Fallen

di Kirsche
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perfetti sconosciuti ***
Capitolo 2: *** Perfetto per essere legato ***
Capitolo 3: *** Il buio si avvicina ***
Capitolo 4: *** Di turno al cimitero ***
Capitolo 5: *** La cerchia ristretta ***
Capitolo 6: *** Nessuna salvezza. ***



Capitolo 1
*** Perfetti sconosciuti ***


FALLEN
Basta un istante per sconvolgere un’esistenza. A cambiare quella di Selene, diciassette anni, è stato l’incidente in cui è morto un suo caro amico. E lei ha visto addensarsi di nuovo le ombre scure che la perseguitano da quando è bambina. Guardata con sospetto dalla polizia e da chi la ritiene responsabile della morte dell’amico, Selly – così la chiamano tutti – è costretta a entrare in u istituto correzionale. Nessun contatto con il mondo esterno, telecamere di sorveglianza, ragazzi e ragazze dal passato oscuro e disturbato sono tutto ciò che trova alla scuola Sword & Cross.
E poi appare Thomas. Il cuore di Selly le dice di averlo già incontrato, ma nella sua mente si accendono solo rari lampi di ricordi troppo brevi per essere veri. Soltanto quando rischia di perderla, Tom decide di uscire allo scoperto: i loro cuori si conoscono da sempre, da tutte le vite che Selly non ricorda ancora di aver vissuto.

 
In principio
♦♦♦
Helston, Inghilterra,
Settembre 1854
 
Verso mezzanotte, infine, gli occhi presero forma. Lo sguardo era felino, determinato e incerto allo stesso tempo… prometteva guai. Si, erano proprio i suoi occhi. Si aprivano sotto la bella fronte aggraziata, a pochi centimetri dalla scura cascata dei capelli.
Tenne il foglio  davanti a sé, per valutare i progressi.
Era difficile lavorare senza di lei, ma non avrebbe mai potuto disegnarla in sua presenza. Da quando era arrivata da Londra – no, da quando l’aveva vista per la prima volta – aveva dovuto preoccuparsi di tenerla sempre a distanza.
La sentiva ogni giorno più vicina, e ogni giorno era più difficile del precedente. Ecco perché sarebbe partito il mattino dopo. Americhe, India… non lo sapeva e non gli importava. Dovunque fosse finito, sarebbe stato più facile che restare lì.
Si chinò di nuovo sul disegno. Corresse con il pollice la sbavatura del carboncino sulle labbra carnose, sospirando. Quel foglio inanimato, impostore crudele, era l’unico modo che aveva per portarla con sé.
Poi, raddrizzandosi sulla sedia di pelle della biblioteca, lo sentì. Quel lieve calore sulla nuca.
Lei.
La sola vicinanza gli dava una sensazione insolita, simile al calore emanato dal legno che si sfalda in cenere in un fuoco. Lo sapeva senza voltarsi: Lei era lì. Appoggiò il ritratto a faccia in giù sui libri che aveva in grembo, ma non poteva sfuggirle.
Lo sguardo gli cadde sul divano color avorio del salotto, dove poche ore prima lei era apparsa inaspettatamente, quando i suoi amici erano già arrivati, in un abito di seta rosa, per applaudire la bella esibizione al clavicembalo della figlia maggiore del padrone di casa.
Scoccò un occhiata alla stanza, e poi alla veranda oltre la finestra, dove il giorno prima lei gli si era avvicinata furtiva, reggendo un mazzolino di peonie selvatiche bianche.
Era ancora convinta che l’attrazione per lui fosse innocente, che i loro frequenti incontri nel gazebo fossero solo… liete coincidenze. Quanto era ingenua! Non le avrebbe mai raccontato la verità: quello era il suo segreto.
Si alzò e si voltò, lasciando i disegni sulla sedia. Ed eccola lì, vestita di bianco, appoggiata alla tenda di velluto rossa. Le nere trecce erano sciolte. Aveva lo stesso sguardo che lui aveva disegnato così tante volte. Le sue guance erano accese. Era arrabbiata? Imbarazzata? Desiderava saperlo, ma non poteva permettersi di chiederlo.
<< Cosa ci fate qui? >> Sentì il risentimento nella sua voce, e si pentì di tanta asprezza, sapendo che lei non avrebbe capito.
<< Non… riuscivo a dormire >> balbettò lei, avvicinandosi al fuoco e alla sua sedia. << Ho visto la luce accesa nella vostra stanza e poi…>> tacque, guardandosi le mani  << … il vostro baule fuori dalla porta. Siete in partenza? >>
<< Ve l’avrei detto… >> e s’interruppe. Non doveva mentire: non aveva mai avuto intenzione di metterla a parte dei suoi piani. Avrebbe solo reso le cose più difficili. Si era già spinto troppo oltre, nella speranza che quella volta sarebbe stato diverso.
Lei si avvicinò, e il suo sguardo si posò sull’album.
<< Mi stavate facendo un ritratto? >>
La sorpresa nella sua voce gli ricordò l’abisso di conoscenza che li divideva. Dopo tutto il tempo trascorso insieme nelle ultime settimane, lei non aveva la più vaga idea di che cosa si nascondesse dietro quell’attrazione.
Era un bene, o, quantomeno, era meglio così. Negli ultimi giorni, da quando lui aveva deciso di partire, aveva fatto di tutto per tenersi lontano da lei. Riuscirci aveva richiesto un tale sforzo che, non appena si era ritrovato da solo, aveva dovuto cedere al desiderio represso di ritrarla. Aveva riempito l’album di bozzetti del suo collo arcuato, della sua clavicola marmorea, del nero abisso dei suoi capelli.
Ora riguardava i disegni. Ciò che provava non era vergogna di essere stato sorpreso a ritrarla, ma qualcosa di molto peggio. Un brivido gelido lo pervase al pensiero di quella scoperta – la manifestazione fisica di ciò che lui provava – l’avrebbe distrutta. Avrebbe dovuto essere più cauto. Cominciava sempre allo stesso modo.
<< Latte caldo con un cucchiaio di miele >> mormorò, continuando a darle le spalle. Poi aggiunse, triste: << Vi aiuterà a dormire. >>
<< Come fate a saperlo? E’ proprio quello che mia madre… >>
<< Lo so >> disse lui, voltandosi verso di lei. Non era sorpreso dallo stupore nella voce di lei, eppure non poteva spiegarle perché, o dirle quante volte in passato, al calar della sera, le aveva preparato la medesima bevanda, o l’aveva tenuta tra le braccia finché non si era addormentata.
Sentì il tocco di lei come fuoco attraverso la camicia, sentì la sua mano leggera sulla spalla, e trattenne il respiro. Non si erano ancora toccati in questa vita, e il primo contatto lo lasciava sempre senza fiato.
<< Rispondetemi >> sussurrò lei. << State partendo? >>
<< Si. >>
<< Allora portatemi con voi >> disse, precipitosa. E in quel momento, lui la vide trarre un profondo respiro, come se si fosse pentita del suo appello. Dal corrucciarsi della fronte riusciva a cogliere le emozioni che si susseguivano in lei: prima l’impeto, poi lo sconcerto, infine la vergogna per la propria sfrontatezza. Era sempre così, e troppe volte in passato lui aveva commesso l’errore di consolarla in quel preciso momento.
<< No >> sussurrò allora, ricordando… ricordando sempre << Salperò domani. Se tenete a me, non dite un’altra parola. >>
<< Se tengo a voi >> ripeté lei, come parlando a se stessa, << io… io vi amo… >>
<< No. >>
<< Devo dirvelo. Io… vi amo, ne sono certa, e se voi partite… >>   
<< Se parto, vi salverò la vita. >> Parlò lentamente, cercando di raggiungere la parte di lei in grado di ricordare.
Se anche ci fosse stata, dov’era sepolta? << Certe cose sono più importanti dell’amore. Non capirete, ma dovete fidarvi di me. >>
Gli occhi di lei lo trafissero. Fece un passo indietro, incrociò le braccia sul petto. Anche di questo lui era responsabile: quando le esponeva le sue verità dall’alto riusciva sempre a scatenare il suo lato sprezzante.
<< Intendete dire che ci sono cose più importanti di questo? >> lo sfidò lei, afferrandogli le mani e portandosele al cuore.
Oh, poter essere lei e non sapere che cosa stava per succedere! O almeno essere più forti di così, e riuscire a fermarla. Se non l’avesse fermata, lei non avrebbe mai capito, e il passato si sarebbe ripetuto ancora, torturandoli senza fine.
A quel tocco, al calore familiare della sua pelle, lui gettò la testa all’indietro e gemette. Cercava di ignorare quanto fosse vicina, quanto conoscesse bene la sensazione della sue labbra sulle proprie, quanto fosse amare la consapevolezza che tutto dovesse finire. Ma le dita di lei cercavano le sue con tanta leggerezza… Riusciva a sentire il cuore di lei battere tumultuoso sotto l’abito.
Aveva ragione. Non c’era niente di più importante.
Non c’era mai stato. Stava per arrendersi e prenderla tra le braccia, quando colse il lampo nei suoi occhi. Come se avesse visto un fantasma.
Fu lei a ritrarsi, portandosi una mano alla fronte.
<< Ho una sensazione stranissima >> sussurrò.
No… Era già troppo tardi?
Lei socchiuse gli occhi come nel ritratto; si avvicinò di nuovo, e gli mise le mani sul petto, le labbra in attesa. << Penserete che sono pazza, ma sarei pronta a giurare che sono già stata qui… >>
Allora era davvero troppo tardi. Guardò in alto con un brivido: riusciva quasi a sentire l’oscurità discendere su di loro. Colse l’ultima opportunità di afferrarla, di stringerla come aveva desiderato ardentemente per settimane.
Non appena le loro labbra si fusero, entrambi rimasero indifesi. Il sapore di caprifoglio sulla bocca di lei gli diede le vertigini. Più lei gli si stringeva, più lui sentiva contrarsi le viscere per l’emozione e l’angoscia di ciò che stava accadendo. La lingua di lei trovò la sua, e il fuoco tra loro divampò, più luminoso, più ardente, più feroce a ogni nuovo tocco. Eppure niente di tutto ciò era nuovo.
La stanza tremò. Un’aura prese a brillare attorno a loro.
Lei non si accorse di nulla, inconsapevole, ignara di tutto al di fuori di quel bacio.
Lui soltanto sapeva che cosa stava per accadere, quali oscuri guardiani stavano per precipitarsi sulla loro unione. Anche se ancora una volta non poteva modificare il corso degli eventi, lo sapeva.
Le ombre vorticarono sopra di loro, così vicine che lui avrebbe potuto toccarle. Così vicine che si chiese se anche lei riuscisse a sentire ciò che sussurravano.
Osservò la nuvola passare sul volto di lei. Vide, per un istante, una scintilla di comprensione brillare nei suoi occhi.
Poi non ci fu più nulla.
Uno
♦♦♦
PERFETTI SCONOSCIUTI
 
Selly irruppe nell’atrio illuminato al neon della Sword & Cross School dieci minuti più tardi del dovuto. Un custode dall’ampio torace, guance rosse e un blocco per appunti stretto sotto un bicipite di ferro stava impartendo ordini, quindi Luce era già rimasta indietro.
<< Allora ricordate: pillole, letti e spie >> abbaiò il custode a tre studenti di cui Luce non riusciva a vedere il viso, perché le davano le spalle.
<< Ricordatevi le regole di base, e nessuno si farà male. >>
Selly si infilò rapida nel gruppetto. Stava ancora cercando di capire se aveva compilato nel modo giusto la gigantesca pila di documenti, se quella guida dalla testa rasata era un uomo o una donna, se qualcuno poteva aiutarla a portare l’enorme sacca da viaggio, se i suoi genitori, dopo averla mollata lì, si sarebbero disfatti della sua amata Plymouth Fury non appena tornati a casa. Avevano minacciato di vendere la macchina per tutta l’estate, e ora avevano un motivo che nemmeno Selly poteva contestare: nella nuova scuola nessuno poteva avere un’auto. Nel nuovo istituto correzionale, per l’esattezza.
Doveva ancora abituarsi a quella formula.
<< Potrebbe, ehm, ripetere? >> domandò al custode. << Cos’era, pillole…? >>
<< Guarda un po’ cosa ci porta il vento >> ribatté la guida a voce alta. Poi proseguì, scandendo piano: << Pillole. Se sei uno studente in terapia, qui è dove venire a prendere quello che ti serve per drogarti, restare sano di mente, respirare o quant’altro. >>
Donna, disse Selly, studiandola. Nessun uomo sarebbe stato tanto malizioso da usare un tono così dolciastro.
<< Capito. >> a Selly venne la nausea << Pillole. >>
Non era più sotto farmaci da anni. Dopo l’incidente di quell’estate il dottor Sandford – il suo analista a Hopkinton, nonché il motivo per cui i suoi genitori l’avevano spedita a scuola nel New Hampshire – aveva preso in considerazione se sottoporla di nuovo alla terapia farmacologica.
Nonostante alla fine lei l’avesse convinto di essere quasi stabile, c’era voluto un mese in più di analisi per liberarsi di quegli orrendi psicofarmaci.
Ed ecco perché si era iscritta alla Sword & Cross con un mese di ritardo rispetto all’inizio dell’anno accademico. Essere quella nuova era già abbastanza brutto, ma questa volta c’era stata anche l’ansia di piombare nel bel mezzo dei corsi in cui tutti gli altri si erano già ambientati.
A giudicare dalla visita guidata della scuola , però, Selly non doveva essere l’unica appena arrivata.
Scoccò un’occhiata furtiva agli altri tre, in semicerchio attorno a lei. Nell’ultima scuola, Dover Prep, aveva conosciuto la sua migliore amica, Callie. Tutti gli altri studenti in pratica erano cresciuti insieme, e a loro era bastato essere le uniche a on avere genitori o fratelli che avessero studiato lì. Ma poco dopo avevano scoperto di condividere la stessa passione per gli stessi vecchi film, soprattutto quelli con Albert Finney, e per la stessa musica. Quando poi, sempre durante il primo anno ( mentre guardavano Due per la strada), avevano scoperto che nessuna delle due riusciva a preparare i popcorn senza far scattare l’allarme antincendio, Callie e Selly erano diventate inseparabili. Finché… finché non erano state costrette a dividersi.
Accanto a Selly quel giorno c’erano due ragazzi e una ragazza. La ragazza sembrava facile da inquadrare: bionda e carina come in una pubblicità della Neutrogena, con unghie rosa pastello in tinta con la cartellina di plastica.
<< Mi chiamo Gabbe >> disse strascicando le parole, abbagliandola con un gran sorriso che svanì con la stessa rapidità con cui era apparso, prima ancora che Selly potesse presentarsi. Più che la ragazza tipo che si aspettava di trovare alla Sword & Cross, quell’interesse passeggero le sembrò una versione del Sud delle ragazze di Dover. Selly non sapeva dire se fosse consolante o no, e nemmeno riuscì ad immaginare che cosa ci facesse in un correzionale una ragazza del genere.
Alla destra di Selly c’era un ragazzo con i capelli corti castani, occhi castani e una spruzzata di lentiggini sul naso. D al modo in cui evitava di guardarla, limitandosi a tormentarsi la pellicina del pollice, Selly capì che probabilmente era stordito ed imbarazzato come lei.
Il ragazzo alla sua sinistra, invece, combaciava fin troppo bene con l’idea che Selly si era fatta di quel posto.
Era alto e magro, con una borsa da DJ appesa alla spalla, capelli lunghi e neri e occhi nocciola, grandi e profondi. Aveva le labbra piene, di un rosa per cui molte ragazze avrebbero dato qualsiasi cosa. Dal bordo della maglietta nera, sulla nuca, spuntava il tatuaggio di un sole che sulla sua pelle chiara pareva quasi risplendere.
A differenza degli altri due, quando si voltò a guardarla, il ragazzo non distolse gli occhi. Il sorriso era forzato, ma lo sguardo era caldo e vivace. La fissò, immobile come una statua, e anche Selly si sentì inchiodata al suolo.
Trattenne il respiro. Quegli occhi erano intensi, seducenti e be’, disarmanti.
Schiarendosi rumorosamente la gola, la custode strappò il ragazzo al suo sguardo trasognato. Selly arrossì e finse di essere molto occupata a grattarsi la testa.
<< Quelli di voi che sanno già tutto sono liberi di andare dopo aver buttato via gli oggetti vietati. >> La custode indicò una grossa scatola di cartone sotto un cartello che diceva a grandi lettere nere OGGETTI PROIBITI. << E quando dico liberi, Todd >> calò una mano sulla spalla del ragazzo con le lentiggini, facendolo sussultare << intendo obbligati a incontrare le vostre guide. >> Puntò il dito contro Selly. << Tu, via la roba vietata e rimani con me. >>
I quattro si avvicinarono alla scatola e Selly vide, sconcertata, che i ragazzi cominciavano a svuotarsi le tasche. La ragazza estrasse un coltellino svizzero rosa da dieci centimetri, il tipo dagli occhi nocciola si separò con riluttanza sa una bomboletta di vernice  spray e un taglierino. Perfino Todd lasciò cadere nello scatolone parecchie confezioni di fiammiferi e una piccola bomboletta di gas per accendini. Selly si sentì quasi stupida a non avere niente di pericoloso con sé, ma quando vide gli altri frugare nelle tasche e buttare i cellulari nella scatola, rimase a bocca aperta.
Chinandosi in avanti per leggere più da vicino la scritta OGGETTI PROIBITI, notò che cellulari, cercapersone e ogni altro apparecchio di trasmissione e ricezione erano severamente vietati.
Come se non fosse già abbastanza brutto non avere un’auto! Selly strinse con la mano sudata il telefono che aveva in tasca, il suo unico collegamento con il mondo esterno. La custode colse il suo sguardo, e la schiaffeggiò leggermente sulla guancia << Non svenirmi addosso, piccola, non mi pagano abbastanza per resuscitarti. E poi, ti spetta una telefonata alla settimana nell’atrio principale. >>
Una telefonata… alla settimana? Ma…
Guardò il cellulare un’ultima volta e si accorse che le erano arrivati due messaggi. Sembrava impossibile che sarebbero stati gli ultimi. Il primo era di Callie.
Chiama subito! Ti aspetto vicino al tel tutta la notte quindi preparati a vuotare il sacco. E ricorda il mantra che ti ho dato: Ce la farai! Cmq, per quello che importa, mi sa che tutti si sono dimenticati…
Tipico di Callie: il messaggio era così lungo che quello schifo di telefono aveva tagliato le ultime righe. In un certo senso, Selly ne fu quasi sollevata. Non voleva leggere che tutti alla sua veccia scuola avevano già dimenticato ciò che le era successo, ciò che aveva fatto per approdare in quel posto.
Sospirò e passò al secondo sms. Era di sua madre, che aveva la mania dei messaggi solo da poche settimane, e di sicuro non era al corrente della telefonata settimanale, o non avrebbe mai abbandonato sua figlia lì. Giusto?
Cara, ti pensiamo sempre. Fai la brava e cerca di mangiare abbastanza proteine. Parleremo appena possibile.
Baci, mamma e papà

Selly sospirò. I suoi genitori lo sapevano. Come spiegare altrimenti le loro facce tese quando li aveva salutati fuori da scuola quella mattina, sacca da viaggio in mano?
A colazione, aveva cercato di scherzare sul fatto che avrebbe finalmente perso quel tremendo accento del New England che aveva preso alla Dover, ma i suoi non le avevano rivolto nemmeno l’accenno di un sorriso. Selly aveva pensato che fossero ancora arrabbiati. Non strillavano mai, e quando lei perdeva il controllo si limitavano a rispondere con un muro di silenzio. Ora capiva la ragione del loro comportamento: i suoi stavano già soffrendo della perdita di contatti con la loro unica figlia.
<< Manca ancora qualcuno…>> cantilenò la custode.
<< Chissà chi è. >> Selly riportò di scatto l’attenzione sulla scatola, ora piena fino all’orlo di oggetti che non riusciva nemmeno a riconoscere. Sentiva su di sé gli occhi nocciola del ragazzo dai capelli scuri, ma poi si accorse che la stavano fissando tutti. Toccava a lei. Chiuse gli occhi e aprì lentamente la mano: il cellulare cadde sul mucchio con un tonfo triste. Il rumore della solitudine.
Todd e la bambola di plastica Gabbe si avviarono verso la porta riservando a Selly appena un’occhiata, ma il terzo ragazzo si voltò verso la custode.
<< Posso informarla io >> disse, indicando Selly con un cenno.
<< Non fa parte degli accordi >> rispose automaticamente la donna, come se si fosse aspettata quello scambio di battute. << Sei uno nuovo, adesso: vuol dire che hai le stesse restrizioni dei nuovi. Sei tornato al via. Se non ti piace, avresti dovuto pensarci due volte prima di infrangere la promessa. >>
Il ragazzo rimase immobile, inespressivo, mentre la custode spingeva Selly – che si era irrigidita alla parola “promessa” – verso un atrio ingiallito.
<< Muoversi >> aggiunse, come se nulla fosse. << Letti. >> Indicò la finestra opposta a ovest di un edificio color cenere. Gabbe e Todd iniziarono a camminare strascicando i piedi in quella direzione, e il terzo ragazzo li seguì lentamente, come se raggiungerli fosse l’ultima delle cose che avesse in mente di fare.
Il dormitorio degli studenti era un edificio imponente, grigio e squadrato con porte massicce che non lasciavano trasparire all’esterno alcun segno di vita. C’era una grande targa di pietra in mezzo al prato: Selly l’aveva vista sul sito web della scuola, e ricordava che sopra c’era scritto PAULINE DORMITORY.
Al pallido sole del mattino sembrava perfino più brutta di quanto lo fosse nella piatta fotografia in bianco e nero.
La facciata era ricoperta di muffa nera, visibile perfino da quella distanza. Tutte le finestre erano chiuse da file di sbarre d’acciaio. Selly strizzò gli occhi. Era filo spinato quello in cima al recinto che circondava l’edificio?
La custode consultò una tabella, sfogliando la pratica di Selly. << Stanza 63. Metti la borsa nel mio ufficio insieme a quella degli altri, per ora. Potrai disfarla nel pomeriggio. >>
Selly trascinò la sacca da viaggio rossa verso tre anonimi bauli neri, poi d’istinto cercò il telefono dove in genere si appuntava le cose da ricordare. Ma dopo aver frugato nella tasca vuota, sospirò e cercò di imparare a memoria il numero della stanza.
Continuava a non capire perché non potesse semplicemente stare dai sui; la casa di Thunderbolt era a meno di mezz’ora dalla Sword & Cross. Era stato così bello tornare a Savannah, dove, come diceva sempre sua madre, perfino il vento soffia pigro. I ritmi dolci e lenti della Georgia le erano molto più vicini del New England.
La Sword & Cross non somigliava per niente a Savannah, però. Non somigliava a niente, tranne che a un posto senza vita e senza colore dove era stata mandata per decisione del tribunale. Aveva ascoltato di nascosto suo padre parlare al telefono con il preside, annuendo in quel suo modo svanito da professore di biologia, per poi dire: “Si, si, forse la cosa migliore per lei è essere costantemente sorvegliata. No, no, non intendiamo interferire con il vostro metodo.”
Era chiaro che suo padre non sapeva come sarebbe stata sorvegliata la sua unica figlia. Quel posto sembrava un carcere di massima sicurezza.
<< E cosa diceva di quelle… come le chiamate? Spie? >> chiese Selly alla custode, già pronta a concludere il giro.
<< Spie >> ripeté l’altra, indicando con un cenno un piccolo dispositivo appeso al soffitto: un obbiettivo con una lucina rossa intermittente. All’inizio Selly non l’aveva notato, ma non appena lo vide, si rese conto che erano ovunque.
<< Telecamere? >>
<< Molto brava >> rispose la custode, con la voce piena di finta comprensione. << Ve le segnaliamo per avvertirvi che vi tengono d’occhio sempre, dappertutto. Quindi non andare fuori di testa… se ci riesci. >>  
Ogni volta che qualcuno le parlava come se fosse una psicopatica, Selly si convinceva sempre un po’ di più di esserlo davvero.
I ricordi l’avevano tormentata per tutta l’estate, in sogno e nei rari momenti in cui i suoi genitori la lasciavano sola. Era successo qualcosa in quel bungalow, e tutti (lei compresa) morivano dalla voglia di sapere cosa. La polizia, il giudice, l’assistente sociale… tutti avevano cercato di cavarle fuori la verità, ma Selly ne sapeva quanto loro. Lei e Trevor si erano divertiti per tutta la sera, inseguendosi fino alla fila di casette in riva al lago, lontani dagli altri invitati alla festa. Selly aveva cercato di spiegare che era stata una delle più belle serate della sua vita, fin quando non si era trasformata nella peggiore.
Aveva rivissuto quella sera ancora e ancora – la risata di Trevor nelle orecchie, le sue mani che le cingevano la vita – cercando di conciliare i ricordi con il fatto ch il suo istinto le diceva di essere innocente.
Ma ora, tutte le regole della Sword & Cross  parevano andare contro quella sua convinzione, sembravano suggerire che lei era davvero pericolosa e che aveva davvero bisogno di essere tenuta sotto controllo.
Selly sentì una stretta salda sulla spalla.
<< Ascolta >> disse la custode. << Se può farti sentire meglio, ci sono casi ben peggiori, qui. >>
Era il primo gesto di umanità che mostrava nei suoi confronti, e Selly era certa che fosse dettato da buone intenzioni. Ma… l’avevano mandata laggiù a causa della morte sospetta del ragazzo di cui era innamorata e comunque c’erano “casi ben peggiori”? Selly si chiese con che cose avessero a che fare di preciso alla Sword & Cross.
<< Okay, fine dell’orientamento>> disse la custode. << Ora devi cavartela da sola. Ecco una mappa per trovare qualunque cosa ti serva. >> Le porse una fotocopia di una rozza cartina disegnata a mano, poi diede un’occhiata all’orologio. << Manca ancora un’ora alla tua prima lezione, ma ho già abbastanza gatte da pelare qui, quindi >> agitò la mano << sparisci. E non dimenticare >> aggiunse, indicando le telecamere un’ultima volta, << le spie ti tengono d’occhio.>>
Prima che Selly potesse ribattere, comparve una ragazza alta e bruna, che le agitò le lunghe dita davanti al viso.
<< Ooooooh >> cantilenò cupa, danzando in cerchio intorno a Selly. << Le spie ti tengono d’ooocchio! >>
<< Ilene! Vattene, altrimenti ti faccio lobotomizzare! >>  replicò la custode lasciandosi però sfuggire un sorriso fugace ma sincero, dal quale si capiva che per quella ragazza nutriva una sorta di ruvido affetto.
E si capiva anche che Ilene non lo ricambiava. Le fece un gesto osceno, poi fissò Selly con aria di sfida.
<< E con questo >> ribatté la custode, scribacchiando furiosa sul taccuino, << ti sei appena guadagnata il compito di portare a spasso Miss Sorriso oggi. >>
Indico Selly che, vestita di nero da capo a piedi, tutto sembrava tranne che sorridente. Nella sezione “Norme di abbigliamento” il sito della scuola assicurava che, fino a quando si fossero comportati bene, gli studenti erano liberi di vestirsi come volevano, con solo due piccole limitazioni: stile sobrio e colore nero. E la chiamavano libertà…
La maglia a lupetto troppo grande che sua madre le aveva imposto quella mattina le nascondeva le forme, e perfino la sua cosa più bella era scomparsa: i folti capelli neri, di solito lunghi fino alla vita, erano stati rasati.
L’incendio nella casetta le aveva bruciacchiato i capelli fino alla radice in alcuni punti, e dopo il lungo, silenzioso viaggio di ritorno a casa da Dover, sua madre l’aveva messa nella vasca da bagno, aveva preso il rasoio elettrico del marito e l’aveva rasata senza dire una parola.
Durante l’estate i capelli le erano ricresciuti un po’, ma quelle che una volta erano onde invidiabili spuntavano ora in bizzarri ciuffetti appena sotto le orecchie.
Ilene la esaminò, tamburellandosi con un dito le labbra pallide. << Perfetto >> disse, prendendo Selly sottobraccio. << Avevo proprio bisogno di una schiava nuova. >>
La porta dell’atrio si aprì, ed entrò il ragazzo dagli occhi nocciola. Scosse il capo e disse a Selly: << Qui non si fanno problemi a perquisirti. Quindi, se hai altra roba >> alzò il sopracciglio e buttò una manciata di oggetti disparati nella scatola, << risparmiati il fastidio. >>
Alle spalle di Selly, Ilene ridacchiò. Il ragazzo alzò la testa di scatto, e quando vide Ilene aprì la bocca, ma poi la richiuse incerto.
<< Ilene >> disse in tono neutro.
<< Bill >> replicò lei.
<< Lo conosci? >> sussurrò Selly, chiedendosi se anche negli istituti correzionali si formassero lo stesso tipo di gruppetti che c’erano nelle prep school come Dover.
<< Non ricordarmelo >> rispose Ilene trascinando Selly nel mattino grigio e nebbioso.
Sul retro, l’edificio principale dava su un marciapiede malmesso che costeggiava un campo incolto. L’erba era così alta da farlo sembrare più un terreno in vendita che uno spazio comune, ma un tabellone sbiadito e una serie di tribune di legno lasciavano intendere il contrario.
Oltre il prato c’erano quattro edifici dall’aria severa: il palazzo color cenere del dormitorio all’estrema sinistra, un’enorme, brutta chiesa all’estrema destra e nel mezzo delle due costruzioni, si disse Selly, dovevano essere le aule.
Ecco tutto. Il suo mondo era ridotto a quel triste panorama.
Ilene svoltò subito a destra e guido Selly verso il campo, facendola sedere su uno degli spalti   fradici. A Dover nello spazio comune c’erano sempre studenti delle Ivy League alle prese con gli allenamenti, e Selly aveva sistematicamente evitato di andarci. Ma quel campo vuoto, con i pali delle mete arrugginiti e deformati, raccontava una storia molto diversa, che Selly faceva fatica ad immaginare. Tre avvoltoi collorosso scesero in picchiata, e un vento triste agitò i rami nudi degli alberi. Selly rabbrividì e infilò il mento nel collo alto del lupetto.
<< Allooora >> disse Ilene. << Hai conosciuto Randy. >>
<< Avevo capito che si chiamasse Bill. >>
<< Non stavo parlando di lui, ma della “cosa” là dentro. >> Ilene indicò con un cenno l’ufficio dove avevano lasciato la custode, davanti alla tivù. << Allora, maschio o femmina? >>
<< Ehm, femmina? >> azzardò Selly. << E’ un test? >>
Ilene sorrise. << Il primo di una lunga serie. E tu l’hai passato. Almeno credo. Il sesso della maggior parte del corpo docenti è materia di dibattito in tutta la scuola. Non preoccuparti, entrerai anche tu nel giro. >>
Selly pensò che Ilene stesse scherzando… il che era fantastico. Ma lì era tutto diverso dalla Dover. Nella vecchia scuola, i futuri senatori, con le loro cravatte verdi e i capelli lisciati dal gel, in pratica scivolavano lungo i corridoi in quel signorile silenzio con cui il denaro sembrava avvolgere ogni cosa.
Molto spesso gli altri studenti di Dover le scoccavano occhiate del tipo “non toccare le pareti con quelle mani”.
Cercò di immaginare Ilene nella sua vecchia scuola: a perdere tempo sugli spalti, facendo battute volgari con la sua voce acuta. Cercò di immaginare che cosa avrebbe pensato Callie di lei. Non c’era nessuno come Ilene alla Dover Prep.
<< Okay, sputa il rospo >> ordinò Ilene. Si lasciò cadere sul sedile più alto, fece cenno a Selly di seguirla e chiese: << cos’hai fatto per finire qui? >>
L’aveva detto in tono scherzoso, ma Selly d’improvviso sentì che doveva sedersi. Era assurdo, ma aveva quasi sperato di superare il primo giorno di scuola senza che il passato l’aggredisse, strappandole via il suo strato sottile di calma. Ovviamente, però, gli altri volevano sapere.
Sentiva il sangue pulsare nelle tempie. Succedeva ogni volta che provava a ripensarci, a ripensare davvero a quella notte. Non aveva mai smesso di sentirsi in colpa per quello che era successo a Trevor, ma aveva anche cercato con tutte le sue forze di non farsi risucchiare dalle ombre, l’unica cosa che per il momento ricordava dell’incidente. Quelle sagome oscure e indefinibili di cui non avrebbe mai parlato a nessuno.
Aveva cominciato a raccontare a Trevor della strana presenza che sentiva, delle ombre informi che incombevano su di loro, minacciando di rovinare la loro serata perfetta. Ma ormai a quel punto era troppo tardi. Trevor era morto, il suo corpo ustionato a tal punto da non essere più riconoscibile, e Selly era… era… colpevole?
Nessuno sapeva delle sagome che vedeva a volte nelle tenebre. Venivano sempre da lei. Andavano e venivano da così tanto tempo che Selly non riusciva più a ricordarsi la prima volta in cui le aveva viste. Si ricordava però quando aveva capito che le ombre non venivano per tutti ma solo per lei.
Aveva sette anni ed era andata in vacanza con i suoi a Hilton Head. Sua madre e suo padre l’avevano portata a fare una gita in barca. Era quasi il tramonto quando le ombre avevano cominciato a riversarsi sull’acqua; lei si era voltata verso suo padre e aveva detto: “ Cosa fai quando arrivano, papà? Come fai a non avere paura dei mostri?”
Non c’era nessun mostro, le avevano assicurato i genitori, ma Selly aveva continuato ad insistere che sentiva una presenza oscura e indefinita, guadagnandosi così diverse visite dall’oculista e un paio di occhiali, a cui si aggiunsero alcuni appuntamenti dall’otorinolaringoiatra quando commise l’errore di descrivere il roco sibilo che a volte le ombre producevano, e infine la psicoterapia, ancora psicoterapia e gli psicofarmaci.
Ma niente era mai riuscito a scacciarle.
Quando compì quattordici anni, Selly rifiutò di prendere le medicine. Fu allora che trovarono il dottor Sandford, e anche la Dover School. Volarono nel New Hampshire, e suo padre guidò l’auto a noleggio lungo una strada piena di curve fino ad una tenuta in cima ad una collina. Selly si ritrovò davanti a un uomo con un camice bianco e si sentì chiedere se aveva ancora le sue “visioni”. Mentì e si comportò normalmente; le fu permesso di iscriversi alla Dover, di vedere il dottor Sandford solo due volte al mese e di smetterla di prendere quelle stupide pillole non appena cominciò a fingere di non vedere più le ombre. Ma non aveva il potere di non farle più apparire.
Si limitava però ad evitare i posti dove in passato erano venute per lei: fitte foreste, acque oscure.
Sapeva che il loro arrivo era preceduto da una sensazione nauseante accompagnata da un freddo inteso sotto la pelle.
Selly si mise a cavalcioni sugli spalti e si strinse le tempie con il pollice e il medio. Se voleva uscire indenne da quel primo giorno doveva nascondere il suo passato nelle pieghe della sua mente. Lei per prima non sopportava l’idea di cercare i ricordi di quella notte, e quindi per niente al mondo avrebbe spifferato i particolari macabri ad una sconosciuta fuori di testa.
Invece di rispondere si volse verso Ilene, che se ne stava stesa sulla gradinata, con un enorme paio di occhiali scuri a coprirle buona parte del viso. Selly non poteva esserne certa, ma pensò che anche Ilene doveva averla fissata, perché dopo un secondo si alzò di scatto e le sorrise.
<< Tagliami i capelli come i tuoi >> disse.
<< Cosa? >> reagì Selly. << I tuoi capelli sono bellissimi! >>
Era vero: Ilene aveva le ciocche lunghe e folte di cui Selly sentiva disperatamente la mancanza. I suoi capelli neri scintillavano al sole, appena screziati di rosso.
Selly si sistemò i capelli dietro le orecchie, anche se non erano ancora abbastanza lunghi e ricadevano sempre davanti.
<< E chi se ne frega >> ribatté Ilene. << I tuoi sono sexy, aggressivi. E li voglio anche io così. >>
<< Oh, ehm, okay >> disse Selly. Era un complimento? Non sapeva se sentirsi irritata o lieta da come Ilene sembrava dare per scontato di poter avere tutto ciò che voleva, anche se apparteneva a qualcun altro. << Dove prendiamo… >>
<< Ta-da!  >> Ilene cercò nella borsa e tirò fuori il coltellino svizzero rosa di Gabbe. << Be’? >> fece, guardando Selly. << Io metto sempre le mani sugli scarti dei nuovi studenti. E’ l’unica cosa che mi fa sopportare l’internamento… cioè… il campo estivo. >>
<< Tu hai passato tutta l’estate qui? >> disse Selly con un sussulto.
<< Ah! Una vera novellina. Magari ti aspettavi anche qualche giorno di vacanza in primavera. >> Tirò a Selly il coltello svizzero. << Non ce ne andiamo da questo inferno. Mai. Ora taglia. >>
<< E le spie? >> domandò Selly guardandosi intorno con il coltello in mano. Probabilmente c’erano telecamere anche lì fuori.
Ilene scosse il capo. << Mi rifiuto di essere amica di una mammoletta. Ce la fai o no? >>
Selly annui.
<< E non dirmi che non hai mai tagliato i capelli a nessuno prima d’ora. >> Ilene riprese il coltellino svizzero, estrasse le forbici e glielo porse di nuovo. << E la prossima cosa che voglio sentirti dire è: “stai benissimo”. >>
Selly raccolse i capelli di Ilene, li legò con un elastico di quelli che portava al polso, impugnò con forza le fobici e cominciò.
La coda cadde ai suoi piedi. Ilene trattenne il fiato e si voltò di scatto. La raccolse e la guardò contro sole. A Selly si strinse il cuore: soffriva ancora al pensiero dei capelli perduti, e di tutte le altre perdite che essi rappresentavano. Ma un lieve sorriso affiorò sulle labbra di Ilene. La ragazza passò le dita nella cosa, una volta sola, poi la mise in borsa.
<< Pazzesco >> disse. << Va’ avanti. >>
<< Ilene >> sussurrò Selly, prima di riuscire a trattenersi. << Hai il collo tutto… >>
<< … pieno di cicatrici? >> completò Ilene. << Puoi dirlo forte. >>
La ragazza prese la mano di Selly e se la premette sul collo. Era caldo e freddo allo stesso tempo. Morbido e ruvido.
<< Non mi fa paura >> disse. << A te si? >>
<< No >> rispose Selly, anche se desiderava che Ilene spostasse la sua mano per poter allontanare la sua.
<< Hai paura di chi si veramente, Selly? >>
<< No >> rispose di nuovo lei, d’impulso. Doveva essere evidente che stava mentendo. Chiuse gli occhi. Selly voleva solo poter ricominciare da capo, voleva un posto dove la gente non la guardasse come la stava guardando Ilene in quel momento.
<< Com’è successo? >> domandò, con lo sguardo rivolto verso il basso.
<< Quando ti sei chiusa a riccio sul perché ti trovi qui io non ti sono stata addosso >> rispose Ilene, aggrottando le sopracciglia.
Selly annuì.
Ilene indicò le forbici. << Aggiustali dietro, okay? Fammi bella. Fammi uguale a te. >>
Mentre lei cercava di sistemare la prima acconciatura che avesse mai fatto in vita sua, Ilene si immerse nelle complessità della vita alla Sword & Cross.
<< Quel palazzo è L’Augustine. E’ dove si tengono i cosiddetti Eventi del mercoledì sera. E le lezioni. >> Indicò una costruzione color denti ingialliti, due edifici più a destra del dormitorio. Era tetro e squadrato, una specie di fortezza, protetto dallo stesso filo spinato e le stesse sbarre alle finestre. Una nebbia grigia innaturale avvolgeva le mura come muschio: era impossibile capire se lì ci fosse qualcuno.
<< Ti avverto >> proseguì Ilene. << Odierai le lezioni. Non saresti umana altrimenti. >>
<< Perché? Cos’hanno che non va? >> domandò Selly.
Forse Ilene non amava la scuola in generale. Con le unghie smaltate di nero, la matita nera sugli occhi e la borsa nera che sembrava grande abbastanza solo per contenere il coltellino svizzero, non aveva proprio l’aria della secchiona.
<< Sono senz’anima >> rispose Ilene. << Peggio, ti strappano via la tua. Degli ottanta ragazzi che sono qui, direi che sono rimaste solo tre anime. >> Alzò gli occhi al cielo. << Ben nascoste comunque… >>
Non era una bella prospettiva. Ma fu qualcos’altro a colpire Selly. << Aspetta, ci sono ottanta ragazzi in tutta la scuola? >>
Ilene annuì e Selly, per errore, tagliò una ciocca di troppo. Per fortuna Ilene non se ne sarebbe accorta. << Otto classi, dieci ragazzi per classe. Vieni subito a sapere il peggio di tutti. >> disse Ilene.  << E viceversa. >>  << Immagino. >> commentò Selly mordendosi il labbro.
Ilene scherzava, ma Selly si domandò se la sua nuova amica sarebbe rimasta lì seduta con quel sorrisetto compiaciuto se avesse conosciuto il suo passato. Più a lungo lo teneva nascosto, meglio era. 
<< E ti consiglio di stare alla larga dai casi gravi. >>
<< Casi gravi? >>
<< Quelli con il braccialetto elettronico >> rispose Ilene.
<< Più o meno un terzo degli studenti. >>
<< Sarebbero quelli che… >>
<< Non ti ci immischiare. Fidati. >>
<< Be’, ma cosa fanno? >>
Selly voleva tener segreto il suo passato ma non le piaceva che Ilene la trattasse come una sempliciotta. << Oh, le solite cose >> cantilenò Ilene. << Istigazione e complicità in atti di terrorismo. Genitori fatti a pezzi e cucinati allo spiedo. >> Si voltò e le strizzò l’occhio.
<< Piantala. >> ribatté Selly
<< Non sto scherzando. I fuori di testa vengono sottoposti a restrizioni più severe di noi sfigati. Li chiamiamo gli ingabbiati. >>
Selly scoppiò a ridere per il tono teatrale che aveva usato Ilene.
<< Finito >> disse, aggiustandole i capelli con le dita per dar loro più volume. Le stavano davvero bene.
<< Cara >> ribatté Ilene. Si voltò verso Selly e quando si passò le dita tra i capelli le maniche del pullover ricaddero mostrando per un attimo una fascia nera con file di borchie argentate. E sull’altro polso un braccialetto dall’aria più… meccanica. Ilene si accorse che Selly l’aveva visto e alzò le sopracciglia con aria diabolica.
<< Te l’avevo detto >> sibilò. << Pazzi maledetti. >> Sorrise. << Dai, finiamo il giro. >>
Selly non aveva molta scelta. Scese dagli spalti e seguì Ilene, chinandosi quando uno degli avvoltoi collorosso si abbassò pericolosamente. Ilene parve non accorgersene, e indicò una chiesa coperta da licheni sulla destra del prato.
<< Da quella parte, potete ammirare la nostra modernissima palestra >> disse, con voce impostata da guida turistica.
<< Certo, a un occhio distratto può sembrare una chiesa. E infatti lo era. Qui alla Sword & Cross ci troviamo in una specie di inferno architettonico di seconda mano. Qualche anno fa uno strizzacervelli malato di aerobica è venuto qui a pontificare su quanto i giovani ipermedicalizzati rovinino la società. Ha donato alla scuola un mucchio di soldi perché trasformassero la chiesa in una palestra. Ora le Potenze del cielo ritengono che possiamo risolvere le nostre “frustrazioni” in un “modo più naturale e produttivo”. >>
Selly grugnì. Aveva sempre detestato fare ginnastica.
<< Oh, mia compagna di sventura >> la compatì Ilene.
<< Diante, l’insegnante di educazione fisica, è il Male. >>
Selly si mise a correre per tenere il passo di Ilene, e intanto si diede un’occhiata intorno. A Dover il parco era tenuto in modo splendido, ben curato e con gli alberi potati alla perfezione.
Quello della Sword & Cross sembrava una palude. C’erano salici piangenti con rami che toccavano fino a terra, tutti aggrovigliati, il kudzu cresceva sulle mura, e ogni tre passi si finiva in una pozzanghera.
E non era solo quello che si vedeva. L’umidità si attaccava ai polmoni a ogni respiro. Alla Sword & Cross respirare era come affondare nelle sabbie mobili.
<< Pare che gli architetti non siano riusciti a mettersi d’accordo mentre discutevano su come attualizzare lo stile delle vecchie accademie militari. Il risultato è una scuola metà tra un penitenziario e una sala delle torture medioevale.
E senza giardiniere. >> Ilene scrollò un po’ di melma dagli anfibi. << Disgustoso. Ah, ecco il cimitero. >>
Selly guardò nella direzione che Ilene le indicava, verso l’estrema sinistra del parco, subito dopo il dormitorio. Un manto di nebbia ancora più spesso incombeva su una zona cinta da mura.
 Era circondata su tre lati da un fitto bosco di querce. Non si riusciva a vedere oltre perché il cimitero sembrava sprofondare nel terreno, ma c’era puzza di marcio e si sentiva il canto delle cicale che ronzavano tra gli alberi. Per un attimo Selly credette di vedere il guizzo oscuro delle ombre… ma quando batté le palpebre, erano già scomparse.
<< Quello è un cimitero? >>
<< Già. Ai tempi della Guerra Civile questa era un’accademia militare, e là seppellivano i morti. Fa davvero venire i brividi. E Osanna! >> continuò Ilene, calcando in modo esagerato il suo finto accento del sud. << La puzza arriva fino all’alto dei Cieli. >> Le strizzò l’occhio. << Ci passiamo un sacco di tempo da quelle parti. >>
Selly la guardò per capire se stava scherzando. Ilene si limitò a scrollare le spalle.
<< Okay, è successo un’unica volta. E solo dopo un festino a base di pasticche. >>
Festini a base di pasticche… Anche Selly poteva di averne visti un paio.
<< Ah! >> Ilene scoppiò a ridere. << Ho visto una lice! Allora c’è qualcuno in casa. Be’, mia cara, sarai anche andata alle superfeste del liceo, ma non hai mai visto quelle dei ragazzi di un correzionale. >>
<< Che differenza c’è? >> domandò Selly sorvolando sul fatto che a Dover non era mai stata a una “superfesta”.
<< Vedrai. >> Ilene tacque e si voltò verso Selly. << Verrai da me stasera, vero? Verrai a trovarmi? >> A sorpresa, prese la mano di Selly. << Promesso? >>
<< Ma non mi avevi detto di stare lontana dai casi gravi? >> scherzò lei.
<< Regola numero due: non starmi a sentire! >> Ilene scoppiò a ridere scuotendo la testa. << Sono una pazza patentata! >>
Ricominciò a correre, con Selly alle calcagna.
<< Aspetta, ma qual era la regola numero uno? >>
<< Tieni il passo! >>
♦♦♦♦♦♦
Girato l’angolo dell’edificio color cenere, Ilene si fermò << Sangue freddo >> disse.
<< Sangue freddo >> ripeté Selly
Tutti gli studenti erano assiepati attorno agli alberi divorati dal kudzu fuori dal padiglione Augustine. Nessuno pareva proprio felice di stare lì fuori, ma allo stesso tempo nessuno sembrava pronto ad entrare.
A Dover non c’era un codice d’abbigliamento, quindi Selly non era abituata all’effetto uniforme. Eppure, sebbene tutti i ragazzi indossassero gli stessi jeans neri, lupetto nero e maglione nero sulle spalle o legato in vita, ognuno li indossava in modo diverso.
Un gruppetto di ragazze tatuate stavano in circolo a braccia conserte. Avevano braccialetti fino al gomito e bandane nere che a Selly ricordavano un film su una banda di motocicliste che aveva visto una volta. Una delle ragazze la fissò a sua volta e lo sguardo che le scoccò bastò a Selly per distogliere subito il suo.
Un ragazzo e una ragazza che si tenevano per mano avevano un teschio di paillettes con le ossa incrociate cucito sui maglioni neri. A ogni momento uno dei due attirava a sé l’altro per baciarlo sulla tempia.
Dietro agli innamorati, c’era un gruppo di ragazzi biondi, appoggiati contro il muro. Nonostante il caldo indossavano tutti i pullover, con sotto candide camicie Oxford  con il colletto alzato. I pantaloni neri cadevano perfettamente sulle scarpe lucide.
Ilene si accorse che Selly stava osservando gli altri ragazzi.
<< Facciamo tutti quello che possiamo per arrivare a fine giornata >> disse scrollando le spalle. << Ma in caso non ti fossi accorta degli avvoltoi che volano in circolo, questo posto puzza di morte. >>
Si sedette su una panchina sotto un salice e batté la mano accanto a sé per invitare Selly a fare altrettanto.
Selly spazzò via dalla panchina un mucchio di foglie appassite e si sedette. Fu allora che notò un’altra violazione del codice dell’abbigliamento.
Una violazione molto attraente.
Portava una sciarpa rosso acceso. Fuori non faceva affatto freddo, eppure indossava un giubbotto nero di pelle da motociclista sul pullover nero. Forse era perché era l’unica macchia di colore in tutto il parco, ma Selly non riusciva a distogliere lo sguardo. Al confronto tutto il resto impallidiva talmente che per un lungo istante Selly dimenticò dove si trovava.
Contemplò i suoi dreadlocks castano scuro legati in una coda disordinata e la pelle perfetta; gli zigomi alti, le labbra morbide e carnose, il neo sulla sua guancia.
In tutti i film che Selly aveva visto, in tutti i libri che aveva letto l’oggetto dell’amore era di una bellezza sconvolgente… tranne che per un piccolo difetto. Lei sapeva il perché: se l’eroe è troppo perfetto, rischia di essere inavvicinabile.
Avvicinabile o meno, Selly aveva sempre avuto un debole per il sublime. E il ragazzo davanti a lei lo era al cento per cento.
Si appoggiò contro il muro, con le braccia incrociate. E per un istante Selly ebbe la visione di se stessa avvolta da quelle braccia. Scosse la testa, ma la visione rimase così chiara che per poco non si alzò per raggiungerlo.
No. Era assurdo. Era un impulso folle perfino in una scuola di matti, si disse Selly. E poi, non lo conosceva nemmeno.
Stava parlando con un ragazzo più basso dai capelli color miele, gli occhi verdi e un sorriso a trentadue denti. Ridevano entrambi tanto forte e di gusto che Selly provò una strana gelosia. Cercò di ricordarsi da quanto tempo non rideva davvero.
<< Quello è Thomas Kaulitz >> disse Ilene chinandosi verso di lei, come se le avesse letto nel pensiero. << Mi sa che ha attirato l’attenzione di qualcuno… >>
<< “Attirato l’attenzione” è dire poco >> convenne Selly, pensando con imbarazzo alla figura che doveva avere appena fatto con Ilene.
<< Be’, se ti piace il genere. >>
<< E come potrebbe non piacere? >> ribatté Selly, senza riuscire a trattenersi.
<< Il suo amico si chiama Georg >> continuò Ilene, indicando il ragazzo con i capelli color miele. << E’ forte. E’ uno di quelli che sa come procurarsi le cose, mi spiego? >>
Mica tanto, pensò Selly mordendosi il labbro. << Cose di che tipo? >>
Ilene scrollò le spalle, e tagliò via un filo che pendeva da uno strappo nei jeans con il coltellino svizzero. << Cose e basta. Del tipo chiedi – e – ti – sarà – dato. >>
<< E Thomas? >> domandò Selly << Come è finito qui? >>
<< Oh, sei una che non molla, eh? >> Ilene scoppiò a ridere, poi si schiarì la voce. << Nessuno lo sa. Thomas coltiva alla perfezione la sua immagine di uomo del mistero. Potrebbe essere il tipico stronzo da correzionale. >>
Guardò di nuovo Thomas. Lui si tolse gli occhiali e li infilò nel giubbotto, e poi si voltò verso di lei.
I loro sguardi si incrociarono. Selly lo vide spalancare gli occhi e poi socchiuderli, come se fosse stato sorpreso. Ma no, era qualcosa di più di una semplice sorpresa. Quando gli occhi di Thomas catturarono i suoi, Selly rimase senza fiato. Era sicura di averlo già visto da qualche parte, anche se non sapeva dire dove.
Eppure, era impossibile che si fosse dimenticata di aver conosciuto un ragazzo così. Era impossibile che si fosse dimenticata di essersi sentita tanto scossa quanto lo era adesso.
Thomas le sorrise, e solo allora Selly si rese conto che non avevano mai smesso di guardarsi. Un fiotto di calore la attraversò e la ragazza dovette aggrapparsi alla panchina per sostenersi. Sentì le sue labbra scattare a loro volta in un sorriso, ma poi Thomas alzò la mano.
E le mostrò il medio.
Selly rimase senza fiato e abbassò lo sguardo.
<< Che c’è? >> chiese Ilene, che evidentemente non si era accorta di niente. << Non importa, non c’è tempo. Ecco la campanella. >>
La campanella suonò come al suo comando, e tutti gli studenti si avviarono lenti verso l’edificio. Ilene la trascinò per un braccio senza smettere di darle indicazioni su dove incontrarsi e quando. Ma Selly era ancora sotto shock per essere stata mandata a farsi fottere da un perfetto sconosciuto. Il suo delirio momentaneo su Thomas era svanito e l’unica cosa che voleva sapere era: che problemi aveva quel tizio?
Appena prima di immergersi nella sua prima lezione trovò il coraggio di voltarsi. Il viso di Thomas non tradiva alcuna espressione, ma non c’erano dubbi: la stava seguendo con lo sguardo.
 

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Capitolo 2
*** Perfetto per essere legato ***


Due
♦♦♦
PERFETTO PER ESSERE LEGATO
 
Selly aveva un foglietto con l’orario, un quaderno mezzo vuoto che aveva cominciato l’anno prima al corso di Storia dell’Europa, due matite numero due, la sua gomma da cancellare preferita e la sgradevole sensazione che Ilene avesse ragione a proposito delle lezione alla Sword & Cross.
L’insegnante doveva ancora materializzarsi, i banchi sgangherati erano disposti a casaccio, e l’armadietto della cancelleria era bloccato da pile e pile di scatole impolverate.
Ma la cosa peggiore era che nessuno degli altri ragazzi sembrava far caso al disordine. In effetti, nessuno sembrava essersi accorto di essere in un aula. Erano tutti riuniti vicino alle finestre, chi a tirare l’ultima boccata di sigaretta, chi a sistemarsi le spille da balia sulla maglietta.
Solo Todd era seduto al banco, su cui incideva qualcosa di complicato con la penna. I nuovi arrivati sembravano aver già trovato il proprio posto: Bill era circondato dai ragazzi con le camicie Oxford, Gabbe stringeva la mano della ragazza con il piercing alla lingua che fino a poco prima aveva pomiciato con il ragazzo con il teschio sul maglione. Selly si sentì stupidamente invidiosa. Non riuscì a trovar di meglio che sedersi accanto all’inoffensivo Todd.
Ilene volteggiò in mezzo agli altri, sussurrando cose che Selly non capì, come una specie di principessa dark. Quando passò accanto a Bill, lui le arruffò i capelli corti.
<< Bel ciuffo, Ilene. >> Ammiccò, tirandole una ciocca sulla nuca. << Complimenti allo stylist. >>
Ilene gli allontanò la mano. << Giù le mai, Bill. Che è come dire: levatelo dalla testa. >> Indicò Selly con un cenno del capo. << E comunque, puoi fare i complimenti alla mia nuova amichetta laggiù. >>
Bill si voltò verso Selly, con gli occhi nocciola che scintillavano, quasi dorati. Selly si irrigidì. << Penso proprio che lo farò >> ribatté lui e le si avvicinò.
Le sorrise. Selly sedeva composta, le caviglie incrociate sotto la sedia, le mani incrociate sopra il banco, quasi del tutto ricoperto di graffiti.
<< Noi novellini dobbiamo restare uniti >> disse.
<< Ma io avevo capito che tu eri già stato qui. >>
<< Non devi credere a tutto quello che ti dice Ilene. >>
Si voltò per scoccarle un’occhiata, e lei lo guardò sospettosa dalla sua posizione accanto alla finestra.
<< Oh no, lei non mi ha detto nulla di te >> ribatté subito Selly, cercando di ricordare se era vero o no. Era chiaro che Ilene e Bill non si piacevano, e anche se Selly era grata ad Ilene per averla accompagnata in giro quella mattina, non era ancora pronta a schierarsi.
<< Ricordo, quando ero un novellino… la prima volta. >> Rise tra sé. << La band in cui suonavo si era appena sciolta e mi sentivo perso. Non conoscevo nessuno. Mi sarebbe piaciuto avere qualcuno a farmi da guida senza secondi fini. >> Scoccò un’altra occhiata ad Ilene.
<< Davvero? E tu non hai secondi fini? >> ribatté Selly sorpresa per il tocco di malizia nella sua voce.
Sul viso di Bill si allargò un sorriso. Alzò il sopracciglio e rispose << E pensare che non volevo tornare qui. >>
Selly arrossì. In genere i tipi come lui non le piacevano, ma in effetti nessuno di loro aveva mai spostato il banco così vicino al suo,né si era mai seduto accano a lei, guardandola con occhi così intensi. Bill si frugò in tasca e ne recuperò un plettro con impresso sopra il numero 44.
<< E’ il numero della mia camera. Passa quando vuoi. >>
Ilene strinse con forza la mano sulla spalla di Bill. << Scusami, forse non mi sono spiegata. Questa me la sono già accaparrata io. >>
Bill grugnì, e fissando Selly diritto negli occhi disse: << Ma guarda, e io che credevo che esistesse ancora il libero arbitrio. Forse la tua amichetta ha già in mente che strada prendere. >>
Selly aprì la bocca per dire che sì, lei aveva in mente eccome la strada da prendere, ma era il suo primo giorno, e stava ancora cercando di orientarsi. Era appena riuscita a formulare le parole nella propria testa che la campanella suonò di nuovo, e il gruppetto davanti al banco di Selly si sciolse.
Gli altri ragazzi occuparono i banchi attorno al suo.
Selly, seduta composta al proprio posto, sbirciava la porta. In cerca di Tom.
Con la coda dell’occhio video che Bill la guardava furtivo. Era lusingata. E nervosa, in collera con se stessa. Tom? Bill? Da quanto era in quella scuola, quarantacinque minuti? E già fantasticava su due ragazzi diversi. Se era finita in quella scuola, era proprio perché la storia con l’ultimo ragazzo che le era piaciuto aveva portato a una catastrofe.
Doveva assolutamente evitare di prendersi una cotta (anzi due!) il primo giorno di scuola.
Guardò Bill, che le strizzò l’occhio e si passò la mano trai capelli scuri. A parte la bellezza sconcertante, sembrava davvero un tipo utile da conoscere. Come lei, doveva ambientarsi, ma aveva già frequentato la Sword & Cross in passato. Ed era gentile. Selly ripensò al plettro con il numero della stanza, sperando che non lo distribuisse allegramente a tutti. Forse potevano diventare… amici. Forse non aveva bisogno d’altro. Forse con accanto un tipo come Bill avrebbe smesso di sentirsi così fuori posto alla Sword & Cross.
Forse sarebbe riuscita a sorvolare sul fatto che l’unica finestra dell’aula era grande come una busta della spesa impastata di calce, e dava su un enorme mausoleo nel cimitero.
Forse sarebbe riuscita a dimenticare il pungente odore di acqua ossigenata che proveniva dai capelli della ragazza punk seduta davanti a lei.
Forse sarebbe riuscita a prestare attenzione al rigido insegnante con i baffi che entrò nell’aula, ordinò alla classe di sedersi composti e chiuse bene la porta.
Un pizzico di delusione le strinse il cuore. Le ci volle un attimo per capire il perché: finché la porta era rimasta, aveva nutrito la speranza che alla sua prima lezione ci sarebbe stato anche Tom.
Che cosa c’era nell’ora successiva, francese? Selly guardò l’orario per controllare in che aula fosse. In quel momento, un’aeroplanino di carta planò sotto i suoi occhi, superò il banco e cadde sul pavimento accanto alla sua borsa. Controllò se qualcuno se ne fosse accorto, ma l’insegnante era occupato a maciullare un gessetto scrivendo alla lavagna.
Selly guardò nervosa alla sua sinistra. Bill le strizzò l’occhio e fece un gesto malizioso che la fece irrigidire.
Ebbe però l’impressione che lui non centrasse nulla con l’aeroplanino e che non l’avesse nemmeno notato.
<< Pssst >> sussurrò qualcuno dietro di lui. Ilene accennò con il mento all’aeroplanino. Selly si chinò per raccoglierlo e vide il suo nome scritto in piccolo sull’ala. Il suo primo bigliettino!
Hai già voglia di uscire?
Non è un buon segno.
Staremo in questo girone infernale fino all’ora di pranzo.

Doveva essere uno scherzo. Selly ricontrollò l’orario e si accorse con orrore che tutt’e tre le lezioni si sarebbero tenute nell’aula 1… e per tutt’e tre le ore ci sarebbe stato lo stesso insegnante, Mr. Cole.
Mr. Cole si allontanò dalla lavagna e cominciò a camminare tra i banchi distribuendo fasci di fogli graffettati  a tutti. Selly si chinò a leggere. C’era scritto “Storia del mondo. Come evitare la rovina dell’umanità”. Le bastò un’occhiata più accurata per capire che cosa intendesse Ilene con “girone infernale”: un impossibile carico di letture, COMPITO IN CLASSE scritto in grosse lettere nere e un teme di trenta pagine. Spesse parentesi nere evidenziavano i compiti delle prime settimane che Selly aveva perso.
Se c’era un altro modo per spremere via l’anima, penso Selly, meglio non scoprirlo.
Almeno c’era Ilene seduta nella fila accanto. Selly era contenta che la pratica bigliettini fosse già stata inaugurata, ma per riuscire a mandarne uno doveva assolutamente imparare a fare gli aeroplanini di carta. Strappò un foglio di carta e cercò di imitare quello di Ilene.
Era impegnata da qualche minuto a piegare la carta senza successo. Quando un altro aeroplanino planò sul suo banco. Si voltò verso Ilene che scosse la testa e alzò gli occhi come a dire: “Hai ancora un sacco da imparare.”
Selly fece un gesto di scuse e recuperò il secondo bigliettino:
 
Ah, e finché non sei sicura del fatto tuo, non spedire nessun messaggio Tom – centrico dalla mia parte. Il tipo alle tue spalle è un celebre intercettatore, anche sul campo da football.

Buono a sapersi. Non l’aveva nemmeno visto entrare, quel Georg amico di Tom. Si girò appena finché non intravide i capelli lunghi colore miele, lanciò un’occhiata sul suo banco e lesse il nome completo sul quaderno. Georg Listing.
<< Niente bigliettini >> tuonò Mr. Cole, e lei si voltò di scatto. << Non si copia e non si sbircia il compito degli altri. Non ho fatto il dottorato per stare qui con un branco di studenti distratti. >>
Selly annuì i perfetta sincronia con gli altri, proprio mentre un terzo aeroplanino atterrava sul suo banco.
Solo 172 minuti alla fine!

♦♦♦♦♦♦
 
Centosettantatre di minuti di tortura più tardi, Ilene stava accompagnando Selly in mensa. << Allora? >> domandò. << Avevi ragione >> rispose Selly, intontita dopo tre ore parecchio lugubri. << Perché insegnare una materia così deprimente? >>
<< Oh, Cole si rilasserà presto. Ha messo su la faccia “niente – scherzi” come fa sempre quando ci sono i novellini. E comunque >> Ilene le diete di gomito, << poteva andare peggio. Potevi rimanere incastrata con Ms. Tross. >>
Selly guardò l’orario. << Quella di biologia. Ce l’ho oggi pomeriggio. >> disse con un vuoto allo stomaco.
Mentre Ilene scoppiava a ridere, Selly si sentì urtata da dietro. Era Bill, che, diretto anche lui in mensa, aveva cercato di superarle. Selly barcollò, lui tese il braccio e l’afferrò.
<< Presa. >> Le rivolse un breve sorriso e Selly si chiese se non l’avesse fatto apposta. Ma non sembrava un tipo così infantile. Guardò Ilene per vedere se anche lei lo aveva notato. Ilene alzò le sopracciglia come per invitarla a parlare ma nessuna delle due disse niente.
Mentre attraversavano le polverose porte a vetri che separavano il lugubre corridoio dalla lugubre mensa, Ilene prese Selly per il gomito.
<< Evita a tutti i costi il petto di pollo fritto >> le suggerì, seguendo la folla nel frastuono della sala. << La pizza è buona, il chili pure e anche il borscht non è male. Ti piace il polpettone al sugo? >>
<< Sono vegetariana >> rispose Selly.
Scoccò un’occhiata ai tavoli alla ricerca di due persone in particolare. Tom e Bill. Sapendo dov’erano, si sarebbe sentita più a suo agio, perché così poteva mangiare fingendo di non vedere ne l’uno ne l’altro. Ma per il momento, nessuno dei due era in vista…
<< Vegetariana, eh? >> Ilene strinse le labbra. << Genitori hippie o è un tuo timido atto di ribellione? >>
<< Ehm, né l’uno né l’altro, è solo che… >>
<< … non ti piace la carne? >> Ilene la afferrò per le spalle e la fece voltare in modo che vedesse Tom, seduto dall’altra parte della sala. Selly espirò lentamente. << Tutta la carne? >> cantilenò Ilene a voce alta. << Vuoi dirmi che a quello lì un morso non glielo daresti? >>
Selly la trascinò verso la fila. Ilene rideva a crepapelle, Selly, invece era arrossita con violenza, e sotto le luci al neon si notava in maniera spaventosa.
<< Sta’ zitta, ti ha sentito di sicuro. >> le sussurrò.
Una parte di lei era felice di poter scherzare sui ragazzi con un amica, Sempre se Ilene si potesse definire tale.
Si sentiva ancora sottosopra per l’incidente - Tom  di quella mattina. Non capiva da dove venisse quell’attrazione verso di lui, ma di sicuro la avvertiva di nuovo. Si costrinse a staccare gli occhi da quei dreadlocks scuri, dalla linea morbida della sua mascella. Non voleva farsi sorprendere a guardarlo. Non voleva dargli un’altra possibilità di mandarla a farsi fottere.
<< Ma figurati >> la canzonò Ilene. << E’ così preso da quell’hamburger che non sentirebbe arrivare il diavolo in persona. >> Con un cenno indicò Tom, che in effetti sembrava concentratissimo sul cibo. O meglio sembrava che stesse fingendo di essere concentratissimo sul cibo.
Con la coda dell’occhio, Selly notò che seduto al tavolo con Tom c’era Georg. E che in quel momento lui la stava fissando. Quando i loro sguardi si incrociarono, Georg mosse le sopracciglia in un modo che Selly non capì, ma che la spaventò un po’.
Selly si voltò di nuovo verso Ilene. << Ma perché in questa scuola tutti fanno venire i brividi? >> le chiese.
<< Cercherò di non offendermi >> rispose Ilene, poi prese un vassoio di plastica per sé e ne allungò uno a Selly. << Ti spiegherò l’arte raffinata della scelta del posto qui in mensa. Dammi retta, meglio evitare come il fuoco di sederti vicino a… Selly, attenta! >>
Selly aveva fatto solo un passo indietro, ma all’improvviso sentì due mani che le davano un violento spintone. In un attimo realizzò che stava per cadere. D’istinto tese le mani in cerca di un sostegno, ma riuscì ad aggrapparsi al vassoio pieno di un altro studente. Il cui contenuto cadde a terra insieme a lei. Cadde con un tonfo e una scodella di borscht le si rovesciò in faccia.
Non appena riuscì a togliersi dagli occhi quella roba molle, Selly levò lo sguardo. Su di lei incombeva la fatina più furiosa del mondo. Aveva capelli ossigenati, da punk, almeno dieci piercing sul volto e uno sguardo omicida. Mostrò i denti e sibilò: << Se la tua faccia non mi avesse fatto passare la fame, ti obbligherei a pagarmi il pranzo. >>
Selly balbettò una scusa. Cercò di alzarsi, ma la ragazza le piantò il tacco a spillo sul piede. Il dolore le saettò su per la gamba, e Selly dovette mordersi  le labbra per non urlare.
<< Fammi un buono per la prossima volta >> disse la ragazza.
<< Basta, Molly >> disse fredda Ilene. Aiutò Selly a rimettersi in piedi.
Selly sussultò. Il tacco a spillo le avrebbe lasciato un livido.
Molly si piantò davanti ad Ilene. Selly pensò che non doveva essere la prima volta che quelle due si scontravano.
<< Già amica dei novellini, vedo >> ringhiò. << Molto male, I. Non eri in libertà vigilata? >>
Selly rimase senza parole. Ilene non aveva mai detto di essere in libertà vigilata, e non aveva senso che quella restrizione le impedisse di farsi degli amici. Ma ad Ilene bastò sentire quelle due parole per scattare, serrare la mano e tirare un pungo a Molly diritto sull’occhio.
Molly indietreggiò, ma fu Ilene ad attirare l’attenzione di Selly. All’improvviso fu scossa dalle convulsioni, e alzò le braccia agitandole.
Era il braccialetto elettronico, intuì Selly, orripilata.
Stava  trasmettendo impulsi elettrici al corpo di Ilene.
Incredibile. Era una punizione crudele, inaccettabile. Le si torse lo stomaco nel vedere come le scosse facevano sussultare l’amica. Scattò in avanti per afferrarla prima che cadesse a terra.
<< Ilene >> bisbigliò. << Tutto bene? >>
<< Da dio. >> Gli occhi scuri di Ilene si aprirono, poi si richiusero.
Selly trattenne il respiro. Poi Ilene aprì di nuovo un occhio. << Paura, eh? Ah, che dolce che sei. Non preoccuparti, le scariche non mi ammazzano >> sussurrò. << Mi rendono più forte. E comunque, ne valeva la pena per fare un occhio nero a quella stronza, no? >>
<< Okay, fermi tutti, fermi tutti >> tuonò dietro di loro una voce roca.
Randy apparve sulla soglia, con la faccia rossa e il fiatone. Ormai è tutto finito, pensò Selly, ma poi Molly marciò verso di loro, i tacchi a spillo che ticchettavano sul linoleum. Quella ragazza era sfrontata. Avrebbe davvero preso Ilene a calci davanti a Randy?
Per fortuna, Randy afferrò il polso di Molly, che cercò di divincolarsi e cominciò a strillare.
<< Chi sa qualcosa, parli >> Abbaiò Randy. << Anzi no, vi sbatto tutte e tre in punizione. Domani. Al cimitero. All’alba. >>
Guardò Molly << Ti sei data una calmata? >>
Molly annuì, rigida, e la guardiana la lasciò andare; poi si chinò accanto a Selly, che sosteneva Ilene, con le braccia incrociate sul petto. Al’inizio parve offesa, come un cane feroce con un collare stretto, ma poi percepì una scossa e capì che Ilene era ancora in balia del braccialetto elettronico.
<< Avanti >> disse Randy, più dolcemente << Andiamo a spegnerti. >>
Tese la mano ad Ilene e l’aiutò ad alzarsi nonostante i sussulti. Sulla porta si voltò per ripetere gli ordini a Selly e Molly.
<< All’alba! >>
<< No vedo l’ora >> cinguettò Molly, e poi si chinò a prendere il piatto caduto dal vassoio.
Lo tenne un attimo sopra la testa di Selly, poi lo girò e le spiaccicò ben bene tutto il polpettone. Selly si sentì sprofondare dalla vergogna. Tutta la Sword & Cross guardava la nuova arrivata riscoperta di sugo.
<< Impagabile >> commentò Molly, estraendo una sottilissima macchina fotografica argentata dalla tasca di dietro dei pantaloni. << Di’… polpettone >> cantilenò scattando un paio di primi piani. << Queste foto staranno benissimo sul mio blog. >>
<< Bel cappello >> sghignazzò qualcuno dall’altra parte della mensa. Poi, con trepidazione, Selly si voltò verso Tom, pregando che per chissà quale ragione avesse perso l’intera scena. Ma ovviamente non era così. Scuoteva la testa con aria seccata.
Fino a quel momento Selly aveva pensato di andare avanti e scrollarsi il cibo di dosso, ma la reazione di Tom la mandò in pezzi.
Non avrebbe pianto di fronte a nessuno di quei mostri. Deglutì, si rialzò e uscì. Corse verso la porta più vicina, ansiosa di sentire un soffio di aria fresca sul viso. Il senso di nausea che le strinse lo stomaco parlava chiaro: era arrivata al capolinea, e non aveva via d’uscita. La Sword & Cross era tutto ciò che le rimaneva: poteva essere deprimente ma era così.
Affondò il viso tra le mani, consapevole di dover tornare indietro. Ma quando rialzò la testa, le dita unte le ricordarono che era ancora imbrattata di polpettone. Prima tappa: il bagno più vicino.
Tornata dentro Selly si infilò nel bagno comune. Senza guardarsi allo specchio aprì il rubinetto, si gettò in faccia l’acqua fresca e finalmente si lasciò andare. Il viso inondato dalle lacrime, Selly premette il beccuccio del dispenser e con un po’ di sapone rosa accesso si lavò via il polpettone. Ma il problema erano i capelli, e i vestiti, che senz’altro avevano avuto un aspetto e un odore migliore.
La porta del bagno si aprì e Selly si addossò al muro come un animale in trappola. Entrò un ragazzo che non aveva mai visto, e Selly si irrigidì, già pronta al peggio.
Non era tanto alto, e sembrava più grosso di quello che era per via dell’enorme quantità di vestiti che si era infilato uno sull’altro. Aveva i capelli biondissimi e un paio di occhiali neri gli incorniciavano il viso rotondo. Nascondeva le mani dietro la schiena, il che, visto com’era andata la mattinata, non prometteva niente di buono.
<< Non puoi stare qui senza un pass, sai? >> disse il ragazzo con un tono piatto, da inserviente.
<< Si. >> Lo sguardo del ragazzo confermò il sospetto di Selly: era impossibile avere tregua in quel posto. Sospirò, rassegnata. << Volevo solo… >>
<< Scherzavo. >> Il ragazzo scoppiò a ridere, alzò gli occhi al cielo, si rilassò. << Ho fregato un po’ di shampoo dagli spogliatoi per te >> aggiunse, rivelando due innocui flaconi di shampoo e balsamo. Poi prese una vecchia sedia pieghevole. << Dai, vediamo di darti una ripulita. Siediti. >>
Selly si lasciò sfuggire un verso a metà tra un gemito e una risata. Immaginò che fosse sollievo. Il ragazzo era gentile con lei. Non correzionale – gentile, ma normalmente gentile! E senza un motivo apparente. Un vero shock.
<< Grazie… >> disse, esitante, ancora sulla difensiva.
<< Oh, e direi che hai bisogno di un cambio >> proseguì il ragazzo sfilandosi il pullover nero; sotto ne aveva uno identico. << Be’? >> fece, quando vide l’espressione stupita di Selly. << Ho un sistema immunitario che fa schifo. Devo mettermi un sacco di strati. >>
<< Ah, ehm, e sei sicuro che puoi togliertene uno? >> si costrinse a chiedergli Selly, anche se avrebbe fatto qualunque cosa pur di togliersi il polpettone di dosso.
<< Ma certo >> rispose il ragazzo, agitando una mano. << Ne ho altri tre sotto! E un altro paio nell’armadietto. Offro io. Mi fa star male vedere una vegetariana ricoperta di carne. Sono molto empatico. >>
Selly si chiese come facesse quel ragazzo a conoscere le sue preferenze alimentari, ma c’era una domanda che le premeva di più in quel momento. << Ehm, perché sei così gentile? >>
Il ragazzo rise, sospirò e scosse il capo. << Non tutti alla Sword & Cross sono Lordi e Truci. >>
<< Eh? >>
<< Sword & Cross… Lordi e Truci. Uno dei giochetti di parole mosci che si sono inventati in città su questa scuola. Ti risparmierò gli altri, quelli per niente mosci. >>
Selly scoppiò a ridere.
<< Volevo dire che non tutti qui sono stronzi galattici. >>
<< Solo la maggior parte? >> chiese Selly, odiandosi per essere già così negativa. Ma era stata una mattinata lunghissima, ne aveva passate troppe e forse quel ragazzo le avrebbe perdonato un po’ di malumore.
Con suo grande stupore, l’altro sorrise. << Esatto. E sono sicuro che ci avranno affibbiato nomignoli peggiori. >> Le tese la mano. << Sono Gustav, Klaus, Wolfgang Schäfer. Chiamami Gustav. >>
<< D’accordo >> Disse Selly, ancora troppo scossa per notare che in una vita precedente avrebbe dovuto trattenersi dal ridere di fronte a quel nome, che sembrava essere saltato fuori da un romanzo di Dickens. E a maggior ragione, la persona che con un nome del genere riusciva a presentarsi senza battere ciglio era certamente degna di fiducia.
<< Selene Price. >>
<< Ma tutti ti chiamano Selly >> Aggiunse Gustav. << E ti sei trasferita qui da Dover Prep nel New Hampshire. >>
<< E tu come lo sai? >> chiese Selly quasi scandendo le parole.
<< Ho tirato a indovinare. >> Gustav si strinse nelle spalle.
<< Scherzo. Ho letto il tuo fascicolo. E’ il mio hobby. >>
Selly era senza parole. Forse il giudizio positivo era stato un po’ affrettato. Come aveva fatto Gustav a leggere il suo fascicolo?
Intanto il ragazzo aprì il rubinetto. Quando l’acqua fu calda fece cenno a Selly di mettere la testa nel lavandino.
<< Vedi, io no sono pazzo >> spiegò Gustav. Le sollevò la testa. << Senza offesa. >> La fece chinare all’indietro.
<< Sono l’unico a non essere in questa scuola per mandato del tribunale. E forse non ci crederai, ma essere certificato sano di mente ha i suoi vantaggi. Per esempio, sono l’unico di cui si fidano per il lavoro d’ufficio. Il che è stupido da parte loro, perché mi da accesso a un sacco di roba riservata. >>
<< Ma se non devi stare qui… >>
<< Quando tuo padre è il giardiniere della scuola, in qualche modo devono tenerti gratis. E quindi… >> La voce di Gustav si affievolì.
Il padre di Gustav era il giardiniere della scuola? A guardarsi intorno, non le era minimamente passato per la testa che in quel posto ci fosse un giardiniere.
<< Lo so a cosa stai pensando >> disse Gustav, aiutandola a lavare via il sugo dai capelli. << Non è proprio un giardino curato. >>
<< Non è vero >> mentì Selly. Non voleva che Gustav la prendesse in antipatia. << E’, ehm, molto bello. >>
<< Papà è morto due anni fa >> rispose Gustav a bassa voce.
<< Mi hanno messo sotto la tutela legale del decrepito preside Udell, ma ecco, non hanno mai cercato un vero e proprio sostituto per mio padre. >>
<< Mi dispiace >> disse Selly, abbassando la voce a sua volta. Almeno non era l’unica a saper che cosa vuol dire aver perso qualcuno di importante.
<< Grazie >> rispose Gustav versandosi il balsamo sulla mano. << Tutto sommato è un’ottima scuola. Mi pace moltissimo. >>
Selly tirò su la testa di scatto << Sicuro di non essere pazzo? >>
<< Scherzo. La odio. E’ uno schifo totale. >>
<< Ma non puoi andartene? >> chiese Selly, chinando la testa da un lato, curiosa.
Gustav si morse il labbro. << E’ un po’ morboso, lo so, ma anche se non fossi costretto a stare con Udell, rimarrei alla Sword & Cross. Mio padre è sepolto qui. >> Indicò il cimitero con un cenno. << E’ tutto quello che ho. >>
<< Probabilmente hai più tu di tanti altri qui dentro. >> disse Selly pensando ad Ilene. Le tornò in mente il modo in cui Ilene le aveva stretto la mano quella mattina al campo, il lampo nei suoi occhi quando le aveva fatto promettere di passare da lei, quella sera.
<< Starà bene, vedrai >> disse Gustav. << Non sarebbe lunedì se Ilene non venisse portata in infermeria dopo una crisi. >>
<< Ma non è stata una crisi >> ribatté Selly. << E’ stato il braccialetto elettronico. L’ho visto. Le ha dato una scossa. >>
<< Qui da noi esiste una definizione ampia del concetto di “crisi”. Hai presente Molly, la tua nuova nemica? Le sue crisi sono leggendarie. Continuano a dire che le cambieranno le pasticche. Spero proprio di assistere a un attacco come si deve, prima che lo facciano. >>
Gustav era parecchio intelligente. Per un attimo Selly pensò di chiedergli di Tom, ma poi si disse che era meglio tenere segreta la complicata intensità del suo interesse per lui. Almeno finché non ne fosse venuta a capo.
Sentì le mani di Gustav strizzarle i capelli.
<< Ecco >> disse. << Niente più carne. >>
Selly si guardò allo specchio e si ravviò i capelli. Gustav aveva ragione: ferite nell’animo e dolore al piede a parte,non c’era più traccia della rissa con Molly.
<< Per fortuna hai i capelli corti >> disse Gustav. << Se fossero ancora lunghi come nella foto del tuo fascicolo ci avremmo messo un sacco di tempo. >>
Selly lo fissò << Mi sa che è meglio tenerti d’occhio. >>
Gustav la cinse con un braccio e la accompagnò fuori dal bagno. << Prendimi per il verso buono e nessuno si farà male. >>
Selly gli scoccò un’occhiata preoccupata, ma Gustav rimase impassibile. << Stai scherzando, vero? >> Gustav sorrise, all’improvviso allegro. << Dai, dobbiamo andare a lezione. Siamo nella stessa classe oggi pomeriggio, sei contenta? >>
Selly sorrise. << Quando la smetterai di sapere tutto di me? >>
<< Non nel prossimo futuro >> rispose Gustav, spingendola nell’atrio e poi verso le aule nell’edificio color cenere. << Ti piacerà un sacco, te lo prometto. Non è male avere un’ amico influente come me. >>

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Capitolo 3
*** Il buio si avvicina ***


Tre
 
♦♦♦

IL BUIO SI AVVICINA
 
Selly camminava lungo il corridoio umido che portava alla sua stanza, trascinandosi dietro la sacca da viaggio rossa con la cinghia rotta. I muri erano color lavagna impolverata e tutto era stranamente silenzioso, tranne per il cupo ronzio delle lampade al neon gialle che pendevano dal controsoffitto pieno di macchie di umidità.
A stupirla erano soprattutto le tante porte chiuse. A Dover, con tutte le feste che organizzavano, era impossibile avere un po’ di privacy e tranquillità. Non riuscivi a raggiungere la tua stanza senza inciampare in un raduno di ragazze sedute a gambe incrociate – tutte con jeans coordinati – o in coppiette che si sbaciucchiavano appoggiate al muro.
Ma alla Sword & Cross… be’, o stavano già tutti facendo il tema di trenta pagine… oppure si socializzava solo dietro le porte chiuse.
Tra l’altro, le porte erano davvero fantastiche. Se gli studenti si erano dimostrati creativi nel violare il codice di abbigliamento, diventavano davvero ingegnosi nella personalizzazione degli spazi.
C’era una porta con una tendina di perline rosa, e più avanti, una con uno zerbino che doveva essere sensibile al movimento, perché al passaggio di Selly vi apparve la scritta MUOVI IL CULO.
Selly si fermò davanti all’unica porta spoglia dell’edificio. Stanza 63. Casa amara casa. Frugò nella tasca dello zaino alla ricerca della chiave, prese un bel respiro e aprì la porta della sua cella.
Non era poi così terribile. O almeno non quanto se l’aspettava.
C’era una finestra abbastanza grande da lasciar entrare l’aria più fresca della sera. E oltre le sbarre, si vedeva il prato illuminato dalla luna, che tutto sommato era un bel panorama, se si evitava di pensare al cimitero che si estendeva subito oltre. C’era un armadio e un lavandino, e una scrivania per fare i compiti… e a pensarci bene, Selly si disse che la cosa più triste in quella stanza era il suo riflesso, che colse nello specchio dietro la porta.
Distolse lo sguardo, sapendo fin troppo bene che cosa avrebbe visto: il viso sciupato e teso, gli occhi verdi segnati dallo stress, i capelli che sembravano la pelliccia dell’isterico barboncino di casa dopo un temporale. Il pullover di Gustav che le stava come un sacco di iuta. Tremava. Le lezioni del pomeriggio non erano andate meglio di quelle nel mattino, soprattutto perché la sua paura più grande si era avverata: tutta la scuola aveva già cominciato a chiamarla Polpettone. E per sua sfortuna, era un nomignolo che rimaneva attaccato, proprio come il polpettone.
Voleva disfare i bagagli, per trasformare la generica stanza 63 nella “sua” stanza, il posto in cui rifugiarsi quando ne avesse avuto bisogno e in cui sentirsi a proprio agio. Ma riuscì solo ad aprire la sacca prima di abbandonarsi a peso morto, sconfitta, sul nudo materasso. Si sentiva così lontana da casa. Dalla porta di casa sua ai cancelli arrugginiti della Sword & Cross c’erano voluti solo ventidue minuti si macchina, ma avrebbero potuto anche essere ventidue anni.
Quella mattina, per la prima metà del viaggio, durante cui nessuno aveva detto una parola, il paesaggio le era sembrato quello di sempre: sonnolenta periferia residenziale del sud. Ma poi avevano imboccato la sopraelevata verso la costa, e il terreno si era fatto sempre più paludoso.
Gli ultimi quindici chilometri erano stati i più tetri: marrone, grigiastro, indistinti, desolati. A Thunderbolt la gente scherzava sempre sul tanfo stranamente persistente di quella zona: sai di essere nelle paludi, si diceva, quando la tua macchina puzza di fango.
Sebbene Selly fosse cresciuta a Thunderbolt, non conosceva l’altra parte della contea. Aveva sempre pensato che non ci fosse motivo di andare laggiù: i negozi, le scuole e tutte le persone che conosceva abitavano nella parte occidentale. La zona est era semplicemente meno sviluppata, ecco tutto.
Aveva nostalgia dei suoi, che le avevano messo un post- it  sulla maglietta in cima ai vestiti: Ti vogliamo bene! I Price non crollano!
Aveva nostalgia della sua stanza, dalla cui finestra si vedevano le piante di pomodori di suo padre.
Aveva nostalgia di Callie, che di certo le aveva mandato altri dieci messaggi che lei non avrebbe mai visto. Aveva nostalgia di Trevor…
No, non era proprio così. Sentiva la mancanza delle sensazioni provate quando aveva cominciato a frequentarlo: avere qualcuno a cui pensare nelle notti in cui non riusciva a prendere sonno, e un nome da scarabocchiare stupidamente sui quaderni.
La verità era che Selly e Trevor non avevano mai avuto modo di conoscersi bene.
L’unico ricordo tangibile di lui era la foto che Callie aveva scattato di nascosto sul campo di football, da lontano, tra una sessione di piegamenti e l’altra, quando lui e Selly avevano parlato per quindici secondi di… piegamenti. E l’unico appuntamento che avevano avuto non era nemmeno stato un vero appuntamento, ma piuttosto un’ora rubata quando lui l’aveva portata via dalla festa. Un’ora di cui Selly si sarebbe pentita per il resto della vita.
Era cominciato in modo innocente – due ragazzi che vanno a passeggiare lungo il lago – ma ben presto Selly aveva sentito le ombre addensarsi sopra di loro. Poi le labbra di Trevor avevano sfiorato le sue, e il calore aveva invaso il suo corpo, e gli occhi di lui erano diventati bianchi di terrore… un attimo dopo, la vita com’era stata fino a quel momento era scomparsa in una fiammata.
Selly si mise a pancia in su e si coprì il viso con il braccio. Aveva pianto per mesi la morte di Trevor e adesso, in quella strana stanza, con le molle della rete che le premevano contro la schiena attraverso il materasso sottile, si rese conto di quanto egoiste e inutili erano state le sue lacrime. Non conosceva Trevor più di quanto conoscesse… Bill, per esempio.
Qualcuno bussò forte, facendola trasalire. Chi poteva sapere che era in camera sua? Selly si avvicinò alla porta in punta di piedi e l’aprì, poi sporse la testa fuori. Non aveva nemmeno sentito il rumore di passi, e non c’era nessuno lì fuori.
Solo un aeroplanino di carta attaccato con una puntina di ottone al centro della bacheca di sughero, accanto alla porta. C’era il suo nome scritto in nero sull’ala, e a quella vista Selly sorrise, ma quando aprì l’aeroplanino trovò solo una freccia puntata perso l’atrio.
Era vero che Ilene l’aveva invitata da lei, ma era accaduto prima dell’incidente in mensa. Selly guardò il corridoio deserto chiedendosi se seguire la misteriosa freccia. Diede un’occhiata alla gigantesca sacca ancora da disfare. Scrollò le spalle, chiuse la porta, si infilò la chiave in tasca e si avviò lungo il corridoio.
Si fermò davanti a una porta che esibiva un poster enorme di Sonny Terry, un musicista cieco che conosceva dalla raccolta di dischi di suo padre, straordinario armonicista blues. Si sporse a leggere il nome sulla bacheca e sussultò: era davanti alla stanza di Georg Listing.
Subito e non senza provare un certo fastidio, si accorse che una piccola parte del suo cervello aveva già iniziato a calcolare le possibilità che Tom fosse andato a trovare Georg, e di considerare il fatto che a separarla da loro potesse esserci solo una porta sottile.
Un ronzio meccanico la fece trasalire di nuovo. Selly fissò la telecamera sulla porta di Georg: le spie, che seguivano da vicino ogni suo movimento. Si ritrasse, imbarazzata per motivi che nessun apparecchio di sorveglianza sarebbe stato in grado di rilevare. Comunque, era lì per vedere Ilene, la cui stanza, guarda caso, era proprio di fronte a quella di Georg.
Guardò la porta della camera di Ilene, Selly sentì una fitta si tenerezza. Era tutta coperta di adesivi, alcuni stampati, alcuni “artigianali”. Ce n’erano così tanti che si sovrapponevano, nascondendosi e contraddicendosi a vicenda. Selly sorrise tra sé pensando che Ilene li collezionava senza alcuna selezione e li attaccava a caso, ma con impegno.
Selly avrebbe potuto passare un’ora a leggere la porta di Ilene, ma a un tratto si rese conto di trovarsi davanti a una stanza, senza nemmeno sapere bene se l’invito a entrare era ancora valido. Poi vide il secondo aeroplanino. Lo staccò dalla bacheca e lo spiegò:
Mia cara Selly,
Se sei venuta a trovarmi stasera, brava! Andremo siiicuramente d’accordo.
Se invece mi hai dato buca, allora… giù le mani dalla mia posta, GEORG! Quante volte devo dirtelo? Geeesù.
Comunque: lo so che ti ho detto di passare sta sera, ma sono dovuta schizzare dal riposino in infermeria a una lezione di trucco biologico con l’Albatros. E quindi: facciamo alla prossima?
Psicoticamente tua
I.
Selly restò con il messaggio in mano, incerta sul da farsi. Era un sollievo sapere che si stavano prendendo cura di Ilene, ma avrebbe preferito vederla. Solo parlando con lei avrebbe saputo il peso da dare all’incidente in mensa. E invece, lì ferma in quel corridoio, le vennero ancora più dubbi su come elaborare gli avvenimenti della giornata.
Un panico silenzioso la invase quando si rese conto che era sola, era buio ed era alla Sword & Cross .
Alle sue spalle si aprì una porta. Una lama di luce bianca apparve sul pavimento all’altezza dei suoi piedi.
Dalla stanza usciva della musica.
<< Che ci fai lì? >> Era Georg, in piedi sulla soglia, in jeans e maglietta strappata. Aveva legato i lunghi capelli dorati in una folta coda e teneva un armonica all’altezza delle labbra.
<< Sono venuta a trovare Ilene >> rispose Selly, cercando di non sbirciare alle spalle di Georg per vedere se era in compagnia. << Dovevamo… >>
<< Non c’è nessuno >> disse lui. Selly non capì se si riferisse ad Ilene, all’interno dell’edificio o a chissà che altro. Suonò qualche accordo con l’armonica, senza toglierle i suoi piccoli occhi verdi di dosso; poi aprì la porta un po’ di più e alzò le sopracciglia. Selly non capì se la stesse invitando ad entrare o no.
<< Be’, ero solo di passaggio, stavo andando in biblioteca >> mentì in fretta, tornando verso la sua stanza. << Devo controllare una cosa su un libro. >>
<< Selly >> la chiamò Georg.
Lei si voltò. Non erano stati presentati, e non si aspettava che sapesse il suo nome. Georg le sorrise, sincero, poi indicò la direzione opposta con l’armonica. << La biblioteca è di là. >> Incrociò le braccia sul petto. << Cerca le collezioni speciali nell’ala est, devi proprio vederle. >>
<< Grazie >> disse Selly con gratitudine, cambiando strada. Georg sembrava così sincero in quel momento, mentre la salutava suonando una scala con l’armonica. Forse finora si era sentita a disagio solo perché aveva pensato a lui come l’amico di Tom. Per quello che ne sapeva, Georg poteva anche essere una bella persona. Il suo umore migliorò a mano a mano che procedeva lungo il corridoio: prima il messaggio di Ilene, poi l’incontro con Georg Listing; e per di più voleva davvero andare in biblioteca. Le cose cominciavano a mettersi bene.
In fondo al corridoio, proprio prima di svoltare verso la biblioteca, Selly passò accanto all’unica porta socchiusa: non aveva decorazioni, ma era tutta dipinta di nero. Dall’interno proveniva un heavy metal pesante. Non c’era bisogno di fermarsi a leggere il nome sulla bacheca per sapere a chi appartenesse quella stanza. Molly.
Selly accelerò, d’un tratto consapevole del rumore dei suoi stivali neri sul linoleum. Non si rese conto che stava trattenendo il respiro finché non spinse le porte rivestire di legno della biblioteca ed espirò.
Una sensazione di calore l’avvolse mentre si guardava intorno. Aveva sempre amato il lieve aroma stantio che solo una stanza piena di libri emana. Il rumore ovattato delle pagine che venivano voltare le dava tranquillità. A Dover la biblioteca era sempre stata il suo rifugio, e Selly si sentì quasi travolta dal sollievo che anche alla Sword & Cross avrebbe potuto trovare lo stesso senso di protezione. Stentava a credere che quel posto facesse parte della sua nuova scuola. Era quasi… in effetti era… invitante.
La biblioteca aveva i muri rivestiti di mogano e i soffitti alti. Su una parete c’era un camino di mattoni; lampade verdi illuminavano lunghi tavoli di legno e le corsie dei libri si stendevano a perdita d’occhio.
Non appena Selly superò l’ingresso, uno spesso tappeto persiano soffocò i suoi passi.
C’erano pochi studenti – nessuno che lei conoscesse – ma perfino il più punk sembrava meno minaccioso con la testa china sui libri.
Selly si avvicinò al banco dei prestiti, una grande postazione circolare nel mezzo della sala, piena di scaffali carichi di libri e giornali.
Gli scaffali erano così alti da nascondere la bibliotecaria che frugava tra vari plichi di fogli con la stessa energia di un cercatore d’oro. Quando Selly si avvicinò, alzò la testa di scatto.
<< Salve! >> La donna le sorrise, un vero sorriso, Non aveva i capelli grigi ma argentei, di una luminosità che risaltava perfino nella luce soffusa. Ava un viso giovane e anziano allo stesso tempo; carnagione pallida, quasi brillante, neri occhi luminosi e un piccolo naso appuntito.
Si tirò su le maniche del pullover di cachemire, mostrando una gran quantità di braccialetti di perle.
<< Poso aiutarti? >>
chiese in un lieto sussurro.
Selly sei sentì subito a suo agio. Guardò la targhetta sul bancone: Sophia Bliss. Magari aveva avuto un libro da prendere in prestito: di tutto il personale della scuola, quella donna era la prima a cui Selly avrebbe voluto chiedere aiuto. Ma lei era venuta lì solo per curiosare… E poi le tornarono in mente le parole di Georg Listing.
<< Sono nuova >> spiegò. << Selene Price. Sa dirmi dov’è l’ala est? >>
La donna le rivolse il classico sorriso da “ tu sei il tipo che legge” che Selly riceveva dai bibliotecari da tutta la vita. << Da quella parte >> rispose, indicando una fila di alte finestre sull’altro lato della sala. << Io sono Miss. Sophia, e se il registro è giusto, sei nel mio corso di religione del martedì e del mercoledì. Oh, ci divertiremo! >> Le strizzò l’occhio. << Nel frattempo, se hai bisogno di qualcosa, io sono qui. Piacere di averti conosciuta Selly. >>
Selly ringraziò con un sorriso, disse allegra a Miss Sophia che si sarebbero riviste l’indomani in classe e si avviò verso le finestre. Solo quando si fu allontanata ripensò alla strana intimità con cui la donna le aveva parlato, chiamandola persino con il suo diminutivo.
Aveva appena superato la sala di lettura principale e si stava inoltrando tra gli scaffali imponenti, quando qualcosa di scuro e macabro le passò sopra la testa. Selly guardò in alto.
No. Non qui. Per favore. Lasciatemi almeno questo posto.
Le ombre apparivano e scomparivano, e Selly non sapeva dove andassero, né dopo quanto tempo sarebbero tornate.
In quel momento però non sapeva cosa stesse succedendo. Era diverso, stavolta. Era terrorizzata, certo, ma non aveva freddo. In realtà sentiva quasi caldo, soprattutto al viso. Nella biblioteca c’era il riscaldamento accesso, ma non era così alto.
E poi vide Tom.
Era davanti alla finestra, chino su un leggio dove c’era scritto COLLEZIONI SPECIALI in lettere bianche, e le dava le spalle. Le maniche del giubbotto di pelle consumato erano tirate fino ai gomiti, e i dreadlocks scuri erano sciolti sulle spalle.
Aveva le spalle curve, e ancora per una volta Selly sentì il desiderio istintivo di raggomitolarcisi contro.
Scacciò quel pensiero e si alzò in punta di piedi per guardare meglio.
Da lì, anche se non ne era sicura, sembrava che Tom stesse disegnando qualcosa.
Mentre seguiva con lo sguardo gli impercettibili movimenti di Tom, Selly si sentì bruciare dentro, come se avesse inghiottito qualcosa di rovente. Non sapeva perché, ma aveva il fortissimo, del tutto illogico presentimento che Tom stesse disegnando lei.
Non doveva avvicinarsi. Dopotutto, non lo conosceva, non gli aveva mai parlato. Gli unici scambi tra di loro fino a quel momento includevano un dito medio alzato e un paio di occhiate storte.
Ma per  chissà quale motivo, sentì che era importante scoprire che cosa ci fosse nel suo album.
E poi ricordò. Il sogno della notte prima. Un lampo che la illuminò. Nel sogno era notte fonda, e l’aria era umida e fredda. Lei indossava qualcosa di lungo e morbido. Era in piedi contro le tende di una stanza sconosciuta. C’era solo un uomo… o un ragazzo.
Non era riuscita a vederlo in faccia. Stava disegnando il suo ritratto su uno spesso blocco di carta. I suoi capelli. Il collo. Il nitido contorno del suo profilo. Lei era proprio dietro di lui, spaventata dall’idea che il ragazzo si accorgesse della sua presenza, ma troppo affascinata per andarsene.
Selly si mosse di scatto in avanti: qualcosa le aveva pizzicato la spalla, e adesso galleggiava sopra di lei. L’ombra era ricomparsa. Era nera e spessa come una coltre.
Il battito del suo cuore crebbe al punto da rimbombarle nelle orecchie, isolandola dal cupo fruscio delle ombre. Tom alzò gli occhi dal suo lavoro e sembrò guardare là dove era sospesa l’ombra, ma non trasalì come Selly.
Ovvio, lui non poteva vederla. Tom si voltò a guardare fuori dalla finestra.
Selly sentì il calore dentro di lei aumentare. Era abbastanza vicina a Tom da temere che lui potesse sentirlo irradiarsi dalla sua pelle.
Il più silenziosamente possibile, Selly cercò di sbirciare l’album da sopra la spalla di lui. Per un istante vide la curva della sua gola tracciata a matita sulla pagina. Ma poi batté le palpebre, e quando guardò di nuovo deglutì.
Era un panorama. Tom stava disegnando nei minimi dettagli il cimitero che si scorgeva dalla finestra. Selly non aveva mai visto niente che la intristisse così tanto.
Non sapeva perché. Era folle – persino per lei – aspettarsi che quell’assurdo presentimento fosse vero.
Tom non aveva nessun motivo per ritrarla, Selly lo sapeva, così come sapeva che non aveva nessun motivo per mandarla a farsi fottere quella mattina. Eppure l’aveva fatto lo stesso.
<< Che ci fai qui? >> domandò lui. Chiuse l’album e la guardò con solennità, le labbra serrate e gli occhi grigi e spenti. Almeno non sembrava arrabbiato; esausto, piuttosto.
<< Devo consultare un libro delle Collezioni Speciali >> rispose Selly con voce tremante, ma poi si guardò intorno, e si accorse di aver detto una stupidaggine. Le Collezioni Speciali non era un settore di libri: era un’area dedicata a una mostra sulla Guerra Civile. Lei e Tom si trovavano in una piccola galleria, circondati da busti di bronzo, teche di vetro piene di vecchie cambiali e mappe dell’esercito. Era l’unica parte della biblioteca dove non c’era nessun libro.
<< Allora buona fortuna >> replicò Tom, riaprendo l’album come se avesse fretta di concludere quell’incontro.
Selly non riusciva a parlare, era imbarazzata e desiderava solo fuggire da lì. Ma c’erano le ombre in agguato, e per qualche ragione Selly si sentiva meglio vicino a Tom.
Non aveva senso: non c’era niente che lui potesse fare per proteggerla.
Tuttavia, Selly rimase immobile. Tom le scoccò un’occhiata e sospirò.
<< Scusa se te lo chiedo, ma a te piace essere spiata? >>
Selly pensò alle ombre e a quello che le stavano facendo in quel momento. Senza pensarci, scosse la testa.
<< Okay, allora siamo in due. >> Tom si schiarì la voce e la fissò, per farle capire che l’intrusa fra loro era lei.
E se gli avesse detto che si sentiva girare la testa, e doveva sedersi un momento? Pensò Selly. Cominciò: << Senti, posso… >>
Tom però prese l’album e si alzò. << Sono venuto qui per starmene da solo >> le disse. << Se non te ne vai tu, me ne vado io. >>
Infilò l’album nello zaino, e si avviò, passandole accanto. Le loro spalle si toccarono. Fu solo un istante, ma Selly, perfino attraverso i vestiti sentì una scossa.
Anche Tom per un attimo si fermò. Si voltarono tutti e due a guardarsi, e Selly cercò qualcosa da dirli, ma prima che potesse parlare, Tom si voltò e si avviò rapido verso la porta.
Le ombre vorticarono su di lei per poi spingersi fuori dalla finestra, nella notte, lasciando dietro di loro una scia gelida.
Selly rabbrividì. Rimase a lungo nel settore Collezioni Speciali, a sfiorarsi la spalla toccata da Tom.
Pian piano, il calore che aveva sentito svanì.

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Capitolo 4
*** Di turno al cimitero ***


Quattro

♦♦♦
DI TURNO AL CIMITERO


Martedì. Il giorno delle cialde. Da quando Selly aveva memoria, i martedì d’estate volevano dire caffè appena fatto, coppe di lamponi e panna montata, e una montagna di cialde dorate. Perfino quell’estate, quando i suoi genitori avevano cominciato a comportarsi come se avessero paura di lei, aveva sempre potuto contare sul giorno delle cialde. Capiva che era martedì mattina ancora nel dormiveglia, mentre si rigirava nel letto.
Selly inspirò, tornando lentamente in sé, poi inspirò di nuovo con più convinzione.
No, niente profumo di cialde: soltanto l’odore della vernice scrostata.
Strofinò via il sonno che le impastava gli occhi ed esaminò la stanza striminzita: sembrava il “prima” di una ristrutturazione. Il lungo incubo che era stato lunedì le tornò nella mente: la consegna del cellulare, l’incidente del polpettone e gli occhi furiosi di Molly in mensa, Tom che la ignorava in biblioteca. Selly non aveva la minima idea del perché fosse così pieno di rancore nei suoi confronti.
Si mise a sedere per guardare fuori dalla finestra. Era ancora buio: il sole non aveva ancora fatto capolino all’orizzonte. Lei non si svegliava mai così presto. Si lasciò sfuggire un sospiro di solitudine e nostalgia di casa, che servì soltanto a farla sentire più sola, e ad accrescere la sua malinconia. Che cosa avrebbe fatto adesso, nelle tre ore che separavano l’alba dalla prima lezione? L’alba… perché le ricordava qualcosa? Oh. Merda. La punizione.
Si alzò di corsa, inciampando nella valigia ancora da disfare e prese un altro noioso pullover nero dal mucchio dei noiosi pullover neri. Si infilò i jeans del giorno prima, sussultò alla vista del disastro che erano i suoi capelli e cercò di aggiustarseli con le dita mentre usciva dalla stanza.
Era senza fiato quando raggiunse i cancelli del cimitero. C’era un soffocante odore di cavolo. Selly era sola, sola con i suoi pensieri. Dov’erano tutti? Forse per loro “all’alba” aveva un altro significato. Guardò l’orologio: erano quasi le sei e un quarto.
Tutto quello che le avevano detto era di farsi trovare al cimitero, e Selly era abbastanza sicura che quella fosse l’unica entrata.
Si fermò all’ingresso, dove l’asfalto del parcheggio lasciava il posto a un campo soffocato di erbacce. Lo sguardo le cadde su un soffione solitario e per un istante si ritrovò a pensare che una Selly più piccola lo avrebbe strappato, avrebbe espresso un desiderio e avrebbe soffiato. Ma i desideri della Selly del presente erano troppo pesanti per qualcosa di così leggero.
Quei sontuosi cancelli erano l’unica barriera che separava il cimitero dal parcheggio. Notevole per una scuola circondata dal filo spinato. Selly sfiorò il ferro battuto, seguì con il dito i movimenti floreali. Dovevano risalire alla Guerra Civile, quando il cimitero accoglieva i soldati caduti, quando l’edificio non era un ostello per psicotici ribelli, quando l’intera zona era molto meno incolta e ombrosa.
Era strano: il resto del campus era piatto come un foglio di carta, ma chissà come il cimitero aveva una forma concava, come una coppa. Dal punto in cui si trovava, Selly riusciva a vedere l’intera area digradare dolcemente. Una dopo l’altra, le file di lapidi segnavano il pendio come spettatori in un arena.
Verso il centro, però, nel punto più basso del cimitero, il sentiero si trasformava in un vero labirinto, che si diramava tra grandi tombe decorate, statue di marmo e mausolei.
Probabilmente da vicino erano belli, ma da lì il loro peso sembrava trascinare in basso tutto il cimitero, come se l’intera zona fosse risucchiata giù lungo il tubo di uno scarico.
Passi alle sue spalle. Selly si voltò di scatto: un ragazzo biondo, vestito di nero spuntò da dietro un albero. Gustav!
Selly dovette resistere alla tentazione di gettargli le braccia al collo: non era mai stata così felice di vedere qualcuno, anche se era difficile credere che Gustav venisse mai punito.
<< Non sei un po’ in ritardo? >> le domandò Gustav, fermandosi a poca distanza e scuotendo la testa come a dire “povera novellina”.
<< Sono qui da dieci minuti >> rispose Selly. << Sei tu quello in ritardo. >>
Gustav fece un sorrisino compiaciuto. << Ah no, io sono solo uno che si sveglia presto. Non prendo mai punizioni. >> Si spinse gli occhiali neri sul naso. << Ma tu sì, insieme ad altre cinque anime sfortunate, che probabilmente sono sempre più nervose a ogni minuto che passano ad aspettarti al mausoleo. >> Si alzò in punta di piedi e indicò la struttura di pietra che sorgeva al centro del cimitero. Strizzando gli occhi, Selly riuscì a intravedere un gruppo di sagome nere radunate attorno al monolito.
<< Mi hanno detto di venire al cimitero… >> disse con la sensazione di aver già perso in partenza. << Nessuno mi ha spiegato dove. >>
<< Be’, te lo dico io: al mausoleo. Ora va’ >> replicò Gustav.
<< Non ti farai molti amici se rovini la loro mattinata più di quanto non hai già fatto. >>
Selly deglutì. Una parte di lei voleva chiedere a Gustav di mostrarle la strada. Da lassù il sentiero sembrava un labirinto, e Selly non voleva perdersi nel cimitero. Esitò facendosi scrocchiare le nocche.
<< Selly? >> disse Gustav, dandole un colpetto sulla spalla. << Guarda che sei ancora qui. >>
Selly cercò di rivolgergli un sorriso coraggioso, ma le riuscì solo una specie di smorfia imbarazzata. Poi si lanciò lungo il pendio verso il cuore del cimitero.
Il sole non era ancora sorto, ma ormai non mancava molto, e quei pochi istanti subito prima dell’alba erano da sempre quelli che la terrorizzavano di più. Superò le file di lapidi. Una volta dovevano essere state diritte, ma adesso erano così vecchie che la maggior parte di loro era inclinata da un lato e poggiava sulla lapide accanto, dando al cimitero l’aspetto di un macabro domino.
Selly finì con le Converse nere in diverse pozzanghere, e calpestò tappeti di foglie morte. Quando raggiunse le tombe più elaborate, il sentiero correva più o meno in piano, e lei si era completamente persa. Si fermò, e cercò di riprendere fiato. Voci. Se si calmava riusciva a sentire le voci.
<< Cinque minuti e me ne vado >> disse un ragazzo.
<< Peccato che la tua opinione non conti, Mr. Listing. >>
Una voce irascibile, che Selly riconobbe dalle lezioni del giorno prima: Ms. Tross, L’Albatros.
Dopo l’incidente del polpettone, Selly si era presentata in ritardo alla prima ora del pomeriggio, e non poteva dire di aver fatto proprio una bella figura alla severa, grassoccia insegnante di scienze.
<< A meno che qualcuno voglia perdere i propri diritti sociali questa settimana >> grugnì Ms. Tross, ferma in mezzo alle tombe, << aspetteremo tutti con pazienza, come se non avessimo niente da fare, finché Miss Price non ci degnerà della sua presenza. >>
<< Eccomi >> disse Selly senza fiato, spuntando da dietro un gigantesco cespuglio di rovi.
Ms. Tross teneva le mani puntate sui fianchi, e indossava una variante del camicione lungo e nero del giorno prima. I sottili capelli castani erano incollati alla testa e gli indolenti occhi marrone mostrarono solo fastidio all’arrivo di Selly.
Dietro l’Albatros c’erano Ilene, Molly e Georg, sparpagliati intorno alla grande statua di un angelo. In confronto alle altre, sembrava più recente, bianca e maestosa. E appoggiato contro la coscia dell’angelo – Selly se ne accorse solo allora – c’era Tom.
Portava il giubbotto nero di pelle e la sciarpa rossa che l’aveva tanto attratta il giorno prima. Selly non poté fare ameno di notare che aveva i dreadlocks slegati, che cadevano disordinatamente sul suo viso imbronciato, come se si fosse appena alzato dal letto… il che la fece pensare a Tom immerso nel sonno… il che la fece arrossire a tal punto che, quando abbassò lo sguardo la sua umiliazione era completa.
Tom la fissava con disprezzo.
<< Mi dispiace >> disse Selly senza riflettere. << Non sapevo dove fosse l’appuntamento, giuro che… >>
<< Risparmia il fiato >> la interruppe Ms. Tross, passandosi l’indice sulla gola. << Ci hai già fatto sprecare abbastanza tempo. Ora sono certa che ricorderete le disdicevoli colpe per cui siete qui. Potete rifletterci per le prossime due ore mentre lavorate. In coppia. Sapete come. >> Scoccò un’occhiata a Selly e sbuffò. << Okay, chi vuole una protetta? >>
Con grande orrore di Selly, tutti si guardarono i piedi. Dopo uno straziante minuto, però, un quinto ragazzo sbucò da dietro l’angolo del mausoleo.
<< Io. >>
Bill. Aveva una maglietta nera con lo scollo a V che fasciava le sue spalle. Era alto almeno una trentina di centimetri più si Georg, che si scostò per farlo passare. Mentre si avvicinava a Selly, Bill non le tolse un secondo lo sguardo di dosso. Si muoveva con sicurezza, tanto a suo agio negli abiti da correzionale quanto Selly era a disagio. Una parte di lei voleva distogliere lo sguardo, perché era imbarazzante essere fissata così davanti a tutti. Ma per una qualche misteriosa ragione, era ipnotizzata. Non riusciva a distogliere lo sguardo da lui… finché Ilene non si infilò nella loro traiettoria.
<< Ho detto che tocca a me >> sibilò la ragazza.
<< Non che non l’hai detto >> replicò Bill.
<< Si che l’ho detto, sei tu che non mi hai sentito da quel tuo piedistallo là dietro. >> Pronunciò quelle parole con furia. << La voglio io. >>
<< Io… >> cominciò Bill.
Ilene alzò il mento, in attesa. Selly era senza parole. Anche lui avrebbe detto di volerla? Non potevano chiudere lì la questione e lavorare, magari in tre?
Bill le toccò il braccio. << Ci vediamo più tardi, okay? >> le disse, come se si fossero scambiati una promessa, e Selly gli avesse chiesto di mantenerla.
Gli altri saltarono giù dalle tombe su cui erano seduti e si radunarono accanto a un capanno. Selly li seguì, attaccata ad Ilene, che senza fiatare le porse un rastrello.
<< Allora, vuoi l’angelo vendicatore o gli amanti grassi abbracciati? >>
Nemmeno una parola su quanto fosse accaduto il giorno prima o sul bigliettino, e Selly intuì che non era quello il momento per tirare fuori l’argomento. Invece levò lo sguardo al cielo, e scoprì che due enormi sculture la sovrastavano. Quella più vicina sembrava un Rodin:  rappresentava un uomo e una donna nudi uniti in un abbraccio. A Dover aveva studiato arte, e aveva sempre pensato che quelle di Rodin fossero le opere più romantiche. Ma ora era difficile guardare la statua dei due innamorati senza pensare a Tom. Tom. Che la odiava. Ormai Selly ne era certa: se le servivano altre prove a parte il fatto che la sera prima in biblioteca era praticamente scappato, le bastava pensare all’occhiataccia che le aveva scoccato poco prima.
<< Dov’è l’angelo vendicatore? >> chiese sospirando ad Ilene.
<< Buona scelta. Di qua. >> Ilene le fece strada fino ad un imponente statua di marmo raffigurante un angelo nell’atto di difendere la terra da un enorme fulmine. All’epoca in cui era stata scolpita doveva essere un’opera interessante; adesso, per, era soltanto vecchia e sporca, coperta di fango e muschio.
<< Non ho ancora capito bene che cosa dobbiamo fare >> disse Selly.
<< Strofina-a-a-re >> cantilenò Ilene. << Mi piace fingere di fargli il bagnetto. >> Si issò sul gigantesco angelo, scavalcando l’enorme braccio che deviava il fulmine come se fosse una vecchia quercia su cui arrampicarsi.
Terrorizzata all’idea che Ms. Tross vedendola con le mani in mano potesse pensare che era in cerca di altri guai, Selly cominciò a rastrellare intorno alla base della statua, per ripulirla da un incredibile quantità di foglie marce.
Tre minuti dopo, il dolore alle braccia la stava uccidendo. Decisamente non era adatta a quel genere di lavoro manuale. A Dover non era mai stata messa in punizione ma, da quello che aveva sentito, il castigo consisteva nel riempire una pagina con un centinaio di “Non copierò più da internet”.
Niente a che vedere con la punizione della Sword & Cross. Soprattutto perché la sua unica colpa era stata urtare per errore Molly in mensa.
Stava cercando di non esprimere giudizi frettolosi, ma ripulire dal fango le tombe di gente morta da più di un secolo? Selly odiò intensamente la sua vita in quel momento.
Poi un bagliore di sole filtrò tra gli alberi, e all’improvviso il cimitero si colorò. Selly si sentì subito più allegra. Riusciva a vedere a più di tre metri di distanza.
Riusciva a vedere Tom… che lavorava con Molly.
Il cuore le sprofondò nel petto. La sensazione di leggerezza svanì.
Si voltò verso Ilene, che le rivolse uno sguardo comprensivo, ma senza smettere di lavorare.
<< Ehi >> sussurrò Selly.
Ilene si mise un dito sulle labbra e le fece cenno di salire.
Con molta meno grazia e agilità, Selly si aggrappò al braccio della statua e si issò sul plinto. Quando fu certa che non sarebbe precipitata, sussurrò: << Allora… Tom è amico di Molly? >>
Ilene sbuffò. << Figurati, si detestano cordialmente >> tagliò corto, poi, dopo un attimo, aggiunse: << Perché me lo chiedi? >>
Selly indicò Molly e Tom, che in quel momento non stavano affatto ripulendo la tomba. Erano l’uno accanto all’altra, appoggiati ai rastrelli, immersi in una conversazione che Selly avrebbe voluto disperatamente ascoltare. << A me sembrano amici. >>
<< Siamo in punizione >> ribatté Ilene in tono piatto. << Devi stare in coppia. Credi che Georg e l’Allupato siano amici? >> indicò Georg e Bill, che sembravano discutere su come dividersi il lavoro sulla statua degli amanti. << Essere compagni in punizione non vuol dire essere amici. >>
Ilene guardò Selly; la ragazza sentì gli angoli della bocca piegarsi verso il basso, nonostante gli sforzi di mostrarsi indifferente.
<< Aspetta, Selly, non volevo dire… >>  Si interruppe. << A parte il fatto che ho perso venti minuti buoni per colpa tua, non ho niente contro di te. In effetti sei piuttosto interessante. Brillante, persino. Detto questo, non so se ti aspettavi di trovare amici cicci- pucci in questa scuola. Però lasciatelo dire, non è per niente facile. Qui hanno tutti una zavorra. Capito? >>
Selly si strinse nelle spalle, imbarazzata. << Stavo solo chiedendo. >>
Ilene ridacchiò. << Perché stai sempre sulla difensiva? E comunque che cosa diavolo hai fatto per farti spedire qui? >>
Selly non aveva voglia di parlarne. Forse Ilene aveva ragione: avrebbe fatto meglio a non cercarsi degli amici. Saltò giù dalla statua e si rimise a pulire la base dal muschio.
Ma per sua sfortuna Ilene si era incuriosita. Saltò giù anche lei e bloccò il rastrello di Selly con il proprio.
<< Oooh, dimmelo, dimmelo, dimmelo! >> la punzecchiò.
Il suo viso era così vicino… Selly ripensò al giorno prima, quando si era chinata su di lei mentre era in preda alle convulsioni. Erano entrate in confidenza, no? E una parte di lei voleva tanto parlare con qualcuno. L’estate passata con i suoi genitori era stata così lunga ed opprimente… Sospirò, appoggiò la fronte al rastrello.
D’un tratto si sentì in bocca un sapore amaro, salato, forte che non ci fu verso di scacciare.
L’ultima volta che aveva raccontato nei dettagli cosa le era successo, l’aveva fatto solo perché era sotto giuramento. Avrebbe voluto essersi dimenticata quelle cose, ma più Ilene la guardava e più loro risalivano, su fino alla punta della lingua.
<< Una sera era con un mio amico >> cominciò, dopo un lungo sospiro. << Ed è successa una cosa terribile. >> Chiuse gli occhi, pregando che la scena non esplodesse di nuovo nella sua mente . << C’è stato un incendio. Io ce l’ho fatta… e lui no. >>
Ilene sbadigliò, molto meno sconcertata dalla storia di quanto lo fosse Selly.
<< Comunque >> proseguì, << dopo non riuscivo a ricordare i dettagli, come era successo. Quello che mi ricordavo… quello che ho detto al giudice, insomma… hanno pensato che fossi pazza. >> Sorrise, ma era un sorriso forzato.
Con sua grande sorpresa, Ilene le appoggiò una mano sulla spalla e gliela strinse. E per un attimo, parve davvero sincera. Poi sul viso le rispuntò la solita smorfia. << Siamo tutti così incompresi, non è vero? >> Le piantò l’indice nello stomaco. << Sai, io e Georg dicevamo proprio che ci mancava un amico piromane. E lo sanno tutti che ci vuole un buon piromane per mettere a segno un colpo di un certo livello in un correzionale. >> Stava già architettando qualcosa. << Georg pensava all’altro nuovo, Todd, ma io preferisco puntare su di te. Dovremmo collaborare tutti, una volta di queste.>>
Selly deglutì a fatica. Non era una piromane. Ma non avrebbe più parlato di quello che le era successo; non provò nemmeno a difendersi.
<< Oooh, aspetta che lo sappia Georg >> disse Ilene, buttando a terra il rastrello. << Sei un sogno che si avvera. >>
Selly aprì la bocca per protestare, ma Ilene se n’era già andata. Perfetto, pensò sentendo il rumore dei passi nel fango. Era solo questione di minuti e la voce avrebbe fatto il giro del cimitero fino a Tom.
Di nuovo sola, Selly guardò la statua. Sebbene l’avessero già ripulita da un’enorme quantità di foglie e muschio, l’angelo era più sporco che mai. Tutta quella faccenda le sembrava completamente senza senso: dubitava che qualcuno avesse mai visitato quel posto. Dubitava anche che gli altri stessero lavorando.
Lo sguardo cadde su Tom, che invece si dava un gran da fare. Con una spazzola di ferro strofinava diligentemente l’iscrizione di bronzo di una tomba. Si era perfino tirato su le maniche del pullover, e gli si vedevano i muscoli.
Selly sospirò e non poté fare a meno di appoggiarsi con un gomito all’angelo per continuare a guardarlo.
E’ sempre stato un grande lavoratore.
Selly scosse il capo. Da dove veniva quell’idea? Che cosa voleva dire? Eppure era stata lei a pensarlo. Era il genere di frase che le si formava nella mente appena prima di scivolare nel sonno, un balbettio insensato che non aveva alcun collegamento con niente al di fuori dei suoi sogni. In questo caso però era sveglia, assolutamente sveglia.
Doveva provare a sciogliere quella matassa. Conosceva Tom da appena un giorno e già si sentiva trascinare in un luogo strano e del tutto sconosciuto.
<< Meglio star lontana da lui >> disse una voce fredda alle sue spalle.
Selly si voltò di scatto. Era Molly, nella stessa posa in cui l’aveva vista il giorno prima: mani sui fianchi, narici ornate di piercing che fremevano. Gustav le aveva detto che la sorprendente tolleranza di Sword & Cross verso i piercing sul viso era dovuta alla riluttanza del preside a togliersi il diamantino dal lobo dell’orecchio.
<< Chi? >> domandò, sapendo benissimo che stava facendo la figura della stupida.
Molly alzò gli occhi al cielo. << Fidati e basta. Prendersi una cotta per Tom sarebbe una pessima idea. >>
E se ne andò prima che Selly potesse ribattere. Ma Tom, come se avesse sentito, adesso guardava diritto verso di lei. E veniva verso di lei.
Selly ebbe l’impressione che una nuvola avesse coperto il sole.
Se fosse riuscita a distogliere lo sguardo da Tom, avrebbe potuto osservare il cielo e verificare.
Ma non riusciva né a guardare il alto né altrove, e per qualche ragione doveva socchiudere gli occhi per riuscire a vedere Tom.
Quasi come se lui emanasse luce propria, e la accecasse. Un rumore sordo prese a rimbombarle nelle orecchie, e le ginocchia presero a tremarle.
Pensò di raccogliere il rastrello e fingere di non averlo visto arrivare, ma era troppo tardi per fingersi disinvolta.
<< Cosa ti ha detto? >> domandò Tom.
<< Um >> tentennò Selly, spremendosi il cervello in cerca di una bugia credibile. Invano. Fece scrocchiare le nocche. Tom le coprì le mani con le sue. << Non sopporto quando lo fai. >>
Selly fece per ritrarsi di scatto. Le loro mani si erano appena sfiorate, eppure Selly si sentì arrossire. Tom doveva aver formulato male la frase, per forza. Voleva dire che sentire scrocchiare le nocche gli dava sui nervi, chiunque lo facesse, giusto? Perché se quella frase si riferiva a lei soltanto, significava che l’aveva già sentita scrocchiare le nocche, e questo era impossibile. La conosceva appena.
E allora perché Selly aveva quella strana sensazione, come se avessero già litigato su quell’argomento in passato?
<< Molly mi ha detto di starti lontana >> rispose alla fine.
Tom dondolò la testa a destra e sinistra, come se stesse valutando quell’affermazione. << Probabilmente ha ragione. >>
Selly rabbrividì. Un’ombra scivolò sopra di loro, oscurando il volto dell’angelo abbastanza a lungo da turbarla.
Chiuse gli occhi  cercò di respirare, pregando che Tom non si accorgesse di nulla.
Ma il panico in lei era inarrestabile. Avrebbe voluto scappare, ma non poteva: e se si fosse persa nel cimitero?
Vedendola alzare lo sguardo, anche Tom levò il suo.
<< Cosa c’è? >> chiese.
<< Niente. >>
<< Allora lo farai? >> chiese lui incrociando le braccia, una sfida.
<< Cosa? >> fece lei. Scappare?
Tom fece un passo verso di lei. Adesso erano a meno di un metro di distanza. Selly trattenne il respiro, immobile e in attesa.
<< Mi starai lontana? >>
Sembrava quasi che stesse flirtando.
Selly però non si sentiva affatto bene. Aveva la fronte madida di sudore, e si premette le tempie, cercando di prendere possesso del proprio corpo, e di sottrarlo al controllo di Tom. Non era pronta a flirtare con lui. Sempre che stesse accadendo davvero.
Indietreggiò di un passo. << Penso di si. >>
<< Non ho sentito >> sussurrò Tom, alzando un sopracciglio e facendo un altro passo avanti.
Selly indietreggiò ancora, un po’ di più questa volta.
Urtò il basamento della statua, e il piede di pietra dell’angelo le graffiò la schiena. Una seconda ombra più scura, passò su di loro. Avrebbe giurato di veder rabbrividire anche Tom, questa volta.
E poi il cupo scricchiolio di qualcosa di pesante che si muoveva fece trasalire tutti e due. A Selly si mozzò il fiato: la sommità della statua di marmo traballò, come un ramo agitato dal vento. Per un attimo, parve sospesa a mezz’aria.
Selly e Tom fissarono l’angelo. Erano entrambi nella sua traiettoria. La testa dell’angelo si inclinò lentamente verso di loro, come in preghiera… e poi tutta quanta la statua iniziò a cadere, prendendo velocità. Selly sentì Tom cingerle la vita con un braccio, sicuro, come se conoscesse a memoria il suo corpo. Con l’altra mano le coprì la testa, e la spinse giù, nel momento in cui la statua crollò su di loro, esattamente nel punto in cui si trovavano.
Ci fu uno schianto… la testa dell’angelo sprofondò nel fango, ma i piedi restarono posati sulla base: la statua era distesa in diagonale, e nel triangolo di spazio tra questa e il terreno erano rannicchiati Selly e Tom.
Ansimavano, i volti che si toccavano, la paura nello sguardo di Tom. Tra loro e la statua c’erano solo pochi centimetri.
<< Selly? >> sussurrò Tom.
Lei riuscì solo ad annuire.
Gli occhi di Tom si ridussero a due fessure. << Cos’hai visto? >> le chiese.
Poi spuntò una mano, e Selly si sentì tirare fuori da sotto la statua.
Sentì qualcosa sfiorarle la schiena, come un alito d’aria. Gli altri li guardavano a bocca aperta, tranne Ms. Tross, che aveva un’espressione torva, e Bill, che aiutò Selly a rimettersi in piedi.
<< Tutto a posto? >> domandò Bill, squadrandola dalla testa ai piedi in cerca di graffi e ripulendole la spalla da un po’ di calcinacci. << Ho visto la statua che veniva giù e sono corso a cercare di fermarla, ma era già… sarai spaventata a morte. >>
Selly non rispose . “Spaventata a morte” descriveva solo in parte come si sentiva.
Tom, rialzatosi a sua volta, non si volse nemmeno per vedere se stava bene. Si allontanò e basta. Selly rimase a bocca aperta vedendolo andare via, soprattutto perché gli altri non sembravano farci minimamente caso.
<< Cos’avete combinato? >> chiese Ms. Tross.
<< Non lo so. Stavamo… >> Selly scoccò un’occhiata << ehm, lavorando, e un attimo dopo la statua è crollata. >>
L’Albatros si chinò ad esaminare i pezzi dell’angelo. La testa si era spaccata a metà. Mormorò qualcosa sulle forze della natura e sulle pietre antiche.
Ma fu una voce alle sue spalle che la colpì e continuò a risuonarle nella testa, perfino quando tutti gli altri furono ritornati a lavoro. Era Molly, che sussurrò: << A quanto sembra, ti conviene iniziare a seguire i miei consigli. >>

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Capitolo 5
*** La cerchia ristretta ***


Cinque

♦♦♦
LA CERCHIA RISTRETTA

<< Non farmi mai più prendere uno spavento così! >> la sgridò Callie mercoledì sera.
Mancava poco al tramonto, e Selly se ne stava raggomitolata nella nicchia del telefono comune, un cubicolo beige nell’atrio. Era tutt’altro che riservato, ma almeno nessuno ci gironzolava intorno.
Le facevano ancora male le braccia per la punizione del giorno prima al cimitero, ma era ferita nell’orgoglio per il modo in cui Tom se n’era andato un attimo dopo che la statua gli era crollata addosso. Ma per quindici minuti, Selly voleva cercare di svuotare la mente da tutto, per assorbire tutta l’adorabile mitragliata di parole che Callie era in grado di sparare nel tempo che avevano a disposizione Era così bello sentire la sua voce acuta che Selly quasi non diede peso al fatto che la stesse sgridando.
<< Ci eravamo promesse di non passare nemmeno un’ora senza sentirci >> continuò Callie << Ho pensato che ti avessero mangiata viva! O che ti avessero messo in isolamento con una camicia di forza di quelle che devi masticare le maniche per grattarti la faccia. Per quanto ne sapevo, potevi anche essere scesa nel nono girone del… >>
<< Okay, mamma >> ribatté Selly ridendo << Rilassati. >> Per un attimo si sentì in colpa per non aver usato la sua telefonata settimanale per chiamare la sua vera madre, ma Callie si sarebbe imbestialita se avesse scoperto che non l’aveva chiamata alla prima occasione. E per qualche strana ragione per Selly era sempre un sollievo sentire la sua vocina isterica.
Selly riusciva benissimo ad immaginarsela camminare avanti e indietro nella sua stanza del dormitorio a Dover, sul piccolo tappeto arancione, con fronte, naso e mento spalmati di Oxy e le ciabattine da pedicure per tenere separate le unghie laccate di smalto fucsia ancora umido.
<< Non chiamarmi mamma! >> sbuffò Callie. << Racconta. Come sono gli altri ragazzi? Fanno tutti paura e si sparano diuretici come nei film? E le lezioni? Si mangia bene? >>
Purtroppo non c’era niente alla Sword & Cross che Selly potesse considerare meraviglioso. Pensando a Tom per, oh, l’ottantesima volta in quella giornata, Selly appoggiò la testa al linoleum beige che rivestiva la nicchia: qualcuno ci aveva inciso ASPETTO IL MOMENTO GIUSTO. In circostanze normali, quello sarebbe stato l’attimo giusto per dire a Callie di Tom.
Ma chissà perché, Selly non lo fece.
Se doveva parlare di Tom non poteva partire da ciò che era realmente accaduto  tra di loro.
E Callie era fissata con i ragazzi che si sforzavano di mostrarsi degni di te. Voleva sentire cose del tipo quante volte le aveva aperto la porta, o se le aveva detto quanto era bello il suo accento francese. Quindi non c’era molto da dire su Tom. E in effetti, Callie sarebbe stata molto più interessata a qualcuno come Bill.
<< Be’, c’è un ragazzo >> sussurrò Selly nella cornetta.
<< Lo sapevo! >> squittì Callie. << Nome. >>
Tom. Tom. Selly si schiarì la voce. << Bill. >>
<< Diretto, semplice. Mi piace. Parti dall’inizio. >>
<< Be’ non è ancora successo niente. >>
<< Lui pensa che tu sia stupenda, blablabla… >>
<< Be’… >> Selly si interruppe, sentendo dei passi nell’atrio. Si sporse fuori dalla nicchia allungando il collo per controllare chi stava interrompendo il suo quarto d’ora migliore degli ultimi tre giorni.
Bill veniva verso di lei.
Parli del diavolo. Selly ricacciò in fondo alla gola il terribilmente misero argomento che aveva sulla punta della lingua: Mi ha dato il plettro della sua chitarra. Lo teneva ancora in tasca.
Bill si comportava in maniera normale, come se non l’avesse sentita. Sembrava l’unico in tutta la scuola a non liberarsi dell’uniforme un istante dopo la fine delle lezioni. Ma il look total black a lui donava, tanto quanto faceva sembrare Selly la cassiera di un fruttivendolo.
Bill stava facendo volteggiare un orologio d’oro da taschino con una lunga catena che gli si avvolgeva in attorno all’indice. Selly seguì per un momento l’arco brillante che l’orologio disegnava in aria, come ipnotizzata, finché Bill non lo fermò stringendolo in un pugno. Guardò l’orologio per un istante, poi guardò Selly.
<< Scusa. >> Strinse le labbra, confuso. << Pensavo di aver prenotato la telefonata della sette. >> Scrollò le spalle. << Devo aver scritto male. >>
Quando vide l’ora il cuore di Selly sprofondò. Lei e Callie si erano dette sì e no quindici parole… Com’era possibile che il suo quarto d’ora fosse già finito?
<< Selly? Pronto? >> disse Callie, impaziente, dall’altro capo del filo. << Sei strana mi stai nascondendo qualcosa? Mi hai scaricata per qualche tagliagole da correzionale? E il ragazzo? >>
<< Shhh >> sibilò Selly alla cornetta. << Bill, aspetta >> lo chiamò, allontanando l’apparecchio. Lui era già quasi alla porta. << Un attimo solo, ho quasi… >> deglutì << … quasi finito. >>
Bill nascose l’orologio sotto il blazer nero e tornò verso Selly. Alzò le sopracciglia e rise quando sentì la voce di Callie salire di tono nella cornetta. << Non osare riattaccare! >> protestò. << Non mi hai ancora detto nulla, nulla! >>
<< Non voglio far imbestialire nessuno >> scherzò Bill, indicando la cornetta urlante. << Prendi il mio turno, ricambierai la prossima volta. >>
<< No >> ribatté Selly. Voleva disperatamente continuare a parlare con Callie, ma pensò che Bill provasse la stessa cosa nei confronti di chiunque fosse venuto a chiamare. E a differenza di molti altri in quella scuola, Bill era stato sempre gentile con lei. Non voleva fargli perdere il turno, soprattutto adesso che era troppo nervosa per spettegolare su di lui con Callie.
<< Callie >> sospirò. << Devo andare. Chiamo appena… >> ma le rispose solo il ronzio della comunicazione interrotta. Il telefono era programmato per chiudere qualunque conversazione dopo quindici minuti: il piccolo timer ora segnava 00:00. Non era nemmeno riuscita a salutare Callie e ora doveva aspettare un’intera settimana per farlo di nuovo. Nella sua mente, il tempo si dilatò come un baratro senza fondo.
<< Migliore amica? >> domandò Bill, appoggiandosi alla parete della nicchia accanto a Selly. Aveva ancora le sopracciglia alzate. << Ho tre sorelle più piccole, in pratica riesco ad annusare le frequenze delle migliori amiche dal telefono. >> Si chinò per annusarla, e Selly scoppiò a ridere… poi si raggelò. Quell’improvvisa vicinanza le aveva fatto sussultare il cuore.
<< Lasciami indovinare. >> Bill si raddrizzò e alzò il mento. << Voleva sapere tutto dei ragazzi cattivi del correzionale, vero? >>
<< No! >> Selly scosse la testa, negando con impeto di avere dei ragazzi per la testa… finché non si rese conto che Bill stava scherzando. Arrossì e provò a ribattere: << Cioè, le ho detto che qui non ce n’è nemmeno uno buono. >>
Bill batté le palpebre. << Il che rende tutto più eccitante, non credi? >> Era assolutamente immobile, cosa che spingeva anche Selly a restare assolutamente immobile.
Quasi paralizzata accanto a Bill, Selly all’improvviso venne scossa da un brivido. Qualcosa di nero era piombato nell’atrio. L’ombra sembrava saltare con un preciso disegno tra i pannelli del soffitto, oscurandone uno, poi un altro, poi un altro. Maledizione. Non era affatto positivo trovarsi sola con qualcuno – soprattutto così concentrato su di lei come Bill in quel momento – quando arrivavano le ombre. Selly s’irrigidì, ma cercò di mostrarsi calma, mentre l’oscurità turbinava attorno al ventilatore sul soffitto. Quello avrebbe potuto sopportarlo. Forse. Ma emetteva il peggiore dei suoi terribili suoni. Un suono che Selly aveva già sentito una volta, quando aveva visto un piccolo gufo cadere da una quercia e morire soffocato. Si augurò che Bill smettesse di guardarla. Sperò che qualcosa intervenisse a distrarlo. Pregò che…
Thomas  Kaulitz entrasse.
E un attimo dopo accadde davvero. Salvata da un ragazzo magnifico dai dreadlocks corvini che gli ricadevano sul viso. Non aveva proprio l’aria del salvatore: piegato dal peso dei libri della biblioteca, borse grigie sotto gli occhi grigi.
Quando vide Selly e Bill i suoi occhi stanchi si ridussero in piccole fessure. Selly era così impegnata a chiedersi che cosa avesse fatto per irritare Tom anche stavolta che per poco non si accorse di un fatto straordinario: nel momento in cui la porta del corridoio si era chiusa alle sue spalle, l’ombra ci era scivolata attraverso come se qualcuno avesse preso un aspirapolvere e avesse risucchiato tutta la polvere dall’atrio.
Tom fece loro un cenno senza rallentare.
Selly notò che anche Bill stava guardando Tom.
Poi si voltò verso di lei e disse in tono più alto più alto del necessario: << Quasi dimenticavo di dirtelo. C’è una festicciola nella mia stanza dopo l’Evento. Ci terrei che venissi. >>
Tom era ancora a portata d’orecchio. Selly non aveva idea di che cosa fossero questi Eventi, ma tanto doveva vedersi con Gustav prima. Ci sarebbero andati insieme.
Aveva lo sguardo fisso sulla nuca di Tom. Sapeva di dover dare una risposta a Bill per la festa, e non era nemmeno una risposta tanto difficile, ma quando Tom si voltò e la guardò con occhi tristi, il telefono alle sue spalle cominciò a squillare, e Bill disse: << E’ per me, Selly. Verrai? >>
Quasi impercettibilmente, Tom annuì.
<< Si >> rispose Selly. << Si. >>
♦♦♦♦♦♦
 
<< Non capisco perché dobbiamo correre >> disse Selly ansimando, venti minuti dopo. Stava cercando di tenere il passo di Gustav mentre attraversavano il prato diretti all’auditorium dove si sarebbe tenuto il misterioso Evento Serale del mercoledì, di cui Gustav non le aveva ancora parlato. Selly aveva avuto il tempo di tornare nella sua camera per mettersi il lucidalabbra e i suoi jeans preferiti, nel caso si fosse trattato di quel genere di evento sociale. Stava ancora cercando di calmarsi dopo l’incontro con Bill e Tom quando Gustav era piombato nella sua stanza e l’aveva trascinata fuori.
<< I ritardatari cronici non capiscono mai in quanti modi possono mandare all’aria i programmi delle persone puntuali e normali >> disse Gustav mentre attraversavano una zona del prato particolarmente impregnata d’acqua.
<< Ah! >> una risata esplose dietro di loro.
Selly si voltò e si illuminò quando vide la sagoma pallida e sottile di Ilene che correva per raggiungerli. << Chi è quel ciarlatano che ti ha detto che sei normale, Gus? >>
Tirò una gomitata a Selly e indicò il terreno. << Occhi alle sabbie mobili! >>
Selly si fermò appena prima di finire in una pozzanghera particolarmente melmosa. << Mi dite per favore dove stiamo andando? >>
<< Mercoledì sera >> rispose Gustav in tono piatto. << Serata evento. >>
<< Del tipo... un ballo o roba del genere? >> domandò Selly immaginandosi Tom e Bill che si muovevano su una pista.
Ilene fischiò. << Un ballo con morte di noia. La parola “evento” è un tipico esempio di doppio senso da Sword & Cross. Vedi, devono mettere in programma dei momenti in cui farci socializzare, ma sono anche terrorizzati all’idea di dover mettere in programma dei momenti in cui farci socializzare. Bell’impiccio. >>
<< E quindi >> aggiunse Gustav, << organizzano questi eventi da brivido tipo film con dibattito, o... Santo cielo, ti ricordi il semestre scorso? >>
<< Il simposio sulla tassidermia? >>
<< Raccapricciante. >> Gustav scosse il capo.
<< Sta sera, mia cara >> disse Ilene strascicando le parole, << ci va di lusso. Dobbiamo solo dormire durante la proiezione di uno dei tre fil disponibili a rotazione nella videoteca della Sword & Cross. Quale ci sarà stasera, Pennichella? Starman? Joe contro il vulcano? O weekend con il morto 2? >>
<< Starman >> grugnì Gustav.
Ilene scoccò un’occhiata sconcertata a Selly. << Sa tutto. >>
<< Aspetta >> disse Selly, aggirando in punta di piedi la melma e riducendo la voce a un sussurro man mano che si avvicinavano all’entrata principale. << Se li avete visti così tante volte, perché correte fin qui? >>
Gustav aprì le porte dell’auditorium, termine che, notò Selly, era un eufemismo dato che si trattava di una stanza con il soffitto basso a pannelli e alcune file di sedie disposte di fronte a una parete bianca.
<< Mai rischiare di beccarsi il posto bollente accanto a Mr. Cole >> spiegò Ilene, indicando l’insegnante. Aveva il naso sprofondato in un librone, ed era circondato dalle poche sedie libere rimaste nella stanza.
Appena i tre superarono il metal detector sull’ingresso, Gustav disse << Chi si siede lì deve aiutare a distribuire i test settimanali di “salute mentale”.. >>
<< Che non sarebbe neanche un grande problema... >> intervenne Ilene.
<< ... se non ci si dovesse poi fermare fino a tardi per valutare i risultati >> concluse Gustav.
<< Perdendosi il dopo-party >> sussurrò Ilene con un sorriso, guidando Selly verso la seconda fila.
Finalmente erano arrivati al punto. Selly ridacchiò.
<< Me l’hanno detto >> bisbigliò, sentendosi un po’ complice anche lei per una volta. << E’ nella stanza di Bill, vero? >>
Ilene guardò Selly per un attimo e si passò la lingua sui denti. Poi guardò oltre, quasi attraverso di lei. << Ehi, Todd >> chiamò, muovendo appena le dita. Spinse Selly su una sedia, occupò il posto sicuro subito accanto ( a due sedie di distanza da Mr. Cole ) e batté con la mano sul posto bollente. << Vieni a sederti con noi, Mister T! >>
Todd, che ciondolava impacciato sulla soglia, parve improvvisamente sollevato nel sentirsi dare quell’ordine. Si avviò verso di loro, si sedette in modo goffo accanto a Mr. Cole e un attimo dopo l’insegnante alzò lo sguardo dal libro, si pulì gli occhiali con il fazzoletto e disse: << Todd, sono felice che tu sia qui. Mi chiedevo se potevi farmi un favore dopo il film. Vedi, il diagramma di Venn è molto utile per... >>
<< Che perfida! >> disse Gustav affacciandosi verso di loro dalla fila dietro.
Ilene scrollò le spalle ed estrasse un enorme pacco di popcorn dalla borsa. << Ci sono troppi studenti nuovi perché riesca a occuparmi di tutti >> ribatté, lanciando a Selly un chicco burroso. << Sei fortunata. >>
Mentre le luci si abbassavano, Selly si guardò intorno finché non vide Bill.
Pensò alla conversazione troncata con Callie, e a quello che la sua amica diceva sempre: andare al cinema con un ragazzo è il modo migliore per conoscerlo, per scoprire cose che non vengono fuori con una chiacchierata. E ora, guardando Bill, Selly capì cosa intendeva: c’era qualcosa di emozionante nel guardarlo con la coda dell’occhio per vedere a quali battute ridesse, per ridere insieme a lui.
Quando i loro sguardi si incrociarono, Selly provò l’impulso di distogliere gli occhi, imbarazzata. Ma prima che potesse farlo, il viso di Bill si illuminò di un ampio sorriso. E lei si sentì parecchio spudorata per essere stata beccata a fissarlo. Bill la salutò con la mano, e Selly non poté fare ameno di pensare alla reazione del tutto opposta di Tom le poche volte che l’aveva sorpresa a guardarlo.
Tom entrò con Georg, abbastanza tardi perché Randy avesse già fatto la conta dei presenti, abbastanza tardi perché gli unici posti rimasti fossero quelli sul pavimento in prima fila.
Passò davanti al raggio del proiettore e Selly notò per la prima volta che portava al collo una catenina d’argento, con una specie di medaglione infilato sotto la maglietta. Poi si sedette e scomparve del tutto alla sua vista. Selly non riusciva nemmeno a intravederne la sagoma.
Starman non si rivelò molto divertente, ma le imitazioni di Jeff Bridges da parte dei presenti sì.
Selly faceva fatica a concentrarsi sulla trama. E poi provava quella sgradevole sensazione di freddo sulla nuca. Stava per succedere qualcosa.
Stavolta, quando arrivarono le ombre, Selly le stava aspettando. Cominciò a riflettere, contando con le dita. Le ombre si presentavano in maniera più frequente, e Selly non capiva se dipendeva dal suo nervosismo o da qualcos’altro. In passato non erano mai venute così spesso...
Si spostarono lentamente nell’auditorium, poi scivolarono lungo i lati dello schermo e infine riempirono le fenditure tra le assi del pavimento come inchiostro che cola.
Selly si afferrò alla sedia e sentì una fitta di paura nelle gambe e alle braccia. Contrasse i muscoli, ma non riuscì a non tremare. Una stretta sul ginocchio sinistro le fece alzare gli occhi verso Ilene.
<< Stai bene? >> mormorò la ragazza.
Selly annuì e si abbracciò le spalle, fingendo di avere soltanto freddo. Avrebbe voluto che fosse così, ma quel particolare gelo non aveva niente a che fare con l’aria condizionata della scuola.
Sentiva le ombre tirarle i piedi sotto la sedia. Rimasero così, per tutto il film come un peso morto, facendo di ogni istante un’eternità.
 
♦♦♦♦♦♦
 
Un’ora dopo, Ilene premeva l’occhio contro lo spioncino della porta color bronzo della camera di Bill. << Yuuuhuuu! >> cantilenò ridendo. << E’ qui la festa!? >>
Tirò fuori un boa di piume di struzzo rosa dalla stessa borsa magica da cui aveva preso i popcorn. << Dammi una mano >> disse a Selly, agitando il piede i aria.
Selly intrecciò le dita e le offrì un appoggio: Ilene coprì con il boa la telecamera di sorveglianza, e poi la spense.
<< Non sembrerà un po’ troppo sospetto? >> disse Gustav.
<< A chi va la tua fedeltà? >> ribatté Ilene. << Al dopo-party o allo spia-party? >>
<< Dico solo che ci sono modi più intelligenti >> sbuffò Gustav. Ilene saltò giù e drappeggiò il boa sulle spalle di Selly, che rise e cominciò a ballare al ritmo della musica che veniva da dietro la porta. Ma voltandosi verso Gustav si accorse che l’amico era ancora nervoso: si mordeva le unghie e aveva la fronte sudata. Aveva addosso sei maglioni nonostante il clima settembrino del paludoso sud... Sembrava che non avesse mai abbastanza caldo.
<< Cos’hai? >> sussurrò Selly, chinandosi verso di lui.
Gustav giocherellò con l’orlo della manica. Stava per rispondere quando la porta si aprì: furono accolti da un fiotto di fumo di sigaretta, musica a tutto volume e le braccia spalancate di Bill.
<< Ce l’hai fatta >> disse a Selly sorridendo. Perfino nella penombra le sue labbra avevano la lucentezza delle bacche colorate. Bill l’abbracciò e Selly si sentì piccola e al sicuro. Durò solo un attimo, poi Bill si voltò per salutare Gustav e Ilene, e Selly si sentì un po’ orgogliosa di essere stata l’unica a ricevere quell’abbraccio.
Alle spalle di Bill la piccola stanza scura era piena di gente. Georg era alla console che guardava dei dischi sotto una luce UV. La coppietta con i piercing alla lingua era appartata vicino alla finestra. I ragazzi con le camicie Oxford stavano in gruppo, e ogni tanto guardavano verso le ragazza. Ilene puntò subito alla scrivania di Bill, che stata trasformata in bar. Meno di un istante dopo, stringeva tra le gambe una bottiglia di champagne, ridendo nel tentativo di aprirla.
Selly era sbalordita. A Dover il mondo esterno era molto più a portata di mano, eppure non aveva mai saputo come fare per prendersi una sbronza. Bill era tornato da poco alla Sword & Cross, ma sembrava già sapere come si faceva a rimediare tutto l’occorrente per mettere in piedi una serata come questa a cui invitare tutta la scuola. E in qualche modo chiunque altro lì dentro pensava fosse normale.
Selly era ancora in piedi sulla soglia quando sentì il rumore del tappo che saltava, seguito dalla voce di Ilene che la chiamava:
<< Seeeleneee, vieni qui. Sto per fare un brindisi. >>
Selly era attirata dal fascino della festa, ma Gustav sembrava molto meno pronto a muoversi.
<< Vai avanti tu >> disse a Selly facendole un cenno con la mano.
<< Che c’è? Non vuoi entrare? >>
Gustav aggrottò le sopracciglia. << Io... io non sono nel mio elemento. Io faccio... laboratori su come usare Power Point. Se vuoi crackare un file, sono la persona giusta. Ma questo... >> Si alzò in punta di piedi e sbirciò nella stanza. << Non so. La gente pensa che io sia un saputello. >>
Selly tentò di sfoderare la sua migliore espressione da “ma smettila!”. << E di me pensano che sono un polpettone e noi due pensiamo che loro siano tutti matti. >> Rise.
<< Non possiamo buttarci e basta? >>
Gustav storse le labbra << Oh, va bene >> disse, marciando dentro davanti a Selly.
Selly dovette battere le palpebre per un po’ prima di abituarsi alla penombra. Un chiasso assordante riempiva la stanza, ma riusciva a sentire la voce divertita di Ilene. Bill chiuse la porta alle spalle di Selly e la prese per mano, così rimase indietro, lontana dal centro della festa.
<< Sono davvero felice che sei venuta >> disse lui, posandole una mano sulla schiena e avvicinando la testa per farsi sentire nel chiasso. Le sue labbra sembravano quasi appetitose, soprattutto mentre diceva: << Saltavo su ogni volta che sentivo bussare, sperando che fossi tu. >>
Qualunque cosa fosse la cosa che l’aveva conquistato così in fretta, Selly non aveva intenzione di rovinarla. Bill era popolare, inaspettatamente premuroso, e le sue attenzioni la facevano sentire molto più che adulata. La facevano sentire a suo agio in quel posto nuovo e strano. 
Selly sapeva che se avesse provato a rispondere al complimento avrebbe inciampato nelle parole. Quindi scoppiò a ridere, cosa che fece ridere anche lui, che poi l’attirò a se in un altro abbraccio.
E all’improvviso non ci fu altro posto dove tenere le mani se non attorno al collo di lui. Bill la strinse, sollevandola appena da terra, e lei sentì un lieve capogiro.
Quando la rimise giù, Selly si voltò verso la festa, e la prima cosa che vide fu Tom. Era sicura che a lui Bill non piacesse. A ogni modo, sedeva a gambe incrociate sul letto, la luce UV dava alla sua maglietta bianca una sfumatura violacea. Non appena gli occhi di Selly lo inquadrarono, fu difficile guardare da qualsiasi altra parte. Il che non aveva senso, perché accanto a lei c’era un ragazzo magnifico e gentile, che le chiedeva che cosa volesse da bere. Non era giusto che non riuscisse a smettere di guardare l’altro ragazzo altrettanto magnifico ma infinitamente meno cordiale, che stava seduto dall’altra parte della stanza. E che la stava fissando. Di proposito, con uno sguardo enigmatico, sfuggente, che Selly non avrebbe mai decifrato, nemmeno se l’avesse visto mille volte.
Agli occhi di Selly l’unica cosa chiara era l’effetto che quello sguardo aveva su di lei. Tutte le altre persone nella stanza erano sfocate e lei si sentiva sciogliere.
Avrebbe continuato a fissarlo per tutta la serata se non fosse stato per Ilene, che era salita sulla scrivania e la chiamava forte, alzando il bicchiere.
<< A Selly >> brindò, rivolgendole un sorriso innocente, << che si è ovviamente distratta e ha perso tutto il mio discorso di benvenuto e che non saprà mai quanto era pazzescamente favoloso... favoloso, vero, Ge? Si chinò verso Georg, che le diede una pacca di assenso sulla caviglia.
Bill mise in mano a Selly un bicchiere di carta pieno di champagne. Lei arrossì, e per smorzare l’imbarazzo fece una risatina mentre tutti gridavano: << A Selly! A Polpettone! >>
Molly scivolò al suo fianco e le sussurrò all’orecchio una versione abbreviata del brindisi: << A Selly, che non saprà mai. >>
Pochi giorni prima, Selly avrebbe sussultato. Adesso, invece, alzò gli occhi al cielo e le voltò le spalle. Quella ragazza non le aveva mai detto una frase che non l’avesse ferita, ma darlo a vedere sembrava solo istigarla a continuare. E così Selly si fece da parte per dividere la sedia con Gustav, che le porse un nastro di liquirizia.
<< Ma ci pensi? Mi sto davvero divertendo >> disse Gustav masticando allegro.
Selly diede un morso alla liquirizia e bevve un sorsetto di champagne. Una combinazione non proprio gradevole. Un po’ come lei e Molly. << Ma Molly è perfida con tutti o riserva solo a me un trattamento speciale? >>
Gustav sembrava già pronto a rispondere, ma all’ultimo momento esitò; alla fine, le diede una pacca sulla schiena e con il suo solito tono allegro, disse >> Sono i suoi tipici modi affascinanti, mia cara. >>
Selly guardò lo champagne che scorreva a fiumi, la console vintage di Bill, la “disco ball“ che vorticava sul soffitto, lanciando stelle sui volti degli invitati.
<< Dove hanno preso tutta questa roba? >> domandò a voce alta.
<< Dicono che Georg possa far entrare qualunque cosa alla Sword & Cross >> rispose Gustav, spiccio. << Non che glie l’abbia mai chiesto. >>
Forse era questo che intendeva Ilene quando diceva che Georg sapeva come procurarsi le cose. L’unico oggetto off-limits che Selly avrebbe desiderato tanto da arrischiarsi a chiederglielo era un cellulare. Ma poi... Bill aveva detto di non dar retta ad Ilene quando si parlava dei meccanismi interni della scuola. Già, peccato che la maggior parte di quello che c’era alla sua festa a quanto sembrava era un gentile omaggio di Georg. Più Selly cercava di sbrogliare quella matassa di domande, meno ne veniva a capo. Forse doveva limitarsi a essere abbastanza “trendy” da farsi invitare.
<< Okay, reietti >> disse Georg a voce alta per attirare l’attenzione di tutti. Dallo stereo arrivava il fruscio silenzioso del’intervallo tra due canzoni. << Stiamo per dare inizio al momento “microfono aperto” della serata. Si raccolgono le richieste per il karaoke. >>
<< Tom Kaulitz! >> strillò Ilene.
<< No! >> strillò Tom all’istante.
<< Oooh, il silenzioso Kaulitz passa la mano >> disse Georg nel microfono. << Sei sicuro di non volerci dare la tua versione di Hellhound on my trail? >>
<< Direi che è la tua canzone, Georg >> rispose Tom.
Un vago sorriso gli distese le labbra, ma Selly ebbe l’impressione che fosse un sorriso imbarazzato, del genere “qualcun altro si mette sotto i riflettori per favore”.
<< Ha ragione, gente >> disse Georg ridendo. << Anche se il karaoke su una canzone di Robert Johnson è un sistema universalmente riconosciuto per far svuotare una stanza. >> Pescò un album di R. L. Burnside dalla pila e accese il giradischi. << Andiamo a sud, invece. >>
Appena partirono gli accordi di una chitarra elettrica, Georg occupò il centro del palco, pochi metri quadrati illuminati dalla luna. Tutti applaudivano o battevano i piedi a tempo, ma Tom guardava l’orologio. Selly ripensò al suo cenno d’assenso nell’atrio solo poche ore prima, quando Bill l’aveva invitata alla festa. Come se Tom la volesse lì per qualche motivo. Naturalmente, ora che c’era, lui non aveva dato segno di aver notato la sua esistenza.
Se solo fosse riuscita a stare un po’ sola con lui...
Georg aveva monopolizzato l’attenzione del pubblico, e solo Selly si accorse che a metà della canzone Tom si alzò, si fece strada tra Bill e Molly e uscì in silenzio.
Era la sua occasione. Mentre tutti applaudivano, Selly si alzò lentamente.
<< Bis! >> gridò Ilene. Poi, notando Selly che si alzava disse: << Ma dai, quella non è la mia ragazza che si fa avanti per cantare? >>
<< No! >> Selly non voleva cantare in quella stanza piena di gente più di quanto volesse ammettere il vero motivo per cui si stava alzando. E invece eccola lì, alla sua prima festa alla Sword & Cross, con Georg che le metteva il microfono sotto il mento. E adesso?
<< Io... è solo che mi dispiace per, ehm, Todd che si sta perdendo tutto. >> La sua voce le ritornò amplificata dalle casse. Si stava già pentendo di quella bugia, e del fatto di non poterla ritrattare. << Pensavo di fare una corsa giù e vedere se ha finito con Mr. Cole. >>
Sembravano tutti indecisi su come prendere le sue parole. Solo Gustav disse timido, ma a voce alta: << Torna subito! >>
Molly fece una smorfia. << Sfigati innamorati >> disse fingendo di svenire. << Che romantici. >>
Uno momento, credevano che le piacesse Todd? Oh, chi se ne importava... L’unica cosa che non dovevano sapere era quella che Selly stava cercando di seguire fuori.
Ignorando Molly, Selly si precipitò verso la porta, dove Bill la intercettò, le braccia incrociate. << Vuoi compagnia? >> disse, speranzoso.
Selly scosse la testa. Per qualunque altra passeggiata con ogni probabilità avrebbe voluto la sua compagnia. Ma non in quel momento.
<< Torno subito >> rispose allegra. Sgattaiolò fuori in corridoio prima di poter cogliere le delusione sul viso di Bill.
Dopo il frastuono della festa, il silenzio le rimbombò nelle orecchie. E le ci vollero un paio di secondi perché riuscisse a distinguere le voci soffocate proprio dietro l’angolo.
Tom. Avrebbe riconosciuto la sua voce ovunque.
Ma era meno sicura di chi fosse la persona con cui stava parlando. Comunque, era una ragazza.
<< Scuuusa. >> Chiunque fosse lo disse con un inconfondibile accento del sud.
Gabbe? Tom era uscito di nascosto per vedere Gabbe?
<< Non succederà più >>  continuò lei. << Ti giuro che... >>
<< Non può succedere di nuovo >> sussurrò Tom, ma il suo tono in pratica gridava “lite tra innamorati”. << Hai promesso che ci saresti stata, e non c’eri. >>
Dove? Quando? Selly era disperata. Si incamminò lungo il corridoio, cercando di non fare rumore.
Ma quei due si erano zittiti. Selly immaginò Tom prendere le mani di Gabbe nelle sue, chinarsi su di lei per un lungo bacio appassionato. Una coltre di invidia divorante le scese sul petto. Dietro l’angolo, uno dei due sospirò.
<< Devi fidarti di me, tesoro >> disse Gabbe con una voce talmente zuccherosa che Selly decise, una volta per tutte, che l’avrebbe odiata. << Non hai che me. >>

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Capitolo 6
*** Nessuna salvezza. ***


Sei
♦♦♦
NESSUNA SALVEZZA
 
Nelle luminose , prime ore del giovedì mattina, un altoparlante si risvegliò crepitando nel corridoio fuori dalla stanza di Selly:
<< Attenzione, Swordcrossiani! >>
Selly si rigirò con un grugnito, ma per quanto cercasse di schiacciarsi il cuscino sulle orecchie, fu poca cosa in confronto al latrato di Randy che si diffondeva dagli altoparlanti.
<< Avete nove minuti esatti per presentarvi in palestra per la valutazione annuale dell’idoneità fisica. Come sapete, non vediamo di buon occhio i ritardatari, quindi siate rapidi e pronti per la verifica delle vostre condizioni di salute. >>
Valutazione dell’idoneità fisica? Verifica delle condizioni di salute? Alle sei e mezza del mattino? Selly si stava già pentendo di aver fatto così tardi la sera prima... e di aver fatto ancora più tardi rigirandosi nel letto, come un’anima in pena.
Proprio nel momento in cui aveva immaginato Tom e Gabbe che si baciavano, Selly aveva cominciato a sentirsi a disagio, quel particolare tipo di disagio che viene dalla consapevolezza di essersi resi ridicoli. Di tornare alla festa non se ne parlava. Poteva solo staccarsi dal muro e dileguarsi verso la sua stanza per cercare di decifrare le sensazioni che provava quando le capitava di essere vicina a Tom, quello che lei come una stupida considerava una sorta di legame.
Si era svegliata con in bocca il cattivo sapore dei postumi della festa. L’ultima cosa a cui voleva pensare era la forma fisica.
Appoggiò i piedi sul freddo pavimento di linoleum.
Mentre si lavava i denti cercò di immaginarsi che cosa si intendesse alla Sword & Cross per “verifica delle condizioni di salute”. La sua mente si riempì di immagini dei suoi compagni che le misero i brividi: Molly con lo sforzo dipinto in faccia impegnata in decine di trazioni, Gabbe che si arrampicava senza alcuna fatica verso il cielo su una fune di dieci mentre. L’unica possibilità di non rendersi ridicola un’altra volta era tenere Tom e Gabbe fuori dalla sua testa.
Attraversò la zona sud del campus fino alla palestra.
Era una vasta struttura gotica: non aveva proprio l’aria di un posto dove andare a farsi una sudata. Mentre si avvicinava, i rampicanti che ricoprivano la facciata frusciarono nella brezza mattutina.
<< Gustav >> chiamò Selly, vedendo l’amico che, in tuta da ginnastica, si allacciava le scarpe su una panchina. Selly diede un’occhiata ai proprio vestiti neri e gli stivali neri e all’improvviso ebbe paura di essersi persa qualche norma di abbigliamento. Ma in effetti, anche gli altri studenti che bighellonavano lì fuori non erano vestiti in modo troppo diverso da lei.
Gustav aveva gli occhi pesti. << Sono a pezzi >> si lamentò.
<< Troppo karaoke ieri sera. Pensavo di rimediare almeno sembrando atletico. >>
Selly rise mentre Gustav si allacciava le scarpe. << A proposito, ma che ti è successo ieri? >> domandò. << Non sei più tornata alla festa. >>
<< Oh >> rispose Selly, evasiva. << Ho deciso di... >>
<< Aaah >> Gustav si coprì le orecchie. << Ogni suono è come un martello pneumatico che mi perfora il cervello. Me lo dici dopo. >>
<< Certo >> ribatté Selly. << Tranquillo. >> La porta a due battenti si spalancò e Randy uscì con un paio di pesanti zoccoli di gomma ai piedi e l’immancabile portablocco tra le mani. Fece segno agli studenti di avvicinarsi, e questi, uno alla volta, le sfilarono davanti per essere assegnati alla propria attività.
<< Todd Hammond >> chiamò Randy, è il ragazzo si avvicinò, con le ginocchia che gli tremavano. Le spalle di Todd era curve come parentesi, e Selly riuscì a distinguergli sulla nuca i segni di una marcata abbronzatura da lavoro nei campi.
<< Pesi. >> ordinò Randy, spingendolo dentro la palestra. << Gustav Schäfer >> vociò subito dopo Randy, costringendo Gustav a premersi di nuovo le mani sulle orecchie. << Piscina. >> stabilì, frugando in una scatola di cartone alle sue spalle e lanciandole un costume rosso.
<< Selene Price >> proseguì, dopo aver consultato il registro. Selly fece un passo avanti. Fu un sollievo sentire la destinazione: << Anche tu piscina. >> Prese al volo il costume. Era slabbrato e sottile come un foglio di carta. Almeno sapeva di pulito. Più o meno.
<< Gabrielle Givens >> chiamò Randy. Selly si voltò: la meno - preferita tra le sue compagne avanzava con passo armonioso in calzoncini e top nero. Era in quella scuola da tre giorni... come aveva fatto a prendersi Tom?
<< Ciaaao, Randy >> disse Gabbe, in un tono così nasale e strascicato che a Selly venne una gran voglia di tapparsi le orecchie come Gustav.
Non la piscina, pregò Selly. Non la piscina.
<< Piscina. >> disse Randy.
Mentre camminava accanto a Gustav verso gli spogliatoi, Selly cercò di non guardare Gabbe, che faceva mulinare sull’indice fresco di french manicure l’unico costume da bagno alla moda di tutto il mucchio. Invece si concentrò sulle pareti di pietra grigia e sui vecchi arredi sacri che ancora li foderavano. Passò accanto a crocifissi di legno intagliati con bassorilievi della Passione.
Una serie di trittici sbiaditi erano appesi ad altezza occhi. Selly si chinò per guardare meglio una grande pergamena scritta in latino chiusa in una teca di vetro.
<< Decorazioni edificanti, vero? >> domandò Gustav, mandando giù un aspirina con un sorso d’acqua.
<< Cos’è questa roba? >> chiese Selly.
<< Storia antica. Le uniche testimonianze di quando in questo posto si diceva Messa, ai tempi della guerra civile. >>
<< Il che spiega perché somigli tanto a una chiesa >> disse Selly, fermandosi davanti a una riproduzione di marmo della pietà di Michelangelo.
<< Come tutto in questo buco d’inferno, anche qui hanno fatto le cose con i piedi. Voglio dire, chi è che mette una piscina in mezzo a una vecchia chiesa? >>
<< Stai scherzando? >> disse Selly.
<< Magari. >> Gustav alzò gli occhi al cielo. << Tutte le estati, il preside si ficca in quella testolina che deve appiopparmi il compito di riarredare questo posto. Non lo ammetterà mai, ma tutta ‘sta roba religiosa lo terrorizza. Il problema è che anche mettendomici d’impegno, non avrei la minima idea di cosa fare con tutto questo ciarpame, o di come liberarmene senza offendere, diciamo, né Dio né nessun altro. >>
<< Potresti metterci le foto segnaletiche degli studenti >> disse Gabbe alle loro spalle.
Selly cominciò a ridere – bella battuta... e strana, come se Gabbe le avesse letto nel pensiero – ma poi ricordò la voce femminile della sera prima, che diceva a Tom: “Non hai che me”. Sell scacciò subito ogni minimo desiderio di contatto con lei.
<< State perdendo tempo! >> gridò l’insegnante di ginnastica apparendo dal nulla. La prof – o almeno Selly pensava che fosse una donna – aveva un ammasso di capelli crespi raccolti in una coda, polpacci come zamponi di maiale e un ingiallito apparecchio “invisibile” sui denti superiori.
Spinse come una furia le ragazze verso gli armadietti. << Nessuno perde tempo dell’ora di Diante! >>
Selly si infilò il costume sformato e aspettò che Gustav uscisse dallo spogliatoio maschile.
Quando si ritrovò immersa nell’umidità della sala che ospitava la piscina, Selly comprese appieno le parole di Gustav.
La piscina era gigantesca, olimpionica, uno di pochi elementi moderni che aveva visto fino a quel momento nel campus. Ma con un certo sgomento capì che non era quello a renderla straordinaria.
La piscina si trovava al centro di quella che una volta era stata una chiesa imponente.
C’era una fila di belle finestre di vetro colorato, con solo qualche pannello rotto, che occupava tutta la parete, fino all’alto soffitto a volte. C’erano nicchie di pietra illuminate dalle candele. Un trampolino svettava là dove una volta doveva esserci stato l’altare. Se Selly non fosse stata cresciuta come atea, se fosse stata credente, molto probabilmente avrebbe pensato che quello era un luogo sacrilego.
Alcuni studenti erano già in acqua, e il fiatone li faceva sbuffare alla fine di ogni vasca. Ma furono quelli fuori dall’acqua ad attirare l’attenzione di Selly. Molly, Georg e Ilene se ne stavano seduti qua e là sulle tribune che correvano lungo le pareti. Ridevano a crepapelle.
In pratica Georg era piegato in due e la sua risata riecheggiava in tutta la struttura, e Ilene si stava asciugando le lacrime. Indossavano costumi molto più belli di quello di Selly, ma sembrava che non avessero intenzione di avvicinarsi alla piscina.
Selly si mise a giocherellare con il costume sformato. Voleva raggiungere Ilene, ma mentre valutava i pro (possibile ingresso nell’élite) e i contro (la Diante che la rimproverava urlando come una matta) Gabbe si avvicinò al gruppo a passo lento. Come se fosse la migliore amica di tutti. Si sedette accanto ad Ilene e scoppiò subito a ridere anche lei, come se avesse capito lo scherzo, qualunque fosse.
<< Riescono sempre a saltare il giro >> spiegò Gustav fulminando con lo sguardo il gruppetto sule tribune. << Non chiedermi come fanno. >>
Selly rimase sul bordo della piscina, esitando, incapace di sintonizzarsi con le istruzioni della Diante. Guardò ancora Gabbe e il resto della compagnia seduti insieme con quell’aria spavalda, e si ritrovò a pensare quanto sarebbe stato bello se lì con loro ci fosse stato Bill. Se lo immaginava seminudo in un lucido costume nero, che la invitava tra loto con un ampio sorriso, facendola sentire la benvenuta, se non addirittura importante.
E d’un tratto Selly sentì un terribile bisogno di scusarsi con lui per aver abbandonato la festa così presto... era strano, però, dato che non stavano insieme lei non doveva rendere conto a Bill dei suoi spostamenti. Ma allo stesso tempo le piaceva quando lui le dedicava tutte quelle attenzioni. Le piaceva il modo in cui si concentrava su di lei mentre l’ascoltava, quasi che non riuscisse a vedere o sentire nessun altro, le piaceva il suo odore. Profumava di  fresco, come l’aria aperta, come guidare di notte con i finestrini abbassati. Le piaceva il modo in cui si concentrava solo su di lei mentre l’ascoltava, quasi che non riuscisse a vedere o sentire nessun altro. Le piaceva perfino che l’avesse praticamente presa in braccio alla festa, proprio sotto gli occhi di Tom. Non voleva fare niente che potesse spingere Bill a riconsiderare il proprio comportamento nei suoi confronti.
Quando la prof soffiò nel fischietto, Selly trasalì, sorpresa, poi vide con dispiacere che Gustav e gli altri studenti vicino a lei saltavano in piscina. Guardò la Diante per capire che cosa doveva fare.
<< Tu devi essere Selene Price... che arriva tardi e non ascolta mai. >> Sospirò. << Randy mi ha parlato di te. Otto vasche, scegli tu lo stile. >>
Selly annuì e fece aderire le dita dei piedi al bordo della piscina. Aveva sempre amato nuotare. Glielo aveva insegnato suo padre, e una volta alla piscina di Thunderbolt aveva vinto un premio per essere stata la più piccola nuotatrice a spingersi nella parte dove l’acqua era alta senza braccioli. Ma erano passati anni. Selly non si ricordava nemmeno più quando era stata l’ultima volta che aveva nuotato.
La Diante si schiarì la gola. << Forse non hai capito che questa è una gara... e tu stai già perdendo. >>
Era la “gara” più patetica e ridicola che Selly avesse mai visto, ma questo non impedì al suo lato competitivo di venire fuori.
<< E... continui a perdere >> disse la Diante, masticando il fischietto. << Non per molto >> ribatté Selly.
Si tuffò di testa, e sentì la schiena inarcarsi mentre scivolava nell’acqua increspata.
Lasciando che l’irritazione le facesse da propellente, Selly emerse con metà del corpo. Scoprì che il movimento le veniva ancora naturale, e prese a mulinare le braccia in un perfetto stile a farfalla.
Era quasi arrivata in fondo all’ottava vasca, quando riemerse dall’acqua con la testa giusto per sentire la voce pacata di Gabbe dire: << Tom. >>
La sua esaltazione scomparve, come una candela spenta. Selly appoggiò i piedi e aspettò il resto della frase di Gabbe. Per fortuna, non riuscì a sentire altro che un rumore di spruzzi e un attimo dopo un fischio.
<< E il vincitore è... >> disse la Diante con aria sbalordita << Joel Brand. >> Il ragazzino magro con l’apparecchio ai denti della corsia accanto saltò fuori dall’acqua e agitò le braccia per festeggiare la vittoria.
Gustav si fermò accanto a Selly. << Che è successo? Te lo stavi mangiando in un boccone. >>
Selly scrollò le spalle. Gabbe, ecco cos’era successo, ma quando si voltò verso le tribune lei se n’era andata, e così Ilene e Molly. Del gruppo era rimasto solo Georg, immerso nella lettura di un libro.
Selly si era caricata di adrenalina durante la gara ma adesso era così a pezzi che Gustav dovete aiutarla a uscire.
Georg scese dagli spalti. << Sei stata brava >> disse, lanciandole un asciugamano e la chiave dell’armadietto di cui lei aveva perso le tracce. << Per un po’. >>
Selly afferrò la chiave al volo e si avvolse nell’asciugamano. Ma invece di rispondere con un “Grazie per l’asciugamano” o un “Devo essere fuori forma”, il suo nuovo lato impulsivo e bizzarro le fece dire: << Ma Tom e Gabbe stanno insieme o cosa? >>
Grosso errore. Molto grosso. Dallo sguardo di Georg, era chiaro che la domanda sarebbe arrivata diritta a Tom. << Oh, ora capisco >> rise. << Be’, non potrei davvero... >> La guardò, si grattò il naso, le rivolse un sorriso solidale. Poi indicò la porta del corridoio, e seguendo il suo dito Selly vide passare Tom. << Perché non lo chiedi a lui? >>
♦♦♦♦♦♦
 
Selly aveva i capelli ancora bagnati, ed era scalza quando si ritrovò a gironzolare davanti alla porta di una grande palestra attrezzata. La sua prima intenzione era stata filare diritta nello spogliatoio a cambiarsi e asciugarsi; ma il corpo ebbe la meglio sulla sua mente quando intercettò Tom. Era in un angolo e le dava le spalle, e intanto sceglieva una corda dal mucchio aggrovigliato. Ne prese una blu con le impugnature di legno, poi si spostò in una zona libera al centro della stanza. La sua pelle dorata sembrava risplendere, e Selly seguiva rapita ogni suo movimento, sia che ruotasse il collo sinuoso sia che si chinasse per grattarsi il polpaccio scolpito. Era schiacciata contro la porta, e non si accorgeva di battere i denti né che l’asciugamano era ormai fradicio.
Quando lui portò la corda dietro le caviglie prima di cominciare a saltare, Selly fu colpita da un vivido déjà-vu. Non che sentisse di averlo già visto saltare alla corda prima di allora, ma la posizione che aveva assunto le era particolarmente famigliare: i piedi divaricati in linea con i fianchi, le ginocchia appena piegate, le spalle un po’ chiuse in avanti per riempire d’aria il petto. Selly avrebbe potuto disegnarlo.
Fu solo quando lui cominciò a far girare la corda che Selly uscì dalla trance, ma solo per finire diritta in un’altra. Non aveva mai visto nessuno muoversi così. Sembrava quasi che volasse. La corda girava tanto in fretta da scomparire, e i suoi piedi, toccavano terra o no? Si muoveva così rapido che non doveva nemmeno contare tra un saltello e l’altro.
Un sonoro grugnito e un tonfo dall’altro lato della palestra la distrassero. Todd era accasciato ai piedi di una delle funi da arrampicata. Per un attimo le dispiacque per lui, che si guardava le mani piene di vesciche. Fece per voltarsi di nuovo e vedere se Tom se ne fosse accorto, ma un’onda fredda e nera lambì la pelle e la fece rabbrividire. L’ombra la sovrastò piano, gelida e tenebrosa, con i suoi contorni indefiniti; poi, si fece aggressiva, si scagliò contro di lei e la fece indietreggiare. La porta le si chiuse in faccia e Selly rimase da sola nel corridoio. << Ahia! >> esclamò, non perché le avesse fatto male, ma perché le ombre non l’avevano mai toccata prima. Si guardò le braccia nude: le era quasi sembrato che due mani l’avessero afferrata in quel punto, per poi spingerla via dalla palestra.
Era impossibile, si trovava solo nel posto sbagliato, doveva essere stata una corrente d’aria. Turbata, Selly si avvicinò alla porta chiusa e premette il viso contro il piccolo rettangolo di vetro. Tom si guardava intorno, come se avesse sentito qualcosa. Selly era sicura che non si fosse accorto di lei: non aveva l’aria minacciosa.
Pensò di seguire il suggerimento di Georg e chiedere direttamente a Tom come stessero le cose, ma liquidò l’idea in fretta. Era impossibile chiedere a lui. Non voleva far riaffiorare la rabbia sul suo viso.
E oltretutto, qualunque cosa volesse domandargli, sarebbe stato inutile. La sera prima aveva già sentito ammettere che stava con Gabbe. Si avviò verso lo spogliatoio, e solo allora si accorse di non potersene andare.
La chiave.
Doveva esserle scivolata di mano quando era stata spinta fuori. Selly si alzò in punta di piedi per guardare dal vetro: e infatti eccola lì, sul tappeto blu imbottito.
Com’era arrivata laggiù, così vicino a Tom? Selly sospirò e aprì la porta, pensando che se doveva entrare tanto valeva far presto.
Gli lanciò un’ultima occhiata. Tom stava rallentando il ritmo, eppure i suoi piedi toccavano ancora terra a malapena. E infine, con un ultimo leggerissimo salto, Tom si fermò e si voltò verso di lei.
Per un attimo non disse nulla. Lei si sentì arrossire e desiderò con tutta se stessa di non avere addosso quell’orrendo costume da bagno.
<< Ciao >> fu tutto quello che le uscì.
<< Ciao >> ribatté lui in un tono molto più tranquillo. Poi, indicando il costume: << Hai vinto? >>
Selly fece una risata triste e scosse la testa. << Neanche per idea. >>
Tom strinse le labbra. << Ma tu sei sempre stata... >>
<< Io sono sempre stata cosa? >>
<< Cioè, hai l’aria di essere una buona nuotatrice. >> Si strinse nelle spalle. << Tutto qui. >>
Selly fece un passo verso di lui. Erano a meno di mezzo metro di distanza. L’acqua le gocciolava dai capelli sul tappeto come pioggia leggera. << Non stavi dicendo così >> insistette. << Hai detto che sono sempre stata... >>
All’improvviso Tom si finse occupato ad arrotolarsi la corda attorno al polso. << Okay, non intendevo proprio “tu”. Parlavo in generale. In genere ti fanno vincere la prima gara. E’ una regola non scritta di noi veterani. >>
<< Ma neanche Gabbe ha vinto >> ribatté Selly, incrociando le braccia al petto. << Ed è nuova. Non è nemmeno entrata in acqua. >>
<< Non è proprio nuova, è tornata dopo un periodo di... assenza. >> Tom scrollò le spalle, senza lasciar trapelare nulla i ciò che provava per lei. Il suo tentativo di apparire naturale rese Selly ancora più gelosa. Lo osservò mentre arrotolava la corda, le mani rapide quasi quanto i piedi. E lei così goffa, sola, infreddolita ed esclusa da tutto e da tutti. Le labbra le tremarono.
<< Oh, Selene >> sussurrò lui, con un profondo respiro.
Il corpo di Selly si riscaldò all’istante. La sua voce era così intima e familiare.
Avrebbe tanto voluto che ripetesse il suo nome, ma lui si era voltato. Appese la corda arrotolata a un gancio sulla parete. << Devo andare a cambiarmi per la lezione. >>
Selly gli appoggiò la mano sul braccio. << Aspetta. >>
Lui si ritrasse come se avesse preso la scossa, e anche Selly provò la stessa cosa, ma era quel genere di scossa che ti fa sentire bene.
<< Non hai mai la sensazione... >> Selly lo guardò negli occhi. Da quella distanza riusciva a vedere quanto fossero strani. Da lontano sembravano grigi, ma da vicino erano screziati di viola. Selly era sicura di aver già conosciuto in passato qualcuno con gli occhi così...
<< Potrei giurare che ci siamo già incontrati >> disse. << Sono pazza? >>
<< Pazza? Non è questo il motivo per cui sei qui? >> ribatté lui, spostandole la mano.
<< Dico sul serio. >>
<< Anch’io. >> Il viso di Tom non tradiva alcuna emozione. << E per la cronaca >> indicò il congegno con la luce intermittente appeso al soffitto << le spie registrano i molestatori. >>
<< Non ti sto molestando >> si irrigidì lei, mentre si rendeva conto della distanza tra i loro corpi.
<< Puoi dire in tutta sincerità che non sai di cosa sto parlando? >>
Tom scrollò le spalle.
<< Non ti credo >> insistette Selly. << Guardami negli occhi e dimmi che mi sbaglio. Che  non ti ho mai visto prima di questa settimana. >>
Il suo cuore accelerò quando Tom  fece un passò verso di lei e le mise le mani sulle spalle. I suoi pollici sembravano fatti per entrare alla perfezione nell’incavo delle sue clavicole, e Selly avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi per assaporare appieno quella sensazione di calore che le dita di Tom le trasmettevano... ma non lo fece.
Tom chinò il capo fin quasi a sfiorarle il naso con il proprio. Selly sentì il suo respiro. Aspirò un pizzico di dolcezza sulla sua pelle.
Lui fece quel che lei aveva chiesto. La guardò negli occhi e disse molto lentamente, molto chiaramente, in modo che fosse impossibile fraintenderlo:
<< Non mi hai mai visto prima di questa settimana. >> 

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