Angel Or Demon

di Angel_lily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno Strano Incontro ***
Capitolo 2: *** Perché a me? ***
Capitolo 3: *** Come Il Sole Al Tramonto ***
Capitolo 4: *** Un modo originale per cominciare ***



Capitolo 1
*** Uno Strano Incontro ***


Bene, eccomi qui *-*
Punto 1: non posso credere di essere tornata!
Punto 2: Sono così felice di essere tornata! *___*
Saranno stati i concerti a dammi l’input giusto per ripresentarmi al vostro cospetto miei carissimi lettori, sta di fatto che ora sono qui con questo nuovo esperimento, sperando di catturare almeno un po’ la vostra attenzione. Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate io ne sarei felice come sempre! Spero di potermi imbarcare con voi in questa nuova (e particolare) avventura <3

Un bacio a tutti,

 

 

CAPITOLO 1: JARED

Venice beach.

È un distretto della parte ovest del municipio di Los Angeles, nonché una delle mete turistiche più belle ed ambite dell’estrema costa occidentale; città modellata sulla classica bellezza della Venezia italiana, racchiude in sé lo spirito alternativo e Bohemien dei residenti Californiani, contando su pittoresche vedute di abissi che sconfinano nell’orizzonte più profondo e coloratissime casette di legno.

Amo raggiungere posti di questo genere quando il mio tempo libero mi permette di dedicarmi alla parte che preferisco del mio lavoro: scrivere testi, comporre musica. Non passo spesso per Venice Beach ed ogni volta che mi ricapita mi domando quale possa essere l’assurdo motivo; la natura qui non si è affatto risparmiata e c’è da dire che anche l’uomo si è impegnato a fare del suo meglio.

La fresca brezza del Pacifico mi scompiglia i lunghi capelli ribelli rendendo meno semplice il concentrarmi sui fogli bianchi, scarabocchiati di pensieri, che tengo sulle ginocchia.

C’è gente che scorrazza allegra, in costume da bagno, o in tenuta sportiva, tra le alte palme a pochi metri dalla splendida spiaggia: chi sorride, chi si lamenta, chi scoppia a ridere per una qualche battuta, bambini che fanno i caprici, skateboard che grattano l’asfalto immacolato e qualche musicista improvvisato che riempie l’atmosfera con le note stonate di uno strumento a fiato.

Tutto questo non è per niente fastidioso, anzi, è come il ritmo continuo di una musica nuova pronta ad offrirsi solo a chi è in grado di ascoltarla, il traffico è armonia, i rumori suggerimenti, i cinguettii note e le chiacchiere complicati testi da adattare al pentagramma. È una bella sfida provare a scrivere e raccontare ciò che mi circonda piuttosto che quello che mi porto dentro, è un radicale cambiamento di rotta ma non mi spaventa, sono sempre pronto e disponibile a rinnovarmi in quanto artista, mi fa sentire rilassato e allo stesso tempo pieno di adrenalina mettermi costantemente alla prova.

L’arte non è una scienza esatta, è stomaco e cuore, è un continuo evitare di somigliarsi troppo e per troppo tempo ed è quello che io stesso ho cercato di fare in tutta la mia carriera.

Il mondo assume una sfumatura color seppia visto attraverso gli occhiali da sole che uniti al cappello chiaro contribuiscono a nascondermi oltre che a proteggermi dalla calura estiva, in fin dei conti c’è un certo vantaggio nello spostarmi da solo, le poche volte in cui lo faccio, ed è quello di non destare alcun sospetto nelle persone ignare che vanno avanti a godersi la propria vita senza degnare di un solo attimo di attenzione chi si prenda la briga di sedersi su una panchina in pieno giorno con un fascicolo di fogli scarabocchiati tra le mani e una penna che perde inchiostro: è piacevole sentirsi un anonimo Jared piuttosto che il solito Leto a volte.

Davvero una bella sensazione. La annoto come frase a piè di pagina e sospiro sorridendo; il rumore delle onde mi attira come il canto di una sirena ma probabilmente aspetterò che le acque si calmino prima di concedermi una passeggiatina in riva al mare.

Deglutisco inumidendomi le labbra e valutando l’idea di andare a comprare una bella bibita fresca quando qualcosa di molto piccolo attira la mia attenzione, qualcosa di davvero molto piccolo.

Sembra quasi finta e non mi ero accorto che fosse seduta qui fino a questo momento: due enormi occhioni blu oceano fissi su di me e una massa informe di capelli ricci e rossi che le cadono sulla fronte liscia e talmente chiara da farmi temere che possa scottarsi irrimediabilmente sotto questo sole prepotente; mi guardo intorno con un certo disagio cercando la spiegazione più coerente ad un’apparizione di questo tipo, ma c’è il solito caos, niente di più e niente di meno. Torno quasi immediatamente con lo sguardo sulla figurina avvolta in un grazioso costume colorato, i piedini non toccano terra e per questo ciondolano oltre il bordo della panchina calzati da un paio di minuscole infradito, non sembra essere spaventata né preoccupata, in realtà mi guarda con curiosità fin troppo insistente per essere una bambina così piccola.

“Ciao” mi azzardo a pronunciare restando sulla difensiva per paura di una sua reazione negativa.

“Ciao” risponde lei, tranquillamente, con una vocina limpida e squillante “Come ti chiami?” domanda con aria innocente cogliendomi alla sprovvista.

“Jared” rispondo immediatamente, senza trovare qualcosa di meglio da aggiungere.

“Mi fai provare il tuo cappello?” lo indica con una manina paffuta restando quasi del tutto immobile a mezzo metro dal mio corpo, me lo sfilo senza troppe esitazioni e glielo porgo, lei sorride soddisfatta e lo indossa senza preoccuparsi del fatto che sia troppo grande e che le cada pesantemente sugli occhi “me lo regali?”

“Solo se mi dici come ti chiami” la ricatto ottenendo un piccolo e innocuo broncio, ben presto sostituito da un’espressione assente, fissa sull’obbiettivo di tenersi il cappello.

“Ruby” risponde senza guardarmi. Ruby. È così piccola…

“Quanti anni hai, Ruby?” alza quattro piccole dita ed io mi ritrovo a spalancare gli occhi, incredulo: che diavolo ci fa qui tutta sola?? “Dov’è la tua mamma?” la bambina si stringe nelle piccole spalle.

“Non importa, adesso ci sei tu insieme a me”

“Cosa?” esclamo senza riuscire a trattenermi, deglutendo un indesiderato moto di terrore, istintivamente mi guardo di nuovo intorno nella speranza di scorgere qualcuno che la stia cercando, speranza immediatamente infranta.

“Ehm… Ruby, la mamma non ti ha insegnato che non si parla con gli sconosciuti?” azzardo sentendomi stranamente uno stupido, che senso ha suggerirle di non parlare con me quando questo significherebbe lasciarla vagare da sola in mezzo ad un marasma di persone con intenzioni dubbie? Il pensiero mi fa contorcere lo stomaco e mi spinge a spostarmi di qualche centimetro più vicino a lei.

Lo strano istinto di protezione che mi invade mi risulta quasi del tutto sconosciuto, quasi, perché credo di aver provato qualcosa di simile precedentemente, ma mai per un esserino così piccolo e dolce. Più dolce di quanto riesca a sostenere.

“Tu non sei uno sconosciuto, sei Jared!” ribatte come fosse la cosa più naturale del mondo, gli occhi fissi sul fiocco blu che orna il cappello nel tentativo innocente di provare a scioglierlo.

“Già… ma tu non mi conosci” le faccio notare, la bambina non risponde, apparentemente troppo intenta a studiare i dettagli dell’oggetto che ha tra le mani, do un’ultima occhiata in giro per accertarmi che lei sia davvero sola e che non si tratti di uno stupido scherzo per attirare la mia attenzione, sospiro e mi accovaccio appena per essere alla sua altezza.

“Ascolta Ruby” sottolineo il suo nome non potendo fare a meno di notare quanto le calzi a pennello considerato il rosso scuro dei suoi capelli, lei alza un paio di formidabili occhi blu e li incastra nei miei, la sua espressione è tranquilla e risoluta, senza celare nessuna paura “Che ci fai qui?” domando sperando che l’aver catturato completamente la sua attenzione mi aiuti ad ottenere una risposta coerente.

“Volevo il gelato” risponde lei dopo qualche secondo di silenzio, indicando con una manina un chiosco distante qualche metro da noi.

“E per questo ti sei allontanata dalla tua mamma?” annuisce “e ora non riesci più a trovarla?” annuisce ancora una volta “vuoi che ti aiuti a cercarla?” ci mette qualche secondo prima di rispondermi, un paio di piccole dita posate sulle labbra piene e rosee quasi come se avesse bisogno di ragionarci sul serio.

“Voglio il gelato” decide infine spingendomi a lottare disperatamente contro la voglia di scoppiare a ridere: la situazione è fin troppo tragica per poter essere davvero divertente come sembra.

“D’accordo, te lo compro io” sospiro dopo il silenzio prolungato che segue le sue parole, mettendo mano al portafogli che riposa abbandonato nella borsa che porto a tracolla; ne approfitto per mettere via anche i fogli scarabocchiati di pensieri apparentemente incoerenti mentre, Ruby salta in piedi con tanto di applauso e sorriso ampio e sfavillante avviandosi verso il chiosco con un entusiasmo che per un attimo mi spaventa.

“Ehi, aspettami!” la ammonisco, lei gira su se stessa e si stringe nelle piccole spalle fissandomi con aria perplessa “vuoi perderti di nuovo?” domando raggiungendola e guardandola dall’alto in basso, scuote la testa e prova ad afferrare la mia mano con la sua, il contatto attiva in me un meccanismo di difesa quasi del tutto involontario, mi allontano di scatto lasciandola ad osservarmi con un’espressione triste sul bel visino paffuto, immediatamente dopo provo a trovare qualcosa da dire o fare che possa rimediare all’accaduto ma sembra impossibile, mi ritrovo a sudare per la fatica di dover reggere una situazione assurda che fino a pochi minuti fa non avrei mai nemmeno immaginato.

“Ehm…” la supero di slancio, optando per il fingere che non sia successo nulla “… hai qualche idea per il gusto?” la soluzione sembra funzionare, Ruby si fa scivolare di dosso qualsiasi pensiero la stesse tormentando e mi raggiunge in un batter d’occhio.

“Melone” risponde mettendosi sulle punte per arrivare oltre il bordo del bancone, cosa in cui fallisce miseramente.

“Melone??” esclamo facendo sorridere la ragazza biondina che attende di servirci “Che razza di bambina è una che sceglie il melone come gusto del gelato? Non dovrebbe piacerti qualcosa tipo il cioccolato?”

“Mi piace la frutta” ribatte tranquillamente, battendomi in lucidità oltre che tranquillità.

“Già, come ho fatto a pensare che potessi essere una normalissima bimba di quattro anni?” alzo gli occhi al cielo, salvo poi concludere con un ammiccamento verso il bel viso che mi osserva maliziosamente.

“Jared?”

“Sì?”

“Non tutti i maschi grandi portano i capelli così lunghi, vero?” la domanda di Ruby mi coglie alla sprovvista “gli amici di mamma non lo fanno”

“Immagino di no” e forse non lo farà nemmeno suo padre.

“Già, come ho fatto a pensare che potessi essere un normalissimo maschio grande?” ripete la cantilena facendo scoppiare completamente a ridere la ragazza che ha almeno la decenza di prendere i soldi e allontanarsi per accontentare i gusti della principessina.

Come non detto, ti pare che non doveva capitarmi la prima bambina prodigio di tutta Los Angeles che si diverte a farmi passare per uno stupido?

“Ah ah, molto divertente Ruby” le lancio un’occhiataccia che lei ricambia con sguardo innocente.

“Mi piacciono i tuoi capelli” bene, si comincia da giovani ad inventare bugie per rimediare agli errori.

“Certo, prendi quel gelato e andiamo” faccio cenno alla ragazza di tenere il resto e aspetto che Ruby sia pronta per seguirmi prima di riavviarmi verso la panchina che abbiamo lasciato, mi sembra la scelta più intelligente, chiunque la stia cercando potrebbe ritrovarsi ben presto in questo posto.

“Ne vuoi un po’?” domanda lei mentre prova a sedersi con una mano occupata dal cono gelato, mi abbasso quel tanto da permettermi di aiutarla, non mi costa nessuna fatica, è davvero leggerissima.

“No grazie” mi siedo accanto a lei e fisso gli occhi nel vuoto: il mondo continua a muoversi imperterrito nella sua sfumatura color seppia mentre una meravigliosa creaturina muove la gambine ad un ritmo sconosciuto, vicina a me più di quanto lo sia mai stato un bambino in vita mia.

“Alla mamma piacerebbero un sacco i tuoi capelli” mi volto a guardarla, ho quasi l’impressione che una piccola di quattro anni si stia sforzando di mantenere viva una conversazione che non esiste.

“Tua madre dovrebbe essere qui con te in questo momento”

“Non è colpa sua!” strilla, il viso sporco del gelato che le gocciola quasi fino al gomito “lei è sempre insieme a me” i grandi occhioni cominciano a riempirsi di lacrime trattenute.

“D’accordo, d’accordo. Ruby non piangere” corro a ripari prima che possa succedere davvero perché a quel punto non saprei affatto come gestirla “Finisci il gelato e ti prometto che ti aiuterò a cercarla, d’accordo?” lei annuisce tirando su col naso e mi osserva intensamente.

“Faremo un giro insieme?”

“Sì”

“Lo prometti?”

“Lo prometto”

In che razza di guaio mi sto cacciando? Per quale assurdo motivo una bambina sperduta dovrebbe volersi affidare a me in questo modo? Non credevo di rappresentare una così grande sicurezza, non lo sono mai stato per me stesso e non ho mai sperato di poterlo essere per gli altri, tanto meno per lei.

Ruby finisce il suo gelato nel silenzio più assoluto “Mi aiuti?” domanda alla fine quando mi rendo conto che si è completamente imbratta il viso e le manine, con uno sforzo di volontà la accompagno ad una fontanina vicina perché possa sciacquarsi, la aiuto in ogni momento, troppo terrorizzato dal fatto che possa farsi male.

“Va meglio?” lei annuisce, felice, quasi completamente dimentica di aver perso sua madre chissà dove. Comincio a guardarmi meglio intorno per individuare il posto più adatto in cui cominciare la fatidica ricerca del nulla più assoluto.

“Jared?”

Mh?”

“Posso vedere i tuoi occhi?” solo quando lo domanda mi rendo conto di aver tenuto gli occhiali fino ad ora, la forza dell’abitudine ormai mi permette di dimenticarli completamente anche senza volerlo.

Mi inumidisco le labbra e automaticamente li tolgo mettendoli via, Ruby mi osserva con attenzione mentre lo faccio e un attimo immediatamente dopo esercita una piccola pressione sui miei pantaloni costringendomi ad accovacciarmi di fronte a lei. Una volta alla stessa altezza, passa delicatamente una mano sul mio viso, come per accertarsi che sia vero.

Guardarla negli occhi è come guardarmi allo specchio, ci scambiamo lo stesso e identico colore: blu intenso nelle giornate di sole e di buon umore, sporcato dal grigio dell’apprensione e della preoccupazione.

Perché è venuta proprio da me?

“Ruby…”

“RUBY!!” qualcuno strilla alle mie spalle, nello stesso istante mi ritrovo a dovermi fare da parte. In un primo momento distinguo solo una massa di capelli rossi e percepisco alcune parole confuse e tremanti, poi diventa tutto più chiaro: accovacciata di fronte alla bambina c’è una ragazza in costume da bagno, la carnagione bianca e i capelli rossi della stessa e identica tonalità sottolineano l’evidente legame di sangue.

“Non ti azzardare mai più a farmi una cosa del genere! Oh mio Dio” la stringe tra le braccia trattenendo un singhiozzo.

“Scusa, volevo il gelato”risponde Ruby stringendola a sua volta “Jared me l’ha comprato”

Ja-Jared?” la bambina mi indica innocentemente ed io vengo investito da un intenso sguardo scuro e un viso liscio abbellito da una spruzzata appena visibile di lentiggini, per un secondo mi pento amaramente di essermi tolto gli occhiali scuri.

Non sapendo che fare mi limito ad un piccolo cenno con la mano, la ragazza si asciuga frettolosamente le lacrime che le avevano bagnato il viso e tira su col naso “grazie” sussurra sforzandosi di mantenere la voce calma ma non riesce a celare del tutto il nodo che le stringe la gola.

Stupida ragazzina.

“Sta tranquilla” rispondo, più freddo di quanto mi sarei aspettato da me stesso “La prossima volta ti consiglio di stare più attenta a tua sorella se vuoi prenderti la responsabilità di portarla in giro, non potresti essere sempre tanto fortunata da incontrare una persona come me” vorrei urlarle in faccia che una bambina così piccola non dovrebbe essere lasciata sola nemmeno per la più assurda delle fatalità, che questo pomeriggio ha rischiato potesse succederle qualcosa di davvero orribile!

“Grazie per il prezioso consiglio, prometto che lo terrò presente” i suoi lineamenti si induriscono nei confronti della mia netta disapprovazione.

“Sarà meglio”

“Bene!”

“Dove stai andando??” sbotto non appena mi rendo conto della sua intenzione, non so nemmeno perché glielo stia chiedendo, improvvisamente lasciarle Ruby mi sembra un’idea inconcepibile, come se da sola non fosse abbastanza per proteggerla davvero.

“Se permetti, la porto via” prende la bambina in braccio e fa per voltarsi.

“Lascia almeno che vi accompagni!”

“Non abbiamo bisogno di te, né di nessun altro, grazie. Ruby saluta il signore, andiamo a casa”

“Ma…” prova a ribellarsi la piccola.

“Nessun ma, Ruby, fa come ti ho detto”

“Ma mamma, Jared mi aveva promesso che saremmo andati a fare un giro!”

Mamma??

“Non sempre si possono mantenere le promesse Ruby, salutalo” fisso per l’ultima volta lo sguardo scuro della giovane donna che ho davanti, improvvisamente tutto torna nel modo in cui non avrei mai immaginato potesse tornare.

“Ciao Jared”

“Ciao piccola”

Le osservo allontanarsi tra la folla, due teste ricciolute dello stesso rosso acceso, due paia di occhi enormi che richiamano il contrasto tra cielo e terra, do loro un vantaggio di poco più di dieci secondi prima di cominciare a seguirle.

Non può finire così.

 

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Capitolo 2
*** Perché a me? ***


Meravigliosi lettori, mi era mancato immensamente potermi confrontare con voi. Vi ringrazio, dal primo all’ultimo, per la splendida accoglienza che mi avete riservato, è stato bello ritrovare molti di voi, spero con tutto il cuore di non deludervi con questo nuovissimo esperimento <3
Come al solito, se non mi fermo parlo troppo quindi è meglio smetterla e lasciarvi al capitolo, un bacione :)

 

CAPITOLO 2: SHANNON

Il telefono squilla per l’ennesima volta ed il mio istinto primordiale mi costringe ad ignorarlo sebbene sappia che non sia la cosa giusta da fare in questo momento.

Non sono io ad occuparmi di queste cose, d’accordo? In genere lo fa qualcun altro o tutt’al più Jared! Sono il meno adatto a rappresentare la band in circostanze di questo tipo! Io non firmo contratti, non ragiono su interviste e servizi fotografici, io faccio solo quello che mi dicono di fare! Il fatto che questo coincida con il fastidiosissimo doversi accordare con il direttore di una qualche rivista, interessato a dare spazio alla band in qualche assurdo modo, mi infastidisce più di quanto mi abbia mai infastidito qualcosa in vita mia.

Recupero il cellulare personale dalla tasca dei pantaloni e in due semplici mosse lo porto all’orecchio aspettando con impazienza che i bip anonimi si trasformino in una voce ben conosciuta.

“Pronto?”

“Jared!!” sembra quasi un insulto, bè, se si degnasse di rispondermi quando lo cerco non mi porterebbe ad uno stato di disperazione tale da costringermi ad essere così poco gentile.

“Shan sono occupato”

“No! Sei sparito! E qui c’è bisogno di te per gestire i piani geniali che progetti senza il permesso di nessuno!”

“Ma di che diamine stai parlando?” la sua voce è perplessa e sorpresa allo stesso tempo, quasi non conoscesse davvero il motivo della telefonata o probabilmente ha solo deciso di farmi innervosire sul serio.

“La rivista Jay! Lo stramaledetto articolo che tu hai pensato fosse una splendida idea per dare visibilità alla band!”

“Oh” ribatte come se in realtà non mi avesse affatto ascoltato “Oh!” ripete con più enfasi, immagino che il suo cervello abbia registrato solo ora le mie parole traducendole in frasi di senso compiuto “Era oggi l’appuntamento?”

“Appuntamento?? Non si era parlato di appuntamento!” il telefono anonimo, gettato sul tavolo della cucina, che aveva smesso di suonare solo da pochi secondi, ricomincia la cantilena costringendomi a farmi scappare una lunga e poco signorile imprecazione “Odio quel telefono!! È mezz’ora buona che squilla!”

“Squilla perché devi rispondere Shan!”

“No! Tu devi tornare e risolvere questa cosa! Sai benissimo che io non voglio essere coinvolto!”

“Oh avanti, smettila di fare il bambino” il suo tono esasperato mi fa venir voglia di attaccargli la telefonata in faccia “Sei il batterista della band, andrai benissimo, devi solo parlare col direttore del SaundArt e farti spiegare i dettagli della sua proposta!”

“Non lo faccio” mi rifiuto categoricamente.

“D’accordo, fallo fare a Tomo dato che ti senti tanto impedito!”

“E’ in Croazia da una settimana, genio! Ma dove diavolo sei?? Ti costa tanto riportare le tue chiappe in questa fottutissima casa?” io, invece, devo solo cercare di riportare il respiro ad una velocità normale o quanto meno accettabile.

“Non posso, sono a Venice Beach” risponde dopo qualche secondo di silenzio che contribuisce a rendere la notizia più interessante di quanto sarebbe stata in circostanze diverse.

“Bè, non sei dall’altra parte del mondo” abbasso i toni, colpito dalla strana e particolare nota celata nella calma profonda della sua voce.

“Shan io… sono impegnato. Mi dispiace, devo andare. Non farci perdere quel contratto!” prima che possa ribattere in qualsiasi modo, la telefonata è già conclusa e so bene che per quante volte io tenti di richiamarlo, lui non risponderà.

Bene, molto bene.

Aggiungo ammazzare Jared alla lista delle cose che mi restano da fare in questa settimana, strano come questo punto sia quasi costantemente presente nei miei piani immaginari e come io non trovi mai il coraggio di farlo sul serio.

Quell’uomo approfitta troppo del nostro legame di sangue  e del fatto che non potrei mai fargli del male.

Il telefono ricomincia a squillare, impreco per l’ennesima volta e mi decido a prenderlo tra le mani con cautela, quasi fosse una bomba in procinto di scoppiare.

“Pronto?”

“Salve! Sono Pete Jackson, il direttore della rivista SoundArt, sto parlando con Jared Leto?” voce tenorile squillante, capacità di iniziativa, tono sicuro di chi è abituato a trattare con le persone. No. Non fa per me.

Ehm… Shannon Leto” lo correggo senza riuscire del tutto a celare la disapprovazione.

“Oh signor Leto! E’ un vero piacere poter parlare con lei della nostra iniziativa!” bene, cosa si risponde in questi casi? Anche per me? La cosa è reciproca? No, no. Fortuna che Pete mi salva dalla fatica di dovergli rispondere davvero “Se non le dispiace le illustrerei i dettagli”

“Bè, è questo il motivo della telefonata, no?” bravo Shannon, segui alla lettera il manuale Come risultare una Rock star con la testa montata  e sta sicuro che continuerai a piacere alla gente!

“Certo” ecco che il tono sicuro comincia a vacillare “comunque, la nostra rivista ha intenzione di lanciare una nuova rubrica, si tratterà di un esperimento su campo, mettiamola così, suo fratello gliene ha parlato?”

“No” mio fratello? Probabilmente è troppo impegnato a salvare il mondo da qualche parte in Venice Beach!

“Non c’è problema, glielo riassumo brevemente! Il titolo della rubrica sarà: Una settimana da Star; la nostra inviata avrà la fortuna, una settimana al mese, di vivere a contatto con un artista musicale, al termine della quale scriverà un articolo dettagliato sulla vita da star, sono stato chiaro?”

“Idea interessante” in effetti lo è, sono sicuro che chiunque legga una rivista come SoundArt  ne rimarrebbe affascinato.

“La ringrazio! Ad ogni modo, suo fratello si era detto interessato a sperimentarla per primi, in quanto band, noi ne siamo assolutamente onorati!”

“Già, mio fratello si lascia sempre prendere troppo dall’entusiasmo” la situazione non mi infastidisce davvero, sono solo arrabbiato con Jared per avermi messo in mezzo, avrebbe dovuto occuparsene da solo!

“L’entusiasmo è pane quotidiano per voi artisti, sbaglio?” melenso e sfacciato, classico di chiunque viaggi a metà tra un giornalista serio e un paparazzo da strapazzo.

“Assolutamente no” anche se dal tono roco della mia voce può risultare tutt’altro che un semplice trovarsi d’accordo su un punto della conversazione “perché non mi spiega i termini del contratto?” e da dove mi viene questa capacità di iniziativa??

“Ovviamente! Lunedì mattina la nostra inviata vi raggiungerà nel luogo pattuito…

“Non c’è nessun appuntamento oggi, vero?” ripenso con un brivido alle parole di Jared.

“Signor Leto, è domenica! Persino il Signore si riposò il settimo giorno!”

Già… così dicono… un momento! Ma lunedì sarebbe domani???”

“Sì signore! C’è qualche problema?”

“No” è solo che non mi aspettavo fosse così presto?

“Preferisce incontrare la nostra inviata oggi? Prima che cominci la settimana?”

“No! Cioè, sì! Insomma…” chi diavolo è questa benedetta ragazza??

“Non c’è problema signor Leto!”

“Mi chiamo Shannon! Per favore, questo signor Leto non mi si addice per nulla” respira Shan, devi solo concludere le trattative, domani ci sarà Jared ad occuparsi del resto.

“D’accordo, Shannon, ha qualche contro proposta?” domanda Pete gentilmente, automaticamente provo a figurarmelo: un uomo di mezza età con qualche spruzzo di capelli bianchi, un sessantenne in gran forma grazie ai quotidiani incontri in qualche club di anziani giocatori di golf o un giovane trentenne in carriera?

“Contro proposta? No, devo firmare qualcosa?” ecco, sarebbe il colmo dover raggiungere la sede del giornale dopo una telefonata durata fin troppo.

“Temo che suo fratello si sia già occupato di dettagli così noiosi”

“Mi auguro che al termine della settimana non ci ritroveremmo a leggere un articolo pieno zeppo di bugie” so bene come sono fatti i giornalisti, sono anni che ho a che fare con loro.

“Shannon, la prego di non mettere in dubbio la nostra professionalità, non abbiamo alcun interesse a diffamare artisti del vostro calibro, inoltre le assicuro che la nostra inviata è una dei collaboratori più fidati, stia tranquillo” scommetto che non mi avrebbe detto niente di diverso nemmeno se lo avessi pagato per farlo.

“D’accordo, qual è il luogo pattuito?” domando nell’eventualità in cui Jared dovesse darsi per disperso, cosa che non accadrà a meno che non voglia sperimentare quanto battano forte le mie bacchette sui tamburi di Christine.

“Suo fratello ci ha lasciato un indirizzo non molto lontano” lo scandisce ad alta voce costringendomi a spalancare gli occhi.

“Mio fratello deve essere impazzito” non portiamo spesso giornalisti in casa nostra, soprattutto se portare a termine il loro lavoro preveda un lasso di tempo superiore ai venti minuti scarsi.

“C’è qualche cambiamento in programma che non ci è stato riferito?”

Ehm… no” riprendo il cellulare che ho in tasca ricomponendo il numero di Jared “mi sembra che sia tutto, no?”

“E’ tutto! Grazie per la disponibilità e non esiti a chiamarmi per qualsiasi altra informazione”

“Certo, buona giornata” l’uomo risponde qualcosa di garbato ma non mi preoccupo troppo di ascoltarlo dato che in una frazione di secondo ho già messo giù la chiamata e attendo che mio fratello risponda a telefono.

Hey

Hey, hai dato loro l’indirizzo di casa nostra?”

“Ci hai parlato! Wow! Pensavo che per principio non lo avresti fatto” ah, fa anche l’ironico il ragazzo.

“Non farmi arrabbiare”

“Va bene, va bene, d’accordo. La giornalista deve seguirci passo passo per una settimana, mi sembrava la scelta più ovvia incontrarci a casa nostra” ma che genio.

“Dobbiamo avere una ragazza tra i piedi per sette giorni?”

“E’ solo una giornalista Shan, possiamo anche ignorarla, d’accordo? Lei deve scrivere e noi dobbiamo continuare a vivere, sarà più imbarazzante per lei che per noi”

“Sì, forse hai ragione” mi tranquillizzo completamente e cerco nel frigo qualcosa da bere tra il marasma di bevande salutiste scelte apposta dal mio fratellino, opto per un succo d’ananas “Allora, ti decidi a dirmi che cosa stai facendo?”

“Niente” bugiardo.

“Ne ricavi qualcosa di buono a mentirmi?”

“E’ una lunga storia”

“Niente di illegale, spero” rischio di scoppiare a ridere per le mie stesse parole, Jared ha smesso con le cose vagamente illegali da anni e anni.

“No”

“Il no meno convinto del secolo!”

“Senti, Shan, possiamo parlarne quando torno a casa?” eccolo che ricomincia.

“Tutto questo mistero non mi piace per niente”

“Mi dispiace, ti prometto che ti racconterò ogni dettaglio” come si fa con i bambini, no?

“D’accordo, a dopo”

Finisco con un unico sorso il bicchiere di succo e lo rimetto a posto dopo averlo sciacquato per bene, sospiro di sollievo e mi guardo intorno chiedendomi cosa fare, opto per la scelta più ovvia e gratificante.

“Sto arrivando mia piccola Christine!!”

 

***

Mi costringo ad uscire dal getto freddo della doccia, sebbene potrei senza ombra di dubbio approfittarne per il resto della serata. Allenarmi con Christine di questi tempi significa tanto sudore e non c’è niente di meglio di una cascata di acqua quasi gelida per riprendere le forze.

Mi passo una candida asciugamano tra i capelli, eliminando l’acqua in eccesso, l’idea di lasciarli bagnati non mi preoccupa per nulla, la verità è che fa talmente caldo da risparmiarmi la fatica di star qui ad asciugarli.

Qualcuno bussa alla porta nello stesso istante in cui mi accingo a dare un’aria vagamente più ordinata alla mia barba incolta, il suono non è insistente ma pressante. Possibile che Jared abbia perso le chiavi?

Non riceviamo molte visite di solito; in effetti non ne riceviamo affatto, non esistono ospiti che entrino in questa casa che non siano stati precedentemente invitati, in un modo o nell’altro.

Mi avvolgo l’asciugamano intorno alla vita e percorro la distanza che mi separa dall’ingresso a piedi scalzi, apro di slancio la porta ritrovandomi di fronte ad uno spettacolo insolito.

“Shannon!?!” spalanco gli occhi e annuisco.

Quella che mi sta di fronte è una normalissima ragazza che non ho mai visto prima in vita mia: lunghi capelli castani e mossi le cadono sulle spalle scoperte da un vestitino ampio e quasi infantile, ai piedi porta dei sandali bassi che non le impediscono di risultare alta e slanciata, mi fissa con due profondi occhi scuri e divertiti e un sorriso tanto bianco da risaltare in modo quasi innaturale nel buio della notte.

Ehm… ci conosciamo?”

“Ho pensato di fare comunque un salto! Mi sembrava carino conoscerci con qualche ora di anticipo!” ma di che diavolo sta parlando? “Posso entrare, vero?? Oh, ma aspetta, ti ho disturbato per caso?” indica la mia mise poco adatta alla circostanza con espressione esageratamente preoccupata.

“No” rispondo automaticamente.

“E’ così che accogli le donne in casa tua?” domanda con aria divertita.

“Bè, non tutte” di certo non lei “Ehi, aspetta un momento, perché non cominci col dirmi chi sei!”

“Ma come chi sono! Ho guidato fin qui da Santa Monica solo per conoscervi! A proposito, dov’è il resto della band? È eccitante l’idea di convivere con voi per la prossima settimana” saltella sul posto costringendomi a darmi un’occhiata intorno, preoccupato che qualcuno di passaggio possa assistere a questa assurda scena.

“Tu sei” adesso capisco tutto “la giornalista che scriverà l’articolo?”

“In persona! Ti decidi a farmi entrare? Non è buona educazione tenere sulla soglia della porta un’ospite!”

Ma…” prima che possa ribattere qualsiasi cosa, lei si è già infiltrata in casa, passando sotto il mio braccio beatamente posato sullo stipite.

“Oh mio Dio! La vostra casa è meravigliosa!!” esclama e non posso fare a meno di collegarla ad Alice nel paese delle meraviglie, o forse al Cappellaio Matto?

“Come facevi a sapere che l’indirizzo ti avrebbe condotta a casa nostra?” domando, sospettoso, lei non si degna di guardarmi, continua a curiosare nell’enorme ingresso, come se gliene avessi dato il permesso. Odio la sfacciataggine dei giornalisti.

“Ho fatto delle ricerche! Non esistono edifici adibiti ad “incontri” in questa zona di Hollywood, solo ville mozzafiato! Non è difficile venire a capo alle situazioni quando fai il mio lavoro”

“Bè, immagino” la tollero per ancora qualche secondo, sembra una ragazzina, ma dal viso è abbastanza chiaro che non mi trovo di fronte alla solita ventenne senza freni inibitori “senti…

“Oh sì, sì, lo so che sei impegnato, magari in procinto di uscire. Oh ma è stato bello vederti prima di domani! A telefono con Pete sei stato così carino e poi mi andava di conoscerti!” sorride e mi viene incontro “A che ora ci incontriamo domani? Sette? Otto?? Otto e mezzo massimo?”

“Cosa?? Siamo Rock Star, la giornata non comincia mai così presto!” ribatto scandalizzato, facendole spalancare la bocca in un’espressione a metà tra la meraviglia e la rivelazione mistica.

“Oh, certo. Siamo Rock Star”  scoppia a ridere “D’accordo, a domani Shannon. Oh e ho trovato molto originale il tuo outfit!” apre la porta senza ricorrere al mio aiuto e fa per uscire, scomparendo nello stesso strano modo in cui è comparsa.

“Aspetta! Non mi hai detto il tuo nome!” me ne ricordo troppo tardi, lei è già andata.

Pazienza se dovrò aspettare una notte per soddisfare la curiosità. Mi stringo nelle spalle e faccio per ritornare in bagno.

Che personaggio assurdo.

 

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Capitolo 3
*** Come Il Sole Al Tramonto ***


Salve meravigliosi lettori, eccomi tornata con un nuovo capitolo, questa volta il pov è quello di Jared ^^ forse è arrivato il momento di svelare qualche arcano XD Come avrete notato, la storia porta avanti due fili narrativi completamente diversi, uno ha per protagonista Shannon, l’altro Jared ^^ scoprirete tanti piccoli dettagli col passare del tempo e l’avanzare della narrazione ;) intanto spero con tutto il cuore che possa piacervi o almeno interessarvi un po’, grazie infinite a chiunque legga, segua, recensisca o abbia inserito la storia in preferite o ricordate. Siete tutti stupendi e come al solito amo ricordarvi che senza di voi non sarei nulla <3

Ok, stop con la mia solita parlantina e via con il capitolo!

Buona lettura :)

 

 

CAPITOLO 3: JARED

 

Non è una delle zone più belle di Venice quella in cui mi trovo: molto lontana dalla splendida spiaggia, arredata di piccole e quasi insignificanti casette dai colori sgargianti leggermente opacizzati dal tempo e delimitata da una serie di scarni canali attraversati da ponti semplici e traballanti.

Mi guardo intorno con aria attenta cercando, con occhio critico, tutti i particolari più o meno interessanti: il mio sguardo si posa su una piccola piazzetta di forma quadrata, al centro della quale campeggia la statua di due corpi intrecciati di fattura discreta, dalla quale zampillano un paio di getti d’acqua destinati a bagnare il suolo fino a metri di distanza,  all’angolo opposto rispetto a quello che mi nasconde fa capolino la facciata di quello che probabilmente un tempo deve essere stato un ristorante di un certo prestigio, figurano scritte luminose incrostate di polvere nel classico stile esagerato degli anni ottanta smorzato dall’antica eleganza dell’insegna di legno, sulla quale figura una grossa scritta nera, La Maschera, perfettamente intrecciata ad uno splendido affresco rappresentate un viso coperto a metà da una maschera appartenente, credo, alla tradizione della Venezia italiana. La osservo per qualche secondo, affascinato e rapito, da una delle finestre aperte delle case che mi circondano arriva una musica lenta e cadenzata che non riconosco, da qualche altra si aggiunge il fastidioso brontolio di una televisione accesa ad alto volume. La casa gialla accanto al locale mi offre la visione di una signora sorridente che stende il bucato su fili di ferro sospesi nel vuoto, il muro dietro cui sono discretamente nascosto sarebbe stato verde acqua se non fosse per l’enorme disegno astratto e coloratissimo che sembra esservi stato aggiunto di recente, in effetti sono pochi i muri lasciati liberi dalla presenza di murales allegri e più o meno chiari in quanto a significato.

Sono solo quattro le piccole case, oltre al locale, che per un lato affacciano sulla piazzetta interna, una di queste, e precisamente quella più discreta e anonima, colorata di un leggerissimo viola pastello, è quella in cui, in questo preciso momento, stanno entrando Ruby e sua madre.

Sua madre. Mi risulta ancora assurdo da pensare, se mi avessero chiesto di indovinare l’età della ragazza che mi è sfilata davanti solo un’oretta fa non avrei azzardato oltre i quindici, sedici anni ed in effetti non sembra dimostrarne molti di più, no, decisamente non potrebbe riuscirci nemmeno volendolo, eppure non è possibile, quanto può essere assurdo che una ragazza così giovane debba prendersi cura di una figlia quando sembra essere troppo giovane persino per badare a se stessa? Voglio solo accertarmi che non sia completamente sola in questa situazione. Ecco, una delle scusanti che preferisco, la motivazione perfetta che mi ha spinto a seguirle fin qui nonostante le due telefonate di Shannon abbiano contribuito al rischio di essere scoperto.

Certo è che non ho idea di come mandare avanti la missione dall’istante in cui saranno entrate in casa in poi, mi sembra più che assurdo azzardarmi a bussare alla loro porta, sperando che ad aprirmi sia un completo sconosciuto, e fingere una visita di cortesia, tanto più che lei mi ha apertamente consigliato di farmi gli affari miei e lasciarle in pace, cosa che probabilmente avrei fatto se lei diversamente non me l’avesse chiesto. Ahimè, sono innamorato delle mie reazioni inconsulte, inconcludenti e a tratti dichiaratamente pericolose, fanno parte della fetta del mio assurdo cervello che preferisco.

“Ecco fatto Ruby, coraggio entra” la voce della ragazza è limpida e leggera, quasi sussurrata, mi azzardo ad affacciarmi per osservare la scena, ringraziando mentalmente l’acustica amplificata della piazzetta e pregando che il nascondiglio improvvisato sia abbastanza sicuro.

“Mamma sono stata cattiva? Sei arrabbiata con me?” gli occhioni blu della bambina si riempiono di lacrimoni trattenuti mentre guarda sua madre dal basso stringendo spasmodicamente la stoffa leggera del vestito bianco che ha indossato per coprire il costume pochi istanti prima di avviarsi verso casa.

“Oh tesoro” la osservo accovacciarsi di fronte a sua figlia e ricambiare lo sguardo “non sono arrabbiata sono ancora spaventata, ti ho detto milioni di volte di non allontanarti da me e non posso credere che tu l’abbia fatto lo stesso” Ruby tira su col naso e le lacrime cominciano a bagnarle il piccolo viso leggermente arrossato dal sole “ho avuto paura di averti perso” la ragazza sospira e asciuga dolcemente le guance della bambina sorridendole allo stesso modo, osservo quell’espressione nutrendomi della calma che infonde, per un attimo mi sento un bambino di quattro anni, turbato dalla freddezza di sua madre, che non aspetta altro che un suo cenno per capire che le cose sono apposto come sempre e che niente è cambiato.

“Che cosa sei tu per me?” riprende la giovane con estrema calma e dolcezza.

“I-il… tuo… cu-cuore” pronuncia Ruby dopo un po’, tra i singhiozzi.

“Esatto, il mio cuore. E posso vivere senza il mio cuore?” la bambina scuote la testa e sembra calmarsi, porta una piccola manina ad asciugarsi gli occhi, la madre continua ad osservarla con preoccupata cura “Non posso perderti Ruby, hai capito?”

“Perché io sono qui” aggiunge la piccola, portando la stessa mano sul cuore della giovane donna dai capelli rossi, che improvvisamente comincia a sembrarmi molto più matura di quanto avessi ipotizzato.

“Sì, sei qui. Avanti abbracciami” è quello che succede ed io sono costretto dai miei stessi sentimenti a distogliere lo sguardo.

“Mi dispiace mamma, non lo faccio più te lo prometto”

“Lo so, lo so amore mio. Ora però credo sia arrivato il momento di dar da mangiare a Gioia, non credi?”

Aaah!! Sì! Lo faccio da sola!” una risata discreta e cristallina conclude il piccolo siparietto fin troppo commovente per il mio povero apparato lacrimale. Mi passo entrambe le mani sul viso, nascondendomi in un profondo e intimo buio rossastro.

Che diavolo ci faccio qui? Di che mi sono preoccupato fino ad ora? Credo che ognuno abbia il sacrosanto diritto di vivere la propria vita senza indesiderate invadenze altrui. Sono stato superficiale, superficiale e patetico, non ho alcun diritto di conoscere i dettagli di questa storia, né doveri morali nei confronti di nessuno, nemmeno me stesso! Tornatene a casa Jared, c’è un mucchio di lavoro che ti aspetta.

“D’accordo, adesso mi dici chi diavolo sei e che diavolo ci fai qui!!!” l’intimazione è seguita da un dolore allucinante sulla coscia sinistra. Spalanco gli occhi.

Aho!!” impreco “Ma che cazzo ti prende??” di fronte a me, occhi furenti che mandano lampi, c’è la ragazza che ho osservato fino ad ora, il suo corpo esile sembra particolarmente pericoloso mentre stringe tra le mani una mazza rotta da golf con tutto l’intento di volerla usare di nuovo.

“Ah! Risposta sbagliata!!” come non detto affonda di nuovo, stavolta sul braccio destro.

“Porca puttana! Io con le braccia ci lavoro!!”

“E io te le spezzo entrambe se non mi dici cosa vuoi da me e mia figlia!!”

“Sta calma, d’accordo?? Calmati!”

“Credevi non mi fossi accorta che ci stavi seguendo?? Razza di pervertito!!” e vai con un altro colpo alla base della schiena.

“Oh porc…! Dolcezza, metti immediatamente via quell’affare se non vuoi beccarti una bella denuncia!” provo con la minaccia ma a quanto pare non è molto efficace.

“Sarebbe la mia parola contro la tua, dolcezza” mi lascio sfuggire una breve risata amara.

“Va bene, d’accordo, questa situazione non è per niente divertente” mi passo una mano tra i capelli sospirando.

“E potrebbe diventarlo ancora meno!” fa per colpire di nuovo.

“NON LO SO! Va bene??? Non lo so! Non lo so perché vi ho seguite!”

“Perché sei un pervertito malato!!” ma intanto sono riuscito a farla desistere dall’intento di sferrare un altro colpo.

“Pervertito malato??” questo non me l’avevano ancora detto… va bene… forse solo in determinate occasioni “Avevi perso tua figlia nel bel mezzo di una spiaggia affollatissima! È venuta da me, me ne sono preso cura mentre mi domandavo come diavolo avrei fatto a trovarti per restituirtela, poi tu appari e…” non riesco proprio a frenarmi “… sembri essere una ragazzina incapace persino di badare a se stessa! Che t’aspetti?? Che me ne ritorni alla mia vita senza indagare??” bene, forse ho un po’ esagerato.

“Cosa??? Mi stai minacciando per caso?? Stai insinuando che io non sia in grado di crescere mia figlia?? Che cosa ne sai tu di me??” mi sa che l’ho fatta arrabbiare di nuovo.

“Niente! Cioè… io…”

“Perché” altro colpo “non” un bel calcio “sparisci??”

“MAMMA!!” sobbalziamo entrambi mentre Ruby corre verso di noi “che stai facendo a Jared??”

“Ruby, torna dentro”

“Ecco, Ruby, puoi dire a tua madre di smetterla di picchiarmi??” sottolineo le ultime parole fissando gli occhi scuri della ragazza furibonda a pochi centimetri da me.

“Mamma smettila di picchiarlo”

“Co-come?” lei spalanca lo sguardo verso sua figlia “ma tu da che parte stai?”

“Dalla parte di Gioia!” esclama la bimba saltellando per tornare in casa, non appena sparisce mi becco un altro bel colpo.

“Ma chi diavolo è Gioia??”

“Il suo pesce rosso!”

“Va bene, basta così!” afferro il suo braccio destro, quello che mantiene l’arma, ed esercito una piccola forza che non mi costa nessuna fatica ma mi permette di strappargliela dalle mani e gettarla via lontano da noi “puoi calmarti adesso?” il suo sguardo è furente mentre mi osserva dal basso, costretta all’impotenza dalla mia presa salda e forse un po’ troppo forte sul suo polso sottile, ha tutta l’aria di volermi prendere a schiaffi o a calci o forse a morsi, per un attimo ho intenzione di chiederglielo ma non rischio di darle delle belle idee per battermi.

“Solo se sparisci!”

“Solo se mi dici almeno come ti chiami!”

“Cosa??” cerca di divincolarsi fallendo miseramente “pensi di star parlando ancora con mia figlia??”

“Che cos’hai contro una risposta coerente??” deve essere un difetto di famiglia! Prova a sfuggirmi di nuovo e questa volta non ci riesce per molto poco, è piccola ma decisamente fastidiosa.

“Perché diavolo dovrei dirti come mi chiamo??”

“ANGELA! VA TUTTO BENE??”

Per un attimo cala un silenzio assoluto, lei si morde insistentemente un labbro mentre io la guardo perplesso senza capire.

“ANGELA??” alla fine sospira e si volta appena, la imito seguendo il suo sguardo, affacciata da una delle finestre della casa gialla c’è la stessa signora che poco fa stendeva i panni, adesso mi rendo conto che è abbastanza anziana e che il suo accento ha qualcosa di estremamente particolare.

“SI’ NONNA B! TRANQUILLA!”

“SICURA?? QUEL GIOVANOTTO TI STA FACENDO MALE?”

“NO! STO FACENDO MALE IO A LUI!”

“BRAVA BAMBINA!” sorrido trionfante.

“Angela, eh? Bel nome” sussurro guadagnandomi una sua occhiataccia.

“Toglimi le mani di dosso!”

“NONNA B!” Ruby fa la sua ricomparsa mentre io lascio andare Angela con riluttanza permettendole di massaggiarsi il polso dolorante “JARED OGGI MI HA SALVATA!”

“SALVATA?? DA COSA?”

“MI ERO PERSA E LUI MI HA RIPORTATO DA MAMMA!”

“E’ più corretto dire che ti ho trovata” borbotta Angela contrariata.

“Dubito se non l’avessi trovata io per primo” mi guadagno un’altra occhiataccia.

“OH PASTICCINO! HAI FATTO PREOCCUPARE LA MAMMA?”

“SI’” Ruby esita per qualche secondo, forse distratta dai ricordi “MA LE HO PROMESSO CHE NON LO FACCIO PIU’!”

“BRAVA TESORO…”

Il discorso continua tra battute più o meno normali, quelle che potrebbero intercorrere tra una donna anziana ed una bambina di cinque anni, ed io mi ritrovo ad osservare la ragazza che ho accanto con più attenzione. Angela ha la pelle chiara come quella di sua figlia, leggermente imperlata da uno strato sottile di sudore, i capelli, naturalmente rossi, sono tirati su da un fermaglio troppo piccolo per contenerli tutti, ecco perché alcune ciocche ricce e ribelli le cadono sulle piccole spalle; non è molto alta, cammina a piedi scalzi e non sembra preoccuparsi di apparire al massimo delle proprie possibilità, cosa che fanno quasi tutte le donne, lo dimostra la completa mancanza di trucco sul suo viso pulito e all’apparenza molto più giovane di quanto debba essere in realtà. In sostanza è il ritratto di sua figlia, tranne che per gli occhi, i suoi non hanno niente a che fare con il blu ghiaccio di quelli di Ruby.

“Angela…” lei si volta verso di me, in realtà non so nemmeno cosa dirle, volevo solo che mi guardasse, per un istante, senza l’aria di volermi ammazzare.

“Jared mangia con noi, vero mamma?”

“Cosa?” sbotto voltandomi verso la bambina “Oh no, io…”

“Sì, sì e sì!”

“Ruby non puoi costringere le persone a restare se non vogliono”

“Ma Jared…” Ruby si volta verso di me fissandomi con sguardo triste, di nuovo in procinto di mettersi a piangere, sembra quasi che riesca a vedere i miei occhi oltre la patina scusa delle lenti da sole.

“Angela…” cerco lei perché mi dia una mano, la vedo sospirare e voltarsi verso di me con aria esasperata e poco convinta.

“Ora resti, perché mia figlia mi tormenterebbe per il prossimo mese se non lo facessi, ma sappi che la cosa non mi fa impazzire di gioia” fa un passo verso casa ma poi ci ripensa “NONNA B! DIMMI CHE CHEF HA PREPARATO QUALCOSA DI BUONO OGGI!”

“BAMBINA MIA, VAI ALLA BARACCA, SONO SICURA CHE E’ ANCORA ALLE PRESE CON I SUOI AMATI FORNELLI”

“GRAZIE NONNA B! E così potrai farmi tutte le domande che vuoi mentre mangiamo qualcosa di decente” mi rivolge un sorrisino di scherno.

“Angela! C’è il tuo compagno in casa, potrei, insomma, dargli fastidio” mi sento quasi uno stupido ma non ho intenzione di misurarmi con chiunque le stia accanto nella vita, non so nemmeno il perché. Lei si volta ad osservarmi con aria assente e sulla difensiva.

“Non c’è nessun compagno Jared ma ti assicuro che potresti dar fastidio a me comportandoti come hai fatto fino ad ora. Cerca di allenare il gentleman che è in te, ok?” sorride, quasi in modo spontaneo, e si allontana definitivamente.

Resto qualche secondo a guardarla non riuscendo ad evitare che Ruby mi prenda per mano attirando la mia attenzione “Vieni con me, ti presento Gioia”

Già, non so perché ma spero che Gioia non sia un pesce rosso con le pinne blu.

***

La baracca si è rivelata essere La Maschera, o almeno è dove Angela è sparita con Ruby per qualche minuto lasciandomi sulla soglia della porta, per poi riapparire con una serie di contenitori ricchi di pietanze fresche.

“Vieni Jared, non stare lì” seguo l’ordine della ragazza ed entro in casa subito dopo di lei ritrovandomi in un ambiente che non mi sarei aspettato. Rispetto all’anonimità dell’esterno, l’interno è tutto un programma: le pareti di quella che credo sia la cucina, ma che in realtà funge anche da sala e da ingresso, sono dipinte di un verde brillante a tratti sporcato da colori diversi, cosa che presumo essere opera di Ruby, al lato sinistro della porta si apre il primo spazio della sala, un piccolo divanetto rivestito di rose di stoffa colorate e morbide è rivolto verso una televisione non troppo grande, un’enorme scrivania di fattura antica, imbrattata di fogli, penne e persino calamai, oltre che un computer e il fantomatico acquario col pesce rosso, si trova subito sotto la finestra che affaccia sulla piazzetta; di fronte alla porta c’è lo spazio adibito a cucina dove è presente anche un piccolo tavolo, in effetti sembra troppo piccolo per far accomodare più di due persone ma evito di farlo notare a qualcuno, il resto sono solo un paio di porte che probabilmente conducono ad altre due stanze al massimo.

L’ambiente è piccolo, molto più di quanto sia abituato ormai, devo ripescare spiacevoli ricordi d’infanzia per convincermi del fatto che ci si possa arrangiare anche in questo modo.

“Jared, ti presento Gioia!” seguo Ruby togliendomi gli occhiali e osservando il pesciolino rosso.

“Ciao Gioia” mi ero sbagliato anche su di lui, Gioia non ha le pinne blu ma in compenso ha la coda e il musetto bianco perla, una bella anormalità per quello che dovrebbe essere un normalissimo pesce rosso “è bellissimo” mi sento in dovere di condividere i miei pensieri con la bambina ma lei scuote la testa contrariata.

“E’ una femmina, non te ne accorgi?”

“Oh” attimo di panico “certo, adesso che me l’hai detto si vede benissimo che è una femmina” salvato in calcio d’angolo, Ruby sorride “Perché l’hai chiamata gioia?”

“Perché era molto felice quando nonno chef gliel’ha regalata, vero Ruby?” interviene Angela alle nostre spalle “venite a tavola coraggio, è tutto pronto qui” mi volto lentamente e deglutisco.

“Angela, forse dovresti sapere che sono vegano” lei mi da le spalle, indaffarata a sistemare la piccola cucina.

“Oh non c’è problema, ho preso molte verdure…”

“Le verdure fanno bene” interviene Ruby prendendo posto sulla sedia a capo tavola.

“…serviti pure con quello che vuoi, non farti problemi”

“Grazie” rispondo cordialmente, metto via gli occhiali da sole e a grandi passi raggiungo il mio posto a tavola, quello di fronte alla sedia vuota di Angela e accanto a Ruby che mi sorride masticando un grosso boccone di una polpettina di riso. Do una veloce occhiata alle belle pietanze messe a mia disposizione e opto per una fresca insalata che ha tutta l’aria di essere particolarmente squisita.

Angela conclude il suo lavoro e si siede a tavola sospirando di sollievo.

“Mangia mamma!” Ruby le mette davanti un piatto di pasta e lei le sorride.

“Allora, Jared” solo ora alza gli occhi verso di me e non posso dirmi del tutto sorpreso quando la forchetta le scivola dalle mani, cadendo nel piatto accompagnata da un tintinnio sinistro “Jared??” si rimette in piedi con una mano sul cuore e l’altra tra i capelli “Tu sei Jared Leto?” sembra troppo sconvolta per urlare.

Quanto potere in un paio di occhiali da sole.

“Stai bene?” domando, preoccupato dal colorito smorto del suo viso.

“Mamma che succede?”

“Calmati Angela, posso essere un Jared qualsiasi stasera, non c’è problema” faccio per alzarmi a mia volta ma lei tende un braccio per bloccarmi.

“Se me l’avessi detto io… io non ti avrei preso a bastonate”

“Caspita” fischio “essere Jared Leto implica una sorta di immunità? Dovrò ricordarmelo la prossima volta”

“Uffa, non ci sto capendo nulla!” sbotta Ruby, spostando lo sguardo dubbioso da me a sua madre.

“Niente piccola, non sta succedendo nulla, ora la mamma si siede e mangia qualcosa con noi, non è vero Angela?” sottolineo le ultime parole costringendola ad annuire e a rimettersi a sedere.

“Credo che tu sia l’unica bambina al mondo capace di farti salvare dall’unica star di Hollywood presente a Venice beach, Ruby” sussurra la ragazza con voce tremante, la bambina sorride orgogliosa.

“E’ una bella cosa?”

“Ehm… forse”

“Mamma sei strana” Angela fa una smorfia e alza di nuovo lo sguardo terrorizzato verso di me.

“Non dovresti essere, che so, in giro per il mondo con la tua band o a girare qualche film?”

“Bè, a dire il vero per me è una bella novità ritrovarmi in un appartamentino alla periferia di Venice” sorrido sperando di rompere questo assurdo ghiaccio ma ottengo solo di farla incupire.

“Non è necessario che tu rimanga, anzi, sai che ti dico? E’ molto stupido che tu rimanga, dovresti tornare nella tua mega villa Hollywoodiana!”

“Hai una mega villa?” domanda distrattamente Ruby, pasticciando con quello che era il suo cibo.

“Oh avanti Angela! Non sei così scontata, o almeno non lo sembri” ammicco verso di lei costringendola ad assumere un atteggiamento difensivo.

“Che intendi?”

“Una ragazza che vive da sola a LA, con una bambina così piccola da crescere, non può lasciarsi intimidire da me” colpita e affondata, Angela trattiene il respiro e poi si rilassa riuscendo a portare persino un boccone di pasta alle labbra; molto bene, comincio a capire su che punto del suo stranissimo orgoglio premere quando voglio ottenere qualcosa, strano che mi ci siano volute solo un paio d’ore, ancor più strano che trovi affascinante il suo tentativo di tornare ad essere calma e disinteressata come poco prima di scoprire che sono Jared Leto.

“D’accordo, è arrivato il momento delle domande?” sbotta spezzando definitivamente il pesante silenzio rotto solo da Ruby, intenda a canticchiare.  

“Mi inviti a nozze” sorrido.

“E’ un gioco?” interviene la bambina battendo le piccole manine, annuisco nella sua direzione guadagnandomi una splendida espressione divertita.

“Quanti anni hai?” comincio senza ritegno, lei scuote la testa.

“Cominci male, non si chiede mai l’età ad una donna! E non ti azzardare a replicare che non sono una donna!”

“Mamma!” Ruby scoppia a ridere “tu sei una donna!”

“Sì, credo proprio che tua figlia abbia ragione. D’accordo, prendere o lasciare” le lancio un’occhiata di sfida e lei sospira arrendendosi.

“Ho la bellezza di ventidue anni portati una meraviglia non credi?”

Ventidue anni, non riesco a decidere che effetto faccia questa notizia sulle mie aspettative, troppo giovane per fare la mamma a tempo pieno, ma meno di quanto avessi immaginato.

“Te ne avrei dati quindici in spiaggia” confesso facendola sorridere.

“Già e sei stato davvero molto carino a farmi quella bella ramanzina”

“Credevo che Ruby fosse tua sorella!” indico teatralmente la bambina che scoppia a ridere ancora “vi somigliate incredibilmente”

“Forse perché è mia figlia?”

“Forse, te lo concedo” rifletto sulla prossima domanda “Sei nata a LA?”

“No, in effetti non sono nata nemmeno negli Stati Uniti”

“Canada?”

“Italia”

“Cosa??” spalanco gli occhi “sei italiana???”

“Sì, Angela è un nome italiano non te ne sei reso conto? Ruby è solo un piccolo soprannome, sai, per via dei capelli, lei si chiama Roberta”

Roberta…

“E Che diavolo ci fate qui in California, dall’altra parte del mondo?”

“Ricominciamo da capo” una velata tristezza cala sul suo sguardo, rivolge alla bambina un’occhiata di dolce premura, ricambiata da un sorrisetto furbo ed uno sguardo stanco. Non ho il tempo di fare supposizioni sull’enigmatica risposta.

“Ora tocca a mamma fare una domanda a te” Angela raccoglie la sfida sebbene riluttante.

Mmm va bene, d’accordo. Che ci facevi a Venice Beach oggi?”

“Questa è facile. Scrivevo” gli occhi le si illuminano di una luce dorata subito rimpiazzata dalla preoccupazione non appena si accorge che Ruby sta sbadigliando.

“Sei stanca amore?” Ruby annuisce “andiamo a fare una doccetta prima di andare a letto, ok?” si alza prendendo in braccio la piccola che accomoda la testa nell’incavo tra la spalla e il collo di sua madre “Oggi si è sfrenata tantissimo al mare, non è abituata” spiega Angela, annuisco, completamente rapito dal suo modo di tenere la bambina tra le braccia e riuscire contemporaneamente a recuperare tutto quello che le serve “Ehm… senti Jared, puoi anche andare se vuoi, o restare e finire la tua insalata, non ci metto troppo”

“Jared, devi restare altrimenti Gioia piange… ha detto che le piaci…” Ruby continua a farfugliare frasi senza senso compiuto mentre i piccoli occhietti cominciano già a chiudersi “… prometti… dobbiamo andare a fare un giro…”

Shh… non addormentarti cuoricino, dobbiamo prima mettere il pigiama…” scompaiono entrambe dietro una delle due porte chiuse.

Sospiro e mi guardo intorno, il piccolo tavolo è imbrattato di cibi che non sono stati toccati, la mia insalata è quasi completamente intatta, così come il piatto di pasta di Angela, mi rimetto in piedi domandandomi cosa fare. Potrei, non so, aiutarla a rimettere a posto o forse semplicemente andarmene e dimenticare questa assurda giornata.

Ma non riesco a togliermi dalla mente quelle parole: ricominciamo da capo.

Perché? Non ha una famiglia? Dove è finito lo stronzo che l’ha messa incinta e l’ha lasciata sola? Qual è la sua storia…

Non so niente di loro due… vorrei che queste mura potessero parlare e raccontarmi tutto quello che desidero sapere… probabilmente non basterebbe una giornata intera per saziare la mia solita e inopportuna curiosità.

C’è un brillio che attira la mia attenzione sulla grande scrivania sotto la finestra, la luce aranciata del sole riflette su una spilla a forma di chiave adagiata su alcuni fogli scarabocchiati in una grafia elegante, la osservo solo per qualche secondo, abbastanza da notarne i particolari intrecciati ed eleganti, poi i miei occhi si posano sulle parole scritte a mano ed è troppo tardi quando mi impongo di non leggere.

 

Come il sole al tramonto, in procinto di abbandonare il cielo,

Splendente e doloroso, immenso dono, debole abbastanza da poter essere osservato.

Bagna di sangue milioni di volti sconosciuti, tutti uguali a se stessi.

Mi sforzo di riuscirci, punto gli occhi nell’infinito, non voglio perdermi un secondo.

Ma fa male il fallimento, calde lacrime amare che mi costringono ad ammettere una dolorosa sconfitta.

Ho distolto lo sguardo per un soffio di vento

E tu non ci sei più

 

“Le ci vogliono sempre un paio di minuti per addormentarsi quando è così stanca” sobbalzo voltandomi di scatto verso la fonte della voce, Angela si chiude la porta alle spalle e mi sorride, leggermente imbarazzata. Scuoto la testa e le sorriso a mia volta, allontanandomi immediatamente dalla scrivania, pregando che quelle parole mi escano dalla mente prima di iniziare a tormentarmi.

“Presumo sia normale per una bambina così piccola, no?” lei annuisce.

“Sì, a volte dimentico che ha solo quattro anni, Ruby è speciale per tanti versi” alza gli occhi scuri e stanchi verso di me “Oddio, forse sono un po’ di parte”

“No” scuoto la testa avvicinandomi di qualche passo “Ruby è speciale” lei sorride ancora, per la prima vota mi accorgo che il suo sguardo si accende di una triste dolcezza tutte le volte che lo fa.

“Jared, devo ringraziarti…”

“Non è necessario” cerco di fermarla ma lei non me lo permette.

“… lo è invece. Oggi mi hai salvato la vita trovando Ruby, non so cosa avrei fatto se fosse scomparsa”

“Non ho fatto niente”

“Ti sei preso cura di lei, anche se per poco, è abbastanza” si morde un labbro “continuava a ripetermi di dirti di non andartene” ride, deliziosamente, contagiandomi.

“Le ho promesso di portarla a fare un giro” la informo, guadagnandomi un’occhiata di tollerante arresa.

“Davvero, grazie, e scusami per averti preso a bastonate, mi rendo conto di non essere stata molto carina”

“Bè, una cosa è certa, sei capacissima di badate a te stessa” scoppiamo entrambi a ridere ma ci vuole poco prima che ricada il silenzio.

“Forse è meglio che tu vada ora” suggerisce scatenando la mia assurda reazione di rifiuto.

“Angela…” cosa? Perché dovrei restare? “… potrei tornare…” lei spalanca gli occhi, l’espressione che nasconde un enorme punto di domanda “… per quel giro” si rilassa appena.

“Non c’è bisogno che ti disturbi, è solo una bambina, in qualche modo lo dimenticherà”

“Non è un disturbo per me” no, è solo assurdo che mi stia davvero lasciando coinvolgere. Angela sospira.

“Dimmi che non ti ispiro tenerezza e che non lo fai solo perché ti sembro una ragazzina spaesata con una figlia a carico” faccio per risponderle ma so che sarebbe una bugia “non ne ho bisogno Jared! Sono quattro anni che ce la caviamo benissimo da sole!”

“Ehi! Non sono mica arrivato a salvarvi! Mantengo solo una promesso e poi, se vorrai, sparirò e sarà come se non mi avessi mai conosciuto. Abbassa le difese, non hai mai conosciuto nessuno che fosse disinteressato?” Angela sobbalza come se l’avessi colpita fisicamente.

“Io…”

“Passo domani mattina?” scuote la testa.

“Lavoro fino alle due”

“Le due allora” sospiro e raggiungo la porta con l’intento di andarmene.

“Jared” mi richiama Angela costringendomi a voltarmi verso di lei ancora una volta “non lo dirò a Ruby, nel caso in cui una volta fuori di qui tu ti renda conto che hai cose più importanti da fare” non so perché il suo cinismo mi ferisca in modo così sottile e penetrante.

Non le rispondo, capisco solo che nel caso in cui dovessi scoprire che il suo cuore è freddo quasi quanto il mio, sarò costretto a trovare il modo di farle capire che le delusioni, per quanto grandi, non possono spegnerti dopo solo poco più di venti anni di vita.

Ok, Jared, in che guaio ti stai cacciando?

 

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Capitolo 4
*** Un modo originale per cominciare ***


Salve carissimi lettori ^^ Eccomi qui che aggiorno questa storia con un immenso, immenso, ritardo. Vi chiedo di perdonarmi, ci sono state le vacanze e poi tanti e interminabili giorni di studio! Ma ora sono tornata e conto di non farvi aspettare mai più così tanto!
Grazie a tutti quelli che leggono questa storia, siete davvero gentili a dedicarmi anche solo un attimo del vostro tempo :)
Vi lascio al capitolo e ci risentiamo alla fine per le considerazioni ^^
Buona Lettura.

 

CAPITOLO 4: SHANNON

 

“Che cosa significa che oggi hai un impegno??”

Il suono graffiante della mia voce rimbomba nella casa vuota facendosi artefice di un sinistro effetto, mi blocco per un secondo schiarendomi la gola e allontanando l’orrenda sensazione di essermi trasformato, anche solo per un attimo, nella brutta copia del mio isterico fratello, che impazzisce se le cose non vanno nel modo in cui lui stesso le aveva previste; come richiamato dai miei pensieri, il viso di Jared fa di nuovo capolino nella mia stanza, con l’espressione innocente di un bambino troppo cresciuto, incorniciata da una cascata lucente di capelli biondi e mossi.

Ah, la conosco benissimo quell’espressione! Più comunemente nota come “non dovrei farlo ma lo faccio lo stesso e tu mi capirai e coprirai perché ho gli occhioni blu a cui non sei stato programmato per resistere”!

Odioso fratello.

“In che senso?” spalanca gli occhi “Insomma, non ci sono significati particolari” si stringe nelle spalle e sparisce ancora una volta nel corridoio.

Affondo il viso nelle lenzuola soffocandovi un’imprecazione che finirebbe col dare a questa giornata l’impronta del tutto sbagliata che non ho intenzione di dover poi affrontare.

“D’accordo” opto per la praticità e mi costringo ad alzarmi dal comodo letto, litigando con il disordine della stanza per cercare di restare in piedi nonostante il mal di testa pressante, risultato di una serata in qualche pub con un paio di amici e più di un paio di alcolici “Jared!” modero il tono che risulta ugualmente più di quanto in genere mi concedo “Jared! Dove diavolo devi andartene??” lo raggiungo reggendomi, in modo malconcio, alle pareti bianche del corridoio “E’ tanto necessario?” lui si avvicina, già vestito di tutto punto, o se tale si può definire una strana maglia di tre taglie più grande del dovuto e un paio di pantaloni grigi dalla trama un po’ bizzarra, lo osservo perplesso mentre si spinge in avanti per darmi un annusata e poi si ferma a guardarmi con aria truce.

“Ieri hai bevuto” sentenzia, salvo poi tornare a muoversi indaffarato per la casa, sospiro e alzo gli occhi al cielo.

“Un paio di cocktail!” mi giustifico anche se è chiaro che, grande e grosso come sono, io non abbia poi tanto bisogno di giustificarmi.

“Ci mancherebbe altro!” è la sua risposta asciutta e ironica, la classica inflessione della voce di Jay, quella che mi fa tirare un sospiro di sollievo e capire che non c’è niente che non vada nei suoi pensieri in costante movimento.

“Cos…? Senti… ma perché stiamo parlando di me?? Non è questo il punto della conversazione!” che diavolo di ore saranno? Mi sento più intontito del solito.

“Oh e qual è?” Jared si ferma per un secondo dandomi il tempo di scegliere le parole giuste per convincerlo della mia tesi, cosa che succede in ogni discussione.

“Tu…” ci rifletto appena “…tu non puoi lasciarmi solo oggi!” tiro la conclusione giusta e sorrido trionfante.

Shannon, tu nemmeno te lo ricordi perché non vuoi che ti lasci solo oggi” alzo un dito per protestare ma lui si è già rimesso in movimento lasciandomi da solo con la strana sensazione che mi stia davvero sfuggendo qualcosa. Mi prendo la testa tra le mani e comincio a setacciare tra i pensieri ancora annebbiati dall’alcol. Sì, sono abbastanza sicuro che ci sia un motivo ben preciso per cui mi infastidisca tanto che Jared abbia di meglio da fare proprio in questo giorno, probabilmente sarà tutto collegato a qualcosa che il mio cervello deve aver considerato decisamente irrilevante, tanto da relegarlo nella parte destinata alle cose che vanno dimenticate.

Sbuffo.

“Intanto che ci pensi, metti questi” mi lancia un pezzo di stoffa colorata, lo osservo per qualche attimo prima di rendermi conto che si tratta di un paio di pantaloni chiari e nello stesso istante realizzo anche di essere completamente nudo.  

“Ma certo!” sbotto, dandomi una pacca sulla fronte e costringendomi a non urlare dal dolore “La giornalista pazza! Il contratto col SoundArt!!” esclamo e sorrido, fiero di me stesso, poi ci ripenso “E tu vorresti lasciarmi da solo oggi???” ecco perché sono arrabbiato.

“Ehi” Jared scoppia a ridere “ci hai messo meno di quanto pensassi”

“Oh no. Non è affatto il caso di prendermi in giro Jared Joseph Leto” infilo i pantaloni saltellando per cercare di mantenere l’equilibrio già precario di cui non vado molto fiero “stiamo parlando di un essere contorto che somiglia ad un folletto irlandese! Ne eri al corrente??”

“Ma di che diavolo stai parlando?” si ferma ad osservarmi, divertito. Alzo gli occhi al cielo sbuffando.

“Ieri sera ha pensato di fare un salto a salutarmi”

“Chi?” ora è davvero perplesso.

“LA GIORNALISTA PAZZA!” diamine, pensavo fosse chiaro!

“Sei sicuro?” ha tutta l’aria di dubitare delle mie capacità mentali, la cosa dà adito all’irritazione “insomma, che razza di giornalista si prenderebbe la briga di presentarsi non invitata di domenica sera?” specifica, forse deve avermi letto in faccia i milioni di modi in cui il mio buon senso stava pensando di ucciderlo e occultarne il cadavere.

“Quella che il SoundArt ha deciso di inviarci per assecondare la tua genialata!” Jared si stringe nelle spalle e si rimette in moto come se avesse almeno un miliardo di cose più importanti da fare.

“Potresti almeno dirmi per quale assurdo motivo hai pensato bene di dovermi lasciare da solo proprio oggi??” esita per un solo istante e scommetto che un occhio meno attento, o che comunque non conosca ogni sfaccettatura del suo carattere, avrebbe faticato ad accorgersene.

“E’… una lunga storia”

“Non ci sono mai state lunghe storie tra noi due” lo guardo con un pizzico di sospetto “centra qualcosa l’enigma di Venice Beach?” il suo silenzio è più eloquente di qualsiasi risposta.

“Non è niente, d’accordo?” sbotta dopo un po’ “Una sciocchezza. Una sciocchezza che devo fare. Oggi. Mi dispiace doverti lasciare solo a gestire questa cosa ma mettiti in testa che non sarà per sempre. Ti sto chiedendo un solo fottutissimo giorno, Shan!”

“Ehi, non c’è bisogno che ti scaldi tanto, ok?” alzo le braccia nel tentativo di rafforzare con i gesti il significato delle parole “Non so cosa diavolo ti bruci così tanto JJ, ma, ehi, sono affari tuoi non posso mica costringerti a dirmelo! Ricorda solo che quando pensi e agisci da solo ti cacci nei guai e non guardarmi con quell’espressione, lo sai benissimo che ho ragione!” in realtà credo che restarne all’oscuro sia la cosa che più di tutte mi innervosisce in questa storia. Perché mai Jared dovrebbe avere delle remore nel confessarmi qualcosa? Perché, dopo tutto quello che abbiamo condiviso in oltre quarant’anni di vita insieme?

Studio la sua espressione sperando di leggervi la parola chiave, quella in grado di spalancare le porte della sua mente, ma niente, sembra il solito Jared: indaffarato, pensieroso, assente e presente allo stesso tempo, c’è solo una sottilissima ombra di tensione nei movimenti che tradisce parte di quello che c’è di più profondo. 

“Bè, comunque sia sono sicuro che te la caverai a meraviglia con lei” riprende il discorso, quasi come se non lo avessimo interrotto “portala un po’ in giro se le va, falle sentire un po’ della nostra musica e poi rimandala a casa, cosa pensi che si aspetti?”

“Si aspetta la vita da Rock Star!” incrocio le braccia al petto “posso romperle una chitarra in testa, se vuoi”

“Non una delle mie”

“Oh no, caro fratello, proprio una delle tue preferite. Pythagoras? Artemis? Lascio a te la scelta, in qualche modo dovrò pur vendicarmi” Jared scoppia a ridere.

“Mi farò perdonare, ma non azzardarti a toccare le mie bambine o penserò personalmente a ridurre Christine in briciole!” mi indica minaccioso ed io deglutisco parte dei miei piani vendicativi per scendere a più miti consigli. 

“D’accordo, andiamoci piano con queste assurde minacce” propongo, mi attraversa un brivido al pensiero della mia batteria ridotta in mille pezzi dalla rabbia distruttiva del Jared furioso.

“Oh insomma voi due. Siete così infantili” sobbalzo malamente al suono limpido e conosciuto della voce femminile che ci interrompe.

“Noto, con ben poco piacere, che hai ancora le chiavi di casa nostra. Emma” mi volto di scatto pronto a sbottare nella mia solita lamentela che una donna non può sentirsi libera di entrare quando vuole in una casa in cui vivono due uomini, ma poi il mio sguardo incrocia un altro paio di limpidi occhi castani che allo stesso tempo evocano ricordi ben precisi.

“Così è questo il programma di oggi? Spaccare chitarre?” qualsiasi frase di senso compiuto mi muore in bocca di fronte al suo entusiasmo malcelato.

Em, meglio bussare quando abbiamo ospiti, non credi?” si intromette Jared, lei gli sorride amorevolmente mostrandogli il mazzo di chiavi a cui è attaccata una piccola giraffa di peluche impolverata.

“Per colpa tua sono dieci anni che praticamente vivo in questo posto, anche se non ci dormo” poi la sua espressione cambia “crollerà il mondo il giorno in cui ricomincerò a bussare”

“Amo il tuo pungente sarcasmo” ribatte lui divertito, un secondo dopo lo osservo superarmi e raggiungere a grandi passi la donna sorridente all’altro lato della stanza.

“Tu devi essere Demetria Kross del SoundArt” esordisce con espressione affascinante.

“E tu Jared Leto! Credo di aver sentito parlare di te da qualche parte” si finge pensierosa per poi scoppiare a ridere e stringere affettuosamente la mano di mio fratello.

“Non dare ascolto a nessuno. La metà delle cose che dicono non è vera” le intima Jared in un tentativo sornione di continuare una conversazione stupida. Alzo gli occhi al cielo.

“Non fatico a crederti” sorride lei lanciandomi una breve occhiata, talmente breve da costringermi a credere di essermela solo immaginata.

“Dovrò chiederti di perdonarmi, Demetria, ma oggi non sarò presente a causa di impegni a cui non posso rinunciare. Confido di lasciarti alle amorevoli cure di mio fratello, non è vero Shannon?” mi fissa con uno sguardo che è più un avvertimento.

“Andremo un po’ in giro” rispondo meccanicamente senza riuscire a trovare niente di meglio da dire.

“Non vedo l’ora!” fa lei, quasi le avessi proposto una giornata piena di impegni.

“Perfetto, Emma, ti dispiace venire con me? E’ stato un piacere Demetria”

“Piacere mio”

Osservo, con una punta di terrore, Jared ed Emma lasciare la sala e raggiungere l’ingresso a passo veloce, discutendo, a quanto mi sembra di capire, dei fantomatici impegni di Jared di cui nemmeno Emma sembra essere al corrente. Poi la porta sbatte ed io capisco di essere rimasto da solo con la donna che evito accuratamente di guardare negli occhi.

“E così sembra essere un vizio che tu debba accogliermi sempre con la stessa mise” esordisce ridendo “non che mi dispiaccia”

Guardo inorridito il mio petto nudo e i pantaloni messi al contrario.

“Scusa… mi sono… svegliato da poco”

“Allora dicevi sul serio!” la guardo negli occhi perplesso, non riuscendo a ricordare a cosa si riferisca “hai detto: la giornata di una rockstar non comincia mai presto” cerca di imitare la mia voce, riuscendoci perfettamente, mi lascio andare ad una smorfia.

“Bè, non dico mai bugie. Ora lo sai” cade un silenzio carico di imbarazzo dato che non ho evidentemente apprezzato quella che voleva essere una battuta da parte sua “Io… forse è meglio se vado a fare una doccia, fa come se fossi a casa tua, ok?” me ne pento immediatamente.

“Davvero? Grazie!”

Mi avvio verso camera mia sperando che non combini qualche guaio.

Demetria, ha detto di chiamarsi Demetria. Non sembra una ragazzina, ha il classico fascino di una donna adulta e realizzata, con una punta di follia che finisce con lo stridere con la sua immagine. L’ho vista due volte per pochi minuti e mi è sembrato di avere a che fare con uno scherzo della natura sotto mentite spoglie, ma forse posso anche sbagliarmi, magari conoscendola verrà fuori la sua vera personalità, non che io sia particolarmente interessato a conoscerla.

Apro l’acqua della doccia e aspetto che sia abbastanza calda prima di lasciare che tocchi la mia pelle nuda.

Ripenso al suo sguardo intenso che passa divertito sul mio petto, senza nessuna malizia, e mi ritrovo a sorridere: erano anni che non incontravo una donna che mi guardasse mezzo nudo senza che pensieri impuri le si leggessero in viso, forse potrebbe essere divertente.

Forse, ma non lo sarà perché non sono bravo ad avere a che fare con le persone, almeno non quanto Jared.

Mi stringo nelle spalle rendendomi conto che potrei passare ore intere qui dentro ma il protocollo esige che un ospite non venga lasciato solo per troppo tempo, mi asciugo frettolosamente infilando una canottiera e un paio di pantaloni larghi e comodi, do una sistemata ai capelli bagnati, ormai abbastanza lunghi da poter essere legati, e mi affretto a ritornare in sala cercando nel frattempo di inventarmi qualcosa per far funzionare questa assurda giornata.

Ma la sala è vuota.

Mi guardo intorno perplesso e lo rifaccio un paio di volte quasi alla ricerca di un particolare sfuggito, ma conosco questa casa così bene che mi sembra assurdo anche solo averlo pensato. Demetria non è qui e non c’è assolutamente nessun angolo in cui possa essersi nascosta.

Provo a passare per l’ingresso, ad aprire la porta e cercarla in strada ma non ottengo risultati, ci penso per qualche secondo e mi avvio verso la piscina. Ecco, se io fossi ospite in casa di gente famosa probabilmente è lì che andrei, ad ammirare tutto quello che possono permettersi.

Ma a quanto pare Demetria non la pensa come me. Dove diavolo si è cacciata??

Mi torna distintamente alla mente quello che mia madre mi diceva sempre quando perdevo qualcosa da bambino “Cerca meglio Shannon, non può essere scomparso. La casa nasconde, non ruba” e inevitabilmente rido al pensiero che i muri spogli di questa villa possano aver rapito Demetria Kross del SoundArt.

Poi un suono cattura la mia attenzione, flebile ma perfettamente riconoscibile e il mio sguardo si volta di scatto verso destra, in un posto che non avrei mai pensato potesse scoprire da sola. Entro furtivamente da una porticina scorrevole, lei mi dà le spalle, accarezzando dolcemente i piatti lucenti della batteria che riposa indisturbata al fresco della sala strumenti, al suo tocco tintinnano pigri, come un animale che fa le fusa.

“Hai trovato Christine” esordisco facendola sobbalzare malamente, le bacchette posate precariamente sullo sgabello vicino cadono a terra con un rumore sordo mentre lei si volta verso di me con una mano sul cuore e il respiro accelerato.

“Dio” commenta a fiato corto “mi dispiace, avrei dovuto chiedere il permesso” i lunghi capelli castani le cadono sulle spalle nude, lucenti e mossi, gli occhiali squadrati danno un senso di serietà ad uno sguardo che in realtà sembra solo sbarazzino, persino ora ha l’aria di una bambina beccata con un’intera mano nel barattolo della marmellata, il che non riesce ad evitare di divertirmi.

“Non ti avrei detto di fare come se fossi a casa tua, altrimenti” la verità è che permetto a pochissime persone di avvicinarsi al mio strumento, per questo la sua sola vicinanza accende in me il campanello del pericolo, bilanciato inevitabilmente, però, dalla necessità di trattare questa donna con il dovuto rispetto. Necessità resa impellente dall’ultima occhiata/avvertimento di Jared.

“Già” concorda calmandosi e ritrovando il sorriso “chi è Christine?” chiede perplessa e dietro la sua domanda apparentemente disinteressata percepisco per la prima volta la giornalista a lavoro.

“Ci sei accanto” rispondo raggiungendola per raccogliere le bacchette cadute, sopporta piuttosto bene la mia vicinanza, anzi sembra del tutto presa a cercare di capire quale strumento abbia il nome di una donna “la batteria” la aiuto.

“Oh” commenta come se le avessi svelato un mistero “perché la chiami in quel modo?”

“Perché se esistesse una donna forte e sensuale quanto lei vorrei che si chiamasse Christine” sorrido “è uno dei motivi per cui non ho una donna. Scrivilo se vuoi”

“Puoi starne certo” ribatte con sguardo assente, salvo poi allontanarsi ad osservare i muri scarabocchiati da Jared con aria interessata.

“Hai trovato l’anima del nostro lavoro quotidiano” aggiungo, spezzando il silenzio caduto in seguito al suo estraniarsi, è così che torna nella stanza con me, fissandomi negli occhi, con i suoi caldi, pieni di una luce dorata frizzante che forse mi sto solo immaginando “è qui che prendono vita tutte le nostre idee in campo musicale. Speravo di portartici più in là, sai, le entrate ad effetto” lei scoppia a ridere.

“Mi avevano detto che tu fossi una persona pacata e normale, Shannon

“E qual è il verdetto?” domando, affascinato dal suo sorriso spontaneo.

“Credo, invece, che tu sia più strano di me”

“E lo avresti dedotto da qualcosa in particolare?”

“Faccio la giornalista da quindici anni ormai, ritengo di essere abbastanza brava a dedurre le cose” o solo poco modesta?

“Bè, io sono la persona più pacata che abbia mai conosciuto, quindi molto probabilmente hai toppato per la prima volta nella tua intera carriera. A meno che tu non voglia vedermi in azione con la mia Christine”

“Credo di averti già visto in qualche show” sorride ancora “non è il primo articolo sui 30 Seconds To Mars che ci capita di scrivere, sai?”

“No? Interessante”

“Interessanti voi!” ribatte con forza “Come, ahimè, pochi artisti al giorno d’oggi”

“Oh smettila, così mi farai arrossire” lei scoppia a ridere ed io la imito, fiero di me stesso: il modo in cui riesco pian piano a sciogliermi con gli sconosciuti mi fa sempre tirare un sospiro di sollievo.

“Non riesco ad immaginare un uomo come te che arrossisce” già, in effetti non ricordo l’ultima volta che sono arrossito “Ora, ho una domanda importante da farti” annuisco, pronto a dovermi dilungare in risposte filosofiche a proposito del credo dei 30 Seconds To Mars “è normale che tuo fratello esca vestito in quel modo?” per un istante infinito restiamo a guardarci negli occhi con la stessa intensità di una giornalista che crede di avere appena posto una domanda esistenziale e un musicista che cerca di capire se stia scherzando.

Dopo qualche secondo decido di scoppiare a ridere.

È con lei che avrò a che fare per le prossime ore??

“Perché non mi segui e ci mettiamo comodi da qualche parte? Potrai farmi tutte le domande che vuoi Demetria” è la prima volta che pronuncio il suo nome a voce alta.

“Demi, va benissimo Demi” ribatte lei, entusiasta.

“Demi? Come Demi Moore?”

“Esattamente come lei, anche se di lei mi manca tutto il resto” si stringe nelle spalle “Bè, non si può avere tutto nella vita, no?”

“No, non credo” scuoto la testa e le faccio segno di precedermi fuori dalla stanza, lei ubbidisce lanciandosi in uno sproloquio su chi sembra nascere con tutte le fortune del mondo.

Forse sarà davvero divertente.

***

Quale donna risponderebbe “Non credo di aver bisogno di cambiarmi” quando un uomo la invita a cena fuori?

Una donna come Demi Kross, senza alcun dubbio.

Va anche bene che il mio non sia stato esattamente un invito galante, quanto piuttosto il modo più ovvio per porre fine a questa giornata che mi ha riempito la testa di domande assurde e battibecchi insensati, come quello inerente alla strana forma delle nuvole o al perché non fosse evidente a tutti che le foglie degli alberi costituissero la particolarità dell’esemplare (“così come i tuoi occhi sono diversi dai miei!” ha esclamato ad un certo punto, peccato che stessimo parlando di un vegetale) ma mai mi sarei aspettato di doverla convincere a tornare più tardi.

Demi è… assurda… in tutto e per tutto. Non è una di quelle persone che si rivelano diverse dopo la prima occhiata, quelle che a guardarle ti danno l’impressione di essere perfettamente mature e professionali, rivelandosi poi l’esatto contrario. Lei è uguale a se stessa, fuori luogo e a volte imbarazzante ma… divertente… oserei dire… ed in effetti mi scappa involontariamente un sorriso mentre ripenso all’esilarante momento in cui ha rischiato di farci cadere entrambi in piscina scivolando rovinosamente su un rametto caduto, o a quando le è scappata di mano la tazza piena di tè freddo imbrattando persino i muri della cucina. E’ distratta e pasticciona, probabilmente chiunque altro mi avrebbe fatto perdere le staffe!

Chiunque altro… ma non lei, almeno non per il momento.

Apro l’armadio rovistando tra i miei vestiti senza molta convinzione. Non c’è bisogno di una preparazione impeccabile per girare per locali, no? Opto per un paio di pantaloni scuri abbinati a una t-shirt grigia, niente di esagerato.

È incredibile, questa casa è rimasta vuota per l’intera giornata, non che io mi stia preoccupando per Jared, è rimasto fuori anche notti intere in passato, ma non avere la più pallida idea di dove possa essere andato mi rende scostante e nervoso e il silenzio della casa vuota non aiuta, soprattutto dopo aver passato ore ed ore con la voce assordante di Demi nelle orecchie.

Dov’è il mio cellulare? Potrei provare a chiamare Jared o… a fare qualsiasi altra cosa, non so…

In cucina ci sono ancora i resti del pranzo improvvisato che ho condiviso con Demi, recupero entrambi i piatti e li pulisco degli avanzi lasciandoli poi nel lavabo, in attesa che qualcuno, ovviamente non me, li lavi e rimetta a posto. Nello stesso istante il suono del campanello mi fa tirare un sospiro di sollievo, chiunque sia, sarà senz’altro il benvenuto.

Raggiungo l’ingresso in pochi passi ed apro di scatto la porta.

“Sono in anticipo??” la voce squillante risuona nella casa vuota. Sorrido.

“Caspita, no” mi volto a controllare l’orologio: sono le otto in punto “spero che tu non l’abbia fatto apposta”

“Sono una persona puntuale” precisa Demi, lanciandomi un’occhiata risentita “posso entrare o mi lasci di nuovo qui?” mi faccio da parte divertito per farla entrare in casa.

“Stai bene” commento osservandola per qualche secondo. Indossa un semplice abito chiaro con qualche decorazione floreale, forse un po’ troppo provenzale per una serata in discoteca ma, in fin dei conti, abbastanza in sintonia con la sua personalità.

“Oh, questo vestito è di mia sorella” agita la mano come per scacciare le mie parole “non so nemmeno perché l’ho messo, non trovi che mi stia stretto??”

“Trovo che ti stia bene” la correggo e lei si stringe nelle spalle senza dar segno di aver capito che si trattava di uno pseudo complimento, la guardo sconfitto: possibile che io non riesca ad ottenere nessun tipo di effetto su questa donna?

“Prendo le chiavi della macchina e andiamo, ok?”

“Dove??” esclama lei saltellando per seguirmi.

“Ehm… non so… in giro per locali?” il mio telefono, dove diavolo è il mio telefono?

“Mi sembra ok… non sono una tipa che esce molto” ride nervosamente “Che stai facendo?” mi volto a guardarla.

“Non trovo il telefono”

“Intendi questo telefono?” me lo sventola davanti agli occhi con aria perplessa “era sul letto” si giustifica.

“Strano” ero sicuro di aver controllato sul letto, scuoto la testa e decido di non pensarci “d’accordo, andiamo”

“Posso guidare io??”

“Nemmeno per sogno!” esclamo contrariato “Che ne sarebbe della mia virilità?”

“La tua virilità ne risentirebbe se guidassi io?? Le basta davvero così poco?” ribatte seguendomi a passo svelto verso il garage.

“A volte le basta anche meno” sorrido “Non sembri avere molta esperienza con gli uomini” che razza di osservazione idiota.

“E’ una liberissima scelta” risponde lei, senza dar segno di essersi in qualche modo offesa “si sta così bene da soli, forse tu puoi capirmi meglio di chiunque altro”

“Puoi ben dirlo” in prossimità dell’auto mi attraversa un pensiero “vuoi che… ti apri la portiera?”

“Lo so fare da sola” la sua espressione è contrariata, mi fa scoppiare a ridere.

“Certo che lo sai fare da sola! È una cosa elegante che alla maggior parte delle donne farebbe piacere, ma non è necessario” ma che diavolo sto dicendo? Stiamo davvero discutendo di eleganza?

“Tu sembri capirne molto in fatto di donne, Shan” fa lei incrociando le braccia “ma sembri tutto tranne che una rockstar” colpo basso.

“Di certo capisco ben poco di te”

“Il che è reciproco, quindi pace fatta”

Saliamo in auto in perfetta autonomia e mettiamo entrambi la cintura di sicurezza.

“Già immagino il titolo in prima pagina: le rockstar dal cuore d’oro! Sottotitolo: La melodia dell’eleganza” si applaude da sola e mi lancia un’occhiata divertita.

“Che cosa ti aspetti da una rockstar, Demi Kross?” metto in moto e mi avvio per le strade luccicanti di Los Angeles.

“Sesso, droga e rock’n roll, naturalmente!” sorrido scuotendo la testa.

“Ci sono tutte e tre, in che modo ti va di scoprirlo?”

“Dovrò crederti sulla parola” si lascia andare ad una risata nervosa “allora, posso farti ancora qualche domanda?”

“C’è qualcosa che non mi hai chiesto oggi? Pensavo avessi abbastanza materiale da scrivere cinque articoli” ribatto, indeciso se essere colpito o contrariato.

“Fare il giornalista non è il tuo lavoro, Shannon Leto”

“Va bene, d’accordo” mi mordo la lingua e aspetto che sia lei a parlare ancora.

“Che mi dici di Tomislav?” esordisce dopo un po’.

“Oh, è di lui che dobbiamo parlare!”

“E’ chiaro che se non lo incontrerò in questa settimana dovrò affidarmi alle informazioni che mi darete tu e tuo fratello” si spiega, recuperando dalla piccola borsa un blocchetto ed una strana penna colorata.

“Interessante” penso a quante bugie potrei inventarmi su di lui, tante da spingerlo a cercare di assassinarmi, senza alcun dubbio “Tomo, benedetto ragazzo” comincio in perfetto stile nonno “Sai che ha una tremenda paura del buio? La notte dorme con una luce accesa e mai da solo”

“Davvero??”

“Sì! Ed è un gran piagnucolone, prima di ogni concerto consuma un pacco intero di fazzoletti, sai, deve sfogare l’emozione” aggiungo seriamente.

“Ma dai!”

“Eh sì. È un ragazzo così sensibile. Potrebbe passare ore intere davanti a film strappalacrime”

“Giura!”

“Lo giuro” le lancio uno sguardo divertito seguito da un occhiolino.

Shannon” sospira “stai mentendo, vero?” caspita, menomale che diceva di non riuscire a capirmi.

“Oh avanti, il tuo lavoro è fare la giornalista non la macchina della verità!” lei alza gli occhi al cielo e cancella l’ultima frase.

“Non è carino da parte tua!”

“Tanto ricamerai comunque sopra tutto quello che ti dirò, è il tuo lavoro” forse questo non avrei dovuto dirlo.

“Ce l’hai con in giornalisti, per caso?” cade un silenzio carico di brutti presagi. Meglio che questa serata non finisca in tragedia ancor prima di iniziare.

“No!” poi ci rifletto “Cioè… conosci il rapporto tra giornalisti e gente famosa, non è mai così roseo come si spera”

“Perché fai di tutta l’erba un fascio?”

“Oddio, non prenderla a male Demi, d’accordo? E’ uno stupido pregiudizio che mi porto dietro da anni, tu…”

“No” mi interrompe lei “è che mi sembra ovvio che io non sia una giornalista come gli altri e che tu non sia un vip come gli altri” il suo tono, in genere sopra le righe, si appiattisce appena, non troppo ma abbastanza da farmi capire che qualcosa non va come dovrebbe.

“E’ positivo o negativo?” domando, sperando di farla tornare come prima.

“Spero che alla fine di questa settimana si riveli molto positivo”

Non so perché ma mi ritrovo a sperarlo anch’io.

“Scendiamo qui”

Parcheggio la macchina e lei ubbidisce “Avevi pensato ad un posto elegante?” domanda, quasi avesse paura di una risposta positiva.

“No” la tranquillizzo imitandola “Voglio solo mostrarti una mia serata tipo, così potrai sputtanare al mondo intero che Shannon Leto è, n realtà, molto meno pericoloso di quanto sembri”

“Tu non sembri pericoloso” ancora, non so se prenderla come un complimento o come una grossa offesa.

Il pub in cui la porto è semplice ma ben organizzato, Demi guarda con occhio critico la serie di schifezze che prendo per me e poi ordina un’insalata ben condita.

“Sei la versione femminile di mio fratello” questa volta sembra essere lei ad avere difficoltà a capire se si tratti di un complimento o di un’offesa.

In verità la cena va molto meglio di quanto mi aspettassi, nessuna scenata di chissà quale ragazzina abbastanza attenta da riconoscermi e ottima conversazione su quanto più comodi e artistici sarebbero dei tavolini a forma di goccia dotati di un distributore di acqua personalizzato dal quale il cliente avrebbe potuto servirsi da solo inserendo una monetina ogni due bicchieri.

Comincio a preoccuparmi che potrei abituarmi a discorsi di questo genere.

Pagare per entrambi? Bè, lei ovviamente non me lo permette, altro basso colpo all’autostima di un uomo come me, ma Demi kross è… Demi Kross, c’è ben poco da fare. Dopo una bella e teatrale litigata, siamo fuori dal pub e ci basta camminare solo per pochi metri per raggiungere la seconda tappa della serata.

Il Prestige* è un locale che frequento molto spesso: buona musica, ottimi drink, belle donne e una pista in cui scatenarsi. È l’esatta descrizione di quello che mi ritrovo davanti una volta all’interno, accompagnato da un senso di familiarità che potrebbe spingermi a gettarmi immediatamente tra la mandria di corpi in movimento, cosa che non faccio perché la donna accanto a me sembra spaesata, e forse un po’ impaurita.

“Ti prendo qualcosa da bere??” urlo per farmi sentire al di sopra della musica assordante, lei annuisce.

“Ma vengo con te!!” mi stringo nelle spalle e lascio che mi segua senza farmi troppi problemi “Hey Mark, due bei drink, se non ti dispiace” il ragazzo di colore dietro al bancone mi sorride riconoscendomi all’istante.

“E’ in posti come questo che passi le serate??”

“Ti sembra strano??” lei scuote la testa ed io le passo un bel bicchiere colmo di un liquido rosa chiaro, lei ne prendo un sorso e poi fa una smorfia “E’ troppo forte??” domando, bevendo il mio azzurrino.

“Oh no, va benissimo” fa lei “Vuoi ballare??”

“Va bene! Finisci di berlo e poi andiamo!!”

“No!! Io intendevo te! Te… da solo!!”

“Da solo?? Vuoi che vada a ballare da solo??” ma che diavolo sta dicendo? “Perché dovrei voler ballare da solo?”

“Te lo leggo in faccia! Io… io me la caverò! Me ne sto buona buona, qui, ad osservarti!”

“Piantala Demi! Non ti lascio da sola!” lei finisce il drink con uno sforzo e ne ordina subito un altro.

“Starò bene!” insiste e nello stesso istante la mia attenzione viene catturata da persone che conosco molto bene e che mi invitano a raggiungerli in pista con gesti eloquenti.

“Demi” comincio nell’intento di convincerla ad imitarmi.

“Oh smettila di preoccuparti! Sono grande e vaccinata, non hai bisogno mica di sorvegliarmi!”

“D’accordo” ribatto, spaventato di poterla offendere insistendo ancora “Allora ci vediamo qui tra un po’”

“Verrò a cercarti se avrò bisogno di qualcosa!” finisce il secondo drink e mi sorride rassicurante, faccio lo stesso e mi volto a raggiungere gli amici che urlano il mio nome facendo stringere tutto il locale attorno a noi.

Passano minuti, forse anche un paio d’ore. Il delirio mi è amico. Amo essere riconosciuto in questo modo, amo le donne che fanno di tutto per entrare in contatto con me e amo la musica ad alto volume che accompagna i movimenti di centinaia di corpi sudati. Poi, ad un punto impreciso della serata, l’attenzione si sposta da tutt’altra parte. Sento una serie di urli e schiamazzi provenire da un punto poco lontano e inevitabilmente smetto di intrattenermi con la bella bionda che mi sta davanti per cercare di capire cosa stia succedendo.

“Ma chi è quella?” domanda qualcuno indicando un punto al di sopra di tutte le teste, con mio orrore i miei occhi incontrano la figura di Demi che si dà da fare attorno ad un palo su cui poco prima era impegnata una cubista tutta cosce e tacchi alti. Grida parole sconnesse e ride come se fosse la cosa più divertente del mondo.

“Oh merda” impreco e cerco di farmi spazio per raggiungerla, sono costretto a superare più di un burbero maschio a caccia.

“Demi!!” esclamo cercando di farmi sentire ma non ottengo risposta “DEMETRIA!” lei sobbalza e abbassa il viso verso il mio con aria divertita.

“Oh, Shannon! C’è il mio amico Shannon!” urla a tutti e a nessuno, gli uomini stretti attorno al cubo urlano approvazione.

“Che diavolo stai facendo??” domando guardandomi intorno con un certo nervosismo.

“STO BALLANDO!” e riprende a farlo in modo osceno.

Perché qualcosa mi dice che non è per niente normale? Scuoto la testa e con una certa fatica mi innalzo sul cubo per portarla via di lì.

“Ehi, che stai facendo??” protesta qualcuno “non puoi stare qui!” non gli do retta.

“Demi, andiamo via”

“Oh che guasta feste!” esclama lei strattonando il braccio tenuto fermo dalla mia stretta.

“Ehi amico, hai sentito? Non vuole venire con te, lasciala in pace, ci stiamo divertendo!”

“Non credo proprio” sentenzio caricandomela in spalla come fosse un sacco di patate, la sento urlare, protestare e ridere allo stesso tempo “torna al tuo lavoro, tesoro” intimo alla cubista sperando di mettere a tacere le proteste di tutti gli altri, la cosa funziona a meraviglia, fortunatamente.

“Adesso vuoi lasciarmi andare??” esclama Demi non appena siamo fuori dal locale, la metto a terra con una certa delicatezza salvo poi guardarla torvo negli occhi.

“Si può sapere che ti è preso??” sbotto, lei mi mette una mano sulla spalla e sorride.

“Non è così che passate le serate voi rockstar?” la osservo cambiare espressione e portarsi una mano sullo stomaco “oh no” commenta prima di vomitare.

“Stai bene?” è abbastanza ovvio che la risposta sia negativa “Hai bevuto troppo?”

“Bè, io… non… bevo molto spesso” ammette con una smorfia.

“Sei astemia?” non risponde “Ma perché hai bevuto se…?? Oh, d’accordo non fa niente, ti riporto a casa. Devi solo guidarmi” il mio vorrebbe essere un modo per rassicurarla, ma fallisce completamente.

“Certo, ottima idea! Appena la strada avrà smesso di girare”

Siamo messi proprio bene.

La accompagno alla macchina con cautela, terrorizzato che possa vomitarci all’interno, in cuor mio spero di arrivare a casa sua prima che succeda.

“E’ stato divertente!” esclama una volta in viaggio, ritrovando un pizzico della sua stranezza.

“Non è divertente ubriacarsi e improvvisarsi cubiste”

“Mi guardavano tutti” ridacchia facendomi alzare gli occhi al cielo.

“Dove vado?”

“Santa Monica” obbedisco.

È stata una stupida, le avevo detto di non volerla lasciare sola e… perché diavolo ha bevuto così tanto se in realtà è astemia? Avrei volentieri preso a schiaffi tutti quelli che la guardavano mentre si muoveva su quel cubo!

Che pensieri assurdi.

“Gira qui” obbedisco ancora.

“Ti senti meglio?”

“No, ma non farmi parlare, mi sto sforzando di non vomitare”

“Non avresti dovuto farlo! Non è così che passiamo le serate noi rockstar Demi, ci sei arrivata?” annuisce con una smorfia di disgusto.

“Questo è il mio palazzo” parcheggio e l’aiuto a scendere.

“Dove sono le chiavi?” domando guardandomi intorno e notando che si tratta di un vecchio edificio colorato.

Porc… le ho lasciate in macchina”

“Dove?” domando, già pronto a tornare indietro.

“In macchina mia, quella che ho lasciato a casa tua”

“Perfetto! Come facciamo ad entrare?” lei si attiva, per quanto le sia concesso dall’evidente mal di stomaco, avvicinandosi al citofono, bussando ad uno di essi e attendendo con pazienza finché non risponde una voce femminile.

“Signora Jones, scusi l’orario!” urla costringendomi a guardarmi intorno con apprensione: non è l’orario perfetto per strillare tra le strade di Los Angeles “Sono Demetria Kross del quarto piano, ho dimenticato le chiavi, potrebbe aprirmi?” la signora bofonchia qualcosa di incomprensibile e dopo qualche secondo la serratura scatta “mi doveva un favore” spiega mentre la guardo perplesso avviarsi verso l’entrata. La seguo.

“Hai detto quarto piano? Ce l’avete un ascensore?”

“Sì ma ha una strana tendenza a bloccarsi tra il secondo e il terzo piano, meglio lasciarlo dov’è” sentenzia cominciando a salire la prima rampa di scale.

“D’accordo”

Una volta davanti all’unica porta di legno scuro del quarto piano, Demi si mette a cercare qualcosa in un vaso di fiori lì accanto, ne esce con una chiave piccola e argentata, mostrandomela fiera “per eventualità come questa” apre la porta e si infila in casa “grazie per avermi accompagnata” esordisce, ed eccola che ricambia espressione “non sarò molto ospitale!” corre da qualche parte, suppongo verso il bagno, a vomitare ancora.

La casa di Demetria Kross è un grosso loft arredato in modo impeccabile e un po’ bizzarro, è diverso dall’abitazione che mi aspettavo, è bello e prezioso, non immaginavo che potesse permettersi un posto del genere. Mi spingo in casa chiudendomi la porta alle spalle.

“Demi? Posso aiutarti?”

“Oh, no grazie! Me la caverò” riemerge dal bagno con i capelli arruffati e il viso grigio “forse” la afferro appena in tempo mentre rischia di svenire e la prendo in braccio “ce la faccio da sola!” protesta ma io la costringo a sdraiarsi sul divano.

“Hai del caffè?” domando, lei annuisce.

“In cucina deve essercene ancora un po’, è la mia droga”

“Bene” annuisco soddisfatto “sappi che è un tocca sana per le sbronze”

“Buono a sapersi”

Trovo una tazza e la riempio fin quasi all’orlo, tornando poi da lei “bevilo tutto”

“Grazie” sussurra “bel modo di cominciare la nostra settimana”

“Modo originale, in effetti” sorrido, la verità è che non mi dispiace per niente, speravo potesse essere divertente, e in qualche modo lo è stato “domani ci sarà Jared, lui è molto più capace di me a trattare con le persone”

“Te la sei cavata benissimo” ribatte lei ed io decido di prenderla come un complimento, anche se è chiaro che il suo intento non era quello di adularmi “Oh non guardarmi, sono in condizioni davvero pessime”

“Ho visto di peggio” ammetto senza mentire.

“Forse dovresti andare, prima che io crolli addormentata a metà di una conversazione” scoppio a ridere e annuisco.

“D’accordo, suppongo che ti vedrò domani”

“Ecco, sarebbe carino se tu passassi a prendermi… sai, non ho la macchina”

“Giusto, facciamo per le undici?” annuisce sbadigliando e sdraiandosi.

“Scusa se non ti accompagno…” neanche il tempo d finire la frase che incredibilmente si è già addormentata.

Con una certa riluttanza mi avvicino e le sfilo gli occhiali, prendo la copertina leggera ordinatamente piegata ai suoi piedi e gliela metto sulle spalle: sembra molto più innocua mentre dorme. È proprio vero che le apparenze ingannano.

Raggiungo la porta e prima di uscire spengo la luce.

 

*tributo alla mia ultima storia “Time After Time”

Ebbene miei cari eccoci qui alla fine del capitolo. Allora, cominciamo a parlarne. Che ve ne pare di Demetria Kross? Che cosa vi trasmette? E Shannon? Se la caverà con lei per i prossimi 6 giorni? E soprattutto perché secondo voi Jared evita di sfogarsi con suo fratello?

Fatemi sapere se vi va, un bacione e grazie a tutti in anticipo :)

Alla prossima,

 

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