Lights and Sounds

di _Ellie_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Certainly Not. ***
Capitolo 2: *** The Calm Before The Storm ***



Capitolo 1
*** Certainly Not. ***


 
 
Driiin.
La mia mano, incredibilmente rapida, se si considerano le condizioni semicomatose della proprietaria, schizzò da sotto il marasma di coperte e piumoni cercando a tentoni la sveglia.
 
La recuperai, e quando sentii il freddo metallo sotto le mie dita, la lanciai con un frastuono assordante verso la parete nord della mia camera.
Ll tutto senza aprire gli occhi nè uscire dal sonno.
 
Mi girai sull'altro lato, chiedendomi vagamente perplessa perchè l'avessi programmata per quell'orario inumano, le dieci di un sabato mattina nella afosissima siviglia.
 
Sospirai e mi riaddormentai.
 

 
Cos'era quella vaga sensazione di colpa?
Mi rigirai, inquieta.
E mi rigirai ancora.
Arzigogolai le braccia e le gambe nella famigerata posizione della stella marina reversus, cercando di non perdere il filo del sogno che stavo vivendo.
 
Naturalmente era tutto in fascia vietata ai minori, con un paio di brevi ed accennate, nonchè simultanee grazie alla famigerata legge di Murphy, proposte di matrimonio da parte di Orlando Bloom e Artemis Fowl.
 
Mugugnai, infastidita.
C'era qualcosa che mi faceva prudere il naso e distrare dal mio sogno.
 
Qualcosa che aveva a che fare con Mocho Vileda, Contrecourant e Tenebroso.
Oltre che con Swiffer, MrPerfezione, So'70 e OrsettoYoghi.
 
Per inciso, i primi erano i miei migliori amici nonchè compagni di band.
Gli ultimi erano i quattro mocciosi per eccellenza, le Vostre Maestà Crucche, i Mister Non-Impariamo-Lingue-Straniere-Perchè-Tanto-Il-Tedesco-Lo-Parlano-Tutti.
 
Non fatemi quelle facce, sono solo i Tokio Hotel.
 
Perchè mi suonava qualcosa di tremendamente simile a "prove con i Tokio Hotel", e la parola "concorso"?
 
(...)
 
Oh, perbaccolina.
Oggi era il concorso.
 

 
Io urlai, mia madre pure, e credo che anche il mio gatto lo avrebbe fatto se solo avesse saputo urlare.
No, si limitò a piantarmi gli artigli nel piede, quel gran...
 
Ehm.
 
Glissiamo.
Mi catapultai fuori dalle coperte con un urlo selvaggio, guardando l'orologio, accertando che avevo solo uno scarto di cinque minuti per prepararmi degnamente ad un concorso che era il sogno di tutta la band, di tutta la Spagna, di tutta Europa e di tutte le fan di quei quattro schizzati.
 
Avevo passato ore, nel garage  di Jules, a provare e riprovare, e creare e modificare il nostro repertorio, battendo sui piatti e distruggendomi le dita sui tamburi.
Era stato un grande sacrificio, ma eravamo tutti riusciti a sopravvivere: chi all'università e chi al bachillerato.
 
Ed oggi era il gran giorno.
Ed io ero in un ritardo mostruoso!
 
Aprii l'armadio, afferrando il primo cambio che avessi sottomano.
Mia madre, capendo l'antifona, mi lanciò una mela e le chiavi della moto sul letto, esattamente quando finii di vestirmi.
 
Occhiali dalla montatura nera, zero trucco, uno schiaffo di acqua gelida sul viso per togliere gli ultimi residui di sonno ed i capelli tenuti a bada da un paio di bacchette d'argento.
 
Con uno scatto da far inividia ad un centometrista olimpico, afferrai lo zaino, le bacchette della batteria finirono nelle tasche profonde dei jeans, salutai mia madre e infilai la porta di casa.
 
Da far invidia ad una smaterializzazione di Harry Trotter.
 

 
Il tutto può essere riassunto in un susseguirsi di suoni.
 
-¡Coño, mira adonde vaaas! { Qualcuno che diceva morte e peste della mia guida.}
 
Screeec! {Strisciata della moto all'incrocio. Ovviamente era rosso, e io, ovviamente, me ne fregai.}
 
-¡El rojo, hijaputa! {fine imprecazione da parte del tassista di turno. per aver passato con il suddetto rosso.}
 
Anf, anf. {La sottoscritta correndo per le vie del centro, alla ricerca dell'edificio CajaSol, dove si sarebbe tenuto il concorso.}
 
-Ma sei arrivata dal Burundi, tu?! {La voce ansiosa di Carmen, scuotendo i rasta.}
 
{Passi di corsa sulle scale.}
 
Un'attesa di appena cinque minuti, dato che agli altri era toccato fare la coda per me, e fummo fatti entrare.
 

 
-Allora, gruppo 567... il vostro nome?
 
Carmen, si fece avanti decisa.
Se era preoccupata non lo dava decisamente a vedere. Sembra la stesa faccia di bronzo di sempre, ma io sapevo che, sottosotto, aveva una paura micidiale.
 
-The Skylight.
 
Sguardo distratto da parte della segretaria, mentre un uomo picchiettava impaziente la sua stilografica.
Un terzo ometto pelato appuntò il nostro nome, chiedendoci altre formalità.
 
-Vocalist?
 
Sollevò un momento gli occhi dal foglio, il giusto per osservare la bassottina coi rasta bianchi e la pertica bohemienne dire il loro nome.
 
-Carmen Medina-Müller e Eduardo Ramirez-García.
-Chiatarrista?
-Gli stessi vocalist.
 
I presenti inarcarono le sopracciglia, ma senza mostrarsi troppo sorpresi. dovevano averne viste di tutti i colori, quel giorno.
 
-Bassista?
 
Un biondino dall'aria angelica e con il pircing al labbro inferiore disse allegramente il suo nome.
 
-Jules Uturria-Gramont.
 
Aria scettica verso il nostro bassista. Più che altro verso i suoi tatuaggi così colorati.
 
-Batterista?
 
Un'occhiata distratta all'ultima rimasta appoggiata al davanzale della finestra da cui penetravano caldissimi raggi di sole, ad i suoi pantaloni larghi ed ai suoi occhiali dalla montatura nera. ai suoi capelli raccolti da due bacchette argentate, ed alle sue mani che distrattamente facevano muovere una bacchetta.
 
-Milena Macchi.
 
Un cenno d'assenso da parte dell'omino pelato e dagli occhi troppo piccoli. Stancamente, si diresse verso una porta bianca opposta a quella da cui eravamo entrati. tutti lo seguivamo con lo sguardo, imbracciando i nostri strumenti, chi li aveva, o le sue bacchette, come me.
 
Ci guardammo, quasi a rassicuraci circa una nostra possibile riuscita. espressione determinata, sorriso sulle labbra, no panic, no fear.
 
E quando l'omino aprì la porta, fu come se ci avesse aperto la porta della rivalsa, del riscatto.
Una stupida porta bianca che speravamo ci avrebbe dato quella possibilità di gridare al mondo: ehi, ci sono anch'io.
 
Un sospiro silenzioso risuonò per la stanza, mentre ci si avviava tranquillamente verso la sala prove.
 

 
-Avete a disposizione tre canzoni. Una dovrà essere dei Tokio Hotel, l'altra una cover di un qualsiasi altro artista e la terza una vostra creazione.
 
L'omino si posizionò dietro la vetrata della sala prove, mentre tutti noi prendevamo posto.
 
Jules imbracció la sua bestia, un Sandberg da un anno di risparmio costante, senza discoteca e dietro la cassa di un Burger King, il tutto per un essere di prima qualità, verniciato in un discreto nero a righe bianche.
Si lambì nervosamente il pircing con la lingua, mentre una mano correva a sistemare il ciuffo biondo. La maglietta grigia lasciava intravedere due dei suoi quattro tautaggi: una stella sul braccio sinistro ed uno stemma sul braccio destro. Jules trasudava inchiostro, il tutto per ricordargli tre o quatro avvenimenti che gli sconvolsero la vita: aveva sempre avuto la paura di dimenticare cose, o di perdere la sua strema dolcezza per strada. Dolci occhi castano chiaro si diressero verso di me, facendomi un'occhiolino simpatico.
 
Eddie si sistemò le maniche della camicia dalla fantasia a rombi bianchi e neri, mentre i capelli castani e mossi velavano lo sguardo freddo dei suoi occhi verdi. Le labbra sottili erano perennenente piegate in una smorfia di noia, derivato da un'autostima inspiegabilmente alle stelle.
Si passò una distrattamente mano sul mento, mentre la sua bella, una Gibson che da sola valeva due anni di stipendio di un impiegato medio spagnolo e che per lui non erano niente, pendeva dalla sua spalla. Alto ed altletico, svettava su tutti noi di quasi cinque centimetri.
 
Lanciò un'occhiata complice a Carma, che si passava la chinghia della sua chitarra sopra la voluminosa capigliatura rasta, dall'inquietante colore bianco. Si aggiustò con cautela la fascia di paillettes grigie che manteneva il groviglio in relativo ordine, mentre con l'altra mano si preoccupò di sistemare la sua Gibson di uno squillante colore blu elettrico.
Hippy, gotica, nevrotica e tappa. Nonostante tutto, l'anellino al centro del carnoso labbro inferiore ed il trucco grigio e violetto le davano un'aria angelica. Smentita da un onnipresente sorrisetto sardonico e dalla scintilla vivace nei suoi occhi blu scuro.
 
Io, nel mentre, finii di mettermi il nastro adesivo bianco sulle dita. Ogni falange delle mie dieci dita era protetta, e riuscivo a muovere perfettamente ed indipendentemente ognuna di esse.
 
Era un gesto che avevo sempre considerato pari ad un rito, e per il mio carattere flemmatico tendente all'isterico era un vero toccasana.
 
Sorrisi tranquilla, mentre sgranchivo la schiena e le braccia. Mi sentivo pervadere dall'adrenalina, e questo era sempre un buon segno.
Rivolsi la mia attenzione a quel gran pezzo di batteria che avevo di fronte. Fischiai ammirata mentre accarezzavo distrattamente i piatti della batteria. Ogni suo componente era delle migliori marche, dai tam-tam alle grancasse, passando per i piatti. Vi era una possibilità di suono eccezionale, e se il batterista dei Tokio Hotel aveva quello stesso modello... Beh, aveva tutta la mia ammirazione, oltre che la mia invidia.
 
Le bacchette volteggiarono veloci tra le mie dita, e mentre aspettavo che tutti fossero pronti, mi esercitai in un assolo, giusto per prendere confidenza. oltre che per stupire gli evntuali giudici.
 
Modestia portami via!
 
Non era la mia cara, vecchia Berta, ma si poteva fare.
 
I miei occhi grigi osservarono il gruppo.
Eravamo ok, avevamo tutto in regola per vincere.
E perchè non farlo?  
 
La voce rauca e strascicata di Eddie fu quella che parlò per tutti.
 
-Allora... inizia Carma con "Dar Letzte Tag", poi io con "Wonderwall" e concludiamo con "I'm sorry", sempre Carma.
 
Annuimmo, chi serio, chi allegro e chi nervoso.
 
-one, two, tree.
 
Con una sincronia perfetta, attaccammo.
 
Here we are people. Here. We. Are.
 
-...-
 
-Oh. Mio Dio. Ohmmioddiooo!
 
Carma saltellò di gioia di quà e di là, agitando la folta capigliatura, incurante della possibilità del poterci cadere dal parapetto del ponte di Triana.
Le macchine sfrecciavano veloci alla nostra sinistra, lasviandoci a mordere la polvere,  mentre il sole abbrustoliva asfalto e passanti.
 
Trent’otto gradi c’erano e si facevano sentire!
 
-Senti, Mocho, è tutto ok...
 
Intervenni io, quasi infatidita da tutta quella allegria.
Lei si girò verso noi tre che la seguivamo, tranquilli ma soddisfatti.
Il suo sorriso da un orecchio all'altro era tutto un programma.
Gli occhi brillavano di gioia e non avebbe permesso a nessuno di classificare l’evento come “ovvia routine”.
 
-Santissimo, non abbiamo mai, e sottolineo il mai, suonato così bene!
 
Saltellò ancora per ribadire il concetto, la gonna in tulle grigio come una nuvola attorno a lei e l'espressione sognante sul suo viso da folletta.
 
-Effettivamente... quella sì, che era armonia.
 
Eddie si aggiunse, sorridendo obliquamente. L'andatura svagata, l'espressione indolente, mentre con una mano si scompigliò i capelli, gesto che mandò in visibilio due o tre ragazzine circostanti.
 
-Giusto!- ridacchiò allegramente Jules -altri due concerti del genere, ed avremo i locali di Siviglia ai nostri piedi.
 
La sua pelle pallida riluceva al sole, una cuffia del'i-pod pendeva onnipresente dall'orecchio destro ed una dolce espressione di pacificità e soddisfazione gli rilassava i lineamenti.
 
Inarcai il sopracciglio e schioccai la lingua, scettica. Le mani stancamente affondate in jeans troppo larghi, il contrasto tra la mia pelle abbronzata ed il bianco della mia maglietta smanicata, la felpa che dondolava dai miei fianchi troppo rotondi per falcate troppo amplie.
Schioccai la lingua un'altra volta, scazzata, per attirare meglio l'attenzione.
 
-Dubito che i bar de tapas cambieranno il classico flamenco per qualcosa che sembri lontanamente straniero... eeeeh, no- stroncai sul nascere le proteste di Jules con un gesto secco della mano. - I bar dell'Alameda hanno già i loro gruppi fissi. Non li cambieranno per un gruppo di novellini come noi, lo sai.
 
Conclusi il mio discorso con una nota sarcastica ed una smorfia acida sulle labbra, senza guardare nessuno in particolare e impegnata a liberare le dita dello scotch bianco che aveva protetto le mie dita durante il saggio.
 
Improvvisamente un braccio magro circondò la mia testa, e subito dopo una mano passò tra i miei capelli neri, scompigliandoli e facendomi male. 
 
-Ah, com'è pessimista, la nostra italiana preferita... Su con la vita, che fino a prova contraria è solo morto Nietzsche, e non Dio!
 
Risata generale, anche da parte mia. Essendo quella del gruppo che vede il bicchiere perennemente mezzo vuoto, sono abituata a prese per il culo varie ed eventuali. Nonostante tutto, Jules era convinto che un giorno anch’io avrei iniziato a credere al suo "make love not war".
Mezzo francese e mezzo vasco, presenza costante e amico fidatissimo, leale ma, soprattuto, ascoltatore e comprensivo. Una persona che dopo dieci anni che la conosci ti fa ancora dubitare il tuo meritartela.
 
-Che vuoi che sia? Per lei il mondo è una continua gradazione di nero!
 
Nonostante Carma parlasse così, non era messa meglio di me. La mia igliore amica era indisponente e sarcastica come un gattino, i suoi artigli ferivano, ma sensibile e fragile come un poeta romantico dell'ottocento, le sue pippe mentali erano il non-plus-ultra per un'emicranea assicurata.
Per lei Murphy, con tutta la sua sfiga, sarebbe stato l'amante perfetto. In diretta da Berlino e da Siviglia, ecco a voi la scalmanata Müller. La famiglia è quello che si sul defnire “un’emerita sconosciuta”. Ricca come pochi, ma sola come troppe persone a questo mondo.
 
-O di verde... non dimentichiamoci che ha strane e turpi passioni per i prati...
 
Risata generale, verso indignato da parte mia.
Eddie, semplicemente era fashion victim, international pepole, oltre che gran menefreghista. Spagnolo, sevillano da generazioni, ma assolutamente discostante dal prototipo internazionale. Più grande tra tutti noi, già da un anno e mezzo all'università. Maturo, anche se a volte si dimentica tutta questa sua supposta saggezza. Difficilissimo entrare nelle sue grazie e difficilissimo uscirne, e noi altri ancora ci si chiedeva come mai ci fossimo finiti proprio noi.
 
Mi guardò di sbieco, per poi sistemarmi una ciocca dietro l'orecchio.
Mi sorrise, tranquillo, mentre Jules e Carma cercavano di scaricare l'uno sull'altro il peso degli strumenti, dato che la prima legge universale non scritta sancisce che: Eduardo non porta MAI la sua chiatarra. Che gli altri si arrangino come possono, che non è affar suo.
 
Mi diede un colpetto sulle spalle.
-Se son rose, fioriranno.
 
Spaziando con la vista sul ponte in ferro battuto di Triana, con di fronte a me la grande giratoria di Plaza Argentina e i grandi blocchi di palazzi residenziali, le insegne di allucinanti colori di marche di alcolici e macchine, osservando il verde polveroso dell'acqua del Guadalquivir ed il cielo di un vivido azzurro, così enorme sopra Siviglia, mi ripetei tra me e me le sagge parole di Eddie.
 
-Se sono rose, fioriranno.
 
E corsi verso i due casinari, pronta a lanciarmi nella mischia, ed uscirne morta di risate.
 
...
 
Sì, decisamente quella non era giornata.
 
-Mamma!
 
Una risposta stanca proveniente dalla cucina mi avvertí che mia madre non era in vena di scazzi, oggi.
E la mia voce acuta e con un evidente tono da sto-per-rompere, ne era la prova.
 
Mi affacciai sulla soglia, osservando la mia giovane, ma non per questo meno hitleriana, mütter pelare le cipolle. Senza neppure piangere, tra l'altro.
Era più probabile che piangessero prima loro, che lei.
 
-Mamma- ripetei -nè che hai visto le mie bacchete, vero...?
 
Mi preparai mentalmente a ripercorrere il copione.
 
Mia madre avrebbe consigliato di guardare sotto al letto, come sempre...
-Hai guardato sotto il letto?
 
Appunto. Ccchi al cielo da parte mia e sbuffare scocciato.
-Sììì, già fatto...
 
Pcchiata scettica e raggelante da un paio di occhi verdazzurri che ricordavano il mar mediterraneo.
 
-No, che non l'hai fatto.
 
La guardai, stupita. Come kaiser faceva a saperlo?
 
-E tu...?
-Non hai nugoli di polvere sui capelli, e non ho ancora sentito un'esclamazione schifata riguardo al pezzo di pizza che, guarda caso, non trovavi più... E vorrei ricordarti che ne sono passati tre di giorni da quando hai ordinato e perduto quella pizza...
 
Ridacchiai, imbarazzata.
Sorriso obliquo da parte di mamma, impegnata nella preparazione del famoso pollo al curry.
 
Rassegnata, andai in missione sotto al letto, e, dopo un'efficace e quanto mai perglioso slalom di insidiosi oggetti (tranci di-non-so-che-cosa, molle, resti di civiltà scomparse, peluches, riviste per un pubblico femminile ma vietate ai minori, che di certo non si dilungavano nei pregi di una vita bucolica), recuperai con esito le bacchette ed il mio paio di  calzini fortunato (ovviamente verde) e andai vittoriosa in cucina da mia madre.
 
-Ah-ah! Veni-vidi-vici! Altro che cesare...
 
Le diedi una bacio frettoloso sulla guancia, tra la padella dell'olio ed il tagliere infarinato.
 
Era ormai passata una settimana dall'esibizione e me ne avevo fatto una ragione di tutto quell'anno sprecato in prove con la band. Avevo rinunciato ai miei sogni di gloria ed ero tornata la solita allegrona.
Incredibile ma vero, anch'io posso esserlo.
 
Stavo andando appunto a delle prove con i miei amici.
Ufficialmente. Ufficiosamente, ero pronta per andarmene in girella.
 
Ma mia madre non era dello stesso avviso.
Mi bloccò con un'ironico -e tu, dove pensi di andare...?
Bloccandomi sulla soglia.
Acci.
 
Deglutii, indicando la porta con la vaga speranza di scamparmela all'ultimo minuto.
-Vado a delle prove con gli altri...? Daaai!- le chiesi supplicante vedendo la sua occhiataccia molto poco materna -sono in ritardo da mezz'ora...
 
Risolino perfido da parte sua.
 
-Ci pensavi mezz'ora prima, milena.
Buttò i pezzettini di pollo insalsati nell'olio, e quelli gemettero con uno sfrigolio solidale.
 
Quella era la frase tipica, seguita da un classico “ed il salotto, pensi che si trovi bene, così com'è?" o un fantasiosissimo ""fatti la stanza, nonostante tu la trascuri, lei ti ama ancora. o non capisco come faccia il letto a non sputarti fuori da quel groviglio di coperte tutte le notti per vendetta".
 
-Amò, pensi che riuscirò a passare l'aspirapolvere in camera tua senza incontrare qualcosa di molto simile al caos primordiale?
 
Questa donna mi sorprende sempre.
 
-Beh, se non toccassi il pavimento, o respirassi l'aria, o cercassi di scalfire lo spazio fisico e metafisico della mia stanza, potresti sopravvivere...
 
Scosse la testa, divertita, poi con un imperioso ed implacabile gesto della mano, mi diede la mia condanna.
 
-Fila riordinare, sfaticata.
 
Le tentai tutte per corromperla, ma dopo che neppure un massaggio al collo ebbe i risultati sperati, mi limitai a sbuffare, per poi dirigermi mogia in camera mia.
Solitamente non ero così obbediente, ma sì ci tenevo alla mia vita, ed oggi era uno di quei giorni in cui o si ubbidisce, o si finisce veramente male.
 
Con un passo strascicato mi diressi in camera mia, afferrando nel frattempo il cordless dalla consolle del corridoio.
 
Era strano il fatto che un paio d'italiane come me e mia madre si trovassero catapultate in una città così distante dalla loro, come lo era Siviglia.
Scherzi del destino, o dei bandi di concorso universitari, è la stessa cosa.
 
Incredibile anche come io e mia madre fossimo così diverse.
Allegra, spigliata, e capacissima di fare le ore piccolissime con i suoi amici, lei.
Timidona tendente all'aggressivo, di quelle che la notte tornavano massimo alle due e decisamente lunatica, io.
 
Eravamo all'opposto, e meno male. Vivere con il doppio di una di noi due, sarebbe un incubo.
 
[Ancora non sapevo che quello sarebbe stato il mio incubo in futuro...]
 
Mi buttai sul letto e composi un numero che sapevo a memoria.
 
-Hallo?
-Wie geht's, Carmen?
 
La sua voce ridacchiò allegra, rispondendomi in un perfetto tedesco. Eh, ‘sti bertoli, lei ha origini tedesche e gioca sporco. Io, povera mortale, devo studiarlo e sudarci sangue come tutte le persone di questo mondo che non sono nate crucche o non sono cresciute in Cruccolandia.
 
-sopravvivo, Milo. Da sola, visto che i miei non ci sono. Deduco dal tono che il tuo tentativo non l'ha sfangata...
 
Sbuffai, scocciata, mentre con gesto distratto afferravo una freccetta, calibrando il tiro e prendendo la mira.
 
-Eh, no. Inventarsi che dovevo venire a delle prove non ha funzionato. Te l'ho detto, mia madre ha il sensore per queste cose.
 
Ready... Set... Go! Ed ecco che sul labbro di Tom Kaulitz si ferma vibrando una freccetta. Originale, l’utilizzare un megaposter dei Tokio hotel come valvola di sfogo e come bersaglio per le freccette.
 
-Deduco dai tuoi gridolini di gioia che ancora una volta hai preso di mira il piercing di Bill Kaulitz!
 
Disse Carma, a metà tra rassegnata e divertita.
 
-Ma no.
 
Breve pausa ad effetto da parte mia.
-Volevo ben vedere, lasciami stare bill.
Continuai io, serafica.
-Questa volta è toccato a Tomi.
 
Sbuffo da parte della hispano-germanica.
-Sei incorregibile, adesso vengo io e li salvo tutti, ecco.
 
Ridacchiai.
-Ottimo, Carmencita.
 
Ringhiò.
-E non chiamarmi Carmencita.
Continuai, imperterrita.
-Carmencitaaa...
 
Lei, assolutamente tranquilla, buttò lì un vago- Non trovi che i centri da freccette interattivi siano più divertenti...? Perchè non utilizzare te, la prossima volta?
 
Mi finsi sconvolta.
-Mi arrendo, mamma ha preparato pollo al curry per pranzo.
 
Gridolino estasiato da parte sua.
-Di’ a tua madre che la amo, e tu- aggiunse ringhiando- non toccare più quel poster finchè io non posso materialmente difenderlo.
-Provvederò a crivellare Georg, allora. Ma Yoghi non lo tocco, don't worry...
 
E chiusi la telefonata, prima che potesse replicare.
 Mi buttai sul letto, letteralmente, affogando in un marasma di piumoni e coperte.
In quell'afosa mattinata dell'estate dei miei diciottanni, ero sicura di poche cose.
 
1- Non avevo vinto quel concorso, non ostante ce l'avessi messa tutta.
2- Odiavo i tokio hotel con perseveranza incredibile da parte di una pigrona ed indolente come me.
3- Non avrei avuto mai la sfiga d'incontrarli. non sia mai che cotali dei si mischino a semplicissimi mortali...
 
4- Mi amavo!
 
Naturalmente, mi sbagliavo su tre punti di quattro.
 
 
...
 
 
No. Mi rifiuto categoricamente di crederci. tutto questo non è vero.
 
Sro appoggiata alla porta della cucina, con l'incarico di andare a prendere qualcosa da bere per tutti. Mi passai le mani sulla faccia accaldata, ancora in stato di shock.
 
Mia madre non stava parlando un fluido e formale tedesco con David Jost, il menager dei Tokio Hotel.
In salotto non c'era, non c'è e non ci dev'essere nessun menager che mi dice che ho vinto IL concorso.
Eh, no, non avevo nessun biglietto prenotato per un kaiser di treno che da lì a due giorni mi avrebbe portato da Siviglia a Madrid, dove i Tokio Hotel stavano tenendo il loro ultimo concerto della stagione.
 
E che caspio, il destino dovrebbe avvertirti, quando sta per cambiarti le carte in tavola.
 
Ero appena tornata da un’intensa sessione di pattinaggio quando, appena svoltato l'angolo, avevo notato subito che c'era qualcosa che non andava.
 
Che caspio ci faceva una BMW descapottabile ultimo modello ed un SUV nero in fila indiana e con un allineamento talmente esatto che sembrava fosse stato fatto con una riga a controllare le distanze, sotto casa mia?
 
Deglutii, trovandomi a fare i gradini di casa a quattro a quattro. Aprii la porta di casa di schianto, precipitandomi dentro.
 
-Mà! Stai bene?!
 
Una voce allegra proveniente dal salotto, mi informò che mia madre era ancora viva, e no, la mafia non stava cercando di torturarla per avere in affidamento la quarta meraviglia universale.
 
Che sono io, ovvio.
 
Con il fiato corto, mi precipitai in salotto, passando per l'anticamera verde acqua, il corridoio ocra e bianco ed arrivando nel succitato salotto bianco ghiaccio.
 
Mi avvicinai a mia madre, dandole un bacio sulla guancia, frutto della mia preoccupazione.
Poi osservai l'uomo che sembrava lievemente a disagio dalla situazione così intima. Sembrava simpatico, ma si vedeva lontano un miglio che non era di quei menager che descrivevano nelle pubblicità e nei film di serie Z. No. Lui era della nuova razza, quelli dal completo dal taglio sportivo, senza valigetta in pelle e cellulare all'orecchio ma con laptop-pc e Ray-Ban a goccia.
 
Poggiai una mano sulla spalla di mia madre, rimandendo in piedi. Indossavo ancora i miei roller-blade.
Cosa che l'uomo notò e indicò, sorridendo.
 
-Oh, esercizio fisico. credo che andrai decisamente d'accordo con Gustav.
 
{ Quale gustav?}
 
Lo disse in inglese, ma mia madre rese nullo il favore, dato iniziammo a parlare tedesco tutt’e due.
 
-Milena, questo signore è David Jost, il menager dei Tokio Hotel, oltre che ambasciatore della lieta novella.
 
Mia madre mi sorrise, rassicurante.
Deglutii.
No, non dirlo. Mi ritrovai a pregarla.
 
-Milo, i Skylight hanno vinto il concorso.
 
Oh, mammina santissima.
Riuscii a conservare il sangue freddo, dopo tutto. Caspio, che flemmatica.
Tesi la mano, seria. Un piccolo sorriso di circostanza increspò le nostre labbra.
 
-Piacere, Milena Macchi.
 
Here we go. Here. We. Go.
 
-...-
 
-No.
-Sì.
-Nonono.
-Sììì.
 
Ripetei io, scazzata. Mi attorcigliai il filo del telefono sull'indice, mentre gli occhi correvano a sincerarsi della presenza di quei pass che avevo buttto sul letto quasi con rabbia, mezz'ora fà.
 
-Ripetimelo tutto, non ci posso credere!
 
Sbuffai, strofinandomi gli occhi.
 
-Sì, abbiamo vinto quel dannatissimo concorso. E no, non è un sogno. E sì, tra meno di una settimana vedrò quei mocciosi per un primo impatto.
-Oh, perbaccolina.
 
Ecco. Sì, perchè noi siamo educate, ed essendo delle rocker dure e pure, non bestemmiamo mai.
Vi prego, tiratemi fuori di qui. Tiratemi. Fuori. Di. Qui.
 
 
.-.-.-.-.-.-.-.
 
Avverto, non so se la finirò mai questa ff.
 
Per il resto:
 
Dar Letzte Tag – Tokio Hotel.
Wonderwall – Oasis.
I’m Sorry – Flyleaf.
 
Per adesso, la nostra Milo sembra essere disposta a tutto meno che a una convivenza pacifica.
Riusciranno i Tokio Hotel a non decidersi ad effettuare il primo batteristicidio di massa della storia?
Chi sarà il fortunato (ma anche no) a beneficiare delle attenzioni di Milo?
Riusciranno ad integrarsi i membri delle due band?

Lo sapremo alla prossima puntata. <3<3<3
 
Credo che sarebbe enormemente proficuo per me ricevere mazzate, critiche o benedizioni.
A vostra scelta.
 
Bexotes!
 
 

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Capitolo 2
*** The Calm Before The Storm ***




-Oh, no.

 
Guardai Gustav con un'espressione di puro orrore. Lui mi osservò di rimando, scettico.
Deglutii sonoramente.
Lui, implacabile, si limitò ad annuire.
 
-Non era oggi l'incontro... vero, Gustav?
 
Georg alzò gli occhi da sopra il bordo del suo giornale, interessato.
Tom, con espressione smarrita di fronte a quello spettacolo, spense l'mp3.
 
...
 
Una porta di cristallo polarizzato, una stanza verniciata di verde scuro, un enorme finestra a mezzaluna sul lato destro di un lungo tavolo di mogano, delle sedie imbottite dagli alti schienali, varie poltrone con tanto di tavolino in un angolo dell'enorme sala.
 
E su quel tavolino, oltre a un'impressionante varietà di lattine di redbull, bicchieri di caffè, riviste esperte in anatomie femminili e libri di poesie, cartucce di cioccolatini ed un paio di bacchette, riposavano i piedi di due dei quattro ragazzi presenti in sala.
 
Vi sarebbe stato un silenzio perfetto, spesso come l'inerzia e semplice come la noia, se non fosse stato per qualche commento sparso quà e là.
Un silenzio imperfetto, dunque, rotto dall'improvviso tonfo di un libro caduto per terra, oltre che da un urlo isterico.
 
-Argh! Era oggi!
 
Gli altri tre non reagirono, abituati alle crisi istantanee e del tutto ingiustificate del loro vocalist.
 
Gustav fu il primo malcapitato su cui si posarono gli occhi di Bill, in una disperata ricerca di qualcuno che potesse risolvere il suo amletico quesito. Trovando il biondo con lo sguardo perso nell'infinito, il ragazzo pensò bene di dedicarlo ad un compito di più elevata utilità, quale l'aiutare se medesimo.
 
Artigliò con chirurgica precisione il braccio destro del batterista, scuotendolo dal suo torpore e provocando un urlo scandalizzato di questi.
 
Perchè Gustav odia che lo si distolga dai suoi pensieri.
Odia che non si rispetti il suo desiderio di concentrarsi in qualcosa che non sia strettamente relazionato a una batteria.
E quando Gustav trova che non lo si rispetti, tende a dare di matto.
 
Bill deglutì all'occhiata gelida del biondo, decidendo però di non demordere.
Era una questione di vita o di morte.
Per lui.
 
{ E dato che il genere umano aveva una relazione stretta con Bill Kaulitz, anche per il genere umano era una questione di vita o morte. }
 
-Inizia a scollare quella mano dal mio braccio, Kaulitz maggiore, e poi ne riparliamo.
 
Ringhiò il batterista. Il vocalist obbedì, con una punta di sincero panico.
 
Strofinandosi il braccio dolorante, Gustav sospirò, abituato ormai al modo di fare di Bill: tutto e subito.
Quindi meglio accontentarlo e toglierselo dai cosiddetti nel più breve tempo possibile.
Lo guardò un'ultima volta di sbieco, giusto per sincerarsi che non fosse misericordiosamente sparito in una nuvoletta di fumo, per poi sospirare rassegnato vedendo che era ancora lì a guardarlo implorante.
 
-Sputa il rospo, Bill. Che c'è?
 
L'interpellato fece il gesto d'inchinarsi all'amico, un po’ perchè gli dispiaceva, un po’ per sdrammatizzare ed un po’ perchè lo temeva sul serio quello sguardo alla "io uccido".
 
-Gustav, oh grande Dio della precisione, ti ricordi forse per quando sarebbe stato l'arrivo della band del concorso?
 
Il biondo lo guardò scettico, continuando a massaggiarsi il braccio. Per poi ridacchiare sardonico. Sapeva che Bill attendeva quella data con ansia, sapeva che l'odiava.
 
-Era il due luglio, carissimo. Perchè...?
 
Bill si portò una mano ai capelli leonini, cercando di ricordarsi esattamente la corrispondenza di quel maledetto due luglio.
Che, come Gustav ben sapeva, cadeva esattamente...
 
-Oggi.
La voce di Bill era terrorizzata e schifata, con una punta di delizioso orrore.
-Oggi.
Confirmò la voce sardonica ed un po’ annoiata di Gustav.
-Oggi?
La voce di Georg era tranquilla, forse annoiata come quella del secondo, ma con una punta di sincera curiosità.
 
-Oggi che, ragazzi?
Ed ecco la voce fuori dal coro.
I tre sospirarono, per poi guardare il quarto ragazzo, stravaccato come un re nella sua poltrona, in mano il suo fedele mp3 appena spento e con l'aria di chi si crede circondato da matti che parlano per indovinelli.
 
{ Non che andasse troppo lontano dalla verità, poi. }
 
Bill non gli rispose, limitandosi a torturarsi le mani, perso in chissà quale trip mentale; Georg, che non aveva voglia di ricapitolare il tutto, si rituffò nel lettura di Playboy con una velocità allarmante che sicuramente non era frutto di un amore incondizionato alla lettura.
Gustav, sospirando, maledicendo i compagni pigroni e ritenendosi un Budda in procinto del nirvana, s'incaricó di spiegare a Tom-cado-dalle-nuvole-Kaulitz dove erano, che ci facevano e come ci erano arrivati, oltre che chiarigli tutto di questo cosidetto "concorso".
 
Si notava che Tom non filava di striscio gli eterni discorsi di David Jost, il loro manager.
 
-Tom, ti ricordavi quel video che abbiamo visto la settimana scorsa...? Sai, di quel gruppo che dovevamo valutare...?
 
L'altro annuì, poggiando l'I-pod dagli ‘anta giga sul tavolino per afferrare l'ennesima lattina di Redbull, il tutto senza staccare gli occhi dall'amico.
Georg, scampato il pericolo di dover spiegare una cosa che non aveva capito bene neanche lui (e con questo il povero David avrebbe dovuto farsi un serio esame di coscienza: erano i Tokio Hotel di gran menefreghisti, o era la sua voce ad essere così monotona?) sollevò gli occhi dall'intervista a Monica Bellucci per rivolgersi dubbioso a Gustav.
 
-Euale, quello con la cantante che sembrava un incrocio tra i capelli di Tom, il fisico di Bill ed il guardaroba una hippy e la batterista gnocca?
-Sempre così fine, lui...
Sospirò esasperato il batterista, gli occhi in gloria, per poi annuire.
L'espressione assolutamente persa di Tom, con tanto di bocca aperta e Redbull in mano, lo incitò ad andare avanti con la spiegazione.
 
-Beh, il video l'abbiamo visto per decidere di premiarlo o no, quel gruppo.
 
L'espressione Tom era sempre più incredula.
 
- Sì, ok, bella musica. Ma loro con noi che c'entrano, scusa?
 
Gustav sospirò, affranto, mentre Georg aspettava placidamente che qualcuno continuasse.
Bill si riscosse in quel preciso momento, scuotendo la testa come se avesse ricevuto una mazzata. O una scossa elettrica, tanto la capigliatura elettromagnetizzata l'aveva già.
 
-C'entra che loro saranno il nostro gruppo spalla!
Il tono era assolutamene tragico, cosa che provocò un'alzata di sopracciglio da parte di tutti.
 
-Ma noi non abbiamo bisogno di un gruppo spalla!
Tom era stupito dall'assurdità detta da Bill. La lattina ballava temeraria nella mano di Tom, ed il suo gesticolio minacciava di gavettonare Georg, il quale si riparò prontamente dietro alla sua rivista pensando all'effetto che avrebbe fatto il contenuto ai suoi capelli.
Per distrare Tom, e fermare il suo pericoloso gesticolio, decise d'intervenire.
 
-Casini interni della Universal, hanno bisogno di nuovo carburante, un gruppo giovane che possa esserci degno compagno. E Tom, per Diana, fermo con quella roba!
 
Il chitarrista l'osservò, stupito, per poi collegare che oh-oh era sua la mano che reggeva quella lattina ballerina! La bevve in tre sorsate, per poi lanciarla, con una mira che avrebbe fatto l'invidia di qualcuno di nostra conoscenza, in un cestino della spazzatura lì vicino con gran felicità del bassista.
 
Osservò sconsolato la faccia preoccupata di bill.
-Gran bella cazzata.
Sospirò, aggiustandosi distrattamente la visiera dell'onnipresente cappellino.
 
Bill si prese la testa tra le mani.
-Si chiamavano... The Skylight, no?
 Chiese Georg curioso, girando pagina.
-Che nome idiota.
Confermò con voce sepolcrale Bill.
 
-Mai quanto Tokio Hotel con "I" latina, ma sorvoliamo.
 
Una voce sconosciuta era intervenuta, facendoli tutti e quattro sobbalzare dallo spavento. Presi dalla discussione com'erano non si erano resi conto che nella stanza confrenze era entrata un'altra persona.
 
-Scusate il disturbo ragazzi, ma sto cercando il vostro manager, David Jost.
 
L'intonazione era seria e fredda, mentre la voce bassa e roca.
E apparteneva ad un corpo non meno sensuale della voce.
 
Una donna di aprossimativamente trent'anni, dalla pelle color cioccolato, freddi occhi color ambra e mossi capelli neri tagliati corti.
 
La mano sinistra era appoggiata con noncuranza sulla spalliera della poltrona di Tom, che la guardava dal basso verso l'alto come se avesse visto la madonna.
 
O Pamela Anderson in costume da bagno, dipende dai punti di vista.
 
Georg aveva lasciato perdere le bellezze cartacee del Playboy per una bellezza molto più arrapante e, soprattutto, presente.
Gustav la guardava con un sopracciglio doverosamente inarcato, dubbioso per l'ironia di prima riguardo al loro nome.
 
Bill era la scetticità in persona.
 
-E lei chi sarebbe, scusi?
 
La donna, non facendo una piega, inclinò appena il capo verso il cantante.
 
-Donna Urielson, manager dei Metheora. No, non sono un paparazzi, non vi voglio ricattare, e sono riuscita a passare essendo almeno dieci centimetri più bassa della vostra guardia del corpo più smilza. Chiarito che non sono un pericolo in gonnella per i Tokio Hotel, potrei sapere dove posso trovare il Mr.Jost, informazione che sto aspettando da cinque minuti buoni?
 
I quattro deglutirono rumorosamente.
Quella donna avrebbe potuto contendere tranquillamente a Bill il primato per la parlantina più rapida del West.
E se qualcuno poteva contendere qualcosa a Bill, beh, allora avrebbe potuto creare la sua stessa dose di guai.
 
Tutta la situazione puzzava di cambiamento, se di cambiamento si può parlare per quattro ragazzi che non dormivano nella stessa stanza d'albergo per più di tre giorni di seguito e che non vestivano più di tre volte la stessa maglietta.
 
Quella manager troppo seria che si stava ora dirigendo versa la porta indicata da Georg preannunciava guai.
Quel gruppo nuovo con cui avrebbero dovuto suonare, preannunciava guai.
 
E poi, che altro?
 
Era la tacita domanda che i quattro si posero osservandosi preoccupati, nel silenzio di quella stanza troppo grande.
 
...
 
-No, no, e no!
-Milo, non rompere e staccati da quella porta.
-Nooo!
 
Ok, è defitivo. Più definitivo del definitivissimo definitesimale.
 
Odio i Tokio Hotel.
Mi stanno profondamente antipatici.
Sono i guastafeste della mia vita, oltre che i rompiballe della mia esistenza.
 
E tutto perchè, per colpa loro, non ho potuto vedere quello speciale degli Yellowcard su Mtv.
 
È per questo che ho deciso di far incazzare tutti non staccandomi dalla porta della mia stanza d'albergo.
Una delle tante che, da adesso in poi, dovrò chiamare casa.
 
Le manine di Carmen mi afferrano per i piedi, iniziando a tirare. Chiudo gli occhi e mi aaggrappo più saldamente alla porta. Sono pronta a dare battaglia, non cederò tanto facilmente.
 
Un sospiro stanco viene da dietro le mie spalle, vicino a Carmen.
 
-È in piena fase di rigetto, eh?
-Jules, non rompere anche tu!
 
Gridai io. No, non avrei ceduto. Dio, dammi la forza...
 
-Più infantile di così, e si mette a picchiare i pugni per terra.
 
Ammutolii. Non c'erano risposte per il tono scazzato di Eddie.
Le manine di Carmen smisero di tirare. Mi preparai al peggio. Sì, perchè quando uno molla, significa che stanno per attaccare in due. O più.
 
Aiuto!
 
-Capitano Carmen, piano B in azione, prego. Colonnello Jules, ai posti di combattimento.
-Ehi, non è giusto! Lui ha un grado più alto di me!
-Non rompere, puffetta!
-Ehm...
-Ma se sei basso quanto me!
-Non è vero, ci sono dodici centimetri tra me e te, funghetta!
-Ehm!
 
Eduardo avrebbe potuto continuare a schiarsisi la gola fino alla fine dei tempi.
Niente, menefreghismo completo da parte di quei due. Ed io in tanto aspettavo, trepidante.
 
-Senti, tu...
 
A quel punto, la voce pacata e saputella di Ed intervenne, ritenendo inutile chiamare l'attenzione per l'ennesima volta.
 
-Ragazzi, un colonnello ha il potere decisionale, il capitano quello effettivo.
 
Silenzio.
 
-Ah.
-Tu ci hai capito qualcosa?- Tono curioso di Jules.
-No, ma suona bene. - Tono convinto di Carmen.
Ma che gabbia di matti...
 
-Comunque... uno, due e... tre!
 
Con un attacco congiunto, Carmen iniziò a farmi il solletico sotto le ascelle. Io, ridendo come una gallina ed implorando pietà, mollai la porta. Eduardo e Jules ne approfittarono per prendermi per mani e piedi, trascinandomi in forma coatta alla sala conferenze dell'albergo dove avevano appuntamento con le loro Cruccosità.
 
...
 
Come una regina in portantina, salutai ospiti, camerieri e facchini dell'albergo, oltre che uno stupefatto Saki sulla soglia della sala conferenze.
 
Bello farsi portare da 'sti due.
Ne devo fare più spesso, di scenate così.
 
Comunque, non so per che cosa sia rimasta più stupita tutta questa gente.
 
Per lo stile grungeghotic, la sua voluminosa acconciatura di rasta bianchi, il passo saltellante ed il sorriso da gattomatto di Carmen?
Per i tatuaggi di jules, la sua maglietta nera e rosa e la sua espressione trasognata?
Per la camicia a rombi con tanto di panciotto e panama nero, il tutto condito da una faccia di assoluta indifferenza di Ed?
 
O per il fatto che io, batterista apparentemente in grado di camminare, con un'espressione da "io sono Dio e voi no" sia sfacchinata in giro da 'sti ultimi due?
 
Ma il non-plus-ultra sono stati loro.
 
Quando entrammo, con tanto di finta fanfara da parte di Carmen, ad ognuno di quei quattro gli si dipinse in viso un'espressione differente.
 
Tom, il cosidetto Sex Gott (cosa che fino a che non avessi visto, non avrei creduto) si stava sganasciando con tanto di mani sulla pancia.
Georg, l'allegro compagno di merende del primo (non vi dico cosa tutto si mangino 'sti due, in senso letterale e metaforico) stava affogando nelle sue stesse risate, producendo un suono assurdamente acuto e singhiozzante.
Gustav, il grezzly del gruppo, era impassibile ed inalterabile, ma si vedeva che stava a stento trattenendosi dal chiamare un buon psichiatra.
E Bill, semplicemente, ci guardava come se dovessimo tirare da un momento all'altro un paio di forbici e tagliargli tutti i capelli.
 
Che, detto fra noi, un buon taglio ci sarebbe andato bene. Non è che se li tocco per sbaglio m'infilzo le dita, vero?
 
Eddie e Jules, con una delicatezza impressionante, e vorrei sottolineare l'ironia implicita nella frase, mi sganciarono sul pavimento, procurandomi una botta al fondoschiena e procurandosi sette anni di sfiga, morte e peste.
 
Emersi da sotto il tavolo ringhiando un sfilza di maledizioni per quei due scriteriati che ridevano dietro di me.
Ero giusto arrivata a maledire la terza generazione dei due pirla, quando mi ritrovai faccia a faccia con il favoloso quartetto, che mi osservava con interesse.
Mi ricordai che quel giorno non portavo niente di scollato, di conseguenza, quella galleria di sguardi che spaziava dall'incredulo all'ilare, me l’ero guadagnata per meriti personali.
 
La scena aveva dell'incredibile. sembrava il primo incontro tra due specie: mancava il ditino alla E.T., una lente d'ingrandimento, annusate varie e gorgoglii di riconoscimento per poterci definire due gruppi di amebe sviluppati in due terreni acquosi differenti.
 
Mi acquietai, guardandoli scettica per un minuto buono.
Poi sempre inghinocchiata sul pavimento ma appoggiata al tavolo, con voce sarcastica, sputai la perla del giorno.
 
-Cos'è? mostrate un'emozione a testa? Ma le decidete prima di andare in scena?
 
Prima che quei quattro potessero riprendersi dall shock di avermi sentito parlare un fluente tedesco, Carmen s'impossessò della scena, rifilandomi uno scapellotto, per poi sedersi a gambe incrociate non sulla sedia, come una qualsiasi persona sana di mente farebbe, no, lei si sedette sul tavolo porgendo entusiasta la mano al gruppo.
 
Non per niente era loro sfegatata fan dal lontano duemilaesei, anno in cui spopolarono in patria.
 
Dopo le strette di mano e le presentazioni di rito, ci ritrovammo a fissarci ammutoliti, senza trovare un caspio da dirci.
 
Ed e Tom si squadravano, tra il guardingo ed il sospettoso.
Jules e Gustav si osservavano, incuriositi.
Bill passava da carmen a me e da me a Carmen.
E Georg, che dentro di me avevo già soprannominato "Rapunzel", fissava me.
 
{ Interessante discorso. Profondamente istruttivo, soprattutto. }
 
Al che io, geniA, decisi di intervenire a movimentare la serata.
 
Con una battuta stupida.
 
Ma, ehi, è il pensero che conta, no?
 
-Scusate, ma in Germania che vi danno da piccoli?
 
Occhiata interrogativa da parte di pertica Kaulitz numero uno, ovvero Tom. Continuai imperterrita, gesticolando e guardandoli crucciata.
 
-No, dico, nei vostri omogeneizzati ci dovevano essere carne e fertilizzante, perchè, oh sì, trovo profondamente ingiusto che ...
 
Carmen schioccò la lingua, sotto lo sguardo attento di Bill. Fece il gesto di tagliare la mia fiumana di parole, per poi rivolgersi direttamente agli altri.
 
-Ha il complesso della statura bassa e voi, pe... perticoni da un metro e ottanta, la state mandando nel pallone.
 
Strabuzzai gli occhi, scambia un'occhiata complice con Ed, per poi guardare Carmen sogghignando maligna. Jules si aggiunse, ridacchiando. E, per la gioia di Cà, parlò in spagnolo, lingua ignorata da quei crucchi.
 
-E ammettilo, che stavi per chiamarli "pezzi di manzo"...
 
Carmen arrossì, per poi fingere un'espressione scandalizzata ed offesa.
 
-Assolutamente no. Fan sì, groupie no!
 
Eduardo rise sarcasticamente, indicando con il dito il gruppo.
-Frena il carro, chi è quella che si è passata ore ed ore a discernire dei fisicacci di 'sti quattro?
 
I poveri " 'Sti Quattro" vedendosi chiamati in causa pur non capendoci un piffero, non poterono che osservarci, chi smarrito, chi scettico.
 
-Beh, non è una cosa importante, adesso.
Chiuse il discorso Carmen, tornando al tedesco con gran gioia delle loro maestà.
 
Quand'ecco, all'improvviso, mi ricordai della meravigliosa batteria che avevo utilizzato per la prova.
 
-TU!
 
Indicai Yoghi, in una posa assolutamente plateale.
 
-Io.
 
Mi rispose lui, con un mezzo sorriso.
 
-Per caso la tua batteria è ad immagine e somiglianza di quella utilizzata per il concorso?
 
I miei occhi luccicavano dall'entusiasmo.
Improvvisamente, tutti avevano trovato un argomento comune, la musica.
 
Rimanevamo sulle nostre, ma era già un passo avanti.
 
...
 
-Beh sì, qualcosa di più di una Les Paul potrei anche permettermela ma... Dio, una Cadillac lo vale tutto, no?
-Ah, l'hai battezzata alla fin fine?
 
-Vedi, da piccolo suonavo talmente tanto che mi vennero i crampi alle braccia... un dolore! Per un'eterna settimana non potei toccare la batteria, e schiumavo di rabbia repressa.
-No, a me non è mai successo, ma guarda le mie dita, tutta colpa dei cerotti!
 
-No, non è possibile... è allora tu che hai fatto dopo quell'acuto che non c'entrava niente con "Moonson"?
-Tiri avanti e te ne freghi! E poi era il ritornello, c'erano centinaia di fan! Si sentivano più loro di me!
 
-Senti, i Sandberg sono uno dei migliori, ma non dimenticarti degli Ibanez! Solo che sono cari, li vendono a peso d'oro!
-No, no, i Sandberg sono il meglio e, modestamente parlando, il tutto perchè sono tedeschi!
 
Cos'è, un ritrovo di comari?
 
Incredibile ma vero, da un'ora a questa parte, si sta facendo conoscenza con i Tokio Hotel.
 
E no, prima che me lo chiediate, non ho ancora avuto modo d'azzannare nessuno.
 
 
 
***
 
Ovviamente i Tokio Hotel non sono di mia proprietà, e con il mio scritto non intendo far passare in alcun modo voci supposte per verità assolute.
 
Ragazzi/e scusatemi tantissimo, ma non avevo molta ispirazione per questo chap.
A dir la verità, non sono neppure convinta d'aver scritto qualcosa d'accettabile, ma mi sentivo in dovere di disilludervi presto: non sono poi tutto ‘sto fenomeno.
 
Per chi è interessato, la sndtrk’s list: Ocean Avenue/Yellowcard; Songbird/Oasis; Ich Bin Da/TH; I’m Sorry/Flyleaf.
 
Mi raccomando: voglio critiche e commenti, tutto è ben’accetto, l’importante è che sia costruttivo. *.*
 
 

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