Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
…
sapevo soltanto che era vero amore, sin dal principio.
«Mamma!
Guarda!».
È
lei, mi chiama... Dovresti vederla, sai? È tutta uguale a te. Bellissima, con i
suoi capelli rosso fuoco. Forte, tenace. E quegli occhi, azzurro verdi - la
nostra fusione - un po' miei, un po' tuoi. Nostri.
«Brava,
Victoria...brava...».
Sì,
perché quella volta abbiamo vinto… la nostra
vittoria. E lei è il miglior premio che potessi avere con te, Shepard.
Le Asari
mi guardano male, mentre cammino per la via, diretta alla sede governativa di Thessia. Dopo la sconfitta dei Razziatori, l'universo
intero si è preso il tempo per piangere i caduti e ricostruire dalle macerie. E
mentre tutti esultavano per la sconfitta del nostro nemico comune, io piangevo,
perché sapevo che tu non saresti tornata.
La vittoria l'abbiamo ottenuta, ma a
caro prezzo. E tu - sì, proprio tu - era quella che doveva pagare per tutti
noi.
La squadra ha pianto con me,
condividendo il nostro dolore, e piangendo la tua morte. Io, tra le loro
lacrime e le parole di condoglianze, tacevo. Avevo già versato le mie lacrime
in solitudine.
Mi ero isolata da tutti, perché
nessuno sapeva quello che avevo fatto, alle spalle di tutti, anche delle tue, Shepard. E so che non mi perdonerai questo piccolo atto di
egoismo...ma io desideravo, con tutta me stessa, tenere vicino a me - dentro di
me - un pezzo di te. Una parte di te, di me, di noi, che cresce, e batte.
Ed ora eccomi qui, che cammino verso
il patibolo dove dovró sostenere le colpe del mio
atto egoistico. Con il pancione che spunta dal vestito largo che indosso. Ma
non permetterò che ti strappino via da me, figlia mia.
Tu sei viva, cresci in me, e ti amo
più della mia stessa vita. Come se potessi vederti, sai? Già cresciuta, così
uguale a tua madre, e col mio sgarbato carattere.
Ti vedo, con la mano tesa, come per
dirmi: prendimi!
Quel giorno, sul campo di battaglia,
persi l’amore della mia vita, la compagna che avrei voluto al mio fianco fino
alla morte. Oggi non perderò te.
«Siamo qui riunite oggi per
giudicare Liara T’Soni, colpevole di non “gravidanza
non permessa”.» la voce della Matriarca sovrastò quella delle altre che, con
sguardi odiosi, si rivolgono alla pronuncia ormai avanzata della pancia della
giovane donna in piedi di fronte a loro.
Vestiva di un lungo abito, bianco a
sfumature nere, che stringeva delicatamente il pancione. una mano appoggiatavi
sopra, come per tenerlo a sé più di quello che fosse già.
Una Matriarca si alzò, e la guardò
con occhi diversi. Lei sapeva. Liara ebbe un fremito.
«Io reputo questa riunione non
giustificata e oltraggiosa!» urlò, guardando con astio le donne al suo fianco.
«Tu parli con il cuore condizionato,
perché sei il suo genitore!» ribadì un’altra, in risposta, e altre voci si
aggiunsero.
«Io parlo col cuore ma ragiono con
la mente, non con altre parti poco nobili del corpo! Reputo questo oltraggioso,
stiamo condannando una Asari colpevole soltanto di
aver accettato l’amore del proprio partner che sapeva non sarebbe tornata viva
dalla missione!» il silenziò risultò essere una cassa di risonanza delle sue
parole. Liara poteva sentire il suo cuore galoppare
oltre i muri e le particelle di polvere. La scosse un calcio della piccola,
come per rassicurarla e destarla dai suoi cupi pensieri. Fece un sorriso tra sé
e sé.
«E non si parla di un partner
comune, ma dell’Eroe della Galassia: Jane Shepard!».
Liara
sentì il suo nome come una lama. Persino nella loro intimità, Shepard non apprezzava essere chiamata per nome.
Ricordò ancora quel giorno, come se
fosse stato pochi minuti fa.
«Posso
chiamarti Jane?» domandò l’Asari, mentre lentamente
le carezzava il volto, seduta a cavalcioni sulle sue gambe. Lo sguardo verde
della donna si rabbuiò.
«Preferirei
evitare...Non lo sento nemmeno mio, quel nome...» rispose, guardando in basso,
presa dai brutti ricordi dei momenti bui passati sulla Terra durante la sua
infanzia. Liara aspettò in silenzio che parlasse,
intuendo il suo stato d’animo.
«Mi
ricorda troppo il mio passato da criminale, ho buttato anni e sangue su quei
schifosi marciapiedi, a sfuggire alla legge, cercando soltanto di sopravvivere,
come mi era stato insegnato.» la voce era roca, e la presa sulle spalle
dell’amata si faceva più rigida. «Jane è il nome che mi è stato dato alla
nascita, scelto dalla direttrice di allora dell’orfanotrofio.» ricordò.
«Ma
non l’ho mai sentito mio. Invece il cognome Shepard,
che ho scelto io. É più giusto per me, lo accetto, perché sono io a dargli
forma.».
Il
nervosismo passò, e gli occhi tornarono della loro lucentezza naturale. il
verde si mischiò all’azzurro, per un piccolo istante di lucentezza.
«Ti
sembrerà stupido, ma per me Shepard, per quanto sia
il cognome, non è per niente formale. Esso rappresenta tutto ciò che sono. Io
sono Shepard. Non Jane.» e storpiò con una smorfia
l’ultima parola, facendo sorridere la compagna, carezzandole il volto e
baciandola dolcemente.
«Come
vuoi tu, Shepard.» disse Liara,
sorridendo. Il volto della donna mutò, diventando sogghignante.
«E
poi… mi piace come urli il mio nome, quando lo
facciamo...» Gli occhi dell’Asari si spalancarono
dalla sorpresa, e le guance si imporporarono leggermente.
«Shepard!».
«Questo non preclude niente.»
affermò la Matriarca che reggeva la riunione.
«Questo preclude tutto!» ribadì il
genitore, sentendo il bisogno di schiantarla contro un muro.
Poi le porte si aprirono
improvvisamente, bloccando la discussione.
L’Asari
direttrice del Consiglio camminò lenta lungo il corridoio centrale, contornata
da panchine su cui sedeva un’ampia platea.
«Liara
T’Soni è sciolta da ogni accusa.» e la sua voce fu una decisione unanime.
La Consigliera fece scorrere lo
sguardo sugli occhi azzurri di lei, e guardò per un istante il pancione
pronunciato. Sorrise impercettibilmente, ma Liara lo
notò comunque.
E Liara
ricambiò, piangendo di gioia.
La sua bambina...era ancora sua.
Aveva afferrato quella piccola mano,
e l’aveva stretta a sé.
Dovresti vivere con
entrambe i genitori, provare le carezze di entrambe.
Gli ammonimenti di una e le
risa dell’altra.
Perché...perché nella mia
mente continuano a scorrere quei ricordi...?
Sono qui, davanti a te, stai per partire per quella missione
“Suicida”.
Sono qui, e ho paura di non vederti più, di vederti sparire.
Dissolverti nel nulla, scivolare nel silenzio, come quando abbiamo perso la
Normandy la prima volta. Quei due anni senza di te, scorgere il tuo cadavere e
sapere che non tornerai indietro, e poi la speranza...
«Che cosa vuoi...? Se tutto questo dovesse finire domani, cosa ne
sarebbe di noi..?».
La mia voce incespica su se stessa, cade e si rialza,
spolverandosi buffate di dolore dal vestito di seta e speranza, amore e
lacrime. Avrei voluto usare un tono meno profetico, scusami. Ma è nella mia
natura, esserlo.
E poi arrivi tu, mi ripulisci gli angoli sporchi della mia anima
con quella tua voce sciolta e dolce, come nessuno ci era mai riuscito prima.
Dio, le tue labbra...Liara. Concentrati.
«Non saprei...matrimonio, vecchiaia e un sacco di bambini blu...?»
E le tue parole mi spiazzano, così come il tuo sguardo. Sei sincera, lo si vede
dappertutto. Brilla di luce propria, la tua anima, quando dice che cosa vuole.
E nella mia mente si sparge quel pensiero come olio su carta, acqua su pelle,
scorre e entra nei sobborghi dei miei pensieri, che sono mille e più.
E vedo lei, vedo nostra figlia.
«Lo dici con tanta leggerezza...» ammetto, scherzando. Ma in
realtà sei seria. Lo so. Ma non riesco a sostenere il peso dei miei pensieri
così, ho paura che non tornerai... «Se vogliamo provarci devo sapere che
tornerai...».
Tu devi tornare, Shepard. Tu sei tutto ciò che voglio.
Non posso pensare che non sarai più al mio fianco. Non di nuovo.
Non si ripete due volte lo stesso miracolo,no?
«Non saprei, è una bella promessa da fare...» ammetti, con malizia
nella voce. I tuoi occhi mi parlano ancora, il linguaggio del tuo corpo, le tue
mani...le tue labbra, posso sentire il respiro sul collo, così caldo...
«Ah davvero?» mi hai già conquistata, lo sai.
Ti prego, parlami ancora...
«Dovrei avere qualcosa di speciale da cui tornare...».
Lo sarò. Lo sono. Ti aspetterò, Shepard. Io sono qui, non ti
lascio.
Ti aspetterò, e so che tu tornerai da me.
Basta, Liara. Smettila.
Alla fine non è tornata,
no?
Smettila.
«Liara...!» la sua voce rapita dal desiderio è così carica nel
momento culminante del piacere fisico.
Smettila!
I suoi occhi verdi che mi scrutano da sopra la spalla, mentre ci
abbracciamo nel letto di quell’appartamento alla Cittadella. Un risveglio
simile...è meglio della vista sconfinata sui terreni colorati di Thessia.
Quegli occhi...
«È già mattina...?» la mia voce è gommosa alla mattina, ma tu mi
sorridi. Ed è più splendente del sole più rosso della galassia. Mi baci, ed è
meglio di quella brodaglia amara chiamata caffè.
«Sì, ed è una perfetta...» mi rispondi, anche tu con la voce
stropicciata, e sei bellissima, nonostante il tuo ciuffo sia leggermente
piegato verso l’esterno. Sorrido, sei dolce. Preferisco te, così, alla mattina,
che una tazza di latte di Yarkvos caldo al mattino e
biscotti.
«Vorrei passare ogni mattina così...».
Sì, così, semplicemente noi.
Io...e te.
Smettila...ti prego...
«Ti amo, Liara.».
...
Perché mi baleni sempre in
mente...?
Non sono capaci le Asari di
guardare al di là della perdita e di valorizzare i giorni passati assieme?
Perché io non ci riesco?
Perché...?
«Non capisco perché tutto questo casino.» disse Garrus Vakarian,
accompagnando a braccetto Tali, avvolta nella sua elegante tuta protettiva.
L’alieno con un’enorme cicatrice sulla faccia parlava con aria crucciata,
cercando di cogliere una cosa che non capiva. Vestiti tutti eleganti, era
appena finita la “riunione” dove era stato deciso la non colpevolezza di Liara
nel non aver rispettato le leggi naturali imposti.
«Davvero non ci arrivi, tesoro?» domandò la Quarian, guardandolo
oltre la visiera schermata. Si poteva intuire dal tono di voce che era
sarcastica, intaccando con malizia e divertimento l'intelligenza mancata del
compagno.
«Sinceramente no, tu invece ci sei arrivata cara?» ribadì lui,
usando un tono caldo. Liara, al loro fianco, camminava silenziosa, per poi
intervenire.
«La società Asari non tollera che vengano ignorate le tradizioni e
i ritmi naturali imposti.» disse, guardando il terreno su cui camminava, una
mano sul ventre prominente. Il vestito scivolava elegantemente sulle sue vesti,
e gli occhi, di un profondo blu mare, brillavano come diamanti lucenti, ma
ricoperti di una patina di leggera malinconia, che non li lascia mai.
«Di norma e regola solo una Matrona ha il permesso di procreare.
Io, invece, essendo ancora una Dama, sono appena un’adolescente, a loro
confronto. Sono una... "ragazza-madre", e questo la nostra società
non lo accetta. In teoria, è l'Asari che sceglie di rimanere o meno incinta, e
molte della mia età lo sanno, o lo ignorano applicandolo inconsciamente. Un
figlio è sempre una scelta, per noi, mai un caso.» la coppietta l'ascoltavano,
mentre si dirigevano con passo tranquillo verso l'esterno del centro, a
raggiungere la navicella che li avrebbe portati poi sulla Normandy, attraccata
poco più in là. Le Asari che passavano, dai vari colori di blu e viola, la
guardavano male, bisbigliando nelle orecchie o indicandola. Era brutto, avere
tutti quegli occhi addosso, lei, che amava il silenzio e l’anonimato dei suoi
resti muti.
Le sembrò di sentire il rumore di una armatura dietro un masso, ma
non ci fece caso. In quel momento voleva solo fuggire via da lì e non vedere
più quei volti. Aveva chiesto l’Asilo sulla Terra, che le venne concessa grazie
all’intercalare della Consigliera. Si domandò, per un attimo, perché la
aiutasse così tanto. Ma poi decise che era meglio non domandare.
«Quindi tu hai scelto di rimanere incinta di Shepard?» domandò
Tali, guardandola oltre il petto vigoroso di Garrus, che stava nel mezzo. Gli
occhi della ragazza scorrevano il terreno, sasso dopo sasso. Anche solo il nome
le faceva battere il cuore. Come se potesse sentire di nuovo la sua voce.
Vana speranza.
«Sì.» rispose, dopo un lungo silenzio.
«... Ma lei non lo sapeva.» aggiunse poi l'alieno, guardandola con
sguardo interrogativo. L'Asari rispose con un gesto della testa.
«Non mi avrebbe mai permesso di combattere, nelle
mie..."condizioni".» ammise, lasciando trapelare il fatto che avrebbe
reso la loro separazione molto più difficile e sofferta.
«Non te lo avrei permesso nemmeno io, figuriamoci lei, che teneva
più a te che a se stessa.» aggiunse Garrus, arrivando alla navicella. Tali
aiutò Liara a salire, mentre l'altro andava alla postazione di guida. Di nuovo
quel rumore, ed era più vicino. Lo ignorò.
«Ho sperato, con tutta me stessa, che sarebbe tornata viva,
indipendentemente da quello che l'aspettava.» la navicella si accese con suono
metallico, l'aria che muoveva la polvere del terreno. «Ma a quanto pare...non è
bastato.» una lacrima silente calò sul suo volto, mentre la vettura si involava
verso la sua destinazione, così come volarono i pensieri di Liara, oltre il
tempo, lo spazio, per ricordare ciò che era successo quel fatidico giorno.
Ma il fiume di lacrime, e di ricordi, venne interrotto da uno
sparo.
Il vetro si incrinò nel finestrino di Liara che, sorpresa, si
allontanò da esso.
«Ci attaccano!» urlò Garrus, iniziando a compiere manovre evasive.
Tali chiamò la Normandy in soccorso, e la voce di Joker si diffuse in tutto
l’abitacolo.
«Stiamo arrivando ragazzi, tenete duro! Liara, stringi le gambe!».
Joker e le sue maledette battute nei momenti meno opportuni. Tali
si armò, sporgendosi dal portellone per contrattaccare.
Erano quattro navicelle armate di tutto punto contro un semplice
veicolo di trasporto passeggeri.
«Non ha nemmeno un mitra questo cazzo di rottame!?» domandò
infuriato, cercando di evitare il più possibile sia i proiettili sia i
movimenti bruschi, viste le condizioni di Liara poco propense ai brutti colpi.
«Ah!» l’urlo di Tali si dilagò per l’abitacolo. Si teneva il
braccio ferito, da dove sgorgava sangue. «Bosh’tet!» maledì nella sua lingua mentre Garrus, dal volante,
chiedeva cosa era successo con voce preoccupata.
«Per la Dea, Tali, sei ferita, fermati!» le urlò Liara, mentre
l’aliena prendeva l’arma con l’altro braccio e ricominciava a sparare. Il
sangue verdastro, tipico dei Quarian, stava colando a vista d’occhio dal
braccio ferito, che stava abbandonato al suo fianco.
Liara si sentì mancare alla vista.
“Che mi sta succedendo?”.
No, non era la vista del sangue, era altro... era il senso del
pericolo che le dava la testa. Le girava, in un vortice continuo. Si afferrò il
ventre, diventato di fuoco, pieno di movimenti consulti del bambino che
scalciava, preoccupato per la madre.
«Liara!» il suo respiro. Riusciva a sentire il respiro affannoso
di se stessa. «Liara, calmati, stai tranquilla.» la voce calma di Garrus le era
vicina. Cercò di riprendere il normale respiro, quando si accorse che aveva
appena avuto un attacco respiratorio. La mano non aveva lasciato il ventre, che
era agitato. Sentiva il bambino spaventato, oltre la coltre di pelle e amore.
Erano dentro la Normandy. Era arrivata appena in tempo per sparare
e accogliere la vettura malconcia.
«Tali è...».
«L’hanno già portata in infermeria, la stanno curando, e ora anche
tu. La dottoressa Chakwas adesso controllerà te e il
bambino, per vedere se siete entrambi sani.» la luce era tanta, ma riconobbe
nella vista annebbiata il volto della donna anziana che le sorrideva, e le
parlava.
«Stai tranquilla Liara, va tutto bene...». Sentiva la sua mano
stringere la propria sul ventre, capiva la sua ansia. Rilassò la presa prima
tesa.
E poi, il buio.
Forse ho capito perché.
Standoti affianco, nelle tue avventure, nella tua nave - nel tuo letto - mi hai
fatto sentire come un essere umano. Quando i Razziatori ci hanno attaccato, con
tutta la loro potenza, tu mi hai fatto capire che, indipendentemente da quanto
dura la nostra vita, siamo tutti uguali di fronte alla morte. Ciò che ho
pensato lontano si è drasticamente avvicinato, facendomi sentire spaesata. Ma
sei stata tu, sì, proprio tu a farmi capire che è normale, e giusto, sentirsi
così. Perché nessuno a questo mondo vuole morire.
Mi hai fatto sentire
stupida, perché nonostante il centinaio di anni che ho sulle spalle questo io
non lo avevo ancora capito.
Dopo aver visto la morte
avvicinarsi, ho come inconsciamente scelto di vivere la mia vita come un essere
umano, che corre per tutta la sua vita perché non ha tempo.
E dopo averti perso, mi
sono accorta che di tutti gli anni che ho passato a vivere, solo una
piccolissima parte di essi l'ho passata con te. E il mio cuore strepita per
l'ingiustizia.
E piange.
...
E piango.
Per questo non riesco ad
andare avanti, Shepard.
...
Ti amo troppo per riuscire
ad andare avanti.
«Mi domando chi possa essere stato.» parlò la Consigliera, le
braccia a stringere il corpo. Le mani scorrevano lentamente sulla sua figura,
rendendola elegante ma allo stesso tempo profondamente saggia.
«Non lo so signora, le indagini su questo caso sono la massima
priorità, e la dottoressa T'Soni è ora ricoverata e tenuta sotto stretta
sorveglianza in una sala riservata dell'Ospedale.» rispose il soldato. La
signora lo guardava con sguardo apprensivo. «Posso chiederle perché è così
interessata al caso, signora?».
«Perché
è un caso interspaziale, e si parla del figlio della
donna che ci ha salvati tutti.» rispose, riprendendo in mano il ruolo di
Matriarca. Il soldato, appreso il tono stizzito, fece il saluto militare e si
congedò in silenzio.
L'Asari rimase sola, nella stanza.
«Sei una bugiarda, Krisna, e lo sai...» la voce di una figura
femminile, in ombra, provenne dal nulla. La Consigliera non si sorprese, sapeva
che era lì.
«Lo so...» ammise, con voce stanca.
«...ti ricorda troppo te, vero...?» le domandò, per poi svanire
così come era apparsa.
Krisna sapeva che aveva assolutamente ragione, per quanto odiasse
ammetterlo.
la prima volta che ti ho vista... è
stato nel momento del bisogno.
«C’è qualcuno? Vi
prego, aiutatemi, sono intrappolata!»
Già... in una stupida bolla.
Io, una grande archeologa, intrappolata
nel mio piccolo mondo costruito intorno alle macerie di un impero perduto e affascinante,
lasciando il resto chiuso fuori.
Il perché?
Allora davo solo cibo alla mia fame di
conoscenza, ma in realtà, ora che ci penso, io avevo solo paura.
Paura d'esser giudicata, di essere vista non
per com’ero, ma per come apparivo: una giovane Dama che pretende di fare la
saccente, figlia di una potente Matriarca.
In quel momento chiesi aiuto, per la
prima volta, a qualcuno. Volevo uscire da lì e tu, Shepard, senza indugio, mi
hai liberata.
E io non ti ho mai ringraziato
abbastanza, per questo. Mi hai salvato dalla vita chiusa e monotona che io stessa
stavo costruendo intorno a me, per evitare gli altri.
«Lei è con me.»
Con quella frase tu, Shepard, mi hai sorpresa
per la seconda volta. Non ho mai visto qualcuno combattere per me, per
difendermi. E i miei occhi, in quel momento, erano solo per te.
«Volevo sapere di
più su di te. Per capire cosa ha trasformato te nella donna che sei ora. C’è
qualcosa di interessante su di te, Shepard.».
«Sei interessata a
me, o solo alle visioni dei Prothean?» disse, alzando
un ciglio.
«È iniziato da
quello, lo ammetto. Ma poi è andato oltre...».
Silenzio, e i tuoi
occhi mi riempiono di emozioni che non so tradurre. Non è un linguaggio che
conosco.
«Tu mi intrighi,
Shepard.».
I miei ricordi sono vividi, colorati,
forti e carichi di tutti i dettagli che la mia mente conserva con avidità.
I tuoi occhi, i tuoi capelli, le tue
visioni, tutto è dentro la mia mente come se fosse successo solo ieri.
E invece... è passato così tanto tempo
Shepard...
Il brutto di essere una Asari è la memoria
fotografica e laterale.
Va oltre la pura vista, olfatto, udito,
gusto e tatto.
Scava i sentimenti e li imprime nei
ricordi, come una filigrana che non puoi rimuovere, né evitare.
E Dea... vorrei solo non annegarvi in
essi così tanto da dimenticarmi di respirare.
«Liara...ci sei?».
l'ombra sfocata della dottoressa Chakwas
si pone davanti
alla vista dell'Asari.
“Cosa vuoi?” pensa “Lasciami beare nei ricordi ancora per un
poco... per favore...”.
«Come ti senti?»
La sua voce nelle sue orecchie rimbomba. Si sente stordita.
Porta una mano alla testa, e sente il braccio pizzicare, come se non si
muovesse da tempo.
«Mmm...».
Mugugna, sente la mancanza di qualcosa. Qualcosa di importante.
«Shepard!» urla, d’un tratto, tirandosi su in modo brusco,
la mano sul ventre, scoprendolo stranamente piano. Un immediato giramento di
testa la riporta sul cuscino del letto dove giaceva.
«Il mio bambino! Dov'è?!» parla forsennata l’Asari, guarda
la dottoressa cercando una risposta nel suo volto coperto di qualche ruga
prematura. Lo sguardo si illumina per qualche secondo.
«È nata prematura, Liara, ma sta bene...» risponde, cercando
di calmare la sua paziente. E vide il petto passare da uno stato di completa
agitazione a uno rilassato.
«Solo...» aggiunse, e lo sguardo deviò dai suoi occhi.
«Solo cosa?» domandò Liara, preoccupata. Era ammalata, non
sarebbe sopravvissuta?
No, Dea, non farmi questo. Non
togliermela.
Dea... ti prego.
«È strana. Non mi è mai successo un caso simile prima
d’ora.» disse l’umana, corrugando la fronte. Liara lo tradusse come segno di
dubbio, di problema.
«Cos’ha che non va?» la mano della neo madre prende con
forza quello della dottoressa, e lei le sorride, cercando di calmarla.
«È in perfetta salute, Liara. Non ha niente che non va.
Solo...».
«Voglio vederla. Subito!» la richiesta era lampante, e la
dottoressa parve rifletterci, per qualche minuto, alla richiesta. Ma forse
avrebbe fatto peggio a non assecondare la donna, che mostrava qualche bagliore
dei poteri biotici.
«Arrivo subito.» e si alzò. Sparì dietro la porta bianca, e
solo in quel momento Liara si accorse che non era più nell’infermeria della
Normandy. Era in una stanza d’ospedale, da sola. Il letto, molto grande,
l’avvolgeva con delicatezza, vari tubi collegati a lei che filtravano il
nutrimento e le scorie del suo corpo. Dev’essere
stata priva di sensi per parecchie ore – oppure giorni – per sentirsi così
vuota. Si passò la mano sul ventre piatto. Sentì una leggera fitta. Sollevò il
lenzuolo e scorse un medicamento. Le avevano fatto un “cesareo”, se non
ricordava male. Una procedura di emergenza, per far partorire il bambino in
tutta sicurezza.
Le sarebbe rimasta la cicatrice, ma per ora non le
importava.
«Eccoci qui...» la voce, resa angelica dalla donna, guardava
il fagottino che mormorava senza senso. Liara sorrise, si sentì sollevata, e il
cuore più leggero. Eccola lì, a pochi passi dal lei, il nuovo motivo di gioia
della sua vita. Il suo cuore, separato dal suo corpo, che respirava da sola. Che
si muoveva da sola.
La dottoressa diede con cautela il fagotto all’Asari,
osservandone con cura le reazioni. Pronta a domande, collassi, o addirittura a
una sfuriata. E invece niente. Vide solo i suoi occhi brillare – finalmente –
dopo tanto tempo passati nell’oscurità. Le mani che reggono, come se lo facesse
da tempo, in maniera delicata e dolce il piccolo essere tra le sue mani. Sorrideva,
alla sua bambina, le parlava.
«Ciao, amore della mamma.» disse Liara, e iniziò a piangere.
Le lacrime scendevano copiose dal volto di lei e, come per rincuorarla, la
bambina vi pose una manina sul volto, riconoscendo la voce della madre.
Una mano rosa e grassoccia.
La dottoressa Chakwas
aspettò qualche minuto, in silenzio. E poi fece finalmente la domanda che le
premeva da quando prese quel piccolo fagotto in mano.
«Liara. Tu sai che è
Umana, questa bambina...vero?» chiese.
«Lo so dove vuoi
andare a parare, dottoressa.» inspirò l’Asari, e si asciugò le lacrime
velocemente con una mano. Iniziando inconsciamente a coccolare la fanciulla che
portava in braccio. «Ci sono certi segreti che è ora che vengano alla luce.» lo
sguardo risoluto. Ora non aveva più paura, era piena di forza di volontà.
«Quindi se una Dama
decide di rimanere incinta...» la dottoressa cammina, cercando di seguire le
parole dell’Asari e allo stesso tempo ricordando tutte le sue nozioni sulla
fisionomia Asari – poca, a dir la verità «È impossibilitata a partorire
un’Asari, ma bensì solo a partorire un bambino della razza dell’altro genitore.»
incalzò Liara, mentre allattava la figlia al seno. Sorrideva, mentre guardava
la bambina succhiare il latte, affamata. Gli occhi vispi, verdi azzurri.
Piccoli ciuffi rossi sul capo, le mani che non smettono di muoversi.
È
proprio come te, Shepard. L’unica cosa che ha preso da me, nostra figlia... sì,
nostra figlia... sono alcune pagliuzze del colore dei miei occhi. E niente più.
La dottoressa Chakwas
rimase come intontita. Non riusciva a capire...perché?
Liara rispose come
leggendole nel pensiero.
«Una Dama è il primo
ciclo di vita della razza Asari. Comparato agli umani, un adolescente. Un
ragazzo può mettere alla luce un bambino comunque, ma non è conveniente sia
socialmente che fisicamente parlando, perché è un individuo che non ha
raggiunto lo stato di vita adulto e non sa ancora cosa significa mettere al
mondo un neonato, con tutti i costi e le attenzioni che richiede.».
«Sì, ma il bambino se
seguito con le dovute cure, nasce comunque.» ribadì la donna, ascoltando l’Asari.
«Con noi è diverso.
Ancora non sappiamo come funziona il nostro corpo in campo riproduttivo. Il
problema è dovuto alla trasmissione dei geni al nascituro. Essendo
“adolescenti” non sappiamo comandare il nostro corpo, e in questo caso noi
prendiamo troppi geni dal “padre”, ricreando – delle volte – una perfetta copia
dello stesso. Inconsciamente le Dame non incrociano i propri geni con quello
del partner, evitando così di rimanere incinte.» Liara parla come se fosse
ovvio. In realtà per l’umana era come una rivelazione shockante.
«Devi capire che le
Asari si vergognano di questa loro “incapacità”, e quindi evitano accuratamente
che si venga a sapere. E io sono la perfetta incarnazione delle loro paure. Se
si venisse a sapere che le Dame – se decidono di rimanere incinte – replicano
il gene del padre, che ripercussioni avremmo? Immagina cosa potevano fare i
Krogan, prima della cura della genofagia.» Liara
aggrottò la fronte. Nella mente il futuro più brutto per le sue coetanee,
ricercate e usate come carne per la riproduzione «Non potevano permetterlo.».
«Ma adesso i Krogan
non sono più un problema.» ribadì la dottoressa Chakwas, guardando Liara «Non
capisco perché comunque si siano opposte con fermezza a te.».
«Hanno paura che io
mostri alla galassia intera il nostro difetto. Di smontare la perfezione che
aleggia intorno a noi. Eppure guardami, dottoressa.» e la donna alzò gli occhi,
e si guardarono per un momento.
«Non ho saputo
salvare mia madre da Saren. Non ho saputo credere nella rinascita di Shepard. Non
ho potuto seguirla nella distruzione dei Collettori. Non ho potuto salvarla
nemmeno dopo la sconfitta dei Razziatori. Non sono perfetta. Non siamo
perfette. Ed è ora che la galassia se ne renda conto.» le lacrime scendono
ancora per il suo volto, e la bambina come sentendola iniziò a urlare a
squarciagola.
«Sh,
piccola, calma...Sono qui...» e iniziò a mugugnare una canzoncina, calmandola
immediatamente.
Sentì un fazzoletto
asciugarle il volto. La dottoressa le sorrise, poggiandole una mano sulla
guancia.
«Non sarai perfetta,
Liara, ma guarda che bambina hai dato alla luce.» e uscì, lasciando la neo
madre alle prese con il pisolino della figlia.
«Sì...» mormorò,
ripensando al volto di Shepard «Almeno tu, Victoria... sei perfetta.» e le
baciò con delicatezza la fronte.
Alberi verdi e rigogliosi, su un
terreno fertile, pieno di fiori e cespugli sparsi qua a là, insieme a qualche
panchina in legno e ferro battuto, un cestino vuoto affianco. Il silenzio regnava
sovrano, i sussurri non disturbavano più la quiete che ora quell'ambiente
provocava in lei. Era in pace con se stessa ora. Aveva fatto tutto il possibile
per la galassia intera, e aveva cercato di salvare più gente possibile dai
Razziatori. Aveva salvato la donna che amava. Ora, finalmente... il comandante
Shepard... può riposare.
«IDA,
mi ricevi?» la voce del comandante Shepard passa dal ricevitore in modo rauco,
ma rimbomba per tutto l’abitacolo. Liara sorride. È ancora viva. Si sentì un
boato di felicità passare per tutto l’equipaggio. Se Shepard ce l’aveva fatta,
allora significava che la guerra stava per finire. Se Shepard ce l’aveva fatta,
significava che la speranza ancora camminava su quella terra.
«Sì,
comandante». IDA risponde, ma si sente nella voce metallica un certo tono di
sollievo. Joker si asciuga una lacrima dagli occhi.
«Ho
bisogno che ti colleghi al Catalizzatore, ora. Riesci a ricevere il contatto
dal mio factotum?». La donna, grondante sangue fa qualche gesto con il braccio.
Il factotum scintilla, e i comandi sono distorti, ma riesce comunque a
collegarsi alla Normandy. La ferita al fianco le manda delle fitte assurde, ma
resiste. Il volto tumefatto è concentrato, la missione deve essere portata a termine. Il fanciullo - o il Catalizzatore,
chissà cosa era veramente – di fianco a lei la guardava stranito, non capendo
la sua foga. Aveva rifiutato le sue opzioni. Ma cosa voleva esattamente quella
specie primordiale?
«È nelle tue mani
il potere per distruggerci tutti. Ma ti avverto, anche gli altri verranno
distrutti. Il Crucibolo non farà distinzioni, distruggerà tutti i sintetici.
Anche tu sei in parte sintetica.» la figura evanescente alla donna ricordava
qualcosa, ma cosa? Non capiva, e la mente le faceva dei brutti scherzi, forse.
Stava veramente parlando con... il Catalizzatore? La Cittadella?
«Ci deve essere un’altra
soluzione...» sente la sua voce parlare da sola, come seguendo il suo discorso
da una parte e dall’altra pensare se quella fosse la realtà o un vago sogno
prima della sua morte prematura.
«C’è. Potresti usare
l’energia del Crucibolo per controllare i Razziatori. Morirai, potrai
controllarci tutti, ma perderai tutto ciò che hai.».
“Liara...”.
In mente tutto ciò
che aveva era la donna che amava. E non poteva perderla. Doveva mantenere la
promessa che le aveva fatto. Non poteva deluderla un’altra volta.
«C’è un'altra
soluzione: Sintesi» il ragazzo parlò, e Shepard non si accorse di aver parlato
ancora, senza pensarci. Cosa aveva detto...?
«E sarebbe...?»
eccola, la sua bocca si muove, ma la mente non pensa prima di parlare. C’è
qualcosa di strano. È come vedersi al di là di uno specchio, come un burattino,
e qualcuno che muove i fili.
«Aggiunge la tua
energia al Crucibolo. Creerà un misto tra organico e sintetico, creando un
nuovo DNA.» l’ombra di un bambino – ecco, sembra un bambino, piccolo e paffuto,
con quella voce squillante – è chiara ora di fronte a lei. Ma la mente non
aiuta. Sta perdendo molto sangue.
«E cosa succederà?»
il burattino parla. Il burattinaio risponde.
«L’energia del
Crucibolo modificherà le matrici di tutti gli organici nella galassia. Gli
organici vedranno la perfezione attraverso la tecnologia, i sintetici vedranno
la perfezione attraverso la comprensione. È la soluzione ideale.».
Silenzio. Shepard
ha capito cosa deve fare.
«A te la scelta.».
«Collegamento
effettuato.».
«Bene,
ora riprogramma questa dannata cosa. Voglio che la distruzione delle fonti
intelligenti valga solo per quei dannati Razziatori.».
Il
bambino mostrò una faccia sorpresa.
No,
questo non doveva accadere.
«Non
otterrai mai niente agendo così, il Catalizzatore non si può riprogrammare! Scegli
una delle opzioni che ti ho dato!».
Gli
urlò contro, e per un secondo si sentì un tono di voce diversa da quella usata
prima. Shepard sorrise. Aveva capito cosa stavano cercando di fare. Ma lei
aveva fatto troppo, per fermarsi
adesso. Per farsi indottrinare adesso.
«Che
io sia dannata se mi farò influenzare da un Razziatore proprio ora che li sto
per distruggere.» Il suo sguardo serio, la rabbia nel tono palpabile. Il verde
nei suoi occhi riluceva di determinazione. Lì dove brillava solo la forza di
sopravvivenza tipica degli Umani, lì il Catalizzatore ci vedeva solo il caos.
«Riconfigurazione
in corso. avanzamento al 20%.» la voce di IDA passa gracchiando
dall’auricolare.
«Tu
non otterrai che la distruzione di tutto il sistema, i sintetici si prenderanno
tutto ciò che è vostro. Rimpiangerete l’ordine, scegliendo il caos. Scegli una
delle soluzioni che ho prodotto!» il bambino di fronte a lei sbraitava. I
capricci, un Razziatore che fa i capricci.
«Siete
così infantili... Siamo noi a decidere come vivere. E non delle macchine. La
libertà voi non sapete nemmeno cosa sia. E solo noi possiamo decidere come
andrà a finire.» La donna stringe la pistola in mano, la punta contro la figura
evanescente, ma sente la presa meno forte. Il suo corpo... non rispondeva ai
suoi comandi.
“Dannazione!”.
«Avanzamento
al 54%.» la voce di IDA si fa lontana, e poco chiara.
«Il
caos è male. È distruzione. Noi siamo l'ordine degli Antichi. La soluzione
all'eterno problema dell'evoluzione. La soluzione al problema che siete voi. E
questo ciclo continuerà, che tu lo voglia o meno.» l’ombra, prima bianca,
iniziò a diventare rossa. Ora la voce era chiaramente dello stesso tono dei
Razziatori, lo stesso tono della nave di Saren, la Sovereign.
«Tu
non hai ancora capito. Siete limitati perché avete paura. Paura dell’ignoto, di
ciò che va oltre le vostre fottute previsioni macchinose. Perché le variabili
vi fanno paura, meglio spegnere e ricominciare da capo.».
«Avanzamento
al 78%.» Ora la voce di IDA era più chiara, la presa sulla pistola più forte,
il grilletto ora, era lì ad aspettare solo una piccola pressione per sparare.
Il dolore, poteva sentirlo di nuovo. Stava tornando in sé. E il dolore glielo
stava ricordando.
«Noi
siamo il frutto dell'evoluzione. Siamo la risposta e la prova di ciò che comporta
il vostro "caos": la vita. Non permetterò che un altro ciclo di
civiltà venga distrutto solo perché avete paura di vedere come andrà a finire.».
Ma Shepard non ha paura, né dei Razziatori, né della morte.
“Liara...
scusami...”.
«Avanzamento
al 95%.»
«Oggi,
io metterò fine a questo ciclo di terrore. La vostra esistenza non ha più
ragione d'essere. Guarda. Vedi forse il caos nel nostro schieramento di forze
contro di voi? Siamo perfetti, tutti uniti in una macchina perfetta per la
sopravvivenza: Asari, Krogan, Turian, Salarian, Geth, Quarian, Volus, Vorcha,
Batarian, persino i Rachni. E gli Umani. Tutti, qui, uniti contro di voi. Sintetici
e Organici. Per sopravvivere. E vinceremo.» sparò, e la figura svanì in un
grido di dolore. Il rumore basso e profondo dei Razziatori – come uscisse dall’inferno
più scuro – si propagò nell’aria.
«Riprogrammazione
completata. L’opera di distruzione dei processi base sarà indirizzata solo ai
codici di identificazione dei razziatori.». La voce di IDA ora era chiara,
lampante, e un tono soddisfatto si poteva sentire dall’altra parte del
ricevitore.
«Grazie,
IDA.» la donna sorrise, e iniziò a camminare verso il reattore pronto per
essere distrutto. Puntò la pistola, dirigendosi verso il nucleo del Catalizzatore.
La ferita grondava sangue costringendola a piegarsi dal dolore ad ogni passo. Ma
era determinata. Negli occhi le immagini di una vita che le passava davanti e i
volti e i nomi di compagni persi per questa guerra.
“MordinSolus, Tane Krios, Samara... KaidanAlenko. Tutti sono morti perché io riuscissi a salvarci
tutti.”.
Prima
di sparare il primo colpo la sua mente e il suo cuore andarono a Liara. E lì
perse un battito.
«Promettimi che
tornerai.» i suoi occhi – oceano in cui perdersi e affogare, senza dolore e con
amore – rilucevano di paura, di bisogno di conforto. Era così cambiata da
quando l’aveva salvata in quella rovina... era maturata. Con una velocità tale
da spaventarla. Sarebbe riuscita a lasciarla andare? Se non fosse tornata
indietro da questa – ennesima – missione suicida, l’avrebbe lasciata andare? O
avrebbe vissuto per sempre nel lutto?
“Scusami,
tesoro... Questa volta sono stata io, a non mantenere una promessa.”.
Vivi, Liara...
e
poi...tutto divenne buio.
... anche per nostra figlia.
«Shepard.».
Silenzio.
Era silenziosa ora, la Cittadella, dopo l’esplosione bianca che aveva distrutto
i Razziatori, risparmiando i Geth. L’unico rumore che si poteva sentire era il
vento, e l’odore acre del fuoco.
«Shepard,
riesci a comprendermi?».
Il
corpo di Shepard era sospeso, nel vuoto, trattenuto solo da una mano verde. Un
Custode reggeva il suo corpo, anch’egli sospeso sul nulla. Ma la donna non
rispondeva, aveva compiuto ciò per cui era partita. I Razziatori sono stati
sterminati, ora poteva finalmente riposare. Entrare in quel bellissimo giardino
che prima era nero e minacciato dalle fiamme che le faceva perdere il sonno. Era
stanca, Shepard. Dopo quasi cinque anni di combattimenti, lei era
semplicemente...stanca.
Distrutta.
«Shepard,
non puoi mollare tutto adesso. Vivi.» un’idea, ecco cosa parlava nella sua
mente. Una voce come se le sorgesse dal di dentro, dal profondo, con un tono e
un’intelligenza tutta sua.
Il
sangue cola dal suo braccio, tranciato da una lamiera che era volata nell’esplosione
del Crucibolo, così come la sua gamba.
Spuntò
fuori un altro Custode, riuscendo a salvare entrambi.
Avvolsero
il corpo di Shepard con cura, senza parlare, toccandosi con una delle due mani
che avevano per rispettivo braccio. Sopraggiunse un terzo, che aveva recuperato
gli arti persi della donna, e sparirono nei corridoi della Cittadella, in
silenzio.
«Vivi,
Shepard. Tu ci hai salvati dal dominio dei Razziatori, e ora tocca a noi. Ti
salveremo.».
«Lei
è ancora viva, me lo sento!» Liara guarda il volto di Wrex,
che grondava di sangue. Era ferito, ma ora guardava l’Asari con occhi tristi.
«Esci fuori e cercala!» sbraitò, indicando con la mano la Cittadella, per metà
in fiamme e per metà distrutta. Mancava una punta dei petali della struttura, e
due di essi erano spezzati alla base. Praticamente da ricostruire da zero.
«È
inagibile, Liara. È pericoloso.» Garrus le afferra un
braccio, anch’egli ferito a una gamba, zoppicante.
«E
allora ci andrò da sola!» disse, guardandolo male. Era ferita in più punti, e
il suo sangue blu scorreva ancora fresco. Le lacrime agli occhi, che pulivano
il volto tumefatto. Non poteva essere vero. Glielo aveva promesso...che sarebbe
tornata.
«È
impossibile che sia sopravvissuta a una esplosione tale, Liara...» IDA parlò, e
la figura metallica venne schiantata contro il muro da un colpo biotico. Liara
brillava di energia.
«NON
È MORTA!» sbraitò, e sentì una presa forte sulle braccia, bloccandole i
movimenti.
«Calma
il tuo spirito, Liara T’Soni.» Javik la teneva
stretta a sé, la sua morsa era forte ma non faceva male.
«Lasciami,
devo andare a cercare Shepard!» urlò, divincolandosi. Gli stava facendo male ai
polsi.
Anzi,
no.
Era
il cuore.
«Shepard...»
gli occhi si riempirono di lacrime, e perse le forze. E Javik
mollò la presa. Non ce n’era più bisogno. Cadde a terra sulle ginocchia. Singhiozzò
una volta, e poi corse via dal gruppo, intrufolandosi in un angolo buio e
stretto. Così come aveva sempre fatto. Aveva sempre amato i luoghi chiusi e
solitari. E li amava ancor di più nei momenti di sconforto.
Si
intrufolò in una breccia di una torre-orologio nella base di Londra.
Nascondendosi alla luce del giorno che stava sorgendo, piangendo la morte della
donna che amava e che – disse, giurandolo alla Dea – avrebbe sempre amato. Gli occhi
andarono al sole che sorgeva.
«Shepard...»
disse, guardando la Cittadella, lontana e silente. Il sole la stava nascondendo
alla sua vista. Si strinse nelle spalle. «...me lo avevi promesso...» e urlò la
sua disperazione alla Dea.
Con la morte nel cuore giurai amore
eterno a te, che mi avevi cambiata.
A te, che ti amo ancora adesso e di più
di prima.
Non mi importa di morire, di vivere
poco, di non vivere affatto.
Io vivo solo perché c’è ancora una
traccia di te che cammina sulla Terra.
Nostra figlia...mi chiede sempre di te.
E io non posso che risponderle che di
tutto ciò che eri: comandante, amica, condottiera, eroina e soldato...prima di
tutto e prima di tutti, tu, per me, eri la mia anima gemella.
Per correttezza verso la
lingua madre di Mass Effect – l’inglese – ho deciso
di tradurre indipendentemente dalla traduzione ufficiale italiana i dialoghi
del gioco, così da non cadere in problemi di Copyright.
In aggiunta, ove lo ritengo
necessario – come in questo capitolo – alcune frasi rimarranno in inglese.
Si può interpretare ciò in
svariate maniere: lì dove viene detto da una specie aliena diversa da quella
Umana può essere una espressione nella lingua madre che ovviamente non conosco
(a differenza di Bosh’tet, che sappiamo tutti benissimo cosa significa), lì dove
invece viene detto da un essere umano, può essere una delle tante lingue
parlate sul nostro pianeta – non obbligatoriamente l’inglese e/o l’italiano.
Comunque questo non preclude la comprensione di ciò che è stato detto da una
parte o dall’altra. È solo un mio modo di mantenere il pathos di una frase che
magari non regge o è difficile da tradurre in italiano corrente.
Mi spiace non poter
essere più aderente alla trama e qualora troviate delle incongruenze vi prego
di segnalarmele in modo così da correggermi. Faccio sempre delle revisioni ma
può darsi che qualcosa sfugga al mio controllo.
Vi ringrazio e
scusatemi ancora,
Vi lascio al
capitolo,
Eriok
Capitolo 4.
«So che forse mi sto
preoccupando troppo, ma è importante, Javik.» il Prothean ascolta con un
orecchio, ma con gli altri tre ignora completamente il Krogan che gli parla. Ha
un occhio fasciato, e sta in piedi grazie ad una stampella. Anche Javik aveva
riportato delle ferite, gloriose cicatrici che avevano dato una voce al suo
popolo pensato distrutto. La voce dei Prothean aveva rischiarato i lunghi minuti
durante la battaglia finale contro i Razziatori e gli aveva tenuto testa
egregiamente. Ma durante l’ultimo assalto...
«Tieni, prendila.» la voce di Shepard alle sue spalle, il braccio e il
peso di Liara T’Soni che passano sulle sue. Gronda di sangue, ed è ferita,
zoppica. Eppure fu come se non sentisse niente, quando protestò. Toccandole il
braccio capì tutto.
«Shepard!» la sua voce la chiamava, e solo per nome diceva tutto: una
supplica, una possibilità di stare ancora insieme prima che lei vada verso
l’ignoto, di restare. Di non andare.
Di allevare il figlio che teneva in grembo insieme.
“Liara T’Soni...cosa hai fatto?”.
«Devi andare via da qui.» le dice, con un leggero tono dispiaciuto,
mentre si allontana dalla nave indietreggiando. Aveva capito tutto, Shepard, e
sorrideva con tono triste. Non poteva. Non adesso.
«Sto bene!» mente, e lo sa benissimo. La guarda con occhi inferociti,
il suo essere per un quarto Krogan esce fuori. Sembra quasi indispettita. Se
non vuole rimanere con lei, allora sarebbe morta insieme a lei.
Ma Shepard questo lo sapeva benissimo.
«Non discutere con me, Liara.» il suo tono era duro. Quasi peggio di
quello di Liara. Sapeva tenerle testa, l’Umana. Ma sentì nella voce una nota
triste. Come se potesse leggerle dentro capì. Lei sapeva. Lei lo stava facendo
per quel piccolo essere non ancora pronto per la vita. Per quel bambino ancora
senza nome.
«Non mi lascerai indietro...» la supplica, di nuovo. Si legge una
lacrima tra le note.
«Non importa cosa accadrà...» anche nella rossa c’era tristezza. Come
di un destino infausto per loro. Per lei. Sì, perché lei la voleva viva.
Lontana dalla morte che le circondava. Lontana dai Razziatori. Javik lo sapeva,
quando l’aveva toccata le aveva letto dentro. E sapeva tutto di lei. E
dell’Asari.
«...tu significhi tutto per me, Liara. E lo sarai sempre.» le accarezza
una guancia, e Liara poté sentire ancora il suo calore per un secondo, la sua
dolcezza. Il suo profumo che si elevava al di sopra del sangue e del sudore. E
del suo respiro, caldo, affannato. Della sua voce, così melodiosa. E poi, tutto
finì. Lei si è allontanata. È troppo lontana. È troppo poco.
«Shepard, Io...».
“No, è ancora troppo poco il tempo passato insieme. Non andare! No!”
sono come una voce lontana i pensieri di Liara nella testa del Prothean, ma lui
non si muove. Sa che una volta chiuso quel portellone, lei crollerà. E lui sarà
la sua colonna.
Liara inizia a piangere. E poi tende la mano, in un impeto di bisogno.
Di amore. Le lacrime sul volto, prima che la nave parta senza il suo cuore.
Lasciandola lì da sola, senza di lei.
«I amyours.».
“E lo sarò sempre.”.
«Va bene, lo farò. Ma non
perché me lo hai chiesto tu, Krogan.» gracchiò, con tono stizzito. Wrex sorrise, e tornò alla sua stanza zoppicando. Dal
vetro della porta osserva Liara coccolare la bambina dai capelli rossi,
sorridendo. Respirò, come raccogliendo le energie, ed entrò.
«Javik!» la sua voce squillò,
ma lui rimase impassibile. Poteva sentire la felicità nella sua voce. Dopotutto
l’udito acuto dei Prothean era assai sviluppato.
La bambina, come se avesse
sentito una presenza estranea nella stanza iniziò ad urlare, come una
disperata.
“...forse troppo sviluppato
per questo ciclo.” Rifletté il guerriero, resistendo strenuamente alla tortura
uditiva della bambina che aveva preso a piangere così dal nulla.
«Shh,
calma, Victoria... calma...» e la bambina prese a non piangere più. Il volto
della mamma e la sua voce la calmarono subito.
«Come stai?» domandò Javik, in
piedi alla fine del letto, le mani giunte dietro la schiena in posizione
militare. Le abitudini sono dure a morire.
«Sto bene, ora non mi sento
più così debole...» rispose la donna, giocando con le manine paffute della
bambina. Il suo blu contrastava in maniera evidente con la pelle rosea di
Victoria, battezzata così in nome della vittoria verso i Razziatori.
E
verso la morte.
Tu
sei la nostra vittoria, Victoria.
Mia,
e di Shepard.
La bambina, presa come da un attacco di sonnolenza, si
addormentò con la mano stretta intorno al dito della madre.
«Vieni a vederla, Javik... è bellissima...».
Ma lui non si mosse, anzi guardava quasi con astio l’Asari,
e lei alzò gli occhi come sentendo quelle quattro accuse su di lei.
Quattro come i suoi occhi.
«Cosa c’è?» domandò, abbassando la voce, appoggiando meglio
la bimba sulla culla di fianco a lei, liberandosi le mani. Victoria non sentì
nemmeno il cambio di posto per il pisolino, e continuò a dormire beata nella
culla.
«Sai che cosa hai fatto, Liara T’Soni?» domandò, ma il tono
che aveva usato era accusatorio. E lei lo aveva sentito benissimo, nonostante
stesse parlando a bassa voce per non disturbare l’infante.
«Cosa vuoi dire?» incrociò le mani sul grembo.
«Conosco bene la tua cultura e la tua specie, Liara T’Soni.
E so benissimo che avere un parto prematuro non è nella natura delle Asari. Il
vostro ciclo riproduttivo è molto rigoroso sotto questo punto di vista.».
«Ah, è vero. Siete stati voi ad “innalzarci” al di sopra
delle altre specie, vero?» il ciglio si alzò, lo sguardo ferino. Pungente.
Javik lo ignorò.
«Questo comporta uno sgravio assurdo per la tua salute e per
quella della bambina.» e per un secondo la paura passò negli occhi di Liara.
«Lo so... purtroppo.» l’Asari sapeva benissimo che
partorendo prematura lei non avrebbe vissuto millenni, come di norma succede
alle Asari. Il ciclo di vita longevo della sua specie, in età così giovane, si
spezza. La sua vita si dimezza, perché il corpo dedica tante – troppe – energie
al bambino che deve crescere, senza dosarlo con cura, come invece farebbe una
Matrona. Facendo così crea degli squilibri tali da dimezzare i suoi anni di
vita. Ma a lei, in quel momento, non importava di vivere trecento anni in un
più o in meno, casomai si preoccupava della bambina appena nata.
Di norma un essere umano sopravvive fino a 150 anni, ma per
Victoria questo forse non valeva. Era per metà Asari, una delle specie più
longeve della galassia. E forse unica nella sua specie. E questo cambiava
tutto.
Non sapeva per quanto avrebbe vissuto sua figlia, Liara. Ma
in quel momento desiderò con tutta se stessa di non vedere la sua morte.
«Bene. Allora non ho altro da aggiungere.» proferì Javik,
dirigendosi verso la porta.
«Questo non preclude niente, Prothean. Tu scriverai quel
libro con me, ricordatelo.» lui si fermò, dandole le spalle. Aprì la porta.
«Lo so benissimo, Liara T’Soni.» e uscì.
La donna sorrise. Sapeva benissimo che quello che lui aveva
fatto non era un rimprovero ma un ammonimento. Si beò di quel piccolo calore
che si creò nel cuore.
La porta si aprì di nuovo per un secondo all’improvviso, e
la voce del Prothean arrivò fino alle orecchie dell’Asari.
«E comunque... la bambina è bellissima.» e la porta si
richiuse.
Liara rise, e per un attimo si sentì l’anima in pace, dopo
mesi di tormento.
«So di chiederti un grosso favore, ma ne ho bisogno.
Estremamente bisogno.» la consigliera Asari, stringendosi le spalle, parlava al
ricevitore sulla scrivania, camminando avanti e indietro.
«Sai benissimo che chiedendomi questo non potrò proteggerti
da lei, Krisna.» una voce femminile rispose
dall’altra parte, e la donna respirò profondamente. Le mani tremavano, come se
avesse terrore a chiederle quel favore. Ma nessuno era meglio di lei nel
proteggere qualcuno. E lo sapeva benissimo. Altrimenti non sarebbe ancora viva,
e nel ruolo di Consigliere Asari nel Consiglio della Cittadella.
«Sì, lo so. Ma non posso fare altrimenti. Ormai ho più di
mille anni, devo badare a me stessa.» ammise, cercando di scacciare via quel
brivido freddo che le scorse nelle vene.
«Ma...».
«È un ordine, comandante.» la voce divenne dura, l’Asari
guardò con occhi furenti il ricevitore, come volesse fulminare la donna
dall’altra parte.
«Agli ordini, Consigliere.» ottenne questa risposta fredda
dall’altra parte, e stava per chiudere la comunicazione quando l’altra
interruppe la sua mano continuando a parlare «Ma stai attenta. Non voglio
perderti. Non posso. Tu... sei importante per me, Krisna.»
la voce calda e intima passò attraverso il comunicatore, colpendo l’Asari. E poi
un bip notificò la chiusura della comunicazione.
L’Asari si strinse in un pianto silenzioso all’interno
dell’ufficio buio. Ora, era definitivamente sola.
50.000 anni fa, pianeta natale
dei Prothean
«Trisha, corri!» dall’edificio
azzurro e arancione in fiamme, pieno di piante esotiche, saltò un’Asari, di un
colore blu intenso, atterrando con dolcezza grazie ai poteri biotici. Era
bella, indossava una tiara che ricopriva con un velo le creste tipiche delle
Asari, e un vestito lungo e sinuoso, che scorreva delicato sulla pelle. iniziò
a correre verso un Prothean, che l’aveva chiamata. Aveva una sottospecie di
occhiali che stringevano sugli occhi, e un vestito bianco elegante sporco di
nero fumo.
«Dov’è T’Sonia?» gli domandò, afferrandole un braccio, in
ansia. Il rumore dei Razziatori imperversava sul pianeta, e le grida di dolore
dei Prothean in fuga si poteva udire ovunque. I loro occhi si incrociarono con
ansia e paura, e la presa di lui venne ricambiata da quella di lei. Da soli,
nello spiazzo alla base del palazzo in fiamme, si poteva sentire il loro
respiro farsi pesante.
«Non lo so, l’ho persa di vista!» il dialogo venne
interrotto da un Razziatore atterrato lì vicino, e una valanga di mostri con
occhi illuminati di rosso iniziarono ad avanzare per le strade, precipitando
sotto forma di meteoriti. Il Prothean strinse a sé l’Asari, e mandò un’onda
biotica che spinse qualche mostro lontano, ma ne uscivano sempre di più. La
donna capì, guardandosi intorno, che non avevano vie di fuga. Che la Dea avesse
deciso di riunire tutti sotto le sue ali protettrici?
I mostri avanzavano e il Prothean, visibilmente spossato,
non riusciva più a respingerli. Stavano per attaccare i due che, pronti alla
morte, si strinsero in un abbraccio.
Ma una potente onda biotica stese e allontanò i mostri in un
sol colpo.
« T’Sonia!» urlò l’Asari blu intenso, guardandola felice
uscire dalle macerie dell’edificio intatta. I poteri biotici scorrevano potenti
sulla sua pelle, gli occhi neri. «Figlia mia, stai bene?» domandò il Prothean,
preoccupato, correndole incontro.
La famiglia si strinse in un abbraccio forte, e si girarono
verso l’enorme colosso che incombeva su di loro.
«Ci penso io, a questo.» questa era di un blu intenso con
colorazioni violacee, e gli occhi gialli, come quelli del padre. Era vestita da
guerriera, una corazza blanda che ricopriva i punti più deboli della donna, in
mano un’asta con una pietra azzurra.
«No, T’Sonia, scappiamo!» urlò la madre, stringendole il
braccio per trattenerla a sé, ma la ragazza rispose con una spinta.
«Voi andate! Io appartengo qui.» i suoi occhi brillavano, e
divennero neri. I poteri biotici uscirono come un fiume in piena che si
concentrarono in una bolla enorme sopra la pietra azzurra incastonata nel
bastone. Con un urlo scagliò la palla di potere sul Razziatore che spargeva
morte con il raggio rosso sul dorso. La bolla avvolse completamente il
Razziatore e, con uno sforzo immane da parte della ragazza, lo restrinse fino a
farlo svanire nel nulla.
«Ah!» la ragazza crollò sulle ginocchia, dal naso colava
sangue, e venne soccorsa dalla madre.
«Per la Dea, T’Sonia, dove hai preso tutto questo potere?!»
domandò la donna, conoscendo i limiti fisici della ragazza. Il Prothean l’aiutò
a sollevarsi.
«T’Sonia, non è prudente usare così il potere della pietra.»
mormorò, guardando la ragazza accasciarsi sulla sua spalla, stravolta.
«Lo so, padre...» mormorò, tossendo visibilmente «Ma era
l’unico modo per salvarvi entrambi.» sorrise, guardando l’uomo che l’aveva
cresciuta.
L’Impero fu clemente con lui, quando scoprirono che le Asari
che lui “custodiva” non erano allo stato primitivo ma bensì acculturate.
Elevare alla pari dei Prothean i primitivi non era cosa accettata, ma lui
giustificò tutto questo come uno studio, per analizzare quanto potessero
avvicinarsi alla verità, e i risultati furono sorprendenti: parlavano e
apprendevano a una velocità incredibile, avevano la pazienza di ascoltare e la
saggezza di comprendere.
E poi, accadde l’imprevisto. Lui, Jeror,
si innamorò di sua madre, Trisha. Fu un amore
combattuto, proibito. Eppure lui era perso di lei, e lei persa per lui. Dalla
loro unione nacque T’Sonia, che nella lingua Prothean significa “colei che
unisce”.
L’Impero accettò questo piccolo imprevisto in cambio dei
dati raccolti dallo scienziato, e usarono quei dati per elevare in maniera
latente e sottintesa la specie Asari, così come avevano fatto con altre specie.
Ma ora, di fronte al pericolo più grande della galassia, i
Razziatori, L’Impero non poteva nulla. La Cittadella fu la prima a cadere. E
ora il pianeta natale dei Prothean era sotto attacco. Anzi, no.
Jeror sapeva benissimo cos’era, e non
era un attacco. Era uno sterminio.
«Vi devo portare su Thessia, là
starete al sicuro!» proruppe l’uomo, guardando le due Asari di fronte a lui.
«E tu verrai con noi!» rispose Trisha,
stringendoli la mano. Lui sorrise, ma si vedeva che era un sorriso rammaricato.
«No, se scoprissero anche solo un Prothean sul vostro
pianeta sterminerebbero anche voi. Ma non lo faranno, perché vi considerano
innocue. Siete ancora troppo primitive, per loro. Noi, siamo la vera minaccia.»
Lui conosceva la vera storia dei Razziatori. Lui sapeva. È per questo che si
era buttato sull’elevare la razza Asari, sperava che facendo così loro
potessero, nel ciclo futuro, salvarsi, e porre fine a quel circolo pieno di
morte e distruzione.
«Andiamo, prima che ne arrivino altri.» disse la ragazza, ma
sapeva benissimo che quello era un addio.
La navicella era ancora integra, e gli scudi ancora attivi.
«Forza salite!» urlò l’uomo, aiutando la ragazza ferita. Lei
gli allungò il bastone, ma lui rifiutò di prenderlo in mano «Tienilo tu,
tramandalo alle tue figlie. Che possano combattere con forza e orgoglio, come
hai fatto tu oggi.» disse, sorridendogli. Gli passò una mano sul capo. «Sono
fiera di te, T’Sonia.».
«Amore mio...» l’Asari dal profondo colore blu diede un
ultimo abbraccio al suo amato, che rispose con la stessa forza. «...Che la Dea
ti protegga...» mormorò, baciandolo sulle labbra.
«Trisha, io...» la sua voce era
spezzata, ma a lei non importava. Voleva che gli sorridesse, con quel sorriso
dolce che l’aveva fatta innamorare di lui.
«Tu significhi tutto per me, Jeror.»
la donna lo baciò di nuovo, le lacrime solcavano il suo viso.
«Anche tu, Trisha. Ed è per questo
che voglio che tu parta. Ti voglio salva. Va’, e sii la nostra speranza per il
nuovo ciclo che verrà.» lui sorrise, e le baciò la fronte, aiutandola a salire.
La figlia accese i motori, facendo innalzare lentamente la navicella. Le loro
mani strette lentamente scivolarono l’una dall’altra.
«Jeror!» urlò l’Asari, in lacrime.
Lui sorrideva. Voleva lasciargli questo, come ultimo
ricordo. Non lacrime. Solo... il suo sorriso. Perché lui aveva ancora addosso
l’odore di lei. E questo bastava. Per lui, questo bastava. «I amyours!».
E pianse, sentendo quelle parole. Ma ormai era lontana, era
salva. Poteva piangere ora, Jeror. Ora, poteva
morire.
«Non penso che sia consono, Kheliall.»
il Custode che operava sulla mente di Shepard si girò, interrompendo la
trasmissione di ricordi. La mano del suo simile che lo aveva interrotto
poggiava sulla sua.
Stavano...parlando. attraverso il potere della mente.
«Esplicita il motivo, Portergh.».
«Potrebbe non capire. Perché mostrargli questo?».
«Capirà. Anzi, ha già capito.».
«Capito cosa, Kheliall?».
«Che ha vinto. E che non può mollare tutto adesso. Almeno
lei... almeno lei deve capire. Che a tutto c’è un Destino. C’è ancora una cosa
che la Via le ha dettato di fare.».
«...».
«La stanno aspettando, Portergh.
Dobbiamo sbrigarci a ricomporla e a rimetterla in piedi.».
«I materiali sono in fase di sviluppo, e la squadra di recupero
sta ripulendo l’ospedale alla ricerca di medicinali consoni. I dati a
disposizione sono pochi.».
«Cercherò di tenere la sua mente impegnata, allontanando il
dolore. Ma non servirà a molto. Non voglio che muoia. Dobbiamo salvarla. Siamo
in debito.».
«Lo so, Kheliall. Siamo tutti in
debito con lei.».
«Vialketh.».
«Aralaye.».
E le loro mani si staccarono.
Vedo memorie scorrere nella mia mente.
Sono... morta? No. Non posso morire.
Il dolore... ogni tanto lo sento. Poi
sparisce.
Il giardino...è così vuoto. Mi sento
sola.
Sono stanca. Voglio riposare... Ho così
tanto sonno.
Ma non si dorme bene da soli.
Liara... me lo ha detto Liara.
Amore mio...dove sei?
Cosa sono queste immagini che mi
scorrono nella mente? Chi mi parla? Perché quella ragazza ti assomigliava...?