Come il cielo di primavera

di Fear
(/viewuser.php?uid=212627)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nessun petalo ***
Capitolo 2: *** Primo petalo ***
Capitolo 3: *** Secondo petalo ***
Capitolo 4: *** Terzo petalo ***
Capitolo 5: *** Quarto petalo ***
Capitolo 6: *** Quinto petalo ***
Capitolo 7: *** Sesto petalo ***



Capitolo 1
*** Nessun petalo ***


Image and video hosting by Minus

{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: Abraham's Daughter di Arcade Fire.
Salve ragazze e ragazzi, come avrete potuto notare, questo è il primo capitolo della storia e cioé il prologo. L'avevo già scritto, vero? Lo so bene, ma purtroppo ci sono stati delle serie di equivoci che mi hanno impedito di tenere la storia pubblica, ma ora che ho risolto posso ritornare all'attacco! So bene che i primi capitoli vi scocceranno perché li avete già letti, ma purtroppo non ci posso fare niente. Siate tanto gentili - abbiate tanta pazienza - e recensite ancora, come avete fatto nella "versione" precedente della storia, ve ne sarei grata. Non sapete quanti sforzi - piacevoli e non - ho fatto e tutt'ora faccio per questa storia.
Questo prologo è leggermente diverso dall'altro solamente per il semplice motivo che ho inserito più dettagli ed ho descritto, a mio parere, meglio il luogo e l'atmosfera. La citazione all'inizio è di Oscar Wilde.
Ah! D'ora in avanti mi firmerò con i miei veri due nomi e il cognome del mio fidanzato, ma voi continuate pure a chiamarmi Miku.
i Questa è la copertina della storia e questo è il primo trailer - entrambi sotto il mio copyright.
Spero che la storia piaccia adesso così com'era piaciuta prima e grazie ai futuri lettori e recensitori.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Prologo - Nessun petalo: Quello che ho perso
Un bambino che si è bruciato ama il fuoco.

 

La pioggia continuava a cadere ostinata e silenziosa, inzuppando i suoi capelli.
Il fuoco. Rein osservava, in piedi - ormai lontana dal pericolo - un fuoco che stava inghiottendo memorie e amori passati, che come spiriti e fantasmi saliva in cielo, lasciandola immersa in un vortice di emozioni; dolore e piacere si scontravano volteggiando nell'aria piena di fumo, coinvolgendo il quartiere in una danza macabra. Braci incandescenti avevano sfiorato diverse volte il corpicino innocente della bambina, facendolo danzare e lei danzava, danzava insieme al demone che le stava distruggendo la vita. Una piroetta e una lingua rovente del colore dell'inferno avvolgeva una stanza della casa, una rivoltata e la sua cameretta bruciava, lasciando poi solo ricordi opachi e privi di profumo, impregnati dal tanfo acido del fumo e della sofferenza.

Rein non sarebbe mai riuscita a capire dove aveva trovato l'ossigeno per correre al riparo, per - in un modo o nell'altro - dare fine a quella melodia di soli tamburi e palpiti di un cuore accelerato. La figura della sua infanzia, il suo modello, suo padre non era da nessuna parte ed i suoi occhi si erano ormai colorati di un rosso scarlatto a forza di cercare nel fumo e nelle fiamme. Non voleva essere pessimista e, senza abbandonare la speranza, cercò un uscita, ripetendosi nella sua mente e nel suo cuore che Toulouse sarebbe stato sicuramente fuori ad aspettarla. Certo, con il suo sorriso speciale, il suo corpo che le aveva sempre fatto da rifugio nelle notti tempestose e le sue parole calme e pacifiche sarebbe andato tutto bene e la loro vita sarebbe ricominciata da capo, insieme avrebbero costruito un'altra montagna di desideri.
I suoi ricordi, non ancora del tutto sepolti, sembravano darle un ultimo respiro per continuare ad avanzare verso l'uscita. Bambole che bruciavano, specchi che si frantumavano, tutto sembrava morire e nell'esatto momento in cui Rein si ritrovò a correre in mezzo agl'inferi, urlando, capì che qualcosa dentro di lei non andava.

Quando raggiunse l'uscita, una folata d'aria fresca le traspirò attraverso il sottile vestito di seta e per un piccolo istante le sue narici si riempirono di una dolce fragranza. Là fuori sentì degli strani richiami accompagnati da sirene d'emergenza, ma tutto era lontano - a chilometri di distanza - da lei. Poi una voce le arrivò, quasi per miracolo, alle orecchie. Non riusciva a capire una sola parola di quello che l'uomo difronte a lei le stava dicendo. Anche la vista cominciò ad annebbiarsi, e la testa le faceva terribilmente male.
«Che cosa hai fatto?» Queste furono le uniche parole che riuscì a capire. I suoi occhi si stavano pian piano chiudendo, scivolando via insieme all'ultimo guizzo di felicità. E fu allora che vide suo padre per l'ultima volta. Provò ad avanzare - ancora una volta - in mezzo all'oscurità, ma non ci riuscì e Toulouse diede le spalle alla sua piccola figlia, l'unico tesoro che gli era rimasto - e che presto se ne sarebbe andato. Rein era sull'orlo di uno svenimento quando udì una frase, una voce che si librò in alto nel cielo notturno e che Rein prese al volo.

«Scusami, Rein», la bambina non riusciva a capire quelle parole, come non riusciva a capire i vari cenni del capo del padre e il sorriso rigido stampato sul volto per non piangere.
Poi nulla.

«Papà?»

«Papà?»

Erano tutte difronte a lei: rancore, disperazione, tristezza, colpa. E con desideri non ancora esauditi, Rein avvertì un dolore fisico, quasi una preghiera del suo cuore che si stava lentamente accartocciando, chiudendo tutte le vie per la speranza, l'amore e i sogni.
Un rosso cremisi dipinse la notte facendo concludere la danza letale della morte con una pioggia di minuscoli puntini bianchi, forse di cenere o forse di lacrime.
In sottofondo solo le risate e le giornate di sole che Rein non avrebbe mai più vissuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Primo petalo ***


Image and video hosting by Minus

{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: How to Save a Life di The Fray.
Buona sera a tutti carissimi, oggi ho deciso di pubblicare il primo capitolo della storia - che avevo sempre già pubblicato - così dopo il prossimo potrò iniziare a scrivere cose che non sapete! Ho apprezzato molto le recensioni nel capitolo precedente e sono molto felice che la maggior parte delle persone abbia apprezzato di più la nuova versione del prologo. Grazie veramente a tutti quelli che hanno recensito e che recensiranno, senza di voi io... io non avrei mai continuato questa storia.
Tutti i capitoli - o almeno spero - saranno betati dalla mia migliore amica, che è sempre gentile e disponibile - oltre che con grande talento.
Ah! Ho anche cambiato il rating della storia da giallo ad arancione, volevo già farlo, ma ciò che implica questo rating succederà in seguito (RAPE FACE fuori luogo), per adesso è solamente per il tema delicato del masochismo di Rein - che non tutti potrebbero gradire.
La citazione all'inizio è di Banana Yoshimoto.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo I - Primo petalo
Felicità è anche non accorgersi che in realtà si è soli.

 

Nell'aria aleggiava un odore strano, anormale.
Singolare, quasi gradevole in quel posto che solitamente era ammorbato dalle puzze più strane.
Rein era sveglia, ma preferì non aprire gli occhi immediatamente dato che sapeva perfettamente dove si trovava. Non aveva voglia di vedere per l'ennesima volta la flebo che pendeva da quello strano macchinario. In compenso cantava a ritmo dei battiti del suo cuore, che poteva sentire in due punti differenti. Preferiva di gran lunga quando era solo il suo vero cuore, dentro di sé, ad accompagnarla nella sua dolce melodia, ma oggi si sarebbe dovuta accontentare anche della stonata sinfonia dell'elettrocardiogramma.
Tum, tum.
Lo sentiva perfettamente, quel battito sordo che arrivava direttamente all'orecchio, facendo riecheggiare gli organi.
Era tranquillo, il suo cuore, non come la notte prima.
Ancora con gli occhi chiusi, Rein cercò di ricordare quello che era successo la notte precedente.
Un oggetto tagliente, urli agghiaccianti e... sangue. Molto sangue. Sangue che scorreva da tutte le parti, macchiava il pavimento, rovinava la sua pelle lattea insinuandosi sotto le unghie. Tagli profondi o meno, non faceva molta differenza, la mente si liberava, per questo a Rein piaceva; per quell'unico e singolo momento non si può pensare ad altro che a quelle forbici, a quella lametta. La mente diverge e si vola via, i pensieri volano via, in alto, soltanto per un istante, per poi fermarsi e precipitare giù, nel triste e pericoloso mondo di tutti i giorni. Quel mondo che da ormai otto anni le aveva voltato le spalle.

Poi finalmente aprì gli occhi.

Aprì gli occhi solamente perché sentì la porta aprirsi; se fosse stato per lei, li avrebbe tenuti chiusi. Per sempre, magari.
Una ragazza dell'età di Rein si avvicinò al letto di quest'ultima; aveva in mano un mazzo di rose bianche avvolte poco accuratamente in un velo di carta e plastica. Senza dire una parola, con un sorriso dolce e generoso sulle labbra, sfoderò con cura i fiori dal loro involucro e li mise uno ad uno in un vaso trasparente, già pieno d'acqua.
Dopo che appoggiò il vaso sul davanzale della piccola finestrella della stanza si sedette sul bordo del letto dove Rein era sdraiata, che guardava attentamente ogni movimento della ragazza.
La ragazza si portò una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio e prese ad accarezzare quelli lunghi e celesti di Rein.
«Non importa, Rein» disse sorridendole, un sorriso incredibilmente rassicurante che però non aveva più effetto su Rein già da qualche anno. Mirlo riusciva sempre e in modo eccezionale a nascondere la preoccupazione, era strano quanto incredibile che una come lei volesse ancora bene a Rein. Probabilmente senza di lei, Rein...
Mirlo era l'unica che l'aiutava, che stava con lei, che si prendeva cura di lei. Nonostante la stessa età, Mirlo era come una sorella maggiore per Rein. Era davvero grata per la sua compassione e molte volte - come pensava Rein - per quella che non era altro che pena, ma le andava bene così, le era sempre andato bene; le bastava non ricevere insulti scritti o verbali ogni giorno, ogni anno, sia a scuola che a casa.
Andava a scuola e non faceva neanche in tempo a sedersi al suo banco che una parola come “Strega”, “Assassina”, “Piromane” era già uscita dalle labbra di qualche suo compagno di classe. Aveva anche imparato ad ignorarli, ma qualche volta nemmeno l'indifferenza l'aiutava.
Ogni volta che tornava a casa, cercava sempre di non posare lo sguardo sulla casella delle lettere: piena, piena fino all'orlo. Piena di lettere intrise d'odio, tanto che, se i suoi compagni avevano dimenticato di chiamarla con qualche altro nomignolo, ci avrebbero pensato quelle buste che contenevano ancora più disprezzo e rancore di quanto non ne potesse contenere una parola indirizzatale verbalmente.
«Va tutto bene? Stai bene adesso, vero?» Mirlo la risvegliò dai suoi tristi pensieri e lei annuì, aggiungendo un semplice “Sì” al suo cenno. Provò anche ad abbozzare un sorriso e ci riuscì. In quei momenti andava fiera delle sue abilità nel mentire, spesso con le sue bugie riusciva anche a convincere il suo cuore.
«Allora possiamo andare a casa, ti accompagno».
Detto questo, Mirlo aiutò Rein ad alzarsi e a reggersi sulle proprie gambe mentre il suo sguardo si posò inevitabilmente sui suoi polsi; il braccio era nudo data la manica della camicia malamente arrotolata sino al gomito.
Vide appena una decina di graffi di differenti lunghezze, vicini gli uni agli altri. Rein, vedendo lo sguardo di Mirlo assorto non nei suoi occhi, ma sul suo braccio, con uno debole strattone spinse via l'amica coprendo immediatamente le braccia con le maniche del camice.

Dopo che Mirlo ebbe parlato con l'infermiera, Rein ingerì un paio di pillole - che le avevano somministrato senza nemmeno averle spiegato il perché o l'uso - e salì in un taxi bianco.
Per tutto il tragitto, Rein non proferì parola mentre Mirlo cercava in ogni modo possibile di rompere il silenzio imbarazzante che si era creato. Raccontò a Rein la sua giornata a scuola, di tutte quelle stupide materie, di quegli stupidi compagni di classe e dei suoi stupidi allenamenti con il club di nuoto.
Mentre Mirlo parlava, Rein guardava fuori dal finestrino le macchine correre veloci e l'ospedale farsi sempre più piccolo e, quando svoltarono imboccando l'autostrada, esso scomparve del tutto.
Rein non sopportava quel posto, ma puntualmente si ritrovava sempre lì e - come ormai ogni cosa - ci aveva fatto l'abitudine.

Quando l'auto si fermò, Rein e Mirlo scesero ringraziando e pagando l'autista.
Il quartiere dove Rein viveva era sicuramente uno dei più rinnovati della città: delle bellissime case stile inglese padroneggiavano una in fila all'altra, il praticello verde trifoglio armonizzava l'ambiente e camminando tra gli alberi, un piacevole profumo di tronchi, di foglie secche e di rugiada liberava i polmoni.
Rein aveva proprio bisogno di una ventata d'aria fresca, l'odore nauseabondo dell'ospedale le faceva solo girare la testa.
Mirlo, di fianco a lei, camminava osservando il vicinato e sorridendo ad ogni minimo particolare.
La casa di Rein era una delle tante, di colore bianco candido, rallegrava l'ambiente circostante, dando un po' di luce al cupo e silenzioso vicinato. Il cielo era plumbeo e quieto, solo l'abbaiare persistente di un cane riportava la gente alla realtà, perennemente circondata da quel silenzio irreale.
Rein aprì la porta di casa e si girò verso Mirlo, stava raccogliendo le lettere inzuppate d'acqua dalla casella della posta. Non lesse nemmeno il mittente delle lettere che le buttò tutte nel bidone della carta, situato pochi metri più avanti.
Mirlo era l'unica che osasse mettere le mani dentro la casella postale e Rein la ringraziava immensamente per questo piccolo gesto.
Quando la ragazza tornò indietro, alzò leggermente la mano a Rein, in segno di saluto.
«Ci vediamo domani a scuola, Rein. Entra in casa o rischi di ammalarti, incomincia a fare freddo» disse Mirlo sfregandosi le mani arrossate dal freddo pungente.
Rein annuì e osservò l'amica allontanarsi nella leggera foschia che, come per magia, si era creata.
Prima di vederla scomparire completamente però decise di farsi forza e urlando a pieni polmoni disse: «Grazie di tutto!»
Mirlo si voltò e Rein riuscì a vedere il caldo sorriso della ragazza farsi strada nella nebbia e raggiungerla.

Grazie, grazie davvero, Mirlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Secondo petalo ***


Image and video hosting by Minus

{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: Le Tasche Piene di Sassi di Jovanotti.
Salve lettori, è un piacere ritrovarvi qua anche in questo capitolo! Questo è - finalmente, eh? - l'ultimo capitolo che avevo già pubblicato precedentemente, quindi ora posso iniziare a scrivere anche io.
'Le tasche piene di sassi' di Jovanotti (che adoro particolarmente) è una canzone incredibilmente piena di significato e sentimento, e se apprezzate Jovanotti tanto quanto lo apprezzo io, mettete la canzone citata sopra e non ve ne pentirete; io l'amo dato che mia sorella è una fan sfegatata di Lorenzo (se devo dirla tutta sono anche andata ad un suo concerto e ho pure il suo cappelo, ma dettagli).
Comunque, mia vita privata a parte, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento e vi informo che ho anche fatto un secondo trailer per questa storia proprio per dimostrarvi quanto tengo a quest'ultima. Davvero. Tutte le mie storie sono come le mie bambine, un po' come i draghi per Daenerys Targaryen, avete presente?
E prima di lasciarvi alla lettura: questa storia avrà a che fare con Game of Thrones, cioé, diciamo che solo alcune ambientazioni e alcuni caratteri di alcuni personaggi saranno simili e... indovinate un po': per chi non lo sapesse, il mio Joffrey sarà presente in tutta la sua bellezza e crudeltà e ce ne saranno delle brutte belle con Rein! Per chi non sapesse chi è il caro Joffrey Baratheon, è quel pezzo di figo ragazzo biondo presente nel trailer che picchia e uccide con la balestra la ragazza - prima con i capelli rossi e poi la ragazza dai capelli ricci, legata al letto. Non vi lascio nessuno spoiler però potete già immaginare come sarà il suo personaggio di cui vado pazzamente innamorata.
La citazione all'inizio è della poesia 'Winter's eyes' di un autore sconosciuto.
Ah, prima di andare, lo so che non centra niente, ma domani diventerò zia di due gemelli: un maschio e una femmina, non vedo l'ora.
Auguro a tutti una buona serata.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo II - Secondo petalo
Un paio d'occhi di cielo dispersi in una collezione di stelle.

 

Si guardò nello specchio, dritto negli occhi.
Scrutò attentamente ogni minimo particolare della sua nudità interiore, con coraggio, senza la solita barriera che la isolava dal resto del mondo.
Quegli stessi occhi cerulei che aveva ereditato da suo padre, quel volto che tanto ricordava Venere, la dea dell'amore. Rein stessa sapeva che sotto quel corpo perfetto, quei lineamenti da bambola, c'era il vuoto.

«Hai dormito bene ieri notte?», era un'abitudine giornaliera per Rein sentire quella frase. Non ci pensava mai su, non avrebbe sprecato un solo secondo a cercare di ricordare, odiava ricordare.
Automaticamente la risposta usciva dalla sua bocca in un tono freddo e distaccato: «Come sempre».

Mirlo, - sperando di ricevere una risposta diversa - delusa, sbuffò borbottando qualcosa di incomprensibile.
«Oggi ho gli allenamenti di nuoto, farò tardi, tu torna a casa. Se non faccio in tempo ad accompagnarti, ti passo a salutare prima che faccia buio» disse Mirlo senza guardare Rein negli occhi. Quest'ultima non rispose e la superò, continuando la strada verso la scuola da sola.
Mirlo sorrise rassegnata e per niente sorpresa della reazione della sua amica.

Le lezioni continuavano senza sosta da ormai... trenta minuti, constatò Rein. Posò lo sguardo fuori dalla finestra, i suoi occhi inseguivano due passerotti che si rincorrevano nel cielo eseguendo incredibili acrobazie.
Chiuse gli occhi.

Più o meno in mezzo al petto, c'era un “L” maiuscola.
«Papà, cos'è questa?» aveva chiesto Rein indicandola dubbiosa.
«Sta per Libertà» rispose Toulouse alzando gli occhi al cielo, un meraviglioso cielo limpido primaverile.
«Libertà?»
«La libertà: la condizione di non essere prigioniero, di non essere confinato. La libertà è un diritto. Credi sempre nei tuoi sogni, Rein, ma ricordati che la libertà è anche un privilegio, un privilegio che pochi riescono ad ottenere, ed io l'ho ottenuta, con te, con la mamma. Voi siete il mio infinito, la mia libertà».


La campanella della fine della prima lezione fece risvegliare Rein.
Si passò una mano sul viso, soffermandosi per un secondo sugli occhi: umidi, bagnati. Non doveva piangere, assolutamente, piangere per lei era come essere prigioniera; quando piangeva la sua libertà l'abbandonava. Non avrebbe mai pianto, mai. Glielo aveva promesso.
Si alzò in piedi, un po' traballante e si diresse verso il bagno.
Si buttò di peso sul lavandino e aprì l'acqua per poi buttarsene un po' sul viso, l'acqua fredda la faceva stare bene, al contrario del fuoco.
Alzò gli occhi verso lo specchio per guardarsi il viso sciupato, ma nel riflesso vide due occhi verdi chartreuse e un sorriso maligno che la guardavano scortesemente.
Si voltò di scatto con un tuffo al cuore.
«Che cosa vuoi, Altezza?» chiese Rein, riprendendosi dal piccolo spavento e riconoscendo la sgradevole compagna di classe.
«Ciao, Rein - o forse sarebbe meglio dire Assassina» rispose la ragazza dai capelli color miele e con occhi che ricordavano vagamente un praticello inglese. Ella calcò sull'ultima parola pronunciata, dando inizio al conto mentale di Rein. Lo faceva sempre - era quasi come una specie di delirio, non riusciva a farne a meno; le veniva una strana estasi al solo pensiero di una lama affilata.
Un taglio.
«Sono molto belli i tuo capelli lunghi, Strega» aggiunse Altezza provocando Rein, la quale cercò di scansarsi dalla prepotente ragazza per dirigersi fuori dal bagno - fallendo. Altezza la prese per il braccio, strattonandola malamente.
Due tagli, tre tagli. I numeri continuavano a salire velocemente, come le farfalle nello stomaco quando sei vicino al tuo innamorato.
«Lasciami in pace, per favore» supplicò Rein abbassando gli occhi sul pavimento. In tutta risposta Altezza la spintonò contro il muro, l'urto fu potente e Rein strinse gli occhi dal dolore provocatole alla schiena.
«Sai, sirenetta, lo sanno tutti, è inutile che continui a nasconderlo, non sei brava» sputò Altezza tenendo i polsi di Rein ben serrati sul muro freddo. «Cosa credi, che siamo stupidi? Dopo aver ucciso tuo padre, ora cerchi di far pena a tutti noi e ti fai del male da sola? Sai cosa credo? Che sei solo una fallita. Solo le persone ignoranti si fanno del male da sole, tu sei malata. Fai del male alla gente senza nemmeno accorgertene. Come fai a vivere con questi rimorsi, Rein? Come fai a guardare in faccia la gente sapendo che morirai da sola? Fai un piacere all'umanità e muori adesso, in silenzio».
Fu come se una bolla avesse circondato Rein. Morire? Non ci aveva mai pensato seriamente. Avrebbe davvero fatto un piacere a tutti quanti morendo? Non avrebbe mai voluto causare disagi, dolore nel cuore degli altri, il dolore era esclusivamente suo, suo e di nessun altro. Era lei quella che doveva soffrire.

Poi un veloce pensiero le attraversò la mente come un fulmine.
Mirlo.
Anche lei stava soffrendo stando vicino a Rein? Sarebbe morta? Sarebbe sprofondata nell’oscurità?
Non poteva permetterlo, no. Altezza, dopotutto, aveva ragione.
Rein, con le gambe oscillanti uscì dal bagno sotto lo sguardo affilato di Altezza, uscì dalla scuola senza nemmeno accorgersene, come un fantasma.
Mille tagli.
Barcollava per la strada con gli occhi al cielo, nonostante tutto riusciva ancora a trattenere le lacrime.
Scusami, papà.
All'entrata del parco le sue gambe cedettero e, come una foglia secca, si afflosciò a terra in silenzio, ma questa volta non riuscì a chiudere gli occhi, dopotutto era inutile chiuderli ora; presto si sarebbero chiusi per sempre, come aveva desiderato così tante volte in ospedale.
Il sole si era oscurato e, come in un eco, sentì delle risate, risate che la fecero sorridere. Allo stesso tempo anche un leggero venticello si alzò cantando insieme al suo cuore. Così si mise a cantare anche lei, in silenzio - proprio come le aveva detto Altezza e come, dopotutto, aveva sempre fatto.
Le sembrò un'allucinazione quando un'ombra le passò davanti. D’improvviso si trovò un manto nero a pochi centimetri dal suo viso, un paio di occhi oltremare - che tanto ricordavano una notte d'estate senza stelle - la fissavano insistentemente. Sembrava un fantasma, un pezzo d'oscurità sceso dal cielo appositamente per farle un regalo. Ed era la cosa più bella che avesse mai visto.
Gli occhi di Rein erano aperti e la bocca socchiusa voleva parlare, ma era troppo stanca per farlo. Intanto, quegli occhi blu si alzarono al cielo e si chiusero lentamente in un ululato infinito: una canzone stupenda, triste, la più triste che avesse mai sentito. Si alzava e si abbassava, quel profondo suono che le fece arrivare le lacrime agli occhi.
Sentiva freddo, molto freddo e aveva sonno.
Quella creatura non era ancora scomparsa, anzi, si stava avvicinando ancora di più. Era bellissima.
Alzò una mano pallida verso quella folta pelliccia color ebano e quando percepì il naso umido sul palmo della sua mano, si sentì in pace con sé stessa.
Rein non voleva che distogliesse lo sguardo, e non lo fece. Voleva protendersi ad afferrare la sua gorgiera, ma la sua mano rimase serrata dolcemente attorno al suo muso.
In quel momento non c'era sole; non c'era luce. Si stava spegnendo. Non riusciva a ricordare com'era fatto il cielo.
I suoi occhi nei miei occhi. Il suo muso nel mio sangue.
Stavo andando a pezzi, dentro e fuori.

«Rein, ti prego! Svegliati, Rein!», riusciva a sentire la voce di Mirlo che le scrollava dolcemente il corpo inerme, spezzata dal pianto, in lontananza.
Non ti farò più del male, Mirlo, promesso.

E così, dopo aver perso il padre, fatto piangere la migliore amica, salutata dal vento e da un ululato, e lasciandosi alle spalle i rimpianti, la ragazza di fuoco, Rein, morì.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Terzo petalo ***


Image and video hosting by Minus

{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: Owaranai Melody wo Utaidashimashita di Mikako Komatsu.
Buon pomeriggio popolo di EFP, finalmente - e posso dire veramente finalmente - sono tornata a pubblicare i nuovi capitoli.
Spero che non vi dispiaccia troppo per Rein dato che le sue sfortune sono appena all'inizio, ma si sa': in una storia tutto può succedere ed io personalmente adoro far soffrire i miei personaggi. Poi, la vita non è tutta rose e fiori, percui perché dovrebbe esserlo una storia?
Ah, i miei nipotini sono nati e sono ufficialmente zia di Bianca e Davide, due bellissimi bambini dalla pelle bianca e capelli neri. Non vedo l'ora di Natale, così potrò prenderli in braccio.
Comunque, ritornando alla storia, la canzone consigliata è anche l'ending dell'anime Sunday Without God (osservate la mia piccola Ai e quel figo di Alis insieme alla mia dolce Dee), non criticatela perché è una canzone che adoro tantissimo, e l'anime è il mio preferito. Di conseguenza è una delle quali a cui tengo di più e l'ho usata proprio in questo capitolo perché appunto la canzone parla di una nuova vita, come quella che Rein affronterà - da qui arriva anche il titolo del capitolo 'Bocciolo'.
Auguro a tutti una buona lettura e una buona serata, coraggio che oggi è Venerdì.
La citazione all'inizio è di Osho Rajneesh, un mistico e maestro spirituale indiano.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo III - Terzo petalo
Non importa che tu sia una rosa, un fior di loto o una margherita. L'importante è sbocciare.

 

Certe volte a Rein succedeva di svegliarsi troppo presto, quando ancora il buio e il silenzio tessevano la loro trama, quando era possibile fare caso ad alcuni suoni e rumori che durante la giornata passavano inosservati.
Colpa dei pensieri, forse.
Rein - come era solita fare - aspettò una manciata di secondi prima di aprire gli occhi. C'era un profumo nella fresca aria circostante: muschio, terra bagnata, aghi di pino impregnati della rugiada mattutina e anche un'altro odore, ancora più inebriante e piacevole... terribilmente travolgente. E in quel momento Rein aprì gli occhi di colpo. Era sdraiata a pancia in su, braccia e gambe divaricate e ancora con la sua divisa scolastica addosso. Avvertì un brivido insieme ad un leggero nitrito che, scoprì, proveniva da uno stallone bianco antico che scalciava il terriccio umido sotto i suoi lunghi ed esili arti.
Con fatica Rein si sedette a terra, affondando le mani nel letto della foresta e ancora attratta da quella creatura elegante innanzi a lei, senza dire una parola, con la mente completamente priva di ogni genere di pensiero, alzò lo sguardo, la bocca socchiusa. Era ancora troppo buio per riuscire a mettere a fuoco la figura sul destriero, ma Rein riconobbe i lineamenti di un ragazzo immobile, mascella tesa e mani perfettamente serrate su uno strano oggetto. Sentì un tremito lungo la colonna vertebrale appena identificò l'attrezzo: un'arma, appurò. Assomigliava ad un arco, ma la rifinitura era leggermente diversa, più complicata e... letale.
Il ragazzo lasciò per un momento le redini e si posò un dito sulle labbra sottili e sorridenti e Rein poté scorgere il guizzo di un ghigno anche nei suoi occhi prima che facesse scattare l'arma da lancio che, silenziosa come un gatto, lanciò una piccola freccia a velocità supersonica, che trapassò la spalla di Rein come un coltello avrebbe potuto infilzare del burro.
Non urlò di dolore, ma tenne gli occhi fissi sul ragazzo, prima che quest'ultimo galoppasse lontano. Subito dopo sentì i suoi battiti salire sempre di più, il sangue pulsare alla testa e - ancora impregnata di quell'odore, che tanto somigliava al mare al crepuscolo, al bucato appena steso o semplicemente a una serata primaverile - scappò ancora una volta dalla realtà, svenendo.

Questa volta le sue palpebre si spalancarono immediatamente, non esitò a cercare la luce. Sentiva l'aria mancare dai suoi polmoni, la spalla era fasciata e delle strisce di stoffa premevano sulla ferita ancora incandescente e allo stesso tempo ghiacciata; faceva male, così stavano le cose, faceva maledettamente male, ma appena Rein si sfiorò la benda percepì una sensazione d'eccitazione infuocarle l'intero corpo. Subito rimosse la mano e prese un profondo respiro catturando il freddo da un refolo proveniente dalla finestra accostata.
«Questa non è la mia camera...,» mormorò a bassa voce esaminando la stanza; il letto su cui era sdraiata era stranamente morbido, insoliti cuscini erano appoggiati sia ai piedi di esso che dietro la sua testa. I mobili erano in legno e tutto ciò che li ornava erano dei libri dall'aspetto vecchio e malandato, ingrigiti dalla polvere e dagli anni. La porta era bassa e di legno di noce, la finestra piccola e appannata, ma, nonostante l'offuscamento, si poteva scorgere il cielo chiaro al di fuori di essa e un pallido sole fare capolino dalle nuvole grigie sparse un po' dappertutto. La domanda le sorse spontanea: dov'era finita?
Con un gesto fugace, ma che allo stesso tempo le provocò ulteriore sofferenza, si tolse le soffici coperte di dosso e si alzò in piedi. Avvertì le gambe cedere momentaneamente, ma, riuscendo a camminare senza perdere l'equilibrio, si diresse verso la porta, notando che a fianco di essa non c'era né un lampadario né una fonte di luce elettrica, ma un candelabro appoggiato su uno spoglio comò. Posò la mano sulla maniglia - anch'essa rigorosamente in legno - e la girò lentamente uscendo dalla stanza in punta di piedi, attenta a non attirare alcuna attenzione indiscreta su di sé.
Se quella era una casa, pensò Rein, era certamente la più grande che avesse mai visto; corridoi lunghi diversi metri si aprivano da tutte le parti e Rein ne scelse uno a caso. Si era sempre vantata di avere un senso dell'orientamento alquanto sviluppato, perciò era quasi certa di saper individuare la corretta direzione da prendere.
Aumentò il passo quasi per istinto fino ad iniziare correre. Muri di pietra, colonne imponenti e odore d'incenso si presentavano davanti a lei, non aveva mai visto né sentito niente del genere e in qualche modo si sentì come se fosse stata trasportata indietro nel tempo.
Una piccola terrazza si affacciava sulla strada e Rein scese senza esitare i gradini che la separavano da quest'ultima. Quel posto le ricordava una gabbia di cristallo; così bella, ma pur sempre una prigione.
Appena i suoi piedi toccarono il terreno parzialmente asfaltato, sporco e deserto, per un momento pensò di tornare indietro e sdraiarsi di nuovo in quel letto di piume d'oca, ma fece un passo avanti e poi un altro finché iniziò a camminare speditamente in cerca di un qualsiasi indizio sul posto in cui si trovava. La strada era diventata sempre più stretta, da ognuno dei due lati c'erano delle case che seguivano uno schema edilizio costante: piccole, ricoperte da un tetto evidentemente fragile, che sarebbe crollato con una semplice giornata di pioggia insistente, raggruppate attorno a cortili ampi pochi metri. Le stanze basse, a livello della strada, ricevevano luce attraverso una serie di finestre che si affacciavano sul cortile interno. Semplici composizioni floreali pendevano dai piccoli balconi, donando una diversa composizione spettrale ad un ambiente i cui colori dominanti erano il grigio e il marrone pallido.
Rein non aveva notato che tre uomini di media statura, dall'espressione aggressiva e dagli abiti sporchi la stavano squadrando da capo a piedi. Alzò il viso e riuscì solamente a inquadrare le loro grandi mani avvicinarsi sempre di più al suo gracile corpo prima di girarsi e scappare il più velocemente possibile. Udì parole confuse, soffocate da risate inseguirla. Non conosceva il villaggio perciò corse senza una meta precisa fino a che giunse in uno dei tanti cortili all'aperto. Pensava di averli seminati quando invece spuntarono dall'angolo alla sua sinistra. Fu costretta a indietreggiare fino a rimanere con le spalle al muro. Un odore di fieno le invase le narici, ma anche il puzzo degli uomini si stava facendo sempre più forte. Con uno scatto deciso, due dei tre uomini le afferrarono le braccia e la strattonarono facendola cadere a terra, a pancia in su.
«No, vi prego...» urlò scalciando più che poteva, ma il terzo uomo si inginocchiò ai piedi di Rein con uno sguardo famelico. Gli occhi scuri scintillavano di nera brama. Prese la gonna con le grosse mani e Rein poté solo sentire il rumore della stoffa che si squarciava. Continuò a dimenarsi mentre iniziava a singhiozzare al solo pensiero di ciò che quell'uomo aveva intenzione di farle.
Quando stava ormai per serrare gli occhi lucidi di lacrime, scorse un'altra figura che si accostò alle spalle dell'uomo in ginocchio davanti alle cosce nude di Rein e, dopo averlo voltato malamente, lo infilzò con un pugnale guardandolo negli occhi. Rein sentì il respiro mozzato del suo aggressore e avrebbe potuto giurare di aver anche sentito delle gocce di sangue toccare il terreno. Appena l'uomo - anche se Rein avrebbe preferito chiamarlo animale - cadde a terra senza vita, gli altri due alle sue spalle lasciarono la presa e si alzarono cercando di scappare - invano. Rein scorse due guardie con vestiti medioevali uccidere i suoi assalitori trafiggendoli con due lance dalla punta di pietra affilata. Rimase a terra, incapace di reagire, fino a quando la figura che aveva tolto la vita al primo uomo non la raggiunse, abbassandosi per prederle la mano. Finalmente Rein girò il capo e s'imbatté in due occhi così blu da fare invidia ad un cielo senza stelle o ad un oceano. Il ragazzo aveva più o meno la sua stessa età e indossava abiti simili a quelli del ragazzo del suo sogno, - perché quello era stato solo un incubo, giusto? - ma aveva qualcosa di differente da lui... i suoi occhi... sorridevano anche se la sua bocca era una linea retta. Lei gli sorrise a sua volta, a modo suo.
«Grazie» sussurrò stringendo la presa della sua mano. E si lasciò cadere tra le sue braccia.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quarto petalo ***


Image and video hosting by Minus

{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: Solo di Iyaz.
Con un grosso e grasso scusate sono tornata - anche se non me ne sono mai andata. Però la scusa questa volta ce l'ho: adesso non mi ricordo perfettamente quando, ma più o meno una settimana fa il mio Ernesto (il mio PC, per chi ancora non lo sapesse) è andato in coma. Cioé, ammetto che è stata colpa mia: l'ho bruciato, ed è dovuto andare all'ospedale per computer e indovinate un po'? È tornato dopo due settimane senza dati. Tutto quello che avevo non c'è più: immagini, documenti importanti, video. Per tre giorni sono stata in stato vegetale e ho quasi ucciso mio padre, incolpandolo di aver firmato il documento senza leggerlo - fatto assolutamente normale Poi sono arrivati anche gli esami, lunedì scorso; inglese, francese, matematica, tedesco, geografia e biologia, ora mi manca solo storia che è domani. Quindi potete immaginare che da brava studentessa, mi sono data da fare e ho studiato.
Come avete potuto capire, sono stata parecchio impegnata in questo ultimo mese, ma nel week-end sono fortunatamente riuscita a scrivere e ieri sera ho finito il capitolo. Quest'ultimo è per la maggior parte di passaggio, tranne la parte finale, e dà spazio ai pensieri di Rein e alla vita che ha condusso dopo dieci giorni in al villaggio.
Ora, domandina: le canzoni che vi metto sopra, le usate? No, perché altrimenti non le metto, anche perché alla fine io ho la mia playlist personale e ascolto un po' tutte le canzoni, da Talk Darty, a Radioactive e My Dearest, non so se mi spiego. Poi scelgo quella che secondo me è più adatta, leggo il capitolo con quella determinata canzone e decido.
Ah, e altre due cose: il capitolo è stato betato (notizia del 04/01/2014). Poi, non so quando aggiornerò la prossima volta; il quindici vado in Italia per le vacanze di Natale, dalle mie sorelle, il mio cagnone e i miei nipotini. Quindi tra tutto questo, vedere Catching Fire, andare da Mimmo, andare a prendere Dana (la piccola pastore australiano di mia sorella) e un milione di altre cose, non posso promettervi nulla. Non vi prometto che aggiornerò prima di Natale né prima dell'anno nuovo. Tornerò verso il quattro o il cinque di Gennaio, ma forse e sottolineo forse, riesco ad aggiornare almeno una volta durante le vacanze.
Detto questo sparisco che ho già scritto troppo in questo angolo autrice, e vi lascio alla storia, spero che vi piaccia.
Per scrivere questo capitolo ho presto spunto da un scena in Game of Thrones con la mia adorata Dany aka Emilia sonolaperfezione Clarke e la frase iniziale appartiene alla poesia "A volta basta il mare..." del blog Riflessi d'acqua.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo IV - Quarto petalo
Percezioni, impressioni, istanti, frammenti... dettagli di un giorno qualunque.

 

Maestoso, freddo come un diamante, c'era uno spesso muro davanti alla finestra di Rein; pochi metri sopra l'orizzonte le nuvole sembravano le setole di un pennello che aveva ormai dipinto quel cielo. Quanto avrebbe voluto Rein vedere una tavola azzurra, un sole radioso e caldo, come quello che c'era quando suo padre la portava a giocare in giardino, quel sole che ti accarezzava la pelle, che ti baciava lievemente la frangetta spettinata.
In compenso gli uccellini cinguettavano, troppo. Nella vera vita e nella letteratura. Certe volte, quando poteva, Rein pensava a qualcosa di differente da dire, un copione ben scritto che fa pensare agli altri al mattino, senza il bisogno di passerotti o del lento risvegliarsi del sole. Perché nemmeno lo sbattere d'ali di un passero solitario può lontanamente far ipotizzare la desolazione oltre le mura del villaggio.
Il vento soffiava da nord, sopra gli umidi campi e distese di alberi da frutto, cercando di portare via le ultime ombre della notte. Rein pensava questo, o più che altro, sperava. Ma sapeva benissimo che le ombre erano ancora lì e la stavano osservando, erano già dieci giorni che occhi astratti la scrutavano da lontano, e lei voleva avere delle risposte.
Il ragazzo dagli occhi blu era scomparso così come era apparso più di una settimana prima, quando l'aveva salvata dalle grinfie del male. La porta chiusa, serrata con una chiave senza nome; nessuno dal quel giorno indefinito era venuto da lei. Solo una lettera, tre giorni dopo il suo arrivo, era stata infilata sotto la porta della sua stanza e non possedeva nulla di speciale: nessun mittente, nessun destinatario, sopra scritte delle semplici frasi in inchiostro nero pece, con una calligrafia perfetta. Diceva che presto Sua Maestà la regina le avrebbe concesso udienza per darle le spiegazioni che senza dubbio avrebbe desiderato.
Ed era stanca, davvero tanto. La notte non riusciva a chiudere occhio, nonostante le coperte in cui dormiva fossero calde e soffici. Quel maledetto villaggio, quel maledetto castello e adesso anche una regina. Non le importava di questo, l'unica cosa che veramente voleva erano della risposte e le voleva avere subito.
Alle sue spalle, ci fu un discreto e improvviso bussare alla porta.
Rein strizzò gli occhi, continuando a guardare fuori dalla piccola finestrella, l'unico suo modo per, in un certo senso, comunicare con la realtà. Delle voci di strada ogni tanto giungevano sino alla sua finestra, attraversando le sottili tende color malva. Aveva sentito che il posto in cui si trovava era libero, una cittadina che era andata oltre la schiavitù, eppure quando guardò la serva entrare ed inchinarsi davanti a lei, non poté fare altro che dubitare della libertà concessa in quel posto.
Rein cercò di sforzarsi e ricordare il nome della ragazza; ella era graziosa, come una gracile margherita: i lunghi capelli castano chiaro e quegli occhi verde smeraldo che davano l'impressione di averne viste davvero tante, nonostante la giovane età della loro proprietaria.
«Spero abbiate avuto una piacevole nottata, Vostra Grazia», Lara, ecco come si chiamava la giovane fanciulla, gentile come il suo nome. Rein si allontanò dalla finestra e le sorrise.
Lara riempì la vasca da bagno con l'acqua calda che aveva probabilmente portato dalle cucine e in essa versò oli profumati d'estate, quell'estate che sembrava così assente in quel luogo. Quando finì si avvicinò a Rein e, inchinandosi ancora una volta, le prese delicatamente la mano accompagnandola al bordo della vasca interrata nel pavimento. La ragazza sfilò la tunica di cotone grezzo dal corpo latteo di Rein e la condusse nell'abbraccio del liquido trasparente. Rein non gridò né si lamentò della temperatura dell'acqua, nonostante fosse bollente, odiava ammetterlo, ma quel calore le piaceva, la faceva sentire bene e la liberava da tutta la sporcizia mentale.
Lara raggiunse il bordo della vasca e si inginocchiò dietro Rein, lavando accuratamente i lunghi capelli azzurri, sciogliendone i nodi e accarezzandoli come se fossero un tessuto pregiato.
Dopo, mentre la giovane le strofinava i piedi con una pietra pomice rosata, Rein si girò verso il suo viso sorridente e con occhi imploranti la pregò di darle qualsiasi informazione possibile. Lara sorrise, com'era sempre solita a fare e iniziando a lavare il piede destro fece illuminare il viso di Rein con una sola frase: «Oggi, sua Meastà la regina Earine chiede la vostra presenza a corte, Vostra Grazia».
A quella confessione, Rein mise da parte le buone maniere - che avrebbe senz'altro dovuto mantenere per un bel po' di tempo non appena sarebbe uscita da quella stanza - e sguazzando nell'acqua abbracciò l'ancella, facendola sobbalzare. Rein la strinse ancora di più e a quel punto anche Lara ricambiò, impacciata, probabilmente non abituata a simili gesti d'affetto.
«Vi ringrazio, Vostra Grazia» disse finendo il suo lavoro.
Una volta che fu pulita, Rein prese nuovamente la mano di Lara e uscì dalla vasca - come nuova, e mentre l'inserviente provvedeva ad asciugarla, un'altra donna entrò nella stanza dopo qualche breve colpo alla porta. Ella era anziana, sulla sessantina ed i suoi capelli grigi come l'argento erano raccolti in uno chignon ordinato ed impeccabile. Non disse una parola, ma si avvicinò allo sguardo curioso di Rein. Aveva tra le mani della stoffa color blu polvere, che sembrava morbida e perfetta al solo contatto visivo. Rein si avvicinò piano e la vecchia ancella le porse quella che Rein si accorse essere una tunica, così che potesse esaminarla. La toccò e quando i suoi polpastrelli sfiorarono il tessuto, per un attimo allontanò la mano, intimorita; era talmente liscia da sembrare dell'acqua corrente tra le sue dita.
«Questa è pura bellezza, Vostra Grazia. È stata tessuta appositamente per voi ed è di un colore che farà risaltare l'oceano che avete negli occhi» proclamò la serva sorridendo con lo sguardo. Rein rimase sorpresa; tutto questo era per lei? Lei che per loro non era nessuno? Lara avrebbe dovuto essere quella a ricevere un simile regalo, lavorava tutti i giorni, tutte le stagioni, questo era quel poco che aveva raccontato a Rein, e si prendeva cura di bellissime dame e confessò che Rein era una delle più sublimi che avesse mai avuto l'onore di conoscere.
Guardò inevitabilmente Lara, la quale la scrutava con occhi espressivi e luccicanti. E alla fine sorrise anche Rein, abbandonandosi di nuovo alle sue cure.
L'ancella più anziana le spazzolò con tocco deciso i lunghi capelli finché non furono splendenti come le acque di un fiume di montagna. La giovane poi la profumò con un'essenza, anch'essa estiva, di lavanda e rose, che le pose sui polsi, dietro le orecchie, in mezzo al seno e per ultimo, tanto freddo che le fece mordere le labbra sotto lo sguardo divertito di Lara, in mezzo alle gambe, giù sull'intimità.
La vestirono con l'abito celeste portatole dall'ancella e le infilarono dei sandali dorati ai piccoli piedi. Poi Lara le sistemò delicatamente una tiara argentea sui capelli setosi e le fecero scivolare attorno ai polsi dei braccialetti dello stesso colore della tiara, con incastonate delle piccole gemme, probabilmente d'acquamarina. Per ultimo, venne il collare, un pesante gioiello decorato a mano, sfavillante e appariscente, semplicemente bellissimo.
Sia Lara che l'anziana donna rimasero senza fiato contemplando la bellezza nordica di Rein. Lara, più eccitata di Rein stessa, le sussurrò: «Sembrate una principessa, Vostra Grazia», aggiungendo poi: «Siete davvero bellissima».
Una principessa, Rein pensò. Suo padre, Toulouse, la faceva sentire come una regina anche senza pesanti braccialetti d'argento o vestiti di seta pregiati. Chissà cosa loro veramente volevano dire con quella parola.
Rein studiò - senza prestare troppa attenzione - la propria immagine riflessa nello specchio non perfettamente cristallino.
Un gelo improvviso le percorse la colonna vertebrale, increspando la pelle delle sue braccia nude. Per un attimo volle dare a monte tutto il lavoro delle due serve, ma poi si tranquillizzò al toccò della mano di Lara sulla sua.
«Ora, tutto quello che manca è un sorriso, Vostra Grazia».
Rein sorrise, sinceramente.

I corridoi del palazzo erano immersi in una cupa tenebra.
Lara e l'anziana serva precedevano Rein; conoscevano ogni singolo angolo di quel castello, come se fossero le loro tasche.
Arrivarono davanti ad un portone immenso dopo aver percorso un corridoio ampio e ornato da diversi pilastri di marmo. C'erano quattro guardie all'entrata, due a destra e due a sinistra, le lance erette, puntate al soffitto quasi inesistente, talmente era in alto. L'aria era pesante e Rein non si sentiva a suo agio vicino a quelle armi, a quei volti coperti da spessi elmi di ferro, a quelle emozioni mancate.
L'anziana ancella fece un breve cenno del capo ad una delle guardie per poi spostarsi e lasciargli guardare Rein. Lui osservò e annuì, poi tutte e quattro le guardie si mossero in contemporanea e la porta si aprì sotto un solo ed unico annuncio: «Sua Maestà la Regina Earine della Casata Astraea, Prima del Suo Nome e Protettrice del Reame».
E fu proprio in quel momento, quando varcò l'entrata, che strinse la mano di Lara tanto da farle male, quando intravide l'oceano nel rosso dei suoi occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Quinto petalo ***


Image and video hosting by Minus

{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: Demons di Imagine Dragons.
Sbaglio o mi ero scusata per il ritardo anche nello scorso capitolo? Eh, già. Li ho contati i giorni, sono ben cinquantadue giorni che non aggiorno, e cioé milleduecentoquarantotto ore.
Lasciando stare le mie innate doti per la matematica, mi dispiace. Non me ne sono mai andata, ma ho pubblicato quattro differenti one-shot su fandom differenti. Per chi mi segue su Facebook, potrebbe averlo già letto: voglio fare più esperienza su altri fandom, per questo non scriverò più capitoli unici su Twin Princess, ma sarò presente solo per recensire eventuali storie e aggiornare la mia bambina ('Come il cielo di primavera'), non è che cambia molto, ma volevo comunque avvisare.
Ammetto che non ho scuse, comunque. Il mio Ernesto sta bene, io sto bene, tutti stanno bene. Sono solo estremamente pigra dato che di idee in testa ce ne ho a bizzeffe.
Questo capitolo è dedicato a Lana (baby milky) perché, guardate: click. Cioé, dove trovate un'anime così dolce da farti gli auguri a mezzanotte in punto? Bah.
Ad ogni modo, ancora gomen nasai per il ritardo, cercherò di essere più puntuale in futuro... un futuro molto lontano. Il capitolo è stato betato (notizia del 01/02/2014 alle 22.00).
Rein ha incontrato la regina Earine, un personaggio un po' misterioso, ditemi che cosa ne pensate anche se non giudicatela subito definitivamente dato che, come Rein, cambierà, o almeno, proverà a cambiare, ma non vi rivelo nulla.
Volevo dire due cose: ad ogni capitolo dirò i personaggi (più o meno principali) che mi appartengono e quelli che invece sono sotto i copyright dei loro autori originari. Quindi: Rein è di proprietà di Mayuki Anan, così come Mirlo, Altezza e Toulouse. Lara, Earine e Ser Kysrad appartengono a me. Ovviamente i personaggi non appartenenti a me saranno comunque manipolati a mio piacimento e il loro carattere potrebbe risultare OOC.
Inoltre ho anche inserito la nota Cross-over dato che ci sarà lo sfondo di Game of Thrones (più un personaggio principale), come è scritto anche nella trama.
Prima di andarmene ne approfitto per fare gli auguri a Harry Styles (anche se non sono una Directioner), ora gli One Direction non sono neanche più dei teenagers, anche io sto invecchiando, quindici anni a settembre cari miei.
La citazione all'inizio è presa dal bellissimo anime Air - Tv.
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo V - Quinto petalo
Nel cielo c'è una ragazza con le ali, incapace di diventare adulta.

 

La luce del giorno era così violenta, e filtrava nel lugubre atrio attraverso una vetrata a mosaico, creando degli accecanti giochi di luce; il cielo sputava dei rossi raggi che cadevano sul pavimento e sul muro, entrambi di un colore bianco sporco. Eppure era strano: cadeva una pioggerellina fine fuori dalle mura del palazzo, era freddo il cielo pallido, ma la luce era insopportabile.
La sontuosità di quella sala ricordava un edificio sacro, dove riposavano indisturbate anime di lontani conquistatori e vecchi re. Alti pilastri si ergevano dal pavimento liscio, dettagliatamente decorati sino all'ultimo centimetro - a più di dieci metri dal suolo.
A volte il silenzio era così bello per Rein, dolcemente evanescente, puro e fluttuante, ma in quel momento tutto le sembrava irreale. Camminava lentamente, tutti i presenti nella sala la scrutavano dalla testa ai piedi, come se fosse un nuovo giocattolo di un'immensa collezione destinata a non finire mai. La sua mano era sempre serrata attorno a quella di Lara. Avrebbe voluto tornare nelle sue stanze - scappare -, ma avanzò verso la fine, cercando di offuscare la vista, in modo da non incontrare lo sguardo di volti annebbiati da espressioni serie e imperturbabili.
«Rein».
Se n'era quasi dimenticata, ma in un attimo un'acuta fitta di dolore la fece quasi piegare in due, foglia autunnale al vento dal quale gelidi sfavilli le trapassavano il fragile corpo. Rein rimase dritta, portandosi una mano sulla spalla ferita - quasi completamente guarita grazie alle cure delle due serve, protetta con impacchi di erbe di vario genere, scovate da miserabili servi nelle zone sabbiose di pianura.
La sua voce nel mio corpo tremante, in un luogo oscurato dalla fredda luce solare. Un nuovo suono si apprestò a fare la sua comparsa tra le ombre, una melodia che ardeva pace nel mezzogiorno congelato, scontrandosi con l'ondeggiare dei pini e le onde di quel mare, presente solo nei suoi occhi.
Mandò giù della saliva, dolce come lo zucchero con il quale
si sporcava la bocca e le guance da bambina.
Disse quella sola ed unica parola, la chiamò. E risuonò così immacolato il suo nome pronunciato dalle labbra della regina. E Rein per un momento volle piegarsi davanti al cospetto di tale sublime creatura: aveva lunghe ciocche di capelli chiari, che terminavano con un delicato ricciolo, scivolando sulla schiena appoggiata ad un trono, che come diamanti di rocce brillavano. La carnagione era lattea, proprio come la neve; sarebbe stata una bambola di porcellana, se non fosse stato per quegli occhi. Essi erano di un rosso artificioso, proprio come il fuoco delle anime bruciate... come macchie di sangue che imbrattano una rosa bianca, sporcandola, trafiggendola. A Rein non era mai piaciuto quel colore, il rosso era il colore della sofferenza, delle fiamme di luminescenze passate. Indossava un piacevole abito color cenere, i laccetti erano porpora, le incorniciavano il busto snello e il seno si appoggiava su uno stretto corpetto. La gonna non era ampia, i pizzi erano limitati, ma un leggero velo di tulle le copriva le spalle parzialmente nude. Non indossava gioielli, eccetto un'umile collana d'argento alla quale era appeso un piccolo contenitore di cristallo a forma di goccia, senz'altro di valore affettivo.
Rein sospirava speranze bianche, proprio come quei capelli.
«Benvenuta a Vesilia. Spero che le cure della nostra Lara siano state apprezzate» disse la regina Earine Astraea senza cattiveria nelle sue parole. Aspettava la reazione di Rein, stando seduta rigidamente sul trono, come quello delle favole, eppure così diverso... esso sembrava infatti costituito di pietre celesti, azzurre e diamanti trasparenti, e dava l'effetto di essere fatto semplicemente di ghiaccio. Non c'era né un cuscino né un'imbottitura, appariva scomodo alla sola vista, ma Earine non si alzò nemmeno quando Rein si inchinò leggermente, cercando di comportarsi adeguatamente sotto uno sguardo così importante ed etereo.
«Lara è stata un vero angelo, Vostra Maestà, vi ringrazio per le vostre premure, ma...», per la prima volta Rein dovette girare lo sguardo, posandolo imbarazzata sulla corte; una quindicina di uomini e donne di ogni genere bisbigliavano tra di loro, una dama rise, per poi ritornare composta, intimidita dallo sguardo della regina su di lei. Rein inoltre vide per la prima volta il sorriso di Earine, elegante, proprio come lei.
«So bene che desideri delle risposte, Rein. Ma desidero parlarti in privato. Se vorrai, potremmo farlo nel giardino di corte», Rein annuì, aggiungendo un “certo” in un sussurro, per paura di essere di nuovo giudicata dai presenti.
«Benissimo. Vi prego, Ser Kysrad, accompagnateci nei giardini» chiese gentilmente Earine volgendo una preghiera con i suoi occhi di sangue ad un uomo robusto, dalle braccia potenti e il petto ben scolpito, che si fece subito avanti e raggiunse in pochi passi la regina. Lei gli sussurrò qualcosa che Rein non riuscì a comprendere, e lui le mise cavallerescamente una mano dietro la schiena, mentre Earine gli avvolse le braccia al collo e in pochi movimenti fu sorretta.
Rein guardò sorpresa la scena mentre i due scendevano i pochi scalini che li separavano. Ser Kysrad era un uomo sulla trentina, probabilmente pochi anni in più della regina, i suoi occhi erano piccoli e color delle castagne, reggeva Earine come se fosse una piuma e, facendo fluttuare il vestito morbido della donna, chiese a Rein di seguirli.
Arrivarono nei giardini in pochi minuti, immersi nel silenzio. Il profumo sottile di boccioli di rose attirò l'attenzione di Rein, rimasta indietro procedendo con la testa bassa. I suoi occhi chiari si addolcirono quando vide delle minuscole macchie colorate nel verde di un'erba umida; un imponente glicine si era arrampicato intorno al tavolo bianco dai mille particolari. Il vento era freddo, troppo freddo, chiedeva alle piccole rose di danzare come ballerine, a creare un armonico ondulare. Senza accorgersene Rein posò una mano su un albero pietrificato, accarezzandone la corteccia e comunque ringraziando la terra viva, genitrice, che aveva creato un così bel paradiso tra serie mura del colore di una natura morta.
Ser Kysrad appoggiò Earine su una sedia in mezzo al prato e tirò indietro una seconda sedia, permettendo a Rein di sedersi. Lei si avvicinò e si accomodò imbarazzata.
Quando Earine e Rein furono lasciate sole, Rein non sapeva che cosa fare per spezzare il ghiaccio che si frapponeva tra lei ed una persona così differente quale era la regina.
«Vi serve qualcosa, Vostra Meastà?» chiese premurosamente, ricordandosi che per qualche motivo la regina non poteva camminare.
«Stai tranquilla, cara. È successo molti anni fa, ero a Sud di Llibranthil e c'era un mare bellissimo», volse lo sguardo al cielo. La pioggia si era calmata, ma non del tutto, piccole lacrime ogni tanto accarezzavano i loro volti. «Il mio giovane cuore sentì come un richiamo dalle onde azzurre e mi buttai, senza pensieri, ma loro erano troppo aggressive per una ragazza fragile come lo ero io; andai a sbattere più volte contro gli scogli aguzzi. Mi picchiavano, non smisero fino a che non persi i sensi. Non so come successe, non lo scoprii mai, ma venni trasportata sulla terra ferma da una corrente misericordiosa. Sono stata fortunata, ringrazio ogni giorno gli dei per avermi salvata. Nonostante non riesca più a sentire le gambe... nonostante tutto. Non ho perso la vita, e in questo posto la vita è come una lacrima ai confini tra mento e collo. Sai cosa succede, non è vero, Rein?», Rein perse un battito, osservando gli occhi tristi della regina, rossi, sempre e comunque. Anche lei allora alzò lo sguardo e pensò pochi secondi alla risposta da darle, ma lo sapeva, sì, dopotutto aveva fatto così da sempre. I suoi polsi erano ancora segnati dall'odio della gente, della mancanza di felicità.
«Si può sempre asciugare quella lacrima, prima che cada si può salvare. E si possono salvare anche le altre, sempre», non spostò lo sguardo dalle nuvole colorate dalla malinconia.
«Si può anche imparare a non piangere. Ma ci sono dei momenti in cui le lacrime diventano troppe e non puoi impedire che cadano, e quando ciò succede, esse non sono più semplici gocce salate, ma si tramutano in uno strano liquido rossastro: sangue», Earine sorrise debolmente e la sua mano bianca come quella di uno spettro afferrò quella di Rein con una delicatezza unica.
«Oh, dolce e candida Rein, che cosa ci fai in un posto come questo? Qui gli eroi non servono, sono i mostri che vincono».
Rein ascoltava la sua voce mentre tenui raggi di sole affioravano dalle nuvole gonfie e traboccanti di pioggia.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sesto petalo ***


{Note dell'autrice: è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d'autore, dell'opera 'Come il cielo di primavera'. Alcuni personaggi non mi appartengono e la storia non è stata scritta a scopi di lucro.

Canzone consigliata per leggere il capitolo: No Light, no Light di Florence + The Machine.
Sono terribilmente in ritardo e mi scuso, mi scuso e mi scuso ancora una volta, ma in questo periodo sono stata davvero molto impegnata. Dato che tra pochi giorni escono le pagelle di metà semestre, c'è stato il mese delle verifiche e dei progetti, inoltre c'è stata la laurea di mia sorella Selina, perciò sono dovuta andare in Italia e quando sono tornata ho subito iniziato softball che è tre volte a settimana direttamente dopo scuola, quindi non ho nemmeno tempo di tornare a casa e adesso sto facendo uno stage, perché nelle scuole internazionali in prima liceo praticamente vai a lavorare per due settimane in un'azienda, e parlano tedesco quindi devo stare molto attenta a quello che dicono altrimenti non capisco bene. Vado tutti i giorni e finisco alle quattro, torno a casa e sono esausta e ora che mi riposo è ora di cena, dopo cena è l'unico momento in cui posso scrivere/riposarmi e questo capitolo è il frutto del lavoro di questi mesi passati in silenzio. Che poi non è nemmeno troppo bello se devo ammetterlo però, esatto, c'è un però, questo capitolo è molto utile per voi in un certo senso. Esatto, perché nel prossimo succederà qualcosa di discretamente importante. Il ragazzo alla fine, sì, non ci vuole un genio per capire che è Shade e cioè il ragazzo che ha salvato la nostra Rein nel quarto capitolo, ricordate? In più ho persino accennato parecchie cose in questo capitolo che potrebbero essere più o meno importanti, ma ci sono tre dettagli abbastanza significativi. Mi scuso anche per il fatto che il capitolo non è betato, ma - come sempre, già - ho voluto pubblicare immediatamente e non ho ancora mandato il chappy alla mia Beta Reader.
Per la canzone, beh, a dir la verità non ne sono così sicura, cioè, il ritmo è giusto però le parole sarebbero più azzeccate per un'altra scena che ho in mente, quindi potete ascoltare quello che volete o semplicemente stare in silenzio.
La citazione all'inizio è mia, l'ho creata io e spero che vi piaccia, a me piace ma non so se è azzeccata - così come la canzone. Ovviamente se trovate degli errori ditemelo pure che così li correggo il prima possibile. Il capitolo è dedicato a Chisaki Hiradaira e a Manaka Mukaido, ebbene sì, dedicherò alcuni capitoli a personaggi dei manga o anime, problemi? Ognuno di loro per me rappresenta una parte di me stessa e credo sia giusto ringraziare tutti quelli che ti ispirano.
Ah, oddio, quasi me ne dimenticavo: parto. Il giorno prima di Pasqua per me iniziano le vacanze di primavera, che durano quasi tre settimane e mia mamma ha organizzato un bel viaggetto ai Caraibi (Cuba), quindi partirò il diciotto per il Canada e poi giù a Cuba, vi avviso che non c'è internet, perciò fate un po' voi, non potrò rispondere a messaggi né qua né Ask né Facebook né niente, mi troverete a nuotare in un mare cristallino alla playa oppure nei campi di tabacco a cavalcare... ah, non vedo l'ora. Un bacio, mi raccomando, fate i bravi e divertitevi durante le vacanze di Pasqua, eh, io vi manderò una cartolina. Chu. ~
Un abbraccio da Rebecca Arya Baratheon
 

 

Come il cielo di primavera
I giorni di sole e delle risate che non sentiamo più


Capitolo VI - Sesto petalo
In questa fredda notte vedo una parte del mio cuore riflessa in una pozzanghera.

 

Lara camminò lentamente verso la porta, lasciandosi alle spalle una dolce fragranza di magnolie. Rein esitò per un momento, ma a passi svelti raggiunse Lara prima che potesse uscire, prendendole le dita. Ella si girò sorpresa, facendo fluttuare i capelli color della sabbia, mentre i suoi occhi verdi si posarono su Rein, facendola inevitabilmente voltare, cercando la finestra che dava sul buio della notte. Un cipresso illuminato da una giovane luna crescente sembrava una fiamma nera salire al cielo, il quale sovrastava ogni cosa, rendendo le stelle invisibili a due occhi che tentavano di trovare la loro luce. Quello stesso giorno la fiamma era rossa, rifletteva negli occhi di Earine la morte, Rein sapeva che avrebbe voluto piangere, sentire il calore di un corpo umano e vivo, ma non si alzò, non si mosse, non perché non poteva farlo, ma perché la regalità prevaleva su tutto, impedendole di ridere. Quando finirino la loro breve conversazione, la regina fu portata di nuovo sul suo trono di cristallo, e mentre con una spazzola dorata si lisciava i capelli setosi, abbassò lo sguardo speranzoso sul pendente che portava al collo, stringendolo nel palmo della sua mano tremante.
Rein non ruppe il contatto con Lara, e con il viso accarezzato dalla brezza delle tenebre proveniente dalla finestra semi aperta, le chiese di restare solo per quella notte. Lo stomaco le bruciava, la testa pulsava sotto un richiamo costante e ripetente: sentiva la voce della regina da qualche parte, urlare, era sicura che fosse lei, gridava dal dolore insopportabile che traboccava da tutto il corpo: dagli occhi, dalle esili gambe, dalle braccia nivee e dal petto sanguinante. Quando chiudeva gli occhi, Rein la vedeva; piegata a terra, una rosa bianca le circondava il capo, affondando le spine nella pelle, e il sangue scendeva. Scendeva come lacrime, rigandole le guance, le palpebre, il mento e la fronte. Quegli urli non smettevano mai; aumentavano, e più lo facevano, più quella rosa - all'apparenza quasi simile alla cartapesta con cui Rein assemblava dei fiori per il compleanno del papà, ogni anno, sempre lo stesso - aumentava la presa, facendola stringere su sé stessa, a terra, di fronte al suo trono di ghiaccio, impotente. Nessun pianto, nessuna lacrima, solo grida di un essere senza protettore.
«Ti prego, resta qui, con me».
Il desiderio di Rein fu esaudito sotto un sorriso materno di una ragazza della sua stessa età, e per un secondo, solamente un momento, quel sorriso sembrò essere lo stesso di Mirlo, e prima di sprofondare nelle coperte insieme a Lara, Rein sperò con tutta sé stessa che Mirlo stesse bene, lontana dai guai, radiante e sorridente come sempre.
Il sonno fu breve, interrotto da quelle urla, da quel sangue; questa volta, anche quando Rein aprì gli occhi di scatto, queste non smisero. Si portò le mani alle orecchie, stringendo e sussurrando con occhi umidi: «Fai silenzio. Fai silenzio. Basta, ti prego, fai silenzio». Le lacrime stavano per scendere; si mise le mani tra i capelli a denti stretti, poi due palmi caldi raggiunsero i suoi con un dolce movimento. Le urla si azzittirono, e Rein in quel momento - dopo tutto quel tempo - confermò a sé stessa di credere ancora nella magia. Il calore e il profumo di Lara la travolsero e richiuse gli occhi, sorridendo senza lacrime.
«Quando lo fai, Lara, mi sento felice» bisbigliò mentre confortava la ragazza, preoccupata. «Possiamo... restare così per un po'?», l'inserviente annuì armoniosamente, attirando Rein a sé.

Il nuovo giorno era grigio, adornato dal solito sole accecante, ma privo di alcun calore, che illuminava come la luna in una notte di meditazione, non amava, guardava soltanto. Lara aveva dato la notizia a Rein che quella mattinata sarebbe andata in paese, dove doveva comperare il necessario per le cucine del regno, appena arrivatale - quasi per semplice coincidenza - l'annuncio che un giovane Re era appena sceso al trono e presto avrebbe fatto visita a Vesilia, compiendo un lungo viaggio attraverso le dense pianure di Llibranthil. Erano ormai anni che Rein non pensava al genere maschile come un'attrazione, non le piacevano molto gli uomini, e nemmeno l'immagine che le si dipingeva in testa non appena sentiva o pronunciava quella parola. Però un Re, chissà com'era questo Re; lo immaginava come un uomo alto e bello, con capelli dorati che gli toccavano le spalle, mentre ad ogni suo movimento suscitava gridolini da parte delle dame a corte e l'invidia dei figli dei vecchi paesani. Qualcuno di gentile, con una spada d'antico ferro forgiato dal migliore dei fabbri del regno, e un sorriso brillante e radioso, qualcuno di cui ci si potesse fidare solamente dopo averlo visto, senza nemmeno aver incontrato i suoi occhi - probabilmente di un azzurro estivo, color del cielo e del mare. Un vero eroe... o forse qualcosa di più, Rein strinse il lembo del vestito in seta, color pesca, ripensando alle parole della regina Earine, pronunciate appena un giorno prima.
«Avanti, dovete venire con me, Vostra Altezza!», Lara la tirava per il braccio freddo per tutto il palazzo, insistendo con un'espressione birichina sul volto. In quel momento sembrava essere tornata bambina, e Rein sorrise, distraendosi e quasi cadendo sul marciapiede non asfaltato, zeppo di polvere e terra. Avevano abbandonato le mure sicure del palazzo e dopo qualche passo non si videro più nemmeno le guardie sorvegliare l'entrata della fortezza. Lara camminava felice e senza preoccupazioni - probabilmente dimenticandosi dell'accaduto della notte precedente, mentre Rein afferrò silenziosamente il vestito della serva, impaurita, cosa che Lara notò, ma che non commentò fino a che non arrivarono in un grande spazio all'aperto; una fontana aleggiava al centro della piazza e tutta intorno c'erano persone e persone, tante persone ammucchiate vicino a svariate bancarelle di cibo o drappi venduti a basso prezzo.
Rein sentì uno strattone e vide solamente Lara farsi strada tra vecchie signore che si spingevano e urlavano per conquistare il tessuto più pregiato o il pezzo di carne più fresco.
«Con questo nessuno sospetterà niente, nessuno saprà del vostro arrivo a corte, tranquilla, Rei-», Lara si fermò capendo si essersi lasciata trasportare un po' troppo, lasciando cadere il foulard color crema a terra; non poteva chiamare per nome una persona di un rango differente al suo, un ospite del regno. «Mi dovete scusare, Vostra Altezza, sono desolata... e non era mia intenzione». Rein non disse una parola, non ne capì il motivo, ma le sue labbra non si dischiusero, riuscì solamente ad alzare l'angolo destro della bocca e camminare dalla direzione opposta a quella di Lara. Sono una stupida, una stupida, si rimproverò Rein continuando ad avanzare strizzando gli occhi.
Ritrovò velocemente la via per il palazzo e quando lo aggirò, trovò all'entrata delle grate un ragazzo; un ragazzo estremamente famigliare. La sua bocca non accennava sorrisi, tantomeno il suo sguardo, rimase immobile, con due guardie ai fianchi, sbarrando l'entrata. Rein lo guardò più volte, inarcando le sopracciglia, chiedendo gentilmente di passare, che era ospite della regina Earine e che avrebbe dovuto fare in fretta. Gli occhi blu oltremare del ragazzo la guardarono con superiorità, dall'alto in basso, sia fisicamente che mentalmente. I capelli cobalto erano disordinati, eppure così perfetti, ma Rein non si fermò un minuto di più ad osservarlo, intenta a lasciare le strade insicure di Vesilia. Il giovane, quando vide Rein avvicinarsi di più, le prese il polso, strattonandolo senza farle eccessivamente male.
«Vai via di qui, vattene» sputò quasi con furia, Rein sobbalzò ma non si mosse. «Non conosci il lato oscuro di questo posto» sussurrò. Mi fa paura. Questo ragazzo... mi spaventa, i suoi occhi racchiudevano la solitudine dell'essenza.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2183151