I will ever follow your shadow

di Judy Kill Em All
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I will ever follow your shadow ***
Capitolo 2: *** A year to fill up your chest ***
Capitolo 3: *** The debacle of a contaminated nature ***
Capitolo 4: *** Liquid ***
Capitolo 5: *** Poisoned sea ***



Capitolo 1
*** I will ever follow your shadow ***


I will ever follow your shadow
 
Andrò dovunque tu voglia che io vada.
 
Lo farò di giorno, di notte
d’estate, d’inverno.
 
Non credevo vero di essere ancora viva
avevo aperto la porta del corridoio
e c’era odore di estate,
quello bellissimo che ti fa sorridere.
 
Avevo sentito odore di estate
anche mentre camminavo per strada;
ero con un mio amico
a cui voglio bene
anche se a volte pensarlo, mi fa sentire male.
 
Farò qualunque cosa tu voglia che io faccia.
 
Lo farò nel male, nel bene
felice, triste.
 
Pensavo di aver combattuto
e di aver vinto.
Oh, maledetta vittoria,
la convinzione di essere forte e tranquilla.
Poi ho iniziato a sentire odore di polvere
di vecchio
di chiuso.
 
Il mio cervello andato a male
puzza di marcio
lo si sente da fuori,
quando ti avvicini,
infatti poi ti allontani subito.
 
Ti darò qualunque cosa tu voglia che io ti dia.
 
Lo farò urlando, in silenzio
piangendo, ridendo.
 
Troppo tempo fa eri scappata
da un giorno all’altro non c’eri più
e io non sapevo
cosa dire
cosa fare.
Non sapevo più se valeva la pena
di bere
di mangiare
di respirare.
 
Perché ad un certo punto,
te lo giuro,
mi è passata la voglia di dilatare i polmoni
e la sensazione dell’aria
che usciva ed entrava dalle narici non mi piaceva più.
 
Dirò qualunque cosa tu voglia che io dica.
 
Lo farò al bisogno o no
se porterà danni o cose belle.
 
Come poco tempo fa,
che tu mi avevi detto che mi avevi fatto del male
di non pensarci più
e io ti avevo risposto che no, non sarebbe importato
se tu fossi tornata.
 
E poi l’altra sera
eri così vicina
che ti respiravo,
mi hai chiesto se dovevi andartene,
lo hai sussurrato
e mi è venuto da ridere in silenzio.
 
Non è rimasto tanto, sinceramente.
Solo qualcuno che chiede
tu cos’abbia di bello
e ti si attacca
e non capisce
che mi sta spingendo più in profondità nella fossa.
 
Non ho più niente,
incompleta nausea che arriva e scappa
com’è che tutto scappa da me?
 
L’unica cosa bella
è quell’amico con cui condivisi odore d’estate,
di dolci caldi,
che mi vedeva e fuggiva,
poi mi vedeva ancora, ma non fuggiva più.
E quando lo vedo sento gli angoli della bocca
che si sollevano
perché so che non se ne vuole andare,
lui si è schiantato contro gli ostacoli
e rimarrà,
fino alla fine.

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Capitolo 2
*** A year to fill up your chest ***


A year to fill up your chest
 
Avevo visto quella volta
mentre mi parlavi:
ti parlavo anch’io
e ridevi tantissimo
perché sovrapponendo le parole
s’incastravano.
 
Puzzle con trecentosessantacinque tessere
quando lo finii
piansi perché mi ero divertita a farlo
ed i pezzi sembravano saldati,
avevo anche provato a staccarli,
senza successo.
 
Mi rimase comunque il puzzle
e visto che mi rimaneva anche
una cornice vuota
{il mio petto}
lo incorniciai
e mi accorsi,
col tempo,
che ritraeva il mio passato.
 
Non mi piacque più così tanto,
ma lo tenni con me comunque.
Perché, sai,
c’era anche la tua immagine.
 
Sta di fatto che una al giorno,
{non era un anno bisestile}
le tessere si persero,
{mi ricordo che c’erano
ma non dove finirono}
e rimasi con il vuoto
e bile, nel vuoto, che si vomitava da sola.
 
Avrei voluto {far} sfumare tutto
per non vedere più bicromatico,
smettere di leggere i libri dalla fine,
per capire come è giusto comportarsi.
 
Capovolgimento:
la testa sotto i piedi,
mentre mi muovo la calpestano
e mi fa malissimo,
ho paura che si rompa.
 
Riderebbero, riderebbero tutti vedendo
i pezzi della mia testa ovunque;
riderei, riderei anch’io.
 
Se solo riuscissi a vedere ciò che vedono tutti.
   

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Capitolo 3
*** The debacle of a contaminated nature ***


The debacle of a contaminated nature
 
Assuefatta dalle dipendenze
non sapevo che avere un’indole
incline a qualcosa
fosse così poco appetibile,
inizialmente non compresi.
 
Ero convinta di essere
catarifrangente
e che tutta la luce donatami
l’avrei ridata indietro.
 
Erano tutti strani intorno a me,
dicevano di essere felici
di avermi.
Poi sparivano dietro l’angolo
ed iniziavano a decomporsi:
vermi e brandelli di carne,
li osservavo e ridevo a pieni polmoni.
 
Ridevo così tanto
che il mio viso si deformava
e mi tramutavo in incubi osceni
e malessere interno,
mentre la luce
rimaneva intrappolata
in uno strato intermedio
protetto da cemento armato
ed acciaio.
 
Però io stavo comunque bene,
non piangevo,
non gioivo,
o più probabilmente
non vivevo,
riuscivo a vedere anche
oltre ciò che delimita l’orizzonte,
ed il senso di claustrofobia
cresceva a dismisura.
 
E allora la troppa aria
mi faceva esplodere i polmoni:
sentivo il rumore
ed il dolore
allora semplicemente non respiravo più.
 
Mi lasciavo lentamente morire
esalando gli ultimi respiri,
fingendo veemenza
con gli occhi.
 
Avevo compreso
la storia dell’indole,
della luce
e dei falsi sorrisi,
giusto un secondo prima di morire.
 
Non avevo avuto paure,
rimorsi,
preoccupazioni,
eravamo io e la mia indole
e, per quanto fosse scomoda,
poco attraente,
denigrata
c’era sempre stata per me
e io, quella volta,
non l’avrei abbandonata.
 
Avevo lasciato il mio corpo
semicosciente
al limitare della strada,
per metà sul marciapiede,
con il respiro lieve
mormorando a me stessa
parole inudibili,
ma non l’aveva visto nessuno.

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Capitolo 4
*** Liquid ***


Liquid
 
Trovavo soddisfacente guardarti
mentre ti scioglievi
urlando di essere densa come il mercurio
quando in realtà eri acqua.
 
Io invece
avevo il sogno di tingermi i capelli
di tutti i colori.
Sarebbe stato più facile visitare
il paese delle meraviglie,
e il Cappellaio Matto mi avrebbe fatto
un sacco di complimenti.
 
E pensavo, sinceramente,
che la filosofia fosse il modo più semplice
per guardare la vita,
io ero solida
e non piangevo alluvioni.
 
Tu invece cadevi per terra
E ti infrangevi
Bagnando tutti i passanti
di acqua tinta
di fango e paure.
 
Tutte le superfici sporche
Iniziavano a disegnare sogni:
c’era un serpente blu
con le palpebre fucsia,
{il responsabile della scomparsa delle borse:
se le era mangiate tutte}
c’era una persona
che conoscevo da un sacco di tempo,
ma quel giorno aveva fumato tantissimo
e di fumo ne avevo pieno il cervello,
tanto che ero diventata un drago
che sbuffava grigiori dal naso.
 
Avevo sogni stipati
in fondo alla gola
con infinita voglia di uscire,
ma non gridavo,
non gridavo mai,
perché nessuno mi ascoltava:
quindi parlavo da sola
e ripetevo ogni volta
le stesse
malate
costruzioni del mio cerebro.
 
Mi sporgevo
da un precipizio
e non vedevo quanto fosse alto.
“Mi butto?” mi chiedevo
dondolando sui talloni,
andando avanti e ritraendomi
all’improvviso.
Inizialmente c’era sempre qualcuno
che mi acchiappava,
mi conficcava le unghie nel braccio
e mi riportava alla realtà.
 
Avevo capito di essere sola
quando, alla fine, ero caduta.
Volavo e intanto vorticavo
non sapevo quanto velocemente
né per quanto tempo sarei andata avanti,
l’avevo domandato
a tutte le sporgente rocciose.
“Stai diventando pazza!”
mi rispondevano ridacchiando
distorcendo un ghigno
che non possedevano.
 
E io non avevo più gli organi interni
avevano deciso di fare compagnia
al raziocinio
mi guardavano dall’alto
e si prendevano gioco di me,
li vedevo,
non so se loro lo sapessero,
ma lo sapevano tutti,
non c’era motivo di tenerlo nascosto.
 
L’unica a non saperlo eri tu,
fingevi ancora candida innocenza
e ingenuità.
Continuavi a ripetere
che non ti saresti liquefatta;
chissà come mai, però,
intanto venivi assorbita dal terreno
e precipitavi più in fretta di me.
 
Dicevi anche che non ti saresti salvata,
piangevi fortissimo.
Alla fine però avevi trovato un albero
E ti eri ancorata saldamente alle sue radici,
non curandoti di me,
io disperatamente
cercavo un appiglio tra le tue ciglia
{uno dei pochi ricordi}.
E continuavo a dire
“Se questo è il paese delle meraviglie
non voglio viverci”
mi pregavi per finta di restare,
all’improvviso eri tu la vittima.
 
Ti avevo sempre accolto a braccia aperte,
Ma non tornare,
non farlo mai più.
 
Non eri tu quella in torto,
o io
o chiunque altro.
Non eri quella giusta.
Non lo saresti mai stata.

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Capitolo 5
*** Poisoned sea ***


Poisoned sea
 
Iniziavano già a tormentarmi
particolareggiate scenografie
viste con infinite
sfaccettature differenti.
Come guardare
attraverso un caleidoscopio
riempito di figure in vetro
di chiese gotiche
con ricchissimi cleristori.
 
Ed intanto i tuoi occhi
si confondevano
in quei colori,
ma li riconoscevo,
li riconoscevo sempre
ed era divertente giocarci
mentre dormivo.
 
Avevo però smesso da tempo
di fantasticare
e di immaginare
come sarebbe stato
se fosse andato tutto
per il verso giusto.
Mi ripetevi
che se fossi riuscita a costruirti
un castello di carte abbastanza alto,
mi avresti amata,
perché fino a quel momento,
non ero mai stata alla tua altezza.
 
Ti conoscevo da una vita
Ti avevo ascoltata
E liberato i polmoni,
Costretta a respirare.
Mi avevi dedicato una canzone
E scavato con le unghie
Un ringraziamento scontato
Sul mio petto, all’altezza del cuore.
 
Ero troppo impegnata
a rincorrere un ragazzo
più veloce di me,
che non mi aveva mai detto
nemmeno che fossi carina,
ma non sapeva
che mi ero fatta una doccia
con l’acido
e mi ero rimodellata la faccia
per piacergli.
 
E tu stridevi,
dall’altra sponda del fiume
che meritavo di meglio
e che avevo fatto un grosso sbaglio
ad attraversare tutta quell’acqua
per niente.
 
Sorridevo,
annuivo,
non ti sentivo
e avevo le allucinazioni.
 
Sventolavi le tue mani
da pianista
per scacciare le farfalle
e ricordo,
suonavi melodie nell’aria.
Lo sapevo perché
vedevo il fiume diventare un mare
e le onde incresparsi.
 
Mi veniva la nostalgia
ed il mio passato sembrava così lontano.
“Una volta ero un oceano,
dico sul serio” ripetevo
insistentemente,
per convincermi
di aver vissuto.
Dovevo aver pianto troppo
perché di me, ormai,
non era rimasto più niente.
 
Amavo la musica
e quando le tue mani
si muovevano veloci sui tasti del piano,
le note
mi scivolavano addosso
e risuonavano
nel mio stomaco, risvegliando le farfalle.
 
Giorni,
settimane,
mesi,
anni.
Una scusa.
 
Avevamo pianto all’unisono
e avevo capito
che sarebbe stata meglio finirla
con tutte quelle menzogne.
 
Perché lo sapevo,
avrei continuato a stare male.
E lo sapevi,
che avresti continuato a curarmi col veleno;
ne ero a conoscenza,
ma mi fidavo e continuavo a sfiorire.
 
Il mio cuore palpitava
con eccessiva lentezza,
ma non importava:
presto mi sarei riunita al mare.

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