Cronache di Minecraft

di LiquidScience
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi nella chest ***
Capitolo 2: *** Il viaggio ***
Capitolo 3: *** Incontri ***
Capitolo 4: *** La Notte di Sotto ***



Capitolo 1
*** Ricordi nella chest ***


Steve si mise a sedere accanto a una chest di legno, all’interno di quella specie di bunker sotterraneo che aveva imparato a chiamare ‘casa’. L’odore di terra bagnata impregnava l’aria, ma con il tempo se n’era abituato tanto da non sentirlo più.
Aprì la chest e tra gli oggetti vari prese una vecchia foto, un po’ ingiallita.
La osservò, quasi come un rituale portafortuna. In quello scatto c’erano sua madre, suo padre, lui e suo fratello più grande.
Gli mancavano terribilmente. Chiuse gli occhi, ricordando l’ultima volta che li vide.
 
***
 
La luna quadrata si levava in alto all’orizzonte, delineando con la sua debole luce i sottili contorni di quell’oscuro paesaggio. Il giovane Steve stava guardando con crescente angoscia al di fuori del blocco di vetro che costituiva la finestra.
“Stanno arrivando!” disse il fratello, facendo improvvisamente irruzione nella stanza dall’ingresso principale.
“Oh, no!” esclamò la madre, abbracciando il marito, preoccupata.
Il padre fece cenno ai figli di aiutarlo a serrare le porte, lui avrebbe chiuso quella posteriore, il figlio maggiore quella che conduceva alla terrazza mentre il minore quella principale.
Steve uscì per prendere qualche blocco di terra, ma degli strani e continui rumori provenienti dalla foresta lo costrinsero a rinunciare in preda alla paura. Tornò davanti all’uscio e osservò anche le altre case del villaggio. Nessun altro aveva serrato le porte.
Ingoiò un po’ di saliva e ritentò la sua impresa, invano. Questa volta, però, fu spaventato dall’improvvisa apparizione di uno zombie. Assomigliava a una persona normale, ma aveva la pelle completamente verdastra, occhi spenti ed emetteva strani mugolii.
Terrorizzato, Steve abbandonò tutto e si rifugiò in casa, al sicuro tra le braccia della sua famiglia.
“Mamma, mamma, ho paura!” disse Steve, tenendo stretto il vestito della madre.
“Su, vedrai che si sistemerà tutto”
Un colpo alla porta mise tutti sull’attenti.
“Steve, hai serrato la porta, vero?” chiese il fratello, con un tono frustrato.
Steve ciondolò la testa, trattenendo a stento le lacrime.
Il fratello si fiondò alla porta, tenendola chiusa di peso, mentre le creature dall’esterno spingevano per aprirla.
“Via! Mettetevi in salvo!” gridò.
“No!” protestò la madre, lasciandosi sfuggire delle lacrime.
“Via!” gridò l’altro, con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Gli altri tre raggiunsero la cantina e il padre richiuse la porta alle loro spalle.
Si sentirono altri colpi provenienti dall’uscio, poi un sibilo e un boato enorme.
“No!!” gridò la madre, in lacrime, cercando di raggiungere il figlio.
Il padre la trattenne e la strinse in un abbraccio, mentre la donna piangeva disperatamente la sorte del figlio maggiore.
Steve era terrorizzato. Se ne stava immobile nell’angolo, troppo spaventato per fare qualcosa.
Il padre lo prese in braccio e lo calò nella dispensa, una stanza scavata sotto terra contenente tutte le loro provviste. Questa stanza era collegata con quella sovrastante da una botola, che il padre richiuse una volta che Steve fosse a terra, con una lacrima che gli rigava il viso.
 
Fu l’ultima volta che Steve vide i suoi genitori
 
Da quel giorno, non aveva mai avuto il coraggio di aprire quella botola. Aveva cominciato a scavare prima la terra e poi la pietra a mani nude, cibandosi dei viveri della dispensa o di ragni delle caverne quando i viveri finirono. Avevano un sapore orribile e gli veniva sempre la nausea, ma l’alternativa sarebbe stata la morte.
Una volta aveva trovato una miniera abbandonata, con delle impalcature in legno che sembravano sostenere il soffitto per miracolo. Riuscì a ricavare del legno con cui farsi degli attrezzi e trovò una chest con un po’ di pane secco all’interno.
Sebbene avesse un vago odore di muffa, lo assaggiò comunque.
Decisamente migliore della carne di ragno.
 
***
 
Steve ripose la foto nella chest della dispensa sotterranea, sospirando. Quanti anni erano passati da allora? Non lo sapeva per certo. Era cresciuto molto, questo era sicuro, non era più un bambino.
Chissà, magari aveva la stessa età di suo fratello, quando scomparve.
Osservò i raggi del sole filtrare dalla botola.
Un velo di coraggio si posò su Steve, ormai stufo di vivere sottoterra cibandosi di ragni.
Aprì la botola e uscì. Un’ondata di luce lo invase, accecandolo per un istante, ma quando si abituò alla luce poté vedere il paesaggio innanzi a lui.
Non c’era più nulla di ciò che ricordava, se non lo scheletro: del villaggio in cui viveva rimanevano solamente le fondamenta di pietrisco, ricoperte di muschio, che delineavano i contorni delle case come il gesso i contorni di un cadavere nella scena del crimine.
Steve percorse i contorni della sua casa, accarezzando con la mano il muschio vellutato.
Quando il suo sguardo si posò dove un tempo c’era l’uscio, ebbe un tuffo al cuore.
Non c’era più nulla, nemmeno le fondamenta. Tutto era stato brutalmente cancellato da una voragine enorme.
 
Cominciò a buttare giù qualche albero, procurandosi un po’ di legna per costruirsi una casa. Cominciò a mettere le fondamenta, poi i muri, infine il tetto con una piccola terrazzina.
Stava finendo la casetta quando avvistò un maiale. Quel simpatico animaletto rosa voleva dire una sola cosa: carne. Cibo.
Scese immediatamente, lo catturò e ne fece qualche bistecca di maiale.
Stava tornando indietro costeggiando la spiaggia, quando si fermò di colpo, osservando l’orizzonte.
In lontananza, sopra un promontorio che si affacciava sul mare, c’era una strana figura. Dai contorni delineati dal sol calante sembrava un essere umano.
La strana figura si mosse lievemente voltando il capo qua e là.
Steve era immobile, incredulo. Chiuse gli occhi e se li strofinò, credendo a un miraggio.
Quando li aprì, la figura era scomparsa.

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Capitolo 2
*** Il viaggio ***


Steve uscì di casa portando con sé tutto l’occorrente in caso di bisogno. Aveva intenzione di esplorare questo mondo, chissà, magari c’era qualche altro sopravvissuto.
Si lasciò alle spalle la piccola baia, addentrandosi nella foresta di querce. Si guardò attorno, quegli alberi gli incutevano un po’ di timore. Si sentiva come se fosse ancora sotto terra, lottando ogni giorno per poter mettere qualche esiguo pezzo di ragno in bocca, per lenire almeno un po’ i morsi della fame.
Si era lasciato alle spalle quella vita, ora voleva solo guardare avanti, in quel mondo che sembra nuovo.
Alzò la testa, come in risposta a quel pensiero.
Un movimento in lontananza catturò la sua attenzione. Cos’era? Sembrava piccolo.
Si avvicinò con cautela e lo immobilizzò. Era un semplice pollo, ottimo cotto al forno.
Riprese il suo cammino, arrivando ai piedi di una montagna. Tirò un sospiro sconsolato. E ora?
Poteva solo scalarla.
Avanzò su una sporgenza e cominciò ad arrampicarsi, scalino dopo scalino, cubetto dopo cubetto.
Quando arrivò in cima, poté godere di un ottimo panorama.
“Posso persino vedere casa mia da qui!” disse Steve tra sé e sé.
Si girò verso l’altro versante della rupe, con il cuore scaldato dal magnifico panorama. Attraversò l’altipiano tranquillamente, raccogliendo qualche fiore qua e là, per poi ripiantarlo poco lontano. Giochetto senza un senso preciso, ma utile per svagarsi un po’. Trovò qualche seme nell’erba e li conservò.
Potevano tornargli utili, dopotutto.
Il sole cominciò a farsi strada verso l’orizzonte, facendo scurire il cielo a poco a poco sempre di più.
Continuò a camminare, masticando un po’ di carne di maiale e guardandosi attentamente attorno.
Dei puntini rossi luminosi si mossero tra la vegetazione, mettendo in allarme Steve.
Cominciò a correre, in preda al panico. Uno zombie dalla pelle verde, poco più avanti, si diresse verso di luio cercando di intercettarlo, deciso a fargli la pelle.
Steve corse a più non posso, ormai era buio e doveva trovare un riparo.
Come in risposta alle sue preghiere, delle luci in lontananza gli infusero coraggio. Corse a perdifiato verso quello che sembrava un villaggio, evitando frecce che gli fischiavano attorno.
Mancava poco.
Sempre meno.
Quasi!
Abbassò la testa di qualche centimetro, evitando per puro caso una freccia che si conficcò nel pietrisco della casa. Steve prese la prima porta che trovò e ci si fiondò dentro.
Sentiva benissimo i rumori dei mob, intervallati dai suoi respiri affannosi.
Accidenti, c’è mancato poco. Per fortuna ha raggiunto in tempo questo villaggio abbandonato…
Un rumore di passi lo fece trasalire.
Disabitato un corno. Lì c’era qualcuno.
Aveva un po’ di carbonella e la accese per fare delle torce. Ne posò una sul muro, rischiarando tutta l’abitazione.
Steve rimase perplesso da quello che vide: Tre persone se ne stavano rannicchiate in un lato, tremando.
Ma la cosa che lo colpì di più fu la grandezza smisurata del loro naso.
Chi erano? Sopravvissuti?
Cercò di scambiarci qualche parola, ma non parlavano la sua lingua e l’unico modo per capirsi era a gesti.
Aspettò con loro il sorgere del sole, dopodiché uscì a dare loro una mano con le colture e con i radi mostri che, in preda alle fiamme, cercavano di compiere l’estrema e definitiva fatica, uccidendo qualche villico.
Invano, ovviamente, da quando arrivò Steve. Erano completamente disarmati e indifesi, Egli insegnò loro a manovrare la spada e a difendersi.
Giunta la mattina dopo, Steve decise di partire. Per ringraziarlo di tutto, i villager gli diedero qualche lavoro di manifattura, materiali e ortaggi.
 
Era ormai giunto nei pressi di casa sua quando percepì una sensazione strana, come se qualcuno lo stesse osservando. Gli prese un colpo. Mob? No, è ancora troppo presto.
Si guardò più volte attorno, senza però vedere nulla.
Volse lo sguardo alla baia e lo vide. Una specie di uomo, alto, scuro e con gli arti esagerati. Aveva gli occhi color porpora e lo fissava.
Cos’era?
Non sapeva più cosa fare, era terrorizzato. Lo strano umanoide si portò davanti Steve con una rapidità tale da sembrare un teletrasporto, spalancando la bocca e rivelando una moltitudine di denti aguzzi.
Steve urlò, in preda al panico.
Estrasse la spada di pietra, ma ogni colpo andava a vuoto. Era veloce, troppo veloce.
Un colpo secco. Tutto sembrava a rallentatore: l’umanoide venne colpito da qualcosa e cadde a terra, scomparendo. Steve si girò verso la direzione dalla quale provenne quello strano proiettile.
E lì, tra la nebbia che copriva il bosco, c’erano un paio di occhi completamente bianchi.
Steve ebbe paura. Un altro di quegli esseri umanoidi? No, non era così alto.
Una voce risuonò nell’aria poco prima che quella strana figura si dissolvesse nella nebbia:
 
aro aut al atavirra arocna è non

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Capitolo 3
*** Incontri ***


Camminando per il sentiero nel bosco, raggiunse una radura poco lontano da casa sua. Preso dalla voglia di esplorarla, fece qualche passo ma decise di rinunciare, vedendo che ormai si faceva sempre più scuro. Tornò a casa sua e si coricò nel letto, passando la notte come se fosse durata un secondo.
Tornò nella piccola radura. Scorse poco lontano una piccola mandria di cavalli che pascolava serenamente.
Entusiasta della scoperta, si avvicinò per provare a cavalcarne uno. Quello bruno a macchie bianche sembrava lasciarsi fare, ma sul più bello lo scaraventò a terra, così come gli altri. Il piccolino, poi, Steve non aveva nessunissima intenzione di provare a salirci.
Riprovò con il cavallo nero, ma questi lo scaraventò nei pressi di una specie di burrone. Vinto dalla curiosità, si avvicinò ad osservare e scoprì che quello altri non era che una caverna molto vicina alla superficie, il cui soffitto era crollato a causa degli agenti atmosferici.
Sentì un verso strozzato venire dall’oscurità della caverna. Sembrava un animale sofferente.
Steve prese un po’ di bastoni e craftò una scala a pioli per poter scendere. Esplorò i dintorni della cava, che però era troppo buia per essere esplorata interamente. Accese qualche torcia qua e là, fino a raggiungere l’origine di quei versi. Uno splendido cavallo bianco giaceva straiato per terra, presumibilmente con una zampa ferita. Quando vide l’umano cercò di scappare, ma non ci riuscì. Steve, mosso dalla compassione per quella povera bestia, decise di non lasciarla lì a perire. Gli diede un po’ di grano da mangiare, mentre controllava quale fosse il problema.
La zampa posteriore sinistra sembrava ferita in modo serio da graffi profondi anche due millimetri. Prese qualche pezzo di stoffa dall’inventario e lo medicò. Avvolgendo quelle bende improvvisate, notò che sullo zoccolo era conficcata una freccia. La estrasse, facendo attenzione a non ferire la bestiola.
Essa sembrò grata a Steve, si rialzò con cautela e cominciò a seguirlo nella sua esplorazione della grotta.
Steve trovò una chest contenente dei lingotti di ferro, delle ossa e uno splendido diamante.
Una freccia fischiò sfiorando di poco la testa dell’umano, conficcandosi sulla parete.
Via! Il cavallo si impennò e, seguito da Steve, corsero in fretta e furia verso la parte di grotta con il soffitto crollato, inseguiti da due zombie e tre scheletri armati di archi e frecce.
Giunti al punto prestabilito, Steve salì la scala, ma il cavallo non potette. Allarmato, cercò di rompere qualche blocco di pietra per far salire l’animale, ma non avendo con sé il piccone era un’impresa ardua.
Il cavallo si allontanò un attimo e Steve credette avesse deciso di andarsene per la propria strada. Successivamente, però, riapparì correndo e spiccò sorprendentemente un balzo, raggiungendo l’aria aperta e subito dopo ricadendo a terra per aver sforzato così tanto la zampa ferita.
 
***
 
Qualche settimana dopo, la ferita alla zampa era completamente guarita e Steve provò a cavalcare il cavallo bianco, che aveva chiamato Lucky. Tirò fuori una sella che un villico gli aveva donato e la legò con cura al cavallo. Salì e cominciò a fare qualche giro nelle vicinanze, prendendo un po’ la mano con le briglie. Andare a cavallo era molto più veloce che a piedi e Steve ringraziò di essere caduto vicino a quella caverna.
Decise di esplorare la zona a ovest di casa sua, dove la pianura faceva strada a un ostile deserto. Fatta scorta di viveri, si addentrò nella grande distesa di sabbia cocente.
Cavalcò per un tempo infinito, tenendo sempre conto del percorso fatto per non perdersi. 
Uno strano e immenso edificio in lontananza catturò l’attenzione di Steve. Sembrava una specie di fortezza in arenaria mezza insabbiata…
Si avvicinarono e Steve scesa da cavallo, legano del briglie su un palo impiantato vicino a quella che dovrebbe essere l’entrata.
Scavò nella sabbia fino a liberare la porta ed entrò. L’interno, simile a quello di una piramide, era deserto. Sul pavimento c’era uno strano disegno fatto con della lana, al centro del quale c’era un blocco blu, anziché arancione come il resto.
Perfino un villico bambino capirebbe che non è stato messo a caso.
Si avvicinò e rimosse la lana blu, rivelando una botola con al fondo delle chest e una pedana in pietra.
La pedana non gli ispirava nulla di buono. Era meglio andare con cautela.
Ruppe qualche blocco di arenaria attorno e calò la scala a pioli, che però era più corta dell’altezza del burrone. Cominciò a scendere, piazzando sotto di sé i frammenti di scala che aveva già percorso.
Arrivato sul fondo, distrusse la pedana. Non c’era nulla di strano, ma non sempre è tutto come appare.
Infatti, sotto l’arenaria del pavimento c’erano  ben nove blocchi di dinamite.
Si sentì un nodo alla gola per esser scampato a un’imminente morte.
Prese la dinamite e rimise l’arenaria al suo posto, dopodiché sbirciò in una delle chest.
All’interno trovò delle ossa, carne marcia e una bardatura completa per cavalli, in oro.
Doveva appartenere a un cavallo di qualche ricco proprietario.
Esitò un po’. Quell’edificio sembrava un tempio. Che rubando gli oggetti scatenasse l’ira di qualche entità o dio?
Scosse la testa. Non ne valeva la pena di lasciare lì un tesoro così prezioso.
In tutto, oltre alla bardatura, trovò anche due smeraldi e qualche pezzo d’oro. Non male.
Uscì allo stesso modo con cui era entrato e si sentì tremendamente osservato. Una sensazione di gelo lo invase e lo spinse a guardare in alto. C’era un secondo pano, una specie di cornicione e per un attimo i suoi occhi incrociarono quelli di una strana entità, la stessa che lo aveva salvato dall’umanoide nero.
Gli occhi bianchi riempirono il cuore di Steve di una sensazione di terrore per pochi secondi, dopodiché scomparve.
Uscì immediatamente dal tempio. Il cavallo sembrava turbato e, quando lo ebbe legato e fu montato in groppa, partì verso casa a tutta velocità.
 
Quando arrivarono nei pressi di casa, il cavallo rallentò fino a fermarsi. Steve lo guidò verso la piccola stalla che aveva costruito appositamente per lui e decise di provare la bardatura.
Ci calzava a pennello, sembrava fatta apposta. Il cavallo sembrava contento della novità e brucò allegramente dell’erbetta fresca.
Steve entrò in casa, si stiracchiò e si sdraiò sul letto.
Il suo riposo fu interrotto nel cuore della notte dai nitriti carichi di paura del cavallo.
Uscì, confuso e terrorizzato. Cercò di calmarlo, ma il cavallo era troppo spaventato.
Qualcosa lo colpì alle spalle e Steve sbatté contro il muro, semicosciente. Alzò lo sguardo e lo vide.
Alto come lui, vestito come lui. Stessa corporatura, quasi lo stesso viso.
Ma gli occhi erano completamente bianchi.
Bianchi e carichi d’ira.
 
 
 
(Nota dell’autrice: Salve a tutti lettori! Scusate se non ho aggiornato per tanto tempo, ma ho avuto un sacco di impegni ultimamente… ma che importa? Ora il capitolo è qui, no? Spero vi sia piaciuto, questo brandello di storia non era incluso nella trama che avevo pensato all’inizio –almeno, non tutto- ma non potevo non dedicare qualcosa al nuovo update! Il prossimo sarà l’ultimo capitolo, con colpi di scena e suspance! Ok basta, ho parlato anche troppo vi sto rovinando l’atmosfera… Al prossimo capitolo!!)

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Capitolo 4
*** La Notte di Sotto ***


Steve non riusciva a staccare gli occhi da quelle orbite vuote. Aveva paura, tanta paura. Si sentì come se quella ormai la fine.
La fine.
Non aveva mai pensato a come poteva essere. C’era qualcosa oltre la vita?
No, non ci doveva pensare. Era troppo pessimista. Sarebbe sopravvissuto.
Il fantasma si avvicinò, come teletrasportandosi, andando pericolosamente vicino all’umano.
Lo prese con la mano e lo sollevò da terra.
No, non sarebbe sopravvissuto.
iaf ehC? icsonocir im noN?”
Steve cercò di capire cosa volessero dire quelle parole. Sembrava un linguaggio spettrale, ultraterreno.
evetS!” tuonò ancora quella specie di spettro.
Steve si illuminò. Parlava al contrario!
“Chi sei tu? Cosa vuoi da me?!” chiese.
“!enirboreH onoS” disse la figura con un accenno di preoccupazione sulla faccia.
Sono Herobrine.
Quel nome gli riecheggiò nella testa all’infinito.
Herobrine.
Il suo fratello scomparso, ucciso da un mostro kamikaze Creeper. O almeno, era quello che credeva.
“Hero… sei vivo?” disse Steve con una nota di gioia.
“!aut aploc rep ,oN”
No, per colpa tua.
Herobrine gettò Steve per terra, facendogli fare un breve volo. L’uomo rimase stupefatto dal gesto. Uno dovrebbe essere felice di rivedere suo fratello, no?
“!ottaf iah ehc olleuq rep ihgap ehc aro È”
È ora che paghi per quello che hai fatto.
“òrediccu iT”
Ti ucciderò
Sentito questo, Steve cominciò a correre a perdifiato in mezzo alla foresta.
Ma Herobrine lo aspettava dietro ogni angolo. Camminava con una velocità sovraumana, come un teletrasporto. Impossibile seminarlo… o no?
Steve giunse alla radura. Non c’era un solo mob in giro, tranne una mucca poco lontano.
Herobrine aveva smesso di seguirlo. Lo aveva seminato?
Si avvicinò all’animale. Non sapeva il perché di quel gesto… era quasi istintivo, forse voleva soltanto non sentirsi l’unico essere vivente.
La mucca girò la testa per guardarlo. Steve rimase impietrito e indietreggiò.
Aveva gli occhi completamente bianchi.
L’animale emise un muggito distorto, sovrannaturale, e si trasformò in Herobrine.
Steve cercò di nuovo di scappare, brancolando nel buio, ma cadde nel burrone dove aveva trovato Lucky, il cavallo. Cercò di scappare dalla parte opposta al sentiero già percorso in precedenza, cercando di accendere quante più torce possibili. Herobrine continuava ad inseguirlo assiduamente.
Il pavimento si aprì in una scalinata e Steve, colto alla sprovvista, cadde rotolando per la scalinata.
Si rimise presto in piedi e guardò la nuova stanza che aveva davanti. Era completamente fatta in mattoni di pietra, probabilmente rovine di città perdute. Davanti a sé c’era una porta in ferro apparentemente in buono stato. La oltrepassò, ma rimase chiuso dentro una strana stanza.
Il pavimento faceva da cornice a un pozzo di lava, con sopra un rettangolo di cassettoni con sopra degli amuleti. Una piccola coppia di scalinate collegava i cassettoni con la base, al centro di esse c’era una gabbia contenente uno strano mostro che, vedendo Steve, cercò di rompere la prigione dibattendosi all’impazzata.
Non sapeva più cosa fare. Era veramente la fine.
Sentì un respiro pesante alle spalle. Si girò e vide con orrore Herobrine dietro di lui, assetato di vendetta.
Steve indietreggiò e finì contro uno dei cassettoni. Sentiva il calore della lava scottagli la pelle sotto i pantaloni.
Col braccio, distrattamente, spostò uno dei talismani che si allineò perfettamente con tutti gli altri.
L’esserino in gabbia smise di dibattersi. Tutto sembrava vorticare velocemente attorno a loro, l’aria si fece pressante e le pareti si deformarono, come se stessero andando troppo veloce per scorgerle nei particolari.
Una forza trascinò tutto verso il centro del rettangolo, diventato nero come la pece. All’interno si vedevano le stelle del cielo, ma l’infinito si estendeva verso il basso.
Steve e Herobrine vennero trascinati verso quello strano mondo al contrario. Steve si aggrappò a un lato del portale, mentre Herobrine ai suoi pantaloni.
“Lasciami!” gridò, in preda al terrore.
“oN! em noc iarrev ut ,eriraps oved eS!”
No! Se dovrò sparire, tu verrai con me.
“Sei ancora arrabbiato per quella volta? Per quella volta che non ho serrato la porta?” chiese, quasi urlando per farsi sentire tra il fruscio dell’aria che veniva risucchiata.
“odradoc odiruL! ittut isiccu iah iC!”
Lurido codardo! Ci hai uccisi tutti.
“Avevo paura. Mi dispiace, non sai quanto!” disse Steve, rimpiangendo di esser stato così codardo quella volta.
“narg nu ieS… otted iah asoC?”
Sei un gran…. Cosa hai detto?
Herobrine guardò Steve con sorpresa. Si sentì uno stupido. In fondo, Steve allora era troppo piccolo per poter fare quelle cose. Era normale che rimanesse terrorizzato dai mob della notte.
Che cosa aveva pensato fino ad allora? Che l’avesse fatto apposta?
“Mi dispiace… non volevo. Scusa. Adesso per colpa mia moriremo tutti e due” disse Steve con profonda tristezza.
“oN, evetS, otrom àig onos oi”
No, Steve, io sono già morto.
Detto questo, Herobrine mollò la presa e sparì nel buio della notte al contrario. Tutto si calmò, il portale si chiuse e qualche talismano uscì dalla sua collocazione.
Steve si rialzò e guardò il punto in mezzo alla lava in cui poco prima si vedevano le stelle.
“Mi mancherai, Herobrine. Anche se hai cercato di uccidermi, sei sempre il mio fratellone”
Detto questo, fece dietro front e ritornò a casa, alla sua avventura in questo strano mondo cubico chiamato
 
 
 
(n.d.a.: Con questo capitolo finisce la mia fan fiction su questo gioco! Ringrazio chi l’ha seguita, chi la seguirà e ovviamente chi l’ha recensita o la recensirà. Spero vi sia piaciuta!)

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