Seven Vital Sins

di ferao
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gluttony ***
Capitolo 2: *** Envy ***



Capitolo 1
*** Gluttony ***


Note iniziali:
questa raccolta è iniziata assolutamente per caso. Non era in programma, non ci avevo mai pensato e, soprattutto, ho mille altre cose da scrivere (del tipo, c'è gente che aspetta da EONI l'aggiornamento di "Zio per un giorno"... Ehm), eppure è nata e non posso buttarla via. Anche perché, strano a dirsi, mi piace un sacco.
La storia si colloca, as usual, nell'universo di Una brezza lieve (monotonia FTW), ma potete leggerla anche indipendentemente da questa serie. Sappiate solo che questi due si conoscono al Ministero perché lavorano assieme e che dopo la battaglia ad Hogwarts lei sta in ospedale per motivi che potete capire benissimo leggendo qui.
Sto già lavorando ai capitoli successivi e la prudenza mi consiglierebbe di aspettare di averli finiti per pubblicare, ma c'è una parte di me che dice "Oh, senti, questi capitolo è la prima cosa che ti soddisfi da SECOLI e poi Moon ha detto che va bene, quindi vai", e niente, ho deciso di dar retta a questa parte qui.
Sperando che non sia la parte malvagia di me.
Oh, who cares.

Per adesso il rating è arancione, ma non escludo che possa alzarsi per adattarsi al capitolo dedicato alla lussuria. In quel caso ve ne accorgerete.
Spero che l'idea di un'altra Percy/Audrey da parte mia non vi faccia troppo ribrezzo e vi saluto. Se trovate errori di ogni sorta, segnalate pure.
Si ringraziano Moon Lady per il betaggio e Agne per l'approvazione.

 







Gluttony
 
 

- Fame?
- Da morire.
- Dove andiamo?
- Dove vuoi tu.
Avevano iniziato così. Quel giorno Percy aveva saltato il pranzo, causa impegni, mentre Audrey si era dovuta accontentare di quanto era rimasto nella sua dispensa: una carota e una scatoletta di tonno. Troppo poco, per l'appetito di una ventenne.
Quella sera avevano placato la fame divorando due panini a testa, in un chiosco Babbano a un paio di metri dal Ministero. Non era inusuale che i dipendenti ministeriali lo frequentassero, per cui avevano potuto mangiare insieme senza dare eccessivamente nell'occhio.
- Com'è il tuo?
- Squisito. Ne vuoi un po'?
- No, tranquilla, va bene così.
- Sicuro? Secondo me dovresti assaggiarlo, è una bontà.
- No, dai, non mi piacciono i peperoni...
- Su, non farti pregare!
- ... Solo un morso.
- Buono, eh?
- Diamine, sì! Ne voglio uno anch'io!
 
La volta successiva bastò un solo panino per sfamarli. Quella dopo ancora, Audrey fece notare che non le sarebbe dispiaciuta una bistecca alla griglia; Percy, che aveva voglia di carne al sangue, non disse di no. Si fermarono alla prima steak house che trovarono, ma non ne rimasero soddisfatti.
- Questa sarebbe al sangue? Dov'è il sangue?
- Credo sia finito tutto nel mio piatto. Tieni.
- Uffa. Non riesco mai ad avere una bistecca come dico io. La prossima volta la chiedo direttamente cruda.
- Oppure puoi farti portare una mucca viva e un coltello, già che ci sei.
- ... Sei disgustosa.
- No, la carne cruda è disgustosa. Allora, lo vuoi questo sangue oppure no?
 
Un’altra volta decisero di provare un ristorante cinese dalle parti del Paiolo Magico, visto che a lui l'avevano consigliato in molti. Il proprietario era un Magonò e fece loro un ottimo prezzo, anche se, per qualche ragione, Percy non ci tornò più tanto volentieri.
- Non hai mai mangiato cinese?
- Mai.
- Allora devi assaggiare gli involtini primavera e i wonton, assolutamente. E i ravioli al vapore. Sono una delizia.
Assaggiare? Percy l'avrebbe fatto di buon grado, ma quelle stupide bacchette che gli avevano dato sembravano opporsi in tutti i modi a quell'idea. Il poveretto passò una buona mezz'ora ad osservare Audrey, a farsi spiegare la tecnica giusta e a provare a metterla in pratica: tutto inutile. Al terzo raviolo finito per terra, sbuffò e spazzolò il resto della sua cena con le mani, ignorando - per quanto possibile - le risatine soffocate di Audrey.
Fu solo più tardi, mentre lui l'aiutava ad indossare il cappotto prima di uscire dal ristorante, che lei ebbe la bontà di dirgli:
- La prossima volta, chiedi una forchetta.
Le orecchie di Percy diventarono furiosamente rosse, e Audrey rise ancora di più prima di schioccargli un bacio d'incoraggiamento. Guardarlo mangiare con le dita, in fondo, era stato tenero.
 
Quando Percy ebbe rotto un po' il ghiaccio con le bacchette, fu il turno del giapponese. Da pochi mesi, in un paese poco fuori Londra, era stato aperto un ristorante a prezzo fisso; per andarci scelsero una sera in cui erano entrambi particolarmente affamati. Percy sapeva che Audrey era una buona forchetta, ma quella volta scoprì anche la sua temperanza: in un primo momento si lasciava trasportare dalla ghiottoneria e assaggiava qualsiasi cosa, poi però si placava e sceglieva con esattezza i piatti migliori e che non la riempissero troppo. La carne cruda la schifava, ma col pesce non aveva alcuna difficoltà - e anche Percy, dopo un po', iniziò a difendersi piuttosto bene.
- Sai, avevo paura che non volessi venire qui. Molti sono diffidenti verso la cucina giapponese.
- Perché? È buonissima.
- Lo so, ma alcune persone pensano "Bleah, pesce crudo" e si rifiutano.
- Peggio per loro. Per un pregiudizio si perdono qualcosa di fantastico.
- Infatti.
- Tu quando l'hai scoperta?
- Un paio di anni fa, era prima che iniziassi il settimo anno. Coi miei compagni di classe siamo usciti a cena, volevamo provare qualcosa di nuovo e siamo andati in un locale proprio simile a questo, solo un po' meno caro.
- Uscivi coi tuoi compagni di classe? Noi non l'abbiamo mai fatto...
- Eravamo un gruppo molto unito, sì. Poi... Beh, Diggory è morto, e noi ci siamo persi un po' tutti di vista.
- Cedric Diggory?
- Sì. Hai... sentito parlare di lui, immagino.
- Di più, conoscevo sia lui che suo padre. Siamo andati alla Coppa del Mondo di Quidditch assieme.
Alla fine Percy aveva capito come fare con le bacchette: era una semplice questione di equilibrio. Bisognava solo stare attenti a non stringere troppo o troppo poco e a prendere il boccone nei punti giusti.
- Bravissime persone, vero?
- Già.
- È stato... assurdo. E c'era gente che neanche credeva fosse successo davvero. Ti rendi conto? Dicevano che Harry Potter si era inventato tutto, ma che ne sapevano? Noi abbiamo visto il suo cadavere. Avevamo pranzato assieme, aspettavamo di festeggiarlo in sala comune, e invece... non c'era più. E dicevano fosse morto per sbaglio. Si può essere così stupidi da non credere all'evidenza di un cadavere?
- Sì. Io non ci credevo.
- ... Ah.
- È stato stupido da parte mia, lo so.
- Sì. Decisamente sì.
Il sushi che Percy teneva tra le bacchette gli sfuggì di mano - lo aveva stretto troppo, o troppo poco, o nei punti sbagliati. Cadde dritto nella ciotola di salsa, schizzando tutt'attorno. Per qualche secondo nessuno dei due ragazzi parlò, poi Audrey usò le sue bacchette per raccogliere il pezzetto di pesce.
- Tieni - disse con un mezzo sorriso, accostandoglielo alla bocca. E poi aggiunse: - Succede a tutti di sbagliare, non preoccuparti - tuttavia Percy non capì a cosa si riferisse.
Wasabi, salsa di soia e malinconia. Il pesce era eccellente, ma il condimento di quella serata era davvero troppo salato.
 
Dopo il giapponese toccò al turco, poi al coreano, poi all'indiano... Poco alla volta, Percy e Audrey esplorarono tutto ciò che Londra poteva offrire dal punto di vista gastronomico. Era divertente fare esperienze simili, ma ancora di più lo era farle insieme.
- Fame?
- Che domande. Dove andiamo?
- Ho sentito parlare di un posto...
Venne il giorno, però, in cui Audrey si stancò di quel vagabondare. Scoprire gusti nuovi era bello, ma il suo stomaco implorava un po' di pietà e, soprattutto, una parte di lei le suggeriva che era ora di fare qualcosa per Percy. Niente di che, voleva solo... provare ad occuparsi di lui, in qualche modo. Quando erano in ufficio non poteva far altro che sistemare i libri sui suoi scaffali in modo che non cadessero, o portargli qualsiasi documento gli fosse necessario; dopo un mese e mezzo che si frequentavano, decise che voleva di più.
- Allora, che ne dici se torniamo da quell'indiano a Floral Street? Ti era piaciuto, vero?
- Niente ristorante. Stasera cucino io.
- ... Scherzi?
- Credi che non ne sia capace?
- N-no, non intendevo questo, solo... Ma non vorrei disturbare, io...
- Sta' tranquillo, ho già pensato a tutto. Ci vediamo a casa mia tra un'oretta. Ricordi l'indirizzo, vero?
Naturalmente, all'inizio tutto andò malissimo. La prima volta che Audrey cucinò per Percy, la carne era troppo cotta. La seconda volta, troppo poco. La terza volta, bruciata. E così via.
Eppure, nonostante lei si scusasse in modo sempre più affranto e desolato per quei disastrosi tentativi, lui mangiava sempre tutto fino all'ultimo boccone, senza una lamentela. Sottolineare i difetti di quelle cene improvvisate sarebbe stato sin troppo facile, ma erano secoli che nessuno cucinava per lui, e il sapore della riconoscenza per quelle attenzioni gli avrebbe fatto sembrare buono qualsiasi piatto in qualsiasi condizione.
- Come puoi mangiare questo schifo?
- A me piace tanto. Lo giuro.
- Non mi prendere in giro, per favore! Sono... un'incapace, maledizione, non so fare nulla di nulla, e tu non dovresti star qui a perdere tempo con una cretina come me che non è buona neanche a...
Al che Percy era costretto ad alzarsi, aggirare il tavolo e darle un bacio sulla guancia, senza aggiungere nulla. Solo in questo modo Audrey la smetteva di parlare e lui poteva mangiare in pace, gustando fino in fondo la dolcezza di quell'affetto imbranato e immeritato.
- Ma ti piace... davvero?
- Lo adoro.
Lo adorava. La adorava.
 
- Dovresti mangiare qualcosa.
- Non ho fame.
- Perce, sono tre giorni che non metti nulla sotto i denti, per favore...
- Non ho fame.
Quanto tempo era passato, dalla sera in cui avevano divorato insieme quei panini vicino al Ministero? Troppo, pensava Audrey. In quei mesi era cambiato tutto, dalle loro abitudini alle loro stesse vite: lei aveva imparato a cucinare, lui non credeva più così ciecamente al Ministero, tutto aveva cominciato ad andare per il meglio.
Poi era successo quello che non doveva succedere.
- Dici sempre che non hai fame, ma guardati: sei tutto smagrito. Fallo per me.
- No, davvero, non ho fame.
Non aveva mai fame. Da quando suo fratello era morto, Percy non aveva fatto altro che rifiutare costantemente e testardamente quel che gli veniva offerto, sempre con la stessa, stupida scusa.
- Non ho fame.
Che poi era anche vero. La sola idea di avvicinarsi al cibo, qualsiasi cibo, lo disgustava e gli arrotolava le viscere. Da quella notte a Hogwarts tutto per lui aveva sapore di sangue, cenere e polvere; era qualcosa che nulla riusciva a cancellare, in nessun modo. Beveva un bicchier d'acqua e lo ingoiava a fatica, storcendo il viso per quel gusto amaro. Assaggiava una pietanza e la sputava, schifato.
In quelle condizioni non riusciva neanche a pensare al cibo, figurarsi a mangiarlo.
Audrey, ovviamente, non lo sapeva; pensava si trattasse di un'inappetenza momentanea derivante dal lutto e quindi, dal suo letto d'ospedale, faceva di tutto perché gli passasse.
- Se non mangi tu, non mangio nemmeno io.
- Non essere stupida. Tu devi farlo per Molly.
- Odio pranzare da sola, tienimi compagnia!
- Va bene, ma ti guarderò e basta.
E la guardava davvero, mentre lei masticava con rabbia e ostinazione quel che le passavano. Infilzava i bocconi con cattiveria, come se fosse colpa loro che il suo uomo avesse perso l'appetito; ripuliva il piatto con una minuzia vicina alla maniacalità, perché doveva mangiare anche per lui, per quel bambino capriccioso così diverso dal Percy che conosceva.
- Che ti succede?
- Nulla. È questo periodo. Non ho fame.
Era cambiato; erano cambiati. Da quando si erano rivisti, Percy non l'aveva mai sfiorata o baciata. Era come se avesse paura a riavvicinarsi a lei e temesse un rifiuto. Ogni tanto le accarezzava i capelli, le prendeva la mano, ma nient'altro. Audrey, da parte sua, non lo incoraggiava: ogni giorno che passava si sentiva sempre più debole, fiacca e snervata - e poi aveva la sua bambina, adesso, era a lei che doveva pensare più che a chiunque altro.
Si erano amati, si erano separati e adesso si riconoscevano a malapena. Erano stati una coppia di golosi pronti a scoprire tutto ciò che potevano, ma era bastata una guerra ad uccidere tutti gli appetiti e la curiosità.
Neanche Audrey aveva fame, in quei giorni.
 
- Ti hanno detto tra quanto sarai dimessa?
- Un paio di giorni al massimo. Ormai sto bene.
- Non vedo l'ora.
Il tono di quelle parole era così lontano e distaccato che Audrey non ci credette neanche un po'. D'altro canto, magari era solo dovuto alla debolezza di Percy. Il lungo digiuno lo aveva logorato da dentro: ormai era evidente che non si trattasse di testardaggine, ma di qualcosa ben più grave.
Magari era vero che la rivoleva con sé, solo non aveva le forze per esprimerlo.
Forse.
- Lo pensi veramente?
- Certo.
- E allora...
E se invece non l’avesse più voluta?
- Allora?
- Niente.
- Avanti, dimmi.
Seduta sul letto con la schiena appoggiata ai cuscini, Audrey tentennò.
- È che… niente. Vorrei solo…
- Sì?
Osservò Percy a lungo, poi decise di togliersi il dubbio. Si spostò verso il lato destro del suo piccolo letto.
- Voglio che mi abbracci, Perce. Vieni qui.
D'istinto, lui si ritrasse. Sapeva che quel gesto le avrebbe dato dispiacere, ma… Si era interrogato molto su quali fossero i suoi sentimenti per Audrey, in quei giorni: non aveva mai dubitato di amarla, e tuttavia... Se si fosse trattato solo di nostalgia? Se in realtà fosse cambiato anche quello? O se lei si fosse sentita, in qualche modo, costretta a stare con lui soltanto per via della bambina, o viceversa?
Per questo motivo in quei giorni non l'aveva mai abbracciata, né baciata. Voleva prima essere chiaro con se stesso, sapere cosa provava davvero. Adesso, però, Audrey lo stava invitando esplicitamente a riavere un contatto con lei, a riavvicinarsi, e questo no, non se lo poteva permettere, non era ancora pronto...
Nonostante ciò, qualcosa lo costrinse a togliersi le scarpe ed accoccolarsi accanto a Audrey. A quanto pareva c'era ancora una parte di lui che preferiva abbracciarla e basta, piuttosto che chiedersi se farlo o meno.
Le circondò la vita con le braccia e appoggiò la testa sulla sua clavicola, lasciando che lei lo stringesse e gli accarezzasse i capelli. Il naso di Percy sfiorò la porzione di collo che la camicia da notte le lasciava scoperta; in tutto quel tempo aveva quasi dimenticato che profumo avesse la sua pelle, tuttavia ricordava di non essere mai riuscito a resistervi - forse fu per questo che, quasi senza rendersene conto, sporse il viso e appoggiò le labbra alla base del suo collo, sebbene qualcosa dentro di lui gli dicesse di fermarsi, perché anche lì avrebbe trovato il solito sapore nauseante e no, no, no, non voleva sentirlo pure sulla pelle di lei…
Ma quello che le sue labbra assaggiarono, quando la baciò per la prima volta dopo mesi, non sapeva di sangue, né di cenere, né di polvere. Sapeva di lenzuola appena cambiate, di lana e sapone, di pulito. Sapeva di dolce, di panna, di burro. Sapeva di cose che Percy aveva smesso di conoscere nel momento in cui si erano separati, sapeva di tutto ciò che gli era mancato, di quello che la morte di Fred aveva definitivamente spazzato via. Continuò a baciarla, sfiorandole la pelle sottile con la lingua e i denti come se volesse mangiarla, perché all'improvviso non avvertiva più quella sensazione di disgusto perenne nella bocca - e la cosa lo sorprendeva, lo deliziava, gli faceva desiderare ancora; quando poi lei gli alzò il viso e lo baciò sulle labbra, tutto ciò che Percy sentì fu la voglia di ricominciare da dove si erano dovuti interrompere, di andare a casa ad assaggiare le sue cene improvvisate, oppure in un chiosco a provare i panini più disparati, oppure in qualsiasi luogo a fare qualsiasi cosa, purché ci fossero anche lei e il suo sapore. Il suo gusto, quello che Percy preferiva ad ogni altra cosa nel mondo.
- Audrey?
- Sì?
- Ho fame.
La ragazza ridacchiò. Ne aveva anche lei.


 

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Capitolo 2
*** Envy ***


Dicembre è un periodo stressante, quindi controbilancio con un po' di semplicità e un minimo di tenerezza. Buona lettura, e di nuovo grazie a Moon <3





Envy
 


Si svegliò di colpo quando uno dei libri sul suo tavolo cadde a terra, spargendo fogli ovunque. Percy non ricordò subito dove si trovasse o cosa stesse facendo, poi la lucidità si fece strada nella sua mente: sette di sera, biblioteca di Hogwarts, meno due settimane alle prove dei M.A.G.O. e ripasso intensivo di Antiche Rune. Non c’era da stupirsi che si fosse addormentato, dato che aveva già passato l'intera giornata a studiare e ne avrebbe avuto ancora per un po' – se solo si fosse trattato di una cosa appassionante come Trasfigurazione, ma Antiche Rune... Seriamente, esisteva una materia più noiosa di Antiche Rune?
Soffocando uno sbadiglio, si strofinò gli occhi e recuperò i fogli dispersi, per poi osservare le pile di libri che lo circondavano. Doveva sbrigarsi, in meno di mezz’ora Madama Pince avrebbe chiuso la biblioteca…
- Ti ho detto di piantarla!
- Ma uffa, che barba che sei!
- Senti, mi hanno già tolto due punti questa settimana, se ne perdo altri la Sprite manderà un gufo a casa mia. Tu vuoi affrontare mia madre, per caso?
- Gne gne gne. Come ti pare.
Nel corridoio della biblioteca erano comparsi due Tassorosso. La ragazza che aveva parlato per prima, bassetta e con lunghe trecce scure, camminava a passo svelto davanti al suo compagno, che la seguiva svogliatamente.
- Abbiamo la cucina a tre metri dalla sala comune e non ne approfittiamo! - brontolava il ragazzo. - Sei proprio scema, Bennet.
- No, tu sei scemo se pensi che mi rovinerò le ultime due settimane di scuola perché tu vuoi rubare del cibo. Sei un cretino.
- Fifona.
- Idiota.
- Stup...
Il Tassorosso si zittì di colpo quando notò Percy. Fingendo indifferenza, forse per paura di un richiamo, si defilò in fretta senza aspettare la sua compagna. Questa, invece, si mise con tutta calma ad osservare uno scaffale di Antiche Rune, individuò un tomo e lo calò giù. Non sembrava affatto turbata dalla presenza di Percy, e in effetti non ne aveva motivo: era stato l'altro ad avere l'idea di andare in cucina senza permesso, lei invece si era dissociata sin dall'inizio.
Anche volendolo, Percy non avrebbe potuto rimproverarle nulla – e a dirla tutta, nonostante lui fosse sempre un Caposcuola e ci tenesse a quel titolo, si sentiva davvero troppo stanco e annoiato per rimbrottare una ragazzina senza un reale motivo.
Stava già per dimenticare l'accaduto e rimettersi a studiare, quando la giovane Tassorosso gli rivolse la parola.
- Non diceva mica sul serio, eh - disse, riferendosi al suo compagno. - È uno scemo, ma alla fine non fa mai nulla di male, e comunque lo fermo sempre prima che combini qualsiasi cosa. Sul serio.
Percy si fermò con la penna a mezz’aria, guardò la ragazza e si accorse che stringeva forte il libro tra le mani. - Non preoccuparti, - rispose, capendo al volo, - non darò motivo alla Sprite di scrivere a tua madre.
Lei lo guardò sorpresa, poi si lasciò scappare una risatina sollevata. Si avvicinò al tavolo su cui Percy aveva sparso libri ed appunti. - Mi piacciono le Rune, - affermò, sbirciando uno dei fogli. - Queste però non le ho mai viste.
- È il programma previsto per chi affronta i M.A.G.O., sono Rune avanzate.
- Figo! Posso?
Senza aspettare risposta, la ragazza appoggiò il suo libro sul tavolo e prese uno di quelli di Percy, iniziando subito a sfogliarlo. - Ma sono complicatissime! - esclamò dopo aver esaminato una pagina.
- Neanche troppo.
- Se lo dici tu… - La Tassorosso posò il libro con un’aria corrucciata. - Beato te che riesci a fare questa roba, io non sarò mai capace.
- Beh, è difficile se non sei ancora al settimo anno. Segui Rune?
- Sì.
- A che anno sei?
- Sesto.
- E allora non ti rimane che aspettare. Una volta che avrai studiato il principio di Gormul e il teorema di Torkel, sarà tutto molto più facile.
Era stata la sua parte Caposcuola a farlo parlare così, la parte che sapeva di dover essere gentile e disponibile con tutti gli studenti; la sua parte Percy avrebbe preferito dire a quella ragazzina di lasciarlo studiare in pace. Quella risposta, tuttavia, parve tranquillizzare la studentessa, perché non disse più nulla e si sedette di fronte a lui, sempre sfogliando il libro di Rune avanzate. Doveva essere davvero curiosa, o magari stava valutando il livello di conoscenza che doveva raggiungere.
Entrambi rimasero in silenzio per una decina di minuti, durante i quali Percy risistemò tutti gli appunti e radunò i libri; quando ebbe finito si rivolse alla Tassorosso.
- Mi servirebbe anche quello.
Lei sobbalzò. - Scusa, mi ero immersa nella lettura. - Chiuse il tomo e lo rese a Percy, che lo mise con gli altri. - Cavolo se ti invidio, - aggiunse poi a mezza voce.
- Come?
La ragazza lo guardò, incerta, poi ripeté ciò che aveva detto. - Ti invidio. Devi essere bravissimo, per riuscire a studiare questa roba.
- Te l'ho detto, è...
- E poi, - continuò lei, chinando il capo, - tra poco avrai i M.A.G.O., quindi finirai la scuola e inizierai a lavorare. Io invece ho ancora un anno da passare qui, un altro anno di compiti in classe e interrogazioni e... niente, ti invidio.
Fece una smorfia. Forse si vergognava di quanto aveva appena detto; d'altronde si stava rivolgendo ad un perfetto sconosciuto, era normale che si trovasse a disagio. Nonostante ciò, Percy sentì una strana soddisfazione crescergli dentro. Il senso di invidia della Tassorosso, manifestato in quelle frasi smozzicate, era quanto di più simile all'ammirazione avesse sperimentato negli ultimi tempi: da secoli i suoi fratelli preferivano ignorarlo o prenderlo in giro, mentre i suoi genitori erano sin troppo abituati alla sua bravura per lodarlo. L'unica che ancora sembrava provare della stima per lui era Penelope, ma alla fin fine possedevano lo stesso livello intellettuale, quindi non c'era gara. La sua ragazza non aveva nulla da invidiargli.
Quella lì, invece... Lo invidiava. Senza conoscerlo e basandosi su delle sciocchezze, ma lo invidiava. Era già qualcosa.
Il lieve senso di superiorità che sentiva in quel momento portò Percy a sentirsi comprensivo nei suoi confronti. Fece un gran sorriso. - Vedila così, - le disse, - tu hai ancora un anno da passare in un posto splendido come questo, mentre io, probabilmente, non ci tornerò più. Sei fortunata, no?
Le ultime parole gli morirono sulle labbra mentre le pronunciava. Era vero, dannazione: lui si stava per avventurare in un mondo del tutto nuovo, incontro ad esperienze che non aveva mai fatto e per le quali poteva solo augurarsi di essere pronto... Non avrebbe mai più rimesso piede a Hogwarts, nel posto in cui era cresciuto ed era, in un certo senso, diventato qualcuno. Da Caposcuola a signor nessuno in meno di un mese, ecco cosa sarebbe divenuto.
Quella ragazza, invece... Aveva ancora un intero anno di fronte a sé. Avrebbe imparato il principio di Gormul e il teorema di Torkel, magari sarebbe stata la prossima Caposcuola, avrebbe vissuto tra quelle mura che a lui sarebbero state precluse dal momento in cui avrebbe ricevuto il suo diploma. Ma anche senza andare a pensare al futuro, bastava guardarli in quel momento: lui era stanco e provato dallo studio e dalla tensione, lei invece irradiava spensieratezza e il suo unico problema era che la Sprite non scrivesse a sua madre. Perché lei lo invidiava? Doveva essere piuttosto il contrario.
Il sorriso scomparve dal volto di Percy, che chinò il capo come aveva fatto la ragazza poco prima. Si alzò dal tavolo e si caricò di tutti i libri e le pergamene.
- Aspetta, ti aiuto.
- Tranquilla, ce la faccio.
La Tassorosso si alzò comunque e gli diede una mano, sistemando un paio di fogli che rischiavano di cadere dalla pila. - In bocca al Kelpie per i M.A.G.O., allora - disse poi, con un gran sorriso. - Sono sicura che andranno bene.
- Ti ringrazio. E...
- Sì?
- ... Niente, non importa.
Avrebbe voluto dirle di godersi il più possibile quell'ultimo anno di scuola, ma non lo fece. Alla sua parte Percy faceva ancora piacere che lei lo invidiasse. La guardò prendere un altro libro dallo scaffale di Antiche Rune, poi si voltò e si diresse verso il bancone di Madama Pince.
Peccato – pensò, mentre la bibliotecaria compilava i moduli del prestito – non aver conosciuto prima quella Tassorosso.
Sembrava simpatica.

 
 


 
 

 

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