A Drop In The Ocean

di Marti Lestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Echoes And Shadows ***
Capitolo 3: *** II. When The Darkness Comes ***
Capitolo 4: *** III. Ocean Wide ***
Capitolo 5: *** IV. Two Steps From Hell ***
Capitolo 6: *** V. Down By The Water ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



A Drop In The Ocean
Prologo



Città dei Corsari, Terre della Lunga Estate
 
- Jeremy…
- Uhm.
- Jeremy…
- Che c’è?
- Jeremy, secondo te quanto tempo è passato?
- Uhm… un’ora? Due ore? Dieci ore? Che importanza ha, Gabriel…
- Ho freddo, Jeremy. Ho le mani intirizzite e i ghiaccioli al naso, mi sembra di stare nelle Terre dell’Inverno Perenne…
- Uhm, non esagerare, lagna che non sei altro! Sei un pirata dei Cinque Mari oppure una dama puritana, aye!
L’uomo chiamato Gabriel non rispose, si limitò a tirare su con il naso, pulendoselo poi con il dorso della mano sinistra. Aveva freddo, accidenti! Erano lì fuori da secoli, ormai, a fare la guardia ad un segretissimo e importante incontro tra pirati della peggior specie, tutti riuniti in una grande stanza a gridarsi addosso e a cercare di trovare un accordo “pacifico”. Tali incontri si ripetevano con assidua regolarità negli ultimi tempi, senza mai arrivare ad un risultato concreto: la guerra imperversava da tempo, nei Cinque Mari delle Terre Occidentali, tra spargimenti di sangue, battaglie feroci e scontri in mare aperto.
Era la prima volta che Gabriel faceva la ronda all’esterno. Era sempre rimasto a bordo della sua nave, la famosa e temibile Jolly Roger. Jeremy sembrava avvezzo a tali compiti, perché non si lamentò nemmeno una volta, preferendo il silenzio. Accanto a loro, una coppia di pirati di un’altra flotta li guardava, arcigni e taciturni. Gabriel diede loro le spalle e si strinse nella camicia leggera e logora.
- Chissà cosa starà dicendo il capitano, eh?
- Uhm - borbottò Jeremy. Borbottava sempre, Jeremy. Spargeva quei suoi “uhm” tutto intorno, segnali di malanimo e scontrosità latente, e così teneva lontane le persone e le scocciature. Era sempre stato ombroso, Jeremy. Ombroso e misterioso. Non aveva amici e nemmeno nemici. Tutti lo lasciavano semplicemente in pace e lui faceva la sua parte, senza proteste e rimostranze. E senza tante parole. Gabriel lo ammirava e lo temeva, almeno quanto ammirava e temeva il capitano della Jolly Roger, il sanguinario e spietato Barbanera, terrore dei Cinque Mari e comandante di una flotta invidiata in tutti gli oceani conosciuti.
- Secondo te Sao Feng sarà venuto di persona?
- Uhm - commentò Jeremy lisciandosi la barbetta scura. - Non lo so… Probabilmente no, però. Non viene mai, a queste riunioni farsa. Ci sono troppi rischi per le sue chiappe gialle.
- Hey, modera i termini, cane rognoso - esclamò uno dei due pirati poco lontano. Uno era spiccatamente asiatico, vestito secondo la loro moda. L’altro - quello che si era rivolto a Jeremy con disprezzo - era evidentemente un abitante delle Terre Occidentali, un volta gabbana che aveva preferito unirsi alla Flotta asiatica di Sao Feng, capitano della Empress e padrone indiscusso del Mare dei Vapori, a est delle Terre della Lunga Estate, porta d’ingresso per l’Asia e le Lande di Fuoco nell’Estremo Oriente.
- Oh, scusa, vuoi dirmi che Sao Feng non ha le chiappe gialle, adesso? - replicò Jeremy.
L’altro si avvicinò pericolosamente, la mano sull’elsa della spada lunga alla cintura, la bocca deformata in una smorfia.
- Hey, hey - intervenne Gabriel - Sentite, siamo tutti stressati e affamati e vorremmo tutti berci una pinta, quindi perché non evitiamo gli scontri? Anche perché finiremmo ai ceppi, è poco ma sicuro.
Jeremy scosse la testa e poi si andò a sedere su un basso muretto lì vicino, le braccia incrociate sul petto. Forse l’avevano scampata. Quei due erano grandi e grossi, molto più di loro. Ne sarebbero usciti di sicuro malconci e lividi.
Il pirata rivale non si spostò, ma tolse la mano dalla spada.
- Si dicono cose su Sao Feng - intervenne un’altra voce. - E anche su Barbanera. Cose spaventose e innominabili. Sono tutte vere?
Un ragazzino sporco e malconcio uscì da dietro una botte umida lì accanto e li osservò, gli occhi accesi.
- Non dovresti essere qui, piccolo delinquente - lo minacciò il pirata di Sao Feng.
- Tutti possono stare qui, questo posto non è di nessuno - rispose pronto il ragazzino, alzando le spalle. - E poi ho un messaggio per gli uomini riuniti lì dentro.
- Un messaggio? - chiese Jeremy scendendo dal muretto e avvicinandosi.
- Sì, un messaggio per i vostri capitani. E per tutti gli altri pirati.
- Parla, ragazzino, non abbiamo tempo da perdere in chiacchiere.
Il bimbetto si guardò intorno e poi si avvicinò ancora a Gabriel, guardandolo dritto negli occhi.
- Ha detto che c’è un solo, vero signore dei Cinque Mari - sussurrò.
Un vento inquietante si alzò da ovest, e solcò il mare scuro increspato di onde. Le foglie di una palma ondeggiarono impetuose, mentre una strana foschia ammantata di magia e oscurità si propagò sulla città addormentata arrivando da nord, lenta e inesorabile, a ricoprire la civiltà e le anime.
- “Ha detto” - ripeté Gabriel. - Chi?
- In cuor vostro, sapete già la risposta. Davy Jones.
 
 
* * *
 
 
∞ Atlantica, Mare di Giada
 
La tempesta si placò e il Mare di Giada tornò limpido e solcato da onde leggere, mentre l’alba tingeva le acque di rosa e di pesca. Un gabbiano cantò il suo richiamo dalle rive lontane, sperduto. Le cime bianche del castello risplendevano ai primi raggi del sole.
La calma dopo la tempesta era ciò che rendeva il mare così bello. Era ciò che accendeva le onde. Era ciò che profumava l’aria di sale e salmastro e magia. Era ciò che Ariel amava con tutta se stessa. Lo amava e allo stesso tempo anelava la libertà. L’avrebbe ottenuta, prima o poi. Avrebbe ottenuto la sua libertà. Sarebbe uscita nel mondo. Nel vero mondo.
Lanciò un ultimo sguardo al promontorio in lontananza, appoggiata al suo scoglio preferito in mezzo al mare, e poi si rituffò nelle profondità marine, mentre l’oceano si richiudeva sopra di lei.
 



NOTE 
 
  • Cinque Mari: nella mia immaginaria mappa, i mari sono cinque e non sette.
  • Aye: questa esclamazione arriva direttamente da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
  • Barbanera: tutti conosciamo il famoso Edward “Barbanera” Teach. Io l’ho semplicemente reso capitano della Jolly Roger. Più avanti si capirà perché ;-)
  • Sao Feng: uno dei Pirati Nobili, direttamente da “I Pirati dei Caraibi”.
  • Davy Jones: la figura di Davy Jones è presente nel film “I Pirati dei Caraibi”, ma ci sono altre notizie su di lui su Wikipedia, a questo link: http://it.wikipedia.org/wiki/Davy_Jones
  • Città dei Corsari: da “Il Signore degli Anelli” di JRR Tolkien.
  • Terre della Lunga Estate, Mare dei Vapori, Mare di Giada: da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
 
NB per questioni di praticità, i nomi di luoghi già citati in queste note non saranno ulteriormente citati nelle note ai successivi capitoli.
 
 
Dopo la parte barbosa e burocratica – ma necessaria – eccoci qui con un piccolo commento finale. Ebbene, ho iniziato questa nuova avventura, che mi frulla in testa da un po’, soprattutto perché Ariel insisteva per uscire e vedere il mondo, quindi non avrei potuto farla attendere oltre – e non ci sarei nemmeno riuscita, a dire il vero.
In questo piccolo prologo si capisce poco delle vicende successive ed è inutile che vi stia a dire che tutto ciò era deliberatamente programmato per farvi restare con il fiato sospeso – spero di avervi regalato un pizzico di suspense e di aver solleticato la vostra curiosità, a questo punto, altrimenti il mio discorso suona da cretina. Perdonatemi, comincio a vaneggiare…
 
Ringrazio ovviamente tutti coloro che mi hanno spronata a scrivere e pubblicare e plottare selvaggiamente. Spero di non deludere le vostre aspettative <3
Un grazie speciale alla mia ciurma, cioè Pikky, Lilyhachi, Giulia e Ally, e ad Alice per lo splendido banner e l’infinita pazienza <3
 
Lunedì parto per Parigi, tornerò venerdì sera, quindi non so quando comincerò a scrivere il primo capitolo. Chissà, magari lo inizierò in terra francese… :3
 
Grazie a tutti coloro che hanno letto e speso tempo e attenzione. Vi adoro!
 
Marti


ps vi lascio il link al mio gruppo Facebook dedicato alle mie fanfic su OUAT, luogo di fangirling estremo dove troverete album dei prestavolto, spoiler e notizie varie.
Ecco il link:  
https://www.facebook.com/groups/159506810913907/

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Capitolo 2
*** I. Echoes And Shadows ***


A Drop In the Ocean
Capitolo 1
~ Echoes And Shadows ~
 
 
 
 
“Pareva [il mare] che ancora bisbigliasse
di galee normanne che fendevano le acque del mondo
sotto bandiere che rappresentavano corvi,
di bravacci inglesi,
grigi baluardi di civiltà che solcavano
una nebbia di luglio
nel mare del nord.”
 
 
 
 
 
~Atlantica, Mare di Giada
 
- Oh, eccoti qui!
Una voce acuta distolse Ariel dai suoi pensieri, popolati di navi, vascelli e pirati. Non i temibili bucanieri che infestavano i Cinque Mari, ma uomini coraggiosi e senza paura, gentiluomini dal cuore nero e l’animo ardito, proprio come sua sorella Attina era solita raccontarle. Ariel era da sempre affascinata dalle Antiche Storie.
Sua sorella Alana le sorrideva, nuotando verso di lei, un paio di libri stretti al petto. I suoi bellissimi occhi azzurri - proprio come il mare baciato dal sole - si illuminarono. Avevano sempre avuto un legame speciale, lei e Alana. Erano solite estraniarsi dal mondo, avventurandosi in meandri misteriosi e ancora inesplorati di Atlantica, il loro regno. Erano capaci di chiacchierare per ore, scambiandosi impressioni e sogni e speranze. Alana desiderava studiare a fondo le Antiche Storie, per conoscere il mondo e tutti gli altri esseri viventi. Ariel invece non sapeva cosa desiderare. Non sapeva nemmeno chi era, non per davvero. Ariel, figlia del Re del Mare, non le bastava più. Era troppo limitato per descrivere la sua anima, un caos primordiale di opposti e desideri pericolosi e voglia di avventura.
- Scusa, sono sparita come sempre - rispose lei scuotendo la testa.
- Ti aspettavamo a lezione di musica. Attina era parecchio dispiaciuta per la tua assenza e Arista ha starnazzato come al solito, dicendo che non vieni mai seriamente punita e bla bla bla.
Alana alzò gli occhi al cielo e agitò una mano. Ariel rise. - Arista passa il suo tempo a lamentarsi di me, e perché, poi?
- E che ne so, lasciala perdere.
- Nostro padre ha saputo della mia assenza?
- No, ma Arista sicuramente lo informerà, ci scommetto.
Ariel sbuffò e un ciuffo di capelli rossi e lucenti le ricadde sulla fronte.
- Senti, Alana - continuò - ora devo andare…
- Andare? Di nuovo? E dove?
- Devo andare, tu non farmi domande.
- Ariel…
Alana era visibilmente contrariata. Incrociò le braccia al petto e ad Ariel ricordò pericolosamente loro sorella Acquata, quando riprendeva tutte loro a lezione di Storia dei Regni Abissali, lezione durante la quale Ariel puntualmente si addormentava, suscitando le risate di Alana e gli sbuffi di Arista.
- Tu non mi hai vista, okay? Ti prego, Alana, per favore…
Ariel giunse le mani in preghiera e si avvicinò alla sorella, guardandola dolcemente.  - Sei la mia sorella preferita, lo sai…
Alana roteò gli occhi e scosse la testa. - Sai sempre come comprarmi, dannata te!
- Papà non vuole che imprechi, lo sai.
- Uffa, smettila, pure tu. E fila via, prima che cambi idea. O lo dico ad Arista.
- Per Calipso, no! - esclamò Ariel nuotando via e dirigendosi verso lo scalone in corallo del loro palazzo, il Cuore dell’Oceano, centro di Atlantica e dimora del Re del Mare loro padre.
- Chi è che impreca, adesso? - le gridò dietro sua sorella.
Ariel sorrise tra sé e sé, stringendo la borsa che portava a tracolla, che conteneva uno dei tanti tesori che era solita cercare nelle profondità marine, e che poi raccoglieva e conservava con amore. Erano l’unico contatto con il mondo reale che una sirena potesse avere, l’unico appiglio che la teneva ancorata al suo sogno.
Ariel varcò le porte del palazzo, guardandosi intorno con circospezione. Il Cuore dell’Oceano pullulava di spie, pronte a riferire al Re qualsiasi movimento sospetto, perfino quelli delle sue stesse figlie. Ariel aggirò il palazzo, nuotando all’ombra delle sue alte torri di madreperla. Superò alcuni banchi di alghe e uno strapiombo, fino ad un promontorio roccioso sottomarino, all’interno del quale si aprivano alcune cavità naturali, grotte e pertugi. La ragazza entrò nel primo varco a destra, percorse un corto passaggio buio e sbucò in una specie di grande sala conica di pietra, le cui pareti di roccia salivano fino al cielo. La luce del sole rischiarava le acque più alte, più vicine alla superficie.
La grotta era piena di strani oggetti umani, relitti, quadri, statue, soprammobili, armi, e altri preziosi tesori che Ariel conservava gelosamente. Non conosceva l’esatto funzionamento della maggior parte di essi, ma non le importava: un giorno lo avrebbe scoperto; un giorno avrebbe fatto parte del mondo dal quale quegli oggetti provenivano; un giorno avrebbe coronato il suo sogno.
- Ariel?
Ariel per poco non svenne: suo padre, il temibile e severo Re del Mare, il signore di Atlantica, stava di fronte a lei, il viso sconvolto e ombroso, la bocca aperta per lo stupore.
- Papà! - esclamò lei, le mani sulla bocca, gli occhi sbarrati.
L’aveva scoperta. Aveva scoperto i suoi tesori. Aveva scoperto il suo segreto. L’ira del Re del Mare non sarebbe stata mite e contenuta. Avrebbe spazzato via tutto e tutti, ne era sicura.
- Mi sono sempre reputato un tritone ragionevole - cominciò, avvicinandosi, il suo tridente dorato stretto tra le mani forti e nodose. - Ho stabilito certe regole e pretendo che quelle regole vengano rispettate da tutti*.
- Papà, io…
- Ariel, ho accettato le tue stranezze e le tue intemperanze perché ti voglio bene, sei mia figlia, e perché sei uguale identica a tua madre, e solo Calipso sa quanto l’ho amata. E quanto mi manca. Sei bella, intelligente e piena di risorse, ma quello che fai… il tuo amore per gli umani… le tue uscite in superficie… e questo… questo… covo di paccottiglie e pericoli… Sono molto deluso, Ariel, molto deluso.
Il Re del Mare scosse la testa, passandosi una mano tra la barbetta grigia e ispida, osservando la figlia con sguardo spento.
- Papà, lasciami spiegare - Ariel prese coraggiosamente la parola. - Io voglio conoscerli. Voglio studiarli. Voglio sapere tutto ciò che c’è da sapere sul loro mondo…
- Conoscerli… studiarli… gli umani? - esclamò il Re. - Ariel! Non c’è bisogno di conoscerli! Sono tutti uguali! Smidollati, selvaggi, sempre armati di fiocina, incapaci di qualsiasi sentimento*!
Ariel strinse i pugni, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo acceso: non era mai stata più combattiva come in quel momento. Suo padre non le avrebbe strappato via il suo sogno con parole cariche di veleno e pregiudizi. Non l’avrebbe distolta dai suoi progetti di avventura mettendole paura e insinuandole dubbi. Aveva visto gli umani - coloro che il Re definiva “mostri”. Li aveva visti con i suoi occhi, avvicinandosi con circospezione ad un vascello addobbato e illuminato a festa, ormeggiato al largo, proprio al centro dello Stretto dei Sussurri. Si festeggiava un compleanno, il compleanno di un giovane molto bello, alto, dai capelli neri e un portamento regale. Erano tutti felici e allegri. Non c’era niente di selvaggio o pericoloso. C’era solo amore, affetto e infinita gioia. Ariel avrebbe dato tutto ciò che aveva per potersi unire ai festeggiamenti, anche solo per una notte. Invece aveva osservato da lontano, appollaiata alla nave, nell’ombra, a vivere attraverso le vite degli altri.
- Non ti credo - sussurrò lei piano, sentendo le lacrime premerle agli angoli degli occhi. Lacrime di rabbia. - Non ti credo. Lo dici solo per tenermi bloccata qui, con te, in quello stupido palazzo, come se fossimo tante bamboline sotto il tuo controllo. Io non sono come le mie sorelle. Non lo sarò mai.
- Tua madre è morta per colpa loro, lo vuoi capire o no? - gridò il Re, fuori di sé dalla rabbia. - È morta, arpionata come un pesce come tanti, trascinata su una nave pirata e venduta a chissà chi, come un trofeo di guerra. È morta per colpa del suo amore per gli umani. È morta per colpa della sua curiosità, e ingenuità, e infinito candore. Non posso permettere che accada di nuovo. Sei una sirena, Ariel. Per loro, sarai sempre e soltanto un’aberrazione, un mostro da catturare e studiare. Finirai per perderti.
- Non mi importa* - rispose lei tenacemente. Conosceva la storia e il triste destino di sua madre, morta per mano degli umani, ma lei era diversa. La sua storia era diversa.
- Non mi importa - ripeté, sotto lo sguardo attonito del padre. - Io non sono lei, va bene? Non sono lei.
Il Re rimase in silenzio, troppo incredulo per replicare. Ariel poteva sentire il ritmo del suo respiro, il sangue nelle sue vene che pulsava veloce, i suoi pensieri vorticosi. Poteva leggere i suoi occhi, delusi e tristi e infinitamente feriti, ma non le importava. Voleva solo scappare via, da palazzo, da Atlantica, dal Mare di Giada. Scappare lontano ed essere finalmente libera.
- Allora mi dispiace Ariel, ma dovrò prendere dei seri provvedimenti*! - esclamò il Re, rabbuiandosi e riacquistando il suo solito, serio cipiglio insondabile. - E se questo è l’unico modo, ebbene sia*!
Il Re alzò in alto il suo tridente, puntandolo verso un cumulo di oggetti poco lontano. Ariel capì quello che stava per accadere e, prontamente, deviò il tridente verso l’alto, e il suo potente fascio di luce uscì dall’apertura in cima, perdendosi così nell’oceano.
- Ariel, sei impazzita? - gridò il Re.
- Vuoi distruggere tutto? - esclamò lei. - Pensi che così potrai sistemare ogni cosa, eh? Bene, fallo. Distruggi tutto, non me ne importa. Io continuerò a sognare di andarmene, un giorno, e non potrai portarmi via i sogni. Nessuno potrà.
Suo padre la osservò, meditando, deluso. Ariel raccolse una vecchia spada raccattata chissà dove, ora tutta incrostata di coralli e conchiglie, e cominciò così a distruggere i suoi tesori, i magici oggetti che aveva così pazientemente collezionato, tutto quanto. Il rumore di oggetti infranti e cocci rotti le rimbombava nelle orecchie e le lacrime le rigavano le guance, calde e salate. Infine, non rimase più nulla da distruggere. Tutto ciò che la grotta aveva contenuto giaceva devastato intorno a lei.
Ariel lasciò cadere la spada, che era diventata all’improvviso troppo pesante per lei, e guardò in volto il Re del Mare.
- Contento? - disse tra i singhiozzi. La sirena nuotò via, uscendo dalla grotta.
Il Re rimase fermo in mezzo al disastro ancora a lungo, una mano sul viso, le spalle afflitte e stanche, come se avesse preso all’improvviso parecchi anni.
Ariel nuotò senza meta per parecchi metri, le lacrime pungenti che le appannavano la vista, il cuore che batteva tumultuoso e la testa che era un caos. Che cosa aveva combinato? Aveva davvero distrutto tutto quanto?
Si fermò solo quando rimase incidentalmente imprigionata in un banco di alghe nere e viscide, dal quale scivolò fuori a fatica, finendo catapultata sull’orlo di una depressione marina buia e fredda, depressione che costituiva la base della temibile Baia del Morso, evitata da tutte le rotte marine e sottomarine.
Finì a terra, nella sabbia, la borsa ancora a tracolla che le batteva contro il fianco. Le lanciò un’occhiata e si ricordò del tesoro che aveva trovato quel mattino. Era adagiato sul fondo del mare, abbandonato chissà da chi, oppure semplicemente perduto. Non doveva essere caduto in acqua da molto, perché era ancora piuttosto liscio al tocco. Il mare non lo aveva ancora trasformato. Lo aveva trovato al largo di Città dei Corsari e le piaceva pensare fosse appartenuto ad un pirata.
Lo tirò fuori dalla borsa. Sapeva a cosa serviva, lo aveva visto molte volte tra le mani dei marinai che era solita spiare all’ombra delle loro stesse navi. Era di pesante acciaio scuro bordato d’oro. Un oggetto pregiato e ricercato, lo poteva capire solo toccandolo.
Ariel sorrise tra sé e sé, asciugandosi le ultime lacrime. Tutto quello che le rimaneva era un cannocchiale. Un cannocchiale che le avrebbe costantemente ricordato i suoi propositi e il suo sogno d’avventura.
- È bello vederti sorridere di nuovo, bambina.
Una voce limpida e potente risuonò tutto intorno a lei. Oppure era nella sua testa? Stava forse sognando? Non vedeva nessuno, lì accanto.
Ariel rimise il cannocchiale al sicuro nella borsa, che strinse a sé con fare protettivo, osservando l’oceano intorno a lei con circospezione.
- Non devi avere paura. Ariel.
- Chi sei? - esclamò lei. - Fatti vedere. Come sai il mio nome?
- Sei conosciuta in tutti i Cinque Mari. Sei una delle figlie del Re del Mare, ricordi? Anche se non vuoi riconoscerlo nemmeno con te stessa.
- Non so chi tu sia, fatti vedere - continuò lei, spaventata ma decisa a non farsi sopraffare.
- Ho molti volti, bambina, e non è ancora arrivato il momento di mostrarti il vero me. Non oggi. Non ancora. Per adesso, ti basta sapere che sono nella schiuma marina, e nelle correnti, e nelle buie profondità abissali… E sono qui per proporti un patto, Ariel.
- Non sarai… - cominciò lei, deglutendo a fatica. La voce le morì in gola.
- Sono conosciuto con molti nomi, sirena.
- Davy Jones - sussurrò Ariel prima che l’oscurità la inghiottisse.
 
 
* * *
 
 
 
~Jolly Roger, Golfo dei Sospiri
 
- Per tutti gli dèi, si può sapere dove è finito il mio cannocchiale?
Killian Jones camminava su e giù sul ponte principale della Jolly Roger da mezzora buona. Cercava il suo prezioso cannocchiale, di acciaio scuro bordato d’oro. Era un ricordo di suo padre, l’unico ricordo rimastogli, l’unico ricordo salvatosi dal Grande Incendio di Tortuga, che aveva devastato il porto e buona parte della città. Doveva ritrovarlo. Non poteva averlo perso. Proprio non poteva.
- Killian – si sentì chiamare, ma decise di ignorare deliberatamente quella voce e di continuare a cercare il suo cannocchiale. Diavolo, non era nemmeno in quel mucchio di cime umide abbandonato accanto alle scale della timoneria.
- Killian… - di nuovo quella voce. La ignorò nuovamente. Doveva concentrarsi per continuare la sua ricerca.
- Killian Jones!
Un paio di gabbiani appollaiati sul sartiame volarono via, gridando contrariati. Killian si voltò. Il giovane Gabriel lo osservava con cipiglio severo, le mani sui fianchi.
- Non avrei dovuto alzare la voce, lo so – cominciò il ragazzo alzando le mani.
Killian aveva sempre considerato Gabriel come uno a posto. E gli stava anche simpatico. Forse per via dei suoi capelli rossi. O delle lentiggini. O di entrambe le cose.
- È che non ascolti – continuò. – Ti ho chiamato per… be’… un sacco di volte. Cosa stai cercando, a proposito?
Killian sbuffò, contrariato, le mani sui fianchi. Sentiva la leggera camicia bianca che gli aderiva alla schiena, là dove aveva sudato di più. Faceva caldo, nonostante fossero alla fonda in mare aperto. La Jolly Roger galleggiava placida sulle onde tranquille del Golfo dei Sospiri. Il sole faceva luccicare il legno chiaro e le assi del ponte ammiccavano lucenti dopo una bella dose di cera e olio di gomito - ovviamente per mano di William Smee, il fedele mozzo di bordo.
- Sto cercando il mio cannocchiale, Gabriel, ecco cosa sto cercando. Temo di averlo perduto, per Calipso!
- Attento a citare il nome di Calipso invano – gli rammentò Gabriel alzando un dito e agitandoglielo sotto il naso. Killian gli assestò una sberla e l’altro scoppiò a ridere.
- Dovrei punirti per la tua insubordinazione e spavalderia, e spedirti a lavare le latrine – borbottò Killian.
Gabriel lo guardò in silenzio, le mani dietro la schiena.
- Per oggi te la sei scampata – concluse, e Gabriel rilassò le spalle. – Cosa volevi, comunque?
Killian era ascoltato da tutti, a bordo. E rispettato. Soprattutto da pirati giovani e inesperti come Gabriel. D’altronde, era il braccio destro del capitano, il temibile Barbanera, terrore degli oceani. Pochi al mondo conoscevano il suo vero nome – Edward Teach – e Killian era uno di questi. Non c’era decisione per la quale il capitano non lo consultasse. Era un rito. Killian era per lui la voce dell’equipaggio, colui che conosceva quegli uomini meglio di chiunque altro, colui che ascoltava le lamentele e gli improperi per poi acquietare gli animi e risolvere i problemi.
Suo padre, William Jones, era stato sempre al fianco di Barbanera, tutta la vita da quando era poco più che un ragazzo, prima di morire nell’incendio di Tortuga. Il figlio era rimasto così a bordo della Jolly Roger, guadagnandosi la stima e il rispetto del capitano – e di tutta la ciurma. Aveva lavorato sodo, spezzandosi la schiena, adempiendo ai compiti più umili. Aveva fatto sacrifici, compiuto scelte difficili e messo fine a molte vite, anche innocenti. Non si reputava un uomo d’onore, almeno non dell’onore comune a tutti gli uomini perbene. Per lui esisteva solo la legge dei pirati. E il loro Codice.
- Il capitano ti aspetta nella sua cabina. Gran consiglio in vista - spiegò Gabriel, serio.
- Uhm - meditò Killian grattandosi la corta barba scura. - Facciamo che delego a te il compito di cercare il mio cannocchiale. Non mi deludere, Gabriel.
Quest’ultimo cercò invano di replicare, ma l’altro non gli diede il tempo di aprire bocca perché se n’era già andato, dirigendosi in fretta al castello di prora e alla cabina di Barbanera.
Il capitano aveva senz’altro indetto un consiglio con i suoi primi ufficiali per discutere dell’incontro con Sao Feng o, per meglio dire, con i suoi rappresentanti. Anche questa volta, il pirata dell’Estremo Oriente non si era presentato personalmente a Città dei Corsari, terreno neutrale di incontro tra ciurme e flotte nemiche. Era da anni che non faceva vedere il suo sporco muso nelle Terre Occidentali, in effetti. Killian pensò che, forse, era stato meglio così. Barbanera non sarebbe riuscito a mantenere tanto a lungo il controllo, di fronte al suo più acerrimo nemico.
Jeremy stava in piedi di fronte alla porta della cabina del capitano, la mano sull’elsa della spada. Killian si chiese perché Barbanera avesse messo una guardia lì fuori. Non si fidava del suo stesso equipaggio, forse?
- Jeremy - salutò Killian.
- Signore - scattò sull’attenti l’altro, drizzando la schiena e assumendo un cipiglio serio.
- Sono atteso dal capitano - continuò Killian. - E non chiamarmi “signore”, non sono tuo padre, quante volte te lo devo ripetere?
- Ancora parecchie, temo.
Jeremy era giovane, ma era diverso dagli altri suoi coetanei. Era serio e solenne in tutte le sue manifestazioni di subordinazione nei confronti del capitano o di un alto ufficiale come Killian.
La cabina era immersa nei fumi dei forti sigari importati - o per meglio dire rubati - dall’Isola delle Pietre Verdi, una delle tre Isole dell’Estate, note ai più come Arcipelago delle Tre Sorelle. Edward Teach sedeva su un’alta poltrona foderata di velluto bordeaux al capo di un lungo tavolo di mogano e fumava in silenzio, mentre Gordon, un uomo anziano sulla cinquantina, stava illustrandogli su una mappa alcuni particolari della conformazione fisica della Baia dei Granchi. Intorno al tavolo, altri uomini e membri dell’equipaggio vicini al Capitano sedevano silenziosi, chi in pose scomposte, chi intento a mangiucchiare e spiluccare dell’uva, chi ancora parecchio distratto e per nulla predisposto all’ascolto.
Barbanera, capelli scuri e barba - ovviamente nera - incolti e tempestati di perline ricordo dei paesi e dei mari visitati, si voltò verso Killian, non appena questi fece il suo ingresso nella cabina. Non aveva intenzione di farsi notare da subito, ma l’uomo sembrava captare la sua presenza anche da lontano. Forse si trattava di strascichi dello stesso magnetismo che aveva collegato Teach a suo padre, fino alla fine.
- Killian! - esclamò Barbanera con la sua alta voce tonante, interrompendo il monologo di Gordon, che si rabbuiò, irritato. - Vieni avanti, ragazzo mio! Siedi qui accanto a me. Tu - aggiunse rivolto a Johnatan, uno dei membri più anziani e influenti del Consiglio, seduto alla sua destra - alzati e lascia il tuo posto a Killian. Forza!
Il suo fu quasi un latrato e Johnatan si alzò in fretta e furia, catapultandosi a sedere poco distante. Killian fece qualche passo avanti, andandosi poi ad accomodare accanto al Capitano.
- Dov’eri finito, aye? - sussurrò Teach mentre Gordon riprendeva la sua litania da dove era stato interrotto.
- Stavo cercando… una cosa - rispose Killian, preferendo tacere la scomparsa del cannocchiale.
- Be’, ora che sei qui, direi che possiamo porre fine a questa lagna da signorine e cominciare con i discorsi veri - abbaiò ancora sottovoce, facendogli l’occhiolino.
Si alzò in piedi e Gordon si zittì all’improvviso, spaventato.
- Grazie mille, Gordon, direi che per oggi basta così. Siediti pure - abbaiò.
L’uomo raccolse le sue mappe e si andò a sedere in un angolino lontano, buio e discreto.
- Ora che Killian è dei nostri, possiamo affrontare la vera questione di questa riunione - cominciò Teach. - Cioè, l’assenza di Sao Feng. Che novità, vero?
- Io non ne sono rimasto stupito, Capitano - intervenne Johnatan. - È da anni che non si fa vedere, d’altronde.
- Qui si parla del dominio del Golfo dei Sospiri e di Città del Gabbiano, questioni di primaria importanza sul fronte occidentale, Sao Feng si sarebbe dovuto presentare, su questo siamo tutti d’accordo - intervenne Killian.
Barbanera annuì, meditabondo. - Sta’ di fatto che non è venuto e spero che Davy Jones se lo prenda, quel maiale con gli occhi a mandorla!
- Aye! - abbaiarono tutti i presenti.
Killian non si unì ai cori esagitati degli ufficiali. Non era bene invocare quel demone alla leggera e si stupì dell’imprudenza del Capitano, proprio lui che credeva alle Antiche Storie.
- Ha mandato un nuovo delegato, però - aggiunse un certo John Smith, un avventuriero proveniente dall’estremo nord delle Terre Occidentali, quasi al confine con le Terre dell’Inverno Perenne. Si era imbarcato sulla Jolly Roger mentre questa faceva una delle sue abituali tappe sull’isola di Tortuga. Si diceva fosse il figlio illegittimo di un qualche re, o un contrabbandiere avido e senza scrupoli, o semplicemente un povero in canna partito dal Nord per fare fortuna. Killian ci parlava spesso, ma nemmeno lui conosceva la sua vera storia.
- Una donna, puah! - borbottò il vecchio Gordon dal suo angolo, sputando per terra.
- Non una donna… sua figlia - lo corresse Smith, solenne.
Gordon imprecò ancora sottovoce, ma non aggiunse altro.
- Non se la cava niente male, la ragazza - disse Killian. - È senz’altro da tenere d’occhio.
- Secondo me è tale e quale al padre - esclamò Barbanera. - Tanto fumo e niente arrosto, aye!
Tutti risero, e qualcuno aggiunse, per altro con poco gusto: - Sì, quella ne fa di fumo, secondo me!
Doppie risate da parte di tutti. Solo Killian non ci trovava nulla di divertente, così come John Smith, che gli rivolse un’occhiata esplicita dall’altra parte del tavolo. Solo un’altra persona presente non si unì come loro alla cagnara di risate e schiamazzi da locanda. Se ne stava seduto nella semioscurità della cabina fumosa, la schiena ritta, le gambe incrociate e la spada posata di piatto sopra di esse. Aveva il volto in ombra, ma Killian avrebbe potuto indovinarne l’esatta espressione: fastidio, irritazione, indifferenza.
- Qui c’è qualcuno che forse la conosce meglio di chiunque altro, vero Li-Shang? - domandò Johnatan.
Killian continuò ad osservare la figura silenziosa, che dopo qualche istante uscì dall’ombra e si sporse in avanti, studiando con attenzione tutti i presenti. Abbassò lo sguardo, meditando, e poi lo rivolse a Killian.
- La conoscevo - rispose finalmente, con voce bassa e limpida. I suoi occhi - due pozze scure e senza fondo - avevano un taglio asiatico e i capelli neri erano tagliati corti. Portava ancora la mezza cappa di pelle marrone che usava di solito in battaglia e un paio di pantaloni di cotone color canapa. - La conoscevo, un tempo. Ora non più.
- Ma saprai dirci qualcosa di lei, almeno - esclamò ancora Johnatan, al quale non era mai piaciuta la presenza di Shang a bordo.
Il Capitano ascoltava in silenzio, masticando il suo ennesimo sigaro.
Shang puntò i suoi magnetici occhi scuri sul vecchio pirata. - Ha la guerra nel sangue, come tutti i suoi antenati. È molto abile a maneggiare qualsiasi tipo di arma ed è coraggiosa e intrepida. Non ha paura di niente. Nemmeno degli Spiriti. È tutto ciò che so.
Shang tornò nell’ombra, silenzioso come un gatto. Killian gli rivolse un’ultima occhiata e poi si rivolse a Barbanera.
- Capitano - cominciò, e Teach si voltò per ascoltarlo - il punto è: a Sao Feng serve una dimostrazione forte e impellente del nostro potere. Del tuo potere. Devi dimostrargli di non avere paura delle sue minacce. Devi dimostrargli di avere ancora il controllo dello Stretto dei Sussurri e del Mare di Giada. Devi dimostrargli che la guerra non è ancora finita.
Edward Teach osservò Killian con attenzione, buttando fuori una vaporosa nube di fumo puzzolente. Poi, dopo aver scorso per bene la sala e tutti i presenti, tornò a guardarlo.
- Ben detto, ragazzo mio! - esclamò assestandogli una poderosa pacca sulla spalla, che Killian sopportò con orgoglio. - Sei proprio il figlio di tuo padre - aggiunse solo per lui.
- Amici… - continuò rivolgendosi ai presenti. - Fratelli… Pirati… - e tutti ghignarono. - Siamo pronti per dimostrare a quel porcospino il nostro valore. Puntiamo la prora verso nord. Tra qualche giorno, all’alba, attaccheremo Port Royal. E che Calipso ci accompagni!
 
 


 NOTE 
 
  • La citazione iniziale arriva direttamente da quel capolavoro che è “Di Qua Dal Paradiso”, del mio adorato Francis Scott Fitzgerald. [pagina 271]
  • Alana, Attina, Arista, Acquata: quattro delle sei sorelle di Ariel. Mancano all’appello Andrina e Adella. Ho fatto riferimento alla versione Disney, che prevede sei sorelle, mentre l’originale versione fiabesca di Andersen soltanto cinque.
  • Cuore dell’Oceano è un tributo a quel grandioso – e tristissimo – film che è “Titanic”.
  • Gli asterischi in corrispondenza di alcuni dialoghi fanno riferimento alle esatte parole pronunciate da Re Tritone e Ariel nel cartone Disney, che io ho semplicemente riportato qui.
  • William Jones: non so quale sia l’originale ed effettivo nome del padre di Killian/Capitan Uncino. Non so nemmeno se sia mai stato detto. Quindi ecco qui, un piccolo tributo a William “Will” Turner de “I Pirati dei Caraibi” e anche al nome fittizio utilizzato da Killian nella mia long CaptainSwan “Haunted”, AU ambientata a New York.
  • Calipso: a questo link (http://it.wikipedia.org/wiki/Calipso) troverete tutte le informazioni su di lei. Altro piccolo riferimento a “I Pirati dei Caraibi”.
  • Il Codice si riferisce sempre al film “I Pirati dei Caraibi”. Viene citato nel primo film. Ho fatto ricerche ma non ho trovato reali riferimenti ad un ipotetico Codice, ma solo ad alcune regole in vigore sui vascelli pirata.
  • Stretto dei Sussurri, Baia del Morso, Baia dei Granchi, Città del Gabbiano, Arcipelago delle Tre Sorelle: da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
  • Isola delle Pietre Verdi: reinterpretazione de “Il Castello delle Pietre Verdi”, da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
  • Golfo dei Sospiri: reinterpretazione de “Il Mare dei Sospiri”, da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
  • John Smith: sì, avete capito bene, è proprio quel John Smith.
  • Port Royal: sempre da “I Pirati dei Caraibi”.
 
NB per questioni di praticità, i nomi di luoghi già citati in queste note non saranno ulteriormente citati nelle note ai successivi capitoli.
 
 
Eccomi qui finalmente con il primo capitolo di questa long. Vi ho fatto attendere, lo so, ma ormai sapete che i miei tempi sono lunghi. Spero che l’attesa sia valsa a qualcosa e spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ebbene, conosciamo un po’ meglio la nostra ARIEL, che è una vera ribelle, che ne dite? Il suo paragrafo si conclude con un colpo di scena: l’incontro con il demone acquatico Davy Jones. Che cosa avrà in serbo per la nostra eroina? Non avete che da attendere il prossimo capitolo. In ogni caso, vi tranquillizzo sulla sua incolumità.
Secondo paragrafo, l’entrata in scena del nostro pirata preferito, ossia KILLIAN JONES. Come avrete senz’altro capito, le vicende sono antecedenti a Milah, alla perdita della mano e all’incontro con Tremotino, quindi ritroverete un Killian leggermente diverso, ma sempre irriverente e ironico, anche se forse non si è ancora capito molto di lui, che rimarrà sempre piuttosto misterioso, proprio come piace a me.
Infine, vi lascio con qualcosa sul quale riflettere, anche se penso che ci siate arrivate. Cioè, la figlia di Sao Feng. Chi sarà? È facile, so che lo sapete u.u A proposito, che ne pensate di Li Shang?

Un grazie sempre a tutti coloro che hanno letto/recensito/seguito questa mia nuova avventura, vi adoro <3
Un grazie particolare a chi mi supporta/sopporta quotidianamente su FB :3
Qui trovate il link al mio gruppo, se vi va di sapere qualcosa in più sui prestavolto e leggere spoiler e aggiornamenti: 
https://www.facebook.com/groups/159506810913907/
 
Piccolo angolo dei consigli. Vi propongo altre due long sulla coppia Ariel/Hook, se vi va di approfondire il pairing.
"The Little Mermaid" di lilyhachi: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1734703&i=1
"The Pirate And The Mermaid" di Pikky: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1871790&i=1
 
 
Vi lascio. Ci leggiamo presto.
 
Vostra, Marti
 
 
 

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Capitolo 3
*** II. When The Darkness Comes ***


A Drop In The Ocean
Capitolo Due

~  When The Darkness Comes ~ 
 
 
 

“And no man is an island, oh this I know
But you can’t see, oh?
Maybe you were the ocean, when I was just a stone.”
 
 
 
 
 
§ Atlantica, Mare di Giada
 
 
- Non sarai… - cominciò lei, deglutendo a fatica. La voce le morì in gola.
- Sono conosciuto con molti nomi, sirena.
- Davy Jones - sussurrò Ariel prima che l’oscurità la inghiottisse.
 
 
Era tutto nero, dietro i suoi occhi. Non c’erano luci, nemmeno quella della luna che, pallida, era solita filtrare attraverso le placide acque del Mare di Giada durante l’alta marea. Non c’erano luci, soltanto oscurità.
Il nero minacciava di inghiottirla, fagocitarla, scuoterla, per poi sputarla fuori, scaraventata in un limbo di caos e dolore. Faceva male. Premeva contro il petto, le stringeva la coda e gli occhi le bruciavano. Sentiva le lacrime scorrerle lungo le guance.
Si sentiva perduta.
All’improvviso, l’oscurità sparì, veloce come era apparsa, e con lei il dolore. Intorno ad Ariel, la spiaggia. Poteva vedere il mare di fronte a lei, calmo e profumato, le onde che, leggere, andavano a infrangersi sulla riva. Il sole era caldo e le accarezzava la pelle. Ariel chiuse gli occhi, inspirando a fondo. Poteva sentirla, la vita che scorreva in lei, quella ninfa e quella luce che la invadevano.
Poteva camminare. Si rese conto di poter muovere le gambe. La coda era magicamente sparita e al suo posto erano apparse due belle gambe, pallide e longilinee. Ariel le osservò per un momento, l’acqua che andava a bagnarle i piedi. Mosse le dita e mai azione le venne così facile. Era quasi come nuotare. Fece un passo, e poi un altro, e un altro ancora. Sentiva la sabbia sotto la pelle, umida ma piacevole. Era tutto diverso, per gli esseri umani. In quel momento se ne rese conto. In quel momento, si sentiva davvero parte di qualcosa, come se le sue gambe fossero le radici, ben piantate nella terra, ancorate al mondo. A quel nuovo mondo.
Si mise a correre, l’aria profumata di salsedine che l’accarezzava, il vento tra i capelli, la libertà nel cuore. Corse e corse, fino a quando poté vedere il bianco castello di Port Royal pigramente abbarbicato sulla Rocca. Le cime delle sue due torri splendevano al sole. Più sotto, il piccolo centro arrancava frenetico e ad Ariel parve quasi di sentire le voci e i rumori di tutte quelle persone lontane. Lontane ma improvvisamente vicine. Nulla era più irraggiungibile, per lei. Sarebbe potuta andare a Port Royal e in decine di altri posti diversi. Davanti a lei, un infinito mare di possibilità.
- Ariel, mia adorata!
Una voce alle sue spalle. Si voltò. Un bellissimo ragazzo la guardava, gli occhi splendenti e accesi, le braccia aperte tese verso di lei. Un sorriso mozzafiato gli increspava il bel volto. Era tutto così perfetto… Sembrava quasi che stesse aspettando il suo arrivo. Forse da sempre.
Fece un passo avanti, ma il sole si oscurò tutto a un tratto, intorno a lei calò il gelo e il bel principe che l’aveva accolta sparì.
Non riusciva a muoversi, era di nuovo sirena. Era di nuovo nell’oceano.
Ariel si guardò intorno, spaventata. Il mare era come sempre scuro e silenzioso. Il sogno era svanito. Abbassò lo sguardo sulla sua coda, sconsolata.
- Posso darti tutto ciò che vuoi, principessa del mare.
Di nuovo quella voce. Ariel alzò lo sguardo di scatto, guardandosi intorno, vigile.
- Che cosa vuoi da me? - si ritrovò a chiedere.
- Che cosa voglio da te? - ripeté la voce. Rise, di una risata fredda e glaciale come la morte.
- Piuttosto, la domanda giusta sarebbe… che cosa vuoi tu, Ariel.
La sirena incassò le spalle, abbassò di nuovo lo sguardo sulla sua coda, desiderando ardentemente di vederla sparire. Non sarebbe accaduto. Era impossibile. Solo la magia avrebbe potuto donarle quello che voleva, ma le era stato insegnato di starci lontano, il più a lungo possibile.
- Puoi averlo, principessa. Puoi avere questo e tanto altro ancora. Lo hai visto. Nel sogno. Tutto quello che vuoi è ad un passo da te. Devi solo chiedere…
Devi solo chiedere.
In fondo, non avrebbe fatto male a nessuno. Suo padre non avrebbe sentito la sua mancanza. Non faceva che rimproverarla tutti i giorni, da che era nata. Non c’era nulla, nella vita di Ariel, che lui avesse mai approvato. E aveva minacciato di distruggere i suoi sogni. No, non le sarebbe di certo mancato, non con la sua nuova vita davanti. Le sarebbe spiaciuto solo per Alana, la sua dolce sorella Alana. Le sarebbe mancata, ma era un prezzo sufficiente da pagare per essere finalmente felice.
Devi solo chiedere.
Ariel alzò lo sguardo, risoluta.
- Lo voglio. Hai capito? Qualsiasi cosa tu sia e in qualunque luogo tu ti nasconda, esci fuori e dammi ciò che voglio - gridò.
- Quanta fretta, bambina - rise malignamente la voce del demonio del mare. - Non vuoi nemmeno sapere quale sarà il prezzo da pagare? Perché sai che c’è sempre un prezzo, vero?
Ariel deglutì. Un prezzo. Cosa le avrebbe chiesto Davy Jones?
Di qualsiasi cosa si sarebbe trattato, lei l’avrebbe pagata. Sì, sarebbe riuscita a saldare il suo debito, se questo voleva dire una vita da umana. E la sua libertà.
- Non mi interessa - rispose, risoluta, scuotendo la testa. - Voglio una vita da umana, Davy Jones. E la voglio ora.
Silenzio.
Solo silenzio.
Ariel si chiese se non fosse stato tutto frutto della sua fervida immaginazione. Si chiese se non si fosse sognata tutto.
E poi, potente come un rombo di tuono, arrivò. La magia. Rischiarò il mare e fece tremare il fondale, fino a scuotere la viscere della terra. Un lampo e un rumore assordante, come di mille cannoni che sparano insieme. E infine, una figura lontana. Una figura avvolta nella bruma e nell’oscurità dell’oceano più profondo. Una figura inconsistente come spuma e buia come la morte.
- E sia.
Una voce, che conteneva il ringhio infernale di animali feroci e grida inumane di anime dannate. Due occhi, rossi come il sangue e malvagi, impregnati dal male. Un teschio, bianco come il latte e aperto in un ghigno remoto e sepolcrale. La morte, che avvolgeva Davy Jones come una coperta, con il suo lezzo di cancrena e sofferenza.
E poi, soltanto luce.
 
 
* * *
 
 

§ Port Royal, Terre della Lunga Estate - diciotto anni prima
 

- Chi è là?
- William Jones, dell’equipaggio di Barbanera. Mi faccia entrare.
- Cosa vuole, Jones? Non c’è niente da rubare, qui, ci sono solo dei poveri orfani pieni di pidocchi. Se ne vada.
- Voglio mio figlio. Apra la porta o se ne pentirà.
 
 
L’ingresso era sudicio, il pavimento imbrattato di sporcizia e altro lerciume non meglio identificato. L’aria puzzava di escrementi stagnanti e acqua torbida e urina. Le pareti erano nere come il carbone e i vetri delle finestre oscurati da strati e strati di incuria e lezzo.
William Jones trattenne il fiato. Quel posto - e quell’odore - era cento volte peggio della sua ciurma di pirati dopo mesi passati in mare aperto. Tirò fuori un fazzoletto ricamato e se lo premette sul naso. Vi erano ancora ricamate le sue iniziali: DR.
La vecchia inferma e lurida che gli aveva precipitosamente aperto la porta a seguito delle sue serie minacce gli faceva strada lungo un corridoio malamente illuminato, lungo il quale erano disseminate parecchie porte, tutte chiuse. Ogni tanto si sentiva qualche pianto lontano di bambini sofferenti. Quel posto era un inferno in terra e Jones sarebbe volentieri scappato lontano, via dall’angoscia e da quell’odore di tristezza e malattia e abbandono.
- Manca ancora molto? - chiese, spazientito.
La vecchia megera si girò a guardarlo, la veste grigia che le svolazzava intorno alle caviglie scheletriche. Borbottò qualcosa e tornò a guardare di fronte a sé.
- Grazie per la risposta - aggiunse Jones, ironico.
Poco dopo, si fermarono di fronte ad una delle tante porte in legno, anonime e marce in vari punti. La vecchina aprì e il legno sofferente cigolò piano. All’interno, quattro letti erano disposti agli angoli di una stanzetta. Non c’erano finestre. Jones spostò lo sguardo tutto intorno, soffermandosi sui bambini raggomitolati nei loro lettini dalle lenzuola sudice. Due erano femmine, dai capelli spenti raccolte in due trecce strette. Una dormiva profondamente, l’altra fissava il soffitto, lo sguardo perso. Jones non si soffermò a guardarle, sarebbe stato troppo doloroso da sopportare. Un terzo bimbo, un maschio, dormiva anche lui nel suo letto, il pollice in bocca, alcune lacrime ormai asciutte sulle guance emaciate. Nessuno sarebbe venuto a prenderli per portarli via.
Infine, un quarto bambino, che indossava quello che sembrava un pezzo di lenzuolo malamente tagliato, sporco e incrostato, sedeva ai piedi del suo letto. Teneva in mano un gessetto bianco e scarabocchiava qualcosa sul duro pavimento in pietra della stanza. Alzò per un momento gli occhi al loro ingresso - due occhi azzurri come il mare, limpidi e belli. Innocenti. Riabbassò lo sguardo, stringendosi le ginocchia con un braccio e continuando a disegnare.
- Ci lasci soli per un momento - intimò Jones alla megera. Questa borbottò nuovamente, ma fece come le era stato detto. Uscì e si richiuse la porta alle spalle.
Jones fece qualche passo in avanti e poi si andò a sedere accanto al ragazzino. Quest’ultimo alzò gli occhi su di lui, lo studiò per un momento, curioso. Aveva uno sguardo acceso e spento allo stesso tempo, come se quel luogo gli avesse risucchiato tutti i ricordi felici. E tutta la speranza.
- Ciao - esordì Jones.
Il ragazzino non rispose. Stava disegnando delle piccole barche, con tanto di vela.
- Che belle barchette - continuò l’altro indicandole. - Ti piacciono le barche?
Il piccolo annuì, in silenzio.
- Sai che io ne comando una? Non la più grande e la più bella della flotta, ma è comunque splendida. Si chiama Vento Nero.
Il bambino abbandonò il gessetto e si girò a guardarlo per bene negli occhi, ora accesi di un nuovo interesse.
- È venuto qui con la sua nave? - gli chiese tirando finalmente fuori la voce. Era bassa e leggermente roca, come se non la usasse da tanto tempo. Da troppo.
William Jones scoppiò a ridere, tenendosi stretta la pancia con le braccia.
- Sei simpatico - rispose. - Comunque no. La Vento Nero è ormeggiata giù al porto. Ti andrebbe di vederla? E magari di salirci?
Gli occhi del ragazzino si illuminarono di gioia e speranza.
- Sì, tantissimo, signore - rispose sorridendo. Aveva un sorriso dolcissimo. - Ho sempre e soltanto visto le navi da lontano, dalle finestre del refettorio. Sarebbe un sogno.
- Allora andiamo - esclamò Jones alzandosi in piedi e tendendogli una mano.
L’altro lo guardò per un momento, confuso. - Vengo con voi, signore? Perché mai?
- Perché sei mio figlio, Killian Jones.
 
 
§
 
 
- Allora, che ne dici?
Killian alzò gli occhi su quell’uomo, William Jones, che era venuto a prenderlo e a portarlo via dall’orfanotrofio, da quel luogo triste e tetro nel quale aveva vissuto durante gli ultimi tre anni.
Ricordava poco e niente della sua vita prima di arrivare là. Ricordava un tenue profumo di gardenia e rosa, un quadro raffigurante un antico veliero e alcuni volti, soprattutto uno, quello di una donna, bellissima, dai lunghi capelli neri e gli occhi azzurri come il mare. Sua madre. A volte, il suo sorriso gli appariva in sogno e immaginava che tornasse a prenderlo e lo riportasse a casa.
Quell’uomo gli aveva detto di essere suo padre. Killian non sapeva se crederci ma, dentro di sé, sperava che fosse davvero così. La direttrice dell’orfanotrofio non aveva protestato alla sua repentina partenza. In fondo, si lamentava sempre di non avere spazio. Killian aveva portato via con sé le poche cose che possedeva, i suoi piccoli tesori: un pupazzo logoro fatto con alcuni stracci e avanzi di lenzuola e coperte, i gessetti bianchi che usava per disegnare e un vecchio e logoro libricino intitolato “L’isola del tesoro”, che gli era stato regalato da un ragazzino più grande che aveva lasciato l’orfanotrofio l’anno precedente. Non aveva altro.
Jones lo aveva accompagnato lungo la strada e giù fino al porto. I velieri che Killian era solito ammirare dalle finestre della mensa erano ancora più grandi, visti da vicino. Le vele, bianche e ampie, ondeggiavano leggere al venticello caldo che spirava da sud e che muoveva anche le grandi foglie di palma lungo la strada che costeggiava il mare. Un penetrante profumo di spezie e salsedine e lontani luoghi esotici permeava l’aria. Killian l’aveva respirato a bocca aperta, socchiudendo gli occhi e immaginando avventure e viaggi e isole misteriose.
La nave di Jones - di suo padre - era grande, profumava di legno e cera, e luccicava dopo la mattutina riassettata. Il nome, “Vento Nero”, era inciso a lettere dorate sullo scafo. A prora c’era una polena di ferro nero raffigurante una fanciulla con un braccio proteso. Aveva la vita sottile, i seni alti e fieri, le gambe lunghe e snelle. Una folta capigliatura di ferro nero mossa dal vento le decorava il capo; gli occhi erano di madreperla, ma il suo viso non aveva la bocca. Era spaventosa e bellissima.
Dopo una veloce occhiata al ponte principale, Killian non sapeva che dire. Era un sogno che si avverava.
- Non lo so… - rispose, continuando a guardarsi intorno. - Qui è tutto così… così reale. Ho sempre soltanto immaginato di salire su una nave come questa. E ora ci sono per davvero!
Jones rise, stringendolo per le spalle. - Sei proprio mio figlio, non c’è che dire! - esclamò. - Io sono cresciuto sulla nave di mio padre. Tuo nonno - aggiunse poi. - Garreth Jones. Un vero lupo di mare, devo ammetterlo. Governava lui la Vento Nero. E l’ha lasciata a me.
- Tu la lascerai a me? - chiese subito Killian, che però si pentì all’istante di aver fatto una domanda tanto impudente.
Jones lo guardò, all’improvviso serio. - Ti faccio vedere una cosa. Vieni.
Killian lo seguì fino alla murata, dalla quale si poteva osservare la nave più grande che avesse mai visto. Se prima aveva considerato enorme la vento Nero, nessuna poteva rivaleggiare con la temuta e famosa Jolly Roger. Era bellissima. Maestosa e spaventosa, galleggiava alla fonda e occupava il posto di tre grandi velieri. Il suo albero maestro si innalzava nel cielo e superava di gran lunga tutti gli altri alberi presenti in porto. La sua cima sembrava perdersi oltre le nuvole, oscurata dal sole. La polena a prora raffigurava una sirena dorata dai lunghi capelli legati dietro la nuca. Sorrideva e teneva stretta tra le mani un’arpa, anch’essa dorata. Quasi alla sommità del possente albero maestro, la coffa ospitava un uomo, che a Killian appariva piccolo da quella distanza. L’uomo era concentrato ad osservare il porto e il mare. A poppa, le finestre in vetro colorato del cassero erano illuminate, nonostante fosse giorno. Killian immaginò il capitano, il ben noto Edward “Barbanera” Teach, riunito lì dentro con i suoi pirati più fedeli, a decidere del prossimo arrembaggio o saccheggio sanguinoso. La parte posteriore del cassero era  decorata con un grande teschio dorato, monito per tutti i nemici. In alto sventolava la Jolly Roger, l’omonima bandiera, un teschio bianco in campo nero: il terrore dei mari.
- La Jolly Roger - sussurrò Killian estasiato, appoggiandosi alla murata e osservando il veliero con attenzione e ammirazione.
- La vedi bene, Killian? - cominciò Jones inginocchiandosi accanto a lui. - Osserva bene ogni vela, ogni albero, ogni dettaglio. Ogni cosa. Un giorno quella nave sarà tua, figlio mio. Sarà tua, te lo prometto.
 
 
* * *
 
 
§ Empress, Mare dei Vapori
 

“Un giorno questa nave sarà tua, Mulan. Mi hai capito? Rendimi fiero di te”.
 
Mulan non avrebbe mai dimenticato le parole di suo padre, Sao Feng, capitano della Empress e della Flotta Orientale. Le ricordava ogni volta che si sentiva vacillare; ogni volta che gli antichi ricordi riaffioravano, portando con sé la tristezza; ogni volta che si guardava allo specchio e non riconosceva più se stessa in quel riflesso.
Mulan, figlia di Sao Feng, nata per combattere, usare la spada, vivere su una nave. Nata per vincere. Sua madre non avrebbe voluto niente di tutto ciò per la sua unica figlia femmina, ma era morta troppo presto per poter anche solo esprimere il suo dissenso. Mulan la ricordava a stento. L’unico suo ricordo era un quadro, appeso nella sua piccola cabina, e un antico portagioie contenente dei gioielli e un piccolo fermacapelli in avorio. Ogni tanto Mulan tirava fuori quegli oggetti preziosi e li rimirava, cercando di rammentare il viso di sua madre, inutilmente. Allora li metteva via e saliva sul ponte ad allenarsi con la spada, i lunghi capelli scuri e lisci raccolti sulla nuca. Era stata cresciuta sulla Empress dalla ciurma di suo padre, non conosceva paura e non temeva pericoli. Il mare era la sua casa.
Un leggero ticchettio contro il vetro della finestra la ridestò da suoi pensieri. Si voltò e notò un piccione, bianco come la neve, appollaiato all’esterno. Si alzò dal letto e aprì la finestra. Il piccione le porse la zampetta, alla quale era legato un foglietto. Dopo averlo recuperato, l’animale volò via, perdendosi nell’orizzonte aranciato del tramonto. Mulan richiuse la finestra e tornò al suo letto, cominciando ad aprire il messaggio.
 
 
Riunione degli alti ufficiali.
Delibera: attacco immediato a Port Royal.
Iniziata rotta di avvicinamento.
Partenza: Mare di Giada.
 
A.
 
 
 
“A” come anonimo.
Mulan aveva atteso quel biglietto, trepidante, per tutta la giornata, durante la quale suo padre aveva riunito il Concilio dei Cinque, formato dai suoi cinque più fedeli consiglieri. Mulan non ne faceva parte, ma non le serviva essere membro di uno stupido Concilio per essere tenuta a parte dei segreti e delle decisioni di suo padre.
Il suo informatore segreto parlava chiaro. La flotta di Barbanera avrebbe attaccato Port Royal. Senza attendere oltre. Mulan ignorava lo scopo preciso di tale decisione, ma intuì che il vecchio Teach volesse mandare un messaggio a Sao Feng: “stai attento, non sono ancora morto”. Be’, nemmeno Sao Feng lo era.
Mulan indossò la casacca di lino beige e rossa, si legò i capelli in una treccia e bruciò il foglietto sulla fiamma tremolante di una candela. Dopo di che, uscì dalla sua cabina, diretta in quella del capitano. La guerra era iniziata.
 
 
 

 NOTE
 
·         Il titolo è tratto dall’omonima canzone di Colbie Caillat, “When The Darkness Comes”; la citazione arriva dalla bellissima “Black Flies” di Ben Howard.
·         “Perché sai che c’è sempre un prezzo, vero?”: riferimento alla frase preferita di Rumpel/Gold, “magic always comes with a price”.
·         “Vento Nero”, come la nave di Asha Greyjoy [ <3 <3 <3 ] ne “Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
·         “L’isola del tesoro”, il capolavoro di Robert Louis Stevenson. Ho immaginato che sarebbe stato un libro perfetto nelle mani del nostro Killian.
·         La descrizione della polena a prora della Vento Nero arriva direttamente da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di Martin: si tratta della Silenzio di Euron Greyjoy.
·         Garreth Jones, altro nome di fantasia.
·         Coffa: piattaforma semicircolare quasi sulla sommità di ogni albero dei velieri, con la parte rotonda rivolta a prua. Usata dai marinai che lavorano alle vele. Punto di osservazione per le vedette. [Wikipedia.it]
·         Cassero: sovrastruttura sopraelevata rispetto al ponte di coperta che si estende parzialmente per la lunghezza della nave, ma totalmente per la larghezza. I limiti trasversali sono costituiti dal prolungamento delle murate. [Wikipedia.it]
·         Empress: la nave di Sao Feng in “I pirati dei Caraibi”.
 
 
 
 
Buongiorno a tutte e buon OUAT day! Scusate, sono ancora in fibrillazione/iperventilazione per lo spoiler uscito l’altro giorno, precisamente una foto spoiler. Non dico niente, ancora qualcuno non voglia notizie indesiderate…
Detto ciò, ecco qui il capitolo due della mia CaptainMermaid, finalmente. Che ne dite? Scopriamo qualcosa in più sul passato del nostro Killian, in attesa della puntata 3x05, nella quale forse sapremo tutto. O quasi tutto. Come vi è sembrato il piccolo Killian? Non era dolcissimo? A proposito, di chi saranno le misteriose iniziali sul fazzoletto di William Jones, il padre di Killian? DR… Lo scopriremo più avanti. Sono cattiva, lo so.
Inoltre, nel finale scopriamo finalmente chi è la famosa figlia di Sao Feng, anche se l’avevate indovinato tutte, lo ammetto. La nostra Mulan! E chi sarà l’informatore segreto che si firma con A? Mistero… :3
 
Non vi resta che continuare a seguire questa storia u.u
 
Ringrazio come sempre chi segue/legge/preferisce/ricorda e soprattutto recensisce, lasciando commenti, pareri e tanto sano fangirling. Grazie <3
 
Vi ricordo l’altra mia long in corso, una New York!AU dedicata al mio OTP, il CaptainSwan.
Ecco il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1964381&i=1
 
Infine, il mio gruppo Facebook, per spoiler, anticipazioni e tanto altro. Il link:

https://www.facebook.com/groups/159506810913907/
 
 
Alla prossima! Marti

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Capitolo 4
*** III. Ocean Wide ***



A Drop In The Ocean

Capitolo Tre

~Ocean Wide~
 
 
If love is an ocean wide
We’ll swim in the tears we cry
They’ll see us through to the other side
We’re gonna make it
When love is a raging sea
You can hold on to me
We’ll find a way tonight
Love is an ocean wide
 
 

*Golfo dei Naufragi, Terre della Lunga Estate

Faceva caldo. Poteva sentire il sole battere sulla sua pelle. Poteva sentirlo scaldarla lentamente, penetrare in profondità, incendiarla.
Faceva freddo. Poteva sentire l’oscurità strisciarle addosso lentamente, penetrare in profondità, corroderle l’anima come un veleno. Come la magia.
Ariel aprì gli occhi. Si alzò a sedere. Mosse le gambe. Le gambe.
Non era un sogno. Non era una visione mistica ispirata da uno spirito. Era realtà.
 
*
 
- Hey!
Ariel si voltò, poggiando i palmi delle mani sulla sabbia morbida della spiaggia. Ne approfittò per guardarsi intorno. Conosceva quel posto: il famigerato Golfo dei Naufragi. Nessun umano a bordo di una nave gli si avvicinava. Nessuna sirena nel profondo del mare nuotava nelle sue vicinanze. Le leggende dicevano che era un luogo maledetto. Maledetto e popolato dalla magia nera.
Una figura correva verso di lei dalla foresta di mangrovie che circondava la spiaggia. Un ragazzo. Alto. Era vestito con degli abiti scuri. L’aveva chiamata.
- Hey – ripeté quando l’ebbe raggiunta. La guardò con occhi sbarrati, sconvolto. Ariel lanciò un’occhiata alle sue nuove gambe, quasi temendo che la coda fosse tornata. Quasi temendo di aver sognato tutto. Di nuovo. No, le gambe erano ancora lì. Erano avvolte in una gonna dello stesso colore della sua vecchia pinna, ma era stracciata e si intravedeva la pelle sottostante. Non aveva un bell’aspetto, dovette riconoscerlo.
- Tutto okay, tesoro?
Arie tornò a guardare il ragazzo, che le si era inginocchiato al fianco e la guardava con attenzione, quasi studiandola. Era molto bello, con i capelli corti e scuri e un velo di barba. Gli occhi erano neri ed espressivi. Spalancati sul mondo. Aveva un qualcosa di tremendamente pericoloso e intrigante, e allo stesso tempo c’era una vena di gentilezza, nei suoi gesti e nelle sue maniere. Nella sua voce calda e rassicurante. Cantilenante.
Ariel annuì, in silenzio. Non sapeva se fidarsi o meno di questo sconosciuto. Era il primo umano che incontrava, il primo con il quale aveva l’opportunità di interagire. All’improvviso temette di non esserne in grado. Temette di non riuscire a vivere sulla Terra, in quel mondo nuovo e sconosciuto che tanto l’aveva attirata, ma che in quel momento le apparve davanti con tutti i suoi pericoli e le sue incognite. Era un sogno che si avverava, sì. Il suo sogno. Niente e nessuno glielo avrebbe rovinato.
Guardò negli occhi il ragazzo e gli sorrise. – Sto bene, grazie di cuore.
Lui annuì, sollevato. – Ti ho vista.
L’aveva vista? Cioè, aveva visto la sua coda tramutarsi in un paio di gambe? Decise di mantenere la calma e comportarsi con disinvoltura.
- Mi hai vista?
- Ti ho vista arrivare sulla spiaggia, sì – rispose lui. – Sei semplicemente scivolata fuori dall’acqua e sei finita sulla sabbia. Sono corso qui da casa.
Indicò una piccola casetta abbarbicata in alto su un’altura poco lontano, che Ariel non aveva ancora notato. Da lì si poteva molto probabilmente osservare per bene il tratto di mare attaccato alla costa e la spiaggia sottostante.
- Mi chiamo Flynn – continuò lui. Le porse una mano e le rivolse un sorriso sghembo.
Lei gli sorrise. Gli strinse la mano. – Ariel.
- Ariel – ripeté lui, riflettendo. – Un nome strano. Strano ma bello – si affrettò ad aggiungere di fronte allo sguardo contrariato di lei. Rise. Aveva una bella risata, alta e tonante. Una di quelle risate vere e sincere, fatte di pancia. Ariel rise con lui.
- Ti aiuto ad alzarti, dai – la tirò in piedi facilmente, visto che ancora la teneva per mano. Ariel barcollò leggermente, appoggiandosi al suo braccio.
- Tutto okay? Immagino che tu sia ancora parecchio scombussolata.
- Un pochino – ammise lei.
- Mi dovrai raccontare come sei finita su questa maledetta spiaggia, prima o poi – disse Flynn facendole l’occhiolino.
- Flynn! Flynn, sta bene?
Ariel si voltò al suono di un’altra voce. Una donna grassoccia sgambettava verso di loro. Indossava un semplice vestito bianco di cotone e portava i capelli grigi legati in una treccia. Era scalza. Arrivava dalla stessa direzione dalla quale era spuntato Flynn.
- Sì, Penelope – rispose Flynn annuendo, ancora sorreggendo Ariel. – Sta bene. Un po’ intontita, ma bene.
- Non si parla così di una signorina, Flynn Rider! – esclamò la donna guardandolo con disapprovazione.
Flynn scoppiò a ridere. Gli piaceva proprio, allora. Ariel sorrise tra sé e sé. In fondo, le era simpatico.
- Mia cara – cominciò la donna chiamata Penelope. – Vieni, la zuppa è pronta. Mangia un boccone con noi. Ti riprenderai. Vuoi?
- Siete molto gentili, davvero – rispose Ariel. – Accetto volentieri.
Sapeva di non potersi fidare completamente di Flynn e Penelope, ma voleva pensare – e sperare – che i primi esseri umani incontrati fossero buoni e gentili proprio come apparivano.
 
*
 
Penelope e suo marito Ettore avevano trovato Flynn sulla spiaggia, esattamente come Flynn aveva trovato lei. La coppia viveva sulla spiaggia del Golfo dei Naufragi da una vita, ormai. Da quando, usciti per una battuta di pesca, una tempesta improvvisa non li aveva scaraventati proprio lì, su quella rada. E la loro vita era trascorsa tranquilla, in quella piccola casetta abbandonata sull’altura, dalla quale tenevano d’occhio il mare e sulla quale avevano eretto un piccolo faro luminoso, segnale di speranza per tutte le navi e i marinai che si perdevano nelle acque maledette del Mar dei Sargassi. Avevano trovato innumerevoli persone, molte delle quali adagiate senza vita sulla sabbia fine. Avevano visto tante altre vite spirare via, su quella stessa sabbia. Ma alcune invece semplicemente vivevano. Vivevano, ricominciavano e prendevano il loro cammino, per tornare a casa e alle loro famiglie. Per tornare alla realtà. Avevano trovato Flynn circa un mese e mezzo prima. Sembrava quasi morto, boccheggiante e senza fiato. Era ferito, con varie escoriazioni e qualche osso rotto e un brutto bernoccolo. Aveva anche perso del sangue per via di una ferita al fianco. Penelope lo aveva curato con amore, accogliendolo in casa sua, e Flynn si era piano piano ripreso. Nessuno fece parola sulla causa del suo naufragio e Ariel non fece domande indiscrete.
Ettore aveva tutti i capelli bianchi ed era dolce e silenzioso. Era la moglie quella più chiacchierona dei due e correva di qua e di là nella piccola cucina, affaccendata e attiva. Flynn si era praticamente ripreso, era guarito ed era pronto per tornare alla sua vita.
- Anche se Penelope non intende farmi andare via – aggiunse lui ridendo, passandole i piatti sporchi che la donna si apprestava a lavare.
- Non ascoltarlo, Ariel – disse lei. – Dico solo che mi mancherà. Lui più di chiunque altro sia mai stato qui e se ne sia andato prima di lui.
Ariel le sorrise. Penelope le piaceva. Era calorosa, espansiva, pratica e spiccia. Si chiese se avesse mai avuto dei figli suoi. Da come guardava Flynn, l’istinto le diceva di no.
- C’è un tempo per ogni cosa – mormorò lentamente Ettore, pragmatico.
- È ora che io torni alla mia vita – disse Flynn, risoluto. – E che voi torniate alla vostra.
- Mi sembra giusto – convenne Ariel annuendo.
Penelope le aveva prestato un vestito molto semplice, di cotone, azzurro, fresco e profumato di buono. Nessuno le aveva fatto domande su ciò che le era accaduto e che aveva provocato il suo arrivo alla spiaggia. Sembrava quasi una prassi. Forse, semplicemente non importava. Sarebbe stata lei a raccontare tutto, quando fosse stata pronta. Non credeva che avrebbe mai potuto raccontare la sua storia a nessuno. Anche perché nessuno avrebbe capito le sue scelte. E l’avrebbero tutti guardata con occhi diversi. E non voleva.
- Perché non uscite a chiacchierare un po’, voi due? – esclamò Penelope rivolta ad Ariel e Flynn.
Quest’ultimo rivolse ad Ariel un ampio sorriso. – Che ne dici? Ti mostro la Radura Azzurra.
Il nome le ispirava cose meravigliose, così Ariel si alzò e seguì Flynn all’esterno. I sandali che le aveva dato Penelope le sembravano ancora strani, ai piedi. Ogni tanto lanciava loro uno sguardo e muoveva persino le dita, come se dovesse assicurarsi della loro corporeità. Al fianco portava sempre la sua preziosa tracolla, unico ricordo della sua vita da sirena.
La Radura Azzurra doveva il suo nome alla rocce azzurrine che costituivano il fondale del piccolo laghetto, che poi convergeva in un fiumiciattolo, che a sua volta defluiva in mare. L’azzurro delle rocce si rifletteva sulla parete a strapiombo che chiudeva la radura da un lato e perfino le foglie delle mangrovie della foresta circostante sembravano riflettere la luce. Ariel ne rimase incantata. Si sedette in riva al laghetto, giocando con l’acqua fresca e cristallina. Le sembrava strano, toccare l’acqua senza esservi immersa. Senza sentirsi circondata da quell’immensità.
- Allora – cominciò Flynn sedendosile di fronte su un piccolo scoglio. – Ora puoi raccontarmi cosa ti è successo.
Ariel lo guardò, indecisa. No, non avrebbe potuto dirgli la verità.
- Il fatto è che non mi ricordo – rispose, scegliendo la via più semplice e innocua. In fondo, era plausibile che avesse perso momentaneamente la memoria. O almeno, che non avesse più ricordi sull’incidente. Attina aveva spiegato qualcosa, in proposito, a lei e alle sue sorelle, durante una delle sue lezioni. Ariel non ricordava tutto con esattezza, ma su quel particolare era piuttosto sicura di sé. – Ricordo solo che ero in viaggio per Port Royal. Ero con mia sorella. Alana. – Ariel decise di aggiungervi qualche dettaglio, per rendere il tutto credibile. – Poi diventa tutto piuttosto confuso e caotico… - aggrottò le sopracciglia, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa.
- Non preoccuparti – disse Flynn. – È normale non ricordare l’incidente. Nemmeno io ricordo bene cosa è successo. So solo che ero a bordo della Jolly Roger e che-
- Come, scusa? Hai detto Jolly Roger? – esclamò Ariel interrompendolo.
Aveva sentito parlare tantissimo della famosa Jolly Roger, il terrore dei Cinque Mari e regno di Barbanera. Persino le sirene si tenevano alla larga. Ariel l’aveva vista solo una volta, da lontano, ormeggiata a Tortuga, il covo della ciurma di Edward Teach, tutta illuminata a festa, splendente, bellissima e fatale.
- Ho detto Jolly Roger, sì. Sono un pirata, Ariel.
- Un pirata… - ripeté Ariel, quasi assaporando la parola.
- C’è stata una tempesta e temo di essere caduto in mare.
- E i tuoi… ehm… compagni, non sono venuti in tuo soccorso? Non sono venuti a cercarti?
- Chi resta indietro, rimane indietro – rispose lui. – Una delle regole del Codice. Hanno solo rispettato la nostra legge. Li capisco.
Ariel annuì. Non comprendeva appieno il senso delle parole di Flynn: le leggi e le regole le erano sempre state strette.
- Domani parto per Port Royal. Per raggiungere i miei compagni. Spero di trovarli lì. Altrimenti aspetterò il loro arrivo – spiegò Flynn.
- A Port Royal… - rifletté lei. – Vengo con te.
- Vieni con me?
- Vengo con te. Non conosco queste terre, mi perderei. E poi, il viaggio in solitaria sarebbe noioso.
Gli fece l’occhiolino e Flynn le sorrise. – D’accordo, rossa. Verrai con me. Ma cosa devi fare, a Port Royal?
- Port Royal è la capitale delle Terre della Lunga Estate. Se mia sorella è sopravvissuta al naufragio, sicuramente sarà lì. E la troverò.
- Spero che tu possa ritrovarla, Ariel – concluse Flynn, guardandola speranzoso. Era atipico e strano, per essere un pirata. Ariel pensava che fossero tutti cafoni, maleducati e maiali, assassini senza scrupoli e manipolatori. Invece, anche quelle storie erano false. Tutto ciò che le era stato insegnato lo era. Flynn non era affatto così. Un po’ le dispiacque avergli raccontato una bugia anche su Port Royal, ma in fondo, nessuno avrebbe potuto sapere la verità su Davy Jones. Nessuno.
 
 
* * *
 
 
*Porto di Agrabah, Isola delle Sabbie - un anno prima
 
Aladdin correva. Le stradine tortuose della Città Bassa si snodavano in vicoli e pertugi stretti e soffocanti e il giovane vi sgusciava attraverso, precipitandosi verso il porto. Sentiva i passi pesanti delle guardie alle sue spalle, le sciabole tintinnati alla cintura, le perle sull’elmo che suonavano al vento. Ogni tanto intravedeva un vago bagliore di azzurro: il mare. La salvezza. Doveva solo arrivare al porto e cercare un riparo, per poi tentare la fortuna su qualche nave mercantile diretta ad est, oppure su un galeone in rotta per lo Stretto dei Sussurri. Una volta lontano da Agrabah, avrebbe cercato di pianificare la sua vendetta. Le crudeli azioni di Jafar non sarebbero rimaste impunite: la conquista della città e dell’Isola, il suo matrimonio forzato con la principessa, l’imprigionamento del sultano. Tutto quanto. Aladdin lo avrebbe sconfitto e ricacciato all’inferno. Non sapeva ancora né come né quando, ma aveva fatto una promessa, una promessa col sangue e con la testimonianza della Luna Gialla alta nel cielo di mezzanotte, riflettente la sua luce sulle cupole del Palazzo Reale. Una promessa che avrebbe mantenuto, anche a costo della vita.
Sbucò finalmente sul grande porto di Agrabah, pullulante marinai, gente affannata e di corsa, mercanti, compratori, schiavisti e trafficanti di relitti e pietre preziose. C’era chi vendeva e chi acquistava, in un caos primigenio di voci e grida e offerte. Un enorme schiavo, impiegato su una grossa baleniera proveniente dalle Lande di Fuoco, all’Estremo Oriente delle Terre Conosciute, stava scaricando alcune mucche bianche, raggruppandole tutte in un grande recinto poco lontano, nel quale si svolgeva il giornaliero mercato del bestiame di Agrabah. Aladdin ne approfittò e si nascose dietro gli animali, sfuggendo così alla vista delle guardie di Jafar. Seguì per un lungo tratto le mucche e lo schiavo, per poi sgattaiolare dietro una grossa cassa poggiata accanto al molo. Affannato dopo la spericolata corsa, riprese fiato e lanciò un’occhiata dietro la sua spalla. Le guardie erano tutte dirette verso la parte opposta del porto, verso il mercato coperto e il Bazar, credendo forse che lui si sarebbe diretto in quella direzione. Bene. Avrebbe recuperato tempo per inventarsi qualcosa. In quel momento, il sole venne oscurato da una delle navi più grandi e più belle che Aladdin avesse mai visto. Le vele erano bianche, ma una vasta bandiera nera era spiegata al vento. Un teschio bianco vi campeggiava sopra. Non aveva mai visto niente di così imponente e splendente in vita sua, e di navi ne aveva viste tante. Era solito sgattaiolare al loro interno per rubacchiare dalle cucine o dalla stiva. Talvolta aveva trovato anche carichi preziosi, e qualche piatto d’oro o bicchiere di vetro smaltato proveniente dai Luoghi Lontani, che lo aveva salvato dalla morte per fame. Ad Agrabah, i commercianti in manufatti antichi e preziosi pagavano bene e Aladdin era in contatto stretto con un paio di loro, risiedenti nel Quartiere degli Ori, meta di uomini di malaffare, malfattori e gente invischiata in traffici illeciti. Agrabah era un covo di perdizione e maledizioni, soprattutto dopo la presa del potere da parte di Jafar. Molti possidenti e uomini di prestigio erano scappati dall’Isola alle prime avvisaglie di colpo di stato e avevano portato con sé le loro ricchezze e, con loro, quello che c’era di buono, onesto e produttivo nella città. Era rimasto tutto il marcio.
Il galeone mollò gli ormeggi e venne stesa la passerella di legno, che terminava proprio ai piedi di Aladdin. Quest’ultimo si limitò ad osservare i pirati - perché pirati erano, lo aveva capito dalla bandiera - affaccendarsi in modo frenetico, riunire il sartiame e gettare l’ancora. Era sempre stato affascinato dalle navi, doveva ammetterlo.
Una figura alta, vestita di scuro, procedette lungo la passerella, mettendo piede per primo sui ciottoli umidi e sporchi del porto di Agrabah. Aladdin lanciò un’altra occhiata dietro di sé. Intravide le guardie che, contrariate e visibilmente irritate, facevano ritorno dal Bazar. Ovviamente a mani vuote, visto che non avevano trovato traccia del loro ladruncolo preferito. E così decise di tentare la sorte. Sperando in una vittoria.
Si alzò e si piazzò di fronte all’uomo che era sceso dal galeone pirata, che si bloccò, stupito, e lo guardò incuriosito, e anche visibilmente infastidito.
- Toglietevi di mezzo - biascicò, serio.
- Mi toglierò di mezzo solo dopo che mi avrete dato un posto sulla vostra nave, capitano - esclamò Aladdin, intraprendente e per nulla spaventato. L’uomo portava una lunga spada alla cintura e non sembrava avere problemi ad usarla.
- La mia nave? Vi sbagliate - replicò l’altro. - E non vi conviene dover incontrare il mio capitano. Quindi ripeto, toglietevi di mezzo.
- Siete pirati - insistette Aladdin, deciso. - Ho visto la bandiera, anche se vi siete affrettati a toglierla appena entrati in porto. Ma io l’ho vista. E le guardie di Jafar saprebbero riconoscere un pirata anche se vestito da sultano. Non vi conviene imbattervi in loro. E, guarda caso, stanno proprio venendo da questa parte…
L’uomo lanciò un’occhiata nella direzione indicatagli da Aladdin e sbarrò gli occhi. Le guardie indicarono la nave e affrettarono il passo, rallentati però dalla folla che popolava il porto. L’uomo tornò a guardare Aladdin, che continuò: - Si da’ il caso che io fugga proprio da loro. Datemi un posto sulla vostra nave, posso svolgere qualsiasi lavoro. E io vi porterò via da Agrabah.
- Portarci via da Agrabah? - ripeté l’altro, ridendo. - Credi che questa nave - e indicò alle sue spalle - non sappia uscire da un semplice porto?
- Il porto di Agrabah non è un semplice porto. Non avete mai sentito parlare del Deserto Settentrionale? Si estende nella zona nord dell’Isola e arriva fino al mare. Fin sotto il mare. Creando un avvallamento noto come Presa Mortale. Sabbie mobili - aggiunse Aladdin in risposta alla faccia stupita dell’altro uomo. - Non c’è scampo, per nessuna nave. Nemmeno per una nave come questa.
L’uomo sembrò rifletterci sopra un attimo, voltandosi verso la sua nave e incontrando poi lo sguardo di un giovane uomo, appoggiato al parapetto. Aveva una barba rada sulle guance e due occhi scuri come la notte.
- Tutto bene, Killian? - gli gridò.
- Sì, Flynn, tranquillo. Avverti il capitano. Ce ne andiamo. E tu - aggiunse rivolgendosi ad Aladdin e abbandonando ogni formalità - non farmi pentire di averti accolto sulla Jolly Roger. Pirata.
Aladdin gli sorrise furbescamente. - Non te ne pentirai. Io sono Aladdin.
I due si strinsero la mano e poi Aladdin seguì l’uomo chiamato Killian a bordo della Jolly Roger. Il ragazzo di prima, Flynn, venne loro incontro, mentre alcuni uomini ritiravano la passerella.
- E lui? - chiese, contrariato. - Barbanera cosa ne penserà?
Aladdin aveva già sentito parlare di Barbanera, ma mai avrebbe pensato di salire sulla sua nave, un giorno. Addirittura come membro dell’equipaggio.
- Al vecchio Teach andrà bene. Abbiamo perso Howard, la scorsa settimana. Due braccia in più ci faranno comodo - replicò Killian. Poi si voltò verso Aladdin. - Benvenuto a bordo. Sono Killian Jones, secondo del capitano e nostromo della Jolly Roger. Lui è Flynn Rider. Risponderai a lui, per adesso. Tutto ciò che ti dirà di fare, tu lo farai. Siamo intesi?
- Intesi - rispose Aladdin pronto. Intanto, la nave aveva cominciato a lasciare il porto di Agrabah. Le guardie avevano finalmente raggiunto il molo, ma era ormai troppo tardi.
Aladdin rivolse uno sguardo a Flynn e poi osservò Killian dirigersi al timone. Lo chiamò.
- Hai detto che saresti riuscito a portarci fuori da Agrabah. Bene. Stiamo aspettando.
Aladdin sospirò. Salutò mentalmente l’Isola e le sue torri splendenti, i deserti e le Valli di Rubino. La cupola più alta del palazzo risplendeva al sole.
Un giorno sarebbe tornato. Lo aveva promesso.
 
 
* * *
 
 
*Golfo dei Sospiri, Mare di Giada
 
- Qualcosa ti preoccupa.
Killian Jones distolse lo sguardo dal mare, placido e tranquillo alla luce dell’alba. Tutti dormivano ancora, sulla Jolly Roger. Aveva mandato a dormire la vedetta, salendo lui stesso sulla coffa. Da lì, gli sembrava quasi di poter volare. Gli sembrava di poter toccare il cielo, pur rimanendo in mare. Si girò e incontrò lo sguardo di Aladdin, in piedi sulla piccola scala alle sue spalle.
- Aladdin - lo salutò, mentre il ragazzo gli si sedeva accanto, scrutando l’oceano.
- Non sei solito alzarti all’alba - continuò il nuovo arrivato. - Cosa è successo?
Killian raccontò all’amico quello che era stato deciso nella cabina di Barbanera. Tutti a bordo erano a conoscenza dell’attacco a Port Royal, ma in pochi conoscevano tutti i dettagli della riunione. Aladdin era uno dei pochi, veri amici di Killian, al quale quest’ultimo aveva sempre confidato tutto e del quale sapeva di potersi fidare. Aveva accolto Aladdin a bordo soltanto l’anno prima, ma gli sembrava di conoscerlo da sempre. Da quando avevano perso Flynn nel Golfo dei Naufragi, più di un mese prima, erano rimasti soltanto loro due. E il ricordo del loro amico era ancora vivo, come se non se ne fosse mai andato.
- Be’, che il vecchio Teach sia un po’ ammattito lo sappiamo tutti - commentò Aladdin al termine del discorso di Killian. - Cosa spera di ottenere, cercando di conquistare Port Royal? Ci abbiamo già provato ed è finita male. Tutti ci hanno provato, negli ultimi secoli. Ed è sempre finita male. È pazzo?
Aladdin non aveva paura di esprimere il suo parere e il suo dissenso, anche se stava ben attento a chi rivolgere i suoi dubbi.
- Non lo so - rispose Killian. - So solo che sarà un’altra missione suicida, come quella alle Scogliere Nere. E abbiamo perso Flynn, per colpa del piano di quel vecchio visionario di Johnatan… Non ho intenzione di perdere altri membri dell’equipaggio.
- E cosa hai intenzione di fare? Ammutinarti? Ribellarti? Uccidere Teach e darlo in pasto ai coccodrilli?
Killina si lasciò sfuggire un sorriso. Aladdin sapeva sempre rimetterlo di buonumore.
- Non farò niente, amico - rispose semplicemente. - E spero tanto che la sortita a Port Royal non si trasformi in una carneficina. Il commodoro Norrington rimane pur sempre un osso duro.
James Norrington era a comando della flotta reale ormeggiata a Port Royal. Soltanto sei mesi prima, il Principe era morto, lasciando in mano lo scettro al figlio, Eric. Quest’ultimo aveva confermato Norrington alla guida delle sue navi e non sembrava intenzionato ad abbassare la guardia, meno che meno con la Jolly Roger, antica nemica e minaccia per la sua città. Killian avrebbe tanto voluto affrontarlo, il principe Eric. Avevano più o meno la stessa età e Killian lo ricordava ancora, dai tempi dell’orfanotrofio, quando una volta all’anno venivano portati in piazza alla Festa di Mezza Estate in onore della famiglia reale. Eric se ne stava sempre seduto sul palco d’onore, con la sua famiglia, silenzioso e altezzoso, mentre sulla piazza principale gli Sbandieratori e gli Sputafuoco si esibivano per il diletto dei potenti. Killian aveva sempre odiato quelle feste, mentre durante tutto il resto dell’anno attendeva con ansia quella giornata, durante la quale aveva la possibilità di uscire dall’orfanotrofio e vedere meglio il cielo.
- Anche tu sei un osso duro, Killian Jones - replicò Aladdin, e lui tornò alla realtà. Osservò l’amico.
- Posso dire la stessa cosa di te - gli disse. - Sempre intenzionato a mantenere la promessa?
- Sempre - confermò l’altro, deciso, perdendosi poi ad osservare il mare.
Aladdin gli aveva raccontato della sua leggendaria promessa, la notte prima di scappare da palazzo - e da Agrabah. La promessa fatta ad una principessa lontana, persa nelle sabbie del tempo, prigioniera di un tiranno. Una promessa che lo tormentava giorno e notte, quando Jasmine, figlia del sultano di Agrabah, gli faceva visita in sonno, gli sorrideva e gli carezzava una guancia, per poi scomparire piangendo. Killian rimaneva sempre turbato quando Aladdin gli raccontava quegli incubi. La forza dirompente dell’amore era in grado di trasformare un uomo, cambiandolo e talvolta maledicendolo per sempre. Non era mai stato innamorato, lui. Aveva conosciuto molte donne, e aveva dormito con più della metà di esse, ma mai nessuna gli aveva rubato il cuore. Non fino in fondo.
- E io manterrò la mia - concluse Killian tornando a guardare Aladdin. - Un giorno, la Jolly Roger sarà mia e insieme andremo a sconfiggere Jafar. Fosse l’ultima cosa che faccio.
 
 


 
NOTE
  • Il titolo del capitolo e la citazione arrivano direttamente dalla bellissima “Ocean Wide” dei The Afters.
  • Flynn Rider: sì, è proprio lui, il nostro amato Flynn dal cartone “Rapunzel”.
  • Penelope ed Ettore sono due personaggi di fantasia. Diciamo che mi hanno ispirata i genitori adottivi di Hercules nell’omonimo cartone, Alcmena e Anfitrione. I nomi però arrivano da quel genio antico di Omero.
  • Aladdin: devo davvero specificare? XD
  • Agrabah: la città di Aladdin nel cartone Disney.
  • Luna Gialla: ho pensato che fosse piuttosto evocativa per una promessa.
  • Isola delle Sabbie, Città Bassa, Quartiere degli Ori, Valli di Rubino: tutti nomi inventati da me.
  • Johantan: è uno dei pirati comparsi nel capitolo uno, incontrato durante la riunione nella cabina di Barbanera. Anche in quel frangente non si è rivelato così simpatico.
  • James Norrington: dai “Pirati dei Caraibi”.
  • Eric: non poteva mancare il nostro principe.
  • Mar dei Sargassi: l'espressione Mar dei Sargassi si riferisce alla porzione di Oceano Atlantico compresa fra gli arcipelaghi delle Grandi Antille - a ovest - e le Azzorre - a est (Wikipedia.it).
  • Golfo dei Naufragi, Scogliere Nere: da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
  • Deserto Settentrionale, Luoghi Lontani: da “Il Signore degli Anelli” di JRR Tolkien.
 
 
 
Eccomi qui con il nuovo capitolo, finalmente!
La nostra Ariel ha le gambe, per fortuna. Non è un sogno, questa volta. E incontriamo Flynn Rider. Che ve ne pare? Io lo trovo adorabile. Così come adoro Aladdin. Spero vi sia piaciuto il piccolo flashback su di lui e sul suo primo incontro con Killian. Mi sta venendo voglia di scrivere su Aladdin e Jasmine, adesso XD Infine, Killian sembra intenzionato a conquistare la Jolly Roger, un giorno… ambizioso, il ragazzo u.u Ovviamente, noi sappiamo che ce la farà.
 
Si aprono parecchi interrogativi. Ariel non vuole rivelare a nessuno, meno che meno a Flynn, il suo patto con Davy Jones, ma in cosa consiste questo patto? Cosa dovrà sacrificare la nostra eroina? Flynn riuscirà a tornare a bordo della Jolly Roger? E la conquista di Port Royal? Andrà a buon fine? Ricordate solo il messaggio anonimo inviato a Mulan alla fine dello scorso capitolo… anche Sao Feng sa… temo che per Port Royal si prospetti un bel po’ di movimento… Staremo a vedere.
 
Vi lascio come sempre il link al mio gruppo FB.
Eccolo: 
https://www.facebook.com/groups/159506810913907/
 
Ringrazio come al solito le ragazze che mi seguono, leggono, recensiscono e fangirlano <3
 
Marti
 

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Capitolo 5
*** IV. Two Steps From Hell ***



A Drop In The Ocean

Capitolo quattro
~Two Steps From Hell~
 
 
 
Now the door is open
The world I knew is broken
There’s no return
 
 
 
*Dente di Squalo, Terre della Lunga Estate
 
- Hai mai viaggiato per queste terre?
Ariel alzò la testa e rivolse uno sguardo a Flynn, non sapendo bene cosa rispondere. Doveva fare estrema attenzione a non tradirsi o avrebbe rovinato tutto.
- Veramente no – rispose scrollando le spalle e guardandosi intorno. Alla fine, aveva praticamente detto la verità. – Non eravamo solite fare lunghi spostamenti. Quello verso Port Royal era il nostro primo viaggio. Da sole. Mia sorella e io…
Ariel non riuscì più a continuare, la gola all’improvviso serrata. Flynn la guardò e annuì in silenzio: aveva sicuramente pensato che Ariel fosse turbata dalla dubbiosa sorte alla quale sua sorella era andata incontro dopo la loro separazione. In realtà, ripensò ad Atlantica, a suo padre, alle sue sorelle… Tutto il regno la stava senz’altro cercando, in quel momento.
“Devono essere tutti mortalmente spaventati”, le sussurrò una vocina interiore. “E tu sei scappata via così, incurante di loro. Non ti vergogni?”.
Ariel scosse la testa, decisa ad ignorare quella voce. Niente l’avrebbe distolta dai suoi propositi.
Camminarono per tutto il giorno. Il Dente di Squalo era una regione piuttosto impervia, parecchio rocciosa e con tratti decisamente pericolosi. Più di una volta, Ariel si era aggrappata al braccio di Flynn per evitare di cadere o, peggio, scivolare giù in qualche ripido dirupo per poi sparire in mare. Una volta partiti dal Golfo dei Naufragi e dalla capanna di Penelope ed Ettore, decisero di percorrere la strada costiera, decisamente più sicura dei sentieri interni, perché libera dai ladri e dai briganti che infestavano l’entroterra. Come quel Robin Hood, famoso in tutte le Città Libere e noto imprendibile delinquente. Si diceva arrivasse dalla foresta di Sherwood, nelle lontane Terre Settentrionali. “Rubava ai ricchi per dare ai poveri”, così le aveva raccontato Flynn durante la prima sera passata insieme intorno al loro piccolo falò, la foresta poco lontano e la spiaggia a pochi metri. Con Flynn si sentiva al sicuro.
Quel giorno, si fermarono per pranzo e terminarono le provviste che Penelope aveva messo nelle loro sacche. Aveva anche regalato ad Ariel un mantello da viaggio e un altro abito, semplice come il primo, bianco e profumato di sapone. Li aveva abbracciati entrambi strettamente, e aveva augurato loro buona fortuna. 
- Questa rimarrà sempre anche casa vostra, ricordatevelo – aveva aggiunto alla fine, gli occhi lucidi di pianto. Ettore li aveva salutati con un sorriso, donando ad ognuno di loro un’arma di difesa: ad Ariel un pugnale con l’elsa decorata con motivi floreali e marini, quasi come se l’uomo avesse scorto in lei le profondità dell’oceano.
- Sei arrivata dal mare – le aveva solo detto porgendole l’arma.
- Grazie - aveva sussurrato lei.
A Flynn era stata donata una spada, forte e solida, che lui accettò con premura ed emozione. Aveva perso ogni arma naufragando dalla Jolly Roger.
Al calar del sole, si accamparono accanto ad un piccolo promontorio roccioso poco distante dalla spiaggia. Alta sopra le loro teste, una palma verdissima li proteggeva dagli ultimi raggi di sole al tramonto, che filtravano attraverso le foglie, caldi e rassicuranti. Ariel si lasciò cadere a sedere e stese le gambe intorpidite e affaticate. Non era abituata a camminare, così come non era abituata alle gambe. Trovava tutto così eccitante, e stancante allo stesso tempo. Le venne sonno all'improvviso, soprattutto per via della luce e della solitaria tranquillità del luogo.
- Immagini mai - cominciò Flynn, e Ariel riaprì gli occhi stanchi, guardandolo. Era seduto a gambe incrociate, lo sguardo perso verso il mare. - Immagini mai di lasciar perdere tutto? Di abbandonare questa marcia e semplicemente fermarti? Qui, o in luogo qualsiasi, di fronte all'oceano, e di vivere come fanno Penelope ed Ettore, in tranquillità, senza bisogno di niente e nessuno?
Flynn si girò a guardarla e Ariel prese a disegnare forme indistinte nella sabbia, pensierosa.
- Penso che in fondo non faccia per noi - rispose alla fine. - Cerchiamo entrambi l'avventura, non riusciremmo a privarcene. Non saremmo mai felici, così.
- Forse hai ragione. E pensare che c'è stato un tempo in cui la mia vita era solo questo... poi il mare ha cambiato tutto. Ha cambiato me.
Ariel avrebbe voluto fargli altre mille domande, ma l'improvviso silenzio di Flynn la scoraggiò, lui che non stava zitto mai. Rimasero così, seduti a lungo, mentre il sole calava dietro le onde. Ariel lanciò un'occhiata ai suoi disegni sulla sabbia: una stella marina a sette punte. Il simbolo di Atlantica. Cancellò in tutta fretta il disegno, mentre l'oscurità ammantava il cielo.
 
 
* * *
 
 
*Empress, Mare di Giada
 
Il rollio delle onde era come una ninnananna, per lei. Il rumore del mare la faceva addormentare in pace, un po' come doveva essere la calda sensazione che ti invade lo stomaco quando sai di essere a casa. Mulan non aveva mai vissuto per molto tempo sulla terraferma. Fin da quando era piccola, la Empress era diventata ben presto casa sua. Era protetta e amata da tutto l'equipaggio, anche se ormai era benissimo in grado di cavarsela da sola.
Lasciò la sua cabina e uscì sul ponte. A quell'ora l'equipaggio era ridotto al minimo: erano quasi tutti sottocoperta per il rancio serale. Mulan aveva già cenato nella cabina del capitano, con suo padre. Loro due soli. Una volta erano sempre in tre, prima che lui li tradisse. Prima che li lasciasse per il nemico. Non lo avrebbe perdonato mai, così come non avrebbe mai perdonato se stessa per i suoi pensieri, che ogni tanto si posavano sul passato, indugiando sui ricordi troppo a lungo. Si maledisse, e maledisse Sao Feng per non averlo ucciso quando era il momento, e maledisse Li Shang per averla resa prigioniera dei suoi stessi sentimenti, schiava di qualcosa che esisteva solo nella sua mente e che forse non c'era stato mai. Forse, lui aveva solo finto, limitandosi a recitare una parte, un copione già scritto dal destino. Forse, aveva solo creduto di amarla, solo perché così lei si sarebbe fidata e sarebbe stato tutto più facile.
Il tradimento: nessuno avrebbe mai sospettato del leale e fedele Li Shang, quasi un figlio per Sao Feng, abile combattente e coraggioso pirata. Mulan si era chiesta mille volte quando il suo piano avesse preso piede, se dalla prima volta in cui era salito sulla Empress oppure più avanti nel tempo. Forse dopo il primo scontro di Shang contro la flotta di Barbanera, dopo i primi veri faccia a faccia con Jones o qualsiasi altro membro della ciurma nemica. Mulan non lo sapeva e non aveva nemmeno avuto modo di affrontare Shang, se non per sapere la verità, almeno per metterlo di fronte alla sua codardia e falsità, per insultarlo e accusarlo. Avrebbe sfogato su di lui tutta la sua rabbia, anche se così facendo gli avrebbe solo fatto capire quanto male avesse fatto loro, quanto in profondità li avesse colpiti. Quanto in profondità avesse colpito lei
Il suo sguardo corse automaticamente alla coffa dell'albero maestro, dove lei e Shang erano soliti giocare da bambini, nonostante i rimproveri e le raccomandazioni. Sao Feng rideva del loro coraggio e segretamente era orgoglioso di sua figlia, del suo sprezzo del pericolo, della sua caparbietà e della disinvoltura con la quale si muoveva sulla nave. Glielo aveva confidato molti anni dopo, durante uno dei loro rari discorsi su Li Shang. Nessuno dei due amava tirare fuori quel nome, e tanto meno parlarne.
Una volta cresciuti, lei e Shang avevano continuato a salire sulla coffa, soprattutto quando nessuno li vedeva, e per trovare un po' di pace. Lì, Shang l'aveva baciata per la prima volta, due giorni prima di tradirli.
- Lo so che non dovrei - le aveva detto avvicinandosi alle sue labbra. - E so anche che molto probabilmente tuo padre mi darebbe in pasto al Kraken, se ci scoprisse, ma devo farlo. Devo.
Lei l'aveva guardato, il cuore quasi le esplodeva nel petto, e aveva annuito.
- Lo so - aveva risposto poi. - Lo so che lo farebbe. E so anche che voglio baciarti. Adesso.
Gli si era avvicinata e Shang aveva annullato ogni distanza tra loro, in un bacio che entrambi avevano anelato per tanto tempo e che si erano stufati di aspettare. Solo a posteriori Mulan comprese la muta disperazione che aveva percepito in Shang, nelle sue mani che le avevano accarezzato spasmodiche il viso, nel gemito che era uscito dalla sua gola, nel tremore che lei stessa aveva sentito nel suo animo. Era un bacio d'addio.
Mulan distolse lo sguardo dalla coffa. Non ci era più salita, da quando Shang se n’era andato. Non aveva più baciato nessuno, da allora. Da quel giorno, il suo cuore si era come congelato. Come se, senza di lui, tutto il calore avesse lasciato il suo corpo. Ogni tanto le appariva in sogno, e lei non riusciva a scacciarne il ricordo come faceva da sveglia. Nel sonno, erano ancora insieme, Shang non era mai andato via, non l’aveva mai lasciata. Il risveglio era però sempre troppo freddo e doloroso e Mulan aveva persino paura di andare a dormire, combattuta tra il desiderio e il timore di sognarlo ancora una volta.
Nella sua mente tenace e accecata dal risentimento, un loro incontro si concludeva sempre con lei vittoriosa e uno Shang battuto, che veniva trascinato sulla Empress, processato e ritenuto colpevole di tradimento. Il suo corpo sarebbe finito in mare, in pasto a Davy Jones e agli spiriti degli abissi. Lei avrebbe avuto la sua vendetta, alla fine. Nel suo cuore, tutto mutava, però. Nel suo cuore, non avrebbe saputo resistere all’impeto dei ricordi e dei sentimenti e dello sguardo di lui, dopo tanto tempo. Non sarebbe riuscita a rimanere fredda e razionale come nella sua testa si dipingeva. Il suo cuore alla fine l’avrebbe tradita. A cosa avrebbe dato ascolto? Alla sua mente o al suo cuore?
Si allontanò dal parapetto e ritornò alla sua cabina. Port Royal era ancora lontana. E così Li Shang.
 
 
* * *
 
 
*Al largo di Tortuga, Mar dei Sargassi – 10 anni prima
 
L’odore di bruciato raggiunse le sue narici, acre e portatore di morte. Killian si svegliò bruscamente, quasi cadendo dall’amaca che usava come letto, nel piccolo bugigattolo sottocoperta che divideva con altri membri dell’equipaggio. Annusò l’aria e tossì, il petto scosso dai brividi. Era davvero puzza di bruciato. Non l’aveva sognato. Era tutto vero.
Infilò in fretta e furia gli stivali e si affrettò a lasciare la stanza. Risalì barcollando le scale in legno che portavano sul ponte, aggrappandosi al vecchio corrimano per non cadere: il fumo era arrivato fin lì, limitando la visibilità e rendendo difficile la respirazione. Killian si portò alla bocca la manica della camicia, proprio come suo padre gli aveva insegnato.
Una volta uscito sul ponte, quello che vide era l’anticamera dell’inferno: fumo dappertutto e il fuoco che divampava violento, bruciando rapido tutto ciò che incontrava. Killian si fermò di colpo, come pietrificato. Aveva sentito parecchi racconti su navi e vascelli distrutti dal fuoco, ma vederlo con i propri occhi era un po’ come finire in una di quelle storie spaventose e vivere in prima persona l’incubo. Vedere bruciare smilzi villaggi costieri o insediamenti più consistenti ridotti agli stenti dopo un brutale saccheggio non poteva reggere il confronto con l’incendio di una delle navi più grandi e potenti della flotta occidentale. Casa sua.
Gli uomini di suo padre gridavano per sovrastare il rumore, cercando in tutti i modi di salvare il salvabile. Killian sapeva che era tutto inutile: la Vento Nero era finita. Sarebbe caduta come un mucchietto di cenere, andandosi a inabissare sul fondo del Mar dei Sargassi. Andata. Perduta. Per sempre morta. E nessuno di loro avrebbe potuto salvarla. Non questa volta.
- Killian!
Killian sentì chiamare il suo nome. Suo padre stava cercando di salvare alcune casse, che gli venivano passate dalla stiva e che lui passava a sua volta a qualcun altro. Killian fece un passo avanti, ma l’incendio era davvero troppo potente.
- Killian, va’ via da qui! – gli gridò suo padre, il volto scuro di fumo, la camicia zuppa di sudore e l’espressione stravolta e stanca di chi cerca di combattere l’inevitabile.
- Subito! – aggiunse di fronte ai suoi tentennamenti.
- Io non me ne vado – gridò Killian, testardo. – Non ti lascio!
William Jones abbandonò la sua postazione accanto al timone e lo raggiunse rapido. Lo afferrò per le spalle e lo guardò negli occhi.
- E invece te ne andrai. La Vento Nero è perduta, ormai, ma io devo fare il possibile per sistemare alcune cose. Il fuoco non è ancora arrivato di sotto – disse. – Ci rivedremo a Tortuga, figliolo.
- Lo prometti? – chiese Killian.
William esitò, poi tirò fuori dalla tasca il suo cannocchiale. Lo porse a Killian.
- Lo prometto. Tornerò a riprenderlo – concluse l’uomo. – Tornerò da te. Ti ho fatto un’altra promessa, otto anni fa, ricordi? Intendo mantenerle entrambe.
Killian esitò e i due si scambiarono un rapido abbraccio.
- Ora va’. La scialuppa sta tornando a terra. Sbrigati!
Il ragazzo fece come gli era stato ordinato. Lasciò suo padre e, con il cannocchiale ben stretto tra le mani, salì sulla piccola scialuppa, che rapidamente abbandonò la nave.
La grande esplosione che distrusse definitivamente la Vento Nero arrivò all’improvviso e investì anche la piccola barca a remi che avrebbe condotto Killian sulla terraferma. Il suo mondo si ribaltò, ma non prima di vedere la nave saltare in aria, con il suo contenuto e tutto l’equipaggio rimasto a bordo. Soltanto molti anni dopo, Killian venne a sapere che l’ultimo, disperato tentativo del padre, rimanendo su quell’inferno, era volto a salvare le riserve di polvere da sparo e armi rimaste. Su ordine del capitano della flotta, Edward Teach.
Il mare inghiottì tutti loro e Killian si ritrovò ben presto privo di sensi, perso e vorticante nell’oceano. Non c’era speranza di salvezza, ormai, nemmeno per lui. Sarebbe morto e il suo corpo sarebbe diventato cibo per i pesci. Tutto cambiò quando Killian si ritrovò sulla spiaggia, tossendo acqua e cercando di respirare. Vivo. Tutto intero, a parte qualche taglio e ammaccatura. Era salvo.
Notò soltanto dopo una donna, appoggiata ad uno scoglio, che lo osservava, i capelli rossicci che le incorniciavano il viso, splendenti nella notte, più accesi del fuoco che ancora divampava sull’oceano alle sue spalle. Era uno degli esseri più belli che Killian avesse mai visto. Si sfregò gli occhi e cercò di alzarsi, ma barcollò leggermente, ripiombando a sedere. La donna era sempre lì, su quello scoglio, e lo guardava in silenzio.
- Chi sei? – chiese lui. Sentiva la sua stessa voce impastata e stentorea, come se parlare gli costasse fatica. – Come hai fatto a salvarmi?
Ancora silenzio. Uno scoppio di grida improvviso fece voltare la donna, che sussultò spaventata. Un battito di ciglia ed era fuggita, ma non prima che Killian vedesse una coda azzurra e brillante sparire in mare con un guizzo. Una sirena? Una sirena lo aveva appena salvato da morte certa?
- Killian! – esclamò una voce. Non era quella di suo padre, no. Lui era saltato in aria con la sua nave. Lui era morto. Non avrebbe mai mantenuto le sue promesse. Mai.
- Per tutti gli dèi, è proprio Killian! – esclamò un’altra voce. Molto probabilmente, altri membri dell’equipaggio sopravvissuti. Killian notò il cannocchiale, che fino a poco prima stringeva tra le mani, appoggiato accanto a lui sulla sabbia. Fu l’ultima cosa che vide prima di perdere nuovamente i sensi.
 
 
* * *
 
 
*Stretto dei Sussurri, Mare di Giada
 
- Killian!
Passi affrettati giù per la scala della coffa, lungo il ponte principale. Su per gli scalini, fino al ponte di comando.
- Killian!
Killian Jones si voltò. Aladdin aveva il fiatone, una mano sul petto ansante.
- Aladdin – disse Killian a mo’ di saluto.
- Ci siamo.
I due si guardarono, poi Killian salì gli ultimi scalini, raggiungendo il capitano Teach al timone. Era affiancato da John Smith, Li Shang e il vecchio Gordon.
- Port Royal di fronte a noi, Capitano – annunciò lui.
Barbanera lo guardò, serio. I suoi occhi scuri lampeggiarono, emettendo bagliori rossi.
- Armate i cannoni! – gridò afferrando saldamente il timone. – Jones, sai cosa fare. Prepara la ciurma allo sbarco, sarai tu a guidare l’attacco.
Killian si lasciò sfuggire un sorriso e tornò sul ponte principale.
- Ai vostri posti, cani randagi! – gridò e tutto l’equipaggio si affrettò a tornare ai loro posti. Aladdin invece lo raggiunse e gli si affiancò.
- Ci siamo – disse solo.
- Ci siamo – confermò Killian annuendo.
- Armate i cannoni! – gridò quest’ultimo gridando. – Tenetevi pronti a sparare. Lo sbarco è vicino. Prenderemo Port Royal!
 
 
NOTE
  • La citazione arriva da “When The Darkness Comes”, canzone di Colbie Caillat.
  • Dente di Squalo l’ho inventato io.
  • Robin Hood: come potevo non inserirlo?
  • Terre Settentrionali: le terre oltre il mare, che per me sono le terre dell’Enchanted Forest e i domini di Regina, Snowhite & co.
  • Ho scelto la stella marina a sette punte come possibile simbolo della città sottomarina di Atlantica.
  • Il Kraken, una mostruosa creatura marina. Viene anche citato nella saga Disney de “Pirati dei Caraibi”. Qui trovate tutto: http://it.wikipedia.org/wiki/Kraken
 
 
 
Buongiorno! Be’, direi che da novembre me la sono presa comoda…
Scusate, è che ho millanta long in corso e ogni tanto incappo nella crisi da long e in crisi da mancanza di ispirazione. Questo capitolo è stato piuttosto travagliato, ma solo perché l’ho scritto interamente a mano e ricopiarlo è stata un’impresa. Alla fine però l’ho spuntata io.
Che ne pensate? Ritroviamo Ariel e il nostro Flynn in marcia per Port Royal. I due stanno instaurando una bella amicizia. Mulan ripensa a Shang *sospira* e veniamo a sapere le circostanze della morte di William Jones, il papà di Killian. E facciamo la parziale conoscenza di una certa sirena… che vi dico subito non essere Ariel… chi avrà salvato Killian dalla morte? Infine, lo sbarco a Port Royal della Jolly Roger è ormai prossimo…
Spero che continuiate a seguirmi per sapere come continua la storia… :D
 
Grazie a tutti quelli che hanno pazientato in attesa di un aggiornamento, a chi legge, recensisce e sclera con me, soprattutto sull’Hook/Ariel :3
 
A presto (spero),
Marti
 

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Capitolo 6
*** V. Down By The Water ***



A Drop In The Ocean

Capitolo Cinque
Down By The Water

 
 
If you fall asleep down by the water
Baby, I'll carry you all the way home
 
 
 
*Bacio della sirena, Golfo dei Sospiri
Mulan.
La voce di Sao Feng le risuonava ancora nella testa.
Mulan. Dobbiamo parlare, figlia mia.
 
 
- Due giorni prima, a bordo della Empress -
Il percorso dal ponte di comando alla cabina del capitano non le era mai parso così lungo. E silenzioso. E ostacolato da dubbi.
La porta in legno produsse un rumore insopportabile, richiudendosi. Un rumore di ineluttabilità. Mulan deglutì a fatica, cercando di darsi un contegno serio e solenne per quella che si apprestava ad essere una chiacchierata piuttosto formale. Niente con suo padre era mai leggero. Mulan nemmeno ricordava più l’ultima conversazione padre-figlia avuta con lui. A cuore aperto, proprio come avrebbe dovuto essere.
Sao Feng si accomodò dietro la sua scrivania laccata di rosso e vederlo lì, circondato da tutto ciò che amava – circondato dal suo mondo – lo rendeva quasi normale. Quasi come se non fosse uno dei più potenti pirati e capitani di flotta della storia.
- Siediti – le disse indicando con un cenno della mano una delle due poltrone in pelle verde ormai sdrucita che troneggiavano davanti a lui. Mulan obbedì prontamente, soffermandosi solo per un secondo sul ritratto di sua madre appeso alla parete in legno alla destra di Sao Feng. Era sempre stata bellissima, ma la ragazza preferì non indugiarci oltre. Ricordare He Hua le attanagliava lo stomaco e in quel momento avrebbe preferito essere lucida. Alzò lo sguardo su suo padre e attese.
Finalmente, dopo un lungo silenzio carico di aspettativa e ansia, Sao Feng incontrò gli occhi scuri e accesi della figlia. Incrociò le grosse mani nodose e abbronzate sull’addome ormai prominente e si appoggiò allo schienale della sua alta poltrona.
- Sai quanto io sia fiero di te, Mulan – iniziò.
Mulan si mosse un secondo sulla poltrona, il cuore martellante nel petto. Sao Feng non era solito elogiare il prossimo, men che meno sua figlia. L’aveva sempre cresciuta con il pugno di ferro fermo di chi sa di dover insegnare molto, a lei, che avrebbe avuto tutto ciò che lui già possedeva. Lei che avrebbe ereditato il mondo.
- So anche quanto tu ti sia adoperata per la nostra ultima operazione. Senza di te non avremmo mai trovato il nostro contatto a bordo della Jolly Roger. Senza di te non saremmo nemmeno in marcia per Port Royal, adesso.
“Dove vuole arrivare?”, pensò Mulan. “Mi sta elogiando solo per darmi la mazzata finale, vero?”.
- La mia è stata pura e semplice fortuna, padre. Sono stata aiutata da persone molto più esperte e sagge di me, quindi il merito non è soltanto mio – replicò lei con un sorriso tirato. Nonostante gli elogi, non era tranquilla. Sentiva che c’era sotto dell’altro, in tutto quel bel discorso. Era abituata alle tattiche oratorie del capitano della Flotta Orientale e non era una stupida.
- Nonostante ciò, mi trovo costretto a lasciarti fuori dall’azione diretta, questa volta – concluse lui.
“Eccolo, l’affondo finale. Colpita e…”, Mulan non riuscì a pensare a nient’altro. Si limitò a fissare suo padre – il suo capitano – senza proferire parola. Lui la guardava di rimando, serio.
- Spero capirai perché, figlia mia – riprese.
Mulan scosse la testa, le lacrime che premevano per uscire. No, non capiva. Non capiva perché, nonostante tutti gli sforzi, nonostante tutti i rischi e le paure e i progetti, suo padre si ostinasse a trattarla come una bambina, lasciandola a margine, protetta e al sicuro, mentre tutti gli altri erano al centro dell’azione, rischiando il tutto e per tutto. Si era già trovata coinvolta nelle azioni della flotta, non capiva cosa cambiasse, questa volta.
- Forse sono troppo stupida, ma non lo capisco – replicò a bassa voce, che minacciava di spezzarsi da un momento all’altro.
Sao Feng sospirò. – È troppo pericoloso, Mulan. Sai bene chi potremmo incontrare, scontrandoci con la Jolly Roger. È ancora troppo presto, per te. Non sei pronta. Finiresti per seguire il cuore e compiresti azioni sprovvedute e sconsiderate. Rischieresti la tua vita. E non posso permetterlo.
In quel momento, Mulan capì.
- Non me ne importa niente di Li Shang, padre – replicò, questa volta a voce più alta. Aveva ricacciato indietro le lacrime e il pensiero di Shang l’aveva riscossa. – Lo sai, tutto ciò che voglio è porre fine alla sua vita.
- Ed è per questo che non posso rischiare, Mulan. Lasceresti perdere tutto il resto, solo per avere la tua vendetta. Anche io voglio vederlo morto, io più di chiunque altro, ma non mi lascio accecare dal cuore e dai sentimenti, figlia. Arriverà un giorno in cui Shang pagherà, ma non oggi.
“Lui sa”, pensò Mulan. “Sa che ero innamorata di Shang.”
Eri, Mulan?, le sussurrò una vocina interiore, una vocina che lei avrebbe tanto voluto non dover sentire mai. Eri o sei?
Mulan scosse la testa come per metterla a tacere e tornò a guardare suo padre.
- E cosa dovrei fare, nel mentre? Aspettare tutti voi da qualche parte, cucendo e preparando la zuppa per il ritorno dei vincitori?
- Non essere insolente, adesso – la rimproverò Sao Feng e Mulan si morsicò la lingua. Non avrebbe voluto replicare a suo padre con quel tono, ma aveva un carattere impetuoso e sovente agiva con troppa impulsività. Abbassò lo sguardo, silenziosa.
- Questo non è nemmeno il vero e proprio attacco finale alla Jolly Roger. Il nostro intervento servirà solo come disturbo alla flotta del vecchio Teach durante il loro attacco a Port Royal. Barbanera non conquisterà mai quel porto. E questo lo sai. Inoltre, ho intenzione di promuoverti.
Mulan sollevò di scatto lo sguardo. Una promozione?
- Ti affido il comando della Bacio della sirena, la nave ammiraglia della Empress.
Mulan saltò su dalla poltrona, le mani sulla bocca. Non poteva crederci. Non voleva crederci. Lei, capitano di una nave tutta sua. Aveva dell’incredibile.
- Mi aspetterai, insieme a tutto il tuo equipaggio, al largo dell’Isola delle Pietre Verdi. Definiremo il tutto stasera, durante la riunione con gli altri ufficiali. Ora va’, prenderai possesso della tua nave domattina. Capitano.
 
 
Ti affido il comando della Bacio della sirena, la nave ammiraglia della Empress.
Mulan continuava a sentire la voce di suo padre. Il cuore prese a batterle forte e dovette stringere forte il corrimano in legno sul ponte di comando della Bacio della sirena per riacquistare la calma. La sua nave. Ancora non poteva crederci.
Osservò il profilo delle scogliere dell’Isola delle Pietre Verdi, che si innalzavano dietro le sue spalle, rigogliose e floride di alberi e vegetazione tropicale. Davanti a lei, il mare aperto. Alla sua destra, poteva intravedere le cupole biancheggianti del palazzo reale di Port Royal, là dove si sarebbe consumata la battaglia. Dove si sarebbe scritta la storia.
 
 
*
 
 
*Dente di Squalo, Terre della Lunga Estate
- Le vedi? Le cupole laggiù?
Ariel si alzò in piedi, spolverandosi il vestito e raccogliendo le loro cose. Si erano svegliati presto e avevano fatto colazione, terminando quasi tutte le provviste che Penelope aveva dato loro alla partenza dal Golfo dei Naufragi. La ragazza si avvicinò a Flynn e guardò nella direzione da lui indicategli. Aveva ragione. Il sole faceva risplendere le bianche cupole di un qualche palazzo, un baluginio di luce nel cielo azzurro del mattino.
- Le vedo – replicò lei sorridendo. – Che cos’è?
Sapeva cos’era una cupola. Il palazzo reale di Atlantica ne aveva una di vetro, proprio sopra la sala del trono di suo padre, attraverso la quale filtrava la luce del sole proveniente dalla superficie.
- Quello è il palazzo reale di Port Royal. Lì vive il principe Eric con la sua corte.
Il principe Eric… Il cuore di Ariel sobbalzò e perse un battito. Flynn si girò ad osservarla in viso. Ariel incrociò il suo sguardo preoccupato e distolse in fretta il suo. Flynn era fin troppo sveglio, non voleva che le leggesse in faccia la verità.
- Tutto bene, Ariel? – le chiese mentre lei tornava al loro piccolo accampamento per ritirare le ultime cose.
Lei annuì. –Certo. Sono solo emozionata all’idea di poter ritrovare mia sorella, tutto qui.
- Starà bene, Ariel – disse lui accostandosile e passandole una mano sulla spalla nuda. Le sorrise e Ariel replicò, affettuosa.
- Grazie, Flynn.
- Ora sarà meglio metterci in marcia se vogliamo arrivare a Port Royal per stasera.
- Stasera? – esclamò Ariel, stupita.
- Ci manca poco, ormai. Ci siamo quasi.
Flynn le sorrise nuovamente, ma questa volta Ariel replicò con un sorriso tirato che non le arrivò agli occhi. Flynn non sembrò farci caso, molto probabilmente perché troppo perso anche lui nei suoi pensieri. Avrebbe sicuramente ritrovato la sua nave, la sua ciurma, tutti i suoi amici di sempre. Avrebbe ritrovato casa sua.
Ariel lo seguì lungo la strada, il cuore che batteva all’impazzata. Tutto ciò che attendeva lei invece era il profondo ignoto, una missione pericolosa e rischiosa, una missione nella quale avrebbe potuto perdere tutto. La sua famiglia, la sua libertà, il suo cuore. La sua stessa vita.
 
 
*
 
 
*Port Royal, Terre della Lunga Estate
- Cannoni, in posizione! Pronti a fare fuoco.
Le urla di Killian Jones raggiunsero la ciurma sottocoperta e i suoi compagni raccolti nell'area di fuoco, che armarono i cannoni, pronti a distruggere i moli e le banchine di Port Royal, prima di raggiungere la Flotta del Principe ormeggiata nella rada.
Dalla timoneria, Killian si spostò sulla tolda, dove trovò un Aladdin intento ad attorcigliare le funi, mentre John Smith controllava il filare delle veli.
- Come procede? - chiese, le mani sui fianchi. L'attacco era appena iniziato, la nave e l'equipaggio erano in fermento.
- Tutto al meglio, Jones - rispose Smith. - Le vele filano, il vento è dalla nostra.
- Aladdin? - chiese Killian rivolto all'amico, che gli sorrise furbescamente.
- Confermo - replicò il ragazzo lasciando per un momento il suo posto e asciugandosi il sudore dalla fronte scura. - Certo, si sente terribilmente la mancanza delle braccia di Flynn, ma ce la faremo.
- Ce la farete? Senza di me? Così mi deludete, amici miei.
Killian e Aladdin si voltarono all'unisono, i volti stupiti e come pietrificati nella stessa identica espressione di meraviglia. Davanti a loro, Flynn Rider sorrideva, un sacco buttato sulla spalla e una mano in tasca. I capelli erano più corti dall'ultima volta che si erano visti, sembrava che qualcuno glieli avesse tagliati, e i vestiti non erano più quelli che indossava sulla Jolly Roger, ma stava bene. Era lì, vivo. Di nuovo con loro.
I tre amici si incontrarono a metà strada e si abbracciarono, in mezzo al caos e alle mille voci concitate che invadevano il ponte. Nessuno di loro disse niente, non c'era bisogno di parole inutili. Flynn era di nuovo lì, sulla Jolly Roger, pronto per riprendere da dove aveva lasciato, pronto per riprendere in mano la sua vita.
- Rider, corri al tuo posto. Subito - esclamò Killian una volta sciolto l'abbraccio di gruppo. - Siamo nel bel mezzo di un attacco cruciale.
- Subito, capitano - esclamò Flynn correndo accanto ad Aladdin, che continuava a sorridergli, felice. Quella parola - capitano - pronunciata da Flynn, lì, in mezzo alla battaglia, ebbe il potere di infondere in Killian tutta la fiducia che quell'attacco avventato aveva cancellato. In quel momento, seppe che ce l'avrebbero fatta.
 
 
*
 
 
Il primo odore che colpì le narici di Ariel fu l'odore del mare. Pungente, salato, acre. L'odore di casa.
Flynn e Ariel erano arrivati a Port Royal al tramonto, un bellissimo tramonto aranciato che faceva risplendere le bianche cupole del palazzo reale, arroccato sulla collina, in mezzo al verde della foresta, e che donava alle acque circostanti il colore del sangue. Il sole si stava coricando ad ovest e in quel momento per Ariel non ci fu niente di più bello al mondo come quella rada. La Flotta del Principe era ormeggiata in profondità nella rientranza rocciosa, al sicuro, al fondo del grande porto. Poco lontano era ancora in corso il mercato del pesce giornaliero e il ciarlare dei venditori ambulanti le riempì le orecchie. Flynn le aveva raccontato così tante cose, durante il loro viaggio... Sicuramente aveva pensato che la ragazza fosse vissuta fuori dal mondo - quasi in un altro mondo - per tutta la vita, ma ad Ariel non importava ciò che il suo amico poteva pensare di lei. In fondo, sapeva che Flynn aveva capito molto più di ciò che lasciava a intendere, e ad entrambi andava bene così.
Una volta arrivati a Port Royal, una delle prime cose che Ariel notò furono i velieri che, veloci, stavano raggiungendo la cittadina dal mare aperto. Erano tantissimi e avevano un'aria pericolosa che portò la ragazza a tirare Flynn per la manica, silenziosa e impaurita. Anche Flynn li aveva notati, ma nel suo sguardo non c'era paura o panico, ma meraviglia e stupore e gioia. E Ariel capì. Quella era la flotta di Flynn. Casa sua.
- Sono loro, vero? - gli chiese. 
Flynn annuì, senza però distogliere lo sguardo dalle navi in avvicinamento. Ariel le osservò anche lei, chiedendosi come fosse stata la vita di Flynn prima di conoscerla, quali persone avesse incontrato, quali mari avesse esplorato. Si chiese come fosse la vita su una grande nave come la Jolly Roger, sempre frenetica e attiva. Flynn le aveva raccontato parecchie cose, ma Ariel era sicura ne avesse taciute altrettante. Chissà come mai, gli uomini credevano sempre che certi argomenti non fossero adatti ad una donna. Aveva capito che gli uomini credevano troppe cose, la maggior parte delle quali senza fondamento.
Flynn fece qualche passo avanti, fino a raggiungere la banchina più vicina, sempre senza distogliere lo sguardo dalla flotta. Ariel lo guardò avanzare, quasi dimentico di lei. Sorrise tra sé e sé. Il loro cammino insieme era terminato.
Dopo qualche minuto, il ragazzo sembrò ricordarsi della sua compagna di viaggio, perché si voltò e, non trovandola al suo fianco, la cercò alle sue spalle. Sul volto aveva dipinta una certa forma di urgenza primitiva e anche della preoccupazione, che svanì non appena incontrò gli occhi di lei. Ariel le sorrise.
- Credo che sia meglio per te raggiungerli - gli disse lei senza muoversi.
Flynn tornò sui suoi passi e le prese le mani. - Voglio prima che tu sia al sicuro.
Ariel scosse la testa. - Me la caverò, Flynn. Per stanotte dormirò ai confini della città e domani mattina presto comincerò a cercare mia sorella. Sono sicura che sia qui. Me lo sento.
Flynn la guardava, studiandola.
- Ariel, io so che-, ma Ariel lo interruppe, mettendogli un dito sulle labbra. Sapeva quello che stava per dire: io so che non c'è nessuna sorella. Io so che sei un animo perso. Io so che c'è sotto ben altro, oltre alle mezza verità che mi hai raccontato.
La ragazza scosse la testa. Non poteva permetterglielo. Non poteva permettere a Flynn di rovinare tutto.
- Sai tutto ciò che ti è dato sapere, amico mio - disse lei, diplomatica. - Conoscerti è stato per me un dono del cielo, non ce l'avrei mai fatta a raggiungere Port Royal senza di te. E lo sappiamo entrambi. Le nostre strade però si dividono qui. Tu devi raggiungere la tua famiglia e io la mia. Ti porterò sempre nel cuore, Flynn Rider.
- Anche io, Ariel - disse lui, e di slancio l'abbracciò, stringendola forte. Immerse il viso nei suoi capelli, cingendole la schiena con le sue braccia forti. Ariel si aggrappò alla sua vita, il viso sul suo petto. Aveva trovato un amico, un vero amico.
- Spero che tu possa trovare ciò che cerchi - concluse lui depositandole un bacio dolce sulla guancia.
- E io auguro a te tanta fortuna. Che il cielo ti protegga.
I due si sorrisero un'ultima volta e poi il volto di Flynn si trasfigurò. Gli era appena venuta un'idea. Slacciò la lunga spada che gli aveva donato Ettore e la porse ad Ariel.
- Voglia che la tenga tu. Non ho bisogno di altre armi, sulla Jolly Roger. Ce ne sono in abbondanza. Questa potrebbe servirti per difenderti.
- Ettore l'ha donata a te, Flynn, non voglio privartene.
- E io la dono a te, di mia spontanea volontà. Come regalo - insistette lui.
Ariel prese la spada dalle mani di Flynn e gli sorrise ancora una volta. In silenzio, il suo amico le volse le spalle e corse via lungo la strada del porto, verso il suo destino.
 
 
*
 
 
Una volta che Flynn scomparve dalla sua vista, perduto tra la folla del porto, Ariel sospirò, guardandosi intorno. Non aveva prestato molta attenzione a Port Royal, a parte la meravigliosa vista del tramonto al loro arrivo. Era stata troppo presa ad osservare la flotta che, rapidamente, aveva raggiunto la città.
Fece qualche passo avanti, intenzionata ad assistere a quello che si stava rivelando un vero e proprio attacco. Si chiese cosa avessero in mente i compagni di Flynn, assaltando una forza marina come Port Royal. Ad Atlantica aveva studiato la storia delle Terre della Lunga Estate insieme al suo precettore e Port Royal era la più fiorente fra tutte le Città Libere, il maggiore porto marino e il più ricco centro commerciale di tutto il Mare di Giada. Vantava una delle flotte più potenti e ben armate del Continente e dubitava che, tutta sola, la flotta di Edward Teach sarebbe riuscita a conquistarla, sconfiggendo allo stesso tempo le loro forze senza però danneggiarsi e perdere uomini e navi. Insomma, anche lei – una semplice sirena che sapeva poco o nulla di guerre e battaglie marine – capiva che aveva davanti un’impresa impossibile.
In lontananza, verso il punto di ormeggio della flotta del Principe, l’equipaggio della Stella del leone stava armando quello che era considerato il veliero più potente della storia moderna, orgoglio dei Principi di Port Royal e terrore dei Cinque Mari. Ariel non aveva mai visto nave più bella, prima che la Jolly Roger non fosse a portata di sguardi più attenti, però. Tutta la sua attenzione venne immediatamente attirata da quel poderoso veliero, dalla sua polena dorata, dall’immenso castello di prua decorato con vetri colorati e motivi floreali, dalla figura possente di Edward “Barbanera” Teach eretto fieramente in timoneria, impegnato a sferrare il suo attacco.
Senza neanche pensare a dove metteva i piedi, Ariel voleva vedere di più, voleva assistere a quelle azioni eroiche delle quali aveva tanto letto e studiato e che aveva fantasticamente immaginato e perfino sognato. Vedere con i propri occhi era tutta un’altra cosa. Si avvicinò sempre di più alle banchine esposte del porto, che ormai si stava velocemente spopolando. Gli abitanti di Port Royal e i visitatori accorsi per il mercato del pesce stavano rapidamente sfollando l’area antistante i moli, impauriti e spaventati dalla possente flotta in avvicinamento.
Ingenuamente, Ariel procedeva in direzione opposta alla folla, incantata e ipnotizzata da tanta affascinante bellezza. E capì la febbre di Flynn. Capì il suo smanioso desiderio di ritrovare i suoi compagni e la sua nave. Flynn aveva avuto – e avrebbe avuto di nuovo – tutto questo. Per tutta la vita. O almeno fino a che il mare non avesse deciso di reclamare la sua anima. Una bruciante fitta di gelosia le attanagliò le viscere. In piedi su quel molo deserto, era circondata dal boato assordante dei cannoni e dalle voci concitate della ciurma e tutto ciò che desiderava era esserci. Era far parte di quel mondo. Dentro di sé, sapeva che stava sprecando il suo tempo. Sapeva che la sua missione era un’altra, lontano da lì, dal pericolo e dalla morte. Sapeva che stava rischiando tutto, ma non le importava.
Aveva assistito ad una sola battaglia tra navi, nella sua breve vita. E vi aveva assistito di nascosto, dato che suo padre, il signore di Atlantica, aveva severamente vietato alle figlie di salire in superficie, e ben che meno di assistere a cose così pericolose come le battaglie marine. Ariel aveva sempre creduto di essere stata testimone di un evento epico, che sarebbe stato ricordato per sempre nei libri di storia e nella memoria della gente. Prima di vedere la flotta di Teach distruggere le banchine di Port Royal. Prima di sentire il legno sotto i piedi saltare via. Prima di sentire il proprio corpo volare e ricadere in acqua con un tonfo assordante, mentre l’impatto con il mare le mozzava il fiato. Sentì in bocca il sapore del sale, lottando tenacemente con le correnti che ruotavano intorno alla Jolly Roger, sforzandosi di restare viva. All’improvviso, qualcuno la prese per la vita, mentre i sensi piano piano minacciavano di abbandonarla. In fondo, non era più una sirena. Il mare – ciò che era stato la sua casa da sempre – era diventato letale, per lei.
Si ritrovò nuovamente su una superficie solida e dura e percepì sotto le dita il legno caldo e lucido. Tossì acqua, il petto scosso dai singulti, il respiro affannoso e stanco. Riaprì lentamente gli occhi solo per vedere intorno a sé piedi che si muovevano rapidamente e voci che gridavano – voci che non avevano consistenza, per lei, in quel momento – e il rumore tonante dei cannoni era ancora più assordante nelle sue orecchie. Si mise faticosamente a sedere e capì. Qualcuno l’aveva salvata dalle acque roboanti nelle quali era finita dopo che il molo era saltato in aria. Qualcuno l’aveva ripescata dal mare. Si guardò intorno e il viso preoccupato di un ragazzo dalla carnagione scura occupò tutto il suo campo visivo. Ariel sobbalzò leggermente, spaventata.
- Va tutto bene – le sussurrò lui poggiandole una mano sulla spalla. Ariel ne seguì la traiettoria e poi, leggermente rassicurata dalle parole gentili del giovane, tornò a guardarsi intorno.
- Aladdin, si può sapere cosa sta succedendo qui? – tuonò una nuova voce.
Ariel si voltò proprio mentre un uomo alto, di una manciata di anni più vecchio dell’altro, i capelli scuri e due incredibili occhi azzurri, li raggiungeva, scendendo rapidamente alcuni scalini che portavano sicuramente alla timoneria. Indossava un paio di pantaloni scuri di pelle e una camicia nera, leggermente aperta sul petto abbronzato e lacerata sul fianco, molto probabilmente nell’impeto dell’attacco.
Il ragazzo gentile si alzò in piedi e lo fronteggiò. – L’ho ripescata dal mare. Stava annegando e le ho salvato la vita.
- Da quando ci mettiamo a salvare vite umane nel bel mezzo di un attacco cruciale, eh? – chiese l’altro con voce severa, le mani sui fianchi.
Ariel si limitava ad osservarli, ancora intontita e incredula. Non capiva cosa stava succedendo.
- È saltata in aria dopo il nostro attacco ai moli. Mi sono sentito responsabile, ecco.
L’uomo con gli occhi azzurri – azzurri e freddi – scosse la testa, passandosi una mano dietro la nuca.
- Aladdin, Aladdin – borbottò pensieroso, guardando il ragazzo severamente, ma nei suoi occhi – glaciali – Ariel scorse un barlume di affetto. – E va bene. Adesso torna al tuo posto, me ne occupo io.
In quel momento, una voce riscosse tutti presenti. Persino Ariel si voltò. Capì che le grida provenivano dalla coffa, così alzò anche lei gli occhi al cielo.
- La Flotta Orientale! La Flotta Orientale! – gridava un ragazzo. – Pericolo! La Flotta Orientale in avvicinamento da ovest!
- Dannazione! – imprecò l’uomo, che intanto si era avvicinato ad Ariel e l’aveva presa per le spalle, intenzionato a farla alzare in piedi.
- Cosa succede? – chiese lei ritrovando la voce.
L’uomo si voltò a guardarla, gli occhi azzurri fiammeggianti. – Vieni con me – esclamò senza degnarla di una risposta.
La trascinò malamente con sé, fino ad una porta che si apriva proprio accanto alle scale dalle quali era sceso correndo pochi istanti prima. Scese delle altre scale e spalancò un’altra porta. Ariel si ritrovò all’interno di una piccola cabina, con tanto di letto, una scrivania ingombra di carte e altri oggetti personali sparsi qua e là. La luce del sole al tramonto la invadeva.
L’uomo la fece sedere malamente sul letto e Ariel emise un flebile verso di protesta. Stringeva ancora saldamente la sua sacca, con dentro tutti i suoi tesori e ancora qualche provvista, che si era sicuramente tramutata in cibo per i pesci, dopo il suo volo in acqua. La spada lunga regalo di Flynn le pendeva sul fianco, pesante come un macigno.
- State qui, d’accordo? – le intimò lui guardandola severamente da sotto le ciglia, leggermente chino in avanti su di lei. Sembrava un adulto che rimbrotta un bambino capriccioso. – Non ho tempo per occuparmi di voi, adesso.
- Cosa mi farete? – chiese piano Ariel mentre lui si apprestava a lasciare la cabina. Si girò a guardarla. – E voi chi siete? – aggiunse lei, piena di domande senza risposta.
- Killian Jones – replicò lui duramente, la mascella serrata. – Questa è la Jolly Roger e voi siete ufficialmente prigioniera del suo capitano, Edward Teach, fino a decisione contraria. Godetevi la permanenza, signorina.
 
 
 
 
 
NOTE 
 
  • Il titolo del capitolo e la citazione arrivano da "Down By The Water" dei The Drums.
  • Bacio della sirena, Stella del leone, Città Libere: da "Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" di GRR Martin.
  • Timoneria: la zona di comando con, appunto, il timone.
  • Tolda: il primo ponte scoperto.
  • Polena:  decorazione lignea, spesso figura femminile o di animale, che si trova sulla prua delle navi.
  • Castello di prua/cassero di prua: il cassero è una sovrastruttura (cioè una struttura sopraelevata rispetto al ponte di coperta) che si estende parzialmente per la lunghezza della nave, ma totalmente per la larghezza della stessa. Il cassero di prua viene anche chiamato "castello".
  • Ettore: l'abbiamo conosciuto nel capitolo III, "Ocean Wide". Accoglie Flynn - e poi Ariel - al Golfo dei Naufragi, insieme alla moglie Penelope.
 
 
NB per questioni di praticità, i nomi di luoghi già citati in queste note non saranno ulteriormente citati nelle note ai successivi capitoli.
 
 
Heilà.
Okay, mi vergogno profondamente. È passata un'eternità dal mio ultimo aggiornamento, lo so, e me ne scuso. Ormai conoscete i miei tempi eterni e geologici, mi perdonate? Anche perché in questo capitolo le strade di Ariel e Killian finalmente si incontrano. Ve l'avevo detto che il capitolo cinque sarebbe stato decisivo. Insomma, ancora non si sono detti molto, ma avranno modo di interagire, vedrete. Inoltre, Flynn - che amore - torna dai suoi amici, mentre Mulan prende il comando di una nave tutta sua. Infine, l'attacco a Port Royal sembra all'improvviso complicarsi, con l'arrivo della Flotta Orientale capitanata da Sao Feng. Per vedere come se la caverà la Jolly Roger e per leggere ancora di Ariel e Killian non vi resta che attendere - pazientemente - il prossimo capitolo.
 
Per qualsiasi chiarimento, mi trovate su FB, sia sul mio profilo:
https://www.facebook.com/marti.lestrange
 
sia sul gruppo dedicato ai miei aggiornamenti:
https://www.facebook.com/groups/159506810913907/
 
Oppure potete scrivermi qui via messaggio.
 
Detto ciò, ringrazio chi ancora segue con amore questa long, chi legge/recensisce e chi fangirla, soprattutto la mia Ciurma, che stresso anche via whatsapp - sì, siete proprio voi <3
 
A presto.
Marti.
 

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