Sunday Morning

di EmilyPlay
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Judy's breakfast ***
Capitolo 2: *** Roger's breakfast ***



Capitolo 1
*** Judy's breakfast ***


Mi svegliai perché quell’oca in cucina sembrava non volerne sapere di smetterla  di starnazzare. No, non vivevo in una fattoria, ma in un minuscolo appartamento a Clapham, Londra, e l’oca in questione era Susan, la più fastidiosa coinquilina con cui avessi mai abitato (non che la lista fosse lunga) e con cui condividevo le spese da ormai un anno. Mi rigirai nelle lenzuola come in un bozzolo, nascondendo la faccia sotto il cuscino e sforzandomi inutilmente di farla tacere con la sola forza del pensiero.
“Stai zitta, stai zitta, stai zitta” bofonchiai, mentre la sua vocetta troppo acuta si faceva beffe del cuscino e mi perforava le orecchie:  “…ma tremendo ti dico!..”
“Ma sei tremenda tu!” sbuffai esasperata e mi decisi a scalciare via le lenzuola e a ruzzolare letteralmente fuori dal letto.
Quando raggiunsi la cucina Susan mi accennò appena un mezzo saluto, troppo intenta a raccontare non so quali stupidaggini e pettegolezzi per potersi interrompere per più di mezzo secondo.
L’unica destinataria di quel flusso senz’argini di parole era Margaret, l’altra nostra coinquilina, che si limitava a rimanere accoccolata a gambe incrociate sulla sedia, con una tazza di caffè in mano, probabilmente senza prestare la minima attenzione al monologo di cui si era ritrovata spettatrice.
“Dormito?” mi chiese semplicemente, quando presi posto anche io al tavolo e mi preparai a inzuppare il primo biscotto nel caffè fumante. Si era voltata verso di me, piantandomi addosso con i suoi occhi arrossati quel suo solito sguardo perso. Non conoscevo nessuno che fumasse più spinelli di lei. Diceva che la aiutavano moltissimo nel processo creativo. Frequentava la scuola d’arte con me e condividevamo la camera da letto da circa quattro mesi.
“Abbastanza” le risposi con un sorriso.
Susan rimase per un attimo spiazzata per l’interruzione, ma si riprese immediatamente rivolgendomi un sorrisetto malizioso che odiai all’istante.
“Sei tornata presto ieri sera, Judy!”
Feci spallucce, mordendo un biscotto.
“Non ci sa fare Sean?”
Con irritazione mi accorsi che anche Maggie mi stava osservando.
“Ero stanca.” Mi misi a masticare ostinatamente.
“Ah, certo.” Con la coda dell’occhio colsi un sorriso di trionfo, mentre si immergeva nuovamente nel discorso che era stata costretta ad abbandonare per poco.
Lasciai come al solito che le sue parole scorressero via. Dopotutto, come al solito, l’aveva azzeccata: la serata era stata un disastro. Era stata la mia terza uscita con Sean e, anche se in precedenza l’avrei ritenuto impossibile, era stata tre volte più noiosa delle altre. Ammetto che l’unico motivo che mi aveva spinto ad accettare i suoi inviti per ben tre volte era stato il fatto che fosse un bel ragazzo, probabilmente il più bello con cui fossi mai uscita, ma ciò non toglieva che fosse uno snob vanitoso e senza nulla di interessante. I suoi discorsi quando eravamo insieme vertevano principalmente sulla importante carriera che avrebbe conseguito nella società di suo padre e su come i ragazzi ci stavano attorno non fossero in grado di cogliere al volo le opportunità che si presentavano. Esattamente come Susan parlava attraverso monologhi e quando io tentavo di obiettare qualcosa, lui mi rivolgeva uno sguardo condiscendente e continuava per la sua strada come se i miei interventi fossero stati superati senza bisogno di parole. Inoltre, quando terminava soddisfatto l’esposizione di un argomentazione e non trovava altro su cui rivolgere l’attenzione, iniziava ad appiccicarsi e a sbaciucchiare in modo piuttosto schifoso.
La sera prima mi ero inventata un mal di testa e mi ero fatta accompagnare a casa abbastanza presto per porre fine a quella noia mortale. L’avevo lasciato fuori dalla porta prima che mi si avvinghiasse addosso come al solito.
“…e poi c’era quel Roger Waters, che tipo strano quello…”
La sorsata di caffè mi andò per traverso e iniziai a tossire energicamente strisciando la sedia all’indietro sul pavimento per allontanarmi dal tavolo.
Susan mi venne incontro e iniziò a battermi sulla schiena con fin troppa energia, mentre Maggie si mosse leggermente sulla sedia sorpresa da quell’evento che aveva turbato la monotonia della domenica mattina.
Quando riuscii di nuovo a respirare volsi lo sguardo verso Susan: “Cosa dicevi scusa?”
Lei parve un po’ stupita: “Che ieri sera eravamo in tanti. C’era Cindy e Kate con il suo nuovo ragazzo, un certo Franz, che non avevo mai visto prima e, porca miseria, Kate se li sceglie proprio bene i ragazzi. Ma vi ricordate che gran pezzo di figo era Ted? Ah già, Maggie, tu non l’hai mai conosciuto, ma ti garantisco io che non ti capita tutti i giorni ti ritrovarti davanti un ragazzo del genere, che poi non ho mai capito bene perché si siano lasciati, anche se a mio parere c’entra qualcosa Anne, che fa sempre la brava ragazza angelica, ma poi in realtà…”
È senza speranze, è un fiume in piena. Pensai.
“Aspetta Susan, chi altro dicevi che c’era con te ieri sera?”
Si stupì nuovamente di avere un interlocutore. “Bè, dunque Ian e Robert Wither, Jane Pears, Sarah Symons, ah, e quei due, Nick Mason e il suo amico Roger Waters, che come dicevo è davvero un tipo strano: se ne è stato con Mason tutto il tempo…”
Era tornato. Il mio cuore aveva iniziato a battere un po’ più forte.
Mi accorsi con disagio che una scintilla era sprizzata dagli occhi di Susan. “Ma certo! Tu sei uscita con lui per un bel po’ di tempo, non me ne ricordavo ieri sera, quando mi ha chiesto di te!”
Il cuore mi balzò in gola.
“Ha chiesto di me?” dissi con un tono strano che cercava di mascherare l’emozione.
“Sì, mi ha chiesto perché non c’eri…”
Questa volta il cuore mi si fermò e chiesi nonostante temessi la risposta come un patibolo: “E tu cosa gli hai detto?”
Lei si alzò con calma per lavare la sua tazza nel lavabo, non prima di essersi risistemata i capelli.
“Cosa avrei dovuto dire? La verità, che eri fuori con il tuo nuovo ragazzo e molto probabilmente in un bel locale costoso, perché, se non mi sbaglio, a Sean i soldi non mancano, giusto?”
Mi accasciai sulla sedia, mentre ciò che avevo appena mangiato iniziava a darmi la nausea.
“Poi non gli ho più parlato, non mi piace molto, sembra sempre che si senta al di sopra di tutto e di tutti…”
“Ma quindi è tornato nel suo appartamento?” la interruppi, un po’ troppo bruscamente.
“Penso di sì, sarà tornato perché ricominciano le lezioni, lui fa il Poli, no?”
Lavai la tazza nel giro di un minuto e mi precipitai in bagno. In camera mia mi ritrovai a provare tutto quello che avevo nell’armadio davanti allo specchio e a tentare agitata tutti i tipi di acconciature che conoscevo.
Nel frattempo entrò in camera Maggie, che si mise a cercare colori e pennelli nei posti più disparati.
“Sai, a me Roger stava simpatico…” mi disse, senza guardarmi, mentre preparava i colori nella tavolozza.
“Lo so…” le risposi, mentre mi mettevo la borsa a tracolla.

There's someone in my head...
Ehilà! Lo so, lo so che Judy non ha studiato a Londra e non so come è stata effettivamente la sua storia con Roger. Ma, insomma, se mio marito mi avesse portato a casa un album come Dark Side mi sarei messa a piangere anche io. Perciò lasciatemi il beneficio della (molta) inventiva nei confronti di due personaggi del genere.
Recensite, se vi va, please! :)

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Capitolo 2
*** Roger's breakfast ***


Il tragitto sull’87 non mi era mai sembrato così lungo. Non ci eravamo né visti né sentiti per quasi due mesi estivi ed ora non riuscivo a sopportare quei tre quarti d’ora di autobus che ci separavano.
Aveva chiesto di me. Non pensavo ad altro, se non che a volte mi assaliva la preoccupazione di ciò che poteva aver pensato quando aveva scoperto che stavo con un altro. Per assurdo proprio uscire con Sean mi aveva reso consapevole di quanto Roger fosse importante per me.
Mentre mi avviavo a piedi dalla fermata dell’autobus al suo appartamento, pensai a quanto stavo bene con lui, quanto mi piaceva stare ad ascoltare le sue canzoni che io sapevo essere così personali, come riuscivamo sempre a trovare argomenti di cui parlare animatamente, come scoprivamo di avere le stesse posizioni e opinioni, come sapeva essere dolce quando mi abbracciava…e quanto entrambi fossimo stupidi a non ammettere mai tutto ciò.
Mi ritrovai davanti alla sua porta senza neanche accorgermene e suonai il campanello, senza sapere chi mi sarei trovata davanti ad aprirmi. Roger cambiava inquilini molto spesso.
La porta si spalancò e due occhi grigi di ghiaccio mi fissarono. Con un sorrisetto sghembo il ragazzo mi chiese che cosa diavolo volessi.
“Cercavo Roger. Roger Waters”
“Judy!”
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si scostò un poco per lasciare spazio ad un altro ragazzo dalla faccia simpatica.
“Ciao Judy! Come stai? Da quanto non ci vediamo?”
“Ciao Nick! Io sto bene, tu?”
Occhi-di-ghiaccio se ne tornò in casa senza una parola e Nick mi invitò ad entrare.
“Mi sono fermato qua a dormire stanotte”
Nick mi era sempre stato molto simpatico. Era un tipo socievole, pronto a scherzare in ogni momento. Era in classe con Roger al Poli e suonava la batteria nella sua stessa band.
“Vado a chiamare Roger, è ancora a letto” e sparì su per le scale.
Sentii Nick che cercava di svegliare Roger. Poi il suo tono si fece più sommesso e fu interrotto da un “fammi almeno andare a pisciare!”
Aspettai in quella stanza disastrata che era il salotto, guardandomi attorno. Riconobbi subito, in un angolo, la chitarra acustica di Roger, con la scritta “I believe to my soul”.
Subito dopo lo sciacquone del bagno, sentii dei passi sui gradini delle scale e senza avere il tempo di prepararmi mi ritrovai faccia a faccia con Roger Waters in maglietta e pantaloncini, in tutta la sua altezza, con i capelli arruffati un po’ più lunghi rispetto all’ultima volta che ci eravamo visti.
“Ciao”
“Ciao”
“Che c’è?”
Mi spiazzò. Lo stomaco si contorse.
“Ho saputo che sei tornato e sono venuta a salutarti”
Mi guardò fisso.
“Pensavo di vederti ieri sera”
Dritto al punto, come al solito.
“Mi dispiace che non ci siamo visti” sapevo reggere il suo sguardo.
“Hai passato una bella serata?”
Non demordeva.
“Non particolarmente”
“Neppure io”
Quella dannatissima espressione da io-capisco-bene-tutto, che non riuscivo ad odiare, ma che amavo perché apparteneva a lui.
“Volevo stare un po’ con te, Rog” ammisi tutto d’un fiato.
Non battè ciglio.
“Mi vesto e usciamo”
Con tranquillità, come se fosse una cosa normalissima.
Lo attesi per una decina di minuti sul divano, sfiorando di tanto in tanto la sua chitarra, piuttosto inconsapevolmente.
“Non fai colazione?” gli domandai, quando lo vidi dirigersi verso la porta, una volta sceso in jeans e giacca di pelle.
“Posso fare colazione fuori oggi, mamma?” mi rispose ridendo e uscì in strada. Lo seguii anch’io, incredibilmente rincuorata dalla sua risata.
Ci fermammo in un bar, dove io mi sedetti ad un tavolino mentre Roger ordinava la sua colazione al banco. Tornò con caffè e torta per sé e una tazza di tè per me.
“Offre Waters. Avrai già bevuto il tuo caffè stamattina e un altro non ti farebbe bene!” mi disse in tono scherzoso.
“Grazie”
Lo osservai zuccherare il caffè da sopra la mia tazza.
“Tutto a posto a casa? Come sta tua mamma?”
“Bene, grazie, tutto ok. Tu qui?”
“Tutto come al solito”
“E questo Sean?”
Portò la tazza alle labbra senza distogliere lo sguardo da me. Lo fissai a mia volta.
“É un noioso conservatore di merda pieno di sé”
Alzò un sopracciglio guardandomi divertito e io, invece, mi sentii avvampare, stupendomi della mia stessa franchezza. Dopo tutto non l’avevo ancora ammesso così chiaramente neppure a me stessa e bastava che mi trovassi sola con lui per…ciao ciao orgoglio.
“Bella scelta, allora”
Continuò tranquillo la sua colazione e io rimasi con le labbra attaccate alla tazza giusto per non essere costretta a trovare qualcosa da dire.
Dopo quella che mi parve un’eternità, Roger posò sul piattino la tazza vuota.
“Andiamo?”
Non aspettavo altro, per abbandonare quella situazione imbarazzante.
Ci mettemmo per strada avviandoci verso una meta imprecisata. Roger prese un pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca.
“Vuoi?” mi chiese porgendomelo.
“Grazie, ma le ho anch’io”
Frugai nella borsa e trovai il mio pacchetto, ne estrassi una sigaretta, me la misi tra le labbra e rivolsi ancora l’attenzione alla borsa per trovare dei fiammiferi.
“Lascia, ce li ho io!”
Aveva già sfregato un fiammifero e quando si chinò su di me per accendermi la sigaretta, ebbi un fremito.
Camminammo per un po’, parlando del più e del meno, dei nostri studi, della sua band, delle mie opere, di politica, di musica. Non accennò più a Sean. Era bellissimo stare insieme a lui.
Quando ci avvicinammo a un parchetto gli proposi di entrare. Acconsentì.
C’erano solo dei bambini che giocavano, mentre i loro genitori chiacchieravano poco più in là, senza smettere di tenerli di d’occhio. Sembravano appena usciti da messa.
“Dan! Così ti sporchi! Non si gioca con la terra! Vieni qui immediatamente!” Una delle madri si alzò dalla panchina e si diresse minacciosa verso il gruppetto dei bambini, da cui si distaccò un bimbo di circa 5 anni sul cui viso si dipinse l’espressione tipica di chi teme di averla fatta grossa. Attirate dalle grida le altre madri rivolsero lo sguardo ai pargoli e subito un’altra di loro si mise a strillare: “John! Cosa diamine stai facendo? È pericoloso!” e afferrò per un braccio il figlio, che saltellava da una pietra all’altra.
Anche Roger aveva assistito alla scena e divertito, con un’altra sigaretta all’angolo della bocca su cui si disegnava un sorriso strafottente, si avvicinò ai bambini, che lo guardarono incuriositi e prese il posto di John saltellando sulle pietre. Scoppiai a ridere, mentre le madri proferivano espressioni di sdegno, portando via i figli che avevano iniziato ad incitare ammirati quello spilungone coraggioso.
“Bene, abbiamo liberato un po’ di spazio” fece, gettandosi sull’erba.
Mi sedetti al suo fianco e lui si sdraiò con le mani incrociate dietro la nuca.
Osservai il cielo, constatando che era una bella giornata e poi sentii il suo braccio cingermi le spalle.
Mi voltai e lo trovai seduto. Mi attirò a sé. Posai la testa sul suo petto ascoltando il suo respiro.
Lo amavo ed ero stata quasi due mesi senza vederlo né sentirlo. E lui non se ne era andato in capo al mondo, ma a Cambridge, a un’ora di strada da Londra. Entrambi fingevamo di non avere bisogno l’uno dell’altra.
“Mi sei mancata”
“Anche tu. Perché siamo così stupidi?” la mia voce si incrinò senza che potessi nasconderlo.
“Perché abbiamo troppa paura di dover dipendere da qualcuno, di deluderci, di fallire se prendiamo un impegno, di amare”
Alzai lo sguardo su di lui e sapevo che aveva ragione, così come sapevo che i suoi erano gli occhi più belli in assoluto. Non mi passò nemmeno per la testa in quel momento di paragonarlo a Sean, non pensai minimamente a Sean, il cui bell’aspetto era una sorta di copertina patinata, di facciata di cartone.
E quegli stessi occhi si chiusero, mentre le sue labbra si avvicinavano alle mie.

E baciarlo era ciò che di più bello al modo mi potesse capitare.

There's someone in my head...
Bè, è venuta fuori così. Se non si fosse capito: adoro Roger. Saluti! :)

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