Programma: C.A.L.D.

di Ephi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


PROGRAMMA: C.A.L.D.
PROLOGO






Se state pensando che questa sia la storia perfetta di una persona perfetta, avete sbagliato sicuramente a seguire le indicazioni.
Non è il mio caso, credetemi. Niente figoni semi-morti e dalla pelle marmorea, niente semi-lupi che si tatueranno il mio nome sul braccio, niente supereroi con martello e caschetto pronti a scatenare lampi e tuoni solo perché fanno un gran casino. Io sono sempre stata solo quella complessata della situazione.
Ora vi chiederete perché dovreste stare a sentirmi ancora, e, effettivamente, avreste solo ragione. Non saprei nemmeno elencarvi motivi sufficienti per stare qui a perder tempo con me e alle mie farneticazioni su gente del calibro di Perseo, Teseo, Odisseo, un sacco di -seo.
Cosa c'entrano, dite? Ecco, me lo chiedevo anche io.
La mia tranquilla, allegra, monotona vita era tutta articolata in piccolo arcipelago di isolette conosciute, per lo più, per la loro simpatica componente (altamente) vulcanica. Oltre che per Lilo e Stitch.
Quel pomeriggio me ne stavo dietro al carretto dei gelati che il signor Mead mi aveva gentilmente prestato per cominciare il mio ennesimo lavoretto estivo. Sistemai alcune - no, troppe - ciocche ribelli sotto il berretto arancione e gli occhiali da sole. Vedevo fin troppi bambinetti saltellanti, durante il giorno, e le scorte di gelato erano praticamente destinate solo a loro. Di conseguenza, il mio guadagno aumentava.
Per adesso era quello il mio obbiettivo: cavarmela da sola, specie per realizzare il mio sogno. C'è chi svaluta senza riserve i bambocci di quindici anni come me, solo perché vivono ancora nel mondo dei desideri. Il mio era fin troppo grande, diceva il signor Mead, ma lo trovava nobile.
In più, volevo partire per New York, visitare la Grande Mela, ma non volevo dare peso alle tasche di mia madre, già troppo occupata a mantenerci entrambe. Aveva un piccolo chioschetto sulla spiaggia, vendeva un sacco di oggettini strani, con la piccola differenza che era lei stessa a crearli. Autentici capolavori, credete a me. Avevo appesi al collo almeno sei (uno l'avevo perso, va beh) delle sue creazioni. Diceva mi avrebbero protetta, diceva che lui mi avrebbe riconosciuto, quando li avrebbe visti. Per Lui, intendeva mio padre.
Ma non parliamone.
Il mio carretto dei gelati era già semivuoto, data la massa informe di turisti che invadeva le vie del lungomare. L'ultimo bimbetto a cui diedi un ghiacciolo alla ciliegia mi ringraziò con una specie di pernacchia, poi corse via, prima che potessi scagliargli addosso una vaschetta di gelato alla vaniglia. Alzai gli occhi verso il cielo e sentii sulla pelle che il sole stava cominciando a perdere calore. Di lì a poco sarebbe arrivato un nuovo, bellissimo, tramonto. E anche la "gara" a cui avrei partecipato quella sera stessa.
Non ero mai stata brava con le pistole, non quanto i miei amici. No, calma. Non voglio dire che esco con gli agenti di CSI Isole Hawaii. Voglio solo dire che i miei compari hanno una certa passione per i giochi del luna park, in particolare quelli di tiro al bersaglio. Quella stessa sera, poi, il più rompibballe di tutti, Tim, aveva deciso di sfidare me (la più sfigata di tutti) a VINCI-IL-PESCE-ROSSO-O-TI-BUTTO-IN-MARE, tanto per far capire agli altri che lui era il più bravo di tutti.
Per riassumere: avevo un bagno in mare a cui prepararmi.
Riportai il carretto al bar del signor Mead (che per la cronaca, assomigliava tanto a un tricheco, con tanto di baffoni arricciati. Era bellissimo.) e mi trascinai fino a casa, gettando di tanto in tanto qualche occhiata all'oceano.
Non avevo mai avuto paura di gettarmi in mezzo a quelle onde enormi. Sentivo, in qualche modo, che qualcuno potesse capirmi, quando stavo lì. Spesso mi capitava di rimanere seduta sul bagnasciuga e conversare amabilmente con qualche granchio o pescetto microscopico. Le stesse conversazioni che faresti anche col tuo vicino di casa, per capirci.
- Ehi Sam -
- Ciao Jen, allora? - sguazzava, il pescetto Sam - Com'è andata oggi coi bimbetti assatanati? -
- Una meraviglia, come al solito -
- Sei sempre stata brava col sarcasmo -
- La Donna del Sarcasmo, mi farò chiamare così -
E mi continua a chiamare così.


Mi gettai nella doccia tentando di togliere il più possibile la salsedine che costantemente mi si appiccicava addosso. Adoravo quell'odore, ma non era carino presentarsi ad un'uscita come se avssi pescato tonni fino a mezzora prima, diceva mia nonna. Come se mi importasse.
Afferrai un paio di pantaloncini e una canotta, sgranocchiando qualcosa alla veloce. Salutai mia madre con un urlo e raggiunsi di corsa la piazzetta al centro del villaggio. Come mi aspettavo di trovare, Kevin era seduto sotto una delle palme, la gamba zoppicante stesa sulla panca di pietra. Si guardava attorno come se aspettasse di incontrare un viso familiare il prima possibile. Quando mi vide, si sbracciò come un matto. Mi avvicinai, con un cenno di capo.
- Ehi, Jenna! - 
- Odio quando mi chiami così -
- Allora, Jenna, com'è andata a lavoro? Tutto apposto? -
Annuii, sedendomi di peso accanto a lui. - Sì, certo. Non capisco perché ti preoccupi così tanto -
- Sai che accadono cose strane, da un po' di tempo a questa parte - disse Kevin, come per riprendermi.
- Sì, lo so, ma non è che tutte le vecchiette vogliano uccidermi - aggiunsi in fretta, trattenendo una risata.
- Vecchiette, certo, vecchiette.. - bofonchiò lui, girando con cautela la gamba malmessa.
- Ancora con questa storia? Andiamo, su con la vita.. -gli diedi una pacca sulla spalla - Sono troppo forte per farmi ammazzare -
- Tu non capisci - disse all'improvviso, esattamente come una settimana fa.
Per farla breve, sempre una settimana fa, una nonnina - che era tenera, davvero tenera - aveva scagliato addosso a me e al bancone del bar in cui lavoravo la sua borsetta di pelle di pitone, la quale conteneva qualcosa di altamente esplosivo. Per un estremo caso fortuito, Kevin era lì. Mi aveva afferrato e mi aveva fatto saltare (non saprei nemmeno dire se a cinque o nove metri di altezza), salvandomi da possibili ustioni di quinto o sesto grado.
Il direttore del locale per cui lavoravo pensò bene fosse qualcuno che avesse qualche conto in sospeso con lui. La chiusura imminente mi lasciò senza un posto e parecchio depressa, con divisa e grembiule color limone bruciacchiato. Si era scusato, si era pure impegnato a trovare un nuovo lavoro a noi poveri dipendenti. E il signor Mead (l'uomo-tricheco) aveva accettato ad assumere proprio me.
Ero al settimo cielo, non fosse che, per Kevin, l'obbiettivo della nonnina, dovevo essere solo ed esclusivamente io. Non ero riuscita a fargli cambiare idea e nemmeno a farlo concentrare sul suo ginocchio ammaccato. Continuava a starmi appresso come un'ombra, osservando chiunque come se dovesse essere Jack lo Squartatore. (oppure Bilbo Baggins, se proprio fate fatica a ricordare la sua faccia)
Quella sera, almeno, ero riuscita a convincerlo che farci uscire sarebbe stata una cosa positiva, anche per distrarci un po', nonostante non la smettesse di scrutare ogni minimo centimetro della piazzetta con gli occhi color corteccia.
Gli altri ci raggiunsero poco dopo: Keilani, Rob e Mya assieme a Tim, il suo nuovo (osceno) ragazzo. L'unica cosa che sapevo di lui è che mi detestava, a pelle, forse per la battuta che avevo fatto a proposito dei suoi capelli orrendi. Ecco, una cosa di me la dovete sapere: non riesco a non dire quello che penso, spesso risultando irritante e troppo sfacciata. Ma come sempre anche quella volta tutti avevano riso, tranne lui.
Mentre camminavamo, sentii la mano di Kevin stritolarmi il braccio.
- Vuoi che il mio avambraccio si auto-amputi? - chiesi, bisbigliando.
- Sento puzza, Jenna -
- Ehi, non sei affatto carino - lo guardai seriamente offesa.
- Ma no - disse lui, parlando come se avesse una faringite acuta - Sento che c'è qualcosa che non va, dobbiamo andarcene.. -
- Stai scherzando spero - decretai, tentando di liberare il braccio. - Devo battere quello schifoso - accennai con cenno di capo dietro di noi.
- Per favore, Jen, devo parlarti.. -
Mi illuminai di immenso. - Ehi, non mi hai mai chiamata Jen! Ora mi commuovo.. -
- La vuoi smettere?! - disse, imitando un urletto ancora in preda alla faringite.
Non feci in tempo a controbattere che Il Simpatico Tim mi si parò davanti, mentre teneva per mano la mia amica Mya, che lo guardava come se fosse mister universo. (il che mi fece pensare avesse seri problemi di vista) - Allora - cominciò, con la sua voce suadente - Sei pronta, cara Jennifer? -
- Ci puoi scommettere - risposi, liberandomi dalla presa ferrea di Kevin, che ora saltellava dietro di noi.
Raggiungemmo una delle bancarelle e mi parai di fronte a uno dei fucili, osservandolo con una certa riluttanza. Non mi sentivo a mio agio e sapevo che lui lo sapesse. Lo guardai con la coda dell'occhio, mentre iniziava ad armeggiare con l'arma come se la conoscesse fin troppo bene.
Presi esempio e cominciai a far finta di saperne qualcosa, finché uno scintillio non attirò la mia attenzione: un piccolo arco se ne stava appeso su una delle mensole accanto ai premi. Notai fosse fintamente placcato in oro e piccole freccette con la punta a ventosa gli stavano a fianco.
- Mi scusi - dissi in fretta e furia - Come tiro al bersaglio si potrebbe usare una qualsiasi arma che, in qualche modo.. ehm.. centri quel bersaglio, vero? -
Il signore mi guardò un po' confuso, poi annuì, in silenzio.
- Benissimo: voglio quell'arco -
Tim si girò verso di me, come se avesse sentito la mia voce per la prima volta da mesi solo ora. Scrutò il mio profilo per un po', finché il signore dietro al banchetto non mi porse la piccola arma giocattolo. Mi sentii subito meglio e doveva averlo notato pure lui. Mi parve di sentirlo quasi ringhiare, ma ero troppo occupata a posizionare le freccette.
Al via puntò la sua arma e sparò tutti e cinque i colpi, centrando i barattoli in pieno. Mya per poco non spaccò il timpano a Rob, col suo urletto,  e lui  perse quasi l'equilibrio.
- Ora tocca a te, Jennifer - disse, con un sorrisetto meschino dipinto sulla quella faccia (da schiaffi).
Non lo guardai nemmeno e preparai l'arco, tendendo la corda. Strinsi appena l'occhio e mirai al centro della lattina Sprite. Tira! sentii.
Scagliai una freccia dopo l'altra senza nemmeno accorgermene. Le lattine rimasero un momento in bilico, poi caddero all'indietro con un accennato CLANG ritmico.
Tutti rimasero in silenzio per un po', poi Rob sussultò con un - WOW! DONNA! -
Gli feci l'occhiolino complice e scoccai un'occhiata eloquente al simpaticone, poi diedi le spalle a tutti. Non volevo mi vedessero così.
Dire che fossi turbata era dire poco. Non avevo mai avuto una buona mira e poi non doveva essere così normale sentire delle voci che ti consigliano come diventare "L'eroe del tiro bersaglio" tutto in un colpo. Poggiai l'arco sul bancone assieme a qualche banconota e poi sparii nella folla, tentando di allontanarmi da tutti.
Mi fermai quando fui sicura che nessuno mi stesse seguendo e mi guardai le mani. Doveva essere successo un miracolo o un qualcosa del genere. Quella pressione che mi aveva accarezzato la mano era semplicemente nata da dentro di me. Scossi forte la testa, stavo sicuramente impazzendo.
Raggiunsi la spiaggia più vicina e mi sedetti sulla sabbia, ascoltando il rumore delle onde. Il signor Mead aveva il suo piccolo locale qualche metro più in là e la musica ribaltava i muri, raggiungendomi.
Non sentii nemmeno i passi striscianti dietro di me, ma l'istinto mi fece abbassare la testa prima che un braccio mi afferrasse. Rotolai sulla sabbia e mi misi a carponi: Tim mi osservava con astio dal buio. E fin qui, nulla di strano. Non fosse che, stavolta, avesse un occhio solo.


Il suo ringhio mi fece balzare di poco all'indietro.
- Ma cosa cazz.. - bofonchiai, spostandomi i capelli dalla faccia - Ma tu sei.. -
Lui rise, una risata gutturale, come in preda alla faringite che spesso ha anche Kevin quando crede che nessuno lo senta.
- Tu sei.. Tu sei.. - ripetei, in preda ad un momentaneo inceppo col dizionario.
- Vediamo se ci arrivi, Jennifer - tuonò, avanzando.
Rimasi immobile, ancora allibita. - Sei.. -
- Allora?! Sono?! - domandò, stavolta quasi offeso.
- Orribile!- decretai - Sei davvero osceno, ragazzo! - insomma, dovevo dirglielo. Poteva essere anche un Ciclope, ma era proprio brutto.
Lui mi fissò per qualche momento, come se non avesse colto il messaggio (ormai era chiaro, anche versione monocchio era davvero privo di umorismo), poi fece la cosa che più mi fece rendere conto del fatto che fossi in pericolo: partì alla carica verso di me.
Rotolai nuovamente sulla sabbia, mentre con la sua clava (da dove cavolo era comparsa?!) tentava di spappolarmi la testa. Mi alzai e mi inoltrai nel buio della spiaggia, tentando di nascondermi tra le palme giganti. Udii i suoi passi con fin troppa chiarezza, questa volta, e continuai il mio slalom disperato fino alle prime luci del locale del signor Mead.
- Non potrai scapparmi, semidea! Ho un conto in sospeso con tuo padre! - urlò, non accennando a rallentare.
Non capivo cosa stesse dicendo, a cosa si riferisse, ma a quanto pare mio padre aveva fatto qualcosa di brutto a qualche Ciclope. Ottimo, dissi tra me e me.
Il cagnetto del signor Mead prese ad abbaiare all'impazzata. L'uomo-tircheco uscì poco dopo, brandendo un qualcosa che doveva essere una lancia.
- Vieni dentro, Jennifer! - mi disse, più simile a un ordine.
Non me lo feci ripetere due volte, mentre piombavo nel retro del locale suo locale con l'impatto di una cometa. Mi appoggiai al muro e cercai di prendere fiato, tentando di restare lucida. Ricapitolando: fuori da quella porta un monocchio ce l'aveva con me per via di mio padre e l'uomo-tircheco, armato di lancia (evitiamo domande), mi stava difendendo.
Raggiunsi una conclusione: dovevo aiutarlo.
Mentre cercavo di saltare oltre la cassa, Kevin mi si catapultò addosso, all'improvviso senza più alcun sintomo di dolore alla gamba. I suoi ricci biondicci (oh!) erano alla rinfusa sotto il berretto della OBEY. - Jen! - disse, strizzandomi in preda al panico. - Grazi agli dei! -
- Grazie a chi..? - chiesi, soffocando.
- Dov'è?! -
- Chi? -
- Il Ciclope! -
- Come diavolo fai a sapere che Tim è un Ciclope?! -
Non mi rispose e corse fuori, dove il signor Mead era impegnato a tener occupato il monocchio della simpatia.
Lo seguii a ruota, ma il cagnetto mi bloccò la strada, guardandomi malissimo. - Per favore, spostati! Devo.. - Poi alzai gli occhi, al suono dello strumento a fiato che riempì la stanza e la zona circostante. Non sapevo come facessi a riconoscerlo, ma notai qualcosa che era ancora più scorcentante: una scossa partì dal sottosuolo e radici, radici vere, apparvero dal nulla, intrappolando Tim Il Ciclope. Il signor Mead fece qualche passo avanti e lo colpì in pieno addome con la sua lancia: Tim il Ciclope era ora Tim l'Ammasso di Sabbia.
Mi accasciai sulla porta e il cagnetto poggiò la sua faccetta sulle mie ginocchia. Kevin mi raggiunse poco dopo. - Dobbiamo andare, Jen, il dio ci aiuterà ad arrivare al continente in men che non si dica - disse, porgendomi una mano.
- Kevin, sei una capra - commentai senza espressività, notando i suoi nuovi pantaloni pelosi.
- Oh, beh, grazie.. - disse lui, abbozzandomi un sorriso.
Poi lo guardai meglio: Kevin aveva degli zoccoli al posto dei piedi, delle zampe al posto delle gambe, una cintura borchiata a cui era appeso un piffero e la solita maglietta Billabong. Ebbi un mancamento.
- Ahi, ahi, ahi - commentò il signor Mead, porgendomi un braccio. - Forza, forza ragazza, non diventare una pappamolla tutta in una volta per un piccolo Ciclope e un Satiro! -
- Io non sono una pappamolla! - gli dissi, guardandolo in cagnesco e rimettendomi (quasi) in piedi.
- Ehm, forse dovresti portargli più rispetto, Jenna.. -
Ecco, aveva ricominciato.
- Solo perché è il mio datore di lavoro non vuol dire che non possa dire quello che penso! - sbottai - E poi che cos'è questa storia di dei e semidei? -
- Non è forse il luogo migliore per parlare di queste cose, dobbiamo portarti nel continente, tua madre sa già tutto, partiremo subito se.. - cominciò Kevin.
- No, io non vado da nessuna parte se non mi spiegate che dannazione succede! - urlai nel bel mezzo della spiaggia desolata.
- A tempo debito, ragazza - disse il signor Mead - Viaggeremo per mare, sarà più sicuro, avremo la protezione di mio padre dalla nostra parte -
- Suo padre? - chiesi, stavolta incuriosita.
Il signor Mead sorrise, poi si fece illuminare appena dalla torcia, facendo qualche passo avanti: aveva la solita faccia coi baffoni, ma non era più goffo, era invece fin troppo giovane: semplicemente lo sguardo di un nuotatore, così come il suo fisico. Portava una camicia leggera e dei pantaloni a metà gamba, i quali lasciavano vedere la pelle lucida e liscia, nonché tendente ad un azzurro leggero, dei polpacci, la stessa che concludeva fino ai piedi. Piedi palmati.
- Io sono Tritone, figlio di Poseidone - annunciò - Ed è mio compito portarti al Campo Mezzosangue, semidea -
Lo fissai qualche secondo, poi annuii. Avevo sbagliato tutto, non c'era alcun tricheco: avevo un Tritone per amico.










GUERRIERI! (cit. Chirone) u.u
Come potevo mancare, mi chiedo!
Questo è l'inizio della mia nuova storia che (spero) di poter concludere, dato il periodo estivo. Non sono sicura prenderà molti, ma come si suol dire, tentar non nuoce. Diciamo che per me è davvero un'Impresa con la I maiuscolissima.
Il punto è che ci tengo davvero, davvero, davvero, davvero tanto e spero di poter portare degno onore al mondo di Rick (un ola per Rick, forza, gente!)
Quindi, vediamo come viene.
Ahm.. nel frattempo vi ringrazio anticipatamente (come sempre) perché sapervi tutti qui, tutti interessati a Percy e tutti assieme al Campo Mezzosangue, mi esalta un sacco.
Detto questo, alla prossima, semidei!
*zollette di ambrosia a tutti*
Stefi.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


CAPITOLO 1.
CAPITOLO 1.




Ero sicura di essermi addormentata e, cosa strana, provavo un certo mal di mare. La brezza pungente dell'oceano mi investiva come se fossimo in corsa. In effetti lo eravamo davvero.
Quando strofinai gli occhi e misi a fuoco la scena, mi resi conto di dove effettivamente mi trovassi: dovevo essere per forza su uno di quelli yacht che ormeggiano fieri e giganteschi nei porti, quelli di tutti quei VIP che si vedono in serie tv del calibro di Beautiful (. . .). Mi aggrappai allo scienale del divanetto dove ero crollata e mi tirai su.
Kevin stava dormendo con la bocca spalancata, il suo russare arrivò fino a me (un misto tra beeeh-runf.. beeeeh-runf). Accanto a lui, il cagnetto ribelle dormiva accoccolato con la testina sulla sua coscia caprina. Sorrisi istintivamente e mi maledissi per non aver avuto una macchina fotografica.
Spostai poi gli occhi oltre la mini terrazza in cui eravamo. Mi alzai barcollando, ma presi in fretta l'equilibrio, raggiungendo lo scorrimano e guardando appena sopra: il signor Mead-Divino-Tritone guidava quella barca come se stesse girando un film (stavolta senza Ridge e Brook), con il vento tra i capelli, chewing gum in bocca e occhiali da sole, sebbene fosse notte inoltrata.
- Ben svegliata, Jennifer - disse, senza nemmeno scomporre la posa in cui era messo. Aveva la mano poggiata sul timone,  immaginai avesse anche un mini stereo da qualche parte con la sigla di Baywatch. 
Mi affrettai a raggiungere la scaletta e lo affiancai, mentre lo scafo ogni tanto saltellava all'impatto con la superficie (Kevin finì con la testa sul sedile di fianco al suo, senza smettere di belare-russare).
- Ci siamo quasi, attraccheremo direttamente al Campo - aggiunse, poco dopo - Abbiamo un permesso speciale - sorrise, schioccando appena le labbra.
- Immagino sia dovuto al grado di importanza che ha - azzardai a dire, mentre posizionavo i capelli sotto al berretto.
- Anche - ammise - Ma ho bisogno di fermarmi al Campo per qualche giorno, quindi tanto vale io attracchi davanti casa -
- Ha una casa in questo fantasmagorico Campo? - domandai ancora, mentre continuavo ad oscillare.
- Vedrai, vedrai - disse divertito (cosa che non fece per niente divertire me).
Tenni una presa ferrea allo scorrimano, quando Tritone virò verso destra, entrando nella baia. All'interno dell'insenatura naturale non vedi assolutamente nulla, il che mi fece pensare che il dio stra divino qui presente avesse qualche problema con le coordinate marine.
Infondo era il dio dei fiumi, no? Sarebbe stato normale si trovasse più a suo agio con corsi d'acqua. Con enorme sorpresa, invece, piccole luci cominciarono ad apparire, facendosi mano a mano più chiare. 
Superammo senza problemi quello che doveva essere un velo (una barriera di protezione, forse?) e Tritone alzò per la prima volta gli occhiali sulla testa. Le torce sulla spiaggia erano fin troppo vicine.


Attraccammo con una leggera toccata sul fianco, la barca rimase perfettamente immobile, come se Poseidone avesse deciso che non era il caso di sradicare il molo.
Tritone si staccò un braccialetto di conchiglie (uno di quelli che faceva mia madre, per di più) e lo gettò in acqua, blaterando qualcosa che doveva essere per forza greco antico. Un momento, greco antico?
Feci finta di niente, ma il dio notò la mia espressione turbata. Mi poggiò una mano palmata sulla spalla, fresca e umida. - Sta tranquilla, è tutto normale - disse, come se avesse capito ogni cosa, poi cacciò un fischio, puntando gli occhi azzurri su Kevin e il suo cagnetto. - Qui, Scott -
Il cagnetto scattò sull'attenti, al contrario di Kevin che rotolò a terra, prima di riuscire a mettersi in piedi. - Ci sono, signore! -  gridò, la mano destra sulla fronte.
- Comodo, comodo - lo riprese Tritone. - Kevin, scorta Jennifer a terra e accompagnala in casa, alloggerà da me. E' troppo tardi per disturbare i figli di Ermes -
- I figli di Ermes? Il dio dei ladri? Il messaggero degli dei?! - chiesi tutto d'un fiato (oh, cacchio, secondo me doveva essere un figo, quel dio!), cosa che fece ridere divertito il satiro che trotterellava vicino a me.
- Sì, sì, esatto - mi disse, poggiandomi una mano sulla schiena - Ma domani capirai tutto. Ora devi riposare - 
- Non ho sonno, voglio vedere i figli di Ermes! - ero l'euforia in persona.
- Non penso loro abbiano voglia di alzarsi e vedere un'esaltata alle tre del mattino - mi riprese Kevin, spingendomi giù dallo yacht.
- Sei un guastafeste - decretai, saltando sul molo. - Quindi, dove dormo stanotte? Sulla spiaggia? -
- No - intervenne Tritone - Alla Cabina Tre, la casa di Poseidone, mio padre come già sai -
Kevin si bloccò un istante. - Ma signore, è sicuro che suo padre voglia..? -
- Ha gradito il braccialetto, satiro - cominciò, raggiungendoci - Era parecchio soddisfatto del manufatto, non potrà dire di no -
Poi ci superò e raggiunse l'interno della casa, poggiando la lancia all'entrata. Non sapevo come, ma appena mise piede al suo interno una luce azzurra e soffusa illuminò le pareti. Non resistetti e lo seguii, mentre a Kevin tornava un istantaneo problema di faringite.
Scostai la tenda bianca e quando feci un passo avanti rimasi letteralmente sorpresa. La prima cosa che mi colpì fu un enorme tridente dipinto sulla parete principale: era immerso nelle onde dell'oceano. Mi parve di sentirle infrangersi sugli scogli, ma mi chiesi se non fossero semplicemente le onde che circondavano la cabina.
Il secondo ambiente era quello delle stanza da letto, dove una fontana zampillava acqua cristallina, decorata interamente di coralli. Mi avvicinai, completamente rapita, e ci immersi un dito, portandolo poi alle labbra: era acqua di mare.
Ebbi un semi infarto quando Tritone mi parlò da dietro le spalle (dannato uomo-pesce). - Fa come se fossi a casa tua, io vado ad avvertire Chirone del nostro arrivo - e si congedò, sparendo in vapore acqueo.
Fissai un momento il luogo in cui era scomparso con un'espressione ebete, mentre Kevin si gettava (letteralmente) su una delle brandine. - Che cosa beeehllissima! - belò - Non ho mai dormito in una delle cabine - aggiunse, rotolando sulle lenzuola che sapevano di brezza marina.
- Davvero? E dove vivi di solito? - domandai, sedendomi sulla brandina poggiata contro la parete opposta.
- Nel bosco, sai.. siamo tutti lì noi. Assieme alle ninfe, loro però stanno negli alberi -
- Ah -
- Sì, sono più esigenti. Cose da donne, sai.. -
- Certo, mi sembra ovvio -
- Domani ti faccio conoscere mia cugina Lilith! - disse, in presa a un lampo di euforia - E' un nocciolo davvero, davvero simpatico.. -
- Immagino abbia gli occhi nocciola.. -
- No, li ha color foglia - ammise, stringendo le labbra.
- Cacchio, ci speravo - dissi, cercando di non sembrare scioccata ad ogni rivelazione che mi aveva appena fatto. - Quante cabine ci sono? - chiesi, gettandomi sulla brandina, le mani sotto la testa.
- Una per ogni divinità dell'Olimpo - annuì, facendo come me - Le conosci.. sì? -
- Le ho studiate a scuola - sbadigliai. - Ma.. - mi bloccai subito, quando sentii di nuovo il suo belare-russare cominciare a riempire la stanza.
Così, mio padre era un mega fusto dell'Olimpo. Mia madre aveva scelto bene. 
Il mio cervello partì in quarta, chiedendosi chi potesse essere il mio divino venerando genitore. Mentre cercavo qualche possibile collegamento, fissavo le conchiglie ancorate al soffitto della cabina tre. Infondo, col mare mi ero sempre trovata bene (incluse le onde anomale).
Che potesse essere lo Scuotitore della Terra? Qualcosa mi lasciava perplessa. Non feci in tempo a darmi altre risposte che crollai, cullata da beeeh-runf e dalla fontana zampillante.


Sognai. E per me fu strano, insomma, ho raramente una buona memoria onirica. 
Il profumo di freschezza e spumeggiante del mare aveva lasciato il posto a quello delle montagne.
Mi trovavo in una foresta, fronde si alzavano senza avere una fine. Non sapevo esattamente cosa fare, ma osservai quella boscaglia davvero fiorente come se dovesse essere il prodotto di un dono divino. Mi azzardai ad avanzare, guardando davanti a me.  
Con la coda dell'occhio notai un'ombra: un'esile figura in corsa, armata di arco. Non sentii alcun rumore, solo il fruscio delicato e una scia di profumo di muschio a seguito. La mia mente lavorò a velocità supersonica, come se sapessi benissimo chi fosse: Artemide, dea della caccia, era proprio impegnata in una delle sue battute. Deglutii tentando di convincermi che tutto questo forse normale.
Andiamo, Jen, mi dissi (mamma a che livelli ero giunta..) Sei figlia di un dio, è normale vederli scorrazzare liberi e felici..
Non feci in tempo a prendere fiato e calmarmi che il mio monologo interiore venne interrotto da un brusio più nitido. Dietro di me sentii delle risate, sicuramente qualcuno stava giocando.

Mi avvicinai (tentando di non beccare in pieno due o tre radici) e, come avevo previsto, un gruppo di ragazze all'incirca della mia stessa età stava giocando a palla, immerso dentro un piccolo lago formatosi dall'incontro di un un torrente e un fiumiciattolo.
Aggrottai appena la fonte, nascondendomi dietro una quercia. Avevano uno stile davvero.. passato, non che io fossi l'esempio più indicato per mostrare qualcuno che sta al passo con la moda, ma il loro era davvero, davvero.. antico.
Una delle ragazze più piccole saltò in alto e afferrò la palla, ridendo a crepapelle, poi si bloccò, guardandosi intorno. - Dov'è, dov'è andata..? - chiese alle altre.
- Oh, non ci credo, non è possibile! - sbuffò un'altra, poggiando le mani sui fianchi.
- Non sarà andata a cercare di nuovo quel ragazzo, spero - si intromise una delle più grandi.
Dietro di lei, una del gruppo si staccò, raggiungendo la riva. L'abito bianco le fasciava i fianchi, ma lo strizzò, tenendolo poi stretto, continuando ad avanzare verso alcuni indumenti. Cominciò a rovistarci dentro (che spiona).
Trasalì appena, quando trovò quello che doveva essere un rotolo. - No - annunciò poi. - La nostra amica anche oggi ha da fare.. -
- Come "ha da fare"? - protestò una voce dal gruppo.
- Il volere del divino Zeus non si può ignorare - decretò senza voler dare altre spiegazioni. Stracciò la pergamena e la gettò nell'erba alta, scrutando me (o almeno così mi parve), poi le nubi.
Mi svegliai con Kevin che urlava. - E' ORA DI PRESENTARTI AL CAMPO! -


Trovai ai piedi del letto una maglietta arancione con sopra la scritta "CAMPO MEZZOSANGUE" e un pegaso alato sotto. La trovai fantastica, adoravo quel colore.
Corsi in bagno e tentai di tendermi il più presentabile possibile. Per la prima volta in tutta la mia esistenza avrei avuto a che fare con qualcuno come me. Insomma, era una cosa davvero importante. Dopo aver passato la vita a saltellare da una scuola all'altra, non avevo mai trovato un amico per davvero. L'unico che era rimasto tutto l'anno, stavolta, era Kevin. In qualche modo riusciva a starmi dietro, a non trovare strane tutte le cose che vedevo e che non riuscivo a non raccontargli. E la maggior parte delle volte era stato costretto a viverle con me. Poveretto.
Pettinai i capelli (che imploravano di essere risparmiati) e infilai la cosiddetta divisa. 

Non raccontai a Kevin del mio sogno. Non volevo pensasse che mi fossi già fissata con la storia di questi greci e che potesse credere che volessi anche io una tunica bianca e sandali di pelle. Okay entrare nell'ambiente, ma non penso lo avrei fatto in questa maniera. 
Camminammo fino ad altri edifici, posizionati a quella che, in un primo impatto, sembrava una U. Notai che le case avevano i colori più svariati: dal rosso fuoco di una al bianco cristallino di quella a fianco, da quella che sembrava più una fabbrica (con tanto di camini, giuro) a quella completamente ricoperta di fiori ed edera (fissai con una certa ansia quella simile alla casetta di Barbie, la stessa che io avevo fatto fuori a sei anni).
Non feci in tempo a ripercorrere tutto lo sprazzo con lo sguardo che Kevin mi afferrò per il braccio, portandomi all'edificio più grande.
Sulle scale rividi Tritone, il che mi fece sentire in un certo senso al sicuro. Appena più sotto un uomo col posteriore da cavallo si massaggiava il mento, pensieroso, ma il suo volto si distese subito dopo, quando mi vide. Tentai di porgere il mio sorriso migliore.
Insomma, è più che normale incontrare un centauro per strada, al giorno d'oggi.
- Devi essere Jennifer.. - disse, voltandosi del tutto verso di me. Annuii col capo, stile robot.
- Io sono Chirone - continuò, sorridendo a sua volta, gentile - Direttore delle attività qui al Campo Mezzosangue.. -
Tritone rimase in silenzio, nuovamente in tenuta Signor Mead. Evidentemente non voleva farsi riconoscere anche ad altri, oltre noi.
- Ah, Kevin ha già provveduto alla maglietta, ottimo.. - continuò lui come se fosse tutto normalissimo. Kevin belò compiaciuto di sé stesso (questo lo aveva imparato da me) - Hai alloggiato alla cabina di Poseidone, vero? -
- Sì, signore - dissi, ancora versione soldato.
- Un permesso speciale del dio degli oceani - sorrise - Ma non accadrà molto spesso, gli dei sono molto esigenti sui loro spazi. Alloggerai alla casa di Ermes finché.. Beh.. -
- Finché mio padre non si rivelerà, lo so - terminai.
Lui annuì. - Il Campo Mezzosangue è composto da dodici cabine, come hai potuto vedere. Soltanto gli dei maggiori, solitamente, si prendono la briga di riconoscere i loro figli.. - sospirò - Dunque, spero che il tuo si faccia presto avanti -
- Ma come.. come potrò sapere quando avrà, si cioè, deciso che è ora di farsi vivo? - chiesi senza nemmeno pensarci.
- Oh, giusto - disse più tra sé e sé - Ti verrà rivelato in modo molto eloquente: ogni divinità ha un simbolo - spiegò, facendo un cenno alle cabine. Lo seguii con gli occhi e notai innumerevoli dettagli che non avevo captato: una civetta, un martello, un fulmine..
- Quindi dovrò aspettare uno di quei simboli.. - dissi, spostando gli occhi nuovamente sul centauro.
Lui annuì, sempre sorridendo. - Ma adesso vieni dentro, sarai affamata -
Alcuni tavoli esplodevano. Non potevano fare altro. Notai che il numero cinque fosse altamente agitato (un coltello era stato scagliato contro il tavolo numero sette, cosa che aveva provocato da quest'ultimo un'imminente vendetta). Al tavolo sei era in corso un dibattito molto acceso, ma diplomatico, mentre il tavolo nove era un passaggio di fogli e disegni, pastelli e carboncini, oltre che fili, forcine e bulloni. Il tavolo dieci lo evitai per principio.
Chirone continuò ad accompagnarmi fino a quello che doveva essere il tavolo undici. Ermes. Alcuni ragazzi mi gettarono addosso occhiate curiose, altri, forse fin troppo abituati a vederne di tutti i colori, continuarono a leggere il loro giornale (o a farne delle pagine aeroplanini di carta). Un ragazzo biondo mi guardò, invece, fin troppo contento.
- Luke - esordì Chirone - Posso affidartela, vero? -
Il ragazzo biondo (Luke il figlio di Ermes che era davvero davvero davvero davvero bello, devo dirlo) annuì, spostando gli occhi da lui a me. - Assolutamente, è un buone mani -
Il centauro mi diede una pacca sulla schiena e mi lasciò in balia di Luke. Ebbi un attimo di panico, quando mi allungò la mano. - Luke, tanto piacere - disse, continuando a sorridere.
- Jennifer - la strinsi (temetti di essere peggio del robot di prima).
- Siediti, siediti.. Andiamo Connor, falle spazio.. - bofonchiò, spingendo da parte uno dei suoi fratelli.
- Ehi ma che modi! - si lamentò lui, piazzandosi nel posto dalla parte opposta.
- Non fare il delicato, Connor, non ti riesce - intervenne una ragazza, che poi mi sorrise a sua volta - Siediti, Connor cede sempre il suo posto alle belle ragazze -
- Chi ha detto belle ragazze? - commentò Connor, notandomi solo in quel momento. - Oh.. -
Luke mi afferrò per la maglia, costringendomi a sedere. - Non fare commenti, Connor. Nemmeno tu, Travis -
Il ragazzo di fronte a Luke rise divertito, affogando poi la risata nel suo succo.
- Ehi Chris, non ridere della tua famiglia - intervenne una voce troppo simile a quella di Connor. Non ci potevo credere.
- Sì, sono gemelli - disse neutro Luke, come se mi avesse letto nella mente - Quando si dice la fortuna.. -
- Vero? Mamma lo diceva sempre - annuì serio quello che era Travis (o Connor?).
- Adesso lasciatela stare o scapperà dal Campo ancor prima di aver capito chi sia suo padre - li riprese Luke, porgendomi una scodella con frutta e cereali. Evidentemente doveva essere il capo della combricola.
In tutto quello scambio di battute, non ero riuscita a proferire parola. Mi sentivo a disagio, come se non dovessi essere tra quelle file. Ermes non era di sicuro mio padre, ma almeno accoglieva chiunque senza troppi problemi.
Cominciai a mangiare immersa nei miei pensieri. Avrei voluto mangiare con Tritone o Kevin, ma avevo perso di vista entrambi. Chirone sembrava sparito. Mi sentii incredibilmente sola.
Una mano si poggiò sulla mia spalla, riportandomi a terra. Luke sorrideva, gli occhi azzurri e lucidi (oh dei. . .).
- Se hai finito ti accompagno alla cabina undici, così ti puoi sistemare. E magari evitare che rubino la tua roba.. -


Mi guardò un attimo sconcertato quando uscii dalla cabina tre. Gli spiegai che avevo un permesso speciale, già terminato, ma non fece domande.
La cabina undici mi ricordava quelle immense sale d'attesa degli aeroporti (presente?). Dentro vi era di tutto. Ogni angolo personalizzato in modo diverso, ogni zona del mondo trovava il giusto spazio, ogni letto era opposto all'altro. Luke mi condusse nella zona più infondo, continuando a dirmi chi evitare e chi poter conoscere senza aver paura di ritrovarmi senza portafogli (erano pur sempre figli del dio dei ladri, no?).
Si fermò di fronte a un letto sotto la finestra: era carino, appena in disparte ma non troppo.
- Nella stanza accanto ci sono io - annunciò - Se hai bisogno, mi trovi lì. Sistemati e quando sei pronta raggiungimi che cominciamo il giro per le attività del Campo - concluse, sempre sorridendo (dei dei dei. . .).
Quando mi ritrovai da sola ebbi l'impulso di contattare mia madre. Mi maledii parecchio, non ero mai stata simpatizzante per i telefoni cellulari. Gettai tutto il contenuto del mio zaino sul letto, cercando una penna e presi il quaderno (ne portavo sempre uno con me, spesso avevo l'impulso di cominciare a scrivere.. scrivere qualsiasi cosa mi passasse per la testa). Strappai un foglio e mi sedetti sul letto, cominciando a scriverle. Chissà se avrei potuto inviarla o meno..
Quando alzai gli occhi dal foglio ne avevo riempito ben più della metà. Trattenni a stento un grido, rendendomi conto di essere osservata. Connor (o Travis?) mi fissava sorridendo, totalmente spalmato sul suo letto (tre brandine più in là).
- Scusa, non volevo spaventarti, ma ho perso ben trenta minuti di sonno, stanotte -
Alla faccia.
- Come mai? - chiesi, poggiando la penna sul foglio.
- Ho dovuto attuare un piano con Connor - continuò, facendo ciondolare il piede poggiato sulla gamba opposta. Okay. Era Travis.
- Che genere di piano..? - chiesi ancora, piegando la testa.
- Ah, di qui a breve vedremo i suoi sviluppi.. - ridacchiò tra sé, mettendosi seduto. Mi scutò per un po', fin troppo interessato. Mi sentii avvampare, quando si strofinò le mani e prese fiato.
Non fece in tempo a continuare che dei boati si levarono da fuori. Travis schizzò in piedi, incitandomi a seguirlo alla finestra. - Guarda, tu guarda.. - mi disse, addentandosi un labbro.
Non capivo a cosa si riferisse, ma osservai il cortile centrale, dove altra gente stava cominciando a radunarsi. Poi ebbi l'impressione di vedere un rossetto Maybelline New York partire a mo' di meteora dal nulla. Insulti in delicati e raffinati arcaicismi si levarono da un punto ben preciso: dalla casa di Barbie cominciarono a volare i più svariati oggetti di alta moda che avessi mai visto (una scarpa di Gucci atterrò proprio sotto la finestra).
Travis cominciò a ridere come un dannato, accasciandosi contro il davanzale. Non riuscii a non seguirlo anche io, quando fuori vidi Connor che moriva a sua volta, aggrappandosi alla spalla di Chris.
Non ridevo così tanto da quando avevo costretto Kevin a vestirsi da suora lo scorso Halloween.










WOOOOW!
ehilà! eccomi tornata xD
tranquilli che è già in progetto in capitolo number ciù ehehehe
che dire u.u comincerei coi grazie..
a tutte le persone che hanno recensito, ovvero:  Elizabeth_Lovegood (nonché preziosa consigliera dal bellerrimissimo avatar),  _Angel_ (con percy che divampa, YEAH!),  epoiboh_woman (a cui devo altre zollette),  mixer_smile (che  è cospiratoria quanto me, ehehehe. vi tengo sulle spine, eh) e nika_hades (ADE POWER, PER GLI DEI!)

a tutte le persone che la ricordano, ovvero:  nika_hades (mi devo preoccupare che ade mi perseguiti?) e  Marypotterheads10 (che già amo dal nome).
quelle che l'hanno messe tra le seguite, ovvero:  accio Black (la mia sistah), Elizabeth_Lovegood (woooow!), nika_hades (ora mi faccio due domande. . .), mixer_smile (sei everywhere ahahahah), epoiboh_woman (non lo fai solo per le zollette, vero..?),  giascali (mi commuovo, veramente..),  Lallyary_Jackson (dal cognome si capisce tutto, YO!)  e Marypotterheads10 (again <3).
quelle che l'hanno addirittura messe tra le preferite: Marypotterheads10 (<333) e nika_hades (gli inferi mi esigono, ormai è ufficiale).
davvero, non mia spettavo un simile afflusso, nemmeno jen, che è ancora in imbarazzo time per l'inserimento tra i figli di ermes (vorrei ben dire. OH DEI. . . ) ma vedrete che si scioglierà non appena si abituerà a certe presenze.
comunque comunque comunque.
spero vi sia piaciuto anche questo, mi sono divertita a scriverlo. mi piace guardare il campo attraverso i suoi occhi.
alla prossima, eh! non finisce qui, ehehehe.
*lancio di zollette*
stefi.





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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


CAPITOLO 2.
CAPITOLO 2.





La casa di Ermes non era affatto male, avevo cominciato ad ambientarmi fin da subito. I consigli di Luke si erano rivelati molto utili (continuavo ad avere tutte le mie cose, a parte quando Connor decideva di voler indossare una mia canotta, specie quella con la scritta "I LOVE HAWAII". La adorava) e avevo cominciato ad avere qualche amico. In qualche modo, mi sentivo felice.
Non solo: avevo finalmente conosciuto il direttore del campo, niente meno che il dio Dioniso in persona! Tutti lo chiamavano signor D. Un nome da boss, di quelli che rimangono impressi. Almeno quanto la sua camicia leopardata, si intende.
Ammetto che avrei volentieri sorseggiato con lui del buon vino, ma ciò non avvenne. Mi guardò, massaggiandosi la barbetta e l'unica cosa che mi disse fu: - Come hai detto che ti chiami? -
- Non l'ha detto, in realtà - era intervenuto Chirone, prima di sparire all'allenamento di tiro con l'arco.
- Ah, giusto - disse il dio, aggrottando la fronte - Dunque, me lo dici come ti chiami o no? -
- Ah sì, certo. Jennifer, ma anche Jen o Jenny va bene - dissi, stringendo le labbra.
- Bel nome, Penny, bel nome -
- Ho detto che mi chiamo.. -
- Allora Penny, vedi di non fare casino in giro per il campo o ti trasformo in un grappolo d'uva, ci siamo capiti? -
- Ma.. -
- A mai più rivederci, Penny -
Finta lì.
Quella mattina sarei andata con Travis a far visita alla casa di Efesto. Era convinto che avessi bisogno di un'arma e i figli del fabbro degli dei non avrebbero di certo rinunciato a ribaltarmi come un calzino per trovare quella perfetta.
- Oppure i figli della Cervellona, loro se ne intendono in diverso modo.. - continuò, pensieroso.
- Cervellona? Ah. Ti riferisci ad Atena, giusto? -
Lui annuì in silenzio, corrucciato in faccia e nel profondo.
- E in che modo se ne intendono, loro? - domandai, mentre mi abbassavo a schivare un ramoscello di vite danzante, appoggiato al muro della casa di Dioniso.
- Nel senso che loro guardano più il legame che c'è tra il soldato e l'arma che impugna. Si chiama strategia militare, quella che nasce tra il contatto giusto tra guerriero e arma in suo possesso, mi segui? - spiegò.
- Abbastanza -
Atena era la dea della saggezza, ma anche dell'arte della guerra. Era una cosa ben diversa, rispetto alla guerra stessa. O almeno, così Travis mi aveva lasciato intendere. Con gli occhi corsi verso l'edificio rosso, la casa di Ares: era come se il caos dovesse regnare sovrano, sennò nessuno sarebbe stato apposto con sé stesso.
Continuammo a camminare fino ad un edificio in mattoni, più simile a quegli stabilimenti che si incrociano nelle periferie di grandi città industriali.
- Aspettami qui - disse Travis, lanciandomi un occhiolino.
Okay, non sono stata del tutto sincera. In un certo qual modo ero convinta che Travis ci stesse provando con me. Non so, chiamatelo istinto femminile (spero Afrodite non mi senta). Sarà che ogni volta che cominciavo a vagare a caso per il Campo compariva lui a indirizzarmi verso la direzione giusta o anche perché aveva preso l'abitudine ad aspettarmi ogni mattina per andare a far colazione assieme (e ciò significava alzarsi in orario, perché io sono sempre in orario. Per lui doveva essere un trauma). Avevo cominciato a distinguerlo da Connor perché, ogni volta che era l'ora di pranzo o cena, cominciava a lanciarlo dalla parte opposta del tavolo rispetto a me. Era molto gentile, certo. E poi aveva un piccolo taglietto sul sopracciglio destro che lo rendeva quasi tenero. E gli occhi blu, grandi. Ma.. questo è un altro discorso. E poi non fanno per me, queste cose.
Andiamo avanti.
Guardai il profilo di Travis entrare nella cabina come se la conoscesse benissimo. Mi sedetti sugli scalini all'ingresso e attesi, fino a che un tonfo non mi fece sobbalzare sul posto.
- Accidenti! - si lamentò una voce. Quando mi voltai, vidi una ragazza piegata su una cassetta degli attrezzi, intenta a raccoglierli. Alzò un momento gli occhi su di me e fece una specie di smorfia. Aveva il volto appena paffuto e coperto di fuliggine.- Oh, scusami, non volevo essere.. Mh, lascia perdere, scusami -
La raggiunsi istintivamente e le diedi una mano a raccogliere un paio di chiavi inglesi, un martello e qualche vite e bullone. - Nessun problema, può succedere.. -
- Già, a me succede sempre, vorrei avere la stazza dei miei fratelli - confessò, accennando una risata.
Era vestita con una tuta da lavoro, come quelle che indossano i meccanici nella loro officina. La sua però era altamente personalizzata: tagliata fin sopra il ginocchio, con una cintura borchiata di pelle nera in vita; aveva una bretella allacciata e una no, che lasciava intravedere la maglietta arancione del Campo che avevo anche io. Gli anfibi erano il tocco finale, assieme ai capelli (che dovevano essere biondi, ma in realtà erano in alcune zone color carbone) stretti e legati in uno chignon alla buona, che lasciava ricadere qualche riccio ribelle.
Aveva gli occhi azzurri, talmente azzurri che spiccavano da soli tra il nero che aveva in testa e sulle guance.
- Grazie - esordì, poi mi sorrise. Era davvero bella, nonostante la tenuta mascolina. Mi tirai su, sorridendole a mia volta.
- Sei nuova? - chiese, poggiando la cassetta sulla ringhiera di ferro del balcone.
- Si sono qui da quattro giorni -
- Allora benvenuta - sorrise ancora, togliendo i guanti da lavoro - Sei già stata riconosciuta? -
- Ahm - ebbi una stretta allo stomaco - No, ancora no.. -
La ragazza mi guardò un momento, poi annuì piano. - Vedrai che succederà, magari il tuo genitore divino è impegnato in qualcosa di..divina importanza - rise tra sé, scendendo i gradini dell'entrata principale.
Raggiungemmo il lato ovest dell'edificio e prese a sciacquarsi mani, braccia e viso, infilando un berretto con la visiera (con la scritta sopra TEAM EFESTO). - Ecco, adesso direi che va meglio - disse, prendendo un bel respiro - Mi chiamo Yashila e sono figlia di Efesto - disse, allungando una mano - Ma tutti mi chiamano Shila -
- Jennifer - le dissi - Ma tutti mi chiamano Jen.. -
Quando le strinsi la mano non avevo ancora compreso che lei sarebbe diventata una delle fortune più grandi che avrei avuto nella mia vita.
Passai metà mattinata in sua compagnia. Mi raccontò di essere nata in India, sua madre era un ingegnere meccanico. Vivevano in una delle zone delle vecchie colonie inglesi, sua madre aveva origini londinesi. Efesto aveva evidentemente trovato quella donna di notevole interesse.
Notai come non riuscisse a tenere mai troppo le mani ferme e che tenesse una matita poggiata sull'orecchio. Di punto in bianco cominciava a disegnare e scarabocchiare progetti sul quadernetto che teneva nella tasca davanti della sua tuta, mentre parlava di tutt'altre cose. La trovavo geniale.
Mentre dondolavo sull'altalena dietro la cabina di Efesto, Travis riapparì.
- Ah, ma allora sei vivo - dissi, ridacchiando.
- Devo ridere? - commentò - Ciao Shila.. - sorrise poi, con un cenno di capo - Beckendorf ha ovviamente accettato, dovrai solo dirgli che arma vedi per te -
Grande. Ovviamente io ero un asso negli armamenti.
Shila dovette aver notato la mia espressione afflitta. - Tranquilla - cominciò, poggiando una mano sulla spalla - Puoi cominciare con una spada qualsiasi, quando poi sarai più abile e controllerai i suoi istinti gliene chiederai una specifica, mio fratello non dice mai di no se qualcuno ha bisogno d'aiuto -
- Confermo, è una buona idea - intervenne Travis.
- Potremmo andare alla cabina di Atena a chiedere consiglio, comunque. Un'arma ti servirà sempre, specie per la Caccia alla Bandiera di domani -
- Caccia alla che..? - domandai, aggrottando la fronte.
- Non glielo hai detto, Travis? -
Il ragazzo rimase marmoreo una frazione di secondo, poi cominciò a parlare a raffica. - Volevo lo scoprisse a cena stasera. Si sarebbe divertita di più! -
Shila era, invece, scioccata. - Certo, a finire a pezzettini nella foresta! -
Fissai Shila, poi Travis, poi Shila, poi di nuovo Travis.
La figlia di Efesto guardò il figlio Ermes (che sembrava volesse diventare un lillipuziano) con aria di serio rimprovero. Poi si alzò, scuotendosi i pantaloni. - Ce ne occupiamo noi. Farò fare a Beckendorf l'arma più leggera e adatta a te mentre Travis ti insegnerà le tecniche base di difesa, vero Travis? - gli ruggì in faccia Shila.
- Sìssignora - scattò lui.
Mi prese a braccetto e cominciammo a correre verso l'arena da combattimento. Non avevo ancora un padre e continuavo a incontrare una morte certa.
Questa cosa del padre divino cominciava a piacermi sempre meno.


L'allenamento con Travis non era andato un granché. Anzi, se devo proprio dirlo, era andato uno schifo.
Avevo costante paura di fargli male e la spada che Beckendorf mi aveva fatto, non era l'arma giusta per me. Quando la scagliai contro gli spalti, sentii Shila imprecare in greco, prima di rotolare all'indietro nell'intento di schivarla.
- Non sono fatta per lottare, basta! - mi lamentai, sfilando l'elmo e lanciandolo a terra. Travis mi saltellò vicino, tentando di starmi dietro.
- Andiamo, andiamo, andiamo! - cominciò - Non ti arrendere adesso! -
- No, Travis, non sono salvabile -
- Magari con Luke andrà meglio.. - cominciò.
- O magari con noi -
Quella voce poco familiare mi costrinse a voltarmi. Dietro di noi Shila ci stava raggiungendo assieme ad un gruppetto di ragazzi e ragazze in armatura da combattimento. Avevano piume rosse sugli elmi e parlottavano tra di loro, commentando con termini non propriamente simpatici. Sentii Travis sogghignare piano.
- Ah, Travis, che bello vederti -
- Come sei simpatica Clarisse, davvero, non reggo l'allegria - disse lui, facendo una smorfia divertita.
Non so esattamente spiegarle, queste cose, ma si sente a pelle quando due persone non si sopportano. Quei ragazzi non ci sopportavano. A prescindere da tutto, sentivo che ci avrebbero voluti spiaccicare al muro e torturarci fino a che non si fossero stancati.
Una cosa divertentissima da fare tutti assieme.
- Chi è questa pivella? - disse la cosiddetta Clarisse, puntando la punta della sua lancia verso di me.
- Non sono fatti tuoi - tagliò corto Shila, piazzandosi di lato a me con le mani sui fianchi.
- Oh beh, se vuole conoscermi. Jennifer, tanto piacere - dissi, sfoderando il mio finto sorriso peggiore.
A Clarisse questa cosa non dovette piacere. Notai che la presa sul manico dell'arma si fece più forte, poi tutto nella sua espressione cambiò, quando un nuovo arrivato gli porse una mano sulla spalla.
- Andiamo, sorella, dovresti essere cortese coi nuovi arrivati - disse, costringendola a girarsi.
- Ma.. -
- Va tutto bene, si è presentata come hai chiesto o sbaglio? -
Aveva la voce pacata, estremamente più pacata rispetto a quella della sorella e soprattutto una presenza più composta e meno gradassa. Non si scomodò troppo, rimase fermo ad aspettare che Clarisse tornasse a respirare regolare, poi puntò lo sguardo verso di noi. Fece un cenno a Shila.
- Ciao David - disse lei, alzando appena il mento.
- Yashila, Trevis - salutò - Come mai qui nell'arena? -
Shila fece una smorfia contrariata a sentire il suo nome per intero, ma Travis prese parola prima che lei potesse dire chissà cosa. - Nuova arrivata. Specie di allenamento - decretò, come se fosse un telegramma umano.
- Ah, capisco - commentò lui, stranamente interessato.
Clarisse dovette cogliere la stessa nota pungente, tanto che sorrise (quasi) allegra, puntando gli occhi verso il fratello.
- Andiamo Dave, insegnale qualche bella mossa - canzonò, poggiandosi contro la lancia.
Travis scoppiò in una risata isterica. - Certo Clarisse, così la farebbe a pezzi! -
- Appunto - bisbigliò lei.
Grazie tante.
Mi crebbe un moto d'ira dentro, talmente forte che stoppò perfino la risata del figlio di Ermes. Lo scansai e mi piazzai di fronte al gruppetto di fantocci in armatura greca che, adesso, mi fissava senza espressione. Okay, forse non era stata la mia mossa più intelligente.
Dave superò Clarisse e si fermò di fronte a me. - Allora? Ti va? -
Da sotto l'elmo apparvero due color cioccolato fondente. Mi parve quasi di scorgere un bagliore rosso, accennato dal semibuio in cui erano immersi.
Non abbassai minimamente gli occhi, mentre annuivo. - Puoi giurarci -
Raccattò il mio elmo da terra, facendo allontanare tutti gli altri, poi me lo lanciò. - Mettilo, non vorrei sfregiare il tuo bel faccino -
Avevo voglia di prenderlo a pugni, ma non dissi di no, tenendolo sotto braccio. Quando feci per metterlo, lui fece l'esatto opposto. Lo tolse con estrema velocità e lo poggiò bruscamente tra le braccio di una Clarisse fin troppo esaltata.
Aveva i capelli neri, mossi, e la pelle appena ambrata. Il viso era appena corrucciato, ma a differenza degli altri, il suo sembrava naturalmente così, senza alcun pensiero cinico verso chi avesse di fronte. Mi sentii a disagio.
Sfoderò la sua spada e la roteò piano, girandomi intorno. - Passale la tua spada, Travis - ordinò.
Travis tentennò, poi fece qualche passo verso di me, spinto appena da Shila. Afferrai l'elsa rivolgendogli un piccolo sorriso, poi mi riconcentrai sul ragazzo che continuava a muoversi, scrutandomi.
- Non so se lo sai.. - disse la voce (irritante) di Clarisse.
- Che cosa dovrei sapere? - dissi, irritandomi.
- Che io e i miei fratelli, incluso Dave, siamo figli di Ares - continuò, col suo solito ghigno - Il dio della guerra -
Mi si strinse lo stomaco. Fantastico, avevo a che fare con un pazzo isterico voglioso di far fuori chiunque. Avrei voluto il tempo per scrivere un testamento..
- E quindi? - feci, tentando di sembrare la persona più tranquilla del pianeta.
- Quindi Clarisse adesso tace o non ci possiamo concentrare, vero sorellina? - intervenne Dave.
La figlia di Ares ringhiò appena, ma non proferì parola. Doveva avere proprio un certo contegno soltanto con lui.
Dave, dal canto suo, non azzardava a togliermi gli occhi di dosso. Più che un insopportabile foglio del dio dei bulli, sembrava un vero e proprio stratega. Feci mezzo passo all'indietro e lui dovette coglierlo come un cedimento. Mi corse incontro e mirò un fendente dritto dritto alla mia spalla. Mi sporsi appena in tempo per parare il colpo e le lame si scontrarono con un rumoroso CLANG!
Non ebbi nemmeno il tempo di rimettere apposto le idee che lui cominciò a colpire di nuovo, non lasciandomi il privilegio di pensare a niente. E, cosa strana, riuscivo perfettamente a stargli dietro. Era come se il mio corpo fosse fatto per questo, come se dovessi impegnarmi a seguire i miei istinti, lasciando liberi i miei sensi di decidere da sé.
Purtroppo, i bei momenti in cui mi sentii una vera eroina durarono poco.
La spada di Dave colpì un po' troppo forte e barcollai all'indietro, perdendo l'equilibrio. Ne approfittò per colpire di nuovo, ma riuscii ad abbassarmi appena in tempo, centrando un colpo perfetto. Lo sentii ringhiare come la sorella. Non gli era piaciuta la cosa.
Quando mi rimisi in piedi, i suoi occhi erano più rossi (nessuna congiuntivite, era proprio incacchiato).
- Tu.. - sibilò.
- Jen, preferisco -
Prese la carica e lanciò un grido di quelli che avrebbero spaventato qualsiasi persona a cui l'avrebbe rivolto. Me inclusa. Ebbi l'impulso di gettare la spada e correre dalla parte opposte, ma qualcosa costringeva i miei piedi a rimanere ancorati sul posto: paura, semplice pura paura.
Dave affondò due colpi di seguito, che riuscii a malapena a schivare, roteando su me stessa. Continuava a starmi addosso, in preda alla rabbia, e la lama della sua spada mi affettò l'unica ciocca che non era riuscita a rifugiarsi sotto l'elmo.
Sentivo le braccia pesanti, come se l'ansia che si era depositata alla base del mio stomaco avesse intaccato la mia concentrazione e determinazione. Di nuovo, capii che era su questo che lui aveva giocato.
Colse l'attimo in cui abbassai la guardia mi disarmò, facendomi poggiare contro il pettorale della sua armatura, la spada contro la mia gola: era gelida e splendente allo stesso tempo. Sentii il suo respiro calmarsi poco a poco e non abbassò l'arma fino a che i figli di Ares non esplosero in un boato di grida e risa.
Spinsi via le braccia di Dave e me ne liberai, togliendo l'elmo e gettandolo per l'ennesima volta a terra. Avrebbe raggiunto i suoi fratelli e si sarebbe vantato come un idiota fino allo sfinimento e non avevo proprio voglia di rimanere lì a sentirlo.
Mi chinai a raccogliere la spada di Travis.
- Ah-ah! - mi canzonò la voce di Clarisse - Ci vediamo quando pulirai i gabinetti, pivella! -
- Finiscila Clarisse - tagliò corto Dave, che non aveva proferito parola.
L'unica cosa che fece fu riprendere il suo elmo e tornarsene da dove era venuto. Era davvero figlio di Ares o era stato adottato?
Clarisse, come al solito, non disse nulla. Chiamò a raccolta i restanti figli di Ares e seguì il fratello, continuando a sghignazzare alle mie spalle.
Mi voltai verso il figlio di Ermes e gli porsi la sua arma, prima di salutare lui e Shila e partire dalla parte opposta dell'arena, con l'unico desiderio di sparire per almeno le prossime due ere.


A cena la tavolata di Ares era allegra. Clarisse aveva raccontato la mia disfatta circa sette volte, poi si era concentrata a coinvolgere tutti i suoi fratelli a ridurre rapati a zero almeno tre quarti dei membri della casa di Apollo. Notai Dave intento a mangiare e parlare cauto assieme a due ragazzi. Non dava soddisfazioni alle chiacchiere di Clarisse, anzi, se ne stava per i fatti suoi.
Quando si voltò verso di me mi rivolse un ghigno divertito, prima di tornare a fare come se non esistessi.
Divorai il mio polpettone come se dovessi soffocarmi (i miei istinti suicidi non avevano fine).
Luke si fece strada tra i figli di Ermes stra esaltati e si piazzò di fronte a me, sorridendo come al solito. Non l'avevo visto per tutto il giorno. Pensai fosse parecchio impegnato con gli affari che ha di solito un capo cabina (qualunque essi siano) o cose del genere.
- Allora, oggi è andata bene? - mi chiese, rubandomi una patatina. Proprio figlio di suo padre.
- Una meraviglia - mentii.
Non potevo dirgli che mi sentivo a pezzi. Che avevo le braccia a pezzi. Che avevo i polpacci a pezzi. Che non avevo più una ciocca di capelli. Che ero una vigliacca.
- Travis ha detto che hai avuto il tuo primo combattimento - continuò - Coraggioso, per una semidea con zero esperienza -
Le parole di Luke mi colpirono in faccia come una secchiata di acqua gelida. Coraggiosa io? Ma per favore..
- Domani ti allenerai con me, ti va? - disse, rubandomi l'ennesima patatina.
- Io e te? Luke, io non ho speranza -
- Ti voglio nella mia squadra nella Caccia alla Bandiera - decretò - Un ottimo motivo per farla pagare anche ai simpatici figli di Ares - confessò, facendomi l'occhiolino. Si alzò e tornò al suo posto, lasciandomi a fissare il pasto. Poi i miei occhi corsero al profilo di Dave che adesso si piegava in avanti, ridendo come un matto assieme ai suoi fratelli. Storsi la bocca: dovetti ammettere che il modo di ragionare di Luke mi andasse parecchio a genio.
Per la prima volta dopo tre giorni mi ricordai che Kevin era sparito. E mi arrabbiai parecchio. Insomma, era il mio migliore amico. Okay che aveva tutti i parenti qui attorno (da qualche parte, in qualche pino o cespuglio che fosse) ma io non avevo radici. E di sicuro non avevo pidocchi della piante, quindi, perché evitarmi?
Vagando con lo sguardo beccai i ricci ribelli di Shila, al tavolo di Efesto. Mi sorrise apertamente, poi arrossì, sparendo dietro al spalla monumentale di Beckendorf. Mi chiesi se fossi effettivamente così spaventosa.
Uno dei figli di Ermes (che avevo scoperto si chiamasse Brandon) mi poggiò una mano sulla schiena, piegandosi ad afferrare la frutta davanti a me. Puntò gli occhi nella stessa direzione in cui Shila era sparita, facendo finta di niente. Poi mi sorrise e tornò a sedersi vicino a Chris, gettando ogni tanto qualche occhiatina al tavolo di Efesto.
Shila riaffiorò poco dopo, lanciandomi uno sguardo della serie "Non ti azzardare a commentare". Non mi azzardai a farlo.
Travis insistette per accompagnarmi alla cabina. - Mi dispiace - disse, infilandosi le mani in tasca.
- Non è colpa tua, faccio pena di mio, Travis - risi, mettendo apposto la ciocca a metà.
- No, davvero. Penso Luke farà meglio di me. Lui è il migliore qui.. -
Annuii col capo. - Può essere, ma penso che tutti siano migliori, qui, rispetto a me - dissi, guardando il ragazzo biondo due file davanti a me.
Luke rideva con una delle sue sorelle e, in un certo senso, la sua presenza rasserenava anche me.



L'unica cosa che volevo era gettarmi a letto e spiaccicarmi il cuscino in faccia, fino a farmi auto-soffocare (di nuovo).
Invece, sognai.
Stavolta il segno era estremamente opaco. C'era così tanto fumo che gli occhi cominciarono a lacrimarmi nel sogno (o anche nella realtà?) e avanzai a tentoni, salvandomi al pelo dal beccarmi un tavolo in pieno stomaco.
Quando cominciai a vedere meglio, una figura enorme prese forma, poi il rumore di un battere incessante: quello di un martello. La barba era in fiamme e illuminava più di qualsiasi altro faro dell'officina. Tossicchiò e si asciugò la fronte con il braccio. Non ci mise poi molto ad accorgersi dello sguardo imbambolato e idiota che lo stava fissando (il mio).
- Oh! - disse, fermando il martelletto a mezz'aria. Come diamine faceva un martellino del genere a stare in una manona di quelle dimensioni?!
Rimasi immobile con la bocca semiaperta. Stavo dando proprio una bella impressione.
- Avanti, ragazzina, non fissarmi così - disse, dando un ultima martella(tina).
- Signore..divino..Efesto? - bofonchiai, rendendomi conto del caldo infernale solo in quel momento.
- In divina persona - annuì, guardando il suo operato attraverso una lente. - Come mai sei..? Oh, immagino sia tu la destinataria di questo, quindi non ha senso io ti faccia fuori -
Efesto era proprio simpatico.
- Ha una cosa per me, signore? - chiesi, facendomi aria con la maglietta.
Lui annuì pensieroso. - Tuo padre. Sempre bravo a rompere, rompere qualsiasi cosa eh, ma a rimettere apposto direi di no -
- Mio padre? Mio padre le ha detto di.. -  Lui alzò un sopracciglio scuro. - Mio padre le ha detto di darlo a me? Lei sa chi è..? Può dirmelo? Voglio dire, signore, divino Efesto, signorissimo.. solo se vuole, insomma.. - presi fiato (per quanto ossigeno potesse esserci lì dentro).
- Ehi ehi ehi, calma! - tuonò, scoppiando poi in una risata fragorosa. - Sei una miccia accesa, ragazzina, mi sei proprio simpatica -
Sciolsi le spalle e mi poggiai contro il tavolo da lavoro. Dovevo essergli apparsa come una stupida idiota.
Nonostante le mie paturnie, il dio si avvicinò e si abbassò alla mia altezza, porgendomi il palmo della mano aperto. - Questo è tuo - disse, semplicemente - Tuo padre vuole lo abbia tu. E' aggiustato, poiché dopo l'ultima battaglia contro gli Achei non ne era uscito molto bene. Già dalla prima battaglia contro i Titani aveva qualche acciacco, ma è comunque resistito abbastanza, a parer mio -
Fissai gli occhi di fiamme di Efesto, prima di guardare l'oggetto nella sua mano. Aveva l'aria di essere un semplice braccialetto, uno di quelli di ferro abbastanza spessi. Era dorato, completamente dorato, senza alcuna decorazione. Lo presi titubante.
- Non porti troppe domande, giovane semidea - cominciò Efesto, tirandosi su - Arriverà il momento in cui potrà rivelarsi, soltanto se tu accetterai di portare quello che lui ti ha affidato - aggiunse, facendo un cenno al bracciale che stringendo fra le mani.
- Ma signore lei non può.. -
Il dio scosse piano la testa, come se mi avesse letto nel pensiero. - Lo farà lui, non sarò di certo io a prendere il suo posto. Chi lo sente, poi. Quando si lamenta sa essere peggio di Zeus -
Un tuono risuonò il lontananza e il dio sbuffò, alimentando le fiamme sulla sua barba. - Ora va, semidea, ci rivedremo - mi disse, prima di diventare un'immagine di nuovo opaca e oscillante.
Mi svegliai di soprassalto e guardai l'interno della cabina. Tutti dormivano tranquilli.
Odiavo questa connessione onirica, la odiavo a morte. Mi alzai e raggiunsi il bagno, gettando la faccia sotto l'acqua, quando avvertii un certo peso al polso.
Con un gesto molle accesi la luce e per poco non ebbi un infarto: il bracciale era ancorato lì.











hello there!
sono abbastanza in euforia perché manca poco, davvero poco a voi-sapete-cosa *tom riddle mode*
che ne dite? non trovate simpatici i figli di ares? io sì, mi fanno morire AHAHAHA
ma basta, basta, perché sennò do' di matto.
grazie grazie grazie a chiunque abbia letto fino a qui (e leggerà altre)
a chiunque sia passato per puro scassamento di balls (più comunemente noto come noia)
e a chiunque sia interessato davvero a questa donna.
e comunque correte a vedere grover in abito da sposa perché è davvero S-E-C-S-I.
ciao u.u

ps: ambrosia a tutti.
pps: dioniso nel film sarà un boss, per gli dei :D


..Sì, Penny, okay, però non dovresti farmi pubblicità occulta
No, signore, divinissimo Dioniso, lo facevo solo per..
Niente storie, sei o non sei un membro del mio Campo? Io necessito del meglio, Penny.
Mi chiamo Jenny.
Cioè, Penny, se proprio devi farla, falla bene: chiama Ermes e fagli mandare messaggi ovunque su twitter, chiama Efesto e fagli sintonizzare tutte le reti, specie la CNN, chiama tutti quei semidei seccanti del campo e fagli appendere miei manifesti ovunque, chiama..
Va bene, va bene, va bene, evitiamo la pubblicità!
No ma io adesso la voglio. La esigo.
Dioniso non ti pare di esagerare?
Chirone, torna a trottare.
...



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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


CAPITOLO 3.
CAPITOLO 3.







Cantami, o Diva del Pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzitempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi..

STOP.
No, no. Nessun proemio omerico, non per la figura che avrei fatto quella sera.
Dopo colazione un figlio di Atena mi aveva raggiunto fuori dal refettorio, fin troppo incuriosito. Si chiamava Ruth, aveva i capelli nerissimi e gli occhi grigi, un bel paio di occhiali rayban poggiati sulla testa e un sorriso smagliante. - Hai chiesto di incontrare uno di noi, vero? -
- Effettivamente no -
- Shila mi aveva detto di sì -
- Allora..sì -
- Bene -
Parlammo un'ora buona, seduti sugli scalini della casa di Atena. Tentò di spiegarmi il meglio possibile l'importanza di avere un'arma propria e quello che Atena definisce "strategia".
- Significa sapersi muovere nel mezzo del campo di battaglia come se fossi sempre stato lì in mezzo. Come se la battaglia fosse un bel pic nic -
- Siete troppo positivi. Una battaglia potrebbe sembrare di tutto, ma non l'avrei mai paragonata ad un giardino felice colmo di tramezzini -
Ruth scoppiò a ridere, poi si bloccò all'improvviso, osservando il mio polso. - E quello cos'è? -
- Un bracciale -
- Dove lo hai preso? -
- Non mi crederesti, me lo ha.. -
- Mi pare di averlo già visto.. - mi bloccò, lo sguardo come se il suo cervello stesse lavorando alla velocità della luce. - Senti, ti vengo a cercare dopo, devo fare una mini ricerca - aggiunse in fretta.
E sparì, dileguandosi all'interno (gli occhi della civetta, a quel punto, mi ficero intuire fosse meglio sloggiare).
Passai il resto della mattina ad allenarmi con Luke e mi aveva distratto non poco. Mi aveva quasi, potrei dire, convinta del fatto che avrei migliorato davvero e sarei diventata un'ottima spadaccina. Almeno fino a che non mi ero ritrovata sola nell'armeria.
- PERCHE'? PERCHE' DEVO ESSERE FIGLIA DI UN DIO?! - continuavo a urlare, demolendo la fronte contro il muro.
Insomma, comprendetemi. Non avevo niente di divina importanza. Niente che potesse rendersi utile, durante la caccia alla bandiera. Per di più, le spade mi facevano schifo, ma a Luke non riuscivo a dirlo. Guardarlo contento e convinto di poter cavare qualcosa di buono in me, mi bloccava.
Al diciottesimo bocciare tra la mia testa e il muro mi fermai, sedendomi a terra. Il braccialetto privo di qualsiasi segno familiare o messaggio promozionale rifletteva la mia immagine: tutto quello che vedevo erano un ammasso di capelli neri, gonfi, sparsi qua e là. Due occhi nocciola - i soliti miei occhi nocciola - quelli di una ragazzetta come un'altra, di quelle che incroci alle fermate dell'autobus con l'iPod alle orecchie e la testa chissà dove, persa nella musica a palla.
La musica, dannazione. Mi mancava da morire. A volte avevo l'impressione di avvertire un vuoto nel petto, specie quando mi sentivo sola o avevo bisogno di ratagliarmi una fetta di mondo. Chissà se avrei potuto avere un iPod..
Uscii dall'armeria che era ora di pranzo. Corsi alla cabina di Ermes e mi cambiai in fretta, senza dare troppo nell'occhio. Travis mi lanciò uno sguardo incuriosito (penso fosse per il fatto che stessi zitta per più di tre minuti) e gli sorrisi di rimando, tentando di sembrare il più naturale possibile.
Mi affiancò senza dire una parola, quando vide che ero pronta, poi non ce la fece più. - Stai.. bene? - chiese, cercando di non tentennare.
- Benissimo - risposi, afferrando i capelli a caso e legandoli in una coda stretta.
- Senti, volevo dirti che.. Si ecco.. Mi dispiace non averti detto niente, della Caccia alla Bandiera - disse, con un tono che non avevo gli mai sentito usare.
Quando incrociai i suoi occhi blu capii che fosse veramente veramente preoccupato. E la cosa, ammetto, mi lusingò non poco.
Presi un bel respiro e gli sorrisi di nuovo, stavolta più convinta. - Sta tranquillo, Travis, è tutto apposto. E poi ci sarai tu a coprirmi le spalle, no? -
Lui sobbalzò appena, poi annuì convinto. - Ci mancherebbe, non ti lascerò di certo in balia dei cinghiali! - (alias, figli di Ares)
Scoppiai a ridere, spingendolo piano oltre la soglia delle camere. Lo trascinai fuori, dove Shila stava poggiata contro il pilastro. Ci salutò con un mezzo sorriso dei suoi e si diresse con noi fino al refettorio.
Come al solito, i tavoli erano in subbiglio. Dioniso sedeva al tavolo principale, senza curarsi della presenza di nessuno, se non del tavolo dei suoi figli. Vi era solo qualcosa di insolito: Chirone sedeva accanto a lui e, al suo fianco, Tritone era riapparso.
Non capii se mi avesse notata o meno, ma continuai a guardarlo, tentando di leggere il labbiale. Captai ben poco, dato il chiasso dei miei compagni di tavolo e della premura di Travis a riempirmi il piatto di qualsiasi cosa gli passasse davanti.
- Ehi, stai bene? - mi domandò Brandon, sedendosi di fronte a me. Lo fissai un momento, poi annuii. Lui sorrise, poi aspettò che Travis si fosse distratto e si chinò in avanti. - Devo chiederti una cosa - cominciò, quasi sibilando.
- Certo - gli dissi - Dimmi..pure -
Brandon prese un bel respiro. - Conosci Shila, vero? -
- Sì, perché? -
- Sai per caso se.. Ha qualcuno che.. Hai capito - buttò fuori in fretta, gesticolando con una mano.
- Ho capito..? -
- Non hai capito? -
- Non ho capito..cosa? -
- Quello che volevo dire -
- Cosa volevi dire? -
Il figlio di Ermes mi fissò preoccupato, poi alzò appena le sopracciglia. Okay, non ero di sicuro figlia di Afrodite.
- Ah, no, no - scossi in fretta la testa - Non ha nessuno.. Ho capito, adesso -
Lui sorrise fin troppo compiaciuto, ma non aggiunse altro.


Kevin sembrava non esistesse. Era completamente sparito dalla circolazione: nessun biglietto ("..auto sparita, potevate morire, potevate essere visti!" Ah, quanto mi piaceva Molly Weasley..  Harry Potter, presente?), nessun messaggio, nemmeno un segnale dal cielo. Mi aspettavo di tutto, ne ero sinceramente pronta, ma lui non aveva ritenuto importante rendermi partecipe della sua vita.
Vagai per il bosco circostante le capanne, fin giù al laghetto delle canoe, perfino i campi di fragole, ma nessuno dei satiri aveva idea di dove fosse il mio amico. Per la prima volta dopo giorni in cui cospiravo alle sue spalle, mi resi conto di quanto Kevin mi mancasse.
Un amico come lui non lo avrei rimpiazzato con nessuno.
Persa nei miei pensieri, mi ritrovai al tiro con l'arco. Non c'era nessuno, a parte un ragazzo biondo due spanne più alto di me, con un'aria vagamente familiare. Eppure ero sicura di non conoscerlo affatto..
Intercettò i miei passi e alzò il viso dalla sua sacca di cuoio, fissandomi. Lo fissai anche io.
- Beh? -
- Eh? - riuscii a dire. Aveva davvero un'aria familiare..
- Che fai, tiri o no? -
- No, direi proprio di no -
- E allora per quale motivo sei qui? - Domanda lecita.
- Non lo so, sinceramente - Grande risposta.
Mi squadrò incerto, alzandosi in piedi. Intascò un piccolo oggetto metallico color oro e poggiò la tracolla sulla spalla. - Non puoi ignorare i bersagli, comunque - continuò, come se nulla fosse. Si allontanò verso quelli più distanti, tirando via alcune frecce, dorate anch'esse. Lo aspettai, immobile.
- Vuoi tirare? - chiese al ritorno, impalandosi davanti a me.
- Io..ti ho già visto - decretai, ignorando la domanda.
- Probabile. Sai, il Campo Mezzosangue.. Ci vivi anche tu.. - disse, trattenendo una risata.
- No, no, sto dicendo - scossi in fretta la testa - Fuori da qui -
Il ragazzo aggròttò di nuovo la fronte, facendomi balenare in testa di nuovo un'immagine sfocata di qualcuno che gli somigliava fin troppo. Non riuscivo a capire perché, ma ero pronta ad ammettere che mancasse soltanto un passo alla risposta. Lui continuò a fissarmi, poi notò il bracciale al mio polso e rilassò il viso, sorridendomi. Mi porse l'arco che aveva in mano e una freccia, attendendo.
- Vuoi che tiri? - chiesi. Lui annuì, incrociando le braccia e facendo qualche passo indietro. Alzai le spalle e incoccai la freccia, tendendo l'arco.
- Ah-ah, ti piacerebbe -
- Che cosa..? - non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase che il biondo mi aveva fatto virare di 45°. Assottigliai gli occhi. - No - decretai - Sarà almeno a un raggio di cento metri! -
- Centosessantasette, per la precisione - mi corresse - Chirone ha sbagliato di due centimetri. Capita -
- Non ce la farò mai, potrei beccare quel gruppetto di figli di Atena e sicuramente non sarebbe piacevole - conclusi, riporgendogli l'arco.
- Non cercare scuse, tira - mi rimproverò. Okay, cominciava a sembrare mia madre.
Respirai a fondo, rilassando i muscoli. Riappoggiai la freccia sulla corda e  chiusi un occhio, calibrando la traettoria. Per un momento fu come camminare verso il bersaglio (o magari il contrario). Riuscivo a sentire chiaramente la brezza e vedere ogni possibilità di cambiamento. Sapevo per certo che avrei dovuto aspettare quella corrente d'aria passasse o si abbassasse, per centrare il punto rosso, così vicino da poterlo quasi sfiorare.
Sentivo le dita prudere, ma non ancora a sufficienza, nemmeno quando il vento cessò. Avvertii alla mia sinistra che anche lui aveva la mia stessa consapevolezza che quello fosse il momento giusto. Scoccai.
Veloce come la luce, la freccia si conficcò nel bersaglio.
Abbassai le braccia e seguii di corsa il ragazzo (detto Biondo) che era già partito a tutta birra. Quando arrivai dietro di lui, fissai l'opera incredula.
- Fantastico - commentò, distruggendo il mio centro perfetto (infondo, era sua..). Si rigirò la freccia tra le dita prima di sorridermi - Beh, allora ci vedremo presto -
- Che vuoi dire? -
Non ottenni risposta, mentre si allontanava intonando Welcome To The Jungle.
- ALMENO DIMMI IL TUO NOME! - urlai, seriamente offesa.
- Hector - annunciò, mentre la sua voce si perdeva - E gradirei te lo ricordassi o mi riterreò offeso -
Hector il Biondo che mi ricordava qualcuno di familiare si rigirò e stavolta sparì in mezzo al gruppo di semidei che risaliva l'arena. Mai avrei pensato che lo avrei rivisto più spesso del dovuto.


L'armatura non era male. Mi piacevano le piume azzurre. Mi piaceva fosse leggera. Non mi piaceva il motivo per cui l'avrei usata.
Luke aveva radunato tutti i componenti della Casa di Ermes e stavamo attendendo la chiamata di Chirone. Di fronte alla Casa Grande,  alcuni dei membri di Efesto erano già in posizione, mentre dal lato opposto, la marmaglia di Ares faceva notare la sua presenza, intonando cori poco simpatici. Shila mi lanciò un saluto entusiasta, indicando le piume sul suo elmo: era contenta che fossimo dalla stessa parte.
I figli di Atena stavano cercando di aiutare alcune delle figlie di Afrodite ad allacciare la loro armatura (con risultato qualche stratega imbambolato di fronte a delle ragazzette divertite e in preda a risatine acute isteriche), mentre i figli di Apollo si fermarono accanto al nostro gruppo.
Il capo cabina, un ragazzo con folti capelli scuri e occhi marroni come i miei, diede una pacca sulla spalla a Luke, che si voltò un po' sorpreso. - Lee! - disse poi, illuminandosi - Hai sgunzagliato gli arceri, vedo -
- Oh, sì - confermò lui - Ma ci sarà qualche nuova sorrpesina per i figli di Ares, questa volta. C'è chi ancora ha un debole per il combattimento corpo a corpo, nelle nostre file -
I due ragazzi risero, cominciando poi a parlottare tra di loro, quando Beckendorf li raggiunse. Scorsi con gli occhi tutti i componenti della nostra squadra e, a differenza della rossa, avvertii una certa unità ed equilibrio.
I figli di Efesto stavano controllando le spade ai figli di Ermes (tutte in perfetto stato, erano già passati prima di cena, ma non avevano resistito ad ultimo controllino). I figli del dio del sole, stavano decidendo come disporsi, mentre altri davano l'ennesima occhiata agli archi dei fratelli più piccoli. Li invidiai a morte.
- Bene bene bene.. - disse una voce alle mie spalle.
Quando mi voltai, Hector mi guardava dall'alto, un sorriso strambo e l'elmo con piumaggio azzurro sottobraccio.
- Vedo che siamo nella stessa squadra. Mi sarebbe dispiaciuto cercare di farti fuori - aggiunse, seriamente sentito.
Quanto mi stava simpatico.
- Già, quindi.. Ehm.. Se non ti dispiace, mira a quelli rossi.. - dissi in fretta, sforzandomi di sorridere.
- E' quello che faccio più volentieri, ho un conto in sospeso coi fantasmagorici bulli - continuò, facendo un cenno col capo ai figli di Ares.
Clarisse stava facendo un gran baccano, imponendo alle sue reclute più giovani di non fiatare, non respirare, non dire nemmeno una vocale, quando lei parlava. La sua lancia elettrica emanava scintille gialle, ogni volta che la sbatteva al suolo.
- Nah, Clarisse è innoqua - disse Hector di punto in bianco, come se avesse letto nella mia mente il mio ultimo pensiero (ovvero: gira a largo dallo stecchino con le scintille).
- Innoqua? Lì dentro nessuno mi sembra adatto all'aggettivo innoquo - dissi.
Hector dovette cogliere la mia vena ironica, perché accennò una risata, poi scosse la testa. - No, quelli sanno fare solo un gran casino. Ma c'è qualcuno lì in mezzo con cui spero tu non debba incrociare la tua lama.. -
- Chi? -
- Non la vedrai qui, poco ma sicuro. Lei la incroci solo sul campo di battaglia -
Notai un nuovo sorrisetto strano, ma non dissi nulla.
- Beh, ti saluto, devo aiutare Lee a far mantenere la calma ai più piccoli - decretò - Vedi di restare tutta intera - aggiunse con un tono leggermento più basso.
Gli feci un cenno col capo, mentre si allontanava. Lo vidi aiutare una delle sue sorelle a sistemare la faretra, poi un altro e infine testare la corda dell'arco della prima, quando Luke mi occupò la visuale.
E così Hector era figlio di Apollo. Insomma, avrei dovuto capirlo dalla simpatia pungente fin troppo simile alla mia. O dal fatto che avesse una certa abilità nel tiro. O dal fatto che, a guardarlo, non avrei potuto piazzarlo da nessun altra parte.
Chirone ruppe il flusso dei miei pensieri, trottando di fronte a noi. - Eroi! - cominciò, rimbombando - Giovani semidei! E' con immenso piacere per me annunciare questa nuova Caccia alla Bandiera! -
Molti cori di approvazione si levarono dalle fila di Ares. Per la prima volta dopo giorni avvertii la voce di Dave e cominciai a tremare di rabbia: se ne stava lì, tra Clarisse e un altro dei suoi fratelli, un ghigno maligno in faccia.
- Oggi la Luna splende e illumina la foresta più del dovuto, non è meraviglioso? Ma non perdiamo altro tempo. Avete un massimo di tre ore per cercare di rubare la bandiera alla squadra avversaria! E cercate di non perdere troppi pezzi, stavolta, non è vero, Dioniso? -
Il dio non alzò nemmeno la testa dal suo giornale, mugugnando un 'Mmmmhmh'.
- Che vinca la squadra migliore! Cominciate! -
I ragazzi cominciarono subito a sparpagliarsi, incitandosi a vicenda. Una mano si poggiò leggera sulla mia schiena, costringendomi a seguire il gruppo dei figli di Ermes. Quando mi voltai verso di lei, mi accorsi che era proprio una dei figli del dio dei ladri a starmi vicino.
Aveva folti capelli castani che uscivano dal suo elmo, coprendole le spalle. Notai un sorriso gentile, ma ardito, mentre mi faceva cenno di infilarlo in fretta. - Tranquilla - disse - Non sei sola, siamo una famiglia qui -
- Questo mi tranquillizza - ammisi, infilando l'elmo e afferrando l'elsa della spada.
- Paige, mi chiamo Paige - disse, camminandomi a fianco - Sto un paio di letti più in là del tuo e so che ti chiami Jen, Travis mi ha parlato di te -
- E ti ha detto di farmi da badante -
Paige rise, sfiorandosi la cintura. - Quasi, mi ha detto che è la tua prima Caccia alla Bandiera. Dunque, è normale -
Il forte accento texano della ragazza mi fece pensare ad un ristorantino dove io e mamma andavamo a mangiare quando avevamo voglia di trasferirci culinariamente in Texas (appunto). Guardai in direzione delle sue mani e notai due pistole appese, capendo il perché della bandana appesa al collo: aveva davvero l'aria di uno di quei banditi che vedevo nei film. Se l'avesse alzata sul naso e avesse inforcato un cappello da cowboy, sarebbe stata perfetta.
Hector ci schizzò a fianco, seguito da Lee e Michael, un altro figlio di Apollo. Lo vidi arrampicarsi su un cumulo di massi e coordinarsi con i fratelli per piazzare il primo gruppo di arceri. Beckendorf e due componenti di Efesto, tra cui Shila, partirono in esplorazione, mentre i restanti rimanevano a guardia di quella che doveva essere la nostra bandiera.
Travis e Connor affiancarono l'ultimo gruppo, mentre Luke e Chris seguirono Beckendorf, seguiti da Hector, Michael e un altro della casa di Apollo.
La foresta cominciava a farsi più fitta, mentre ci addentravamo. Avvertivo accanto a noi presenze non molto gentili e fruscii che mi facevano scattare sull'attenti ogni minuto che passava. Una ninfa per poco non mi fece perdere tre anni di vita, facendo spuntare il visetto dal suo tronco.
- Non ti mollo, sta tranquilla - disse Paige a un certo punto. - Seguiamo Luke, di sicuro sarà più divertente che stare qui -
Non chiedetemi perché la seguii.
Paige si muoveva senza fare il minimo rumore. Sembrava accarezzasse l'erba, più che calpestarla. Pensai che essendo figlia del dio dei ladri, avesse una certa specialità nell'intrufolarsi ovunque senza dare minimamente segno della sua presenza. Ci seguirono alcuni dei suoi fratelli, spada sguainata. Feci lo stesso, tentando di non risultare un problema, più che un'alleata.
Fu alla fine del sentiero che notai un piumaggio rosso in lontananza.
- Shh, ehi, fermati! - dissi a Paige.
- Che c'è? -
- Non li vedi? Figli di Atena! -
- Dove.. Oh, cavolo.. - sibilò, gettandosi dietro un cespuglio (che fece Ahia! o almeno credo).
Azzardai più o meno la stessa cosa, prendendo in prestito l'albero di una ninfa. Cercai di sbirciare, mentre avvertivo le loro voci più nitidamente. Vidi Ruth parlare con una delle sue sorelle, prima di partire con un gruppetto di fratelli verso il bosco.
I figli di Atena erano i più problematici della squadra rossa, questo lo sapevano tutti. Era quasi impossibile batterli sul campo, dato che era come se fossero a casa loro o a un picnic, come aveva detto proprio Ruth quella mattina.
Paige attirò la mia attenzione, facendomi notare una cosa che non avevo ancora captato: nascosti nel fogliame, Luke e Beckendorf, seguiti da Chris e altri della nostra squadra, avevano torvato quella poastazione esattamente come noi. Luke alzò gli occhi verso di me e un lampo di consapevolezza gli attraversò il viso.
- Io?! - riuscii a bisbigliare.
- Eh? - chiese Paige.
Luke annuì, come in conferma, mentre Paige già si esaltava, afferrando il pugnale dal suo stivale.
- Non posso, Paige, non posso, diglielo tu! -
- Ehi, Luke sa quello che dice, fidati un po' degli altri -
- Ma.. - tentai di contraddirla, ma sapevo aveva ragione. C'era chi credeva in me nonostante tutto.
Presi un lungo respiro, stringendo di più l'elsa, e guardai Luke, che aspettava soltanto un cenno. Poi, tutto esplose.
Corremmo lungo la picola discesa, attaccando assieme. Un figlio di Atena sguainò la spada più in fretta degli altri, facendo capire ai fratelli che qualcosa non andava.
Beckendorf attaccò quello che sembrava il capo del mini plotone, mentre due dei rossi se la prendevano con Luke. Decisi di aiutarlo, attirando l'attenzione di questi.
- Ah, la nuova arrivata! - disse lui, facendo roteare la sua spada.
- Quella che non scorderai tanto in fretta, bello - confermai, attaccandolo in fretta.
Gli stetti dietro senza problemi, parando i suoi affondi. Cominciai a tenere un certo ritmo (e fu strano più per me che per gli altri, credetemi), fino a che non mi accorsi che le sue mosse stavano diventando fin troppo coordinate. Trovavo una certa fatica a prevederle, ma non mi arresi nemmeno quando un urlo arrivò dalla foresta.
- I figli di Ares, bene! - disse lui, gongolando.
- Ci mancava solo questa! -dissi, sentendomi di nuovo intrattabile come prima. Presi a sfogare la mia rabbia repressa sul poveretto, tanto che cominciò a indietreggiare fin contro un tronco, fissandomi sconcertato.
Quando lo disarmai, non lo degnai nemmeno di uno sguardo. Aspettavo i figli di Ares come se non volessi altro.
Paige e Luke mi arrivarono a fianco, mentre gli altri catturavano e intrappolavano i prigionieri. Sentivo i passi dei nuovi ospiti farsi più vicini e qualcosa in me stava seriamente facendomi perdere il controllo.
- Calmati - sentenziò Luke - Non diventare come loro -
- Voglio farlo a pezzi -
- Ho detto non diventare come loro! -
- Non garantisco niente -
Luke stette per aggiungere qualcosa, ma era troppo tardi. Cinque o sei ragazzi ci arrivarono davanti, fermandosi come una mandria impazzita. Clarisse reggeva la sua lancia, mentre un ragazzo al suo fianco puntava gli occhi verso la sottoscritta.
Era la resa dei conti.
O almeno pensavo lo fosse, quando notai che quel ragazzo non era Dave e che una furia più piccola si fece strada dal gruppetto, con me come unico suo obbiettivo.



La ragazza mirò un fendente diritto sulla mia faccia, che schivai, mentre Luke al mio fianco iniziava un duello con la sorella. Non aveva la stessa stazza robusta e mascolina di Clarisse, era anzi piuttosto bassina e tre volte più agile. Mi ricordava tanto Dave.
Non mi dava nemmeno il tempo di pensare ad una mossa per controbattere. L'unica cosa che potevo fare era difendermi e cercare di mantenere tutti i miei pezzi al loro posto.
La voce di Paige mi arrivò all'orecchio, incitandomi a non mollare. Da Clarisse, invece, si levò una risata di scherno, mentre cercava di stare dietro a Luke. Insomma, la tipa in questione doveva avere non pochi ammiratori tra i suoi fratelli.
- Avanti, combatti come si deve! - mi disse all'improvviso. Aveva una lunga treccia di capelli neri che le usciva dall'elmo.
Quella voce più che darmi forza, mi fece sentire esattamente come quando avevo incrociato la spada con Dave all'arena.
Arrancai, inciampando in qualcosa. Clarisse rise più forte, mentre Luke si voltava verso di me. La ragazza mi guardò, pronta ad attaccare. Strizzai gli occhi.
Al contrario di ciò che mi aspettavo (la mia morte), qualcosa si scontrò con la sua lama. Aprii un occhio e la vidi balzare all'indietro, slegarsi l'elmo e gettarlo a terra, in preda all'ira funesta.
- Russel, stanne fuori! - ringhiò contro alla figura sopra di me.
- Nadja - canzonò Hector - Anche per me è sempre un piacere incontrarti -
La figlia di Ares lo guardò con un lampo assassino negli occhi. Temetti stesse per sputare anche fiamme.
Lui ignorò completamente gli insulti in greco antico che aveva cominciato a gettargli addosso.
- Levati, non devi intrometterti negli affari miei! - sentenziò, riafferrando la sua spada.
- Ti conviene andartene - mi disse lui, continuando a guardare gli spostamenti di Nadja.
- Non ci riesco - confessai.
E in effetti era vero. Il bracciale sul mio polso aveva cominciato a risultare un peso. Letteralmente.
Nadja partì a tutta birra contro di noi prima che lui potesse aggiungere altro. Mi scavalcò con un salto e parò i suoi colpi, facendola indietreggiare per darmi il tempo di rimettermi in piedi.
Li guardai combattere come se non dessero nemmeno tempo al tempo di agire. Nadja si muoveva come se stesse danzando, ma con la precisa finalità di farlo fuori, mentre Hector si limitava semplicemente a tenerla buona.
- Allora, ti vuoi mettere a riparo o no?! - mi urlò infine, abbassandosi appena in tempo di ricevere un colpo in pieno naso.
Mi afferrai il polso, reggendolo come se fosse un sacco, e cominciai a correre dalla parte opposta. Mi pareva di portare un gioiello di piombo.
Tentai di non dare nell'occhio, ma ciò durò poco: la voce di Dave si levò dal nuovo gruppo che stava arrivando.


Attraversai di corsa la radura, continuando a sentire i figli di Ares alle calcagne. Il bracciale al polso si faceva sempre più pesante ed ebbi quasi paura di non riuscire a raggiungere una buona velocità (diamine, papà, che razza di regalo è? Un braccialetto per fare i pesi?!).
Non riuscivo a capire dove stessi esattamente andando, ma non mi importava: dovevo togliere quell'affare.
Cominciò ad annebbiarmi la vista, quando cercai di farlo girare. Niente. Mi stava togliendo il respiro. Immaginai di vedere la mia mano sparire nelle viscere della terra, risucchiata.
Qualcosa nella mia testa mi fece cominciare ad invocare tutti gli dei. Non era possibile. Non così. Volevo contare qualcosa anche io, volevo fare anche io la differenza e ripagare tutti quelli che avevano creduto in me.
Strinsi gli occhi, avvertendo le voci dei ragazzi alle mie spalle come lontane mille miglia.
Una luce, abbagliante, illuminò lo sprazzo verde a giorno. I passi dei nuovi arrivati si inchiodarono al suolo. Sentii un calore crescermi in pieno petto e il bracciale scattò, roteando di 180°: un arco dorato era ora tra le mie mani.
Sulla sua curva perfetta brillava in, caratteri greci, la scritta
λαμπρός, splendente.
- Che diavolo..? - sussurrò Dave, cercando di vedere attraverso quella luce, il viso riparato da un braccio.
Quando mi alzai ebbi una visuale completamente diversa di tutto, come se la luce del sole sopra la mia testa avesse cambiato e perfezionato i pigmenti dei colori di ogni cosa. Tesi l'arco e una freccia di luce apparì da sé. Sapevo esattamente cosa fare.
Mirai ai figli di Ares appena in tempo per sentire grida di giubilio provenire dalla foresta. Scoccai una freccia dopo l'altra senza aver bisogno di alcuna faretra.
Quando i miei compagni si ritorvarono dietro di me, Luke per poco non fece cadere la bandiera scarlatta, fissando prima i figli di Ares conficcati nella parete di roccia, poi sopra la mia testa. Hector apparì poco dopo, l'elmo a mezzaria, uno sguardo vagamente stupito, ma non troppo.
- Non ci posso credere.. - disse Shila, un filo di voce. Paige inforcò un paio di occhiali da sole per guardarmi meglio.
Il trotto di Chirone arrivò in tempo per annunciare la fine della Caccia alla Bandiera e la vittoria della squadra azzurra, ma alla luce quasi senza fine si coprì appena gli occhi, poi sorrise.
- Ave Jennifer Kane! - annunciò - Figlia di Apollo, dio del sole e delle arti! -















eeeeh, salve!
sì, lo so, ci ho messo tantissimo a pubblicare il nuovo capitolo, ma ne è valsa la pena.
avevo bisogno di stimoli e li ho trovati u.u
dunque, stavolta Dioniso non si è degnato di apparire (tanto meglio) e ho deciso di passare direttamente ai ringraziamenti:
a tutti quelli che non si sono scordati di jen (figlia di quel ganzo di apollo);
a chiunque sia passato per caso o per noia;
a chiunque sia passato, davvero, grazie.
e poi due ringraziamenti speciali: ai creatori di due personaggi da ora presenti in questo racconto.
parlo di hector e nadja, due autentiche perle.
e..ho finito.

Penny?
oh no..
Penny, che stai facendo?
niente, signor D.
Hai contattato Ermes? No perché devo aggiungere una lamentela, non mi ha rinnovato l'abbonamento a Somelier Oggi.
e io che c'entro?
Beh, fai da tramite, mi sembra ovvio.
...
Penny, andiamo, vuoi che mi perda gli aggiornamenti di questa settimana?
no, si figuri.. sia mai.
Lo so, sarebbe scioccante, privo di ogni possibile scusa, privo di..
va bene, va bene, ho capito!
Mi sento affranto.
oh dei..
Non capito.
...
Non rispettato.
chissà come mai, eh?
Come hai detto, Penny?
ahm.. vado a cercare ermes su divin-maps. addio.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


CAPITOLO 4.
CAPITOLO 4.





Sedere al tuo tavolo era tutta un'altra cosa.
Immaginate di ritornare a casa dopo anni passati fuori, magari in un altro emisfero, causa studio universitario. Borsone in spalla, stessa scalinata da percorrere, con la stessa cassetta della posta fuori dalla stessa porta che varcavi ogni giorno per andare e tornare da scuola.
Immaginatelo bene, perché mi sono sentita proprio così.
Shila parlottava con Paige e Travis fuori dalla mensa e vedermi assieme al corteo dei figli del dio degli oracoli li fece sorridere soddisfatti. Insomma, sapevano quanto mi turbava questa storia del non essere riconosciuta. E nonostante da Ermes stessi divinamente, sapevo per certo non fosse il mio posto.
Ma comunque sia, adesso sedevo al tavolo con la mia vera e propria famiglia.
Michael, Lee e Hector stavano al bordo opposto al mio, ma il loro vociare li faceva sembrare esattamente accanto a me. Molti dei miei fratelli avevano storie totalmente diverse e alquanto strambe, rispetto alla mia, eppure mi trattavano come se avessimo condiviso da sempre la stanzetta accanto a quella dei nostri genitori, fino a che ognuno non avesse preso la propria strada.
Era meraviglioso.
A fine colazione avevo conosciuto tre quarti della casa e avevo preso una certa simpatia per due delle mie sorelle, Adele e Zoey.
Mi accampagnarono a fare il giro dei luoghi di cui i figli di Apollo avevano il compito di occuparsi. Avevo scoperto che l'infermeria era totalmente in mano nostra, così come il mantenere decenti le armi di tiro (arco e frecce e magari faretra, tanto perché non siamo megalomani).
Infine, mi indirizzarono alla nostra cabina: la numero sette.
Adesso, immaginate di nuovo. Un enorme, enorme blocco d'oro, completamente decorato e retto da colonne a capitelli dorici, ionici e corinzi. Ogni stile architettonico si trovava in perfetta sintonia con l'altro, come se ogni periodo artistico che ti colpisse di più si plasmasse a tuo piacimento.
Se non fossi stata figlia sua, avrei di sicuro dovuto indossare un paio di occhiali per non restare accecata da cotanto splendore.
Rimasi a fissarla qualche minuto imbambolata, finché un colpetto sulla mia spalla non mi fece rimettere i piedi per terra.
Mi voltai, poi gli sorrisi. - Ehi, Ruth. Ripreso dalla sconfitta? -
- Non ne parliamo - disse in fretta, ridendo. Ruth era un tipo apposto, mi andava a genio. - Piuttosto, mi è dispiaciuto non averti beccato prima, avrei potuto dirti del bracciale - aggiunse, facendo un cenno al mio braccio.
L'oggetto dorato era diventato, adesso, una piuma o parte integrande del mio stesso arto. Non lo sentivo più.
- Era un'arma di tuo padre, la prima per l'esattezza - continuò. Sembrava più entusiasta di me.
- Efesto aveva accennato a battaglie contro i Titani e gli Achei, penso di aver intuito quanto sia antico questo cosetto.. - affermai, alzandolo per specchiarmici.
- Beh, ti spetta di diritto, infondo, no? - mi sorrise - E spero di poterlo disintegrare alla prossima Caccia alla Bandiera -
- Ti piacerebbe, figlio della Cervellona -
Un tuono risuonò in lontananza. O forse una sottospecie di grido spastico di una qualche civetta.
Abbandonai Ruth per correre alla casa di Ermes il più in fretta possibile. Non avrei sopportato di ricevere, per ripicca, cacca di pennuti notturni sulla testa.


Okay, avevo traslocato. La cabina di Apollo era qualcosa di spettacolare non solo da fuori, ma credetemi se vi dico che a ogni angolo qualcosa scintillava come se dovesse ridurti la cornea a un filino e portarti alla cecità.
Così sarebbe stato per chiunque non avesse questa particolare protezione alla luce (sto parlando anche di me, già).
La cabina aveva quel non so cosa che mi ricordava un faro, la cui vista non lasciava escluso niente. Alle pareti, numerosi archi erano appesi, come se ogni arma dovesse davvero avere la benedizione di mio padre per poter avere un senso.
Mio padre.
Alcuni dei miei fratelli avevano conservato dei ritagli di giornale, fotografie o qualsaisi altra cosa avessero presupposto raffigurasse lui. Mi ero fermata a osservarli, uno a uno, e, cosa sconcertante, nessun volto era uguale all'altro.
In uno appariva come un bambino che aveva vinto il primo premio a uno di quei giochi che si fanno sulla sabbia, della serie "costruisci la migliore scultura di sabbia". E siccome era il dio delle arti, vi lascio immaginare (dietro di lui, la signora che gli stava dando il premio lo fissava sconvolta).
In un'altra aveva tanto l'aria di essere un fotografo fin troppo importante, sulla quarantina e non più di dieci anni. Giurai di averlo visto a una di quelle mostre che, a casa mia, fanno una volta ogni eclissi lunare (giuro). Non lui, ecco, ma quelle fotografie sì. Mi avevano colpito come solo un'opera perfetta riesce a fare. Niente di sfarzoso, finto o fuori luogo. Ogni scatto era la perfezione.
E fin qui, avevo comincianto a provare una profonda stima.
Andando avanti nelle fotografie e articoli di giornale, lo avevo visto fare da modello a una di quelle sfilate di alta moda con la stessa disinvoltura di qualcuno che sa di poter avere il controllo della sala intera. E ammetto che ne avesse tutte le ragioni (infondo sei anche il dio della bellezza maschile, no, paparino?)
Feci una smorfia, scorrendo senza darci troppo peso, poi qualcosa mi bloccò. Era la struttura di un ospedale, precisamente, la scritta diceva "Ospedale Pediatrico Morgan Stanley, New York". Un medico, sulla trentina, sorrideva all'obbiettivo, abbassato accanto ad un bambino che sorrideva anche più scintillante di lui. Strinsi forte il foglio.
Quell'uomo era mio padre.
Lessi in fretta l'articolo, captandone solo alcune parti: "Il dottor Helton ha restituito la vita al legittimo proprietario, Thomas Jefferson, attuando la sua nuova cura per la prima volta nella storia della medicina anti-tumorale." [...] "Il piccolo Thomas oggi è tornato a correre per le strade della sua città, giurando di ricevere la forza per credere di nuovo alla vita semplicemente guardando il sole ogni mattina, e che quello è un motivo più che sufficiente per continuare a sperare".
Deglutii rumorosamente, passando ad altri articoli simili. Dottor Helton, Dottor Jaymes, Dottor Takayama, Dottor Jones, Dottor Bandhura. Avrei potuto continuare per ore a elencare tutti gli interventi di mio padre nel campo della medicina. Non c'era continente, stato o regione del mondo in cui non avesse messo piede, almeno una volta, per rinfrescare la memoria e la speranza di possibilità a tutte quelle persone che, tra ricerche e studi, cercano soluzioni a quei mali che ti colpiscono, portandoti alla morte.
Mi ritrovai a sorridere. Non importava se apparisse come un uomo giovane, vecchio, saggio, solare. Era sempre lui, sempre attento, nonostante le voci della sua passione sfegatata al divertimento.
Ed era anche vero. Voglio dire, molti articoli affermavano di averlo visto a qualche party delle élites dei paesi più ricchi del pianeta o sopra un palco a far saltare la folla nel bel mezzo di un suo concerto.
Mio padre, era tutto questo. Era così tanto, che facevo fatica a credere che potessi essere davvero sua figlia.
Tutto questo mi aveva smosso dentro qualcosa per ciò che avrei voluto fare. E mi addormentai con questo pensiero.
Almeno, prima di sognare.


Mi trovavo in una casa dal sapore antico, davvero fuori dai miei canoni (non l'avrei mai arredata così, ma comunque).
Avanzavo lenta, forse perché l'enorme quantità di specchi appesi ai muri mi dava una certa ansia. Non sentivo voci, né rumori, né suoni, ma vedevo soltanto immagini di una figura riflessa ovunque. Sembrava stesse leggendo o comunque era china su qualcosa. Portava un paio di occhiali e sembrava uno di quegli scrittori stra convinti di loro stessi (presente Oscar Wilde o Gabriele D'Annunzio? I sexsymbol per eccellenza).
Afferrò un calice di vino rosso, facendolo roteare distrattamente sulla mano. non staccava gli occhi dal libro, a parte per specchiarsi di tanto in tanto e sorridersi dolcemente (sorridersi, esatto).
Non si accorse nemmeno della figura femminile che stava rassettando la stanza e attizzando di nuovo il fuoco nel camino.
- Serve altro, signore? - chiese, come se la sua voce venisse da lontano e sbattesse contro le pareti.
- No, mia cara - rispose lui, sempre con la stessa pochezza con cui dava retta al vino. - I miei gioielli sono al loro posto? -
- Certo, signore, come mi ha detto - confermò, sempre risultando lontana.
Lui le sorrise fintamente e lei si congedò. Era di una bellezza disarmante, perché non la degnava del dovuto sguardo?
Non feci in tempo a domandarmi altro che qualcuno mi scosse forte, facendomi svegliare di colpo.
E quel qualcuno era Kevin.


- Dove diamine sei stato?! - gli urlai addosso, scagliandoli il cuscino in faccia.
- Beeeh! - disse lui, abbassandosi in tempo (il cuscino colpì Hector, ma era ancora immerso nel mondo di Morfeo, nonostante le mie urla isteriche) - Calmati, Jenna! Ero in missione per conto di Tritone! Non è colpa mia! -
-Non ci sono scuse, caprone malandato! - urlai di nuovo, tirandogli qualsiasi cosa avessi a tiro.
- Ehi, ehi! - si abbassò lui - Devo parlarti, è una cosa seria! -
- Sentiamo, avanti, dimmi qualche altra scusa, sono pronta - dissi, afferrando una statuetta del dio del sole.
- Solo se poggi quella cosa d'oro di ventordici carati e ti fai un bel giro di rilassamento attorno al lago mentre ti ascolti -
Accettai. Non volevo mio padre mi maledisse per l'affronto al suo mezzobusto.
Camminammo per qualche centinaio di metri. Continuavo a non volergli parlare e sentivo che fosse seriamente dispiaciuto. Okay, va bene, ero troppo orgogliosa. Lo lasciai parlare a tutto spiano, mentre cercava di nascondere che fosse a disagio. Gli occhi verde foglia mi guardavano di tanto in tanto.
Quando finì, mi fermai sulla riva del lago e presi un sasso, facendogli fare qualche saltello sulla superficie.
- Quindi i fratelloni hanno litigato, mh? -
- Poseidone ha accusato Zeus di un furto...personale, sì -
Sembrava contento della mia domanda. Almeno aveva capito che volevo ancora parlare con lui.
- E che furto sarebbe? -
- Non lo sappiamo. Ho provato a contattare tutti i miei amici satiri, per sapere se nelle foreste, boschi o orti condominiali si sia visto qualcosa di diverso, ma niente. Tritone ha controllato i corsi d'acqua su richiesta di suo padre. Il dio degli oceani sembra davvero affranto.. -
- Doveva esserci parecchio affezionato, allora -
- Già, ma a quel che le divinità delle selve dicono, è un qualcosa che Zeus ha sembre bramato -
- Queste fonti sono certe? - chiesi, sempre più interessata.
- Tua zia è una fonte certa di sicuro, sebbene a noi maschi non dica praticamente niente di niente.. -
- Mia zia? -
Kevin annuì, diventando tutto gonfio e fiero, di pronunciare quel nome. - Artemide, dea della caccia e della luna -


Non avevo ben chiaro perché Kevin avesse scelto proprio me per parlare con Artemide (zia?). Sapevo fosse una divinità che aveva fatto foto di restare vergine e ripudiare il matrimonio, ma ero convinta fosse in qualche modo aperta al mondo, data la sua nomina di divinità nomade e cittadina del mondo.
Quella sera, aspettai che i miei fratelli rincasassero. Ma ovviamente Hector sembrò captare qualcosa.
- Non venite? - ci chiese Zoey a falò finito, una delle nostre sorella.
- Arriviamo subito - disse in fretta lui, mentre la spingeva dolcemente a rientrare - Il tempo di capire perché Jen sta facendo malamente quella che ha intenzione di farsi beccare fuori dalla sua cabina e procurarci chissà quale maledizione - concluse, dandomi un'occhiataccia.
- Ehm, ho da fare, Hector, per piacere, non farmi domande - dissi tutto d'un fiato. Mio fratello mi guardò esattamente nello stesso modo.
- Ha a che fare con l'idea che mi hai esposto stamattina? -
- No, no.. Non andrò di sicuro a esercitarmi all'infermeria alle undici e mezza di sera - dissi, ridendo.
Non ve l'ho detto, ma avevo deciso di diventare una guaritrice. Insomma, noi figli di Apollo sappiamo fare di tutto (vuoi mettere?), ma ognuno di noi prende una specializzazione in qualcosa. E vista la mia già super-vista (carina, questa!), avevo deciso di perfezionarmi in qualcosa che avesse potuto rendersi utile a tutti e non solo a me.
Ma comunque.
- Okay, okay, come ti pare, me ne vado a dormire -
- Te ne sono grata -
- Ma sappi che ti tengo d'occhio -
- Lo so benissimo -
- Buonanotte -
Il falò era completamente deserto. Mi sentii a disagio, mentre attendevo Kevin.
Il tacchettio dei suoi passi arrivò poco dopo. Si era messo tutto in tiro per l'udienza con la dea.
- Oh porco Tartaro, non ci posso credere.. - alzai l'occhio al cielo.
- Ehi, vacci piano con le imprecazioni. Là sotto ci sono mostri che non sono affatto simpatici, sai? -
- E non li voglio conoscere -
- Meglio così, credimi - disse lui, sistemandosi i ricci biondicci.
- Piantala Kevin, è una dea, non hai speranza -
- Non farmi sentire un minorato. Devo fare bella figura -
- Vai già bene così, guarda me come sono conciata.. - mi indicai eloquente.
- Effettivamente.. -
- Va' al Tartaro, capito? Tuffati di testa -
Mi voltai, offesa, e mi incamminai nella foresta.


I satiri avevano un altare dedicato a tutte le divinità devote alla natura. Era molto piccolo e semplice, ma brillava come l'argento, esposto alla luna. Il mazzo di fiori che avevo portato come offerta mi sembrava altamente ridicolo per una divinità, ma Kevin aveva giurato che Artemide preferiva altamente le cose essenziali più che i soliti rituali.
Li poggiai sulla pietra e mi sedetti a terra, cominciando un preghiera in greco antico. Non successe assolutamente nulla.
Kevin si sedette accanto a me, scattando ad ogni movimento del fogliame.
- E' solo vento, sta calmo e prega con me - dissi, stringendo di più le mani intrecciate.
A un certo punto, i raggi della luna sembrarono farsi più caldi e l'erba sembrò crescere a un tempo indefinito. Avvertivo i piccoli fili accarezzarmi le gambe, mentre concludevo l'ultima frase.
Davanti a me, una ragazza di circa la mia stessa età, armata di arco e frecce, accarezzava i petali dei fiori, ridandogli il loro naturale vigore. Era esattamente come nel mio sogno in quella foresta.
A guardarla in viso immaginai come potesse essere quello di Apollo (insomma, erano pur sempre gemelli, no?)
Kevin, al mio fianco, tornò in preda alla faringite.
- Divina Artemide.. - mi scappò, con un filo di voce.
La ragazza si voltò e mi sorrise dolcemente, afferrando tutto il mazzo su un braccio. - Jennifer, sono lieta di incontrarti -
- Come sa il.. Ah giusto, immagino sia un potere speciale dei suoi -
Artemide avanzò cauta e mi porse la mano. Non sapevo esattamente se prenderla o meno, ma lo feci. Mi sentii percorrere da un brivido: era fresca e profumava di muschio. Morbida come quest'ultimo e vellutata.
- Non ho potuto ignorare la tua chiamata, non si ignora mai la chiamata di una fanciulla. Non è vero, satiro? -
Kevin annuì, cercando di sbiascicare qualcosa con la sua faringite.
- So cosa vuoi chiedermi - aggiunse in fretta - E so che Tritone ne è immischiato, a causa di suo padre -
- Poseidone e Zeus sono divinità che hanno da sempre avuto motivo per discutere. Un motivo vale l'altro, tanto per capirci -
Lei azzardò una risata, cristallina, che riempì la piccola radura di brezza montana. - Lo so bene e per questo sto aiutando sia mio padre Zeus che Poseidone a cercare una soluzione. Ma quegli oggetti non si trovano. Da nessuna parte. Le mie Cacciatrici migliori sono sempre tornate a mani vuote e temo che ci sia una magia molto potente in mezzo a tutto questo -
- Cosa intende dire? -
- Intendo dire che questo furto potrebbe creare scompiglio nell'Olimpo non soltanto tra Zeus e Poseidone, bensì anche sui cosiddetti schieramenti. Siamo così infantili, a volte, noi divinità. Vecchi rancori, vecchie storie, ogni scusa è buona per tirarle fuori. Ma quando si tratta di divinità come Zeus e Poseidone non è il caso di prenderla alla leggera. Potrebbero scatenare una guerra anche per un non nulla - confessò Artemide, sforzandosi di non sembrare preoccupata.
- Divina Artemide, lei sa che cosa è stato rubato, vero? -
La dea annuì, pensierosa. - E' un qualcosa che conferisce a Poseidone il potere di mantenere le acque della loro naturale purezza, un qualcosa che è suo di diritto, di una bellezza estrema, anche anche di altrettanto potere. Se Poseidone non dovesse ritornare a possederle, il suo potere potrebbe cessare di esistere. E come ben sai, gli esseri viventi hanno bisogno di acqua per sopravviere -
Guardai la dea con lo stomaco contratto. Era davvero un brutto affare.
Dietro di me, Kevin scalpitò. - Mia signora, potreste pensare di affidare un'impresa a qualche eroe valoroso. Sono sicuro che anche i semidei del Campo non desiderano altro che l'equilibrio, specie sull'Olimpo.. -
Artemide spostò lo sguardo sul mio amico e un lampo le attraversò gli occhi argentati.
Sembrava non aver preso in considerazione quell'idea e la capico. Insomma, aveva uno stuolo di compagne con sé e sicuramente preparate a dovere. Eppure, non sembrava affatto dispiaciuta.
Percorse qualche passo, facendo spuntare qualche fiore candido ai suoi piedi, poi annuì, sempre più convinta.
- E sia, che i semidei abbiano il diritto di provare il loro valore - decretò. Poi mi poggiò una mano fresca sulla spalla - Mia cara, lascio a te il compito di portare a Chirone il mio messaggio. Abbiamo bisogno di voi per evitare una lite che potrebbe raggiungere un livello mondiale -
- Va bene, Artemide - annuii.
- Mio fratello ha proprio delle figlie volenterose - aggiunse, sistemando il suo arco d'avorio.
Un corno risuonò in lontananza.
- Il corno di Zoe, devo andare, le Cacciatrici mi chiamano - disse, allontanandosi.
- Ma Artemide non mi ha detto di che cosa si tratta! -
- Ogni cosa ha il suo tempo, Jennifer. Ci rivedremo presto -
La dea sorrise dolcemente e io chiusi gli occhi appena il tempo di vederla sparire nel suo raggio lunare. La radura tornò ferma, come se l'assenza del potere della dea l'avesse fatta riaddormentare.
Al mio fianco, Kevin sospirò sognante. E io ero diventata l'Ermione personale di mia zia.













weeeeilà!
allora, allora, allora.
sono particolarmente ispirata (non si vede?)
comunque sia, sono contenta di essere finalmente entrata nel succo della storia. cominciano ad avvenire cose più interessanti e ad essere citate divinità che spaccano (artemide, YEAH!)
sperando di ricordare tutti i dettagli, confido che voi captiate più indizi possibili.
mi costa studiarmi la mitologia greca, anche se ammetto sia una gran figata AHAHA
alla prossima u.u


Salve, qui è Dioniso che parla.

Siccome mi sento bellamente ignorato dalla suddetta Lennie, ho deciso di disertare le prossime chiusure finali.
Addio.
*Jennifer getta tutta la sua roba in dono agli dei* AVETE ASCOLTATO LE MIE PREGHIERE! SEEEEEH!
Ti piacerebbe.
fanculo, voglio stare con gli dei egizi. basta.




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