia e poi ho visto Panic Room con la mia tazza di Loki in una mano e la matita nell'altra. La goduria.
Spero davvero che questo capitolo vi piaccia, come tutti gli altri, e spero che siate felici della realtà in cui vive Geràrd. Mi sono davvero impegnata a cercare di creare un quadretto familiare tranquillo che però nel prossimo capitolo spiegherò meglio. Fatemi sapere cosa ne pensate che siete la mia gioia! 
Alla prossima,
xCyanide

P.S.: Credo di essere in dovere di avvertirvi che probabilmente la prossima settimana l'aggiornamento salterà perchè ho il capitolo scritto a metà e in questo periodo sono particolarmente incasinata, tra compiti in classe, scelta della scuola per l'indirizzo del triennio (Via Ripetta o Isa Roma 2? *la mente urla VIA RIPETTAAAAAA*) e il ragazzo che mi piace che improvvisamente si mette lì e mi chiede di uscire. Chissà. Spero abbiate un po' di pazienza e capiate che anche io ho una vita sociale... qui... da qualche parte. 

xoxo

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Capitolo 12
*** Di artisti, sogni e prime esperienze. ***


Capitolo 12 - Di artisti, sogni e prime esperienze. 

La cena era stata davvero perfetta. I genitori di Geràrd si aiutavano sempre, sia nel cucinare che nel sistemare la tavola, e mi avevano raccontato moltissimo di loro.
Si erano conosciuti sotto la Torre Effeil, Donald stava cercando una persona che potesse posare per la sua imminente scultura, dato che contro la volontà del padre stava per avere una mostra molto importante. Si guardava intorno quindi, curioso, e immerso totalmente nei suoi pensieri era andato contro una giovane donna bionda, bellissima, che si avvicinava a quella che lui pensava fosse la bellezza ideale.
Le aveva fatto il filo per moltissimo tempo, quasi tre mesi, senza che lei lo degnasse di uno sguardo se non di indifferenza, ma con la perseveranza era riuscito a guadagnarsi la sua fiducia. Probabilmente, sostiene Donna, sono stati i modi da artista di quel giovane ragazzo a stregarla, il suo modo di vedere il mondo, di essere sempre sorridente nonostante tutto. E questo mi ricordava tantissimo Geràrd.
I suoi genitori erano molto innamorati, nonostante i piccoli diverbi che avevano avuto, ed io ero felice per loro. Condividevano la passione per l’arte e per la musica, cosa che condivideva anche la nonna defunta del mio ragazzo, Helena. In generale, erano una famiglia molto unita.
Mi avevano spiegato che Michael, il loro figlio minore, non aveva potuto essere presente per via del primo appuntamento con quella che per mesi era la stata la ragazza dei suoi sogni, ma avevo detto loro di non preoccuparsi minimamente, che avrei avuto modo in futuro di conoscerlo.
Geràrd aveva sfoggiato il suo sorriso perfetto per tutto il tempo, così da farmi ricordare della situazione disastrosa che invece era presente a casa mia. E questo per un attimo mi riportò alla realtà, e probabilmente se ne accorsero tutti quanti.
Donna perse l’entusiasmo nel parlare animatamente dell’ultimo murales che stava portando avanti, muovendo le mani come a disegnarlo nell’aria, lo smalto rosso davvero in mostra come fosse un trofeo e subito Donald si mise eretto sulla sedia, abbandonando la sua solita posizione leggermente curva, che paradossalmente assume la gente che disegna per tanto tempo.
Geràrd si voltò verso di me e notando i piccoli cristalli che si stavano formando al lato dei miei occhi subito mi presela mano intrecciando le dita fredde con le mie, come a darmi forza di andare avanti senza stare più male così io scossi la testa.
-Scusatemi, è… un momento così – sussurrai, cercando di disperdere l’argomento e donare di nuovo quella gioia che aleggiava in casa loro. –Semplicemente ho alcuni problemi con i miei genitori ma… sono felice che Geràrd abbia una situazione come questa intorno, tutto il giorno. Non potrei chiedere di meglio per lui.
Tutti sorrisero di nuovo e probabilmente non c’era niente di meglio in quel momento per tirarmi su di morale. Perlomeno, avevano rispettato la mia privacy senza chiedere niente che potesse farmi male. Erano davvero bravissime persone, credo le migliori che avessi mai conosciuto.
 
Quando sentii il peso di Geràrd sul mio, il mio corpo sprofondò leggermente di più nel materasso e risi davvero imbarazzato per la posizione intima che avevamo assunto. Non eravamo mai stati così tanto a contatto, credo, e quando avevo sentito il suo calore corporeo sul mio mi era venuto spontaneo allargare le ginocchia e farlo accomodare tra le mie gambe magre ma morbide.
Il suo bacino era appena appoggiato al mio e sentivo il suo cuore che batteva forte sulla mia gabbia toracica.
Il suo corpo venne scosse a sua volta da una piccola risata nasale e delicata, forse più dettata da un riflesso che dalla vergogna vera e propria, e mi fece capire che anche per lui questo tentare di esplorarsi era nuovo in tutti i fronti.
Alzai gli occhi verso il soffitto a quadri della sua camera, bianco e nero e identico al pavimento, e mi lasciai scappare un sorriso dolcissimo nel sentire come nascondeva il viso nell’incavo del mio collo e cominciava lentamente a baciarlo, con piccolissimi scocchi umidi e delicati che mi facevano sentire lunghi brividi lungo tutta la spina dorsale.
Senza nemmeno rendermi conto di quello che stavo facendo, lentamente intrecciai le dita ai suoi lunghi capelli scuri per farlo rimanere attaccato alla mia pelle bollente e sentii il respiro spezzarsi quando, con quei suoi maledettissimi dentini affilati, tirò appena la mia pelle verso di se, succhiandola con attenzione.
Passai gli occhi poi, come a non pensare a quella lingua, sul comodino accanto al letto, pieno di piccole action figures di qualsiasi fumetto o film che avrebbe potuto renderlo più nerd di quello che già era. Subito accanto c’era una spada laser dimensione reale di Star Wars e sulla scrivania c’era una montagna di fogli pieno di disegni e scarabocchi che non mi aveva dato tempo di vedere dato che mi era saltato addosso appena entrati nella sua stanza.
A pensarci bene, quella piccola reliquia di Star Wars era fantastica, probabilmente ogni bambino americano dagli otto anni in su ne avrebbe voluta una e io non ero da meno. Forse avrei chiesto a Geràrd di prestarmela un giorno, sempre che avesse acconsentito. Sapevo che teneva davvero tantissimo a tutte le cianfrusaglie che si trovavano in camera sua e magari la sua fiducia nei miei confronti non era poi così tanta. Avrei tanto voluto usarla, saettarla di qua e di là e sentirmi una specie di eroe. Avrei messo anche la tunica, fosse servito.
Ero talmente preso a osservare la spada laser che non mi ero nemmeno accorto che si era staccato dal mio collo ormai livido e mi stava osservando confuso e apprensivo. Mi voltai soltanto quando sentii le sue dita tra i miei capelli lisci e scuri e appena le mie iridi incontrarono le sue mi sentii come colpevole di un qualcosa che non mi ero accorto di fare.
-Ti vedo… distratto – sussurrò appena torturandosi il labbro inferiore con i stessi dentini che erano stati i mandanti dei piccoli succhiotti che avevo sulla pelle prima nivea del collo. –Non vuoi essere toccato in questo modo, mon cher? Perché possiamo anche fare qualsiasi altra cosa, io…
-No no, ehi – mormorai pianissimo. Sospirai appena facendo spallucce, ancora completamente rosso in viso. –Sto solo cercando di non essere la persona imbarazzante che sono sempre e quindi… quindi devo stare fermo, altrimenti rovinerei tutto quanto. Mi sento rigido perché i tuoi baci sono come elettricità e non sono abituato. Ho solo paura di non essere abbastanza, di non essere all’altezza, capisci?
Vidi i suoi occhi farsi contrariati più il mio discorso sconnesso andava avanti e scosse appena il viso lasciando che alcune ciocche color notte gli coprissero la fronte e le guance. Lentamente, incastrò le braccia nell’incavo che creava la mia schiena sul materasso e tirò appena su la mia maglietta per scoprirmi i fianchi e la pancia piatta e magra. Abbassò lo sguardo per osservare quel lembo di pelle davvero pallido, con occhi curiosi e indagatori. Inarcai le sopracciglia confuso e completamente in imbarazzo ma lo lasciai fare, mi fidavo di lui e sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male.
-L’altra notte ti ho sognato – sussurrò appena dopo qualche istante e tornò con gli occhi sui miei, più sincero che mai. Le sue iridi erano tornate ad essere completamente ialine e liquide mentre mi sorrideva sornione. –Eravamo proprio qui, in camera mia e… ti lasciavi spogliare e osservare. Ti lasciavi amare come realmente meriti. Quando mi sono svegliato ho pensato che a volte il sogno supera addirittura la fantasia, dato che non ho mai avuto pulsioni erotiche verso di te, sei troppo piccolo ma… adesso è tutto migliore. Siamo qui e tu sei perfetto in tutta la tua fragilità e la tua pelle è più pallida e morbida che nel mio sogno. E…
-Hai sognato di fare l’amore con me? – sussurrai appena con il respiro strozzato e sentii il mio cuore fare un balzo completo all’indietro appena quelle parole prendevano forma tra le mie labbra. –E com’era? Eh, Geezie? Com’era fare l’amore con me?
-Bellissimo – disse arrossendo appena e face spallucce, sporgendosi a far toccare la fronte alla mia così da guardarmi direttamente negli occhi. –Era la cosa più dolce che avessi mai visto, anche se era un sogno era come se potessi sentire tutto quello che sentiva il mio gemello astrale mentre… mentre ti faceva sentire bene in quel modo.
Portai con attenzione le mani alle sue guance e comincia a carezzare i suoi zigomi sporgenti con la punta dei pollici, con attenzione e dolcezza, mentre mi raccontava quelle cose. Strinsi appena le cosce ai suoi fianchi e avvertii che si, era eccitato, e con grande sorpresa lo ero anche io. Come avevo fatto a non accrogermene?
Distolsi lo sguardo quando si accomodò con il bacino pressato sul mio, la sua erezione coperta dai pantaloni sulla mia, ma mi lasciai comunque scappare un piccolissimo sorriso compiaciuto. Tornò appena a baciarmi sul collo, proprio da dove aveva smesso, ma stavolta non mi distrassi con niente. Non volevo distrarmi, volevo solo godermi appieno qualsiasi cosa sarebbe venuta da quel momento in poi.
Quando con attenzione strusciò il corpo contro il mio, completamente rigido, sentii un suono strano uscire dalle mie labbra e mi vergognai come un cane quando scoprii che era il mio primo, piccolo gemito di piacere.
Il mio corpo era sempre più caldo contro il suo e l’unica cosa che riuscivo a fare in quel momento era ricambiare quelle piccolissime spinte che stava assestando contro di me, nonostante gli strati di vestiti, e buttai indietro la testa quando prese a torturare il mio pomo d’Adamo.
-Fa’ l’amore con me – mormorai con il poco fiato che avevo nella gola e lui mi strinse con tenerezza al proprio corpo sorridendo contro la mia pelle, prima di alzarsi a guardarmi negli occhi, trovandoli davvero convinti ed eccitati.
-Dio mio, sei troppo bello – disse con pochissima voce mentre mi carezzava lentamente la guancia con dolcezza. Il poco controllo che aveva di se stesso in quel momento lo portava ad avere un accento francese più marcato che mi sembrò la cosa più sexy del mondo. –Sei sicuro, Frank?
-Sta’ zitto Geezie – mugolai appena quasi in modo isterico quando lo sentii preoccuparsi per me in quel modo. –Sarò pure piccolo e fragile ma so cosa voglio ora e… voglio che mi ami.
Lo sentii sospirare appena come divertito dal mio comportamento, mentre con estrema dolcezza faceva incontrare le labbra con le mie e mi zittiva nel modo più tenero possibile. Mi rilassai sotto di lui e lasciai che mi sfilasse la maglietta completamente, prima di tornare a baciarmi facendomi sorridere sempre di più per la delicatezza che stava usando mentre mi toccava. ‘Fanculo il mio corpo schifoso, essere senza maglietta in quel momento non mi creava nessun problema dato che lui stava facendo di tutto per farmi sentire a mio agio.
-Farà male, amore – mormorò contro la mia pelle mentre si apriva la zip dei jeans con attenzione, con il tono apprensivo che lo aveva sempre caratterizzato. –Devi rimanere rilassato e devi fare tutto quello che ti chiedo di fare, non voglio che sia una brutta esperienza. Voglio che… dovunque andrai, quando ci penserai, lo farai col sorriso.
-Si… - mormorai pianissimo sulle sue labbra, mentre mi divertivo a mordicchiargli il labbro inferiore con attenzione e dolcezza, ridendo appena. –Sei perfetto, come potrei ricordarlo altrimenti? Amami, Geràrd, ti prego.
Lui, semplicemente, annuì.


xCyande's Corner
Okay, avevo detto che non avrei aggiornato ma eccomi qui, dato che ho trovato un momento libero e ho finito il capitolo. Non sono capace a descrivere le scene che implicano un rapporto sessuale ma giuro che ce l'ho messa tutta, rendendolo il più romantico possibile e meno esplicito del dovuto. Non è comunque una storia a rating rosso quindi va benissimo così.
Come sempre vi ringrazio dell'appoggio che mi date e dall'amore che mi fate sentire e spero che questo capitolo vi sia piaciuto come gli altri!
Alla prossima settimana,
xCyanide

 

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Capitolo 13
*** Di coccole, ricordi e piccoli dolori. ***


Capitolo 13 - Di coccole, ricordi e piccoli dolori.

Ero in un fagotto di coperte e non avevo intenzione di alzarmi da lì. Era troppo caldo e sentivo il mio corpo completamente intorpidito, come se avessi fatto pesi tutto il tempo fino a svenire dalla fatica. Sentivo un dolore pungente dalla bassa schiena in giù, che persisteva ogni volta che cercavo di muovere le gambe e che mi fece piagnucolare quando mi resi conto che si, era proprio lì.
Nonostante fosse legato a ricordi ben più che perfetti, mi seccava quel fastidio. Mi seccava parecchio.
Mi girai a pancia in giù con attenzione e abbracciai il cuscino con le braccia nude, come del resto era tutto il mio corpo. Non mi preoccupai della scuola, dei miei genitori ne di qualsiasi altra cosa. Quando verso mezzanotte mia madre aveva chiamato piuttosto arrabbiata, le avevo detto a mezza voce che avrei dormito con Bri e avevo subito riattaccato. Non volevo sentire il suo parere e comunque non aveva riprovato a chiamare. Ennesima prova che, se le avessi fatto sapere che stavo per buttarmi sotto la metropolitana, lei o mio padre non avrebbero mosso un dito per impedirmelo.
Ma non lasciai che il loro pensiero mi sfiorasse minimamente dato che il mio umore era più che radioso, perché… avevo fatto l’amore. Con il ragazzo che adoravo con tutto il cuore, con i suoi gemiti nelle orecchie e le sue mani dappertutto sul mio corpo.
Con i suoi piccoli sussurri delicati sulla mia pelle, la durezza della sua carne a contatto con la tenerezza della mia, la sua completa apprensione nei miei confronti anche nel momento dell’amplesso.
Mi aveva guardato negli occhi per tutto il tempo, tranne quando era stato troppo occupato a baciarmi il collo che ora probabilmente era più livido che mai. Sapevo di lui, tutto intorno a me sapeva di lui, dalle coperte all’odore della mia pelle completamente pregna. Provavo una beatitudine mai sperimentata prima e mi sentivo bene con me stesso per la prima volta nella mia inutile vita.
Come se fossi nato per essere una cosa sola con Geràrd. Come se fossi nato per farmi amare da lui, farmi stringere in quel modo e farmi sussurra all’orecchio che ero bellissimo e speciale, che mi voleva più che mai, che mi avrebbe avuto a ogni costo.
Avevo provato a darmi piacere da solo in passato, ma nulla eguagliava il tocco delle sue mani, il calore delle sue parole. Nessuno eguagliava lui e io non potevo non essere felice di quella situazione.
Mi persi, quindi, nei ricordi e nelle sensazioni che avevo provato grazie al mio amore più grande e sorrisi di rimando socchiudendo gli occhi ancora non molto sicuro di volermi svegliare proprio in quel momento, di tornare in qualche modo a dover affrontare la realtà e tutto quello che implicava.
Volevo rimanere in quel letto, tra quelle coperte così morbide, a pensare che avevo perso la verginità con la persona migliore del mondo, che invece di dirmi porcate mentre provava piacere, mi aveva scostato i capelli e mi aveva riempito di bacini delicatissimi sulla tempia, dove sapeva che mi piaceva da morire.
Mi aveva stretto la mano e mi aveva detto di piantarci le unghie ogni qualvolta mi avesse fatto male, e si diamine, bruciava ancora a differenza di ore. Non sapevo se lui fosse dotato o meno, non avevo mai visto altri uomini nudi in vita mia, sapevo solo che avevo provato un dolore tale da piangere a tratti, che lui comunque si era sempre fermato, nonostante sentissi che aveva una voglia matta di andare avanti, e mi aveva rassicurato con le sue coccole fin quando non gli avevo chiesto di ricominciare, di riprovarci un’altra volta.
E’ una prerogativa delle bambine, di solito, immaginare e pianificare la loro prima volta, ma era capitato anche a me di pensare alla mia prima esperienza in ambito sessuale e niente, niente, si avvicinava a quello che avevo provato.
Geràrd poteva anche essere scarso nel sesso per quello che ne sapevo, ma ero sicuro che dal punto di vista emotivo era un campione su tutti i fronti, dato che nessuno era mai riuscito a farmi scoppiare il cuore con l’ausilio di una sola carezza. E volevo non smettesse mai di farlo, ormai non volevo essere toccato da nessun altro. Qualsiasi altro sarebbe stato deleterio per la mia anima spezzettata a cui avevano tarpato le ali.
Cercai di riemergere dal mondo dei ricordi e lentamente rotolai nei letto per abbracciare il mio ragazzo. Quando trovai il suo corpo accanto al mio, mi infilai tra le sue braccia e mi accoccolai al suo petto. Lo vidi sorridere in un riflesso quando portai il nasino a strusciare sul suo e lentamente si sporse come a farmi uno scherzo, agguantandomi e facendomi finire per metà sotto di lui.
Quelle due splendide gemme vennero lasciate libere dalle sue palpebre e annegai nel verde delle sue iridi, sorridendo sornione dentro quell’abbraccio ingombrante ma estremamente affettuoso.
Non avevamo bisogno di parole e questo lo confermò il silenzioso ‘buongiorno’ che mi diede con un leggerissimo bacio sulle labbra, al sapore di ali di farfalla. Quando mi sentì sorridere ancora di più, il suo corpo venne scosso da una leggerissima risatina roca per via del sonno appena interrotto che seguii anche io come un esempio.
-Ciao, Geezie – sussurrai con dolcezza mentre mi sistemavo sotto di lui, il dolore che pareva esser scomparso perché non ci pensavo più oramai. –Come ti senti?
Lui arrossì completamente e fece spallucce accoccolandosi a me lentamente e poggiò la guancia al mio petto lasciando che gli carezzassi lentamente i capelli scuri e liscissimi. –Sono con te e penso sempre a quello che è successo stanotte e… non potrei stare meglio Frankie.
-Anche io penso sempre a quello che è successo stanotte. Ho sempre pensato che fosse la parte brutta dei film o dei libri, il fatto che ti lascino con il sogno di… avere questa esperienza nel modo perfetto, ma adesso mi rendo conto che alla fine è quello che è successo a me. Si dice sempre che dopo le due di notte non succede mai niente di buono ma a me sembra sia successo tutto il contrario – mormorai tutto d’un fiato sorridendo apertamente e presi lunghi respiri per non avvampare nuovamente, per via comunque dell’imbarazzo che provavo nel parlarne. –Sono felice che sia stato con te.
Lui alzò appena gli occhi su di me non guardandomi realmente, le piccole rughe che si creavano sulla sua fronte nivea. Avvertii che sorrideva solo per la contrazione della sua pelle sulla mia e sospirai appena quando prese a coccolarmi il fianco con le dita, lentamente.
-Ti ha fatto tanto tanto male? –domandò con voce bassissima, come se avesse paura di una mia risposta affermativa. -Perché magari… magari potrei, non so, fare qualcosa per alleviare il dolore, magari un antidolorifico o qualcosa del genere.
-Non mi serve niente del genere, mi sento bene Geezie – affermai convinto, nonostante fino a due minuti prima avessi sentito una dolore quasi insostenibile.
-Ma hai sanguinato – ribatté con tono di rimprovero, quasi negando il mio rifiuto di aiuto. –Io… devo fare qualcosa, è colpa mia tutto questo e…
-Abbiamo fatto l’amore Geràrd, e come tutte le persone di questo mondo ho provato dolore la prima volta, ma ho provato tantissimo piacere e ho sentito tutto il tuo amore, quindi non vedo dove sia il problema – lo interruppi con voce severa, comunque divertito dal suo comportamento così dolce nei miei confronti. Sentii i suoi muscoli rilassarsi pianissimo e le sue braccia che tornavano a cingermi il bacino lentamente. –Smettila di farti tutti questi problemi e vivi.
-Cos’è? – domandò ridendo pianissimo mentre poggiava lentamente le labbra sul mio petto magro. –Ora mi rubi gli insegnamenti? Sai che non è bene?
-Non fare il saputello, sappiamo entrambi che sei talmente tanto pieno di te che non vedevi l’ora lo facessi! – risi fortissimo quando lo fece anche lui e ne approfittai per portare due dita sotto il suo mento e far alzare il suo viso verso il mio. Con tenerezza, feci incontrare le nostre labbra morbide e lo bacia con estrema delicatezza, facendo appena sfiorare la nostra pelle.
-Ti amo – sussurrò con voce bassa, come se fosse solo un nostro segreto, come se nel caso qualcun altro l’avesse sentito, sarebbe svanita tutta la magia. –E ti ringrazio per esserti affidato a me qualche ora fa, significa davvero tantissimo. Forse  non ti rendi conto di quanta dedizione mi hai dimostrato, Frank, ma io… io voglio trattare il tuo corpo come fosse il tempio più prezioso, l’opera più antica, il quadro più dettagliato e…
-Ssssh – lo zittii arrossendo pianissimo sulle gote. –Vuoi farmi sciogliere per caso? Parli così tanto! Zitto e baciami, scemo.


xCyanide's Corner
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto come l'altro che ha riscontrato particolare successo (come immaginavo). Non ho molto da dire su questo sinceramente, se non che non me la sono sentita di rovinare la dolcezza della storia in se con una scena di sesso esplicito e quindi ho lasciato che Frank si abbandonasse ai ricordi per un pochino.
Per il resto, continuate a recensire che sono felice che vi piaccia!
Alla prossima,
xCyanide

P.s. sono tentata di dirvi che, se non avete ancora visto Dallas Buyers Club, è meglio che voi non lo facciate perché è un film davvero... doloroso e triste. Ma dall'altra parte (tipo il 99,9% del mio corpo) mi rendo che si, dovete vederlo, perché è uno di quei film che fa pensare e fa capire in quale merda di sistema viviamo. E' finito direttamente nella top 10 dei miei film preferiti con Donnie Darko, Requiem For A Dream, Thor e Brokeback Mountain. Io l'ho visto in inglese e ve lo consiglio perchè è moooooolto meglio sinceramente.

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Capitolo 14
*** Di vani tentativi e mancato rispetto. ***


Capitolo 14 - Di vani tentativi e mancato rispetto.

Quando a metà mattina rientrai in casa silenziosamente, con le gambe ancora intorpidite e i pensieri devoti a tutta la felicità che avevo provato, fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso.
La prima cosa che vidi fu lo sguardo greve di mio padre che percorreva tutti i passi lenti che facevo verso le scale, nel vano tentativo di fargli credere che non l’avevo proprio visto. Purtroppo, comunque, non fu così.
-Franklin, dove credi di andare? – mi domandò severo, incrociando le braccia al petto. La sua voce era ciò di più acido che avessi mai sentito e mi fece completamente rabbrividire. Piantai i piedi davanti alle scale e presi un respiro profondo prima di voltare gli occhi verso di lui.
-Sto andando in camera, io… sono stanco, Bri non mi ha fatto dormire per niente. Mi ha raccontato un sacco di cose e non chiudeva un attimo la bocca – sussurrai cercando inevitabilmente una scusa alle mie occhiaie o al mio sguardo stralunato.
-Tu non penserai davvero che io ti creda? Ho chiamato a casa di Brian ieri sera e lui era fuori con degli amici. E indovina? – chiese sarcasticamente, le vene del collo gonfie per la rabbia che stava probabilmente provando in quel momento. –Non eri con lui. Frank, se non vuoi che ti metta le mani addosso e ti faccia male come farei a una femminuccia, devi dirmi quello che hai fatto stanotte. 
-Niente, non ho fatto niente… sono stato da altri amici ma avevo paura decideste di non farmi rimanere con loro dato che non li conoscete. Volevo solo… divertirmi un pochino dato che in questi giorni sono molto nervoso – mi giustificai quasi sussurrando, con il tono di voce che tremava completamente.
-Vieni a sederti qui mentre, di grazia, mi dici chi sono questi nuovi amici – mi indicò la poltrona di fronte al divano dove era seduto e sospirò quasi completamente deluso dal mio comportamento.
La voglia di vomitare tornò subito a farmi visita, puntuale, come se pensasse che vivere tanto tempo senza sentirsi sbagliati fosse troppo anche per me.
Mi sistemai sulla sedia rivestita morbidamente e mi rannicchiai lentamente come a proteggermi, nascondendo il viso dietro le ginocchia ossute. I suoi occhi mi puntarono accusatori e scosse la testa quasi rinnegandomi.
-Non riesci nemmeno ad affrontare tuo padre come farebbe un figlio degno di tale nome – affermò cattivo, quasi sputandomi addosso le parole e il veleno.
-Dov’è la mamma? – chiesi guardandomi intorno solo per non incontrare i suoi occhi, dato che già sentivo i miei completamente lucidi e prossimi al pianto. Mi passai lentamente la manica della felpa sotto il naso grattandolo appena, così da non far colare nulla e sospirai appena. –Con lei magari riuscirei a ragionare.
-La mamma non è qui e sicuramente darebbe retta a me, frocetto – le sue parole mi arrivarono dritte al petto e mi fecero scappare una lunga lacrima fino alla mascella, che divise completamente a metà la mia guancia liscia. Subito la portai via con il tessuto dei vestiti e socchiusi gli occhi abbassando lo sguardo. Odiavo il mio essere così debole. –E ora spiegami cosa hai fatto stanotte, magari dicendomi anche se sei stato in compagnia.
-Mi hai preso per una puttana? – chiesi ferito, il tono di voce debole e il mio corpo che lentamente si sentiva sempre più sporco sotto il suo sguardo disgustato. Cosa voleva ancora da me? Mi stava consumando e nemmeno se ne accorgeva.
-Sto solo cercando di abituarmi all’idea che se un giorno arrivassi e mi dicessi che sei malato di AIDS non mi dovrei stupire più di tanto – disse serio. Era davvero convinto di quello che diceva? Davvero gli andava di scherzare su ‘ste cose?
-Rimpiango di averti detto quello che provo, ma mi hai portato allo stremo. Davvero, perché accanirti così tanto contro di me? Sono il figlioletto frocio che non ti darà mai dei nipotini vero? – domandai, quasi più in un’affermazione, con le lacrime che ormai scendevano gratuitamente lungo la mia pelle pallida. –Cosa racconterai al club della pesca quando tutti ti diranno che la loro prole gioca a baseball o sta diventando avvocato? Avrai il coraggio di dire loro che hai un figlio frocio che però ami con tutto il cuore?
-Io non ti amo Frank, o almeno non più – disse come se fosse la cosa più naturale del mondo ma sentii il vuoto nel petto che diventava sempre più profondo, come se prima o poi risucchiasse tutto il mio organismo facendomi scomparire. Ecco, forse sparire sarebbe stata una buona soluzione. –Ho smesso di amarti quando hai detto quella blasfemia, l’altra sera, quando hai sostenuto di amare un ragazzo. Questo non sei tu, o forse sto solo cercando di pensarla così per non ammettere che ho cresciuto un fallimento. Perché questo sei, Franklin.
Avvertii un singhiozzo farsi spazio nella mia gola per esplodere completamente quando sentii chiare e tonde le sue parole. Probabilmente già lo sapevo ma… era stato come vedere tutti i miei più grandi incubi diventare realtà davanti ai miei occhi, lasciandomi inerme a guardarli crescere tranquilli, ed estirparmi il cuore senza nemmeno un po’ di riguardo nei miei confronti.
Non volevo essere un fallimento.
Non dovevo esserlo.
-Ci sono… ci sono persone che non la pensano così – sussurrai tra le lacrime cercando in qualche modo di riscattarmi davanti a lui, per tenermi tutto il dolore in un momento in cui sarei stato libero di auto collassare su me stesso senza che nessuno potesse guardare. –Non lo sono, papà…
Sentii la sua voce scoppiare in una fragorosa risata quando si rese conto delle mie parole e scosse il viso perentorio cercando quasi di sminuirmi ancora di più con i soli gesti. –E chi sarebbero queste persone? Quel frocio del tuo migliore amico? Il ragazzo che ami? –accentuò le ultime due parole facendomele pesare addosso.
Ma mi ritrovai ad annuire con forza e quasi coraggio davanti all’uomo che mi stava uccidendo. Se non volevo sottrarmi alla morte, per lo meno avrei fatto in modo di morire dignitosamente.
-Si, cazzo! – esclamai alzandomi in piedi e sporgendomi in avanti cercando di sovrastarlo almeno con il fisico in quanto era seduto sul divano. –Il ragazzo che amo, come dici tu, ha stima di me, okay? Mi ama anche lui, sono ricambiato, e se proprio vuoi saperlo è la cosa migliore che potesse capitarmi in questo periodo. Mi sorride e mi incoraggia, al contrario di quello che fa chiunque dentro questa casa di merda, e crede in me e nelle mie capacità. Mi fa sorridere… e, spero ti interessi, si chiama Geràrd.
In un attimo sentii due mani che semplicemente mi stringevano il colletto della felpa con forza e mi tiravano su senza alcuno sforzo dato il mio peso piuma. Mio padre mi scosse con forza urlando di rabbia e con gli occhi completamente iniettati di sangue, si sporse per potermi sbattere al muro.
-Non mi interessa un cazzo di come si chiama o di quello che fa, femminuccia, ti spacco questo brutto muso se provi a dire un’altra cosa del genere davanti a me, hai capito? – mi strattonò di nuovo ma tra le lacrime sentii un piccolo sorriso soddisfatto lacerarmi le labbra.
Se reagiva così voleva dire che gli interessava ancora di me, altrimenti sarebbe stato completamente apatico nei miei confronti.
-Mi ha baciato – sussurrai con la poca voce che mi rimaneva nella gola dato che la stava stringendo. –Mi ha baciato e mi è piaciuto tanto. E’ così bello, papà…
Un ginocchio mi arrivò dritto in pancia e mi fece boccheggiare completamente, l’aria che man mano mancava sempre di più nei miei polmoni sfruttati. Nel giro di poche ore stavo sperimentando l’apice della felicità e quello del dolore.
E’ sempre così la vita, se fai qualcosa di bello, vieni punito sette volte tanto.
-Te la faccio passare a suon di calci questa cosa – disse incattivito, nemmeno lo riconoscevo più ma mi ritrovai a ridere di cuore per il nervosismo, il dolore che aveva invaso completamente il mio corpo.
-Abbiamo fatto l’amore… tanto tempo – mormorai con le poche forze che mi rimanevano. –E mi ha detto che mi ama tanto… vorrei lo conoscessi.
Un urlo di bestia e poi, ancora una volta, persi i sensi.



xCyanide's Corner
So che mi odiate sia per il capitolo che per il mio schifoso ritardo a postare ma state tranquille! Se prometto d finire una cosa, la finisco, a costo di saltare tutti gli ostacoli in un pomeriggio d'agosto senza una bottiglietta d'acqua in mano(?) Sono stata davvero incasinata (sia moralmente che proprio dal punto di vista fisico) e quindi non ho avuto un attimo per mettere mano seriamente al pc e scrivere come si deve. Era dal ventisette gennaio che non aprivo il file di questa storia. Comunque, solo per informarmi, mancano all'incirca sei capitoli prima che finisca, e spero rimaniate così tanti fino alla fine, siete la bellezza!
Come sempre, fatemi sapere se questo capitolo è stato di vostro gradimento! Mi fa davvero felice.
Ora scappo, biscottini.
Alla prossima,
xCyanide

 

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Capitolo 15
*** Di risvegli e autodistruzione. ***


Capitolo 15 - Di risvegli e autodistruzione.

-Pensi sia sveglio adesso? – domandò una voce che conoscevo bene, molto preoccupata e molto vicina al mio viso. Sentivo, ma non riuscivo ancora a rispondere.
-Non… non lo so – sussurrò in risposta una voce tremante e debole, dall’accento francese. –Il dottore ha detto… ha d-detto che gli hanno degli antidolorifici e che dormirà per un po’ ma…
-Devi stare calmo perché quando si sveglierà cercherà te e non puoi permetterti di farti vedere conciato in questo modo – tipico di Brian, che si divertiva spesso a ricordare che gli altri erano troppo empatici verso qualsiasi cosa o persona. –Credo che già moralmente sarà distrutto.
-Dove sono i suoi genitori? – dopo essersi schiarito la voce, Geràrd aveva porto questa domanda con delicatezza, come se avesse paura. –Fortunatamente non ci siamo incontrati, non vorrei creare più problemi di quelli che già ci sono.
-So che hanno detto ai dottori che sono stati i soliti bulletti della scuola. Sono andati via appena Linda ha avuto la certezza che fosse in buone mani. Credo comunque che il padre non tornerà volentieri, quella povera donna ha trovato il figlio in un lago di sangue quando è tornata a casa. Avranno altre cose di cui discutere probabilmente – avvertii le dita calde di Bri tra i capelli che lentamente me li scostavano probabilmente per farmi prendere fresco e subito il peso di qualcuno, probabilmente Geràrd, che affondava completamente il materasso ai lati dei miei piedi.
 -Mi chiedo come si faccia a fare male ad una persona del genere – mormorò Geezie, sospirando appena. –E’ così… così debole e dolce, chissà cosa è successo.
-Lo ami davvero tanto eh? – sentivo la voce di Brian che sorrideva. Sorrideva nel dirlo, nel chiedere quella cosa a Geràrd che probabilmente era arrossito fino al midollo.
-Lo amo davvero tanto, si. E mi dispiace… mi sento colpevole, perché tutto questo è colpa mia. Se solo non mi avesse conosciuto, se solo avessi continuato a guardarlo da lontano come avevo sempre fatto… avrei solo evitato tutto questo dolore, capisci? - mi prese dolcemente la mano e con estrema attenzione intrecciò le dita con le mie inermi. Probabilmente ancora avevo tutta quella schifezza chimica in corpo.
-Non si può tornare indietro e non devi assolutamente azzardarti a sparire solo alla vista di queste difficoltà. Se tu andassi via, lui morirebbe. Non l’ho mai visto così felice, Geràrd, e comunque se ti venisse anche solo in mente di ferirlo ti spaccherei questo faccino androgino con due minuti – lo disse ridendo ma sapevo che, se mosso da rabbia cieca, il mio migliore amico lo avrebbe fatto davvero. Avvertii anche la risatina dolce del mio ragazzo che continuava lentamente a carezzarmi il dorso della mano.
Poi, in crescendo, un dolore lancinante prese possesso del mio petto facendomi vedere le stelle, e mi fece lamentare pianissimo con la voce completamente consumata.
Il silenzio calò nella stanza, ma sentii subito dopo i passi pesanti di Brian che si dirigevano fuori per chiamare una dottoressa, probabilmente.
 
Due ore dopo riuscii finalmente ad aprire gli occhi e venni subito a sapere che no, non avevo niente di rotto, e si, avrei dovuto passare una serata all’ospedale per tornare a casa il giorno dopo.
L’unico problema? Non volevo tornare a casa per prendere di nuovo calci e pugni e non volevo vedere il viso di merda di mio padre, che sicuramente avrebbe continuato ad insultare gratuitamente.
Tuttavia non volevo assolutamente dire ai medici come realmente era andata dato che non volevo che la mia famiglia finisse in una situazione spiacevole. Preferivo tenermi tutto dentro e non dirlo a nessuno che non lo sapesse già. In fondo, le risse nelle scuole non erano niente di nuovo per i dottori e i loro aiutanti e nessuno si sarebbe traumatizzato.
Geràrd era accanto a me e stava togliendo con attenzione i capelli dalla fronte livida come il resto del mio corpo. Ero svenuto presto per il dolore ma Brian mi aveva spiegato che, a quanto dicevano i segni sul mio corpo, ero stato picchiato anche dopo aver perso i sensi.
Si era divertito, probabilmente.
Quando voltai lo sguardo verso il mio ragazzo, tentando invano di non lasciar trasparire il dolore che provavo, lui mi sorrise teneramente e con moltissima apprensione, come a dirmi che andava tutto benissimo in quel momento, che ero al sicuro con lui finalmente.
-Mi spieghi cosa è successo? – domandò con il tono di voce attento, come se avesse paura di quello che stavo per dirgli. Solo in quel momento mi resi conto che l’aggettivo che Brian aveva affibbiato a Geràrd, androgino, era fottutamente giusto. A tratti, sembrava una donna delicata nel viso e snella nel corpo. Non era mai stato tanto mascolino ma non mi ero mai soffermato tanto a pensarlo. Semplicemente non mi importava, lo amavo per quello che rappresentava per me, non per quello che era fisicamente.
-Quando sono rientrato a casa mi ha chiesto dove fossi stato dato che la copertura con Bri era saltata – sussurrai indicando il mio migliore amico che si era appoggiato al muro e stava ascoltando attentamente quello che stavo dicendo. –Io non so mentire quindi dopo un po’ di pressione gli ho detto dove veramente ero stato e… lui ha cominciato a insultarmi e mi ha preso per il collo. Io non volevo perdere… - lo guardai serio, con gli occhi appena lucidi e il lati che lentamente pizzicavano per le lacrime che stavano per scendere lungo le mie guance, di nuovo. –Gli ho detto che abbiamo fatto l’amore, prima che mi mettesse le mani addosso. Volevo che, se mi avesse fatto male, perlomeno l’avrebbe fatto con un motivo concreto in mente. Non solo perché sono frocio.
Geràrd scosse lentamente il viso e notai che le sue guance erano completamente bagnate per via delle lacrime che stava lasciando cadere così mi si strinse il cuore lentamente a quella vista. Il mio ragazzo era sempre solare ma in quel preciso momento sembrava anche troppo addolorato per essere realmente lì.
Tutta la vita stava scivolando lentamente via dalle nostre mani.
-Chiamo mia madre… non voglio che ti trattino di nuovo così, amore.
 
Quando mi ritrovai nella stanza da solo finalmente mi lasciai andare al pianto. Mi sentivo svuotato e completamente sbagliato.
Solo perché ero me stesso, solo perché amavo.
Sentii i polsi che mi prudevano come se bruciassero e con forza strattonai la manica del pigiama d’ospedale che mi avevano dato. I segni lunghi e profondi erano quasi completamente scomparsi ma in un attimo avvertii la lacerante voglia di rifarlo.
Mi guardai intorno: niente che potesse aiutarmi.
Lentamente passai le dita sulle cicatrici e quando ne trovai una che ancora stava guarendo ci piantai le unghie con forza sentendomi di nuovo sanguinare. Mi piaceva maledettamente quella sensazione, come se stessi purificando il mio sangue e la mia anima da tutto lo schifo che mi entrava dentro.
Quella situazione mi consumava.
Ma risi comunque, sadicamente, perché non c’era niente di meglio in quel momento che autodistruggermi.



xCyanide's Corner
Okay okay okay ora entriamo nella parte "tragica" della storia ma state tranquilli che finirà comunque bene per via di alcuni aiutanti speciali. Saranno alcuni capitoli tristi purtroppo, ma comunque ci avviamo verso la fine.
Sono felice di tutte queste recensioni positive, siete la mia gioia e continuate a farmi sapere! 
Vi voglio bene,
alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 16
*** Di interiora a pezzi e tristi rivelazioni. ***


Capitolo 16 - Di interiora a pezzi e tristi rivelazioni.
 

Due giorni dopo mi avevano fatto uscire d’ospedale e avevano deciso che avrei dovuto continuare a stare con i miei genitori. La maggior parte del tempo l’avevo comunque passata con Geràrd che non faceva altro che coccolarmi e dirmi cose dolci all’orecchio. Mi ero divertito con lui e mi ero sentito amato, in mezzo a tutta quella merda in cui stavo vivendo.
Avevo coperto i segni sui polsi con delle fasce, gli avevo detto che era per coprire le vecchie cicatrici e lui non sospettava niente. O almeno speravo, dato che sembrava averci creduto.
Mi sarei strappato via tutta la pelle, avrei fatto a pezzi le mie interiora, se avessi sentito che in qualche modo avrebbe potuto aiutarmi.
Sorridevo a tutti, non volevo sapessero come realmente mi sentivo dentro. Stavo morendo e se il mio ragazzo si fosse accorto di qualcosa mi sarebbe stato addosso. Mi avrebbe fatto piacere, si, ma in quel frangente della mia vita avevo bisogno di essere lasciato in pace, completamente da solo.
Una settimana dopo, comunque, guariti tutti i segni che avevo in viso e tolte tutte le bende e medicazioni, sotto l’obbligo di mio padre tornai a scuola. I miei compagni come sempre non chiesero niente ma in qualche modo mi osservarono con occhi inteneriti, come se fossero in pena per me. Pezzenti.
Sembrava quasi lo sguardo che mi lanciava ogni qualvolta mia madre mi vedeva in casa. Non capivo perché sentissero il bisogno di farmi sentire menomato quando invece stavo riuscendo ad affrontare tutto nel migliore dei modi. O quasi. Comunque, mio padre non mi aveva più degnato di una sguardo e da un lato era davvero meglio così.
Ero in cortile con Brian, lontano da dove si trovavano le quinte classi dato che sapevo che Geezie non voleva assolutamente vedermi a scuola e mi stavo facendo coccolare un pochino dal mio migliore amico. Mi stava raccontando di Justin, che in quel periodo era particolarmente dolce con lui e lo stava riempiendo di regali. A lui piaceva essere trattato così.
Ancora non riesco a capire come faccia la gente a dare più peso ai regali materiali che non a quelli che si fanno con l’anima, donando una parte di se.
Feci spallucce e continuai ad ascoltarlo con occhi teneri, perché lo vedevo comunque felice.
-E quindi lui ha tirato fuori questa specie di rosa blu, o un colore simile, e mi ha sorriso e mi ha detto che… - si interruppe un attimo sentendo dei passi accanto a noi. Nessuno si avvicinava mai agli sfigati, cosa stava succedendo?
-Sei Frank? – un ragazzo si stava avvicinando a noi lentamente, come impaurito, ma il suo sguardo era davvero pieno di panico. Tremava appena e in un lampo mi sembrò di vedere in lui qualche somiglianza con Geràrd, anche se era appena più bassino e molto meno femminile di lui. Appariva come una specie di topolino spaurito e credevo avesse pressappoco la mia età.
-Yup, sono Frank… cosa succede? – domandai curioso e anche abbastanza preoccupato. Perché aveva quello sguardo?
-Sono Mikey – cominciò, cercando di calmare il respiro. –Geràrd… lo stanno picchiando e io non so cosa fare. – sussurrò soltanto con gli occhi che lentamente si lucidavano per via della paura che prendeva possesso di lui.
Sentii in un attimo tutti i miei muscoli che si irrigidivano a quelle parole. Stavano toccando l’unica persona preziosa della mia inutile vita.
Brian scattò prima di me, realizzò prima di me, cominciando subito a correre verso l’ala della scuola dove risiedevano le classi quinte e io, senza nemmeno dire una parola, lo seguii in un attimo. Non riuscii comunque a mantenere il suo passo, non ne avevo la forza. A quelle parole il mio corpo si era appesantito completamente, come se sentissi tutta la pressione della situazione addosso e subito avevo cominciato a singhiozzare.
Le gambe mi tremavano e non sapevo cosa fare. Tutti i miei movimenti erano automatici e pesanti, come se davvero pesassi duecento chili di più.
 
Quando arrivai, la situazione era meno critica di quello che avevo immaginato. Corsi subito dal mio ragazzo che era appoggiato al muro e stava riprendendo fiato. Gli colava il sangue dal naso e aveva una mano poggiata sulla pancia. Sicuramente gli avevano fatto molto male, lo vedevo da come si guardava intorno davvero spaesato ma quando mi vide, sembrò aver trovato di nuovo la luce. Si riaccese.
Appena riuscii a stringerlo, senza nemmeno curarmi di sapere come Brian fosse riuscito a mandare via tutti, mi lasciai andare a un pianto liberatorio per via di tutte le brutte situazioni che stavo affrontando in quei giorni schifosi. Ma il fatto che avessero toccato Geràrd, tra tutte, era la peggiore.
Nascosi il viso nell’incavo del suo collo e lentamente lo sentii ricambiare la leggera stretta un pochino titubante, il suo respiro ancora irregolare.
-A-amore… - mormorai pianissimo sulla sua pelle candida e gliela baciai timidamente, con attenzione per non fargli male, e lui mi scostò delicatamente.
-Non dovresti essere qui – disse soltanto con gli occhi colpevoli. Qualcosa non quadrava in tutta quella situazione, non ci stavo capendo un cazzo. Non mi stringeva come avrebbe fatto di solito, non stava sorridendo nel vedermi. Era davvero così imbarazzato da noi? –Non avresti dovuto vedere tutto questo.
-Avrei dovuto… avrei dovuto lasciarti qui a farti picchiare?! – chiesi allarmato, inarcando entrambe le sopracciglia mentre mi staccavo appena da lui, il respiro ansante. –Che diamine stai dicendo? Ti vergogni?
-No! Assolutamente no! – mi fermò prima che potessi farmi idee sbagliate e in un attimo mi sentii meno pesante, nonostante la brutta sensazione non mi abbandonasse per un attimo. -Ho passato due fottutissimi mesi a tenerti lontano da qui per proteggerti. Non volevo mi vedessi così debole, non volevo mi aiutassi perché mi avresti visto indifeso. Non dovevi vedermi! – esclamò, le lacrime che scendevano lungo le sue guance di porcellana. Mi si strinse lo stomaco mentre immagazzinavo quell’informazione dolorosa e lo fissai negli occhi, una domanda sulla punta della lingua.
-Da quanto va avanti tutto questo? – domandai incattivito mentre mi asciugavo con forza la pelle bagnata e scuotevo appena il viso. Era incredibile tutta quella situazione. Non mi aveva fatto fare niente per alleviargli il dolore. Si era annullato per un cazzone come me. –Per quanto tempo me lo avresti ancora tenuto nascosto? Eh, Geezie? Volevi passare tutta la vita a farti picchiare solo per un capriccio? Non volevi farti vedere debole! Ti avrei dato una mano.
-Avresti perso la fiducia in me! – esclamò sfinito, portandosi le mani tra i capelli lunghi. Sentivo lo sguardo di Brian e  quello di Mikey addosso a noi ma in quel momento era l’ultima cosa al mondo a preoccuparmi.
Il mio ragazzo si faceva picchiare tranquillamente, senza dire niente per non risultare debole, e nel frattempo pretendeva di fare la predica a me per come vivevo la mia vita. Non aveva senso.
-Io l’ho già persa la fiducia in te, Geràrd! – gli urlai contro, il viso rosso di rabbia e consapevolezza. –Sei solo un ipocrita che è apparso una sera nella mia schifosa camera e ha deciso di salvarmi senza che nessuno gliel’avesse chiesto. Mi odiano tutti in casa per colpa tua e tu nemmeno riesci ad avere il fottuto coraggio di chiedermi aiuto. Che razza di relazione è la nostra?
-Frankie, ti prego…
-Frank un cazzo! – guardai per un attimo il soffitto, cercando di calmarmi completamente perché stavo dicendo un sacco di cattiverie e sapevo che entro qualche ora me ne sarei pentito. Ma ero così accecato dalla rabbia e dal dolore che volevo spronarlo a rendersi conto di quello che aveva fatto.
Aveva eclissato la sua vita per aiutarmi a vivere.
Non andava bene.
-Non… non cercarmi più. Non voglio più vederti – sussurrai, con il cuore stretto in una trappola per orsi, sanguinante, quasi dissanguato, prima di voltarmi per correre via sotto gli sguardi sbigottiti di tutti.
Non mi voltai, o l’avrei visto accasciarsi e piangere.
Non mi voltai, perché sarei tornato indietro.
Perché sarei tornato da lui.

xCyanide's Corner
So che mi odiate ma se recensite regalo un biscottino ad ognuno di voi *sorriso innocente* 
Comunque, in questo capitolo scopriamo qualcosa di assurdo, soprattutto per Frank, dato che il suo caro ragazzo ha passato settimane a dirgli di farsi rispettare ma è il primo che non sa nemmeno che significa essere rispettati. E' alquanto ipocrita, credo. O perlomeno, anche io avrei avuto la stessa reazione di Frank.
Spero comunque che vi sia piaciuto e spero vogliate farmi sapere quello che pensate di questo capitolo. 
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 17
*** Di tremori, genitori iracondi e sorprese. ***


CAPITOLO 17 - Di tremori, genitori iracondi e sorprese.


3 mesi dopo

Da quando avevo lasciato Geràrd, avevo accuratamente evitato tutte le sue chiamate sul cellulare – aveva addirittura rubato quello del fratello, non avendone uno proprio – e Bri mi aveva aiutato a non incontrarlo nel corridoio.
Sapevo di essere cattivo, ma era l’unico modo per me di dimenticarlo. Lo amavo da impazzire e il cuore mi faceva male ogni volta che pensavo a lui però, quando mi capitava di riflettere sulle sue azioni e sulla sua ipocrisia, una rabbia mi saliva dallo stomaco e mi infuocava il cervello.
Sarei stato capace di spaccare due tavole di legno accostate col solo ausilio della mano, proprio come un ninja.
Comunque, mi ero limitato a cercare di sopravvivere e a sorridere così da non farmi riempire di domande da mamma e di insulti da papà. Il loro figlioletto prendi-in-culo stava subendo la prima grande delusione d’amore e loro facevano finta di niente proprio per non dover affrontare il fatto che si, avevo lasciato un ragazzo.
Mi affacciai alla finestra sbuffando pianissimo e alzai il viso verso il cielo scuro e puntellato di piccole stelle luminose. Quando la mia mente toccò il ricordo di lui che saliva la scala ogni sera per stare con me, dovetti impormi categoricamente di non pensarci assolutamente.
Mi comportavo come se tutta quella merda nemmeno mi scalfisse, quando invece sentivo tutto il mondo pesarmi sulle spalle come una roccia. I miei polsi fasciati, i miei occhi incavati, le grandi occhiaie e le mie ossa che giorno dopo giorno non facevano altro che mostrarsi sempre di più facevano solo capire che le mie insicurezze prima o poi mi avrebbero mangiato vivo.
Rettifico: mi stavano mangiando vivo.
Perché la vita non può essere più semplice? Perché le persone non sono sincere e aperte e non ti chiedono aiuto quando devono? Perché non si possono salvare tutti?
Sapevo che Geezie non se la stava passando meglio di me perché Bri spesso l’aveva incontrato nel corridoio. Diceva che barcollava, che il suo fisico era sempre più snello e i suoi occhi sempre più chiari. Sembrava uno zombie con la faccia livida per colpa di tutte le botte che stava prendendo in quei giorni, lividi che nemmeno si degnava di coprire perché oramai io non esistevo nella sua vita e la verità non andava nascosta più.
Il leggero venticello di marzo mi fece riscuotere dai miei pensieri e mi fece rendere conto che nonostante i buoni propositi stavo piangendo. In silenzio, da solo con le mie amate stelle.
Forse era tutto uno sbaglio quello, forse ero io quello esagerato o forse, più semplicemente, la nostra storia non era nata per durare.
Ma il mio cuore non riusciva ad arrendersi a questa idea malsana che lui non fosse la mia anima gemella.
Mi mancava il sapore delle sue labbra, il tocco delle sue mani sui miei fianchi, il suo visino androgino e le parole dolci che mi dedicava quando ci univamo. Mi mancava maledettamente fare l’amore con lui, al caldo tra le lenzuola, il sudore delle nostre pelli e i sorrisini imbarazzati.
Ne avevo goduto solo una volta e ne sentivo così tanto bisogno.
Era sicuramente qualcosa destinato a durare, altrimenti non avrei sofferto così a lungo. Dovevo solo trovare il modo di far funzionare quella strana macchina ammaccata nominata “rapporti umani”.
Non ero il miglior meccanico del mondo, ma qualcosa avrei fatto di buono.
 
La mattina dopo, scesi a fare colazione con gli occhi rossi e le braccia che tremavano. Improvvisamente, riprendermi Geràrd era diventata la mia priorità, ma occuparmene con quella fragilità che avevo addosso sembrava impossibile. Mi serviva del cibo.
In casa mia vigeva il silenzio tra me e i miei genitori quindi quando mi sedetti a tavola mio padre non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Non aveva avuto altri attacchi violenti come quello dell’ultima volta ma nemmeno si azzardava ad aprire il discorso. O almeno, fino a quel momento non ci aveva ancora provato.
Mia madre, invece, stupita del mio comportamento, cercò di essere il più gentile possibile e andare oltre le frasi di cortesia.
-Franklyn, vorresti qualcosa in particolare per colazione? E’ tanto che non ti siedi a tavola con noi, puoi chiedere quello che vuoi.
Sorpreso dal suo cambiamento repentino di emozioni nei miei confronti, decisi di approfittare della situazione per far rendere loro conto di come stavo in quel periodo.
-Oh, finalmente ci ha degnato di presenza, il nostro caro Frankie. Vedi cara, forse quella banda di femminucce non l’ha completamente traviato, forse… forse possiamo fare ancora qualcosa – ed eccolo lì, mio padre, che come sempre cercava di rovinare tutto con quelle sue battute di spirito poco rispettose.
-Io voglio solo fare colazione, poi posso anche scomparire – mormorai osservando mia mamma che come faceva solitamente, cercava di passare sopra a quello che diceva Anthony in un clamoroso esempio di lancinante omertà. –E una tazza di caffè sarebbe l’ideale.
-Cosa Frank, adesso mi eviti? Te l’ha detto il tuo ragazzo di farlo? Fino a qualche mese fa mi butti davanti il nome del tuo lui davanti, il fatto che si, te lo sei fatto mettere al culo e ti è piaciuto, e ora abbassi lo sguardo e metti la coda tra le gambe? – domandò mettendo giù la tazza di cappuccino che aveva tra le dita e puntando gli occhi addosso a me. Probabilmente era uno dei suoi momenti ‘no’ e ovviamente, io ero capitato lì in mezzo per caso.
Socchiusi gli occhi lentamente così da non scoppiare a piangere di nuovo davanti a lui e strinsi i pugni così da evitare nuovamente di rispondergli. Sapevo che in fondo, qualsiasi cosa fosse successa, ci avrei rimesso io. Ero rissoso, ma in quanto a pungi e calci ne sapevo ben poco.
Vidi mia madre aprire appena la bocca, come se volesse controbattere ma in un secondo momento la chiuse nuovamente abbassando lo sguardo così da non dover stare faccia a faccia con il mio carnefice ufficiale.
Lentamente scivolai con il corpo sulla sedia così da incassare il viso nelle spalle e rimanere in silenzio, con le calde lacrime che battevano sui miei occhi in una muta protesta. Non le avrei lasciate scendere stavolta.
Fortunatamente, in quel mutismo assordante, due forti colpi alla porta distolsero tutti dai loro stessi pensieri. Sentivo delle voci da fuori e mi metteva ansia pensare che avrebbero potuto essere gli amici di mio padre, che erano sempre pronti a cercare qualcuno di cui parlare e da prendere in giro. Ogni tanto si stufavano delle loro mediocri vite e passavano a lamentarsi di quelle degli altri.
Mi alzai velocemente come a scappare da quella situazione e passai davanti alla porta per arrivare alle scale che mi avrebbero portato nella mia zona comfort. Tremavo ancora ma forse più forte, però in uno scatto di coraggio mi diressi verso l’entrata e osservai per un attimo il legno scuro davanti a me.
Poggiai lentamente la mano sulla maniglia e la abbassai titubante e con estrema delicatezza così da non farle fare quel fastidioso rumore cigolante dovuto alla pochissima lubrificazione.
Tutto quello che mi aspettavo di vedere svanì dalla mia mente quando davanti a me trovai Mikey e Brian uno accanto all’altro, che sorridevano complici e quasi maliziosi osservandomi.
Bri mi concesse un inchino e guardando dritto verso di me sussurrò: -Scusa, amico.
Gli rivolsi uno sguardo incerto poco prima che le loro spalle si dividessero e lasciassero spazio a due occhi lividi che subito presero di nuovo in prestito il mio cuore a pezzi.
Erano morti nelle sfumature ma in un attimo sentii che sarebbe bastata un po’ di colla e tanta buona volontà per riportarli allo splendore iniziale.
Per riportarli ad essere gli occhi di cui mesi prima mi ero innamorato.


xCyanide's Corner
La settimana scorsa ho saltato perchè ho avuto un'influenza distruttiva e la connessione andava da schifo ma potete odiarmi tranquillamente *porge mazze chiodate a tutti i presenti*
Le cose cominciano a rimettersi a posto ma ho ancora qualche piccolo asso nella manica per sorprendervi! Tenetevi pronti.
Spero come sempre che vi sia piaciuto tutto questo e ringrazio le persone che stanno recensendo perchè sono la mia giuoia(?) 
Alla prossima,
xCyanide

P.S.: Se vi capita, sarebbe bello guardaste "la bottega dei suicidi" perché, nonostante il titolo, è un cartone francese all'insegna della gioia di vivere e mi è piaciuto da morire. Ve lo consiglio (:

 

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Capitolo 18
*** Di genitori supersonici, pace e piccole richieste. ***


CAPITOLO 18 - Di genitori supersonici, pace e piccole richieste. 

La prima cosa che sentii uscire dalle sue labbra fu un leggerissimo “protege moi” che mi fece cedere qualsiasi intenzione di allontanamento che fino a quel momento avevo pensato possibile.
A volte mi sentivo pazzo, completamente pazzo, ma mi bastava affondare dentro quelle iridi chiare che mi rendevo conto che tutto andava come doveva andare e come era giusto andasse.
Le persone potevano pure prendersi gioco di me, in quel momento non me ne importava. Non potevano vedere quello che stavo provando nel guardare quelle iridi che tanto mi erano mancate, straziate dalle lacrime che aveva versato e dalle botte che aveva preso.
Non avrei dovuto permettere a nessuno di fargli una cosa del genere, ma in un lampo mi accorsi che avevo fatto la maggior parte del lavoro lasciandolo. L’avevo lanciato in pasto ai leoni.
Ero un mostro. E lui avrebbe dovuto odiarmi.
Brian ancora mi sorrideva malizioso e vedevo Mikey che cercava di attirare la mai attenzione. Non mi voltai verso di lui ma in qualche modo seppe che stavo ascoltando perché si schiarì la voce.
-Io… Frank, i miei genitori sono qui perché vorrebbero parlare con i tuoi, loro… l-loro vogliono farli ragionare – mormorò imbarazzato e io annuii distrattamente come a chiudere il discorso.
Sentivo tutto ovattato intorno a me da quando avevo visto di nuovo il viso della persona che amavo, che in quel momento mi fissava senza proferire più parola, con la pelle arrossata dalla vergogna che provava per i suoi lividi. Istintivamente chiusi le mani a pugno perché volevo davvero fare male a chi aveva osato ridurlo in quel modo, in primis me stesso.
Deglutii appena sentii dei passi dietro di me e subito vidi Brian che si sporgeva oltre il mio corpicino come a farci da scudo da quella che avrebbe potuto essere la reazione violenta di mio padre.
Chiusi gli occhi lentamente come pronto a una qualche botta che però non arrivò.
-Signor Iero, siamo tutti qui perché vorremmo parlare con lei e la signora. Vorremmo farle capire che… - cominciò spedito il mio migliore amico mostrando quell’atteggiamento da uomo fatto e finito che gli aveva fatto guadagnare così tanto rispetto a scuola. Ma ovviamente venne interrotto da Anthony.
-Ragazzo, io capisco che sei afflitto dai tuoi problemi esistenziali ma ti consiglio di andare via e fartelo mettere al culo dal tuo ragazzo prima di prenderti più botte di quelle che meriteresti – disse serio mio padre fissandolo direttamente negli occhi, i suoi pieni di rabbia e risentimento nei confronti di Bri.
-Sa, vedo che ne parla molto spesso in questo periodo. Di prenderlo al culo, intendo. Perché non prova? Posso assicurarle che è molto meglio di quello che in molti dicono – gli tenne testa, con la sua solita espressione sghemba e quel sorrisino sbilenco, alzando il mento così da essere alla sua altezza, anche se comunque di qualche centimetro lo superava senza grandi sforzi.
Sganciai gli occhi da quelli di Geràrd giusto in tempo per voltarmi e vedere mio padre che tirava su un pugno serrato che probabilmente sarebbe andato direttamente sulla mascella del mio migliore amico.
Ero già pronto a vedere molto sangue per terra, infatti avevo serrato gli occhi simultaneamente, quando una voce dolce e davvero squillante fece morire sul nascere l’azione violenta del mio carnefice preferito.
-Signor Iero, con tutto il dovuto rispetto, ma lei tocca un altro ragazzo come ha fatto col caro Frank ed io e mio marito la denunciamo – disse con tutta la calma del mondo Donna Lee Way mentre con passi delicati sui suoi tacchetti entrava in casa oltrepassando il fisico cadaverico dei due figli. Direttamente dietro di lei, Donald la proteggeva con la sola presenza e la seguiva con passi silenziosi come fosse la sua ombra. Lui mi sorrise dolcemente prima di tornare a dedicare lo sguardo a mio padre.
-Ora, se vuole scortarmi verso la cucina, caro, sarò felice di fare una chiacchierata con lei e la signora – affermò risoluta porgendogli la mano che Anthony guardò. Non accennò nemmeno a stringerla ma lei parve non farci caso. –Mi chiamo Donna e sono, beh, sua suocera. Ragazzi, fatemi una cortesia e andate a giocare in cameretta okay? Qui abbiamo un bel po’ da fare.
Vidi mio padre diventare bianco, le sue labbra di quel verdognolo tipico del post-rigetto, ma nessuno seppe contraddirla. Non volò nemmeno una mosca.
Amavo quella donna.
 
Una volta entrato in camera ringraziai il cielo che Mikey e Brian fossero rimasti nel corridoio, così avrei potuto parlare tranquillamente con Geezie.
Lo vidi sedersi sul letto e accoccolarsi su se stesso, poggiando il mento sulle ginocchia ossute, e quella dolce visione mi riportò ai primi giorni in cui ci conoscevamo. La cosa mi fece sorridere appena. Avevo creato un casino e volevo assolutamente rimediare a tutto quello.
-Comincio col dire che sono un testa di cazzo – mormorai, sedendomi accanto a lui e voltandomi verso il suo viso magrissimo e incavato.
-Mi sei mancato – sussurrò portando gli occhi di nuovo fissi nei miei e avvertii una stretta al cuore quando sentii quelle parole. –Mikey e Brian sono giorni che organizzano questa improvvisata. All’inizio non volevo ma tu… t-tu non rispondevi al telefono e mi evitavi a scuola – continuò, con la voce delicata che vacillava alla fine di ogni parola, era in procinto di piangere e stava solo cercando di nasconderlo, anche se non era molo bravo a farlo. –Ho pensato che avrei giocato il tutto per tutto. Per un attimo ho anche sperato che accettassi di farmi entrare, p-perché avevo davvero il terrore che mi lasciassi lì fuori con le false speranze a farmi compagnia. Dopo tutto quello che mi hai detto, posso… p-posso affermare che, si, sei un testa di cazzo.
Annuii pianissimo non ribattendo assolutamente perché sapevo che aveva ragione. Sapevo che non stava cercando di ferirmi, stava solo provando a spiegarsi per la prima volta da quando la nostra relazione era cominciata.
-Ma, nonostante questo, ho pensato a te ogni giorno che passava, chiedendomi cosa stessi facendo o con chi fossi, sperando che tuo padre non facesse altri casini e che a scuola ti lasciassero in pace – disse lasciando finalmente scappare limpide lacrime lungo le sue guance livide e scure, le sue labbra incurvate appena verso il basso. –Non sono così forte come ho voluto far credere, Frankie, ma volevo semplicemente essere indispensabile per qualcuno per la prima volta in vita mia. E io ti amo così tanto che avrei tranquillamente fatto a meno della mia felicità pur di vederti sorridere.
Un colpo al cuore mi fermò per un attimo il respiro quando sussurrò quella frase. Allora mi amava ancora! Nonostante tutto, era una persona talmente tanto buona da amarmi. Avvertii anche i miei occhi lucidi, perché diamine, era la notizia migliore del mondo quella e le mie orecchie l’avevano bramata per così tanto tempo.
-Si ma… - cominciai cercando di placare il groppo in gola che mi faceva parlare come se stessi per svenire. –Ma una relazione non deve essere questo, Geràrd. Io voglio farti esattamente quello che tu riesci a dare a me e non di meno. Voglio essere indispensabile per te quanto tu lo sei per me – fissai le iridi nelle sue lucide e mi sforzai di sorridere debolmente come a dargli l’esempio per quella leggerissima smorfia. Sospirai appena davvero afflitto. –Io credo che… io e te siamo fatti per stare insieme. Lo dice tutto, amore! Ci ho pensato spesso da quando ho fatto quella cazzata e… il modo in cui mi tieni la mano, in cui mi stringi, le nostre espressioni quando ci guardiamo, i nostri bacini timidi, tutto… tutto mi fa capire che sarai mio per sempre. Questa non è la semplice cotta adolescenziale che sfocia in una storia triste.
Vidi i suoi occhi farsi anche più lucidi di quello che già erano e voltò appena lo sguardo come a non farsi vedere così fragile. In un moto automatico, mi sporsi verso di lui e poggiai due dita sotto il suo mento così da farmi guardare negli occhi, più deciso che mai.
-Comincia col farti vedere anche in questa condizione, Geez, sei una persona fragile e adesso che lo so voglio fare qualcosa. Lascia che questo testa di cazzo rimedi a quello che ha fatto e…
-Tu non sei un testa di cazzo – mormorò interrompendomi con voce dolce, tirando appena su col naso. –Tu… tu sei bellissimo, ecco cosa. Sei bellissimo, Frank, e non voglio perderti mai più.
La mia pelle diventò completamente rossa dopo le sue parole e pianissimo portai le mani sulle sue guance incavate per portare lentamente via le lacrime che stava versando. Spostai appena il peso del mio corpo così che gli fossi più vicino e titubante mi accoccolai a lui come avrebbe fatto un bambino in cerca di protezione.
Lui bloccò il mio movimento solo con lo sguardo che mi lanciò, e in una frazione di secondo ritrovai le sue labbra sulle mie, finalmente, dopo tanto tempo.
Mi chiesi come avevo fatto a non baciarlo per tutto quel tempo mentre scoccavo con estrema dolcezza la mia pelle sulla sua, leggermente umida. Intrecciai con tenerezza le dita della mia mano sinistra alle sue e cominciai lentamente a carezzare il dorso della sua mano così liscio e fragile.
Sentii che una piccola risata gli scappava di bocca dopo quei tre mesi infiniti e mi abbeverai della sua felicità, promettendomi che da quel giorno in poi avrei fatto di tutto per farlo ridere in quel modo dolcissimo.
 
Quella sera ci amammo come probabilmente non avevamo mai fatto, sul mio letto nella mia piccola camera, incuranti di tutto il resto del mondo.
Al piano di sotto impazzavano le urla di mio padre contro Donna e Donald ma qualcosa comunque si stava risvegliando nella sua testa bacata.
Fuori dalla mia stanza, Mikey e Brian stavano stringendo un’amicizia che sarebbe durata poi per anni, così complici e quasi fratelli.
In quel momento, però, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare erano gli occhi di Geràrd che mi stavano trasmettendo tutto quello che provava mentre con estrema delicatezza violava il mio corpo per la seconda volta nel corso della nostra piccola relazione.
Sembrava che finalmente tutto stesse andando come doveva davvero andare.


xCyanide's Corner
*porge a tutti bandierine con su scritto "GO MAMMA WAY, GO GO!"* Sono arrivai i nostri supereroi aaaaaaaaah! Che bello, non vedevo l'ora di arrivare a quesa parte della storia. Amo gli Way e amo il personaggio di Brian e dovevano essere loro a sistemare tutto, assolutamente. Spero che anche a voi sia piaciua la loro partecipazione!
Ovviamente, fatemi sapere se vi piace e se volete sapere come andrà a finire - per la mia gioia ho deciso che durerà 21 capitoli e non 20 come avevo pensato!
Alla prossima cari,
xCyanide

 

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Capitolo 19
*** Di abbracci e chiarimenti. ***


Capitolo 19 - Di abbracci e chiarimenti. 

-Ho visto cosa hai continuato a fare, Frank - il respiro di Geràrd era ancora leggermente affannato mentre mi stringeva al proprio fianco, poggiando le labbra sulla pelle della mia fronte. -Perchè ha continuato a farti del male? Avresti dovuto parlarmene, io... avrei potuto fare qualcosa. Anche come amico, e basta.
-Non avresti potuto fare niente perché il motivo ero io - mormorai abbassando le palpebre così da non lasciargli vedere i miei occhi che passavano da lucidi per la beatitudine a lucidi per la tristezza che sicuramente avremmo affrontato in quel discorso molto controverso.

Sentii lentamente le se dita magrissime che carezzavano pianissimo la mia colonna vertebrale tramite la pelle, prima di arrivare alle fossette di Venere appena sopra le mie natiche sode. Era un suo vano tentativo di calmarmi per affrontare quel discorso così delicato.
Geràrd ovviamente non voleva che mi sfregiassi in quel modo le braccia, ma io proprio non potevo farci niente. C'erano giorni in cui, semplicemente guardandomi allo specchio sentivo che niente stava andando come volevo davvero.
Ero stato una delusione per tutti: i miei genitori, che desideravano un figlio normale, Geezie, che voleva un fidanzato che lo appoggiasse, Brian, che in qualche modo avevo monopolizzato per i miei scopi.
Ero un essere infimo e subdolo, l'unica cosa che desideravo ardentemente era di morire.
Ma in quel momento, stretto tra le braccia del mio ragazzo, in qualche modo a me sconosciuto riuscii ad andare sopra a tutto questo per poter parlare e aprirmi, come ad accontentare la muta richiesta celata nello sguardo confuso di Geràrd. Le sue iridi erano chiarissime in quel momento dato che il sole entrava prepotente dalla finestra che avevo nella camera e rifletteva nei suoi occhi di smeraldo. La parte felina di lui, quella probabilmente più sicura e confidente con il proprio corpo, si mascherò dietro quel colore indefinito che stava prepotentemente mangiando la pupilla stretta. Il giallo predominò sul blu e sul verde e semplicemente capii.
Quella era casa mia. E nessuno mi avrebbe mai strappato da quello che era il bozzolo caldo che solo un suo piccolo sguardo creava attorno a me, lasciando tutti i problemi fuori. Mi sentivo maledettamente al sicuro, anche se erano occhi di predatore.
-Credo che la cosa che mi spingeva di più a farlo fosse il peso di averti mandato via malamente dalla mia vita, Geràrd - confessai in un fiato, mormorando quasi ogni parola come in una piccola preghiera di scuse davvero sentite. -E credo anche che sia più senso di colpa che altro. Ero talmente concentrato su me stesso che non mi sono reso conto che la persona a cui tengo di più al mondo aveva bisogno del mio aiuto, di me. Ti ho lasciato sgobbare per rimettere insieme i pezzi della mia inutile vita, ti ho lasciato versare lacrime amare in solitudine mentre mi leccavo le ferite in disparte. E tu non hai detto una parola per farmi rendere conto di che tipo di situazione avevo intorno - la pausa che seguì il mio discorso fu la cosa più assordante che avessi mai potuto sentire. I pensieri di Geezie erano palesi anche nell'aria, era pienamente convinto che la colpa fosse la sua e non la mia, che fosse stato lui a volere quella rottura. Quindi prima di ritrovarmi a discutere con l'uomo che mi stava facendo felice anche in quel silenzio rumoroso, presi di nuovo parola. -Mi sono tanto arrabbiato perché tu... tu non hai fatto parola di questo, hai lasciato che anche io ti mettessi i piedi in testa come fanno tutti, hai lasciato che ti schiacciassi come un moscerino e ti sei tenuto tutto dentro di nuovo. E guarda adesso come siamo ridotti. Il nostro è stato il più grande caso di egoismo e ipocrisia che io abbia mai visto, ma voglio anche dirti una cosa. Sono pronto a ricucire questa profonda ferita, sono pronto ad ascoltare qualcosa cosa la tua splendida mente voglia dirmi e sono pronto ad alzare il dito medio nei confronti di chiunque voglia farci del male - gli presi la mano con forza, intrecciando le nostre dita con tenerezza, come se combaciassero perfettamente. In realtà, a volte, avevo pensato che semplicemente fossero fatte per essere unite. -Sei con me?
Lui mi osservò con gli occhi lucidi sotto la luce splendente del sole e semplicemente si sporse per dare inizio a uno dei baci più teneri del mondo.
Si, ci stava.

Quando scendemmo al piano di sotto accompagnati da Bri e Mikey, mi resi conto di quello che stava accadendo finalmente nella mia vita. Avevo l'amore, avevo l'amicizia e, se Donna e Donald ci fossero riusciti, avrei avuto anche una famiglia che mi appoggiava in tutto.
Perché credere che fossi strano solo per la persona con cui avevo deciso di condividere la mia vita? Non era un ragionamento al quale arrivavo, al quale sinceramente non volevo nemmeno arrivare. Capirlo avrebbe significato diventare come loro, dei mostri.
E per quanto io mi sentissi già un mostro per quello che avevo fatto a Geràrd, era un altro modo di sentirsi qualcosa che non si voleva assolutamente diventare. Avrei fatto di tutto per farmi perdonare da quell'angelo, che in quel momento teneva saldamente la mia mano come a dimostrazione che si, stavamo insieme e ne eravamo fieri.
Una volta entrati in cucina la scena che mi trovai davanti era tra le più tragicomiche che avessi mai visto, dato che tutto quello in cui avevo sperato ardentemente stava proprio accadendo sotto i miei occhi sorpresi.
C'erano sedie ribaltate, come a mettere in evidenza la rabbia che provava mio padre -perchè era sicuro fosse stato lui-, una tazza rotta in terra, che invece secondo il mio immaginario era opera di mia madre, e i loro corpi sfiniti davanti al tavolo, con gli occhi pieni di lacrime in un pianto che in quel momento mi riempii di gioia.
Era strano provare felicità per il pianto di altre persone, un pianto straziante che in qualsiasi momento avrebbe fatto a pezzi il mio animo empatico, ma dopo tutti i dolori che avevo provato, le delusioni, quello che mi ero fatto per sparire dal mondo, ne valeva la pena assolutamente.
Volevo delle scuse e in qualche modo le avrei avute per forza. Avrei lottato per farli inginocchiare e per farmi chiedere il perdono. Non sapevano che quello che c'era nella mia mente mi aveva portato più volte a pensare seriamente alla morte, non sapevano niente di me, eppure si divertivano a giudicare e a dirmi che non valevo niente, che facevo schifo.
Gliel'avrei fatta pagare e cosa c'è di più forte contro la violenza se non l'amore?
Semplicemente, attraversai la stanza a grandi falcate e sotto gli occhi sconcertati del mio uomo e dei miei amici strinsi in un forte abbraccio i miei genitori, i loro corpi tremanti e scossi da profondi singhiozzi.
Il senso di colpa colava lungo le pareti di quella stanza, tutto sapeva di amarezza, di dispiacere, si poteva avvertire con forza l'odore della rabbia verso se stessi e il sapore delle pesanti lacrime.
Potevo sentire il dolore che stavano provando, rendendosi conto di quello che mi avevano fatto.
In quel momento, non volli nemmeno sapere che tipo di stregoneria aveva usato Donna, come aveva fatto capire loro che tutta quella situazione era ridicola, che potevamo limitarci ad essere una famiglia perfettamente imperfetta e portare avanti il nostro amore in quel modo incongruente ma giusto.
Sentii le braccia dei miei genitori stringermi dopo tanto tempo, con una disperazione e un affetto che non sembravo possibile.
Tutto intorno a me poteva anche sparire.

Da quel giorno la mia vita fu solo una splendida discesa verso la felicità. Niente più rapide, rocce appuntite, alta marea. Solo un fiumiciattolo calmo, piatto e luminoso.
E decisamente, quello che da lì a qualche anno sarebbe arrivato avrebbe reso tutto migliore.


xCyanide's Corner
Ho quasi un mese di ritardo ma ho un motivo fondato: mi è partito il pc. Completamente. Ho perso tutto quanto e quindi ho dovuto riscrivere tutto da capo senza gli appunti e non immaginate quanto io abbia pianto! Mi dispiace, ho perso anche altre idee e delle parti di un mio diario e ci stiamo mettendo in moto per riuscire a recuperare almeno le cose più recenti. Comunque, ci ho guadagnato un pc nuovo e alla fin fine son felice. Da adesso in poi proverò ad essere spedita - pensate almeno che se fossi andata realmente come dovevo andare a quest'ora la ff sarebbe già finita. Spero che mi perdoniate e spero che continuiate a seguire comunque questa storiella. Vi voglio bene e grazie per la pazienza!
Alla prossima,

xCyanide

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Capitolo 20
*** Di rose e ferrovie. ***


Capitolo 20 - Di rose e ferrovie. 

3 settimane dopo
-Frank! Posta per te! - sentii esclamare dal piano di sotto, mentre sistemavo con attenzione in un vaso trasparente e inciso con dei piccoli intarsi colorati le piccole rose che mi stavano arrivando giorno per giorno a casa dal fattorino del fioraio. Sapevo che si trattava del mio ragazzo, che in quel periodo era a Los Angeles da alcuni zii dato che eravamo nel pieno delle vacanze di primavera e la sua famigliola ne aveva approfittato.
Sorrisi, perché nessuno aveva mai fatto tutte quelle cose per me, chissà quanto gli stava costando quel piccolo giochino di sorprese, giorno per giorno.
-Mettilo sul ripiano, papà, dopo vengo a prenderlo - risposi con voce appena più bassa e meno roca della sua, dato che ero molto più femminile di quello che avrei dovuto essere, e mi sedetti sul letto morbido incrociando le gambe come gli indiani d'America.
Tutto in casa pareva andare per il meglio in quel periodo e semplicemente... eravamo nuovamente una famiglia unita in qualche modo. Nonostante persistessero delle piccole ferite che sicuramente non sarebbero andate via facilmente, almeno per quanto mi riguardava.
Avevo scoperto poco tempo prima che per via delle botte che avevo preso avrei avuto problemi con le costole per un bel po' di tempo dato che si erano leggermente contuse in alcuni punti. Mio padre sembrava davvero in colpa per quella storia, quindi non faceva altro che chiamarmi "campione" e cercare di trattarmi come se niente fosse accaduto, come se volesse risanare completamente il rapporto. Non appoggiavo questo metodo ma apprezzavo il suo tentativo perlomeno.
Donna Way aveva fatto un vero e proprio miracolo con i miei genitori e loro non avevano voluto assolutamente raccontarmi quello che era successo in cucina mentre io e Geràrd eravamo in camera a fare l'amore - questo ultimo dettaglio l'avevo tralasciato comunque mentre avevo spiegato che avevamo fatto pace.
Mia mamma e mio papà, quindi, stavano imparando ad accettare di buon grado la mia omosessualità e stavano imparando ad accogliere Geezie in famiglia, a partire soprattutto dal fatto che mi avvertissero ogni qualvolta qualche mazzo di rose arrivava a casa. Ormai sapevano che leggere sul bigliettino "xoxoG" significava sicuramente che fossero per me, dato che quella era la firma del mio fidanzato.
Intanto lui aveva cominciato a partecipare a qualche corso di arte classica al dopo scuola e mi lasciava stare con lui a ricreazione, anche se preferivamo non toccarci molto per non dare nell'occhio. Comunque, adesso potevamo difenderci a vicenda in caso di insulti o spintoni.
Non avevo più ferite sui polsi, rimanevano solo le cicatrici che sfregiavano completamente la mia pelle di latte e la poca sensibilità che l'auto distruzione mi aveva lasciato sulla pelle. Non mi rendevo conto nemmeno quando passavo le dita in quel punto, per quanto avevo deciso di eliminarlo dalla mia sfera dei sensi. Il viso di Geràrd era tornato al suo antivo splendore di ghiaccio e i suoi occhi sembravano più pieni, più vivi, più felici. Erano ancora trasparenti, non lasciavano andare il passato travagliato, ma allo stesso tempo erano pronti a ricostruire qualcosa per andare avanti, una nuova storia, con una nuova considerazione di se stesso e della vita che finalmente non viveva da ipocrita.
Stava imparando a proteggersi in qualche modo ed era la cosa che più mi rendeva fiero di quello che stava diventando, riusciva a reggersi sulle sue stesse gambe.
Le uniche notizie che avevo di lui in quel periodo erano quelle splendide rose dai gambi lunghi e i messaggi che ogni tanto mi arrivavano dal cellulare di Mikey per assicurarmi che la vacanza stava andando per il meglio anche se gli mancavo maledettamente. E per dirmi che mi amava. Spesso, devo ammettere. Le mie guance diventarono porpora.
Essendo aprile oramai, Geràrd stava cominciando ad organizzare gli ultimi progetti per la maturità, per passare tutti i maledetti test che lo tenevano appena un pochino lontano da me fisicamente dato che la metà delle giornate le passava a disegnare o a studiare.
Aveva deciso di impostare tutto il lavoro sullo studio del corpo umano, soprattutto quello maschile, e i suoi professori si erano mostrati entusiasti di questo e l'avevano pienamente appoggiato.
Una settimana prima mi aveva chiesto di posare per l'ultimo quadro che doveva portare e mostrare alla commissione dato che parlava di "bellezza ideale". Mi aveva chiesto di scoprire tutte le mie cicatrici, la mia magrezza disarmante, i miei occhi stanchi. Diceva che il fatto che fossi perfetto ai suoi occhi dipendeva esclusivamente dal fatto che tutti gli altri non riuscivano a cogliere quello che c'era di bello in me, dati i miei numerosi difetti. Era una cosa splendida, quindi si, avevo accettato. Entro un mese mi sarei dovuto spogliare completamente davanti a lui e lasciargli intrappolare la mia anima su una tela alta più di un metro e larga altrettanto. Mi aveva assicurato che non sarebbe stato niente di volgare, avrei coperto quello che dovevo coprire con un telo e tutto sarebbe andato per il meglio.
Non mi restava che aspettare il suo ritorno.
Nel frattempo, mi dissi, perché non sistemare anche l'ultimo acquisto nella mia collezione di rose?

Geràrd aveva avuto il permesso dai genitori di tornare prima a casa prendendo il treno e di rimanere tre giorni da me sotto il consenso di Anthony e Linda. Quindi in quel momento, ero arrivato alla stazione a piedi e mi ero appoggiato al piccolo palo che teneva ferma la scatoletta in cui si potevano timbrare i biglietti giornalieri.
Vedevo quei mezzi giganti sfrecciare, arrivare, andarsene. Ma quella maledetta voce metallica all'altoparlante non annunciava nessun treno da Los Angeles.
Il nervoso saliva sempre di più insieme alle farfalle allo stomaco che aumentavano di minuto in minuto, diventando irrimediabilmente dei giganteschi pterodattili cannibali che si stavano staccando le membra l'uno con l'altro.
Mio padre mi stava aspettando nell'auto molto pazientemente da una cosa come un quarto d'ora ormai e per un attimo mi fece tenerezza perché davvero ce la stava mettendo tutta per farmi capire che si stava sistemando tutto quanto.
Mi mossi appena sul posto dato che le costole avevano cominciato a pizzicarmi prepotentemente, quindi tornai ad appoggiarmi con la scapola sinistra a quel marchingegno, accavallando le caviglie dato che tutto il mio peso era scaricato completamente sul piede destro chiuso dentro quella vans invernale a quadri scozzesi.
Quando rialzai il viso verso le rotaie mi resi conto che erano scomparse, completamente sotterrate dalla struttura megagalattica di un treno con moltissimi vagoni, grigio e rosso, che veniva proprio da LA.
Il mio cuore fece un balzo indietro.
Era il suo treno, e questo voleva dire che entro cinque minuti da quel momento l'avrei avuto nuovamente tra le braccia, incurante degli sguardi dei passanti e finalmente di nuovo completo, ricongiunto con la mia perfetta e dolce metà.
Mi misi ritto con la schiena prendendo un respiro tentennante mentre tutti i passeggeri lentamente e con passo cadenzato scendevano dal treno, sotto i miei occhi che urlavano sbrigatevi, sbrigatevi, SBRIGATEVI.
Mi resi conto che lui era sceso proprio sotto il mio sguardo, senza che muovessi un dito, solo quando un corpo magro urtò il mio fragile e i miei piedi si sollevarono da terra velocemente.
Risi troppo felice quando mi sentii volteggiare, il mio ragazzo che mi teneva saldamente in aria mentre chinavo appena il viso per far incontrare teneramente le nostra labbra secche ma sorridenti.
Le persone come avevo detto, ci guardavano.
-Ti amo - gli sentii dire prima di congiungere nuovamente le nostri pelli desiderose.
E come avevo ipotizzato poco prima, mi sentivo completo.


xCyanide's Corner
Puntualissima! Come avevo promesso. Diciamo che mi son divertita a scrivere questo capitolo perchè finalmente le acque si sono calmate e tutto sembra aver preso una piega inaspettata ma molto molto carina. Siamo comunque all'ultimo capitolo effettivo, il prossimo è l'epilogo ed è ambientato un pochino più avanti di questo, dato che dobbiamo dare una fine a questa storiella. Aaaah, mi dispiace.
Comunque ringrazio tutti per le recensioni e vi dico per l'ennesima volta che siete fantastici e che vi voglio tanto bene. 
Alla prossima (l'ultima per questa ff ç_ç)
xCyanide

 

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Capitolo 21
*** EPILOGO - Di momenti, svolte e francesi. ***


CAPITOLO 21 - EPILOGO - Di momenti, svolte e francesi.

3 anni dopo.
Riguardando indietro nel passato mi resi conto di essere cresciuto esponenzialmente in quei tre anni, e il mio ragazzo non era sicuramente stato da meno. Eravamo due uomini in quel momento, anche se io ero appena entrato nel mondo degli adulti.
Avevo diciannove anni e avevo appena superato la prima estate da persona libera, con il diploma alle spalle e tutto il futuro davanti.
Ero spaventato, anche solo per il fatto che in un paese grande come l'America non c'erano possibilità per tutti di sfondare nella musica e in un qualche modo - nonostante quello che diceva Geràrd - ero una mezza calzetta con il canto. E la chitarra non andava meglio
Ci mettevo tantissima passione e tutto il cuore, questo era davvero appurato, ma ero giovanissimo e i discografici cercavano persone con una certa esperienza, persone che fossero realmente brave.
Dovevo solo rassegnarmi al fatto che forse quella non era la strada che dovevo percorrere, che forse solo l'amore mi avrebbe salvato da quel mondo cannibale, carnivoro, schifoso e opportunista.
Mentre psicologicamente i miei comportamenti non erano cambiati molto, fisicamente ero un'altra persona. Ero più alto, e sono sicuro che nemmeno ci crederete! Sempre troppo piccolo per essere nella norma ma perlomeno superavo quel metro e cinquantacinque che mi portavo avanti da anni. Ero arrivato quasi a aggiungere dieci centimetri di più, ero cresciuto di botto, e Geezie ancora mi prendeva in giro per quello. Sul mio viso cresceva un po' di barba, ma io mi premuravo di toglierla appena ne avevo l'occasione, non ero un tipo da barba e baffi. Le mie spalle si erano allargate e un po' di muscoli avevano fatto capolino sulle mie braccia ossute, dandomi qualche forma in più, rendendomi più uomo che ragazzino indifeso. Il mio petto era ampio e nonostante nel corso del tempo mi fossi reso conto di essere glabro mi sentivo molto virile. Era il posto preferito del mio ragazzo per nascondersi dalle cose che gli facevano male, dalle persone che ancora all'università lo prendevano in giro in qualche modo.
Lui non era cambiato molto, nonostante tutto quel tempo trascorso insieme. I suoi occhi continuavano ad essere un monumento alla bellissima gioia di vivere e il suo sorriso era più sbilenco che mai nella sua delicata dolcezza. Era ancora un fiore immacolato, quei ventidue anni di età non l'avevano alterato per niente.
Era maturato moralmente, era così determinato nelle mete che voleva raggiungere, passava ore e ore a dipingere, disegnare o semplicemente a schizzare colore sulle tele.
Il suo più grande sogno era di dipingere con il proprio sangue, facendosene togliere tutto il quantitativo necessario ovviamente nei limiti della sicurezza. Diceva sempre che la cosa più inquietante sarebbe stata conservarlo nel frigorifero, insieme a dell'olio. Ma "Frankie, il colore del sangue puro non ce l'ha nessun altro colore chimico", quindi come dargli torto?
Non era sicuramente la prima idea pazza che gli passava per la testa e non sarebbe stata nemmeno l'ultima.
Non troppo tempo prima, per esempio, in un impeto di coraggio si era fatto accompagnare dal parrucchiere e aveva deciso di tagliarsi i capelli. Sembrava in qualche modo una versione più moderna di Elvis, mischiato con la moglie di Frankenstein. Il mio uomo, infatti, aveva deciso di farsi tingere due ciocche per ogni lato del viso di bianco, sistemandole in modo zigzagato ogni mattina appena sveglio. Avevo riso per quella sua scelta, ma riuscii in un modo ancora misterioso a nascondergli quanto questa cosa mi eccitasse da morire.
Un'altra cosa che era cambiata tra noi era il sesso, appunto. Non eravamo più quelle due creaturine spaurite che perdevano la verginità insieme, eravamo più sicuri con il nostro corpo e con quello dell'altro, avevamo imparato a memoria i punti erogeni e tutte le piccole parole che dovevamo sussurrarci per assicurarci di raggiungere un grande e soddisfacente orgasmo. La prima regola tra tutte diceva che i nostri occhi per tutta la durata del rapporto non dovevano assolutamente staccarsi tra loro. Il modo in cui la pupilla di Geràrd si dilatava e stringeva a seconda dei nostri movimenti mi mandava in tilt. Tutte le altre regole disponevano solo delle piccole perversioni che ci eravamo lasciati scappare durante gli anni e delle quali in quel momento non volevamo fare a meno assolutamente.
Un punto a favore della nostra relazione era sicuramente il fatto che Geezie fosse riuscito, con l'aiuto dei genitori, a prendere in affitto un appartamento piccolino nel centro della nostra città, vicino l'università a cui andava per la facoltà di arte. Avevamo moltissima privacy, ero libero di girare nel salotto e nelle camere in boxer o direttamente nudo, come faceva spesso anche lui, senza la paura di fare incontri scomodi con i nostri parenti. Anche se avevano finalmente accettato quello che c'era tra noi, avremmo voluto evitare quei momenti di imbarazzo.
Mi trovavo talmente tanto bene a casa di Geràrd che spesso dormivo lì e avevo portato con me la metà del mio armadio in caso avessi bisogno del cambio, cosa che succedeva davvero spessissimo.
Probabilmente fu in quell'appartamento che la svolta più grande della nostra relazione divenne realtà.

Era il nostro terzo anniversario ed eravamo seduti sul divano ad angolo nel salone dell'appartamento di Geezie, le menti ancora intorpidite e gli animi davvero sollevati. Fare l'amore sul pavimento quando i riscaldamenti erano accesi era una goduria, i tubi sotto il parquet diventavano talmente tanto caldi che la schiena sudava e le unghie scivolavano meglio nella carne.
Finito, comunque, avevamo raccattato una coperta di pile davvero molto morbida e ci eravamo chiusi ermeticamente in quell'abbraccio soffice e dalla fantasia scozzese.
Aveva stretto le braccia attorno la mia vita magra e mi aveva attirato completamente verso di se, nascondendo docilmente il viso nell'incavo del mio collo, vicino la clavicola sporgente.
Aveva lasciato che i suoi occhi si mimetizzassero lentamente sotto le ciglia scure e lunghe e questo significava solo una cosa: doveva parlarmi di un fatto per lui molto importante.
Avevo imparato a memoria ogni suo movimento, modo di fare, di dire, di guardarsi intorno dato che era molto espressivo.
Quando si schiarì la voce, quindi, non ne rimasi sorpreso.
-Sai, ragazzino - aveva la fissa di chiamarmi così dal nostro primo anniversario, quando avevo ancora sedici anni e per un attimo avevo fatto i capricci credendo che non avesse ricordato che giorno era. -C'è qualcosa che sento di doverti chiedere, perché vorrei che tutto questo diventasse ufficiale in un modo informale.
La sua voce lasciava trasparire una fortissima emozione, tremava lentamente e il suo accento straniero era sempre più accentuato. Deglutì un paio di volte prima di decidersi a continuare con quelle parole così confuse. Sia dannato chi ha dato la parola agli artisti, non sanno esprimersi! E poi pretendono di essere capiti. Con una matita in mano, capire il ragazzo che in quel momento era così impacciato, sarebbe stato sicuramente molto più semplice e indolore.
Come per tranquillizzarlo e fargli capire che tutto andava bene, posai un dolce bacio sulla sua tempia ossuta e sporgente, poco vicino le due ciocche bianche in quel momento un po' scompigliate.
-Quindi mi chiedevo se... - si fermò nuovamente, prendendo un lungo e profondo respiro tremolante, davvero incerto per quello che stava dicendo. Diamine, nel mio stomaco si stava formando un buco nero dovuto dall'aspettativa, dalla paura della novità, dalla curiosità. E dalla confusione, soprattutto. -Se volessi in un qualche modo che questa casa diventasse la nostra casa, tutto qui. Se non è troppo per te, se te la senti. Ormai... ormai siamo grandi, ci amiamo da anni, stiamo bene insieme. Perché non cominciare a vivere serenamente e in tutti gli aspetti questa relazione?
Il mio cuore perse velocemente un battito a quella domanda che continuava a rimbombarmi in testa come un motivetto un po' incasinato, come se qualche nota stonasse.
Era la paura, che però subito fu eclissata dall'eccitazione di quel momento, dalla voglia di diventare una cosa sola con lui, una famiglia finalmente.
Pensai in un attimo alla routine, ad aspettarlo la mattina con il caffè in un mano e una carezza pronta nell'altra, un piccolo sorriso, un bacio. E poi pronti per la giornata, lui all'università, io al lavoro e una volta finiti gli studi avrebbe lavorato anche lui. E ci saremmo aspettati la sera a casa, sarebbe sempre stato come un pigiama party.
E i pigiama party sono una delle cose migliori del mondo.
Sarebbe stato come vivere con il proprio migliore amico.
Quindi, con gli occhi lucidi, non potei fare a meno di annuire velocemente, lasciando che qualche lacrima mi rigasse le guance fino ad arrivare al sorriso perenne che stava prendendo forma sul mio visino.

Sapevamo che stavamo andando incontro a un futuro difficile e presto dovemmo trasferirci perché dei teppistelli della scuola davanti casa nostra avevano messo un cartone della birra in fiamme davanti al nostro porticato e Geràrd si era messo talmente tanta paura da piangere davanti agli agenti di polizia.
Adesso abbiamo trent'anni suonati e stiamo insieme da quindici anni. Siamo in Francia, in un piccolo appartamento un po' trasandato ma davvero carino nell'insieme.
Geràrd si sente davvero a suo agio e ha ritrovato tutti gli amici di infanzia che mi chiamano "lo straniero" nonostante ormai sia passato molto da quando ho lasciato la mia terra nativa. Il francese, per una persona americana come me, è davvero complicato ma in qualche modo ce la sto facendo e mi piace sapere tutte queste lingue.
Qui la vita è molto più tranquilla, l'Europa non è esigente come i cari vecchi States e in qualche modo possiamo rifarci una nomina lontani da tutti quegli insulti insistenti.
Abbiamo a mala pena i soldi per pagare il mutuo e le bollette. Geràrd nel weekend si reca sempre nella Butte de Montmartre per cercare di racimolare qualche soldo in più facendo ritratti ai passanti, mentre io ho trovato due lavori part time in un negozio di abbigliamento e in un pub la sera. Il mio sogno, quello della musica, comunque non è ancora messo da parte.
Nonostante tutto, quando vediamo l'altro, quando ci rendiamo conto di dove siamo arrivati, di quello che abbiamo superato insieme, chiudiamo i pugni e teniamo duro perché arrendersi ora non avrebbe senso.
Rimaniamo fedeli a noi stessi e ci teniamo la mano, consci delle difficoltà ma anche dei pregi nel condurre una vita "al momento", come mi piace chiamarla. Non si hanno certezze, arrivare alla fine della giornata soddisfatti di quello che si è fatto, sorridenti, insieme è l'unica cosa che conta. Esistere solo nel presente, i pensieri proiettati solo verso quello che sta succedendo e non verso quello che succederà... ecco, il trucco. Perché ammalarsi per qualcosa, arrabbiarsi, somatizzare, quando tutto si può affrontare al momento giusto, con calma?
Credo di aver deciso di rendere pubblica la mia storia per spiegare solo una semplicissima cosa.
Non si può trovare una soluzione ai problemi, alle situazioni o alla vita stessa. Si può solo decidere come vivere, se in pace con se stessi o meno.
Perché tutto vale la pena quando si è innamorati.
Quando si è completi.
Liberi.
Vivi.
Veri.

xCyanide's Corner
Okay ho appena spinto il tick sulla casella per indicare che la storia è completa e non pensavo potesse fare così male. Dico davvero, è probabilmente la storia a cui sono affezionata di più finora tanto più che il primo capitolo l'ho scritto nel 2012 e che quindi è un lavoro che va avanti da anni. Ce ne ho messo di tempo per decidermi a finirla e pubblicarla, dato che credevo di non essere all'altezza di spiegare quello che la vita è per me. Semplicemente, rimuginare su situazioni atroci, avvelenarsi per problemi futuri non ha senso. E l'amore! Beh, l'amore aiuta, che sia ricambiato o meno. 
Con questa storia ho riso, pianto e ho riflettuto e non posso negare che scrivendo le ultime parole qualche lacrima mi abbia rigato la guancia. 
Sono felice del successo che ha avuto, dei consigli che mi avete dato e dei complimenti che mi avete scritto. Siete la mia gioia, dico davvero! E spero che in qualche modo qualcosa di questa storia vi rimanga nel cuore o vi abbia aiutato in situazioni poco piacevoli. 
Sono quasi certa di tornare prestissimo con qualche nuova idea dato che sto facendo la scaletta di tutte quelle che mi vengono in mente ma vorrei come sempre trovare qualche argomento che ancora non è stato toccato da nessuno in questo fandom. E mi sa che ho anche trovato qualcosa.
Ringrazio davvero tutte le persone che l'hanno messa tra le seguite, ricordate o preferite - e siete davvero tantissimi!
Tutti quelli che l'hanno anche solamente letta.
Quelli che hanno recensito.
E le mie amiche che in un modo o nell'altro mi hanno aiutato e hanno ascoltato i miei scleri.
Siete tutti fantastici!
Continuate a splendere, 
alla prossima,
xCyanide

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