Violator.

di Ellies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** World in my eyes. ***
Capitolo 3: *** Sweetest perfection. ***
Capitolo 4: *** Personal Jesus. ***
Capitolo 5: *** Halo. ***
Capitolo 6: *** Waiting for the night. ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


Summary: Questa non è proprio una sfida o un concorso.
E' piuttosto il suggerimento di nove temi e nove titoli.
In rete ci sono molte iniziative simili, ma qui non ci saranno vinti o vincitori: sono "sfide" alla nostra creatività.
Il titolo principale è "Violator" come l'omonimo album dei Depeche Mode.
Ogni titolo corrisponde a una traccia del disco.
Ogni racconto deve 
- contenere riferimenti alla musica (non necessariamente dei Depeche Mode)
- contenere riferimenti al testo della traccia da cui prende il titolo (in traduzione o meno, RICORDATE I CREDITS!!)
- essere composta di minimo tre racconti 
- presentare almeno due differenti rating (non c'è limite alla scelta.)
Ogni racconto può
- essere lungo dalle 500 alle 10000 parole
- essere a sé stante o collegato agli altri *della raccolta* 
- essere a tematica omosessuale o meno
 
L'autore che decide di scrivere la raccolta completa ha un anno di tempo per portarla a termine. 
 
Tracks
#01 - World In My Eyes
#02 - Sweetest Perfection 
#03 - Personal Jesus 
#04 - Halo
#05 - Waiting For The Night
#06 - Enjoy The Silence
#07 - Policy Of Truth
#08 - Blue Dress 
#09 - Clean
 
 
Questa è un’introduzione volta a farvi comprendere come sarà la struttura dell’intera storia, più o meno.
Ho trovato questo prompt su un forum, e ho deciso di utilizzarlo perché mi sembrava davvero carino e avevo un’ispirazione che faceva a botte con il mio cervello per farsi mettere su carta (o meglio, su schermo). Inoltre non è una sfida, o un concorso, e quindi è stato ancora meglio.
Io ho deciso di strutturarlo come una mini-long, invece che come racconti a sé stanti, anche se ogni capitolo racconterà qualcosa in un determinato contesto, non so se mi spiego… (Probabilmente no)
Mi piace l’idea di una storia relativamente lunga, anche se i capitoli non lo saranno così tanto.
Spero che la storia non sia banale e che – andando avanti – vi possa interessare sempre di più.

El.
 

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Capitolo 2
*** World in my eyes. ***


“Let me take you on a trip around the world and back, and you won't have to move, you just sit still.
Now let your mind do the walking and let my body do the talking. Let me show you the world in my eyes.”

 
La radio grattava le parole della canzone, facendo interferenza di tanto in tanto con altre stazioni e passando per i generi più svariati di musica. Non c'era nulla di più irritante, per Lorenzo, e si allungò per battere qualche colpo sulla cassa malandata degli altoparlanti, come a cercare di far funzionare il maledetto aggeggio.
“Guarda che così lo rovini, Lorenzo.”
La voce del ragazzo di fianco a lui lo riscosse; non pensava che fosse già sveglio. Si ritrovò tuttavia a sorridere, soprattutto per il modo in cui trascinava alcune lettere del suo nome, in un imperfetto italiano. 
Erano sette anni, ormai, che Lorenzo aveva lasciato la sua casa in Italia, e sei che conosceva Alexander. Era stato un incontro particolare, il loro, ma si era tramutato in una sorta di amicizia incondizionata, più simile a un rapporto fraterno ma con le complicazioni dell'affetto che due estranei, dopo essersi conosciuti molto bene, provavano l'uno per l'altro.
 

“I'll take you to the highest mountain to the depths of the deepest sea and we won't need a map, believe me.
Now let my body do the moving and let my hands do the soothing. Let me show you the world in my eyes.”
 
“Sembra che non voglia mai funzionare con me...” si lamentò, cambiando tonalità di voce in una più da bambino, come se cercasse di giustificare il precedente atto dando la colpa a quell'oggetto inanimato.
“È perché la tratti male. Quella radio è preziosa, per me.”
Lorenzo roteò gli occhi, senza la minima intenzione di ascoltare per l'ennesima volta la stramba teoria dell'altro, finendo poi per discutere di un'eventuale anima all'interno della vecchia scatola che Alexander si ostinava a chiamare radio, anima colpevole dei propri capricci. 
Fuori dal finestrino dell'auto, l'asfalto scivolava veloce e lasciava dietro di sé una piccola nube di polvere, causata dai recenti lavori su quel tratto di strada e dai detriti rimasti depositati su di essa. Gli alberi correvano all'indietro, scappavano dalla città che si ergeva davanti a loro, la loro meta, come se volessero avvertirli di percorrere la strada inversa. Le foglie si appiccicavano al vetro umido di pioggia, e i tergicristalli dovevano lavorare in continuazione per liberare il parabrezza da esse e dalle piccole goccioline che il temporale stava portando.
Novembre stava davvero arrivando, e il freddo pungente si faceva sentire sempre più insistente, penetrando sotto i vestiti e pizzicando la pelle come mille, piccoli aghi ghiacciati.
 

Let me put you on a ship, on a long, long trip, your lips close to my lips.
All the islands in the ocean, all the heaven's in motion. Let me show you the world in my eyes.”
 
Alexander spense la radio appena entrati in città. Dublino era stranamente calma, quella sera, e c'erano solo alcune persone che camminavano sull'H'Penny Bridge. Nonostante stesse guidando, Lorenzo si perse nella contemplazione del paesaggio. Aveva sempre amato quella città e soprattutto quel luogo. Il panorama dal ponte al tramonto e all'alba era qualcosa di sublime e indescrivibile e bisognava vederlo di persona, per poter capire le sensazioni che scaturivano dall'ammirazione del cielo cremisi, perché le parole non erano abbastanza perfette per poterlo fare. Il ragazzo era sicuro che un giorno sarebbe riuscito a dipingere quell'esatto colore, non importava se ci fossero voluti anni.   
“Bentornati a casa, eh?” sussurrò Alexander, alzando le braccia e allungandosi all'indietro, facendo sentire perfettamente lo schiocco delle vertebre, che risuonarono nell'abitacolo con un chiaro tac tac tac.  
Il ragazzo alla guida staccò imprudentemente gli occhi dalla strada, facendo scorrere lo sguardo sui muscoli tesi e sulla figura snella accanto a sé; la pelle del ventre era lasciata scoperta dal tessuto leggero della maglietta che si era sollevata, e il freddo aveva fatto sì che su di essa si creasse un po' di pelle d'oca che Lorenzo avrebbe voluto far scomparire con il solo tocco della propria mano bollente.
“Lorenzo.” 
La sua non era una domanda, ma una semplice affermazione che sapeva avrebbe catturato la sua attenzione. Infatti i suoi occhi si spostarono sui propri, facendo sì che egli vedesse il sorriso che si era formato poco prima, e che spuntava ogni volta che scopriva il ragazzo a fissarlo.
“Che c'è?” rispose, tornando con lo sguardo sulla strada, quasi felice che fossero quasi arrivati a casa, dove avrebbe potuto evitare i suoi occhi e le sue domande che non gli lasciavano mai la possibilità di fuggire. Si sentiva in trappola, quando il verde dei suoi occhi lo scrutava, come se fosse stato bloccato al muro da mille chiodi, come se non si sarebbe potuto sottrarre loro.
“Me lo fai vedere il quadro?”
Ci risiamo,” pensò Lorenzo, muovendo le labbra per formulare una semplice parola. “No.”
Da quando erano partiti - ogni volta che partivano - non aveva fatto altro che assillarlo per sapere che cosa raffigurasse il suo nuovo quadro. Sapeva che Alexander era un ragazzo curioso, invadente e a volte anche piuttosto impertinente, ma non per questo si sentiva in obbligo di dirglielo. Se voleva fare i capricci, che li facesse pure; lui non avrebbe mai rivelato che cosa la sua mente aveva messo su tela, così come lui non gli faceva mai leggere i propri spartiti prima che fossero perfetti e che lui ne fosse completamente soddisfatto, perché non sempre la vera perfezione corrisponde con l'idea che le persone hanno di essa.
Nonostante i continui rifiuti, però, lui non si lamentava mai. Semplicemente fingeva di capirlo - o forse lo capiva davvero, perché era tutta una questione di arte, ed entrambi erano artisti - e lasciava perdere per qualche ora, per poi partire di nuovo all'attacco, forse nella speranza che Lorenzo cedesse, cosa che però non succedeva mai.
 

L'appartamento che avevano affittato insieme anni indietro si trovava nei pressi del Temple Bar, uno dei principali pub della città - se non addirittura il primo - in cui i giovani dublinesi facevano ritrovo, compresi loro due. Avevano scelto quella zona perché era il centro culturale di Dublino, e avevano pensato che fosse semplicemente il luogo perfetto per loro. La macchina si fermò davanti al loro palazzo, ed entrambi svolsero i loro compiti come fossero automi, o come se compiessero quei gesti da sempre: Lorenzo afferrò i propri quadri e li trasportò sotto braccio fino all'ascensore, mentre Alexander recuperò i borsoni con i vestiti e si assicurò che la macchina fosse chiusa, prima di raggiungerlo e aiutarlo, senza una sola parola.
Quando arrivarono nell'appartamento all'ultimo piano, i quadri furono abbandonati nello studio dell'italiano, mentre i due ragazzi si spostarono nell'ampio salotto, entrambi felici di poter essere di nuovo in quello che chiamavano il proprio rifugio.
Alexander si tolse la maglietta e andò ad accendere il caminetto, piegandosi per afferrare alcuni pezzi di legno dal vano sotto di esso. Aveva sempre amato fare così; diceva che il tepore emanato dalle fiamme era ciò che rendeva quel posto casa, insieme alla sua presenza e che, per questo motivo, non avrebbe mai potuto rinunciare a nessuno dei due, anche se ciò significava restare a torso nudo nel bel mezzo della notte con un temporale in arrivo.
Ci sono certe cose che non vanno capite, ma semplicemente accettate, e Lorenzo ne accettava moltissime, come per esempio il fatto che i capelli corvini di Alex fossero sempre un po' troppo lunghi ogni volta che li osservava, oppure che il suo corpo gli facesse sempre quello strano effetto ipnotizzante - così come i suoi occhi - facendolo sentire come se non potesse muoversi da lì e fosse costretto a guardarlo per sempre. 

  
 

~

 
 

Alexander e Lorenzo, strano ma vero, si erano conosciuti a Dublino. Lorenzo era appena arrivato dall'Italia, appena diplomato e appena diciannovenne, con una borsa piena delle sue cianfrusaglie, la conoscenza di tre lingue nel suo bagaglio e una carta di credito presumibilmente piena dei risparmi di una vita.
Voleva cambiare aria, diceva, voleva fare un'esperienza di vita.
Poi era finito in una via piena di gente, negozi e artisti di strada, e aveva conosciuto Alexander dopo essere rimasto ad ascoltarlo per minuti, incantato dalla sua musica e dal modo in cui riusciva a muovere le dita e produrre quel suono tanto melodico.
La loro amicizia era cominciata con un “Your music is very beautiful” pronunciato con un inglese troppo scolastico che l'aveva fatto ridere. Si era alzato e aveva guardato la banconota da cinquanta euro che il ragazzo gli stava porgendo, aggrottando le sopracciglia. 
“Io non vendo la mia musica in questo modo.”
“Sto pagando il tempo che useresti a stare qui, a suonare per la gente, per chiederti di aiutarmi.”
“Aiutarti?”
“A vivere questa città. A vivere il mondo.”
Alexander ci aveva pensato a lungo, perché quella era la sua vita e tutto ciò che guadagnava era grazie ad un violino e alla sua abilità, ma quel ragazzo era così strano e sperduto che aveva sentito il bisogno di farlo. Forse non aveva nemmeno dovuto pensarci, perché la sua testa si era mossa in un cenno di assenso ancor prima che formulasse il pensiero, e le sue labbra avevano sussurrato il proprio nome.
“...Alexander. Il mio nome è Alexander.” Poco gli importava che quella richiesta fosse o sembrasse strana e inconsueta, quando si sentiva attrarre da qualcosa non poteva frenare l'impulso di gettarsi in essa, qualunque cosa fosse, strana o più normale.  
“Piacere, Lorenzo.”
E allora lui aveva ripetuto il suo nome, con quell'accento inglese che sapeva avrebbe amato e ricordato per tutta la vita e gli aveva sorriso, più che con le labbra, con gli occhi e per la prima volta nella sua vita si era sentito visto.
“Lourenzo, bel nome.”

E per la prima volta aveva visto il mondo nei suoi occhi.     

 




Angolo dell'autrice.

Non ho molto da aggiungere! E' un capitolo piuttosto breve, ma mi sembrava perfetto così.
Fatemi sapere se vi è piaciuto; una recensione è sempre gradita! <3

El.

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Capitolo 3
*** Sweetest perfection. ***


Sweetest perfection.


The sweetest perfection to call my own.
The slightest correction, couldn't finely hone.
The sweetest infection of body and mind.
Sweetest injection of any kind.


La musica risuonava nella piccola stanza in cui Alexander stava leggendo uno dei tanti libri rubati dalla libreria del proprio coinquilino. Lorenzo possedeva una vera e propria biblioteca, alta che arrivava fino al soffitto, e lui, molto spesso, sgattaiolava dentro di essa alla ricerca di un po' di ispirazione per la propria musica.
Alzò lo sguardo dal libro per guardare la radio, arricciando il naso; non era il suo genere preferito, quello, una sorta di musica tutta elettronica, se musica si poteva chiamare. Lui amava le canzoni la cui base era suonata al pianoforte, forse complice il fatto che era il suo strumento preferito. Il pianoforte era in grado di trasmettere quelle emozioni che nient'altro riusciva a fare; gioia, dolore, amore, tristezza... Era un cuore nero ed enorme colmo di musica, in cui venivano immagazzinate le cose belle e brutte della vita, che restavano in attesa di essere liberate per creare qualcosa di meraviglioso.
Con un sospiro abbandonò il libro sul copriletto, sfiorandone il tessuto morbido e soffice solo un momento prima di alzarsi di scatto e dirigersi in cucina. Passando accanto allo stereo lo accese con un movimento veloce di dita, facendo un sorriso. Era una sorta di movimento automatico; quando si trovava di fianco a una radio, un giradischi, o qualsiasi altra cosa che potesse produrre musica, egli non poteva fare altro che accenderlo.
Amava la musica, lui, al contrario di Lorenzo che la trovava solamente una distrazione, e lo sentiva sempre lamentarsi.
“Alexander,” la sua voce gli arrivò alle orecchie, chiara e annoiata. “Spegni quell'aggeggio. Non è nemmeno il tuo tipo di musica.”
“Pensi di sapere quali sono i miei gusti?” chiese, con il tono della voce fin troppo acido anche per lui. E dire che voleva semplicemente passare del tempo con il ragazzo, mentre ora desiderava solamente di essersene restato in camera propria, senza averlo disturbato. Sapeva che Lorenzo era irritabile, quando lo si interrompeva nel bel mezzo di un disegno, ma questo non lo fermava praticamente mai, dal momento che aveva una naturale inclinazione a infastidire la gente. Proprio per questo motivo si avvicinò a lui, appollaiandosi sulla sedia accanto alla sua e fissandolo intensamente mentre creava, senza nemmeno aspettarsi una risposta che sapeva benissimo non sarebbe mai arrivata.


I stop and I stare too much, afraid that I care too much.
And I hardly dare to touch, for fear that the spell may be broken.
When I need a drug in me, and it brings out the thug in me.
Feel something tugging me, then I want the real thing not tokens.


Alexander si era fermato ad osservare il suo volto, e in quel momento si accorse di tante, troppe cose.
Tanto per iniziare, si rese conto di quanto Lorenzo fosse affascinante. Non era una bellezza che abbagliava, che ti colpiva come uno schiaffo, ma qualcosa di più privato e intimo. Dovevi conviverci per riuscire a cogliere i dettagli e le piccole cose che lo rendevano bello. Le lunghe ciglia che incorniciavano gli occhi grandi e dolci, di un castano tendente spesso al dorato e altre volte al verde chiaro. In quegli occhi era custodito tutto il suo mondo, la sua fantasia, le sue passioni. Erano gli occhi di un bambino che guardavano il mondo come se fosse il Paese delle Meraviglie, colorato, strano e imprevedibile. I capelli erano dello stesso colore degli occhi, di un castano tendente al miele, e in quel momento gli ricadevano sulla fronte in piccole ciocche lisce e luminose che tentavano di incastrarsi tra le ciglia.
“Ti piace quello che vedi?” vide chiaramente le sue labbra muoversi, e riuscì solo a concentrarsi sulla perfezione del modo in cui erano fatte; piene, ma non troppo grandi, screpolate in alcuni punti forse per il freddo o forse per il fatto che se le torturasse costantemente con i denti. Ci scommetteva che erano comunque morbidissime, dolci e perfette.
Solo dopo qualche secondo si ricordò che presumibilmente avrebbe dovuto rispondere alla domanda che gli aveva fatto, e si avvampò per essere stato colto in flagrante mentre lo guardava. Non che fosse stato tanto discreto, certo, ma avrebbe preferito che Lorenzo non avesse infierito.
“Sì, è molto carino,” sorrise, prima di spalancare gli occhi per la frase ambigua che aveva pronunciato. Tentando di porvi rimedio, si sporse verso di lui e finse di osservare il disegno, venendo a contatto con la pelle calda - bollente - del suo braccio. “Il disegno. Intendevo il disegno.”
“Ovviamente,” Lorenzo sorrise e Alexander fu sicuro che, più che un sorriso, quello sulle sue labbra fosse un vero e proprio ghigno, e solo Dio sapeva che cosa avrebbe voluto fare per cancellarglielo. “Che altro.”
“Già, che altro?” il tono di voce con cui aveva parlato era ai limiti della comprensione, più simile ad un sussurro strozzato che ad una parola vera e propria, e non si sarebbe stupito se Lorenzo non l'avesse sentito. Delicatamente si allontanò da lui, perdendo il calore confortevole della sua pelle, per timore che avrebbe potuto fare qualcosa di molto stupido se fosse rimasto ancora qualche secondo nella nuvola di profumo che essa emanava. Era tutto così perfetto tra di loro, nonostante non ci fosse assolutamente nulla di concreto, e aveva paura che l'incantesimo si sarebbe potuto spezzare, se si fosse sporto troppo.
Lentamente si alzò in piedi, passandosi una mano tra i capelli e portando i denti a sfregare contro il labbro inferiore, tentando di mantenere il controllo della propria mente e soprattutto del proprio corpo.
“Ordino la cena, che ne dici?” propose, facendo un sorriso cordiale e sentendo il cuore sprofondargli un po' di più nel petto quando vide il ragazzo voltare la testa verso di lui e sorridergli con occhi e labbra, annuendo.
“Giapponese?” chiese Lorenzo, sbattendo le ciglia e restando in attesa con le labbra socchiuse. Riusciva quasia percepire il suo respiro filtrare nel piccolo spazio tra di esse, e questo pensiero costrinse Alexander a chiudere gli occhi per un momento, prima di riaprirli e aggrottare le sopracciglia. 
“Tu non sopporti il cibo giapponese.”
“Dai, non è vero.” sbuffò allora l'altro, scrollando le spalle e tornando a chinarsi sul proprio disegno, troncando la conversazione. Alexander ricordava solo qualche piatto che amasse davvero, e assolutamente nulla che contenesse del pesce crudo. Lui, al contrario, aveva sviluppato un profondo amore per la cucina orientale, e non riusciva più a farne a meno da quando aveva cominciato. Stava per afferrare il cordless, quando l'altro alzò nuovamente la testa, pronto a parlare. “Hey, Al, non dimenticare...-”
“Il dolce. Sì, lo so.” lo interruppe, facendo un sorriso e dirigendosi in camera, gettandosi malamente sul letto.
Dopo aver ordinato prese un cuscino e lo tirò violentemente contro la radio ancora accesa, come nella speranza che tacesse e lo lasciasse solo con i suoi pensieri.    


Things you'd expect to be, having effect on me.
Pass undetectedly, but everyone knows what has got me.
Takes me completely, touches me sweetly, reaches so deeply.
I know that nothing can stop me.


Alexander amava mangiare con Lorenzo. Non solo perché così poteva osservarlo, ma perché lui era sempre così allegro e fanciullesco ed era davvero bellissimo sentire la sua risata riempire il loro appartamento. Inoltre non si lamentava mai, accontentava le sue richieste anche se erano un po' strambe o buffe, come lui stesso aveva fatto sei anni prima. Era un amico prezioso, ed era felice di averlo conosciuto.
“Penso che potrei scoppiare da un momento all'altro!” Lorenzo si fece cadere sul tappeto - dal momento che Alexander aveva insistito per mangiare a terra, sul piccolo tavolino basso del soggiorno - con un verso esasperato.
“Forse non è stata una buona idea ordinare tutto quel sushi, ma soprattutto tutto quel sakè.” ridacchiò lui, gattonando fino a raggiungerlo a terra, incrociando le gambe e guardandolo dall'alto.
“E comunque,” aggiunse. “Hai visto che il sushi non è così orribile?”
“Mmhh. Hai ragione... È buono...”
Alexander sorrise, felice di essere l'artefice della piccola, ma importante conversione del ragazzo, e allungò una mano verso il suo viso, sfiorandogli l'angolo delle labbra con il pollice gelido, al ché Lorenzo ebbe un piccolo fremito.
“Avevi un po' di salsa, lì...” giustificò il suo gesto, continuando a fissare il suo volto e i suoi occhi - che erano diventati di quel bel colore dorato che gli piaceva tanto - prima di costringersi a distogliere lo sguardo, facendo una risatina troppo accentuata. “'Dio, penso di essere un po' brillo.”
Fece per alzarsi, ma la voce - e soprattutto la mano - dell'altro lo obbligarono a bloccarsi. 
“Alex,” sussurrò, afferrandogli il braccio con una stretta non troppo salda, e il ragazzo pensò che non ci fosse nulla di più bello ed eccitante della sua voce calda e appena un po' flebile che pronunciava il suo nome. “Non andartene.”
Sentì il cuore perdere un colpo per poi riprendere a battere all'impazzata, e non riuscì a dire nulla, non riusciva mai a dire nulla in quelle situazioni in cui c'era in gioco così tanto.
Non colse nemmeno il momento in cui accadde, ma subito dopo Lorenzo era sopra di lui e aveva intrecciato le dita delle loro mani. Con gli occhi spalancati, Alexander non riuscì a formulare un pensiero coerente, perché la sua mente gli urlava solamente bacialobacialobacialo!, e balbettò qualche parola, che nella sua testa sarebbe dovuta essere un allontanamento ma che poi, tramutata in voce, suonò come una supplica a tutti gli effetti.
Alexander non voleva essere preso in giro.
Alexander non voleva che fosse soltanto il bacio di una notte.
Alexander non voleva essere innamorato di lui, eppure lo era ogni giorno, e sempre di più.
Alexander non voleva vederlo con nessun altro che non fosse lui.
Alexander non riusciva a tenerlo con sé.
Alexander non riusciva a dirglielo.


“Lorenzo...” sussurrò, socchiudendo gli occhi e stringendo le labbra, come se stesse per scoppiare a piangere da un momento all'altro. Questo non successe solamente perché il ragazzo gli intimò di tacere, prima di posare le labbra sulle sue e far esplodere il suo cuore come mille fuochi d'artificio bollenti in ognuna delle sue vene. 


Sweetest perfection, an offer was made.
An assorted collection, but I wouldn't trade.
Takes me complelty, touches so sweetly, reaches so deeply.
Nothing can stop me.


Aveva ragione; le sue labbra erano la perfezione più dolce.


 

Angolo dell'autrice.

Eccomi qui, con il secondo capitolo di questa nuova Long. Sono stata brava, ammettetelo! Ho già pubblicato e sono passati solamente pochi giorni. Quando si dice l'ispirazone fulminante. Anche se non so se dica, in realtà...
BEH! Che importa dei modi di dire? L'importante è che voi siate arrivati fino alla fine di questo capitolo, che a me piace davvero taaaaaanto. Sono davvero due cuccioli, soprattutto il mio Alex.

Sto cominciando a far fuoriuscire i loro caratteri, e spero di averlo fatto bene. Nel prossimo spero si capirà ancora meglio.

Un bacio a tutti coloro che stanno leggendo e seguendo la mia storia, e un grazie enorme.

El.

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Capitolo 4
*** Personal Jesus. ***


Reach out and touch faith.

Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who cares.
Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who's there.



Lorenzo si svegliò che erano appena le sei del mattino. Sentì qualcosa di bollente appoggiato sulla sua spalla e un respiro caldo solleticargli la porzione di collo sotto il mento. Cercò di muoversi, ma un peso morto sul proprio braccio destro - che percepiva a malapena - glielo impedì. A quel punto aprì gli occhi e ci mise qualche secondo ad adattare la propria vista al buio ancora presente nella stanza, ma alla fine lo vide. Alexander era tra le sue braccia, e poteva sentire l'odore maschile della sua pelle pervadergli insistentemente le narici, costringendolo a voltare la testa per un secondo e prendere un respiro per la troppa intensità.
La sua mente non era in grado di dare una spiegazione logica a quella situazione, anche perché non era nulla di misterioso o complicato: avevano dormito insieme.
Un senso di terrore gli invase all'improvviso la mente, facendolo scattare sul posto e liberandosi involontariamente dal corpo che stava ancora dormendo sul suo, facendogli perdere il calore della pelle e quasi desiderare di abbracciarlo di nuovo. Se avevano dormito nello stesso letto non significava per forza che avessero fatto anche quello . Si tastò le gambe e tirò un sospiro di sollievo quando le sentì rivestite dal tessuto morbido della propria tuta, la stessa che aveva la sera precedente a cena e che era ancora legata dai lacci grigi e uniti in un fiocco.
Fece cadere la testa sul cuscino e si girò su un fianco, perdendosi a guardare il volto del ragazzo accanto a sé. Alexander stava ancora dormendo con un'espressione di pura beatitudine dipinta sul volto. Le labbra erano secche e incurvate in un lieve sorriso, come se stesse facendo un bel sogno. Senza nemmeno accorgersene le sue dita avevano cominciato a vagare sul suo volto, accarezzandone la pelle liscia e spostando qualche ciocca corvina dagli occhi. Non sapeva perché, ma si sentiva attratto da lui, in quel momento, come se non potesse fare altro che guardarlo, e restare per sempre ad ammirare i suoi lineamenti e l'aura fiabesca che emanava. Aveva voglia di sentire un'ultima volta le sue labbra sulle proprie, il loro sapore dolce e il calore che sentiva nella pelle. Si stava quasi per chinare su di lui quando fece scivolare la mano sotto le coperte, e scosse la testa.
Che pensieri stupidi, si disse mentalmente, e fece per uscire dall'antro caldo che lo stava avvolgendo, ma sentì qualcosa trattenerlo, e si accorse che Alexander - in un riflesso involontario - aveva unito le dita con le sue, e si era mosso nel sonno ampliando appena un po' di più il proprio sorriso.
Percepì chiaramente il suo cuore battere un po' più forte e il suo stomaco lamentarsi fastidiosamente e, non riuscendo a capire il perché di quelle sensazioni e di quella reazione, si morse appena il labbro e fuggì dal letto. 
Alexander non avrebbe mai saputo che avevano dormito insieme; lui non avrebbe dovuto spiegare il bacio della sera prima e le loro dita incrociate.
Tra di loro non c'era nulla, solo una profonda amicizia.

Forse non servivano nemmeno tutte quelle giustificazioni.  


Quando Lorenzo chiuse la porta dietro di sé, Alexander aprì gli occhi verdi appena lucidi e deglutì, avvolgendosi di più sotto l'ammasso di lenzuola, piumone e coperte. Non sapeva che cosa si era aspettato, ma di sicuro non quello.
Aveva immaginato che, una volta che Lorenzo avesse compreso i propri sentimenti verso di lui, si sarebbe fatto coraggio e non avrebbe più soffocato ciò che era.
Invece era fuggito, l'aveva lasciato solo e con un terribile macigno nel petto, sullo stomaco e senza la possibilità di fare nulla.
Alexander lo sapeva, che Lorenzo provava qualcosa per lui, che fosse anche semplice desiderio. Vedeva gli sguardi, i gesti trattenuti e le occhiate quando pensava che egli non stesse guardando. E lui ce la stava mettendo tutta per aiutarlo, per fargli capire che non doveva frenare i suoi istinti perché sarebbe scoppiato, prima o poi, o che lui - Alexander, il suo coinquilino, il suo migliore amico - era innamorato di lui da così tanti anni da non riuscire più ad andare avanti.
Amare Lorenzo era come immergersi nelle profondità dell'oceano sapendo che l'ossigeno non era sufficiente. Era una pazzia, era distruttivo e lo faceva sentire come se non riuscisse a respirare, ma era allo stesso tempo talmente dolce e bello che non avrebbe mai potuto farne a meno, anche se questo avrebbe significato venire feriti in continuazione.
E Alexander in quel momento lo era più che mai. Si sentiva un totale idiota anche solo per aver sperato che Lorenzo sarebbe rimasto, quando aveva incastrato le loro dita. Ma non poteva pentirsi nemmeno di quello, perché era stata come una boccata di ossigeno, e a lui serviva disperatamente.
Eppure, nonostante non rimpiangesse quel gesto, era un'ulteriore pugnalata inferta al suo cuore, e ora voleva semplicemente rimanere immobile a sanguinare.
Portò le ginocchia al petto e chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime gli solcassero il volto, tracciando scie salate di cui non sarebbe rimasto altro che un'ombra.       



Feeling unknown and you're all alone.
Flesh and bone by the telephone.
Lift up the receiver, I'll make you a believer.
Take second best, put me to the test, things on your chest.
You need to confess, I will deliver, you know I'm a forgiver.



Lorenzo non sapeva quanto tempo fosse passato; sapeva solamente di essersi chiuso nella propria stanza e di essersi immerso nella pittura, nel profumo di colori freschi e di tela ancora immacolata, nell'immagine che lentamente prendeva forma nella sua mente e sullo sfondo bianco. Senza rendersene conto stava seguendo una melodia che pensava aleggiasse solamente nella sua testa mentre, in realtà, esisteva davvero.
Ci mise un po' di tempo a rendersi conto che la musica che aveva guidato il suo lavoro proveniva dal salotto in cui Alexander stava suonando al pianoforte. Era partita con note leggere, quasi messe lì per caso, isolate, ma poi si era ampliata, e aveva cominciato a diventare davvero musica. Ed era bella, bella da morire; ti trasportava nell'universo delle sue note e ti faceva rivivere momenti passati ed esplorare luoghi nuovi, parlava di sé ma ti coinvolgeva e ti emozionava, ti prendeva e non ti lasciava andare.
Lorenzo odiava la musica, la trovava soltanto una distrazione. Eppure si era alzato, aveva aperto la porta e si era fermato sulla soglia del soggiorno per osservare Alexander suonare.
Forse non l'aveva mai visto davvero farlo, prima d'ora. Certo, metteva passione quando suonava i numerosi brani che sapeva praticamente a memoria, ma quello... Quello era vivere la musica, non semplicemente riprodurla fedelmente. Era come se raccontasse la sua storia, oltre a suonarla. Riusciva a sentire qualcosa nel petto e non sapeva dire se fosse l'emozione che stava provando nell'ascoltarlo, oppure se la vista del ragazzo che metteva tutto se stesso in quel momento - come spinto dalla disperazione - gli stesse facendo mancare l'aria. Di sicuro stava accadendo qualcosa .
Si riscosse soltanto nel momento in cui la musica cessò e l'appartamento piombò nel silenzio.
Lorenzo non sapeva che cosa dire, per non rovinare quel momento. Alexander non aveva ancora alzato la testa dai tasti bianchi e neri e poteva benissimo non essersi accorto di lui. Ma qualcosa nei suoi gesti, nel modo in cui tentava di non stringere le unghie nei palmi, la schiena appena ricurva e il respiro veloce ma trattenuto, gli fecero capire che non era così.
Fece un passo verso di lui e chiamò il suo nome, attendendo che lo guardasse, ma quando alzò lo sguardo non si era aspettato quello.
Gli occhi di Alexander erano spalancati e colmi di lacrime, e la pupilla era tanto piccola da essere quasi invisibile, risucchiata in quel verde immenso e pieno di dolore.
Senza dire nulla - e senza nemmeno dargli il tempo di preoccuparsi per lui - si alzò, facendo grattare il seggiolino sul parquet, e corse via. Afferrò la giacca e uscì dall'appartamento facendo entrare una folata di vento gelido che gli scosse le membra fino alle ossa. 
Rimase lì come un idiota, in piedi accanto al pianoforte, con l'immagine dei suoi occhi ancora impressa nello sguardo.
Rimase lì, senza muoversi, con la melodia che ancora gli risuonava nella mente.
Poi, lentamente, fece un passo giusto per raggiungere il muro e si lasciò scivolare a terra, le mani tra i capelli e la consapevolezza di aver appena distrutto qualcosa.


Reach out and touch faith.

Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who cares.
Your own personal Jesus.
Someone to hear your prayers, someone who's there.




Alexander non era tornato a casa, quella sera, per cena.
Lorenzo non l'aveva cercato, sapendo che gli avrebbe fatto semplicemente dell'altro male.

Alexander quella sera aveva controllato inutilmente il telefono, nella speranza di vedere lo schermo illuminarsi, e su di esso comparire il suo nome, ma non era successo.
Era rimasto nel fondo del pub, in silenzio, con la sola certezza di essere stato abbandonato dall'unica persona di cui era riuscito a fidarsi dopo tanto tempo. Non era una cosa da tutti i giorni riuscire a costruire un'amicizia in un solo anno, mattone dopo mattone, con le intemperie e il bel tempo, con tutti i problemi dell'essere semplicemente umani. Ma loro l'avevano fatto, lui l'aveva fatto, e quell'amicizia era diventata qualcosa di più profondo e importante, ma destinato comunque a rimanere un sentimento a senso unico.
A Lorenzo non importava di lui, non era lì a scaldargli il cuore con la sua sola presenza, la sua risata e le battute incomprensibili. 
Non era tornato a casa, e aveva continuato ad inghiottire l'amarezza e la delusione insieme alla birra, e le bottiglie si erano accumulate sempre di più sul tavolo fino a quando non l'avevano mandato via per il suo bene.
Entrò in casa, dopo alcuni tentativi di girare la chiave nella toppa, solamente a notte inoltrata. Non appena i suoi occhi si abituarono all'oscurità, riuscì a vedere una figura sdraiata sul divano in un'ammasso di coperte, con il telefono stretto nella mano sinistra che penzolava nel vuoto. Cercando di non svegliarlo, si diresse in camera propria, ma si scontrò con il tavolino che, insieme alle sue imprecazioni, contribuì ad interrompere il sonno di Lorenzo. Stava per correre in camera prima che si accorgesse realmente della sua presenza quando la sua voce lo raggiunse come una freccia.
“Alexander!” il suo tono era carico di emozioni: sollievo, timore, rabbia, e qualcosa che non riusciva a distinguere. “Dove sei stato? Mi hai fatto preoccupare da morire, Cristo santo!” si avvicinò a lui, tentando di afferrargli un braccio come faceva ogni volta che lo voleva tirare a sé per abbracciarlo.    
Ma questa volta Alexander non era disposto a farlo. Si scostò bruscamente, tanto che quasi cadde all'indietro, con un urlo. “No! No, cazzo, Lorenzo... Cosa vuoi fare ancora?” gli inveì contro, con la rabbia che si era già trasformata in tristezza e che ora premeva insistentemente alla gola. 
“Alexander, sei ubriaco?” sussurrò l'altro, facendo un altro passo mentre lui indietreggiava ancora, mordendosi il labbro e muovendo le dita delle mani come se volesse allungarle verso il suo volto.

No, no! Non sono ubriaco, sono più lucido che mai... Alexander avrebbe voluto urlargliele, quelle parole, invece continuò ad inveirigli contro in un'altra maniera, a sfogare tutta la frustrazione e il dolore che aveva dentro. 

“Vuoi avvicinarti a me? Andartene, tornare, andartene ancora, fingere che non succeda mai nulla? Sai cosa? Che... Che io sono stufo. Di te... Di... Di essere preso per il culo e di amarti sempre così tanto e di non ricevere nulla in cambio solo perché... Perché?! Perché sei un fottuto codardo e... E non vuoi ammettere di essere innamorato anche tu di me quando potresti solamente essere felice e invece no! Ti nascondi, come fai sempre, nascondi tutto e... Vaffanculo, okay? Davvero, io non voglio più vederti.” 
Ad un certo punto, non ti sei nemmeno reso conto quando, Alexander aveva cominciato a piangere, e le lacrime brillavano come diamanti sulla sua pelle, scivolando verso il basso e infrangendosi sul legno ai vostri piedi.  

E poi, con quelle parole ti ha lasciato lì, in piedi come un idiota a pensare a quanto sei stato stupido a non capire che era innamorato di te, in quel modo disperato e senza via di scampo, solamente perché tu gli avevi chiuso la porta in faccia.

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Capitolo 5
*** Halo. ***


You wear guilt, like shackles on your feet, like a halo in reverse.
I can feel the discomfort in your seat and in your head it's worse.
 
 
La notte sembrava non finire mai, o forse erano i suoi pensieri a renderla infinita. Alexander si era addormentato appena dopo essersi tolto i vestiti, aveva controllato almeno dieci volte in cinque minuti, e lui era sdraiato sul letto senza riuscire a prendere sonno.
Tutto quello che gli aveva detto Alexander... Era vero? Come poteva essere innamorato di lui senza rendersene conto?
Forse poteva perché lo sapeva, alla fine. Lo sapeva quando provava l'irrefrenabile impulso di toccare la sua pelle; quando era accanto a lui e sentiva il desiderio di voltarsi e baciarlo; quando gli lanciava alcune occhiate sperando di non essere notato e quando notava certi particolari che, ne era sicuro, nessun altro conosceva.
Forse lo sapeva da così tanto tempo da meritarsi un pugno in faccia, per quello che aveva combinato. Perché aveva paura, era terrorizzato dal fatto di sentirsi nuovamente debole per qualcuno, amarlo talmente tanto da non riuscire a ragionare razionalmente quando si trattava di lui. Ormai considerava l'amore una cosa negativa, qualcosa che avrebbe potuto soggiogarlo e metterlo in ginocchio. Eppure era arrivato all'improvviso e gli si era aggrappato al cuore silenziosamente, lentamente e ora non l'avrebbe più lasciato andare.
Facendo un sospiro si alzò di nuovo e si diresse nella stanza del ragazzo, appoggiandosi allo stipite con tutto il corpo e osservandolo dormire, il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente, il respiro leggero che infrangeva il silenzio della notte.
Poi, come le precedenti volte si girò e chiuse la porta, sedendosi sul letto e prendendosi la testa fra le mani, stringendo le ciocche e sussurrando mi dispiace, mi dispiace, con la voce che si spezzava ogni volta sopraffatta dalla colpevolezza. Non era lui a dover star male in quel momento, non se lo meritava, eppure era distrutto dentro. Era come se il fiato gli scivolasse via dalle labbra e dai polmoni, lasciandolo ansante e vuoto.
Era così, dunque, essere amati? Era qualcosa che ti distruggeva, ti lacerava e ti faceva star male? Non doveva essere qualcosa di bello?
Probabilmente era così, ma il suo era un amore che aveva spezzato con le proprie mani, ed erano in due a pagarne le conseguenze, ora.
 
 
There's a pain, a famine in your heart, an aching to be free.
Can't you see?
All love's luxuries are here for you and me.
 
 
Quando riuscì a prendere sonno, era già quasi mattina, e venne svegliato poco dopo da una nausea insistente che lo costrinse a inginocchiarsi sulla tazza del water ed espellere quel poco che aveva mangiato a pranzo del giorno precedente, insieme alle lacrime che erano scese senza poterle fermare e con l'impressione di star rigettando anche l'anima, perché non aveva più niente da perdere.
Ricordava quando era Alexander a restare lì con lui quando stava male, accarezzandogli i capelli senza l'intenzione di andar via nonostante non fosse proprio uno spettacolo piacevole a cui assistere. Era sempre rimasto con lui, ammonendolo con un sorriso per il fatto di aver bevuto troppo, vizio che lentamente aveva perso, anche se avrebbe desiderato sentire quelle dita fredde su di sé ancora un'altra volta.
Invece ora era solo, con la fronte sudata e il corpo scosso dai tremiti, appoggiato alle piastrelle fredde. Era sicuro di aver visto la figura di Alexander indugiare sulla porta una o due volte, prima di cambiare idea e tornare indietro; oppure, forse, era solo un'illusione della mente che operava per volere del suo cuore, che lo desiderava lì con sé più di ogni altra cosa.
Era ironico, il fatto che le parti si fossero invertite. Ora era lui ad essere ignorato dalla persona che amava, e a soffrire per questo.
Ma Alexander era lì, ad aspettarlo, e sapeva che sarebbe riuscito a perdonarlo prima o poi.
 
Quando tornò nella sua stanza, cadde in un sonno profondo, conciliato anche dal buio garantito dalle persiane chiuse.
Fu un sonno agitato, colmo di incubi e altrettanti sogni, strani e inverosimili. Ad un certo punto sentì qualcosa di freddo, come un panno bagnato, che gli sfiorava la fronte e l'agitazione si placò, lasciandolo con una sensazione di leggerezza e quasi di felicità. Risvegliandosi, impiegò alcuni momenti per abituarsi alla luce che filtrava dalle persiane appena aperte e, quando si voltò verso il comodino, vide dell'acqua in un bicchiere scintillare alla luce del mattino, e un sorriso gli affiorò sul volto vedendo alcune pastiglie appoggiate accanto ad esso.
Sorrise perché lo sapeva, che Alexander l'avrebbe perdonato.
Sorrise perché il ragazzo aveva un animo buono, alla fine.
Sorrise perché sapeva che lo amava troppo per lasciarlo solo, ignorarlo, fingere che non esistesse.
 
 
And when our worlds they fall apart, when the walls come tumbling in.
Though we may deserve it, it will be worth it.
 
 
Lorenzo entrò nel salotto, invaso dal silenzio opprimente del primo pomeriggio, guardandosi intorno. Alexander era seduto su di esso, con le gambe incrociate e un libro tra le mani che sicuramente aveva preso di nascosto dalla sua libreria.
Si permise di osservarlo per un momento, sedendosi poi accanto a lui e restando in silenzio. Percepì i suoi occhi abbandonare il libro e concentrarsi su di lui, senza discrezione, facendo vagare lo sguardo sul suo viso che era ancora puntato verso terra senza il coraggio di alzarsi e affrontarlo.
Poi sentì le sue dita sfiorargli la mano, e allora lo fece; lo guardò, e suo malgrado si ritrovò a perdersi nel verde dei suoi occhi, ora forse un po' lucidi. Tentò di dire qualcosa, ma Alexander scosse la testa facendogli capire che doveva tacere.
Lorenzo lo osservava. Lo osservava come non aveva mai fatto prima. Sentì la propria mano andare automaticamente ad accarezzargli alcune ciocche che gli sfioravano il collo, prima che questa si modellasse contro di esso con le dita infilate appena nei capelli corvini.
Non seppe cosa stava per fare finché non fu davanti al suo viso, anche se Alexander l'aveva capito eccome, e aveva gli occhi spalancati, enormi e spaventati.
Lorenzo poteva sentire il suo respiro infrangersi sulle proprie labbra secche, sulle quali passò velocemente la lingua, senza però muoversi. Gli stava dando tutto il tempo di realizzare cosa voleva; poteva mandarlo via o poteva accoglierlo, ora stava tutto a lui.
Vide un lampo di insicurezza passare nei suoi occhi, e il suo corpo ritrarsi impercettibilmente all'indietro e Lorenzo strinse le labbra, consapevole, e, nonostante sentisse il suo cuore fargli male, fece scivolare le dita lontano dal suo viso e si allontanò da lui.
“Lorenzo...” il ragazzo sentì la sua voce giungergli alle orecchie come se fosse lontana chilometri. Non riusciva a non essere deluso da quel rifiuto, nonostante non ne avesse il diritto, nonostante fosse colpa sua. Il tono di Alexander era basso, supplichevole e spezzato, come se fosse vicino al pianto.
“Non importa. Hai tutto il diritto di comportarti così. È colpa mia. Non importa.”
Invece importava. Importava perché Lorenzo sentiva un macigno alla bocca dello stomaco che non riusciva a farlo parlare, non riusciva a guardarlo negli occhi senza sentire una fitta al petto che faceva tremendamente male, perché era stato rifiutato un'altra volta, e forse doveva accettare il fatto che lui non riusciva a non far soffrire le persone che amava.
“Mi dispiace, Alexander. Scusami.”
Strinse le dita sulla stoffa liscia del divano. C'era qualcosa nella sua testa che gli urlava vattene, lascialo solo, ma il suo cuore no, non poteva dirgli queste parole.
Era proprio per i loro cuori che erano seduti su quel divano, ognuno con i propri conflitti, lontani l'uno dall'altro ma con il desiderio di essere più vicini, più a contatto, più insieme.
Poi, nel momento stesso in cui Lorenzo decise di alzarsi, Alexander gli afferrò la mano, e lo guardò con gli stessi occhi spalancati di poco prima, in cui il ragazzo poté vedere tutti i suoi stessi sentimenti vorticare in essi.
“Ti prego, resta.”
Bastarono tre parole perché Lorenzo si convincesse; bastarono tre parole perché si piegasse sul suo corpo e premesse le labbra sulle sue, questa volta senza dargli il tempo di riflettere su ciò che stava facendo.
 
Bring your chains, your lips of tragedy, and fall into my arms.
 
Baciare Alexander era bellissimo, e lo era ancora di più se entrambi erano totalmente lucidi, anche se la loro mente era un po' offuscata da ciò che stavano provando. Ma le sue labbra erano calde e morbide, e Lorenzo non avrebbe voluto staccarsi mai più da esse. Sentì le dita del ragazzo infilarsi tra i suoi capelli, e qualche secondo dopo erano ancora più vicini, i corpi che combaciavano completamente.
Non fu un bacio rude, di quelli che si danno quando si è arrabbiati e si brama un contatto; fu un bacio dolce, passionale e profondo, perché Alexander meritava tutta la dolcezza del mondo, e qualcuno che si prendesse cura di lui.
Lorenzo non aveva mai baciato un uomo, ma aveva sempre pensato che non sarebbe cambiato molto, rispetto ad una donna. Le sue labbra erano morbide, sì, ma baciavano in un modo più forte, senza tutta la delicatezza che una ragazza poteva metterci.
Fece scorrere la lingua sul suo labbro superiore, prendendosi tutto il tempo necessario, e mordendogli appena la pelle, prima di approfondire nuovamente il bacio.
Si fermò soltanto quando Alexander si ritrasse, le labbra gonfie e gli occhi lucidi e scuri di qualcosa che Lorenzo non sapeva bene come identificare.
Poteva essere desiderio, paura o qualcos'altro, lui non lo sapeva.
Sapeva solo che non l'avrebbe più lasciato andare, per nulla al mondo.
E Alexander, dopo avergli lanciato uno sguardo profondo, l'aveva deciso anche lui: non si sarebbe mai separato da quel ragazzo. Aveva aspettato così tanto tempo, così tanti anni, prima che Lorenzo si rendesse conto dei propri sentimenti, e ora poteva essere felice.
Quindi si alzò, e gli prese dolcemente la mano unendo le dita con le proprie, e sorrise. La pelle di Lorenzo era piuttosto ruvida, sui polpastrelli, a causa dei pennelli e delle matite che impugnava tutti i giorni, ma rimaneva comunque perfetta. Non poteva esserci nulla di più giusto delle loro dita che si stringevano e si sfioravano timidamente, mentre Alexander lo conduceva verso la propria camera da letto.
Non poteva esserci nulla di più giusto del silenzio attorno a loro interrotto solamente dal battito insistente dei loro cuori.
 
Non poteva esserci nulla di più giusto perché loro lo erano.


 

Angolo dell'autrice.

Non so che dire; è un capitolo venuto fuori male, avrei voluto scriverlo meglio e soprattutto aggiornare prima. Ma ho avuto un sacco di casini e quindi eccomi qui con un capitolo che non mi piace affatto. A voi i commenti.

El.

 

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Capitolo 6
*** Waiting for the night. ***


I'm waiting for the night to fall, I know that it will save us all.
When everything's dark, keeps us from the stark reality.
 
I'm waiting for the night to fall, when everything is bearable,
and there in the still all that you feel is tranquillity.
 
 
Le labbra di Alexander si muovevano dolcemente sulla pelle del ragazzo, baciandola, stringendo con delicatezza i denti su di essa; praticamente venerandola.
Aveva aspettato per davvero troppo tempo il momento in cui avrebbe finalmente potuto avere Lorenzo. Quindi, ora che finalmente era lì con lui, non si sentiva agitato, ansioso o preoccupato. O almeno non più del normale. Era semplicemente felice, e si stava dedicando totalmente a lui per farlo rilassare, perché capisse che lo amava e lo avrebbe sempre amato, e per questo motivo non aveva mai forzato niente della loro relazione.
Sapeva che Lorenzo era spaventato. Lo sapeva perché dal momento in cui il ragazzo si era reso conto di provare qualcosa per lui, aveva notato che si era allontanato, non gli parlava più come prima, non si esprimeva più come in precedenza aveva sempre fatto. Poi, Lorenzo aveva semplicemente deciso di ignorare la cosa, e tutto era tornato ad una parvenza di normalità.
 
Alexander, perso nei propri pensieri, quasi non si era reso conto di aver raggiunto il suo ventre, che stava percorrendo con le labbra ma soprattutto con la lingua. Ciò che udì chiaramente, invece, fu un suono.
 
Un ansito.
 
Lorenzo si stava davvero eccitando per le sue attenzioni, dopo che aveva per tanto tempo negato ciò che sentiva, e avrebbe ovviamente mentito se avesse detto che questo non gli provocava immenso piacere e compiacimento.
Scivolò tra le sue gambe, divertendosi a premere il ginocchio in corrispondenza con il cavallo dei suoi pantaloni — alla fine Alexander meritava un po' di vendetta — e posò le labbra vicino al suo orecchio.
 
“Questo è decisamente... interessante.”
 
Lorenzo avrebbe potuto sentirlo sorridere, se solo non fosse stato così impegnato a tentare di ignorare la sua voce. Sapeva che Alexander l'aveva fatto apposta, ad utilizzare quel tono basso e provocante e... caldo. Molto caldo. Bollente.
 
“No, sei tu che mi stai...”
 
Il ragazzo si bloccò, rispondendo; sentì le guance scaldarsi e tutto ciò che riuscì a fare fu catturare le sue labbra in un bacio, per dissimulare l'imbarazzo. Si sentiva stupido, per quella reazione; non era mai stato propriamente un dongiovanni, ma aveva avuto le proprie esperienze. Quello che lo faceva sentire come un bambino nel suo primo giorno di scuola era il fatto che Alexander fosse un ragazzo. Aveva un corpo, reazioni e istinti che avrebbe dovuto conoscere per natura, ma era proprio questo a destabilizzarlo, a fargli pensare di non essere in grado di provocargli piacere, perché era ovviamente quello che sarebbe successo da lì a poco.
 
“Eccitando? Oh, sì, è esattamente questo il mio scopo.”
 
Rise, Alexander, e Lorenzo si perse in quel suono cristallino, capace di farlo estraniare dal mondo e da qualunque cosa avrebbe potuto succedere all'esterno, i cui confini non erano le mura del loro appartamento, ma i loro corpi, le loro menti e i cuori che battevano all'unisono.
D'istinto le sue mani andarono a sollevargli la maglia leggera, e percorsero la linea del suo corpo, magro e asciutto, con solo un accenno di muscoli. Tutto ciò che poteva vedere era illuminato dalla luce fioca della lampada nell'angolo, che forse avevano acceso quando erano entrati. Non che lo ricordasse; tutto ciò che gli tornava alla mente erano le labbra morbide di Alexander che mordevano le sue, e lo spingevano verso il materasso.
Il suo corpo era diverso dal proprio, decisamente più muscoloso, e di un colore quasi latteo. Il petto era completamente glabro — cosa che Lorenzo apprezzò silenziosamente — ma, muovendo le mani, poté notare una striscia di peli scuri che scomparivano oltre il bordo dei pantaloni, raggiungendo qualcosa di decisamente felice.
Quando il biondo passò la mano sul suo inguine, Alexander si tese all'indietro, contraendo i muscoli della schiena e schiudendo le labbra nell'esatto momento in cui i suoi occhi si strinsero.
 
Lorenzo perse il fiato. Non pensava che la vista del ragazzo — vista che non poteva essere definita altro che erotica — potesse provocargli una tale reazione, che si concentrò nel suo stomaco per poi precipitarsi nel suo bassoventre, infiammandolo.
Cinse il suo busto con le braccia e lo spinse letteralmente sotto di sé, allontanandosi appena per togliersi a sua volta la maglietta, prima di sedersi sul suo bacino e afferrargli il volto per baciarlo.
 
“Lor— Lorenzo...”
 
Alexander sospirò sulle sue labbra, con lentezza, il suo nome, ma le mani erano di tutt'altro avviso, perché si muovevano frenetiche sui suoi pantaloni, slacciando il fiocco della tuta. Lorenzo non aveva più obiezioni, e gli allontanò quasi bruscamente le mani, slacciandogli a sua volta i jeans e abbassandoglieli, sfilandosi infine il tessuto morbido che cingeva le proprie gambe, tornando con impazienza sul suo corpo.
 
Dovette trattenersi quando la prima ondata di piacere lo attraversò come una scarica. La sensazione dei loro bacini a contatto — duri, caldi e bisognosi — quasi lo fece urlare e fu costretto a stringere le dita sulla testiera del letto per non lasciare uscire quel gemito che sapeva essersi formato nel centro del proprio petto, che quindi, ingabbiato, si trasformò in una sorta di ringhio. Alexander aprì gli occhi a quel suono; gli piaceva pensare che avesse un particolare orecchio non solo per i suoni e i rumori — com'era perfettamente normale per un musicista — ma soprattutto per quelli che emetteva Lorenzo: riusciva a captare ogni più piccolo suono, sussurro o parola che uscisse dalle sue labbra. In quel momento gli unici suoni che spezzavano il silenzio della camera da letto erano i loro gemiti, causati dalla frizione dei bacini e dal desiderio che l'uno provava nei confronti dell'altro.
 
Improvvisamente, non seppe in quale modo, Lorenzo si ritrovò sotto Alexander, le mani di lui che gli sfilavano anche l'ultimo indumento rimasto a coprirgli la pelle. Perse definitivamente la cognizione del tempo e dello spazio quando il ragazzo si sedette sul suo bacino, muovendosi contro la sua erezione, che sfiorò la curva delle natiche.
Vedere il ragazzo in quel modo gli fece andare il sangue alla testa — o almeno quel poco che non era impegnato in altre parti — e d'istinto afferrò il viso del ragazzo con una mano, baciandolo, chiudendo l'altra attorno al suo membro e muovendola.
 
Lorenzo avrebbe voluto vedere la sua reazione, e non soltanto sentirla. Alexander gemette, si tese e strinse le mani tra le sue ciocche, si appigliò a lui come fosse la sua unica ancora di salvataggio, e Lorenzo rimase sconvolto dai gesti che riusciva a percepire solo con il tatto. Si meravigliò di come un solo, semplice suo gesto l'avesse fatto esplodere in quel modo, mostrandolo come mai era successo.
Continuò a muovere la mano fino a quando Alexander non gli sovrappose la propria, aprendo gli occhi e cercando i suoi occhi.
 
«Non voglio venire così.» ansimò sulle sue labbra, e vide i suoi occhi spalancarsi, di nuovo nel panico.
 
«Io... non penso di essere pronto a...» replicò, deglutendo, ma Alexander gli mise un dito sulle labbra e lo zittì. Scivolò sul suo corpo, accarezzandolo incessantemente, e si chinò al suo orecchio.
 
«Non faremo nulla che tu non voglia, stanotte.» sussurrò con dolcezza, avvolgendo poi entrambe le erezioni con una mano, muovendola lentamente e spingendosi nel mentre in quella stretta.
Il turbinio di emozioni che coinvolse i due ragazzi fu talmente intenso che sperarono potesse durare per sempre, anche se era una tortura, una dolce e calda tortura che da troppo tempo nessuno dei due era più riuscito a provare. Forse dovevano trovarsi, per riuscire a provare di nuovo certe cose, certe emozioni impossibili da sentire con una donna.
In quel momento però non importavano i forse, i magari o i dubbi. Importava il fatto di essere insieme, l'uno addosso all'altro, non più in modo romantico ma totalmente erotico e avvolgente, un po' scomposto e di sicuro scomodo, ma che avrebbe portato a qualcosa che assomigliava molto all'estasi. E loro non vedevano l'ora di provarla.

 

Angolo dell'autrice (non ancora deceduta)

Ebbene eccomi qui di nuovo; questa storia è sempre stata particolarmente una delle mie preferite e in questo periodo di pausa mi sono resa conto di desiderare di portarla a termine. 
Succederà, forse lentamente, ma farò avere una fine (bella o brutta si vedrà) a questi due tipi qui.

Per coloro che ancora seguono Violator,
grazie

El.

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