Questa è la mia storia;

di Wrecking_Ball
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


 
Prologo.
 
 

La mia vita cambiò per sempre quando avevo diciassette anni.  

So che, quando lo dico, alcune persone restano meravigliate. Mi guardano in modo strano, come se cercassero di immaginare che cosa potesse essermi accaduto.

La mia storia non si può riassumere in due o tre battute;



In un certo senso la mia storia è anche la loro, perché è stata un'esperienza che abbiamo condiviso.

Anche se forse io sono quello che l'ha vissuta più intensamente.

In certi momenti vorrei tornare indietro nel tempo per spazzare via tutta la tristezza, ma ho la sensazione che, se lo facessi, se ne andrebbe anche la gioia.

Così prendo i ricordi come vengono, lasciando che mi guidino tutte le volte che si affacciano alla memoria.

Con un sospiro, sento che tutto ritorna. Ancora una volta.

Mi chiamo Justin Bieber, e ho diciassette anni.

Questa è la mia storia; prometto di non tralasciare nulla.
Prima vi verrà da sorridere e poi verserete qualche lacrima: non venitemi a dire che non siete stati avvertiti.

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Se qualuno ha letto i passi dell'amore di Nicholas Sparks, o ha visto il film, noterà che in pratica questa storia è un pò il riassunto, la semplificazione del libro.
Ho semplicemente tolto delle parti descrittive, cambiato i personaggi e "spostato" l'epoca nel 2013 in Canada, e non nel 1958 a Beaufort.
c': ciao bellee. 


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


A Stratford, scuola ‘S.Georgie’.

Ogni anno mettevano in scena uno spettacolo natalizio, noiosissimo, basato su un testo scritto dal preside Hegbert, che era preside dai tempi in cui Mosè separò le acque del Mar Rosso.
D'accordo, forse esagero, ma era così vecchio che ormai aveva la pelle trasparente. Hegbert.. ma che razza di genitori possono chiamare un figlio con quel nome?
«Chi ha parcheggiato il motorino sulle strisce pedonali? So che sei tu, Justin Bieber», affermò ad un tratto Hegbert, «e lo sa anche il Signore.»
Che palle. Hegbert non ci capiva proprio e questo era strano, dato che anche lui era padre. Di una femmina. Ma ne riparleremo in seguito.
Tra poco sarebbe iniziato il primo giorno dell’ultimo anno di superiori.

-La vicenda di un uomo, molto devoto, che ha perso la fede dopo che la moglie è morta di parto. Questo tizio, Tom Thornton, si ritrova così ad allevare la figlia da solo, ma non è un gran padre.
 La bambina cresce e per Natale desidera solo ricevere un carillon con un angelo sul coperchio,
 Il padre allora fa di tutto per trovarlo, ma non ci riesce. Così arriva la vigilia di Natale e mentre lui è ancora in cerca del carillon, incontra per strada una strana donna che non ha mai visto prima, la quale gli promette di dargli una mano a trovare il regalo per la figlia.
 Prima, però, i due aiutano un senzatetto (barbone), poi vanno a trovare dei bambini in un orfanotrofio, quindi si recano da una vecchia sola che voleva un po' di compagnia per quel giorno di festa. La donna misteriosa chiede infine a Tom Thornton che cosa desidera per Natale e risponde che rivuole la moglie. Lei lo porta vicino alla fontana e gli dice di guardare nell'acqua, dove troverà quello che cerca. Quando lui lo fa, vi vede riflessa la faccia della sua figlioletta e scoppia a piangere.
Mentre è lì che singhiozza, la donna misteriosa scompare e Tom Thornton non riesce più a trovarla da nessuna parte. Alla fine s'incammina verso casa, ripensando alle esperienze di  quella sera. Entra in camera della figlia e mentre la guarda dormire, si rende conto che la piccola è tutto ciò che gli rimane dell'amata moglie e ricomincia a piangere, perché sa di non essere stato un buon padre per lei. Il mattino dopo, come per magia, il carillon è sotto l'albero e l'angelo sul coperchio assomiglia alla donna che Tom ha incontrato la sera prima.
Ahahah Bieber, questa recita sarà anche peggio di quella dell’anno scorso.– Disse Luke leggendo il depliant che ci era stato dato all’entrata.
- Come se me ne importasse qualcosa. – Borbottai.
- Qualche corso dovrai pur seguire brò. –
Luke, l’unico che riusciva ancora a tenere un po’ apposto la mia vita.

Già, avevo lui. Solo lui. mio  padre.. dunque mio padre, era un politico e tutti lo conoscevano, compreso Hegbert.
 I due non andavano d'accordo, neanche un po'.
Mio padre cercava di sdrammatizzare ogni volta che era possibile,era eccezionale in queste cose, riusciva sempre a scovare le battute migliori. E non era poi tanto cattivo, soprattutto se si tiene conto che non mi ha mai picchiato o maltrattato. Solo che non c'era mentre io crescevo. Non mi piace dirlo, perché oggi si fanno spesso affermazioni del genere per giustificare il proprio comportamento. «Mio padre... non mi voleva bene ecco perché sono diventata spogliarellista e mi esibisco in televisione. ..»
 Io non lo dico per giustificare quello che sono diventato, la mia è una semplice constatazione di fatto. Mio padre stava via nove mesi l'anno, viveva a quasi cinquecento chilometri di distanza in un appartamento.
Era un estraneo, una persona che conoscevo a malapena.
Mia madre non lo seguiva per stare con me. Lei era il genere di madre che tutti vorrebbero avere. Ma per me non era, né sarebbe mai potuta essere, un riferimento maschile. Mi rese una specie di ribelle, fin da subito.

Con i miei amici di tanto in tanto sgattaiolavo fuori casa di notte, non che fossi un teppista, intendiamoci.
Anche se le persone non la pensavano così.

Io. Un cattivo ragazzo. Figuriamoci.

Tornando alla conversazione con Luke:
-Luke, Luke, Luke. Non ti ho insegnato niente? L’unico corso che vale la pena seguire è quello di psicologia dove ti fanno dormire e quello di fotografia, dove basta fare 2 scatti. Poi con il football stiamo apposto. – affermai convinto.
- Davvero credi che basteranno questi corsi? Brò, devi scegliere se frequentare il corso di recitazione, o quello di chimica. -
Come iniziare l’anno di merda.
La vita non è mai giusta. Se c'è una cosa che dovrebbero insegnare a scuola, è questa.
Ora, io non avrei voluto frequentare il corso di recitazione quell'anno, no davvero, ma l'alternativa sarebbe stata seguire Chimica. E il confronto non poteva reggere: con la recitazione, niente libri di testo, niente compiti in classe, niente tavole da imparare a memoria... che cosa poteva esserci  di meglio per uno studente dell'ultimo anno?
 Mi sembrava una cosa semplice e quando io e Luke ci iscrivemmo, ero convinto che sarei riuscito a dormire per gran parte delle lezioni, ed era fondamentale, date le uscite notturne con i miei amici.
 
Appena scoprii che il primo corso di quella mattina era proprio quello di recitazione, misi seduto in fondo all'aula con Luke. Miss Garber  ci voltava le spalle ed era intenta a scrivere il suo nome sulla lavagna, come se non sapessimo chi fosse. La conoscevano tutti, sarebbe stato impossibile il contrario. Era una donna alta, almeno un metro e ottanta, era anche grassa - sui cento chili - e aveva la passione per i vestiti larghi a fiori. Miss Garber era davvero unica, su questo non c'erano dubbi, e per di più zitella.
Ma sto divagando. I pettegolezzi erano una cosa, -le malignità tutt'altra, e neanche alle superiori eravamo cattivi fino a quel punto.

Quando la lezione ebbe inizio, notai qualcosa di insolitosapevo che la scuola superiore di Stratford era frequentata in ugual modo da maschi e da femmine, per cui rimasi sorpreso quando mi resi conto che quel corso era per il 90% femminile. C'eravamo solo io e Luke, il che dal mio punto di vista era un bene.
Ragazze, ragazze, ragazze... non potei fare a meno di pensare, ragazze e nessun compito in classe!  Io e Luke ci scambiammo un’occhiata di sfida tipo: ‘chi conquista più compagne vince e paga da bere’.
A un certo punto Miss Garber tirò fuori il testo della recita di Natale e annunciò alla classe che Sharley Sullivan avrebbe fatto la parte dell'angelo.
Sharley Sullivan.  
«In piedi, Sharley», disse, «lascia che gli altri ti vedano.»
Si alzò e Miss Garber applaudì ancora più forte, come se si trovasse davanti una star del cinema.
Non era la prima volta che vedevo quella ragazza. Eravamo stati compagni di scuola da sempre, e forse una volta, in seconda, avevamo scambiato anche qualche parola. Ma questo non significava che la consideravo:
 le persone che incontravo a scuola erano una cosa, quelle che frequentavo, un'altra.. e Sharley non era, né era mai stata, tra le mie amicizie extrascolastiche.
Voglio essere chiaro, era carina, con un fisico passabile, ma  non era neanche il genere di ragazza che reputavo attraente.
Nonostante fosse snella con i capelli mori e gli occhi verdi, non dava molta importanza all'aspetto esteriore, perché era sempre alla ricerca di cose come la «bellezza interiore» e penso che fosse per questo che era quella che era da quando la conoscevo, ed erano parecchi anni, aveva sempre portato i capelli legati in una coda, senza un'ombra di trucco sul viso, sembrava ogni volta in procinto di presentarsi a un colloquio di lavoro per un posto di bibliotecaria. All'inizio noi ragazzi pensavamo che fosse solo una fase e che alla fine anche lei si sarebbe scocciata del suo stile anonimo, ma non era stato così.
Ma non era solo l'aspetto a rendere diversa Sharley, era anche il suo comportamento. Lei non passava il tempo a partecipare alle feste con le compagne e io sapevo per certo che non aveva mai avuto un ragazzo. Al vecchio Hegbert sarebbe venuto un colpo. Già, era la figlia del preside. Ma anche nel caso improbabile che lui le avesse dato il permesso, non sarebbe cambiato niente. Sharley si portava la Bibbia ovunque andasse, non era del tutto normale. Voglio dire.. leggere la Lettera di San Paolo agli Efesini non era divertente come pomiciare, non so se mi capite.
Ma Sharley non si fermava lì. A forza di consultare i testi sacri, oppure a causa dell'influsso del padre, riteneva importante aiutare il prossimo ed era esattamente quello che faceva. Sapevo che lavorava come volontaria all'orfanotrofio di Morehead City, dava una mano a tutti, dai Boy Scout alle Coccinelle, e a quattordici anni aveva trascorso parte dell'estate a imbiancare la casa di un vicino anziano.

Sharley era il genere di persona che strappa le erbacce in un giardino senza che nessuno glielo chieda: Metteva da parte i risparmi per comprare un pallone da basket nuovo per gli orfani, oppure li infilava nella cassetta delle offerte la domenica in chiesa. In altre parole, era il genere di ragazza che mi faceva sembrare un incivile egoista.
Ma non si limitava ad aiutare le persone bisognose. Secondo Sharley tutto accadeva per disegno divino. Era un'altra delle  sue fisse. Ficcava sempre il disegno divino dappertutto quando le parlavi di qualsiasi argomento. La partita di baseball era stata sospesa per la pioggia? Era stato un disegno divino, per impedire che accadesse qualcosa di peggio. Un compito in classe a sorpresa di trigonometria quando nessuno aveva studiato? Era stato un disegno divino per metterci alla prova.
Insomma, ci siamo capiti.
E poi, ovviamente, c'era il fatto di Hegbert, che non l'aiutava affatto. Essere la figlia del preside non doveva essere facile, ma Sharley la faceva apparire come la cosa più normale del mondo e una benedizione per lei. Era quello che affermava sempre: «Sono stata fortunata ad avere un padre come il mio». Tutte le volte che lo diceva, noi scrollavamo la testa e ci chiedevamo su che pianeta abitasse.
Nonostante tutte queste sue fissazioni, quello che più mi mandava in bestia era il fatto che fosse sempre allegra, qualunque cosa le accadesse. Vi giuro che non l'ho mai sentita parlare male di nessuno, non ce l'aveva neppure con quelli di noi che non erano affatto carini con lei. Io compreso.
 “Sharley è la persona più dolce di questo mondo, dovrebbero essere tutti come lei”  dicevano i genitori e gli abitanti di tutta Stratford.
I miei amici e io, però, non la vedevamo così. Per noi una Sharley Sullivan su questa terra bastava e avanzava.

Stavo facendo queste riflessioni quando Sharley si alzò, e devo ammettere che non mi incuriosiva troppo osservarla. Ma stranamente, nel momento in cui lei si girò verso di noi, mi venne un colpo, come se avessi preso la scossa.
Portava una gonnellina che le faceva un bel culo, nonostante non fosse molto corta o attillata, e una camicetta bianca che avevo visto un milione di volte, ma si notavano due nuove sporgenze sul suo petto che non esistevano fino a tre mesi prima. Naturalmente non si era truccata, però era abbronzata, probabilmente aveva preso il sole in vacanza, e per la prima volta era quasi... carina, ecco.
 Mi affrettai a scacciare l'idea, ma dopo essersi guardata intorno, Sharley posò gli occhi su di me e mi sorrise, chiaramente contenta di vedermi lì in classe con lei.
Fu solo più tardi che ne scoprii il motivo.
 
  1. Aggiorno a un po’ di recensioni c’: (almeno 3) 
    Se volete commentate anche il prologo. 

    Mettete mi piace a questa pagina su Justin? E' mia :3 https://www.facebook.com/pages/Drew-/236175896529051?fref=ts

     





Ps: il prossimo capitolo è troppo askdjsakndm. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Dopo le superiori mio padre voleva che andassi ad Harvard o a Princeton come i figli di altri uomini politici, ma con il mio rendimento scolastico ciò non era possibile.
Non è che non fossi abbastanza bravo, eh. Chiariamoci. Il punto è che non mi concentravo più di tanto nello studio e i miei voti non erano molto alti.
Nessuno si è mai chiesto il perché: volevo fare della mia vita qualcosa di speciale, magari un giocatore di football, o qualcosa del genere.
Era appena terminata la prima settimana di scuola ed eravamo seduti a tavola a cenare.
 Il “capofamiglia” (mio padre) questa volta sarebbe rimasto con noi per ben tre giorni, e io non ero ancora psicologicamente preparato a tutto ciò.
«Penso che dovresti candidarti a presidente dell'associazione degli studenti», mi disse. «A giugno ti diplomerai e questa sarebbe una nota di merito sul tuo curriculum. Anche tua madre è d'accordo.»
Mia madre annuì mentre masticava una forchettata di piselli.
«Non credo di avere delle possibilità», mi affrettai a obiettare. Pur essendo forse il ragazzo più ricco della scuola, e il più popolare, quell'onore era riservato al mio migliore amico. Lui sapeva lanciare una palla da baseball a più di centotrenta chilometri l'ora e aveva portato in finale la squadra di football. Era un fenomeno. Persino il suo nome era tosto.  Volevo davvero bene a Luke.
«Ma certo che puoi farcela», disse mio padre riportandomi a terra.
«Noi Bieber vinciamo sempre
Ecco un altro dei motivi per cui non mi piaceva passare il tempo con mio padre. Le poche volte che restava a casa, sembrava che volesse modellarmi in una versione in piccolo di se stesso.
 Essendo cresciuto in pratica senza di lui, mi dava fastidio trovarmelo tra i piedi. Quella era la prima conversazione che avevamo da settimane. Non gli piaceva parlarmi per telefono. E l’unica cosa che ci accomunava era il cognome.
«E se io non lo volessi?» Mio padre posò la forchetta su cui era ancora infilzato un boccone di cotoletta. Mi guardò severo, con un'occhiata intimidatoria.
«Secondo me», disse lentamente, «sarebbe una buona idea
Sapevo che, quando diceva così, la questione era chiusa. Le cose andavano in questo modo nella mia famiglia: la parola di mio padre era legge. Ma restava comunque il fatto chela faccenda non mi andava affatto. Non volevo sprecare i pomeriggi a incontrarmi con gli insegnanti dopo la scuola per inventarmi i temi per i balli scolastici o minchiate simili.
C’erano già i rappresentanti di classe a preoccuparsene.
Del resto, però, sapevo che mio padre aveva ragione. Se volevo (o meglio, se dovevo) entrare all'università, dovevo darmi da fare. L’unica cosa che sapevo fare era giocare a football, non appartenevo al  club degli scacchi, né a quello del bowling né a nessun altro. Non brillavo in classe...
cavolo, ero un perfetto nullafacente. Il che mi fece sentire compiaciuto di me stesso.
Ma qualcosa su quel cazzo di curriculum avrei dovuto scriverci. Iniziai a fare un elenco delle cose che avrei potuto fare, ma a essere inceri, non ce n'erano poi molte. Mi levai la felpa e le supra, mettendomi una tuta larga e mi ritrovai a rigirarmi nel letto, senza riuscire a dormire, arrivando alla triste conclusione di essere fottuto per il resto dell’anno scolastico: avrei fatto il rappresentante d’istituto. Grazie a papà.
Il mattino seguente andai nell'ufficio del preside e aggiunsi il mio nome all'elenco dei candidati. Ce n'erano altri due: John Foreman e Maggie Brown. Bene, John non ce l'avrebbe mai fatta, lo sapevo per certo. Era il genere di sfigato: bravo studente lui, stava seduto in prima fila e alzava la mano ogni volta che il professore faceva una domanda. Se veniva invitato a dare la risposta, era quasi sempre quella giusta e poi lui girava la testa da una parte all'altra con un'espressione compiaciuta, come a dimostrare la superiorità del proprio intelletto rispetto al resto di noi babbei della classe. Prima o poi con un calcio in mezzo ai coglioni gli avrei tolto tutta quella voglia di fare il saputello del cazzo. Io e Luke gli lanciavamo sputi tutte le volte che il professore era girato dall'altra parte.
E poi c’era Maggie.. lei era un'altra faccenda. Anche lei era brava a scuola. Aveva fatto parte del consiglio studentesco per i primi tre anni e l'anno precedente era stata vicepresidente. L'unico fattore a suo svantaggio era il fatto di non essere molto carina e di essere ingrassata di altri dieci chili durante l'estate. Sapevo che nessuno avrebbe votato per lei.
Dopo aver visto quali erano gli avversari, decisi di chiedere alla squadra di football e alle ragazze di votarmi. dopo tutto, Il mio futuro dipendeva da quella faccenda.
Ovviamente, non partecipai ai dibattiti, mandai Luke al posto mio fingendomi malato.
senza pudore.
La mia campagna elettorale si concluse lì: venni eletto presidente dell'associazione degli studenti e non mi resi conto del guaio in cui mi ero andato a cacciare.
C’era il ballo, una cosa nuova per me. Chi aveva mai considerato l’idea di partecipare a quest’altra minchiata? Ma a quanto pare ero obbligato. Sai, io ero il presidente.
Questa scuola non è mai stata una culla di bellezze femminili, ma io dovevo trovarne assolutamente una. Non volevo partecipare al ballo da solo... che figura ci avrei fatto?
- Finirai a versare punch per tutta la sera, oppure a pulire i bagni.
-E’ quello che capitava a chi si presentava non accompagnato.
Che bei amici che avevo. In preda al panico, tirai fuori l'album con le foto degli studenti dell'anno prima, sfogliandolo pagina per pagina alla ricerca di una ragazza che non fosse già impegnata.
Mia madre capì quello che stavo passando e alla fine venne in camera mia e si sedette sul letto accanto a me.
«Se non riesci a trovare un'accompagnatrice, sarò felice di venire con te», disse.
La situazione stava degenerando.
«Simpatica», Quando lei uscì, stavo peggio di prima. Nemmeno mia madre pensava che sarei riuscito a trovare una ragazza ancora libera. E se mi fossi presentato con lei? mi domandai a un certo punto in preda alla disperazione. Anche vivendo cent'anni, non avrei superato quel trauma.
Così, mentre sfogliavo le pagine, vidi la foto di Sharley Sullivan.
Mi ci soffermai un istante, poi girai pagina, maledicendomi per averci anche solo pensato. Passai l'ora successiva alla ricerca di una ragazza che fosse almeno decente, ma alla fine dovetti assegnarmi all'idea che non ne era rimasta nessuna. Dopo un po', tornai alla sua fotografia e la guardai di nuovo.
Non era brutta, era dolce.
Chiusi l'album. Sharley Sullivan? pensai. La figlia di Hegbert?

Impossibile. Assolutamente. Gli amici mi avrebbero arrostito vivo.
Ma se l'alternativa è andarci con la mamma, oppure pulire i bagni .. credetemi, non fu facile, ma alla fine la scelta risultò ovvia, persino a me. Dovevo chiedere a Sharley se voleva venire al ballo, e cominciai a camminare avanti e indietro per la camera alla ricerca del modo migliore per farlo.
Non credo che nessuno avesse mai tentato di invitare Sharley a uscire insieme. Avevo deciso di chiederglielo appena arrivato a scuola, prima che me ne mancasse il coraggio, ma lei non c'era. Immaginai che fosse impegnata con gli orfani, come faceva tutti i mesi.
Qualcuno di noi aveva cercato di usare la stessa giustificazione per saltare la scuola, ma lei era l'unica che riusciva a convincere gli insegnanti.

«Trovata una ragazza?» mi chiese Luke durante l'intervallo.
Sapeva che non era così, ma pur essendo mio amico, ogni tanto si divertiva a punzecchiarmi.
«Ma zitto, subdolo bastardo.» Risposi io.
« L’unico rappresentante della  storia che non ha ancora un’accompagnatrice. Dovresti darti una mossa, fratello. La tua reputazione potrebbe andare a puttane. »
Aveva ragione.
Decisi che una volto uscito da scuola avrei invitato Sharley.
Con il motorino mi recai dove abitava lei.
 Giunto alla porta, mi concessi un secondo per tirare il fiato, e bussai.
Venne ad aprirmi Sharley e per la prima volta in vita mia la vidi vestita come una persona normale.
Portava i jeans e una camicetta rossa e, pur tenendo i capelli raccolti in una coda, aveva un aspetto più casual del solito. Mi resi conto che sarebbe stata una ragazza proprio carina, se avrebbe mantenuto questo stile per sempre. Mi passai una mano sul collo e sorrisi.  
«Justin », esclamò, tenendo aperta la porta. «Che sorpresa..» Sharley , nonostante sorridesse, era rimasta chiaramente interdetta, forse a causa della mia presenza.
«Che ci fai qui? Ti sei perso?»
«Si,no, più o meno », mentii. Non so perché ma mi sentii impallidire.
«Sicuro di stare bene?»
«Certo. » 
«Forse dovresti farti vedere dal medico. Hai cambiato colore»
«Non è niente, ne sono sicuro.» Chi cazzo le aveva chiesto di preoccuparsi?
«Dirò una preghiera per te, comunque», si offrì con un sorriso. Sharley pregava sempre per qualcuno, il che era davvero un’inutilità assurda, secondo me.
«Meno male  che ci sono le tue preghiere », dissi ironico.
Girò lo sguardo e si dondolò sui piedi per un attimo. «Ecco, ti farei entrare, ma mio padre non c'è e non mi permette di ricevere ragazzi in casa in sua assenza.»
In una normale situazione gli avrei riso in faccia, ma avevo davvero bisogna di un’accompagnatrice.
«Oh», esclamai, «non importa. Possiamo parlare anche qui.»
Se avessi potuto fare a modo mio, avrei proprio evitato di parlarle.
«Vuoi bere qualcosa?» mi chiese.
« Vodka.» Sorrisi, non che mi aspettassi davvero che avesse della vodka in casa.
«Magari ti porto una limonata eh.. torno subito.» Rientrò in casa lasciando la porta aperta e io diedi una rapida occhiata in giro. La casa era piccola ma ordinata: l’esatto contrario della mia.
C'erano libri con titoli come Ascoltiamo Gesù e La risposta sta nella fede. C'era anche la sua Bibbia. Ma allora erano davvero fissati.
Un attimo dopo Sharley tornò con la limonata e andammo ad accomodarci nell'angolo della veranda. Lì c'erano due sedie che usavano lei e il padre di sera, lo sapevo perché li avevo visti qualche volta passando
da quelle parti. Ci eravamo appena seduti quando Charlotte, una sua amica, passando per lì  ci salutò con la mano. Sharley ricambiò, mentre io mi spostai per impedirle di vedermi in faccia. Anche se avrei invitato la ragazza al ballo, non volevo che nessuno - nemmeno un’amica sfigata quanto lei - mi vedesse lì.
 Una cosa era andare alla festa con la piccola suora Sharley, un'altra era stare fuori casa sua.
«Che cosa fai?» mi chiese. «Perché sposti la sedia al sole?»
«Mi piace il sole»,
risposi. Ma aveva ragione.
Quasi subito avvertii il calore dei raggi bruciarmi la pelle sotto la camicia, una sensazione fastidiosissima.
«Come vuoi», cedette lei sorridendo. «Allora, di che cosa volevi parlarmi?» Sharley alzò un braccio e cominciò ad aggiustarsi i capelli, che non si erano mossi di un millimetro. Io feci un profondo respiro, cercando di darmi un tono.
«Bene», male, molto male, non sapevo come invitarla, non mi ero preparato il discorso, niente di niente. «così sei stata dagli orfani, oggi?»  Maledetto me.
Lei mi guardò incuriosita. «No. Ho accompagnato mio padre dal dottore.»
«Sta bene?»
Lei sorrise. «In perfetta forma.»  E chi lo ammazza a quello.
Io annuii e guardai dall'altra parte della strada, non c’era nessuno nei paraggi.
«É proprio una bella giornata, vero?» chiesi.  
«Sì.»
«E anche calda.» Dissi sbottonandomi un po’ la camicia.
«Perché te ne stai lì al sole.»
«Ma guarda, oggi non c'è nemmeno una nuvola in cielo. . .» Dissi bevendo la limonata.
Questa volta Sharley non rispose e restammo seduti in silenzio per qualche istante.
«Justin», chiese lei infine, «non sei venuto per parlare del tempo, vero?»
«No, infatti.»
«Allora perché sei qui?»

Il momento della verità era arrivato e io mi schiarii la gola.
«Ecco... volevo sapere se andavi al ballo di inizio anno.»
«Oh», fece lei. Dal tono sembrava che non sapesse nemmeno dell'esistenza di una cosa del genere. Io aspettai la sua risposta agitandomi sulla sedia.
«In realtà pensavo di non andarci», disse dopo un po'.
«Ma se qualcuno ti invitasse, ci andresti?»  I nostri occhi si incrociarono rimanendo fissi gli uni sull’altri.
«Non ne sono sicura», dichiarò, assorta. «Penso di sì, se ne avessi l'occasione. Non sono mai stata a un ballo di inizio anno prima d'ora.»
Sorrisi. «Neanche io, sono ridicoli, solo che da rappresentante sono obbligato a partecipare.. no c’è, voglio dire: sono divertenti»
Mi sorrise e poi sussurò: «davvero?»
«Non troppo, ma abbastanza, penso. Ci sarà tanta limonata.»
Lei rise, aveva davvero una risata stupenda. «Dovrei parlarne con mio padre, ma se lui fosse d'accordo, penso che potrei farlo.»
il mio posto non era lì. Feci un sospiro per calmare i nervi, solo due giorni prima non mi sarei nemmeno immaginato di poterci pensare, e invece ero lì, pronto a pronunciare le parole magiche.
«Ecco, vorresti venire al ballo con me?»
La mia domanda la colse di sorpresa, me ne resi conto.
La mia mente si riempì di immagini, ricordai il modo in cui l'avevo trattata in quegli anni. Mi tornarono in mente tutte le volte che avevo preso in giro o lei o suo padre, oppure mi ero preso gioco di lei alle sue spalle.
Tornai a guardarla. Sorrideva leggermente.
«Mi piacerebbe», disse infine, «ma a una condizione.»
Io mi preparai, sperando che non fosse qualcosa di tremendo.
«Quale?»  Dissi leccandomi il labbro superiore.
«Devi promettermi che non ti innamorerai di me. »
Non riuscii a trattenere una risata.
«devo ammetterlo, Sharley , hai un senso dell'umorismo molto spiccato. »
Mi guardò seria, capii che non stava scherzando.
«No dai sei seria? Ok, va bene, prometto. » Sorrisi e le diedi la mia parola. Aggiorno a 5 recensioni

Ciao bellissime.
Per prima cosa: questa non è la classica storia dove lui si innamora di lei nonostante le differenze e vissero per sempre felici e contenti. No.
Volevo dirvi che sto cambiando il terzo capito, spero di riuscire ad aggiornare domani.
(i primi due sono già da un bel po’ che li avevo preparati). So che per il momento la storia non vi prende molto, ma fidatevi di me, i prossimi capitoli sono stupendi.
Ciaaaao.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Pur non avendo mai partecipato a un ballo scolastico, Sharley non era una cattiva ballerina - anch'io ero stato a un paio di quelle feste e l'avevo vista - ma a essere sinceri, era difficile giudicare come se la sarebbe cavata con uno come me.
Francamente non sapevo che cosa aspettarmi da lei.  Ammetto che ero preoccupato del suo abbigliamento, anche se non le avrei mai detto niente in proposito.
Alle poche feste dove ha partecipato, Sharley come al solito, indossava un vecchio maglione e una delle gonne a pieghe con cui la vedevamo a scuola, ma il ballo di inizio anno era considerato un avvenimento speciale. Quasi tutte le ragazze si compravano un vestito per l'occasione e i ragazzi si mettevano la giacca, quell'anno poi ci sarebbe stato anche il fotografo. Sapevo che lei non avrebbe potuto acquistare un vestito nuovo e io, non volevo che si presentasse con gli stessi abiti con cui veniva a scuola tutti i giorni.
 Non tanto per me - ok, soprattutto per me- ma anche per quello che avrebbero detto gli altri. Non volevo che si prendessero gioco di lei.
La buona notizia, se così si può dire, fu che Luke e gli altri non mi tormentarono per il fatto che avevo deciso di invitare Sharley, anzi.. tutti sapevamo che non spiccava nel firmamento della bellezza, però era carina a modo suo. Mi riferisco soprattutto alle gambe. Luke si offrì di fare cambio con me, ma io rifiutai perché non volevo correre il rischio che lui prendesse per il culo Sharley.

Il giorno del ballo fu parecchio impegnativo per me. Passai quasi tutto il pomeriggio a dare una mano per addobbare la palestra e dovetti andare a casa di Sharley una mezz'ora prima perché il preside voleva parlarmi, anche se non capivo perché. Lei me lo aveva detto solo il giorno precedente e non posso dire che l'idea mi esaltasse.
Il solo pensiero mi rendeva molto nervoso.
Dopo aver fatto la doccia, indossai una camicia bianca e una giacca nera, corsi dal fioraio a prendere il bouquet per  Sharley (e questa fu decisamente la parte più imbarazzante) e poi andai a casa sua. Mia madre mi aveva permesso di prendere la macchina invece del mio motorino (nonostante preferivo tremila volte il motorino) e parcheggiai proprio davanti a casa loro.
Bussai e aspettai un attimo, poi bussai di nuovo. Da dietro l'uscio udii la voce di Hegbert che diceva: «Arrivo», ma non è che corresse proprio ad aprirmi.
Nell'angolo della veranda c'erano le sedie dove ci eravamo accomodati io e Sharley il giorno dell’invito. Quella dov'ero stato seduto era ancora girata. Evidentemente non le avevano usate negli ultimi due giorni.
Alla fine la porta si aprì. La luce dell'ingresso lasciava in ombra il viso di Hegbert, formando una specie di aureola intorno ai capelli. Era vecchio, come ho detto, oltre la sessantina.
Quella era la prima volta che lo vedevo da vicino e notai tutte le rughe. Aveva la pelle davvero traslucida, soprattutto a distanza così ravvicinata.
«Buona sera, preside.», dissi, deglutendo per la trepidazione. «Sono venuto a prendere Sharley »
«Lo so», rispose lui. «Ma prima volevo parlarti.»
«Sono venuto in anticipo apposta.»
«Entra.» Oh, pensavo avessero una legge tipo: ‘non far entrare Bieber in casa’  
Mi fece sedere.
 «Bene. Allora, parlami di te.»
La trovai una domanda ridicola. Era anche il mio preside. Sapeva già quante volte mi aveva sospeso.
«Ecco», cominciai, non sapendo bene che cosa dire. «Sono figo e simpatico, non so se Sharley gliene ha già parlato.»
Mi fulminò.
«...Vorrei allacciare un’amicizia con Sharley»  Ma sapevo che dopo il ballo, non l’avrei sicuramente più cercata.
Lui annuì «Nient'altro?»
Dovevo ammettere che stavo finendo gli argomenti. Una parte di me voleva prendere la matita che era sul tavolo e tenerla in equilibrio sul dito, per mostrargli la mia bravura, ma non era certo il tipo di persona capace di apprezzare un'acrobazia del genere.
«Credo di no.»
«Ti spiace se ti faccio una domanda?»

«No.»  mi accarezzai con una mano il ciuffo biondo.
Mi fissò a lungo, come se stesse pensando intensamente chissà cosa.
«Perché hai invitato mia figlia al ballo?» disse infine.
«L’ho già detto.. per allacciare un’amicizia. »
« Anche il signore –
ecco che rimettono in mezzo il signore, proprio fissati– sa che mente, signorino Bieber»
«Non capisco.»
e invece avevo capito tutto.
«Non hai intenzione di... metterla in imbarazzo, vero?»  Lui non aveva capito niente.
«No, preside», mi affrettai a dire. «Avevo bisogno di qualcuno con cui andarci, così l'ho chiesto a lei. Tutto qui.»
«Non hai in mente qualche scherzetto dei tuoi?»
«Non farei mai niente del genere. . .» Entrambi sapevamo che, volendo, avrei potuto fare qualche scherzo del cazzo, sarebbe stato divertente.
La faccenda andò avanti così per un paio di minuti, ma finalmente, Sharley uscì dalla stanza sul retro e noi ci girammo a guardarla allo stesso momento. Si era messa una delle sue gonne blu con una camicetta bianca che non avevo mai visto. Grazie al cielo aveva lasciato il maglione nel cassetto. Non era male, anche se sapevo che avrebbe ancora sfigurato al confronto con le altre ragazze che partecipavano al ballo. Come sempre, aveva i capelli legati. Personalmente ero convinto che le avrebbero donato di più sciolti, ma era l'ultima cosa che avrei detto. Sharley era... ecco, era quella di sempre, ma se non altro non sembrava intenzionata a portarsi dietro la Bibbia. Non ce l'avrei fatta a sopportarlo.
«Non stai mettendo in difficoltà Justin, vero?» disse al padre con voce allegra.
«Stavamo facendo solo un po' conversazione», mi affrettai a rispondere, prima che potesse farlo lui. Per qualche ragione pensavo che Hegbert non le avesse ancora detto come mi giudicava e non ritenevo quello il momento adatto per simili rivelazioni.
«Allora sarà meglio andare», concluse lei dopo un attimo. Penso che avvertisse la tensione nell'aria. Si avvicinò al padre e lo baciò sulla guancia. Anche in mia presenza, non si vergognavano di manifestare quanto  si volessero bene. Il problema era quello che pensava di me. Lo salutammo e mentre ci dirigevamo alla macchina, diedi a Sharley il mazzetto di fuori, dicendole che le avrei fatto vedere come si fissava una volta saliti in auto. Le tenni aperta la portiera, girai dall'altra parte e salii. In quel breve lasso di tempo Sharley si era già appuntata i fiori.
«Non sono una ritardata, sai. Sono in grado di appuntarmi un bouquet sulla camicetta.»
Avviai la macchina e partimmo in direzione della scuola, mentre io ripensavo al dialogo appena avuto con il padre.
«A mio padre non piaci molto», disse lei, come se mi avesse letto nel pensiero.
Annuii senza parlare.
«Ti crede un irresponsabile.»  
Annuii di nuovo.
«E non gli piace troppo nemmeno tuo padre.»
Un altro cenno d'assenso da parte mia.
«E neanche la tua famiglia.»
«Ho capito.»
«Ma sai che cosa penso?» chiese d'un tratto.
«Non gli piace neanche il mio cane?» dissi scherzando.
 «Credo che tutto debba rispondere a un disegno divino. Secondo te, qual è il messaggio?»
Rieccoci.
Se volete sapere la verità, dubito che la serata sarebbe potuta andare peggio. Gran parte dei miei amici si teneva a distanza e Sharley,non aveva tante amiche, così passammo quasi tutto il tempo da soli.
E poi venne fuori che la mia presenza non era più nemmeno necessaria.
Avevano cambiato la regola e la cosa mi lasciò in uno stato miserabile non appena lo venni a sapere. Ma dopo quello che Hegbert mi aveva detto, non potevo riaccompagnarla a casa presto, giusto? E soprattutto lei si stava divertendo sul serio, me n'ero accorto persino io.
Le piacevano le luci, le piaceva la musica, le piaceva tutto della festa.
 Continuava a ripetermi quanto fosse meraviglioso se l'avrei aiutata ad addobbare la chiesa una volta. Fui depresso almeno per la prima ora, anche se lei non parve accorgersene minimamente.
Sharley doveva tornare a casa per le undici, un'ora prima del termine del ballo, e questo mi rendeva un po' più rosea la prospettiva. Una volta cominciata la musica, scendemmo in pista, dove venne fuori che era una brava ballerina - persino migliore di tante altre - e questo mi aiutò a passare un po' il tempo. Lei non perdeva occasione di citare la fede, la gioia e persino la salvezza, e parlava di aiutare gli orfani e raccogliere per strada le creaturine ferite, ma era così raggiante che alla fine la sua felicità diventò contagiosa.
A quel punto perciò le cose non stavano andando tanto male, di sicuro non peggio di quanto avessi immaginato. Fu quando comparve il ragazzo di Angela (la mia ex ragazza) che la situazione precipitò. Angela non mi staccava gli occhi di dosso e non ci voleva un genio per capire che aveva bevuto già prima di arrivare.
Lei ci dava dentro davvero con il massimo impegno,le sarebbe bastato un altro goccio per andare fuori di testa e quando la vidi trangugiare il suo secondo bicchiere di punch, intuii che dovevo tenerla d'occhio. non volevo che le succedesse niente di male. Era la prima ragazza che mi aveva fatto sentire le farfalle nello stomaco, era l’unica ragazza di cui ero stato davvero innamorato.
Così me ne stavo seduto lì con Sharley, ascoltando a malapena i suoi racconti entusiastici sulla scuola biblica e seguendo Angela con la coda dell'occhio, quando Lew, il ragazzo di Angela, si accorse che la osservavo. In una frazione di secondo l'afferrò per la vita e la trascinò verso il nostro tavolo, lanciandomi un'occhiata feroce della serie guai in vista.
«Stai guardando la mia ragazza?» mi chiese, già teso.
«Anche se fosse?»
«Sì», disse Angela con la voce impastata. «Mi guardava, eccome! Questo è il mio ex ragazzo, quello di cui ti ho parlato
Lew socchiuse gli occhi.«Allora sei tu!» ringhiò.
Ora dovete sapere che io ho sempre amato lo scontro fisico. E’ dalla terza elementare che facevo a pugni e solo raramente ne uscii perdente.

«Non la stavo guardando», ribadii infine, «e non so che cosa lei ti abbia detto, ma dubito che fosse la verità.»
I suoi occhi si fecero ancora più sottili. «Stai dicendo che Angela è una bugiarda?» sibilò.
«Sto dicendo che ho infilato il mio cazzo in lei prima di te, quindi non venire qui a rompere i coglioni. »
Ops.
Stavamo sul punto di colpirci, ma Sharley si affrettò a intervenire a modo suo.
«Non ci conosciamo?» chiese allegramente, guardandolo negli occhi. A volte lei sembrava non rendersi conto della`portata degli avvenimenti che si svolgevano proprio sotto il suo naso.
«Aspetta... ma certo! Lavori nell'officina in città. Tuo padre si chiama Joe e tua nonna vive fuori, in Foster Road, vicino al passaggio a livello.»
Sapeva anche il numero della carta di credito per caso?
Sul viso di Lew comparve un'espressione confusa.
«E tu come fai a saperlo? Lui ti ha parlato di me?»
Sempre pronti a mettermi in mezzo.
«No», disse Sharley «non essere sciocco.» Rise.
Come facesse a trovare divertente quella situazione proprio non lo capivo. «Ho visto una foto a casa di tua nonna. Passavo di lì e lei aveva bisogno di aiuto per portare dentro la spesa. La tua fotografia era sulla mensola del camino.»
Lew guardava Sharley come se avesse delle spighe di grano che le crescevano nelle orecchie.
Intanto lei si faceva aria con la mano. « Certo che fa un bel caldo. Volete sedervi con noi? Ci sono un paio di posti liberi. Mi piacerebbe sapere come sta tua nonna.»
Sembrava così contenta a quella prospettiva che Lew non sapeva più che fare. A differenza di noi, che ci eravamo abituati, lui non aveva mai incontrato un tipo come Sharley. Rimase fermo in piedi per qualche istante, indeciso se picchiare o meno il tizio che stava con la ragazza che aveva aiutato sua nonna. Se vi sembra complicato, pensate che effetto doveva avere sul suo cervello danneggiato dalla benzina.
Alla fine si allontanò senza rispondere, portandosi dietro Angela, la quale probabilmente non si ricordava più nemmeno come fosse iniziata la discussione.

Riprese il suo racconto sulla scuola biblica, come se niente fosse successo. Ma stavolta io l'ascoltai sul serio, almeno con un orecchio. Era il minimo che potessi fare.
Non fu l'ultima occasione in cui ci capitò di imbatterci in quella simpatica coppia durante la serata. I due bicchieri di punch avevano steso Angela, che vomitò nei bagni delle ragazze. Lew, da quell'uomo di classe che era, se ne andò quando la sentì vomitare, sgattaiolando via in silenzio com'era venuto e fu l'ultima volta che lo vidi.
Sharley, come volle il destino, trovò Angela in bagno e capì subito che non stava affatto bene. L'unica possibilità era ripulirla e portarla a casa prima che i professori la scoprissero. Ubriacarsi al ballo non era il massimo, rischiava la sospensione, forse addirittura l'espulsione, se la beccavano.  Soprattutto con un preside come il nostro.
Sharley, benedetta ragazza, non voleva che ciò accadesse, anche se io avrei pensato il contrario, dato che Angela era minorenne e stava violando la legge. Inoltre  Hegbert,condannava aspramente il vizio dell'alcol. Ma in sua figlia l'impulso altruista doveva aver avuto il sopravvento sui principi morali. Dando un'occhiata alla povera Angela, probabilmente l'aveva vista come una «creaturina ferita» e aveva subito assunto il controllo della situazione. Alla fine individuammo Luke dietro le gradinate e lui acconsentì a stare di guardia davanti al bagno mentre Sharley e io davamo una pulita. Angela aveva fatto un lavoro con i fiocchi, ve lo dico io. Aveva vomitato dappertutto, tranne che nel water. Sui muri, sul pavimento, sui lavandini... persino sul soffitto, anche se non so dirvi come ci fosse riuscita. E io ero lì, a pulire il vomito al ballo di inizio anno con il mio abito migliore, era proprio la cosa che più avrei voluto evitare. E Sharley, la mia strana accompagnatrice, anche lei impegnata a fare lo stesso.

Ormai erano le undici meno un quarto e da lì andammo direttamente a casa di Sharley. Ero preoccupato per lo stato in cui lei era e pregai in silenzio che Hegbert non fosse sveglio ad aspettarla. Temevo di dovergli spiegare tutto. Oh, probabilmente avrebbe ascoltato Sharley se fosse stata lei a raccontargli come erano andate le cose, ma per qualche motivo avevo il presentimento che avrebbe comunque trovato il modo di incolpare me.
L'accompagnai alla porta e restammo un istante fermi sulla veranda illuminata. Sharley incrociò le braccia e sorrise leggermente.
«Mi sono divertita, stasera. Grazie di avermi invitata al ballo».
Ecco com'era fatta Sharley Sullivan: imbrattata di vomito dalla testa ai piedi, aveva il coraggio di ringraziarmi per la serata.
Prima o poi avrebbe condotto qualcuno alla pazzia.

Sono stata bravissima, ho aggiornato subito. u.u
Recensioni? Dai dai. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 Capitolo quattro.
Nelle due settimane successive al ballo di inizio anno la mia vita rientrò quasi nella normalità. Mio padre era tornato a Washington, il che rendeva l'atmosfera di casa più allegra, soprattutto perché potevo ricominciare a uscire di nascosto dalla finestra per compiere le solite cazzate tra amici. Le nostre idee non erano proprio brillanti, lo ammetto, ma io mi divertivo.

Un sabato notte, mentre eravamo fuori con un paio di altri amici, Luke all'improvviso mi chiese com'era andato il mio «appuntamento» con Sharley Sullivan. Non ci eravamo visti molto dalla sera del ballo, anzi in effetti, quando la vedevo nei corridoi delle scuole la ignoravo.
«Bene», risposi, alzando le spalle e cercando di darmi un tono.
Luke mi diede una gomitata amichevole nelle costole e io sbuffai.
«L'hai baciata sulla porta di casa?»
«Dovevo farlo? Non sono così disperato.» Dissi sorridendo.
Bevve una sorsata di birra mentre rispondevo.
Si pulì la bocca con il dorso della mano e mi lanciò un'occhiata di traverso.
«Pensavo che dopo che ti aveva aiutato a pulire il bagno, tu le avessi dato almeno il bacio della buonanotte.»
«Invece no.»
«Non ci hai nemmeno provato?»
«No.»
«Perché?»  Chiese Luke.
«Luke che domande fai, lei è una sfigata, non ha vita sociale,  anzi non ha neanche un maglione di ricambio. » Disse Eric ridendo.
« Penso sia la ragazza peggiore della scuola»
«Non è quel genere di ragazza», dissi e sebbene tutti sapessimo che non volevo farlo, dato le volte che l’avevo sfottuta anche io, sembrò comunque che volessi difenderla.
Luke ci si buttò sopra come un avvoltoio.
«Secondo me ti piace», affermò.
«Non dire stronzate », risposi e lui mi diede una pacca sulla schiena così forte da togliermi il respiro.
Frequentare Luke voleva sempre dire avere due o tre lividi il giorno
dopo. «Sarà pure una scemenza», insistette, strizzando l'occhio, «ma tu ti sei preso una cotta per Sharley Sullivan.»
Il gruppo mi scrutò con schifezza nello sguardo.
«L'ho usata soltanto per far colpo su Margaret», dichiarai spavaldamente. «E da tutti i messaggi che lei mi ha mandato ultimamente, devo dedurre di esserci riuscito.»
Luke scoppiò a ridere e mi rifilò un'altra pacca sulla schiena.
«Tu e Margaret, questa sì che è buona... non te la sei mai filata brò. »
Capii di aver appena schivato un colpo micidiale e tirai un respiro di sollievo quando la conversazione prese un'altra piega. Di tanto in tanto partecipavo anch'io, ma non ascoltavo veramente quello che dicevano gli altri. Continuavo a sentire una vocina dentro di me che chiedeva che cosa avesse voluto dire Eric.
Il fatto era che Sharley era stata davvero l'accompagnatrice migliore che avessi potuto avere quella sera, visto com'erano andate le cose.
Ben poche ragazze - mi correggo, ben poche persone - si sarebbero comportate come lei. Ma allo stesso tempo il fatto che fosse stata una buona accompagnatrice non significava che mi piacesse. Dalla sera del ballo non le avevo più parlato, a parte quando ci vedevamo alle lezioni di recitazione e anche lì ci scambiavamo solo poche parole.
Se mi fosse piaciuta, ragionai, avrei voluto parlare con lei. Se mi fosse piaciuta, mi sarei offerto di accompagnarla a casa. Se mi fosse piaciuta l'avrei portata da Cecil a mangiare le patatine e a bere una Coca-Cola.  Se mi fosse piaciuta, me la sarei portata a letto. Ma non volevo fare nessuna di quelle cose. Sul serio. Ero convinto di aver già scontato la mia pena.

Il giorno dopo, domenica, mi sedetti in camera mia a compilare la richiesta di iscrizione all'Università della Carolina del Nord. Oltre a inserire i giudizi ottenuti alla scuola superiore e i miei dati personali, bisognava svolgere cinque brevi componimenti del solito tipo. «Se potessi incontrare un personaggio storico, chi vorresti che fosse e perché? Mmh, paperino. Perché mi ha accompagnato durante l’infanzia. Spiega qual è il fatto più importante che ha influenzato la tua vita e perché.  Il concerto di Beyoncé, perché? Perché è un mito dai, c’è anche bisogno di scriverlo? Che cosa cerchi in una figura di riferimento e perché? Aiutatemi..»
Così, stavo scrivendo una di queste brevi trattazioni quando cominciò a squillare il telefono.
Mi precipitai di sotto a rispondere, non riuscii a riconoscere la voce all'altro capo del filo, anche se assomigliava a quella di Angela. Sorrisi soddisfatto. Anche se lei aveva vomitato dappertutto e io avevo dovuto ripulire, tutto sommato era stato divertente. E il suo vestito era davvero notevole, almeno nella prima ora. Immaginai che mi avesse telefonato per ringraziarmi, oppure per chiedermi di uscire insieme.
«Justin?»
«Ciao», dissi in tono distaccato, «che c'è?»
Ci fu una breve pausa.
«Come stai ?»
Fu allora che mi resi conto che non era Angela, ma Sharley e rischiai di lasciar cadere la cornetta.
Non posso dire che mi facesse piacere sentirla e per un attimo mi domandai chi le avesse dato il mio numero.
«Justin?»
«Sto bene», balbettai alla fine, ancora scioccato.
«Hai da fare?» chiese lei.
«Abbastanza.»
«Oh. . . capisco. . .» disse, incerta. Poi fece un'altra pausa.
«Perché mi hai chiamato?» le domandai.
«Ecco... volevo solo sapere se ti andava di passare di qua più tardi, oggi pomeriggio.»
«Passare da te?»
«sì, a casa mia.»
«A casa tua?» Non cercai neppure di mascherare il mio crescente stupore.  Sharley fece finta di niente e proseguì.
«Vorrei parlarti di una cosa. Non te lo chiederei se non fosse importante.»
«Non puoi dirmelo per telefono?»
«Preferirei di no.»
«Veramente devo finire di compilare il modulo d'iscrizione», dissi, cercando di sganciarla.
«Oh... d'accordo... si tratta di una cosa importante, ma penso di potertene parlare anche lunedì a scuola...»
A questo punto mi resi conto che non mi avrebbe lasciato in pace e che in un modo o nell'altro avremmo finito per incontrarci. Il mio cervello si mise al lavoro: era meglio parlare a scuola, dove potevano vedermi gli amici, o andare a parlare a casa sua? Sebbene nessuna delle alternative fosse allettante..  
«No», dissi infine, «oggi va bene...»
Arrivai a casa di Sharley in perfetto orario e bussai. Lei aprì subito e, dando un'occhiata dentro, mi resi conto che Hegbert non¸c’era,così ci sedemmo di fuori.
Stavolta non dovetti spostare la sedia, che era rimasta nella posizione in cui l'avevo lasciata.
«Grazie di essere venuto,Justin », mi disse.
«So che hai da fare e ti sono grata del tempo che mi dedichi.»
«Si vabbè, che cosa c'è di tanto importante?» Volevo far fuori subito la questione.
Per la prima volta da quando la conoscevo Sharley sembrava davvero nervosa, mentre era seduta lì con me. Continuava a stringere e a lasciare andare le mani in grembo.
«Volevo chiederti un piacere», disse seria.
«Un piacere?»
Lei annuì.
All'inizio pensai che volesse chiedermi di aiutarla ad addobbare la chiesa, oppure di accompagnarla con la macchina a portare qualcosa agli orfani. Sharley non aveva la patente ed Hegbert era spesso in giro. Ma lei non mi rispose subito.
Sospirò, unendo di nuovo le mani.
«Volevo chiederti se eri disposto a fare la parte di Tom Thornton nella recita scolastica», disse infine.
Tom Thornton, come ho già detto, era il protagonista della storia, il quale incontrava l'angelo mentre stava cercando il carillon da regalare alla figlia per Natale. Era la parte più importante della recita, dopo quella dell'angelo.
«Ecco... non saprei» Lo sapevo eccome, non avrei fatto mai una parte in quella recita ridicola.
«Miss Garber ha detto che la parte di Tom non può esser fatta da una ragazza, e gli unici ragazzi del corso di recitazione siete tu e..»
«Luke? Ahahaha. Non può farla qualcun altro a parte noi?»
Non c'era nessun altro, e lo sapevo.
Ora, io non volevo partecipare, non solo perché avevo finito per concludere che il corso di recitazione era davvero noioso. Il fatto era che avevo già portato Sharley al ballo e dato che lei avrebbe fatto l'angelo, non sopportavo l'idea di dover passare tutti i pomeriggi in sua compagnia per un mese o giù di lì. Essere visto assieme a lei una volta era già grave... ma tutti i giorni? Che cosa avrebbero detto i miei amici?
D'altronde capivo che Luke non avrebbe mai accettato, era stato io che l’avevo convinto a fare quel cazzo di corso di recitazione. A lui non serviva un corso extra, aveva già i voti alti.
E poi era molto importante. Il semplice fatto che Sharley me lo avesse chiesto lo rendeva evidente. Lei non chiedeva mai favori a nessuno. Penso che in fondo in fondo dubitasse che qualcuno gliene avrebbe mai fatto uno, per via di come era. Il pensiero m'intristì.
«Hai pensato a Jeffy? Potrebbe farlo lei, assomiglia a una trans.», proposi.
Sharley scrollò la testa. «Non può. »
«Cazzo però..»
«Vorrei che la recita fosse davvero speciale quest'anno, non per me, ma per mio padre. Che fosse la migliore. So che cosa significherebbe per lui vedermi nel ruolo dell'angelo, perché questo spettacolo gli ricorda mia madre. . .» Fece una pausa per raccogliere le idee.
«Sarebbe terribile, se fosse un fallimento, visto che sono coinvolta anch'io.»  Non capivo cosa avevo fatto di male per farmi coinvolgere anche me.
Si fermò un istante, poi proseguì in tono emozionato.
«Il vero motivo per cui te lo chiedo non è perché non c’è nessuno per la parte.. ma è mio padre. É un gran brav'uomo,Justin. Se la gente si farà beffe del suo testo scritto in ricordo di mia madre mentre io recito la parte... ecco, mi si spezzerebbe il cuore. E conte ... sai anche tu che non direbbero niente.»
Annuii, con le labbra premute insieme.
Lei si raddrizzò a sedere e mi guardò con aria triste, come se già sapesse che avrei detto di no.
Scommetto che non si immaginava quello che provavo. Proseguì.
«So che le sfide fanno parte del disegno divino, ma non voglio credere che il Signore sia crudele, specialmente verso un uomo come mio padre. Ha già perduto la moglie e mi ha dovuto allevare da solo. E io lo amo così tanto per questo. . .»
Sharley girò la testa dall'altra parte e io scorsi le lacrime che le spuntavano negli occhi. Era la prima volta che la vedevo piangere.
Anche una parte di me avrebbe voluto piangere.  Sapevo cosa significava crescere con un solo genitore.
«Non ti chiedo di farlo per me», mormorò, «davvero, e se dirai di no, continuerò a pregare per te. Lo prometto. Ma se volessi fare una cosa gentile per un uomo meraviglioso che significa tanto per me... Ci penserai?»
Aveva l'espressione di un cocker spaniel che ha appena sporcato il tappeto. Io mi guardai le supra.
Mi faceva tanta tenerezza, e per di più, rimasi colpito dal modo in cui lei si dedicava a suo padre, io per i miei, non avevo fatto mai niente.
«Non c'è bisogno che ci pensi», risposi. «Lo farò.»

Non avevo scelta, giusto?

CONTINUO A 5 RECENSIONI
1)avete visto il video di All Around The World?  ASdmnmsdsd
2) Beliebers votiamo Justin qui, siamo seconde, e non va bene.
3)Allora, vi voglio far sorgere alcune domande: Justin si pentirà della scelta? Continuerà a trattare Sharley così bene? Cosa succederà fra i due? Tutto questo e altro nel prossimo capitolo :3

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Ragazze ho aggiornato subito perché dal prossimo capitolo la storia inizia a prendere molto di più. E non vedo l’ora di arrivare al prossimo capitolo eh :’) Fatemi sapere. Non mi importa delle recensioni, aggiorno domani. Ma se recensite.. Grazie. :D
Capitolo cinque.
Quando  chiesi a Miss Garber se mi avrebbe lasciato recitare la parte di Tom Thornton, la sua faccia
si rilassò e uno dei suoi occhi si riaprì. «Justin Bieber? S... s... sì, c... c... certo», In pratica impiegò dieci minuti per terminare la frase.
Le prove ebbero inizio la settimana successiva e si svolsero in classe, perché io non avrei avuto accesso al palcoscenico finché non avrei eliminato le «piccole imperfezioni» dalla nostra recitazione. Le piccole imperfezioni erano la mia tendenza a far cadere accidentalmente le quinte.
Miss Garber, per prima cosa ci fece imparare a memoria le parti. Non avevamo molto tempo.
Ci restavano solo tre settimane per allestire lo spettacolo.
Le prove cominciarono alle tre del pomeriggio e Sharley conosceva tutte le sue battute fin dal primo giorno, il che non sorprese nessuno. La cosa sorprendente era che sapeva a memoria anche le mie battute e quelle di tutti altri personaggi. Quando ripetevamo una scena, lei procedeva senza copione, mentre io sfogliavo freneticamente un plico di pagine cercando di indovinare quale fosse la mia battuta successiva e ogni volta che alzavo lo sguardo, lei aveva un'espressione radiosa.
C'era un sacco di lavoro da fare, al contrario di come mi ero immaginato quando mi ero iscritto al corso.  MALEDETTO QUEL GIORNO.
I miei nobili sentimenti riguardo alla recita si erano già consumati il secondo giorno di prove. Sapevo che stavo facendo la cosa giusta.
«Che cosa fai?!» mi chiese Luke quando venne a saperlo. «Partecipi allo spettacolo assieme a Sharley Sullivan? Ma sei impazzito o soltanto scemo?» Io borbottai qualcosa a proposito delle mie buone ragioni, ma lui non voleva mollare l'osso e dichiarò ad alta voce che avevo una cotta per la figlia di Hegbert. Negai con decisione, naturalmente, e questo fece nascere in tutti la convinzione che fosse vero, così si moltiplicarono le risate e le battute su di me.
A mano a mano che veniva riportata, la storia si ingigantiva a dismisura e all'ora di pranzo sentii dire da Sally che io avevo intenzione di fidanzarmi.
Credo che lei fosse gelosa: aveva un debole per me da anni e forse avrei potuto ricambiarla se non se la fosse tirata così tanto.
Immagino che fu allora che cominciai ad avercela di nuovo con Sharley.
Sapevo che non era colpa sua, ma ero io quello che veniva trafitto di frecce.
Nei giorni successivi cominciai a impappinarmi sulle battute, senza nemmeno più sforzarmi di impararle e di tanto in tanto mi esibivo in qualche commento spiritoso, che faceva ridere tutti tranne Sharley e Miss Garber. Al termine delle prove tornavo a casa cercando di togliermi subito dalla testa lo spettacolo e non mi portavo dietro neanche il copione.
Invece scherzavo con gli amici sulle cose strambe che faceva Sharley e raccontavo storie su come Miss Garber mi avesse costretto a partecipare.
Sharley, però, non me la fece passare liscia. No, mi colpì proprio dove faceva più male: un sabato sera, a una settimana dall'inizio delle prove, ero uscito con Luke e i soliti amici. Eravamo fermi sul lungomare fuori da Cecil a mangiare patatine e guardare la gente che passava in macchina, quando vidi Sharley che si avvicinava a piedi lungo la strada.
 Era ancora a un centinaio di metri di distanza e girava la testa da una parte all'altra; aveva addosso il vecchio maglione marrone e teneva la Bibbia in mano. Dovevano essere all'incirca le nove, un orario insolito per lei, ma ancora più insolita era la sua presenza in quella parte della città. Le voltai le spalle e rialzai il colletto della giacca, ma persino Margaret - che aveva frappé alla banana al posto del cervello fu abbastanza sveglia da capire chi lei stesse cercando.
«Justin, c'è la tua ragazza.» Disse scherzando Eric.
«Non è la mia ragazza», replicai. «Piantala.» 
Gettai un'occhiata alle mie spalle per vedere se Sharley mi aveva individuato. Supposi di sì: si stava incamminando con decisione verso di noi. Finsi di non averla notata.
«Eccola che arriva», ridacchiò Eric
«Lo so», dissi a denti stretti.
Tornai a guardare alle mie spalle e stavolta capì che l'avevo vista, perché mi sorrise e mi salutò con la mano. Mi voltai e un attimo dopo ce l'avevo accanto.
«Ciao, Justin», mi disse. «Ciao. . .» disse al resto del gruppo. Tutti borbottarono un saluto e si sforzarono di non guardare la Bibbia.
«Vuoi una birra?» le chiese Margaret. Credo che volesse essere spiritosa, risero tutti, tranne io.
Sharley si riassettò delicatamente i capelli. «Oh no... no, ma grazie lo stesso.»
Poi mi guardò in faccia con un'espressione raggiante e io capii subito di essere nei guai. Pensai che volesse prendermi da parte o roba simile, il che, a essere sinceri, forse sarebbe stato meglio, ma evidentemente non era nei suoi piani.
«Sei stato proprio bravo questa settimana alle prove», mi disse. «So che hai un sacco di battute da imparare, ma sono sicura che ci riuscirai in fretta. E volevo anche ringraziarti di esserti offerto volontario
Cazzo.
«Grazie», risposi mentre mi si formava un nodo allo stomaco. Cercai di sembrare superiore, ma gli amici mi guardavano perplessi, domandandosi perché io avessi raccontato loro tutte quelle storie su Miss Garber che mi aveva costretto eccetera eccetera.
 «I tuoi amici dovrebbero essere orgogliosi di te», aggiunse Sharley, completando l’opera.
«Lo siamo», disse Luke, guardandomi con “disgusto”. «Molto orgogliosi. É un bravo ragazzo, il nostro Bieber, che si è offerto volontario e tutto il resto.»

Cazzo, uccidetemi, ora.
Sharley gli sorrise, poi tornò a rivolgersi a me, con l'allegria di sempre.
 «Volevo anche dirti che se hai bisogno di aiuto, puoi passare da me quando vuoi. Possiamo sederci in veranda come abbiamo già fatto e ripassare insieme le battute.»
Vidi Eric pronunciare a fior di labbra le parole «come abbiamo già fatto» rivolto a Margaret.
 La situazione stava peggiorando. Ormai il nodo allo stomaco era grosso come una palla da bowling.
«Non importa, grazie», borbottai, chiedendomi come uscirne. «Posso impararle a casa.»
«Be', a volte aiuta studiare insieme a qualcuno, Bieber », intervenne Eric.
Ve l'ho detto che mi tormentava, anche se era mio amico.
«Niente affatto», replicai. «Le imparerò da solo.»
« Dai Bieber,  » proseguì Eric sorridendo, « Ci tieni molto a fare bene le cose, no? Anzi Margaret, non prendiamo impegni il giorno della recita, e chiamiamo tutti i nostri amici.»  Rise con gusto.
Che bastardo.
E come si poteva immaginare,Sharley sembrava davvero felice di quella prospettiva.
Scacco matto.
Il giorno dopo, impiegai quattordici ore a imparare a memoria le battute, chiedendomi come avesse fatto la vita a sfuggirmi di mano improvvisamente. Il mio ultimo anno di scuola superiore non stava certo prendendo la piega che avevo immaginato, ma se dovevo recitare davanti tutta la scuola, non intendevo assolutamente fare la figura dell'idiota.

Io ero Justin Bieber.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
Le prove nei giorni successivi andavano di male in peggio.
Miss Garber quando si rese conto che sapevo a memoria tutte le battute, esclamò:  «Splendido!» e lo ripeté in continuazione nelle due ore successive, ogni volta che terminavo una scena.
Alla fine delle prove l'avevo sentito circa quattro miliardi di volte.
Sharley era davvero su di giri all’idea di recitare con me.

Durante una pausa delle prove mi prese da parte:
 «Justin.. mi servirebbe un passaggio. »
« Oh, non ci penso per niente. Non so perché ti è presa la mania di chiedermi favori ma io, non sono  il genio della lampada che esaudisce ogni tuo desiderio. Non sono neanche tuo amico se è per ques.. »
Non mi lasciò finire.
« Sai che non te lo chiederei se non fosse davvero importante. C’è lo sciopero degli autobus. Mio padre deve rimanere a scuola, la mia bicicletta è scomparsa e.. »
Stavolta fui io a non farla finire.
« Vieni a scuola con la bicicletta? Ahahah, dimmi che scherzi. Nessuno te la ruberebbe fidati, qualche coglione te l’avrà nascosta. E, comunque, non sono affari miei. Torna a piedi, non piove neanche. »
Scansandola, me ne andai dalla classe e mi recai al parcheggio, e la prima cosa che notai una volta uscita fu che stava iniziando a piovere.
La seconda cosa che vidi? Sharley con un pezzo di giornale in testa per ripararsi dalla pioggia.
 Mi accostai con la macchina vicino al marciapiede.
« Serve un ombrello? Oppure è scappato con la bicicletta? »
« Non ho voglia di scherzare, Bieber. »
Disse lei sbuffando e accelerando il passo.
« Come mi hai chiamato,
Sullivan?» Dissi con il suo stesso tono.
« Adesso conosci anche il mio cognome, mi sorprendi davvero. » Disse facendomi un segno con la mano come per salutarmi.
« Sali. »
Si girò di scatto.« Ce l’hai con me? » Sharley, ci siamo solo io e te.
« Vuoi salire oppure aspettiamo l’ascesa del signore? » 
 
Corse verso la macchina, e entrò « Non scherzare su queste cose, Justin.» Si fece il segno della croce.  
« Sono diretta verso l’orfanotrofio. »
Fino laggiù? Io pensavo dovesse tornare a casa.
Prima di recarci all'orfanotrofio dovevamo passare da casa mia a prendere i soldi per il pieno.
La sentii starnutire.
« Ei, La prossima volta apri il finestrino e non mi infettare la macchina di germi. » Disse scherzando, ma starnutì di nuovo, imbarazzata.
«Se non ti metti qualcosa di asciutto, ti verrà un raffreddore. » Mi guardò facendo un’espressione come per dire “lo so”.
« Entra a casa mia, sbrigati.»
La sentii uscire di corsa dalla macchina e raggiungere il portone, e quando aprii la porta d’ingresso mi resi conto di quanto dovesse apparirle diverso il mio mondo dal suo. Con espressione scioccata si guardò intorno nel soggiorno.
Senza dubbio doveva essere la casa più lussuosa che avesse mai visto. Per me quella era solo una casa.
La parte che preferivo era la finestra della mia camera che dava sulla terrazza coperta del primo piano. Era la mia via di fuga.
Le feci fare una rapida visita guidata, mostrandole anche il salotto, la biblioteca (la stanza a cui ero entrato si e no 2 volte massimo) e le altre stanze.
Sharley sgranava gli occhi un po' di più a ogni nuovo ambiente. Mia madre era fuori in veranda a leggere e a bere brandy con zucchero e menta, e ci sentì girare per la casa. Entrò a salutarci.
Credo di avervi detto che tutti gli adulti di Stratford adoravano Sharley e questo valeva anche per mia madre.
Mentre io ero di sopra a cercare qualcosa di adatto da prestare a Sharley, loro due si misero a parlare.
«É stata un'idea fantastica», diceva mia madre « Coinvolgere mio figlio nella recita. Non avrei mai creduto che l’avrebbe mai fatto. » Già, neanche io, avrei mai creduto di farlo.
«É stata una tua idea?» chiese, allibita. Come tutti in città, sapeva che Sharley non mentiva mai.
Io mi schiarii la gola. «In un certo senso», dissi.
«Incredibile.» Fu l'unica parola che riuscì a pronunciare. Non conosceva i dettagli, ma intuiva che dovevo essere stato preso in contropiede per accettare un'iniziativa del genere.
 Guardai l'ora, mi finsi sorpreso e dissi a Sharley in tono casuale che avremmo fatto meglio ad andare.
Io feci un sospiro di sollievo, immaginando di averla scampata, ma mentre accompagnavo Sharley alla macchina dandole una mia felpa pulita udii di nuovo la sua voce.
«Torna pure quando vuoi, Sharley», gridò mamma. «Sei sempre la benvenuta.»
Scuotendo la testa, salii in macchina.
«É una donna meravigliosa», disse Sharley.
Io misi in moto. «Sì, è probabile», risposi.
«E casa tua è bellissima.»
« E non hai visto la mia camera. » Dissi sorridendo.
«Dovresti ritenerti fortunato.»
«Oh, infatti. Sono il ragazzo più fortunato della città.»
Per qualche motivo lei non colse la nota sarcastica che c'era nella mia voce.
Sharley teneva la Bibbia sulle ginocchia. Immagino che le servisse da sostegno, ma forse invece era soltanto un'abitudine.
«Sei stato proprio bravo oggi», mi disse, «alle prove, intendo.»
«Grazie», risposi, sentendomi allo stesso tempo orgoglioso e abbattuto.
 Sorrise e dopo un attimo cambiò argomento, cogliendomi di sorpresa.
«Hai mai pensato al futuro,Justin?» mi chiese.
Rimasi sorpreso da quella domanda, perché sembrava così... naturale.
«Ecco, sì, credo», risposi.
«Allora, che cosa vorresti fare nella vita?»
Alzai le spalle, non sapendo dove volesse andare a parare. «Non ci ho ancora pensato. L'anno prossimo andrò all'università, almeno spero. Bisogna vedere se mi accettano.»
«Ti prenderanno.»
Risi. «Come lo sai?»
«Perché ho pregato anche per questo.»
Quando lo disse,sbuffai e mi venne voglia di iniziare una discussione su quanto trovavo ridicola la fede eccetera eccetera, ma Sharley mi lanciò un'altra palla a effetto.
«E dopo l'università? Che cosa farai?»
«Non so»
, ripetei con un'altra alzata di spalle.
«Penso che dovresti diventare consulente », disse seria. «Credo che tu sia bravo con la gente e tutti ascolterebbero quello che hai da dire. »
«Non lo farò, mai. »
 
Sorrise. Sorrideva sempre. L’ammiravo per questo.
«E tu? Che cosa vuoi fare da grande?» Sharley girò la testa e i suoi occhi assunsero un'espressione distante, che scomparve subito dopo.
«Voglio sposarmi», disse a bassa voce. «E quando lo farò, desidero che mio padre mi accompagni all'altare e che ci siano tutti quelli che conosco.»
«Tutto qui?» Mi sembrava un po' sciocco porselo come obiettivo principale nella vita.
«Sì», disse. «É tutto quello che voglio.»
Da come lo disse sospettai che temesse di finire zitella, come Miss Garber.
E, tutta la scuola lo pensava.
«Io non mi sposerò. Non riuscirò a giurare amore a qualcuno, non ne sarei capace. »
Sharley rimase a lungo a pensare alla mia risposta.
« Oh. », disse infine.
« Il tuo sogno è davvero facile in confronto a quelli dell’altra  gente. Vedrai, tuo padre sarà felice di accompagnarti all’altare. »
«Sì, penso di si. »
Capii che non voleva più parlarne, non chiedetemi perché, e anche se non intendeva farmi sentire in colpa, era così che mi sentivo. Era una delle ragioni per cui era tanto difficile stare in sua compagnia, ma ormai ci stavo facendo l'abitudine. Rigirava le cose in modo imprevedibile e non reagiva mai come ti aspettavi.
« Siamo arrivati. »
« Quando posso riportarti la felpa? »
« Puoi tenerla, non mi serve. »
« Justin sei gentile ma, non credo si avvicini al mio stile..»
« Ti sta comunque meglio di quel maglione di merda che indossi sempre. »
Mi ero accorto troppo tardi di cosa avevo appena detto.
Vidi i suoi occhi appannarsi, ma il buio non mi fece vedere nient’altro sul suo volto.
A differenza di  Sharley, io meritavo di sentirmi uno schifo, perché sapevo che genere di persona ero.
Che ci crediate o no, fu la prima volta in cui realizzai che in un certo senso anche lei era uguale a tutti noi, e vederla stare male a causa mia era persino peggio che stare male a causa sua.


Continuo a un po’ di recensioni. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo sette.
Ormai era dicembre, Sharley il giorno dopo non sembrò neanche ricordarsi ciò che era successo la sera prima, anzi, una settimana dopo circa mi richiese se potevo accompagnarla, stavolta a casa sua.
Lei non mi piaceva, non fatevi un'idea sbagliata, ma quando sei costretto a passare molte ore ogni
pomeriggio in compagnia di una persona, con la prospettiva di continuare così almeno per un'altra settimana, non puoi permetterti di fare niente di sgradevole che renda problematico rivedersi il giorno dopo.
Lo spettacolo era in programma per il venerdì e il sabato successivi e tutti ne parlavano già. Miss Garber era rimasta molto ben impressionata da Sharley e da me e continuava a ripetere che sarebbe stata la recita migliore che la scuola avesse mai allestito. I miei amici continuavano a prendermi per il culo e non avevo più avuto un pomeriggio libero da un'eternità.
La stavo accompagnando a casa, quella sera, pensando a queste cose, quando Sharley mi fece una domanda inaspettata.
«É vero che tu e i tuoi amici entrate nei locali privati di notte di nascosto?»
Una parte di me rimase sorpresa.
«Sì», risposi con un'alzata di spalle. «A volte.»  (sempre).
«Che cosa ci fate lì?»
«Mah... parliamo. Scherziamo. É un posto dove ci piace andare.»
«Non avete mai paura?»
«No», risposi. «Perché, a te farebbe paura?»
«Non so, forse.»
«E perché?» chiesi sorridendo.
«Perché avrei timore di fare una cosa sbagliata.»
«Noi non facciamo niente di male. Voglio dire, non ci mettiamo a dare fuoco a tutto», mi difesi.
 Non volevo parlarle di queste cose con lei, perché sapevo che non era un genere di argomento adatto a lei.
«Vi capita mai di stare seduti in silenzio ad ascoltare i suoni?» mi chiese.  «Oppure quando uscite di notte, vi sdraiate a contemplare le stelle?»
Pur essendo lei stessa un'adolescente, Sharley viveva su un altro pianeta e per lei cercare di capire gli adolescenti maschi era complicato come elaborare la teoria della relatività.
«No», risposi.
Lei annuì.
«Penso che sarebbe quello che farei io, se uscissi di notte. Mi guarderei intorno per osservare il posto, oppure mi metterei seduta in silenzio ad ascoltare.»
La nostra conversazione mi sembrava alquanto strana, ma dato che si era informata su di me, mi sentii obbligato a ricambiare. Per una volta non aveva tirato in ballo il disegno divino, quindi era il minimo che potessi fare.
«E tu che cosa fai nel tempo libero?» le chiesi. «A parte aiutare gli orfani, soccorrere gli animali feriti e leggere la Bibbia.» Suonava ridicolo anche alle mie orecchie, lo ammetto, ma era quello che effettivamente faceva. Lei mi sorrise.
«Faccio un sacco di cose. Studio, vado in biblioteca,dipingo. »
«Non ti capita mai di uscire con le amiche e di andartene in giro con loro a cazzeggiare?»
«No», rispose e dal tono compresi che sapeva bene che nessuna ragazza desiderava la sua compagnia.
«Scommetto che sarai entusiasta all'idea di andare all'università l'anno prossimo», dissi per cambiare argomento.
Lei tardò qualche istante a rispondere.
«Non credo che ci andrò», disse infine in tono pacato. La sua risposta mi colse di sorpresa. Sharley aveva una delle migliori pagelle della scuola e probabilmente sarebbe stata scelta per tenere il discorso di fine anno. Avevamo già iniziato a scommettere su quante volte avrebbe nominato il disegno divino in quell'occasione. Io puntavo su quattordici, dato che avrebbe avuto solo cinque minuti a disposizione per parlare.
«Non andrai all’università? Pensavo che volessi andare lì. Un posto del genere ti piacerebbe», dissi.
Lei mi guardò con occhi ridenti. «Vuoi dire che solo quello sarebbe il posto giusto per me?»
Quelle palle a effetto che lanciava ogni tanto riuscivano a colpirti dritto in mezzo agli occhi.
«Non volevo dire questo. . .» mi precipitai a precisare. «É solo che avevo sentito dire che eri contenta di poterci andare l'anno prossimo.»
Lei alzò le spalle evitando di rispondere e vi giuro che io rimasi lì senza parole. Avevamo ormai raggiunto casa sua e accostai con la macchina.
Da dove mi trovavo, scorsi l'ombra di Hegbert dietro la tenda del salotto. La luce era accesa e lui stava seduto sul divano vicino alla finestra.
Teneva la testa piegata, come se leggesse qualcosa. Immaginai che fosse la Bibbia.
«Grazie di avermi accompagnato, Justin», mi disse Sharley guardandomi per un attimo prima di scendere dalla macchina.
Mentre la osservavo allontanarsi, non potei fare a meno di pensare che, di tutte le volte in cui avevo parlato, quella era stata la conversazione più riuscita. A parte la stranezza di alcune sue risposte, per il resto sembrava normale.
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La sera dopo, mentre la riaccompagnavo di nuovo a casa, mi chiese di mio padre.
«É un uomo a posto, immagino», risposi. «Ma non c'è mai molto.»
«Ti manca? Vorresti crescere con lui al tuo fianco ?»
«A volte.»  mi costava molto ammetterlo.
«Anche a me manca mia madre», disse lei, «anche se purtroppo non l'ho mai conosciuta.»
Per la prima volta mi sorpresi a pensare che forse Sharley e io avevamo qualcosa in comune. Lasciai decantare l'idea.
«Dev'essere difficile per te», dissi sinceramente. «Anche se non vedo spesso mio padre, ogni tanto lui torna.»
Lei si voltò a guardarmi, poi girò di nuovo la testa in avanti. Si tirò i capelli con un gesto delicato. Cominciavo a notare che lo faceva quando era nervosa, o non sapeva che cosa dire.
«Sì, a volte. Non fraintendermi: amo mio padre con tutto il cuore, ma a volte mi chiedo come sarebbe stato se avessi avuto anche una mamma. Penso che con lei avrei potuto parlare di certi argomenti che non posso affrontare con mio padre.»
« Ragazzi? »
Dissi ridendo.
«No.» Si ritirò di nuovo i capelli.
 «Certo.Comunque, com’è vivere con tuo padre? Si comporta come a scuola?»
«No. A dire il vero ha molto senso dell'umorismo.»
«Hegbert?»
esclamai, scettico. Non riuscivo neanche a immaginarlo.
«Non essere tanto sorpreso. Ti piacerebbe, una volta che lo avresti conosciuto», disse.
«Ne dubito.»
«Non si può mai sapere qual è la volontà di Dio.»
La odiavo quando diceva frasi del genere. Sembrava che lei parlasse con il Signore tutti i giorni e non sapevi mai che cosa le avesse detto il “Grande Inquilino del piano di sopra”.
«Come potrei fare per conoscerlo?» chiesi scherzando
Lei non rispose, limitandosi a sorridere come se fosse al corrente di qualche segreto che mi teneva nascosto. Come ho detto, la odiavo quando faceva così.
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La sera successiva, parlammo della Bibbia.
«Perché la porti sempre con te?» chiesi.
«Era di mia madre»
«Oh. . .»
Lei mi guardò. «Non importa,Justin. Come potevi saperlo?»
«Mi dispiace di avertelo chiesto...»
«Non importa. Non l'hai fatto con cattive intenzioni.» Proseguì.
«Le piaceva leggerla di sera, prima di addormentarsi e l'aveva con sé in ospedale, quando nacqui. Dopo che lei morì, mio padre riportò a casa me e la Bibbia.»
«Mi dispiace», ripetei.
«Mi dà modo di essere... parte di lei. Lo capisci?» Non lo diceva per compiangersi, ma solo per rispondere alla mia domanda. E questo, chissà perché, peggiorava le cose.
Non sapevo davvero che cosa dire.
A un certo punto udimmo un colpo di clacson alla macchina di fianco alla nostra.  
Dentro c'erano Eric e Margaret.
«Toh, che sorpresa», disse Eric, chinandosi sul volante per farsi vedere in faccia.
 Non gli avevo raccontato che in quei giorni accompagnavo Sharley a casa.
«Ciao, Eric, ciao, Margaret. . .» disse Sharley allegramente.
«L'accompagni a casa, Bieber?» Vidi il diavoletto che si nascondeva dietro il sorriso angelico di Eric.
«Ciao, Eric», lo salutai, sbarrando la mascella.
«É proprio una bella serata.»Disse guardandoci dal finestrino.
«ma ora è meglio che andiamo.»
Eric ripartì, spericolato.
Sharley si girò verso di me.
«Hai degli amici simpatici.»
«Eccome.»
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Il mattino seguente tutti a scuola sapevano che io accompagnavo Sharley a casa e questo innescò una nuova serie di pettegolezzi su noi due, persino peggiori della volta precedente.
 La situazione era così imbarazzante che rimasi in biblioteca nell'intervallo del pranzo. Quella sera le prove si svolsero in teatro. Erano le ultime prima dello spettacolo e c'era molto da fare.
Sharley si avvicinò e mi chiese se poteva sedersi accanto a me. Non feci in tempo a dire di no che si accomodò di fronte a me.
«Cos’hai oggi, Justin? Ti vedo strano. »
«Sto cercando di risolvere tutti i miei problemi. Quelli che hanno creato gli altri e quelli che mi sono creato da solo. »
Dissi alzandomi e uscendo dal corridoio. Lei purtroppo mi seguì.
camminavo speditamente qualche passo davanti a lei, con le mani in tasca, senza nemmeno voltarmi a vedere se mi seguiva. Procedemmo così per i primi minuti, in silenzio.
«Forse posso aiutarti», si offrì.
«Ne dubito», ringhiai.
«Forse se mi spiegassi che cosa c'è che non va. . .»
Non la lasciai finire.
«Senti», dissi fermandomi e girandomi stringendola per un braccio. «Ho passato il pomeriggio a spostare quinte, non mangio da mezzogiorno e adesso.. tu sei qui che non mi lasci un secondo in pace! »
Era la prima volta che alzavo la voce con lei. A dire la verità mi fece sentire bene. Era da parecchio che la rabbia mi stava montando dentro.
Sharley rimase sorpresa « sei nervoso per lo spettacolo. . .»
La interruppi scrollando vigorosamente la testa.
Una volta partito, spesso mi risultava difficile fermarmi. Il suo ottimismo e la sua allegria andavano bene fino a un certo punto ma quella non era la serata adatta per provocarmi.
«Non lo capisci?» esclamai esasperato.«Non sono nervoso per lo spettacolo, è solo che non vorrei essere qui. Non ho voglia di accompagnarti a casa, sono stufo che i miei amici continuino a sfottermi e non desidero passare il tempo con te. Tu ti comporti come se noi due fossimo amici, ma non è vero. Noi non siamo niente. Voglio solo che tutto questo finisca presto per tornare alla mia vita normale.»
«Capisco», fu tutto quello che disse. Mi aspettavo che alzasse la voce, che si difendesse, che esponesse le sue ragioni, ma non reagì.
Abbassò gli occhi a terra e basta. Forse una parte di lei voleva piangere, ma non lo fece e io mi incamminai di nuovo. Mi avviai lasciandola lì da sola. Poco dopo la sentii muoversi dietro di me.
Rimase a qualche metro di distanza per poi raggiungermi.
« Non è colpa tua, credo. E’ colpa mia Justin, e di quanto ho investito nell’idea che a un certo punto, mi avresti aiutata..»
Se ne riandò come era arrivata. Era fatta così, e credo che fosse per quello che la odiavo.
O meglio, odiavo me stesso.

AGGIORNO A 6 RECENSIONI. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


ECCO IL CAPITOLO OTTO, E SCUSATEMI PER IL RITARDO :D
Beliebers, prima di leggere, votiamo Justin qui, è secondo.  http://www.bambini.eu/2013/04/23/one-direction-taylor-swift-e-justin-bieber-nominati-ai-billboard-music-awards-2013-vota

OK, BUONA LETTURA. Askjdsm.

La sera della recita l'aria era fredda.

Dovevamo presentarci un'ora prima dell'inizio dello spettacolo e io ero stato male tutto il giorno per come

avevo trattato Sharley. Lei era sempre stata carina con me e sapevo di essermi comportato da idiota.
A scuola l'avevo vista in corridoio tra una lezione e l'altra e avrei  voluto andare da lei a scusarmi di ciò che

le avevo detto, ma scompariva sempre tra la folla prima che avessi l'opportunità di farlo.
Era già in teatro quando arrivai e la vidi parlare con Miss Garber ed Hegbert, in un angolo vicino al sipario.

Tutti erano in movimento, per dare sfogo al nervosismo, mentre lei sembrava stranamente letargica. Non si

era ancora cambiata doveva indossare un abito bianco e ampio che le avrebbe dato un aspetto angelico - e

aveva ancora il maglione con cui l'avevo vista a scuola.

Nonostante la trepidazione al pensiero della sua possibile reazione, mi avvicinai.
«Ciao,Sharley. » dissi.
Lei si voltò verso di me.
«Ciao.», disse a bassa voce. Capii che anche lei aveva riflettuto sulla sera precedente, perché non mi sorrise

come faceva sempre quando mi vedeva. Le chiesi se potevo parlarle da solo e ci allontanammo.

Vidi Hegbert e Miss Garber seguirci con lo sguardo mentre ci spostavamo di qualche passo.
Mi guardai in giro, nervoso.
«Ti chiedo scusa per quello che ti ho detto », cominciai.
«So di aver ferito i tuoi sentimenti e ho sbagliato a parlarti così.»
Lei mi guardò, sembrava stesse domandandosi se credermi.
«Le cose che hai detto le pensavi davvero?» mi chiese infine.
«Ero di cattivo umore, tutto qui. A volte divento un coglione.» Sapevo di non aver risposto alla sua domanda.
«Capisco», disse con il tono della sera prima, quindi si girò verso i posti ancora vuoti in platea. Aveva

quell'espressione triste negli occhi.
«Senti», dissi, prendendola per mano, «ti prometto che mi farò perdonare.» Non chiedetemi perché mi

comportai così... mi sembrò semplicemente la cosa più giusta in quel momento.
Per la prima volta, quella sera, lei sorrise.
«Grazie», disse, girandosi di nuovo verso di me.
«Sharley?» Era Miss GarbeL «Penso che sia ora.» La donna le fece un cenno con la mano.
«Devo andare», mormorò lei.
«Lo so.»
«In bocca al lupo?»
Ignorai ciò che stava dicendo. « Te lo prometto.» Lasciai la sua mano
Subito dopo iniziarono i preparativi e ci separammo. Io mi diressi verso il camerino dei ragazzi.
Il mio costume, che era conservato in teatro, era già pronto su una sedia, modificato in base alle misure che

ci erano state prese qualche tempo prima durante le prove.

Mi stavo vestendo quando Luke entrò senza bussare.
«Allora», esordì con un ghigno malizioso, «che cosa hai intenzione di fare?»
Lo guardai incuriosito.
«Che vuoi dire?»
«A proposito dello spettacolo, stupido. Farai finta di dimenticarti le battute?»
Scrollai la testa. «No.»
«Allora rovescerai le quinte?»
«Non ci penso nemmeno», risposi stoico.
«Vuoi dire che intendi fare tutto per bene?»
Annuii.
Il mio migliore amico mi guardò a lungo, come se mi vedesse per la prima volta.
« Che cazzo ti prende amico? Dov’è il Justin Bieber che conosco dall’asilo?»  scosse la testa.« Io non ti riconosco più. »
Detto da Luke,quelle parole mi fecero male.
Sharley era ancora in camerino quando si alzò il sipario. Le prime scene non prevedevano la sua

partecipazione, essendo incentrate principalmente su Tom Thornton e il suo rapporto con la figlia.
Non pensavo che la vista del pubblico mi avrebbe turbato, dopo tutte le prove che avevamo fatto, invece il

panico da palcoscenico mi colpì in pieno come una palla in mezzo agli occhi, soprattutto quando scorsi

anche Eric e tutti i miei amici seduti nelle ultime file. Luke era scomparso. Era una situazione spaventosa,

 potete capirmi, stare lì in piedi davanti a tutte quelle persone che si aspettavano che io dicessi qualcosa.
Feci uno sforzo per concentrarmi sulla parte e affrontai le prime scene.
Tutto andò bene, adesso era il momento della scena con Sharley.  Avevo le spalle girate quando lei entrò,
ma sentii la gente trattenere il fiato non appena comparve in scena. Se prima il pubblico mi era sembrato

silenzioso, adesso era assolutamente immobile. Proprio in quel momento con la coda dell'occhio notai che

il mento di Hegbert tremava per la commozione. Mi preparai a voltarmi e quando lo feci, capii il motivo di

quello stupore generale.
Per la prima volta da quando la conoscevo, Sharley non aveva i capelli raccolti in una coda. Le scendevano

morbidi sulla schiena, più lunghi di quanto pensassi.
Non sembrava più la ragazza con la quale ero cresciuto.
Aveva anche un trucco leggero che le ammorbidiva i lineamenti.
Sorrideva, così semplice. Sembrava davvero un angelo.
Rimasi a bocca aperta a guardarla per quella che mi parve un'eternità, ammutolito dallo stupore, quando

infine mi ricordai della mia battuta. Feci un profondo respiro e la pronunciai lentamente.
«Sei bellissima», dissi, convinto che tutti gli spettatori, dalle nonne in prima fila ai miei amici in fondo,

avessero capito che parlavo sul serio.
Per la prima volta in vita mia, avevo interiorizzato la battuta.



Il capitolo è molto corto, ma mi farò perdonare in seguito. Giuro.
J recensiteeee.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***





Prima di iniziare,volevo ringraziare JusHUGMEe Usmile_Ismile, 1) grazie perché mi recensite sempre (cucciole *-*) 2) mi avete fatto venire delle idee fighe, tipo mettere una foto di Sharley. Ps: non sono brava con i fotomontaggi. (:

ok, poi che altro? Ah si, continuiamo a votare Justin qui: http://www.bambini.eu/2013/04/23/one-direction-taylor-swift-e-justin-bieber-nominati-ai-billboard-music-awards-2013-vota

OK HO FINITO, RECENSITE SE VOLETE :D



Capitolo nove.
Dire che lo spettacolo fu un successo clamoroso era troppo poco.
Persino Luke alla fine venne da me a congratularsi, il che, visto ciò che mi aveva detto nei camerini, mi
sorprese.
«Siete stati bravi tutt'e due», si limitò ad affermare.
Mentre lui parlava, Miss Garber continuava a gridare: «Splendido!» a chiunque le passasse davanti e lo ripeté tante di quelle volte che quando andai a letto quella sera la sua voce continuò a risuonarmi nelle orecchie. Dopo che era calato il sipario cercai Sharley e la scorsi in un angolo, assieme al padre. Il preside aveva le lacrime agli occhi - era la prima volta che lo vedevo piangere apertamente - e lei lo abbracciò a lungo. Il padre le accarezzava i capelli mormorandole qualcosa mentre lei teneva gli occhi chiusi, e anch'io sentii un groppo in gola.
Era tornata quella allegra di sempre, ma bella com'era, sembrava diversa. Io rimasi a osservarla: non potei fare a meno di essere contento per lei e anche un po' orgoglioso.
Quando alla fine mi scorse, si allontanò dagli altri e mi venne incontro.

Mi guardò sorridendo. «Grazie Justin, per tutto quello che hai fatto. Hai reso felice mio padre.»
«Bieber non si ferma davanti a niente », risposi vantandomi. Lei si avvicinò cautamente a me e mi abbracciò.
La cosa strana fu che, mentre lo faceva, mi resi conto che quella sera lei sarebbe tornata a casa con Hegbert, mentre mi sarebbe piaciuto accompagnarla.
Il lunedì successivo cominciò l'ultima settimana di scuola prima delle vacanze di Natale ed erano previsti
compiti in classe in tutte  le materie.
Dovevo studiare molto in quei pomeriggi e poi completare il modulo la sera prima di andare a letto. Ma nonostante tutti gli impegni, non potei fare a meno di pensare a Sharley.
La sua trasformazione durante lo spettacolo era stata a dir poco stupefacente ed ero convinto che indicasse
un cambiamento avvenuto in lei. Invece rimasi sbigottito nel vederla presentarsi a scuola vestita nel modo
di sempre: maglione marrone, capelli raccolti, gonna a pieghe e tutto il resto.

Mi bastò darle un'occhiata per sentire un'ondata di compassione.
Avrei voluto parlarle delle mie impressioni, ma decisi di rimandare:  non solo avevo un sacco da fare, ma
volevo anche pensare al modo migliore per comunicargliele. A essere sinceri, mi sentivo ancora un po' in colpa per quello che le avevo detto l'ultima sera in cui l'avevo accompagnata a casa.
Ero anche convinto che lei non volesse parlarmi. Mi vedeva in giro con gli amici durante l'intervallo del pranzo mentre se ne stava seduta in un angolo a leggere la Bibbia, ma non si avvicinava mai a noi. Un giorno, però, mentre stavo per uscire da scuola, udii la sua voce alle mie spalle: mi chiese se mi andava di accompagnarla a casa.
Pur non essendo ancora pronto a rivelarle i miei pensieri, accettai.
Appena ci fummo incamminati fianco a fianco, Sharley andò al sodo.
«Ti ricordi le cose che mi hai detto l'ultima volta?» mi chiese.
Annuii, rimpiangendo che avesse ritirato fuori l'argomento.
«Hai promesso di farti perdonare», aggiunse.
Per un attimo rimasi interdetto. Pensavo di aver già rimediato partecipando allo spettacolo.  Sharley proseguì.
«Ho riflettuto su quello che potresti fare», continuò senza lasciarmi fiatare, «ed ecco la mia proposta.»
Mi chiese se ero disposto  ad accompagnarla dove le serviva con la macchina, dato che si avvicinava Natale e doveva organizzare mille cose per gli orfani ecc.
«Devo farti da autista personale? »
«Non devi farlo per forza anche se devi farti perdonare», disse. «Pensavo solo che, dato che Natale è alle porte e io non ho la macchina, impiegherei un sacco di tempo a fare tutto. . .e poi, ripeto, devi farti perdonare.» Disse facendo uscire uno dei suoi sorrisi migliori.
« Se lo dici così sembra che invece lo devo fare per forza..  Però si.» Dissi leccandomi il labbro inferiore «lo farò. »
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Fu così che da quella sera in poi, nonostante i compiti in classe da preparare e il modulo per l'università da riempire, ogni mezz’ora facevo il conto alla rovescia delle poche ore che mancano per accompagnare Sharley da un posto all’altro.
Riusciva a starmi fare bene anche solo con un ‘ciao’.

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Domani sarebbe stato il 21 dicembre. Mancava poco a Natale.
«Justin», esclamò Sharley mettendosi la cintura,  
«Che c’è?» chiesi.
«Oggi penso di finire tutto quello che devo fare all’orfanotrofio. Quindi da domani non devi più accompagnarmi » Mi guardò raggiante.

« Ah.. capito. »
Sharley mi guardò e tirò fuori dalla sua borsa una busta, nella quale c’era la felpa che le avevo prestato quel  giorno. Ricordate, no?
« Solo ora mi sono ricordata di riportartela, però l’ho tenuta con cura, tranquillo. » Disse sorridendomi.

« Puoi tenerla. Anche se non la metterai mai.» Dissi sorridendo stringendo il volante.

« Cosa vuoi dire? » disse lei, con un suono deluso nella sua voce.

« Semplicemente che la felpa non è nel tuo sti.. Sharley.. cosa stai facendo? »

la vidi scattare sul sedile e levarsi il cappotto.
Non mi rispose, si levò anche il maglione rimanendo con una maglietta a mezze maniche di cotone.
«Sei impazzita? Fa freddo, vestiti! » Accostai per godermi tutto il suo corpicino, così fragile, perfetto.
Velocemente si mise la mia felpa.
« Allora.. Dicevamo? Non la metterei mai eh..  non è nel mio stile.»

sorridendo, pensai a quanto fosse carina con la mia felpa.
« Se ti dicessi che sei sexy ti offenderesti? »
« Come minimo. Infatti trattieniti, non dirlo » Rise.
« Ah, E adesso sono cavoli tuoi. » aggiunse.
« Perché? » La guardai curioso.
« Perché se indosso qualcosa e l’odore sa di te, potrei non levarmela più. » Disse infine, ridendo.
Aprii lo sportello e scesi. Lei mi guardò smettendo di ridere.
Andai dalla sua parte e aprì il suo sportello sorridendo,  e la presi per mano. «Vieni con me», dissi.
Lei non protestò e si lasciò trasportare da me, non mollai la sua mano per un secondo.
« Devi chiudere gli occhi,adesso. »
« E’ davvero necessario? »
« Si, lo è. »
Chiuse un occhio solo, pensava che ero deficiente a non accorgermene? Gli misi le mani sugli occhi coprendogli totalmente la vista. Sentii le sue mani stringere la mia felpa, e si appoggiò al mio petto per sostenersi.  E quella fu in assoluto la sensazione più bella del mondo. Era mia. Eravamo solo io e lei.
Levandogli le mani dagli occhi sentii le sue mani stringere la mia felpa ancora più forte. Era meravigliata dal panorama.

Non avevamo ancora avuto modo di parlare, anche se nessuno dei due ci aveva fatto caso. Stavamo guardando entrambi le luci della città illuminata, ogni angolo, ogni casa, ogni cosa. Mi chiedevo a che cosa stesse pensando Sharley. Non lo sapevo, però aveva un'aria sognante.
La guardai.  era incantevole.
«Ti ho comprato una cosa», dissi infine, «un regalo, voglio dire.»
Parlai a bassa voce, nella speranza di non tradire il nervosismo nella mia voce.
Lei si girò verso di me e sorrise teneramente.
« Pensavo che questa era già un regalo.» Disse toccandosi l’orlo della felpa. Parlò a voce bassa, in tono quasi musicale.
«Lo so, », replicai, «ma questo ti piacerà di più, penso.» Presi il pacchetto che avevo tenuto da parte e glielo porsi.
«Non devi aprirlo adesso, se non vuoi», dissi con un'alzata di spalle. «Non è un granché.»
«Voglio aprirlo immediatamente », rispose lei. Come non detto.
Fissò il regalo e cominciò a scartare il pacchetto, staccando lentamente il nastro adesivo tirando fuori la scatola dalla carta.
Sollevò il coperchio e tirò fuori il maglione: era marrone, come quello che portava di solito. Pensavo che le sarebbe piaciuto.
«Vedi, tutto qui. Ti avevo detto che non era un granché», dissi. Per qualche ragione incomprensibile, speravo di non averla delusa.
«É molto bello, Justin», disse lei seria. «Lo indosserò la prossima volta che ci incontreremo. Grazie.»
Restammo in silenzio per un attimo e tornai a guardare la città.
«Anch'io ti ho portato qualcosa», mormorò.
Si recò alla macchina, prese un pacchetto e tornò da me. «Aprilo», disse guardandomi.
«Non puoi darla a me», risposi senza fiato.
Sapevo già che cosa c'era dentro e non riuscivo a credere al suo gesto. Mi tremavano le mani.
«Ti prego, aprilo», continuò lei con la voce più dolce che avessi mai ascoltato. «Voglio che la tenga tu.»
Controvoglia, scartai lentamente il pacchetto.
Quando ebbi tolto la carta, tenni il libro tra le dita con delicatezza, temendo di danneggiarlo. Lo guardai, Sharley allungò un braccio e posò la mano sulla mia. La sua pelle era calda e morbida.
Io la guardai, senza sapere che dire.
Sharley mi aveva regalato la sua Bibbia, quella che teneva ogni giorno tra le sue braccia, l’unico ricordo che le restava della madre.
«Grazie per tutto quello che hai fatto», bisbigliò. «É stato il Natale più bello della mia vita.»
Così, guardandola, mi tornarono in mente tutti i momenti trascorsi con Sharley.

 Pensai al ballo di inizio anno e al modo straordinario in cui lei si era comportata.
 Pensai alla recita e al suo aspetto angelico.
A tutte le volte in cui l'avevo riaccompagnata a casa.
A tutti i nostri discorsi. I sorrisi.
Alla sua fragilità e alla sua forza.
 A io quando stavo con lei.
Mentre queste immagini mi passavano per la mente, rimasi senza fiato.
Guardai Sharley, poi il panorama e poi la mia macchina facendo del mio meglio per mantenere un contegno, infine tornai a guardare Sharley Sullivan.
 Lei mi sorrise, io la ricambiai e non potei fare a meno di chiedermi come avessi fatto a innamorarmi di una ragazza come quella.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***






Capitolo dieci.
Più tardi quella sera la riaccompagnai a casa in macchina.
 All'inizio ero incerto se fare la vecchia mossa dello sbadiglio per metterle un braccio intorno alle spalle, ma a essere sinceri non capivo esattamente che cosa Sharley provasse per me, e mi sarei sentito davvero ridicolo a farlo.
Mi aveva fatto il più bel regalo che avessi mai ricevuto anche se probabilmente non avrei mai aperto e letto quella Bibbia, ma era come se mi avesse dato un pezzo di sé.
Mentre riflettevo su queste cose, guardai Sharley seduta accanto a me. Fissava il buio fuori del finestrino con un'espressione serafica, quasi sorridente, anche se distante.
Sorrisi.
 Forse stava pensando a me, e cominciai a spostare la mano sul sedile verso la sua, ma prima che la raggiungessi, lei ruppe il silenzio.
«Justin », chiese, girandosi verso di me, «pensi mai a Dio?»
Ritirai subito la mano.
« No », dissi infine. « Mai.»
«Ti sei mai chiesto perché le cose debbano accadere in un certo modo?»
Annuii, dubbioso.
«Io ci ho pensato molto ultimamente.»
Più del solito? avrei voluto chiederle, ma capii che non aveva finito e rimasi in silenzio.
«So che il Signore ha un disegno per tutti noi, ma a volte non riesco a capire quale sia il suo messaggio. A te non capita mai?»
Me lo chiese come se fosse qualcosa su cui riflettevo in continuazione.
«Ecco», cercai di improvvisare,«non credo che siamo fatti per capire sempre.»
Ammetto che come risposta faceva davvero pena. Ma almeno mi ero impegnato a pensare a cose che non mi appartenevano.
Evidentemente i miei sentimenti per Sharley facevano lavorare le mie meningi più in fretta del solito.
Mi accorsi che stava riflettendo sulla mia risposta.
«Sì», rispose dopo un po', «hai ragione.»
Sorrisi tra me e cambiai argomento, dato che parlare di Dio non è il genere di questione che rende romantica l'atmosfera.
«Sai», dissi casualmente, «è stato bello stasera mentre eravamo lì.»
«Sì», mi rispose lei, ancora altrove con la mente.
«E tu eri molto carina.» Dissi lasciando il volante con una mano per passarmela tra i capelli.
«Grazie. Merito della tua felpa.»
Non funzionava granché.
«Posso farti una domanda?» le chiesi, nella speranza di riportarla di nuovo vicino a me.
«Certo.»
Presi fiato.
«Dopo che sei andata a messa domani e... dopo aver passato qualche tempo con tuo padre... cioè...» Feci una pausa e la guardai. «Ti piacerebbe venire a casa mia a cena il giorno di Natale?»
Lei aveva la testa girata verso il finestrino, ma mi accorsi che sorrideva.
«Sì, mi piacerebbe molto.»
Sospirai di sollievo, 1-0 per Bieber.
Un paio di minuti dopo, quando alla fine le presi la mano, lei non si sottrasse e quella serata perfetta si concluse a meraviglia.
Quando ci fermammo davanti a casa sua, la luce in salotto era ancora accesa e scorsi la figura di Hegbert dietro le tende . Forse era rimasto sveglio perché voleva sentire com'era andata la serata oppure voleva accertarsi che non baciassi sua figlia sulla soglia.
Stavo pensando a questo  mentre scendevamo dall'auto e ci incamminavamo verso la porta. Sharley era silenziosa e contenta allo stesso tempo e credo che fosse felice che l'avessi invitata a cena il giorno dopo.
Doveva essersi resa conto anche lei che era la prima volta che la invitavo di mia spontanea volontà.
Mentre ci avvicinavamo ai gradini, vidi Hegbert sbirciare dalla tendina e poi ritrarsi.
Mi sentii ridicolo, davvero tanto.
In genere rimaneva giusto il tempo per guardarsi negli occhi sbattendo le palpebre e trovare la forza di baciarsi davvero.
Nella mia situazione, però, non sapevo se Sharley si sarebbe lasciata baciare, anzi, ne dubitavo.
 Ma vedendola così carina, con i capelli sciolti e tutto il resto, e dopo tutto quello che era successo quella sera, non volevo lasciarmi sfuggire l'occasione, se mai si fosse presentata.
Sentivo già le farfalle svolazzarmi nello stomaco quando Hegbert aprì la porta.
«Vi ho sentito arrivare», disse a bassa voce.
 «Salve, preside.», lo salutai senza entusiasmo.
«Ciao, papà», disse Sharley allegra. «Peccato che non ci fossi anche tu. É stato magnifico.»
«Sono contento per te.» si schiarì la gola. «Vi lascio qualche momento da soli per salutarvi. La porta è aperta.»
Si voltò e tornò in salotto. Sapevo che poteva vederci da dov'era seduto. Finse di mettersi a leggere, anche se teneva il giornale sottosopra.
«É stata una bellissima serata, Justin», disse Sharley.
«Anche per me», risposi, sentendomi addosso lo sguardo di Hegbert.
Chissà se sapeva anche che avevo tenuto la mano della figlia mentre tornavamo a casa.
«A che ora devo venire domani?» chiese lei.
Hegbert sollevò impercettibilmente un sopracciglio.
«Verrò a prenderti io. Verso le cinque va bene?»
Il preside sospirò.
«Si»  Disse Sharley
«Passo a prenderti alle cinque meno un quarto, d'accordo?»
Restammo in piedi senza dire altro per un momento e mi resi conto che Hegbert si stava innervosendo.
«Ci vediamo domani», disse Sharley alla fine.
«Va bene.»
Lei si guardò i piedi, poi tornò a posare gli occhi su di me. «Grazie per avermi accompagnata», disse.

Poi si voltò ed entrò in casa. Io scorsi per un attimo il sorriso che le illuminava le labbra mentre richiudeva la porta.
E nonostante avevo appena passato del tempo con lei, già mi mancava. Da morire.
Ma si sa, no? Quando tu ti innamori perdutamente non c'è un pensiero logico che spiega questa cosa qua.------------------------------------------------------------------------------------------
Il giorno dopo passai a prenderla in orario e fui felice di vedere che aveva ancora i capelli sciolti. Portava il maglione che le avevo regalato, come mi aveva promesso.
I miei genitori erano rimasti un po' sorpresi quando avevo chiesto loro il permesso di invitarla a cena.

Dopo cena la invitai a fare un giro in giardino, anche se era inverno e faceva davvero freddo.
Lei accettò e, dopo esserci infilati i cappotti, uscimmo nell'aria gelida.
«I tuoi genitori sono persone meravigliose», mi disse.
«Sono simpatici», ammisi, «a modo loro. »
«Tuo padre mi trova simpatico?» chiesi. Volevo sapere se Hegbert mi avrebbe permesso di vederla ancora.
Sharley non rispose subito.
«Lui si preoccupa per me», disse lentamente. «Non è quello che fanno tutti i genitori?»
Lei si guardò i piedi e poi, con esitazione, alzò gli occhi su di me.
«E comunque gli piaci e sa che sono felice di vederti. Ecco perché mi ha lasciato venire a cena da voi stasera.»
«Sono felice che l'abbia fatto», dissi.
«Anch'io.»
Ci guardammo sotto la luce della luna e fui sul punto di baciarla, ma lei si voltò un attimo troppo presto dicendomi qualcosa che mi turbò.
«Mio padre si preoccupa anche per te, Justin.»
Da come lo disse - con malinconia e tristezza allo stesso tempo - capii che non era solo perché mi riteneva un irresponsabile.
«Perché?» le chiesi.
«Per lo stesso motivo per cui mi preoccupo anch'io», rispose.
Non mi diede altre spiegazioni e compresi che mi nascondeva qualcosa che non poteva rivelarmi e che la rendeva triste.
Ma solo più tardi sarei venuto a conoscenza del suo segreto.

Essere innamorato di una ragazza come Sharley Sullivan era senza dubbio la cosa più strana che mi fosse capitata. Non solo non avevo mai pensato a lei prima di quell'anno ma c'era qualcosa di diverso dal solito anche nel modo in cui i miei sentimenti si erano sviluppati.
A differenza di Angela, che avevo baciato la prima volta in cui eravamo usciti insieme, Sharley non l'avevo nemmeno toccata. Non mi ero comportato come facevo abitualmente con le ragazze, eppure mi ero innamorato di lei.
L'unico problema era che non sapevo ancora quali sentimenti provasse lei per me.
Certo, c'erano stati dei segnali e io li avevo colti. La Bibbia, prima di tutto, ma anche il modo in cui mi aveva guardato prima di chiudere la porta la vigilia di Natale, o il fatto che mi avesse permesso di tenerle la mano mentre la riaccompagnavo a casa.
A mio modo di vedere c'era decisamente qualcosa... solo che non sapevo con precisione come fare il passo successivo.
Quando l'avevo portata a casa la sera di Natale, le avevo chiesto se potevo passare a trovarla di tanto in tanto e lei aveva detto che andava bene. Aveva usato esattamente quelle parole: «Va bene». Io non mi ero offeso per la sua mancanza di entusiasmo, Sharley era fatta così.
Il giorno successivo passai da lei.
«Ciao, Justin», mi salutò come faceva sempre, quasi fosse sorpresa di vedermi. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e io lo interpretai come un buon segno.
«Ciao», dissi in tono disinvolto.
Lei indicò le sedie. «Mio padre non c'è, ma possiamo sederci in veranda, se vuoi. . .»
Non chiedetemi come accadde, perché non me lo spiego ancora. Un attimo prima ero davanti a Sharley in procinto di avviarmi sul lato della veranda e quello dopo, invece di spostarmi verso le sedie, avevo fatto un passo verso di lei prendendola per mano. Poi la guardai intensamente, avvicinandomi ancora di più. Lei non indietreggiò, ma sgranò lievemente gli occhi e per un attimo mi chiesi se non avessi fatto la mossa sbagliata e se non fosse il caso di tornare indietro. Mi fermai e sorrisi, inclinando la testa di lato e subito dopo vidi che lei aveva chiuso gli occhi e piegato a sua volta il capo e che i nostri visi erano sempre più vicini.
Non fu certo un bacio lungo come quelli che si vedono nei film, ma a modo suo fu meraviglioso e tutto quello che rammento di quell'attimo fu che, quando le nostre labbra si toccarono per la prima volta, seppi che ne avrei serbato per sempre il ricordo.

Forse era quello che succedeva, quando il fuoco incontrava la pioggia.
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RECENSIONI? :) 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Prima di iniziare, volevo dirvi che questo è l'ultimo capitolo, quindi godetevelo :) 






Capitolo undici.
«Sei il primo ragazzo che abbia mai baciato», mi disse.
«Lo immaginavo», risposi.
«Perché?» mi chiese con innocenza. «Ho sbagliato?» Non sembrava sul punto di restare troppo sconvolta se le avessi risposto di sì, ma non sarebbe stata la verità.
«No, no. Anzi, sai baciare benissimo», la rassicurai stringendole affettuosamente la mano.
Lei annuì e abbassò lo sguardo a terra, di nuovo con quella sua espressione distante.
Le capitava spesso negli ultimi tempi. Io la lasciai stare per un po', finché il silenzio non mi pesò.
«Stai bene,Sharley?» le chiesi infine.
Invece di rispondere, lei cambiò argomento.
«Sei mai stato innamorato?» mi chiese.
Mi passai una mano tra i capelli e le lanciai un'occhiata da esperto.
«Vuoi dire prima d'ora?»
«Parlo sul serio, Justin», replicò Sharley, lanciandomi un'occhiata di sbieco.
Mi sentii di nuovo a disagio mentre riflettevo sulla sua domanda.
«In realtà sì», risposi infine.
I suoi occhi erano ancora rivolti a terra. Forse pensava che mi riferissi ad Angela, ma ormai sapevo che quello che avevo provato per  la mia ex ragazza era molto diverso da ciò che sentivo in quel momento.
«Come hai capito che era amore?» mi chiese.
«Ecco», risposi serio, «sai che è amore quando tutto quello che vuoi è trascorrere il tempo con una persona e per qualche motivo intuisci che anche per lei è lo stesso.»
Sharley rifletté sulla mia risposta «Capisco», mormorò.
 Mi aspettavo che aggiungesse qualcosa, ma rimase in silenzio. Anche se non aveva grande esperienza con i ragazzi, Sharley mi faceva girare a suo piacimento come una trottola.
Nei due giorni successivi, per esempio, tornò a legarsi i capelli.
 

«Non riesco a pensare ad altro che a lei, mamma», le dissi. «So di piacerle, ma non capisco se ricambia i miei sentimenti.»
«Significa davvero tanto per te?» mi chiese lei.
«Sì», risposi a bassa voce.
«Bene, e che cosa hai fatto finora?»
«Che intendi dire?»
Mia madre sorrise. «A tutte le ragazze, e anche a Sharley, piace che uno le faccia sentire speciali.»
Ci pensai su un attimo, un po' confuso. Non era proprio quello che stavo cercando di fare?
«Ecco, per cominciare sono andato a trovarla a casa sua tutti i giorni», dissi.
Mia madre mi mise una mano sul ginocchio. Pur non essendo una brava donna di casa e anche se a volte mi faceva arrabbiare, era davvero dolcissima.
«Andare a trovarla è una bella cosa, ma certo non tra le più romantiche. Dovresti prendere un'iniziativa particolare...»
Il giorno seguente mi recai a scuola, anche se era chiusa, sapevo che Hegbert era nel suo ufficio. Non ne avevo ancora parlato con Sharley, ma avevo deciso di chiedere io a suo padre il permesso di invitarla fuori. Credo dipendesse dal fatto che il preside non mi accoglieva mai a braccia aperte quando andavo a casa loro. Quando bussavo, ci metteva sempre molto tempo per venire ad aprirmi.
La porta dell'ufficio era socchiusa e lo vidi seduto alla scrivania, con gli occhiali sul naso.
Bussai e lui alzò subito il capo, come se stesse aspettando qualcuno, poi corrugò la fronte accorgendosi che invece ero io.
«avrebbe un momento per me?»
L'uomo si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi. Sembrava ancora più stanco del solito e pensai che in quel periodo non si sentisse bene.
« Che ci fai qui? », mi salutò senza entusiasmo.
«Posso entrare?»
Lui fece un cenno d'assenso e io avanzai nell'ufficio. Hegbert mi indicò la sedia davanti alla scrivania.
«Che posso fare per te?» domandò.
Io mi sedetti. Ero nervoso. «Ecco, signore, vorrei chiederle una cosa.»
Lui mi esaminò attentamente, prima di replicare. «Ha a che fare con Sharley?»
Io feci un respiro profondo.
«Sì, signore. Volevo chiederle se potevo portarla fuori a cena.»
Lui sospirò. «Tutto qui?» disse.
«Sì, signore. La riporterò a casa all'ora che lei preferisce.»
Lui si tolse gli occhiali e pulì le lenti con il fazzoletto prima di rimetterseli. Capii che stava riflettendo sulla mia richiesta.
«Ci saranno anche i tuoi genitori?»
«No, signore.»
«Allora temo che non sia possibile. Comunque ti ringrazio per aver chiesto il mio permesso, prima.» Tornò a guardare i documenti, facendomi capire che era ora che me ne andassi. Io mi alzai avviandomi alla porta. Poi mi girai di nuovo verso di lui.
«Preside?»
Hegbert alzò gli occhi, sorpreso che fossi ancora lì.
«Mi dispiace per non aver sempre trattato Sharley nel modo in cui si meritava. Ma d'ora in avanti le cose cambieranno. Glielo prometto.»
Mi guardò con occhi penetranti. Evidentemente non bastava.
«io, la amo», dissi infine e la sua attenzione tornò a focalizzarsi su di me.
«Lo so», disse in tono mesto, «però non voglio vederla soffrire.» Probabilmente era solo la mia immaginazione, ma mi sembrò che i suoi occhi si riempissero di lacrime.
«Non la farò soffrire», replicai.
Lui si voltò a guardare fuori della finestra.
« Mi dispiace davvero tanto, preside. Ma non posso stare senza di lei,  con o senza il suo permesso, non ho intenzione di lasciarmela scappare. » Dissi voltandomi e dirigendomi verso la porta.
«Riportala a casa alle dieci», mi disse infine, con il tono di chi sa di aver fatto la scelta sbagliata.
Io sorrisi e avrei voluto ringraziarlo, ma non lo disturbai oltre. Capii che voleva restare solo.
Quando guardai alle mie spalle mentre uscivo, rimasi confuso nel vederlo con il viso tra le mani.
Circa un'ora dopo invitai Sharley. Lei rispose che non pensava di poter accettare, ma io le dissi che ne avevo già discusso con suo padre. La cosa sembrò sorprenderla e credo che abbia contribuito a cambiare la sua opinione su di me. Però non le raccontai che mi era sembrato che Hegbert stesse per piangere quando ero uscito dal suo ufficio. Quella sera, però, ne parlai con la mamma e lei mi fornì una spiegazione plausibile, che trovai in effetti sensata. Hegbert doveva essersi reso conto che la sua bambina stava crescendo e che a poco a poco lui l'avrebbe persa. In un certo senso speravo che fosse così.
Passai a prendere Sharley in perfetto orario. Non le avevo chiesto espressamente di tenere i capelli sciolti, ma lei l'aveva fatto per me.
Attraversammo il ponte in silenzio e raggiungemmo il ristorante.
«É bellissimo», disse. «Grazie di avermi invitata.»
«E un piacere», risposi sinceramente.
«Sei già stato qui?»
«Qualche volta. Quando mio padre torna da Washington gli piace venire in questo posto a mangiare con la famiglia.»
«É bellissimo», ripeté.
«Anche tu», replicai.
Arrossì. «Non dici sul serio.»
«Invece sì», risposi a bassa voce.
Arrivò la cena, ci tenemmo per mano e parlammo delle cose successe negli ultimi mesi.
Lei rise quando ricordammo il ballo di inizio anno e alla fine le confessai il motivo per cui l'avevo invitata. La prese bene e capii che se l'era già immaginato da sola.
«Dopo tutto quello che è successo, mi ci porteresti ancora?» mi provocò.
«Assolutamente.»
« Perché l’hai fatto? »
« Cosa? »
« Innamorarti. Avevi promesso che non ti saresti innamorato di me, me l’avevi promesso Justin. »
Rimanemmo entrambi in silenzio per dei minuti.
« Non volevo neanche io, credimi. Ma è successo, cosa c’è di sbagliato?
« A parte che non lo so fare? »
« Cosa? »
la guardai confuso.
« Stare senza te. »

Ero innamorato ed era una sensazione meravigliosa, persino meglio di quanto avessi immaginato.
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THE END. 


..
Ok, scherzavo. Vi pare che la facevo finire così?
vi avevo promesso che non sarebbe stata una storia come le altre, e così sarà. 
Al prossimo capitolo capirete molte cose che adesso vi sembreranno stranne oppure senza senso.
Al prossimo capitolo darete un senso a questa storia, finalmente.
Zaao belle. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***





Lasciate perdere la foto, fa letteralmente schifo.
(:
Buona lettura, capitolo essenziale. u.u

Capitolo 12
Dopo Capodanno, trascorremmo insieme una settimana e mezzo, facendo le cose tipiche degli innamorati. Ci baciammo ancora, ma non sempre, e non mi saltò mai in mente di passare allo stadio successivo. Non ce n'era bisogno. Le nostre effusioni tenere e spontanee mi facevano stare bene, e mi bastavano.
Andarci a letto non era un desiderio forte come quello di vederla ogni giorno sorridere.
Un giorno in macchina, mentre si abbottonava il cappotto gli cadde dalla tasca un foglio piegato in due.
«Cos’è, questo? » Dissi raccogliendoglielo.
« Niente di importante, guarda la strada Justin»
Mi accostai al marciapiede.
« Adesso invece me lo dici» Dissi sorridendole.
« Ah si? E perché dovrei? »
« E me lo chiedi anche? Hai idea di tutte le cose che faccio per te? E tu, ti permetti anche di nascondermi le cose? »
Sembrò riflettere su ciò che avevo appena detto.
« Tieni. » Mi porse il foglietto, e velocemente lo aprii.
« cos’è? » Chiesi iniziando a leggere.
« Le cose che vorrei fare prima di morire. » Disse spostando lo sguardo prima sul foglio, e poi su me.
« Fare una scoperta scientifica.. mmh, sei ambiziosa. »
« Si, penso di si. »
Disse arrossendo.
« Fare un anno di volontariato. » Continuai a leggere
« Fatto! » Disse lei fiera di sé.
« Essere amica di chi non mi piace. »
«Fatto anche questo! »
« In un certo senso potrei sentirmi tirato in causa ma.. noi non siamo amici. Vero che non lo siamo? »
Sapevo che stava arrossendo, anche senza guardarla.
« Essere in due posti contemporaneamente? È impossibile. » Risi.
«Sapevo che non te la dovevo far leggere.. » Sbuffò cercando di riprendersela ma io la allontanai ancora di più da lei.
« No, fammi finire. Farmi un tatuaggio, questo mi piace.» Continuai a leggere quando mi accorsi che mancava la più importante per lei.

*flashback*
«E tu? Che cosa vuoi fare da grande?» Sharley girò la testa e i suoi occhi assunsero un'espressione distante, che scomparve subito dopo.
«Voglio sposarmi», disse a bassa voce. «E quando lo farò, desidero che mio padre mi accompagni all'altare e che ci siano tutti quelli che conosco.» 
«Tutto qui?» Mi sembrava un po' sciocco porselo come obiettivo principale nella vita.
«Sì», disse. «É tutto quello che voglio.» 

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Così passavamo molto tempo insieme, anche se a volte sembrava stanca e svogliata.
 Ci tenevamo per mano,scherzavamo, ma dopo un'oretta, Sharley mi chiedeva di riportarla a casa e anche al mio occhio poco esperto appariva accaldata in viso.
Più la conoscevo, più mi rendevo conto che Sharley era sempre stata fraintesa, non solo da me, ma anche da tutti gli altri.
Lei non era soltanto la figlia del preside, una ragazza che leggeva sempre la Bibbia e faceva di tutto per aiutare gli altri. Era anche una normale adolescente di diciassette anni con le mie stesse speranze e i miei stessi dubbi.
Almeno così pensavo, finché Sharley, non mi disse la verità.
Non dimenticherò mai quel giorno perché lei era stata silenziosa per tutto il tempo e io avevo avuto la sensazione che fosse assorta nelle proprie riflessioni.
La stavo riaccompagnando a casa a piedi il sabato prima che la scuola ricominciasse.
 Era una giornata nuvolosa, con un vento sferzante.
Sharley  si stringeva al mio braccio e camminavamo piano, persino più del solito: mi ero reso conto che lei non si sentiva bene. Non sarebbe voluta uscire di casa a causa del mal tempo, ma io avevo insistito che mi accompagnasse a incontrare i miei amici. Pensavo fosse giunto il momento che sapessero di noi.
L'unico problema fu che non trovammo nessuno.
Camminava in silenzio e capii che stava cercando il modo di dirmi qualcosa.

Non mi aspettavo però che cominciasse la conversazione in quel modo.
«La gente mi giudica strana, vero?» disse, rompendo improvvisamente il silenzio.
«A chi ti riferisci?» le chiesi.
«I ragazzi a scuola.»
« Da quando ci sono io con te, non ti devi preoccupare di niente.. »                     
La baciai sulla guancia, stringendola di più a me. Lei fece una smorfia di dolore.
«Stai bene?» domandai, preoccupato.
«Sì», rispose, decisa a non divagare dall'argomento. «Però, prometti di farmi un favore?»
«Tutto quello che vuoi», dissi.
«Prometti di dirmi la verità, d'ora in avanti? Sempre?»
«Certo», risposi.
Mi fermò di scatto e mi guardò fisso negli occhi.
«Mi stai mentendo adesso?»
«No», risposi sulla difensiva, chiedendomi dove volesse andare a parare. «Prometto che d'ora in avanti ti dirò sempre la verità.»
Chissà perché, ma non appena ebbi pronunciato quelle parole, capii che me ne sarei pentito.
Riprendemmo a camminare. Mentre percorrevamo la strada, guardai la sua mano che teneva stretta la mia e vidi un lungo graffio appena sotto l'anulare. Per un attimo temetti di averglielo provocato io, ma poi mi resi conto che non era possibile.
«La gente mi giudica strana, vero?» chiese lei, di nuovo.
«Sì», risposi infine. Mi fece male dirlo.
«Perché?» Sembrava quasi sconfortata.
Ci pensai. «Per diversi motivi», dissi, facendo di tutto per restare nel vago.
«Ma perché, esattamente? Per come sono? Oppure perché cerco di essere gentile con gli altri?» Io non volevo continuare in quel discorso.
«Penso per tutt'e due le cose», fu tutto quello che riuscii a proferire.  
Sharley sembrava depressa e per un po' camminammo in silenzio.
«Anche tu mi trovi strana?» mi chiese poi.
Il modo in cui lo disse mi fece soffrire più di quanto pensassi  possibile.

Eravamo quasi arrivati a casa sua quando mi fermai e la strinsi a me.
La baciai, poi ci staccammo e lei chinò lo sguardo a terra.
Le misi un dito sotto il mento, facendole alzare la testa e costringendola a guardarmi. «Tu sei una persona meravigliosa. Sei bella, gentile... sei tutto quello che vorrei essere io. Se agli altri non piaci, o se ti trovano strana, è un problema loro.»
Vidi il suo labbro inferiore che cominciava a tremare e d'un tratto sentii che il cuore batteva più forte.
La guardai negli occhi, sorridendole pieno di sentimento, sapendo di non poter più tenermi dentro le parole.
«Ti amo, Sharley», le dissi. «Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata.»
Era la prima volta che dicevo quelle parole,pensavo che sarebbe stato difficile farlo, ma non fu così. Non mi ero mai sentito più sicuro dei miei sentimenti. Non appena le ebbi pronunciate, lei chinò il capo e scoppiò a piangere, appoggiandosi contro di me. L'abbracciai, chiedendomi che cosa mai fosse successo. Era sottile e per la prima volta mi accorsi che potevo circondarla facilmente con le braccia. Era dimagrita nell'ultima settimana e mezzo e ricordai di averla vista sfiorare appena il cibo.
Cominciò a piangere sul mio petto per quella che mi parve un'eternità.
 Non sapevo più che cosa pensare. Però non mi pentii delle mie parole.
 La verità era la verità e le avevo appena promesso di non mentirle mai più.
«Ti prego, non dire così», mi implorava. «Ti prego. . .»
«Ma è la verità. . .» protestai, pensando che non mi credesse.
Il suo pianto si fece ancora più forte. «Mi dispiace», bisbigliò tra i singhiozzi. «Mi dispiace tanto...»
La gola mi si seccò di colpo.
«Perché ti dispiace?» le chiesi, desiderando disperatamente capire che cosa mai la turbasse.
«É forse per via dei miei amici e di quello che diranno? Non me ne importa più niente... davvero.» Cercavo una spiegazione qualsiasi, confuso e, sì... spaventato.
Lei impiegò ancora un minuto a smettere di piangere e alla fine mi guardò. Il suo bacio fu lieve,poi mi accarezzò la guancia.
«Non puoi essere innamorato di me, Justin», disse con gli occhi rossi e gonfi di pianto. «Possiamo essere amici, uscire insieme... ma non puoi amarmi.»
«Perché no?»  Dissi con voce roca, senza riuscire a capire, o a respirare.
«Perché», disse lentamente, «sto male »

« Hai mal di testa? Dai ti porto a casa, sbrighiamoci. »
 
«No, Justin. Nel senso che sono malata. »
L'idea mi era così estranea che non comprendevo la portata della sua affermazione.
«E allora? Ti curerai...»
Un sorriso triste le attraversò il viso e allora capii che cosa voleva dirmi.
Senza distogliere gli occhi dai miei, pronunciò infine la frase che stordì la mia anima.
«Sto morendo, Justin.»

Aveva la leucemia.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
Aveva la leucemia. Lo sapeva dall'estate prima.
Nell'attimo in cui me lo disse, sbiancai in viso e una serie di immagini confuse mi attraversò la mente.

Era come se in quell'istante il tempo si fosse fermato per permettermi di capire tutto quello che era accaduto tra di noi.

 Compresi perché lei aveva voluto che partecipassi alla recita, perché sembrava sempre così stanca e perché il padre non era contento che io continuassi ad andare a casa loro. Tutto divenne chiarissimo. 
Ecco perché sapeva che non sarebbe andata all'università. . .
Ecco perché mi aveva dato la sua Bibbia...
Tutto aveva senso e contemporaneamente sembrava assolutamente assurdo.
Sharley stava morendo...
La mia Sharley.
«No, no. . .» bisbigliai, «dev'esserci un errore. . .»
Ma non ce n'erano e quando lei me lo confermò, il mondo mi crollò addosso.
Cominciò a girarmi la testa e delle lacrime mi rigarono le guancie.
Chiusi gli occhi, sperando che tutto scomparisse.
«Mi dispiace tanto,Justin.. .» continuava a ripetere Sharley mentre mi strattonava la felpa per farmi reagire, anche se ero io che avrei dovuto dirglielo. Adesso lo so, ma in quel momento la confusione mi impediva di parlare.
Non sapevo che altro fare, una parte di me voleva stringerla e dirle che tutto sarebbe andato bene, l’altra parte di me voleva urlare e distruggere tutto.
Piangemmo a lungo per strada, a pochi passi da casa sua. Piangemmo ancora quando Hegbert ci aprì la porta, vide le nostre facce stravolte e capì che il segreto era stato svelato.
Piangemmo quando lo dicemmo a mia madre qualche ora più tardi, e lei ci abbracciò.

Non sapeva quanto tempo ancora le restasse, mi disse.
No, i dottori non potevano fare niente: la sua era una forma rara, le avevano spiegato, che non rispondeva alle terapie consuete.
Sì, all'inizio dell'anno scolastico si sentiva ancora bene. E solo nelle ultime settimane aveva cominciato ad accusare i primi sintomi.
«É così che si manifesta», disse. «Ti senti bene e poi, quando il tuo corpo non ce la fa più a combattere, stai male.»
Trattenendo le lacrime ripensai alla recita.
«Ma tutte quelle prove... quelle lunghe giornate faticose. . . forse non avresti dovuto. ..»
«Forse», mi interruppe lei, prendendomi la mano, «ma partecipare allo spettacolo è stato quello che mi ha mantenuto sana così a lungo.»
Soltanto un miracolo avrebbe potuto salvarla.
«Perché non me lo hai detto prima?»
Era l'unica domanda che non le avevo fatto, ma su cui avevo riflettuto a lungo.

Passavo dalla tristezza, alla rabbia, dalla depressione, allo sconforto.
Sharley piangeva spesso e io.. io ero già morto dentro.

Mi aveva stravolto il mondo quando ormai non ci speravo più, e quando non me l’aspettavo, me l’ha buttato giù.
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La notizia di Sharley arrivò in un batter d’occhio a tutti.
I ragazzi della scuola avevano smesso di sfotterla, un po’ perché c’ero io con lei, un po’ per pietà.Se c’era una cosa che avevo imparato quei giorni, è che a nessuno importa di te, almeno che non sei bella, omorta.
Un giorno mi venne a trovare Luke.
« Non puoi abbandonarla adesso. Non parli più, non sorridi più, l’unica cosa che riesci a fare è farla sentire in colpa per non avertelo detto prima.» Disse.

« Lasciami stare. »

« La tratti come se già fosse morta. E’ viva, lo vuoi capire? Sta ancora qui, non perdere neanche un secondo, falle vivere gli ultimi mesi della sua vita insieme a te, ha il bisogno di sentirsi bene, viva!»
« Tu non sai un cazzo di quello di cui ha bisogno lei, Luke! »

« Ha bisogno che resti forte, fino alla fine. Ti sta perdendo, è questo che la uccide, lo sai. » 

Mi avvicinai a lui e iniziai a tirargli pugni fino a che non iniziò a sanguinare.
« Non venirmi a dire che devo restare forte. Non venire a dirmi che devo far capire a me stesso che tutto accade per una ragione,  tu non sai cosa vuol dire! Non sai cosa significa vedere la ragazza che ami con gli occhi gonfi, stanca, malata, sapendo che un giorno non la vedrai proprio più! Non sai cosa significa piangere tutte le sere e addormentarsi con il mal di testa.
Piangi così tanto che alla fine inizia a non importarti più di niente! »

Lo vidi alzarsi con fatica mettendosi una mano sul naso.
« Ragiona, a scuola ieri non l’hanno neanche guardata negli occhi. Tu non fai più niente, se non guardarla con aria amareggiata. Se ti restassero solo pochi mesi da vivere, è così che vorresti passarli? »

Sapevo che aveva ragione, ma questo non rendeva le cose più facili.
Per la prima volta in vita mia ero profondamente disperato.
Avevo paura, più di quanto mi fosse mai successo, non solo per lei, ma anche per me.
Vivevo nel terrore di commettere qualche errore, di fare qualcosa che potesse ferirla.
La paura mi fece comprendere anche un'altra cosa: mi resi conto di non averla mai conosciuta quando era sana.
 Avevo cominciato a frequentarla solo pochi mesi prima ed ero innamorato di lei da diciotto giorni. Quei diciotto giorni sembravano tutta la mia vita, ma ora, quando la guardavo, non potevo fare altro che chiedermi quanti ancora ce ne sarebbero rimasti.
Il lunedì Sharley non si presentò a scuola e istintivamente capii che non avrebbe più percorso quei corridoi. Non l'avrei più vista seduta in disparte a leggere la Bibbia durante la pausa del pranzo, non avrei più scorto il suo cardigan marrone tra la folla negli intervalli tra una lezione e l'altra.
La scuola per lei era finita per sempre; non avrebbe mai ricevuto il diploma.
Quel primo giorno a scuola non riuscivo a concentrarmi, ascoltavo distrattamente i professori che ci ripetevano, uno dopo l'altro, quello che già sapevamo.
Uscii di scuola presto e andai da Sharley saltando le lezioni del pomeriggio. Quando bussai, lei mi venne ad aprire allegra come sempre e apparentemente senza una preoccupazione al mondo.
«Justin! », disse. «Che sorpresa.»
Quando si alzò sulla punta dei piedi per baciarmi, io la ricambiai, ma mi veniva da piangere.
«Mio padre non è in casa, adesso, ma possiamo sederci in veranda, se vuoi.»
«Come fai a comportarti così?» le chiesi di colpo. «Come puoi fingere che vada tutto bene?»
Lei mi accarezzò un braccio.
«Non sei venuta a scuola oggi», le dissi.
Lei chinò il capo e assentì. «Sì.»
«Non tornerai mai più?» Pur conoscendo la risposta, avevo bisogno di sentirlo dire da lei.
«No», mormorò.
« Sei già tanto malata.» Feci per alzarmi, ma lei mi fermò prendendomi la mano.
«No. Anzi, oggi mi sento bene. É solo che voglio restare a casa la mattina. »
«Quando i dottori hanno fatto la diagnosi», proseguì,«hanno detto che avrei dovuto cercare di condurre una vita normale il più a lungo possibile. Secondo loro ciò mi avrebbe aiutato a restare in forze.»
«Non c'è niente di normale in tutto questo», dissi, amareggiato.
«Lo so.»
«Non hai paura?»
Chissà perché, mi aspettavo che rispondesse di no, che dicesse qualcosa di saggio come avrebbe fatto la solita Sharley, che mi spiegasse che non potevamo avere la presunzione di comprendere il disegno divino.
Lei distolse lo sguardo. «Sì», rispose infine, «ho tanta paura.»
«Allora perché non lo fai vedere?»
«Lo faccio. In privato.»
«Perché non ti fidi di me?»
«No», disse, «perché so che anche tu hai paura.»
cominciai a pregare per un miracolo.

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Ce l'ho fatta ad aggiornare.
Questo capitolo proprio non mi veniva. infatti non è un granchè. vabbè, ditemi cosa ne pensate. :')
ciaao. 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 
Capitolo 14

Sharley piangeva spesso e io.. io ero già morto dentro.

«Non so che cosa fare», dissi affranto.
Io e mia madre eravamo seduti sul letto. Era quasi la fine di gennaio, il mese più difficile della mia vita, ed ero certo che in febbraio le cose sarebbero solo peggiorate.
«So che è penoso per te», mormorò lei, «ma non puoi fare niente.»
«Non mi riferivo alla malattia, so di non poterci fare nulla. Intendevo per noi, per Sharley  e per me.»

«Non riesco a parlare con lei liberamente», aggiunsi, sconsolato, «e se la guardo, penso solo a quando non potrò più farlo. A scuola passo tutto il tempo a desiderare di vederla, ma quando vado a casa sua, non trovo niente da dirle.»
«Non so se c'è qualcosa che potresti dirle per farla sentire meglio.»
«Allora che cosa devo fare, mamma?»
«L'ami davvero, eh?»
chiese.
«Con tutto il cuore.»
Non l'avevo mai vista così giù. «Che cosa ti dice di fare il tuo cuore?»
«Non lo so.»
«Forse ti sforzi troppo di ascoltarlo.»

 
«Coraggio Luke, dobbiamo sbrigarci. »  Dissi aprendo le ultime scatole di cartone e tirando fuori viti, pezzi di ferro, lenti ecc.
«Io non ci capisco niente, brò. E’ impossibile, tutte queste formula strane, non si capisce. » Rispose il mio migliore amico sbuffando.
« Ha fatto tutto Sharley, devi solo seguire gli schemi e montare questo… questo coso. »
Ieri ero stato a casa di Sharley, la situazione peggiorava.
Era sempre più stanca, non riusciva neanche ad uscire da casa.
Mentre dormiva, trovai tra gli scaffali della sua camera dei fogli arrotolati, un po’ per noia, un po’ per curiosità li aprii. Era un suo progetto:  Stetoscopio lunare.
Nei fogli si potevano vedere numerose cancellature, la prova del tanto lavoro e impegno che ci aveva messo, e c’era riuscita. L’aveva creato, era solo da montare.
E se la mia ragazza era troppo stanca per riuscirci, dovevo farlo io.
Se fare una scoperta scientifica era nella sua lista di cose da fare prima di morire, io l’avrei aiutata.
Io e Luke l’avremmo aiutata.

«Devi prima montare il pannello x, Justin. »
«A saperlo qual è il pannello x! Passami la vite, sbrigati, cade tutto dai! »
« Ce l’avevi in mano tu!»
« Luke non provarci neanche, ce l’avevi tu! L’ho data a te! »

Passammo più di 9 ore e mezza a montarlo interrottamente, ci avrei messo anche una vita, se serviva a renderla felice.
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« Sharley, devi alzarti. Coraggio piccola, vieni con me. »
« Justin… »
Rispose lei stanca alzando la testa dal cuscino. «E’ notte, cosa ci fai qui? A papà verrebbe un colpo se ti ved.. »
« Amore, devi venire con me. Ti prendo in braccio e ti porto fuori. Stringimi»
Dissi prendendola dal letto.
« Hai bevuto non è ver..»
« Le ho prese già io le coperte, devi stare tranquilla e tuo padre sa già tutto.»
Mentre la “tranquillizzavo”,l’avevo già portata fuori nella veranda, l’avevo già fatta sedere sulla sedia riscaldandola con la coperta di lana.
« Sei pronta? » Dissi sorridendole.
« Cos’è quel telo? » Chiese lei incuriosendosi. Le si poteva leggere la stanchezza negli occhi, ma riusciva sempre a trovare la forza di sorridere.
« La domanda giusta è: cosa c’è sotto questo telo? » Risposi facendogli aumentare la curiosità.
Si strinse nella coperta ridendo e io, lentamente, alzai il telo scoprendo il suo stetoscopio lunare.
« Non ci credo. » I suoi occhi iniziarono a brillare di stupore, prima di riempirsi di lacrime.
« Aspetta, non puoi piangere subito, deve ancora finire la sorpresa. »
Le consegnai la targa ufficiale dove veniva confermata la sua scoperta.
« Ce l’hai fatta piccola. Sei la più giovane ragazza ad aver fatto una scoperta scientifica della storia.»
Lessi nei suoi occhi tutta la felicità. Avete presente no? La felicità: quando un cantante lancia un album, quando uno studente prende 9, quando un lavoratore va in vacanza. Quando stai a dieta e inizi a perdere peso, quando è il tuo compleanno e arriva il momento di spegnere le candeline, quando Sharley sorride e nel mio stomaco scoppia la guerra.

Passamo tutta la notte a coccolarci, a vedere le stelle, e ci addormentammo abbracciati.

Quel giorno avevamo entrambi scoperto qualcosa, lei lo stetoscopio lunare, io l’amore.
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Allora, vi piace? è stato scritto molto di fretta. 
Ditemi cosa ne pensate :)
Per qualunque cosa, contattatemi qui: @bibah69me


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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***



Capitolo 15
Il giorno dopo andò un po' meglio con Sharley.
Prima di andare a casa sua mi ero riproposto di non dirle nulla che potesse deprimerla, di cercare di parlarle in modo naturale, come facevo prima.
 Mi misi seduto sul divano e le raccontai dei miei amici e di quello che facevano;
 Parlavo come se lei dovesse tornare a scuola la settimana seguente, ma ero nervoso e si vedeva.
Sharley sorrideva e annuiva nei momenti giusti, facendomi qualche domanda appropriata di tanto in tanto. Ma penso che entrambi sapessimo che quella era un'inutile forzatura.
Non era giusto per nessuno dei due.
«Come ti senti?» le chiesi qualche giorno dopo.
  Sharley era dimagrita ancora. La sua pelle aveva assunto una sfumatura cerea e le ossa delle mani le sporgevano da sotto la pelle. Vidi altri graffi.
Eravamo in salotto, perché fuori faceva troppo freddo per lei. Nonostante tutto, era ancora bellissima.
«Me la cavo», rispose con un sorriso coraggioso. «I dottori mi hanno dato delle medicine per i dolori e sembra che funzionino.»
Io ero andato da lei tutti i giorni. Il tempo sembrava rallentare e accelerare allo stesso tempo.
«Posso fare qualcosa per te?»
«No, grazie, sto bene.»
Girai lo sguardo per la stanza, poi tornai a fissarla negli occhi.
Lei mi sorrise accarezzandomi un braccio, sentii la sua mano morbida sulla mia pelle.
Restare a farle compagnia tutta la giornata sembrava la cosa giusta da fare, ma il mio cuore continuava a dirmi che doveva esserci qualcos'altro.

«Piccola, ce la fai a venire a casa mia oggi? » Le domandai sperando in un sì. 
Sorridendo capii che aveva confermato l’invito.
Da quando mi aveva raccontato della malattia, Sharley aveva smesso di portare i capelli raccolti e l'effetto per me era ancora stupefacente come la prima volta.
Lei stava guardando la mia collezione di album quando allungai il braccio e le presi la mano.
«Grazie di essere venuta», dissi.
Lei tornò a guardarmi. «Grazie di avermi invitata.»
Feci una pausa. «Come sta tuo padre?»
Sharley sospirò. «Non troppo bene. Sono preoccupata per lui.»
«Ti ama molto, lo sai.»
«Lo so.»
«E anche io», aggiunsi e lei distolse lo sguardo.
Sentirselo dire sembrava spaventarla ancora.
«Continuerai a venire a casa mia?» mi chiese. «Anche dopo, sai, quando...»
Io le strinsi la mano, non forte, ma per farle capire che stavo parlando sul serio.
«Ci sarò finché mi vorrai.»
Lei sorrise.
«Ti amo, Sharley», ripetei, ma questa volta lei non si spaventò. I nostri occhi si incontrarono e vidi che i suoi si illuminavano. Lei sospirò e distolse lo sguardo, poi si passò la mano tra i capelli e infine si girò di nuovo verso di me. Io la baciai,sorridendole.
«Anche io ti amo», bisbigliò infine.
Erano le parole che avevo implorato di sentire.
« Non c’è niente come noi » Disse infine.
 
« Cosa hai detto? »

« Che non c’è niente come me e te, insieme »
Mi alzai senza dire niente e aprii il cassetto della scrivania, prendendo uno stecchino.
Presi anche una botticina di henne e del deodorante.
« Che vuoi fare? » Mi disse guardandomi dubbiosa.
« Un giorno, qualcuno mi disse che nella vita si sarebbe voluta fare un tatuaggio, se non sbaglio. »
« Da uno esperto, con una licenza, quando mi sarei sentita pronta. »
« Amore, fidati di me. Dove vuoi farlo? »
« Se ti dicessi che non sono pronta a farlo?»
« Piccola devo farti un tatuaggio, non levarti la verginità. » Sorrisi. « E poi sei riuscita a creare un tascopio lunare ma non sei pronta a lasciare un segno sulla tua pelle? »
« Stetoscopio amore, S - t – e – t – o – s –c – o – p –i – o, non tascopio. »
« Si vabbé, allora, dove lo vuoi? » Dissi riferendomi al tatuaggio.
« Qui. » Si alzò la maglietta fino a scoprirsi la pancia, facendomi vedere la zona dove lo voleva: sotto l’ombelico.
« Qui? Sei sicura? »
«Perché fa male? » Disse ricoprendosi in un batter d’occhio.
Risi.«No, no. E’ bellissimo qui. » Dissi rialzandole leggermente la maglietta.
« Cosa vuoi che ti faccia? »
« Non lo so, qualcosa di importante e significativo però, che resti per sempre. Qualcosa che ti riesca bene,ti chiedo solo questo.»
Sorrisi, se avrebbe saputo delle mie non-doti nel tatuare, non si sarebbe fatta toccare.
« Fidati di me, piccola.»
Presi il deodorante in polvere passandoglielo sulla zona del futuro tatuaggio, poi presi lo stecchino e gli applicai l’henne iniziando a creare il nostro tatuaggio.
Notai che tratteneva il respiro, e mi venne da ridere.
«  Non ridere, se sbagli e mi fai un pastrocchio poi.. »
« Tranquilla,sei troppo tesa»
Passammo così diversi minuti a scherzare fino a quando ebbi finito e il tatuaggio si asciugò.
Sharley si alzò recandosi allo specchio della mia camera, rimase a guardarlo e poi infine sorrise.
« E’ stata la cosa più rischiosa che ho mai fatto, pensa se  ero allergica all’inchiostro. »
« Hanne, h- a- n – n – e, non inchiostro. »
Con un po’ di fatica prese il cuscino e me lo lanciò sul petto.
« Lo adoro comunque, ammetto che sei stato bravo»
« Lo so, sono proprio bravo. »
Dissi, baciandole dolcemente la pancia, vicino alla scritta ‘ Nothing like us’ che le avevo appena tatuato.
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Recensioni? 
:) 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

 Sharley stava ancora abbastanza bene, ma l'inverno era molto rigido. Lei non desiderava uscire di casa con quel tempo, anche se a volte, dopo che il padre se n'era andato, restavamo sotto il portico un paio di minuti a respirare l'aria. Ogni volta che succedeva, stavo in ansia per lei.
Mentre chiacchieravamo, c'era sempre qualcuno che bussava alla porta, almeno tre volte al giorno.
C'era chi lasciava qualcosa da mangiare e chi passava a fare solo un saluto. Una volta arrivarono persino Eric e Margaret e anche se non aveva il permesso, Sharley li fece entrare e ci sedemmo tutti in salotto a chiacchierare. I miei amici non riuscivano a guardarla negli occhi.
Erano nervosi e impiegarono qualche minuto ad arrivare al dunque.
Eric era venuto a scusarsi per come si era comportato e disse che non riusciva a farsi una ragione che la malattia avesse colpito proprio Sharley.
 Aveva la voce strozzata e le sue parole erano cariche di un'emozione che non gli avevo mai sentito esprimere.
«Anche se non sempre sono stato carino con te, desidero farti sapere quello che provo. Non sono mai stato tanto triste in vita mia.» Fece una pausa e si asciugò l'angolo dell'occhio.
«Sei davvero la ragazza migliore che abbia conosciuto.»
Mentre lui tratteneva le lacrime e tirava su con il naso, Margaret si era già abbandonata al pianto seduta sul divano, senza parole, fino a che non arrivò anche per loro il momento di andarsene.
«Resta seduta», disse Eric avviandosi alla porta. « e continua a combattere. »
Poi mi guardò con affetto, dandomi una pacca sulla spalla. «Anche tu», mi disse con gli occhi rossi.
CONTINUARE A COMBATTERE. Per cosa? Per niente.
Mentre riflettevo tra me e me mi venne un’idea.
Vidi Sharley sbadigliare e coprirsi con la coperta fino al collo, facendomi capire che desiderava che la raggiungessi per addormentarci insieme.
Mi alzai e rimasi a guardarla: « Alzati. » Le ordinai.
« Cosa? » Disse lei aprendo gli occhi e guardandomi stranita.
« Ti ho detto che devi alzarti, cazzo! Sono solo le 9:00, non hai neanche mangiato»
« Non ho fame, sono solo stanca, che ti prende? »
«  Mi prende che ti devi alzare, e se non lo fai da sola ti alzo io. »
Dissi duro.
I suoi occhi erano un misto di paura e stanchezza, mi faceva davvero molto male parlarle così, ma se quello era l’unico modo per smuoverla, dovevo usarlo.
« Justin io..no. Non ce la faccio, non voglio. »
« Come pensavo. »
Prendendola dai fianchi il più delicatamente possibile me la caricai sulla spalla, si divincolava con scarsi risultati. Io la stringevo troppo forte e lei era troppo debole per opporsi.
Salimmo in macchina, mi lanciò un’occhiata di rimprovero.
« Non sarai arrabbiata a lungo, piccola. »
« Io invece credo di si. Ho sonno, sono stanca, non ho voglia di muovermi, di camminare, di parlare, di ridere, di sorridere, di respirare, di vivere. »
Rispose tristemente.
« Smettila di dire così! » Sbottai.
« Perché? È così. » Iniziò a piangere, sapevo che farla salire in macchina l’avrebbe aiutata a parlare. Era sempre stato così tra noi.  « Sono brutta, sono malata, sono disprezzante!»
« Smettila! »
Non pensavo che le sarebbe mai importato del suo aspetto fisico, stava impazzendo.
E stava conducendo alla pazzia anche me.
Continuai tutto il viaggio sentendo i suoi singhiozzi, e quando  smise iniziò a disegnare sul vetro del finestrino dei.. dei.. solo dio sa cos’erano.
Mi accostai con la macchina e la guardai.
« Scusa. » Tirò sul con il naso.
Le sorrisi.
« Andiamo! » Scesi di corsa dalla macchina aprendo anche il suo sportello
« Dove? » Le presi la mano trascinandola dietro a me mentre iniziai a correre.
« Cosa vuoi fare? » Disse lei sorridendo.
« Corri! » Dissi solo.
Iniziammo a correre, in piena notte.
Da una parte avevo paura di farla affaticare troppo, ma dall’altra sapevo che ne aveva bisogno,doveva sentirsi libera e viva. Libera di correre,di ridere.
In quel momento era come se niente, neanche la morte, era in grado di distruggerci;

 io e lei, facevamo invidia al mondo.

Ad un certo punto mi fermai in mezzo alla strada. Aveva il fiatone, mi girai verso lei prendendole entrambi le mani.
« Ok, ok.. emm. Ferma qui. » Dissi sorridendo.
 « ..va bene. »
« Metti un piede là. »
Le dissi facendole spostare il piede di qualche centimetro più a sinistra.
«Brava, adesso metti l’altro piede là. » Stavolta indicai qualche centimetro a destra, facendole divaricare le gambe.
 « Ferma ora. » Dissi sorridendo.
« Non riesco a seguirti, che cosa stiamo facendo? » Chiese Sharley confusa.
« Perfetto, in mezzo ai piedi hai la linea di confine, adesso tu sei tra due stati. » Le risposi con un sorrisone enorme.
Alzò le spalle. « e allora? »
« Stai in due posti contemporaneamente.. »
Dissi come se fosse una cosa ovvia.
Guardò avanti a se il cartello che segnava il confine e finalmente si rese conto.

Desiderio realizzato, ancora una volta.
Le si illuminarono gli occhi e ridendo, mi abbracciò forte, facendomi assaporare tutta la sua allegria e il suo profumo che, per me, erano meglio della droga.

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Penso che pubblicherò un altro paio di capitoli e basta, così che la storia non diventi troppo lunga e noiosa.
 V oi cosa ne pensate? :')

Ps: grazie per le 8 recensioni al capitolo precedente, siete stupende.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
Intanto che trascorrevo con lei quei giorni aspettavo ancora il miracolo. Ma non avvenne.
All'inizio di febbraio venne aumentato il dosaggio delle pillole che Sharley prendeva per combattere il dolore.
Come effetto collaterale, lei aveva dei mancamenti e una volta cadde mentre andava in bagno, la seconda volta batté la testa contro il lavandino.
Dopo questi episodi insistette perché i dottori tornassero alle dosi precedenti e venne accontentata, anche se con riluttanza.
In questo modo riusciva ancora a camminare senza cadere, ma i dolori aumentarono, tanto che in certi momenti le costava fatica persino alzare un braccio.
La leucemia è una malattia del sangue, che affligge tutto il corpo, le indeboliva progressivamente i muscoli, rendendole difficile compiere i gesti più semplici.

 Nella prima settimana di febbraio perse tre chili e ben presto non poteva più fare che pochi passi alla volta. Sempre che riuscisse a sopportare il dolore, cosa che in breve non le fu più possibile.
 Tornò a un dosaggio più alto dei farmaci, preferendo lo stato di stordimento alla sofferenza.
«Voglio morire a casa», era tutto quello che diceva. Non potendo fare niente per lei, i dottori non avevano altra alternativa che accondiscendere ai suoi desideri.
Almeno per il momento.
Il suo viso si andava consumando, i capelli cominciavano a perdere lucentezza, ma i suoi occhi erano incantevoli come sempre. Era ancora bellissima.
«Lo sapevi fin dal primo giorno di lezione che avrei partecipato alla recita, vero? Quando mi guardasti con un sorriso.»
Lei annuì. «Sì.»
«E quando ti invitai al ballo, mi facesti promettere che non mi sarei innamorato, ma eri certa che sarebbe successo, giusto?»
I suoi occhi brillarono maliziosi. «Sì.»
«Come facevi a saperlo?»
Lei alzò le spalle senza rispondere e per un po' restammo seduti a guardare la pioggia che batteva contro i vetri del corridoio dell’ospedale.
«Quando ti dissi che pregavo per te», mi spiegò infine, «a che cosa pensavi mi riferissi?»
« Pregavi per far sì che mi innamorassi di te? Perché?»

« Perché io lo ero sempre stata di te.»

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***



Capitolo 18

La malattia proseguiva inesorabilmente il suo corso, che accelerò con l'arrivo di marzo.
Sharley aveva aumentato ancora il dosaggio dei farmaci antidolorifici e si sentiva troppo male per riuscire a mangiare.
Si stava indebolendo e sembrava destinata a essere ricoverata in ospedale, nonostante tutto.
Furono i miei genitori a cambiare le cose.
Mio padre era rientrato da Washington, lasciando frettolosamente il Congresso mentre erano ancora in seduta. A quanto pareva, la mamma lo aveva chiamato dicendogli che se non fosse tornato subito, poteva tranquillamente restarsene a Washington per sempre.
Quando mia madre gli raccontò quello che stava succedendo, lui replicò che Hegbert non avrebbe mai accettato il suo aiuto, che le ferite erano troppo profonde ed era tardi per agire.
«Questa questione non riguarda la tua famiglia e nemmeno Hegbert Sullivan, o fatti successi in passato», replicò lei, rifiutando di accettare le sue ragioni. «C'è di mezzo nostro figlio, il quale è innamorato di una ragazzina che ha bisogno del nostro aiuto. E tu troverai il modo di aiutarla.»
Non so che cosa avesse detto mio padre a Hegbert, né quali promesse gli avesse dovuto fare o quanto sia costata l'intera operazione.
Fatto sta che Sharley fu presto circondata da costosi macchinari, fornita di tutte le medicine necessarie e accudita da infermiere a tempo pieno, mentre uno specialista passava a trovarla diverse volte al giorno.
In questo modo lei sarebbe potuta restare a casa.
Quella sera per la seconda volta piansi davanti a lei.
«Hai qualche rimpianto?» le chiesi. Era sotto le coperte, con un ago nel braccio attraverso cui entravano nel suo corpo i farmaci di cui aveva bisogno.
 Era pallida in viso, e magrissima. Non riusciva quasi più a muovere un passo e quando si alzava, aveva bisogno di essere sostenuta.
«Tutti ne abbiamo», mi disse, «ma ho avuto una vita meravigliosa.»
«Come puoi dirlo?» esclamai, incapace di nascondere la mia angoscia, «con quello che ti sta succedendo?»
Lei mi strinse la mano, debolmente, e mi sorrise con tenerezza.
«Certo», ammise, guardandosi intorno, «poteva andare meglio.»
Nonostante le lacrime, risi, pentendomene all'istante. Avrei dovuto essere io a confortarla.
«Ma per il resto sono stata felice», proseguì. «Davvero. Ho realizzato tantissimi desideri, e le persone a volte non riescono neanche a realizzarne uno.»
Mi guardò negli occhi. «Mi sono persino innamorata e sono stata ricambiata.»
Io le baciai la mano quando lo disse e me la posai sulla guancia.
«Non è giusto», commentai.
Lei non rispose.
«Hai ancora paura?» le chiesi.
«Sì.»
«Anch'io.»
«Lo so. E mi dispiace», disse lei.
«Che cosa posso fare?» domandai disperato.
«Niente. »
Ti prego, Signore, dimmi che cosa fare!
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«Mamma?» domandai più tardi quella sera.
«Sì?» Eravamo seduti sul divano davanti al fuoco acceso. Quel pomeriggio, mentre studiavo, Sharley si era addormentata e sapendo che aveva bisogno di riposare, avevo deciso di uscire dalla sua stanza in silenzio. Prima però l'avevo baciata dolcemente su una guancia.
 Era stato un gesto innocente, ma Hegbert era entrato proprio in quel momento e io avevo letto emozioni contrastanti nei suoi occhi.
Mi aveva guardato rimproverandomi anche di aver infranto una delle regole della sua casa, per quanto tacita.
Sapevo che se lei fosse stata bene, non mi avrebbe più permesso di mettere piede lì dentro. Comunque, non mi aveva accompagnato alla porta.
«Pensi che noi abbiamo uno scopo nella vita?» le chiesi, turbato.
Era la prima volta che le facevo una domanda simile, ma era un momento particolare.
«Non sono sicura di capire quello che intendi», mi rispose mia madre.
«Voglio dire... come si fa a sapere quello che bisognerebbe fare?»
«Ti riferisci al tempo trascorso con Sharley?»
Annuii, per quanto confuso. «In un certo senso. So di comportarmi nel modo giusto, eppure... manca qualcosa. Passo il tempo con lei a parlare e a farle compagnia, ma...»
Mia madre concluse la frase per me. «Pensi che dovresti fare di più?»
Feci cenno di sì.
«Non so che cosa potresti fare di più.»
«Allora perché mi sento così?»
«Penso che sia perché sei spaventato e ti senti impotente e anche se fai di tutto, le cose continuano a diventare sempre più difficili... per entrambi. E più ti sforzi, più ti sembra che non ci sia niente da fare.»
«C'è un modo per smettere di sentirsi così?»
Lei mi abbracciò e mi strinse a sé. «No», disse a bassa voce, «non c'è.»
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Il giorno dopo Sharley non riuscì ad alzarsi. Era troppo debole persino per camminare con il mio aiuto, così rimanemmo in camera sua.
Si addormentò dopo pochi minuti.
Trascorse un'altra settimana e Sharley peggiorò costantemente, perdendo le forze.
 Costretta a letto, sembrava più piccola, quasi una bambina.
«Sharley», la implorai, «dimmi che posso fare per te.»
Lei adesso dormiva anche per ore, persino mentre le parlavo. Non si muoveva al suono della mia voce; il suo respiro era rapido e debole.
Ero seduto, pensando a quanto l'amavo. Tenni la sua mano vicino al cuore, sentendone la fragilità delle dita. Una parte di me avrebbe voluto piangere, invece posai la sua mano sulle lenzuola e mi voltai verso la finestra.
Perché, mi chiesi, il mio mondo era crollato in quel modo?
 Perché era successo proprio a lei?
Era stato davvero Dio a farmi innamorare di lei?

Oppure l'azione era stata frutto della mia volontà? Mentre Sharley dormiva, avvertivo sempre più intensamente la sua presenza accanto a me, eppure le risposte alle mie domande non diventavano più chiare.
Notai sul comodino un ritaglio di giornale accanto al bicchiere con l'acqua. Lo presi e mi accorsi che era un articolo sulla recita, pubblicato sul giornale della domenica il giorno successivo all'ultima replica. Nel riquadro sopra il testo, c'era l'unica fotografia che fosse mai stata scattata di noi due insieme.
Sembrava passato così tanto tempo. Avvicinai il foglio al viso. Mentre osservavo la foto, mi ricordai di come mi ero sentito quella sera, quando l'avevo vista vestita da angelo. Mentre stavo per scoppiare a piangere, d'un tratto compresi.
Dio, o comunque qualcuno lassù, finalmente mi aveva risposto e ora sapevo che cosa dovevo fare.
Non sarei potuto arrivare più in fretta, nemmeno con la macchina. Presi tutte le scorciatoie che conoscevo, attraversando i cortili delle case, scavalcando palizzate e in un caso passando per il garage di una casa e uscendo dalla porta di servizio. Tutto quello che avevo imparato della città mentre crescevo mi tornò utile e, sebbene non fossi mai stato un grande atleta, quel giorno ero inarrestabile, sospinto da ciò che sentivo di dover fare.
Non mi preoccupai del mio aspetto e quando arrivai, rallentai il passo, cercando di riprendere fiato mentre mi avviavo verso l’ ufficio del preside sul retro.
La porta era aperta. Il padre di Sharley mi fissò quando mi vide sulla soglia.
Non mi invitò a entrare, ma distolse subito lo sguardo, posandolo sulla finestra. A casa, pensai, lui affrontava la malattia della figlia pulendo ossessivamente le stanze, ma nel suo ufficio c'erano carte sparse sulla scrivania e libri lasciati in giro ovunque, come se da settimane nessuno avesse messo in ordine. Capii che quello era il posto dove lui si rifugiava per pensare a Sharley; dove lui veniva a piangere.
«Preside?» dissi a bassa voce.
Lui non mi rispose, ma io entrai lo stesso.
«Vorrei restare da solo», bisbigliò con voce roca.
Mi avvicinai risoluto alla sua scrivania e lui mi lanciò solo un'occhiata fugace, prima di tornare a guardar fuori.
«Per favore», mi chiese. Il suo tono era scoraggiato, come se non avesse più la forza di affrontare nemmeno me.
«Vorrei parlarle», replicai, deciso. «Non insisterei se non fosse molto importante.»
Hegbert sospirò e io mi misi seduto come quando gli avevo chiesto il permesso di portare sua figlia fuori a cena per l'ultimo dell'anno.
Mi ascoltò in silenzio mentre gli esponevo la mia idea. Solo quando ebbi finito, Hegbert si voltò a guardarmi.
 Non so che cosa ne pensasse, ma grazie al cielo non si oppose.
 Si asciugò gli occhi con le dita e si girò di nuovo verso la finestra.
Penso che persino lui fosse troppo scioccato per dire qualcosa.
Corsi di nuovo, instancabile, sospinto dall'energia del mio proposito.

 Quando raggiunsi la casa di Sharley, entrai senza bussare e l'infermiera che era in camera sua uscì a vedere che cosa fosse quel trambusto. Prima che potesse parlare, la interpellai.
«É sveglia ?»
«Sì», rispose cauta la donna, «quando si è svegliata, ha chiesto dove fossi finito.»
Mi scusai del mio aspetto disordinato e la ringraziai, chiedendole se poteva lasciarci soli. Entrai in camera di Sharley accostando la porta dietro di me. Era pallida, terribilmente pallida, ma il suo sorriso mi fece capire che lottava ancora.
«Justin! », disse con voce flebile, «grazie di essere tornato.»
Presi una sedia e mi misi vicino a lei, prendendole la mano. Nel vederla lì sdraiata mi venne un groppo alla gola.
«Ero qui prima, ma dormivi», le spiegai.
«... mi dispiace. Non riesco proprio a fare altrimenti.»
«Non preoccuparti piccola. Mi ami?» le chiesi.
Lei sorrise. «Sì.»
«Quindi vuoi farmi felice..» mentre glielo domandavo, sentii il cuore accelerare, come impazzito.
Lei distolse lo sguardo, aveva il volto solcato dalla tristezza. «Non so se sono più in grado di farlo.»
«Ma se potessi, lo faresti?»
Amore, rabbia, tristezza, speranza e paura si mescolavano nel mio animo, acuiti dal nervosismo.
Sharley mi lanciò un'occhiata incuriosita e il mio respiro si fece affannoso. Tutto d'un tratto mi resi conto che non avrei mai sperimentato nei confronti di un'altra persona un trasporto altrettanto forte.
 Mentre le restituivo lo sguardo, questa consapevolezza mi fece desiderare per l'ennesima volta di poter cambiare le cose.
 Sarei stato pronto a scambiare la mia vita con la sua. Volevo comunicarle i miei pensieri, ma il suono della sua voce tacitò le emozioni che si agitavano dentro di me.
«Sì», disse infine, con la voce debole eppure ancora piena di promesse. «Lo farei. Farei di tutto.»
Ritrovato il controllo, la baciai, poi le posai una mano sul viso, accarezzandole delicatamente la guancia. Rimasi stupito dalla morbidezza della sua pelle, dalla gentilezza che vidi nei suoi occhi.
Era perfetta anche in quel momento.
Un altro nodo mi si stava formando in gola, ma come ho detto, sapevo quello che dovevo fare.
Dato che dovevo accettare il fatto che non era in mio potere guarirla, quello che volevo fare era darle qualcosa che lei aveva sempre desiderato.
Era ciò che il mio cuore aveva continuato a suggerirmi.
Fiducioso, mi chinai su di lei e inspirai profondamente. Quando espirai, queste furono le parole che uscirono dalle labbra con il mio respiro.
«Mi vuoi sposare?»

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


LEGGIMI SONO IMPORTANTE ANCHE IO

Allora bellissime, vi avevo avvisato che la storia sarebbe finita.

in realtà avevo pensato di prolungarla a 25 capitoli, e invece mi sono fermata a 19.
Volevo ringraziare tutte le persone che hanno seguito questa storia, un grazie ancora più sincero a chi l’ha anche recensita.
Ha raggiunto oltre 100 recensioni.
Vi amo tanto.
Alla fine di quest’ultimo capitolo, troverete un’altra ff.
Ve la consiglio.  Fidatevi. Dategli una possibilità.

 
Capitolo 19
La mia vita cambiò per sempre quando avevo diciassette anni.
Mentre cammino per le strade di Stratford, pensando a quell'anno della mia esistenza, ricordo tutto con grande chiarezza, come se gli avvenimenti si svolgessero ancora davanti ai miei occhi.
Ricordo Sharley rispondere di alla mia domanda fatta tutta d'un fiato, e che ci mettemmo a piangere insieme.

 Ricordo quando ne parlai a Hegbert e ai miei genitori, spiegando loro le mie intenzioni.
Pensavano che lo facessi soltanto per Sharley e tutt'e tre cercarono di dissuadermi, soprattutto dopo aver saputo che lei aveva acconsentito.
Quello che non riuscivano a capire era che dovevo farlo per me.
Ero innamorato di lei, al punto che non mi importava che fosse malata. Non mi importava se avremmo avuto poco tempo per stare insieme.
Dentro di me sentivo che sarebbe stata mia per sempre.
Forse alcuni di voi si chiederanno se il mio gesto non fosse stato ispirato dalla pietà. O solo perché era il suo più grande desiderio.
Altri, arriveranno a domandarsi se io l'avessi fatto perché sapevo lei se ne sarebbe andata presto e che quindi il mio legame non sarebbe stato troppo impegnativo.
La risposta in entrambi i casi è no.
Avrei sposato Sharley Sullivan anche se il miracolo per cui pregavo si fosse avverato.

Lo sapevo nel momento in cui glielo chiesi e lo so ancora oggi. Sharley non era soltanto la donna che amavo. Era la manifestazione vitale più stupefacente a cui avessi mai assistito.
In quell'anno lei mi fece diventare l'uomo che sono.                            
Ricordo che pensai che erano i passi più difficili che nessuno avesse mai intrapreso.
Ma erano soprattutto i passi dell'amore, e non mi ero mai sentito meglio.
Fu il momento più memorabile della mia vita.
E va bene così. Sorrido tra me, guardando il cielo, sapendo che c'è ancora una cosa che non vi ho detto: adesso credo che i miracoli si possano avverare.
Dopo il matrimonio, Sharley e io passammo solo un altro mese insieme, ma pieno d’amore.
Molto più amore di quanto altri ne abbiano avuto in una vita.
Poi se ne andò.
Ma l'amo ancora, sapete?
 e non mi sono mai tolto l'anello. In tutti questi anni non ho mai sentito il desiderio di farlo.
L’immagine di Sharley che mi viene incontro sarà con me per sempre.

E anche se mi mancherà sempre, lei è amore, e l’amore è come il vento: non lo vedo, ma lo percepisco.

 FINE.
 
FANFICTION ‘ I BELONG TO THEM’ : http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2181977&i=1

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