Non è vero che gli opposti si attraggono

di violadelpensiero
(/viewuser.php?uid=283405)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rifugio ***
Capitolo 2: *** Sguardi ***
Capitolo 3: *** Ricerche ***
Capitolo 4: *** Rabbia ***
Capitolo 5: *** Verità ***
Capitolo 6: *** Conoscenza ***
Capitolo 7: *** Biscotti ***
Capitolo 8: *** Stregato ***
Capitolo 9: *** Domande ***
Capitolo 10: *** Ferite ***
Capitolo 11: *** Dialogo ***
Capitolo 12: *** Ricordo ***
Capitolo 13: *** Incomprensioni ***
Capitolo 14: *** Consapevolezza ***
Capitolo 15: *** Tradimento ***
Capitolo 16: *** Stasi ***
Capitolo 17: *** Rivelazioni ***
Capitolo 18: *** Attenzioni ***
Capitolo 19: *** Piani ***
Capitolo 20: *** Ritorno ***
Capitolo 21: *** Certezza ***
Capitolo 22: *** Insieme ***
Capitolo 23: *** Progetto ***
Capitolo 24: *** Arrivo ***
Capitolo 25: *** Scoperte ***
Capitolo 26: *** Diniego ***
Capitolo 27: *** Commozione ***
Capitolo 28: *** Amore ***
Capitolo 29: *** Sette ***
Capitolo 30: *** Lontananza ***



Capitolo 1
*** Rifugio ***


Ginevra era nascosta su un albero vicino Lago Nero, immersa tra le fronde dei colori caldi della tavolozza di un pittore. Era una vecchia quercia imponente, non tanto alta ma molto ramificata, il che la rendeva un ottimo rifugio per chi come lei  avesse saputo arrampicarsi bene. Si tendeva sulla superficie del Lago, come piegata dal vento e la brezza fresca, ma che ancora conservava il calore delle giornate di fine estate, le scuoteva i capelli lunghi e fiammeggianti. La ragazza sovrappensiero coglieva meccanicamente delle piccole ghiande dalle sommità dei rami, ne staccava la cupola e buttava giù  le due parti, osservandole scomparire con un “plin” nelle profondità dell’acqua. Non era mai stata una persona di indole molto paziente ma quei momenti rubati al Lago erano la sua infusione di calma. Pensava; gli unici suoni che sentiva era quelli della natura intorno a lei. Qualche volta osservava le Sirene risalire dagli abissi e guardarla, i Thestral abbeverarsi sull’altra sponda, i Centauri correre nel profondo della foresta, macchie di luce e ombre appena distinguibili. Era settembre inoltrato. La scuole era appena iniziata da un mese circa e a Ginny non era successo niente di eclatante. Non le piaceva avere una routine; si stancava dei ragazzi che volevano conoscerla meglio e iniziare una relazione, si annoiava a studiare sempre le stesse cose. Per questo il suo tempo libero era riempito da appuntamenti di un’ora, frettolose consultazioni dei libri della Biblioteca, esercitazioni di Quidditch… Era però di carattere molto volubile; alternava periodi di silenzio assoluto e chiuso con sprazzi d entusiasmo quasi eccessivi. Quando Ginny si rendeva conto di non riuscire a fingere di stare bene saliva su quell’albero e si calmava. Il motivo non c’era.
La ragazza sospirò, scese con un movimento fluido dall’albero e si diresse verso il castello. Non si accorse che uno sguardo magnetico e adamantino non la perdeva di vista.
                                                                              …
Draco Malfoy era seduto ai piedi di un grande masso sul lago nero. Aveva visto qualcosa di piccolo scendere agilmente dalla quercia a strapiombo sul Lago.
-Ma che diavolo! Quel gattaccio della Mezzosangue è sempre fra i piedi!- aveva mormorato infastidito e insofferente. Per lui era il sesto anno e si annoiava terribilmente. I festini e le serate alla Slytherin lo occupavano, ma non era veramente interessato. Si agitava come una tigre in gabbia, sofferente e incompleto; tutta questa irrequietezza si sfogava sulle vittime dei suoi commenti malevoli e ironici, sulle ragazze che si credevano innamorate di lui e che venivano cacciate come mosche dopo essere state usate come stracci vecchi, sui suoi unici amici, Theodore Nott e Blaise Zabini, che sapevano come oltrepassare quella corazza di durezza che si era costruito per non soffrire più. I loro rispettivi padri li avevano costretti a prendere il Marchio Nero al quinto anno e adesso quel tatuaggio maledetto era una croce che li univa, avvicinandoli per sorreggersi a vicenda. Spesso la notte si svegliavano in preda a forti dolori che attraversavano il braccio sinistro con fitte lancinanti e si sedevano stremati sulle poltrone della camera che condividevano per sopportare il bruciore, distraendosi fino a quando non scemava. Poi uno dei tre si alzava, dolorante, prendeva una bottiglia di Whisky Incendiario e ne passava un bicchiere agli altri due. Inebriati dal calore dell’alcool riuscivano a distrarsi e ad addormentarsi. Questa era la sua vita: fonte di sofferenza e di dolore. Ma Draco Malfoy odiava sembrare debole. Detestava che gli altri potessero provare pietà di lui e per questo costruiva un muro di odio, vizi e cattiveria intorno a sé. Perché nessuno potesse più farlo soffrire.
Vide che la piccola figura scesa dall’albero non aveva né orecchie a punta né coda e si rese conto che non era Grattastinchi ma bensì la piccola di casa Weasley, amata, coccolata e protetta da tutti. Il ragazzo sentì una fitta di gelosia attraversarlo: quella mocciosa aveva tutto e sembrava corrucciata come se un problema l’affliggesse.
-Ma che cosa ci faceva sull’albero la Weasley?- Decise che voleva scoprire come mai quella ragazzina viziata da tutti non era felice della sua vita. Almeno avrebbe fatto qualcosa. Lanciò con un sospiro di frustrazione un sasso tondo e levigato nel Lago, che rimbalzò ben dodici volte prima di immergersi.
-Sono proprio un campione!- si disse soddisfatto: l’autocompiacimento sicuramente non gli mancava. Tanto era sicuro sui suoi sentimenti, tanto era consapevole di essere bello. Sapeva perfettamente che le ragazze erano ai suoi piedi per il profilo aristocratico, il volto spigoloso ma proporzionato, i capelli biondi e scomposti, gli occhi tra il color tempesta e l’azzurro polvere. Si alzò mollemente ma con grazia, da perfetto insegnamento Purosangue e camminò sull’acciottolato che portava a Hogwarts.
                                                                                     …
Ginny arrivò in Sala Grande per cenare. I ragazzi in un continuo via vai si alzavano e si sedevano sulle lunghe panche delle tavolate imbandite. Mille candele fluttuavano a mezz’aria, rischiarando la sala con una luce soffusa e morbida. Accanto al suo posto c’era Neville e più in là suo fratello Ron che sbranava una coscia di pollo, e i due suoi inseparabili amici: Hermione e Harry. Non sopportava quel troll protettivo di suo fratello, mentre prediligeva i gemelli, amici di scherzi inseparabili e fidi sostenitori nella sua lotta contro l’iperprotettività della madre e del fratello minore. Erano appunto seduti davanti a lei ma confabulavano vicini, presi sicuramente da un progetto per qualche Caramella Dimenticante o Cappello Restringente. Iniziò così una conversazione con Lee Jordan, amico di Fred e George, mentre si serviva della zuppa di patate e carote
-Ciao splendore!- esordì Il ragazzo con un gran sorriso, scostandosi un poco per farle spazio.
-Ciao Lee! Come è andata la vostra giornata? A me non lo chiedere nemmeno perché giuro che mi usciranno parole veramente offensive se inizio a parlare dell’ora di Storia della Magia del professor Ruf!- rispose.
-Mah se per te è interessante sentire le interpretazioni dei sogni della Cooman…-
-Mmmh, ha predetto la morte di qualcuno ultimamente?- chiese giusto per informarsi, chiaramente ironica.
-Sicuramente del criceto della Brown!- s’intromise George, prendendo un pezzo di pane dal cestino.
-Terribile, terribile, povero animaletto… E morirà male sai? Annegato sicuramente!- continuò Fred fintamente sconvolto.
-O magari mangiato da Mrs. Purr- suggerì Lee, ridendo di nascosto.
-Schiantato dalla finestra di Astronomia- propose Ginny che iniziava a divertirsi.
-Sicuvamente, povevo bestiolino!- concluse troppo ossequioso per essere serio George.
La conversazione continuò tra risate, scherzi e conversazioni allegre, tanto che Ginny aveva quasi le lacrime agli occhi. Si sentiva bene: non doveva più essere rinchiusa tra il Trio, serio e controllato. Hermione la riprendeva di continuo (Gin, studia di più! Ricordati dei G.U.F.O.!!!), Ron era iperprotettivo e Harry non la considerava nemmeno.
Quando fu sazia si appoggiò allo schienale della panca, la testa reclinata sulla spalla di Lee, la cascata di boccoli morbidi intorno al viso. Lasciò vagare lo sguardo per la sala, osservando gli alunni della più rinomata scuola di Magia. Amava osservare le persone, studiarle, cercando di capirle. Forse per questo era sempre stata considerata poco: riteneva il silenzio molto importante e alternava momenti di isolamento a scoppi di entusiasmo improvvisi. Era fatta così.
                                                                                 
Ciao a tutti! Qui è Violadelpensiero che parla, pardon, scrive. Questa è la mia prima Drinny long che scrivo sola e mi piacerebbe sentire i vosti pareri. Grazie alla mia beta Niniel_Chan e alla mia parabatai rebus_mistery <3

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Sguardi ***


Ginevra si svegliò con un diavolo per capello. Odiava il mattino, la preparazione, il doversi vestire, i cinguettii eccitati delle sue compagne di stanza. Tutto  odiava del rito sacro che era il “farsi belle” per la scuola. La ragazza seppellì infastidita la testa sotto al cuscino, mentre Arnold, la sua puffola pigmea, le saltellava attorno come impazzito. Si faceva prendere dall’entusiasmo quando c’erano altre persone allegre nella stanza. Lo abbattè impietosamente con una cuscinata infastidita.

-Ma come si fa a dormire in questo dormitorio con due oche che starnazzano in questo modo la mattina?!- urlò arrabbiata.

Le sue compagne di stanza, Demelza Robins e Diane McMike ormai non ci facevano più caso: Ginevra era più volubile di una tempesta. Solo quando furono le otto meno un quarto buttarono giù dal letto l’amica e la spinsero sotto la doccia vestita così com’ era. Infuriata, ma decisamente sveglia, Ginny si vestì e, spinta dalle amiche, passò addirittura un filo di matita marrone sugli occhi e un velo di gloss trasparente. La sua parte di camera era un disastro: il disordine regnava tra i vestiti ammonticchiati sulle sedie e alla base del letto, i libri sparpagliati per terra e vari fogli volanti attaccati alle tende.

-Oggi metto a posto…- borbottò poco convinta guardando di sottecchi gli sguardi rassegnati delle amiche. Nel corridoio l’ordine era l’ultimo dei suoi pensieri. Prese a braccetto le amiche e andò a fare colazione. Sbocconcellò un toast con marmellata di arance e lasciò vagare lo sguardo per la Sala. Vide i Tassi scherzare bonariamente fra loro e passarsi le brocche con il succo con vistosi “Ma come sei gentile! Grazie di cuore!” e “Ma prego, amico mio!”, i Ravenclaw ripassare la lezione del giorno con i libri fra le tazze, i Griffyndor scherzare e ridere e le Serpi stare in silenzio per lo più o leggere le missive portate da Gufi Reali o candide civette. Solo uno non stava facendo niente di tutto ciò. Anzi, Draco Malfoy la stava fissando. La testa alta, le spalle dritte. Ginny non si rendeva conto del perché essere guardata da Malfoy la sconvolgesse così tanto. Abbassò di scatto la testa, nascondendo il viso tra i vaporosi capelli. Quando rialzò la testa, il ragazzo incatenò di nuovo i suoi occhi adamantini con quelli verdi della ragazza. Ginny arrossì ma mantenne lo sguardo.

-Che cosa vuole da me Malfoy?- pensò non irritata né spaventata, ma, si rese conto, curiosa. Iniziò un gioco di sguardi che durò a lungo. Ginny alzò un sopracciglio come a dire: “Che cosa vuoi da me?”. Il ragazzo rispose con un gesto identico e un’alzata di spalle che la rossa tradusse come: “Mah, vediamo dove ci porta il destino”. Stavano flirtando!

                                                                                 

Draco l’aveva vista entrare con le sue amiche. Si era seduta senza grazia, si era praticamente buttata sulla sedia e aveva iniziato a smangiucchiare un toast guardandosi intorno. Nessuno si era preoccupato di una ragazzina che sembrava registrare e osservare ogni comportamento delle persone che aveva intorno. Draco si sporse un po’ più avanti e la fissò, aspettando che si accorgesse di lui.

Ci mise un po’ e quando lei se ne accorse per la prima volta, inizialmente abbassò lo sguardo. Poi lo rialzò, stupita che proprio lui, il grande Draco Malfoy, il bellissimo Draco, stesse fissando proprio lei. Per questo era arrossita, no? Per l’emozione. Il giochino durò qualche minuto e proprio quando lui stava per distogliere lo sguardo, Ginny inarcò un sopracciglio in modo molto sensuale.

-Ok, forse la sua idea non era proprio quella di rendersi sexy ma forse l’innocenza ha reso il tutto molto più eccitante- pensò il ragazzo.

Rispose con un altro sopracciglio alzato che voleva essere segno di “Mi intrighi, continuiamo a flirtare”.

Quindi voltò la testa, girandosi verso Theodore e Blaise che lo guardavano curiosi.

-E questo che cos’era, l’ultimo metodo di conquista Made in Malfoy?- esordì Theo sollevando un angolo della bocca.

-Può darsi… E’ bella, eh, la Weasley?- rispose sovrappensiero. Era davvero intrigato. La voleva.

-Se ti piacciono le rosse, sì, è scopabile, ma mi sembra una santarellina!- esclamò Blaise mentre la giudicava esteticamente –Però è messa bene: guarda che gambe!-

Draco era infastidito quindi disse secco: -Cambia ragazza, Zabini, lei sarà mia.-

-Tranquillo, le inesperte non fanno per me…- rispose scostando subito lo sguardo. Vigeva la regola tra loro che il primo che sceglieva una ragazza aveva il diritto di provarci fino a quando non vi avesse rinunciato. In questo caso Malfoy aveva la precedenza.

-Ma a un’inesperta puoi insegnare tutto- s’intromise Theo con un sorrisetto.

-Appunto- concluse Malfoy compiaciuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ricerche ***


                                                                              

Le piaceva il brivido degli sguardi rubati. Forse ogni tanto dicono qualcosa in più delle parole.

Ginny era diventata attraente e la sua particolare estetica da valchiria l’aveva ben presto fatta spiccare tra le Griffyndor. La solarità e la simpatia erano fiammanti come i suoi capelli, quindi molti pretendenti erano caduti ai suoi piedi. Dopo nemmeno un pomeriggio in compagnia del fortunato però, la ragazza in questione si annoiava e il giorno dopo era già scomparsa. Non era snobismo, altezzosità; semplicemente non riusciva a trovare qualcuno con cui sentirsi bene del tutto.

Il pensiero che si era sempre fatta sul suo amore immaginario era l’incarnazione della comprensione e dell’intimità. Cercava un ragazzo con il quale sentirsi a casa, ma che riuscisse a provocarle le farfalle nello stomaco ogni volta che lo vedesse; una persona che avesse potuto sopportare il suo umore così lunatico e che non riempisse sempre i suoi silenzi con inutili chiacchiere di circostanza. Aveva provato a stare con Michael Corner, Dean Thomas, Ernie McMillan, ma non c’era niente da fare: era più fuggevole di una libellula.

-Dove lo trovo un ragazzo così?!- pensò affranta.

Aveva più volte intavolato il discorso con le sua amiche, Demelza e Diane, che avevano cercato di farla ragionare.

-Vedi Gin, forse sei tu che cerchi troppo in una relazioni tra sedicenni. Divertiti, bacialo, fai la coppia! C’è tanto tempo per trovare l’amore della tua vita!-

Ginny Weasley si era stancata di aspettare: aveva iniziato a cercarlo, attirandosi l’invidia e la gelosia delle ragazze pettegole di tutta Hogwarts. Le malelingue circolavano su di lei, anche se i suoi amici e la sua famiglia (a parte Ron) sapevano perfettamente il suo punto di vista anche se non lo condividevano appieno. Non sapevano però che Ginny aveva un’etica personale molto pronunciata che la portava si a frequentare ragazzi diversi ma non permetterle contatto fisico più pronunciato di un bacio.

Adesso la ragazza era appena uscita dallo spogliatoio del campo d Quidditch e aveva ciocche di capelli incollate alla fronte perché si era appena fatta la doccia.

Demelza la rincorse sul prato: -Ginny, perdindirindina! Asciugati quei capelli o ti prenderai un raffreddore!-

-Non ho tempo Za, devo andare a fare il tema Erbologia. Non penso che verrò a cena, non ho fame.-

Diane sbucò sopra la spalla di Demelza e disse corrucciata: -Guarda che il tema di Erbologia era per martedì scorso…-

-Beccata- pensò Ginny. Finse un’aria chiaramente stupita; troppo innocente per essere vera: -Ah si? Ma guarda un po’, non l’avrei mai detto…- temporeggiò cercando di farsi venire in mente altre idee.

-Ah si?- continuò stando al gioco Demelza

-Si- rispose Ginny di getto. Calò il silenzio.

-Guardate c’è Blaise Zabini nudo sulla torre di Astronomia!- urlò all’improvviso indicando dietro le spalle delle amiche che la fissavano in attesa di risposta. Le amiche si girarono per vedere ma quando scoprirono che era una bugia Ginny era già sparita, lasciando solo una traccia di sé: la sua scia di profumo alla violetta.

-Ci ha fregate ancora, vero?- chiese Diane

-Già, ma devo ammettere che l’idea di Zabini nudo è stata geniale- rispose Demelza

-Già- concluse con un sorriso complice Diane.

                                                                              

Draco aveva visto la piccola figura della rossa arrampicarsi agilmente sulla quercia del Lago, sistemarsi in un’intercapedine tra i rami e appoggiare la testa al tronco. Sorrise con un ghigno malvagio: aveva intenzione di divertirsi con la piccola Weasley. In realtà non voleva ammettere a sé stesso che in qualche modo lo intrigava ma quelli erano i fatti.

-Voglio prenderla di sorpresa: tornerò domani- si disse soddisfatto.

Erano le sei e mezza quando Malfoy camminava con Blaise e Theo verso la Sala Grande. Ogni volta che il corridoio si riempiva troppo di studenti che seguivano la loro direzione, loro tre non cedevano mai il passo, obbligando gli altri ad aprirsi in due per farli passare. Esprimevano arroganza ad ogni passo e altezzosità da ogni sguardo. I ragazzi più piccoli li temevano, quelli più grandi li disprezzavano. Questo non dava loro fastidio: era abitudine radicata e giusta; quella doveva essere la reazione al loro passaggio. Draco Malfoy vedeva gli sguardi languidi che tutte le ragazze scoccavano nella loro direzione e ne era compiaciuto. Non guardando nemmeno dove camminava, diede una forte spallata a un ragazzo alto con  colori della Casa Hufflepuff.

-Spostati, deficiente- ringhiò infastidito, ritraendosi.

Lo studente terrorizzato cerco velocemente di raccogliere i libri e di indietreggiare ma senza immediato successo.

Il trio stava già per ricominciare a camminare quando una voce femminile li fermò con tono di sfida nella voce:

-Che modi, Furetto! Non te l’hanno insegnata l’educazione nella tua casa marcia Purosangue?-

Girandosi lentamente sorrise sadico nel riconoscere Ginevra Weasley.

-Ma guarda, la pezzente! Non ti sei stufata di vestire sempre abiti di seconda mano presi dai tuoi fratelli?- interloquì lui.

-E tu non ti stanchi mai di essere un coglione così insopportabile?- rispose con un sorrisetto candido, per niente colpita dal commento precedente, anzi, infiammata.

-Non si risponde a una domanda con una domanda, Weasley.-

Draco osservò la ragazza guardarsi intorno e constatare che erano rimasti pressochè soli nel corridoio deserto e ghignò compiaciuto.

-Mi chiedo come mai non sei nella mia casa, stracciona, vista la lingua biforcuta che ti ritrovi e la tua passione per il cambiamento, per così dire- continuò passandosi una mano fra i capelli e sovrastandola.

Ginny alzò gli occhi verso il suo viso illuminato dal sole calante e notò la differenza di altezza notevole: gli arrivava al mento.

Ma questa volta il commento andò a segno e allontanandosi lei sibilò furiosa: -Non paragonarmi alle sgualdrine della tua casa o giuro che non ritroverai più i tanto osannati gioielli di famiglia!-

-Ha carattere da vendere e gli occhi verdi- constatò Draco, sorridendo internamente, ma mantenendo un’aria distaccata.

All’improvviso si avvicinò velocemente e racchiuse i piccoli polsi bianchi nella sue mani curate, sentendo il sangue della ragazza scorrere nelle vene impetuosamente. Infine sillabò, a un centimetro dal suo viso:

-Non ci provare pezzente, non provare nemmeno a minacciarmi: per me sei una nullità-

Probabilmente le stava facendo male, ma Ginny non batté ciglio.

Malfoy mollò la presa e lei cadde a terra. Il ragazzo iniziò a camminare senza nemmeno guardare indietro una volta, anche se avrebbe visto due occhi smeraldini che lampeggiavano arrabbiati urlando vendetta.

-Ci vediamo, Ginevra- disse infine. E continuò a camminare.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Rabbia ***


Inizialmente la ragazza non si mosse. L’aveva chiamata Ginevra? Aveva sentito bene?

-Brutto vampiro cerebroleso malvagio, furetto mefistofelico viziato platinato…-

Ginny si rialzò dal pavimento maledicendo Malfoy a bassa voce. Le era passata la fame e non aveva voglia di vederlo trionfante solo perché lei non aveva avuto tempo per elaborare una risposta decente.

Già.

Era andata proprio così.

-Oh andiamo Ginevra! Ti ha spiazzata, tutto qui: non ti va di accettare che è stato tremendamente umiliante. Va bene il flirtare ma gli insulti no!- realizzò ad alta voce scocciata.

Restava comunque il fatto che la cosa non le era andata giù, per cui cercò di distrarsi in qualche modo.

Salì nel suo dormitorio e provò a fare i compiti: scrisse e cancellò, accartocciò e ricominciò, ma il tema sul Bezoar per Piton era così orribile che rinunciò.

-Che Piton possa metterselo dove so io, il Bezoar…- borbottò arrabbiata.

Quindi giocò con Arnold, s’ingozzò di cioccolato fondente, lesse qualche pagina di un libro, si scaldò i piedi davanti al fuoco e provò a crearsi una sciarpa ad uncinetto per passare il tempo, fino a quando con un –Accio scopa- secco, saltò dal davanzale e così com’era volò via.

Il Quidditch era sempre stato una sua valvola di sfogo. Tra i suoi ricordi più dolci uno le scaldava il cuore: suo fratello George che le insegnava a volare sulla scopa e l’altro gemello che fluttuava accanto a lei con un cuscino extra large perché Ginny aveva paura di cadere. Sorrise istintivamente e le si strinse il cuore dalla nostalgia.

Erano ormai le otto e il crepuscolo era calato sul Castello di Hogwarts; il vento maestrale s’infilava tra le pieghe del mantello e della camicetta leggermente sbottonata, provocandole brividi gelati per la pelle ormai insensibile. La voglia di addormentarsi spossata e svegliarsi ricordando poco e niente la attirava, quindi, nonostante la morsa ghiacciata del freddo, continuò a volare fino a quando non sentì le mani e le gambe intirizzite. Stava per scendere; poi vide una figura farle segno di raggiungerla davanti al portone d’ingresso.

-Oh no! Adesso mi becco una di quelle punizioni che finiscono a Pasqua!- esclamò arrabbiata.

Mentre scendeva assunse la sua espressione più angelica e sbigottita da “Non ho idea di come ci sono arrivata, io, su una scopa”. Immaginò Piton esclamare con soddisfazione: -Venti punti in meno a Griffyndor, per l’avventatezza della Signorina Weasley-

Invece l’accolse Lee Jordan, che unendo le mani a megafono, urlò preoccupato, sopra il lamento del vento:

-Bellezza accidenti!! Scendi subito: ti prenderai un coccolone!-

La rossa sorrise per l’esclamazione colorita e, rendendosi conto che contrarre una broncopolmonite non le avrebbe giovato, scese di quota e atterrò. Subito le venne incontro Lee, che vedendo le labbra blu dell’amica e la pelle diafana, si tolse il mantello caldo per il contatto con il suo corpo e la avvolse come una bambina. Ginny ridacchiò, tirando fuori la testa dall’involto di stoffa, mentre il ragazzo le strofinava le braccia con le mani per riattivarle la circolazione.

-Lee, sto bene- mormorò lei dolcemente, con i dreadlock del ragazzo che le solleticavano le guance.

Lo sguardo turchese si rasserenò, ma all’improvviso Ginny ebbe un giramento di testa e si appoggiò contro il corpo solido di Lee. Preoccupato e dimentico di tutto il resto, lui la prese fra le braccia, facendole poggiare la testa sull’incavo della sua spalla. Mentre perdeva i sensi, Ginny percepì il movimento ritmico dei passi di Lee e il suo profumo speziato di patchouli.

-Addormentarsi così è fantastico…- pensò.

                                                                             

Draco aveva sempre sofferto d’insonnia e la notte, prima da addormentarsi, si girava e rigirava nelle lenzuola, pensando agli avvenimenti della giornata. Quella sera fredda di ottobre era seduto nell’incavo della finestra della stanza che condivideva con Theo e Blaise e ascoltava i respiri regolari degli amici. Verso le otto avevano sentito tutti e tre bruciare violentemente il Marchio e avevano dovuto attingere a tutta la loro  sopportazione per non urlare di dolore in Sala Grande. Si erano alzati e avevano raggiunto la loro stanza, insonorizzandola per sfogare con la voce le fitte che trapassavano la pelle e arrivavano al cervello. Erano spaventati perché sapevano che gli altri Mangiamorte avevano raggiunto il signore Oscuro e che, finita la scuola, avrebbero dovuto obbedire anche loro al terribile richiamo. Non lo avrebbero mai ammesso.

Si era girato verso la luna piena, così grande da dare l’impressione che bastasse una mano per raccoglierla come un fiore in un giardino. -Non ne sei degno…- si disse il ragazzo –E’ troppo pura per la tua anima buia e corrotta: non hai nemmeno la forza di dire a tuo padre che non vuoi prendere parte ai piani omicidi del suo padrone e che l’hai odiato quando ti ha costretto a prendere il Marchio- concluse con disprezzo, disgustato.

Trasalì quando appoggiò il braccio sinistro al cornicione della finestra e arrotolò la manica per vedere le condizioni della pelle: dopo la chiamata, l’epidermide intorno al tatuaggio s’infiammava sempre violentemente.

-Mi serve dell’assenzio- pensò e laconico prese la porta, inoltrandosi nei corridoi bui della scuola. Conosceva alla perfezione i vicoli e le scale grazie alla sua sorprendente memoria, gli permetteva di conquistare voti eccezionali con uno studio quasi inesistente. Di giorno Malfoy avrebbe probabilmente camminato con alterigia, la testa sollevata ben in vista: odiava passare inosservato; ma di notte era più silenzioso di un gatto e non voleva provocare rumore, come se temesse che tutte le sua difese svanissero e lo lasciassero inerme e scoperto. Non si sentiva impaurito, affatto: la prima regola della Famiglia Malfoy è che la paura non deve esistere in un uomo. Piuttosto provava un senso di vulnerabilità.

Raggiunse l’Infermeria ed entrò nella lunga stanza bianca, con i letti appoggiati alle pareti e gli armadi con le pozioni in fondo. Trafficò tra le boccette varie  ed estrasse l’unguento di assenzio, spalmandoselo sull’incavo del braccio. Notò poi che tutte le tende che separavano i letti per favorire un po’ di privacy erano spalancate, tranne una. Incuriosito, si avvicinò e piano scostò un lembo della tenda. Irradiata dalla luce lunare, Ginevra  Weasley dormiva profondamente circondata da strati e strati di coperte come se avesse rischiato l’ipotermia. Solo che probabilmente aveva sentito caldo e nel sonno si era scoperta, lasciando libere le gambe e il busto. Sembrava febbricitante e non aveva una bella cera, ma i capelli splendevano nella notte come fiammelle accese.

Draco la osservò troppo tempo per essere socialmente accettabile, sfruttando la totale solitudine del castello addormentato. Poteva finalmente esplorare il viso pallido e le palpebre frementi, la bocca carnosa e rossa, la curva del collo, le scapole, la forma a clessidra della vita sottile, le gambe lunghe. Non era al massimo del suo splendore: per quanto belli i capelli erano aggrovigliati e aveva la piega del cuscino stampata su un lato del viso, ma a Draco sembrava bellissima. Decise che avrebbe abbassato le difese solo per quella notte e che poi non l’avrebbe più cercata, voluta, desiderata. Sarebbe stato, dalla mattina dopo, ancora più odioso e insopportabile perché lei, come la luna cangiante, non poteva essere contaminata.

Draco, sempre continuando a fissarla, si sedette sul bordo del letto e le passò le mani fra i capelli: aveva sempre voluto sentirne la morbidezza, anche se non l’avrebbe mai ammesso.

-Senti un po’, Weasley, russi anche!- si permise di sussurrare, conscio del sonno della ragazza.

Ginny si girò nel sonno, improvvisamente delirante, ansiosa, sussurrando parole incomprensibili e discorsi senza senso.

-Shhh shhh Weasley che c’è? Che succede?- mormorò pianissimo il ragazzo chinandosi verso di lei.

 Draco s’immobilizzò con ancora le mani nei suoi capelli quando le sembrò che la ragazza avesse leggermente socchiuso gli occhi. Il respiro tornò regolare e lui lasciò il fiato. Spostò lo sguardo sulla luna per trarne l’ora e calcolò che erano circa le tre di notte.

Sobbalzò quando la manina piccola e fredda di Ginny involontariamente nel sonno si allacciò alla sua, ma non allentò la presa.

Continuò a guardarla per tutta la notte, le loro mani intrecciate in un unico abbraccio. La mattina, verso le sette, sentendo Madama Chips trafficare nella sua camera adiacente all’infermeria, a malincuore sciolse l’intreccio di dita e ritornò al suo dormitorio, la testa china, l’espressione corrucciata e un nuovo sconvolgimento  interiore.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Verità ***


                                                                             

 Ginny aprì gli occhi ansimando e lasciando in modo brusco il mondo di Morfeo per una realtà occupata dal viso tondo e roseo di Madama Chips.

-Buongiorno, ragazza mia. Dormito bene? Sono contenta! Hai fame? Adesso ti porto la colazione, intanto bevi questo- chiocciò mettendole direttamente in bocca una pozione violetta, senza nemmeno darle il tempo di rispondere ad una sola delle sue domande. Non aveva dormito bene: aveva avuto un sonno agitato e nervoso, ma non mangiava dal pranzo del giorno prima e il suo stomaco brontolava rumorosamente.

Mentre stava pacificamente facendo colazione, o meglio, mentre si stava ingozzando di uova strapazzate e toast alla marmellata come una vera Weasley, irruppero dalla porta Demelza e Diane, con  un’espressione indecifrabile ma sicuramente poco pacifica. –Oh oh- pensò-Sono nei guai-

Le osservò avanzare fino a quando Demelza esordì :-Non voglio dire “te l’avevo detto” ma…-

-Te l’aveva detto!!- continuò l’amica con gli occhi blu, irritata –Sei insopportabile, Ginevra-

Se l’angelica Diane era arrabbiata, allora le cose erano messe male. Diane abbracciava gli alberi, salvava le farfalle che si intrappolavano nelle ragnatele, lasciando dei pezzetti di pane per nutrire i ragni senza più preda, non riusciva a dormire se non aveva passato il filo interdentale!

-Ci hai fatto preoccupare tantissimo- proseguì Demelza imperterrita, cercando di non guardare la rossa, che rimpiccioliva sotto le coperte, abbattuta e triste.

-Sei un’incosciente!-

-Un’irresponsabile!-

-Non ti parleremo più!- conclusero insieme.

Passò un momento di silenzio carico di tensione che venne rotto da una Diane in lacrime mentre esclamava, coinvolgendole in uno stritolamento generale:

-Oh, venite qui: abbraccio di gruppo!- si abbracciarono con entusiasmo, seppellendo il viso l’una nei capelli dell’altra, fino a quando la vocina di Diane pigolò:

-Ragazze, siete fantastiche e vi voglio un mondo di bene, ma… COUGHT COUGHT!-

- Mi state pressando- concluse debolmente.

Le altre due si staccarono immediatamente con dei-Giusto-, -Ok, certo-, -Si hai ragione- imbarazzati e un sorriso a trentadue denti.

-Sarà meglio che andiate in classe, cercherò di farmi dimettere da quel marshmellow vivente oggi pomeriggio- disse poi dolcemente Ginevra, alludendo alla stucchevolezza Madama Chips.

La ragazza trascorse la mattinata cercando di evadere dalla prigione di noia attorno a lei. Ogni tanto le si ripresentavano davanti agli occhi flashback del sogno che non l’aveva fatta dormire bene quella notte. Era poco chiaro: una serie di immagini confuse e grigie, rosse, nere. Rabbrividì istantaneamente ma si costrinse a scavare nel suo inconscio per catturare particolari. Ricordò improvvisamente, dopo il panico del sogno, una mano gentile fra i capelli e un profumo buonissimo, certamente maschile.

-Che carino, Lee mi ha vegliato questa notte? Glielo chiederò- pensò.

Fremente come Leotordo chiuso in gabbia, nel pomeriggio finalmente Ginny fu dimessa dall’Infermeria. Le lezioni erano già finite e lei si avviava verso il dormitorio Griffyndor. Era ormai passato metà ottobre e il sole tramontava molto velocemente. Quasi di corsa raggiunse la sua Sala Comune, mormorando la parola d’ordine alla Signora Grassa. Subito riconobbe l’odore di legno antico, miele e polvere e l’ambiente caldo rosso-oro così familiari. La Sala era quasi vuota; forse tutti gli studenti erano a studiare in Biblioteca. Senza pensarci troppo, Ginny si sfilò gli stivaletti e il mantello, avvicinandosi davanti al camino per scaldarsi i piedi gelati. Probabilmente fu la spossatezza della notte agitata a farla addormentare con il capo reclinato su una spalla e i capelli sparsi sulla camicetta come un’aureola infuocata.

Si svegliò quando sentì qualcuno prenderla in braccio e portarla verso il Dormitorio Femminile.

-Ma che diavolo…?!- mormorò con la bocca impastata.

-Ti sto accompagnando alle scale, principessa. Ti eri addormentata su quelle poltrone scomode… Ma non farci l’abitudine eh? Negli ultimi giorni ti ho portato troppo spesso!- interloquì sorridendo Lee Jordan.

Ginny aprì meglio gli occhi e intrecciò le mani dietro al collo del ragazzo rispondendo con un sorrisetto impertinente: -Non è colpa mia se ti piace tanto prendermi in braccio. Basta chiedere, Lee.-

Il ragazzo rise e i suoi occhi turchesi brillarono nella penombra come gemme di acquamarina:

-Siamo arrivati a destinazione, Gin-

Non “Splendore”, “Dolcezza”; ma il suo nome. Detto da lui suonava più intimo di quanto la rossa immaginasse. Tuttavia, nonostante il commento precedente, il ragazzo non la lasciava, anzi il suo sguardo era molto intenso e la scrutava a fondo negli occhi verdi.

Per interrompere l’imbarazzo dovuto al sentirsi fissata con così tanta attenzione, Ginny si divincolò un poco e sciolse l’abbraccio, scivolando verso il basso.

-Ma perché devo sempre peggiorare le cose?!- si disse riprovevole, notando che era finita a guardarlo dal basso, appoggiata sul petto ampio del ragazzo.

Cercando di indietreggiare con delicatezza mormorò: -Grazie Lee per avermi accompagnata in Infermeria e per avermi vegliato questa notte. Ti voglio bene.-

Si sporse di un poco e gli posò un breve bacio sulla guancia. Poi corse su per le scale del dormitorio, troppo in fretta per notare l’espressione sì sognante, ma anche confusa del ragazzo.

                                                                              

Mentre i giorni scorrevano veloci l’uno dopo l’altro, Draco  Malfoy si annoiava ed alternava momenti di apatia con scatti di rabbia e insofferenza. Theo e Blaise, al limite della sopportazione, lo vedevano stare rintanato in camera a consumare il tappeto. Erano preoccupati: le chiamate del Marchio si stavano intensificando e questa cosa sembrava aggravare l’umore nero di Draco. Avevano provato, entrambi e più volte, a farlo parlare, sfogare, ma conoscevano la riottosità del ragazzo per qualsiasi rapporto emotivo.

Draco aveva ricevuto ogni giorno una lettera di suo padre, che osannava il nuovo padrone ed esprimeva la sua soddisfazione per il fatto che il figlio avrebbe presto fatto parte delle schiere dei Mangiamorte attivi.

Quel giorno, il sedici dicembre, i due amici avevano deciso di metterlo alle strette. Entrarono risoluti ma innocenti nella camera comune, dando un’occhiata di sfuggita a Draco, appoggiato contro la finestra, lo sguardo verso il lago. –Adesso sicuramente vogliono la verità- pensò il ragazzo -Ma qual è poi la verità? Il fatto è che io sono un codardo in tutto: non ho la forza di ribellarmi a mio padre e di dirgli che non voglio servire il suo Signore Oscuro, di espormi davanti alla Weasley per paura che mi faccia male, di parlare con i mei amici di tutto ciò…-

Prendendo un respiro profondo Theo si rivolse a Blaise sussurrandogli: -Faccio io, che è meglio-, poi cominciò esitante:

-Ciao Dra, come va oggi?- Il biondo cercò di non sorridere: Theo era sempre così cauto; tranquillo e sicuro anche se avesse avuto uno Schiopodo Sparacoda nell’armadio.

Blaise lo guardò come per dire “Ma che fantasia, Mr Faccio-tutto-io” e sbuffò.

Si stravaccò sulla poltrona e si allungò per prendere un Whisky Incendiario continuando ruvidamente:

-Draco è una settimana che stai da far schifo-  Draco riconobbe la schiettezza tipica dell’amico dagli occhi di zaffiro: diretto ma sincero.

“Veramente aulico” sembrava dire l’espressione irritata di Thed.

Blaise rimase imperturbabile e concluse:

-Non ci vuoi dire che cosa ti è successo per ridurti così ma siamo i tuoi unici amici ed è un miracolo che tu ancora non abbia scavato una trincea su quel tappeto a forza di calpestarlo. Quindi sputa il rospo perché la mia pazienza è finita-

Draco sedette sull’altra poltrone mentre Theo prendeva posto con la schiena appoggiata alla colonna di fianco al camino. Entrambi gli stavano prestando tutta la loro attenzione.

-Non avrò ancora conosciuto l’amore, ma non mi sono mai accorto che l’amicizia non mi è mai mancata- realizzò improvvisamente.

Prese un respiro e disse tutto d’un fiato: -Non voglio combattere la guerra che verrà e servire Voldemort-

Era riuscito ad ammettere  ai suoi amici ciò che lo crucciava di più, ma questo non l’aveva risollevato; ora, imbarazzato per la confessione, posò gli occhi sul tappeto mentre calava il silenzio.

Improvvisamente si alzò e prese il mantello e, senza che Theo e Blaise avessero nemmeno il tempo di formulare una risposta, disse: -Sono le quattro: devo andare-.

E si allontanò.

 

Ciao a tutti! Devo ammettere che per scrivere questo capitolo mi sono spremuta come un limone ma anche adesso la versione finale non mi entusiasma. Sarebbe bello sentire il vostro parere su qualche cosa che vi ha colpito o che invece non piace. Mi sarebbe di grande aiuto J

Grazie a tutti, anche ai lettori silenziosi. Un abbraccio,

Violadelpensiero

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Conoscenza ***


                                                                              

Okay, Ginny sapeva di aver rischiato l’ipotermia, contraendo comunque un raffreddore con i fiocchi, ma la tentazione di salire sulla sua quercia sul lago era veramente considerevole. La sua giornata non era stata delle migliori: il compito sul famoso Bezoar le aveva procurato una T difficilmente recuperabile, Arnold non riusciva a stare fermo un attimo e la scenata di Ron in Sala Grande per la sua gonna troppo corta le aveva fatto davvero prudere le mani. E adesso era lì, segregata nella sua stanza, a guardare i fiocchi di neve volteggiare come pulviscoli angelici.

-Eh no, io rintanata qui ad ammuffire non ci sto! Etciù!- Arnold cinguettò una breve melodia che lei interpretò con “Salute!”. –Grazie, Arnold. E ora fammi un favore: prendimi la sciarpa blu sulla scrivania, intanto io mi imbacucco- La puffola fremendo fece su e giù per dimostrare il suo zelo, quindi saltellò sulla scrivania e si arrotolò nella sciarpa. Nel frattempo Ginny si era infilata due maglioni alla Weasley, un cappello e un giaccone di Percy. Mentre rimboccava le maniche, rivolta verso la finestra esclamò: -Arn? Arnold?- non ricevendo risposta si girò e vide la puffola ingarbugliata nella matassa della sciarpa. –Oh tranquillo, apprezzo lo sforzo- gli disse srotolandolo dolcemente e premiandolo con un cioccolatino.

-Adesso vado Arnold. Ascoltami bene: se Diane o Demi ti chiedono dove sono andata dì che dovevo portare dei libri a Neville, intesi?- L’animaletto annuì ossequioso mugolando. –Perfetto!-

                                                                             

Ginny si avvicinò al grosso albero velocemente; ormai sapeva come arrampicarsi in modo sicuro: posare il piede sulla radice in rilievo, issarsi con l’altro sulla prima ramificazione e così via. Giunse alla sua biforcazione preferita, respirando leggermente affannata per la salita. Piccole nuvolette di condensa si dissolvevano tra i rami. Per fortuna la neve era diminuita e il freddo era sopportabile. Era magnifico lo spettacolo dei grandi spazi di Hogwarts innevati, le finestre delle torri accese, la sagoma del castello contro il cielo cangiante. La rossa si sistemò meglio, appoggiando la schiena al tronco rugoso, mentre piccole ciocche di capelli vermigli sfuggivano dal cappello e contornavano le orecchie. L’atmosfera era così eterea che Ginny per poco non cadde dall’albero quando sentì una voce beffarda provenire dal cielo:

-Weasley, ma non eri in Infermeria ieri? Ah, non dirmi che quello è il giaccone di uno dei tuoi fratelli…-

La ragazza, tenendosi bene al ramo per non scivolare, sollevò la testa, vedendo Draco Malfoy sistemato con grazia in una biforcazione superiore. Alzò gli occhi al cielo, cercando di non mostrarsi sorpresa, anzi superiore e stizzita.

-Come caspiterina ha fatto a scoprire il mio posto segreto?!- si disse infastidita, quindi esclamò: -Malfoy, io sto dove mi pare e quando voglio. Vattene-

Il ragazzo ghignando scese agilmente tra i rami fino a porsi davanti a lei. Le soffiò nell’orecchio in un modo molto provocante: -Ma guarda, la tigre tira fuori gli artigli…- 

Lei gli rispose con la stessa moneta, avvicinando le labbra così vicino al suo collo da sentire il battito dell’arteria e pronunciando suadente: -Ricordati che li usa anche!-

Mentre incatenava gli occhi verdi con quelli adamantini del ragazzo, osservandolo sorridere sornione, repentinamente lo spinse indietro, facendolo sbilanciare. Solo i buoni riflessi da Cercatore permisero a Draco di non cadere nella acque ghiacciate del Lago. Ginny ridacchiò divertita, tornando a sistemarsi al tronco. Il ragazzo non ne fu felice, anzi sembrava arrabbiato. Comunque si sedette sul ramo a cavalcioni, rimanendo in silenzio, inizialmente teso, poi, con il passare del tempo, come se lei non fosse lì con lui. Ginny si prese tutto il tempo per fissarlo, affamata di informazioni come ogni volta che si fermava a osservare una persona che la intrigava. E Malfoy era intrigante, molto intrigante…

Il ragazzo guardava il Lago, i fiocchi che si scioglievano  toccando la superficie semi-ghiacciata. Notò gli occhi così particolari; cangianti, un vortice di azzurro polvere, argento e verde giada che formava inevitabilmente un colore grigio come un cielo in tempesta. I capelli biondi non erano più fissati dal gel come quando era piccolo: cadevano scomposti sulla fronte ed erano color biondo miele, appena imbiancati dai fiocchi nivei. Era alto, molto più di lei, magro e asciutto; il fisico era da giocatore di Quidditch. Innegabilmente bello.

Sotto la neve sembrava quasi innocente e sperduto, ma lei non si faceva ingannare così facilmente.  Era una vera Serpe e questo la rendeva diffidente. Stette all’erta, aspettando un tiro mancino dovuto allo scherzetto di prima. Non arrivò.

Stettero solo fermi, in silenzio, a guardare la neve imbiancare il paesaggio.

                                                                             

Draco non avrebbe mai pensato che una ragazza apparentemente inerme come Ginevra Weasley avesse potuto pensare di farlo cadere nel Lago. Questo lo stupì: -Che comportamento da Serpeverde! Prima mi irretisce e poi attacca: meschino!-

Poiché era anche lui stesso una Serpe non potè fare a meno di aggiungere beffardo ma sincero con se stesso: -D’altra parte lo avrei fatto anche io… Adesso mi diverto un po’: chissà che non possa procurarmi un passatempo piacevole!- Tutti i suoi progetti andarono in fumo quando vide la ragazza appoggiata al tronco con lo sguardo vigile ma perso sull’orizzonte. Non aveva idea, la Weasley, della voglia che aveva Draco di sapere quali fossero i suoi pensieri. Anche il ragazzo si sistemò meglio e osservò il paesaggio. Era pacificante. Ogni tanto vedeva con la coda dell’occhio Ginevra che lo fissava intensamente, corrucciata. Non volgeva lo sguardo verso di lei per imbarazzarla perché, una volta nella sua vita, questo non gli interessava. Ginevra lo intrigava e sperò che potesse superare la sua barriera di cattiveria e vedere il vero Draco. Voleva dimostrarle che c’era molto di più sotto. Il problema era che non aveva idea di come fare. Urgeva un consiglio, ma più tardi. Era troppo bello stare semplicemente lì accanto a lei, nonostante il suo sex appeal fosse quello della Professoressa Cooman: era intabarrata in maglioni sformati e non aveva nemmeno un filo di trucco. Questo rendeva il suo viso così immacolato e puro da sembrare più piccola e indifesa, sebbene Draco sapesse che era il contrario di ciò che la ragazza avrebbe voluto. Moriva dalla voglia di immergerle le mani nei capelli come aveva fatto in Infermeria, ma era troppo presto per un’azione così intima. Quando infine si fece buio, Draco mormorò alla ragazza, impacciato ma apparendo impassibile:

 -Andiamo?-

Ginny quasi non ci credette; lo guardò sospettosa e infine gli sorrise leggermente. Quando però il ragazzo, dopo essere sceso con esperienza, le porse la mano lei rifiutò sdegnosa: -Guarda che so scendere da un albero!- Era questo che lo faceva impazzire: pur così apparentemente fragile all’esterno aveva un carattere molto carismatico e affatto accondiscendente.

Rispose divertito: -Lo so ma conoscendo la tua grazia e la tua leggiadria…- Non fece in tempo a finire la frase che la rossa inciampò sulla corteccia scivolosa, battendo il sedere per terra. Non si fece male, però comunque diede una bella botta con il gomito.

Sempre per terra, osservando Draco da sott’insù disse un po’ risentita: -Ma nei film non è il ragazzo che prende la fanciulla al volo?-

Ridacchiando il biondo rispose: -Guardi troppe soap opere, Weasley. Scommetto che sei una fan di “Amore da Strega”!-

-In realtà preferisco “Un camper magico per due”…- rispose divertita, cercando di rialzarsi. Forse perché si appoggiò sul gomito sensibile, Ginny ricadde all’indietro, sbattendo un’altra volta sul fondoschiena. –Ahia- esclamò.

Draco senza dire niente le porse una mano e la intrecciò alla sua, tirandola in alto e facendola alzare in piedi. –Uhm, dolce peso eh, Weasley?-

-Si, sai sono incinta, mangio tutto quello che mi capita sottomano e per questo mi sono aumentati un po’ i fianchi, ma domani inizio yoga pre-parto, tranquillo!-

Il ragazzo stette al gioco a suo agio e iniziò a camminare con lei verso il castello: -Ma non mi dire! E si può sapere chi è il padre?- chiese malizioso.

Immediatamente la Weasley arrossì fino alla punta del naso e il ragazzo pensò: -Beccata! Tutto fumo e niente arrosto, Ginevra. Chissà se le voci che girano per la scuola su questa tua passione per il cambiamento, per così dire, sono vere…- Comunque non fece domande.

Quando arrivarono al castello la situazione si fece molto imbarazzante. Ginevra saltellava da un piede all’altro mordendosi le labbra, indecisa su come salutarlo. Si vedeva che era combattuta. Draco d’altra parte anche se non era evidente provava la stessa cosa. Infine si decise e affondò il viso nei suoi capelli vermigli, mormorandole all’orecchio: -Verrò anche domani-  e inspirando il suo profumo di violetta.

La ragazza strinse le mani sul colletto della sua camicia e appoggiò le labbra sul suo collo. Draco stava per lasciarsi andare del tutto e baciarla, ma riuscì a trattenersi, posando solo un breve bacio sulla fronte. Non era un gesto da Malfoy-di-tutti-i-giorni, troppo delicato e dolce. Forse fu per questo che la rossa spalancò gli occhi verdissimi, stupita però non completamente: l’intera giornata era stata uno strappo alla regola. Infine, facendosi violenza, Draco si staccò e proseguì senza voltarsi indietro.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Biscotti ***


Ginny aveva praticamente dimenticato come si respirava. La sorpresa di un gesto così intimo come un bacio sulla fronte la fece sciogliere; tutto il suo corpo adesso era come un dolce appena sfornato mentre le orecchie scottavano e il cuore batteva incessante contro le costole. La ragazza si appoggiò, visibilmente scossa, contro una colonna dell’ingresso. Era frastornata e confusa, però un sorriso prepotente brillava sul suo volto arrossato. Iniziò a correre  verso il suo dormitorio, travolgendo alunni e cercando di non attraversare fantasmi. Era quasi ora di cena: doveva trovare Demelza e Diane prima che il corridoio si riempisse definitivamente di studenti. Stava per saltare in modo molto atletico Mrs. Purr quando una voce strascicata la freddò sul posto: -Signorina Weasley, mi può dire per quale motivo sta correndo in questo modo per la scuola?-

Ginny aprì la bocca per scusarsi, ma non fece nemmeno in tempo a iniziare il discorso che il Professor Piton continuò: -So che la compostezza non è una caratteristica di voi Weasley, però mi aspettavo un minimo di contegno…-

La rossa cercò di spiegarsi: -In realtà, profess…-

-Non accampi scuse, Signorina Weasley, con me non attaccano!-

-Ma io stavo giusto per…-

-Venti punti in meno a Grifondoro e una settimana di punizione, nel mio ufficio, alle tre per aver quasi decapitato Mrs. Purr- concluse con la voce che trasudava soddisfazione il professore. Con un diavolo per capello Ginevra raggiunse il dormitorio, mormorando a bassa voce insulti pesanti: -Brutto troll degenerato affetto da shampoofobia, maledetta serpe strisciante con evidente problema di alitosi…- Fermandosi improvvisamente decise che non aveva per niente voglia di parlare con Diane e Demelza: avrebbe dovuto raccontare, da buona amica, tutti i particolari del suo “incontro”, ma la cosa la infastidiva. Volle tenere quel pomeriggio per sé, nel suo intimo. Il nascosto era molto più interessante del pubblico: era come sgattaiolare dalla finestra quando i tuoi genitori avevano espressamente proibito di uscire, come mangiare mezza torta al cioccolato e dire che era stato il cane di casa, quell’ingordo. Ginevra sentì il sangue ribollirle nelle vene dall’eccitazione e il profumo di  Draco ancora addosso. La situazione era paradossale. Tutto ciò che era successo quel pomeriggio non poteva essere materialmente vero. Non si era accorta che, dalla concentrazione, era rimasta ferma in mezzo al corridoio e adesso gli studenti le passavano accanto guardandola perplessi. –Già le sette?!- pensò Ginny –E adesso dove vado?- 

La sua impertinente vocina interiore le ricordò che i compiti non si facevano da soli perciò con un impercettibile sospiro esasperato, la ragazza si diresse in biblioteca. Era, come immaginava, deserta, tranne che per Neville Paciock. Ginny sgattaiolò sotto lo sguardo inacidito di Madama Pince e si sedette nel tavolo in fondo con Neville, salutandolo: -Ciao! Allora Neville, come te la passi?-

Il ragazzo rispose con un sorriso incerto e allegro:- B-b-bb-bene Ginny! G-g-grazie!-

-Ottimo! Non è che avresti una pergamena in più?- chiese accavallando le gambe sotto il tavolo e sorridendogli sotto le ciglia ramate.

-S-si eccola!-

La ragazza si sporse per afferrare una piuma dall’astuccio di Neville e iniziò a scrivere sulla pergamena il trattato di Astronomia sulle costellazioni. Si era accorta che il ragazzo la osservava di sottecchi, ma lei era sempre stata cordiale e amichevole così lui si era sciolto un po’. Adesso entrambi avevano finito i compiti e stavano chiacchierando tranquillamente.

-Quindi Neville vuoi diventare Professore di Erbologia?- chiese lei.

-Mmmmh s-si, mi piacerebbe. Anche se non penso di avere la stoffa di professore…-

-Andrai sicuramente alla gran…- venne interrotta da un sonoro brontolio del suo stomaco. –Ooops, scusami, non ho cenato, mi sa che vado a magiare qualcosa-

La rossa si alzò frettolosamente e scoccandogli un bacio veloce sulla guancia, gli infilò la piuma presa in prestito nel colletto. Quindi si allungò, afferrò i libri sparsi sul tavolo e uscì dalla biblioteca mentre Madama Pince esclamava: “Via giovanotto, devo chiudere”. Ginny percorse il corridoio fino alla rampa di scale, prendendola appena al volo prima che cambiasse piano. Osservò i familiari arazzi alle pareti, le finestre ampie, i quadri con i personaggi che si spostavano, alcuni ciarlieri, altri assopiti con le teste posate su una spalla e le mani incrociate. La ragazza sentì di nuovo lo stomaco brontolare e si maledì per non aver nemmeno una mentina rinsecchita in fondo alle tasche. Era ancora in tenuta “freddolosa”, cioè indossava la serie di maglioni di Mamma Weasley e di sciarpe che la dolce Diane a-d-o-r-a-v-a sferruzzare davanti al camino. Mentre nel pomeriggio li aveva trovati assolutamente indispensabili, adesso si sentiva un po’ fuori luogo, il che probabilmente era dovuto all’abbinamento discutibile dei colori, come ad esempio viola melanzana e verde fosforescente con le paillette. Allungò quindi il passo, scendendo nella sala comune e poi sempre più in basso, fino a giungere davanti al quadro della natura morta nei sotterranei. Come i suoi fratelli gemelli le avevano insegnato, fece il solletico all’immagine della pera, cosicché il quadro si spostò, mostrando uno scorcio della grande cucina del castello. La ragazza sospirò ed entrò circospetta. Emise un urletto di spavento quando le si pararono davanti due elfi domestici. Li salutò sollevata: -Uff… Ciao Holly, ciao Shepley!-

-Signorina Weasley, buonasera, io e Holly non volevamo spa-spaventarla! Adesso noi ci puniamo!- disse Shepley tremante, afferrando un mattarello dal cassetto.

-No, Shep, non c’è bisogno- rispose lei sfilando delicatamente il mattarello dalle mani. –Volevo solo sapere se avete dei biscotti, magari quelli che fa Holly alle nocciole…-

-Venga avanti, Signorina, non stia sulla porta, io e Holly prepariamo subito qualcosa da mangiare. Ci sono anche i suoi fratelli.-

La stanza era un enorme rettangolo con le quattro tavolate su cui gli elfi domestici preparavano i deliziosi piatti per i pasti; la cucina occupava due lati della stanza e la dispensa uno. In fondo un piccolo corridoio portava agli alloggi degli Elfi. Proprio seduti sul tavolo dei Grifoni, già apparecchiato per la colazione, c’erano Fred e George tra tazze, bicchieri e posate. Ridevano e si illuminarono entrambi quando li salutò con la mano. Erano i suoi fratelli preferiti e l’avevano sempre appoggiata in tutte le sua scelte. Appena si avvicinò Fred la intrappolò sotto un braccio, sfregandole i capelli con le nocche, mentre George le faceva il solletico. –Ehi ehi! Questo è… giocare… sporco!- riuscì ad urlare tra una risata e l’altra –Siete tremendi!-

-Sei debole sorellina! Ci vediamo agli allenamenti di Quidditch!-

S’ingozzarono allegramente di latte e biscotti, come quando erano bambini, riuscendo perfino a convincere Holly e Shepley a sgranocchiarne qualcuno.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Stregato ***


POV DRACO

Theodore aveva il sonno leggero come Draco. Percepiva che anche l’amico biondo non dormiva, ma guardava il cielo trapuntato di astri in un ritaglio di finestra, come sempre faceva quando era concentrato a pensare. Sorrise sentendo Blaise ridacchiare nel sonno e mormorare: “Uh, Pansy… Non fare così piccola…”quindi abbracciare un cuscino e cullarlo amorevolmente. Si alzò piano, scostando le tende del baldacchino verde smeraldo e infilandosi la vestaglia. Anche Draco lo vide e lo imitò, alzandosi e reprimendo un sorrisetto alla vista di Blaise che sbaciucchiava la federa del suo cuscino. Piano il biondo si vestì e alzando una mano in segno di saluto, uscì dalla stanza, vedendo di striscio Theo che lo ricambiava sollevando il bicchiere di Fire Whisky. Dovevano essere appena le quattro di mattina; il ragazzo vedeva pulviscoli di polvere che volteggiavano contro l’acqua torbida del Lago, separato dal dormitorio da una spessa lastra di vetro. La camerata era in penombra, tanto che Draco poté intravedere solo le braci mezze estinte nel camino e il contorno delle poltroncine. Uscì dal dormitorio e iniziò a camminare nei corridoi del seminterrato. Fece avanti e indietro così tante volte da perdere il conto, fino a quando non sentì gli occhi annebbiati e la mente vuota. Sentiva rimbombargli in testa sempre le stesse parole: “Codardo, codardo, codardo”. Doveva fare qualcosa e distrarsi.

“Forse un’idea l’avrei”. Volubile come un uragano, Draco fu travolto da una frenesia che lo portò a correre per le scale e a raggiungere il quadro della Signora Grassa che sapeva essere la porta del dormitorio Griffyndor. Solo quando una pittoresca Signora Grassa in bigodini gli ricordò che effettivamente non bastava conoscere l’ubicazione del dormitorio, ma che era pure necessario essere informati della parola d’ordine, lui si rese conto che non aveva idea di quale fosse. Frustrato, cercò di lusingarla con moine alla Slytherin e il suo sorriso scintillante e perfino di minacciarla con il pretesto di chiamare il Barone Sanguinario. Non funzionò, ma in compenso probabilmente sarebbe stato punito dalla McGranitt per stalking e minacce verso un quadro. Di bene in meglio.

Arrabbiato e irrequieto, si diresse in Sala Grande, già apparecchiata per la colazione e appena illuminata dal sole nascente. Aleggiava nella stanza un profumo invitante di caffè e di biscotti appena sfornati, nonostante la colazione iniziasse almeno alle 7 e 30. Draco udì i suoi passi risuonare nella stanza enorme e si sentì estremamente solo. Stava per ritornare nel dormitorio con la finalità di sfottere Blaise per la sua affettuosità verso i cuscini quando la vide, stesa su una panca, i capelli sparsi ad aureola e la gonna spiegazzata. Era stata coperta da qualcuno con il suo mantello e aveva un’aria così angelica e serena con la mano sotto la guancia e le gambe racchiuse verso il grembo. La cosa più bella che avesse mai visto: Ginevra.

Gli sembrò di conoscerla da sempre, di aver osservato ogni notte la linea morbida delle sue guance, l’arco perfetto delle sue sopracciglia, le dita intrecciate ai capelli, quei morbidi boccoli color rame. Sognò di poterci passare le dita e di poterli districarli piano, come fiammanti matasse di filo prezioso. Non si chiese che cosa ci facesse su una panca in Sala Grande, sola e nemmeno come aveva fatto a dormire su una postazione così scomoda. Si sedette solo accanto a lei e la osservò, come quella notte in infermeria. A differenza del sonno tormentato dell’altro giorno, adesso Ginevra dormiva con un lievissimo sorriso ed emettendo un leggero sibilo dalle labbra piene. Piano il ragazzo alzò una mano, passando come aveva desiderato le dita nei ricci setosi e bevendosela con gli occhi. Con orrore constatò che le palpebre della ragazza si stavano aprendo; subito si guardò attorno in cerca di una via di fuga. Quando sentì la voce assonnata di Ginny che pronunciava: -Draco?!-, l’unica cosa che gli venne in mente fu: -Dai, ti porto a letto-

La prese tra le braccia, constatando che non era troppo leggera e accorgendosi delle forme piene tra le sue mani, mentre Ginny protestò leggermente parlando da sola: -E’ una nuova moda, quella di prendermi in braccio?- Siccome non ricevette risposta dal ragazzo continuò: -No, perché ultimamente lo fanno tutti…-

Sentendo un moto di gelosia Draco rispose cercando di sembrare noncurante, mormorandole nell’orecchio: -Ah si? E chi sarebbe questo “tutti”?-

-Mmmmh sono stanca, ne riparleremo…-

Il ragazzo stava per ribattere che voleva saperlo subito, ma Ginny si era già assopita sulla sua spalla. Draco era consapevole che andare nella sua camera non era possibile per via dei compagni di stanza e nemmeno pensare di portarla in quella della ragazza a causa della necessaria parola d’ordine. Ne restava solo una: la stanza delle Necessità.  Draco con la ragazza tra le braccia raggiunse il settimo piano e camminò avanti e indietro tre volte davanti al quadro di Barnabà il Babbeo bastonato dai Troll, desiderando di entrare in una camera con un letto e tutto ciò che piacesse a Ginevra. Una grossa porta di legno scuro con un batacchio d’argento si materializzò davanti ai ragazzi  e Draco la varcò senza esitazione. La stanza si presentava come un’accogliente camera con un enorme letto a baldacchino color crema dalle tende spalancate e leggere. Dentro vasi di tutte le dimensioni c’erano freschi mazzetti di tulipani rossi e l’aria profumava di violetta. Su un piattino c’erano dei biscotti alla cannella e alle nocciole e una tavoletta di cioccolato fondente amaro. Una serie di foto troneggiava su un tavolino davanti a un morbido divano rosa antico. Draco appoggiò la ragazza sul letto, sfilandole gli scarponcini e le calze. Appoggiò il mantello della rossa sullo schienale di una sedia dorata, sedendosi e incrociando le gambe pensieroso. Cosa avrebbe fatto Ginevra, quando si fosse svegliata? Avrebbe pensato che si era approfittato di lei? Che l’aveva colta quando era indifesa nel sonno? Magari ne sarebbe stata contenta?  Draco non lo sapeva proprio. Adesso il suo magnifico piano gli sembrò del tutto privo di significato. Alla fine, dopo una lunga riflessione, il ragazzo decise che se ne sarebbe andato prima che lei si fosse svegliata, sperando che ricordasse tutto o che non ricordasse niente: doveva ancora decidere. Ginny si allungò nel letto ampio, alzando le braccia sopra la testa e scoprendo una grande porzione di gambe. Draco non ce la fece più e sfilandosi le scarpe e il mantello, si stese accanto alla ragazza, tanto vicino da sfiorarle il naso con il proprio, coprendo entrambi con il soffice piumone. Le era così maledettamente vicino, ma non la sfiorava nemmeno con un dito, nonostante il desiderio gli facesse  formicolare le mani. Percepì il calore di Ginny attraverso i vestiti e forse fu così anche per lei poiché la ragazza, come brancolando, si strinse a lui annullando tutta la distanza tra loro, appoggiando la testa sul suo petto e abbracciandolo stretto. Inizialmente allibito, poi Draco si sciolse: alla fin fine aveva fatto tutto da sola. Sentì il respiro lieve contro il collo che gli provocò brividi lungo la pelle e stringendo la vita a clessidra della ragazza, sussurrò affondando il viso nei suoi capelli: -Oh, Ginevra-

L’aveva stregato. E adesso come avrebbe fatto?

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Domande ***


Ginny si stiracchiò piano, allungando le mani sopra la testa e sprofondando nel morbido materasso. Provava una sensazione piacevole di rilassamento e tutto intorno a lei era bianco, morbido e caldo. La rossa socchiuse una palpebra, momentaneamente stordita dalla luce. Fu allora che ricordò che la sua camera non era chiara ma rosso bordeaux, che il suo letto non era così morbido e che non dormiva in divisa scolastica. Ginny si alzò di scatto allarmata, battendo maldestramente la testa contro la colonnina del letto a baldacchino. –Ahia! Ma è possibile che devo sempre farmi male?- disse strofinando il punto dove aveta sbattuto, contribuendo a rendere i suoi capelli ancora più spettinati. –Ma dove caspiterina sono…?!-

La cosa che la spaventava, ma che la meravigliava di più era il gusto della stanza: era arredata proprio con le stesse cose che avrebbe scelto lei per se; i tulipani, i colori, i biscotti. Le piaceva da morire. Di indole curiosa per natura iniziò a ispezionare minuziosamente ogni angolo ed ogni pertugio, accarezzò i divani rosa antico, ammirò le fotografie smangiucchiando un biscotto (okay, forse più di uno…) e cercò a tutti costi di ricordare come era arrivata lì e perché. La cosa era romantica e tutto il resto, ma davvero inquietante. Sprofondando  in un puff giallo limone, Ginny iniziò a pensare alla serata precedente: -Uhm, vediamo, sono andata in cucina dove ho incontrato i gemelli e poi? Mi sono strafogata di latte e biscotti…- cercò di non pensare all’assunzione di calorie ingerite la notte scorsa e promise di fare un esercizio doppio di addominali a Quidditch, quindi continuò –Beh, poi c’è un vuoto temporale fino a quando mi sono svegliata su quella panca in Sala Grande, tra le braccia di Draco Malfoy… Aspetta aspetta Molly Ginevra, quale panca? QUALI BRACCIA DI DRACO MALFOY?! Il tuo subconscio ti sta facendo dei brutti scherzi!-

Ginny ricordò troppo in fretta e troppo precipitosamente un profumo maschile fresco, due occhi grigi e un discorso sconnesso. Le sembrò sbagliato, confuso e dolcissimo.

-Oddio oddio, devo uscire di qui. Per fortuna che la professoressa Sprite deve concimare le Mandragole: ho due ore libere! Ma che cosa faccio ora, eh?!- Ginny non era mai stata così nervosa. Però ora che si era tranquillizzata sull’inizio delle lezioni e dopo che aveva fatto una colazione decente (secondo gli standard di una ragazza in piena tempesta ormonale quindi) iniziò a chiedersi perché Draco l’aveva portata lì e che cosa avevano fatto di preciso. Sentiva le guance in fiamme nonostante fosse sola nella stanza.

–Mi serve del ghiaccio!- rise la ragazza premendosi le mani contro le guance arrossate. Fece un salto tale da cadere sul letto quando vide un sacchetto con dei cubetti ghiacciati aleggiarle davanti al viso.

-Arghhh! Ma come hai fatto?- urlò sorpresa fissando il sacchetto. Quello sembrò seccato dalla sua mancanza di decisione poiché iniziò a saltellare nell’aria fino a quando la ragazza non lo afferrò.

-Ehm grazie, chiunque tu sia. Ora vado.- Ginny si guardò intorno per raccogliere le sue cose e quando si rialzò dopo essersi allacciata gli scarponcini si accorse che era comparsa una grande porta su un lato della stanza. Cautamente la apri e si ritrovò nel corridoio del settimo piano, invaso dalla luce del mattino. Sospirando, si diresse verso l’aula di Astronomia.

Erano le quattordici e trenta. Ginny era stesa sul letto di Diane e stava raccontando alle sue compagne di stanza che cosa era successo quella mattina, alternando le confessioni e i particolari a morsi voluttuosi alla tavoletta di cioccolato fondente della sua scorta personale. Demelza la guardava mezza disgustata e mezza invidiosa: Ginny ingurgitava di tutto! Invece Diane, secondo la sua indole, ricamava dolcissimi idilli a punto croce dai colori pastello, ascoltandola con interesse moderato.

-Beh, questa mattina mi sono svegliata e lui, perché sono sicura che sia lui, non c’era più. Ero in una stanza bellissima e c’era il suo profumo ovunque, ma lui no.-

Demelza stava perdendo la pazienza: era mezz’ora che Ginny blaterava su questo misterioso “lui” senza nemmeno accennare a chi fosse. Alzandosi dalla poltroncina sulla quale era seduta, si diresse verso l’amica rossa e strappandole la tavoletta di mano, le girò la testa con una mano, portandola all’altezza dei suoi occhi; infine sillabò: -Ci vuoi dire chi è questo benedetto ragazzo?-

-Ragazze, perdindirindina, calma. Non c’è bisogno di surriscaldare l’ambiente.- Solo Diane poteva dire “Perdindirindina” e non venire esclusa dalla società. –Adesso Demi, tesoro, lasciala: sta diventando viola-

Demi allentò la presa: -Ops! Scusa Gin, però ora parla-

La rossa le fece attendere per un tempo infinito e proprio quando Demi stava per buttarla dalla finestra, sussurrò maliziosa: -E’ Draco Malfoy-  Diane spalancò gli occhioni azzurri a tal punto che Ginny pensò che le avrebbero riempito tutto il viso, mentre Demelza, per una volta, era ammutolita. Ripresesi dal momentaneo shock Demi iniziò stranamente calma: -Tu sei l’amante di Draco Malfoy e non ci hai mai detto nulla?!-

-Adesso esageri, Za. Non lo conosce nemmeno. Bel puledro comunque, Gin- a questa constatazione di Diane furono le altre due amiche a spalancare occhi e mascelle, ma quella continuò imperturbabile, rivolgendosi a Ginny –E tu sei in ritardo per la tua punizione con Piton. Sai quanto odia i ritardi-

Ginevra non corse mai così velocemente in tutta la sua vita. Quando arrivò davanti alla porta dello studio del Professor Piton cercò di rassettarsi la gonna con poco risultato ed entrò.

La stanza era come se la ricordava: buia e polverosa. L’unica forma di arredamento che Piton sembrava conoscesse era un’accozzaglia di bottiglie e boccette dai liquidi maleodoranti e da oggetti non identificati. Ma lei aveva visto più volte quell’ufficio e altrettante aveva dovuto pulirlo da cime a fondo.

-Una seconda casa, insomma- mormorò fra sé ironica. L’umorismo era l’unica cosa che le permetteva di sopportare anche le situazioni più spiacevoli. E Ginny ne aveva da vendere. Cercò di immedesimarsi nella sua faccia più timida e innocente da Credo-che-il-mio-orologio-sia-indietro e alzò il viso con aria contrita.

-Dieci punti in meno a Grifondoro per il ritardo di tre minuti e mezzo.- la voce del professor Piton risuonò annoiata nella stanza –E adesso si sieda, signorina Weasley-

Ginny fumante di rabbia si avvicinò alla scrivania e solo allora vide Blaise Zabini.

Il professore continuò: -Oggi ha un compagno di punizione: conosce Blaise Zabini…?-

-Ma che piacere!- rispose sarcasticamente a denti stretti la rossa –Sarò lieta di condividere questi attimi di gioia con una serpe…- mormorò impercettibilmente. Purtroppo Piton la sentì: -Altri cinque punti in meno, Weasley- canticchiò quasi; poi aprì le ante di un armadio e disse ai due ragazzi: -Preparate gli ingredienti per 30 pozioni Restringenti e pesateli accuratamente. Quindi spolverate questi alambicchi e riponete in ordine alfabetico questi moduli. E’ tutto. Buon lavoro-

-Pipistrellaccio untuoso con evidenti problemi di calvizie, cerebroleso vampiro malaticcio con la scabbia…- lo insultò Ginny, avvicinandosi all’armadio aperto.

-Creativa, Weasley, quella del vampiro- disse allegramente Blaise.

La rossa si voltò allibita: -Ma non l’ho detto ad alta voce!-

Il ragazzo dagli occhi blu rispose, affiancandola: -Mai sentito parlare dei Legilimens? Oh, giusto, sei una Griffyndor- la sua voce era diventata piuttosto derisoria.

-Mai sentito parlare della cortesia? Oh, scusami sei uno Slytherin!- Blaise rimase colpito: la ragazza aveva carattere, per essere una Weasley e ovviamente una Grifona.

-Datti una mossa, rammollito. Prendi la milza di ratto. Io non he ho intenzione.-

C’è bisogno di dire che fu un pomeriggio interminabile?







Ciao a tutti! Mi sono ritagliata questo piccolo spazio per ringraziare Krucci, la mia recensitrice entusiasta. Ero un po' demoralizzata, ma tu mi hai fatto venire voglia di scrivere ancora. Naturalmente (e lo sapete bricconcelli!) mi farebbe tanto tanto piacere se lasciaste anche solo un piccolo commento -critica o lode- alla mia fanfict. Un bacio e un abbraccio,
Violadelpensiero

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Ferite ***


POV DRACO

Draco sapeva che Blaise era di nuovo in punizione con Piton per essere stato beccato con Laetitia McRiot, una smorfiosetta di seconda dai nobili natali, nello sgabuzzino delle scope a compiere atti poco casti e molto Slytherin. Gli aveva detto che lo sarebbe passato a prendere alla fine della lunga punizione, ma intanto non sapeva cosa fare per occupare il tempo. Il ragazzo camminò lungo il sentiero di ghiaino che biancheggiava tra l’erba ghiacciata e argentea, con il fine di verificare se Ginny fosse sul suo solito albero a strapiombo sul lago. Era in imbarazzo dopo quella famosa notte, ma moriva dalla voglia di vederla spuntare dai suoi maglioni stravaganti. Il freddo dicembrino tagliava la pelle e congelava nasi e guance, però tanti erano i ragazzi che, presasi una pausa dall’intenso studio invernale, passeggiavano ridendo e tenendosi per mano o pattinavano sulla dura superficie del lago. I colori vivaci delle divise spiccavano nell’atmosfera nivea e coloravano vivacemente ogni spazio del  giardino del castello. Nonostante apparisse burbero e distante mentre camminava altero, in realtà Draco era felice di fare un giro fuori e di sembrare per una volta un ragazzo della sua età. Si stava rilassando un po’ fino a quando una palla di neve volante lo raggiunse fendendo l’aria immobile e precipitandosi sul bavero del suo cappotto di velluto nero con una scia di fiocchi ghiacciati. Draco alzò lo sguardo e osservò, glaciale quanto l’atmosfera in quel momento, Ronald Weasley che ghignava qualche metro più avanti.

-Oh scusami, Malfoy, ti ho sporcato il cappottino nuovo?- lo derise il rosso, avvicinandosi a lui per squadrarlo meglio.

Era in quei momenti che Draco era veramente stanco di essere nobile, di essere Slytherin, di essere un Malfoy e di dover “recitare” una parte che tutti si aspettavano, ossia quella del cattivo prepotente. Stava semplicemente passeggiando da solo, godendosi un po’ di pace e rimuginando sui suoi pensieri. Non aveva intenzione di turbare quella dolceamara apatia dove non doveva pensare a suo padre e al tatuaggio bruciante nel suo avambraccio, perciò, stringendo i denti, continuò a camminare, aggirando la Donnola Weasley e il suo amichetto Potter. Il bambino-che-è-blablabla era sopravvalutato e Draco proprio non lo sopportava, ma verso il rosso la sua insofferenza raggiungeva livelli altissimi. Non capiva proprio come facesse la Granger a scodinzolargli dietro come un cagnolino con il padrone. Bah.

Per distrarsi ragionò: -Draco, shhh, non dire nulla, non ribattere; pensa a Ginny e che è sua sorella e che lui è così protettivo e non lo sa e immagina la sua faccia quando saprà che cosa c’è tra noi. Aspetta, per adesso non c’è ancora nulla, ma la situazione cambierà.- In quel momento le mancava terribilmente la sua piccola furia rossa, così diversa da quel troglodita di suo fratello.

-Non dice niente, Harry. Guarda come fa il sostenuto con la puzza sotto il naso- continuò rivolto a Potter- E come mai sei qui fuori? Vuoi forse farci pensare che hai una vita sociale al di fuori del tuo lavoro di Mangiamorte?- le sue parole erano impregnate di veleno corrosivo. Sentendo la parola “Mangiamorte” Draco mandò all’aria tutti i suoi buoni propositi e diventò scarlatto mano a mano che s’infuriava. Ebbe l’impressione che l’aria fosse immobile. Il biondo si avvicinò celermente a Ronald Weasley, colmando con un solo passo tutta la distanza fra loro, e lo afferrò per il bavero del giaccone sdrucito. Senza dargli nemmeno il tempo di dire una parola sibilò pianissimo ma chiaramente: -Dillo un’altra volta e giuro che tua sorella non rimarrà vergine a lungo… Oh, aspetta, è ancora vergine vero? Non ci è andata con metà scuola?- Draco si sentì immediatamente sporco per quelle parole: voleva essere cattivo, ma alla fine aveva insultato anche sé stesso. Un conto era offendere suo fratello, un altro era deridere Ginny. Stava proprio per scusarsi per la volgarità, quando Weasley per tutta risposta lo colpì violentemente su uno zigomo, prima che Potter potesse fermarlo. L’aria gelida fumava dalle sue narici e la sua espressione era furente e oltraggiata. Draco senza un lamento, anzi quasi laconico, si portò una mano al viso e constatò un taglio sotto l’occhio. Stillava sangue rosso e intenso che gli colorò grottescamente la mano. Il biondo lo osservò quasi scientificamente, esaminando le dita con cura.

-Magnifico- mormorò ironico infine. Sentì come se fosse sott’acqua la voce della Granger che urlava: -Ron! Ma che cosa hai fatto! Sta sanguinando!-

Draco sentì che si avvicinava e che gli alzava il viso con una mano decisa e forte, così diversa da quelle piccole e pallide di Ginny, e che gli diceva: -Mettici dell’assenzio. La cicatrice non dovrebbe nemmeno essere eviden…-

Il ragazzo le bloccò il polso con la mano buona: -Sto bene. Non ho bisogno della tua compassione.- Così pronunciatosi, se ne andò compuntamente.

Erano ormai le sei e ancora Blaise era nell’ufficio di Piton. Draco si appoggiò schiena al muro di fronte alla porta scura del suddetto studio, aspettando l’amico. Era annoiato non poco e gli doleva leggermente il taglio, ma non aveva voglia di andare a medicarlo in Infermeria. Avrebbe detto più tardi a Theo di darci un’occhiata. Finalmente sentì la porta che si socchiudeva e una risata argentina che risuonava nel corridoio ampio. –Una risata argentina? Eh?!- Draco si riscosse ed entrò nell’area di luce creata dalla fiaccola sulla porta. Notò immediatamente i suoi capelli scarlatti come spire di fuoco; invece lei non lo vide subito. Blaise sì: -Draco, che cosa ti è successo? Sei andato a sbattere contro un albero?-

-Una cosa del genere- rispose distaccato. Non lo avrebbe mai ammesso, ma vedere Ginny che scherzava con Zabini gli aveva procurato un moto di stizza e di insofferenza. Blaise lo avrebbe sentito, dopo. Anche Ginevra si era accorta della sua presenza e in particolare del taglio frastagliato sul suo bel viso. Draco sentì il suo profumo di violetta quando Ginny si avvicinò a lui, salutandolo a bassa voce: -Ciao Draco. Vieni, dobbiamo disinfettare quel taglio e parlare- Blaise cerimoniosamente le fece il baciamano e lei rise di nuovo, mentre Draco era sempre più infastidito. Infine gli si accostò e lo prese per mano, guidandolo nei corridoi.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Dialogo ***


POV GINNY

Alla fine quel pomeriggio non era stato poi così sgradevole e Zabini, le costava molto ammetterlo, era affascinante. Quell’aria da cherubino birichino e gli occhioni blu zaffiro potevano incantare chiunque e far credere che fosse un ragazzo perbene e serio. Ginny non avrebbe mai immaginato, se non avesse conosciuto le voci che circolavano su di lui a scuola, che era in realtà dispettoso, accattivante, malizioso e volubile. Se poi si aggiungevano la bellezza fuori dal comune e quella sua aria da io-non-sono-consapevole-di-essere-un-figo-assurdo, Blaise diventava un mix irresistibile.

-Per fortuna che ho un debole per i biondi e ora sono impegnata con Draco… Magari posso presentargli Diane- immaginava Ginny guardandolo di sottecchi. Non aveva mai creduto a quel proverbio “Gli opposti si attraggono”. Non capiva come due persone senza interessi in comune o con caratteri completamente diversi potessero amarsi. Quindi era strano per lei immaginare la piccola e dolce Diane con il dongiovanni che era Zabini, ma ultimamente aveva come l’impressione che l’amica stesse nascondendo qualcosa. Bah. Mentre riordinava gli ingredienti e spolverava gli scaffali, Ginny non aveva mai smesso di fare domande a Blaise su Draco: sul suo passato e sulla sua famiglia, fino a quando il ragazzo esasperato non le aveva chiesto perché non lo domandasse direttamente a lui. A quel punto Ginny era arrossita e era stata in silenzio per tre minuti interi. Poi aveva ricominciato.

Alla fine dell’ora lo chiamava Blaise come se fossero nelle stessa Casa. Ginny non aveva mai avuto particolari pregiudizi su alunni di altre case. Insomma, non è vero. Diciamo che sapeva apprezzare e riconoscere una persona che le piaceva anche se quella fosse stata Slytherin o Hufflepuff. Era partita prevenuta su Blaise solo per le malelingue che correvano su di lui, ma il fatto che lui non le smentisse, anzi le alimentasse, l’aveva confusa. L’unica spiegazione fu: -Ma, Gin, allora sarebbe tutto così noioso!-

Ora, mano per mano con un Draco corrucciato, stava pensando alla via più breve per arrivare in Infermeria. Non le dispiaceva il silenzio, perché non era ingombrante e imbarazzato, anzi, era quasi intimo. Quando Draco però si accorse di dove lo stava portando, si fermò e disse:- Non voglio andare in Infermeria. Non ci usciamo più-

-E allora dove andiamo a medicarti, genio?- disse incrociando le braccia. Fu sorpresa di quanto fosse più piacevole tenere la mano a Draco piuttosto che lasciarla lungo il fianco. Per fortuna il ragazzo la riprese subito, guidandola in silenzio

–Come te lo sei fatto, a proposito, quel taglio? Hai tutta la guancia nera! Fatto a pugni con un centauro?-

-No, con tuo fratello-

Ginny fu così sorpresa che si fermò di colpo, strattonando la mano di Draco: -CHE COSA?!-

-Eh, già- la sua risposta laconica la infastidì, però poi si rasserenò. Ronald era proprio un cretino ogni tanto; voleva sperare solo che le sue intenzioni fossero giustificate.

-Non mi darai spiegazioni vero?- continuò, abbattuta.

-No- rispose il ragazzo con un sorrisetto, fermandosi. Ginny notò che erano al corridoio del settimo piano, proprio dove si era ritrovata uscendo la mattina stessa e osservò con curiosità il biondo che passeggiava concentrato avanti e indietro, colpito dalla luce calante della finestra. Solo infine si accorse della porta enorme e scura che era comparsa… nel muro. Era massiccia e rifinita con pennellate dorate e recava un’iscrizione proprio davanti: Stanza delle Necessità. Interessante.

Draco non dovette nemmeno girare il pomello d’ottone poiché lentamente la porta si era aperta da sola. Ginny, curiosa per natura sporse la testa in avanti per carpire dettagli, ma il ragazzo le fece cenno direttamente di entrare. Le sembrò qualcosa di familiare e sconosciuto al tempo stesso. La camera era come ricordava, colorata con toni di crema e bianco panna, ma alcune cose erano completamente diverse. Un camino scoppiettava davanti ai divani rosa antico e a delle poltrone di cuoio scuro, il letto matrimoniale (Ginny al pensiero arrossì) adesso aveva lucide lenzuola di seta verde veleno, nei vasi con i tulipani c’erano rami di pallidi gelsomini e foglie di felce arricciata, tra le sue foto sul tavolino anche sontuose cornici in argento. Una nuova parte ampliata comprendeva una grande scrivania di legno scuro sotto un tappeto bianco, i puff colorati che la rossa adorava e un’immensa libreria a parete. Infine Ginny notò, accanto ai biscotti e al cioccolato fondente sul tavolo, una scatola con una croce rossa sopra.

-Ma… è diversa- constatò meravigliata, dopo aver realizzato i cambiamenti. Capì da sola che la Stanza aveva ricreato un luogo che potesse unire i gusti suoi e di… Draco. Le sembrò una cosa così intima che arrossì. Evidentemente anche Draco se ne accorse perché sorrise malizioso e le disse: -Bel letto, eh? Grande-

Ginny gli diede un buffetto sul braccio e il ragazzo assunse un’aria da cucciolo ferito, lamentandosi: -Non si picchiano i malati-

-Esagerato! Era un buffetto. Vieni qui, dai- Lo fece sedere su una poltrona di cuoio e aprì la scatola delle medicazioni: -Ehi c’è proprio tutto! Vediamo, ecco: disinfettante e cotone-

-Ginevra attenzione a non deturparmi. Io sono troppo bello e tu sei una frana in Pozioni. Fa vedere quel coso- disse prendendo la boccetta fra le mani. Ginny, sebbene seccata, ne approfittò per osservarlo ancora. Pensava che non ne sarebbe mai stata sazia.

Dopo l’ispezione il ragazzo pronunciò più dolce: -Va bene, non è un veleno-

Ginny nascose un sorriso e fece imbibire il cotone del liquido trasparente, poi voltò il viso del ragazzo verso la luce molto delicatamente. Draco chiuse gli occhi, come rilassato dal suo tocco leggero e stette fermo tutto il tempo in cui lei deterse il sangue secco dalla ferita. Quindi Ginny stese un velo di unguento di assenzio e quasi subito il taglio si rimarginò, ma non tolse la mano dal suo viso, anzi iniziò ad accarezzarlo piano. Era così sereno. Draco aprì gli occhi e le prese la mano di scatto, tanto che Ginny si spaventò e balbettò delle scuse. Lo sguardo del ragazzo si tinse di pentimento. Delicatamente le tirò il braccio fino a quando la rossa non si fu stesa su di lui, le gambe strette al corpo, le mani sul petto di Draco e la testa appoggiata alla sua spalla. Lo guardò da sottinsù: le fiamme del camino danzavano sul suo viso. Era così piacevole sentire il calore di un corpo contro il suo. Ginny strofinò il naso contro la sua guancia, facendolo ridere. Tutte le parole erano superflue. Sentì le mani grandi di Draco accarezzarle la schiena e i capelli.

Ginny si sentì felice: aveva ancora un sacco di tempo prima di dover tornare al suo dormitorio.

-Parlami di te- disse tracciando piccoli cerchi invisibili con un dito sulla mano del ragazzo. Quello sussultò sorpreso e tirò indietro un po’ il viso, per guardarla meglio. Ginny si sentì arrossire improvvisamente, però non distolse lo sguardo. Aggiunse solo un po’ timida: -Se vuoi, ecco. O se no parlo io-

-Sai qual è la prima volta in cui ti ho vista?- mormorò premendo le labbra sui suoi capelli e inspirando il suo profumo alla violetta. Ginny si mosse divertita sul suo petto, sprizzando entusiasmo da tutti i pori: -Quando,eh? Dai dai dai dimmelo!-

-Okay! Te lo dico! Stai ferma però, mi fai il solletico-

-Soffri il solletico?- esclamò alzando le dita fintamente minacciosa –Oh oh il grande Draco Malfoy che soffre il solletico come un bambino?- Aveva trovato un punto debole e per una cosa così insignificante!

-No-

-Ah- La delusione su suo volto era così palpabile che Draco le prese tra le mani e la baciò sul naso.

-La prima volta che ti ho vista ti ho scambiata per il gattaccio della Granger-

-Ma bene! Continua così! Grazie!- Ginny era piuttosto permalosa ed essere scambiata per un gatto spelacchiato e rossiccio non era esattamente piacevole. Non poté impedirsi di assumere un’espressione risentita.

-Qualcuno qui è permaloso. E poi rimproverano me… Comunque, ho visto un’ombra che scendeva dalla quercia sul lago e mi sono accorto che eri tu. Eri corrucciata e scura in volto, così io ho pensato: “Come mai una ragazza che ha tutto ciò che potrebbe desiderare: famiglia, amici, amore, è così abbattuta?” Vedi, Ginevra, tu rappresenti le cose che avrei voluto ricevere io come figlio e fratello. Ho sempre invidiato voi Weasley per la vostra unità. I miei genitori non mi hanno mai amato e da piccolo trascorrevo il mio tempo a Malfoy Manor in biblioteca o in camera mia. Mi annoiavo un sacco, così è stata una liberazione poter finalmente venire ad Hogwarts. E allora ho conosciuto Theo…-

-Ma Blaise?-

-Si, è mio cugino. Comunque che cos’è tutta questa confidenza con Zabini?- l’irritazione gli aveva formato una riga in mezzo alla fronte ampia. Ginny rimase a bocca aperta e si mise a ridacchiare: -Primo, non mi spiego come facciate tu, biondo pallido e dannato e Blaise, pelle color caffelatte e tutto occhi blu ad essere cugini; secondo, sei geloso?-

-Io non sono geloso! Soltanto che non mi piace condividere ciò che è mio- a queste parole Ginny spalancò gli occhi. Un conto era sbaciucchiarsi e avere tempo per conoscersi meglio, un altro definire così possessivamente quel “qualcosa” che si stava creando tra loro.

-Ehm, non corriamo troppo okay?- la sua voce era titubante, ma ferma

-Uffa, mi stavo appena iniziando a divertire!-

-Non ho mica detto che non ci possiamo baciare! Ma non pensare che abbiamo finito la nostra conversazione qui e…-

Draco premé la bocca sulla sua e finalmente Ginny si zittì.






Ciao a tutti! Soddisfatti i miei lettori di questo capitolo with love? Non abituatevi, mi raccomando. Ne passeranno Draco e Ginny nei prossimi capitoli.... Muahahaha! Ma non crediate che non dispiaccia anche a me: non sono una cima nei capitoli di suspence o rottura. Detto questo,
MI FAREBBE IMMENSAMENTE PIACERE SAPERE CHE COSA NE PENSATe. Non è un'esortazione veemente, tranquilli. Se avevte domande o richiedete il bisogno di delucidazioni sono sempre qui! Grazie mille davvero. Non avrei mai pensato di pubblicare qualcosa. E invece sono qui.
Andate e amate Draco.
Un saluto, un abbraccio e tutto quello che volete,
Violadelpensiero

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Ricordo ***


 

POV DRACO

Draco stava imburrando un toast e bevendo caffè nero mentre Theodore raccontava la sua ultima avventura con una Ravenclaw di seconda, Cassy Chester e Blaise commentava il tutto con battute sconce. Stava proprio per ricordargli di come aveva nuovamente abbracciato e sbaciucchiato il cuscino la sera precedente, quando alzò gli occhi e vide che anche Ginny si era seduta alla tavolata Grifondoro e stava spalmando di cioccolata i suoi biscotti. Provò una voglia irresistibile di sentire il sapore delle sue labbra dolci di cioccolato. Distolse il viso divertito quando la vide protestare stizzita perché le era caduto il biscotto nel latte e riportò la sua attenzione al discorso dei due amici. La sera prima lo avevano subissato di domande sul perché fosse tornato così tardi, su chi fosse quella ragazza che lo aveva divertito quella sera. Credevano fosse un altro passatempo, una voglia. Non immaginavano che avesse passato gran parte della notte a guardare Ginny dormire. D’altra parte, di solito lui non dormiva e basta...

-E’ molto interessante, Cassy, quindi…- stava affermando maliziosamente Blaise –Forse tu l’hai conosciuta anche intimamente, o sbaglio?- chiese sbattendo le ciglia in un’imitazione grottesca di Pansy Parkinson in cerca di gossip.

-Sei peggio delle sorelle Greengrass, Zab, davvero…- ci rise su Theo, anche Draco si unì a lui, poi notò il gufo maestoso della famiglia Malfoy volteggiare sopra la sua testa e posarsi con un risvolto attaccato alla zampa sul suo tavolo. Tutti e tre trattennero il respiro: cattive notizie da casa se la missiva proveniva dai padri.

La notizia gli calò addosso come un secchio di acqua ghiacciata quando lesse le parole vergate in rosso sangue sulla pergamena finissima:

“Draco,                                                                                                                               10 Dicembre, Malfoy Manor

devo parlarti urgentemente. Prenderai una passaporta nell’ufficio della professoressa Umbridge oggi pomeriggio alle sedici per Malfoy Manor. Sii puntuale, sai che odio aspettare.

Lucius Abraxas Malfoy”

Draco si alzò dalla sedia con una compostezza glaciale e si allontanò, gettando la lettera sul tavolo di legno. Sentì gli occhi di circa un centinaio di persone addosso, in particolare di un paio verdi e indagatori. Mentre passava dietro alle panche Griffyndor, notò che Ginny si stava alzando; subito la fermò con un cenno del viso e apprezzò il fatto che avesse capito. Potevano essere diversi i motivi per cui suo padre voleva vederlo, ma solo uno lo riempiva di terrore. E lui odiava avere paura: lo faceva sentire così debole, così impotente. Si costrinse a ragionare: Natale sarebbe stato fra poco e non c’era motivo di affrettare i tempi di visita; per le vacanze era comunque sempre stato costretto a tornare per la feste sontuose delle famiglie Slytherin più influenti. In realtà non gli interessavano i regali costosi, per quanto amasse e fosse abituato al lusso, ma aveva sempre desiderato trascorrere un Natale a Hogwarts, più familiare di Malfoy Manor: osservare il grande albero addobbato dal professor Vitious, assaggiare un pudding rustico di natalizio invece del caviale, perfino ascoltare gli stucchevoli discorsi folli del preside Silente. Forse Potter lo avrebbe infastidito, era sempre tra i piedi, a fare l’eroe della situazione. Quanto odiava Potter.

Nel caso si poteva far finta di non vederlo. Già. 

-Quindi, escluso il fatto che muore dalla voglia di riabbracciare il suo figlioletto amato- pensò ironicamente Draco –Vuole vedermi per parlare della mia iniziazione-

Il ragazzo era furente. Con il padre per la sua servilità, con la madre per non averlo mai difeso, con se stesso per non essere abbastanza forte. Il dolore che provava era troppo intenso, lo corrodeva dall’interno; le sue domande e i suoi dubbi erano come tarli affamati che si nutrivano della sua paura. Provò l’immenso desiderio di buttare fuori tutta la sporcizia che sentiva dentro.

Senza un lamento, calcolando la forza, diede un pugno a mano chiusa contro le muratura di pietra. Sentì le nocche frantumarsi una per una come se fossero briciole di pane e il dolore irradiarsi in tutte le terminazioni che possedeva, fino alle punte dei capelli. Si morse il labbro, facendolo sanguinare copiosamente e si accasciò contro il muro rosseggiante. Concentrarsi su una sofferenza fisica invece dei suoi pensieri era rassicurante. Poteva controllarla, poteva sopportarla.

Le emozioni invece no.

Alle quattro meno dieci, esattamente in anticipo, Draco entrò nell’ufficio della professoressa Umbridge. Era così leziosa, quella donna; ci voleva tutta la sua melensaggine –il vestirsi sempre come un confetto da bomboniera, il colore rosa, la sua vocetta affettata e smancerosa- per nascondere la sua cattiveria. Draco sapeva riconoscere gli animi cattivi, quando ne incontrava uno: era cresciuto con un padre autoritario e con una madre impassibile e servile.

-Buon pomeriggio, professoressa- salutò educatamente, mentre assumeva le pose fredde e la maschera neutra di primogenito di famiglia Slytherin.

Quella tubò con la sua vocetta stridula: -Oh, signor Malfoy! Buon pomeriggio! Sono così onorata, ehm ehm, onorata di poter ospitare la passaporta che vi condurrà a casa. Suo padre è un uomo delizioso, ehm ehm, de-li-zio-so! Un pasticcino, oserei dire!- si mise a ridacchiare, portando una mano al petto. Draco distolse lo sguardo disgustato da tanto atteggiamento adulatorio, poi si chiese con orrore se anche lui apparisse così debole e sottomesso in compagnia del padre. Sentì improvvisamente un senso di soffocamento che gli attanagliava la gola, così per distrarsi osservò le pareti intorno a lui: erano rosa, con quadri e piattini con ritratti di gattini gnaulanti talmente kitsch da far invidia alle sfere magiche da collezione della professoressa Cooman. L’aria era infestata da un odore di fiori marcescenti e un sentore di vecchio e polvere impregnava il tappeto –rosa pastello- e le tende di cotone –fucsia-. Draco stava per vomitare.

-Signorino Malfoy, per caso sa di che cosa vuole parlarle suo padre? Le ho già detto che stimo molto suo padre? Ehm ehm, un uomo così importante per il Ministero della Magia! Ah, ecco la sua passaporta! Ho scelto la migliore statuina che avessi, per renderle il passaggio più piacevole, ehm ehm-

Il ragazzo vide un orribile soprammobile che ritraeva un gattino infiocchettato – di color lampone- che si illuminava, rendendolo più grottesco di quanto già non fosse. Fu lacerato dalla voglia di scappare e perdere la passaporta, ma si fece forza e posò la mano tremante sulla testa del micio. Sentì il famoso strappo all’altezza dell’ombelico e la testa girargli, mentre chiudeva gli occhi.

Atterrò con un tonfo leggero, perfettamente in piedi, sul tappeto costoso dell’androne di Malfoy Manor. Era una stanza altissima con una scalinata di marmo al centro, tutti i muri erano ricoperti da arazzi cupi e ritratto di arcigni avi della famiglia Malfoy. L’unica illuminazione proveniva da un candelabro di cristallo a cento braccia provvisto di migliaia di candele traslucide. Le finestre erano celate da pesanti tende di velluto verde scuro e la carta da parati ricoperta di ricco broccato ricamato; unico elemento vivo nella stanza un vaso di rose bianche, probabilmente provenienti dal roseto di Narcissa. Draco non ricordava che fosse così opprimente. Davanti alla scalinata, in piedi e impettiti si trovavano i coniugi Malfoy.

Draco s’inchinò profondamente, baciando prima la mano della madre e poi quella del padre. L’aveva sempre fatto, fin da bambino: per lui non esistevano i contatti freschi di guancia contro guancia o le carezze affettuose. Ripensò con nostalgia al contatto bollente della labbra di Ginny contro le sue, ai suoi abbracci forti, come se volesse trasmettergli tutto il suo calore e la sua presenza. Vedendo un luccichio negli occhi gelidi del padre, si ricordò di schermare i suoi pensieri e si costrinse a ripassare gli schemi di gioco a Quidditch: -Struttura a diamante: i battitori si posizionano in punta guidando e coprendo il cercatore…-

Lucius interruppe il suo ripasso mentale: -Draco, sei in ritardo-  Narcissa aspettò che l’affermazione fosse ben percepita, quindi osò continuare, dopo un cenno di assenso del marito: -E’ un piacere averti a casa-

La risposta gli uscì di getto abbastanza sarcastica: -Lo è anche per me, madre, credetemi- Il biondo si chiese se i genitori avessero udito la sottile ironia e si stupì di essere diventato così audace. Abbassò subito il capo.

Fissò la donna negli occhi, paragonandola a come se la ricordava. Era una bella donna: alta, sottile, dalla pelle quasi trasparente e dai lunghi capelli biondi, intrecciati in un’acconciatura elaborata sul capo. Il viso era magro e incorniciato da boccoli artificiosi, le labbra pallide, le mani nervose. Quasi scompariva nel vestito ampio e pesante, color eliotropio, che richiamava ancora i tempi dell’ottocento. I genitori disprezzavano sia le vesti da maghi: mantelli, tuniche e cappelli, sia quelle babbane, nonostante Draco trovasse i jeans molto comodi. Gli occhi erano identici ai suoi: cangianti, tempestosi, quasi grigi. In quel momento gli sembrarono pietosi e quella cosa lo raddolcì.

-Dobbiamo parlare- continuò Lucius. Sembrava una versione di Draco più adulto; erano uguali: stessi capelli, stesso fisico, stesso viso. –Narcissa, aspetterai nel salottino, noi andremo nel mio studio -

La moglie annuì servilmente, tanto da suscitare rabbia al ragazzo.

-Mia madre può restare, se vuole- pronunciò a denti stretti.

Lucius lo guardò come se avesse detto un’idiozia e come se gli avesse mancato di rispetto: -Ho detto che Narcissa aspetterà nel salottino e così sarà. Ci siamo capiti?- Il suo tono tagliava come il vento maestrale a dicembre. I suoi occhi lampeggiarono irati, ma Draco riconobbe anche lo stupore nelle iridi chiare.

Però comunque deglutì, abbassando gli occhi: -Si, signore-

Seguì il padre nei corridoi, sentendosi male mano a mano che si avvicinava al centro della casa, il grande studio privato, nel quale potevano accedere solo gli uomini. Era arredato con stile rigorosamente maschile: massicce poltrone di cuoio color cioccolato, bottiglie di brandy e firewhisky invecchiato, tavoli di mogano scuro, trofei e scope da collezione appese alle pareti.

-Sei un debole, sei un fallito…- questa era la cantilena che Draco sentiva risuonare nelle orecchie, distraendolo, confondendolo. Con un cenno l’uomo gli indicò una poltrona davanti al camino, mentre si serviva di scotch dal colore ambrato. Il ragazzo fissava il liquido vorticare nel bicchiere, concentrandosi solo su esso; aveva il colore dei capelli di Ginny illuminati dal sole.

-Allora Draco, sai perché ti ho chiesto di venire, vero?-iniziò studiando i cubetti di ghiaccio trasparenti con interesse scientifico. Senza nemmeno aspettare una risposta (Draco sapeva bene che odiava essere interrotto) continuò languido come un serpente a caccia –Il nostro Signore Oscuro è risorto e ci ha chiamati nelle sue schiere come suoi combattenti leali e affidabili. Hai ricevuto il Marchio tempo fa ormai ed è giunto il momento che anche tu incontri il Padrone, che vuole fare la tua conoscenza e assicurarsi la tua totale fedeltà. La tua iniziazione e quella dei tuoi compagni nell’esercito dei Mangiamorte- qui il ragazzo trasalì –si terrà a marzo. Quindi avverrà la Guerra Magica che finalmente eliminerà tutti i babbani e i sanguesporco, ripristinando la purezza dei maghi-

Le parole erano piene d’orgoglio, fredde, spietate, come se percepisse la paura del figlio e il suo rifiuto; erano lame di coltello nel cuore di Draco.

-Sei contento, Draco? Non è quello che desideravi…?-

Mentre sentiva la bile risarirgli in gola e il sangue rimbombare nelle orecchie, rispose in un sussurro: -Si-

Lucius si alzò e sbattè la mano sul tavolo con violenza, provocando un rumore fortissimo: -Dillo più forte-

-Si, padre- Draco lo guardò negli occhi, con odio, con quell’acrimonia che non dovrebbe esistere negli occhi di un figlio, desiderando la sua morte con tutto sé stesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Incomprensioni ***


 

POV GINNY

Aveva sentito un’incresciosa inquietudine ricoprirla quando aveva visto Draco buttare la lettera che aveva ricevuto sul tavolo e uscire. Voleva seguirlo, davvero, ma le sembrava che il ragazzo volesse stare da solo, da quanto le aveva fatto intendere con quel cenno. Doveva essersi mossa irrequieta sulla panca perché sia Diane che Demelza, e anche qualcun altro, la stavano osservando con sguardo interrogativo. Fu la voce sottile dell’amica bionda a rompere il silenzio creatosi fra loro, mentre il chiacchiericcio di sottofondo e il normale sbattere di stoviglie e di tazze riiniziava: -Gin, che cosa è successo?-

-Non lo so proprio, Diane…- Ginny era sconsolata. Ripensò agli avvenimenti della sera prima e si sentì sciogliere. Era andato tutto così bene: avevano parlato tanto e finalmente Ginny era riuscita, con fatica, ad individuare un ritratto di Draco. L’aveva fatta sentire a suo agio e contemporaneamente le aveva provocato uno sciame di farfalle nello stomaco. Sembrava quella storia da film o da libro babbano, quella che non immagini possa accadere proprio a te. Ginny si era addormentata tra le sue braccia, dopo aver perso il conto dei baci che si erano dati e dopo non essere più riuscita a distinguere il suo profumo alla violetta da quello di Draco. Le si curvò un angolo della bocca al pensiero di come aveva rimesso lo stesso maglioncino del giorno prima per non disperdere il profumo di colonia del ragazzo. La faceva sentire così infantile e così felice al tempo stesso.

All’improvviso però mille interrogativi le si affollarono nella mente, mano a mano che il nervosismo cresceva: -E se non gli piacciono i miei capelli? O le lentiggini?- Il ricordo di Draco che le arricciava un boccolo intorno al dito o che le seguiva la scia di efelidi sulle spalle con la mano, la fece desistere da questo pensiero. Ovviamente gliene vennero in mente altri: -E se russo? O magari dormo a bocca aperta? Se parlo nel sonno? Se non sono abbastanza magra? O intelligente? O ricca come le altre Slytherin? Cioè Draco è così bello ed io sono solo io!-

Fu solo allora che capì di aver parlato troppo: gli occhi delle sue amiche erano spalancati, ma non erano nemmeno comparabili a quelli di Ronald Bilius Weasley, in piedi davanti a lei, che la fissava scandalizzato.

Ginny notò come se i suoi occhi fossero una cinepresa che riprendeva la scena dall’alto il viso del fratello diventare sempre più rosso, le narici allargarsi, la bocca stirarsi e sentì le sue parole rimbombare dentro di sé in un irreale eco: -Allora, è vero-

La sensazione-cinepresa finì e Ginny si risvegliò all’improvviso nel suo corpo, percependo il cuore battere all’impazzata e le orecchie ronzare. Non aveva voglia di chiedere che cosa fosse vero, quanto avesse capito, che cosa il fratello volesse fare. La sola cosa che pensò fu: -Devo uscire di qui-

E così fece. Lasciò la borsa, il mantello, i libri e scappò via, rincorsa da Ron che la chiamava.

Per la seconda volta calò un silenzio irreale in Sala Grande: Ginny sentì gli occhi di tutti gli alunni addosso come presenza sgradite. Spalancò le porte con violenza e continuò a correre fino a quando non si accasciò, sfinita, contro una colonna, certa di aver seminato il fratello.

-Gin, Ginnina! Dove sei? Ti devo parlare! Ginny, ti prego!- udì la voce di Ron e la cosa che più la stupì era che il tono sembrava angosciato e preoccupato, invece di iroso come immaginava.

-Ron, sono qui- disse infine debolmente. Lo vide svoltare l’angolo con la sua andatura dinoccolata e un’aria  di sollievo. Aveva tutti i capelli arruffati e le scarpe slacciate. Ginny s’intenerì e si chiese che cosa non fosse mai funzionato tra loro: forse la sua possessività, forse il fatto che era la sua unica sorellina.

Adesso Ron era davanti a lei e si dondolava sulle punte, spaesato e in imbarazzo; non c’era più stato un contatto familiare da tanto tempo.

-Posso sedermi qui, con te?- Ginny annuì.

-Ecco sai, io volevo raccontarti una cosa che è successa, ehm, ieri. Io sono preoccupato per te. Ho incontrato Malfoy che camminava nel parco con quella sua aria insolente e altezzosa- qui il suo tono s’infervorò –e gli ho lanciato una palla di neve-

-Molto maturo da parte tua- mormorò Ginny alzando gli occhi al cielo e stringendo i denti.

-Ma non è questo che conta! Ehm, allora, lui mi ha provocato ed io ho risposto- la ragazza lo vide arrossire improvvisamente e immaginò che le cose fossero andate diversamente, ma non fece commenti –Lui, molto compiaciuto, ha accennato a qualcosa che stava accadendo fra voi e al fatto che probabilmente i vostri rapporti sarebbero diventati più, ehm, intimi con il tempo… Sai Ginny, io non volevo crederci, insomma tu sei la mia sorellina, non avresti mai fatto qualcosa del genere con un Malfoy, vero? Un Malfoy! Ah ah!-

Ron ridacchiò da solo, mentre Ginny analizzava meglio le sue parole, cercando di capire che cosa veramente suo fratello le stesse dicendo.

-Dopo ha anche affermato, quel bastardo, che sei una ragazza, come posso dire, facile e allora non ho più resistito e l’ho colpito.-

Ginny rivide il flash di lei che chiedeva, scherzosamente, mentre analizzava il taglio sulla guancia di Draco:

“-Ma hai fatto a pugni con un centauro?-

E lui: -No, con tuo fratello- “

Boccheggiò in carenza di ossigeno, accorgendosi di aver trattenuto il fiato e di essersi morsa il labbro, sentendo il sapore ferruginoso in bocca.

Ma Ronald beato concluse l’ammonimento, immaginando situazioni così lontane dalla realtà da far ridere quasi istericamente Ginny: -Quindi sorella cara, ti ripeto che devi indossare gonne più corte ed essere più riservata, altrimenti tutti penseranno male di te e ti useranno per ferirmi. E tu non vuoi che il tuo fratellino si senta in imbarazzo verso di te, vero? Bene, sono contento che abbiamo chiarito! Adesso vado e ricorda: gonne lunghe!-

Ronald non aveva proprio capito nulla. Nulla. La risatina nervosa le uscì lo stesso e la fece tremare. Quanto era stata patetica! Finalmente aveva capito tutto: Draco voleva solo portarsela a letto. Non solo, la considerava anche una sgualdrina. Era un’altra tacca sulla scopa? Una scommessa fatta con gli amici? Tutte quelle dolcezze, la stanza della Necessità, i baci, erano menzogne.

Menzogne, bugie, frottole. L’aveva raggirata per bene, ci aveva dedicato anche del tempo, vedendo che non cedeva subito, che non era effettivamente “una ragazza facile” come dicevano in giro. Ginny strinse gli occhi per non piangere; lei che odiava sentirsi debole e indifesa, che odiava sentire il sapore salato delle lacrime in gola, i singhiozzi convulsi. Ricacciò indietro le lacrime agli angoli degli occhi con i pugni, mordendo più forte che poteva il labbro inferiore per impedirsi di cedere. Pian piano il suo respiro si regolarizzò, gli occhi si seccarono e la bocca non tremò più.

Era stata una lezione esplicativa di come non bisognava fidarsi dell’amore. L’amore è subdolo: prima ti disarma e poi ti attacca.

Ginny sapeva esattamente che era il suo animo ferito a farle affermare sentenze così dure, però la prossima volta ci avrebbe pensato per bene, prima di innamorarsi di un ragazzo.





....violadelpensiero....vi sta parlando.... pardon, scrivendo....
Wow! Mi piace complicare le cose: sembrava tutto troppo facile, no? Anche secondo me. Bene, spero che stiate continuando a seguire la storia nonostante il mio altalenante e discontinuo aggiornamento; purtroppo devo ritagliarmi degli angoli di tempo per scrivere e sono veramente pochi. Grazie per essere ancora qui. Mi sento felice.
Un abbraccio,
Viola

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Consapevolezza ***


POV DRACO

Draco si guardò nello specchio antico nella sua camera, sistemando il fastidioso colletto di pizzo della camicia. Più di ogni altra cosa, odiava indossare gli abiti in stile ottocentesco, nonostante fosse comunque impeccabile. Il completo blu di velluto di quella sera gli calzava a pennello e faceva risaltare gli occhi grigi, ma ricordava troppo il mondo bigotto dei suoi genitori, la loro ostinazione a vivere come una famiglia purosangue tradizionalista. Draco sistemò i capelli all’indietro, appiattendoli sulla testa con le mani bagnate e indossò l’anello con il simbolo della casata dei Malfoy: era un uroboro, un serpente nero che si mordeva la coda, con dentro incisa una M d’argento e smeraldi.

Vedere la sua camera gli aveva provocato un vago senso di disagio. Sembrava così estranea, quasi asettica, come se fosse di uno sconosciuto. Tutti i trofei di Quidditch, i libri di famiglia, i quadri di avi arcigni alle pareti gli ricordavano costantemente la sua appartenenza ai Malfoy. Erano passate solo poche ore da quando era tornato a casa e già gli mancava Hogwarts, la sua camera e soprattutto Ginny. Ricordando come l’aveva freddata mentre usciva dalla Sala Grande, sentì un vago sentimento di rimorso e desiderò di parlarle.

Draco sentì la campanella che annunciava la cena risuonare per la casa, così prese la porta e percorse i lunghi corridoi. I suoi passi erano ovattati dalla moquette. Giunse nel grande salone illuminato a giorno da numerose candele e vide sua madre in piedi accanto al tavolo in un ampio abito color avorio di pizzo sangallo. Al ragazzo sembrò ancora più piccola e sottile di quel pomeriggio. Indossava un collare di diamanti e perle intorno al collo e degli orecchini con due rubini grandi come nocciole. Appena lo vide, smise di torturarsi le mani nervose e lo raggiunse a piccoli passi, salutandolo, Draco se ne rese conto con stupore, timorosamente:

-Vieni Draco, sediamoci intanto che aspettiamo tuo padre. Non tarderà molto-

-Si, madre- rispose automaticamente. Scostò la sedia alla destra di quella a capotavola e aspettò che la madre vi si posizionasse, quindi la avvicinò al tavolo e si sedette a sua volta, dal lato opposto.

-Come va a scuola?- domandò cautamente Narcissa. Il ragazzo capì che stava tergiversando: qualunque cosa gli dovesse dire, era di difficile formulazione o forse richiedeva troppo coinvolgimento, sentimento che la madre non aveva mai avuto nei suoi confronti, da sempre sottomessa all’autorità del marito e al suo metodo d’insegnamento, nonostante quello dovesse consistere nel crescere un bambino con durezza e rigore, affinchè diventasse invincibile. Guardandola in modo diretto Draco esclamò: -Madre, che cosa mi devi dire? Vai al punto-

Narcissa sbiancò se possibile ancora di più e portò una mano al cuore, come se il figlio le avesse veramente inflitto un dolore fisico. Contemporaneamente si sentì una voce irosa urlare da un’altra stanza il nome della donna che scattò immediatamente dalla sedia e si diresse verso la porta. Girandosi prima di uscire verso Draco, che intravide lacrime trasparenti agli angoli degli occhi, mormorò con la voce piena di angoscia:- Mi dispiace tantissimo, ti prego credimi-

Draco capì che Narcissa sapeva della data della sua iniziazione. Sapeva che suo figlio sarebbe diventato un malfattore, un assassino e non aveva fatto nulla. Il biondo aveva voglia di urlare, però qualsiasi rumore molesto era severamente punito a Malfoy Manor, così si morse la mano fino a quando non si stamparono i segni rossi dei denti nella pelle.

L’aveva tradito, ancora una volta.

Draco quella sera tornò al Castello dopo al coprifuoco, ma quando entrò nella sua stanza, cercando di fare meno rumore possibile, vide Theodore e Blaise alzati ad aspettarlo. Erano in piedi, gli sguardi fissi sulla porta, la postura rigida e preoccupata. Entrambi si rianimarono e gli corsero incontro. Inaspettatamente Blaise lo guardò un po’, quindi lo abbracciò stretto. Draco si fermò, allibito, quindi sciolse i muscoli e diede due pacche sulle spalle all’amico. Con Theodore fece lo stesso. Erano di nuovo tutti insieme.

Draco si schiarì la voce e disse: -La nostra iniziazione avverrà a marzo. E’ improrogabile: entreremo nei Mangiamorte- Entrambi gli amici non sembrarono stupiti; sapevano che il momento sarebbe stato fissato a breve. Era comunque impossibile non cercare una scappatoia, una via di fuga dall’ineluttabilità del destino. Blaise s’incupì, mentre Theo si fece ancora più pensieroso, più distante.

Draco aveva bisogno di schiarirsi le idee. Voleva per un po’ dimenticare tutti gli avvenimenti. Si versò del Fire Whisky in un bicchiere, ma l’alcool non gli diede pace, anzi alimentò ulteriormente i suoi interrogativi. Sentì il desiderio di non sembrare il forte della situazione, di farsi consolare. Non potevano farlo i suoi amici questa volta: erano nella sua stessa situazione. La mente corse spontaneamente a Ginevra: doveva vederla e baciarla; forse il senso di colpa sarebbe diventato più sopportabile. Scrisse velocemente un messaggio in cui le chiedeva di vedersi a mezzanotte e mezza alla Stanza delle Necessità e giunto silenziosamente in Gufiera, lo affidò al suo falco reale. Quindi s’incamminò verso il settimo piano, assaporando il piacere del silenzio, della pace e della notte. Sperò che si svegliasse al sentir graffiare il vetro dall’animale e che avesse voglia quanto lui di vederlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Tradimento ***


POV GINNY

Ginevra correva, ormai senza fiato, da cinque minuti nella Foresta Proibita. Era una notte buia e ventosa, illuminata solo da qualche raggio di luna piena che riusciva a penetrare tra le fronde irte di rami aguzzi. Sembrava che le ombre degli alberi rinsecchiti si allungassero e si dilatassero fino a ghermirla e a strapparle i capelli. I lamenti del vento e gli ansiti della ragazza erano solo alcuni dei suoni che pervadevano il bosco.

La rossa inciampò in una radice che si srotolava dal terreno e cadde sbattendo malamente sulle mani, graffiandosi le ginocchia e sporcandosi di fango e foglie secche. Sentì in bocca il sapore ferroso del sangue quando si morse la guancia e anche quello terroso della polvere. Un ringhio e un grattare di unghie –artigli, realizzò- risuonò da dietro la sua testa e la fece rabbrividire. S’irrigidì, improvvisamente immobile, cercando di rendere impercettibile ogni respiro. Per un po’ di tempo non percepì alcun suono, alcun movimento ma, proprio quando stava per girare il volto, la Bestia le saltò addosso e la azzannò.

Ginny si svegliò madida di sudore, a terra, raggomitolata sul tappeto della sua stanza. Si ficcò un pugno in bocca per non urlare, soffocando i gemiti. Era accaldata, come se avesse corso e la gola le doleva; probabilmente aveva urlato nel sonno. Alzandosi rasente al muro, guardò le compagne addormentate: Demelza con una mano abbandonata nel vuoto e le lenzuola accartocciate ai suoi piedi e Diane coperta fino al naso, abbracciata al cuscino. Sentì un singulto salirle in gola, un macigno opprimerle lo stomaco, un batuffolo di cotone formarsi nella trachea. Non riusciva a respirare bene.

Dentro, fuori.

Inspira, espira.

Poi udì di nuovo il grattare di qualcosa contro il vetro ed urlò, portandosi le mani alla bocca. Ginevra si voltò verso la finestra e intravide l’ombra di un uccello. Si chiese chi mai potesse volerla contattare a quell’ora di notte, però l’aprì comunque, dopo aver trovato un biscotto stantio per gufi nel cassetto della scrivania. L’animale era un maestoso falco dal piumaggio lucente e aveva un messaggio tra gli artigli; stese una zampa con lentezza, guardandola in modo altero e quasi sdegnoso. Ginny cautamente sfilò la pergamena dal contenitore e porse il bocconcino al rapace, che non la guardò nemmeno e volò via.

La ragazza riconobbe immediatamente la scrittura un po’ inclinata, alta e oblunga, vergata in inchiostro verde scuro. Draco, ovviamente. La osservò con malinconia piuttosto che con rabbia, pensando che comunque, nonostante tutte le cose che era venuta a sapere, sentiva il bisogno di abbracciarlo e di vederlo ancora. Soppesò le ipotesi: era meglio andare e permetterle di spezzarle il cuore più di quanto non avesse già fatto o far finta di non sapere nulla, cercando di godere il tempo che gli rimaneva con lui? Passeggiò nervosamente sul tappetò, strascicando i piedi.

-Vai- le sussurrò una voce roca. Diane si era alzata e si stringeva nella coperta rosa –Subito-

Ginny infilò una felpa di Fred sopra alla maglia del pigiama e, afferrando la bacchetta, uscì. Sentiva gli occhi malinconici di Diane che la fissavano, ma non si girò. Scese in fretta le scale e guardò l’orologio sopra al camino: era tardi; mezzanotte e venti. La sala comune era gelida e buia, Ginny rabbrividì, accorgendosi di essere a piedi nudi. Affondò il naso nella felpa e iniziò a correre.

I personaggi dei quadri nei corridoi dormivano, alcuni silenziosamente e altri no e tutte le luci erano spente, così Ginny dovette illuminare la punta della bacchetta per orientarsi: -Lumos- Sentì un groppo salirle in gola, un masso di inquietudine, rabbia, rimpianto, nostalgia chiuderle la trachea e farle ronzare le orecchie.

-Non piangere, non puoi piangere, non devi piangere. Sei una Grifondoro e sei coraggiosa- Ginny ripetè questa frase come un mantra per convincersi che non stava devastando la sua vita con le sue stesse azioni. Andare da Draco e vederlo l’avrebbe lacerata, lo sapeva. Ma l’avrebbe anche aiutata a chiudere questa storia e a ricominciare. O no?

Scoccò mezzanotte e quarantacinque da un importante orologio appeso al muro quando Ginny entrò nella Stanza delle Necessità, camminando avanti e indietro tre volte davanti al muro del Settimo Piano.

Draco era in piedi davanti al camino, lo sguardo corrucciato e la postura rigida. La rossa capì che era preoccupato se sarebbe venuta o no. Si schiarì la gola per segnalare la sua presenza e quando Draco si voltò, quasi si mise a piangere per il sollievo che vide nel suo viso e per il rimpianto. Come poteva essere ancora innamorata di una persona che l’aveva fatto soffrire così tanto? Draco le corse quasi incontro e spalancò le braccia per accoglierla; sembrava stanchissimo, quasi prostrato, ma felice solo per il fatto di vederla. Ginny non riusciva capire come facesse a fingere così bene, nonostante tutto. D’altra parte era una Serpe; era abituato a mentire, a essere meschino, a giocare con i sentimenti altrui.

Si sentiva sempre più stupida. E arrabbiata.

Lo respinse rudemente con una mano, incrociando le braccia davanti al petto e notando lo sguardo ferito negli occhi adamantini. Sì, era bravo a fingere, ma lo era anche lei. Assunse l’aria più distaccata e fredda che riusciva a interpretare e disse:

-Che cosa vuoi, Malfoy?- Le sue parole bloccarono Draco sul posto, rendendolo cauto e rigido come un animale braccato.

-Ginevra… Che cosa c’è?! Se sei arrabbiata perché ti ho fermata quando sono uscito dalla Sala Grande stamattina, fidati, c’era un suo perché. Non mi sembra l’atteggiamento adatto da tenere- la sua voce era infastidita, ma comunque conciliante.

Ginny strinse gli occhi in due fessure e avanzò verso di lui con passo ferino:

-Stamattina ho parlato con Ronald quando te ne sei andato- cominciò noncurante – e sai che cosa mi ha detto?-

Come se ricordasse tutto all’improvviso, come se non sapesse esattamente che cosa Ginny gli stava dicendo, la sua espressione assunse un’aria allarmata da non-è-come-credi che la fece infuriare ancora di più.

Il suo tono salì mentre continuava impietosa: -Mi ha raccontato di quel pomeriggio in cui vi siete picchiati, con la differenza che lui mi ha informata di un particolare in più-

-Ginny, davvero, io…- per la prima volta vedeva Draco supplicarla. Vedeva il volto contratto, paonazzo, le mani strette a pugno e le sopracciglia aggrottate. Il suo ragazzo Slytherin, il suo bellissimo ragazzo tormentato, che però non conosceva amore, solo falsità.

- Smettila di metterti sempre in mezzo! La questione non sei tu! Il problema adesso sono IO! Che cosa pensavi di fare, eh? Di dire: “Guarda un po’, le mie sgualdrine Serpeverdi non mi bastano, proviamo la Weasley, è esotica!”. Tanto tutta la scuola dice che è una zoccola, che è una facile: ci starà sicuramente con me, sono Draco Malfoy- Ginevra si accorse di sembrare isterica, derisoria, quasi pazza, ma non riusciva a fermarsi, soprattutto vedendo un lampo di riconoscimento degli occhi del ragazzo.

-Pensavi che te l’avrei data subito? Invece, guarda un po’, non è stato così! Che cosa ti ha spinto allora a continuare a provarci, vedendo che non ero “facile” quanto credevi, che non aprivo le gambe quando mi baciavi?-

Draco riuscì a interromperla solo quando si fermò per un singhiozzo: -Ginny, non è andata così! E’ vero, ho incontrato tuo fratello che mi ha infastidito e per ferirlo gli ho detto cose di cui mi vergognerò sempre, ma non volevo! E’ stato l’unico modo che avevo per attaccarlo. Ho sbagliato, Ginevra. Perdonami. Ti prego- Era quasi in ginocchio davanti a lei, però ormai la ragazza era diventata insensibile quanto un manichino.

-Quindi non hai ancora gettato la spugna, vedo. Pensi ancora che tutto potrà ritornare come prima. Stammi lontano, Malfoy, o te ne pentirai. E non farti più vedere-

Draco la rincorse, urlando adesso iroso: -No, Ginny, lasciami spiegare, non puoi fare così! Aspetta-

Ginny camminò verso la porta, calpestando i frantumi del suo cuore, pungenti come schegge di vetro. Singhiozzava silenziosamente, svuotata, annichilita. Non sentiva più niente. Non sentì più niente nemmeno quando Draco le afferrò un braccio, la voltò e premette violentemente le labbra sulle sue. Rimase immobile, mentre il ragazzo cercava di aprirle la bocca e di farle ricambiare il bacio disperatamente. Draco mormorò il suo nome sulle sue labbra e Ginny sentì il sapore salato delle lacrime, ma non distinse se fossero le sue, copiose, o quelle di Draco.

Si divincolò ed uscì senza nemmeno voltarsi indietro.

 

Scusatemi per il mio ritardo ingiustificabile! Si, si avete ragione, non è socialmente accettabile lasciar aspettare delle signorine perbene per settimane una fanfiction che non prosegue… Comunque eccomi qui e un grazie infinito a tutti quelli che ancora mi seguono e mi recensiscono!

Le cose si fanno difficili, eh? Spero che questo capitolo vi piaccia perché ci ho lasciato il cuore anche io.

Un bacio,

Viola

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Stasi ***


 

POV DRACO

Rimasto solo Draco urlò di frustrazione, ma decise di non seguire Ginny. Si sentì male al pensiero di che cosa aveva fatto: l’aveva quasi costretta a baciarlo, forzandola. Si odiò.

Però in quel momento era anche arrabbiato con lei; non gli aveva permesso né di spiegarsi, né di difendersi. Non sapeva come erano andate veramente le cose e non aveva il diritto di reagire così. Draco camminò nervosamente per la stanza, passandosi le mani tra i capelli già spettinati e cercando di respirare profondamente per calmarsi. Si avvicinò alle cornici allineate sopra al camino e con una forte manata le buttò tutte giù. Vide il vetro infrangersi in mille schegge trasparenti e l’argento e il legno accartocciarsi sul pavimento; sparpagliò i pezzi con i piedi, sentendo uno scricchiolio fastidioso. Prese anche i libri dalla biblioteca, afferrandoli uno per uno e lanciandoli contro la parete: il tonfo sordo del colpo e l’indolenzimento dei muscoli lo appagarono, quietando un po’ la rabbia. I cuscini furono sventrati fino a quando candide piume non ricoprirono ogni superficie e le coperte alla fine del trattamento erano solo un mucchio di stracci sbrindellati sul pavimento. Alla fine un luccichio tra le coperte attirò l’attenzione di Draco. Il ragazzo si chinò accanto al letto e frugò tra i rimasugli di stoffa, scoprendo un medaglione d’oro finemente decorato con delle iniziali incise: “G.W.”

Tutta la rabbia che aveva in corpo si dissolse magicamente alla vista del gioiello e si trasformò in tristezza. Strinse il medaglione saldamente tra le mani, osservandolo più da vicino: vi era in rilievo l’immagine di una fata che danzava sulla superficie di un lago e la scritta “Gwenhwyfar”. Gli si strinse il cuore dal rimorso. Rimasto solo nella notte, decise che avrebbe fatto di tutto per conquistarsi di nuovo la sua fiducia.

                                                                  

Draco non riuscì a dormire quella notte, com’era prevedibile. La mattina dopo, verso le sei, uscì dalla stanza prima che i suoi compagni si svegliassero, non volendo dover rispondere a domande premurose si, ma insistenti su come si sentiva. Sapevano benissimo tutti e tre che diventare Mangiamorte, assassini, malfattori era l’ultima cosa che avrebbero voluto fare. Ne erano convinti da quando era stato imposto loro il Marchio del Male. Era vero che affermavano la superiorità delle famiglie pure dei maghi il cui sangue si tramandava da secoli, ma arrivare a uccidere ogni mezzosangue, magonò o babbani era una follia. Però nessuno di loro, mai, aveva osato esporre questa decisione ai rispettivi genitori: le antiche conseguenze d’insubordinazione e di atti di ribellione erano incise sulla pelle con cicatrici slavate, ematomi mai riassorbiti o segni rossi. Non erano però state le violenze e le percosse a rendere i rampolli delle più prestigiose famiglie Purosangue Slytherin ubbidienti e remissivi; fin da piccoli infatti i rigidi metodi educativi e le regole inculcate a forza erano bastati per la completa assimilazione. Draco non voleva essere così, insensibile, violento: voleva essere un ragazzo come tanti altri. Per un attimo desiderò non appartenere alla casata dei Malfoy, da sempre motivo di grande vanto e onore.

I suoi pensieri ronzavano nella mente come uno sciame di vespe impazzite, non gli davano tregua, anzi si ripresentavano proprio quelli che voleva evitare a tutti i costi: il pensiero di mettere la parola “fine” tra lui e Ginny, quello di essere richiamato a casa senza salutarla, quello di non poterla baciare mai più. Era insopportabile! Doveva parlarle immediatamente. Decise che avrebbe aspettato fuori dal suo dormitorio.

-Non me ne frega niente se mi vede qualcuno! Tanto che cosa è importante più del tempo che mi rimane con lei?- pensava passandosi le mani fra i capelli e spettinandoli. Allacciò le dita intorno al medaglione di Ginevra che portava in tasca. Era lucido, liscio e piacevolmente caldo. Non aveva tanta voglia di restituirglielo perché probabilmente lo avrebbe preso senza dirgli una parola. L’avrebbe guardato da sotto le ciglia ramate, mordendosi il labbro indecisa, con quei suoi occhioni verdi e poi si sarebbe voltata, ringraziandolo con un cenno. Arrivò davanti al quadro della Signora Grassa che lo guardava sospettosa e si appoggiò ad una colonna, aspettando impaziente la ragazza. Tamburellò con il piede sul pavimento e si mise a fissare il cielo per capire se le sfumature fossero più tendenti al madreperlaceo o al ceruleo. Doveva pur passare il tempo, no? Alla fine i primi studenti iniziarono ad uscire, guardandolo chi allucinato, chi come se non credesse ai loro occhi, chi abbastanza indifferente. Draco mantenne un’espressione neutra, ma non ostile. Le lancette dell’orologio scorrevano inesorabili mentre il suo nervosismo aumentava. E se qualcuno l’aveva avvertita della sua presenza? E se non voleva più uscire? Mancavano pochi minuti al suono della campanella che annunciava l’inizio delle lezioni quando Ginevra, la sua fata del lago, varcò distratta la porta del dormitorio con la cravatta allentata, i libri che le sfuggivano dalle mani e il mantello strisciante per terra. Il ragazzo non poté impedirsi di sorridere; quella era la sua ragazza:  disordinata, ritardataria, pensatrice, occupata.

Draco adorava farla ridere e spianarle l’espressione spesso corrucciata. Adorava vedere i suoi occhi che brillavano quando la baciava. Arricciare un boccolo ramato intorno al dito per creare una spirale perfetta, cercare di contarle le lentiggini color caffelatte sul naso, baciare la pelle morbida tra le dita. Le corse incontro con il cuore in gola e le afferrò un braccio. Una spiacevole sensazione di deja-vù lo riportò alla notte precedente e probabilmente fu così anche per Ginny poiché il suo viso si accigliò.

La rossa non scappò, tuttavia scivolò via dalla sua presa e lo guardò stancamente: -Draco, che cosa vuoi?-

-Mi manchi- Draco deglutì, sentendo la gola chiusa e sapore di polvere in bocca. Per tutta risposta Ginny emise un risolino strozzato e fece per andarsene. Non osò afferrarla ancora.

-Ginevra, non andare. Io… voglio parlarti! Non hai capito-

-Oh, io ho capito benissimo ed ora, scusami, ma sono di fretta- si girò un’ultima volta, addolcendo il tono    –Vai in classe, Draco. Lasciami un po’ di tempo. Devo pensare, okay?-

-Okay- il suo sussurro fu udito solo dalla Signora Grassa.

                                                                                           

Le giornate da lì in poi furono interminabili. Ormai mancava poco all’inizio delle vacanze di Natale e Ginny non sembrava per niente intenzionata a collaborare. I professori assegnavano montagne di compiti e centimetri di pergamena da compilare, ma Draco si limitava a fare il minimo necessario. Suo padre l’avrebbe picchiato per la bassezza dei voti, che erano comunque dignitosi. Si stupì della laconicità con cui analizzò l’inevitabile. Suo padre l’avrebbe picchiato: la normalità per lui, no? Arrivò una lettera in cui la sua famiglia esprimeva il desiderio di saperlo a casa per le feste, come se gli fosse permesso avere una qualche remota possibilità di scelta. Lo consolò il pensiero che Blaise sarebbe stato con lui; il cugino Purosangue era ben accetto nella famiglia Malfoy. Anche Theodore li avrebbe raggiunti in seguito. Tutti i loro genitori erano imparentati, anche se alla lontana, e si conoscevano dall’infanzia. Condividevano gli stessi ideali e appartenevano ai Mangiamorte del Signore Oscuro.

–Completamente legati- pensò con un moto di stizza, lanciando un bicchiere sul tappeto della sua camera.

Il giorno della partenza fu frenetico, chiassoso e allegro. Tutto il contrario dei sentimenti che scuotevano l’animo di Draco: a lui sembrava un giorno di lutto. Comunque non era il solo tra gli Slytherin ad avere la faccia scura e la fronte aggrottata; diversi ragazzi appena arrivati a casa avrebbero dovuto sottostare per due lunghissime settimane alle regole della società Purosangue che prevedeva abiti scomodi e pesanti, trattative di matrimonio, dote per le ragazze e iniziazioni, marchi, incontri formali per i ragazzi. Draco preparò la valigia con il minimo indispensabile e si sedette sul letto fissando il vuoto. I suoi amici avevano notato la sua irritabilità e scontrosità, perciò lo avevano lasciato stare per un po’. Più loro lo avessero pressato, più lui si sarebbe allontanato.

Blaise lo scosse leggermente: -Draco, dobbiamo andare. I tuoi ci aspettano- Il biondo annuì, ma sembrava restio ad andarsene; passava le dita distrattamente su un medaglione dorato che aveva in mano. Blaise era terribilmente curioso di sapere chi glielo avesse donato, perché lo possedesse o a chi appartenesse, però Draco non se ne separava mai, nemmeno per dormire. Si era però fatto un’idea che riguardava una certa Gryffindor… Mentre uscivano dal castello per raggiungere la carrozza privata, Draco si voltò un’ultima volta, sperando di vedere la sua ragazza dai riccioli rossi corrergli incontro. Sperò invano: nessuno uscì dal portone di legno massiccio.

Salì sulla carrozza e si mise a guardare il cielo. Era senza dubbio grigio perla.

POV GINNY

Non trovava il medaglione da nessuna parte. Aveva interrogato minuziosamente Arnold che le aveva fatto capire sia di non esserselo mangiato sia di non averlo nascosto per gioco, nemmeno nella scatola dei biscotti. Diane l’aveva aiutata a cercarlo mettendo a posto i suoi vestiti e riordinando il suo baule, ma la stanza era a posto. L’amica bionda non le aveva nemmeno rivolto una smorfia da te-l’-avevo-detto-che-tutto-questo-disordine-ti-avrebbe-portato-guai e di questo Ginny le fu molto grata. Demelza invece rincarò la dose indelicatamente, però scrollandola da quella specie di torpore, di sogno in cui viveva dopo il litigio con Draco. Aveva saputo da lei che era infatti partito quella mattina, in carrozza con Blaise verso Malfoy Manor. Ne fu sollevata: era a conoscenza della violenza e dell’autorità del signor Malfoy; probabilmente non avrebbe dato troppo in escandescenze se fosse stato presente anche il cugino. Lei e i suoi fratelli dovevano partire quella sera stessa quindi c’era poco tempo per trovare il medaglione. Era un antico gioiello di famiglia in oro brunito che apparteneva a una sua prozia, dalla quale aveva ereditato il nome e, a quanto si diceva alle cene parentali, il carattere fumantino. Le dispiaceva moltissimo perderlo e inoltre non riusciva a immaginare le sfuriate di sua madre se lo fosse venuto a sapere. Decise di andare a guardare nella Stanza delle Necessità. Sarebbe stato doloroso probabilmente, ma inevitabile prima o poi.

La Stanza era arredata esattamente come ricordava, però a pezzi. Completamente distrutta. Ginny osservò sconcertata le cornici d’argento accartocciate sul pavimento, i vetri e le piume disseminate per la stanza, i divani sventrati, le lenzuola stracciate. Aveva fatto Draco tutto ciò? E perché mai? Era lei l’arrabbiata! O no? Iniziarono a venirle dei dubbi e il rimorso di non averlo fatto parlare né quella famosa notte né il giorno dopo, quando l’aveva cercata davanti al dormitorio. Frugò dappertutto tra le macerie e le rovine del luogo che così tante volte li aveva protetti dagli sguardi indiscreti e dai commenti malevoli. La gente non avrebbe capito. C’era in suo profumo nella stanza, inconfondibile. All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, si rese conto che le mancava tutto quello che c’era prima e che non credeva che Draco stesse fingendo quando l’accarezzava, quando la baciava dolcemente. Troppo da realizzare in una volta sola: scivolò contro la testata del letto fino a terra, tirando giù con se le lenzuola e si raggomitolò immobile sul pavimento, mentre i vetri le tagliavano la pelle ed enormi lacrime silenziose le colavano lungo le guance, mescolandosi ai capelli. Desiderò una dolce apatia, un luogo dove le passioni umane –troppo complicate, troppo faticose- non riuscissero a raggiungerla e a tormentarla. Un luogo in cui potesse stare con Draco e basta.

Quando si alzò dal pavimento era già sera. I tagli avevano smesso di sanguinare, ma la pelle era gonfia e tumefatta. Non vi fece nemmeno caso. La sua attenzione fu infatti attirata da una palla di tessuto nero posata sulla poltrona. Ginny si avvicinò e la svolse, facendo cadere dei frammenti di vetro: era un morbido maglione di cashmere dai bordi verdi che probabilmente il suo ragazzo aveva dimenticato una delle tante volte che si erano rifugiati nella stanza. L’annusò profondamente, inspirando l’odore di pulito e di colonia e sentendo le lacrime pungerle di nuovo gli occhi. Strinse forte le palpebre per resistere e lo indossò; le stava enorme: sembrava che fosse Draco ad abbracciarla e non la morbida lana.

                                                                                      

La Tana era il posto più accogliente –e soffocante- che potesse immaginare, vi era cresciuta a stretto contatto con i suoi fratelli condividendo ogni cosa con loro. Era la piccola di casa, l’unica femmina su un’orda di maschi e la preferita di tutti. Le piaceva essere coccolata, anche se ogni tanto avrebbe preferito che la considerassero più adulta e responsabile, non sempre l’indifesa da proteggere. Ginny varcò il giardino preceduta da Ron, con i gemelli su entrambi i lati, insolitamente silenziosa e non partecipativa agli scherzi come al solito; adorava i suoi fratelli, però era difficile che la capissero veramente. Il terreno e l’erba intorno alla casa erano ghiacciati e luccicanti, da essi spuntavano timidi ciuffi di ciclamini rosati e rigogliosi pungitopo dalle bacche rosse, rifugio dei famosi nani da giardino. Il capanno degli esperimenti di suo padre era decorato con graziose lucine babbane colorate e il portico non si riconosceva dalle ghirlande che vi erano appese. Era tutto così familiare che a Ginny vennero le lacrime agli occhi.

-Sei una piagnona- si commiserò cercando di non singhiozzare. Nascose il volto tra i capelli e afferrò la valigia. Stava per incamminarsi dentro casa quando fu sollevata in braccio da Charlie; emise un urletto spaventato, poi, riconosciutolo, lo abbracciò forte seppellendosi nella sua camicia. Non lo vedeva da tantissimo tempo per via del suo impego in Romania. Era uguale a come se lo ricordava: solido, forte e rassicurante. Portava ancora i capelli lunghi e il bracciale di cuoio intrecciato con il pendente di drago che le aveva regalato.

-Gin, ma guardati, come sei cresciuta! La mia sorellina- La rossa cercò di nascondere il volto ma il fratello le prese il mento tra le mani e lo alzò verso i suoi occhi, notando gli scintillii di lacrime:

-Che cosa è successo?- domandò in tono serio.

-Niente Charlie, davvero. Sono molto felice di essere a casa. Andiamo dentro dai- rispose con un sorriso debole. Il fratello la fissò indagatore, poi le prese la valigia di mano e la accompagnò dentro, però a Ginny sembrava ancora turbato.

Si rimproverò aspramente: -Guarda che cosa combini! Ci manca solo che Charlie inizi a insospettirsi…- Appena la vide, sua madre si commosse e continuò ad esclamare –Ma come è bella la mia bambina!- per un’ora, mentre suo padre la baciava sulla testa e le sorrideva, cercando allo stesso tempo di consolare Molly, sepolta in un fazzoletto umido. Bill sarebbe arrivato il giorno dopo, il suo lavoro –cercatore di tesori per la banca dei Maghi, la Gringott- lo teneva molto occupato. Percy la salutò sfregandogli le nocche delle dita sui capelli e prendendola in giro per i suoi voti. Era il genio di casa, studente brillante e a volte abbastanza pedante, però voleva molto bene a Ginny. Stava per piangere di nuovo, perché non si era resa conto fino in fondo di quanto le mancasse la sua famiglia e di quanto fosse fortunata ad averne una, seppur rumorosa e ficcanaso. Quando riuscì a liberarsi dagli abbracci e dalle domande pressanti urlò: -Vado in camera mia, sistemo il baule- e salì le scale, fermandosi al primo pianerottolo. Entrando la ragazza inspirò l’odore di chiuso e di lavanda; sua mamma le metteva sempre mazzolini di erbe aromatiche nei cassetti. La sua stanza era esattamente come se la ricordava, o quasi. Diciamo leggermente più ordinata. La finestra sul giardino illuminato dalla luna con il graticcio di rose che si arrampicava per il muro, i poster di Quidditch alle pareti, la scrivania zeppa di libri babbani e la cosa che adorava di più, la botola che attraverso una scala portava a un piccolo spazio di tetto. Da piccola adorava dormire lì l’estate, osservare le lucciole vagare per i campi e ritagliarsi un angolino di pace. La rossa si tolse la giacca e la poggiò sullo schienale di una sedia. Indossava ancora il maglione di Draco; anche se la intralciava un po’ nei movimenti, salì agilmente la scaletta della botola e si espose al vento della sera che le sferzava le guance. Da lì poteva percepire tutto quello che succedeva in casa: sentiva i gemelli parlottare a proposito di un nuovo scherzo, la madre cantare Celestina Warbeck –Questooo nostro ammmmore è una magiaaa! Ci siamo sceltiii come una bacchetta sceglieeee in suo magoooo!- mentre cucinava e suo padre che discuteva di politica con i suoi fratelli.

-Ginny, vieni c’è la cena- un delizioso profumino di arrosto al rosmarino e torta di zucca giunse fino a lei.

Oh sì, finalmente a casa.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Rivelazioni ***


POV DRACO

Malfoy Manor era immersa nella bruma serale; la nebbia filtrava tra gli imponenti cedri millenari e aleggiava in bianche spire sui famosi roseti scarlatti della signora Malfoy. Il giardino e i cespugli potati a forme erano rischiarati dalla luna, piena, enorme, luminosa; la fontana di marmo bianco scintillava di acqua trasparente e tintinnava per il rumore di qualche carpa produceva salendo in superficie. La carrozza trotterellò silenziosa lungo il vialetto, sollevando nuvolette di polvere al suo passaggio. Una tenda di broccato verde si scostò leggermente per osservare la casa: c’erano due sole stanze illuminate, l’ufficio del signor Malfoy e il salone. Draco dentro alla carrozza dondolante sospirò, stiracchiandosi le mani sopra la testa e sgranchendosi il collo per le ore di viaggio; era stato piacevole attraversare la brughiera inglese tinta di blu e viola dalle malve e dal bianco dell’erica, ma l’arrivo imminente lo stava mettendo di nuovo di cattivo umore. Scosse leggermente la spalla di Blaise, addormentato al suo fianco con un filo di saliva che colava dall’angolo della bocca e desiderò di avere uno di quegli aggeggi babbani per fare le foto e sfotterlo a vita. Peccato. Il cugino si svegliò e si allungò come un gatto, stendendo per quanto possibile le lunghe gambe sotto i sedili. Aveva l’impronta dell’imbottitura stampata sul viso e tutti i capelli spettinati.

-Sistemati, Blase. Sai quanto i miei odiano il disordine- disse Draco mettendosi a posto la cravatta e il colletto perfettamente piegati.

-Non capisco come faccia tu ad essere sempre così impeccabile…- rispose l’altro con uno sbadiglio, passandosi le mani fra i ricci con l’unico risultato di spettinarli ancora di più.

-Ah ah-

Blaise borbottò raccogliendo la giacca dal sedile davanti e sbirciando dalla tendina: -Mr Simpatia ogni volta che si torna a casa, eh?- Draco si irrigidì vistosamente, tanto che il moro gli posò una mano sulla spalla e lo rassicurò: -Va tutto bene, okay? Conosco gli zii, so come trattarli. E anche come allacciarmi una cravatta, si…- concluse gettandogli un’occhiataccia infastidita –Adesso andiamo- Scese dalla carrozza mentre era ancora in movimento; Draco lo seguì divertito e rassicurato. Aveva dei motivi per temere i suoi genitori: sarebbe stato a stretto contatto per due settimane con suo padre che gli aveva insegnato la Legilimanzia  e con quel pensiero fisso in testa, anzi due, ossia la sua Ginevra e la sua Iniziazione. Scosse la testa per liberare la mente e andò dietro al cugino all’ingresso. Era passato davvero poco tempo dall’ultima volta in cui era dovuto tornare a casa, circa una settimana, però la sensazione spiacevole e di disagio non si era ancora attenuata. Ogni volta era più stressante della prima; non riusciva a pensare a Malfoy Manor come luogo di serenità. I suoi genitori li aspettavano in piedi nell’androne illuminato dalle trecento candele del candelabro di cristallo –come dimenticare che  non avevano nemmeno l’elettricità?- pensò il ragazzo trattenendosi dall’alzare gli occhi al cielo. Sua madre appariva ancora più pallida e trasparente sotto la luce fioca e scompariva nel pesante vestito di damascato blu; sembrava stremata. Sentiva bruciare marchiato a fuoco il tradimento materno –lei sapeva della sua Iniziazione, del suo futuro di assassino e non aveva fatto nulla- ma era impossibile per lui non preoccuparsi vedendola. Dopotutto era la donna che lo aveva generato, quella che gli aveva permesso di nascondersi nel suo armadio dei cappelli per sfuggire al padre dopo qualche bicchiere di troppo, che lo aveva medicato quando era finito lungo disteso nel suo roseto. Decise che gli avrebbe parlato al più presto per sincerarsi sulla sua salute. Suo padre invece era… come al solito: sprezzante, probabilmente ubriaco e stizzoso.

Blaise si recò per primo da Narcissa, baciandole prima la mano con deferenza e poi entrambe le guance diafane: -Zia, buonasera. E’ un piacere vederti. Come stai? Ti vedo incantevole come sempre, ma più stanca- La donna scosse la testa con foga, facendo sbattere contro il viso i pesanti orecchini di zaffiri e perle e stringendogli il braccio con affetto: -Grazie, Blase, però ti sbagli: sto benissimo. E’ un piacere per me averti a casa nostra. Spero passerai delle buone vacanze. Adesso saluta Lucius-

Il cugino scambiò una stretta di mano con il signor Malfoy, iniziando una cortese e fredda conversazione mentre Narcissa, lanciando occhiate preoccupate al marito, si avvicinava a Draco. Allargò le braccia come offerta di pace e mormorò, tremante e insicura: -Bentornato a casa, figlio mio. Io…- gli occhi grigi iniziarono a riempirsi di lacrime e solo allora il ragazzo si accorse degli ematomi violacei che spuntavano dal colletto, abilmente celati dal pizzo del vestito. Indicò con un cenno a Blaise di dirigersi in sala da pranzo e soprattutto di portare con sé Lucius. Quello con la scusa di servirsi un altro bicchiere di scotch –sempre buona quando si trattava dello zio- lo condusse nei meandri della sua seconda casa, sillabando verso il ragazzo biondo in silenzio: -Fai in fretta-.

Draco prese entrambe le mani della donna ormai in lacrime e le portò alla bocca, baciandole delicatamente e mormorando: -Madre, che cosa ti fa? Sei trasparente- Narcissa cercò di detergersi gli occhi, di chinare il viso per nascondere a suo figlio quella debolezza, mentre Draco la abbracciava cautamente, inspirando quel suo profumo di rosa e lavanda che aveva ormai dimenticato. Le sembrava un uccellino. Un contatto così intimo, così personale con suo madre dopo tanto tempo lo sconvolse e lo emozionò. Non aveva mai pensato a lei come una donna forte, abnegante, protettiva, però come si potevano spiegare quei lividi se non come la prova che stava difendendo qualcosa?

-Cosa sta succedendo?- domandò di nuovo, con urgenza nella voce.

-Draco, la tua Iniziazione è stata spostata a maggio perché prima tuo padre…- Narcissa si interruppe, lo sguardo addolorato, le guance arrossate dalla vergogna –Perché prima tuo padre vuole farti sposare. Lei… Lei si chiama Evangeline Catharina Blanchard ed è figlia di un grande amico di Lucius. Frequenta la scuola magica francese di Beuxbatons. La conoscerai a Natale – Finito di parlare, appariva così stremata che Draco non riuscì a dirle niente. Aveva un uragano di pensieri in mente, un cataclisma che spazzava via ogni cosa. Respirò più velocemente, realizzando prima piano piano, poi tutto d’un colpo che cosa volevano veramente dire le parole di sua madre.

Matrimonio, Iniziazione, nozze, anelli, contratto, ragazza, Natale.

Ginevra, Ginevra, Ginevra.

Come poteva sposare un’altra ragazza se credeva di amare la sua Ginny?

Un attimo. Ginevra non gli parlava più. Si era completamente disinteressata di lui e aveva buttato all’aria quel debole “qualcosa” che si era formato tra loro, l’inizio di un rapporto speciale. Gli sembrava un affronto definire i suoi sentimenti come qualcosa di informe e affrettato perché lui sapeva benissimo che cosa provava nei confronti della ragazza; però, si rese conto, il problema non era lui: il problema era che non sapeva che cosa invece sentisse Ginny. L’unica cosa che lo spaventava adesso, a parte l’essere rifiutato, era non riuscire a riconoscere l’amore, poiché non avendolo mai ricevuto non capiva bene come funzionasse. Si ama una persona quando non si vorrebbe più lasciarla andare, nemmeno per permetterle di prendere un bicchiere d’acqua? Oppure è qualcosa di più profondo, di più intuitivo?

Per adesso, sapeva solo che gli mancava, tanto, la sua dolcissima fata del lago.

                                                                                      

I Malfoy cenarono in fretta data l’ora e subito si congedarono. Draco salì le scale che portavano alla sua camera comunicante con quella del cugino. Era singolare come negli anni fossero riusciti a trasformare le stanze: un parete scorrevole adesso le divideva, anche se di solito la tenevano aperta, dietro la libreria girevole c’era uno stereo con cd musica house e videogiochi che Blaise adorava e una scorta di liquori per passare il tempo. Però quella sera, invece di buttarsi sul letto come suo solito per fare una partita alla play station, Blaise tirò fuori una bottiglia di rhum invecchiato e ne buttò giù un bel sorso, quindi lo passò al cugino. Draco lo guardò con un sopracciglio inarcato, ma non rifiutò la bottiglia: -Allora? Non credevo che sopportare la mia presenza richiedesse tanto coraggio alcolico-

Pulendosi la bocca con la manica l’altro rispose schietto come sempre: -In realtà sento che mi devi dire qualcosa di importante e di terribile, perciò meglio avere le idee confuse che pensarci a mente lucida, non credi?-

-Abbastanza convincente, sì- il ragazzo prese un lungo sorso del liquore che gli bruciò subito la gola e gli riscaldò le vene. Sospirò, gettandosi sulla poltrona accanto a Blaise e guardò il fuoco. Si passarono la bottiglia in silenzio, fino a quando non fu mezza vuota.

-Certo che ubriacarsi con un…- biascicò il moro leggendo sull’etichetta della bottiglia pregiata -…“Arecha Ron Anejo Reserva 1998” è un lusso per pochi. Lo zio si mangerebbe le mani! Adesso dimmi quello che mi dovevi dire. Perché mi dovevi dire qualcosa, vero?-

Draco scosse la testa per snebbiare la vista e diradare la sensazione di pesantezza dovuta all’alcool.

Blaise continuò perplesso: -Come no? Avevo proprio capito di sì… Beh, allora posso continuare a bere un gocc...-

-Aspetta Blase, te la devo dire una cosa- lo interruppe l’altro.

Il farfuglio dell’amico sfumò in un sussurro: -Ma allora parla! Che cosa aspetti, io… Boh, non ho capito-

Il biondo cominciò, intervallando il discorso con lunghe pause e sospiri ubriachi: -E’ stata spostata l’Iniziazione, a maggio. Perché… Perché? Ah sì, perché mi devo sposare. Con una ragazza francese, figlia di un amico di Lucius che ha, ha frequentato Bebatons, dai… La scuola magica delle gnoccone bionde, ricordi? Quella del Tremaghi, sì. Solo che come farò a sposare lei, se amo Ginny? Come faccio, Blase, eh?-

Blaise alzò la testa in un momento di lucidità, come riscosso dalle parole del ragazzo: -Hai appena detto che ami Ginevra Weasley?-

-Sì- la parola uscì con serietà.

-E come fai saperlo, scusa?-

Draco posò la mano sopra il cuore, con lentezza e pronunciò, prima di addormentarsi: -Lo sento qui-

Il giorno di Natale iniziò in sordina e con una sbornia con i fiocchi. Draco si stiracchiò lentamente sulla poltroncina mentre la testa girava come una trottola impazzita e le membra gravavano pesanti. Di solito gli piacevano lo stato di semincoscienza, di rilassamento dovuto all’alcool e l’assenza di pensieri della mattina dopo, ma questa volta un feroce mal di testa gli fece rimpiangere di aver bevuto mezza bottiglia di rhum in una quindicina di minuti. Sentiva come la sensazione di aver passato un’informazione di grande importanza, di essersi liberato di un peso, di aver reso qualcuno partecipe di una rivelazione. Draco si alzò cautamente e scosse con una mano il cugino, profondamente addormentato sul tappeto.

-Odio il post sbornia…- gemette lamentoso Blaise cercando di alzarsi dal pavimento, ma ricadendo di colpo su se stesso.

-Vestiti, Blaise. Ah, buon Natale, cugino- disse Draco, dirigendosi nell’altra camera per vestirsi.

La voce del moro arrivò attutita, ma palesemente divertita: -Sempre felice la mattina, tu?-

-Oh sì- rispose nascondendo un sorriso. Indossò un ricco completo ricamato alla moda dei maghi del secolo precedente, in piena regola di casa Malfoy, e i gemelli di diamante dorati. Pettinò i capelli all’indietro e li fissò con il gel, osservando allo specchio le occhiaie viola sotto gli occhi e gli zigomi scavati. Prese il medaglione dalla tasca della giacca e lo infilò nel taschino, all’altezza del cuore. Poi afferrò un pacchetto argentato dal suo baule e vergò di sua mano in inchiostro verde una pergamena, allegandola al fiocco; attaccò il tutto alla zampa del suo falco reale, sussurrandogli la destinazione e l’ordine di non tornare fino a quando non avesse dato personalmente il pacchetto al destinatario. Aprì la finestra all’animale e lo osservò volare via, fino a quando la voce di Blaise non lo interruppe: -Non mi dirai qual è la destinazione di quel pacchetto-

-Non è una domanda-

-Infatti è un’affermazione. Andiamo, sai quanto lo zio odi i ritardi-

-Eccome se lo so- pensò Draco irritato.

Quella notte gli Elfi domestici avevano decorato sobriamente tutta la casa: vi erano raffinate candele alla vaniglia, rami di agrifoglio e pungitopo intrecciati a nastri bianchi e neri, ma non vischio e un albero di Natale spoglio con solo un puntone d’argento in cima. Draco non immaginava così il suo Natale ideale: sognava di festeggiare con luci colorate, tripudi di festoni e palline, montagne di regali semplici e fatti in casa. E’ proprio vero che chi ha il pane non ha i denti e viceversa: avrebbe dato la sua scopa per restare ad Hogwarts durante le vacanze e non dover presenziare agli interminabili banchetti lussuosi. Gli ospiti sarebbero arrivati fra poco: la créme de la créme dell’aristocrazia magica, esclusivamente Purosangue e Slytherin, avrebbe celebrato il Natale con un fastoso pranzo a Malfoy Manor; in seguito gli uomini si sarebbero ritirati con il padrone di casa nello studio a fumare, bere e contrattare, mentre le donne avrebbero avuto a disposizione un salottino e diverse camere per prepararsi al ballo serale. Ogni anno le mogli dei componenti più influenti della nobiltà si combattevano il ricevimento di Natale a casa propria per dare lustro al Casato, ma da quanto si ricordava, Draco lo aveva sempre visto svolgere a Malfoy Manor. Era l’unico giorni in cui Narcissa deponeva i panni di moglie dipendente e diventava la regina indiscussa del podere. Si occupava da diverse settimane di tutti i dettagli per non avere la brutta sorpresa di una critica o di un appunto dalle altre donne ed era sempre tutto impeccabile.

Proprio in quel momento era in piedi davanti alla scalinata d’ingresso mentre dava ordini a un elfo domestico: statuaria nonostante la magrezza, maestosa nel suo abito di seta verde; i capelli arricciati in morbide onde le circondavano il viso e sfoggiava sul petto un prezioso collier di smeraldi. Adesso Draco poteva rivedere in lei l’antica fierezza e bellezza di un tempo, quella di quando lui era piccolo e la osservava truccarsi e ingioiellarsi davanti allo specchio in camera sua.

I primi ospiti ad arrivare furono i coniugi Zabini; ovvero il padre di Blaise e la sua settima matrigna, una donna quasi della stessa età di Blaise dagli atteggiamenti volgari e ridanciani, seguiti dai parenti più stretti di Narcissa: sua sorella Bellatrix con il marito Rodolphus, alcuni cugini e delle zie dall’aria arcigna. Draco sorseggiava dello champagne in un angolo, osservando il continuo tramestio della gente che entrava. Non si accorse nemmeno dell’arrivo di Theodore che gli rovesciò con uno scatto di polso il quarto bicchiere di bollicine che stava bevendo nel ficus di sua madre: -Draco, bere ancora dopo una sbornia non è cura omeopatica. So tutto, amico. Mi dispiace, ma è ora che ti dai una svegliata: la ragazza dovrebbe arrivare a momenti-

Nemmeno a dirlo, poiché Lucius varcò la sala con un uomo brizzolato al fianco e una fanciulla di circa quattordici anni a braccetto. Draco sgranò gli occhi e la osservò come se avesse due teste: -Mio Dio, Theo, ma avrà dodici anni se va bene! Io vado per i diciotto… E’ solo una bambina-

L’amico lo fissò con espressione neutra: -Ne ha quattordici. Sono solo quattro anni di differenza-

Il biondo lo osservò a sua volta con espressione costernata: -Da che parte stai?-

Theo non riuscì a rispondere perché la voce invadente e strascicata del padrone di casa li freddò entrambi sul posto: -Bene, ecco mio figlio, Draco e un suo amico, Theodore. Ti ho mai parlato del signor Blanchard? E’ un grande amico d’infanzia e questa è la sua deliziosa figlia- lo disse come se stesse pregustando un affare particolarmente fruttuoso.

La bambina chinò rispettosamente il capo a terra per il tempo necessario, quindi alzò gli occhi e fissò Draco intensamente: era abbastanza alta per la sua età, magrissima, dalla pelle rosea, i capelli dorati e liscissimi. Ma la cosa che inquietava di più Draco era lo sguardo: magnetico, nero, senza fondo; i suoi occhi erano i più scuri che avesse mai visto e ciò stonava con l’aria da bambolina del resto del corpo. Le davano un’aria pericolosa e sovrannaturale.

Con un inglese perfetto e quasi senza accento francofono quella si presentò, lanciandogli un’occhiata fredda e calcolatrice: -Mi chiamo Evangeline Catharina Blanchard. Onorata di conoscerla- Il ragazzo non sapeva come un nome tanto melenso come Evangeline potesse suonare così duro.

Il signor Malfoy li squadrò compiaciuto e annunciò il suo desiderio che aprissero le danze del ballo della sera; la bambina fu più lesta a rispondere che Draco a rifiutare:

-E’ evidente, signor Malfoy, che sia io che suo figlio saremmo onorati di iniziare il ballo. D’altra parte mi esercito in danze anglosassoni da quando avevo sei anni e sono un’ottima ballerina. Non farà brutte figure, glielo assicuro- concluse con un sorriso angelico e sicuro di sé, passando il suo carnet di ballo a Draco per farlo firmare. Come si permetteva quella smorfiosa di rispondere per lui? Comunque sia, il ragazzo fu costretto a firmare diversi balli sotto l’insistente sguardo del padre, quindi i Blanchard si congedarono da loro per salutare gli altri ospiti. Draco espirò tutta l’aria che aveva nei polmoni, rendendosi conto di aver trattenuto il fiato; al che la voce di Blaise lo interruppe e lo fece girare verso di lui:

-Non avevi parlato di gnoccone bionde ieri, eh? Io vedo solo una bambina furba come una volpe che crede di farci le scarpe. Però, e questo va a suo favore, ha un culo niente male…- concluse ficcandosi in bocca quattro tartine al caviale contemporaneamente. Theo sorseggiò il suo bicchiere di champagne con classe, borbottando: -Lo stile scorre proprio nelle tue vene blu, Blase-

-So apprezzare le cose belle quando le vedo, caro mio- rispose rilassato l’amico, puntando un crostino al patè di anatra all’arancia.

Theo continuò piccato: -Peccato che la nostra cara Evangeline sia la promessa sposa di Draco-

-E con ciò? Tanto sappiamo benissimo tutti e tre che non la sposerà, tanto vale farci un pensierino…-

-Che cosa vorresti dire?- lo interruppe Draco abbassando la voce, con il cuore che batteva all’impazzata.

Blaise si prese tutto il suo tempo: annusò un bicchiere di Martini Dry e ne mangiò solo l’oliva, quindi si dedicò ad un piatto di vol au vent ai funghi, sbocconcellandone uno con fare intenditore mentre il pacifico Theodore iniziava a fumare dalle orecchie e Draco lo fissava imperturbabile.

Alla fine quest’ultimo sbottò, ironico: -Vuoi testare tutti gli antipasti prima di darci una risposta o preferisci che ti facciamo prima dei sacrifici per propiziarci, o famoso oracolo del Wiltshire…?-

Il moro li fissò attraverso il vetro inciso del bicchiere e il liquido trasparente; i suoi occhi maliziosi, ma seri che brillavano ingranditi dal calice: -Voglio dire esattamente quello che ho detto: Draco non sposerà Evangeline Catharina Blachard-

-E si può sapere perché?- inveì a bassa voce Theodore.

-Questo è tutto da vedere- con queste ultime, sibilline parole Blaise si allontanò e i due restarono lì, scossi, intontiti con mille domande in testa, ma la stessa percezione che fosse tutto vero.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Attenzioni ***


POV GINNY

La mattina del giorno di Natale Ginny si svegliò al calduccio con una sensazione di pace e rilassamento che le era estranea da molto tempo. Arnold era accoccolato fra suoi capelli e dormiva ancora tranquillamente, soffiando pacifico nel suo orecchio. La ragazza constatò meravigliata di non aver avuto incubi o sogni frenetici, ma di aver dormito una notte intera senza pensieri. Era un peccato comunque che ritornassero al risveglio; Ginny sospirò e gettò di lato il piumone, scendendo dal letto con cautela. Appoggiò l’animaletto sul suo cuscino, premurandosi di non svegliarlo. Adorava sentire le mattonelle fredde del pavimento a contatto con i suoi piedi nudi; girare per casa scalza era una fissazione che le era venuta da bambina che però non aveva più dimenticato, suscitando il malcontento di sua madre. Rabbrividendo piacevolmente la rossa indossò solo una felpa di Ron che le stava enorme e, fermatasi davanti allo specchio, si passò le dita tra i capelli vermigli per districare i nodi. Il suo sguardo sfuggiva dalla superficie riflettente, evitando la sua immagine: non amava specchiarsi poichè le sembrava di vedere solo difetti.

La Tana profumava di cannella e di caramello, come ogni Natale, ma era una consuetudine che non le dispiaceva, anzi la rassicurava nella sua familiare ripetitività. Scese le scale in silenzio, attenta a non far scricchiolare i gradini e chiedendosi che cosa stesse facendo Draco in quel momento. Sicuramente si stava preparando per il ricevimento con la società; Ginny stessa conosceva ormai le abitudini degli Slytherin poiché ogni tanto il ragazzo le aveva accennato qualcosa. In realtà il più delle volte era Draco ad esortarla a parlare di come festeggiavano i Weasley e della sua famiglia, ascoltandola per ore mentre gli raccontava di pudding natalizi ai canditi, dei maglioni di Molly, delle canzoni di Celestina Warbeck. Non si era mai vergognata della sua condizione sociale, però la prima volta si era sentita a disagio nel parlargli, a lui che era cresciuto nel lusso e nello sfarzo. Si era ricreduta quando aveva visto nei suoi occhi una vaghissima, ben nascosta ombra di rimpianto, e lo aveva baciato a lungo per scacciare la tristezza. Scese le scale con bandalza; doveva nascondere i motivi di tutta quella pensierosità, delle lacrime invadenti che ogni tanto minacciavano di tradirla e  dell’aria sommariamente infelice: non erano sentimenti che si addicevano alla sua usuale personalità scoppiettante. Il quadretto di vita familiare che le si presentò davanti quasi la commosse: ogni Weasley era impegnato in qualcosa. Si fermò sull’ultimo gradino, sorridendo.

-Oh, ti sei svegliata alla fine!- la salutò Fred facendole l’occhiolino. Era arrampicato su una scala traballante accanto all’albero, in salotto, mentre George gli passava nastri, palline, decorazioni e biscotti di marzapane da appendere.

-Alla buon’ora, Ginny! Noi siamo qui a decorare l’albero da stamattina alle cinque, come dei poveri Elfi Domestici…- continuò l’altro gemello con tono lamentoso, fingendo di svenire con una mano sul viso.       Suo padre scoccò dalla poltrona sulla quale era seduto uno sguardo ammonitore verso i gemelli, quindi la salutò amorevolmente: -Buongiorno, bambina mia-. Ginny gli si avvicinò per dargli un bacio, appoggiandosi sul bracciolo: -Buongiorno, papà- Stava riparando una sveglia babbana che aveva trovato al lavoro, o meglio ci stava provando.

-Che cosa dovrei dire, io, allora? Ho pelato ormai una tonnellata di patate e mi mancano ancore tutte le carote- i brontolii di Ronald giunsero dalla cucina molto chiaramente. Lo sguardo del signor Weasley si allarmò: sapeva quanto sua moglie Molly non sopportasse i piagnistei, quindi intervenne conciliante, ma poco fermo: -Ragazzi…-

Anche Percy volle dire la sua, immerso fra fogli dorati e coccarde luccicanti con gli occhiali che scendevano sul naso: -Ma smettila Ronald, che la mamma mi ha fatto compilare quaranta biglietti di auguri di Natale-

La figura rotondetta della summenzionata donna si stagliò all’entrata del salotto, con le mani posate sui fianchi e un’espressione fintamente accigliata in volto. Molly Weasley si pulì le piccole mani nel grembiule, esordendo con voce affatto accondiscendente: -Che cosa c’è nel compilare biglietti d’auguri che ti disturba, Percival? E voi due, lì, vi siete alzati mezz’ora prima di vostra sorella, smettete di fare le vittime. Sapete che in questa famiglia tutti contribuiscono allo stesso modo- la sua voce si addolcì all’improvviso, rivolgendosi amorevolmente alla sua unica figlia femmina –Ginny cara, vieni a fare colazione: ti ho fatto i biscotti alle nocciole che ti piacciono tanto- La abbracciò, conducendola in cucina e facendola sedere per la colazione. Ogni tanto era piacevole essere coccolati perciò Ginny saluto con la manina i suoi fratelli indaffarati e si fece condurre senza protestare. Adorava osservare sua mamma cucinare: si muoveva agilmente tra pentole e padelle che occupavano ogni centimetro di fornelli disponibile e sobbollivano con un leggero borbottio, coltelli istruiti magicamente da lei che tagliavano, sminuzzavano e tritavano di continuo sul tagliere di legno. Sempre nei suoi ricordi, poi, c’era quell’avvolgente profumo di dolci cotti in forno e il ticchettio dell’orologio speciale della famiglia Weasley –con nove lancette, ognuna per un membro della famiglia, indicante lo stato e il luogo- che le ricordavano inevitabilmente casa. Mentre Ginny si riempiva dei biscotti confezionati da Molly, Ron continuava a pelare carote e a conciare cavoletti di Bruxelles sempre più sostenuto e offeso. All’improvviso entrarono in casa Charlie e Bill, carichi di borse e pacchetti regalo, con i capelli imbiancati da una spolverata di neve. Ginny mollò il biscotto al doppio cioccolato che stava inzuppando nel latte e corse loro incontro, travolgendo Percy con i biglietti in mano. Anche Molly si avvicinò, continuando a sbattere le uova in una terrina. Bill posò i pacchi per terra e la prese al volo, sollevandola e facendola volteggiare con una risata.

-Ehi, zucchero! Da quanto non ci vediamo?- Ginny sorrise e gli diede un buffetto sulla spalla: non la chiamava “zucchero” da tantissimo tempo; da piccola le dava fastidio che le affibbiassero stucchevoli soprannomi, ma adesso le ricordava la loro infanzia.

-Da un sacco, Bill! Ma guardati, non ti sei ancora tagliato i capelli?- lo prese in giro, lisciando una lunga ciocca di capelli rossi tra le dita. Sua madre aveva sempre voluto che se li tagliasse ma era impossibile per Ginny immaginare il fratello senza la lunga chioma spettinata.

-Magari William potresti ripensarci in queste vacanze… Se vuoi posso metterli a posto io- si offrì Molly speranzosa, tendendosi verso di lui.

Bill si chinò a baciarle una guancia dolcemente, mormorando divertito: -No, mamma, grazie. Sarà per un'altra volta. Appoggiò il cappotto sullo schienale della sedia, prese per mano Ginny e si sedette con lei davanti al fuoco. La ragazza notò che Charlie la osservava attento, per controllare ogni sua reazione. Gli sorrise e disse, scherzosa: -Che faccia, Charlie! Non sarai geloso? L’hai avuto ieri il tuo momento per spupazzarmi- Il fratello rise insieme a lei, rassicurato e andò a sistemare i reali sotto l’albero, chiacchierando con i gemelli. Bill prese il loro mazzo di carte di Spara Schiocco e iniziarono una partita.

-Allora, Gin, che cosa racconti al tuo fratellone?- domandò poi scartando una carta e sistemandosi il mazzo fra le mani. Ginny mantenne un’aria distaccata: -Nulla di nuovo. E tu?- Quando si parlava di lavoro, si andava sul sicuro con Bill. Amava cercare tesori per la Gringott, l’adrenalina del vivere ogni giorno avventure rocambolesche, gli incarichi preziosi e gli imprevisti. Lo ascoltò affascinata e sollevata per aver sviato l’argomento su di lui, invece che sulla sua vita, che ultimamente stava andando a rotoli. Si immaginò dichiarargli: -Ti ricordi, Bill, Draco Malfoy? Sì, quel Malfoy che ci ha reso la vita impossibile, freddo, cinico, derisorio, ostile…? Ecco, in realtà è un ragazzo meraviglioso e complicato, ma posso quasi dire di essermi innamorata di lui. A parte questo va tutto bene- Probabilmente non l’avrebbe giudicata però la sorpresa sarebbe stata comunque notevole: era particolarmente protettivo verso la sua sorellina. Entrambi si riscossero quando sentirono un forte grattare alla finestra. Ginny andò allarmata verso il rumore, percependo una dolceamara sensazione di deja-vù e sentendosi male passo dopo passo. Spalancata la finestra un altero falco reale si mostrò in tutta la sua ostilità, tendendo la zampa a una Ginevra scossa. Aveva riconosciuto l’animale, il tipo di pergamena, la scrittura in verde, ma sembrava congelata. Il falco tese di nuovo la zampa, con un velo di irritazione non proprio celato perchè la ragazza si riprese e slegò velocemente un piccolo pacchetto e il biglietto dagli artigli. Fissò il vuoto con espressione assente mentre ghiacciati sbuffi di vento e nevischio le si insinuavano nella scollatura della felpa.

La voce curiosa del fratello le suonò vicina, troppo vicina: -Che cos’è, zucchero?-

Fingendo una nonchalance che non credeva di possedere rispose lei, chiudendo la finestra: -E’ il regalo di Natale di Demelza. E’ stata molto gentile a mandare, ehm, il suo falco nonostante questo brutto tempo- Stava diventando troppo brava a mentire.

Bill inarcò un sopracciglio e tese una mano: -Dammelo, te lo metto sotto l’albero-

-No, tranquillo. Lo porto di sopra, tanto mi devo andare a cambiare: fra un po’ arrivano Harry ed Hermione-

-Okay, ci vediamo dopo-

Ginny salì le scale con le gambe che le tremavano, girandosi il pacchetto fra le mani, con il cuore che batteva prepotentemente più veloce. Respirò profondamente, appoggiando la testa contro lo stipite freddo della sua porta, confusa, poi scivolò dentro e si sedette sul letto. Arnold bubbolò estasiato di rivederla, ma capì che c’era qualcosa che non andava perché si mise subito a sgranocchiare un biscotto in silenzio, osservandola ad occhi spalancati. La ragazza fece di tutto tranne che aprire il pacchetto: si fece la doccia, indossò un largo maglione nero di lana, una gonna tartan rossa e verde e dei calzettoni sempre neri, si truccò anche, evidenziando con una linea di eyeliner gli occhi e passando un velo di rossetto color ciliegia sulla bocca. Alla fine dovette confrontarsi con la causa del suo nervosismo: un piccolo, apparentemente innocuo involto di velluto legato da un nastro. Decise di leggere il biglietto per ultimo; svolse il regalo con mani tremanti, quindi chiuse gli occhi e fece scivolare il contenuto nella mano. Era qualcosa di fresco e sottile. Guardò l’oggetto nella sua mano, scoprendo un finissimo braccialetto d’argento a catena con dei piccoli pendenti: Ginny ne riconobbe alcuni e capì perché li aveva scelti. Un foglia di quercia per il luogo del loro primo incontro, un tulipano per ricordare la stanza delle Necessità, un biscotto perché la conosceva molto bene, un serpente perché lui era il suo ragazzo Slytherin e poi una luna piena di madreperla, un rubino a forma di cuore, una fata che ballava su uno specchio d’acqua…

-Ma è la stessa del mio medaglione! Come fa a saperlo? Non l’ha mai visto- grosse lacrime silenziose scorrevano sulle sue guance arrossate, sbavando quel poco di trucco che si era messa. Ma tanto a Draco non era mai piaciuto tanto… Ginny si raggomitolò sul letto singhiozzando, desiderando solo di poter vedere il ragazzo una volta sola e chiedergli scusa per essere stata troppo precipitosa, troppo arrabbiata e amareggiata e orgogliosa, per non avergli dato fiducia nemmeno per un attimo. Desiderò di abbracciarlo e di sentirsi dire che andava tutto bene, che l’avrebbe perdonata, e baciarlo per fargli capire che era importante per lei. Sentì il rumore della carta che si accartocciava sotto di sé; saltò in piedi e stirò febbrilmente il foglio con le dita nervose, leggendo con il cuore in gola:

“Voglio regalarti un pendente per quel bracciale ogni anno in cui staremo insieme: mi aspetto di dover svaligiare una gioielleria.

Buon Natale, Ginevra mia.”

Lacrime di gioia si mischiarono con quelle addolorate e sconsolate di prima nei suoi capelli, nei suoi occhi, nelle pieghe del suo collo. Quello era il suo Draco: dolcissimo e canzonatorio insieme.

Non vedeva l’ora di tornare a scuola.

                                                                                       

Scese le scale di fretta quando sentì la porta aprirsi e diverse voci augurare: “Buon Natale!”. Molly si arrabbiava se non si accoglievano gli ospiti all’entrata con calorosità perciò Ginny corse quasi incespicando sul tappeto, anche se gli amici di Ronald non le stavano troppo simpatici. Si era staccata dal Trio Magico perché non voleva più essere considerata l’ultima ruota del carro o la sorellina minore che li guardava con ammirazione, desiderando di assomigliare loro. Adesso però era troppo felice per il biglietto e per il bracciale e non si prese la briga di nasconderlo. Frenò contro la schiena di Charlie, sbucando da sopra la sua spalla e salutò i due ragazzi: -Ciao Hermione, ciao Harry-

Il fratello posò una mano sulla sua schiena, spingendola davanti a se e appoggiandola al proprio petto con fare protettivo. Harry, che stava parlando con Percy, si voltò e la squadrò con uno sguardo strano, percorrendo il suo corpo da capo a piedi: -Ehm ciao, Gin- 

Ginny alzò gli occhi al cielo, ma arrossì comunque: va bene che le gonne scolastiche erano più lunghe, tuttavia fare quella faccia per una mini le sembrava esagerato. Proprio in quel momento Molly urlò che il pranzo era pronto così si diressero amichevolmente verso la cucina: il tavolo occupava quasi tutto lo spazio ed era ricoperto di piatti e ciotole strapiene di ottimo cibo. Erano stretti come sardine, ma l’allegria e la spensieratezza compensavano il lieve disagio. Ginny si posizionò tra i gemelli, proprio davanti ad Harry, che continuava a chiederle premurosamente: “Gin, vuoi che ti passi la salsa al rabarbaro?” oppure “Ti serve il burro per lo Yorkshire Pudding?” tanto che si alzò e andò a sedersi sulle ginocchia di Bill dall’altro capo della tavola. I gemelli ridevano sotto i baffi, mentre Hermione sembrava scocciata e lanciava a Ginny (e alla sua gonna) occhiate velenose. La rossa, se all’inizio si divertiva per queste attenzioni, adesso non ne poteva più. Dopo una decina di fette di torta salata al prosciutto, roast beef alla senape con patate arrosto, pane ai semi di zucca e circa mezza torta ai canditi con gelato alla crema, la rossa rotolò fino al divano, accoccolandosi davanti al fuoco. Nemmeno a dirlo, subito percepì una presenza affondare accanto a sé e sussurrarle alle orecchie: -Stai benissimo oggi, Gin-

Ad occhi chiusi rispose spiccia: -Grazie, Harry- e si girò dall’altra parte. Non capiva come poteva solo pensare di provarci, dopo che l’aveva evitata per anni quando ancora lei provava quella cotta colossale. Più che altro era stata influenzata da diversi fattori: forse il nome famoso, forse la sua gentilezza, forse il fatto che era quasi sempre a casa sua ed era facile immaginare appassionate storie d’amore con lui nei paraggi. Il solo ricordo e l’idea di fare coppia con Harry adesso la faceva ridere, perché nella sua mente c’era un solo ragazzo e non aveva i capelli neri, né gli occhi verdi. Passò le dita tra i ciondoli del suo bracciale, sentendoli tintinnare dolcemente e cercò di nascondere un sorriso prepotente seppellendo il viso nel maglione.

-E’ bello quel braccialetto- attaccò di nuovo Harry, facendo scivolare il braccio sullo schienale del divano con nonchalance.

La rossa rispose distrattamente, coprendolo con la mano: -Grazie- Le sembrava troppo intimo perché lo esaminasse a lungo. Finalmente arrivarono tutti i suoi familiari ed iniziarono ad aprire i regali, sorseggiando caffè con panna. Ginny entusiasta scartò i primi pacchi ricoprendosi di carta colorata: ricevette un libro babbano romantico con segnalibro ricamato a punto croce da Diane e un assortimento di cioccolatini ripieni da Demelza.

–Dio, che regalo fantastico!- mormorò sbalordita, leggendo i gusti delle praline con l’acquolina –Lampone e mango, caffè caraibico, rhum e uvetta di Corinto, crema chantilly alla vaniglia…- Indossò il maglione alla Weasley di Molly, quest’anno di un bel verde con una “G” viola e si avvolse nella coperta con i buchi per le mani da lettura che le aveva regalato Bill. I gemelli l’avevano rifornita di una serie di nuovi scherzi appena brevettati, ma fu il regalo di Charlie a sorprenderla maggiormente: era un walkman babbano! Elettrizzata, gli buttò le braccia al collo e lo riempì di ringraziamenti, baciandolo più volte sulle guance: -Grazie, Charlie! E’ meraviglioso! Ascolterò musica tutto il giorno: è il più bel regalo di questo Natale-

Il fratello si avvicinò al suo orecchio, sussurrando smaliziato: -Più bello del braccialetto che ti ha regalato il tuo ragazzo?-

Ginny lo guardò a bocca aperta, poi si girò per controllare che nessuno avesse sentito. Provò ad articolare qualche parola, ma senza successo. Alla fine scosse la testa e mormorò a sua volta: -Beh, il braccialetto me l’ha regalato lui-

-Digli che se ti fa soffrire, io non allevo draghi in Romania per caso- concluse abbracciandola.

Dio, quanto adorava suo fratello.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Piani ***


POV DRACO

Il pranzo di Natale a buffet si era concluso in grande stile con una torta di sette piani al limone in pasta di zucchero che aveva fatto morire d’invidia tutte le madri di famiglia presenti in sala, mentre Narcissa sorrideva composta, senza far trapelare un grammo di soddisfazione. Draco era all’ottavo (o nono?) bicchiere di spumante e conversava con gli ospiti presenti in sala come richiesto dal suo ruolo. Evangeline lo fissava dall’altro capo del salone con quei suoi occhi neri, mettendolo leggermente a disagio e rendendolo ancora più irrequieto di quanto già non fosse.

-Non trova, Dracuccio, che il colore di questo abito s’intoni particolarmente con la carnagione di mia figlia Bernadette?- chiese una donna corpulenta come una matrona romana, spingendo davanti a sé una bambina dal viso cavallino con un sorriso sdentato.

-Il color…- il ragazzo si sporse un attimo per osservare il vestito, desiderando un altro drink per dimenticare che lo aveva chiamato “Dracuccio” -…ehm, zafferano sta d’incanto con i capelli scuri di Bernarda, sì- “Partecipare alla conversazione” voleva dire soprattutto portare avanti le cosiddette Pubbliche Relazioni, ma in particolare declinare con garbo le non troppo velate richieste di fidanzamento. E farsi chiamare “Dracuccio” o “Bambino mio” oppure “Serpentello di zia”. Se lo avesse sentito Ginny lo avrebbe preso in giro per giorni. Al solo pensiero sorrise, ma Theodore gli si affiancò scuotendolo con una gomitata: -Con i capelli scuri di Bernadette, lo perdoni-

-Oh sì, Bernadette e il giallo zafferano sono la coppia perfetta. Adesso, se vuole scus…- fece per inchinarsi, ma la signora McLloyd lo afferrò saldamente con una tozza mano inanellata: -Ma non le ho ancora presentato la mia minore, Ophelya e nemmeno la mezzana, Marjiorjie!-

-Sono più che certo che avrà tutto il tempo per farlo stasera. Ora, se mi vuole scusare, sono atteso da mio padre in studio- La donna si diede un’occhiata intorno e notando che tutti gli uomini stavano lasciando la sala, lo mollò come se scottasse. Era molto importante quel momento in tutte le famiglie Slytherin: in un pomeriggio si potevano decidere le sorti della prole –soprattutto femminile-, degli affari e delle alleanze tra Casati. Draco si ricompose e bevve da un bicchiere che gli passava Theodore, mentre quello gli mormorava: -Tieni, c’è una Pozione Rivitalizzante anche se non te la dovrei dare, visto come butti giù spumante. Però hai sopportato la signora Cavendish per più di un’ora con le rispettive cinque figlie, quindi ecco!-

Blaise fece il baciamano accanto alla fontana di cioccolato ad una ragazza particolarmente graziosa in abito argento e si congedò con un occhiolino, raggiungendo gli amici sornione.

-Allora, Mister-sono-bello-e-conquisto-ragazzine, come procede il tuo corteggiamento?- lo accolse Theodore ironico, mangiando un profiterole alla crema.

-Sono molto indeciso: Chelsea è deliziosa, ma hai visto che gambe ha Yvonne?- sembrava così sinceramente dubbioso che a Draco venne da ridere (forse era anche colpa dell’alcool…), mentre Theo alzò solo gli occhi al cielo, borbottando qualcosa come: -Sei incorreggibile-

-Che cosa c’è?- domandò burbero il ragazzo dagli occhi blu, avviandosi per le scale.

Il biondo lo seguì, cercando di nascondere il divertimento: -Assolutamente nulla-

-Infatti, niente- approvò l’altro, scuotendo il risvolto della camicia per far cadere lo zucchero a velo e le briciole del dolce.

 Spalancando la porta dello studio Blaise concluse: -Siete gelosi solo perché IO stasera avrò qualcuno nel MIO letto e voi no-

-Ti ricordo che le nostre camere sono comunicanti ed IO vorrei dormire stanotte- replicò Draco entrando e guardandosi intorno attentamente.

-Touchè. Ma lo sgabuzzino è mio-

-Affare fatto- stabilì il ragazzo.

Il salottino era stato ingrandito con un Incantesimo di Estensione Irriconoscibile ed era pervaso da un velo di fumo dall’odore dolciastro. Numerosi capi-famiglia discutevano mollemente sui divanetti davanti al camino, altri si servivano di amari o liquori al bar e parlavano con uomini intenti a firmare contratti alle scrivanie. Lucius Malfoy era ancora occupato con il signor Blanchard; ridevano sguaiatamente e fumavano sigari come due vecchi amici. Draco si irrigidì, ricordandosi del suo fidanzamento con Evangeline e del suo sguardo calcolatore e soddisfatto. Theodore si mise alla sua destra, incoraggiandolo con la sua presenza, mentre Blaise svolgeva le burocratiche cortesie di società con un comportamento impeccabile.

Con voce seria Theo lo ammonì: -Devi solo mostrarti superiore e assecondarlo. Completamente imperturbabile. Sai già che cosa ti vuole dire grazie a Narcissa che ti ha informato; questo è un punto di forza per noi e dobbiamo sfruttarlo come si deve. Scherma i tuoi pensieri con attenzione. Non cercare di far valere la tua opinione, non impòrti o mostrare segni d’insofferenza: sei il Draco sottomesso che vuole entrare nelle schiere di Voldemort-

Draco sobbalzò: mai e poi mai avrebbe pensato che un ragazzo appena diciassettenne, oltretutto Slytherin e con il Marchio, avrebbe pronunciato il nome dell’Oscuro Signore. Il moro lo fissò schietto, chiarendo con un sorriso fugace: -Se lo dici, suona meno minaccioso. Alla fine è un essere anche lui-                                       Si fidava profondamente di Theo; era il più coerente, intelligente e responsabile di tutti loro, ma soprattutto sapeva valutare le situazioni. Li aveva sempre tirati fuori dai guai e per quanto pedante alle volte, era un amico sincero.

-Come faremo poi?- la domanda uscì spontanea ed urgente dalla bocca di Draco.

-Vedremo, Draco. Vedremo- sussurrò mesto -Adesso vai, ti sta chiamando-

Camminando elegantemente attraverso il salotto, attirò su di sé gli occhi di molti presenti. Draco Malfoy era il ragazzo celibe più ambito di tutta la società: di famiglia agiata, dai nobilissimi natali e dalla stretta alleanza con il Signore Oscuro, perciò ogni padre lo desiderava come marito per le proprie figlie femmine, nonostante la dote dovesse essere principesca per soddisfare le aspettative di Lucius. Il biondo si servì di un bicchiere di brandy invecchiato, sentendo lo sguardo di riprovazione di Theodore perforargli la nuca e si avvicinò ai due uomini, inchinandosi profondamente: -Padre, mister Blanchard-

-Alzati, figlio mio- Lucius esigeva condurre la conversazione e farlo parlare solo se interpellato, quindi Draco stette in silenzio con il capo chino e lo sguardo sottomesso, sebbene si sentisse ribollire dentro dallo sdegno e dal rancore.

-Che ne pensi di Evangeline, Draco? Una ragazza incantevole, senza dubbio- il padre lo osservò facendo aerare il liquore ramato nel suo bicchiere a calice e scambiando uno sguardo complice con il signor Blanchard.

-E’ gradevole, padre, per la sua giovane età- rispose con voce disinteressata. L’unica cosa che in quel momento gli importava era ricordare gli avvertimenti di Theodore: sii superiore, ma non far valere la tua opinione. Notò che un lampo rabbioso attraversava gli occhi del padre e immediatamente aggiunse, assecondandolo: -Naturalmente la sua bellezza è così adorabilmente, ehm, candida. Un bocciolo di fiore-

Il signor Blanchard annuì meditabondo, scrocchiandosi le nocche rumorosamente e facendo cenno a Lucius di continuare; l’altro proseguì con un cenno: -Bene, perché siete fidanzati e a breve vi sposerete, prima della tua Iniziazione. E’ stata rimandata a maggio; anche il nostro illustre Signore Oscuro ha approvato questa scelta: devono crearsi stabili famiglie per produrre nuovi adepti Mangiamorte- La brutale dichiarazione non lo sconvolse come la prima volta, però percepire l’ineluttabilità del suo destino prestabilito lo amareggiò. Si ricordò all’improvviso di schermare i suoi pensieri, ma l’unica cosa che in quel momento gli veniva in mente era proprio quella che avrebbe dovuto non esserci: una ragazza dai folti capelli rossi, da profondi occhi verdi e da una spolverata di lentiggini color caffelatte. La stessa ragazza con cui aveva riso, che aveva tenuto tra le braccia, che aveva discusso con lui per più di un’ora su che libro fosse migliore tra “Cime Tempestose” e “Il conte di Montecristo” (aveva vinto Dumas alla fine, per la cronaca, con tutto il disappunto della rossa).

La sua Ginevra.

Poi si accorse delle occhiate furibonde di Lucius e cominciò a ripassare furiosamente gli schemi di gioco di Quidditch per distrarsi.

-Allora Draco, hai qualcosa da dire? Ho già contrattato per la dote mentre la data la fisseremo a breve: dei preparativi si occuperà tua madre; le nozze si terranno qui a Malfoy Manor e fino ad allora i Blanchard alloggeranno da noi-

Chinò di nuovo il capo: -Sono onorato di servirvi, padre, in qualsiasi cosa desideriate da me- Il signor Malfoy sembrò soddisfatto poiché annuì, sfregandosi le mani e lo congedò dicendo: -Ricordati, mi aspetto che balliate insieme, tu ed Evangeline; questa sera annuncerò il vostro fidanzamento-

Deglutendo, Draco si allontanò e con il cuore in gola raggiunse i suoi amici, li oltrepassò e proseguì fino all’uscita. Sia Theodore che Blaise erano impegnati nella conversazione e sarebbe stato estremamente scortese abbandonare gli interlocutori in un momento così delicato. L’equilibrio fra i Casati era sempre stato instabile; si doveva evitare ogni motivo di attrito, perciò Draco non li interruppe, facendo solo un cenno con la testa verso l’uscita. Si rese conto di aver trattenuto il fiato solo quando, appena chiusa la porta dietro di se, dovette boccheggiare per prendere ossigeno. Comunque era rassicurante pensare che le apparenze tanto amate da Lucius erano state protette e che nessuno sospettava fosse un traditore. Draco si appoggiò al muro del corridoio, sentendo il vociare civettuolo delle donne nei salottini che prendevano il thè e le fredde conversazioni maschili nell’ufficio di suo padre, desideroso di allontanarsi per un po’ da tutto “quello”. Prese le scale dell’androne principale ed uscì nell’aria gelata e tempestosa, senza nemmeno indossare il mantello di velluto. I turbinii di fiocchi ghiacciati gli schiarirono immediatamente le idee, permettendogli di analizzare meglio la situazione. I problemi erano essenzialmente due: il suo matrimonio e la sua Iniziazione. Le opzioni effettuabili diverse, ma tutte ad alto rischio e con l’incertezza della riuscita: per prima cosa rivolgersi al preside Silente; un vecchio rimbambito e un po’ pazzo alle volte, ma c’era un motivo se era considerato da tutti il più potente tra i maghi e le streghe, farsi male in modo grave (per esempio una caduta dalla scopa particolarmente violenta) per spostare le date prefissate, ma sarebbe stato solo un temporeggiamento o entrare nelle Schiere dei Mangiamorte, rinunciando a tutto, all’onore, all’orgoglio, all’amore. Spostando con il piede i sassolini che incontrava sul sentiero, si fece strada nella serra di vetro che proteggeva le rose di Narcissa dal maestrale invernale. Il roseto era enorme e conteneva tutte le varietà più antiche e pregiate di piante da tutto il mondo; Draco ricordò con nostalgia i giorni primaverili in cui osservava sua madre potare i polloni secchi e comporre splendidi mazzi nella serra scoperta, illuminata dai raggi del sole.

-Draco, anche lei qui, allora. Vede? Le nostre strade sono destinate ad incrociarsi- la voce flemmatica di Evangeline Blanchard lo distolse dai suoi pensieri. Si girò all’improvviso, notando la bambina in un vaporosissimo abito color tortora ornato di piume. Il suo sguardo era ancora magnetico, seduttore, ma il trucco pesante lo rendeva acerbo e inappropriato su una ragazza di quattordici anni.

Il biondo sbottò rudemente: -Mi hai seguito?- camminando lungo il sentiero di ghiaia scricchiolante. Pensò di essersela levata di torno, però sentì chiara e forte una voce ammonitrice nella mente esortarlo: -E’ la tua promessa sposa e hai appena detto a tuo padre che è deliziosa come un bocciolo in fiore, quindi devi essere cortese, altrimenti va a finire che la mocciosa va a riferire tutto al papino- Magari poteva rendersi tanto detestabile da far annullare il matrimonio, ma ripensandoci così avrebbe solo fatto infuriare Lucius e avvicinato la data dell’Iniziazione; forse era meglio sembrare accomodante, lusingarla e trovare un metodo alternativo. La coercizione, per esempio.

Draco si voltò e si corresse, addolcendo il tono e baciando la mano guantata che la bambina gli porgeva, nonostante i suoi occhi lampeggiassero irati: -Mi scusi per la risposta, signorina Blanchard, sono solo un po’ teso per questa sera. Aprire le danze è un compito importante. Questo vestito è… sbalorditivo-

Evangeline arrossì visibilmente compiaciuta, mentre Draco esultava dentro di sé: era vanitosa, quindi, la ragazza. Il particolare gli sarebbe servito di sicuro in futuro per entrare nelle sue grazie. Tanti complimenti, qualche lusinga mirata…

-Sono certa che condurremo le danze in modo impeccabile. Vuole fare un prova?- domandò con un sorriso malizioso avvicinandosi tanto che il ragazzo sentì il suo profumo persistente e dolciastro di giglio.

Draco si costrinse a guardarla negli occhi e a rispondere con voce roca, misteriosa: -Mi piacciono le sorprese; tuttavia purtroppo devo declinare l’invito. Avremo tempo per fare pratica in separata sede, se proprio non ci troviamo affiatati, anche se non credo capiterà. E’ vero che ci illuminerà con la sua incantevole presenza qui a Malfoy Manor fino al nostro… matrimonio?- Solo il pronunciare quella parola lo fece sentire sporco, traditore, macchiato e ancora una volta non poté impedirsi di pensare alla sua fata del Lago che gli mancava più che mai. Ginny avrebbe capito la sua decisione? L’avrebbe perdonato? E le era piaciuto il regalo?

-Esattamente. Studierò da privatista qui e assisterò Narcissa nell’organizzazione della cerimonia. Diamoci del tu, okay? Ecco, in realtà ti ho cercato per informarti che mi vestirò di rosso scarlatto questa sera. Mi trovavo nella serra appunto per trovare una rosa da mettere al tuo occhiello dello stesso colore- affermò leziosamente Evangeline, appoggiando una mano sul suo petto e leccandosi le labbra.

Draco ne fu disgustato al punto che si scostò, mormorando qualcosa sulla pudicizia che una donna deve tenere secondo la società aristocratica magica e la invitò a rientrare in casa. Il loro ingresso non passò indisturbato: la ragazza era avvinghiata al suo braccio in un inequivocabile segno di appartenenza. Diverse madri sospirarono scocciate; Draco Malfoy era stato aggiudicato da una sconosciuta, francese per giunta, che non apparteneva ai Serpeverde e non dalle figliuole britanniche dai nomi antiquati che gli facevano la punta da quando erano bambine.

                                                                                            

Il ballo avvenne in un tripudio di vestiti sontuosi confezionati su misura e gioielli luccicanti. Le ragazze sedevano ai tavolini con le madri, aspettando che gli uomini le invitassero a ballare e compilassero il carnet delle danze. Un quartetto di archi e una piccola orchestra suonavano musica classica in un angolo, mentre i camerieri portavano calici di champagne e piccole prelibatezze su enormi vassoi d’argento. Non vi era fonte di luce che non provenisse da candele: erano così tante e abilmente disposte nei candelabri che illuminavano a giorno il salone, creando giochi di luce attraverso il cristallo. Draco, elegantissimo nel suo completo nero, aprì le danze con Evangeline senza sbagliare un passo: questo gli costò un commento palesemente soddisfatto dalla sua promessa –Vedi siamo perfetti insieme!-

La rosa scarlatta all’occhiello del ragazzo si abbinava perfettamente al pomposo vestito purpureo che quasi seppelliva la bambina. Il suo carnet era più o meno tutto occupato dal nome di Draco; comunque nessun giovane in età da moglie le avrebbe più chiesto di danzare, non dopo l’annuncio trionfale del loro fidanzamento e della data del matrimonio. Il biondo non ricordava quante volte avesse ringraziato per le felicitazioni, le congratulazioni, mentre Evangeline si stringeva al suo braccio e cinguettava commenti mielosi come: “Sono certa che la nostra sarà un’unione gioiosa!”, “Certamente il nostro amore sarà il tema principale della cerimonia” e “Oh, siamo così felici di condividere con tutti voi la splendida notizia”. Era un’attrice nata; riusciva far credere di sembrare frivola e superficiale senza però perdere quello sguardo calcolatore che metteva tutti in soggezione. Draco se ne era accorto benissimo: i suoi commenti subdoli, ingannatori, quell’affettazione falsata gli facevano credere che o era cresciuta con già l’idea di sposarlo o che sapeva alla perfezione il fatto suo e puntava al prestigio e al patrimonio dei Malfoy.

Quando alla fine tornò in camera con Theodore e Blaise, dopo aver accompagnato Evangeline in camera e averle augurato la buonanotte, Draco si buttò sul letto laconico, guardando il soffitto.

-Se non ti conoscessi da anni, amico, direi che sei veramente preso da Evageline- disse Blaise, preparando tre bicchieri di scotch sul tavolino e aspettando una sua reazione, invano. Il ragazzo non si mosse di un millimetro, nemmeno quando gli allungò un bicchiere.

Theodore parlò piano, ma deciso, bevendo un sorso di liquore con fare pensieroso: -Hai fatto bene, Draco. Lei è subdola, si vede: quella sua finta aria di inesperta è stata accuratamente montata, però tu adesso devi conquistarti la sua fiducia, devi farla innamorare di te. Fingi, inventa qualcosa, dalle importanza; dovrai averla tra le tue mani prima del matrimonio e solo allora non costituirà più una minaccia-

Il biondo aprì la bocca per dire qualcosa, ma l’amico lo precedette, ripetendo la stessa cosa che aveva pronunciato quel pomeriggio: -Vedremo, Draco. Torniamo a scuola e creiamo un altro piano, ma per ora atteniamoci a questo. Una cosa per volta-

 Draco si addormentò, con la voce di Blaise in sottofondo: -Non è giusto! Va sempre a finire che non pasturo con nessuna perché sono preoccupato per lui… Mi sa che domani Whitney non ci sta con me-,  sognando un campo di violette con un unico, grande papavero rosso al centro.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Ritorno ***


POV GINNY

Ginny saltellò per il salotto della Tana in un tintinnio di ciondoli, emozionata come se fosse il suo primo giorno di scuola; normalmente era difficile essere contenti di dover ritornare ad Hogwarts dopo le vacanze di Natale: iniziava il periodo scolastico più intenso, si moltiplicavano le verifiche e i professori rincaravano la dose assegnando centimetri e centimetri di pergamena da compilare. Inoltre era piacevole farsi coccolare a casa propria e stare un po’ in famiglia, peccato che la Tana incominciasse ad essere troppo soffocante e che Ginny avesse un pensiero ben in mente. Ronald scese le scale con il suo baule che lievitava a mezz’aria per un incantesimo Lomocotor sbuffando, rabbuiato in volto: -Che cos’è tutta questa felicità, Gin? Proprio non capisco! Io ho già un’esercitazione di Pozioni già mercoledì-

Ginny strinse le spalle in un largo maglione nero con i bordi verdi: era quello di Draco che aveva trovato nella Stanza delle Necessità; lo aveva indossato per tutte le vacanze e aveva perso un po’ del suo profumo.

-Non è colpa mia se Piton è un completo str…-

Molly apparve magicamente con una pila di panni stirati in mano e un’aria di rimprovero: -Il professor Piton che cosa, esattamente, Ginny?-

-Niente mammina- la rossa si sporse e con un sorriso angelico le prese la biancheria dalle mani cominciando a salire le scale e depositando il vestiario sul pianerottolo delle porte dei proprietari mentre Arnold saltellava dietro di lei. Distribuiti tutti i vestiti, andò nella sua camera per controllare di aver preso tutto.

La voce di Molly si sentì fino da lì: -FREEEED! GEORGEEEEEEE! AVETE PREPARATO IL VOSTRO BAUUULEEEE?! Non voglio andare di corsa anche oggi! RAGAZZIII C’E’ LA COLAZIOOONEEE!-

Ginny urlò che sarebbe arrivata e si diede un’occhiata intorno. La stanza era quasi in ordine. A parte i libri sparsi ovunque e ammonticchiati in colonne alte come lei, i vestiti che fuoriuscivano dai cassetti colmi, i poster semi staccati dalle pareti, beh, era tutto okay, o meglio tutto come sempre. Ginny accarezzò la coperta patchwork sul suo letto e i cuscini che aveva provato a ricamare quando aveva sette anni, poi notò un angolo di pergamena spuntare da sotto la federa. La afferrò in preda al panico, riconoscendo la calligrafia così familiare: -Oddio, ma questa è una lettera di Draco! E se l’avessi dimenticata qui? E se la mamma l’avesse letta?!- Nel corso delle vacanze Ginny aveva ricevuto cinque lettere provenienti da Malfoy Manor, ognuna con l’inconfondibile tono caustico e irriverente, mischiato qualche volta ad una dolcezza inusuale da parte sua. Quella che aveva trovato era proprio l’ultima lettera arrivata ed era la più affettuosa:

“Ginevra,

mancano esattamente due giorni, otto ore e trentasette minuti, se i miei calcoli non errano (e non errano: li ho contati io, dopotutto!) al momento in cui ti rivedrò sul treno per Hogwarts. Giuro che ti aspetterò con quattro confezioni di Cioccorane se mi degni della tua presenza nel vagone 11. Devo parlarti urgentemente                   ed ho qualcosa che ti appartiene.                                                                                                                                                                          Mi manchi,                                                                                                                                                                           Draco

Post Scriptum: Non portare la puffola, ti prego, va a finire che mi mangia sempre tutte le Api Frizzole!”

Questo era il principale motivo per cui Ginny sprizzava di gioia quella mattina del nove gennaio. Moriva dalla voglia di rivederlo, di passare le mani fra i suoi capelli, di sentire il suo profumo su di lui e non su un maglione, nonostante fosse di cashmere. Sorrise pensando che solo Draco avrebbe potuto scrivere “post scriptum” così e “se i miei calcoli non errano”. E poi quel “mi manchi” le faceva battere il cuore a mille ogni volta che lo rileggeva. La rossa stava per perdersi nell’immaginazione quando una serie di colpi alla porta la riportò con i piedi per terra; cercò di togliersi il sorriso ebete dalla faccia ma la sua bocca sembrava non collaborare. Nascose la lettera nella tasca dei jeans e si sedette sul letto, tossicchiando e dicendo:

-Ehm, avanti-  Charlie socchiuse la porta ed entrò guardandosi intorno: poche volte i suoi fratelli entravano nella sua stanza, magari quando serviva qualcosa loro o per chiamarla, ma solitamente era la cosiddetta “zona proibita”. Molly un giorno aveva radunato tutti i maschi Weasley e aveva spiegato che una ragazza aveva bisogno di determinati spazi personali, quindi, in una casa così piccola, avere una camera tutta per sé era di fondamentale importanza per Ginny e i suoi fratelli l’avevano sempre rispettata. Fu per questo forse che Charlie sembrava titubante mentre si dondolava da un piede all’altro. La rossa battè la mano sul letto accanto a lei, incrociando le gambe e districando i capelli per fare una treccia: -Vieni Charlie, non stare sulla porta- così il fratello, come se avesse ricevuto il permesso, si sedette vicino a lei. Ginny gli sorrise, incoraggiandolo a parlare: vedere suo fratello così imbarazzato e silenzioso la faceva sentire un po’ a disagio.

-Adesso che torni a scuola vedrai il tuo “ragazzo misterioso”?- la ragazza non aveva voluto mai fare il nome di Draco a Charlie, non perché non si fidasse di lui, ma perché non lo riteneva giusto nei suoi confronti se prima non glielo avesse chiesto. Inoltre il falco altezzoso che le portava le lettere si era sempre rifiutato di portarne altre di risposta a Malfoy Manor, spazientendola, sebbene avesse cercato di adularlo con pezzetti di arrosto o biscotti per gufi di prima qualità. Quindi, per ora, Draco era nient’altro che il “ragazzo misterioso”. Solo Charlie le aveva fatto capire di essersi accorto che quel braccialetto con i pendagli, il maglione nero bordato e le missive non erano né di Demelza né di Diane, ma anche le occhiate di Molly e gli sguardi furbi dei gemelli erano diventati più curiosi. Per fortuna, l’unico a non accorgersi di nulla era Ronald, troppo preso a lamentarsi e a compiangersi. Ci mancava solo che sfogasse il suo malcontento addosso a lei, perciò tendeva a stargli il più lontano possibile. Pensò molto prima di rispondere, ma alla fine disse semplicemente: -Sì, però non è ancora il mio ragazzo. Non ufficialmente, ecco- Arrossì come un pomodoro, mentre cercava nel cassetto un elastico per fermare la treccia.

Charlie disse serio: -Volevo solo dirti di stare attenta. Circolano brutte voci, lo dice anche papà, sul fatto che probabilmente Voldemort stia creando il suo esercito da qualche parte. Devi vigilare a scuola, non girare da sola, non andare in dormitorio da sola e… Credo che mi sentirei molto meglio se per esempio ti facessi accompagnare da Mister Mistero quando è tardi- aggiunse ironicamente con un sorriso sghembo.

Ginny stette al gioco e vide la sua espressione allarmarsi: -Oh, sicuramente! Non lo lascerò un attimo, nemmeno per tornare in dormitorio. Peccato che sia uno Slyth…- la rossa si tappò la bocca troppo tardi perché il viso di Charlie era già lo sbigottimento in persona. Probabilmente si immaginava un prestante Grifondoro o quanto meno un Ravenclaw , non una Serpe, della Casa tanto avversa nella famiglia Weasley.

Il fratello trasecolò stupefatto: -Il… ehm , tuo ragazzo…-

-Non è il mio ragazzo- sussurrò Ginny incrociando le braccia.

-Okay, il tuo quasi ragazzo è un Serpeverde? Ho capito bene?- Ginny alzò il viso e fissò i suoi occhi verde foglia in quelli quasi azzurri di Charlie, poi senza la minima esitazione rispose a testa alta, con voce un po’ dura in realtà: -Sì, è uno Slytherin. Non credo che questo cambi qualcosa-

Da come il fratello addolcì il tono di voce, la rossa capì che Charlie accettava la sua scelta perché si fidava di lei: -Proprio così, Gin. Se ti serve qualcosa, io sono qui. Ti voglio bene- Abbracciandolo stretto stretto, la ragazza affondò il naso nella sua camicia, mormorando a sua volta: -Ti voglio tanto bene anche io-

                                                                                    

Il binario nove e tre quarti della stazione di King Cross era disseminato di valigie, gabbie per gufi, rospi e gatti, bauli, borse. Una fitta nebbia ostacolava la vista e non permetteva alle persone di riconoscersi se non da molto vicino; Ginny avanzava con i suoi fratelli (e Arnold in nella tasca della giacca) sul marciapiede, cercando di salire sul treno. Una volta sistemati i bauli in uno scompartimento, la rossa ritornò sulla banchina per salutare sua mamma, Bill e Charlie. Suo padre era già al lavoro al Ministero e anche i due fratelli maggiori sarebbero dovuti ripartire in missione a breve: sarebbero stati di nuovo tutti insieme solo a Pasqua. Molly singhiozzava disperatamente, abbracciandola e baciandola sulla testa con un enorme fazzoletto a quadri in mano, mentre lei cercava di rassicurarla: -Mamma, ci vediamo fra qualche mese, poi lo sai che ti mando sempre una lettera alla settimana…- Alla fine la donna si dedicò a Ronald, così Ginny poté abbracciare forte Bill e Charlie e farsi promettere di avere una cartolina per ogni luogo in cui fossero andati. La nebbia si era infittita ancora di più e si mischiava in grigie volute con il fumo della locomotiva. Il treno fischiò il primo segnale di indicazione della partenza quando Ginny si accorse con preoccupazione che Arnold non era più nella sua tasca, né tra i suoi capelli.

-Ma dove si è cacciato questa volta?! Se ha visto un’altra Puffola, magari una di quelle tutte rosa confetto e l’ha seguita… Accipicchia, non si vede proprio niente- mormorò tra sé osservando per terra e tra le ultime valige ammonticchiate sul marciapiede. Si era allontanata un po’ dal treno e stava chiamando la puffola, quando si sentì trascinare dietro un pilastro di cemento nascosto alla vista di tutti. Emise un urletto di sorpresa più che di spavento e si voltò scalciando verso la persona che la stava trattenendo, decisa a tempestarla di pugni fino a quando non l’avesse lasciata.

-Oh Weasley, smettila di contorcerti, mi hai appena tirato un calcio- la voce ironica, roca e profonda di Draco la sorprese così tanto che si fermò tutto d’un colpo, irrigidendosi. Un secondo dopo gli aveva buttato le braccia al collo e lo aveva abbracciato ridendo, mentre lui la stringeva forte per i fianchi, appoggiandola al suo petto. Ginny poteva vedersi riflessa nei suoi occhi da quanto gli era vicina; si sentiva affannata come se avesse corso e percepiva il cuore batterle fortissimo nel petto.

-So che sei senza fiato, Ginevra, ma che ne dici di provare a respirare?- sussurrò Draco solleticandole l’orecchio con le labbra.

-Non dovevamo vederci sul treno, Mister-tolgo-il-respiro-alle-fanciulle?- rispose lei con un sorriso impertinente, avvicinandosi alle sue labbra senza sfiorarle.

-Infatti- Draco provò a baciarla, ma Ginny si tirò indietro distratta da un rumore penetrante, mordendosi il labbro: –Il treno ha appena fischiato?-

-Già-

-Forse dovremmo andare, allora, tanto ci vediamo nel famoso scomparto undici-

-Eh, no, adesso ti bacio perché ho aspettato due settimane per farlo ed ora che sei qui non voglio farmi scappare l’occasione- protestò Draco sonoramente.

-Se la metti così…- Ginny si spinse contro il suo petto, infilandogli le mani fra i capelli sulla nuca e alla fine le loro labbra impazienti si unirono in un bacio sempre più appassionato. Il suo profumo la inebriava e il suo sapore le sembrava così familiare e sconosciuto insieme da non volersi scostare mai più. Alla fine Arnold pigolò allarmato sentendo il treno fischiare per la terza ed ultima volta, così Ginny si allontanò, diede un ultimo bacio veloce a Draco e, acciuffato l’animaletto, tornò indietro correndo.

-Ah ma allora ti eri messo d’accordo con lui, eh? No, che non sono arrabbiata… L’hai fatto a fin di bene dopotutto- gli mormorò mentre saliva la scaletta ed entrava nello scompartimento dove aveva lasciato il baule. Aveva molto caldo e immaginò di essere tutta rossa; le sue previsioni probabilmente non erano errate perché non appena aprì la porta scorrevole ben otto volti la guardarono come se fosse la professoressa Mc Granitt con i bigodini. Hermione alzò gli occhi dal libro che stava leggendo, Harry, Ron, Seamus, Dean smisero di parlare animatamente di Quidditch e la fissarono con le bocche spalancate, Neville la salutò con la manina e solo Luna sembrò non stupirsi di nulla: -Ciao, Ginny hai i capelli un po’ spettinati, forse che tu abbia un nido di Parvole Ronzanti in testa?- chiese fissandola un po’ persa attraverso un paio di occhiali a forma di calderone.

Ginny pettinò i capelli arruffati con la mano e disse imbarazzata: -Ehm, non credo Luna, penso che sia stato Arnold. Adesso scusatemi…-

-Perché sei tutta rossa?- domandò sospettoso Ron, guardandola dall’alto in basso.

La sorella continuò forzatamente, evitando di rispondere: -…ma vorrei prendere il mio baule-

Dean e Seamus avevano ricominciato a parlare ed Hermione a dedicarsi al suo libro con uno sguardo di sufficienza. Solo allora Ginny si accorse che il suo bagaglio nella reticella proprio sopra la testa di Harry, che la fissava imbambolato. Non capiva che cosa avesse da guardare in quel modo!

-Vuoi sederti qui sulle mie ginocchia, Gin?- le chiese con premurosità, sbattendo con le mani sulle gambe.                 

La rossa alzò gli occhi al cielo sia per la stupidità della richiesta che per l’occhiata fulminante che le aveva lanciato Hermione e, afferrato il suo baule con tutta la grazie possibile, uscì: -Grazie Harry, ma credo che andrò nello scompartimento con Diane e Demelza!- Sentì da fuori la voce del moro risponderle: -Okay, non c’è problema! Magari dopo vengo a trovarti-

-Magari anche no- borbottò scocciata. Si rese conto che molti altri ragazzi si erano accorti delle ultime battute dai risolini e dai sorrisi sornioni che la seguirono mentre avanzava di scompartimento. Benissimo, ci mancava solo che Draco venisse a sapere che Harry, che non aveva mai sopportato, le stava attaccato come un bambino alla gonna di sua madre. Sbuffando si infilò nella carrozza delle sue migliori amiche già pregustando le chiacchiere ed gli aneddoti divertenti delle vacanze. Non appena la videro le saltarono addosso, abbracciandola calorosamente e mollando ciò che stavano facendo per venirle incontro: il risultato fu un pavimento ricoperto di gomitoli del cestino da cucito di Diane e gelatine Tutti i Gusti +1.        Si sedettero come avevano sempre fatto a raccontare tutte le cose D.D.N. (ossia Degne di Nota) mangiando cioccolatini e caramelle, così Ginny potè mostrare il bracciale, infastidirsi per il comportamento appiccicoso di Harry e parlare di Draco.

-Ma stai scherzando?! Vuoi dire che ti ha chiesto di andare nella sua carrozza?- urlò quasi Demelza con gli occhi spalancati, inghiottendo una manciata di cioccolatini. Diane le mise una mano sulla bocca, ridendo sommessamente: -Fai piano, Za! Altrimenti tutta Hogwarts saprà di questa relazione e noi non vogliamo dare la nostra migliore amica in pasto alle sorelle Patil, non è vero?- Anche Ginny rise di gusto, mentre si sistemava i capelli in una treccia e sputacchiando Piperille Nere ovunque. Quanto le erano mancate!             -Però non è giusto, Gin: Draco ha due amici che sono tra i più fighi della scuola e tu ancora ne ce ne hai presentato uno, ingrata!- continuò Demelza imbronciata. La rossa si alzò e, controllato che la situazione si fosse calmata nel corridoio dopo il passare del carrello delle vivande, rispose fintamente annoiata: -Vedrò cosa posso fare… Adesso, se volete scusarmi, vado a vedere dove è andata la strega dei dolci; credo proprio che sia laggiù, alla carrozza undici! Ciao!- le salutò con la punta delle dita e si incamminò. Provò un brivido quando vide che le tende dello scompartimento indicato erano chiuse e si sentì intimidita leggermente quando udì delle voci ridere e scherzare dall’interno. Bussò leggermente e con un veloce scalpiccio Blaise Zabini spalancò la porta energicamente con un’espressione accattivante, lasciandola scivolare dentro. Il moro richiuse l’uscio dietro di sé, guardandola con gli occhi azzurri che scintillavano: -Buongiorno, bellezza! Come mai da queste parti?-

La voce di Draco suonò divertita, ma non del tutto bonaria: -Smetti di flirtare con la mia ragazza, Blase- Ginny si voltò e lo vide disteso sui sedili, che occupava un’intera fila, mentre Theodore era seduto in fronte a lui e la fissava pensieroso, come se volesse esaminarla. Blaise si sedette accanto all’amico ed iniziò a raccontargli qualcosa che riguardava una “sventola da paura Tassorosso” e “l’aula della professoressa Cooman, un posto perfetto con tutto quell’incenso”. La rossa alzò un sopracciglio in direzione di Draco, seppur arrossendo un po’. L’aveva chiamata “la sua ragazza”? Era un’ufficializzazione? Il ragazzo probabilmente lesse i suoi pensieri con la Legilimanzia poiché la guardò con un’aria smaliziata e poi spostò lentamente gli occhi sulla sua mano che stava sfiorando il bracciale. Ginny arrossì ancora di più, ma per fortuna in quel momento Arnold saltò fuori dalla tasca cinguettando estasiato e buttandosi con gioia su di lui, che protestò con un sospiro smisurato: -Oh, no! La puffola no!- anche se alla fine iniziò a giocarci con un dito. La rossa trattenne una risatina mordendosi il labbro, quindi domandò giocosa: -Allora, principe, mi fai un po’ di spazio?- Draco riportò lo sguardo su di lei, provocante, sfacciato: -No-

-Vorrà dire che mi metterò proprio qui, accanto a Blaise, vicino vic…- non fece nemmeno in tempo a finire la frase che il biondo con un movimento fulmineo la afferrò per la vita, tirandola sopra di sé: -Credo che tu stia molto meglio qui- disse per spiegare con un finto tono di scuse, stringendola forte. Theodore si alzò e fortemente sarcastico esclamò: -Vieni Blase, andiamo a farci un giro; dobbiamo cercare quella Tassorosso… Torniamo fra un’oretta- concluse alzando gli occhi al cielo. L’amico lo seguì borbottando: -Prendetevi una stanza. Io almeno vado nello sgabuzzino- I due ragazzi ridacchiarono, ma non si spostarono, Draco appoggiò la sua fronte contro quella di lei, guardandola negli occhi. Poi alzò una mano e sciolse la sua treccia con pochi movimenti così che i boccoli ramati le ricaddero attorno al viso.

-Allora- iniziò il ragazzo, accarezzandole le braccia. I suoi occhi sembravano di metallo fuso.

-Allora- rispose Ginny reprimendo un sorriso.

-Sei bellissima-

La rossa sbuffò cercando di non sorridere: -Sbruffone- Draco alzò un angolo della bocca, aspettando come se avesse il sentore di dover ascoltare qualcosa così Ginny continuò, alzandosi leggermente per osservarlo meglio: -Volevo ringraziarti per il bracciale, è così bello, ma è il significato che mi ha emozionata. Sono tuttti i nostri… posti. Sai, ho ripensato a che cosa era successo nella Stanza delle Necessità- il ragazzo provò ad interromperla, ma lei lo zittì posandogli delicatamente un dito sulle labbra –Fammi finire. Ci ho ripensato e ho capito che avevo sbagliato. Sono una persona orgogliosa, lo sai, così quando Ron mi ha detto quelle cose, io.. io ci ho creduto subito senza nemmeno aver ascoltato prima la tua versione. Mi sono sentita usata, illusa ed ero arrabbiata, e ferita! Mi sembrava che andasse tutto bene…- una lacrima solitaria scivolò sulla sua guancia, anche se lei abbassò la testa, nascondendosi dietro i capelli per non farsi vedere. Draco si tirò più su e le prese in viso fra le mani, facendoglielo alzare: -Ginevra, mi dispiace. Quel giorno quando ho detto a tuo fratello quelle cose, è stato solo per vendicarmi. Mi aveva accusato di essere un Mangiamorte ed io mi sono infuriato, perché sebbene non mi sentissi a tutti gli effetti un servo di Voldemort- la ragazza spalancò gli occhi, ma rimase in silenzio, anche quando Draco risvoltò la manica della sua camicia mostrando il tatuaggio nero sulla pelle –avevo il suo Marchio stampato indelebile per sempre sul mio corpo. Sono impuro, sono sporco! Ma la cosa di cui mi pento di più in assoluto è stata forzarti a baciarmi, quella notte. Non credo me lo perdonerò mai- Ginny sapeva che Draco era marchiato con il simbolo del Signore Oscuro, ma lo aveva sempre tenuto nascosto alla vista, soprattutto a lei, perché l’odiava profondamente. Una tale prova di fiducia era toccante. La ragazza non disse nulla, solo lo osservò con quei suoi enormi occhi verdi lucenti per le lacrime che scendevano senza interruzione, silenziose, cadendo anche sul braccio scoperto di Draco e lambendo i bordi del tatuaggio. Poi avvicinò il viso al suo e posò un bacio, leggero come un fiocco di neve, sulla sua bocca: quel bacio era il suo perdono nella forma più pura e una consolazione nell’unico modo che in quel momento gli sarebbe potuto servire. C’erano tante cose da dire, lo sentivano entrambi, ma in quel momento non avevano fretta. Godevano della loro semplice presenza e del calore della vicinanza; era confortante sapere di non essere soli. Draco affondò una mano nella tasca dei pantaloni e le fece ondeggiare un medaglione dorato molto familiare davanti agli occhi. Ginny li sgranò stupefatta, afferrandolo con delicatezza: -Ma dove l’hai trovato? L’ho cercato dappertutto!-

-Nella stanza delle Necessità, Gwenhwyfar- rispose appoggiando il mento sulla sua testa e citando il nome inciso sul gioiello.

La voce della rossa arrivò ovattata dalla sua spalla, mentre si indicava l’indumento nero: -Perché io trovo un tuo maglione sdrucito e tu un cimelio di famiglia?-

Draco rise gettando la testa all’indietro e accarezzandole un braccio avvolto nella morbida lana: -Mi sembrava che fosse familiare questa maglia, in un certo senso!-

-Non credo te lo restituirò, è così morbido-

-Grazie! Puro cashmere australiano…- la prese in giro il ragazzo, sussurrandole in un orecchio. Ginny rabbrividì per il piacere ed alzò il viso verso di lui, affermando sincera: -Sei mancato molto anche a me- Quando si baciarono, sembrò che fosse la prima volta. Un tempo aveva deciso che l’amore per lei doveva essere familiare e turbolento insieme. Stare con Draco era proprio così: come essere in un luogo sicuro, ma con l’eccitazione di non sapere dove fosse o che cosa sarebbe successo. Andava tutto bene, per ora.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Certezza ***


 

POV GINNY

-Ginny, miseriaccia, vuoi lanciare dritta per una volta quella cavolo di pluffa? Non è difficile!- l’urlo ironico ed esasperato di Ron attraversò il campo e rimbombò sugli spalti, non c’era nessuno a quell’ora. Dopotutto non poteva biasimare gli studenti di Hogwarts che stavano rintanati al calduccio in Sala Grande: la pioggia imperversava come se dovesse avvenire il diluvio universale e il vento schioccava nemmeno fossero in mezzo all’Oceano Atlantico. Il cielo, livido e scuro, fu squarciato da un lampo che illuminò per un attimo i contorni del castello. Ginny volò verso la porta ad anelli del campo di Quidditch, puntando suo fratello Ron ed infuriandosi mano a mano che avanzava mentre Demelza cercava di seguirla per calmarla: -Gin, che ne dici se andiamo a mangiare qualcosa? Cioccolato magari? E se lasciassi perdere Ronald…? Lo conosci ormai! Ti prego, Gin, no, no…-

La rossa urlò istericamente, scostandosi le ciocche vermiglie bagnate dagli occhi e gettando il mantello alle sue spalle: -Eh, no. Ginny passa la palla, Ginny vai in ricezione, Ginny più veloce! Non ne posso più! Ah, ma adesso mi sente- Le era sembrata una buona idea fare un po’ di allenamento in vista della prossima gara di Quidditch contro Corvonero, nonostante avesse molte cose da fare. Inoltre Harry le avrebbe dato pace una volta per tutte, o così sperava; l’aveva rincorsa per giorni prima che gli concedesse un allenamento. Le prime settimane dopo la scuola erano state turbolente e frenetiche: i professori non avevano esitato a fare verifiche a sorpresa, esercitazioni da esame o altre sadiche pratiche che li riguardavano. La rossa si era addormentata diverse volte sui libri la sera; la biblioteca era ormai diventata la sua camera e Draco un insegnante; era veramente un genio, soprattutto nelle materie che le risultavano più difficili. Pozioni, prima di tutto. Harry probabilmente intravide il pericolo per il suo migliore amico perché scese in picchiata e si unì a Demelza nel cercare di farla ragionare: -Che ne dici se finiamo l’allenamento un’altra volta, eh, dolcezza?- Ginny si voltò scocciata e gli gridò di farsi gli affari suoi, anche se dopotutto aveva ragione. Pensò che non le avrebbe giovato a nulla litigare ancora con Ron; già i rapporti fra loro erano turbolenti per via della sua “ribellione”: c’era sempre qualcosa che non gli andava bene, che fossero le camicie troppo attillate o il trucco troppo evidente. Aveva dovuto stare attenta che non si accorgesse che verso sera, dopo il coprifuoco, era solita uscire dal dormitorio per andare da Draco, ma a quell’ora normalmente il fratello era già alle prese con un Fire Whisky per fortuna, così che non era difficile passare inosservati. I gemelli avevano capito già da un po’ che aveva una relazione tanto che la prendevano in giro con sottili insinuazioni che, nemmeno a dirlo, Ron non coglieva mai. Quindi, al posto di andare a stritolarlo con le sue mani, atterrò, graziandolo e bagnata fradicia si diresse allo spogliatoio, senza chiedere il permesso al capitano.

-Okay ragazzi per oggi abbiamo finito, andiamo- urlò Harry con tono forzatamente allegro in risposta –Siete stati molto bravi, dobbiamo solo riprovare quello schema a doppio rombo e poi…- Ginny si chiuse in bagno, sovrastando con il rumore dell’acqua corrente della doccia i suoni circostanti. Era gelata e non vedeva l’ora di tuffarsi sotto le coperte calde della sua stanza. Demelza fece scivolare dei vestiti asciutti dentro al bagno e richiuse la porta mormorando: -Ti aspetto per cena in Sala Grande, sbollisci un po’ tutto questo nervosismo- Sospirando di frustrazione, la rossa fece una lunga doccia bollente e si prese tutto il tempo per asciugarsi e vestirsi. Si stava sistemando davanti allo specchio quando sentì qualcuno schiarirsi la voce dall’altra parte del muro. Con ancora la spazzola fra i capelli si irrigidì, smettendo di pettinarsi; con il cuore in gola si appiattì contro il muro e chiese: -Chi è?-

Una voce ormai sgradevolmente familiare le rispose: -Tesoro, sono io- se Harry si fosse azzardato un’altra volta a chiamarla “tesoro” avrebbe fatto una brutta fine perché Ginny non credeva di avere abbastanza autocontrollo né per fermare Draco qualora lo avesse sentito né per garantire di se stessa. Era stremata, irritata e affamata perciò sbottò senza trattenersi oltre, aprendo la porta di scatto: -Ma si può sapere che cosa vuoi da me, Harry? Eh? Che cosa vuoi?!-

Scandì le ultime parole talmente bene che quasi sillabò. Harry indietreggiò incespicando e balbettando, ma non le fece pena nemmeno un po’: -Volevo solo parlare, tes…-

La rossa avvicinò il suo viso a quello del ragazzo, fissandolo negli occhi con espressione seria, che non presentava nemmeno l’ipotesi che stesse scherzando: -Non mi chiamare più “tesoro”, “dolcezza” o qualsiasi altro appellativo frivolo, se no giuro che non potrò rendere conto delle mie azioni- Un nuovo sguardo s’impossessò degli occhi del ragazzo: divennero più ardenti, quasi febbrili; le sembrarono quelli di quando qualcuno si complimentava con lui, di quando puntava ad un’impresa e volesse a tutti i costi raggiungerla. Ginny si riscosse e cercò di allontanarsi, vedendo quanto gli era poco accettabilmente vicino, anche se dopotutto Harry era come un fratello per lei. Solo in quel momento si rese conto che una relazione non sarebbe potuta funzionare fra loro perché il moro non l’avrebbe mai considerata una sua pari e rispettata per come era veramente. L’avrebbe chiusa in una teca di vetro e mostrata a tutti orgoglioso: la sua “bambola”, la sua “moglie bambina”; I suoi genitori sarebbero stati felici dell’unione con il Bambino-che-è-sopravvissuto, i suoi fratelli non avrebbero notato, se non troppo tardi, la tristezza nei suoi occhi. Ginny non avrebbe potuto sopportarlo e questo era un altro motivo per cui amava stare con Draco. Quando l’abbracciava forte, quando la baciava con passione, quando le spiegava qualcosa, quando le parlava di come suo padre lo picchiava, quando le permetteva di stare con lui durante le dolorose e tremende chiamate di Voldemort, non le aveva mai dato l’impressione che avesse paura di turbarla, di romperla o che non potesse sopportare tutta la bruttezza della sua vita. Non la sovrastava mai, né la metteva in soggezione; ascoltava tutto quello che diceva e solo dopo esponeva il suo parere. Ben celato da un profondo sarcasmo, c’era tutto il rispetto che provava per lei e Ginny credeva assolutamente che senza la stima non potesse esserci amore. Presa da questa consapevolezza improvvisa, seguendo assente il filo dei suoi pensieri, non si rese nemmeno conto che Harry si era avvicinato troppo al suo viso e la fissava come se volesse mangiarla.

-Sei così bella- mormorò bramoso, intrappolandole il volto fra le mani e baciandola con violenza. Fu un gesto talmente inatteso, tanto estraneo e ignoto che la lasciò senza fiato. Aveva sognato per anni di baciare quelle famose labbra ed ora che stava succedendo l’unica cosa che riusciva a pensare era: -E’ sbagliato, è tutto sbagliato, tutto completamente sbagliato!- Perciò si divincolò con uno strattone, spintonandolo al petto e allontanandosi il più possibile, ma Harry non sembrava intenzionato a lasciarla andare una volta che finalmente era sua poiché appoggiò di nuovo la bocca sulle sue labbra, facendosi strada con la lingua invadente. Ginny era nel panico, non sapeva assolutamente cosa fare se non dibattersi selvaggiamente: le ritornavano in mente i momenti passati con il moro a giocare a  Quidditch sulle vecchie Nimbus 2000 scalcagnate, a lanciarsi palle di neve, a rubare i biscotti a Molly; era come baciare suo fratello, era come baciare Ron! Sentì un conato salirle in gola, lo stomaco contrarsi dal disgusto, così, con un ultimo spintone, si allontanò e corse via. Harry la inseguì, determinato a non farsela scappare: -Gin, dove vai? Io so che mi amavi ed ora che ti amo anche io mi rifiuti? Hai capito?! Ti amo! Non potrai evitarmi per sempre-

I corridoi della scuola erano deserti, evidentemente tutti gli alunni erano a cena in Sala Grande, dove avrebbe dovuto esserci anche lei se la sua vita non fosse stata messa sottosopra dal migliore amico di suo fratello; rabbrividì, accorgendosi di avere ancora i capelli bagnati e gocciolanti. Nella fretta della fuga, si era dimenticata la giacca. Entrò nella Stanza delle Necessità, doveva incontrarsi con Draco dopo l’allenamento. Fortunatamente lui non era arrivato: Ginny si vergognava moltissimo di quello che era accaduto e temeva la sua reazione se involontariamente avesse letto i suoi pensieri con la Legilimanzia. Il camino scoppiettava nella Stanza, una brocca di cioccolata calda e gli irrinunciabili biscotti erano di conforto sul tavolo. La rossa si accoccolò davanti al fuoco avvolta in una coperta di lana, riscaldandosi e pensando mentre fissava le fiamme bluastre danzare sulla legna. Non poteva raccontare tutto a Draco, non subito almeno: si fidava di lui, ma non sapeva come avrebbe reagito. Insomma, quella di Harry era una dichiarazione in piena regola e non importava che cosa pensasse Ginny, era comunque una minaccia. Doveva trovare qualcuno che le insegnasse a schermare la mente e a nascondere i suoi pensieri. L’unica persona che le sembrò adatta in quel momento era Theodore, però aveva sempre avuto l’impressione che lui la squadrasse, l’esaminasse, come per comprendere perché piaceva tanto a Draco.  Era una persona molto misteriosa poiché Ginny non era ancora riuscita a capirlo, lo sentiva distante, ma lo rispettava. Aveva bisogno di lui; tanto avrebbe potuto anche non sapere i particolari: voleva chiedergli in che modo si schermavano i pensieri, non provare a farlo davanti a lui, così fece apparire una pergamena ed una piuma e scrisse un messaggio sbrigativo. Scivolò via dalla Stanza attentamente poiché il tempo scorreva e a breve Draco sarebbe andato a cercarla. L’incontro con Theo era alle dieci nella torre di Astronomia. A quell’ora non c’era mai nessuno là, o almeno sperava che la professoressa Sinistra non avesse deciso di mostrare ai secondini l’allineamento di Venere e Giove proprio quella sera. Cercando di non farsi notare, Ginny percorse i corridoi illuminati dalle fiaccole rasente il muro e giunse alla Torre Ovest, nella cui cima si trovava appunto l’aula di Astronomia. La scalinata che portava alla Torre era di pietra massiccia e i gradini erano alti e ripidi; la rossa si strinse fra le sue stesse braccia, saltando a due a due gli scalini per arrivare prima. Arrivata in cima, si chinò con le mani sulle ginocchia, respirando affannosamente per lo sforzo. Non c’è nulla di meglio della fatica fisica per dimenticare le angosce mentali.

-Weasley- Ginny si voltò di scatto, percependo la voce e la presenza di Theodore dietro di sé. Il ragazzo era in ombra, i suoi occhi brillavano come pietre di agata color caramello, ma non sorrideva. Era di una bellezza strana, esotica: soprattutto le sue iridi le sembravano di un colore indefinibile.

-Mi chiamo Ginevra- il tono suonò leggermente scocciato. Non lo aveva mai offeso, né infastidito, per cui che cos’era tutto questo rancore ingiustificato verso di lei? O era segretamente innamorato di Draco o teneva così tanto a lui da volerlo difendere da qualsiasi cosa che avrebbe potuto procurargli un dolore.

Theo si addolcì, avvicinandosi a lei e posandole una mano sul braccio: -Allora, che di cosa hai bisogno? Sembri turbata- La scrutò a fondo, cercando di leggere i suoi occhi. Ginny si morse il labbro, non sapendo bene come spiegare ciò che era successo, così alla fine disse solo: -Devo imparare a schermare i miei pensieri-

Lo sguardo del ragazzo era talmente penetrante e acuto che dovette distogliere il suo. Camminò per la stanza, seguendo circolarmente il perimetro del muro, ricoperto di enormi mappe stellari. Le costellazioni segnalate da piccoli puntini fosforescenti creavano sulle pareti bellissimi disegni mitologici; intravide Cassiopea seduta fieramente sul trono regale, la Lira, l’incantevole strumento di Orfeo, con il quale era riuscito a varcare il regno dei morti. La domanda che temeva più di tutte arrivò dopo molto tempo, quando già era passata all’emisfero boreale: -Che cosa devi nascondere? E, soprattutto, a chi?-

-Non è necessario che tu lo sappia- mormorò, sfiorando Orione sul muro. Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia.

-Come desideri, ma non ti assicuro che non lo leggerò, qualunque cosa sia, mentre ti insegno come fare. Cominciamo- Theo si posizionò proprio nel centro della stanza, colpito dai raggi di luna che filtravano dal lucernario di vetro, evidenziando i pulviscoli danzanti nell’aria e la sua figura alta. Ginny lo imitò, fissandolo attenta, ma silenziosa.

-Prima di tutto devi sapere che la Legilimanzia è un’arte nobile che va praticata con costanza e applicazione fin dalla più tenera età- la rossa alzò gli occhi al cielo perché le sembrava di assistere ad una vera lezione; inoltre Theo aveva tutta l’aria di un professore mentre gesticolava moderatamente per chiarire i concetti     –Se mi avessi chiesto di insegnarti a diventare Legilimens, sarebbe stato impossibile, ma, visto che vuoi solo nascondere qualche cosa…. Proviamo- Smise di camminare avanti ed indietro e aggrottò la fronte, fermandosi come in attesa. Ginny all’inizio non percepì nulla, voleva controbattere che non sapeva nemmeno come funzionasse la Legilimanzia, ma subito si accorse di una presenza, non invadente, soltanto superflua che scorreva veloce tra i suoi ricordi come un album fotografico. Alcuni erano vecchissimi: la prima volta in cui aveva fatto una torta con sua mamma, quando la chiamavano “Carotina” per via del colore rosso acceso dei capelli, i dispetti a zia Muriel che sonnecchiava sul divano aiutata dai gemelli, suo padre che le spiegava come funzionava un tostapane babbano. Poi iniziò a cogliere anche le emozioni più forti che avevano caratterizzato ogni momento; imbarazzo, gioia, tristezza, divertimento si mescolavano in un vortice di colori dietro alle sue palpebre e scoppiavano come fuochi d’artificio variopinti.

Le parole di Theo arrivarono da lontano, anni luce da lei: -Devi provare a respingermi o se no dovrò accedere ai tuoi ricordi più intimi per spronarti- Le sembrava che i suoi ricordi fossero ordinatamente riposti in una lunga cassettiera, etichettati in ordine cronologico. Vide mentalmente un’ombra che s’intrufolava nel cassetto più recente, così la seguì: erano i ricordi di quell’anno. Iniziò ad allarmarsi quando Theo entrò nel ricordo che presentava la prima volta in cui aveva parlato con Draco sulla quercia sul lago, quando raccontava con Demelza e Diane di come si era comportato il ragazzo, poi lesse i suoi primi pensieri su quanto era bello…

-Basta! Sono i miei ricordi! Non puoi fare così- esplose con la testa fra le mani, riversando tutto il suo sdegno sul ragazzo che stava violando la sua intimità.

-Respingimi o continuerò- fu l’impietosa risposta. Theodore era nella sua mente sempre più avanti di lei, non riusciva a stargli dietro. Ginny corse tra gli scaffali della sua testa, raggiungendo il moro e scansando le immagini della Stanza delle Necessità, tinta del rosso del suo piacere, della bocca di Draco, del bracciale che le aveva regalato a Natale. Quando infine furono tutti e due nella diapositiva di quel giorno stesso, la rossa vide la Ginny del ricordo che si pettinava davanti allo specchio e sentì, chiaro come se fosse vero, lo scalpiccio dall’altra parte della porta. In preda al panico, cercò di posizionarsi davanti ad essa e gridò d’insofferenza, con le lacrime che scendevano copiose sulle sue guance. Theodore era impassibile, di quell’indifferenza istruttiva che potevano possedere solo gli Slytherin, così immuni ai sentimenti e ai dolori altrui. Ginny rivisse con orrore il momento di rabbia violacea e rossastra in cui apriva la porta del bagno dello spogliatoio e vedeva Harry, gli urlava di non chiamarla più “tesoro”. Potè solo osservare inesorabilmente il moro, che notandola sovrappensiero, si avvicinava sempre di più alle sue labbra, le sussurrava cupido all’orecchio… Solo allora l’ondata di carica elettrostatica ruppe gli argini della sua mente e tagliò il contatto, sbalzandoli indietro, a terra, sul duro pavimento della Torre. La ragazza si accoccolò sul pavimento, piangendo sommessamente in posizione fetale. Si sentiva svuotata, profanata, ma c’era riuscita. Non si era nemmeno resa conto di come avesse fatto, era stata più che altro una reazione istintiva, un rifiuto immediato, primordiale. Theo si sdraiò accanto a lei laconico, con lo sguardo perso sulla luna, imprigionata dalle sbarre del lucernario: -Draco non entrerà mai nei tuoi pensieri come ho fatto io stasera. Ho pensato che affrontare subito la prova più gravosa, ossia scacciare un’influenza dalla propria mente, ti avrebbe reso più facile nascondere un semplice ricordo. Bastava che tu lo prendessi da quella cassettiera e lo spostassi in un luogo più sicuro. Sono stato invadente e precipitoso; è solo che sembri così forte, così sicura, però alla fine sei come tutti noi: hai una corazza per proteggerti dal dolore. Ti porgo le mie scuse-

Ginny si girò nella stessa posizione del moro, calmando il respiro mentre osservava la luna; apparì quella di sempre mentre pronunciava risoluta: -Mi servirà, prima o poi- indugiò un attimo prima di aggiungere -E per quanto riguarda Draco...-

-Non voglio sapere nulla di quello che è successo oggi pomeriggio fra te ed Potter, non potrei nemmeno dirti che disapprovo il fatto che tu glielo tenga nascosto, avrai le tue motivazioni. Però ricorda: Draco è un ragazzo difficile, ma sa ragionare. Mentire non giova mai a nessuno- parlò con il rimorso nella voce, come se si fosse ricordato di un episodio doloroso della sua vita. Ginny posò una sua piccola mano su quella di Theo per confortarlo e il ragazzo sobbalzò, spostando lo sguardo dal suo viso alle mani unite.

-Grazie di cuore- sussurrò la ragazza prima di alzarsi.

Stava già andandosene quando il moro la fermo: -Non farlo soffrire, Ginny. Sei tutto ciò che ha-

-Non lo farò- quella era la sua unica certezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Insieme ***


POV DRACO

C’era una sola cosa che in quel momento preoccupava Draco Malfoy, tanto da farlo camminare su e giù per la stanza e passare nervosamente le mani fra i capelli: doveva dire a Ginny del suo matrimonio con Evangeline Blanchard. Lo aveva già taciuto per troppo tempo; sul treno per Hogwarts si era ripromesso di raccontarle tutto, di non trattarla come se fosse di cristallo, di renderla partecipe, sebbene non lo volesse completamente, dello schifo della sua vita. Non era convinto fino in fondo perché Ginny per lui era una ragazza lunare. Gli era venuto in mente questo appellativo quando una delle prime volte in cui l’aveva vista era andato in Infermeria per medicarsi il Marchio bruciante e lei era dormiente, mezza scoperta, ma avvolta in tanti raggi di luna. In quel momento aveva pensato che sembrava davvero qualcosa di puro e limpido, simile al satellite candido della Terra mentre lui si sentiva contaminato e aveva paura di sporcarla, di far nascere crateri lividi sulla pelle diafana al solo tocco, di intaccare la sua trasparenza cangiante. In quelle settimane però aveva capito che Ginevra era il suo Sole, il suo centro. Quando non c’era, gli mancava, se era presente, si sentiva completo. Passava gran parte delle sue giornate con lei, spesso di nascosto, ma era diventata così peculiare che ne percepiva subito il vuoto. Allora come dirle che tra meno di tre o quattro mesi sarebbe stato indissolubilmente legato da un anello, da una cerimonia, da un vincolo a una bambina che nemmeno conosceva? Tutto si sarebbe squilibrato: già la loro relazione, a causa dei sotterfugi stancanti che dovevano usare per nascondersi e per i loro due caratteri dominanti non sempre facili, era un castello di carte tenuto insieme da una grande forza di volontà, ma pronto a crollare al primo soffio di vento. Sapere di Evangeline avrebbe logorato Ginny. Era probabile perfino che desiderasse di non avere più nulla a che fare con lui, per quanto gli sembrasse un’aberrazione. Draco, solo nella sua stanza, diede un calcio ad un tavolino, gettandolo gambe all’aria e rovesciando dei libri e la lampada. Possibile che fosse così difficile? D’altra parte se non glielo avesse detto, Ginny si sarebbe arrabbiata moltissimo, ferita per quella mancanza di fiducia che tanto si erano ripromessi, sarebbe rimasta distrutta dall’improvvisa notizia, l’avrebbe evitato, allontanato e questo non poteva sopportarlo. Dovevano lottare e trovare al più presto un’idea, insieme. Capì che bisognava evitare le incomprensioni e gli errori del passato che tanto li avevano fatti soffrire per trovare un’intesa ancora più forte e solida. Lei gli aveva donato il suo cuore, la sua fiducia: ora toccava a Draco dimostrarlo.

Quando arrivò nella stanza delle Necessità, capì che c’era qualcosa che non andava. Insomma, non c’erano cartine di cioccolatini in giro, né un libro aperto sul bracciolo della poltrona o quaderni sparpagliati sulla scrivania… Non c’era Ginny.

-Che strano. Dovevamo vederci qui alle dieci- pensò controllando l’ora sul massiccio orologio a pendolo sopra al camino –Magari è in ritardo. Arriverà- Si stese sul letto e guardò il soffitto che era come un angolo di cielo stellato. Voleva aspettarla, ma in poco tempo si addormentò, stanchissimo. Passò gran parte della notte senza sogni, poi rivisse quell’incubo che da un po’ di tempo lo tormentava con la sua ineluttabilità: Draco si vedeva, lacero e insanguinato, ai piedi di una figura scura, con due bracieri rossi che ardevano nelle orbite degli occhi e dei ragni pallidi e scheletrici come mani. Essa non parlava mai, lo torturava e basta, lentamente. Ogni tanto dei raggi verdi di incantesimi bruciavano come stelle cadenti mortali per la stanza gocciolante e rossa di sangue, mentre le urla di dolore, i lamenti e le catene tintinnanti assordavano le orecchie che non volevano più sentire. Il ragazzo si contorceva sul pavimento appiccicoso e sentiva delle fitte insopportabili: come acido corrosivo nelle vene, aghi robusti che penetravano nelle ossa, vetri affilati che incidevano la pelle senza pietà. Fuori, sembrava tutto a posto, dentro, si sentiva morire. Non urlare e dimenarsi era impossibile;  la morte, l’unica dolceamara alternativa,  era intesa come una rassegnata liberazione. La figura smetteva di torturarlo solo quando sveniva e senza forze veniva trascinato in un angolo, immerso nel suo stesso sangue. Avrebbe potuto sopportare tutto questo, se poi non avesse sentito nello stato di semi- incoscienza in cui si trovava una voce femminile urlante, sottoposta alla sua stessa sofferenza: la voce di Ginny. 

Di solito Draco si svegliava a questo punto ogni notte, urlando e faceva alzare i suoi compagni di stanza che lo scuotevano fino quando non capiva di essere ad Hogwarts, nella sua camera. Per questo motivo, cercava di non addormentarsi per non cadere vittima ancora di quell’incubo crudele: di notte passeggiava per il castello, chiacchierava con i fantasmi, leggeva, però durante il giorno era talmente stanco che faticava a tenere gli occhi aperti. Era una continua sofferenza psicologica. Aveva perfino provato di chiedere aiuto al professor Piton che gli aveva prescritto delle pozioni per lo più inutili; qualcuno stava cercando di forzare la sua mente e per ora non c’era rimedio. Ginny sapeva dei suoi incubi, conosceva le dinamiche del sogno ed i soggetti, ma non era al corrente che la cosa che più lo faceva impazzire era la fine, quando compariva lei con i suoi bei capelli fiammanti che danzavano al buio in quella stanza maledetta. Anche quella sera si svegliò in quel punto, scosso da una persona accanto a lui, vedendo ancora le immagini devastanti dietro alle palpebre. Aprì piano gli occhi nella penombra e sentì dei capelli lunghi solleticargli il collo, qualcuno che lo abbracciava forte, che seppelliva il viso nella sua spalla. Ginny era stesa di fianco al lui e sussurrava al suo orecchio parole rassicuranti con voce tremula e rotta dal pianto, accarezzandolo tra i capelli. Draco si voltò, stringendola forte per farle capire che era sveglio: -Ehi-

La rossa alzò sollevata il viso dalla sua spalla, guardandolo dal basso con gli occhi bagnati, poi bisbigliò, sorridendo appena: -Ehi-

-Se avevi bisogno di qualcuno che ti scaldasse bastava chiedere- il ragazzo allacciò le sue mani dietro la schiena di Ginny, stringendola dolcemente. La risata in risposta fu come balsamo rinfrescante su una ferita e lo rincuorò così tanto che la baciò, a lungo, percependo più che mai il corpo premuto contro il suo e il profumo di violetta. Segnò con un dito il profilo del suo viso, vedendola socchiudere gli occhi dal piacere e depositò altri piccoli baci sulle sue guance, sul mento, sulle orecchie, sul collo e di nuovo sulle sue labbra rosse. La ragazza mugolò ed infilò le mani fresche sotto la sua camicia, solleticando leggera come una piuma gli addominali e il petto. Il suo medaglione brillava nel buio come una pietra bagnata. Draco si sentiva vivo, inebriato dalla sua presenza e dal suo calore così avvolgente; baciarla era naturale come respirare. Poi, all’improvviso Ginny aprì gli occhi, allarmata e si staccò: -Draco, devo parlarti immediatamente-

Il ragazzo si allontanò un poco senza smettere di accarezzarle la schiena, ma prestandole tutta la sua attenzione e rispose baciandole dolcemente il collo: -Ti ascolto sempre, lo sai-

-Davvero- la serietà nella sua voce e l’allontanarsi ancora un poco gli fecero capire che qualunque cosa Ginny dovesse dirgli la opprimeva più di quanto credesse, così si sedette guardandola negli occhi, completamente concentrato. La rossa si stava torturando le mani, evidentemente combattuta. Draco s’addolcì talmente tanto per la sua incertezza da baciargliele e sussurrare: -Dimmi tutto. Ti prometto che non ti interromperò- Rassicurata dalle sue parole, cominciò sedendosi a gambe incrociate di fronte a lui:       -Ieri pomeriggio ho avuto un allenamento di Quidditch. Dopo tanti giorni che Harry mi chiedeva con insistenza di esserci, ho detto di sì e sono andata. Poiché Ron mi dava sempre addosso e mi urlava contro, ho perso la pazienza e me ne sono andata- Draco sentì un aculeo di istantaneo rancore verso il fratello di Ginny che la umiliava sempre, però non fece commenti –Mi sono rifugiata nel camerino e mentre mi stavo pettinando ho sentito qualcuno dietro la porta, ho aperto e c’era Harry- Fin qui nulla di strano, perciò il ragazzo non capiva da dove provenisse tutta quell’agitazione febbrile. Insomma Potter era il Capitano… Poco dopo iniziò ad immaginare qualcosa di molto spiacevole che potesse essere successo e le idee che gli vennero in mente furono troppe. Ginny continuò, muovendosi nervosamente sul posto: -Devi sapere che è da un po’ di tempo che Harry sembra essersi interessato a me: mi fa regali, cerca di abbracciarmi, mi segue, mi chiama “dolcezza” o “tesoro” anche se io gli ho detto più volte di smetterla- A questo punto immaginare fu fin troppo facile per Draco che con un lamento di sofferenza si costrinse a non alzarsi e strappare tutto quello che trovava sotto mano: sapeva che Ginny non glielo avrebbe più perdonato. Lei infatti stava trattenendo il fiato come se avesse paura della sua reazione e questo lo calmò immediatamente; non avrebbe mai dovuto essere spaventata da lui. Mai. Inoltre non era sicuramente colpa sua. Se si fosse presentata l’occasione, ne avrebbe discusso solo con Potter.

-Insomma, Harry mi ha forzato a baciarlo, ma io mi sono divincolata e sono riuscita a correre via. Capirei se tu fossi arrabbiato, anzi furioso: ne avresti tutti i diritti, se io avessi ricambiato. Però ti prego di ascoltarmi e poi di decidere che cosa vuoi fare. Da quando mi hai regalato quel braccialetto, no, aspetta, da quando mi hai portata per la prima volta qui nella Stanza delle Necessità, io ti ho scelto ogni giorno. Adoro stare con te, lo adoro! Amo svegliarmi alla mattina e sapere che ci vedremo, amo guardarti di nascosto nei corridoi, amo addormentarmi tra le tue braccia. E’ per questo che voglio dirti tutto come realmente è, anche se questo ti fa arrabbiare, perché mi fido di te con tutto il mio cuore e perché non voglio mentirti- Ginny spiegò tutto questo con una naturalezza così solenne, così sincera che Draco non seppe cosa rispondere, sul momento. Potè solo guardarla, lì seduta davanti a lui in attesa di una sua risposta, di un suo gesto. Potè solo avvicinarsi, abbracciarla e posare il mento sulla sua testa, ricoprendola di baci sui capelli soffici. Potè solo ricambiare quel nuovo dono di fiducia con la più onesta sincerità, con il terrore di farle male, ma la consapevolezza che qualsiasi dolore sarebbe stato più sopportabile della menzogna, sebbene intesa come omissione: -Anche io ti devo dire una cosa. Come sai, la mia Iniziazione effettiva si terrà a maggio, ma è stata spostata per un motivo ben preciso. I Purosangue e gli Slytherin in particolare, si sposano molto presto, per garantire dei sicuri discendenti per il Casato- Draco lesse il terrore negli occhi di Ginny e si costrinse a continuare a parlare, nonostante volesse solo scappare e portarla via da lì –Mio padre mi ha promesso alla figlia di un amico di famiglia, un ragazza francese di nome Evangeline. Ha quindici anni e io la dovrò sposare fra tre mesi, se non riesco a trovare prima una soluzione-

-Oh Draco, mi dispiace così tanto!- Ginny lo guardò per un istante, poi lo strinse forte con le lacrime che bagnavano le sue guance come rugiada. Draco era devastato dal dolore, ma non gli sfuggì la sfumatura delle sue parole: era addolorata per loro ovviamente, ma in particolare le dispiaceva per lui in quanto Draco. Per la prima volta qualcuno lo capiva, si preoccupava, qualcuno che non lo considerava invincibile, imperturbabile e indifferente.

-Adesso cosa faremo?- quando la ragazza domandò ciò già le lacrime erano sparite dai suoi occhi verdi, lasciando solo una traccia lucida. Potevano sembrare parole di autocommiserazione o impotenza, ma il tono con cui erano dette era il più risoluto e combattivo che avesse mai sentito. Ogni volta che usciva questo lato di lei, Draco si ricordava che era una fiera Grifondoro e che era molto migliore di lui in quanto a coraggio.

Non ebbe esitazione ad esporgli l’idea che lo stava rodendo come un tarlo da un po’ di settimane: -Ho parlato con Theo e con Blaise: abbiamo deciso di scappare-

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Progetto ***


POV GINNY

La cosa che meno piaceva a Ginny del dormitorio degli Slytherin era la costante penombra, per il resto trovava assolutamente fantastici la parete a vetrata sul lago e il vedere le spire di luce che danzavano nell’acqua verde, affatto melmosa come credeva. Inoltre là era sempre tutto così tranquillo, diversamente dal chiassoso e caotico dormitorio Grifondoro nel quale si faceva ogni cosa: dai compiti e le normali attività al giocare a Quidditch (stare in una torre poteva essere vantaggioso alle volte). L’arredamento era uguale –poltroncine, camino, divani, tavoli-, solo in verde mentre l’atmosfera festosa, l’odore di legno e miele caldo e la Signora Grassa mancavano completamente, facendola sentire un’estranea. Aveva iniziato a capire che non tutti gli Slytherin erano freddi, crudeli, insensibili e che quelli che presentavano le caratteristiche che aveva sempre associato alla Casa Serpeverde probabilmente venivano da situazioni familiari disastrate e infanzie infelici. Ciò nonostante, Ginny non poteva dire che Astoria Greengrass e Pansy Parkinson le stessero simpatiche, ma che Theodore e Blaise erano diventati amici sinceri sì. Da quando le avevano raccontato alcuni episodi delle loro famiglie, ma anche da quando aveva conosciuto Draco era diventata molto più cauta nel giudicare e meno frettolosa nel sentenziare. Aveva capito che la smania di cercare costantemente rapporti da una notte e un rifugio nell’alcool di Blaise provenivano dalla mancanza di una figura di riferimento e dal disgusto di avere una matrigna della sua stessa età, che il terrore di Draco di mostrarsi debole e abbassare le sue difese era collegato all’insegnamento autoritario e spesso crudele di Lucius. Theo, sebbene non fosse più ostile nei suoi confronti, anzi si comportava come un fratello maggiore, non si era ancora aperto con lei e questo le faceva capire che il segreto che lo opprimeva era ancora più grande e lo tormentava ancora. Non era la prima volta che sgattaiolava per entrare nel dormitorio Slytherin di sera: bastava tenere un profilo basso e coprire i capelli con un mantello di Draco. Non avevano parola d’ordine e nemmeno indovinelli o scioglilingua da ripetere, bastava toccare due pietre nel muro che si distinguevano dalle altre per due piccole lettere nere “S.S.”. Di solito preferiva stare con Draco nella Stanza delle Necessità, ma quando doveva parlare sia con Theo che con Blaise era meglio ritrovarsi nella loro camera con un buon incantesimo per insonorizzarla.

-Ginny, bellezza, vuoi sederti, per favore? Mi stai facendo venire il mal di testa- Blaise la rimproverò dal letto su cui era sdraiato, portandosi teatralmente una mano al capo con aria sofferente. Ginny camminava avanti ed indietro per la stanza con piccoli passi nervosi: Draco stava finendo il turno di perlustrazione del castello in quanto Prefetto, poi sarebbe ritornato al dormitorio. In realtà si dovevano vedere tutti lì per parlare del “piano”, ma lui si era dimenticato della ronda ed era dovuto scappare.

-Infatti è sicuramente colpa sua e non del brandy…- ironizzò Theo, sfilandogli il bicchiere colmo di liquido ramato dalle mani –E’ possibile che non riesci mai a controllarti?-

Blaise riprese lamentosamente, ma con la tristezza negli occhi: -Non è colpa mia se sono un ragazzo cattivo…La luce mi dà fastidio. Vi prego, spegnetela. Forse un abbraccio potrebbe migliorare le cose, non è vero, Gin?-

La rossa si voltò e si morse un labbro tremante: era preoccupata, stanchissima per le diverse notti insonni, confusa da mille pensieri che non le davano pace. Da quando aveva saputo che Draco non solo aveva l’Iniziazione a maggio ma che era anche promesso ad una sconosciuta, non era più riuscita a stare tranquilla; lui l’aveva notato sia nell’aria sempre un po’ assente, nelle occhiaie livide sotto gli occhi, nel tremolio ansioso delle mani, però non per questo si era allontanato, anzi le stava ancora più vicino e allora Ginny si tranquillizzava. Cercavano di passare più tempo possibile insieme, sapendo che il Destino avrebbe potuto dividerli da un momento all’altro. Con sua sorpresa, fu Theo quella sera a passarle un bicchiere di liquore con la consapevolezza negli occhi mentre Blaise protestava sonoramente dal letto (-Perché lei si ed io no? Eh, Thed, perchè?!): -Bevine un sorso. Non ci so fare con le parole quindi è il massimo di cura omeopatica che posso darti- Il che, per Theodore,  la persona con più doti oratorie che conosceva, era un paradosso, ma non fece storie e bevve tutto d’un fiato il bicchiere che le porgeva, sentendo il liquido bruciante nella gola.

-Avevo detto un sorso… E’ roba forte questa- disse vedendola stringere gli occhi. Ginny si sentì quasi subito intorpidita; i suoi pensieri brulicanti come uno sciame d’api finalmente si erano calmati, limitandosi ad un ronzio di sottofondo e tutto questo era così confortante dopo tanto tempo che quasi si mise a piangere. Probabilmente anche Theodore lo percepì perché la abbracciò, sussurrandole all’orecchio: -Oh, Gin. Ti prometto che andrà tutto bene. Draco si prenderà cura di te e anche io-

-Shi shi anche io, Sghinny davvero…- Blaise affermò il suo contributo in modo convinto prima di attaccarsi a collo ad una bottiglia di rhum. Ginny sorrise tra le lacrime, ricambiando l’abbraccio di Theo come avrebbe fatto con Charlie o con Bill. Poi, con la testa pesante e il corpo che sembrava muoversi a rallentatore, cercò di andare verso il letto di Draco senza successo, così si sentì sollevare e trasportare. La cosa la fece inspiegabilmente ridacchiare.

-Ecco, anche questa è andata- esclamò Theodore scuotendo la testa, suo malgrado divertito e più sereno. Ginny si accoccolò fra le coperte e in poco tempo si addormentò, avvolta nel profumo di Draco.

                                                                                                 

Forse furono le voci disperate che bisbigliavano a svegliarla o forse il non essere nel letto in cui dormiva di solito o forse il mal di testa, fatto sta che Ginny aprì prima un occhio e poi l’altro e vide due figure parlare animatamente sulle poltrone davanti al camino ormai spento. Si alzò silenziosamente e camminò con lo sguardo fisso su un tizzone rosso-fuoco ricoperto di cenere d’argento, pensando che era dello stesso colore delle iridi di Draco. I ragazzi smisero immediatamente di parlare, anche quando lei si sedette, o meglio si stravaccò su una poltroncina, sbattendo gli occhi e chiedendo affatto intontita: -Beh? Di cosa parlavate?-

La faccia di Theodore era indecisa tra lo sbalordimento e l’ammirazione: -Ti sei fatta fuori un intero bicchiere di whisky e sei già in piedi?-

Ginny lo guardò sinceramente interessata: -Ah, era whisky?- Draco soffocò una risata e si scostò per farle posto così che ci stessero entrambi sul divano. Dopo che si fu posizionata con la testa appoggiata alla sua spalla, la rossa continuò: -Bene, adesso ditemi che cosa avete pensato. Aspettate, non dobbiamo svegliare Blase?- diede un’occhiata perplessa al moro, steso a stella marina nel letto con la bocca un po’ aperta           -Ehm, direi di no, glielo riferirete voi….-

-E ancora non l’hai sentito parlare nel sonno- sussurrò Draco al suo orecchio, provocando una serie di brividi sul suo collo. Possibile che ogni volta che lo vedeva le faceva lo stesso effetto? Si sentiva anche un po’ scema in realtà… Theodore si era alzato e aveva iniziato a spiegare con aria molto seria, così riportò tutta la sua attenzione su di lui, intrecciando le dita con quelle di Draco: -Come forse già sai, Ginevra, la guerra è alle porte. Voldemort vuole sconfiggere Harry Potter, che ahimè purtroppo ci serve, perché sarebbe impossibile uccidere il Signore Oscuro senza di lui. In qualche modo, è utile alla causa, anzi indispensabile visto che forse dovrà morire per essa- Ginny mantenne un’espressione impassibile nonostante fosse turbata; non sopportava Harry dall’ultimo spiacevole episodio, ma ciò non voleva dire che desiderasse la sua morte –Ora, si può agire in diversi modi: il primo è chiedere protezione all’Ordine della Fenice e al Preside Silente; questo significherebbe una serie di problemi e domande inevitabili e non escluderebbe l’ipotesi che Voldemort ci trovi e ci uccidi tutti.  Punto numero due: scappare e nascondersi tra i babbani, con la certezza di essere ricercati da un gruppo nutrito di Mangiamorte fra cui Lucius, mio padre e quello di Blase, che non smetteranno di cercare fino a quando non ci avranno trovato. Ah, e poi ci uccideranno in quanto traditori. Terza ipotesi- qui il suo sguardo fu penetrante e sottile, ma il tono era sconsolato, come se non riuscisse nemmeno a sopportare che cosa stava per dire, però fosse inevitabile –ognuno va avanti con la sua vita e gli obblighi richiesti, cercando di rimanere vivo-

-Io credo che non dovremmo nemmeno prendere in considerazione l’ultima idea- si girarono tutti di scatto all’affermazione di Blaise che, in piedi dietro di loro, li guardava con gli occhi blu scintillanti da sotto la frangia di riccioli scuri. Sembrava un dio greco, un Ares. Ginny arrossì anche perché, beh, era a torso nudo e portava solo i pantaloni del pigiama, così distolse lo sguardo, anche quando Blaise continuò: -Insomma, dopo quasi diciotto anni di vita passati fra i soprusi, le violenze, metodi educativi più simili a punizioni che a insegnamenti e con dei genitori ai quali non frega nulla di noi- perfino la sua postura divenne triste e abbattuta, come se il ragazzo fosse ritornato bambino, solo e spaventato –vogliamo davvero continuare ad essere delle marionette? A permettere di farci diventare degli assassini, dei criminali?! Io non voglio e non lo farò- Ogni traccia di mestizia era stata sostituita dalla rabbia, dal dolore, dall’orgoglio e da una buona dose di forza di volontà. Ginny pensò che non è vero che i Serpeverde sono sprovvisti di coraggio: spesso lo dimostrano solo quando ce n’è bisogno e questa non è una qualità meno importante dell’intraprendenza, no?

-Ah, Gin- aggiunse con il solito tono da casanova che trasudava ironia –Puoi guardarmi adesso, mi sono messo una maglia- La ragazza alzò gli occhi dalla spalla di Draco e vide il solito sorriso un po’ storto che aveva ripreso posto sul suo viso mentre il biondo sbuffava. Theodore non si era concesso nemmeno l’ombra di un sorriso, si potevano quasi percepire i meccanismi del pensiero girare nella sua testa e soppesare le parole che sembravano essersi fermate nell’aria, poco sopra la loro testa. Tutti lo guardavano, in attesa del suo responso come quello di un oracolo quindi per sdrammatizzare disse: -Ragazzi, lo so che contate su di me, ma siete assillanti. Lasciatemi pensare-

-Uhm, credo che andrò a prendermi un bicchierino- Blaise si sfregò una mano sulla fronte, le fece l’occhiolino e caracollò verso il minibar. Ginevra alzò gli occhi al cielo e fissò Draco che sedeva leggermente rigido accanto a lei. Strofinò il naso contro il suo collo, sperando di ottenere qualche reazione e Draco, sempre sovrappensiero, la abbracciò posando il mento sul suo capo. Lo sentiva così distante e vicino insieme: come lei soffriva l’incertezza dei tempi e l’inesorabilità della vita che gli provocavano insonnia, ansia e inquietudine, ma a differenza sua, non sembrava trovare giovamento da nessuna cosa ed era sempre più consumato, stanco.

Si alzò e lo prese per mano: -Andiamo a fare un giro, dai- Uscirono silenziosi dalla camera, sentendo solo il rumore dei passi e dei loro respiri. L’orologio sul camino nella Sala Comune che segnava le due di notte rintoccò proprio in quel momento, donando un’aurea surreale al momento. Il mondo intero dormiva intorno a loro. Ginny non si fermò nel dormitorio Slytherin né parlò: camminarono mano nella mano come due ragazzi normali attraverso i corridoi illuminati dalla luna. I personaggi dei quadri dormivano, chi sonnecchiando appoggiato alla spalla del vicino, chi con le mani incrociate sopra la pancia. In quel preciso istante il castello era disabitato, un’altra dimensione in cui poter sfuggire per un po’ alla verità. Ginny godeva solo per il fatto di non essere tormentata dai dubbi e dai pensieri e, ovviamente, per trovarsi insieme a Draco. Era strano come una sola persona potesse decidere l’andamento e l’umore delle proprie giornate, vero? Ginny si fermò davanti ad una finestra, cercando di distinguere i contorni del parco nel buio.

-Sei così bella, Ginevra- la voce di Draco era stremata e stupefatta –Io non posso credere che tu dopo tutto questo tempo, dopo quello che ti sto facendo passare, desideri stare ancora con me- La meraviglia che traspariva nelle sue parole stava quasi per convincere la rossa che pensava davvero quelle cose. Ginny si voltò, cercando Draco che era rimasto un poco più indietro e non era avanzato nella pozza di luce lunare che entrava dalla finestra: -Che cosa stai dicendo, Draco?- Osservò meglio il suo volto diafano, aristocratico, quegli occhi che, ora cerchiati, l’avevano fatta tremare e sospirare, gli zigomi alti, i capelli in cui era solita passare le mani. Il suo corpo le era familiare e caro quanto il suo. Provò ad avvicinarsi a lui, ma la respinse con un gesto del viso, scuotendo la testa: -No, Ginevra. Resta lì: devi stare sotto la luce, tu. Non puoi venire qui con me, al buio-

Ginny gli corse incontro e lo trascinò sotto la luce della finestra, costringendosi a non piangere con tutta sé stessa. Draco aveva bisogno di lei, della sua forza e della sua sicurezza, non poteva pensare che l’avrebbe salvata lasciandola andare. Lo strinse forte, si alzò in punta di piedi per essere il più possibile vicino a lui e guardandolo negli occhi affermò piano, ma risolutamente: -Non provare nemmeno a lasciarmi. Non. Farlo. Abbiamo appena iniziato a lottare ed io non mi tirerò indietro. Non puoi lasciare andare tutto così-

Il ragazzo avvolse le sue braccia intorno alla vita e seppellì il viso nel suo collo, abbassando per una sola volta le difese, senza aver paura di mostrarsi debole con lei. Ginny non sentì né i singhiozzi né i sussulti: percepì solo le lacrime che le bagnavano il viso, che le intridevano i capelli e pianse con il ragazzo che amava per il futuro che non potevano avere, per la normalità che non avrebbero mai raggiunto, per loro stessi. Si baciarono, un po’ cauti, un po’ affamati come se fosse la prima volta, cercando di riscoprirsi l’uno nell’altra. La ragazza passò le mani sulle spalle di Draco, sul petto, sul volto con gli occhi fissi nei suoi, le labbra incollate. Gli sfilò febbrilmente la camicia, sbottonandola e gettandola di lato mentre sentiva il suo profumo inebriarla e le pelli bollenti entrare in contatto. Il biondo si ritrasse improvvisamente, allontanandosi con il braccio il più lontano possibile dal corpo, cercando di non vedere il Marchio lucido che spiccava sulla pelle bianca.

-Non guardarlo, ti prego- la supplicò con il volto diventato una maschera di vergogna e di disgusto.

-Quel Marchio non cambia nulla, lo sai? Non cambia nulla di quello che sei, dei tuoi sogni, delle tue aspirazioni, dei tuoi sentimenti. Non può influenzarti, se non vuoi. Non può corroderti, se lo combatti. Voldemort sta cercando di farti diventare pazzo dal dolore, dal rimorso, dai dubbi, ma non potrà mai toglierti quello che sto per dirti- Ginny gli prese il volto fra le mani, affermando ad un centimetro dalla bocca del ragazzo–Io ti amo, Draco Malfoy. Qualunque cosa accada, ricordalo. Io ti amo ed ho bisogno di te; voglio che questo braccialetto sia pieno di ciondoli, uno per ogni Natale che passeremo insieme, come mi hai promesso. Te lo ricordi?-  Draco respirò affannosamente quando la rossa appoggiò le labbra all’altezza del suo cuore e lo baciò. La strinse in un abbraccio tremante: -Ti amo anche io, Ginevra Weasley. Troveremo un modo per uscire da questo labirinto di dolore, insieme-

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Arrivo ***


POV DRACO

Era strano pensare che si potesse essere così felici in una situazione tanto triste. Ginevra Weasley gli aveva detto che lo amava. Amore? E’ una parola tanto grossa, tanto ingombrante… Cosa poteva saperne dell’Amore un ragazzo che aveva iniziato il suo percorso nel mondo senza la gentilezza e carezze di una madre, senza i giochi e l’affetto di un padre? Eppure anche lui sentiva qualcosa di grande che ribolliva dentro di lui, quella mancanza percepita quando era solo e quella completezza di quando invece era con Ginevra. Lo conosceva, lo stimava, nonostante le brutte cose che avesse subito, nonostante le cattive azioni che avesse compiuto, nonostante il Marchio viscido e nero sul braccio, ma non per questo lo compativa, come si fa con un cucciolo senza padrone. Con lei poteva essere se stesso; non c’era bisogno di mentire.

                                                                        

Le settimane passavano con una velocità allarmante, ma Draco aveva deciso che non voleva partire subito. Avrebbero creato una passaporta solo qualche giorno prima della sua Iniziazione e si sarebbero rifugiati in una casa sicura, un’antica dimora dei Black che era inutilizzata da tanto tempo. Chiedere aiuto a sua zia Andromeda era stata la scelta migliore: la ricordava poco -una volta sua madre lo aveva portato di nascosto a farle visita quando era molto piccolo- ma si era subito offerta di mettere loro a disposizione la casa, senza fare troppe domande. Era stata cancellata dall’albero genealogico di famiglia per aver sposato un babbano, Ted Thonks ed era vietato in casa Malfoy anche solo nominarla. Draco aveva sempre pensato che a sua madre mancasse molto. Conservava di lei i ricordi di un viso molto dolce, a forma di cuore, i capelli castani e ricci, l’espressione sempre sorridente. Sembrava la versione benevola dell’altra sua zia, Bellatrix. Da quell’unica volta non l’aveva più sentita perché i rapporti con sua madre si erano guastati, anche se spesso rimpiangeva di non averla conosciuta meglio. Nonostante questo, si era rassicurato; anche lei faceva parte dell’Ordine della Fenice, insieme a sua figlia Ninfadora e dopotutto era suo nipote. Gli aveva perfino regalato un orsetto di stoffa cucito da lei, all’epoca della visita. Il piano alla fine era elementare: prendere una passaporta per Black Manor e rintanarsi lì fino a quando la guerra non si fosse conclusa, sperando che i Mangiamorte avessero altro da fare piuttosto che cercare tre ragazzi dispersi. Suo padre sarebbe stato il problema più grande; l’avrebbe inseguito come un cacciatore di taglie, aspettando il momento di vendicarsi dell’umiliazione del suo tradimento e di ciò che esso aveva comportato per lui nella gerarchia precaria dei seguaci del Signore Oscuro. Solo poche persone dovevano essere a conoscenza dei particolari: sua zia, appunto e il professor Piton che avrebbe aperto per loro la passaporta sotto l’ordine del preside Silente. C’era però un piccolo enorme particolare che Draco aveva taciuto a tutti: Ginny sarebbe partita con loro.

La fine di marzo aveva portato un tiepido sole e docili margherite che invogliavano gli studenti a lasciare per po’ la biblioteca con l’allettante proposta di passare un pomeriggio diverso dal solito. Per questo motivo il parco di Hogwarts e le sponde del lago erano diventate meta di studenti armati di libri e coperte per una sessione di studio all’aperto o intenzionati solo a svagarsi un po’. Draco si era fatto convincere da Blaise a uscire (il quale sosteneva che sarebbe diventato un vampiro se non avesse preso un po’ di sole) anche se in realtà l’idea lo stuzzicava già da un po’. Così proprio in quel momento era steso sul prato a rilassarsi, chiacchierando con i suoi amici e scambiando qualche occhiata con Ginny, insieme alle sue compagne di stanza una ventina di metri più in là, dietro la quercia a strapiombo sul lago. I libri di tutti giacevano semiaperti in un angolo con le pagine che svolazzavano per il vento primaverile. Mentre Blaise si confortava con un goccio di Burrobirra rivisitata alla sua maniera –Draco sapeva che la “rivisitazione” comprendeva una boccetta di vodka- Theodore consultava il suo taccuino e ogni tanto tormentava il cappuccio della penna, mordicchiandolo sovrappensiero.

-Cosa fai, Nott, scrivi aforismi?- lo derise ironico Blaise, sbirciando da sopra la sua spalla che cosa stava scrivendo. Aveva i capelli tutti spettinati e gli occhi che brillavano come gemme per il riverbero della luce. Non pochi occhi erano concentrati su di lui, quel pomeriggio. Theo chiuse di scatto il taccuino, osservandolo divertito e preoccupato insieme: -Almeno io non devo correggere la Burrobirra per farmela piacere. Per l’amor del cielo, Blase, smettila di bere! Ti devo portare in un centro di Alcolisti Anonimi-

-Beh, se vuoi inizio con le canne…- commentò Blaise posando la bottiglia e facendo le spallucce come se per lui non fosse un così grande problema. Quei due erano proprio cane e gatto, bisticciavano di continuo, ma erano praticamente fratelli. Draco rise di gusto, riportando lo sguardo dai capelli rossi di Ginny che risplendevano al sole agli amici: -La trovo un’idea geniale-

Lanciandogli un’occhiata di traverso anche Theo abbozzò un sorriso, brontolando: -Ma da che parte stai, scusa?-

-Dai, Theo, non dirmi che non ti ricordi i famosi festini Slytherin. Sembrava che ti piacessero, all’epoca- ironizzò ancora il biondo, divertendosi dell’imbarazzo dell’amico. Blaise sghignazzò senza contegno, rotolandosi nell’erba e battendo sonore pacche sulla schiena a Theodore con dei commentini sagaci che avrebbero fatto arrossire uno scaricatore di porto mentre Draco chiudeva gli occhi e si stendeva allungando le gambe sul prato. Era bello per una volta essere solo dei ragazzi e non dover pensare a Marchi, Iniziazioni o matrimonio. La sola idea di rivedere Evangeline lo terrorizzava. All’improvviso sentì una peluria soffice sfiorargli il mento così aprì le palpebre intravedendo qualcosa di piccolo, rosa ed emozionato.

-Oh, no! La puffola no!- si lamentò tenacemente utilizzando la frase ormai solita e coprendo con un braccio sul viso un sorrisetto mentre Arnold saltellava felice cercando di leccargli il naso. Sentì a sua volta Ginny ridere e dire ad alta voce che sarebbe andata a prendere quella puffola disobbediente perché non doveva proprio dare fastidio a dei poveri ragazzi in cerca di riposo, così tolse subito il braccio, osservandola camminare a piedi nudi sull’erba. Indossava dei jeans chiari e una maglietta verde che faceva risaltare ancora di più il rosso dei capelli; le chiazze di luce che filtravano attraverso le foglie della grande quercia disegnavano forme geometriche più chiare sul suo corpo. Il medaglione dorato riluceva sul suo petto insieme al bracciale nella mano sinistra. Nascosta dal tronco dell’albero, Ginny si permise di sorridere rivolta ai ragazzi e perfino di dire maliziosa alzando un sopracciglio: -Sono quasi certa che Arnold sia innamorato di te… Dopotutto ha imparato dalla migliore-

Come poteva essere così naturale nel dire cose di questo tipo? Draco aveva solo voglia di baciarla in quell’esatto momento. Di baciarla e di dirle ancora che l’amava. Tenne a bada i bollenti spiriti e si alzò sui gomiti, socchiudendo le palpebre per la luce e accarezzando Arnold accoccolato sul suo petto: -Sono una persona affascinante, Ginevra. L’hai sperimentato sulla tua pelle, no?- Ginny sorrise ancora di più e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei paraggi, si abbassò fulminea e gli stampò un bacio sulle labbra. -Puffola fortunata- sussurrò sulla sua bocca, poi si sedette tra loro, osservando interessata le facce stupefatte di Theodore e Blaise.

-Beh, Gin, ciao- mormorò il moro, riacquistando il solito charme e sorridendole con un luccichio bianco. Draco sbuffò infastidito. Mai che Blaise non cercasse di provarci con la sua ragazza. Appoggiò cercando di sembrare noncurante una mano sul fianco della rossa, che gli lanciò uno sguardo d’intesa un po’ beffardo, come se avesse perfettamente capito che voleva marcare il territorio. Capiva sempre i suoi pensieri prima ancora che lui li avesse sviluppati e ciò per Draco era un mistero. Insomma, era sempre stato un ragazzo chiuso, considerato insondabile e invulnerabile da tutti: capirlo davvero era difficile anche per i suoi amici. Vide il sole evidenziare quella manciata di lentiggini color caffelatte sul volto di Ginny e lucidare i boccoli color rame mentre parlava con Theo degli ultimi aspetti dei preparativi. Sembrava così serena e premurosa, nonostante tutto. Gli metteva una mano sulla spalla, leggeva e correggeva i suoi appunti, contemporaneamente rideva delle battute sconce di Blaise. Lei e Theodore avevano trovato un’intesa particolare, diversa dall’amicizia dispettosa con Blaise; sembrava che avessero una sorta di complicità fraterna e che si rassicurassero l’uno con l’altra. Per uno strano motivo non era più geloso né dei suoi amici né di Ginny stessa: cosa poteva desiderare di più che andassero d’accordo? Erano tutta la sua vita. Ad un certo punto si sentì una voce sbraitare sulla riva del lago, mitigata da un’altra più dolce e carezzevole. Draco fece un sorrisetto vedendo l’espressione attonita della ragazza e quelle perplesse degli amici, anche se lui aveva già notato che le compagne di stanza di Ginny la stavano cercando e non li vedevano, nascosti dal tronco della grande quercia.

-Ginevra Molly Weasley, sbaglio o dovevi solo andare a recuperare quella benedetta puffola pigmea!? Ah, siamo qui ad aspettarti da mezz’ora ormai, per tutte le mutande di Merlino!- Sotto l’onda infuriata delle sue parole il ragazzo percepì la rossa farsi piccola piccola e Arnold che si rifugiava tra i suoi capelli.

-Za, non credo che questo sia esattamente il metodo giu…- Diane girò intorno all’albero e si trovò davanti l’amica e i tre ragazzi più belli della scuola. Draco notò con divertimento come entrambi i compagni avessero assunto una postura più rilassata, ma quasi ferina, come dei gatti che contemplano il topolino in trappola. Ah, la buona, cara conquista alla vecchia maniera! Rise di nascosto premendo le labbra tra i capelli di Ginny che, arrossita dall’imbarazzo, mormorava senza fiato: -Ehm… Ciao Diane, vuoi, ehm, chiedere cortesemente a Demelza di unirsi a noi?-

La bionda chinò il capo ossequiosa aspettando che Demi concludesse la sua tirata e poi domandò con voce flautata: -Za, credo proprio che dovresti venire un attimo qui, per cortesia- Diane era molto carina; somigliava ad una bambola antica di porcellana con la pelle bianchissima, gli occhi blu fiordaliso e una cascata di lisci capelli biondi. Era dolce in ogni suo movimento; Draco aveva molto sentito parlare di lei e Demelza.

La voce risuonò attutita dalla lontananza, ma Draco rise comunque mentre Ginny gli lanciava delle occhiate scandalizzate: -Diane, non te lo ripeterò più: se vuoi farmi vedere un bruco che diventa farfalla o provare ad indovinare quanti anni ha un albero o se hai visto un sasso a forma di cuore, beh, non mi interessa. Detto con affetto, ovviamente- Anche Blaise ridacchiò, facendoli scoprire: -Diane, ma con chi sei…?- svoltò l’angolo anche lei e strabuzzò gli occhi, riprendendosi subito con un aplomb impeccabile -Oh, beh, ciao a tutti-

Draco reclinò il capo all’indietro per vedere Demelza in tutti centosettantacinque centimetri d’altezza controsole, riuscendo solo a notare una figura slanciata con le mani sui fianchi.

-Ooooh Ginevra, era ora che ci presentassi il tuo ragazzo e i suoi amici!- ammiccò quella verso la rossa che non trattenne un sorriso.

-Scusatela, alcune volte Demelza è… esplosiva- colmò il silenzio sorpreso Diane, con un sorriso pentito, ma sbarazzino -Piacere, comunque, sono Diane e non posso dire di non essere contenta di conoscervi anche io- concluse sedendosi con grazia sulla coperta.

Draco si stupì di quanto poteva essere piacevole passare un pomeriggio solo a chiacchierare e scherzare, ma quando alla fine rimase solo con Ginny tirò un sospiro di sollievo. Insomma, si vedevano così poco… Il sole calò sull’orizzonte, lasciando una scia di colori sfumati: oro, rosso, arancione, blu, viola tingevano il cielo trasformando il tramonto in notte e riflettendosi sul lago insieme all’immagine del castello. Gli altri studenti erano già ritornati nei dormitori per prepararsi prima della cena e proprio in quel momento, per fortuna, non c’era più nessuno in giro. Draco, prono sui gomiti, osservava insieme a Ginny, accoccolata vicino a lui, il paesaggio. Il sole calante disegnava pennellate di luce sui loro corpi abbracciati. Ad un certo punto, si alzò e disse divertito: -Vediamo se sai ancora arrampicarti, Weasley. Per poco l’ultima volta stavi per deturpare quel bel visino cadendo- Ginny alzò un sopracciglio in segno di sfida e ribattè, facendogli la linguaccia: -Non mi sembrava che tu avessi tanta dimestichezza, Mister-mi-tengo-su-per-miracolo!- Subito dopo, veloce e agilmente, si arrampicò sulla grande quercia, sfruttando i rami ritorti e le crepe nella corteccia. L’albero aveva già le prime foglioline verdi, che evitava con attenzione per non rovinarle. Draco iniziò a salire dietro di lei, non meno scattante, sentendo i muscoli bruciare per lo sforzo e godendo della fatica fisica. Sperando di distrarla dalla salita, osservò ironicamente: -Qua sotto c’è una bella vista-

-Pervertito!- gli urlò in risposta Ginny girando un attimo la testa per lanciargli uno sguardo fintamente scandalizzato.

-Non puoi pretendere che io non osservi il fantastico panorama- rispose con un sorrisetto aumentando la velocità fino ad affiancarla. Approfittò del suo improvviso imbarazzo per sorpassarla e appollaiarsi su uno dei rami più alti. In realtà gli dava un po’ fastidio l’altezza, ma gongolava all’idea di essere arrivato primo. Si guardò intorno, non sentendo più risposta né vedendola salire ancora: -Ginny?- domandò titubante –Non vieni?-

La rossa era assorta, fissava un punto indistinto del lago mordicchiandosi il labbro come se fosse indecisa o preoccupata. Meccanicamente scalò gli ultimi rami e si sedette accanto a lui. Draco era molto spaventato: non sapeva cosa l’avesse potuta far arrabbiare né come mai avesse cambiato umore tanto in fretta… Se per lei capirlo era così facile, beh, per lui alcune volte era proprio impossibile. Che si fosse finalmente accorta di quanti problemi avrebbe avuto in meno se lo avesse lasciato? Che avesse compreso quanto era pericoloso stargli accanto? Se così fosse stato, Draco si giurò che non avrebbe fatto nulla per contraddirla nonostante gli si spezzasse il cuore; sarebbe stato il meglio per lei e per la sua vita. Poteva offrirle la sua ricchezza, ma a Ginny quella non era mai interessata, poteva donarle la nobiltà, però sapeva che l’avrebbe piuttosto messa in soggezione, le avrebbe servito il mondo su un piatto d’argento, solo per lei, se solo avesse potuto. Tutto quello che aveva, comunque, era sé stesso e il suo povero cuore. Quello poteva averlo senza riserve, anche se non serviva: lo possedeva già. L’attirò a sé, appoggiandola contro il suo petto e respirando, in pace, il profumo dolce alla violetta.

La voce della ragazza era tremante e davvero stupefatta quando uscì tutto d’un colpo: -Io non so perché ti piaccio, Draco- il biondo si sorprese talmente tanto da avere l’impressione di sbilanciarsi dal ramo, ma stette zitto, in attesa -Tu pensi sempre male di te stesso e non capisci mai davvero quanto sei meraviglioso. Probabilmente potresti avere qualsiasi ragazza ai tuoi piedi e invece hai scelto me. Buffo, vero?- ridacchiò davvero divertita mentre Draco si chiedeva se avesse dovuto portarla al San Mungo in reparto di Psichiatria Magica. Girandola per guardarla negli occhi, per bene, serio, si permise di stupirsi di quanto Ginny potesse essere così forte  all’apparenza e insicura dentro. Alcune volte il suo coraggio lo spaventava un po’, poteva essere incoscienza e non valore, ma era pieno di ammirazione e di orgoglio per il suo senso di giustizia, per il desiderio di indipendenza, per l’amore verso la stranezza intesa come originalità. Era la persona più interessante che conoscesse: colta, però non saccente, svagata, ma non frivola. Era quasi perfetta; quel “quasi” faceva sì che non diventasse mai noiosa. Mai. Ed era lì, il bello.

Sospirò e trattenne il fiato, prima di rispondere cautamente, sempre fissandola negli occhi, ormai lucidi e pronti a piangere: -Non lo trovo per niente buffo. Perché dovrebbe esserlo? Ti ritieni forse una brutta ragazza? Ma guardati- sussurrò passando un dito sulla sua guancia –Non sei perfetta, non sei la più bella ragazza di questa terra. Qualcuno potrebbe dire che i tuoi capelli sembrano delle carote tagliate a julienne, ehm ehm, notare la ricchezza del lessico… - si permise di scherzare, sia sollevato che alzasse un angolo della bocca in risposta e preoccupato che una lacrima cominciasse a scendere -oppure che assomigli ad un folletto bisbetico, che le lentiggini sono esteticamente poco attraenti, ma questo non importa perché non è quello che penso io- le sue mani circondarono il viso ormai inondato di lacrime, mentre ogni singhiozzo di Ginny era una piccola spina nel cuore. Sperava di non aver rovinato tutto, non voleva farla soffrire; proseguì senza più fermarsi, frenetico: -Però a me piaci tantissimo. Ma cosa sto dicendo?! Io ti amo! E non ti amo solo perché hai dei capelli che mi ricordano le ragazze dei dipinti di Tiziano, perché hai una pelle così morbida e gli occhi più verdi che io abbia mai visto, ma perché amo quello che c’è qui- le posò una mano sul cuore e fece appoggiare quella che indossava il braccialetto sopra la sua.

-Ah, ed io adoro le tue lentiggini. Sono così sexy- osservò alzando platealmente gli occhi al cielo, un attimo prima che la baciasse e che lei ridesse sulla sua bocca. Sembrava più tranquilla, adesso.

-Tu sì che sai come far felice una ragazza, caro- sussurrò ridendo la rossa, allacciandogli le mani dietro la schiena, ancora asciugandosi gli occhi bagnati.

-Anni e anni di esperienza, amore mio- la prese in giro tirandole una ciocca di capelli per avvicinarla di nuovo al lui. Era così difficile smettere di baciarla… Soprattutto quando si è su un albero, lontani da tutti e dai pregiudizi, dai sotterfugi, dalla frenesia. Ripensarono insieme a come si erano conosciuti e risero ricordando gli episodi simpatici dei loro primi incontri, scherzando a vicenda l’uno sulle gaffe dell’altro. Caddero quasi dal ramo quando Ginny intravide un nido sulla sommità della cima e volle a tutti i costi sporgersi per vederlo bene, ma Draco non fece una piega: quando le chiedeva qualcosa era praticamente impossibile dirle di no. Alla fine riuscirono a scendere senza fare (e farsi!) danni di nessun tipo, dopo aver progettato di piantare una tenda sulla quercia e non lasciarla più, alla maniera del “Barone Rampante” di Italo Calvino, libro che avevano letto una sera un po’ per uno davanti al camino nella Stanza delle Necessità. Draco le prese mano e la condusse verso il castello senza fretta, sebbene la cena fosse già iniziata. Quando infine si separarono davanti alla porta della Sala Grande, disse, osservandola languido da capo a piedi: -Mi degnerà della sua presenza questa sera, se non ci sono problemi, signorina Weasley?-

-Vedrò cosa posso fare, Malfoy- rispose guardandosi le unghie con aria noncurante, prima di girarsi e entrare con un sorrisetto. Draco scosse la testa divertito e dopo pochi minuti la seguì, dirigendosi verso il tavolo dei Serpeverde. Il solito tramestio di stoviglie sbattute e chiacchiere lo confortò: quella era la sua vera casa, con il rumore, l’allegria e la folla. Il suo sorriso si gelò quando intravide, seduta rigidamente al tavolo Slytherin accanto a un freddo Blaise e un ancor più impassibile Theodore, una figura piccola, tanto esile come un giunco, riccamente vestita, che lo fissava con i suoi occhi scurissimi, quasi neri. Evangeline Catharina Blanchard gli sorrise in modo finto, sollevando una mano per salutarlo, ma muovendo solo le dita con lentezza studiata.

I problemi c’erano, eccome.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Scoperte ***


GINEVRA

Ginny la vide solo quando si fu seduta. Una bambina –avrà avuto quattordici o quindici anni- vestita con un abito d’altri tempi, di taffettà verde menta, lunghissimi capelli biondi e un trucco molto pesante, forse per sembrare più grande, stava composta fra Theo e Blaise, parlando leziosamente con le sorelle Greengrass, la Parkinson e la Bulstrode. Che cosa ci faceva ad Hogwarts, vestita così? Sembrava direttamente uscita dalla corte del Re Sole. Un brivido inspiegabile di paura le attraversò le ossa e si acuì quando, vedendo Draco entrare, la bambina sollevò una mano e lo salutò con un sorriso compiaciuto. Capì tutto d’un colpo chi era: Evangeline Catharina Blanchard, la promessa sposa di Draco. Le venne da vomitare al solo pensiero. Spinse via il piatto di cibo da davanti e si versò un bicchiere d’acqua con mani tremanti, rovesciandone non poca sulla tovaglia. Non sapeva cosa fare, dove guardare, in che modo tenere le mani; il nervosismo stava prendendo il sopravvento. E anche il terrore. Un terrore puro, genuino. Draco aveva detto che avrebbe studiato da privatista, non che sarebbe venuta ad Hogwarts. Alzò un attimo gli occhi, osservando con mestizia l’espressione congelata del suo ragazzo che probabilmente non sospettava nulla quanto lei. Dovevano avere lo stesso sguardo sconfitto, negli occhi… Ma lui si riprese quasi immediatamente, acquistando una postura fiera, rigida, minacciosa.

-Ginny, va tutto bene?- domandò titubante Neville al suo fianco, vedendo l’acqua scendere a rivoletti lungo il tavolo imbandito e bagnarle le ginocchia. Non lo degnò nemmeno di un’occhiata per non perdersi che cosa stava succedendo dall’altra parte della sala: Draco era arrivato, le aveva baciato la mano con grazia e le aveva sorriso, meno rigidamente di quanto pensasse. Sapeva che stava fingendo, ma sentì comunque una fitta in corrispondenza delle costole. Stava fingendo, vero? Perché allora sembrava così naturale? Distolse lo sguardo con una smorfia di dolore, conficcandosi le unghie nelle cosce per distrarsi e non attirare l’attenzione su di sè. Il brusio di voci sembrò aumentare quando anche gli altri si accorsero che c’era qualcuno di nuovo al tavolo Serpeverde e che stava appiccicato al Principe delle Serpi. Immaginava di sentire già i commenti degli altri studenti: -Ma guarda, allora Malfoy finalmente se l’è trovata la ragazza fissa! Una francesina, eh? Pure piccola…- Era così brutto e irreale da non sembrare vero.

-Succede tutto con una puntualità così esasperante- pensò con amarezza. Insomma, aveva passato un pomeriggio splendido con Draco ed ecco che arrivava la sua fidanzata. Gran bel contrappasso. Di mangiare non se ne pensava nemmeno più, disgustata com’era e non poteva nemmeno parlarne con qualcuno. Le sue amiche non sapevano né che sarebbe partita con i ragazzi né del matrimonio con Evangeline. Non avrebbe potuto spiegarlo per bene e poi effettivamente non l’avrebbero capita. Monitorò la situazione fino a quando il preside Silente non si alzò in piedi e fece tintinnare il cucchiaino del dolce contro il suo bicchiere per attirare l’attenzione dei presenti. Mai il silenzio era calato tanto facilmente in Sala Grande: l’interesse percepibile e la curiosità erano alle stelle. Il preside sorrise alla folla con sguardi benevoli, gettandosi l’orlo del mantello blu notte dietro la schiena, poi, dopo essersi sistemato gli occhialini a mezzaluna, disse pacatamente: -Buonasera, cari studenti di Hogwarts. Prima di tutto, volevo informarvi del corso di Materializzazione alle 18 in punto ogni martedì nella Sala dei Trofei…- snocciolò una serie di appuntamenti e ricorrenze e concluse così dicendo, la voce fattasi improvvisamente più fredda –Per ultima cosa, voglio dare il benvenuto a Evangeline Blanchard, studentessa di Beuxbatons in temporaneo soggiorno qui con noi ad Hogwarts. Non sarà smistata in nessuna Casa, ma alloggerà nei dormitori Serperverde per motivi di comodità. Ovviamente il Prefetto della Casa in turno questa sera sarà suo responsabile e si occuperà di ogni problema. Vi auguro una buona notte e un buon proseguimento dell’anno scolastico- Gli applausi scrosciarono in tutta la sala mentre Ginny realizzava uno ad uno quanto quella bambina avrebbe influito sulla vita sua e di Draco.

Avrebbe preso posto nello stesso Dormitorio del suo ragazzo (non poteva più andarlo a trovare come voleva: attenzione era la nuova parola d’ordine) , Draco sarebbe dovuto essere la sua “guida” in quanto Prefetto in carica al momento del suo arrivo (le ronde e le varie burocrazie si dividevano settimanalmente tra i due Prefetti e questa volta toccava a lui), Evangeline li avrebbe costantemente tenuti d’occhio e non potevano più permettersi fughe nella stanza delle Necessità o arrampicate sulla Quercia, ma non era solo quello il punto: avrebbe potuto scoprire il piano, sventandolo o peggio, avrebbe potuto ostacolarlo a tal punto da renderlo infattibile. Le crollò il mondo addosso. Si alzò in fretta, senza ascoltare Demelza che la richiamava, senza voler guardare Draco che prendeva Evangeline sottobraccio e la portava via conversando, sussurrando a suo orecchio, facendola ridere, senza pensare più a nulla. Camminò via velocemente, il cuore in gola, il sangue che rombava nelle orecchie e le irrorava le guance. Oltrepassò i corridoi illuminati dalle torce, sentendo gli sguardi accusatori dei personaggi dei quadri su di sé, per essere andata via a quell’ora di sera. Quanto le era sembrato grande e importante l’episodio spiacevole con Harry, quanto esagerata la gelosia di Draco verso Blaise! Però, ora che si trovava nella stessa situazione, ora che sola con Draco c’era la sua promessa sposa e non lei, si sentiva ribollire dall’invidia perché poteva stare con lui in pubblico, sempre, perché non era poco dignitoso frequentare uno Slytherin, perché era all’altezza delle sue origini nobiliari. Corse fino al settimo piano, singhiozzando senza più ritegno con rumorosi singulti e si fiondò nella Stanza delle Necessità. Non era cambiata per nulla dal solito, a parte un piccolo particolare: seduto su un festoso pouf color acquamarina che stonava con l’espressione addolorata e cupa c’era Theodore, triste come un messaggero di sventura. La luce della luna che filtrava dalla finestra disegnava pennellate chiare su di lui, sottolineando in modo quasi tragico il volto. Non appena la vide si alzò con urgenza e fece per correrle incontro, per poi fermarsi bruscamente, consapevole del rapporto fisico mancato fra loro e in preda ad un improvvisa timidezza di contatto. Ginny sentì la stanchezza di quella giornata crollarle addosso tutta in un colpo così non frenò più le lacrime, mentre Theo, finalmente deciso e  protettivo, la abbracciava, prima cauto, poi solido. Era così confortante poter piangere sulla spalla di un amico, poter contare su un una persona, non essere completamente soli nella vita. Mai Ginny fu così felice che lui fosse lì. Si sedettero sui divani e dopo qualche tempo i singhiozzi si acquietarono, sostituiti da brevi singulti. Per tutto il tempo Theodore la tenne stretta a sé, in un modo che visto da fuori poteva sembrare ambiguo, ma che la rossa sapeva fosse solo di gran conforto. Le sue braccia erano delle appendici di quelle di Draco, visto che lo mandava lui. Alzò gli occhi verso di lui, staccandosi un po’ e asciugandosi le guance: -Suppongo che tu sia qui perché Draco doveva stare con Evangeline- la voglia che aveva di sputare le parole una per una con odio era veramente tanta, ma si costrinse a stare calma; non sarebbe servita a nessuno una scenata isterica. Theo le scostò i capelli umidi dalla fronte e la guardò a sua volta, serio e malinconico: -Sì, le sta facendo fare il giro del Castello, ma mi ha detto di dirti che andrà tutto bene-

Ginevra lo fissò stancamente, con l’inconfondibile nota sarcastica della persona che non crede più ad alcuna rassicurazione poi scattò: -Ah si? Le sta facendo fare il giro turistico?!? Spero si stia divertendo! Va proprio tutto bene-

Sapeva di sembrare infantile e superficiale: era rassicurante. Sentì la riprovazione di Theodore perforarle la nuca come uno spillo così abbassò la testa con un po’ di vergogna, mentre aspettava una predica da parte dell’amico. Quando invece si alzò e prese due Burrobirre dal minibar ne fu stupita anche se accettò. Theo sorseggiò la sua con aria pensosa, poi iniziò a parlare: -Non sono sempre stato solo. Avevo una sorella gemella, che amavo più della mia stessa vita. Lei era tutto per me. Si chiamava Rosemary- Ginny si avvicinò morbosamente affascinata. Draco le aveva fatto capire che Theodore era così chiuso perché aveva subito un trauma, ma non le aveva mai detto che aveva una sorella. Dov’era? Perché non ne aveva mai parlato? La cosa era molto interessante: se il moro voleva distoglierla dai suoi pensieri, c’era riuscito benissimo. Quell’uso dell’imperfetto, però, la spaventava. Gli appoggiò una mano su una spalla, invitandolo silenziosamente a continuare. Lo sentiva così distante mentre raccontava; la tristezza infinita nel suo tono svelava un dolore profondo e atavico: -I nostri genitori ci lasciavano spesso soli o al massimo con una governante che ci desse un’occhiata. Rosemary era dolcissima ed era la mia migliore amica. Quando avevamo sei anni accadde una cosa terribile- sentì male al cuore, ma stette zitta, lasciandolo sfogare –Stavamo giocando a rincorrerci per la biblioteca, adoravamo quel posto perché era il nostro rifugio e proprio quella volta eravamo riusciti a sfuggire al controllo della governante. Rosemary si arrampicò sulla scaletta traballante che usavamo sempre ed io la seguii. Forse calcolai male la mia forza o forse fui così preso dal gioco dal non accorgermi che l’ultimo piolo era allentato, ma fatto sta che mia sorella quando raggiunse la cima scivolò all’indietro, cadendo malamente e cercò fino in fondo di appigliarsi a me. Non riuscii ad afferrarla nemmeno per una mano, ma vidi chiaramente i suoi occhi allargarsi dallo spavento e credo ricorderò per sempre il suono che fece il suo corpo sbattuto contro la pietra- Ginny non si accorse delle lacrime silenziose che le colavano di nuovo dalle guance, troppo presa dal racconto e dal desiderio di abbracciare stretto l’amico per cancellare il suo dolore. Immaginava questa bambina dagli occhi ambrati e i codini scuri, ferma per sempre nella fanciullezza come in una vecchia fotografia.

Gli occhi di Theo erano arrossati sebbene ancora del tutto asciutti, come se non avesse più lacrime da versare: -Morì quasi sul colpo. Non ebbi nemmeno il tempo di dirle quanto le volevo bene né quanto mi dispiacesse. E’ stata colpa mia, lo so. Non sai quanto mi manca- scosse la testa e come rinvigorito le prese la testa fra le mani, concludendo frettolosamente: -Ginevra, non ti ho raccontato la mia storia per farmi compatire. Il motivo è che da quella volta ho giurato che avrei fatto di tutto affinchè le persone che amavo fossero state al sicuro. Tutto quello che era in mio potere. Perciò andrà tutto bene. Te lo prometto- Ginevra lo abbracciò stretto, seppellendo il viso commosso nella sua spalla e sentendosi in colpa per essersi lamentata di cose così futili.

-Theo, mi dispiace- sapeva quanto potessero risultare superficiali e inutili le parole di conforto perciò preferì rendere pregno di significato quel “mi dispiace”, in modo che potesse capire che se aveva bisogno, lei c’era. Non poteva però continuare a fargli credere che era sua la colpa della morte di sua sorella: -E’ stato tutto un tragico incidente, lo sai, vero? Lo sai?- concluse la frase fra i singhiozzi, sentendosi così male per Theodore. Lui la guardò, detergendo le sue lacrime una per una dalle guance mentre cercava a tutti i costi di trattenersi.

-Non è necessario che tu sia forte, ora. Soffrire è devastante, ma liberatorio- fu come se una diga di dolore si spezzasse dentro ai suoi occhi e Ginny pensò che l’ammontare represso di quella sofferenza trattenuta stesse per ucciderlo. Theodore pianse per Rosemary, per la sua vita che non aveva più potuto continuare e per tutte le gioie e gli insuccessi, pianse per le sue prime volte mai provate, per gli amici che non avrebbe mai incontrato, per le emozioni che non avrebbe sperimentato sulla sua pelle, pianse anche per se stesso, senza di lei.

E la lasciò andare.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Diniego ***


DRACO

-E questa è l’aula di Trasfigurazione…- spiegò Draco annoiato, ma sempre cortese, aprendo la porta con un gesto galante. Diede un’occhiata di sfuggita all’orologio nella classe della professoressa Mc Granitt accorgendosi che era finalmente ora di chiudere la visita. Voleva assolutamente andare a trovare Ginny per vedere come stesse e per parlarle. Ripensò alla sua espressione quando aveva notato Evangeline seduta al tavolo Serpeverde: stupefatta, allibita, ferita e si sentì in colpa anche se non ne aveva motivo. Forse aveva pensato che le aveva tenuto nascosto che sarebbe venuta, ma era stata una sorpresa pure per lui! In ogni caso, dovevano chiarirsi. Solo l’idea lo rendeva nervoso e preoccupato. Si passò una mano fra i capelli, cercando di nascondere la frustrazione di stare perdendo così tanto tempo.

-Noi non abbiamo niente del genere a Beauxbatons. Insomma dove sono le aule per l’Accoglienza? E poi che freddo qui! Ci sono così tanti spifferi- si lamentò Evangeline che gli stava attaccata al braccio strettamente, appoggiandosi il più possibile a lui, tanto che poteva sentire l’odore dolciastro del suo persistente profumo ai gigli. Lo guardava ogni tanto con quei suoi lucidi occhietti neri, vispi come quelli di un topo, mentre non smetteva di parlare un attimo, riempiendo anche i silenzi pensierosi del ragazzo. Mille domande affollavano la sua mente: perché Evangeline era ad Hogwarts? I suoi genitori sospettavano che stesse tramando la fuga o l’avevano mandata lì solo per “instaurare” un legame con il suo promesso sposo? Dopotutto erano fidanzati e un diamante brillava al dito sottile della ragazza, la richiesta sarebbe stata plausibile. Non potevano arrivare all’altare del tutto da sconosciuti.

-Draco, mi stai ascoltando?- la vocetta petulante, ma fredda lo riscosse dai suoi pensieri; Evangeline lo fissava, imperscrutabile. Aveva blaterato per interi minuti sui particolari del matrimonio: l’abito che aveva fatto confezionare in Francia da un famoso stilista, il mago dello stile Etiènne Jacques Ives Martineu, i fiori, ovviamente i suoi preferiti, dei nauseanti gigli bianchi… Draco continuò a camminare, rassicurandola: -Sì, ti sto ascoltando. Stavi dicendo che preferisci il color crema al bianco panna per gli addobbi? Credo che il bianco sia più intonato al lillà dei vestiti delle damigelle, però comunque tutto quello che vuoi va bene, piccola- sfoderò un sorriso affascinante, vedendo la sua espressione ammorbidirsi con una smorfia soddisfatta. Si sentì disgustato di sé stesso, ma almeno aveva salvato la situazione. Condusse la ragazza attraverso i corridoi in pietra dei sotterranei illuminati fiocamente dalle torce, continuando ad ascoltare le sue lamentele: -Questo castello è diroccato, insomma quel vecchio pazzo non lo vede che è fatiscente?!- Sebbene il Preside Silente non gli stesse sempre così simpatico, Draco lo rispettava perciò sentì un moto di irritazione salirgli nel petto, anche perché Hogwarts era la sua vera casa, l’unica nella quale era accettato così com’era e dove si trovavano i suoi ricordi più felici.

-E poi, cos’è questa cosa del dover dormire separati? Insomma, sono la tua fidanzata, dovrei prendere il posto che mi spetta nel tuo letto…- la bambina lo guardò con un’espressione languida e maliziosa, insinuando una mano sotto la sua camicia. Il ragazzo sentì la sua pelle fresca e morbida accarezzargli gli addominali velocemente, prima di aggirarsi intorno alla cintura. Immediatamente le prese la mano, forse con più forza di quanta ne avrebbe dovuta usare e gliela tirò fuori dalla camicia, sibilando al suo orecchio con furore: -Mi aspetto dalla mia promessa un atteggiamento più consono alla sua casta sociale, perché non si dica che sposerò una sgualdrina. Che non accada fino alla prima notte di nozze-

Gli occhi di Evangeline lampeggiarono irati, perdendo ogni traccia di malizia e indignandosi per il rifiuto così netto. Cercò di staccarsi dal braccio di Draco con forza, divincolandosi spasmodicamente, ma Draco mantenne la presa senza farle male. Fermo e severo, la accompagnò alla sua stanza, congedandola poi con un casto bacio sulla mano. Appena Evangeline chiuse la porta, si appoggiò contro di essa sospirando, con le mani intrecciate ai capelli dietro al collo. Si sentiva così stanco. Si trascinò lentamente fino alla sua stanza ed entrò cercando di non fare rumore, slacciandosi gli alamari del mantello con svogliatezza. Blaise, ancora sveglio ma con gli occhi pieni di sonno, non appena lo vide saltò in piedi così com’era, ossia in una vestaglia di seta bordeaux molto kisch e gli corse incontro, guardandolo dispiaciuto. Doveva sembrare proprio a pezzi se l’espressione del cugino trasudava tutta quella compassione: Draco sospirò. Il bello di Blaise era che non elargiva mai pietà, sentimento che odiava, per quello che ti stava succedendo, ma soffriva insieme a te, in silenzio. Lo abbracciò fraternamente anche se non accettò il bicchiere di bourbon che gli porgeva. L’amico fece le spallucce e lo bevve tutto in sorso, ruttando sonoramente.

-Salute, eh- il biondo alzò gli occhi al cielo e si diresse verso la cassettiera allentandosi la cravatta con una mano mentre si guardava allo specchio. Le occhiaie erano evidenti, ma gli occhi, grigi come argento fuso, risaltavano per contrasto. Distolse lo sguardo, aprì tremante il primo cassetto della scrivania, estraendo maldestramente l’anello di fidanzamento che Evangeline gli aveva regalato in attesa della fede dalla scatolina e lo indossò, sentendo uno strano malessere invaderlo. L’anello luccicava nella penombra.

Alla fine, voltandosi, diede un’occhiata obliqua a Blaise con un altro bicchiere pieno fino all’orlo e mormorò: -Blase, davvero, ti voglio bene e sei mio cugino, ma non dovresti darti una calmata?-

-Io non ho un problema con l’alcool. Ho un serio problema con la vita- il moro rispose melanconico, sorseggiando il liquore pensierosamente. In realtà era un po’ ridicolo, con quella vestaglia porpora di seta ricamata molto barocca che lasciava intravedere il petto glabro però il suo viso era così corrucciato e triste che Draco non osò nemmeno sorridere, soprattutto dopo quella frase. Si buttò senza la solita grazia su una poltroncina ed entrambi si incantarono osservando i corpuscoli atmosferici volteggiare fino al pavimento, illuminati dai raggi di luna che penetravano nelle acque del lago.

-Draco?- chiese all’improvviso Blaise tagliando il silenzio con voce tranquilla. Se Draco avesse dovuto paragonarlo a qualcuno, in quel momento avrebbe optato per un poeta maledetto della Parigi bohèmien tardo-ottocentesca. Con quella vestaglia di seta, poi.

Nascose un sorrisetto al pensiero: -Sì?-.

-Cosa faremo una volta che fuggiremo? Insomma, che vita potremo mai avere… Costantemente in esilio- diversamente dal tono tragico della domanda, la voce del cugino era sinceramente curiosa e interessata, pur senza entusiasmo, come se stesse pensando e soppesando in modo realistico le loro possibilità. Non sapeva, purtroppo, che era un interrogativo che lo tormentava. L’idea di non poter garantire un futuro sicuro ai suoi amici, in pericolo come lui, ma soprattutto a Ginevra, che non aveva nessun motivo effettivo per partire, era frustrante. Si sentiva così egoista a permetterle di scappare con loro solo perché non riusciva ad allontanarsi da lei…

Theodore entrò trafelato dalla porta come se avesse corso; in viso un’espressione serena e sollevata: -Ah, siete qui. Com’è andata con Evangeline?- chiese sottraendo il bicchiere di liquore ambrato a Blaise e bevendone un sorso, dimenticandosi di rimproverarlo e di parlargli degli opuscoli informativi su vari gruppi di Alcolisti Anonimi. Blaise si ridestò meravigliato, alzandosi sui gomiti e strofinandosi gli occhi come se non credesse a quello che vedeva, esasperando i gemiti sorpresi a tal punto che Theo alzò un sopracciglio intimandogli ironico: -Dacci un taglio, Blay-

Nonostante il nomignolo che usavano quando si volevano prendere in giro e che normalmente faceva andare Blaise su tutte le furie perché, a parere suo, sminuiva la sua virilità– ne usavano diversi, l’uno più melenso dell’altro: i ricorrenti erano Blay, Dray, They, Serpentellino mio, Amorino Oscuro- Blaise si stava rotolando sul divano in presa a delle risate incontrollabili che prima fecero preoccupare un po’ gli amici, poi li fecero sorridere e ridacchiare a loro volta. Mentre Theo e Blaise scherzavano ancora e si raccontavano ricordi divertenti, Draco, con ancora il sorriso sulle labbra, scivolò fuori dalla stanza attraversando i locali bui. Passò davanti alla porta di Evangeline, rabbrividendo all’idea di cosa aveva evitato respingendola appena un’oretta prima. Per fortuna che nel contratto stipulato fra i loro padri non erano contemplati rapporti prima del matrimonio. Anzi, forse la ragazza stava cercando in tutti i modi di infrangere il patto per poi passare da vittima, ricevere il cospicuo indennizzo preventivo e annullare il matrimonio. Furba come una volpe, la francesina. Era impossibile che desiderasse davvero di sposare un ragazzo sconosciuto e di abitare così lontano da casa: probabilmente il suo unico interesse era il ricco patrimonio dei Malfoy. Preso in questi ragionamenti, Draco quasi non si accorse di essere arrivato alla porta massiccia della Stanza delle Necessità. Inspirò profondamente e girò il pomello della maniglia con attenzione. Sebbene fosse già fine marzo, un ciocco di legna ardeva nel camino intiepidendo la stanza e diffondendo una lieve luce aranciata. Il ragazzo entrò in silenzio, notando una figura accoccolata in posizione fetale nel centro del letto, avvolta in strati e strati di coperte verde smeraldo. Dall’involto sbucavano solo una testa di capelli rossi un po’ arruffati e una mano che teneva diversi fazzoletti usati. Ginny singhiozzava debolmente, come se avesse da un po’ smesso di piangere, ma non si fosse ancora del tutto calmata. Il suo braccialetto con i ciondoli brillava alla luce della luna e tintinnava quando si portava una mano al viso per asciugarsi le lacrime, senza smettere di darsi della stupida sentimentale a bassa voce. Draco si sentì così male che ebbe prima l’impulso di scappare da quell’immagine, poi di correre senza ritegno e prenderla tra le braccia per consolarla. Vedeva la schiena sussultare per i singulti e riuscì perfino a riconoscere il maglione nero coni bordi verdi che indossava: il suo maglione. Piano piano si avvicinò, senza fare movimenti bruschi per non spaventarla e si sedette sul lato del letto mormorandole pieno di dolcezza: -Ehi, piccola. Sono qui-

Ginny lo guardò stupita, cercando di nascondere i fazzoletti sotto al cuscino e asciugandosi in fretta le lacrime: -Cos.. Cosa ci fai qui, Draco?- Il panico nella sua voce era evidente, ma il ragazzo riuscì a percepire anche un certo sollievo. Ginevra non era mai stata brava a tenersi le cose dentro: esprimeva i suoi pensieri di getto e con assoluta sincerità, anche se a volte era imperscrutabile e non lasciava trasparire nulla di quello che stava ragionando fino a quando non fosse giunta ad una conclusione soddisfacente. Draco spostò una ciocca di capelli umidi dietro il suo orecchio e le prese il mento tra le dita con tenerezza per incontrare il suo sguardo imbarazzato: -Perché piangi?- Si diede dello stupido da solo per l’ovvietà della domanda. Ginevra però intanto aveva smesso di singhiozzare, troppo presa a risvoltarsi dalle coperte per far entrare anche Draco: -Vieni qui, ti prego- lo implorò. Il ragazzo si tolse le scarpe e si infilò nel letto accanto a lei, mentre Ginny si accoccolava sul suo petto come se lo avesse fatto da sempre. Gli sembrava che la testa della rossa si incastrasse perfettamente sotto al suo collo. Profumava di violetta, di sale ed era calda e morbida nel suo abbraccio. L’accarezzò piano sulla schiena con una mano mentre con l’altra le lisciava i capelli in un intimo silenzio. Sentiva bruciare ogni parte del suo corpo che toccava contro quello di Ginny in un dolce desiderio.

Quando alla fine la rossa ruppe il silenzio, la sua voce era perfettamente controllata: -E’ di fidanzamento quell’anello?-

Draco deglutì senza smettere di accarezzarla, osservando il riverbero del platino al suo dito, quindi rispose semplicemente: -Sì. L’ho messo per non far insospettire Evangeline… Dovremo stare molto attenti, Gin..-  Si interruppe bruscamente quando un dito sottile di Ginevra si posò sulle sue labbra per zittirlo: -So perfettamente cosa dovrò fare domani, come mi dovrò comportare e perché devo stare momentaneamente separata dalla persona che amo di più al mondo- Draco provò ad intervenire senza riuscirci –Ma ora, in questo esatto momento, non voglio pensarci- Si sedette a cavalcioni su di lui, scatenandogli brividi di piacere in tutto il corpo e si abbassò in modo che solo qualche centimetro li separasse. Il biondo vedeva perfettamente i suoi occhi verdi lucidi come giada, le labbra tese, le gote arrossate, qualche ciocca liscia che fiammeggiava in contrasto con la pelle bianca. Sentì il suo respiro caldo sulle labbra e provò quell’attrazione irresistibile che aveva sentito le prime volte in cui l’aveva vista, ci aveva parlato, aveva riso insieme a lei.

-Ti amo, Ginevra Molly Weasley- osservò tutte le sue reazioni, imprimendosi nella mente i suoi occhi che si spalancavano, ancora increduli, il breve sorriso che s’incurvava sulle sue labbra, il battito che accelerava sotto le sue mani -Con tutto me stesso, con tutto il mio cuore, l’unica cosa che mi appartiene davvero- Lo ripetè più volte, baciandole delicatamente la mascella, le guance, la zona intorno alle labbra, le tempie, il collo. Si guardarono poi fronte contro fronte, immobili, un po’ ansanti e infine Draco appoggiò la bocca sulle sue labbra fresche, assaggiando il suo sapore e apprezzandone la morbidezza, per poi approfondire il bacio con intensità. Ginny gemeva piano, ricambiando con trasporto il suo ardore, infilandogli le mani fra i capelli, incorniciandogli il viso, stringendosi alla sua camicia. La sentiva seguire il suo tocco e inarcare la schiena per assecondare i suoi movimenti. Le mani instancabili della ragazza slacciarono con foga i bottoni, poi scesero sull’orlo del suo maglione di cachemire e lo sollevarono fino a sfilarlo del tutto. Draco, sorpreso, smise di baciarle il collo e posò i palmi aperti sui suoi fianchi. Era molto pallida nella penombra e i suoi capelli, che sembravano spire infuocate, scendevano sul seno pieno in morbide onde. Moriva dalla voglia di sentire la sua pelle liscia sul suo corpo, di assaggiarla ancora e di guardarla fino a quando non avesse memorizzato ogni particolare, ma si accorse che qualcosa non andava. Ginevra distoglieva lo sguardo, troppo presa a cercare la sua bocca con frenesia per accorgersi che si era fermato, circospetto. Sebbene la desiderasse più di ogni altra cosa, si costrinse a pensare lucidamente, anche se era difficile, difficilissimo con Ginny separata da lui solo da qualche strato di vestiti, i suoi, oltretutto. Proprio mentre la rossa stava per slacciarsi il reggiseno di pizzo bianco, Draco capì e le prese il viso tra le mani. Come poteva dirle che in quel momento non voleva fare l’amore con lei? Ginny cercò di baciarlo ancora, ma lui non abboccò. Cercando in ogni modo di non farla sentita rifiutata e di non umiliarla, le disse con dolcezza: -Ginevra, guardami- non appena ottenne la sua attenzione continuò, facendola arrossire –Io ti desidero da molto tempo. Sei attraente e mi provochi reazioni che non puoi nemmeno immaginare, ma questa sera sei mossa dall’insicurezza e dal pensiero che non avremo più tempo per stare insieme ed io… Io non voglio che accada così, in fretta, per eliminare una paura ingiustificata- non appena Ginny capì qual era il senso del discorso si scostò, rossa in volto, cercando di coprirsi con la coperta. Draco con un movimento fulmineo si girò e la bloccò sotto di sé, impedendole di evitare il discorso: -Io. Ti. Amo. Tantissimo- sottolineò ogni parola con un bacio leggero sulle labbra –e questo non cambierà, né ora né mai. Adesso sei confusa e spaventata, ma fidati di me. Arriverà il momento giusto-

Ginny gemette dalla vergogna, veramente a disagio e si contorse sotto di lui, provocando piccole correnti elettriche nel suo corpo. Draco rimase senza fiato e le sussurrò all’orecchio: -Così però mi metti veramente a dura prova…-

Risero entrambi e la rossa gli diede un buffetto sul braccio, guardandolo non più intimidita, ma felice. Il ragazzo sospirò internamente, rendendosi conto che si era spiegato bene e non aveva rovinato tutto. Fu bello parlare fino a notte fonda abbracciato con lei, baciarsi piano con delicatezza, senza fretta.

-Draco?- chiese infine un po’ assonnata Ginevra, la testa posata sul suo petto, le braccia intorno a lui.

-Si?- rispose con ironia, continuando a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli –Ti prego, dimmi che non è una domanda esistenziale o uno di quegli interrogativi da donna ai quali è scientificamente impossibile trovare una risposta giusta- La rossa sbuffò, indignandosi: -Non ci credo di avere un ragazzo così sessista! Pfui! Ma guarda te- Draco seppellì il viso nella sua spalla per non ridere, ma Ginny gli diede dei colpetti per farlo spostare, a suo modo divertita –Guarda che sono seria! Comunque, parleremo di emancipazione un’altra volta, anche se non pensare che il discorso sia chiuso-

Il Serpeverde alzò gli occhi al cielo, ma la assecondò, baciandole i capelli: -Va bene, piattola. Ora, potresti gentilmente esplicitarmi il ragionamento che tanto t’angustiava, così un povero ragazzo in cerca di riposo può avere la sua benemerita dosa di sonno notturno? Non per essere pedante, ma sai, sono quasi le quattro del mattino…-

Questa volta fu lei a reprimere un sorriso, rispondendo con classe: -Come desidera, sua maestà- poi smise di scherzare e diventò seria –Non c’è nessun modo con il quale il matrimonio potrebbe essere annullato?

Draco si girò nelle coperte a disagio, pensando a come risponderle. Alla fine, le diede un’occhiata esitante e rispose con sincerità, ma comunque restio: -In realtà ci sarebbero diverse variabili per cui il contratto smettesse di avere un valore, sì- si schiarì la voce e continuò dopo un cenno di assenso di Ginny –Beh, se Evangeline consumasse anche un solo rapporto prima delle nozze e la sua verginità andasse a un uomo che non è il suo promesso sposo, ossia io, quello sarebbe un caso. Per quanto suoni disgustosamente antiquato e rozzo, per gli Slytherin i tempi non sono andati avanti da quando la suocera controllava le lenzuola dopo la prima notte- Effettivamente aveva già pensato a questa cosa, ma quale ragazzo avrebbe potuto distogliere la mente di Evangeline dal patrimonio dei Malfoy? Lui stesso era troppo un buon partito! L’idea di pagare qualcuno perché abusasse di lei gli era passata per la mente un solo istante, in un momento di particolare disperazione, ma l’aveva rigettata subito pentendosi di aver anche solo avuto quell’aborto di malvagità.

Ginevra ascoltava a bocca aperta i retroscena della vita nobiliare, mentre Draco quasi sussurrava, vergognandosi di appartenere a un Casato così bigotto.

-Quindi basterebbe che Evangeline perdesse la verginità con uno che non sia tu? Così semplice?- chiese poi curiosamente interessata anche se lui poteva percepire il suo nervosismo del parlare della prima notte di nozze, dopo che quella sera si era opposto a fare l’amore con lei.

-Sì, questa è una possibilità perché lo sposo non è tenuto ad rimanere celibe fino al matrimonio, anzi, ehm, deve fare esperienze per spiegare alla ragazza come si fa, ehm…- il ragazzo si interruppe, sempre più imbarazzato davanti alla curiosità quasi infantile di Ginny-

Lei completò la frase con naturalezza: -A fare sesso?- Draco si nascose gli occhi con le mani, gemendo come se fosse stato colpito al cuore: -Ah, Ginevra, la parola “sesso” che esce dalle tue dolci labbra è così conturbante! Mi uccidi- Rise apertamente, fingendo di avere un pugnale piantato nel petto.

-Draco Lucius Malfoy, ti consiglio di smetterla immediatamente!- la rossa gli diede la schiena, dopo essere arrossita vistosamente, ma il giovane rise ancora e le strofinò il viso contro la spalla, implorandola, per amor suo, di girarsi. Tanto fece e tanto si lamentò che riuscì a strappare un risolino a Ginny.

La luce della luna stillava in lunghi raggi obliqui nella stanza, il camino sfrigolava sommessamente e i loro due respiri si mescolavano, quando, stretti in un abbraccio, si addormentarono fronte contro fronte con ancora il sorriso sulle labbra.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Commozione ***


GINNY

Quella mattina nulla, nulla, ma proprio nulla poteva rendere la giornata triste a Ginny. Draco si era svegliato prima di lei e aveva cercato di destarla a suon di baci, senza però un ottenere un grande successo: -Mi avevano detto che eri pigra, ma non credevo fino questo punto! Dai, svegliati. Svegliati- Piano piano il ragazzo aveva iniziato a sfilarle il cuscino da sotto la testa  e anche se lei, vagamente infastidita, aveva cercato di riacciuffarlo, non c’era stato modo di dormire per altri cinque minuti.  Poi doveva ammettere che vedere Draco così di buon umore la rendeva immensamente felice. Si era alzata subito, ma non appena lui si era andato a lavare in bagno ne aveva approfittato, stendendosi sul letto ancora caldo. Con i suoi soliti metodi drastici, Draco, ridendo, l’aveva presa in braccio come se fosse un peso piuma e aveva minacciato di portarla così, con solo indosso una maglietta, in Sala Grande, al che, con rammarico, Ginny lo aveva seguito ed erano andati a fare colazione. Seduti al tavolo dei Serpeverde si trovavano già Theo e Blaise che ammiccarono smaliziati, alludendo alla mancanza del ragazzo in camera e lo stesso Demelza e Diane. La rossa sentì le guance bruciarle al pensiero di ciò che era successo con Draco, ossia niente e a che cosa pensavano le sue amiche. Stava per girarsi verso il biondo per salutarlo quando si ricordò di stare attenta che Evangeline non notasse atteggiamenti troppo familiari. Per fortuna però era seduta lontano, quasi dall’altra parte della Sala, sempre truccata pesantemente e con un vestito di foggia ottocentesca dall’aria molto scomoda, interamente rivestito di broccato ricamato. La rossa sentì un moto di compassione che durò più o meno un secondo, poi sorrise quando Draco le fece l’occhiolino e si sedette con le sue amiche nel tavolo chiassoso dei Grifondoro. Non appena arrivò, con un sorriso a trentadue denti, fu calorosamente accolta dai suoi compagni e dalle sue amiche. I gemelli la videro e urlarono, del tutto incuranti che fosse mattina presto: -Ehi, sorellina, vieni qui a sederti con i tuoi fratelli preferiti che non ti vedono mai- Si strinsero sulla panca per farle spazio e Ginny si ritrovò fra Fred e George, con Demelza, Diane,  e i loro amici: Lee Jordan, Phoebe Goods, Veronika Price, Seth Donnel. Facevano sempre un gran baccano, ma la rossa adorava essere una Grifondoro per l’accoglienza gioiosa e la lealtà. Anche se non li conosceva bene, i compagni di classe dei gemelli le stettero subito simpatici. Phoebe e Veronika stavano insieme da qualche anno e si completavano; la prima, una ragazza esplosiva dai folti riccioli a cavatappi biondi come il grano maturo e due occhioni castani da cerbiatto bilanciava il carattere schivo della fidanzata mora e delicata come una matrioska che però possedeva un’ironia sottile e divertente. Iniziarono tutti a chiacchierare amichevolmente, mentre Ginny addentava una fetta di torta alle mele e ascoltava Lee che le parlava dall’altro capo del tavolo, cercando si sovrastare il brusio degli altri Grifoni. Poiché però non sentiva bene, la ragazza si sporse sopra al tavolo, sollevandosi con le mani sulla panca, mentre a Lee bastò sporgersi, vista la sua altezza considerevole. L’alito caldo del ragazzo le accarezzò l’orecchio, provocandole una serie di brividi lungo la spina dorsale quando si ricordò che all’inizio dell’anno l’aveva salvata dall’ipotermia un giorno che incoscientemente aveva volato con la scopa intorno al castello senza coprirsi: -Sei molto carina questa mattina, Gin- Ginevra arrossì e quasi per caso incrociò lo sguardo truce di Draco dall’altra parte della sala, così sorrise con dolcezza e ringraziò. Si risedette al suo posto, sempre senza interrompere il contatto visivo tra lei e il ragazzo e fece le spallucce con espressione innocente, furbetta come un folletto. Il biondo sollevò un sopracciglio solo con aria contrariata e mimò con le mani un gesto che lei interpretò con: -Stai lontana da lui- Era geloso! Non ci poteva credere. Alzò le mani in segno di resa e nascose una risata al motteggio esagerato che Blaise faceva del suo ragazzo dietro alle sue spalle. Affondò il viso nel collo di Fred, ridacchiando incontenibilmente. George la guardò incuriosito e lasciò vagare lo sguardo per la sala in cerca della fonte del divertimento della sorella minore. Quando gli occhi giunsero su Draco Malfoy e i suoi amici aggrottò la fronte e Ginny trattenne il fiato, poi espirò sollevata dopo che ricominciò a parlare con Seth. In quel momento arrivò la posta e uno stormo di gufi, falchi, poiane e civette entrò dalle grandi finestre con giornali e lettere tra gli artigli in un fruscio di ali. Con eccitazione Ginevra vide Leotordo atterrare malamente davanti a lei, per finire dritto e disteso nella ciotola del musli: -Oh, Leo, ciao! Porti lettere da casa?- L’animale si dimenò allegramente in una pioggia di cereali e uvetta e bubbolò con striduli urletti. La ragazza si affrettò a sciogliere le missive dalla sua zampa, ma fu ancora più stupita quando vide arrivare un’altra lettera che portava il sigillo della Romania da un allocco ben più educato. Finalmente Charlie che si faceva sentire! Strappò il sigillo di ceralacca con frenesia, leggendo frettolosamente le parole del fratello maggiore:

“Carissima Ginevra,

ti scrivo dalla contea di Hunedoara, in Romania. In realtà è un posto sperduto, nel centro di questa regione desolata, circondata solo da boschi bui e umidi. Non capisco nemmeno nulla di quello che dicono! Sto cercando di addomesticare un Cornolungo Rumeno, ma per ora questo bel bestione non ne vuole sapere. Ho anche trovato le tracce di una Panciaferrata Ucraina! C’era una squama di questa specie proprio sotto un albero nei pressi di una fattoria. Bisogna stare molto attenti…”

Ginny si preoccupò non poco per il suo fratellone che da ormai quattro anni studiava dal vivo i draghi in Romania. Era un mestiere molto pericoloso, ma era la sua vita e vi ci dedicava anima e corpo. Continuò a leggere, notando che i gemelli provavano a sbirciare da sopra la sua spalla.

“Cosa mi racconti, sorellina? Spero che tu vada bene a scuola e che ti stia impegnando in tutte le materie, Pozioni compresa. Vogliamo tutti che tu prenda il massimo nei G.U.F.O. quest’anno. Contiamo su di te. Ora però parliamo delle cose importanti: come va la tua storia con Mister Mistero? Spero davvero che tu un giorno mi faccia conoscere questo ragazzo che ti ha rubato il cuore. Ho ripensato a lungo a quello che mi hai detto quando ti ho chiesto stupefatto se fosse davvero un Serpeverde e ti devo le mie scuse: non cambia nulla se questo ragazzo è uno Slytherin, un Tassorosso, un babbano o un magonò, la cosa fondamentale è che ti piaccia quanto tu piaccia a lui. Non accontentarti mai, sorellina. Ti voglio tanto bene,

Charlie”

La ragazza finì di leggere lo scritto e lo ripiegò in fretta per non permettere a Fred e George che, curiosi, di intravedere le parole commoventi. Piccole lacrime calde le riempirono gli occhi, ricoprendo il mondo con una lucida patina sfumata così batté più volte le palpebre e si asciugò il liquido salato con movimenti veloci e convulsi. Dio, quanto voleva bene a Charlie! Era sempre comprensivo con lei e la accettava per com’era, senza cercare di cambiarla. Alzò la testa, dopo essersi detersa le guance e incontrò ancora gli occhi di Draco che la fissavano con espressione corrucciata e tesa dal tavolo Slytherin: sembrava pronto ad alzarsi e correre lì da lei per vedere che cosa l’avesse turbata in quel modo. Anche Blaise e Theodore apparivano preoccupati. Ginny si sentì così amata… Lo tranquillizzò con un sorriso affettuoso e il biondo si rilassò visibilmente.

-Perché Charlie non le manda mai a me le letterine strappalacrime? Eh, Freddie? Eh eh eh?!- si lamentò scherzosamente con il gemello, cercando di strappare una risata alla ragazza. Si alzarono tutti quando si udì la campanella della prima ora segnare l’inizio delle lezioni e Ginevra s’incamminò verso l’aula, con Fred che le teneva un braccio sulle spalle, raccontandole di come avevano ricoperto di miele e farina Mrs Purr, la gatta di Gazza e con George che le portava la borsa con i libri, sottolineando quanto fosse sexy con quel maglione.

                                                                                     

 Di nuovo la campanella squillante liberò i ragazzi dalla lezione di Divinazione, così Ginevra, Demelza e Diane scesero con sollievo la scaletta che dalla Torre Nord riportava al corridoio, tossicchiando e appoggiandosi ai pioli, facendo attenzione a non scivolare. Il colorito di Diane, già pallido, aveva assunto una sfumatura verdastra a causa del penetrante profumo dolciastro di fiori morti che aleggiava persistentemente nell’aula della professoressa Cooman.

Demelza finse un conato e si sventolò una mano davanti al viso, esclamando disgustata: -Ma come fa a vivere là dentro quella donna? Sembra un bunker- Il corridoio si riempì presto di studenti che correvano di qua e di là indaffarati, in cerca della classe per la lezione successiva. Ginevra respirò a pieni polmoni l’aria ora libera dal forte incenso che la professoressa di Divinazione si ostinava ad accendere in quella stanzetta angusta in cima alla torre, soffocante anche senza le spire di fumo che non permettevano di vedere a un palmo dal naso. Si osservò intorno, riempendosi gli occhi dei colori dei mantelli delle diverse Case e gioendo anche solo di sentirsi una parte della Scuola (e di riuscire di nuovo a respirare). Piano piano, sempre scherzando fra loro, le tre amiche si unirono alla colonna di studenti che fluiva verso il pianterreno come un fiume chiassoso.

-Io sono certa che quella insieme all’incenso si fa di erba, ecco cosa credo- sentenziò Demi ridacchiando e facendo spalancare gli occhioni blu a Diane, che mormorò: -Ma come?! E’ una professoressa! Non può!-

Ginny rise, gettando la testa all’indietro e facendo ondeggiare i capelli come fiammelle: -Eccome se può! Però credo che preferisca il brandy- replicò ricordando che si era sempre chiesta cosa ci facessero tutte quelle bottiglie vuote sotto i tavolini delle sfere di cristallo. Una volta durante una lezione noiosissima si stava dondolando sulla sedia così andò a sbattere con il piede contro qualcosa sotto al tavolo e si accorse che l’oggetto che rotolava fuori era una bottiglia vuota. Dubitava che la prof  la utilizzasse per metterci dei fiori, anche perché aveva una predilezione per quelli essiccati. Arrivarono all’aula di Trasfigurazione, dove la professoressa McGranitt stava ancora sbraitando con lo chignon stranamente sfatto e penzolante sul capo, gli occhialini storti e le guance arrossate dalla rabbia: -Signorina Blanchard, smetta di urlare IMMEDIATAMENTE! SOLO IO POSSO URLARE QUI, E’ CHIARO?!?-

Diane si fece piccola piccola e sussurrò appiattendosi contro il muro: -Oh oh! Qui qualcuno è arrabbiato, mooolto arrabbiato-

Ginny si sporse dentro la classe, appena in tempo per vedere Evangeline che con una smorfia schifata e le mani alzate spingeva via il banco dal quale un povero rospo spaventato,  probabilmente da trasfigurare, cercava di sfuggire via. La ragazzina si gettò verso la porta, furente, ma inciampò nel vestito voluminoso con le scarpette con il tacco e per poco non cadde distesa nel corridoio. I suoi compagni di classe ridacchiarono, accendendole le gote di un rossore evidente di vergogna. Evangeline riprese l’equilibrio e rivolse a Ginny , ancora sulla porta, un’occhiata pregna di odio e di rancore con quei suoi occhietti neri, che sembrava non fosse solo per la risatina che inevitabilmente si era unita a quella degli altri studenti, ma per qualcosa di più profondo. La rossa sentì una morsa nello stomaco, come se una mano invisibile lo stesse torcendo e si rese conto di essere immobile, rigida, lì dove aveva percepito chiaramente il messaggio furioso della francese: “Stai attenta. Ti guardo”

Demelza le mise una mano sulla spalla e la scosse leggermente, domandando insolitamente premurosa: -Va tutto bene, Gin?-

La risposta fu assorta e lieve: -Sì, Demi, entriamo. Non vorrei che la McGranitt si arrabbiasse anche con noi…- Aveva un bruttissimo presentimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Amore ***


DRACO

Come naturale, marzo portava con sé non solo le dolci giornate soleggiate, ma anche pioggerelline insistenti e tiepide. Draco sottovalutava sempre quelle gocce sottili e andava a finire che usciva senza il mantello, bagnandosi completamente in qualche minuto. Quando giocava a Quidditch, poi, gli sembrava che l’acqua entrasse perfino sotto la pelle, come in quel momento. L’allenamento era stato faticoso e abbastanza inutile; non aveva voglia in realtà di sgolarsi per quel branco di idioti che non sapevano nemmeno lanciare una pluffa però la settimana successiva ci sarebbe stata la partita contro Grifondoro e non si poteva permettere di perdere, anche perché che figura ci avrebbe fatto con Ginny? Avevano perfino fatto una scommessa! Nello spogliatoio, mentre si toglieva i vestiti gocciolanti, ripensò sorridendo a quando l’aveva vista intrufolarsi sugli spalti. I suoi capelli si notavano perfino da lontano visto che riflettevano la luce come il rame. Le aveva urlato, proprio nello stesso modo sardonico con cui l’apostrofava in passato le volte in cui si stuzzicavano: -Ehi, Weasley, ti ha mandato Potter per spiarci? Volete imparare dai migliori, evidentemente-

Tutti i suoi compagni avevano riso, ovviamente, ma Ginny imperturbabile aveva risposto per le rime, dando mostra della sua lingua tagliente, una delle sue principali caratteristiche: -Malfoy, smetti di badare a me e inizia a preoccuparti per i tuoi giocatori… Si vede da quaggiù che hanno dei seri problemi con le scope! E fai attenzione, non vorrei che cadendo ti rovinassi quel bel visino- concluse con un sorrisetto malizioso e le guance accese. Si era così buttato in picchiata, sentendo il vento fischiargli nelle orecchie per la velocità e le gocce che gli sferzavano il viso, fino ad arrivare vicino a lei, quasi naso contro naso. Aveva letto la sorpresa nei suoi occhi verdi, ancora scintillanti di divertimento e le aveva sussurrato – la voce roca, calda- nell’orecchio: -E’ meglio che torni al castello e smetti tu di distrarmi, altrimenti se cado e mi faccio male, potrebbe compromettersi non solo il viso, ma qualcosa che a te potrebbe mancare molto, molto di più- Osservò soddisfatto l’espressione scandalizzata che le si dipinse sul volto e le guance arrossite improvvisamente, ma, sebbene imbarazzata, riuscì a rispondergli orgogliosamente alzandosi per tornare indietro con un sorriso da Monna Lisa: -Vuol dire che mi dovrò rivolgere a Lee Jordan, Draco. Sembrava così disposto ad aiutarmi!- E se ne era andata.

-Touchè, amico- aveva pensato il ragazzo, volando in aria –Te la sei meritata-

                                                                                        

Draco, stravaccato su una poltroncina in Sala Comune del dormitorio Slytherin con Theo e Blaise, aspettava impaziente che Evangeline se ne andasse a letto, per poi raggiungere Ginny nella Stanza delle Necessità, ma lei restava lì seduta, impassibile, mentre le altre Serpeverdi parlavano di trucco, di vestiti, di gioielli. Era un giorno importante: sembrava ieri che Draco e Ginevra si erano conosciuti, ma in realtà erano passati ben sette mesi.  Sette lunghi mesi, ventuno settimane da quando per la prima volta aveva posto le labbra sulle sue. Si perse nei ricordi di quello che avevano passato e provò a ricordare quando avesse sentito una così forte emozione. Ma, per quanto divertenti, sia i primi festini Serpeverdi, sia la prima sbronza con i suoi amici, le gare di Quidditch improvvisate alle due di notte, non erano comparabili. Voleva fare qualcosa di speciale, com’era speciale quel qualcosa che avevano creato loro due, insieme. Le fiamme aranciate del camino sfrigolavano dando un po’ di calore all’ampia stanza interamente di color verde scuro. Blaise stava accarezzando il gatto siamese di Pansy, una povera bestiola tutta infiocchettata dai grandi occhi languidi che tanto somigliavano a quelli color fiordaliso del ragazzo, mentre Draco muoveva nervosamente il ginocchio su e giù con espressione tesa e concentrata sull’orologio a pendolo dorato che rintoccava lugubremente sopra al camino scoppiettante. Lanciando un’occhiata perplessa alle lancette, Theodore sollevò un sopracciglio, e sporgendosi un poco sussurrò all’amico: -Ehi, Dra… Anche se continui a gettare sguardi truci all’orologio, il tempo non accelera. E poi smettila con quel ginocchio, che poi la Vipera si insospettisce- Il biondo emise un verso strozzato di frustrazione e si passò una mano fra i capelli con rabbia rispondendo a bisbigli: -Theo, basta, non ce la faccio più-

Accarezzando blandamente il gatto che faceva le fusa, Blaise li informò svogliato che il rettile in questione si stava avvicinando con aria seccata alle loro personali poltroncine. Infatti, proprio come l’amico aveva riferito, Evangeline giunse con espressione ostile davanti a lui, restando ferma in piedi e riuscendo così ad essere all’altezza dei suoi occhi. Quelli della ragazza, nerissimi e imperscrutabili, erano seminascosti da una veletta di pizzo e fortemente bistrati da una matita altrettanto scura. Con la piccola bocca tinta di rosso atteggiata a una smorfia infastidita, i polsi appesantiti da monili dall’aria vetusta, l’indolenza tipica della ragazza viziata, la Blanchard rappresentava per Draco tutto ciò che odiava del suo Casato: l’ostentazione, l’opulenza, la falsità. Comunque sapeva cosa doveva fare e, provando disgusto per sé stesso, si alzò galantemente e le baciò la mano: -Evangeline, cara, buonasera-  Anche Theodore lo imitò, seppur con una certa freddezza di modi, però Blaise né la salutò, né si alzò in piedi come esigeva l’etichetta, al che la ragazza tossì per evidenziare la sua presenza e gli lanciò uno sguardo di fuoco. Solo dopo ciò Blaise si sollevò con grazia, facendo cadere il micio a terra, che, irritato dalla mancanza di delicatezza, lo graffiò sul una mano.

-Brutta bestiaccia, sei proprio come la tua padrona- imprecò a mezza voce, portandosi la mano al petto per esaminarla –Mi hai deturpato… Ah, buona serata, signorina Blanchard. Ora l’ho vista. Cosa la porta qui a farci visita? Non era impegnata in una discussione, ehm, dotta con le altre ragazze?- concluse con uno sguardo penetrante. Evangeline sollevò la veletta con un movimento fulmineo e rispose sibilando: -Ero certa che il mio futuro marito avrebbe voluto vedermi questa sera così come io lo bramavo- per Draco fu spontaneo rabbrividire a una tale dichiarazione e ciò non sfuggì alla ragazza: -Tesoro, qualcosa che non va? Forse dovrei accompagnarti nella tua stanza…-

Theodore la interruppe quietamente, posando una mano sulla spalla di Draco teso come una corda di violino: -Signorina, credo proprio che Draco sia stanco. Oggi gli allenamenti di Quidditch sono stati intensi e lo hanno evidentemente provato. Penso che andremo tutti a dormire, adesso. Si sta facendo tardi, non è vero?- le gettò un’occhiata severa e inchinandosi profondamente le augurò la buonanotte con un tono che non ammetteva repliche, al che, seppur arrabbiata, Evangeline dovette congedarsi. Riabbassò la veletta e si allontanò, non prima di intimare al promesso: -Desidero andare a Hogsmeade questo sabato per valutare i modelli delle fedi, Draco. Mi aspetto che tu mi venga a prendere alle 4. A domani- Si voltò in un fruscio di sete e si dileguò a testa alta, ancheggiando con un suono di tacchi alti. Il biondo sospirò, esalando l’aria che non si era accorto di trattenere e chiuse gli occhi stancamente. Blaise gli diede una pacca sulla testa e gli disse allegro: -Su, su che è passata anche questa volta-

Per tutta risposta, Draco replicò a denti stretti: -Non farmi pat pat sulla testa-  e alzandosi in fretta, raccolse il mantello e uscì, suscitando una serie di sospiri e gridolini tra le ragazze Slytherin che seguivano ogni loro mossa. Un tempo avrebbe riso dei loro commenti, si sarebbe vantato del loro apprezzamento, ma ora si accorse che non gli importava più di tanto. Percorse velocemente i corridoi illuminati dalle fiaccole con un’ansia sempre crescente e un desiderio ancora maggiore. Saltò su una scala, che si mossa portandolo al sesto piano e poi camminò ancora… Sembravano migliaia i piani da percorrere fino alla Stanza delle Necessità! Svoltò l’angolo in fretta e andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno che era evidentemente appena uscito dal corridoio del sesto piano!

-Cosa ci fai in giro a quest’ora? Torna subito in dormitorio!- tuonò Draco, che in quanto Prefetto aveva il permesso di controllare il Castello con i giri di ronda.

La replica arrivò prontamente in un tono che non gli era del tutto estraneo: -Malfoy, sono un Prefetto esattamente come te. Che cosa ci fai tu, qui, a quest’ora?! I tuoi turni di ronda sono stati la settimana scorsa…- Draco guardò meglio nell’oscurità e intravide una figura alta, dagli spettinati capelli neri e gli occhiali tondi, che mandavano lampi di luce al riflesso debole delle torce: -POTTER!- sibilò scocciato              –Vattene. Io faccio quello che mi pare- lo aggirò facilmente e proseguì per la sua strada, chiedendosi da dove venisse. Poi la sua mente fu di nuovo invasa dal pensiero di Ginny e prese tutto lo spazio. Arrivò davanti alla stanza e girò la maniglia, nervoso come non lo era stato nemmeno al primo appuntamento. Entrando, vide subito le candele accese, la finestra aperta e le cortine del letto spalancate. Ginevra, di schiena verso la porta, stava sistemando dei tulipani vermigli in un alto vaso di ceramica, canticchiando a bassa voce una melodia di un compositore babbano che tanto le piaceva, un notturno di Chopin. La luce della luna disegnava aree luminose sul pavimento. Entrò di soppiatto, appoggiandosi alla porta per osservarla e sorrise involontariamente, poi in silenzio si posizionò alle sue spalle la fece voltare di scatto baciandola di sorpresa. Non la vedeva dalla mattina e perciò non aveva avuto tempo nemmeno di farle un saluto di sfuggita, pedinato com’era da Evangeline, che non lo lasciava un attimo da solo. Però si era guardato dal farle capire che si ricordava della data tanto importante; voleva fosse una sorpresa. Baciò più approfonditamente quelle labbra morbide sentendo il desiderio risvegliarsi in lui e le incorniciò il viso tra le mani sentendo la ragazza ricambiare con passione. Le avvolse le mani sotto le cosce e la tirò su, facendole avvolgere le gambe fasciate nei jeans scuri intorno alla sua vita. Ginny emise un urletto sorpreso seguito da una risata cristallina facendo sorridere anche lui, poi appoggiò la fronte contro la sua, guardandola negli occhi verdi. Fu la ragazza a colmare la distanza tra loro, seppur breve, e a unire le loro bocche un’altra volta. Draco percepiva la morbidezza di Ginevra sotto le sue mani, la linea delicata dei fianchi, la forma a clessidra della vita, come non aveva mai fatto. Sentiva anche che la rossa viveva quel momento con la stessa intensità, gli occhi brillanti, il respiro emozionato. Mentre ancora si stavano baciando, la musica cambiò improvvisamente e partì ad un volume spropositato un martellante ritmo house da discoteca babbana che li fece sobbalzare e staccare di scatto. Draco si guardò intorno sorpreso e scandì ironico nell’orecchio di Ginny, sentendola rabbrividire dalla vicinanza, nonostante tutto: -Scommetto che questa è opera tua. O di Blaise- Ordinò alla Stanza di spegnere la musica e così rimase solo il suono dei loro respiri nel silenzio. Il divertimento aleggiava sul volto della sua ragazza. Era allo stesso tempo però così seria, solenne, tanto che Draco la guardò a lungo, assaporando ogni suo particolare fino alla punta dei capelli senza che per una volta si ritraesse dai suoi occhi, intimidita. Innamorato, percorse i tratti del viso, le volute dei capelli ramati, le curve dolci delle spalle e del seno pieno celato dalla camicetta leggera, le gambe flessuose. Si concentrò sulla pelle pallida, sulle leggere efelidi che s’intravedevano sulla spalla un po’ scoperta. Ginny era perfettamente a suo agio: lo fissava a suo volta, con uno guardo sognante e desideroso che non doveva essere così dissimile dal suo. Li separava solo un metro, eppure sembrava un abisso. Gli brulicavano le mani dalla voglia che aveva di toccarla e di amarla ancora più interamente, ancora più indissolubilmente. Comunque, lo sapeva, stava a lei decidere.

La ragazza avanzò di qualche passo, sempre con quell’espressione solenne sul volto, animata da un mezzo sorriso e bisbigliò commossa, posandosi una mano all’altezza del cuore: -Draco, sono così felice che sento male qui. E’… normale? E’ così per tutti?- Pensò seriamente a quella domanda, accorgendosi di provare le stesse cose, ma di non riuscire a spiegarle. Come si fa a raccontare l’empatia, l’emozione, il batticuore? Perché nessuno aveva urlato al mondo che era l’Amore il segreto per vivere bene, per non essere più soli? Deglutì, guardandola con occhi ardenti, appoggiando la mano sulla sua e cercando di rispondere il più sinceramente possibile: -Io non so se è così per tutti… So solo che sono stato immensamente fortunato. Forse troppo. E che ti amo- prese l’altra mano della ragazza e la posizionò sul suo cuore dal battito accelerato –Lo sento qui-

Come tirati da un filo invisibile, si avvicinarono centimetro per centimetro, baciandosi piano, poi schiudendo le labbra, quindi voraci, bisognosi l’uno dell’altra. La sua vicinanza era così inebriante, il momento coinvolgente, però nonostante questo entrambi sentirono la necessità di fare le cose con calma. Draco iniziò con movimenti lentissimi a sbottonare la camicia di Ginny, baciandole il collo delicatamente, accarezzando la pelle morbida.

Non si era mai sentito così bene.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Sette ***


GINNY

Le batteva così forte il cuore che pensava si sarebbe fermato. Non riusciva a definire, scientificamente e in modo esaustivo, ciò che provava in quell’esatto momento. Percepiva le mani di Draco ovunque: sulla schiena che l’accarezzavano dolcemente, sulle guance, con i pollici che le sfioravano le guance e sui bottoni della camicia, mentre li slacciava con lentezza, come se fosse il momento più solenne del mondo. La sua pelle fremeva dove la toccava e ogni terminazione nervosa pulsava. Nonostante fosse tutto molto naturale, Ginny sentiva di essere rossa per l’imbarazzo, però fino a quando Draco la baciava andava tutto bene. Era elettrizzata dal nervosismo, sensibilissima ad ogni suo tocco e tesa come una corda di violino. Ormai la sua camicia era del tutto aperta e lasciava intravedere il reggiseno nero a pois bianchi. Il ragazzo smise di baciarla e sollevò le mani, posandole sui suoi fianchi, osservandola affascinato. Notando la sua inquietudine tentennante, cercò di sdrammatizzare con un sorriso sornione: -Indossi davvero un reggiseno a pois?!- Ginevra abbassò gli occhi e fece le spallucce, grata per la distrazione: -Certo, perché? Io adoro i pois, ma se non ti piacciono…- quindi cercò di divincolarsi, fingendosi impermalosita e ricominciò ad allacciarsi i bottoni, guardando di sottecchi la  sua reazione e mordendosi un labbro per non ridere. In men che non si dica, si sentì sollevare e si trovò fra le braccia di Draco, che aveva un sorrisetto compiaciuto in volto come il gatto che ha preso l’uccellino: -Abbastanza galante per lei, madame?- Ginny gli stampò un bacio sonoro sulla guance, mentre il biondo camminava verso il letto per adagiarla fra le lenzuola: -Grazie, sì, messere- Aveva le mani intrecciate dietro la sua nuca, ai capelli chiari e percepiva quanto era forte, quanto era snello e asciutto. Profumava vagamente di pelle e di sale e di Draco. La rossa iniziò a posargli piccoli baci sul collo, seguendo una scia che collegava l’orecchio alla mandibola e suscitando il suo evidente piacere, tanto che il ragazzo rallentò l’andatura e piegò la testa per facilitarle il lavoro. Sentendosi potente e bella, bella per Draco, riconoscendo di essere al sicuro tra le sue braccia come in nessun altro posto al mondo, rese il bacio più serrato e gli lasciò un segno rosso proprio sopra la clavicola. Poi si allontanò e rimirò la sua opera. Gli occhi adamantini del biondo incatenarono i suoi in una morsa che lasciò senza fiato, quindi scesero sul succhiotto.

 -Sei soddisfatta?- domandò divertito e ansante, gettandole uno sguardo obliquo che non seppe ben interpretare.

-Sì- rispose maliziosa –E’ quasi a forma di cuore- Draco fece finta di lasciarla cadere, con un suo urlo sconcertato, ma poi la riprese al volo e la gettò sul letto scatenando le sue sonore proteste.

-AH SEI DELICATO CON LA TUA RAGAZZA, MI DICONO!- gridò tra le risate, rotolandosi nel letto tra le lenzuola di raso verde scuro. Il biondo non le diede il tempo di lamentarsi ancora perché iniziò a baciarla sul collo con lo stesso trattamento che lei gli aveva riservato. Ginny si sciolse sotto il suo tocco delicato, abbandonando ogni timore, eppure fu presa alla sprovvista quando Draco le lasciò un segno identico al suo alla base del collo. Spalancò gli occhi e si strinse alla sua schiena quando scese ancora più giù, mentre le slacciava piano il gancetto del reggiseno. Anche se un po’ frastornata, era profondamente grata che stesse prendendo l’iniziativa: non sapeva proprio da dove cominciare e si sentiva piccola e inesperta. Le sue uniche esperienze si riducevano drasticamente rispetto a quelle che aveva vissuto Draco (giravano delle voci su di lui che avrebbero fatto arrossire perfino Rita Skeeter, nonostante avesse qualche dubbio sulla fonte…), ma sentiva comunque il bisogno fisico di stargli vicino, più vicino, così gli tolse del tutto la camicia e senza smettere di baciarlo si sfilò la gonna, con la pelle d’oca ben visibile sulla pelle pallida. Gli occhi grigi del ragazzo si allacciarono ai suoi, preoccupati: -Ti faccio così paura?-

Sembrava talmente abbattuto che Ginny lo rassicurò con troppa foga, confondendosi: -No, guarda, non sei tu, ma nemmeno io! E’ che lo voglio tanto, ti voglio tanto, ma non so come fare…- la voce si affievolì piano piano. Ginevra vide passare mille emozioni sul viso di Draco, dalla confusione al panico e si sentì morire, perché aveva rovinato il loro mesiversario. Poi lo vide distendersi e sentì un sussurro accanto al suo orecchio: -Tu stai ferma allora. Se davvero te la senti, fa quello che ti va. Sono a tua disposizione- Annuì, leggermente rincuorata e riappoggiò la testa sul cuscino, mentre il suo ragazzo ricominciava a baciarla piano, pianissimo, come se fosse di vetro e potesse spezzarsi. Solitamente Draco era caloroso con lei, la abbracciava con passione, la stringeva forte, sapendo che non le piaceva fare la bambola di porcellana in una teca, eppure apprezzò che fosse così cauto questa volta. Sentì le sue mani calde risalire sul suo corpo, sfiorandole le cosce, i fianchi, le braccia e provò una scarica di brividi incontrollabili. Chiuse gli occhi, concentrandosi sul bacio, che si faceva mano a mano più profondo, più pieno e sul tocco delle dita sulla pelle. Un po’ rassicurata, fece la stessa cosa ed iniziò ad esplorare il suo corpo, accarezzando gli addominali piatti e i muscoli guizzanti della schiena come se non li avesse mai visti prima. Sollevò il pallido braccio sinistro del ragazzo, con l’orrido sfregio nero del Signore Oscuro che spiccava, mentre Draco deglutiva a disagio e intrecciava le dita con le sue, stringendole forse un po’ troppo forte. Per Ginny era evidente che faceva di tutto per non ritrarsi al suo tocco e al suo sguardo, nonostante tremasse. Tracciò una linea di baci dal suo collo fino alla spalla, facendogli chiudere gli occhi dal piacere, quindi scese più in basso, avvicinandosi al tatuaggio quasi pulsante, fino a posare pianissimo le labbra su di esso. Non aveva paura del Marchio e le dispiaceva pensare che Draco, così orgoglioso e testardo, si vergognasse. Spesso era furiosa e non sapeva bene contro chi scatenare la sua rabbia: contro Lucius Malfoy forse? Contro Voldemort? Era un segno del male, certo, però che colpa ne aveva lui se gli era stato imposto? Sempre tutti, ad Hogwarts, avevano ritenuto Draco codardo, meschino, inattaccabile, eppure nessuno aveva mai pensato a che cosa aveva davvero sofferto. Neppure lei, fino a quando non gli era stata così legata…

Continuò la sua esplorazione, sfiorando appena le scapole sporgenti. Molte parti le erano conosciute, se non care –l’incavo del suo collo, dove spesso si addormentava, le labbra, le mani- però altre erano una nuova scoperta. Lo stesso doveva essere per lui, visto che la guardava con occhi diversi. Erano grigi scuri, attenti, celati da qualche ciuffo di capelli biondi che gli ricadeva sul viso perfetto. Più bello che mai.

-Ti faccio così paura?- gli chiese usando la sua stessa domanda, respirando appena e solleticando la sua guancia con un dito. I loro sguardi non si lasciarono, verde nell’argento.

Draco le mise un ricciolo rosso dietro l’orecchio e prima di chinarsi sul suo seno, le bisbigliò all’orecchio: - Sono terrorizzato, non si vede?- In realtà, Ginevra non ebbe proprio il tempo di pensare alla sua risposta, perché provò una sensazione così forte che dovette stringersi le lenzuola e chiudere gli occhi. Mai, mai in tutta la sua vita si era data così completamente a qualcuno. Non offriva solo il suo corpo a Draco, gli donava il suo intero cuore, che sembrava messo a nudo, scoperto, pulsante. Provò il desiderio insopprimibile di fondersi con lui, di condividere quell’urgenza che montava dentro di lei e che le faceva diventare il sangue fuoco caldo; tolse ogni altro pezzo di stoffa che li separava, assaporando il contatto bollente delle loro pelli l’una sull’altra. Affondò il viso nel suo collo e le dita nei suoi capelli, abbracciandolo per non lasciarlo più andare. Era così bello… Non poteva credere che fosse davvero suo. Forse un contratto di matrimonio lo legava ad un’altra ragazza, ma qualcosa di più importante di un pezzo di carta li univa e sembrava resistere nonostante tutti gli ostacoli che si erano presentati in quei mesi.

Non provò nemmeno a parlare, perché nessuna parola poteva descrivere quello che in realtà stava provando.  E nemmeno, sinceramente, voleva farlo: per una volta desiderava solo stare con lui, in tutto e per tutto e non perdersi neanche un momento.

 

Un po’ di ore dopo, la luna non era più così alta e il cielo stava assumendo una tonalità azzurrina più chiara e aranciata sull’orizzonte. L’unica grande finestra della Stanza delle Necessità era spalancata. Le tende volteggiavano e frusciavano impalpabili, mosse dal venticello lieve che proveniva dall’esterno. Ginny era accoccolata sul petto di Draco, che si alzava e si abbassava confortante al ritmo del suo respiro, avvolta in uno strato di lenzuola verdi. Osservava in pace il mondo che si svegliava nel più solenne silenzio, mentre lui si attorcigliava un ricciolo ramato intorno al dito. Ogni parola era superflua. Ad un certo punto, Draco si fermò, così lei alzò gli occhi silenziosamente interrogativi verso di lui e lo pregò, divertita: -Continua dai, mi piaceva- Draco rise di cuore e lei si sentì felice; era sereno finalmente, dopo tanto tempo passato fra dubbi, preoccupazioni e incertezze logoranti. Evangeline era lontana, lontanissima da dove si trovavano, ma non del tutto scomparsa. Ginevra poteva solo immaginare quanto sarebbe stato bello avere un momento di pace totale. Si alzò, sollevando le coperte con sé per coprirsi, ed iniziò a cercare i suoi vestiti.

-Cosa fai?- Draco la guardò con gli occhi socchiusi, steso languidamente come un felino stanco.

-Vieni, andiamo a inseguire l’alba- la giornata si prospettava troppo bella per stare al chiuso. Si avvicinò alla finestra, rabbrividendo piacevolmente per i soffi di vento freschi che si intrufolavano nelle lenzuola. Quando si girò per ribadire il concetto, il ragazzo, a pancia in giù, aveva il viso profondamente affondato nel cuscino. Ginny, piena di disappunto, ma dopotutto divertita, prese la rincorsa e saltò sul letto, buttandoglisi addosso con tutto il suo peso e pungolandolo con le dita: -Draco! Svegliati! Su, su. Hai dormito un sacco- Richiamato all’appello, alzò un sopracciglio e le fece notare, malizioso: -Guarda che la fatica l’ho fatta tutta io ieri sera- Lei arrossì e gli diede qualche schiaffetto motivazionale, spostando comunque gli occhi dal suo corpo nudo per un vago imbarazzo. Alla fine anche Draco si alzò e si vestì con nonchalance. Indossò un paio di jeans stracciati sulle ginocchia e una maglietta grigia, che lo resero più giovane di quanto le cicatrici sul suo corpo o lo sguardo adulto non mostrassero. Però, questo doveva ammetterlo, gli stavano benissimo. Aveva tutti i capelli spettinati, tanto che a Ginny venne voglia di passarci una mano in mezzo per sistemarli; si contenne e la unì invece alla sua, allacciandole. Lei si mise addosso il suo famoso maglione nero con i bordi verdi e prese di nascosto un pacchetto, incartato d’argento, mettendolo nella tasca posteriore dei jeans. Tenendosi sempre per mano, uscirono nel silenzio del castello addormentato, passeggiando nei corridoi vuoti, appena illuminati dalla luce nascente. Non c’era proprio nessuno in giro, nemmeno in biblioteca, dove certi studenti rimanevano a ripassare fino a tarda ora (o si addormentavano con le teste sui libri), mentre gli Elfi domestici stavano già preparando la colazione, testimoniata da un goloso profumo di dolci appena sfornati. I due ragazzi arrivarono fino al Portone e uscirono in giardino. Un leggero strato di rugiada bagnava l’erba verde, punteggiata di qualche violetta, segno della primavera quasi inoltrata. Ginny si slacciò le scarpe e proseguì a piedi nudi, ridacchiando per il contatto fresco sotto le dita. Draco era rimasto indietro di qualche passo e la osservava intensamente, la testa un po’ inclinata di lato e l’ombra di un sorriso sulle labbra. Solo per lui, alzò le mani sopra la testa e fece una ruota, atterrando ai suoi piedi e scoccandogli un bacio sonoro sulla guancia. Sentiva di avere i capelli tutti arruffati, eppure Draco la guardava come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto, anche se leggermente malinconico. Quanto avrebbe voluto imparare le basi della Legilimanzia, solo per capire cosa gli passava per la testa in quei momenti. Però subito lo Slytherin si riscosse e, posandole un braccio sulle spalle, la accompagnò in riva al lago Nero. Le onde battevano dolcemente le sponde sabbiose e il sole nascente si rifletteva cangiante e aranciato su di esse. L’aria era tiepida e la sensazione della riva umida e ruvida sotto ai suoi piedi confortante. Passeggiarono costeggiando il lago, mentre il sole si alzava davanti a loro e sorgeva dalle acque. Si fermarono sotto la quercia imponente, le cui gemme iniziavano a spuntare, verdi e tenere. Ginny alzò gli occhi verso di lui, gli accarezzò una guancia e Draco assecondò il suo movimento con la testa, senza mai distogliere lo sguardo magnetico e abbracciandola alla vita. Deglutendo, con l’altra mano la rossa sfilò il pacchetto che aveva nascosto nella tasca dei jeans e glielo chiuse nel pugno, elettrizzata. Sentiva mille puffole che saltavano di qua e di là nel suo stomaco e un nodo alla gola. Draco era sorpreso, ma non solo, era commosso; la guardò con gli occhi che scintillavano di gioia: -Posso aprirlo?-

Ginny trattenne lo sbuffo, però alzò comunque gli occhi al cielo e con celata dolcezza rispose: -No, te l’ho dato solo perchè tu guardassi il pacchetto- Lo osservò con il cuore che martellava mentre scartava il dono con la frenesia di un bambino, il che le fece pensare che non avesse mai ricevuto molto regali. Alla fine, scivolò fuori un sottile bracciale di cuoio nero intrecciato, semplice, con una piccolissima fata incisa sulla chiusura d’argento. Solo chi sapeva dove guardare l’avrebbe potuta riconoscere e, soprattutto, collegare al medaglione di Ginevra.

-Buon settiversario…?- buttò lì, sorridendo.

Draco le diede un lungo bacio e, alla fine, senza che quasi se ne accorgesse, Ginny aveva un anellino al dito: -Buon settiversario-






Okay, non ho idea di come sia partorire, ma io credo di esserci andata molto vicino con la stesura di questo doloroso, difficile, romantico (awwww <3), imbarazzato, goffo capitolo. Mi vergogno un po' per il mio ritardo imperdonabile, perciò ciao. Vi voglio bene
Viola

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Lontananza ***


DRACO 10 maggio

Lettere infervorate e sollecite continuavano ad arrivare con cadenza regolare da Malfoy Manor, attraverso la maestosa aquila reale di Lucius. Ogni volta che entrava in Sala Grande e planava sul tavolo Slytherin con alterigia, Draco non solo s’imbarazzava per quella sfacciata ostentazione di lusso –poche famiglie potevano vantare di aver avuto un’aquila come messaggera, considerando il prezzo e la difficoltà di allevamento dell’animale-, ma si sentiva anche male per le notizie imprevedibili che poteva portare. Inoltre non gli era mai piaciuto quell’uccellaccio; era come se nel becco uncinato intravedesse la linea dura della bocca di suo padre e negli occhi di ghiaccio la freddezza calcolatrice. Le settimane correvano fra esami, verifiche e interrogazioni serrate, mentre i professori intensificavano le spiegazioni in vista degli esami finali. Dopotutto, Hogwarts era una delle scuole magiche più prestigiose non a caso. Il Preside Silente sembrava scomparso, tanto che il suo imponente scranno di legno durante i pasti era sempre vuoto e torreggiava sulla sala rumorosa. Giravano molte voci su cosa stesse facendo, da collaborazioni segrete con il Ministero delle Magia a un’improbabile vacanza alle Hawaii. Ah, le gemelle Patil, che pettegole! Evangeline non lo lasciava respirare: “Draco, dove vai? Cosa fai? Studiamo insieme? Perché non stai mai con me? Devo ricordarti che sono la tua promessa sposa?” Il sommarsi di tutte queste cose lo innervosiva. Si sentiva scoperto, debole, anche se aveva ripassato il piano di fuga con Theo così tante volte che se chiudeva gli occhi poteva vedere le cose da fare punto per punto in sovrimpressione. Il dolore al braccio, quelle fitte lancinanti che altro non potevano essere se non le chiamate di Voldemort, lo spossavano e lo lasciavano tremante. Per fortuna, Ginny era quasi sempre con lui e divideva il peso di quelle fatiche, anche solo con la sua presenza silenziosa. Bastava un suo sguardo obliquo o una mano posata sul suo braccio per calmarlo. Lo spaventava un po’, questo potere che aveva su di lui.

Nel frattempo, sostenuto da tutti i suoi amici, ma in modo particolare da Ginevra, Blaise aveva smesso di bere una volta per tutte. Ne avevano provate di tutte i colori per trovare un valido sostituto: mentine, centrifugato di zucca, caramelle, thè verde, caffè, fino a quando lo Slytherin ricciuto non aveva scoperto il succo al mirtillo: suo nuovo amore, sostituiva efficacemente ogni alcolico e, anche se forse abbondava nelle dosi, non era deleterio per la sua salute. Era pure convinto che lo rendesse affascinante e lo beveva in bassi bicchieri di cristallo con cubetti di ghiaccio sorseggiandolo proprio come se fosse bourbon. Ovviamente nessuno gli aveva fatto presente che era ridicolo, ma lo facevano per lui e per la sua autostima. Lo vedeva chiacchierare con Ginevra, l’onnipresente succo in mano, e raccontarle i particolari dell’infanzia sua e di Draco, ridendo con uno sguardo un po’ malinconico. La camera Serpeverde era il quartier generale del loro buffo gruppo, disseminata dei libri per i G.U.F.O. della ragazza, che studiava anche se non li avrebbe mai sostenuti per via della fuga, bottiglie vuote di Blaise e post-it con appunti e mappe di Theo, davvero, davvero ovunque. Draco si lavava i denti e sullo specchio c’era scritto, con la matita per occhi che Ginny aveva dimenticato lì, “COSE DA PRENDERE” oppure perfino nei suoi cassetti poteva trovare fogli sparsi con elenchi di case sicure, liste o luoghi utili. A volte Draco si preoccupava che qualcosa potesse involontariamente essere ascoltato o che qualcuno s’intrufolasse nella stanza, così piena di indizi sulla partenza dei ragazzi, perciò ogni volta che usciva poneva un incantesimo di chiusura sulla porta. Poi però scuoteva la testa per le sue paure ingiustificate e andava avanti…

Un giorno, mentre stava scarabocchiando annoiato il profilo di un castello su un angolo della sua pergamena, il professor Piton gli fece recapitare un messaggio che lo informava che era richiesto nell’ufficio del Preside. Sobbalzò e chiese il permesso di uscire alla professoressa McGranitt; sentiva gli occhi di Potter, dietro a quei suoi fondi di bottiglia, pungergli la schiena. Era da qualche tempo che lo aveva beccato a fissarlo, con rancore, quasi una sorte di… gelosia. Ottenuto un cenno d’assenso sorpreso, uscì dalla classe, sentendo la professoressa ricominciare a spiegare l’argomento del giorno. I corridoi erano ovviamente vuoti, essendo proprio la metà della terza ora. Si chiese dove fosse Ginny in quel momento e non cosa voleva da lui il preside: non gli era così difficile immaginarlo. Arrivato davanti ai due gargouille posti da sentinelle alla porta, pronunciò titubante la parola d’ordine scritta nel biglietto di Piton: -Palline acide?-

-Sei sveglio, ragazzo- ironizzò il mostriciattolo destro, ghignando e facendo cenno alla fessura della porta che si era aperta. Draco alzò gli occhi al cielo ed entrò, silenzioso. Lo studio era immerso nel sole mattutino che spuntava dalla grande finestra davanti al trespolo dell’araba fenice del preside. Di lui, si vedeva solo la sagoma in controluce, le mani intrecciate dietro la schiena, l’ampia veste violetta.

-Buongiorno, professor Silente- lo salutò cauto, ma cortese, fermandosi per rispetto presso la scrivania e chinando il capo. Tra gli Slytherin, i più giovani non alzavano lo sguardo fino a quando l’altra persona non si rivolgeva direttamente loro. Draco guardò gli oggetti d’argento bizzarri che soffiavano e vibravano sul tavolo sotto la biblioteca immensa. Il Pensatoio fumava in un angolo, azzurrino e perlaceo. Il preside si girò quasi subito, accogliendolo con calore e indicando con ampi gesti la sedia opposta alla sua: -Vieni, Draco, vieni a sederti-

Il ragazzo si accomodò in punta di sedia, considerando forse per la prima volta l’uomo, il grande mago, che aveva davanti. Lo aveva sempre ritenuto un pazzo, folle per certi versi, con tutte le sue idee sulla forza dell’Amore. Eppure, in un certo senso, iniziava a capire cosa intendesse. Silente intrecciò le mani sotto il mento, osservandolo indagatore con quei suoi occhi azzurri, quasi da bambino, da dietro le lenti a mezzaluna degli occhialini.

-Allora ragazzo, cosa volevi dirmi?- domandò pacato. Per poco Draco quasi non cadde dalla sedia dallo sconcerto. “Ma come?!” pensò, “Mi ha chiesto lui di venire. E’ proprio fuori…” La sua espressione attonita non scompose minimamente il mago, che continuò a osservarlo in modo enigmatico e fiducioso. Fanny emise un musicale verso dal suo trespolo, allora il ragazzo deglutì e gli porse il foglio vergato di sua mano: -Il professor Piton ha detto che era da parte sua- Silente rimase immobile e sorridente: -Conosco perfettamente il contenuto di quel biglietto-

-Ma non è di questo che vuole parlare, vero?- Draco ritrasse la mano, capendo dove il mago lo stava portando. Appoggiò il biglietto sul tavolo, soppesando le sue parole con attenzione.

Il vegliardo annuì, pacifico: -Esatto, ragazzo. Esatto-

Il Serpeverde all’improvviso sussultò e abbassò lentamente il braccio sinistro, dolorante. Era da qualche giorno che il Marchio non gli dava tregua con il bruciore e il prurito continuo. Sembrava ingrandirsi sempre di più e pulsare di vita propria. Forse aveva le allucinazioni; d’altra parte l’insonnia lo sfiancava. Draco a disagio lo grattò sopra la manica e allo sguardo acuto del preside non sfuggì il movimento, seppur impercettibile. Smise immediatamente e osservò il mago alzarsi per andare ad accarezzare l’araba fenice dalle piume iridescenti.

-Ti duole? Un buon unguento di assenzio potrebbe aiutarti- disse dolcemente osservandolo con quei suoi occhi turchini così fastidiosamente compassionevoli. Il ragazzo ignorò del tutto il commento, domandando con urgenza, anche se sapeva già la risposta: -Sta arrivando, vero?- Non si potevano spiegare in nessun altro modo i sintomi e, in cuor suo, sebbene avesse cercato di negarlo, l’aveva già capito. Non poteva più tenerlo nascosto. Il professore per la prima volta in tutta la visita distolse gli occhi dai suoi e sembrò all’improvviso diventare molto vecchio, con le spalle curve e lo sguardo sconfitto.

-Non dovrebbe andare così- mormorò, parlando quasi tra sé –Non c’è più tempo… Dovete andarvene, al più presto. Ho fissato la vostra passaporta fra cinque giorni esatti. Quando la prenderete, per sicurezza, sarà presente anche l’Ordine. Vi aspetto alle sedici qui nel mio ufficio. Sarà meglio che la Signorina Weasley sia coperta da un mantello pesante. I Signori Weasley non verranno qui ad Hogwarts, ma in ogni caso non è il caso che qualcuno noti la sua partenza… anticipata- Draco arrossì e si rese conto che non avrebbe potuto nascondere Ginny per sempre. In qualche modo il preside l’avrebbe vista arrivare, no? Alla fin fine era meglio così, sia che lei partisse con loro che Silente lo sapesse. Lucius avrebbe potuto torturarla per sapere dove era andato, per non parlare di Voldemort, che sicuramente aveva il desiderio di punire i disertori e il preside sembrava non condannare questa scelta. Forse anche lui credeva che sarebbe stata la cosa migliore per lei. -Quindi… sta arrivando?- domandò cauto, torcendosi il braccialetto di cuoio che portava al polso.

Lo sguardo di Silente era greve: -Sì-

GINEVRA

Non è facile pensare che all’improvviso non vedrai più attorno a te i tuoi amici, gli ambienti in cui sei cresciuta -le aule spaziose dei compiti in classe e delle infinite spiegazioni, il dormitorio condiviso delle chiacchierate a tarda notte, la Sala Grande, ricordo sempiterno delle cene, dei balli, delle feste-, la scuola che ti ha ospitato. Da quando Draco le aveva riferito del suo incontro con Silente e da quando era stata fissata una data certa per la loro partenza, le sembrava che il tempo passasse alla velocità della luce.

Fra cinque giorni, ore sedici.

Fa cinque giorni, ore sedici. La data era sempre stata molto vaga, ma ora una scadenza così inflessibile la spaventava un po’. Non c’era il tempo necessario per fare tutte quelle cose che aveva desiderio di lasciarsi alle spalle. Non sapeva esattamente cosa, eppure sentiva di doversi preparare per bene. Come poteva immaginare di iniziare una nuova vita, se prima non avesse messo a posto il suo passato? Oh, non si pentiva della sua scelta, perché ormai ogni luogo in cui ci fosse stato anche Draco era casa. Lo amava così tanto… Se fino a un anno prima glielo avessero detto, avrebbe riso fino alle lacrime. Adesso, invece, non riusciva a pensare di non averlo accanto. Mentre sistemava le poche cose che le sarebbero servite per il viaggio ignoto nella sua camera bordeaux vuota, Ginny si chiese con malinconia se avrebbe mai rivisto i suoi genitori, i suoi fratelli, talvolta fastidiosi, sì, ma amatissimi. E le sue amiche? La mestizia la assalì, per fortuna in un momento in cui Draco non era presente. Quanto sarebbe stato male, vedendola così abbattuta.  Si deterse quasi con rabbia le lacrime bollenti che le rigavano le guance e le appannavano gli occhi. Odiava sentirsi così debole e insicura: non se lo poteva permettere, non in quel momento. Piegò una maglia, singhiozzando senza ritegno e alla fine la buttò in un angolo, accartocciandosi contro la sponda del suo letto per piangere in pace. Arnold le si avvicinò saltellando e con un pigolio le diede una leccatina sulla mano. La rossa lo prese in mano, stringendolo a sé. Dopo che si fu sfogata e che dai suoi occhi arrossati non uscì più nemmeno una lacrima, si alzò risoluta. Finì di sistemare la sua borsa, diventata spaziosa grazie a un Incantesimo che aveva imparato con il professor Vitious, diede un’ultima, lunga occhiata alla sua stanza e uscì. Qualche tempo prima, aveva pensato di scrivere delle lunghe lettere in cui spiegava la situazione ai suoi amici e parenti, però quando le aveva lette con Draco, lui l’aveva guardata con doloroso rammarico e Theodore aveva chiarito che non poteva lasciare delle informazioni così rintracciabili. Le spie di Voldemort e i suoi mezzi erano onnipresenti… Avrebbero sicuramente trovato una lettera, che, seppur priva di coordinate fondamentali, poteva essere un primo indizio di partenza. I ragazzi e Ginevra dovevano sparire, all’improvviso, da un momento all’altro. Silente, a tutti coloro che lo avessero chiesto, avrebbe detto che gli Slytherin dovevano tornare a casa per svolgere mansioni familiari (cosa non del tutto impensabile, data la precocità dei Serpeverdi) e che Ginny era semplicemente scomparsa. Chi avrebbe mai collegato la Grifondoro orgogliosa al ragazzo che dall’inizio della scuola l’aveva derisa e umiliata? Il reciproco disprezzo l’uno per l’altra non era un segreto al Castello, sebbene da qualche tempo i due non si erano più visti battibeccare. Oh, Ginevra non dubitava che i suoi fratelli avrebbero messo sottosopra Hogwarts per trovarla, ma in questo caso una lettera fallace sarebbe stata d’aiuto. Aveva scritto che si voleva recare in Romania da suo fratello Charlie, perché le mancava molto e che non aveva più intenzione di continuare la scuola. Certo, passava come una bambinetta infantile e capricciosa, però forse in questo modo avrebbe potuto depistare i suoi inseguitori. Sperò che Charlie non si arrabbiasse e che non venisse messo in mezzo a questa follia. Camminò per il lungo corridoio cercando a tutti i costi di avere un’aria naturale e rilassata, mentre il sole ancora alto entrava dalle finestre con raggi arcobaleno. Per fortuna alle cinque del pomeriggio c’era poca gente in giro. Gli esami si avvicinavano e le giornate si allungavano: chi studiava chiuso in biblioteca per non farsi distrarre, chi prendeva il sole e si rilassava nell’ampio giardino e chi, infine univa le due cose, portando libri e vocabolari nel parco con una bella coperta. Lei stava continuando a studiare, spesso buttandosi nei compiti per dimenticare e non pensare, anche se sapeva che non avrebbe mai dato gli esami. Draco l’aiutava molto e anche Theodore; Blaise l’ascoltava quando ripeteva, bacchettandola per gli errori. Erano tutti e tre studenti brillanti, anche se portati per materie diverse. Anche lei, da studentessa non mediocre, ma nemmeno eccelsa, era migliorata considerevolmente. Quando entrava raggiante nella camera dei ragazzi con una E vergata di rosso sul suo compito si sentiva davvero bene. Poi Draco la baciava e tutto era perfetto. Persa nei suoi fantasticamenti, non si accorse della persona che aveva davanti e ci andò a sbattere del tutto involontariamente. Le cadde la borsa e alcuni oggetti rotolarono sul pavimento: -Oddio, scusami, non ti avevo visto, non volevo proprio- si profuse, raccogliendoli ed alzandosi di scatto per vedere chi aveva investito. Si stava proprio spostando una ciocca di capelli che le era caduta sul viso, quando una voce che ben conosceva fece per tranquillizzarla: -Calma, Gin, non è successo niente- La rossa si irrigidì e riconobbe Harry davanti a sé. Lui lì con le mani aperte quasi in segno di scusa, o forse di pace, i capelli perennemente spettinati, gli occhiali tondi un po’ storti e quel suo sguardo benevolo. Ginny non aveva dimenticato come si era approfittato di lei quella volta nello spogliatoio di Quidditch e nemmeno come l’aveva forzata a baciarlo. La vergogna e lo sdegno che provava la fecero ancora arrabbiare. Infuriata, stava per intimarlo di lasciarla stare, quando lui disse tutto d’un colpo: -Ginevra, scusami per quella volta! Io non ho idea di cosa mi sia preso e il mio gesto è stato imperdonabile. Solo che… mi sono accorto che mi piacevi proprio perché tu hai iniziato a rivolgerti a qualcun altro-

La Grifondoro incrociò le braccia, sospettosa eppure impietosita. Harry aveva abbassato la testa avvilito e la guardava da sotto le ciglia, porgendo le sue scuse. Come poteva non accettarle? Lo conosceva da quando aveva sei anni, era cresciuto insieme a lui, trattandolo al pari di un fratello. E sembrava veramente dispiaciuto… Tentennando, quindi, rispose: -Ciò che hai fatto è stato disgustoso, soprattutto perchè contro la mia volontà, però voglio accettare le tue scuse. Non sono il tipo da giudicare una persona solo per un’azione sbagliata che ha fatto in passato. E’ una lezione che ho imparato sulla mia pelle- in quel momento parlava con Harry, ma pensava innegabilmente a Draco. Allungò una mano, sorridendo: -Pace?-

Il moro tese la sua, stringendola con un luccichio di felicità negli occhi verdi: -Certo!- Camminarono insieme per il resto del corridoio, in un piacevole silenzio fino a quando una domanda candida del ragazzo, seppur del tutto amichevole, la fece tremare dalla paura: -Allora, come va fra te e Malfoy?- Impietrì, impallidì, si fermò e lo fissò con uno sguardo così evidentemente costernato che Harry le chiese se stesse bene. Ginny provò a parlare, ma la prima volta le uscì solo un suono rauco. Non poteva negare, lui era così sicuro, quai compiaciuto che lo avesse scoperto. Con il secondo tentativo, le uscì in un soffio: -E come lo sai?- Il ragazzo deglutì e iniziò a spiegare: -Quando mi sono accorto di essere innamorato di te, qualche mese fa, ho iniziato a frequentare i posti in cui di solito sapevo di trovarti. E le coincidenze sono state davvero troppe. Fino a quando ho incrociato Malfoy sulle scale del settimo piano e non ho avuto più dubbi, nonostante metterei la mano sul fuoco che non mi avrebbe creduto nessuno se lo avessi detto in giro. La bella Griffyndor e il burbero Slytherin! Ahah-

Ginny boccheggiò, anche se Harry continuava a chiacchierare perfettamente a suo agio, sorridente e affettuoso: -Mi sono arrabbiato moltissimo quando l’ho scoperto, ma ora che ho fatto pace e ho capito che sei solo un’amica per me, sono divertito-

Scuotendo la testa e riacquistando un po’ di voce, sussurrò, preoccupata: -Ma non l’hai detto a nessuno, vero? Nemmeno a Ron, o a Hermione, no…?-

-No, stai tranquilla, l’ho tenuto per me. Chissà cosa avrebbe fatto tuo fratello se lo avesse saputo…- ridacchiò. Ginny non sorrise nemmeno e, stringendolo brevemente per una spalla, lo lasciò lì: -Bravo, continua a mantenere il segreto. Adesso devo andare. Ci si vede- Corse via con il cuore in gola e arrivò davanti alla Stanza delle Necessità, incriminata di nascondere i loro incontri proibiti. Spalancò le porte, entrando con foga e chiamò, leggermente affannata: -Draco! Sei qui?- La sua voce tesa risuonò nella stanza, ma già alla prima occhiata Ginny si era accorta che lui non era presente. Il letto aveva le coperte verdi perfettamente ripiegate, il camino era spento, con le ceneri argentee fredde da tempo, il tavolo sgombro, senza traccia di libri o oggetti appartenenti al ragazzo. Si rendeva conto del pericolo che stavano correndo in quel momento, eppure aveva solo tanta voglia di seppellirsi sotto le coperte e piangere ancora. Strinse gli occhi per trattenere le lacrime e si avviò verso l’uscita. La sua mano trovò conforto stringendosi intorno al medaglione dorato allacciato alla sua collana. Era stranamente tiepido e liscio, solido; la rincuorò un poco. Passò davanti al grande specchio posto all’entrata e si fermò, studiandosi pensosamente. Si potevano vedere i segni di questo grande cambiamento che sentiva? Il riflesso mostrava una ragazza pallida con lunghi, lisci capelli ramati che circondavano un viso molto magro dalle lentiggini sbiadite. Non sembrava nemmeno lei… Era la versione più adulta di Ginevra Weasley, completamente diversa dalla ragazza che aveva iniziato la scuola a settembre. Sospirando, distolse lo sguardo da quella sconosciuta e iniziò a camminare stancamente lungo il corridoio del settimo piano. Forse il Destino questa volta ebbe compassione di lei perché all’improvviso dalle scale davanti a lei comparì Draco, che camminava con la testa china e le mani in tasca. Perso nei suoi pensieri, non la vide e Ginny, fermandosi, si prese tutto il tempo per ammirarlo. Osservò il modo in cui i capelli gli ricadevano sulla fronte, l’espressione concentrata, il movimento fluido e naturalmente aggraziato del camminare. Involontariamente le venne da sorridere e, seppur ancora preoccupata per ciò che le aveva detto Harry, non sentiva più gravare su di sé quella tristezza inconsolabile. Alla fine, il biondo alzò gli occhi e la vide ferma davanti alla finestra. Ginevra immaginò che il suo sorriso dovesse essere identico al proprio: -Ehi- Gli corse incontro e lo abbracciò, sentendo le sue mani che si allacciavano dietro la schiena.

-Ciao, bella ragazza- rispose lui ridendo. La Grifondoro si alzò in punta di piedi per baciarlo, con le mani intorno al suo viso. Unì le labbra con quelle del ragazzo, sentendo il cuore battere più forte. All’improvviso, proprio nel mezzo del bacio appassionato, Ginny si staccò con gli occhi sbarrati: -ODDIO DRACO!- La faccia del ragazzo fu di puro sconcerto: -Cosa c’è?! Ti ho fatto male?- Le studiò il viso per cercare ferite, ma la ragazza fece un gesto con la mano come per cacciare via l’idea e si ricordò del piccolo, enorme particolare che doveva riferire al Serpeverde: -Dovevo assolutamente dirti questa cosa! Ho visto Harry poco fa, no, smetti di fare quella faccia, ho fatto pace con lui. Comunque, non è questo il punto. Mi ha detto che sa di noi!-

Draco la guardò attentamente, con una ruga di preoccupazione che gli aggrottava la fronte: -In che senso sa di noi?-

-Ci ha visti entrare nella Stanza ed evidentemente ha fatto due più due- spiegò avvilita –Ma mi ha giurato che non lo dirà a nessuno ed io ci credo, Draco- Quasi parlando tra sé, il ragazzo rispose: -Effettivamente l’ho incrociato qualche volta sulle scale mentre venivo da te… Però pensavo fosse di ronda! Dobbiamo stare molto, molto attenti, Gin. Nessun altro lo deve sapere-

Ginny sentì un macigno di ansia che si posizionava nel suo stomaco e un groviglio di inquietudine bloccarle la gola, presagendo una delle cose che non avrebbe voluto nemmeno immaginare per nulla al mondo. Aveva come l’impressione che fossero tutti in grave pericolo…

Draco le prese le mani sulle sue e se le portò alla bocca per baciarle: -Non possiamo più vederci, Ginevra, fino al giorno della partenza. Non dovrai entrare nella Stanza delle Necessità o nel mio dormitorio. Non starmi vicino, non parlare con Theo e Blaise, non mandare lettere, non scrivere messaggi. Se proprio vuoi dirmi qualcosa di urgente, lascia un biglietto qui dietro al quadro di Barnabà il Babbeo- La rossa sopportò stoicamente quelle parole che colpivano come staffilate nel suo cuore e alla fine, dopo aver baciato a lungo Draco, assaporando le sue labbra con desiderio, si allontanò senza voltarsi.

Quando svoltò l’angolo, gli occhi adamantini del ragazzo si staccarono controvoglia dalla sua schiena e il Serpeverde capì che non avrebbe potuto vivere senza di lei.

Quelli di Ginny, verdi come l’erba d’estate, si riempirono di lacrime.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2184195